Ei - Sardegna Cultura
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Giorgio Todde<br />
<strong>Ei</strong>
Tascabili . Narrativa
Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />
La matta bestialità, 2002<br />
con Il Maestrale-Frassinelli:<br />
Lo stato delle anime, 2002 (già Il Maestrale 2001)<br />
Paura e carne, 2003<br />
In copertina:<br />
Igor Mitoraj,<br />
Light of the moon (1991),<br />
bronzo<br />
Foto di copertina:<br />
Mary Ann Sullivan<br />
Editing<br />
Giancarlo Porcu<br />
Grafica e impaginazione<br />
Imago multimedia<br />
© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: edizionimaestrale@tiscalinet.it<br />
Internet: www.edizionimaestrale.it<br />
ISBN 88-86109-75-X<br />
Giorgio Todde<br />
<strong>Ei</strong><br />
Il Maestrale
Una bracciata, l’acqua calma per andare avanti.<br />
Dov’è la boa rossa?<br />
Tira fuori la testa dall’acqua, aspetta che gli occhi vedano,<br />
e vede la boa. Rimette la testa dentro e ricomincia a<br />
nuotare con le bracciate da uomo alto e magro. Se lo è sempre<br />
domandato se essere alto serve a qualcosa in acqua.<br />
È dimagrito per tutto quello che è successo.<br />
Guarda il fondo bianco. Gli bruciano gli occhi. L’acqua<br />
è più salata col vento di terra. E continua con le bracciate<br />
calme.<br />
Poi se ne sta appeso alla boa per un po’, si soffia il naso e<br />
aspetta che il respiro ritorni normale. Arrivano ancora voci<br />
da terra, qualche urlo e un cane che abbaia.<br />
Ancora altre bracciate: più lontano possibile dalla riva.<br />
Cosa ha lasciato a riva non vuole neppure ricordarselo.<br />
Oggi, quando è uscito dalla penombra della cabina, il<br />
sole era così forte che gli ha procurato un piacere violento<br />
e un’amnesia tanto dolce che si è sentito energico, e gli<br />
sembrava di essere finalmente all’inizio di qualche cosa.<br />
Allora si era immerso e adesso è qua, lontano dalla riva,<br />
che nuota e nuota.<br />
Poi si ferma, ascolta: neppure una voce, nessun suono<br />
umano. E ricomincia.<br />
5
I<br />
– Ti passerà col tempo, Enrico, ti passerà.<br />
– Passa col tempo? Ma chi te l’ha detto, Battistino, chi<br />
te l’ha detto? È il contrario! Il dolore aumenta… matura,<br />
ecco! Ecco!<br />
Come i bambini offesi: Ecco! Enrico, le gelosie socchiuse,<br />
mugolava in penombra. Fuori c’era sole, tutto<br />
scintillava, la gente nelle strade ondeggiava al vento energico<br />
di Epipanormo.<br />
Enrico Ricasoli abitava da sempre nella città alta, in via<br />
del Compasso, nell’appartamento all’ultimo piano dei<br />
genitori morti da anni: una casa di tufo costruita da gente<br />
che voleva la luce, da dove vedeva la città bassa, il porto e<br />
il mare. Viveva tra i muri che aveva scarabocchiato da<br />
piccolo e quei graffiti gli tornavano alla mente spesso.<br />
Da qualche tempo dormiva nel lettone dei genitori defunti<br />
dove il padre, come lui, aveva sofferto di vertigini<br />
astronomiche nel passaggio dalla veglia al sonno.<br />
– Non pensavo che sarebbe morta d’estate… con tutta<br />
questa luce fuori… E adesso?<br />
– Enrico, Nellina doveva morire prima di te… è normale.<br />
Le rughe di Enrico quarantottenne, le più belle, secondo<br />
lui, perché cancellano difetti e non deformano ancora,<br />
sorrisero alla morta.<br />
7
– È come se la vedessi… Se stiamo zitti la sento… È una<br />
cosa senza proporzioni!<br />
– Non esagerare…<br />
– Non l’ho vista malata, mai!<br />
– E infatti non si è ammalata neanche questa volta… è<br />
stata una disgrazia…<br />
– E adesso?<br />
– Beh, adesso devi vivere senza di lei, Enrico… la potrai<br />
vedere nei sogni… Sognarla è un modo per, com’è che si<br />
dice, elaborare il lutto.<br />
Enrico ebbe un contorcimento.<br />
– Elaborare il lutto? Ma cosa c’è da elaborare? C’è solo<br />
da aspettarsi il proprio lutto, l’elaborazione finale, ecco…<br />
E sognarla, meschinetta? Me la sognerò come l’ho<br />
vista l’ultima volta… In quello stato…<br />
Battistino si alzò dalla poltrona.<br />
– Enrico, hai ragione, non elaboriamo proprio nulla.<br />
Ora ho fame e non ho deciso io. Nellina, se ci vede, capirà,<br />
andiamo.<br />
Battistino Mattiolo - lo stesso patrimonio di rughe di<br />
Enrico ma più profonde per le sigarette - era amico sino<br />
dall’infanzia. Viveva nello stesso palazzo, un piano sotto,<br />
dove era nato. La loro amicizia corrosiva si era costituita<br />
in modi infinitesimali. Una comunanza tra orecchie e nasi,<br />
tra palati, occhi e nervi teneva uniti Enrico e Battistino,<br />
i quali per questo motivo potevano tacere stando uno<br />
in faccia all’altro, anche per ore, senza che questa confidenza<br />
coniugale li annoiasse. Qualche muffa acida, però,<br />
gli spuntava qua e là.<br />
Da adolescenti avevano spiato melanconici la crescita<br />
8<br />
delle ragazze del quartiere. Si erano laureati insieme. Insegnavano<br />
letteratura nel liceo. Erano arrivati a apparire<br />
gemelli, di quelli che vengono dallo stesso uovo: alti, olivastri,<br />
con una piccola gobba, conseguenza di troppe riflessioni.<br />
Ma differenze ce n’erano tra i due e, man mano<br />
che passava il tempo, le differenze venivano fuori alla luce<br />
forte di Epipanormo.<br />
Battistino spalancò le persiane.<br />
Una nuvola innocente occupò il rettangolo della finestra<br />
e Battistino domandò di nuovo:<br />
– Allora, andiamo a mangiare? Sennò continuo a fumare…<br />
Guarda che bella nuvola pulita…<br />
Enrico aveva un debole per il cielo e si voltò a guardare<br />
la nuvoletta: quello, magari, era un modo di ricomparire<br />
di Nellina, il suo cane morto stritolato dall’ascensore. Ma<br />
la nuvola non aveva forma di cagnolino.<br />
Il quartiere alto e volante di Epipanormo, sulla rocca<br />
bianca, guardava in basso il quartiere di Talattone, al porto,<br />
e tutt’e due guardavano il sud. I greci, arrivati proprio<br />
da quella direzione, col genio del divino avevano tracciato<br />
strade che seguivano il corso del sole. Gli stessi tracciati<br />
percorrevano Enrico e gli altri abitanti del rione ogni<br />
giorno.<br />
A nord, tutto monti, la città si era sviluppata contro natura<br />
unendosi alle montagne e ai paesini con ponti e gallerie<br />
muschiose. Ma era un’espansione separata: Epipanormo<br />
restava Epipanormo.<br />
A sud, in basso sul mare, il quartiere di Talattone si era<br />
generato sul guano fermentante.<br />
Gli abitanti della città, dopo l’unione ai paesi della<br />
9
montagna, erano diventati tanti, troppi per Enrico e Battistino.<br />
Però coi monti restava un confine genetico. In città,<br />
clima e facce cambiavano bruscamente, si era conservata<br />
una razza color nocciola, legnosa e marinara, ordinata secondo<br />
forza e intelligenza. In alto i migliori, a Epipanormo,<br />
e in basso, a Talattone, gli altri.<br />
I due quartieri erano uniti da una vecchia teleferica che<br />
oscillava ma non cadeva mai.<br />
Era l’unica città con due nomi.<br />
– Mangiare? È già ora? – chiese Enrico, abbagliato da<br />
tante ore di penombra, fissando la nuvola e vedendoci finalmente<br />
Nellina.<br />
– È quasi l’una, Enrico. Non mangio da ieri sera. Da<br />
quando l’abbiamo sepolta non ho mandato giù un boccone.<br />
– Sepolta? E tu credi che sia finita così? – A Enrico venne<br />
fuori dalla gola un grugnito che impressionò Battistino<br />
e poi disse: – La vita… neanche un minuto di più…<br />
povera Nellina! – Si teneva le tempie: – Cose enormi, a<br />
volte, dipendono da poco…<br />
Battistino non era paziente, era in piedi, già rivolto alla<br />
porta, le chiavi che tintinnavano in mano. Frasi così gli<br />
mettevano il nervoso. In fondo era morto un cane, Nellina<br />
era solo un cane e per giunta vecchio.<br />
– Enrico, Nellina mangiava anche lei… abbaiava come<br />
una matta all’ora dei pasti, la sentivo dal piano di sotto.<br />
Adesso dobbiamo mangiare noi.<br />
Enrico si alzò, era spettinato e più curvo:<br />
– Andiamo da Didimo? Non voglio carne! Non voglio<br />
mai più carne.<br />
10<br />
– Andiamo dove vuoi e mangiamo quello che vuoi.<br />
Però pettinati.<br />
Per strada sembravano una visione doppia. Enrico<br />
continuava a ricordare il proprio cane morto per disgrazia<br />
e soprattutto la testa spaventata rimasta sul pianerottolo<br />
come su un patibolo domestico.<br />
L’appartamento di Enrico e quello di Battistino restarono<br />
deserti.<br />
In casa di Enrico, sul tavolo di cucina, c’era un pezzo di<br />
parmigiano sopra un piattino. Quando i due amici uscirono<br />
di casa e la loro assenza fu certa, un fenomeno più<br />
che chimico avvenne nel formaggio e nell’aria. La temperatura<br />
nella stanza aumentò e anche l’odore del parmigiano<br />
aumentò, sino a interessare un gabbiano giovane che<br />
passava davanti alle finestre e si avventò sui vetri lussandosi<br />
le ali, precipitando e richiamando altri gabbiani che<br />
sui vetri sbattevano inferociti.<br />
Il pezzo di formaggio si aggravò e si perforò in molti<br />
punti. Dai buchi schizzarono vermi bianchi a centinaia.<br />
Poi la pasta del parmigiano si indurì tanto che la massa<br />
iniziò a respingersi sino all’estrema conseguenza dell’esplosione.<br />
L’etto e mezzo di parmigiano, con un rumore<br />
di frattura, si ruppe in tanti pezzetti tra i quali saltavano<br />
già i vermi e volteggiavano farfalline pelose.<br />
Il pranzo di Enrico e Battistino era alla fine. Didimo,<br />
l’oste con le unghie nere, sapeva della morte di Nellina<br />
Ricasoli, la cagnetta di Enrico e lo aveva trattato come chi<br />
di cose materiali ha bisogno ma non vuole ammetterlo:<br />
– Ecco il dolce, professor Enrico, leggero come un’ostia.<br />
11
Enrico lo ingoiò senza considerare l’oste:<br />
– Ieri era come se sapesse… povera bestia… era strana<br />
dalla mattina. Aveva odore di pesca, non so perché…<br />
– Di pesca? – domandò Battistino che a quel cane non<br />
si era mai affezionato come Enrico avrebbe voluto.<br />
– Sì, il pelo odorava di pesche mature. Proprio di pesche.<br />
Ecco.<br />
Ebbe una vertigine funesta. Ma non riuscì a stare zitto:<br />
– Guarda che capelli lunghi che ho, Battistino… Li dovrei<br />
tagliare, ma sono troppo triste per farlo. Serve un<br />
umore decente per il barbiere.<br />
Battistino fumava:<br />
– Serve un umore decente per fare qualsiasi cosa. Stai<br />
esagerando, esagerando.<br />
Al ritorno i due amici non dissero una parola percorrendo<br />
via dei Collerici per arrivare a casa. In via del Compasso<br />
gli alberi d’arancio si gustavano il vento dai monti che rinfrescava<br />
Epipanormo senza badare ai pensieri di Enrico.<br />
* * *<br />
In via San Genesio, nel quartiere di Talattone, le case<br />
intorno al porto erano alte, strette e colorate.<br />
Via San Genesio non puzzava come altre strade di Talattone<br />
e finiva in una piazzetta con un’acacia, panchine e<br />
una fontanella sempre asciutta. Il vento da nord arrivava<br />
anche là in basso ma come un vento già usato da quelli di<br />
Epipanormo: invecchiato e tremolante dopo aver rinfrescato<br />
la città alta.<br />
La casa di Tebe Mistrè era all’ultimo piano, tutta tendine<br />
e fiocchetti.<br />
12<br />
Tramontava e la luce entrava mite di sbieco nella stanza<br />
da letto di Tebe.<br />
Che odore di pesche! pensò Tebe mentre, in sottoveste,<br />
si guardava da ogni lato allo specchio. Da qualsiasi parte si<br />
girasse non trovava nessuno spigolo. “Come se non lo sapessi!<br />
Quando scopano con me pensano a un’altra. Ma<br />
tanto è così per tutti… Un bel formicaio di pensieri… a<br />
miliardi… È tutta forza che se ne va a finire in niente…<br />
Messa insieme, sarebbe la bomba più forte… Vengono, mi<br />
chiedono di tutto, e sono sempre gli stessi… mi hanno<br />
sposato ormai, sempre gli stessi… Che odore di pesche…”<br />
Pesche in casa non ce n’erano e questi furono gli ultimi<br />
pensieri di Tebe Mistrè quando, stupita di non sentire dolore<br />
e di vedere solo se stessa allo specchio, il rasoio le tagliò<br />
il collo soffice. Vide le iniziali che conosceva sulla lama,<br />
B M, un’incisione perfetta che arrivò sino alla nuca<br />
dove questo omicida le teneva sollevati i capelli con cura.<br />
Sentì sapore di sangue, prima come se le sanguinasse solo<br />
un dente e poi come se tutto il sangue le fosse finito nella<br />
bocca.<br />
Tebe aveva intravisto un solo istante la bella mano bianca<br />
che impugnava la lama. Si stupì quando vide il rosso<br />
esagerato che le scappava dal collo e si accorse che non ce<br />
la faceva a stare in piedi.<br />
Non ci credeva e non si spaventò.<br />
Ebbe il tempo di stendersi e di decidere in che posizione<br />
farsi trovare. Non portò le mani al collo e non se le<br />
sporcò. Era supina con la testa ruotata dalla parte del taglio<br />
e la bocca storta: da lì guardò per un momento le tendine<br />
alla finestra che aveva ricamato lei stessa. Se le sarebbe<br />
prese la sua vicina per ricordo.<br />
13
Provò terrore solo quando si accorse che il sangue fuggiva<br />
dagli occhi e vide bianco.<br />
L’agonia durò una dozzina di secondi, silenziosa e ordinata,<br />
senza movimenti, solo una scossa all’ultimo.<br />
“Come volevo Io,” pensò l’omicida e ripeté: “Io, Io”.<br />
Resistette alla tentazione di tagliare di più di quella polpa<br />
rosa e la guardò a lungo prima di lasciarla così com’era.<br />
Lavò per terra irritandosi perché il sangue si era già<br />
seccato e diventato nero: – Uffa! – Poi si dedicò alla pulizia<br />
del corpo di Tebe che, nel frattempo era diventata celestina.<br />
La ripulì con una spugna, le raddrizzò la bocca<br />
storta e la pettinò. La lasciò nella posizione che lei aveva<br />
scelto: – Ecco… ecco.<br />
A mezz’ora dalla morte era fredda e composta ma sembrava<br />
indispettita. D’altronde, lo dicevano tutti nel quartiere,<br />
anche da viva aveva una faccia dispettosa.<br />
Nella camera diventò più forte l’odore di pesche mature<br />
e tutti gli altri odori scomparvero dall’appartamento.<br />
Lui trovò un tagliaunghie e se le accorciò. Così riuscì a<br />
lavare via il sangue che era diventato crosta. Poi guardò<br />
ancora Tebe. “Un taglio perfetto, un fiore di pesco non è<br />
così bello.” E se ne andò.<br />
14<br />
Melania Lampreda faceva lampeggiare i polpacci salendo<br />
le scale del Mercato Vecchio e quei lampi facevano<br />
sollevare lo sguardo a molti che stavano dietro, compreso<br />
Enrico tutto sgualcito. Lei sentì prurito alle gambe e si<br />
voltò:<br />
– Ah, sei tu. – Gli sorrise.<br />
Il sorriso di Melania.<br />
Nel viso di Melania Lampreda - sviluppato con una varietà<br />
che lasciava muti - i muscoli della bocca andavano<br />
oltre le labbra e i maschi ci andavano pazzi. La loro forza,<br />
dei muscoli, era un mulino a vento in attività e mai, proprio<br />
mai, si sarebbe pensato che là sotto c’erano ossa.<br />
Melania l’aveva sempre saputo che Enrico soffriva per<br />
lei sino da quando lui tornava a casa dalle lezioni all’università<br />
e la vedeva con lo zaino del ginnasio percorrere le<br />
salite di Epipanormo con il corpo che cresceva e il sorriso<br />
che era già cresciuto. Da allora tutto era stato difficile tra<br />
loro due.<br />
Enrico era concentrato sui polpacci e sulle caviglie. A<br />
due giorni dalla morte del cane, per la prima volta si distraeva.<br />
Le diede la notizia guardando la bocca di lei.<br />
– È morta Nellina, lo sai? Stritolata dall’ascensore… E<br />
15
sono rimasto solo in casa. Sette stanze e ne uso solo tre.<br />
Nellina zampettava dappertutto.<br />
I gradini del mercato erano ripidi, come tutto ad Epipanormo.<br />
E ripido, un precipizio, sembrò a Enrico il collo di<br />
Melania, un precipizio che portava al centro della terra.<br />
– Ma tu eri solo anche con Nellina. Che razza di compagnia<br />
facevi a quel cane? Povera bestia.<br />
Lui si accorse di essere troppo curvo, pensò che la colpa<br />
era di Battistino, lo frequentava troppo, e si raddrizzò,<br />
era alto quando stava dritto:<br />
– Perché mi hai sorriso?<br />
– Beh, ne hai bisogno, si vede. Sento quando mi guardi<br />
anche se ti do le spalle, anzi, quando ti do le spalle il tuo<br />
sguardo lo sento di più.<br />
– È che quando mi dài le spalle è meno complicato<br />
guardarti.<br />
– Oggi non sembri neanche uno di Epipanormo, sembri<br />
di un’altra razza! Sei giallo…<br />
– Sono giallo?<br />
Lei aveva le maniche rimboccate e Enrico non resistette<br />
alla tentazione di accarezzarla. Melania accettò, la sua<br />
peluria mandò segnali buoni e strinse le spalle come chi<br />
ha freddo.<br />
Entrarono al Mercato Vecchio. Qui Epipanormo comunicava<br />
con Epipanormo. Gli altri erano ammessi, sceglievano,<br />
compravano, facevano affari, chiacchieravano,<br />
passavano il tempo, ma restavano stranieri.<br />
Melania e Enrico arrivarono dal Pechinese, il pescatore<br />
con la voce da castrato: – Professor Ricasoli, professore!<br />
Venga, venga! Guardi, guardi che banco! Qui tutto si<br />
muove, tutto vivo! Senza impegno, guardi! Tutto vivo! A<br />
16<br />
proposito, ho saputo del cane: non comprerà più ventresca<br />
di tonno per Nellina!<br />
Il Pechinese fissava Melania come avrebbe guardato il<br />
più bel pesce del golfo, le pinne forti e le squame brune.<br />
Gridò: – Venga anche lei, signora!<br />
I due si avvicinarono e il Pechinese gridò più forte: –<br />
Professore! Che colorito! È blu!<br />
Enrico si appoggiò alla spalla di Melania… “Sono<br />
blu…” e sentì la clavicola solida di lei. – Vorrei sogliole,<br />
ma senza la testa, – disse. Il Pechinese gliene decapitò tre.<br />
Le mise dentro la carta straccia e gliele porse con le manine<br />
al cloro che Enrico evitava di sfiorare. Gracidò ancora:<br />
– Che faccia blu, professore!<br />
Lui, mentre pagava, si ricordò di colpo: la testa di Nellina…<br />
il sangue di Nellina… il pelo di Nellina… sapeva di<br />
pesca… Svenne.<br />
Si svegliò dentro la vasca delle anguille dove era caduto.<br />
Le anguille erano terrorizzate. Melania era sbalordita.<br />
Enrico riuscì a saltare fuori dalla vasca e si trascinò un<br />
groviglio di anguille che scapparono in mezzo alla gente.<br />
Cercò Melania, la guardò, trovò forza e pattinò via sulle<br />
piastrelle luride.<br />
Stordito, vide viali di pesci, la danza dei gamberi, il coro<br />
delle spigole con la bocca spalancata. Arrivò alle carni<br />
che gli ricordarono ancora Nellina morta, vide grovigli di<br />
budella, cuori fibrosi, il rosso dei fegati, e gli procurarono<br />
subito acidità. Trovò l’uscita, fece le scale a precipizio,<br />
cercò una panchina e si sedette all’ombra tastandosi il<br />
polso e respirando, a occhi chiusi. Ecco.<br />
Melania, anche se non era una donna pietosa, si sedette<br />
vicino:<br />
17
– Va meglio? È da quando ti conosco che svieni… Hai<br />
ancora il cartoccio con quelle sogliole decapitate…<br />
A lui sembrò che Melania fosse davvero interessata.<br />
– Melania, andiamocene da Epipanormo per oggi. Mi<br />
accompagni? Al mare, magari.<br />
– Non ho fatto la spesa, Enrico, dovrei tornare dentro.<br />
– Andiamo via, per favore. Prima mi lavo, però. Passiamo<br />
a casa, mi cambio e poi decidiamo.<br />
Si avviarono.<br />
Un bel sole di giugno illuminava la città. Giugno metteva<br />
buon umore a tutto il quartiere, prometteva il sole e<br />
una bella luce forte e serena. Enrico pensava a quante<br />
volte avrebbe preso, la mattina, la teleferica che portava<br />
dall’acropoli al mare. Sentì l’odore di Melania e glielo<br />
disse:<br />
– Sai Melania che il tuo odore è più forte del profumo<br />
che porti e anche di questa puzza di anguille? È come stare<br />
in mezzo agli ulivi stesi sull’erba, ma come fai?<br />
– Oh, anche mia madre aveva quest’odore e io lo sentivo<br />
anche a nonna.<br />
– Sei una donna cosmica, ecco.<br />
– Che bel complimento!<br />
– Una di quelle donne all’origine di tutto… Mi facevi<br />
spavento a vent’anni! Insomma, era troppo… Con te era<br />
meglio non capire… Ci voleva un uomo che…<br />
– La solita storia… Per me ci voleva uno che non capiva<br />
niente, vero? Un uomo sensibile per me non va bene, giusto?<br />
– Hai ragione, sto zitto.<br />
In quel momento Melania gli sembrò il centro di ogni<br />
cosa e che tutto fosse là per lei e che ogni linea tracciabile<br />
18<br />
convergesse verso di lei: era sempre stato davvero innamorato<br />
di Melania.<br />
Giunsero in via del Compasso.<br />
Enrico vide un estraneo che si massaggiava le tempie,<br />
affacciato alla finestra di Battistino. Sulla porta del palazzo<br />
andava su e giù il gatto portinaio nervoso. C’era una<br />
macchina gialla della polizia e due poliziotti nell’atrio del<br />
palazzo. “Cosa succede? Uffa!”<br />
Quando il commissario Glauco Glicerio era arrivato<br />
davanti alla porta dell’appartamento di Battistino Mattiolo,<br />
si era già fatto un’idea di chi si sarebbe trovato davanti.<br />
Il palazzo antico, il pianerottolo con le felci, la luce<br />
polverosa nella tromba delle scale dovevano essere come<br />
il padrone di casa. Quando Battistino era apparso, il poliziotto<br />
aveva pensato d’avere indovinato: Bell’uomo. Un<br />
po’ scrostato, come i muri dell’appartamento, però di base<br />
ben congegnato, proprio come il palazzo.<br />
Il dottor Glicerio aveva iniziato a sudare e si era ricordato<br />
degli esami del sangue da ritirare al laboratorio.<br />
Battistino si era seduto sulla sua poltrona consumata:<br />
– Mi sono spaventato quando la polizia mi ha telefonato,<br />
non mi era mai successo. Ora va bene, però: so controllarmi.<br />
Che notizia mi ha dato, commissario! Avevo un<br />
legame con Tebe che durava da anni, ma non profondo…<br />
e non ero l’unico… lei si sarà già informato. Ho fumato<br />
senza interruzione sino a quando lei ha bussato.<br />
– Infatti non ha una bella cera, professor Mattiolo.<br />
Battistino si era indispettito:<br />
– Neanche lei ha un bell’aspetto, commissario.<br />
Si è ostili o bendisposti dal primo incontro.<br />
19
La poltrona dava sicurezza a Battistino. Glicerio grondava<br />
sudore e si asciugava con un fazzoletto già fradicio:<br />
– Io non posso riposare, perciò ho una cera così così. Sa,<br />
il mio metabolismo non è a posto, non ha pause. La notte<br />
brucio, vado a fuoco, brutti pensieri… la mia tiroide lancia<br />
frecce incendiarie… la tiroide…<br />
Battistino si era preso la libertà di guardare il commissario<br />
dalla testa ai piedi e gli era sembrato rivestito delle sue<br />
malattie. Evitava di guardare l’occhio destro dell’investigatore<br />
che pareva fatto apposta per vedere più di ogni altro<br />
occhio perché era enorme, sporgente e precedeva il<br />
resto del corpo. Si era acceso una sigaretta senza offrirla,<br />
ravviato i bei capelli e ascoltato Glicerio:<br />
– Professor Mattiolo, la morte mi interessa, mi interessa<br />
molto ma solo se si muore per mano d’altri. Se poi è una<br />
morte meditata e magari contemplata con soddisfazione<br />
dall’assassino che si taglia le unghie mentre la vittima agonizza,<br />
allora, pensi, la cosa mi prende tanto che non penso<br />
ad altro e riesco anche a dimenticare i miei guai.<br />
Battistino, accarezzandosi ancora la testa:<br />
– Un interesse così forte da far dimenticare il proprio<br />
dolore… Questo mi dice?<br />
Glicerio sudava tanto che l’alone di sudore aveva attraversato<br />
la giacca e si muoveva guadagnando millimetri a<br />
vista d’occhio:<br />
– Ha le unghie corte, professore.<br />
– Il mio barbiere ha una brava manicure, una vecchia<br />
del quartiere, mi ha tagliato le unghie ieri.<br />
Il commissario aveva proseguito:<br />
– Guardi che anch’io sono nato ad Epipanormo.<br />
– E non ci siamo mai conosciuti?<br />
20<br />
– Nella toeletta di Tebe Mistrè c’erano rasoio, crema da<br />
barba, profumo e accappatoio maschili; nella cassettiera<br />
mutande da uomo; sul comodino libri. Sui libri c’è il suo<br />
autografo e l’anno dell’acquisto, sull’accappatoio è ricamato<br />
il suo nome e sulla lama del rasoio sono incise due<br />
iniziali che corrispondono alle sue.<br />
Battistino aveva raccolto tutti i suoi acidi:<br />
– E le mutande, commissario? Erano, anche quelle,<br />
mie? Ha controllato?<br />
Glicerio si teneva l’occhio:<br />
– No, quelle sono anonime e tutte diverse, taglia e modello.<br />
Un campionario.<br />
Battistino si era visto davanti agli occhi il tatuaggio sul<br />
polso di lei e sentito una puntura:<br />
– Quel campionario di mutande è il campionario di uomini<br />
di Tebe, commissario. I libri glieli regalavo ma erano<br />
per me, per far passare il pomeriggio. È stata sgozzata, vero?<br />
Ed è stata sgozzata col mio rasoio? Era in sottoveste?<br />
Per questo lei è venuto da me. Sono dispiaciuto, molto dispiaciuto,<br />
ma tranquillo, capisce?<br />
Aveva sorriso. Un sorriso che nasceva e finiva nei muscoli:<br />
– Ci andavo la sera, a inizio di settimana. Sa, tutti quei<br />
pizzi che ha visto per casa, tende, tovaglie, tovaglioli, lenzuola,<br />
tutto era merlettato a casa di Tebe, mi facevano un<br />
effetto che non so spiegare bene. Sapevano di pulito, senza<br />
germi… merlettava qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Ci<br />
sono donne così.<br />
Glicerio si era affacciato:<br />
– Professor Mattiolo, dalla sua finestra si vedono le<br />
porcherie di Talattone sino a Capo La Martora! Puttane<br />
21
a quindici anni, ragazzini col culo rotto, magnaccia, pervertiti…<br />
sono stufo di Talattone…<br />
Il commissario si stava aprendo mentre sarebbe dovuto<br />
essere il contrario. Si vede che la tiroide fa anche questo<br />
effetto, aveva pensato Battistino.<br />
– Lei vuol dire, commissario, che a Talattone c’è ogni<br />
genere di peccatori ma assassini, insomma, assassini veri,<br />
di quelli che dice lei, non ce n’è.<br />
Glicerio si era affacciato e appoggiato al davanzale tenendosi<br />
la testa tra le mani.<br />
Là lo videro dalla strada Melania ed Enrico.<br />
L’occhio di Glicerio diventò viola, pulsò e sembrò che<br />
saltasse fuori, il poliziotto si tolse la giacca inzuppata di<br />
sudore e riprese il filo.<br />
– Sì, esattamente. Vede, da ventisette anni faccio l’investigatore,<br />
il poliziotto. L’omicidio richiede forza, fegato,<br />
carattere e intelligenza. Uno che si fa ragazzini, uno che<br />
protegge troie, un ladro, un finocchio, tutta gente che<br />
cerca soldi, uccidono raramente: macellano.<br />
L’occhio premeva sempre di più perché Glicerio era<br />
concentrato e ora si asciugava la fronte con dei fazzolettini<br />
di carta.<br />
– Per ammazzare occorrono dei princìpi, regole. Mi segue?<br />
Non parliamo poi di omicidi come quello di Tebe<br />
Mistrè: un omicidio fine, pulito, semplice, senza volgarità,<br />
senza scenografie, ben pensato insomma. Quelli di<br />
Talattone, quando ammazzano, lo fanno per caso, per<br />
ubriachezza, per idiozia, per bestialità… non li devo<br />
neanche cercare… basta l’odore.<br />
Battistino si sentiva solo, ma calmo. Capiva che il dot-<br />
22<br />
tor Glicerio era al centro di un fortunale di ormoni. In<br />
quel momento avrebbe voluto spingergli in dentro l’occhio<br />
sporgente e mettere sul balcone ad asciugare il poveretto<br />
intossicato. In quel momento bussò quattro volte,<br />
come sempre, Enrico Ricasoli.<br />
Glauco Glicerio era stato un uomo corpulento. Da tempo<br />
però era bruciacchiato dal proprio metabolismo. Da<br />
un anno si era accorto che l’occhio destro era diventato<br />
più sporgente dell’altro. Un po’ al giorno l’occhio si era<br />
ingigantito, rosso e minaccioso. I medici gli avevano spiegato<br />
che era colpa della tiroide. Lui aveva chiesto che gliela<br />
strappassero via. Lo avevano operato, gliene avevano tolto<br />
metà, ma l’occhio era rimasto rosso e sporgente. Ogni<br />
reazione del proprio corpo era esagerata e lui non si stancava<br />
quasi mai. Ma quando la tromba d’aria si fermava, allora<br />
Glauco Glicerio diveniva come una seppia senz’osso.<br />
La sera precedente il commissario era stato nell’appartamento<br />
della rosea e merlettata Tebe.<br />
– Poverina… uccisa e sgocciolata come le galline! – gridava<br />
la vicina di casa che l’aveva trovata, una donna che<br />
odorava forte di minestrone. – Però non mi ha fatto impressione<br />
come pensavo, commissario… forse me la farà<br />
poi, fra qualche giorno, cosa dice?… C’era un odore<br />
quando sono entrata, un odore che non saprei… – aveva<br />
aggiunto fissando l’occhio storpio del dottor Glicerio.<br />
Il sovrintendente Lucio Bombòi se n’era accorto e, per<br />
distogliere l’attenzione della donna dall’occhio malato,<br />
l’aveva rimproverata:<br />
– Un odore è un odore! Se si sente si deve sapere che<br />
odore è.<br />
23
La donna aveva allargato le narici e fiutato l’aria come<br />
un cinghiale:<br />
– Eccolo! C’è ancora, lo sentite? È odore di pesche!<br />
Una vera donna di Talattone, pensò il commissario<br />
guardandola: Un naso da bestia e la bocca feroce. Anche<br />
Glicerio annusò. In effetti c’era odore di pesche.<br />
Bombòi chiese agli uomini che facevano rilievi in silenzio<br />
se nella casa c’erano pesche: non ce n’erano. Inorridì<br />
quando gli fecero vedere la bustina con le unghie tagliate<br />
e col bordo di sangue rappreso. C’erano i segni di diverse<br />
frequentazioni maschili, disse, e alcune tracce portavano<br />
a Battistino Mattiolo.<br />
* * *<br />
L’arrivo di Enrico e Melania accompagnati dal sovrintendente<br />
Bombòi aveva rafforzato la sicurezza di Battistino,<br />
anche se Enrico puzzava di pesce. Il commissario Glicerio,<br />
invece, si era agitato perché il suo cervello si rendeva<br />
conto, a sprazzi, di non dominare né l’umore né le parole.<br />
Doveva andarsene.<br />
Parlarono ancora un poco. Enrico raccontò del cane<br />
morto schiacciato e fatto a pezzi dall’ascensore con tanti<br />
particolari che il commissario tagliò il discorso, tenendosi<br />
l’occhio chiuso con la mano perché bruciava:<br />
– So che domani avete scrutini a scuola… ma io vorrei<br />
parlarvi ancora nei giorni prossimi.<br />
– Quando vuole, commissario, – rispose Battistino raddrizzandosi<br />
sulla poltrona.<br />
Glicerio non ebbe il coraggio di rimettersi la giacca fradicia<br />
e, con Bombòi, salutarono.<br />
24<br />
Nelle scale, sforzandosi di tenere la voce bassa, fece notare<br />
al sovrintendente:<br />
– Hai visto che uomo controllato questo Mattiolo?<br />
– Certo non era il ritratto della disperazione, dottore.<br />
L’occhio carminio di Glicerio guardò il suo sovrintendente<br />
olivastro, secco, piccolo ma sano:<br />
– Sbagli, sbagli Bombòi: non era il ritratto del dispiacere,<br />
era il dispiacere vero! Il dolore non ha bisogno di ornamenti,<br />
quello autentico, dico. Senza contorcimenti,<br />
ululati, come quella donna di Talattone. Battistino Mattiolo<br />
era davvero triste! Tutto il contrario di quell’altro<br />
che, prima di presentarsi, mi ha detto della morte del suo<br />
cane: quello il dolore lo mette fuori come panni al sole…<br />
Ah, se fosse malato come me non parlerebbe d’altro…<br />
– Ho capito, commissario.<br />
Uscirono sulla strada. A quell’ora la stretta via del<br />
Compasso era trafficata di piccole utilitarie e piccoli autobus<br />
che univano città bassa e città alta.<br />
– Bombòi passiamo al laboratorio Minerva, devo ritirare<br />
i miei esami. L’occhio mi brucia come l’inferno.<br />
25
Melania Lampreda era vedova da cinque anni e ne aveva<br />
trentotto. Il marito era stato uno di quei maschi che,<br />
non avendo capito chi fosse e da dove era originata Melania,<br />
era riuscito a corteggiarla, sposarla e a trattarla come<br />
una donna senza neppure immaginare le origini sulle<br />
quali aveva sempre fantasticato Enrico Ricasoli. Era morto<br />
a quarant’anni mentre rimetteva i gioielli in cassaforte<br />
e un drogato di Talattone lo aveva minacciato con una pistola.<br />
Il cuore era scoppiato per lo spavento eterno del<br />
gioielliere. All’ospedale i medici erano riusciti con la<br />
scossa elettrica a far ripartire il cuore ma ormai era rotto.<br />
Lui si era messo seduto sul lettino, aveva detto: Chi siete?<br />
Chiudete bene, mi raccomando! Ed era morto da uomo<br />
pratico, senza un fiato in più.<br />
Ora lei, sola, più bella, viveva dell’eredità, andava in<br />
gioielleria due mattine alla settimana, per controllare<br />
l’amministrazione e per rinchiudersi nel piccolo caveau a<br />
guardare, una ad una le pietre, i colori e i riflessi sulle faccette.<br />
Se le metteva davanti alle pupille e per un poco si<br />
faceva accecare dai riflessi.<br />
– Vermi nel formaggio? – chiese Melania senza interesse<br />
perché pensava a quella povera Mistrè che qualche<br />
volta aveva comprato dei ciondoli nel suo negozio impie-<br />
27
gando ore a sceglierli: si ricordava bene che aveva un bel<br />
color porcellino, chissà come l’avevano tagliata con soddisfazione.<br />
Enrico in piedi, osservava il formaggio diventato crema<br />
e i vermi che saltavano come molle: vermi e farfalline a<br />
miriadi… la morte di quella povera Tebe Mistrè… questo<br />
schifo… troppe cose, troppe cose…<br />
Melania si era tolta la giacca e se ne stava sul divano a<br />
braccia aperte. Enrico si distrasse per quelle ascelle misteriose.<br />
Lei se ne accorse ma restò nella stessa posizione<br />
e ridendo disse:<br />
– Se è un formaggio che hai tolto ieri dal frigo, beh, non<br />
so cosa dirti. Non c’è verme così veloce. Se bastassero<br />
ventiquattrore di caldo saremmo sommersi dai vermi e<br />
loro sarebbero i padroni.<br />
Enrico la guardava e pensava a isole, boschetti, fonti e<br />
mare. Melanconico, nonostante tanta forza davanti a lui,<br />
sospirò:<br />
– Hanno sempre ragione i vermi alla fine. Ecco, ecco.<br />
– Che frase da poco! Proprio da professore.<br />
Dalla finestra della cucina un gabbiano, appollaiato sul<br />
davanzale, attratto dal pattume che ogni casa nasconde,<br />
lo guardava dritto negli occhi chiedendo quei resti di cibo.<br />
L’uccello sporcaccione venne accontentato: Enrico<br />
aprì la finestra, mise il formaggio sul davanzale e il gabbiano<br />
se lo portò in cielo. Anche le farfalline pelose se ne<br />
volarono via. La casa, con le finestre aperte, si riempì dei<br />
borbottii che a lui piacevano. Guardò ancora la penombra<br />
delle ascelle di lei esposte al vento che ora attraversava<br />
l’appartamento, l’abbracciò finalmente allegro - ma<br />
era solo distratto - e lei lasciò fare contenta.<br />
28<br />
A mezzodì del giorno seguente Enrico e Battistino, terminate<br />
le discussioni miserabili di fine anno a scuola, tornavano<br />
a piedi verso casa fermandosi ogni tanto all’ombra<br />
di qualche alberello lungo le salite ripide che avevano<br />
conferito ai due quell’andatura curva che avvicina la testa<br />
al terreno per diminuire la fatica. Enrico aveva una classe<br />
di studenti ai quali aveva attaccato la malinconia. Gli allievi<br />
di Battistino invece erano dispettosi. Ma i due amici<br />
ora pensavano ad altro. Ciascuno era attento ai suoi pensieri,<br />
propenso a dare importanza alle proprie opinioni e<br />
ad aspettarsi il peggio dalle cose. Si fermarono sotto una<br />
palma.<br />
– Se una volta, una sola volta Melania mi avesse del tutto<br />
accontentato! – si lamentava Enrico. – Quando tutto<br />
andava bene… ecco, zac: l’obiezione. E si rovinava tutto.<br />
Obiettava a sorpresa. Anche quando era sposata è capitato<br />
due volte che ci vedessimo dopo tante storie… ed è andata<br />
malissimo… Ieri notte siamo stati insieme… abbiamo<br />
mangiato, ascoltato musica, lei ha fumato delle boccate<br />
celestiali, abbiamo discusso, discusso e ingarbugliato<br />
nodi che c’erano già e allora…<br />
Col respiro un po’ grosso l’amico rispose:<br />
– Enrico, è da più di trent’anni che mi parli di questi<br />
nodi, sempre degli stessi…<br />
– Hai ragione, hai ragione… ma non sono esattamente<br />
gli stessi… cambiano con gli anni…<br />
– Da fuori a me sembrano sempre gli stessi, Enrico.<br />
– Comunque hai ragione… così ti do il mal di testa.<br />
Parliamo d’altro.<br />
A Battistino piaceva spiegare sempre qualcosa:<br />
– Il commissario Glicerio! Un malato! Mettono a inve-<br />
29
stigare uomini che dovrebbero stare in ospedale. Ma i<br />
fatti non si modellano come vuole lui, i fatti non si cambiano.<br />
Enrico gli rovinò la spiegazione:<br />
– Cosa dici? Un nemico quell’uomo? È venuto perché<br />
doveva venire. E poi, tu eri indaffarato con altre persone<br />
la sera che hanno ammazzato quella povera Tebe Mistrè.<br />
Le unghie sporche di sangue trovate per terra non sono le<br />
tue; ti ha telefonato per confermarlo… – Poi lo pizzicò: –<br />
Sai cos’è? Forse tu hai rimorsi… con quella poveretta…<br />
– Quale poveretta?<br />
– Insomma con Tebe, voglio dire, chissà com’eri con<br />
lei…<br />
Battistino, non cascò nella provocazione. Si fermò appoggiandosi<br />
a un albero, poi guardò verso una finestra di<br />
via dei Collerici:<br />
– Senti questa chitarra? È Egeico Lago. Strumento da<br />
pigri… bravo, però.<br />
Poi guardò in alto, i cornicioni scrostati, il cielo senza<br />
una nuvola, chiuse gli occhi e sussurrò:<br />
– Che pace… sono a posto, sai, Enrico… mi sento a posto.<br />
Che bell’istante. Dovevamo sposarci noi due. Perdiamo<br />
tempo a classificare tutto… non ci ascoltiamo neppure<br />
mentre parliamo, proprio come marito e moglie… Io<br />
Tebe la cercavo per quella bella pelle salutare, come i fanghi,<br />
e le volevo anche bene quando ero lì in mezzo ai suoi<br />
merletti, mezzo asfissiato dai suoi deodoranti. Poteva nascondere<br />
microbi, peste, peccati, quello che vuoi, ma a<br />
me quella pelle piaceva. Casomai il problema era dopo,<br />
ma proprio subito dopo. Immediatamente dopo mi faceva<br />
schifo… dovevo farmi forza per non scappare, – alzò<br />
30<br />
la voce irritato. – Certo che vederla per l’ultima volta,<br />
morta, non lo avrei voluto per tutto l’oro del mondo. Sono<br />
le persone care che si vogliono vedere almeno l’ultima<br />
volta. Sì, lei non era una persona cara e non mi ricorda, a<br />
essere sincero, nulla di buono di me…<br />
Enrico aveva invidiato sin dall’adolescenza la sincerità<br />
di Battistino, una sincerità da lettino psicoanalitico, e<br />
aveva sempre pensato che quel modo crudele di esporre<br />
le cose evitava tanta sofferenza. Ma siccome era stato ad<br />
ascoltarlo, pensò di avere il diritto a parlare un po’ di Melania:<br />
– Certo, tutta la vita con Tebe… non ti immagino, – e<br />
mordicchiò di nuovo: – Ma devi riconoscere che Melania<br />
è di altre origini… il sangue è un altro…<br />
Battistino rise:<br />
– Il sangue di una razza fondatrice! Lo so, lo so… e sarà<br />
anche vero… Ma al tuo sangue non ci hai pensato? Da<br />
dove arriva il tuo sangue?<br />
Le loro discussioni, dopo un poco, inacidivano. Ma accadde<br />
qualcosa che modificò il solito procedimento.<br />
Enrico all’improvviso esclamò illuminato:<br />
– Da sempre abbiamo uno stemma con le pesche nel<br />
cortile del palazzo! Sì, pesche! È stato tuo padre a scoprire<br />
che si trattava di pesche e non di mele, visto che potevano<br />
confondersi. Anzi, per anni ho sempre pensato che<br />
fossero mele, mele araldiche, e invece erano pesche araldiche<br />
di chissà quale famiglia. Tuo padre diceva che si distinguevano<br />
dalle foglie. Aveva ragione il commissario a<br />
dubitare.<br />
Battistino aggrottò le ciglia:<br />
– Perché, Glicerio l’ha chiesto?<br />
31
– Ha chiesto che frutti erano quelli scolpiti nel marmo,<br />
ha chiesto proprio così… vedi che è uno attento, lo vedi?<br />
Egeico Lago smise di suonare la chitarra pigra. Enrico<br />
e Battistino si avviarono di nuovo verso casa.<br />
* * *<br />
Dopo pranzo il vento decise di spolverare il quartiere<br />
alto: case, alberi, bestie e uomini.<br />
Enrico socchiuse le finestre e si mise a lavorare all’opera<br />
che lo assorbiva da mesi: la faccenda dei bagni greci ritrovati<br />
a Talattone. Lui voleva calcolare il numero degli<br />
abitanti della città più di duemila anni prima a partire dai<br />
bagni.<br />
Seduto al computer era rammollito e si distraeva perché<br />
in quei bagni si immaginava Melania coperta solo di<br />
un lenzuolo bagnato dal vapore, nera di pelo e lucente.<br />
In quel momento sentì un profumo forte e inconfondibile<br />
di pesche mature.<br />
Spalancò la finestra, si affacciò e annusò l’aria in veranda.<br />
C’era un bel sole caldo che gli diede prurito. I suoi<br />
sensi riusciva a usarli, da qualche anno, con la concentrazione<br />
di chi sa che non era lontanissimo il tempo in cui li<br />
avrebbe persi e annusò ad occhi chiusi: non c’era odore<br />
di pesche fuori all’aperto.<br />
L’odore di pesche è in casa!<br />
L’odore diventò fitto, invase Enrico e lo impregnò sino a<br />
dare un segnale di allarme. Enrico corse a un’altra finestra.<br />
Nessun odore nell’aria, anche da questo lato!<br />
Corse in terrazza e annusò sino ad avere vertigini. Niente<br />
da fare, l’odore non lo porta il vento!<br />
32<br />
Scappò in camera da letto e ci si chiuse a chiave.<br />
Ma l’odore, anche se stava cominciando ad avere un<br />
corpo, passò tra porta e stipiti.<br />
Enrico si coricò e l’odore montò sul letto. L’odore si mise<br />
a fianco di Enrico lasciando, tanto era denso, il segno sul<br />
cuscino e sul lenzuolo, ma lui non guardò che forma avesse.<br />
Quando l’odore lo abbracciò Enrico non oppose resistenza.<br />
L’odore gli disse:<br />
– Stai impallidendo. Ora me ne vado. Stai tranquillo,<br />
torno, ma a te non posso, a te non posso… c’è tanto di<br />
quel sangue di mezzo.<br />
Enrico riprese a respirare normale; avrebbe voluto fargli<br />
domande, almeno chiedergli cos’era, se era un’anima,<br />
da dove arrivava, quanti anni aveva e che vita faceva. Ma<br />
l’odore sparì dalla casa.<br />
* * *<br />
Egeico Lago, sessantenne, aveva numerosi cognomi ed<br />
era frutto di avvicinamenti tra sangui sempre più acquosi.<br />
Con lui era possibile ricostruire un’anagrafe che rivelava<br />
quanto la forza della parentela si identifichi con la forza<br />
dell’accoppiamento benché molti credano il contrario.<br />
A Egeico, anche se la storia durava da vent’anni, la pelle<br />
ghiacciata della cugina Medina Xaxa faceva sempre ribollire,<br />
ma con bollicine, l’olio del cuore.<br />
Era l’uomo più pigro di Epipanormo e si era convinto<br />
che, siccome era attratto dall’arte e dalla storia, dovesse<br />
essere per forza sgombro dalle preoccupazioni di un lavoro,<br />
di una sveglia e di un orario. Anche l’espressione<br />
33
occuparsi d’arte era troppo forte per Egeico Lago. Preferiva<br />
dire che pensava all’arte aspettando che i pensieri gli<br />
germogliassero nella testa impollinata dal vento.<br />
Abitava in un piano alto in via dei Collerici.<br />
Enrico e Battistino erano saliti per invitarlo a cena al ristorante.<br />
Egeico Lago, sin dal tardivo risveglio pomeridiano, era<br />
pronto a uscire la sera e la notte. Era bianco come una<br />
candela.<br />
– Sono contrario a risparmiare le parole. Meglio qualche<br />
parola di troppo, la si può sempre togliere, ritirare.<br />
Ma i taciturni chissà quanta saggezza sprecano stando<br />
zitti, chissà di quante cose sarebbero capaci se parlassero…<br />
È una bella sera, il sole, per quante se ne sono dette,<br />
il sole, non fa per me… Dove andiamo?<br />
– Siamo in macchina, – rispose Enrico. – Se lei è d’accordo<br />
possiamo andare da Settimio al Precipizio. Lo so<br />
che da Epipanormo per lei non si dovrebbe uscire. Ma se<br />
chiude gli occhi, non vedrà nulla di Talattone, e quando<br />
saremo al ristorante la avvertiamo, così potrà riaprirli.<br />
– Non mi prenda in giro professor Ricasoli. Conosco<br />
bene Talattone. Prima è nata Talattone, è probabile, poi i<br />
migliori se ne sono venuti qui con la forza della mente: e<br />
facendo faticare uomini di razza inferiore alla nostra, abbiamo<br />
costruito questa acropoli! Ecco l’ascensore.<br />
Mezz’ora dopo erano ad un tavolo del ristorante sul<br />
precipizio di Sant’Eusebio. Vicini alla vetrata guardavano<br />
le luci della città, tremolanti per l’umido.<br />
– Le pesche nella storia di Epipanormo? Che domanda<br />
mi fate?<br />
34<br />
Battistino conosceva i tempi mentali di Egeico Lago sin<br />
dal Liceo, quando Egeico era stato insegnante supplente<br />
di storia dell’arte per poco tempo: aveva rinunciato dopo<br />
una settimana e si era ritirato nel suo appartamento a farsi<br />
inseminare la testa dalle idee. Perciò Battistino era deciso<br />
a guidare l’ozioso indisponente verso quello che interessava<br />
loro due:<br />
– Vorremmo solo sapere se lei, che è considerato un sapiente<br />
delle cose di Epipanormo, è a conoscenza di qualche<br />
fatto nella storia del quartiere.<br />
Enrico aggiunse:<br />
– Per esempio: lei conosce una famiglia che aveva uno<br />
stemma con due pesche e due spade incrociate su uno<br />
scudo, pesche araldiche?<br />
– Sapere se lei è a conoscenza, – proseguì infastidito<br />
Battistino, – di fatti che comunque sono in relazione alle<br />
pesche. Tutto qua.<br />
Egeico disse irritando i due amici:<br />
– Che cos’è questo vino bianco?<br />
– È Mèlico secco, professore.<br />
In ogni modo, comunque Egeico mettesse mano a<br />
un’attività o a una discussione, era capace di trasformarla<br />
in ozio che lui riteneva produttivo. Battistino se ne accorse<br />
e riprese il timone:<br />
– Le pesche, le chiedo, hanno mai avuto importanza nella<br />
nostra città? Noi abbiamo scartabellato, siamo insegnanti,<br />
lei lo sa, e quindi scartabelliamo. Dal milleottocentodue<br />
non abbiamo trovato notizie sulle pesche, di<br />
nessun tipo.<br />
Egeico, visto che gli erano stati sottratti i suoi argomenti,<br />
finse di cercarne altri:<br />
35
– I miei allievi, allievi per poco tempo, mi dicevano che<br />
avevo una faccia da psicopompo.<br />
– Da psicopompo? Si può dire quello che si vuole di<br />
una faccia, – disse Enrico.<br />
Battistino sentiva la bile in gola:<br />
– Lei non deve dire cose del genere, non deve dirle…<br />
Dove trova le parole? E poi, che uso ne fa?<br />
Allora Egeico, forse per effetto del vino, forse per effetto<br />
del rombo al forno, disse la verità:<br />
– Non so cosa dirvi, non lo so proprio. Devo aspettare<br />
delle idee. Mi viene solo in testa qualcosa sull’albero infelice,<br />
qualche leggenda su un albero infelice… devo aspettare.<br />
Magari era un pesco.<br />
La cena fu breve perché Egeico Lago era a disagio fuori<br />
di casa e ancora di più fuori del quartiere, perché Battistino<br />
era irritato ed Enrico intristito per contagio dalla disgraziata<br />
pigrizia di Egeico.<br />
Quando arrivarono al portone dello studioso astenico<br />
il vento era caduto chissà dove e il cielo si era sporcato di<br />
qualche evaporazione che arrivava dal basso.<br />
36<br />
Il cimitero di Talattone era in riva al mare, sopra altri<br />
tre cimiteri: un cimitero, sommerso dall’acqua salata dove<br />
si erano disintegrati i greci, un secondo sulla sabbia<br />
dove riposavano polverizzati i romani, un terzo sul tufo,<br />
con morti di razza recente.<br />
Morire d’estate è diverso dalle altre stagioni. C’è in giro,<br />
col caldo, gente meno interessata, anche se il cadavere,<br />
col caldo, è più cadavere e manifesta più velocemente<br />
la propria tendenza. Il dolore c’è ma il caldo non conserva<br />
a lungo neanche il dolore.<br />
Tebe Mistrè, sigillata dalla sera precedente e in procinto<br />
di sparire anche dai ricordi, era nella sala bianca del cimitero<br />
insieme alle altre salme.<br />
Alle dieci arrivò qualcuno che, a mani giunte, si affiancò<br />
alla bara di Tebe dopo aver letto il cartellino bianco<br />
con il nome di lei.<br />
Era una mattinata luminosa, il mare verde e il cielo ventoso.<br />
Dopo mezz’ora c’era, intorno al feretro, una decina di<br />
persone tra cui il commissario Glicerio, Enrico e Battistino.<br />
L’occhio del poliziotto era rosso come un sole minore<br />
irritato dal vento e ad Enrico, in quella sala senza speranza,<br />
sembrò un’escrescenza velenosa:<br />
37
– Commissario, come si sente? – domandò fissando il<br />
globo rosso.<br />
– Brucio, brucio alla velocità del… – non gli venne il<br />
paragone in quel luogo dove c’erano persone che non<br />
bruciavano più nulla, – insomma, più veloce degli altri. E<br />
lei, professor Mattiolo, come si sente? Io non so se farle le<br />
mie condoglianze.<br />
Battistino era ostile ma melanconico:<br />
– Vorrei stare zitto, commissario. Sa, una volta facevo<br />
dello spirito ai funerali, da qualche anno la voglia di<br />
scherzare mi è diminuita. Alla fine sparirà.<br />
La spiegazione bastò al commissario che puntò l’occhio<br />
da altre parti.<br />
C’era anche la vicina cinghialesca di Tebe con la bocca<br />
dipinta oltre le labbra sino alle guance:<br />
– Non me lo sarei mai immaginato, professore, – mugolava<br />
rivolta a Battistino che, vestito di lino blu, era più alto<br />
e importante del solito. – L’hanno tagliata come un<br />
animaletto… Che bella pelle aveva, se la ricorda, no? Ma<br />
non la difendeva nessuno! Chiunque poteva farle male!<br />
Battistino non la guardava neppure, era rivolto verso il<br />
cono di luce dell’ingresso, e pensava un’orazione funebre<br />
privata:<br />
“Tebe, povero lumicino, merlettaia nata. Sapone, sapone<br />
e deodoranti, ma cosa strofinavi e deodoravi, cosa?<br />
Buona prima e disgustosa poi. Quell’odore di borotalco<br />
che mi rimaneva addosso per ore. E non c’era doccia,<br />
non c’era immersione né disinfestazione che me lo togliesse…<br />
La mia penitenza: dovevo aspettare la voglia<br />
successiva. Valevi un’oretta… Tebe, scusa, ma era così…<br />
almeno io ricordo così.”<br />
38<br />
La vicina di casa, allora, si rivolse ad Enrico e gli alitò<br />
all’orecchio:<br />
– Lei è un avvocato? Da Tebe ci andavano persone di<br />
tutti i tipi… lei è avvocato?<br />
Enrico si spaventò e cercò aiuto, ma Melania era fuori<br />
al sole:<br />
– Non sono avvocato.<br />
La donna alitò ancora più forte:<br />
– Era anche lei uno dei suoi amici?<br />
– No.<br />
Lei allargò la bocca rossa da pagliaccio e battendosi la<br />
pancia gridò:<br />
– Lei non la conosceva. Adesso non la conosce nessuno.<br />
Le hanno tolto il sangue sino all’ultima goccia…<br />
scannata e abbandonata… e non la conosce più nessuno.<br />
Enrico si spaventò ancora di più e sentì il bisogno di appoggiarsi<br />
a qualcosa:<br />
– Siamo qua, non è una morta abbandonata, signora.<br />
Ecco.<br />
Quella aveva l’alito di un drago:<br />
– Succhiata e abbandonata come l’immondezza!<br />
Enrico trovò un carrello d’acciaio per il trasporto delle<br />
bare dove appoggiarsi ma le vertigini aumentarono. Si<br />
scusò e, spingendo ed appoggiandosi al carrello, cercò<br />
l’uscita dalla sala inseguendo il sole e il vento che muoveva<br />
gli alberi.<br />
Nel piazzale riuscì a stare in piedi per un attimo. “Qui<br />
si cammina sui morti, strati di morti… Terra nuova, voglio<br />
terra nuova.”<br />
Vide i colori cambiare, si sentì il cuore come quello di<br />
una lucertola, vide Melania che parlava con un uomo di<br />
39
carbone che aveva un occhio enorme, riconobbe Glicerio<br />
e svenne guardando il cielo.<br />
* * *<br />
Enrico era così, affrontava le cose concentrandosi su una<br />
sola, non si sforzava di metterle insieme e di sistemare tutto<br />
in armonia. Il suo paesaggio olfattivo ormai era invaso<br />
dall’odore delle pesche mature. Quell’odore di pesca gli<br />
sembrava di importanza straordinaria ma senza sapere<br />
perché. Perfino mentre sveniva in cimitero l’aveva sentito.<br />
L’unico odore che poteva spiazzare quello delle pesche<br />
era quello di Melania ed era stato l’odore di lei a farlo rinvenire.<br />
Ma da tre giorni lei non si faceva vedere ed Enrico<br />
non l’aveva cercata perché non si sentiva forte abbastanza.<br />
Egeico Lago si era chiuso da qualche giorno a casa della<br />
cugina Medina Xaxa, chiuso e catturato da lei che usciva<br />
raramente.<br />
Medina era una donna triste, un essere del paese del<br />
dolore. Però, quando ospitava Egeico, smetteva di dormire<br />
dentro la culla del figlio morto, dove tutte le altre<br />
notti giaceva respirando pesante per i sonniferi e tenendosi<br />
stretta alle sbarre. Quel figlio, si diceva fosse stato<br />
proprio figlio di Egeico Lago.<br />
Nonostante il dolore da amputazione per la perdita,<br />
Medina era interessata a vivere.<br />
Come Egeico era dissanguata da incroci tra parentele<br />
vicine. Una donna clorofillica, alta e con un bel naso. Veniva<br />
alla mente, vedendola, l’idea di una razza indebolita<br />
da radiazioni, alimentata solo con acqua e foglie. Ma a<br />
40<br />
differenza di Egeico, che lei aveva scelto di frequentare<br />
ad accessi, per pochi giorni al mese lontani dalle sue ovulazioni<br />
fiacche, era attiva e attenta. Solo al tramonto veniva<br />
presa da una malinconia che spegneva la sua vitalità da<br />
bambola. E allora era impressionante vederla, con le occhiaie<br />
improvvise, ritornare a casa precipitosamente.<br />
Era cugina lontana di tante persone e anche di Enrico<br />
che la chiamava “la mia cugina del crepuscolo” e le voleva<br />
bene.<br />
* * *<br />
Un sabato che Enrico aveva deciso di andarsene allo<br />
stabilimento marino della Grotta di Panope, mentre<br />
scendeva leggero le scale, trovò nell’atrio del palazzo un<br />
giovane appoggiato allo stipite del portone col gatto portinaio<br />
tra le braccia.<br />
Lo salutò:<br />
– Buongiorno! Che aria ad Epipanormo oggi! Il mare<br />
ci manda messaggi! Sono Enrico Ricasoli, e abito in questo<br />
palazzo.<br />
L’uomo posò il gatto sulle mattonelle calde e se ne andò<br />
con un bel passo pneumatico da ragazzo verso la discesa<br />
sollevando un braccio in segno di saluto.<br />
Alle narici di Enrico arrivò un buon odore di pesche.<br />
Non si preoccupò e realisticamente si disse:<br />
– Narici noiose, sentono dappertutto lo stesso odore!<br />
Arrivò al gabbiotto della funicolare. Con lo stesso motore<br />
una funicolare saliva e l’altra scendeva, perciò c’era<br />
sempre un punto nel quale le due cabine si sfioravano e<br />
chi discendeva vedeva le facce di chi risaliva.<br />
41
Nella saletta della funicolare Enrico leggeva un librettino<br />
che gli alunni gli avevano regalato e pensava: “Allievi<br />
avari, figli di avari.”<br />
Stava per condire il pensiero quando gli chiesero:<br />
– Vai al mare Enrico?<br />
Era Medina Xaxa che, nel punto più oscuro della biglietteria,<br />
leggeva anche lei un libretto. Medina, con la luce<br />
delle vetrate, era più clorofillica del solito ma il suo fogliame<br />
era in tempesta:<br />
– Enrico, oggi vado a cercare il sole. Certo, dovrò starmene<br />
un po’ all’ombra, ma ho desiderio della luce. Luce,<br />
capisci? Enrico leggi il libro al contrario, dalla fine?<br />
– Mi capita quando sono ansioso. D’altronde, cugina,<br />
un quadro non lo guardi iniziando dalla parte che vuoi?<br />
Io faccio così anche coi giornali.<br />
– Beh, anche un quadro ha il suo inizio, cugino. Si incomincia<br />
a guardarlo dal centro, non dagli angoli.<br />
Medina non era come sempre e dall’angolino in ombra<br />
dove si trovava proveniva un’energia da sottobosco insolita<br />
per lei.<br />
La teleferica si poggiò ondeggiando sulla pensilina d’acciaio.<br />
Enrico e la cugina montarono.<br />
– Sai che soffro questi ondeggiamenti, Enrico?<br />
– Oh, è il sistema dell’equilibrio che nelle persone sensibili<br />
funziona così. È un aggeggino delicato che mi ha fatto<br />
vedere in un disegno il mio collega di scienze. Sono tante<br />
le cose che lo influenzano. Pensa che ieri una donna, una<br />
specie di cinghialessa, senza farmi ondeggiare, senza spinte,<br />
solo con le parole, mi ha fatto perdere l’equilibrio e sono<br />
svenuto.<br />
– Tu sei sempre svenuto con facilità.<br />
42<br />
Medina alla luce brillava e un brio insolito, breve come<br />
il magnesio dei fotografi, la animava seduta sulla panca di<br />
legno della teleferica:<br />
– Si sono mai toccate le due teleferiche? Intendo, si sono<br />
mai scontrate quella che sale con quella che scende?<br />
Enrico non ci aveva mai pensato e di nuovo sentì scosso<br />
il suo equilibrio:<br />
– No, no, mai. Non credo che sia possibile. Quando c’è<br />
molto vento non le fanno viaggiare.<br />
Erano già sopra Talattone e le mura candide di Epipanormo<br />
erano lontane in alto. Man mano che scendevano,<br />
la muraglia azzurra del mare appariva più bassa e più vicina.<br />
Il conducente azionò il morso dei freni. La teleferica<br />
ondeggiò, rallentò e con la lentezza di un aquilone approdò<br />
a Piazzale dei Naviganti.<br />
Arrivarono col tramvai agli ombrelloni bianchi della<br />
Grotta Di Panope alle dieci.<br />
Pochi minuti dopo Enrico aveva convinto Medina a<br />
togliere l’accappatoio e ad entrare in acqua. Lei si era cosparsa<br />
di una crema biancastra e lui aveva notato le natiche<br />
appuntite che mai avrebbe immaginato nella cugina.<br />
Gli scogli della Grotta di Panope erano di tufo. Medina<br />
era abbagliata da tutto quel chiarore ed Enrico era stupito<br />
dalla forma della donna che sembrava aver trascorso la<br />
vita a nascondere tutto, e il viso gli sembrava, tolto dall’oscurità,<br />
un insieme di particolari messi bene a suonare insieme.<br />
– Perché sei venuta al mare, Medina?<br />
Lei si allisciava le gambe con sospiretti perché il sole la<br />
pizzicava:<br />
– Sai, da ieri non dormo più nella culla del bambino.<br />
43
Enrico non capì ma comprese che qualcosa di grande<br />
passava nella testa della cugina e si affrettò a dire:<br />
– Non parliamone. Non si può parlare di tutto. Non<br />
parliamone, ho fatto una domanda che non dovevo fare.<br />
– È morto di debolezza… non doveva nascere… non<br />
doveva…<br />
Medina sorrise e si addormentò sulla sdraio, stanca per<br />
tutta quella luce.<br />
Aspettavano la teleferica per il ritorno. Medina parlava<br />
del pranzo, di cibo che le avrebbe fatto sangue e della<br />
bellezza che le donne di Epipanormo, tutte, possedevano,<br />
magari nascosta anche solo in un angolino del corpo.<br />
Spettava a uno, e non a chiunque, la scoperta.<br />
– Eh, io sono uno qualunque, cara Medina, però oggi ti<br />
ho vista bene, con un’attenzione da copista. – Enrico era<br />
galante senza difficoltà con le donne che non erano Melania:<br />
– C’è da passarci anni a ricopiarti, cugina.<br />
– Egeico mi ama. Io lo tengo lontano: lui non ha forza.<br />
D’altronde neanche io ho tanta forza, sai? Però imparerò<br />
ad usare quella che ho: in fondo ho solo trentasette anni e<br />
lui quasi sessanta.<br />
Montarono sulla teleferica. Si sentivano spossati dall’acqua<br />
salata e dal sole. Pensavano al vino, al cibo e al<br />
sonno pomeridiano con le tende accostate. Tacevano e<br />
Medina prese sottobraccio il cugino per sostenersi visto<br />
che c’erano solo posti in piedi: – Mi tengo qua, così mi<br />
godo questo capogiro, questo ondeggiare. Che bello, che<br />
bello…<br />
Avvenne a metà del percorso, dove, di solito si incontra-<br />
44<br />
vano le due cabine, quella che scendeva e quella che saliva.<br />
Enrico si allarmò quando sentì l’odore di pesca: prima<br />
lontano, poi più vicino, poi ancora più vicino.<br />
Medina si rallegrò:<br />
– Che buon profumo! Guarda devo avere le guance come<br />
due pesche per il sole! Profumano!<br />
Le due teleferiche erano l’una accanto all’altra. I due<br />
conducenti si salutarono.<br />
Fu un vortice piccolo e venuto dal niente che tutti videro.<br />
La porta si aprì nel vuoto e il vento entrò.<br />
Medina scivolò fuori per metà.<br />
Enrico, in silenzio, afferrò la cugina per i polsi e riportò<br />
il tronco di lei sul pavimento della cabina, lasciando le<br />
gambe fuori. L’odore di pesche diventò un tanfo ma nessuno<br />
ci badò.<br />
Le due cabine ondeggiarono l’una verso l’altra e la gente<br />
gridò: – Oooh!<br />
Medina guardando in basso sospirò solo: – Ah!<br />
La cabina che discendeva si prese in silenzio la metà inferiore<br />
di Medina e tutti videro precipitare verso Talattone<br />
un bacino con due gambe sgangherate.<br />
La metà superiore restò nella cabina e a Medina fu sufficiente<br />
per sospirare ancora:<br />
– Tirami sopra, non voglio che anche questa metà vada<br />
giù… mi è rimasta la gonna, vero?<br />
Enrico sentì la cugina leggera, che pesava come un bambino,<br />
e la trascinò senza fatica al centro della cabina che,<br />
intanto continuava a salire. Tutti tenevano la faccia girata<br />
salvo Enrico che fissava il viso di lei con le improvvise occhiaie<br />
infinite.<br />
45
Sbatté la faccia sul linoleum e morì.<br />
Il bacino e le gambe di Medina caddero alle pendici<br />
delle mura impigliandosi a un bel pino. La parte inferiore<br />
di Medina spettò al quartiere più basso. Lei non si era lamentata<br />
perché era troppo grande la cosa che le era capitata.<br />
Era verde come un germoglio.<br />
* * *<br />
Un’ambulanza portò la metà superiore a ricongiungersi<br />
con quella inferiore all’obitorio di Santa Vincolata.<br />
Un’altra ambulanza condusse invece, più tardi, Enrico<br />
a Villa Teresina, tra gli abeti, in montagna, perché quella<br />
storia lo aveva fatto correre a casa dove aveva ingoiato un<br />
pugnetto di sedativi. Così Melania Lampreda lo aveva<br />
trovato mentre dormiva e piangeva insieme, e, sempre<br />
addormentato, l’avevano caricato e trasportato in clinica.<br />
* * *<br />
L’ex convento di Santa Vincolata era adatto, con tutte<br />
le cellette basse, ad ospitare salme che ricevevano luce da<br />
una finestrella quadrata.<br />
Glicerio aveva quella mattina successiva alla disgrazia<br />
l’occhio rasserenato dai farmaci. Sporgeva, sì, ma senza<br />
flussi esagerati. Inoltre, davanti a Medina Xaxa le cui metà<br />
erano state riunite, l’occhio si ritirò ulteriormente nella<br />
sua naturale cavità.<br />
– Chi l’ha ricomposta così? – Domandò a Bombòi sollevando<br />
il lenzuolo e guardando sotto: – È un capolavoro!<br />
Nessuno potrebbe immaginare!<br />
46<br />
Il sovrintendente, che aveva già controllato anche lui,<br />
fece un passo in avanti tenendo le mani dietro la schiena:<br />
– È stato il dottor Malagrida. L’hanno come incollata,<br />
con una specie di mastice che usano anche per i vivi… ha<br />
visto? È rimasta solo una linea grigia.<br />
Glicerio continuò a osservare Medina Xaxa.<br />
Il cono di luce che entrava nella cella era rassicurante<br />
perché, mettendo la mano dentro la luce, si sentiva un tepore<br />
da vivi che consolava.<br />
Glicerio rifletteva:<br />
– Aumentano i dubbi, fermentano i fatti, come sempre.<br />
Possibile che le cose passino attraverso quel piagnone di<br />
Enrico Ricasoli e quel Battistino Mattiolo? La sicura della<br />
portina della teleferica è comandata dal macchinista…<br />
eppure si è aperta! E ancora quell’odore di pesche!<br />
L’hanno sentito tutti.<br />
In quel momento bussò Egeico Lago.<br />
Era un’abitudine di Glicerio investigare col morto recente<br />
e, meglio ancora, presente: tutti diventavano, secondo<br />
questa sua idea, più vulnerabili. Diceva sempre<br />
che la prima reazione rivelava tutto di una persona ed era<br />
addirittura inutile andare avanti con interrogatori e processi.<br />
L’indiziato si mette a ragionare, a pensare cosa è meglio<br />
o cosa è peggio per lui, e allora addio verità.<br />
Egeico non disse una parola. Chiese con un gesto che<br />
venisse spostato il lenzuolo dal volto di Medina e cercò un<br />
punto nella cella da dove poterla vedere di profilo. Lo<br />
trovò e lì si sedette a guardarla. Anche Glicerio gli si sedette<br />
accanto e osservò il profilo della morta.<br />
– Guardi bene, dottor poliziotto. Questo è un profilo<br />
che non è mai stato esibito! Eppure, se lei studia i profili<br />
47
di Epipanormo o i ritratti di donne del nostro quartiere<br />
alto, questo profilo, da secoli, li contiene tutti: è un miracolo!<br />
Tutte le altre facce sono nate da questa! C’è tutta la<br />
nostra razza davanti a lei… quel nasino è tutti i nasini,<br />
quel mento è tutti i menti e quella fronte è tutte le fronti…<br />
Bombòi si commosse pensando a sua figlia che aveva<br />
preso il naso della madre che era stato del nonno e prima<br />
ancora di tanti altri. Glicerio trovò bellissimo questo discorso<br />
funebre e l’occhio ricominciò a fiammeggiare:<br />
– Professor Lago, perché Medina Xaxa aveva deciso di<br />
andare al mare? A detta di chi la conosceva non ci andava<br />
da quando era bambina.<br />
La domanda non fece girare Egeico Lago che continuava<br />
a fissare il profilo di Medina:<br />
– Commissario, Medina dormiva nella culla del figlio<br />
morto, lo sapeva? Una culla di metallo con le sbarrette, ci<br />
avrà dormito anche lei da piccino…<br />
– Sì, ne ho avuta una così sino a cinque anni.<br />
– Beh, Medina ci dormiva da molto tempo… Però da<br />
tre giorni aveva ripreso a dormire da sola nel letto matrimoniale.<br />
Inoltre, ho visto a casa sua cose mai viste prima.<br />
– Cioè?<br />
– Fondo tinta, profumi, mascara, creme da donna…<br />
Mai viste!<br />
Egeico si voltò verso il commissario, sobbalzò per l’occhio<br />
infuocato che gli sembrò un ex voto e continuò:<br />
– Era successo qualcosa. Aveva anche ripreso a ballare.<br />
Gliel’ho chiesto e sa cosa mi ha risposto mentre danzava<br />
il Valzer dei Glicini?<br />
– Cosa le ha risposto? – chiese Bombòi.<br />
– Beh, mi ha detto che la prova che si poteva continuare<br />
48<br />
a vivere, ma proprio a vivere, l’aveva avuta perché aveva<br />
capito che Fabiano ci poteva essere ancora.<br />
– Fabiano? Il figlio morto? – domandò il sovrintendente.<br />
– Sì. Allora ho pensato che si era ribellata al cilicio, perché<br />
quel lettino era il cilicio di Medina. Ma ora penso che<br />
la gioia è un pericolo, commissario…<br />
– Quindi non era una che pensava al suicidio, secondo<br />
lei? Ma cosa voleva dire che Fabiano ci poteva essere ancora?<br />
– Non lo so, però sembrava contenta, come mai era stata…<br />
Non so esattamente cosa passasse nella sua testa, era<br />
chiusa e senza serratura, ma era felice e cominciava a usare,<br />
uno alla volta, tutti i suoi sensi. Più in là, giacché era<br />
una donna intelligente, avrebbe imparato a usarli tutti insieme.<br />
Bombòi sussurrò piano piano all’orecchio del commissario:<br />
– Dottore, deve prendere la pastiglia, sennò esce di senno<br />
come l’altro giorno che se l’è dimenticata.<br />
Glicerio strinse la mano molle di Egeico. Si segnò con la<br />
croce. Contemplò il profilo di Medina per l’ultima volta.<br />
Pensò che tutta questa dolcezza era stata dolce per poco<br />
tempo. Guardò Egeico, curvo, spettinato, e con il colletto<br />
della camicia sporco: “Cosa c’entrava con Medina quest’uomo?<br />
Però… quel naso… quel naso dice qualcosa, è<br />
vero: un nasino dominante.” Si palpò l’occhio ribelle, ingoiò<br />
la pastiglia e se ne andò.<br />
* * *<br />
Battistino, coricato sul divano, al buio, le finestre aper-<br />
49
te, sentiva la musica dell’appartamento di sopra a occhi<br />
chiusi. Scosso ma lucido, in mutande ma dignitoso.<br />
Il suo amico era ancora ricoverato e dormiva da due<br />
giorni; era Melania Lampreda che ascoltava musica a casa<br />
di Enrico: “Beato lui,” pensò Battistino. “Riesce sempre a<br />
scappare… non ce la fa a stare al mondo quando c’è da<br />
soffrire… E Melania che lo ama soprattutto quando non<br />
c’è! Mah, forse è meglio così! E quel commissario? Mai<br />
che gli si senta un ragionamento, un’ipotesi, una domanda<br />
intelligente…”<br />
Pensava ai fatti degli ultimi giorni in ordine di orrore e<br />
non sapeva bene se più orrenda fosse stata la morte di Tebe<br />
Mistrè o quella di Medina Xaxa. “Tagliate, l’una e l’altra<br />
tagliate, in modi diversi. E questa storia delle pesche…<br />
Perfino il cane è un morto alla pesca…”<br />
Era un uomo duro ma provava una debolezza addosso<br />
che lo innervosiva: tutta quella morte devastava anche lui.<br />
“Morte pelosa!”<br />
Battistino odiava le medicine, specie quelle che servivano<br />
per funzioni normali come il sonno, ma quella notte ne<br />
avrebbe voluta una, di nascosto, senza che nessuno sapesse<br />
i fatti suoi.<br />
C’era luna piena e la luce della stanza era blu, vedeva<br />
bene le ombre familiari dei mobili. Si alzò e si guardò intorno<br />
e disse a voce alta: – La luna oggi sparge bianco a<br />
Epipanormo anche dentro le case.<br />
Vide una nube, un vapore, un velo passare nella finestra<br />
e cambiare la faccia della luna. Si affacciò: il gatto portinaio<br />
passeggiava sotto casa, avanti e indietro. La musica<br />
di Melania cessò.<br />
Quando si voltò una cosa nel soggiorno era cambiata:<br />
50<br />
tutti i profili della stanza erano uguali salvo che sul divano,<br />
dove prima c’era lui, ora c’era una bella figura, blu come<br />
tutto il resto, che lo guardava.<br />
“È vapore entrato nella camera!” pensò.<br />
Desiderò di scappare: quell’ombra era contro tutto<br />
quello che la sua testa aveva pensato in quarantotto anni,<br />
e non poteva esserci. Ma lui ai sensi credeva, a cosa doveva<br />
credere sennò? Guardò ancora.<br />
“Il vapore può prendere qualsiasi forma, ma non resta<br />
fermo a guardare, le finestre sono aperte…”<br />
Quella forma, ancora più blu, si mosse e Battistino sentì<br />
la paura del condannato:<br />
– Cosa vuoi?<br />
– Sto rimettendo le cose a posto, Battistino Mattiolo. Le<br />
rimetto come si deve… in bell’ordine… vedrai.<br />
Anche Battistino, senza vergogna, ma solo perché era<br />
l’unica soluzione, svenne perché non voleva vedere e sentire<br />
di più.<br />
Cadendo sentì un denso, rappreso, nauseante odore di<br />
pesche mature.<br />
51
II<br />
Dagli spalti delle mura bianche di Epipanormo le sentinelle<br />
gridano l’ora agli abitanti e sudano indolenzite dentro<br />
le armature arroventate. Tra le giunture di ferro comincia<br />
a infilarsi l’aria fresca dei monti e il metallo si raffredda.<br />
A casa Redenti, come in tutte le case dei ricchi, sanno<br />
come difendersi dal caldo:<br />
– Quando arriva il ghiaccio dalla montagna, Sertolino?<br />
Sertolino, raccoglie piatti e bicchieri sparsi per la terrazza<br />
illuminata dalle torce e dalla luce rossa del sole che<br />
tramonta:<br />
– Come volete che arrivi, signore? Andrò io a dorso di<br />
mulo quando avrò messo in ordine quello che voi avete<br />
messo in disordine… Studiate giorno e notte l’ordine del<br />
cielo, ma qui in terra, quello che mettete, è disordine…<br />
Posso tenermelo questo mezzo boccale di vino? L’astrolabio<br />
lo lascio qua, tanto ve lo portate voi nel frutteto…<br />
Il giovane non ci bada al suo servitore:<br />
– I baci dell’addio… ecco!<br />
Poi, al servitore che si ferma ad ascoltarlo:<br />
– Ma ti pare, Sertolino, che basti dire addio alle cose e<br />
le cose diventano inesistenti? Credi che se uno si allonta-<br />
53
na da una cosa questa cosa non esiste più? – si alza di<br />
scatto, guarda il cielo estivo di Epipanormo, stelle e astri<br />
lucenti e pensa all’altra metà del mondo al sole.<br />
Da casa Redenti si vedono i galeoni nel porto e anche<br />
uno che arriva, con le vele sanguigne al crepuscolo, e a lui<br />
il mare, questa sera, sembra un’immensa palude.<br />
Il colpo di cannone segna il tramonto e l’ora del riposo<br />
per tutti in città.<br />
Sertolino discende in cucina senza rispondere alla domanda<br />
e consegna le stoviglie ad Amelina, la sguattera<br />
dal naso un po’ porcino che però a lui piace, anche se<br />
dorme in un angolo della cucina dove le pulci considerano<br />
Amelina una riserva infinita di cibo buono.<br />
– Senti, pensaci tu. Io parto per monte Morrone a cercare<br />
ghiaccio. Ghiaccio in agosto! Accidenti a chi gli ha<br />
insegnato a leggere e scrivere… Così ricco, non ne aveva<br />
bisogno di leggere e scrivere… Meno male che c’è questa<br />
luna che sembra una mamma anche se il sole non è ancora<br />
scomparso… A proposito, Amelina, guarda che bel<br />
tramonto…<br />
Amelina, zitta, prende piatti e bicchieri e sparisce nella<br />
luce dorata della cucina da dove esce un soffio caldo di<br />
arrosto e carbone. Sertolino, la guarda. È pelosa, ma questo<br />
collo carnoso gli muove il sangue sino alla punta delle<br />
dita e pensa che a toccarla deve essere come l’uovo sodo.<br />
E poi, quando lei sorride, si muove tutto intorno e la fuliggine<br />
della cucina sembra un mantellino di seta. Sertolino<br />
riempie una zucca col vino, guarda la zucca pensando<br />
alle cose di Amelina, lega il mulo al carretto, assicura l’archibugio<br />
alla sella, monta e esce, meno vivace del solito,<br />
dal grande portale. Partire al tramonto è necessario, c’è<br />
54<br />
troppo caldo durante il giorno per trasportare il ghiaccio,<br />
ma Sertolino inizia ad avere paura quando gli chiudono<br />
alle spalle la grande porta settentrionale di Epipanormo e<br />
ritirano il ponte levatoio.<br />
Guglielmino dei Redenti ha ventisette anni, alto, elastico<br />
e un po’ curvo per l’umore melanconico, la pelle come<br />
la cera, per nobiltà, ma le guance rosse per natura, i capelli<br />
lisci e neri, gli occhi arrivati da oriente, le mani belle<br />
che molte donne di Epipanormo si immaginano addosso<br />
alla ricerca della propria pietra filosofale.<br />
Il terrazzo di Casa Redenti da un lato dà sulle mura di<br />
Epipanormo e dall’altro lato sul frutteto, circondato da<br />
muri alti.<br />
Il frutteto è di piante di pesco che il padre di Guglielmino<br />
ha piantato alla nascita del figlio.<br />
Al centro c’è l’osservatorio del giovane Guglielmino:<br />
una cupoletta di legno con una grande apertura sull’apice.<br />
Tutti gli alberi sono carichi di frutti e il profumo è tanto<br />
forte che l’aria si muove pesante.<br />
La luna è davvero una mamma questa sera e riempie la<br />
testa di Guglielmino che suda: ha bevuto troppo vino di<br />
Talattone, un vino salato che lo stordisce dalla prima boccata.<br />
È coricato, sui gradini dell’osservatorio, perso tra rette<br />
e volute che traccia nel cielo stellatissimo. Sa dividere il<br />
tempo: non ha bisogno che glielo segni il colpo di cannone<br />
al tramonto: gli basta la luna e qualche astro. Col sole,<br />
poi, è ancora più facile.<br />
“Non finirò più, ce n’è troppe… non le conterò mai e<br />
55
non saprò mai dove stanno esattamente! Segnarle tutte!<br />
Io ho solo un miserabile lenzuolo nero dove ogni giorno<br />
aggiungo un puntino bianco e gli do un nome… Sono un<br />
disgraziato! E quelle che vedo una volta sola? Come le<br />
conto? E quelle che passano per un istante? Sono un disgraziato,<br />
ecco! Ecco…”<br />
Come i bambini offesi: Ecco.<br />
Si versa un altro bicchiere di vino e lo ingoia in una<br />
volta.<br />
“E quelle che non vedo quante saranno? Arrivo a un<br />
palmo del mio naso col cannocchiale… Quelle vorrei<br />
contare, che nessuno è mai arrivato a contare…”<br />
Accende le candele all’interno dell’osservatorio, guarda<br />
il suo planetario nero con pochi puntini bianchi e gli<br />
sembra così povero rispetto al cielo vero sulla sua testa<br />
che si arrabbia ancora di più e lo getta in terra.<br />
“E cosa dovrei fare? Mettermi a guardare l’orto e contare<br />
le foglie? E non faccio parte di tutto questo che mi<br />
sta sulla testa? Le foglie e le stelle non si contano, si guardano…<br />
Così si usa la testa per contemplare e non per dare<br />
giudizi sul creato facendolo a pezzettini sempre più<br />
piccoli… Ecco.”<br />
Raddrizza la schiena.<br />
– E no! Avrà pure una misura questo cielo!<br />
Il vino tossico di Talattone gli fa calore nel cervello e<br />
pensa a voce alta:<br />
– È una forza sola che lo muove e fa muovere anche me.<br />
L’infinito sono io e mi riconosceranno…<br />
Qualche settimana prima ha annotato, mettendo poi<br />
l’idea in versi, che tutte le energie si assomigliano.<br />
Lo ha ispirato un’adolescente: Medina degli Xaxa, per la<br />
56<br />
quale ha provato un rimescolamento mai provato prima,<br />
una specie di eruzione, quando l’aveva vista passare per<br />
strada lasciando una scia e Medina gli era sembrata una<br />
cometa.<br />
Cerca i versi che ha nascosto, li rilegge e straccia il foglio.<br />
La stessa tempesta tra pianeti ha colpito Medina degli<br />
Xaxa e anche lei aveva visto una scia che seguiva Guglielmino.<br />
Medina aveva smesso ogni attività: non cuciva più, non<br />
leggeva più, non passeggiava più - non guardava più gli altri,<br />
ci guardava attraverso. Il suo sguardo attraversava anche<br />
le pareti della casa, poi quelle della villa di Guglielmino<br />
dei Redenti, poi il frutteto di pesche e arrivava, proprio<br />
come un raggio miracoloso, sino all’osservatorio del giovane<br />
astronomo.<br />
Medina non pensava all’infinito anche se, senza saperlo,<br />
dall’infinito era attraversata da una parte all’altra.<br />
Guglielmino ha riflettuto e ancora riflettuto sul fatto<br />
che tutto è mosso da una forza unica e che quella che gli<br />
arriva da Medina è la stessa, ma proprio la stessa che muove<br />
sole, luna e maree, fa maturare le sue pesche e lo ha fatto<br />
crescere sino a essere pronto per questa ragazza.<br />
Gli appare mentre lui si attorciglia i capelli sudati.<br />
Il vento si è fermato, e lui si è tolto la camicia.<br />
La vede arrivare dritta dalla luce della luna.<br />
Possibile che da lì arrivi Medina, circondata da tutto<br />
questo pulviscolo? Un chiarore mistico.<br />
Sente il collo battere forte, tanto forte che gli fa male e si<br />
spaventa. Lei è più vicina. Guglielmino respira profondo<br />
57
e sente i polmoni riempirsi di pesche. Medina sale i gradini<br />
dell’osservatorio quando lui si alza per abbracciarla.<br />
Allarga le braccia, fa in tempo a sentire che anche lei è sudata.<br />
La ragazza bisbiglia qualcosa e Guglielmino si sente<br />
l’orecchio colpito da un fulmine.<br />
Sviene felice aggrappandosi alle braccia di lei.<br />
Quando Medina lo vede per terra e mezzo nudo è colpita<br />
dallo stesso lampo e gli cade vicino, ma con grazia e, cadendo,<br />
sente ben chiaro l’odore da prepotente di Guglielmino.<br />
– Ma come sei arrivata?<br />
– Non lo so… io dormivo… e sono qua… tu cosa facevi?<br />
Sono rinvenuti che il colore del cielo cambia e la brezza<br />
dei monti gli ha calmato la pelle e la testa. Gugliemino allunga<br />
un braccio e prende l’astrolabio di ferro e argento<br />
per mostrarglielo. Mentre lo avvicina a Medina la graffia<br />
col bordo e dal seno della ragazza esce - come se non avesse<br />
aspettato altro - uno schizzo di sangue azzurro che cola<br />
sino all’ombelico. Lei sorride.<br />
Guglielmino impallidisce e resta a fissare il rivolo che<br />
continua a scorrere per qualche minuto sino a quando si<br />
ferma da sé dopo aver fatto un laghetto nell’ombelico.<br />
Lui l’abbraccia, lei continua a sorridere:<br />
– Se fosse stato sangue mio, non sarei stato capace di<br />
sorridere come te.<br />
– E cosa avresti fatto?<br />
– Non so, sarei svenuto di nuovo… ecco.<br />
Medina chiede:<br />
– Puliscimi e poi dammi da mangiare.<br />
58<br />
Lui si alza, tira su un secchio d’acqua dal pozzo e la lava<br />
tutta con la sua camicia come straccio. Poi la riveste e le<br />
mette in ordine i capelli neri.<br />
– Cosa mangio?<br />
Guglielmino riempie un cestino di pesche e inizia a<br />
sbucciarle e a mettergliele a pezzetti tra i denti affilati.<br />
– Ma come sei arrivata? – domanda ancora guardando<br />
tutto quello che riusciva a guardare di Medina ma rendendosi<br />
conto di non riuscire a guardarla tutta.<br />
– Non lo so… io non volo… Senti, piuttosto, com’è che<br />
non provo vergogna?<br />
Lui si alza, corre verso il muro di oriente e ritorna col<br />
fiatone:<br />
– C’è la porticina aperta… quella porta è quasi un segreto<br />
anche in casa mia… come lo sapevi?<br />
– Non lo sapevo. Sono tutta appiccicosa per le pesche,<br />
dovrai lavarmi di nuovo.<br />
Gugliemino riempie ancora un secchio. Mentre la lava<br />
dice:<br />
– È acqua gelata.<br />
– È meravigliosa. Io non lo sapevo di essere fatta così.<br />
Niente mi può fermare più. Non provarci mai, Guglielmino!<br />
Il cielo è chiaro e qualcuno a casa Redenti comincia a<br />
muoversi. Questa volta Medina, andandosene, segue vie<br />
visibili e sguscia dalla porticina. Perché lui non l’ha vista<br />
arrivare da lì… e come gli è apparsa? Lei vola per strada<br />
all’alba, arriva al muretto di cinta di casa Xaxa, attraversa<br />
il giardino, si arrampica al balcone della sua camera e si<br />
mette sotto il lenzuolo fresco, nasconde la testa e sente,<br />
59
con una nostalgia che le fa dolore, un buonissimo odore<br />
di pesche mature.<br />
Per Medina l’infinito ha, d’ora in poi, un profumo.<br />
60<br />
Medina finge di svegliarsi quando la mamma, Eponina,<br />
entra in camera.<br />
– Medina! Che bella faccia! Chissà che bei sogni hai<br />
fatto! Beviti il latte.<br />
La ragazza non risponde, finge di essere abbagliata dalla<br />
luce, con gli occhi chiusi, si beve il latte. Poi apre gli occhi<br />
che mettono buon umore alla mamma Eponina e le<br />
escono di bocca dei versi.<br />
Dice che non teme la miseria… che fugge la materia…<br />
che vano è il braccio di quel mago che arrancando col suo<br />
drago cerca un varco per vedere nel giardino del piacere dove<br />
il muro è di cristallo e protegge… il suo…<br />
– …il mio?<br />
E fa schioccare le dita, nervosa perché la rima non arriva.<br />
Eponina ride e pensa che questa creatura di diciotto<br />
anni sta proprio cambiando: “Ora scrive versi… beh, è<br />
normale alla sua età… suo padre mi scriveva cose bellissime…<br />
nel mese di agosto poi ancora di più…”<br />
La mamma si commuove: vede il marito nella faccia<br />
della figlia e sorride perché lo immagina al femminile.<br />
Medina che guarda fuori, verso l’orto di casa Redenti, si<br />
mette ancora a cinguettare saltellando per la stanza:<br />
61
Sangue caldo e celestino<br />
m’ha legato al tuo destino.<br />
Dal mio seno gonfio è uscito.<br />
Lui, toccando, m’ha guarito.<br />
Stesso sangue che da oriente<br />
generò la nostra gente.<br />
Eponina continua per qualche ora a prendere quelle effusioni<br />
come un mutamento naturale della figlia che, in<br />
fondo, è arrivata al limite intimo dei diciotto anni che anche<br />
il mondo riconosce legittimo per una donna: perciò<br />
non c’è niente di male se Medina, così bella e bianca parla<br />
di destini legati dal sangue e di toccamenti magici che<br />
guariscono le ferite. Il sangue, poi, non spaventa Eponina:<br />
è un segno buono, anzi la spaventerebbe una cosa pallida<br />
e senza sangue.<br />
Comincia a preoccuparsi a metà giornata: Medina non<br />
la smette di esprimersi in versi, versi lunghi, versi brevi,<br />
versi riusciti e versi zoppi, versi allegri e versi tristi, ma comunque<br />
pieni di forza da bruciare chi si avvicina troppo.<br />
– Medina, smettila! Per un momento parlami normalmente…<br />
non può durare così tutto il giorno… smettila…<br />
smettila o chiamo il medico…<br />
Non essere nell’orto delle pesche insieme a Gugliemino,<br />
le procura un dolore tale che l’unica anestesia è quell’ossessionante<br />
fare versi. Con i versi può parlare di lui<br />
senza che gli altri capiscano.<br />
Così la voce della madre gli arriva da dietro una nube e<br />
mentre la sente Medina non pensa di essere impazzita ma<br />
di essere solo molto concentrata sull’amore.<br />
62<br />
Torna il padre, Battista Xaxa, Capitano della città, che<br />
risale da Talattone:<br />
– Quartiere alto, quartiere alto e aria buona! Si respira<br />
qua ad Epipanormo… giù a Talattone oggi tutto puzza<br />
della stessa cosa… forse anch’io adesso ho quell’odore di<br />
palude… E sì, qua è un’altra cosa… Che buon odore di<br />
pesche! Arriva dal giardino dei Redenti?<br />
Dal cortile di casa gli arriva la voce di Medina che, a<br />
forza di parlare tutto il giorno, si è un po’ inasprita:<br />
Babbo mio non domandare<br />
del miracolo rotondo<br />
che spuntò venendo al mondo<br />
dalle gemme di quel ramo<br />
per cui oggi dico…<br />
La rima viene in testa a tutti nella casa e anche a Capitan<br />
Battista Xaxa.<br />
* * *<br />
L’aveva pensato che sarebbe arrivato disordine nelle<br />
cose dopo l’incontro con Medina.<br />
L’arrivo di Medina dritta dalla luna, abbracciarla, baciarla<br />
e, soprattutto, pulire il suo sangue gli ha dato una<br />
certezza di intimità eterna che lo distrae da tutto. Perché,<br />
pensa il giovane, se avesse fatto solo l’amore sarebbe stato<br />
come tra altri esseri viventi. Medina è la ragazza più<br />
bella e forte di Epipanormo, con pelle e carne soprannaturali,<br />
profumata, è dolce anche il sudore di ragazza. A<br />
pensare ai particolari, Guglielmino perde il pallore e il re-<br />
63
spiro diventa profondo: quanti particolari in una persona!<br />
Possibile?<br />
Ma è il sangue di lei, schizzando dal seno teso, che lo ha<br />
fatto sicuro di come Medina lo cercherà per tutta la vita.<br />
Lo ha reso vertiginoso, incapace di camminare in linea<br />
retta, di sollevare pesi, esente da fame e da sete, infastidito<br />
da qualsiasi cosa che non riguardi Medina e il liquido<br />
che le circola dentro e la tiene in piedi, le dà colore, sapore<br />
e odore. Lui è entrato nel tabernacolo di Medina, non<br />
quello in cui sarebbe potuto entrare anche un altro, ma in<br />
quello segreto che miracola la ragazza.<br />
* * *<br />
Il medico visita Medina e non trova malattie studiate<br />
sui libri né viste negli uomini: è onesto e non raglia al cielo.<br />
Certo, un riscaldamento nella ragazza c’è e può darsi<br />
che gli umori, mescolandosi a temperature troppo alte<br />
nella scatola della testa, abbiano prodotto questo fenomeno<br />
e il riscaldamento si è diffuso tanto che c’è, a suo<br />
parere, anche il rischio che emani verso altri. Così se ne<br />
va lasciando Capitan Xaxa e mamma Eponina a chiedersi<br />
cosa sia successo.<br />
Arrivano il tramonto e l’ora di cena. Medina mangia<br />
con una fame che stupisce i genitori, si corica rauca perché<br />
non è stata zitta un momento e si addormenta con<br />
violenza come fanno i ragazzi, più forti degli adulti nella<br />
veglia e nel sonno.<br />
Battista ed Eponina, invece, hanno gli occhi sbarrati. La<br />
moglie spia contro la luce della candela il profilo del mari-<br />
64<br />
to: è proprio tale e quale a quello della figlia. Questo profilo<br />
è stato il profilo dei profili per lei. Ora ci sono rughe,<br />
guance che cadono, e la linea del mento ha perso ogni grazia,<br />
però a saperli guardare sono proprio profili identici.<br />
– Battista, tu hai visto la ferita sul seno di Medina?<br />
Lui non sopporta l’attenzione ai particolari inutili che<br />
Eponina ha sempre avuto e che con gli anni è diventata<br />
un vizio, un peccato che la tiene lontana dalle cose importanti,<br />
e una delle ragioni per cui Battista Xaxa con la<br />
moglie parla poco:<br />
– Non ho visto nessuna ferita, lo sai che Medina con me<br />
si vergogna da molti anni. E poi, ti chiedo, era una ferita<br />
malata, era nera, sembrava perniciosa? Se era una ferita<br />
piccola e con la crosta allora tutto va bene: era un graffio.<br />
Lei si nasconde sotto il lenzuolo e bisbiglia perché si<br />
immagina la reazione di Battista a quello che sta per dire:<br />
– Dalle ferite esce il sangue… Ma dalle ferite può anche<br />
entrare qualcosa…<br />
Invece Battista non risponde neppure con un sospiro.<br />
Prendono sonno tardi. Sognano tutt’e due Medina che<br />
a tre anni si era tagliata un polpaccino con un coccio: il<br />
sangue che non finiva di venire fuori dalla gambetta rosa<br />
e nessuno che se ne preoccupava perché, tanto, sarebbe<br />
bastato darle altro latte.<br />
Battista si sveglia e vede la stanza triste per la luce dell’alba:<br />
fuori è nuvoloso e da Talattone salgono vapori che<br />
scalano le mura alte dell’acropoli.<br />
Medina dorme e il respiro si sente sino dall’andito.<br />
La guarda a lungo: Medina è proprio lui stesso. Lo sa<br />
senza bisogno di controllare profili, occhi e altre somiglianze.<br />
65
“Si è innamorata! E allora? Perché sono preoccupato?<br />
Cinguetta, salta, ha un odore che neanche un fiore all’ora<br />
della rugiada…”<br />
Medina si rigira con la grazia di una statuina e nel sonno<br />
sussurra:<br />
Io non so cosa succede…<br />
ma vorrei darvi un erede…<br />
Battista non ha sentito bene, si affaccia alla veranda e<br />
gli arriva l’odore delle pesche che questa mattina stagna.<br />
Preferirebbe un vento da nord per il sonno della figlia,<br />
più fresco e più buono d’animo: quello scirocco viene dal<br />
quartiere dove pensieri maligni e commerci torbidi lo<br />
contaminano. Arriva, sì, dal mare pulito, però nella città<br />
bassa si impregna di polvere e cattiveria.<br />
* * *<br />
La condizione di Medina cambia col vento maligno<br />
proprio quella mattina.<br />
Ora canta.<br />
Insomma non solo dice versi, ma li canta con una bella<br />
voce, proprio bella, e i passanti si fermano tutti, a piedi, a<br />
cavallo o sui carri.<br />
È una melodia infelice:<br />
Ecco, sento ormai esalare<br />
ogni forza mia d’amare<br />
ogni sangue se non quello<br />
che è servito da suggello<br />
66<br />
al bell’animo perfetto<br />
di quel corpo a me diletto.<br />
Verso mezzogiorno la voce non ce la fa più e le corde<br />
vocali di Medina sono viola e gonfie.<br />
Si corica e dorme triste.<br />
Quando solleva la testa dal cuscino sudato sente il desiderio<br />
di Guglielmino ed ha coliche così dolorose che le<br />
devono fare impacchi caldi.<br />
In effetti Medina ha proprio una congestione degli<br />
umori. Non ha più voce e dalla gola le escono solo sibili<br />
come un serpente. Si dispera, si tortura i capelli e suda. I<br />
sibili sono incomprensibili.<br />
– Scrivi! Scrivi! – le dice Battista disperato.<br />
Lei ha infradiciato lenzuola e materasso, non riesce ad<br />
alzarsi per il dolore che sente in pancia.<br />
E scrive soltanto:<br />
«Sangue suo, sangue mio».<br />
Cade dal letto svenuta quando lo scirocco incattivito le<br />
porta un odore esagerato di pesche dal giardino di Guglielmino.<br />
Cadendo desidera l’acqua fresca del pozzo che lui ha<br />
usato per lavarla: perché non la bagnano con quella? Con<br />
quella guarirebbe.<br />
67
– Il conte Guglielmino con la testa è dove neanche il<br />
suo telescopio arriva… i genitori pensano alla terra e invitano<br />
mezzo consiglio, commercianti… affari, soldi, navi,<br />
grano, orzo per i semolini dei vecchi senza denti…<br />
Noi, invece, i denti ce li abbiamo sani, eh, Amelina? Tu,<br />
poi, ce li hai bianchi bianchi.<br />
Sono soli e sentono anche un poco di dolore per tutta<br />
quella forza che sta per venire fuori.<br />
– Che buon odore, Amelina.<br />
Amelina bisbiglia:<br />
– Anche tu hai bei denti, scommetto che tagliano come<br />
coltelli.<br />
Sertolino cerca di morderle il collo polposo. È così tiepida<br />
che dimentica l’orzo, la semola, i Redenti e il ghiaccio.<br />
Amelina torna indietro, sino all’angolo più nero della<br />
cucina con Sertolino attaccato al collo.<br />
In mezzo al nerofumo la pelle è ancora più candida e<br />
carbone sembrano i peli di Amelina che si è spogliata e<br />
appoggiata a pancia in giù al suo lettino di paglia.<br />
Si spoglia anche lui ma, mentre scioglie la cintura, lo<br />
spadino da servo scivola, cade su Amelina e le ferisce una<br />
natica. Ne esce un sangue rosso pieno di energia che<br />
schiuma. Lei si volta e si mette a ridere e lui, nudo e incandescente,<br />
si mette a pulirla con la voglia che aumenta e<br />
69
approfittando per guardare tutto quello che ha sognato<br />
da mesi, da quando Amelina è arrivata dalle montagne<br />
con i suoi stracci.<br />
La ferita smette di sanguinare.<br />
Sertolino si è innamorato.<br />
Amelina ora non ride, ha una faccia feroce e ogni tanto<br />
mostra i denti. Lui immagina che sia piacere e allora spinge<br />
di più per vedere se il ringhio aumenta. La ferita si riapre<br />
e solo dopo si accorgono di essere mezzo insanguinati.<br />
Restano muti, lei con un respiro da cerva, lui da mulo<br />
in salita.<br />
La ragazza prende un secchio d’acqua fredda e si fa lavare,<br />
ride illuminando la cucina, si riveste e riprende a<br />
sbucciare patate sorridente ma ancora col fiato lungo.<br />
Sertolino si vergogna d’essere là gocciolante e sporco e<br />
gli viene in mente la macelleria di Talattone con tutte<br />
quelle bestie insanguinate. Si sente forte, allegro, continua<br />
a sorridere e non riesce a smettere.<br />
* * *<br />
– Sarà una strega?<br />
Guglielmino è di un pallore che fa luce:<br />
– Ma cosa ti passa in testa? È solo una ragazza di montagna<br />
che fa l’amore come ha visto fare a donnole e furetti.<br />
Tu l’hai vista subito e lo sai: la vista è il desiderio e l’occhio<br />
è la voglia.<br />
Sertolino, non capisce bene, cammina intorno al padrone,<br />
sempre lo stesso cerchio:<br />
– Donnole e furetti? Scusate ma non è il paragone giusto,<br />
padrone. Non era roba da donnole e furetti.<br />
70<br />
Guglielmino si siede per terra, all’ombra di un pesco<br />
gigante dove pendono frutti grandi come un ginocchio e<br />
si tormenta i capelli:<br />
– Siamo tutti uguali, Sertolino… tutti uguali, ecco… ecco.<br />
Sertolino ha sviluppato, per essere un servitore, una<br />
bella capacità di discutere. Gli è sempre piaciuto passare<br />
ore seduto a dire e parlare di tutto quello che arrivava a<br />
tiro di pensiero e dice continuando a girare come un asinello<br />
alla mola intorno a Guglielmino:<br />
– Sarà vero in generale, ma a me sembra che Amelina<br />
sia unica… che arrivi da lontano, da un’altra razza… E<br />
quando sorride? Si accende anche il carbone della cucina<br />
e la cenere diventa cipria! Mi vergogno un po’ a dirlo ma<br />
non la cambierei con nessun’altra… solo lei…<br />
Guglielmino, allisciandosi i capelli, quasi gridando:<br />
– Certo, bravo, hai ragione! Il trucco è questo, altro che<br />
stregonerie! L’amore è una mania! Ecco! Non la cambieresti<br />
con un’altra, hai detto… una mania!<br />
Sertolino a sentirsi dare ragione vince anche il pudore:<br />
– Quando ho sentito il sapore del suo sangue e l’ho ripulito<br />
mi sono sentito come… non so neanche dirlo… come<br />
se avessero legato le sue budella alle mie… come se…<br />
Da un ramo del pesco cade una pesca troppo matura.<br />
Sertolino si distrae, è figlio di contadini poveri lui:<br />
– Bisogna raccoglierle e venderle al mercato, padrone.<br />
Cominciano a cadere.<br />
Guglielmino guarda il pesco, dove ha lavato il sangue<br />
di Medina:<br />
– No, no. Ho già parlato con mio padre. Non voglio rinunciare<br />
a questo profumo.<br />
71
– Non volete rinunciare al profumo? Ma ragionate…<br />
passa lo stesso…<br />
L’amore non è pratico e Gugliemino si infastidisce per<br />
il tono della domanda, lo stesso che si usa con i folli:<br />
– Ho le mie ragioni… questo odore mi serve, ognuno<br />
ha le sue manie… Mi hai detto che hai pulito il suo sangue?<br />
– chiese torturandosi i capelli.<br />
Sertolino ora si vergogna di nuovo:<br />
– Sì, insomma, si è tagliata e io l’ho pulita… Beh, vi<br />
sembrerà strano, ma a me quel sangue ha fatto da filtro<br />
magico, si è mischiato col mio…<br />
La giornata sta terminando. Tra qualche ora Guglielmino<br />
ricomincia a guardare il cielo e a contare. Si affaccia al<br />
terrazzo e guarda verso Talattone. Lo scirocco ha condensato<br />
vapore, come sempre, nella città bassa. Sporgendosi<br />
e guardando in giù vede che quel vapore peloso tenta<br />
di scalare le mura.<br />
Ma non c’è pericolo: Epipanormo mantiene un’aria di<br />
cristallo.<br />
72<br />
– Io sono il Capitano della città! Commercianti, avvocati…<br />
anche duchi e marchesi, conti e contini… tutti devono<br />
passare da qui! E aspetto qui i medici, sopratutto i medici!<br />
Battista Xaxa è un uomo malato e nessun medico, neanche<br />
quello chiamato dalle Isole Felici, aveva capito cosa se<br />
lo sta mangiando. – Sembra che bruci, – aveva detto il medico<br />
dei nobili e dei ricchi di Epipanormo. “Brucerà tutto,<br />
pezzo per pezzo, fino a quando il cuore gli scoppierà<br />
come un tizzone,” aveva pensato il medico delle Isole dopo<br />
dieci giorni di viaggio in mare. Non lo aveva detto a<br />
Battista, tanto era inutile.<br />
– Quelli di Talattone, le troie, i ruffiani, i bari, i ladri, gli<br />
strozzini, tutti prosciugati dalla sifilide, ce li dobbiamo tenere<br />
come ci teniamo le parti del nostro corpo che non ci<br />
piacciono… A lasciarli fare, arrivano alla città alta, come i<br />
bubboni della peste… e invece bisogna tenere tutto ben<br />
distinto come Dio ha voluto sin dall’inizio… capito?<br />
Il Capitano parla ai cento uomini della guarnigione.<br />
– Chiudere le porte di Epipanormo al tramonto è come<br />
dare la purga a un brav’uomo che ha mangiato troppo…<br />
Serve a tenere l’ordine nel corpo della città.<br />
73
I soldati oscillano. Il Capitano continua e le sue parole<br />
sono combustibile:<br />
– Cosa succederebbe se mischiassimo Talattone ad Epipanormo?<br />
Il porto morirebbe, nessuna nave, nessun commercio…<br />
sparirebbero le puttane, che sono un segno di<br />
buona salute per la città, gli avvocati, altro segno di salute,<br />
non avrebbero chi assistere, persino i frati se ne andrebbero<br />
in altre città… e voi non avreste nessuno da arrestare,<br />
da frustare, da mettere alla gogna in piazza… Perciò<br />
domani dovremmo impiccare Porfirio! Anche se quelli di<br />
Talattone lo vogliono vivo! Impiccato alla porta di Epipanormo<br />
e se la testa si stacca tanto meglio! Ha un solo modo<br />
per salvarsi…<br />
Il Capitano Battista brucia quelli della prima fila guardandoli<br />
dritto negli occhi e li congeda ordinando:<br />
– Portatemelo qua, davanti a me, ha un solo modo di<br />
salvarsi.<br />
È un uomo intelligente, ma la malattia e il comando, a<br />
tratti, creano delle turbolenze nei suoi discorsi pubblici.<br />
Quando però passa alle cose sotterranee dell’amministrazione<br />
della città - quelle che non diventeranno mai pubbliche<br />
- allora la sua ragione, magari con mille contorcimenti<br />
e salti, arriva comunque all’obiettivo. Quei salti e<br />
quei contorcimenti non sono follia ma seguono la linea<br />
tutt’altro che retta delle cose. Quelle vie vuole seguire per<br />
guarire Medina.<br />
* * *<br />
Porfirio Ronzi contiene tutto Talattone e respira col na-<br />
74<br />
so all’insù per cercare l’aria di Epipanormo, ma non ci arriva<br />
mai perché il suo naso, per quanto lo indirizzi verso il<br />
cielo, resta piegato come un becco in basso. È calmo davanti<br />
al Capitano e non spreme nulla del veleno di Talattone.<br />
– Porfirio, ti ho voluto qui perché…<br />
– Capitan Battista, la vita è inflessibile… Domani morirò?<br />
– Senti, la vita è inflessibile anche con me… Siediti.<br />
Porfirio ha vissuto da ricco. Sa molte cose senza aver<br />
fatto scuole e senza aver avuto precettori. È figlio di due<br />
ladri che si erano voluti molto bene prima di finire decapitati<br />
insieme quando lui era ancora un bambino. Non<br />
usciva di casa per settimane. Riceveva, riceveva mattina e<br />
sera, uomini e donne del quartiere alto e del quartiere<br />
basso e nessuno sapeva cosa si dicessero, cosa passasse tra<br />
Porfirio e i suoi visitatori. Ma per vivere come faceva, Porfirio<br />
aveva necessità che la Giustizia lo lasciasse stare e un<br />
mese prima Capitan Xaxa, stufo dei suoi traffici, lo aveva<br />
fatto arrestare con l’accusa d’aver ordinato l’uccisione di<br />
un commerciante di granaglie.<br />
Porfirio ha un aspetto, in tutto e per tutto, di poiana e<br />
mette un brivido vedere come gira la testa a scatti per trecentossessanta<br />
gradi, proprio come un rapace e con l’occhio<br />
che cerca sempre qualcosa di cui appropriarsi.<br />
– Domani, Capitano? – insiste Porfirio.<br />
– Sì, Porfirio. Domani a mezzogiorno, quando il cannone<br />
del porto segnerà l’ora, verrai spinto in basso dalla porta<br />
della città con la corda al collo…<br />
– La testa si staccherà, Capitano.<br />
– Se si stacca tanto meglio. Tutti se lo ricorderanno, an-<br />
75
che fra duecento anni, anche fra trecento. Ci sono le carte<br />
del processo e c’è la memoria della gente che serve a<br />
questo.<br />
Porfirio è sereno, ha capito che non è là per sentire la<br />
descrizione dei suoi ultimi orrendi istanti e sa che le forze<br />
di Talattone, magari passando tra gli interstizi delle porte<br />
e risalendo le mura, riescono ad arrivare anche nella città<br />
alta:<br />
– È troppo crudele. Buttato nel vuoto dalla torre, poi la<br />
corda si tende, la testa si strappa e il corpo cade nel fossato.<br />
Ma voi non mi avete chiamato per raccontarmi come<br />
morirò…<br />
Battista si toglie l’elmo. La testa gli brucia e da qualche<br />
settimana gli brucia più della testa un occhio, che gli sembra<br />
voglia venire fuori. Ora, però, il dolore per Medina<br />
supera il bruciore.<br />
– Mia figlia è strana Porfirio, è diventata strana da giorni.<br />
Recita versi, canta versi, è rauca, non ce la fa con la voce<br />
e dorme, dorme un sonno di pietra. Poi si sveglia e ricomincia.<br />
Io sono il Capitano della città e non posso<br />
piangere…<br />
Porfirio accavalla le gambe:<br />
– Ma potete piangere! Davanti a me, potete.<br />
Capitan Xaxa guarda il talattonese che ha segnati in<br />
faccia tutti i traffici del porto. Porfirio cambia posizione e<br />
raddrizza le gambe.<br />
– Davanti a te? Davanti a te posso fare quello che voglio,<br />
tutto quello che voglio… Comunque ho pianto stamattina<br />
quando il vento mi ha portato in casa l’odore delle<br />
pesche di casa Redenti e Medina cantava.<br />
Prende Porfirio per le spalle e lo libera delle catene:<br />
76<br />
– È alta, è bella! Ha un nasino che viene da lontano…<br />
un nasino che va verso il cielo, piccolo piccolo, ma sembra<br />
che unisca cielo e città… i maschi ci si aggrapperebbero<br />
per cercare salvezza… ma, ti giuro, Porfirio, se ne<br />
trovo uno appeso al naso di mia figlia…<br />
Porfirio è un uomo senza sole ma tutto il male di Talattone<br />
lo ha reso scuro di pelle. Sa che non morirà domani<br />
perché troppe cose passano attraverso di lui. Per questo<br />
dorme profondo anche sul tavolaccio della prigione e<br />
parla tranquillo con i ratti, molto più nobili di tanti suoi<br />
debitori:<br />
– Perché sono qua, Capitan Xaxa?<br />
Battista Xaxa è in piedi e fissa a lungo Porfirio:<br />
– Non ti dico cosa vedo nella tua faccia, nei tuoi occhi da<br />
poiana. Ascolta: mi servono tutte le orecchie di cui disponi.<br />
L’importante è che i padroni di quelle orecchie usino la<br />
bocca solo con te e tu solo con me. Avrai salva la vita.<br />
– Cosa devono dirmi queste bocche?<br />
Battista si asciuga l’occhio rosso che ormai è una fiamma:<br />
– Voglio sapere perché Medina soffre tanto da parlare<br />
in versi, perché canta e dorme e poi canta ancora…<br />
– Ma sarà amore, solo amore.<br />
Il Capitano si alza, solleva dalla sedia il talattonese e gli<br />
sente odore di muffa:<br />
– Attento, Porfirio, potrebbe essere qualcosa di magico,<br />
oppure gli umori di Medina che si rimescolano, oppure<br />
nulla… Ma tu stai attento… L’impiccagione è poco,<br />
tu sai come togliamo la pelle a palazzo… e tu non moriresti<br />
come muore un santo che sorride agli scorticatori…<br />
non guarderesti Dio dritto negli occhi…<br />
77
– Non me lo dimenticherò, Capitano.<br />
– Siamo fatti di porcherie che vengono fuori continuamente,<br />
ma tu più di tutti…<br />
– Lo so, lo so.<br />
– Ora vattene, sei libero ma sorvegliato. Prendi aria e<br />
lavora.<br />
Porfirio esce dalla sala: i suoi occhi tondi non brillano e<br />
fissano tutto Talattone.<br />
I commercianti della città bassa lucidano i frutti: pomodori<br />
e peperoni luccicano. Le strade si riempiono di<br />
batuffoli bianchi che fanno starnutire, e i bambini li chiamano<br />
angioletti.<br />
La gente di Epipanormo, con quella bella luce e quel<br />
bel vento, si getta i peccati dietro le spalle e a Talattone li<br />
raccolgono. I peccati già usati sono molto diffusi nella<br />
città bassa; sono sempre gli stessi che la gente rigira. Capitan<br />
Xaxa lo sa bene ma meglio di lui lo sa Porfirio che li<br />
ammucchia e li mette in vendita in un modo che non si<br />
può rifiutare.<br />
Porfirio esce per strada e l’odore a palazzo migliora.<br />
* * *<br />
Medina svolazza da ore in giardino, ma ritorna sempre<br />
sul balcone da dove vede casa Redenti. Allora respira<br />
profondo e chiude gli occhi poggiandosi la mano sulla ferita.<br />
Non è forza umana<br />
che regna sovrana<br />
sul mio cervelletto<br />
78<br />
che brucia a dispetto<br />
del corpo che langue<br />
per chi del mio sangue<br />
ha visto il colore<br />
spezzandomi il cuore.<br />
La cinica adolescenza di Medina continua l’opera di<br />
distruzione fermentando il veleno dell’innamoramento<br />
in una quantità miracolosa. Non ha più voce e i versi se<br />
li fa girare per la testa dove l’ordine delle idee si sta disfacendo:<br />
L’acqua fresca della fonte<br />
vorrei ancora sulla fronte<br />
dispensata dalla mano<br />
del mio pallido sovrano.<br />
Mai i miei occhi da fanciulla<br />
sbarro ormai davanti al nulla.<br />
Il respiro di Medina non ritorna normale. Affanna e,<br />
qualche volta, un piccolo rantolo fa disperare la madre<br />
che vede più di tutti il margine lungo il quale la figlia cammina<br />
insicura.<br />
* * *<br />
Arriva il quinto tramonto di spavento per Capitan Xaxa<br />
e Medina non migliora. Anzi, la testa le si è così ingorgata<br />
che il dolore è incessante e suda. Suda tanto, un sudore<br />
senza sale e le guance hanno perso quell’aspetto di polpa<br />
rosa che faceva girare i ragazzi di Epipanormo. Sta a letto<br />
79
e si occupa soprattutto di respirare. Respirare, respirare,<br />
aria del giardino di Guglielmo. Vuole aria del giardino e<br />
nessuno gliela porta, perché?<br />
* * *<br />
Sottovoce, a palazzo:<br />
– Allora, Porfirio? – domanda Battista Xaxa senza tono<br />
di minaccia tenendosi un impacco di malva sull’occhio<br />
che gli brucia.<br />
– Non ho saputo nulla, Capitano. Ho solo un consiglio<br />
da riferirvi. Io parlo dal mio posto e voi ascoltate dal vostro.<br />
Poi deciderete.<br />
Porfirio gira la testa da poiana veloce intorno e Capitan<br />
Xaxa lo ferma:<br />
– Non c’è bisogno di minacce, vero? Sei un uomo intelligente…<br />
un talattonese, è vero, ma sai mettere le idee<br />
una dietro l’altra, vero? Quindi parla.<br />
Porfirio respira profondo, si decide e il naso rapace uncina<br />
l’aria:<br />
– Medina è capace di distruggersi da sola, sino da piccola<br />
ne era capace. Ora… scusate, Capitano… ora sta<br />
succedendo…<br />
Battista ringhia:<br />
– Cosa sta succedendo?<br />
A Porfirio appare in faccia la verità come non gli capita<br />
mai e gliela abbellisce un poco:<br />
– Succede che la distruzione è iniziata e non so come si<br />
ferma, non lo sa nessuno. I sensi di Medina sono molti,<br />
tanti che non ce li immaginiamo neppure. Il nasino? Voi<br />
avete detto che viene da lontano… Ecco, i sensi di Medi-<br />
80<br />
na vengono da ancora più lontano… dalle stelle, dal cielo…<br />
da lontanissimo…<br />
Porfirio non trema neppure quando Capitan Xaxa gli<br />
prende la gola tra le mani e continua deciso sottovoce:<br />
– È tutta forza dentro casa vostra… si agita, si ferma e si<br />
condensa… il vento non se la porta via… viene fuori da<br />
vostra figlia… e se la sta mangiando. Me lo ha detto Tebe<br />
la Monaca, voi la conoscete… Tebe la monaca di Talattone!<br />
Ve la ricordate, vero?<br />
Battista lascia il collo di Porfirio:<br />
– Dove vive ora?<br />
– Al Convento di Santa Vincolata.<br />
Tebe Mistrè ritorna chiara in mente a Battista Xaxa.<br />
La Confraternita feroce dei Ficcadenti l’aveva accusata<br />
di convivenza bestiale con i demoni dei boschi e lui, Battista,<br />
aveva ordinato l’arresto di Tebe.<br />
Il Capitano non ci ha mai creduto e le torture che aveva<br />
scelto per quella donna rosea e rotonda erano state le meno<br />
dure possibili. Al processo era riuscito a farla condannare<br />
soltanto al “mezzo dito”: un colpo d’ascia al mignolo:<br />
accorciato di due falangi. Pena pubblica, la condannata<br />
esposta in Piazza Maggiore per tre giorni.<br />
Solo che in tre giorni il mignolo era ricresciuto e tutti<br />
avevano pensato al diavolo.<br />
Ma, quando già stavano per appiccare il fuoco, il boia<br />
e il frate si erano accorti che il mignolo era, sì, ricresciuto<br />
ma con una falangetta di traverso e che aveva assunto<br />
la forma di un crocefisso. Tebe era quasi rimasta soffocata<br />
dall’incenso e dall’alito di centinaia di peccatori di Talattone.<br />
81
Da allora vive in clausura, autorizzata a mostrare solo il<br />
mignolo miracoloso attraverso una grata.<br />
82<br />
<strong>Ei</strong><br />
Si alzarono prima che il cielo leggero della Megaride<br />
cambiasse colore.<br />
Il pastorello Peante nella sua capanna si vestì, uscì sull’aia<br />
dove, come faceva ogni giorno da bambino, contò le<br />
pecore e il conto tornò.<br />
In una vera casa, all’interno del paese, si svegliò anche<br />
Nicteo e si avvicinò alla fonte per lavare il viso gonfio per<br />
il sonno profondo dei diciassette anni. Tutta la casa dormiva.<br />
Il monte Citerone era coperto da un lenzuolo bianco<br />
che era un buon segno perché quei vapori sarebbero diventati<br />
nuvolette per fare da scudo al sole.<br />
I due ragazzi mangiarono e si diressero verso il luogo<br />
concordato sulla riva del fiume. Da lì avrebbero seguito il<br />
fiume quasi sino alla foce.<br />
Sui due asinelli avevano caricato qualche mina di formaggio,<br />
fichi, pane e due otri d’acqua.<br />
Quando si incontrarono, in cielo si vedeva a oriente una<br />
piccola falce di chiarore.<br />
Senza parole, ma con l’emozione che gli faceva prudere<br />
le palme delle mani, iniziarono il cammino voltandosi a<br />
guardare ogni tanto il villaggio che si allontanava in un<br />
mare soffice di ulivi argentati.<br />
83
Nicteo e Peante erano due adolescenti riscaldati dall’età<br />
e dal sole, unici figli delle loro famiglie.<br />
Nicteo era figlio del commerciante Terambo, scappato<br />
da Atene vent’anni prima a causa della politica.<br />
Peante era solo figlio di un pastore, Picnòs, che era diventato<br />
il mezzadro di Terambo.<br />
Ma i due ragazzi erano cresciuti insieme, amici, tanto<br />
che avevano finito col sembrare gemelli nati dallo stesso<br />
uovo.<br />
Terambo, che veniva dalla città, aveva tenuto a far educare<br />
Nicteo, e Peante aveva partecipato anche lui alle lezioni<br />
del vecchio maestro Mitrone di Mileto. Così avevano<br />
acquisito una conoscenza straordinaria per due campagnoli.<br />
Un anno prima della loro fuga, era giunta al villaggio la<br />
notizia della morte per cicuta di un vecchio saggio. Nessuno<br />
aveva capito perché un vecchio, e per di più saggio,<br />
era stato messo a morte, ma tutti ne discussero a lungo.<br />
I commercianti portavano le notizie e Nicteo ascoltava<br />
quando gli raccontavano della città, delle piazze, dei teatri,<br />
dei bagni o dei mercati, come se ascoltasse un poema,<br />
una poesia, una melodia.<br />
Come? C’erano luoghi dove trovare spiegazioni a tutte<br />
le cose e loro, lui e Peante, se ne stavano lì e già gli spuntavano<br />
i primi peli?<br />
Ormai il vecchio maestro Mitrone aveva esaurito il suo<br />
sapere e i due ragazzi, con spavento, avevano notato che<br />
ricominciava da principio.<br />
Lo stesso Peante che raggranellava la sua conoscenza<br />
stando al fianco dell’amico - anche se il padre pastore era<br />
84<br />
contrario - da molto tempo pensava a luoghi dove imparare,<br />
vedere e capire quello che dalle sue pecore non riusciva<br />
a sapere.<br />
Così, quando a Nicteo era venuta in testa l’idea della fuga,<br />
Peante, che in genere era il freno del compagno, aveva<br />
accettato la proposta.<br />
Viaggiavano soli e pensierosi per i rimorsi e la paura, in<br />
una giornata di sole sopportabile a quest’ora fresca e per<br />
il fiume vicino, sbatacchiati dagli asini al trotto. Ma Nicteo,<br />
quando il villaggio non fu più visibile, non resisté più<br />
al voto del silenzio che avevano pattuito per evitare pentimenti.<br />
– Per mio padre io non sarei pronto all’esperienza della<br />
città. Dice che in città c’è troppa eguaglianza, che nessuno<br />
deve cedere il passo a nessuno, dice che persino i cavalli<br />
e gli asini credono di avere dei diritti in città. Secondo<br />
lui sapere le cose troppo presto può nuocere. Ma cosa dovrei<br />
aspettare? Di avere trent’anni e una moglie che non<br />
mi farebbe partire per vedere le cose che nel nostro villaggio<br />
non vedremmo mai? E perché non dobbiamo sentire<br />
le idee di tanti grandi uomini che stanno nelle città?<br />
– Ma perché, secondo te, questi grandi uomini si prendono<br />
la briga di insegnare la propria conoscenza? Se la<br />
tenessero per sé, diventerebbero ricchi, – osservò Peante<br />
con la voce spezzettata dal trotto dell’asino.<br />
– Proprio perché sono superiori! Le idee sono infinite,<br />
Peante. Appena prodotto un grande pensiero lo spiegano<br />
a noi, lo lasciano in eredità, e subito dopo sono già al<br />
lavoro per produrne un altro. Perciò sono grandi, ecco.<br />
– Comunque non faranno tutto da soli.<br />
85
– Sono gli dèi a scegliere!<br />
– Il nostro Mitrone ha imparato tutto a Mileto da altri<br />
uomini, non dagli dèi.<br />
– Gli dèi, però, hanno voluto che nascesse a Mileto. Lui<br />
ci ha sempre detto di avere imparato dai sacerdoti del<br />
gran Re persiano.<br />
– Vedi che da soli non ce la fanno, vedi?<br />
Continuarono a discutere sino a che il cielo diventò<br />
bianco per il calore. Si fermarono in un boschetto pieno<br />
di uccellini esaltati dalla bella giornata che esaltava anche<br />
Nicteo:<br />
– Sembra di sentire il flauto di Pan nelle campagne deserte.<br />
È a quest’ora che esce per rallegrare la campagna<br />
addormentata dal caldo.<br />
– Io sento solo i passeri che cantano, – disse Peante.<br />
Nicteo si infastidì:<br />
– La fantasia è importante! Serve a vivere meglio! È la<br />
fantasia che ci ha spinto a scappare… Senza fantasia siamo<br />
come gli animali! Ecco! – E ripeté come un bambino:<br />
– Ecco!<br />
– Sì, ma bisogna tenerla distinta dalla realtà. Certo che<br />
se ti intestardisci a credere che il vento che muove le cime<br />
dei cipressi è il suono del flauto, alla fine ti convinci. Ma se<br />
poi cerchi il flauto per suonarlo, allora le cose cambiano.<br />
Ripresero il viaggio, tutto scossoni per il passo disordinato<br />
degli asini, sino a sera. La notte, meno disponibili alla<br />
discussione ma contenti della loro saggezza e del coraggio,<br />
precipitarono in un sonno agitato da qualche rimorso<br />
portato dal buio e intorno gli danzarono sino all’alba<br />
i genitori offesi e la barba del precettore.<br />
86<br />
* * *<br />
Era sera e il cielo già viola.<br />
– Ancora ragazzi! Ma è una mania qui a Mègara! Non<br />
ho stanze libere! Tutti in questa città riuniti per parlare,<br />
parlare! Non si cambia il mondo a parole!<br />
Nicteo e Peante pensarono di cercare un’altra locanda<br />
ma una giovane bruna, con la stessa faccia rotonda dell’oste<br />
e una bella pelle, gli disse sottovoce:<br />
– Non badateci, mio padre è contrario alla nuova sapienza<br />
che, dice lui, porterà il paese alla rovina. Ma io so<br />
che senza i nuovi saggi qui sarebbe vuoto e le cucine spente.<br />
Da quando è morta mia madre sono io che mi occupo<br />
delle faccende da donne nella locanda. Mi chiamo Etilla.<br />
Nicteo si rivolse all’oste Trittolemo attento all’effetto<br />
delle parole sulle facce tonde del padre e della figlia:<br />
– Vorremmo un alloggio semplice e poco caro perché,<br />
come vedete, siamo giovani di poche possibilità. Però siamo<br />
onesti e rispettosi, come ci è stato insegnato dai nostri<br />
genitori e dal nostro maestro Mitrone.<br />
– Educati all’antica! Bene! – disse Trittolemo: – Non se<br />
ne sentono più così ben educati! Etilla, accompagnali<br />
nella loro camera e poi prepara da mangiare.<br />
Sistemate le loro cose, Nicteo e Peante scesero in giardino<br />
dove la giovane aveva apparecchiato e si avventarono<br />
sul cibo interrompendo di masticare solo per bere e rimandando<br />
a dopo cena le attività del cervello.<br />
Alla loro destra, illuminato dalle torce, seduto sulle radici<br />
di un ulivo, stava un uomo di mezza età, dall’aspetto<br />
curato. Fissava i due giovani.<br />
– Buona sera, signore, scusateci se non vi abbiamo salu-<br />
87
tato ma la stanchezza e la fame ci hanno distratto, – disse<br />
Nicteo.<br />
– Buona sera, signore, scusateci, – disse Peante a bocca<br />
piena.<br />
L’uomo ricambiò:<br />
– Mangiate e riposate. Ci vedremo sicuramente domani.<br />
Dedicate questa notte alla cura del corpo perché la<br />
mente poi sia luminosa come si deve.<br />
* * *<br />
Svegli dall’alba i due ragazzi innamorati della conoscenza<br />
chiesero notizie a Etilla sull’uomo della sera prima.<br />
La faccia rotonda della ragazza sembrava un buon<br />
augurio:<br />
– Si chiama Echecrate e lo troverete nel campo di Enope.<br />
L’assemblea li ha sistemati là i maestri.<br />
– Quello era un maestro? – domando Nicteo.<br />
– Sì, viene spesso a mangiare da noi. Si siede mangia e<br />
poi resta là a pensare. Prepara le idee per il giorno dopo.<br />
Il colle di Enope lo trovarono fuori città, tutto lecci, erba<br />
e ombre. Maestri e alunni erano divisi in gruppi, alcuni<br />
in movimento, altri fermi intorno alla propria guida<br />
che occupava un posto più elevato, era vestita di bianco e<br />
aveva il privilegio di un angolo fresco e ventilato. Nicteo<br />
e Peante si sentirono improvvisamente estranei e pensavano<br />
di ritornare alla locanda quando gli venne incontro<br />
l’uomo salutato la sera prima a cena:<br />
– Avanti, avanti! Due giovani che vengono da lontano<br />
troveranno nel campo sacro di Enope una ricompensa. È<br />
sicuro! Io sono Echecrate.<br />
88<br />
Nicteo, stordito dall’accoglienza, attinse alle formule<br />
migliori che la sua famiglia gli aveva insegnato e, sudato<br />
per la vergogna, inspirò profondo e disse a tutto il gruppo<br />
che si era radunato intorno:<br />
– Grazie, grazie! Noi veniamo da un villaggio piccolo<br />
della Megaride sul fiume che nasce dal monte Citerone e<br />
vorremmo migliorare le nostre conoscenze da paesani.<br />
Lui è Peante e anche lui è qui per capire qualcosa di più<br />
sull’universo, su quello che lo muove…<br />
– E, se è possibile, per sapere cosa ci stiamo a fare in<br />
questo bellissimo mondo e se è stato fatto per noi e per le<br />
creature che ci vivono come noi… – aggiunse Peante.<br />
Tutti sorrisero e ai due amici sembrò di avere trovato il<br />
luogo giusto: la sicurezza bonaria di Echecrate e di tutti<br />
gli altri sembrava volere dire che loro le risposte le avevano<br />
già trovate. Echecrate condusse i due ragazzi, tenendogli<br />
le mani sulla nuca, in uno spiazzo ombroso davanti<br />
al più vecchio dei maestri:<br />
– È Pericleto, studia la geometria degli astri. Avvicinatevi.<br />
Il ricercatore tremava e fissava un punto all’infinito:<br />
– Benvenuti, come vi chiamate?<br />
– Io mi chiamo Nicteo.<br />
– Sei Nicteo della stirpe nobile? Fratello di Lico e figlio<br />
di Irieo e di Clonia? Anche se la storia confonde due Lico,<br />
uno figlio di Poseidone e di Alcione, facendo così Nicteo<br />
figlio di Celeno e Poseidone. O sei discendente di Ctonio<br />
che generò Nicteo e Lico dopo aver ucciso Flegia?<br />
Nicteo non trovò il coraggio di rispondere.<br />
Peante non vide nessun alone intorno a Pericleto e disse:<br />
89
– Il mio nome è Peante e mio padre è un pastore con<br />
duecentoventitre pecore mentre il padre del mio amico è<br />
un commerciante di granaglie con una bella casa, almeno<br />
per il nostro paese.<br />
Echecrate si occupò ancora dei due. Nicteo lo ringraziava:<br />
– Come avremmo fatto senza di voi! Che gentilezza ci<br />
avete usato! Come potremmo mai ricambiare?<br />
Echecrate accarezzò le guance rosse dei suoi protetti.<br />
– Prendete almeno un po’ del nostro pane e formaggio,<br />
– disse Peante.<br />
Nicteo lo sgomitò:<br />
– Come vuoi che gli interessi il nostro pane e formaggio?<br />
Echecrate, invece, si dimostrò interessato:<br />
– L’anima sanguinaria del pastore e quella placida del<br />
contadino, il formaggio e il pane!<br />
Addentò il dono e disse:<br />
– Vedete, il vostro maggior tesoro è la giovinezza incorrotta.<br />
L’apprezzare bellezza e gioventù non è segno di superficialità<br />
e poca profondità di pensiero. Quelli che sostengono<br />
il contrario, sono proprio loro vuoti e poco riflessivi.<br />
Nicteo sbalordì per il pensiero: lui aveva sempre ritenuto<br />
il contrario ma pensò che era influenzato dal suo<br />
paese di poveri pastori.<br />
– A nostro avviso, – proseguì il saggio, – chi si preoccupa<br />
per il proprio corpo si preoccupa anche per la propria<br />
anima, perché le due cose in vita sono una sola cosa. Se è<br />
vero che l’invecchiamento prelude alla morte è vero pure,<br />
per conseguenza, che tentare di evitarlo con la ginna-<br />
90<br />
stica, la frugalità a tavola è una forma di riflessione sulla<br />
caducità dei nostri doni. Disprezzarli trascurandoli, i doni<br />
dico, sarebbe disprezzare il creato e l’opera degli dèi:<br />
quindi si peccherebbe di empietà. E dalla paura dell’invecchiamento<br />
deriva, se voi collegate tutti gli anelli del<br />
ragionamento, una naturale e potentissima attrazione di<br />
ciò che è vecchio verso ciò che è giovane.<br />
Nicteo e Peante ascoltavano e riflettevano. Finalmente<br />
la conoscenza! Forse anche loro un giorno trasmetteranno<br />
in questo modo la conoscenza ad altri giovani e questi,<br />
poi, ad altri!<br />
Echecrate completò l’opera di stupefazione:<br />
– Per esempio, voi due adolescenti, per nulla alterati da<br />
giorni di viaggio sotto il sole, neppure sfiorati dalla stanchezza,<br />
dalla sete e da tutto quello che segna un vecchio,<br />
siete voi stessi il più perfetto spettacolo che la natura mette<br />
davanti ai miei occhi e paragonabili alla perfezione del<br />
cielo, della luce e delle acque.<br />
Malizia non ce n’era fra le provviste che i due ragazzi<br />
avevano caricato sui loro asini e Peante guardò Nicteo<br />
cercandovi tutta quella perfezione. Ma Echecrate li prese<br />
per mano e disse ancora:<br />
– Qui troverete tutto quello che cercate ma, vi avverto,<br />
dovete abbandonare ogni pregiudizio e prepararvi a mettere<br />
in discussione tutto ciò che avete appreso sino ad oggi,<br />
dimenticando tutto quello che sino ad ora avete ritenuto<br />
ovvio.<br />
* * *<br />
Da circa quaranta giorni Nicteo e Peante andavano<br />
91
ogni giorno alla scuola dove, con cura affettuosa, Echecrate<br />
faceva loro da guida e da maestro presentandoli,<br />
spiegando e indirizzandoli.<br />
Una mattina, all’ombra di un leccio, seduti tra le radici,<br />
Peante e Nicteo discutevano:<br />
– Vedi, Nicteo, se mio padre sapesse che l’amore, siccome<br />
è bontà, non ha limiti tra gli esseri viventi, chissà cosa<br />
direbbe. Anch’io ho difficoltà. Sarà così che sono nati i<br />
mezzo-uomini e mezzo-animali? Da un amore senza limiti?<br />
Lo devo chiedere a Echecrate.<br />
– Qui, caro Peante, non ci sono confini! Dove la mente<br />
arriva non si ferma e continua a cercare, continua…<br />
– Già, ma devo farti una confidenza, tutto questo pensare,<br />
ma il perché non lo so, mi sta facendo provare una cosa<br />
mai provata prima: sono agitato. Io non avevo mai pensato<br />
alla mia fine, sapevo che ci sarebbe stata e mi bastava.<br />
Adesso, non ci crederai, mi ossessiona, è un chiodo. Povero<br />
corpo mio destinato al decadimento, alla morte e alla<br />
putrefazione.<br />
– Ma l’anima, l’anima resta! Hai sentito Echecrate? Ti<br />
sopravvive! Di cosa ti preoccupi?<br />
– Bella consolazione! L’anima! Inutile che ci chiediamo<br />
dov’è, l’ha detto anche lui… potrebbe essere in qualunque<br />
parte… Il fatto è che sono triste e che me ne tornerei<br />
alle pecore se mi facessero dimenticare… ma neanche loro<br />
ci riuscirebbero. Sono diventato intelligente di colpo?<br />
Ha ragione tuo padre: bisogna imparare lentamente.<br />
Nicteo si stese sorridente sull’erba:<br />
– A me, invece, consola l’immortalità della mia anima…<br />
Io sono la mia anima… Siamo eterni, Peante, siamo eterni!<br />
Coraggio!<br />
92<br />
Così discutevano a pancia all’aria i due amici e quando<br />
arrivò Echecrate si zittirono.<br />
– Io vi metto a disagio? Perché avete taciuto al mio arrivo?<br />
Non avete fiducia nel vostro maestro? Dobbiamo<br />
avere confidenza totale su ogni argomento, nessuna vergogna,<br />
se vogliamo che il sapere diventi profondo. Io accrescerei<br />
insieme a voi la mia conoscenza dell’essere. Capite?<br />
A queste parole Nicteo si sentì promosso ad un mondo<br />
di uomini superiori che, per ora, gli accordavano fiducia:<br />
un giorno, magari, avrebbe potuto farne parte. Si inginocchiò<br />
davanti a Echecrate baciandogli le mani. Il sapiente<br />
lo abbracciò a lungo e a Peante disse:<br />
– Vieni, Peante, dimostrami anche tu il tuo affetto.<br />
Il pastorello sentiva chiara l’agitazione di cui aveva parlato:<br />
– Io, maestro, vi sono grato, anzi, gratissimo, ma a dire<br />
la verità non sono ancora abbastanza disinvolto… Certo,<br />
certo è colpa mia e l’abitudine a frequentare le bestie ha<br />
reso un po’ bestia anche me.<br />
E sfuggì all’abbraccio.<br />
* * *<br />
Nicteo e Peante pensarono che due giorni in meno di<br />
scuola e conoscenza non sarebbero stati un grande peccato<br />
quando Etilla, una sera, con la faccia più rosa e rotonda<br />
del solito, aveva proposto ai ragazzi un viaggio in compagnia<br />
sua e del padre al mercato di Nisea, sul mare.<br />
Nisea era vicina e i quattro arrivarono, seguendo la muraglia<br />
che la collegava a Mègara, con carro, cavallo e asini<br />
93
davanti al mare azzurro e tanto luccicante quella mattina<br />
che non lo si poteva guardare.<br />
I due amici non avevano mai respirato l’aria marina e si<br />
sentivano strani.<br />
Mentre Trittolemo e Nicteo, curioso di conoscere una<br />
nuova città e i suoi abitanti, combinavano affari al centro,<br />
Etilla e Peante passeggiavano e saltellavano tra gli scogli.<br />
Peante aveva già provato quel rimescolamento vicino<br />
alla pelle di una donna, ma non ne aveva mai toccato una.<br />
Si sentì soffocare dalla voglia di abbracciarla. Provò a tenerle<br />
la vita e quando si accorse che lei si appoggiava gli<br />
mancarono le gambe e si appoggiò ancora di più a Etilla<br />
che era incandescente.<br />
“Ha la febbre,” pensò. “Dicono che qui è frequente a<br />
causa delle paludi.”<br />
Scapparono in mezzo agli alberi e Peante, guidato dalle<br />
sue poche conoscenze che si riducevano all’aver visto<br />
le sue pecore accoppiarsi - e alle pecore si ispirò - ci mise<br />
tanta energia che produsse un’estasi quasi mistica in<br />
Etilla la quale, ma di questo Peante non si rese conto,<br />
nella successione dei fatti non aveva dimostrato nessuna<br />
incertezza.<br />
Il giorno seguente l’oste disse:<br />
– Peante, oggi spetta a te vedere la città.<br />
Senza protestare per non insospettire l’amico, accettò<br />
l’invito col cuore come un chicco d’uva passa.<br />
Mentre Trittolemo e Peante, che si girava continuamente<br />
a salutare, si allontanavano, Nicteo diceva:<br />
– Cara Etilla, viaggiare è meraviglioso, quante cose si<br />
apprendono! Io voglio conoscere il mondo, sino a Babilo-<br />
94<br />
nia, voglio conoscere gli uomini, riflettere e capire i loro<br />
dèi. Non potrò mai ringraziare abbastanza Echecrate…<br />
– E me? A me non devi nulla?<br />
– Beh, certo, anche a te, – rispose stupito. – Ma è diverso…<br />
Noi siamo due giovani e le cose sono diverse tra i<br />
giovani.<br />
– Ma con chi stai meglio, con me o con Echecrate?<br />
– Insomma, Etillina cara…<br />
– Come mi hai chiamato? Come hai detto?<br />
Lei si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla nuca accarezzandolo.<br />
Anche Nicteo provò le forze che regolano il mondo.<br />
Perse la parola e il fiato e anche lui pensò che Etilla avesse<br />
la febbre delle paludi.<br />
L’indomani tornarono a Mègara col carro carico affiancato<br />
da Nicteo e Peante a dorso d’asino che non smettevano<br />
di parlare.<br />
* * *<br />
Ripresero la loro vita e trascorsero alcuni mesi durante i<br />
quali il bagaglio di sapienza aumentò caricandosi di conoscenze<br />
che arrivavano da tante direzioni diverse.<br />
Etilla continuava a dividersi, mantenendosi fresca e innocente,<br />
fra Nicteo e Peante. Nessuno dei due aveva il coraggio<br />
di confidarsi con l’altro per paura di procurargli<br />
dolore.<br />
Ma una di quelle sere un poco melanconiche che segnano<br />
la fine della bella stagione, Nicteo, più sentimentale<br />
del solito, disse all’amico:<br />
– Peante, è il mese di Boedromion, il sole se ne va prima<br />
95
e una certa tristezza, chissà perché, mi fa parlare della<br />
dolce Etillina…<br />
– Dolce Etillina?<br />
– Sì, di lei: insomma, Peante, credo di amarla e che anche<br />
lei mi ami!<br />
Peante restò zitto per qualche minuto, con la mascella<br />
che pendeva, mentre Nicteo lo fissava in attesa:<br />
– Nicteo, non so cosa pensare! Anche io credo che Etilla<br />
mi ami e anche io credo d’amarla! Facciamo l’amore<br />
ogni giorno da tre mesi.<br />
– Come sarebbe “ogni giorno”?<br />
– Beh, quasi, e, comunque, spesso. E poi cosa cambia<br />
se è ogni giorno o no?<br />
– Dunque tu mi hai nascosto tutto questo per tanto<br />
tempo?<br />
– E tu allora?<br />
– Basta! Ma dove è cominciato?<br />
– A Nisea.<br />
– Anche tu?<br />
– Non dirmelo…<br />
E continuarono a parlare sempre più disgustati dal<br />
comportamento di Etilla, trascurando di disgustarsi di sé<br />
che profittavano della bontà di Trittolemo il quale non<br />
esigeva più nessun compenso dai suoi due ospiti che trattava<br />
come nipoti.<br />
Non la salutarono più ma per questo Etilla non si sentì<br />
offesa, tanto più che da alcuni giorni aveva conosciuto un<br />
ragazzo di Eleusi, campione di pugilato della città, con<br />
una vaga espressione da cavallo che alla ragazza piaceva<br />
tanto. Di notte lo ospitava nella sua stanza, di giorno lo<br />
nutriva e lo accudiva.<br />
96<br />
Nicteo e Peante, taciturni e nervosi, frequentarono di<br />
più il campo di Enope, e Echecrate fu contento.<br />
* * *<br />
Un giorno Echecrate, che sorvegliava sempre i suoi due<br />
allievi, trovò Nicteo nella sua camera solo e ancora addormentato.<br />
Lo svegliò accarezzandolo e il ragazzo, contento che<br />
qualcuno si occupasse affettuosamente di lui, gli fece un<br />
bel sorriso:<br />
– Buongiorno, maestro! È tardi o passavate da queste<br />
parti e avete avuto la gentilezza di venirmi a trovare?<br />
– Ti invito a casa mia, dove mia moglie Ciane ci preparerà<br />
un bagno e poi ci darà latte di capra fresco. Vestiti,<br />
Nicteo, così sei uno scandalo.<br />
– Uno scandalo?<br />
– Scherzo, cosa c’è di scandaloso in un giovane nudo di<br />
primo mattino? È normale che sia in questo stato, sei bellissimo,<br />
ogni tuo angolo è bellissimo.<br />
E lo accarezzò in ogni angolo dicendo:<br />
– Così sarai ben sveglio quando arriviamo a casa. Ci sono<br />
dei punti nel nostro corpo che tu devi conoscere meglio.<br />
Quando arrivarono a casa dello studioso, intravidero<br />
soltanto la moglie che salutò, squadrò il ragazzo e si ritirò.<br />
Echecrate spogliò in silenzio l’allievo e lo aiutò a immergersi<br />
nel bagno, lo lavò con cura e lo asciugò a lungo.<br />
Nicteo pensò ai genitori - ci pensava poco negli ultimi<br />
tempi - e disse:<br />
97
– Grazie, maestro, per quello che fate per me.<br />
– Ormai sei il figlio che non ho mai avuto e sarebbe un<br />
dolore grande se la tua fiducia venisse meno adesso. Perché<br />
tu hai fiducia, vero? Qualsiasi cosa io faccia tu avrai<br />
fiducia in me, giuralo sugli dèi.<br />
Nicteo giurò e capì che era arrivato il momento. Non sapeva<br />
bene di che cosa si sarebbe trattato ma sarebbe certamente<br />
servito a farlo entrare in un mondo nuovo, sempre<br />
più lontano dal suo paese e lontano anche da Etilla.<br />
– Il tuo maestro può avvicinarsi? Sei fatto come un dio!<br />
– Non ho giurato di avere fiducia?<br />
Echecrate iniziò senza impazienza. Disse solo:<br />
– Vedi? Basta sfiorarti e guarda cosa ti succede!<br />
Poi non parlò più. Per Nicteo non ci fu nulla di doloroso<br />
ma quanto a sentire piacere non fece paragone con la<br />
vertigine che Etilla gli provocava ogni volta. Però Echecrate<br />
lo consolava, corpo e anima, e dopo si sentì sereno,<br />
ripulito e rivestito dallo stesso maestro che lo aveva adottato<br />
e nel cui cuore, lo sentiva, lui occupava un posto importante.<br />
Il precettore gli portò del cibo, Nicteo mangiò e, stanco<br />
per le troppe novità, si addormentò.<br />
* * *<br />
Da molti giorni aspettavano l’arrivo del filosofo più celebre<br />
delle colonie orientali, Menecteo di Efeso.<br />
Peante, solitario perché il suo amico trascorreva poco<br />
tempo con lui e molto col suo pedagogo, era seduto sotto<br />
il pergolato dell’ostello quando vide un bel carro trainato<br />
da due piccoli cavalli neri. Coricato sui bagagli c’era un<br />
98<br />
uomo scuro, sulla quarantina, coi capelli raccolti, mentre<br />
guidava il carro una donna più matura.<br />
Etilla uscì dalla cucina e si inchinò:<br />
– Signori, benvenuti.<br />
– Veniamo da Atene. Il viaggio è stato faticoso. Vogliamo<br />
alloggio e cibo. Quanta polvere!<br />
– Siete forse Menecteo di Efeso?<br />
– Sì, – disse l’uomo guardando la faccia rotonda della<br />
ragazza, – e questa donna impolverata è mia sorella Pitone.<br />
Peante sussultò: Un sapiente più sapiente degli altri!<br />
Cominciava ad averne abbastanza - in certi momenti la<br />
nostalgia per il padre Picnòs e per le pecore diventava una<br />
punizione - però capiva che la conoscenza poteva strapparlo<br />
al suo stato di pastore, magari con sofferenza, per<br />
farlo vivere di sole idee nel più semplice e elevato dei modi.<br />
La sorella del pensatore provvedeva a scaricare i bagagli<br />
e Peante, sempre solidale con chi usava il corpo per faticare,<br />
si offrì di aiutarla giacché la vispa Etilla si era presa<br />
cura di Menecteo che chiedeva informazioni sulla città.<br />
– Bravo ragazzo, grazie! Finalmente qualcuno che fa<br />
qualcosa di concreto, – disse la donna trascinando una<br />
sacca. – Devi sapere che da qualche tempo mio fratello è<br />
triste perché dice che il suo pensare e pensare non è utile<br />
a nessuno. Io lo so che non è vero, però a Efeso ne sono<br />
successe di tutti colori senza che i pensieri di Menecteo<br />
abbiano cambiato le cose di una sola virgola.<br />
Continuava a parlare e Peante pensò che c’era sale in<br />
quello che diceva.<br />
– Grazie, ragazzo, si vede che non vieni dalla città.<br />
– Io e il mio amico Nicteo, che in questo momento non<br />
99
è qui, siamo scappati dal nostro villaggio per sentire i sapienti<br />
del campo di Enope. Sentire la parola del filosofo<br />
più celebre delle colonie d’oriente sarà una gioia doppia,<br />
proprio perché non l’avevamo prevista.<br />
Pitone si fermò per asciugare il sudore:<br />
– Fate bene, tu e il tuo amico, a cercare conoscenza, ma,<br />
– e abbassò il tono della voce, – non è nella filosofia che<br />
troverete soddisfazione. Mio fratello è un genio, su questo<br />
non c’è dubbio, e poi lo dicono tutti. Dovreste vedere<br />
con quale rispetto gli si rivolgono. Adesso c’è rispetto per<br />
i sapienti in questo paese. Ma quando si tratta, non dico di<br />
decidere una guerra, ma anche solo di costruire un porto<br />
o una strada, di distribuire il denaro pubblico eccetera eccetera,<br />
beh, allora mio fratello vale meno di uno zero. E ne<br />
soffre, meschinetto. In confidenza, sta cercando da anni<br />
di ottenere una carica pubblica e non ci riesce. Ora la situazione<br />
si è complicata e staremo qui un bel pezzo.<br />
Guardalo, ora sta sicuramente pensando a quello che ti<br />
ho detto.<br />
Peante si rattristò tutta la sera dopo questo discorso. La<br />
confusione aumentava. Apprendere che la forza del pensiero<br />
non era sufficiente a mettere armonia nelle cose degli<br />
uomini gli toglieva la forza.<br />
Nicteo tornò tardi anche quella sera senza voglia di parlare.<br />
* * *<br />
Per molti mesi, tutte le mattine, i maestri si riunivano e<br />
la sapienza continuava a travasarsi dalle teste dei saggi a<br />
quelle degli allievi.<br />
100<br />
Nicteo viveva con Echecrate, dormiva nella sua casa,<br />
mangiava con lui e andava alla scuola stando al fianco del<br />
suo maestro.<br />
Peante non comprendeva bene ma non si preoccupava.<br />
Era infatti tutto preso a seguire i discorsi di Menecteo<br />
sempre sotto la stessa quercia, ascoltato da un numero<br />
sempre più grande di ragazzi. La sera rifletteva su quello<br />
che aveva sentito la mattina. La notte dormiva ma solo<br />
dopo aver spiato dentro la stanza di Etilla che, da qualche<br />
tempo, era triste per la partenza del giovane di Eleusi.<br />
La ragazza, in una bella notte di plenilunio, fredda e<br />
secca, si affacciò alla sua finestra con un’espressione infelice<br />
e vide Peante arrampicato a un albero che la guardava.<br />
Etilla sorrise e, di lontano, allargò le braccia come ad<br />
accoglierlo. Peante, a vedere quella faccia rotonda come<br />
la luna, riprovò la stessa agitazione profonda di sempre,<br />
scivolò tra i rami graffiandosi dappertutto e saltò nella<br />
camera della giovane la quale confermò da vicino quello<br />
che aveva promesso da lontano.<br />
* * *<br />
Un giorno Menecteo non venne alla scuola. Tutti si domandarono<br />
perché. Così Peante, solo solo perché Nicteo<br />
se ne stava con Echecrate, tornò alla locanda sperando di<br />
trovare Etilla libera. Ma la ragazza non c’era e nel loggiato,<br />
coricato su un tappeto, con gli occhi chiusi c’era addirittura<br />
Menecteo che respirava pesante.<br />
– Chi è là? – chiese aprendo un solo occhio. – Ah, sei tu,<br />
ragazzo, Pitone mi parla spesso di te.<br />
Peante era emozionato.<br />
101
– Vieni avanti! Eri preoccupato perché non mi hai visto<br />
al campo di Enope? Come sei caro! Sei venuto a informarti!<br />
Ma che garbato! Hai sentito ieri il mio discorso sul<br />
paese dei Cimmeri dove non sorge mai il sole e la mia<br />
spiegazione alla leggenda?<br />
– Sì, signore. Avete detto che in realtà si tratta di minatori<br />
schiavi e che su di essi fanno la guardia Gerione e le<br />
Gorgoni che vegliano sull’arricchimento di pochi.<br />
– Bravo!<br />
– E che non è vero che il sole inizia ogni giorno da lì il<br />
suo cammino notturno. Ho imparato la trigonometria<br />
che spiega anche il viaggio del sole.<br />
– Un allievo perfetto! Ma io tra qualche mese ripartirò<br />
ad Atene… e allora? Come farai? Tu potresti seguirmi,<br />
l’Assemblea mi ha concesso una parte del terreno sacro<br />
vicino alla città… che te ne pare?<br />
– È troppo per un pastore.<br />
– Un pastore? Ma è meraviglioso che il tuo desiderio di<br />
conoscenza superi così le difficoltà che derivano dal tuo<br />
stato!<br />
Peante diventò rosso e, in particolare, le orecchie che si<br />
infiammarono da fargli male.<br />
– Così timido in un’epoca di arroganti e violenti! Avvicinati!<br />
Dimmi, hai già avuto altri maestri o sono io il primo?<br />
– Il primo.<br />
– Il primo? Mai avuto un vero maestro? Avvicinati, avvicinati.<br />
Lo prese per mano e lo condusse oltre l’orto guardandosi<br />
intorno con circospezione.<br />
Dopo, mentre si lavava, gli domandò:<br />
– Come ti chiami? Ho sentito parlare di te, te l’ho detto,<br />
102<br />
ma non ricordo il nome: Triante, Creante, qualcosa del genere.<br />
– Peante, mi chiamo Peante.<br />
– Bene, caro Peante, quello che è successo fra noi non<br />
ha di per sé un significato, né buono, né empio. Può averlo<br />
a seconda del nostro comportamento futuro.<br />
Il giovane si sentì umiliato per il fatto che tutto fosse<br />
successo senza che quell’uomo sapesse il suo nome e ancora<br />
più offeso dal fatto che il maestro non attribuisse<br />
nessun significato a quello che era successo.<br />
– Ma come? – singhiozzò: – Gli ho offerto il mio corpo<br />
con buona grazia e lui… non sa proprio come si tratta un<br />
ragazzo. E io che pensavo…<br />
Una vergogna.<br />
* * *<br />
Il giorno dopo, al risveglio, Peante sentiva un’umiliazione<br />
che sommava bruciore a bruciore. Decise di raccontare<br />
tutto a Nicteo. Andò alla scuola ma non lo trovò. Si diresse<br />
verso casa di Echecrate dove il suo amico era occupato<br />
nel compenso al suo pedagogo e attese pazientemente.<br />
Fu difficile per Peante confessare l’errore all’amico. Lo<br />
chiamò inciampo, cedimento, debolezza e in tanti altri modi<br />
ma il succo era che non se ne capacitava e non riusciva<br />
a darsi pace. Ancora più difficile fu per Nicteo, colpito<br />
dalla sincerità del compagno, confessare un comportamento,<br />
il suo, che durava da mesi.<br />
Ma parlarne fu una purga miracolosa, un balsamo divino.<br />
– Ti immagini cosa direbbero i nostri venerabili genitori…<br />
e Mitrone… e i nostri amici?<br />
103
Rifletterono per la prima volta che il dolore non è condivisibile.<br />
Ciascuno, pensarono, soffre per conto proprio<br />
e non ricava sollievo dal condividere una pena con altri.<br />
Fu una riflessione precoce, considerata la loro età, ma utile,<br />
e non la dimenticarono.<br />
Cominciavano davvero a fare da soli.<br />
Decisero di lasciare Mègara, ma non sapevano dove andare:<br />
non erano delusi dalla filosofia, erano delusi di sé.<br />
– Se poi penso che questa conoscenza cambia continuamente,<br />
come dice Menecteo, mi viene una rabbia… – si<br />
torturava i capelli: – Per una cosa che cambia senza sosta e<br />
che tra un po’ non è più la stessa noi abbiamo…<br />
– Non parlarne, Peante, e non nominare nessuno di<br />
questi… almeno per un po’, ti prego.<br />
Restarono a lungo in silenzio mentre passeggiavano in<br />
campagna, lontani dal campo di Enope.<br />
Al tramonto rientrarono in città con una decisione chiara<br />
nella testa.<br />
– Solo dagli dèi ci verrà una risposta, Peante!<br />
– Sì, solo gli dèi ci forniranno un antidoto al dolore e<br />
una risposta alle domande che abbiamo in testa. Sai cosa<br />
ho imparato qua?<br />
– Non so, amico mio. Tante cose, immagino.<br />
– Ho imparato a farmi domande. Sono arrivato a Mègara<br />
che ne avevo due o tre in testa: una sul mondo, una su di<br />
noi e una sulle pecore. Adesso di domande ne avrei almeno<br />
cento da fare, mi si sono moltiplicate nel cervello come<br />
le locuste.<br />
Nicteo si fermò, sorrise e sussurrò a occhi chiusi:<br />
104<br />
– Delfi!<br />
Il cielo era stellatissimo.<br />
– Delfi! – ripeté Peante.<br />
Delfi, certamente! Da lì partiva in tutte le direzioni la<br />
luce degli dèi che avrebbe illuminato anche loro e là diressero<br />
i musi dei loro asini a notte fonda dopo una preparazione<br />
rapida e furtiva. Sparirono nel buio che cancellava<br />
bruciori e ricordi.<br />
105
III<br />
La luce del convento entra costretta attraverso una feritoia<br />
e fa da meridiana alle donne in clausura.<br />
– Tebe, che forza consuma mia figlia? Che forza c’è a<br />
casa mia?<br />
Tebe mostra il suo mignolino mostruoso, bianco e con<br />
tre unghiette, attraverso la grata:<br />
– Capitano, a me lo chiedi? Io sono chiusa qui a causa<br />
di forze che non conosco. Non so cosa abbia fatto ricrescere<br />
questo dito. Me lo domando da dieci anni. Sarebbe<br />
stato meglio con nove dita ma a casa mia. Mi ricordo la<br />
puzza del porto come il più buono dei profumi… Talattone<br />
è il paradiso per me… E quante volte ho chiesto alla<br />
stessa forza che mi ha fatto crescere questo crocefisso di<br />
carne di farmelo cadere, di farmelo mangiare dai topi del<br />
convento, di farmelo finire in cenere! Lo sai che quando<br />
dormo mi dimentico questa appendice e, invece, ogni<br />
mattina, la prima luce della cella illumina proprio la vergogna<br />
che io vorrei nascondere, tagliarmi e seppellire e<br />
che, invece, la gente mi bacia?<br />
Capitan Xaxa prende il mignolo a croce nella sua mano:<br />
– Ma io non voglio sapere che razza di forza è entrata<br />
dentro Medina, voglio sapere come scacciarla, solo questo!<br />
107
– Medina non può scappare, non c’è un luogo… neanche<br />
io posso scappare… non si può scappare…<br />
– Qui! Qui, in convento, vicino a te, Medina deve stare<br />
vicina a te. Tu mi devi molto, Tebe, e il tuo mignolo servirà<br />
a qualcosa finalmente.<br />
Tebe si rosicchia il dito per la rabbia:<br />
– Io, forse, ti devo questo mignolo storpio che qualunque<br />
peccatore si tiene tra le mani mentre prega… mani di<br />
ogni rango… odio le mani… sono diventata una specie di<br />
santa che tutti consumano, Capitano… ti devo questo…<br />
– Qui in convento, Tebe. Medina verrà qui a toccare la<br />
tua mano.<br />
In quel momento dal lungo corridoio bianco arriva<br />
un’ombra sotto forma di odore che diventa subito un sudario<br />
su Tebe e il Capitano.<br />
– Odore di pesche! – dice lei, annusando l’aria e il mignolo.<br />
Battista Xaxa salta all’indietro e corre verso casa ma<br />
non sente la forza nemmeno per camminare. L’odore del<br />
lutto toglie forza e vita ai vivi.<br />
* * *<br />
Il pesco più vecchio dell’orto ha scricchiolato. L’albero<br />
infelice ora ha prodotto il più bello e grande dei suoi<br />
frutti.<br />
Il mantello del lutto ondeggia e ad ogni onda diventa<br />
più grande, ricopre case e giardini e cala giù dalle mura<br />
attirato dalla città bassa.<br />
108<br />
* * *<br />
Il sudore di Medina è diventato brina e lei si conserva<br />
fresca e lucente, coperta di aghi di ghiaccio.<br />
Decidono di aprirla dopo una settimana che Capitan<br />
Xaxa la veglia.<br />
Il dottor Fiammatorta parla sottovoce con Porfirio al<br />
quale il Capitano si è attaccato in questi giorni pensando<br />
che tutta la malvagità di cui il talattonese è a conoscenza<br />
possa spiegargli le cose o, almeno, portare un poco di<br />
equilibrio nel miracolo osceno di questa morte.<br />
– È morta senza i segni della morte, Porfirio, e odora di<br />
pesca e così resterà per chissà quanto tempo. Ma è morta.<br />
– Guardate questi fogli, dottore, Capitan Xaxa ha disegnato<br />
il naso di Medina centinaia di volte, sempre di profilo<br />
e sempre, dice lui, rivolto al cielo… Dice anche che il<br />
cielo non cambierà mai e neanche sua figlia… Ora quel<br />
naso non sente più odori e per lei profumare di pesco o di<br />
pesce non fa differenza…<br />
– Ragionamento da talattonese. A Epipanormo le cose<br />
le vediamo diversamente, perciò siamo così diversi, almeno<br />
da vivi, s’intende, e qualche volta, come vedi, anche<br />
da morti. Noi vogliamo capire e anche Capitan Xaxa<br />
vuole capire: perciò apriremo Medina.<br />
– Era amore, credete a me, enorme… l’amore l’ha imbalsamata,<br />
l’ha avvolta di questa brina, e non c’è verme<br />
così coraggioso da farsi avanti… Ho il naso impestato<br />
dall’odore dell’orto dei Redenti. Intanto do altro oppio<br />
alla madre.<br />
– Sì Porfirio, che dorma anche un anno se occorre.<br />
109
Battista Xaxa si raddrizza e, poiché è rimasto sempre<br />
inginocchiato accanto alla figlia, non riesce a stare in piedi,<br />
cade a terra e tutti vedono le ginocchia piagate. Lo fasciano<br />
e lui si vuole sedere sul letto della figlia:<br />
– Fiammatorta, apritela mia figlia Medina e preparate<br />
tutto per richiuderla di fretta se dentro esistesse ancora<br />
qualcosa che imita la vita… Anche solo un’imitazione miserabile…<br />
mi basterebbe un segno piccolissimo che qualcosa<br />
di vivo è rimasto, anche un pezzettino insignificante…<br />
Non è possibile che qualcosa non sia rimasto. Sì, Porfirio,<br />
alla mamma dài tanto oppio da dormire sino a non<br />
capire più se è sonno.<br />
Posa la mano sulla fronte gelata di Medina e sente gli<br />
aghi di ghiaccio.<br />
La ricorda questa figlia sua: nata da pochi minuti, piccola,<br />
bianca e non viola come tutti quei neonati gonfi per<br />
il dolore. E come ricorda il primo respiro senza pianti!<br />
S’era presa la sua prima aria con una grazia… con una grazia…<br />
Da subito si era capito! Si capiva che tutto correva<br />
verso di lei, tutte le linee del creato! E se il sangue - hanno<br />
sangue anche i serpenti, c’è sangue dappertutto - se il sangue<br />
non fosse sempre lo stesso che travasiamo dall’uno all’altro,<br />
se il sangue ricominciasse a muoversi, a moltiplicarsi<br />
e sciogliesse questo lenzuolo di ghiaccio… se il sangue<br />
dei serpenti servisse a farla vivere… se il sangue non<br />
avesse l’odore dei campi di battaglia. Se tutto non si coprisse<br />
di polvere… Ma il sangue vuole salvarsi e spesso<br />
trova un modo e: “Io, vedi, avevo salvato il mio con te.”<br />
Il dottor Fiammatorta apre le tende perché ha bisogno<br />
di molta luce. Scosta la camicia di Medina e le scopre<br />
l’addome.<br />
110<br />
Guarda a lungo l’ombelico che per lui è il centro di tutte<br />
le forze e misura. Gli basterebbe un taglio di un palmo<br />
per entrare nel mistero. Violare un ombelico è una cosa<br />
per lui fatta e rifatta, ma l’ombelico di Medina lo conosce<br />
da quando era un monconcino che lui stesso aveva tagliato.<br />
Prende ugualmente in mano la lama e il lino con cui<br />
sposta la brina sulla pelle della ragazza che, però, subito<br />
si riforma.<br />
Quando ha inciso inizia uno stupore che non finirà più.<br />
111
– È un uomo che ha sbagliato lavoro, Battistino.<br />
– E invece sbagli tu, ecco, sbagli perché quell’occhio ti<br />
distrae nel giudizio. È messo lì apposta per distrarre i delinquenti<br />
che arresta: quelli pensano all’occhio e lui, intanto,<br />
ragiona e li mette in cella. Ecco.<br />
– I tuoi giudizi sono sempre basati sulla pietà, neanche<br />
una terziaria francescana.<br />
– Beh, senti, intanto se tu ci avessi messo non dico amore,<br />
ma almeno qualche sentimento con Tebe, forse adesso<br />
non saremmo qui.<br />
Enrico e Battistino, scambiandosi acido, aspettavano in<br />
questura il commissario Glicerio che li aveva convocati.<br />
Quando Glicerio arrivò, l’occhio era in piena ma lui ingoiò<br />
subito due pillole e si sedette alla scrivania toccandosi<br />
l’occhio come se toccasse un animale feroce:<br />
– Ho scoperto qualcosa. È stata una riflessione di Egeico<br />
Lago che mi ha ispirato…<br />
– Ispirato? – domandò Battistino ravviandosi i capelli e<br />
facendo la bocca piccola.<br />
Enrico temeva Battistino perché il dispetto causa altro<br />
dispetto. Glicerio diede una manata alla scrivania da dove<br />
venne fuori un rumore da ultimo giorno:<br />
– Esatto, caro professore, ispirazione! Vorrebbe discu-<br />
113
tere sull’ispirazione? Io sono pronto, ma non è il mio lavoro<br />
e poi qua non siamo a scuola, lo sa? Qui siamo in<br />
questura!<br />
Enrico fu contento della risposta del commissario e<br />
Battistino si zittì.<br />
– Bombòi, mi porti il verbale di Egeico Lago.<br />
Il sovrintendente posò il verbale e un collirio sulla scrivania.<br />
– Grazie. Dunque, vado all’argomento. – Si sgocciolò<br />
l’occhio di medicina e proseguì: – Ho detto ispirazione<br />
perché qualcosa nei fatti supera i fatti in sé. All’inizio<br />
quella faccenda dell’odore l’ho solo tenuta a mente. È insolito,<br />
sarete d’accordo, che nel luogo del delitto ci sia<br />
odore di pesche senza che ci sia una pesca, è insolito che<br />
un cane morto sappia di pesca, che aleggi odore di pesca<br />
a casa di una morta sgozzata senza che ci siano pesche in<br />
casa, è insolito che ci sia odore di pesche nella teleferica…<br />
Enrico ebbe un brivido, ma decise di interromperlo,<br />
ormai gli sembrava ora:<br />
– Scusi, commissario, ma è ancora più insolito quello<br />
che le dirò: quattro giorni fa l’odore è diventato, come si<br />
può dire, così denso da farsi materia, mi ha inseguito sino<br />
al mio letto e mi ha detto: “Sei pallido”. Ecco, non ne ho<br />
parlato neppure col mio amico e neppure con Melania<br />
Lampreda, – e qui si interruppe cercando una parola che<br />
non trovò: – Inoltre l’odore l’ho sentito anche in altre occasioni,<br />
persino nell’atrio di casa mia quando ho salutato<br />
un giovane…<br />
– Quale giovane?<br />
– Un giovane che stava in portineria il giorno della mor-<br />
114<br />
te di Medina. Non so chi fosse, mi ricordo che aveva un<br />
bel passo elastico che solo da giovani si possiede.<br />
Battistino, allisciandosi più velocemente i capelli, a voce<br />
bassa:<br />
– Anche a casa mia, commissario, anche da me l’odore<br />
ha assunto una forma. L’ho visto seduto, al buio, sul mio<br />
divano illuminato dalla luna. Mi vergogno a dirlo, ma sono<br />
svenuto. E non so altro.<br />
Enrico, sbalordito dall’amico che aveva confessato la<br />
debolezza dello svenimento, prese coraggio e disse lentamente<br />
perché Bombòi potesse scrivere:<br />
– Con me l’odore ha parlato… – e, fissando Battistino,<br />
sillabò: – Io non sono svenuto e l’odore se n’è andato.<br />
Glicerio aveva preso le pillole, instillato il collirio, zittito<br />
Battistino Mattiolo e ascoltato. Ma tutto iniziò a rimescolarsi<br />
dentro con le dichiarazioni dei due amici.<br />
Non sapeva come dirlo, ci aveva pensato dalla sera prima<br />
e non sapeva come dirlo. Allora scelse la via breve, come<br />
avevano fatto Enrico e Battistino raccontando il loro<br />
incontro con l’odore.<br />
– Bombòi, mi dia le fotografie.<br />
Ne scelse alcune e disse:<br />
– Basteranno queste. Prima di farvi vedere queste fotografie<br />
voglio chiedervi se sapevate che Egeico Lago consumava<br />
cocaina.<br />
Enrico chiese spontaneo:<br />
– Consuma… Intendete dire che usa cocaina, che Egeico<br />
si droga?<br />
– Si drogava…<br />
Battistino aveva riacquistato acidità:<br />
115
– Egeico è un idiota pigro, la cocaina non trasforma un<br />
idiota in un genio. Lui è un raccoglitore di notizie sulla<br />
città… figuratevi che è tanto pigro che non le scrive neppure…<br />
La cocaina bisognerebbe fornirgliela con una colletta<br />
tutti i giorni.<br />
Glicerio sorvolò, pazientò, si toccò l’occhione e chiese<br />
ancora:<br />
– Quindi voi non sapete che uso ne faceva? Non sapete<br />
se la prendeva solo quando andava da Medina Xaxa?<br />
Enrico fece una domanda da insegnante, ma, mentre la<br />
faceva, sentì un tremore nella schiena e debolezza, e anche<br />
spilli da tutte le parti:<br />
– Perché usate l’imperfetto, commissario? Perché?<br />
Un silenzio severo, come quello che precede sempre un<br />
dolore, riempì la stanza.<br />
Il commissario gli avvicinò le foto sulla scrivania e li<br />
fissò:<br />
– Guardate, professor Ricasoli, e anche lei, professor<br />
Mattiolo, guardate bene.<br />
Egeico era fotografato a colori. Non stava tutto nello<br />
stesso posto e usciva fuori, inarrestabile per i cuori deboli<br />
di Enrico e Battistino, dalle fotografie numerate.<br />
Glicerio iniziò a leggere:<br />
– È la relazione del medico legale. Ascoltate, leggerò solo<br />
le parti essenziali. Quello che vedete nelle foto si chiama<br />
depezzamento, il termine è questo.<br />
Enrico e Battistino sembravano di colpo due candele<br />
che si scioglievano, e guardavano le foto vedendo tutto lo<br />
scandalo. Depezzamento.<br />
Glicerio leggeva e aggiungeva di suo:<br />
116<br />
– Ogni pezzo dell’assassinato si trovava in stanze diverse…<br />
La testa sul cuscino della camera da letto, gli occhi<br />
aperti, come vedete… Il tronco in cucina, sul tavolo… Le<br />
gambe: tutt’e due in soggiorno, ciascuna su una poltrona…<br />
Le braccia: nello studio, una vicino all’altra. Il depezzamento<br />
è stato accurato… eseguito con una lama da<br />
mani esperte che hanno disarticolato i vari pezzi senza<br />
strappi o lacerazioni rozze. Il sangue ripulito. È verosimile<br />
che la testa sia stata tagliata per prima.<br />
Enrico, guardando la testa mozzata di Egeico adagiata<br />
sul cuscino, sussurrò:<br />
– Cosa c’entra la cocaina, commissario, cosa c’entra<br />
con tutto questo.<br />
– Esami tossicologici, professore. Era sotto l’effetto<br />
della cocaina quando gli è stato fatto questo. È stato un<br />
vantaggio, credo, per Egeico Lago. Non sappiamo altro,<br />
neppure con che lama è stato fatto a pezzi. Comunque…<br />
Battistino si teneva la testa:<br />
– Finiremo tutti a pezzi ad Epipanormo.<br />
– Comunque, – proseguì Glicerio con l’occhio quieto<br />
di colpo, – non mi avete ancora domandato quello che mi<br />
aspettavo…<br />
Un altro silenzio.<br />
Enrico sussurrò tenendosi la testa con le mani sulle<br />
tempie:<br />
– Glielo chiederò io, commissario: c’era odore di pesca,<br />
vero?<br />
L’occhio del commissario pulsò:<br />
– Sì, c’era odore di pesche dappertutto in casa.<br />
Enrico si afflosciò sulla sedia e poi scivolò giù. Bombòi<br />
dovette raccoglierlo da terra.<br />
117
Battistino allontanò le fotografie e singhiozzò, un solo<br />
singhiozzo.<br />
Quando Enrico si riprese, Glicerio aveva in mano un<br />
foglio scritto a mano:<br />
– È scrittura di Egeico Lago. Come vede, professor<br />
Mattiolo, Egeico scriveva… Comunque sentite:<br />
«Lo stemma con le pesche appartiene a una famiglia<br />
estinta da tre secoli, la famiglia Dei Redenti di Epipanormo.<br />
Enrico Ricasoli e Battistino Mattiolo non troverebbero<br />
acqua in mare, figuriamoci. L’ultimo Dei Redenti forse<br />
era creatura che veniva, come me e come Medina, da troppi<br />
incroci, come tutti, d’altronde, qui ad Epipanormo. Ora<br />
sono stanco. Nei prossimi giorni vedrò l’altra faccenda<br />
dell’albero infelice… ora sono stanco.»<br />
* * *<br />
Enrico entrò nell’acqua sino all’ombelico. Le acque dello<br />
stabilimento della Grotta di Panope gli sembravano acque<br />
morte come il suo umore. Un pesciolino sbiadito fece<br />
un salto fuori dell’acqua e dopo una misera parabola cadde<br />
con un piccolo spruzzo. “Acque morte” pensò ancora,<br />
ma era lui che vedeva così una bella giornata di fine giugno.<br />
Nuotò, galleggiando come un relitto consumato, sino<br />
alla punta degli scogli.<br />
Melania era già là, sotto un ombrellone che a Enrico<br />
sembrò la tenda di uno sceicco quando si sdraiò aspirando<br />
il buon odore di Melania:<br />
– Melania, sei bella, ma così su un fianco sei più dea del<br />
solito.<br />
Lei scherzò:<br />
118<br />
– Oggi non svieni, Enrico, eppure sul giornale ci sono<br />
più morti che nati.<br />
– Oggi no… merito tuo… quando ci sei mi dimentico<br />
anche quelle fotografie orrende… e persino Medina dimezzata…<br />
Forse più tardi potrò svenire.<br />
Melania gli diede un bacio, gli grattò la nuca e si alzò.<br />
Quando le energie si coagulano in un punto, prendono<br />
forme diverse: trombe d’aria, onde smisurate, grandi dolori,<br />
record, lampi… insomma, fenomeni. Così rifletteva<br />
Enrico guardando Melania in mare.<br />
Un volo di pesci argentati schizzò dall’acqua e corteggiò<br />
subito Melania. Lei lasciava una scia azzurra e si allontanava<br />
scortata dai pesci.<br />
Enrico stava osservando quel corpo che galleggiava perfetto,<br />
i fianchi, le gambe, tutto, ed era abbagliato quando<br />
alle narici, che gli si aprirono come crateri, arrivò l’odore<br />
di pesche.<br />
Si voltò e vide l’odore, giovane, bruno, sdraiato accanto<br />
a lui. Richiuse gli occhi per non svenire e disse:<br />
– Non vorrai ammazzarmi? Non so neppure chi sei. So<br />
che c’eri quando è morta Nellina, quando è morta Tebe,<br />
quando è morta Medina, quando è morto Egeico… morti<br />
ammazzati… anche Medina, vero, è stata ammazzata,<br />
non era un incidente?<br />
Enrico teneva gli occhi chiusi e, chissà perché, non sentiva<br />
paura:<br />
– Ma perché giri intorno a me e a Battistino? Tu sei di<br />
Epipanormo, vero? Perché hai scelto questa forma del<br />
profumo?<br />
Melania nuotava lontana senza fatica seguita dai pesci<br />
pilota contenti.<br />
119
L’odore rispose:<br />
– Perché a me è rimasta una sola memoria, quella degli<br />
odori, una memoria dolorosa per gli odori, ecco… Un solo<br />
odore mi ricorda la mia Medina… Mi sono condannato<br />
da me alla pena dell’albero infelice. Ho già scontato la<br />
mia pena. Di me è rimasto l’odore del trapasso. Ma avevo<br />
un figlio e non lo sapevo ancora quando mi sono appeso<br />
all’albero<br />
“Che bel giovane…” pensò Enrico quando riaprì gli<br />
occhi e il profumo si rapprese ancora di più.<br />
– Ora puoi ridere, Enrico, puoi ridere di me, se vuoi,<br />
tanto non posso ucciderti, c’è un motivo, un buonissimo<br />
motivo. Ora puoi ridere.<br />
– Mi dispiace, il buonumore non mi è tornato ancora, ci<br />
vorrà tempo, solo Melania che vedi nuotare laggiù, è capace<br />
di farmi dimenticare per un po’… Quanto agli odori<br />
e alla memoria, hai ragione.<br />
– Oh, a me il buonumore è passato da quattrocento anni<br />
e non tornerà più. Non posso dimenticare quel cuor<br />
luccicante e il sen sanguinante…<br />
– Un cuore che luccica, un seno che sanguina…<br />
– Una tristezza eterna.<br />
– Eterna? Ma cosa ne sai? Chi l’ha detto che la tua è una<br />
forma eterna? – domandò Enrico.<br />
– Sono eterno perché questo che vedi sono Io.<br />
– Eterno perché hai trecento anni? Ci vuole altro per<br />
essere eterni.<br />
L’Io eterno scoppiò a piangere:<br />
– Sono passato al mondo senza rughe, o meglio, avevo<br />
una sola ruga che mi è comparsa sulla fronte quando è<br />
morta lei. La vedi? È ancora qui, verticale, in mezzo alla<br />
120<br />
fronte, alla mia bella fronte. Il tuo cane si è spaventato<br />
quando mi ha visto, deve avere capito qualcosa…<br />
– Nellina era così intelligente.<br />
Enrico sentì un dolore forte occupargli lo stomaco perché<br />
si ricordò Nellina, un pezzo per ogni pianerottolo:<br />
– Dimmi cosa devo fare.<br />
Il giovane Io rispose:<br />
– A guardare il mare non sembra cambiato nulla, è lo<br />
stesso che vedevo dal mio terrazzo. La città è cambiata ma<br />
voi di Epipanormo no. E neppure i talattonesi. Avete continuato<br />
nello stesso modo. Sempre nello stesso modo.<br />
Enrico fissò il cielo e bisbigliò: – Il nome… Il nome…<br />
– Mi chiamo Guglielmino dei Redenti.<br />
Melania aveva iniziato il ritorno girando alla boa. Enrico<br />
non sentiva paura e neppure sentiva forte l’odore di<br />
pesche:<br />
– Guglielmino dei Redenti…<br />
– Sì. Ma non l’ultimo dei Redenti, come credevo quando<br />
mi sono appeso all’albero infelice. Ricordatelo, Enrico,<br />
non sono l’ultimo dei Redenti.<br />
E gli raccontò la sua storia sino all’albero infelice e al<br />
parto miracoloso di Medina.<br />
Poi sparì.<br />
Enrico vide Melania che saltellava tra gli scogli per raggiungerlo.<br />
La gratitudine di Enrico traboccò per la consolazione<br />
che lei gli dava.<br />
L’abbracciò, la baciò e l’asciugò a forza di accarezzarla.<br />
* * *<br />
– Come vedi, – disse Enrico a Battistino, – tutti i tuoi<br />
121
giudizi sono andati a quel paese. Glicerio ha capito e ha<br />
capito molto. Egeico aveva trovato una strada…<br />
– Due teste di terracotta che hanno capito quello che<br />
abbiamo capito noi.<br />
– Due teste, né più né meno delle nostre o della tua.<br />
– Non ci sono due teste uguali.<br />
Bussarono a casa di Enrico.<br />
Porfirio Rubinacci era nato cinquanta anni prima in<br />
una casa del porto da un mamma conosciuta nel quartiere<br />
per aver messo al mondo altri dodici Rubinacci.<br />
Porfirio aveva studiato sino al diploma delle scuole<br />
professionali e poi aveva lasciato gli altri Rubinacci a Talattone<br />
per aprire una bottega di corniciaio a Epipanormo<br />
cercando di scalare la città alta. Ma tutti i cognomi<br />
che finivano in acci e altri dispregiativi erano un marchio<br />
di Talattone e, comunque, Porfirio sarebbe restato un talattonese<br />
anche se si fosse cambiato il cognome in ucci o<br />
in elli, per via del naso a vela e di quelle rughe salate da<br />
commerciante della città bassa.<br />
Faceva cornici perfette, rinomate. Veloce, attivissimo,<br />
aveva incorniciato tutto quello che era incorniciabile nel<br />
quartiere. Vedeva una cornice intorno a ogni cosa e aveva<br />
teorizzato con la sua vasta clientela che tutto, proprio tutto,<br />
doveva avere un contorno, almeno un alone.<br />
Enrico e Battistino lo stavano aspettando e quando<br />
bussò interruppero la discussione sulle teste di Glicerio e<br />
di Egeico:<br />
– Credo di avere trovato il ritratto! – disse forte Porfirio.<br />
Enrico aveva la pelle d’oca per l’emozione.<br />
Bussarono ancora: era Melania.<br />
122<br />
– Signora Lampreda, qui, a casa di professor Ricasoli la<br />
cornice è lei! Meglio di ogni ciliegio intarsiato, che, – precisò<br />
Porfirio, – è il materiale più caro!<br />
Melania sorrise e davvero incorniciò tutti col sorriso.<br />
Enrico la baciò e disse:<br />
– Il signor Rubinacci ci ha portato un ritratto di Guglielmino<br />
Redenti.<br />
Battistino si accese una sigaretta e rifinì:<br />
– Un probabile ritratto di Guglielmo Redenti.<br />
Porfirio non poteva aspettare:<br />
– Eccolo, ve lo scarto.<br />
Apparve un ritratto, alto due palmi, di un giovane pallido<br />
su uno sfondo annerito, con i capelli lunghi divisi al<br />
centro, con un tocco di etilico nello sguardo che, nelle intenzioni<br />
del pittore, doveva essere la rappresentazione<br />
della melanconia nella faccia ovale. La guance erano rosse<br />
e le labbra socchiuse. Si intravedevano i denti appuntiti<br />
del ragazzo. Nell’insieme dava l’impressione di un prepotente<br />
triste perché non riusciva ad avere ciò che voleva.<br />
Porfirio interruppe il silenzio:<br />
– Consiglierei il legno di rosa, è caro, ma con una cornice<br />
così questo bel giovane pallido verrebbe fuori dalla tela,<br />
ve lo assicura Porfirio Rubinacci.<br />
Melania disse:<br />
– Per carità! Se questo giovane salta dal quadro combina<br />
guai… Ce l’ha scritto in faccia… ci manca solo questo!<br />
Porfirio domandò:<br />
– È un vostro antenato?<br />
Enrico era sempre più emozionato e quasi tremolava<br />
tenendo il quadro tra le mani:<br />
– È un antenato di tutta Epipanormo. Vedete l’anno?<br />
123
Milleseicentoquattro. Guardate bene in faccia i vostri<br />
clienti, signor Rubinacci, ciascuno avrà almeno una gocciolina<br />
del sangue di questo ragazzo.<br />
Porfirio si guardò allo specchio del soggiorno:<br />
– Già, neanche una goccia a Talattone… guardate il mio<br />
colore. Ho il colore delle mie cornici, io. Non è roba da<br />
Epipanormo. Ma miei figli sono un po’ più chiari di me,<br />
un primo passo. Però il mio naso da falco ce l’hanno anche<br />
loro.<br />
Battistino prese il quadro tra le mani e lo guardò, poi<br />
guardò Porfirio:<br />
– Lei, signor Rubinacci, ha il colore di qualche fenicio<br />
laborioso che commerciava per mare. Questo ragazzo è<br />
bianco come la cera.<br />
Enrico era scarmigliato e Melania lo pettinava con le dita<br />
mentre Porfirio prendeva le misure del quadro borbottando:<br />
– Gli acci in basso e gli altri, gli ini, gli ucci, in alto… tutto<br />
come sempre.<br />
Quando il corniciaio e Battistino se ne andarono discutendo<br />
di suffissi, lasciando Enrico e Melania soli, lui, dopo<br />
quella lunga pettinata, socchiuse le gelosie, fece una<br />
bella penombra e iniziò ad annusare Melania che lo lasciò<br />
fare e l’aiutò. Caddero sul divano, fecero chiasso, fecero<br />
in fretta e poi, rossi e dilatati, mangiarono tutto quello che<br />
c’era in frigorifero.<br />
Lasciarono solo una pesca.<br />
– Sai cosa mi ha detto Guglielmino? Che le parole si dimenticano,<br />
le facce si dimenticano, si dimentica tutto, ma<br />
gli odori no, gli odori non si dimenticano.<br />
124<br />
* * *<br />
Dentro una teca senza cornice, su un pizzo grigio e opaco,<br />
stava un dito mummificato, color piombo, a forma di<br />
croce, con le unghie perfettamente conservate. Era la reliquia<br />
meno adorata di tutta la chiesa del Santo Crocefisso e<br />
veniva rifuggita da tutti i fedeli di Epipanormo. A guardarlo<br />
con attenzione il mignolo mostruoso era coperto da<br />
una muffetta sottile e pelosa che lo rendeva all’apparenza<br />
vellutato.<br />
125
<strong>Ei</strong><br />
Non salutarono nessuno, neppure Etilla e l’oste generoso.<br />
Fuga e vergogna.<br />
La Focide e Delfi erano lontane ma gli avevano spiegato<br />
che era facile trovare la valle e il tempio sacri ad Apollo<br />
perché per strada avrebbero incontrato altri pellegrini.<br />
Inoltre, a un certo punto, li avrebbe guidati la sagoma del<br />
monte Parnaso.<br />
Così risalirono la Megaride e quando videro da lontano<br />
il profilo del loro monte Citerone si commossero e si abbracciarono<br />
a lungo piangendo.<br />
A Egostena si accodarono a un gruppo di ricchi spartani<br />
protetti da soldati vestiti di nero, diretti anche loro al<br />
tempio di Apollo per interrogare la Pitia.<br />
Nicteo e Peante avevano solo sentito parlare della guerra<br />
e dell’odio, ma sapevano che su tutto regnavano, rispettati,<br />
temuti e adorati, gli dèi.<br />
Loro dovevano, senza impicciarsi d’altro, raggiungere<br />
l’oracolo, aspettare e, infine, interrogarlo sulle cose grandi<br />
che gli si agitavano nella testa.<br />
Un vecchio guerriero diceva a voce alta:<br />
– Sette anni fa ho combattuto a Egospotami con Lisandro.<br />
Abbiamo vinto. Molti amici hanno perso la vita ma<br />
abbiamo ucciso tremila, dico, tremila cani ateniesi. Io<br />
127
stesso sono stato ferito e, lo vedete, ho perso il braccio<br />
destro, tre dita della mano sinistra, quasi tutto il naso, un<br />
orecchio e un occhio. Ma sono contento e darei quello<br />
che mi resta per la mia città!<br />
Peante fu proprio sventato:<br />
– Non vi resta granché da dare, signore.<br />
Un soldato con l’elmo nero si abbassò dal cavallo e diede<br />
una manata sul collo di Peante che cascò dall’asino:<br />
– Non essere insolente ragazzo.<br />
– Non volevo essere insolente… volevo solo dire che<br />
quest’uomo ha dato tanto per la patria che non gli si può<br />
chiedere altro, ecco cosa volevo dire.<br />
– E inoltre, – mentì Nicteo, – noi abbiano sempre ammirato<br />
Sparta. Siamo nati e cresciuti in una regione che è<br />
seguace dei vostri costumi e anche a noi ragazzi nel mio<br />
villaggio si fa scuola di sobrietà ai pubblici conviti dove<br />
ascoltiamo gli adulti e tra noi, evitando di essere scurrili,<br />
scherziamo senza risentirci quando veniamo, a nostra<br />
volta, burlati.<br />
Il soldato si levò l’elmo, sorrise e diede una manata più<br />
leggera sulle spalle del giovane:<br />
– Bravi! Un po’ troppo chiacchieroni ma educati come<br />
si deve, si vede subito, io conosco gli uomini. Mi sembrate<br />
sani e robusti. Ma cosa fanno due ragazzi qui a Egostena<br />
da soli e a dorso d’asino?<br />
– Siamo diretti a Delfi, signore, vorremmo interrogare<br />
l’oracolo sul futuro, sul presente e sul passato. Ci interessano<br />
tutt’e tre.<br />
– Consigli sentimentali?<br />
– Non siamo quel tipo di giovani che vivono sospirando<br />
per una donna.<br />
128<br />
– Ma le donne vi piacciono? Io gli uomini li so valutare<br />
subito e a guardarvi direi che vi piacciono. Non avete l’aria<br />
di quei ragazzini corrotti di cui si dice che pulluli Atene.<br />
A Nicteo e Peante iniziarono a tremare le gambe: – Certo<br />
che ci piacciono le donne! La sola idea che un vecchio<br />
cisposo si dia da fare con noi ci rivolta lo stomaco! – E<br />
Peante aggiunse sputando per terra: – Ho conosciuto uno<br />
di questi ragazzi sventurati. Poveretto! Le guance di cera<br />
e le braccia sottili da femminuccia. L’avreste dovuto vedere!<br />
Al guerriero spartano piacque, a istinto militare, lo spirito<br />
dei due ragazzi e li prese sotto la sua protezione.<br />
Arrivò la sera.<br />
Polifonte, così si chiamava, ordinò loro di addormentarsi<br />
al tramonto e lui stesso li svegliò prima del sorgere<br />
del sole per proseguire il viaggio con la carovana.<br />
*<br />
A Crisa convergevano molte strade dal mare, dalla Beozia<br />
e dalla Locride e i due ragazzi si stupivano della moltitudine<br />
che trovavano per strada.<br />
Man mano che si avvicinavano al tempio della Pitia la<br />
folla cresceva in varietà e quantità. Videro, dal dorso dei<br />
loro asini un’infinità di uomini in movimento ciascuno<br />
con una storia che riguardava il singolo, la famiglia e, via<br />
via, il villaggio, l’intera città, l’intera Ellade ed era portatrice<br />
di un’immensa quantità di interessi.<br />
Peante, che aveva già dimenticato Mègara, guardava e<br />
si meravigliava che potessero esistere tante facce diverse.<br />
Nicteo si rivolgeva a tutti quelli che gli capitavano a tiro<br />
durante il cammino.<br />
129
– Amico, volete che vi aiuti? La vostra magrezza suscita<br />
pietà. Volete il mio asino fino a Delfi?<br />
– Non so cosa farmene del tuo asino che sembra più<br />
malconcio di me. Quanto alla mia magrezza, ragazzo petulante,<br />
cerca di non pensare a chi vuole essere lasciato in<br />
pace anche se è pieno di guai come me. I medici mi hanno<br />
quasi ucciso e, non riuscendoci, si sono accontentati<br />
di rendermi povero. Sono andato anche a Cos per le cure<br />
moderne. Ecco il risultato! Il flegma si è accumulato nel<br />
mio ventre e mi ucciderà se non riesco a scaricarlo. Mi<br />
hanno imputridito l’intestino con l’orzo bollito. Solo<br />
Apollo può salvarmi!<br />
Nicteo, che non riusciva a stare zitto a lungo, si rivolse<br />
allora a una donna che viaggiava su un carro in compagnia<br />
di una bella ragazza:<br />
– Signore, gradite acqua fresca? Avete le guance rosse<br />
per il caldo e le labbra asciutte.<br />
– Io e mia figlia Cilla ti ringraziamo. Sono vedova da<br />
poco e mi fa piacere la protezione di un uomo, anche se è<br />
ancora un ragazzo.<br />
Così Nicteo appaltava a sua volta la protezione accordatagli<br />
da Polifonte anche perché da quel carro arrivava<br />
un profumo buono di muschio e ambra.<br />
– Vedi, giovane gentile, – disse la vedova, – andiamo a<br />
invocare Apollo, secondo solo a Zeus, perché a Messene,<br />
la nostra città, venga giudicato l’assassino di mio marito,<br />
stupratore mio e, quello che più addolora, della mia<br />
unica figlia. L’uomo che ora si è impadronito della mia<br />
casa.<br />
Trottando sull’asino troppo lento, Nicteo perse di vista<br />
il carro trainato da due cavalli. Ma era euforico per l’e-<br />
130<br />
norme numero di persone con cui aveva la possibilità di<br />
parlare e si mise a scegliere i tipi più interessanti.<br />
Un grande carro, pesante, coperto da una tenda bianca,<br />
ospitava un uomo corpulento, ben vestito e intento a leggere<br />
enormi pergamene. Viaggiava con una donna e uno<br />
smilzo giallo e calvo.<br />
Nicteo spronò l’asino:<br />
– Buona giornata, signori! Se andate a Delfi come me,<br />
disponete pure di Nicteo.<br />
– Grazie, ragazzo, – disse l’uomo corpulento. – Ad Atene,<br />
da dove veniamo, non capita di trovare giovani così<br />
servizievoli se non in cambio di qualcosa.<br />
– Ecco una ricompensa, signore: notizie su Atene.<br />
La donna che stava accanto all’omone sorrise e lo invitò<br />
a salire sul carro. Nicteo era contento dell’approccio sobrio<br />
e, a suo avviso, poco provinciale.<br />
– Mi chiamo Pirilampe e sono cittadino ateniese. I miei<br />
antenati e io stesso abbiamo combattuto contro Sparta e<br />
contro l’Oriente. Il governo della città decise, grazie ai<br />
miei meriti, di affidarmi il controllo delle casse dell’erario…<br />
– Non spaventarti ragazzo, mio marito non scappa con<br />
l’oro di Atene sul carro.<br />
– Avrebbe fatto bene a farlo, – borbottò il compagno di<br />
viaggio della coppia, lo smilzo.<br />
– Bene, dicevo che sono sempre stato, anche se non<br />
spetterebbe a me dichiararlo, un onesto amministratore.<br />
Ma mi fu chiaro presto che gli ateniesi vivevano troppo<br />
lussuosamente in rapporto alle loro ricchezze. Per me<br />
poi, che mangerei onestà e mi vestirei con l’onestà, fu una<br />
constatazione amara. Guardate un po’ che tasse pagano a<br />
131
Sparta! Lì sì che governanti e cittadini fanno il loro dovere!<br />
Ad Atene no!<br />
E iniziò a cambiare il colore della faccia:<br />
– Ad Atene si paga secondo umore e ispirazione. E io<br />
dovevo arrabattarmi per pagare strade, templi e statue.<br />
Stavo diventando pazzo. Dunque inventai nuove tasse<br />
ma con astuzia e, anche se non spetterebbe a me dichiararlo,<br />
sono stato abile perché ho iniziato piano piano,<br />
abituando la gente ad allargare i cordoni della borsa. Entrava<br />
molto più denaro nelle casse della città. Fui aiutato<br />
da tutti in Assemblea e, pensa, allora li ammiravo e credevo<br />
che loro ammirassero me…<br />
– Siete stato saggio, signore, di sicuro. Ma un certo mio<br />
maestro mi ha insegnato che molte tasse rendono più costoso<br />
vivere: il pane costa di più, comprare le vesti diventa<br />
difficile, gli schiavi costano un occhio eccetera eccetera.<br />
– Il tuo maestro aveva ragione. Ma il punto non era l’eccesso<br />
di tasse. Purtroppo scoprii che una parte del denaro<br />
che affluiva agli uffici non me la ritrovavo nei conti.<br />
Avevo molti segretari…<br />
Lo smilzo ridacchiò e Pirilampe lo fissò con severità:<br />
– I loro averi erano cresciuti senza spiegazione. Appena<br />
me ne accorsi avvertii i magistrati deciso a spedirli davanti<br />
all’Areopago. Ma anche i magistrati avevano cambiato<br />
vita, banchettavano ogni sera con le etere più belle a dispetto<br />
dei loro capelli bianchi. Li minacciai di denunciarli<br />
all’Assemblea.<br />
– E cosa avvenne?<br />
– Nulla, anzi, peggio, molto peggio di nulla. Il nobile<br />
Cronate, un uomo molto importante al quale avevo con-<br />
132<br />
fidato tutto, mi invitò nella sua bellissima casa e durante<br />
la festa cercò di consolarmi: “Godi Pirilampe, gli dèi sono<br />
dalla nostra parte e non solo gli dèi”. Tornai a casa col<br />
desiderio di essere cittadino di Sparta, non mi vergogno a<br />
dirlo. Volevo diventare cittadino di Sparta!<br />
– Credo di avere capito, signore. È una storia che contiene<br />
grandi insegnamenti per un ragazzo.<br />
– Eh, hai capito che le cose vanno male ad Atene da<br />
quando la politica è diventato un mestiere per abbindolare<br />
i babbei?<br />
Nicteo aveva avuto il tempo di elaborare la sua osservazione:<br />
– Credo, così mi è stato insegnato, che tutte le città<br />
grandi mostrino come il potere e la ricchezza portino la<br />
corruzione e che un giorno si potrà calcolare la corruzione<br />
conoscendo il numero degli abitanti.<br />
– Che giovane acuto, – gracchiò lo smilzo. – Troppo<br />
acuto per essere del tutto onesto.<br />
– Perdonalo, ragazzo, è afflitto dalla bile nera. Però è<br />
l’unico segretario fidato che mi è rimasto. Forse è così<br />
perché non ha avuto un padrone ladro che lo ha riempito<br />
di dracme.<br />
– Ma cosa vi aspettate dalla Pitia? – domandò Nicteo.<br />
– In due parole: o taccio e resto, oppure me ne vado.<br />
Insomma, chiedo alla mia onestà - che, non spetterebbe a<br />
me dirlo, ad Atene è proverbiale - se resistere o recedere.<br />
– E lo chiederete anche alla Pitia?<br />
– Esatto, ragazzo, esatto.<br />
Qui la giovane età tradì Nicteo che avrebbe dovuto andarsene<br />
a trottare da un’altra parte:<br />
– Perdonatemi: se la vostra onestà è così sviluppata e se<br />
133
voi avete ben chiari chi è ladro e chi non lo è, avete da solo<br />
trovato la risposta. Che bisogno avete della Pitia? Si<br />
tratta solo di decidere se volete andare ad aumentare l’esercito<br />
dei disonesti oppure no.<br />
Pirilampe cambiò argomento:<br />
– Guardate quanti pellegrini! Sarà difficile trovare una<br />
locanda! Affrettiamoci!<br />
Nicteo saltò giù dal carro e raggiunse Peante nel gruppo<br />
spartano.<br />
Polifonte gridò a tutti:<br />
– Poco cibo e subito a dormire. Lo stomaco pieno ostacola<br />
il sonno e impedisce all’anima di sognare.<br />
Come gli altri, Nicteo e Peante mangiarono poco, bevvero<br />
acqua, pregarono gli dèi e si avvolsero nelle coperte.<br />
* * *<br />
Delfi non era il luogo mistico, silenzioso e soprannaturale<br />
che i due ragazzi avevano immaginato e aveva poco<br />
di sacro. Un unico brodo di uomini ricchi, poveri, sani,<br />
malati e storpi che protestava in una varietà impressionante<br />
di dialetti, confluiva verso quel punto dove, anticamente,<br />
la terra si era aperta facendo uscire le esalazioni<br />
che ispiravano la Pitia. E quanto più ci si avvicinava a<br />
quel punto tanto più diminuiva il desiderio di pregare e<br />
di riflettere.<br />
Peante, che non dimenticava le sue pecore, si teneva il<br />
mento dubbioso.<br />
“Chissà perché la capra fu considerata uno strumento<br />
degli dèi e questo luogo diventò sacro ad Apollo, il più<br />
ragionevole degli dèi. Possibile che un dio così di buon<br />
134<br />
senso si sia svelato attraverso una capra stordita dai fumi?”<br />
Protetti da Polifonte che aveva indossato le armi più<br />
tremende, arrivarono al tempio dove salutarono il soldato<br />
abbracciandolo e ringraziandolo.<br />
– Addio ragazzi! State attenti, la Pitia la sa lunga! Attenti<br />
anche alle puttane, ne ho visto un’infinità in giro!<br />
Ma dimenticatevi la paura, Fobos bisogna guardarlo negli<br />
occhi! Addio!<br />
Erano di nuovo soli.<br />
Sulle scale restarono incantati a contemplare la costruzione<br />
meravigliosa: non avevano mai visto nulla di così<br />
bello. Anche lì Apollo aveva quell’espressione paziente e<br />
sorridente che avevano già visto.<br />
– È il dio più comprensivo.<br />
– Sempre gentile con noi esseri umani che strisciamo<br />
sulla terra.<br />
– Peante, ho un presentimento…<br />
– Dimmi.<br />
– Ho paura…<br />
– Paura?<br />
– Sì, ho paura che, se la nostra ricerca è affidata a questo<br />
tempio e alla Pitia, dovremo faticare… e poi, chi ci<br />
guiderà qua dentro?<br />
– Coraggio, Nicteo, ho sentito dire che questo luogo è<br />
l’ombelico del mondo perché qui si sono incontrate al ritorno<br />
le aquile che Zeus aveva inviato alle due estremità.<br />
– E ti pare una buona ragione?<br />
Guardavano e guardavano. Peante si fermò con il naso<br />
per aria:<br />
135
– Lassù… Cosa vuole dire quella grande E incisa nel<br />
marmo?<br />
Nicteo non rispose:<br />
– Andiamo avanti, ormai non si torna indietro…<br />
Nicteo prese per mano l’amico pensieroso ed entrarono<br />
nel grande vestibolo.<br />
Un uomo elegante con un mantello bianco gli si avvicinò:<br />
– Il tempio è troppo grande per voi ragazzi. Il dio vi<br />
manda una guida. Mi chiamo Aghirte e sono a disposizione<br />
dei pellegrini.<br />
I due amici erano diventati sospettosi con le guide e i<br />
maestri. Nicteo parlò per primo:<br />
– Signore, siamo due giovani nati ai piedi del monte Citerone,<br />
semplici, è vero, ma con una grande sete di conoscenza.<br />
Abbiamo domande importanti da fare alla Pitia.<br />
Peante aggiunse:<br />
– Prima, però, dobbiamo sapere come funzionano le<br />
cose qui per distinguere quelle buone da quelle cattive.<br />
L’uomo rispose:<br />
– Io vi posso aiutare perché questo è il mio mestiere.<br />
Vedete, ciò che qui bisogna imparare subito è la gerarchia.<br />
Ascoltatemi bene: l’ordine è tutto. Prima di ogni cosa<br />
e sopra ogni cosa c’è la Pitia. Attualmente ne abbiamo<br />
addirittura tre perché il lavoro è tanto e una sola finiva intossicata<br />
dai fumi della sacra fenditura da dove il dio<br />
manda l’ispirazione. Poi ci sono i sacerdoti soprintendenti<br />
al tempio che sono di stirpe nobile. Ancora sotto<br />
stanno i sacerdoti chiosatori, quelli, insomma che spiegano<br />
i vaticini che, sennò, sono incomprensibili. Poi le an-<br />
136<br />
celle che hanno la grazia trasmessa dal dio. E infine ci sono<br />
le guide, insomma quelli come me. Capito?<br />
– Ma tutti questi che avete elencato, quanti sono? – domandò<br />
Peante.<br />
– Beh, circa cinquecento persone. Ma il numero varia.<br />
Durante la bella stagione aumentano perché aumentano i<br />
fedeli.<br />
– Ma come vivono, voglio dire, come si mantengono a<br />
questo mondo? – insistette Peante.<br />
Nicteo si guardava intorno:<br />
– Ho sentito che oggi è il giorno del mese in cui la Pitia<br />
prende ispirazione. Potremmo assistere ai suoi oracoli e,<br />
magari, porre noi stessi dei quesiti?<br />
– Siete ricchi?<br />
La domanda scosse i due giovani. Aghirte camminava e<br />
spiegava:<br />
– Vedete quelle cassette di ferro con una piccola fenditura?<br />
Lì dovete versare la vostra offerta che non deve essere<br />
misera, mi raccomando, il dio vi guarda.<br />
Nicteo e Peante si consultarono a lungo e versarono<br />
una somma - che li impoverì ancora di più - nella cassetta<br />
dove notarono in bassorilievo un Apollo molto sorridente.<br />
Da quel momento Aghirte assunse un’aria di contrizione<br />
con il collo torto da un lato e le mani unite all’altezza<br />
del cuore.<br />
Il breve tragitto fu un viaggio al centro della terra, verso<br />
l’adito della Pitia. Ecco l’adito ed ecco la fenditura! Ovunque<br />
si sentiva un tanfo di alghe marce.<br />
La crepa sacra era deludente: un buco senza niente di<br />
maestoso che per di più puzzava. Sopra la crepa c’era un<br />
137
tripode d’oro sul quale era poggiata una piastra simile a<br />
uno scudo.<br />
Alle pareti era appeso di tutto: offerte nelle quali si era<br />
sbizzarrita tutta la fantasia degli uomini quando cercano<br />
l’aiuto degli dèi.<br />
La folla parlava a voce bassa e si percepiva un’inquietudine<br />
che col passare dei minuti diventava eccitazione.<br />
Doveva essere d’origine divina quello stato alcolico che si<br />
sentivano addosso e li teneva tesi come le corde di una lira.<br />
Peante provava un grande bisogno d’aria e pensava ai<br />
suoi prati e alle sue pecore, tanto che gli sembrò di vederli.<br />
Nicteo, invece, provò la sensazione di essere con la madre<br />
che gli preparava il bagno e gli oli balsamici.<br />
C’era qualcosa in quell’aria che arrivava da sotto la terra.<br />
Si scossero tutti e ammutolirono quando entrarono i<br />
cinquanta sacerdoti vestiti di bianco, una grande entrata.<br />
Tra la folla i due ragazzi riconobbero Polifonte e gli altri<br />
spartani, la vedova con la figlia e anche Pirilampe con<br />
la moglie e il segretario che sgomitavano in prima fila.<br />
Da una porticina entrò una vecchia, piccola e magra,<br />
imbellettata e coi capelli dipinti di nero e scarmigliati.<br />
Si sentiva solo il lamento di qualche malato.<br />
Peante sussurrò:<br />
– Che occhi terribili! E che unghie, sembrano artigli e<br />
guarda i denti…<br />
– Zitto, è solo il tramite del dio, cosa ce ne importa dell’aspetto.<br />
– E abbiamo pagato metà dei nostri averi per trovare<br />
questa donna!<br />
– Zitto.<br />
La Pitia respirò profondamente le esalazioni prove-<br />
138<br />
nienti dalle budella della terra sino a che il suo sguardo -<br />
così sembrò a Nicteo e Peante - diventò vacuo ma attraversato<br />
da lampi di follia che peggioravano la smorfia<br />
della pitonessa e fecero indietreggiare i pellegrini.<br />
La Pitia, finalmente, trascendeva.<br />
Un sacerdote parlò:<br />
– È il caso che sceglie tra gli uomini quelli che possono<br />
parlare alla somma sacerdotessa del dio. Non c’è bisogno<br />
che il prescelto spieghi la propria storia: la sacerdotessa<br />
sa e parla di conseguenza. Noi prendiamo nota e gli addetti<br />
spiegano il vaticinio. Gli altri possono rivolgersi a<br />
noi. Vediamo chi è il primo.<br />
Ma la sibilla, sorprendentemente, parlò rivolgendosi a<br />
tutti:<br />
– Segui il carro. Un punto della terra o del cielo è quello<br />
dove gli uomini si congiungono al loro spirito. Cercate il<br />
luogo, cercate il luogo. Il cavallo è la forza, il delfino è il<br />
cuore. Mangia sempre tavole quadrate. Evita di guardare<br />
l’orizzonte sino a Targelione. Non indire feste e banchetti<br />
ma volteggia solo nella tua casa.<br />
La folla restò sbalordita. Non si aspettava la grazia di<br />
un vaticinio buono per tutti. Qualcuno, più pronto, aveva<br />
annotato le parole che al momento, è vero, erano imperscrutabili<br />
ma che poi avrebbero assunto un chiaro e<br />
definitivo significato.<br />
Peante si avvicinò all’orecchio dell’amico:<br />
– Tu hai capito? Echecrate, con tutti i suoi difetti, era<br />
più trasparente.<br />
– Io intanto ho scritto tutto, poi vedremo di capire.<br />
Quel “cercate il luogo”, in fondo, non è quello che stiamo<br />
facendo noi due?<br />
139
– Sarà. Ma come me le spiegherai le “tavole quadrate” e<br />
questa storia di volteggiare da soli?<br />
– Beh, anche evitare di guardare l’orizzonte sino al mese<br />
di Targelione non è facile, né da fare e neppure da capire.<br />
La perdita dello spirito è il primo segno vero di invecchiamento<br />
e Nicteo e Peante erano davvero ancora dei<br />
ragazzi.<br />
Aghirte guardava soddisfatto.<br />
Sentirono il nome di Pirilampe che, chiamato da un sacerdote,<br />
cadde in ginocchio davanti alla pitonessa la quale<br />
aveva assunto un aspetto ancora più terribile e tirava<br />
fuori la lingua. Pirilampe era agitato e non aveva il coraggio<br />
di guardare la Pitia:<br />
– Nel vortice del cielo nero non è dato comprendere all’uomo<br />
il perché della tempesta. Perché il vento abbatte<br />
le capanne, spazza le spiagge e stronca gli alberi? Chi lo<br />
sa? Neppure la Pitia può saperlo!<br />
Rivolse lo sguardo al pubblico e ai sacerdoti con un<br />
lungo giro. Peante notò che la donna non si reggeva bene<br />
sulle gambe.<br />
– Quindi tu, uomo che strisci sulla terra, cosa vuoi giudicare?<br />
Non puoi, devi solo tacere, tacere o le aquile di<br />
Zeus ti mangeranno il cuore! – roteò gli occhi, si morsicò<br />
la lingua e con un gesto scacciò via Pirilampe.<br />
L’ateniese, rosso, sudato e stordito dai fumi, cadde all’indietro<br />
tra le braccia di un sacerdote che lo aspettava<br />
alle spalle.<br />
– Ateniese, io sono il sacerdote prescelto dalla Pitia per<br />
spiegarti il tuo responso, vieni.<br />
Si appartarono in una delle celle che si affacciavano su<br />
un lunghissimo colonnato.<br />
140<br />
– Dunque, noi abbiamo perfetta conoscenza del quesito<br />
che tu ci poni. L’onestà dell’uomo è un buon oggetto<br />
per le predizioni della sibilla perché l’onestà non è un valore<br />
assoluto ma è del tutto relativa alle situazioni e alle<br />
condizioni in cui gli uomini si vengono a trovare. Ciò che<br />
è onesto a Atene non lo è a Sparta. Solo la nostra divina<br />
può discernere tra le nebbie del dubbio.<br />
– D’accordo, alto sacerdote, – disse Pirilampe sottovoce.<br />
– Ma chi mi spiega ciò che l’indovina ha detto?<br />
– Io sono qui apposta, – rispose il sacerdote indispettito.<br />
– Quel responso può solo significare che tu, proprio<br />
tu, visto che il responso è fatto a tua misura, e per questo<br />
ci aspettiamo molta gratitudine, devi smettere di giudicare<br />
gli uomini raggruppandoli in onesti e disonesti. Questo<br />
è compito degli dèi o, al massimo, dei semidei. La tua<br />
presunzione sta esagerando e può divenire degna di una<br />
punizione da parte degli uomini. Stai attento!<br />
Pirilampe si arrovellava:<br />
“Ma come sanno dell’erario, delle tasse, dei ladrocini,<br />
come fanno a sapere tutto?”<br />
Il sacerdote continuò:<br />
– Così ha deciso la pitonessa: tu limiterai il tuo lavoro<br />
all’amministrazione del denaro pubblico che ti passa tra<br />
quelle mani oneste che gli dèi ti hanno fatto crescere.<br />
Storna lo sguardo dagli altri e guarda solo alla tua famiglia.<br />
Sarai felice.<br />
Pirilampe, dopo l’offerta, offeso e triste, faceva ritorno<br />
al carro. Desiderava stare tra le braccia della moglie. Il<br />
suo stupore fu grande quando, dietro una delle colonne<br />
del tempio, vide Cronate, il suo consigliere dell’Assemblea,<br />
che confabulava col sacerdote brutale che gli aveva<br />
141
comunicato la volontà di Apollo. Cronate, qua, a Delfi!<br />
Fu una folgorazione:<br />
– Dunque sono arrivati sin qui! Addirittura alla Pitia!<br />
Vagò per Delfi sino al tramonto, quando le bancarelle<br />
chiudevano e i mercanti si placavano. Si sedette e pensò<br />
a lungo. Pensò che se lui non poteva giudicare gli altri allora<br />
neppure gli altri potevano giudicarlo. Insomma,<br />
nessuno poteva giudicare nessuno perché ciascuno peccava<br />
e, quindi, tutti peccavano. E ne discendeva che nessuno<br />
peccava. Improvvisamente apprezzò la perfezione<br />
divina del sistema. Non doveva essere difficile adattarsi.<br />
Lui era un uomo come tutti gli altri, fatto come gli altri,<br />
e ora aveva il più sacro dei permessi.<br />
Tornò allegro dalla moglie e dal segretario. Voleva sacrificare<br />
ad Apollo e banchettare.<br />
Dopo il vaticinio per Pirilampe ne erano venuti molti<br />
altri. Ma con qualche inciampo.<br />
Infatti l’indovina, con gli occhi bianchi, stramazzò con<br />
un urlo, cadde dal tripode e restò incastrata con una<br />
gamba nella fenditura sacra.<br />
– Niente paura! – disse Aghirte. – Guardate!<br />
Due sacerdoti portarono via la pitonessa svenuta attraverso<br />
una porticina da dove, in un battere di ciglia, entrò<br />
un’altra donna, abbigliata allo stesso modo ma più grassa<br />
tanto che fu issata sul tripode a fatica.<br />
– Ne abbiamo anche un’altra se serve, – bisbigliò<br />
Aghirte, – e questa è un vero talento.<br />
Una volta guadagnata la posizione anche la seconda indovina<br />
inspirò a fondo i vapori:<br />
– Possibile che l’ombelico del mondo sia così puzzolente?<br />
– chiese Peante. – Non sembra l’ombelico.<br />
142<br />
– Silenzio, – sussurrò Aghirte.<br />
Con la voce da ventriloqua, a occhi chiusi e con le braccia<br />
in alto, l’oracolo gorgogliò:<br />
– Noi tracciamo il solco ma il solco è già tracciato. E i<br />
nostri giochi saranno graditi agli dèi? E cosa fare davanti<br />
al leone che agita la coda e ringhia?<br />
La folla, sempre più stordita dalle esalazioni e dalle predizioni<br />
oscure, si sentì a disagio. Un altro vaticinio in comune?<br />
E poi si chiedevano: Ma come, la Pitia, fa lei le domande?!<br />
Peante, dopo un lungo silenzio, disse all’orecchio di Nicteo:<br />
– Ora capisco la mania dei nostri maestri di volere chiarire<br />
ogni cosa… Avranno i loro difetti, è vero, ma almeno<br />
si sforzano di decifrare le cose. Matematica, geometria,<br />
filosofia, qui ce n’è un grande bisogno. E poi io mi sento<br />
sempre più strano, quest’aria mi avvelena il cervello!<br />
Nicteo apprezzò molto il giudizio dell’amico.<br />
Ora la donna di Messene, Plissena, quella alla quale era<br />
stato assassinato il marito, fu condotta tremante davanti<br />
alla Pitonessa che continuava a tenere gli occhi chiusi:<br />
– Quando è fitta l’oscurità bisogna sperare di non incontrare<br />
nemici. Arriverà l’alba e io già vedo la luce. La luce!<br />
Fu un vaticinio breve.<br />
Un sacerdote ripeté con Plissena il rituale della cella:<br />
– Dunque, donna, devi tornare a Messene e cercare la<br />
pace con l’uomo che in un momento di debolezza…<br />
– In un momento di debolezza?<br />
– … che in un momento di debolezza ha ucciso tuo marito.<br />
Quest’uomo, ascoltami attentamente, ti ama. È cosa<br />
certa.<br />
143
– Tanto da violentarmi e, visto che l’amore era molto<br />
grande, tanto da violentare anche mia figlia. Io lo odio,<br />
lo odio e voi…<br />
– Zitta! Anche Zeus stuprò Leda. E tu, povera vedova,<br />
rifiuteresti un uomo che ti ama tanto da uccidere tuo marito<br />
per averti?<br />
Non c’era tempo: altri pellegrini subivano lo stesso<br />
trattamento con risultati alterni, compreso il malato che<br />
Nicteo aveva apostrofato in viaggio.<br />
Alle parole della sacerdotessa, oscure quanto quelle<br />
dei medici di Cos, il malato si sentì meglio e rafforzò il<br />
suo cattivo concetto su chi l’aveva curato sino ad allora.<br />
Entusiasta, riferì che immediatamente dopo il vaticinio i<br />
dolori terebranti allo stomaco che lo affliggevano da mesi<br />
erano scomparsi, che già dopo due ore era in grado di<br />
mangiare l’agnello arrosto sacrificato al dio guaritore e,<br />
sopratutto, che era riuscito a liberarsi di tutti i fluidi maligni<br />
che aveva accumulato nelle viscere.<br />
– Anatema ai medici e specialmente a quelli di Cos!<br />
Che Apollo ne disperda la razza e affondi l’isola di Cos!<br />
– urlava nelle vie di Delfi.<br />
Quando Nicteo e Peante uscirono all’aria aperta respirarono<br />
profondamente, felici di essere fuori dell’antro<br />
ma ancora più confusi di quando erano entrati. Però col<br />
vento fresco della montagna, il sole e la luce arrivò nuova<br />
forza. La giovinezza li proteggeva più di ogni altro<br />
dio.<br />
– E ora?<br />
Si rivolsero ad Aghirte:<br />
– La Pitia non ci ha degnato di uno sguardo.<br />
144<br />
– Beh, si capisce, avete visto l’alto grado dei questuanti,<br />
l’importanza dei quesiti, il numero dei fedeli. E poi, di<br />
cosa vi lamentate? Avete avuto la fortuna di due vaticini<br />
buoni per tutti. Non capita spesso.<br />
– È vero, – disse Nicteo. – Ma sono misteriosi. Comunque<br />
li abbiamo scritti nelle nostre tavolette, qualcuno<br />
ce li spiegherà.<br />
Aghirte improvvisamente esclamò entusiasta e battendo<br />
le mani:<br />
– Issione! C’è Issione! Che fortuna! Potete fare a lui le<br />
vostre domande. È il più saggio e anziano dei chiosatori<br />
e ha fatto voto di povertà, non vi costerà nulla. È un po’<br />
mutevole…<br />
– Mutevole?<br />
La guida si avvicinò al vecchio che se ne andava lento<br />
per i fatti suoi e lo convinse a dedicare qualche minuto ai<br />
due giovani che aspettavano con le tavolette in mano.<br />
Issione si sedette a fatica, ansimando, ai piedi di una<br />
statua di Apollo danzatore e sorrise con una faccia che<br />
esprimeva, finalmente, bontà:<br />
– Cosa vi addolora?<br />
– Non si tratta di dolore, – iniziò Nicteo, – siamo due<br />
giovani della Megaride assetati…<br />
– Non mi interessa chi siete e come vi chiamate. Io sono<br />
cieco ma la cispa che mi fa ombra alla vista non mi fa ombra<br />
alla mente e so giudicare due ragazzi. Cosa chiedete?<br />
– Vorremmo conoscere il significato di due vaticini<br />
della Pitia. Ecco, li abbiamo scritti qui… Voi non ci vedete<br />
ma noi possiamo leggerli…<br />
Issione si ravvivò, chiuse le palpebre rosse e iniziò:<br />
– Bene! In principio era il Caos…<br />
145
– Potete anche saltare questa parte, sacerdote, la conosciamo<br />
già, – disse Peante.<br />
– … poi gli dèi crearono il cosmo e l’ordine delle stelle…<br />
– Non siamo ignoranti come credete, lo sappiamo che il<br />
cosmo…<br />
Issione si imbizzarrì e la bontà scomparve dalla sua faccia:<br />
– Insomma! Io sono qua a cercare di mettere le cose in<br />
ordine a loro posto e voi mi interrompete! Qui convergono<br />
tutte le storie degli uomini e noi, da questa fogna immonda,<br />
ricaviamo un ordine! Non vi rendete conto di<br />
quello che avete visto oggi… del potere del dio. Qui si<br />
danno risposte che guariscono e ci sono voluti secoli, secoli,<br />
per fare tutto questo, capite? E voi vorreste comprendere<br />
tutto in un giorno, in un attimo. Siete matti!<br />
– Scusate, sommo sacerdote… – disse Nicteo.<br />
– Non sono sommo, sono solo un sacerdote chiosatore<br />
e anche vecchio. Io spiego, chiarisco e ho fatto voto di<br />
povertà.<br />
– Scusate, ma l’ordine di cui parlate ci chiarisce solo<br />
una piccola parte. Noi domandiamo al dio…<br />
Il vecchio si coprì il viso cattivo con le mani e improvvisamente<br />
iniziò a singhiozzare:<br />
– Ma cosa volete da me?<br />
Si scoprì la faccia e a Nicteo e Peante apparve la Paura<br />
attaccata come un mostro all’espressione del vecchio:<br />
– Sono vicino alla morte, affacciato sul vuoto e ancora<br />
non ho capito cosa mi aspetta dopo. Io supplico, un anno,<br />
un mese, un giorno, un istante di vita in più e ancora<br />
non so se qualcuno mi ascolta… Non so a chi domando,<br />
146<br />
non so a chi rivolgo le mie preghiere… Troverò il nulla e<br />
non capirò cos’è… Ho passato la vita a spiegare la forma<br />
del mondo a migliaia di idioti in ascolto e ora… È orribile,<br />
orribile, capite? Non ho capito e non c’è più tempo!<br />
Mutò ancora, diventò iracondo e iniziò a gridare:<br />
– Ecco cosa serve a quegli sciagurati che vengono da<br />
noi a fare domande, ve lo dico io! Serve che noi gli spieghiamo<br />
tutto con l’Armonia, qui è il segreto. Vogliono<br />
che noi gli diciamo, comunque sia, che il mondo e le loro<br />
insignificanti vite sono governati dall’Armonia. E se proprio<br />
armonico il mondo non è, noi glielo facciamo credere.<br />
E li convinciamo che per ogni storpio che resta storpio<br />
c’è uno sfacciatamente bello e sano, per ogni morto<br />
ammazzato c’è un nuovo nato che è accolto con amore,<br />
per cento poveri c’è un ricco, per ogni donna stuprata ce<br />
n’è una vergine e che tutto ciò dimostra senza possibilità<br />
di discussione il supremo equilibrio del creato, l’architettura<br />
sublime del mondo e che sono gli dèi a regolarla. Ma<br />
quando muoiono hanno tutti lo stesso terrore e muoiono<br />
con gli occhi aperti perché vogliono vedere cielo e terra<br />
sino all’ultimo! La stessa paura! E io ho paura! Scappate<br />
dalla paura!<br />
Fu preso da una risata nervosa, poi di nuovo dal pianto<br />
e poi, respirando come uno che ha corso, tacque.<br />
Aghirte retrocesse sino all’ultimo ordine delle colonne<br />
e si dileguò.<br />
Nicteo, superata la sorpresa, domandò:<br />
– Dunque è una farsa?<br />
– Un mercato? – aggiunse Peante.<br />
Issione aveva le braccia penzolanti e con la bocca aperta<br />
cercava aria:<br />
147
– È la risposta che la gente vuole.<br />
Improvvisamente Issione divenne amichevole:<br />
– Cari ragazzi, volete altre spiegazioni?<br />
– No, grazie, siete stato esauriente.<br />
– Mi raccomando, dietro la statua ci dovrebbe essere<br />
una cassetta, siate generosi.<br />
– Ma voi avete fatto voto di povertà, – osservò Peante.<br />
– Io certamente, ma il dio no. Qui ci sono cinquecento<br />
bocche da sfamare e non si tratta di bocche qualsiasi.<br />
Peante raccolse da terra un chiodo e lo mise nella cassetta.<br />
Il sacerdote non possedeva più la vista ma l’orecchio<br />
era esercitato:<br />
– Che suono strano! Non è un tintinnio di monete greche.<br />
– Sono dracme di semplice piombo della Megaride, –<br />
disse Nicteo.<br />
Fu conviviale:<br />
– Ora che avete trovato la risposta che cercavate vi consiglio<br />
di sacrificare un capretto dall’oste Licopèo che arrostisce<br />
ispirato da Apollo in persona. Vi consiglio anche<br />
di non usare con lui quelle dracme di semplice piombo<br />
della Megaride.<br />
Dopo queste parole il vecchio mistico si alzò e si allontanò<br />
tastando il muro.<br />
Un vecchio svaporato e folle. Una bella esibizione di<br />
furbizia secolare. Però quel discorso sull’Armonia aveva<br />
colpito Peante. E tutte quelle bocche da sfamare aperte<br />
come quelle dei pulcini che aspettano nel nido!<br />
L’apprendistato di Mègara aveva conferito ai due amici<br />
una certa malizia e uno spirito critico che, con la gio-<br />
148<br />
ventù, li salvava dall’oscurità. Erano passati da uno stato<br />
di intelligenza sorgiva a un altro più evoluto per cui i fatti<br />
dovevano essere prima esaminati e poi accettati o rifiutati.<br />
Intanto, però, la Pitia avrebbe farneticato a lungo.<br />
Restavano due sacchetti di dracme.<br />
– Abbiamo cercato la conoscenza e ci ha sopraffatto,<br />
abbiamo cercato conforto negli dèi e ci hanno intossicato<br />
con i suoi vapori…<br />
– E io comincio a provare troppa nostalgia, Nicteo. Filosofia<br />
e religione! Che cambino il mondo, a me non importa.<br />
Io voglio il mio, di mondo… io sono un pastore.<br />
Ho capito che, tanto, non cambierà nulla: si continuerà a<br />
vivere con la paura di morire e a morire lo stesso anche se<br />
un esercito di Echecrati e di Pitie si opponessero.<br />
– Questo è vero, Peante. Ma io voglio conoscere, conoscere…<br />
Te le immagini le sere al paese? No, no! Lo sapevamo<br />
che sarebbe stato faticoso. Fammi riflettere. Il colpo<br />
è stato forte.<br />
Al tramonto, dopo una lunga passeggiata tra gli ulivi,<br />
Nicteo affermò:<br />
– Amico, gli dèi ci hanno illuminato. Ascolta bene cosa<br />
ho pensato.<br />
Peante era sospettoso, però Nicteo era sicuro e fermo:<br />
– Quali sono, Peante, i prodotti dell’uomo che si fanno<br />
ammirare solo per quello che sono e non perché truccati<br />
o imposti con la forza?<br />
– Il grano, l’orzo, il vino…<br />
– No, no, questi sono i prodotti della natura, non c’entrano<br />
con quello che intendo io.<br />
– E cosa intendi tu?<br />
149
– L’Arte, caro mio, con l’Arte non si bara! Se una statua<br />
è brutta e sproporzionata non puoi convincere qualcuno<br />
che è un capolavoro! Se una tragedia è noiosa non puoi<br />
imbrogliare il pubblico che non applaude e non torna a<br />
vederla.<br />
Peante pensò che il ragionamento era sottile e che<br />
Echecrate si era dedicato al suo compagno con bei risultati.<br />
– E dov’è concentrata l’Arte? Dove?<br />
Peante non ebbe dubbi:<br />
– Atene.<br />
Così prepararono i pochi bagagli, pulirono gli asini,<br />
mangiarono pane e fichi, dormirono sonni intossicati e si<br />
svegliarono all’alba. Diressero i musi delle loro cavalcature<br />
verso meridione, contro la corrente dei pellegrini folli<br />
come quegli animali che si muovono solo in mandrie alla<br />
ricerca dell’acqua e ricominciarono a parlare e parlare.<br />
150<br />
IV<br />
Uno stupore che non finirà più.<br />
Dentro la pancia candida di Medina, accucciato e soddisfatto,<br />
c’è un bimbo già bello e grande, rosa, con le palpebre<br />
ben aperte che fissa tutti dritto negli occhi, fulminandoli<br />
uno per uno con uno sguardo prepotente. Esce<br />
qualche goccia di sangue bianco dalla ferita di Medina<br />
che il medico deve allargare tremando come una canna al<br />
vento per far uscire il bambino enorme.<br />
Il bambino, con qualche sforzo, porgendo la mano a<br />
Porfirio esce gocciolante continuando a fissare tutti.<br />
Il dottor Fiammatorta taglia il cordone, l’annoda e ci<br />
mette una garza, poi sente un fortissimo dolore alla testa,<br />
si porta le mani alle tempie, lancia un urlo e cade a terra<br />
tenendo ancora la lama con cui ha aperto l’ombelico di<br />
Medina.<br />
Porfirio, moltiplica le rughe, piega il becco più in giù,<br />
muove tutte le penne e dice soltanto:<br />
– Ecco cos’era! Era amore! Avevo ragione: un amore<br />
esagerato, esagerato!<br />
Battista Xaxa inizia in silenzio il suo pianto e ordina altro<br />
oppio per la moglie.<br />
151
* * *<br />
Tutti hanno saputo la notizia del miracolo mostruoso, e<br />
qualcuno dubita che sia un miracolo.<br />
Il vento arriva dai monti e spazza i vapori fetidi di Talattone.<br />
Le prostitute escono per strada. I pederasti del porto<br />
escono dall’ombra delle stanze e fanno uscire anche i<br />
bambini pallidi. Esce tutta la brodaglia ristretta del quartiere<br />
basso. Anche l’unico prete di Talattone esce e, nonostante<br />
il naso sempre umido, sente anche lui nell’aria<br />
quell’odore di pesche. Anche nel convento Tebe Mistrè<br />
sente l’aria di miracolo e si morsica il dito a croce perché<br />
odia i miracoli e pensa che vengano da sottoterra e non<br />
dal cielo.<br />
* * *<br />
Porfirio bussa.<br />
La stanza è buia e si vede il naso bianco di Basilio, l’unica<br />
parte che ha resistito al disfacimento di quest’uomo alto<br />
e malato:<br />
– Senti Basilio, c’è bisogno di te a casa di Capitan Xaxa.<br />
Basilio non s’alza più da anni dal suo letto sporco perché<br />
al posto dei polmoni ha due bolle d’aria piene di liquido.<br />
A sentire il nome di Capitan Xaxa, diventa azzurro,<br />
non respira, si contorce, rumina e rumina a lungo uno<br />
sputo tra palato e lingua e poi lo schizza in terra.<br />
Porfirio non ci bada:<br />
– Ti ho portato pesce bollito, ecco, mangialo. Ma c’è bisogno<br />
di te per mandare via il diavolo da casa Xaxa.<br />
Basilio mangia anche le pinne e gli occhi bianchi del pe-<br />
152<br />
sce, poi, quando finisce, dopo una serie innumerevoli di<br />
sputi, si decide a parlare con uno sforzo smisurato:<br />
– Porfirio, tu puoi chiedermi tutto, lo sai. Ma Capitan<br />
Xaxa ha impiccato mio fratello, mi ha chiuso senza processo<br />
in una cella coi topi che mi morsicavano e senza luce…<br />
e ora guarda cosa sono! Non esco da questa stanza…!<br />
Ho i polmoni in piena!<br />
Porfirio accende il fuoco sotto una pentola:<br />
– Ora farai i fumenti con la polvere di artemisia che ti<br />
ho portato.<br />
Solleva Basilio, lo accosta alla pentola quando l’acqua<br />
calda inizia a fumare e lo ricopre con un panno sporco di<br />
ogni peccato di Talattone. Da sotto il panno ogni tanto Basilio<br />
toglie la testa a sorpresa da una parte o dall’altra lanciando<br />
sputi una volta qua e una volta là. È una mortificazione<br />
vedere quest’uomo curvo che parla da sotto il telo:<br />
– Tu lo sai Porfirio che io ho dovuto usare quello che ho<br />
trovato per fare la minestra della mia vita. E se ho trovato<br />
solo il male e i rifiuti, rovistando da bambino in mezzo alle<br />
porcherie di questa città, non è una mia colpa… E invece<br />
tutto mi è stato rovesciato addosso e mi sono sporcato…<br />
– Respira, Basilio, respira.<br />
– Chi ha deciso di lasciare qui noi, in basso, a crescere<br />
tra il letame? Quando è successo? Io domando un giorno,<br />
un’ora, un respiro in più… un mendicante d’aria…<br />
ma noi non siamo ascoltati perché è così da quando c’è<br />
questa città… Le fogne in basso e noi vicini ai topi…<br />
– Respira, Basilio.<br />
– Dev’essere stato così sin dall’inizio, dev’essere stato<br />
deciso dagli inizi… E dove vuoi che venga mantenuto<br />
153
uno che, come i topi sa prendersi il male addosso, anche<br />
il peggiore, senza morire… È il male che mi allunga la vita,<br />
senza male e dolore io sarei già incenerito… Morirò e<br />
non avrò capito nulla… Ora vuoi che venga a prendere<br />
altro male che mi si attacca e mi prolunga la vita…<br />
– Ti farò portare io in carrozza e Capitan Xaxa si inginocchierà…<br />
– Si inginocchierà? – rantola togliendosi il drappo dalla<br />
testa e allargando le narici per prendere più aria.<br />
– Beh, insomma ti chiederà, si piegherà a chiedere che<br />
tu gli liberi la casa e salvi il bambino che il diavolo sta facendo<br />
crescere ogni ora di più. In un giorno da che è uscito<br />
dal ventre materno ha imparato a camminare, pensa. Il<br />
dottore ha avuto una flussione alla testa ed è morto davanti<br />
al bambino. La moglie di Capitan Xaxa è soffocata perché<br />
hanno esagerato con l’oppio. Dicono che è il diavolo<br />
o qualcosa di simile che lo muove. Dimmi cosa ti serve,<br />
ma ricordati che, secondo me è solo un’esagerazione dell’amore:<br />
hanno esagerato ed ecco cosa ne è venuto fuori.<br />
– L’amore esagerato? E chi ce la fa, Porfirio? Io non ci<br />
ho mai provato…<br />
– Vieni?<br />
Basilio rumina ancora, pensa e rumina di nuovo, poi, al<br />
posto di un sì, lancia uno sputo catramoso che finisce più<br />
lontano di tutti gli altri sputi.<br />
* * *<br />
Porfirio ha continuato con la luce e col buio il giro per<br />
le sue vie oblique:<br />
– Sertolino, lo so che tu volevi bene al conte.<br />
154<br />
Sertolino ha gli occhi rossi e stringe forte la mano di<br />
Amelina che ha giurato di sposare.<br />
– Se io non fossi stato innamorato, e coricato con Amelina<br />
sulla paglia, l’avrei salvato e lui sarebbe ancora qui, magari<br />
disperato, a contare le stelle. Sono salito io a staccarlo<br />
da quell’albero infelice… il più bello dei frutti che quel<br />
maledetto pesco ha prodotto… Era il suo albero preferito:<br />
quante cose mi ha insegnato là sotto, quando il sole<br />
picchiava o la notte, all’ombra della luna… I genitori lo<br />
vogliono imbalsamare, pensate, per poterlo almeno vedere<br />
ancora e, magari, parlarci quando ne hanno voglia… Si<br />
è ucciso per quella poverina che è morta con suo figlio in<br />
pancia…<br />
Amelina singhiozza e piange.<br />
Porfirio non si commuove mai perché lui è la strada che<br />
tutti i vizi attraversano per arrivare al dunque:<br />
– Ora c’è da purificare il bambino da questa maledizione<br />
che inizia dall’albero infelice e chissà dove arriverà.<br />
Tiene già la matita in mano e cerca di scrivere, pensa…<br />
– Studierà il cielo come il padrone, mio Dio!<br />
– Mi serve una goccia di sangue del tuo padrone.<br />
Amelina scappa via.<br />
Sertolino impallidisce:<br />
– Sangue di Guglielmino Redenti? Ma è sangue fermo<br />
ormai! Come faccio a toglierglielo?<br />
Può sposare Amelina con tutti i soldi che gli dà Porfirio,<br />
tenersi sempre vicino quella pelle da uovo sodo, respirare<br />
e sentire l’odore di Amelina che gli fa tanto sangue, il collo<br />
peloso, la bocca. Gli manca il respiro. Deve solo spremere<br />
sangue da Guglielmino, spremerne qualche goccia<br />
155
direttamente dal cuore. Deve pungerlo in un punto preciso<br />
che Porfirio gli ha spiegato. Poi con quel sangue bisogna<br />
bagnare il bambino che nessuno ha avuto ancora il<br />
coraggio di battezzare, neanche il prete raffreddato e umido<br />
di Talattone.<br />
* * *<br />
Basilio è stato trasportato in barella, con i polmoni liquidi,<br />
davanti al neonato che cerca di tendere un arco e<br />
lanciare una freccia in aria. È saltato fuori dalla pancia di<br />
Medina solo da quattro giorni. Ma il talattonese non si<br />
stupisce e sembra che capisca subito di cosa si tratta e<br />
compiacendosene sputa nel fazzoletto. Rantola solo:<br />
– Ce ne vorrà.<br />
Capitan Xaxa è peggiorato e ora un occhio gli sporge<br />
spaventosamente più dell’altro ed è rosso come una torcia.<br />
Non dorme più e non mangia, abbrustolito dalla malattia.<br />
Aspetta Basilio, non bada agli sputi, si inginocchia e<br />
indirizza come una lancia l’occhio verso Basilio:<br />
– Porfirio salverà il collo dal cappio. Ma tu devi liberare<br />
la casa e questa creatura terribile.<br />
Basilio sputa ancora, per rispetto, in un panno pulito, ci<br />
guarda dentro e poi inizia.<br />
* * *<br />
Era curvo quando aveva fatto passare la corda sopra il<br />
ramo più robusto del pesco grande. Si era raddrizzato<br />
quando aveva fatto passare il cappio che aveva stretto bene<br />
al collo. Si era allisciato i capelli, ascoltato il vento nel<br />
156<br />
frutteto e guardato il cielo: “Medina, polverina celeste, è<br />
il sangue tuo che ha fatto tutto.”<br />
Quando era saltato giù non aveva ricevuto la punizione<br />
desiderata.<br />
Era azzurro, quando l’aveva trovato Sertolino, e ancora<br />
ondeggiava spinto dallo scirocco forte. Non sembrava<br />
morto, era anche più bello del solito e Sertolino aveva<br />
pensato, ma solo un istante, che giocasse all’altalena. Non<br />
aveva mai visto un morto così aggraziato con il capo così<br />
gentile piegato da un lato.<br />
Aveva tagliato la corda col suo spadino da scudiero e lo<br />
aveva disteso tra le pesche mature cadute.<br />
Guglielmino Redenti, bello, pettinato e freddo.<br />
* * *<br />
Basilio viene coricato dentro la carrozza che riempie di<br />
sputi lavici e riportato alla sua tana a Talattone. Ha respirato<br />
un poco d’aria di Epipanormo, sta meglio; i suoi polmoni<br />
gorgogliano come prima ma lui si regge in piedi. È<br />
un poco di vita in più.<br />
Ricompare il vento nobile del nord.<br />
Il bambino ora dorme in una culla e piange come tutti i<br />
bambini chiedendo un capezzolo e un capezzolo enorme<br />
viene fatto arrivare dalla montagna e fa un latte al rosmarino.<br />
Tutti mettono il vestito nero in casa.<br />
Medina è murata nella sua stanza di ragazza ma il padre<br />
vuole che un mattone in alto non sia messo al suo posto in<br />
modo che un unico raggio di luce entri nella camera della<br />
figlia dal lato del balcone che dà verso casa Redenti.<br />
157
Eponina, uccisa dall’oppio, viene sepolta al promontorio<br />
sotto una croce di marmo bianca nel cimitero sabbioso.<br />
Ognuno pensa che l’oppio è una cosa benedetta da<br />
tutti i santi perché lei, con l’oppio, è morta senza smorfie,<br />
e senza paura ha lentamente preso il largo senza strappare<br />
le corde che la tenevano al molo.<br />
Battista Xaxa ha scelto il nome per il bambino: Enrico.<br />
Lo fa battezzare nella cattedrale bianca dove le luci, in<br />
una bella giornata di settembre, entrano come un liquido<br />
argentato e si incrociano arrivando al fonte dalle finestre<br />
alte. Uno di questi raggi colpisce l’occhio gigante di Battista.<br />
È l’occhio della fronte, l’occhio destro, quello del futuro,<br />
dell’eternità, l’occhio senza palpebra, l’occhio lungo.<br />
Lascia il comando della città al suo luogotenente energico.<br />
Segue le poppate, il sonno, le giornate di Enrico. Controlla<br />
il seno della balia Egidia ogni mattina spingendolo<br />
con un dito e dicendo: – Va bene, però mangia più carne.<br />
Ogni dieci giorni va a portare notizie alla tomba della<br />
moglie.<br />
Ogni sera, dopo che chiudono le porte tra città alta e<br />
città bassa, dà consigli con il suo enorme occhio al luogotenente,<br />
troppo onesto per governare da solo su Talattone.<br />
Ogni notte si appoggia ai mattoni della camera di Medina<br />
e racconta del bambino sussurrando alle pietre.<br />
* * *<br />
I genitori di Guglielmino guardano ogni volta che ne<br />
hanno voglia il figlio imbalsamato che hanno fatto conser-<br />
158<br />
vare nella stanza più fredda del palazzo. Ma dopo alcuni<br />
mesi è così cambiato che dapprima lo guardano solo in<br />
penombra e poi, siccome ha smesso del tutto di assomigliare<br />
a Guglielmino - tanto che può essere chiunque e di<br />
qualunque età - preferiscono seppellirlo, non vederlo più<br />
e guardarlo solo in un bel ritratto che si portano nella camera<br />
da letto.<br />
Il padre fa tagliare tutti gli alberi di pesco del frutteto fatale<br />
e lo lascia raso e melanconico con la cupoletta, l’osservatorio<br />
del figlio che non ha il cuore di distruggere.<br />
Spariscono passeri, allodole e merli e rimane qualche tortora<br />
per il lamento funebre a ogni alba. – Tutto, tutto…<br />
ma sentire quell’odore di pesche non posso più, mai più.<br />
La madre tiene in un sacchetto di lino una ciocca dei capelli<br />
di Guglielmino e ogni volta che abbassa lo sguardo,<br />
se la vede al collo e ricomincia il ciclo nero del lutto di cui<br />
sente dappertutto le zampe brutali.<br />
Per il nipote Enrico non sanno bene cosa provare: pensano<br />
spesso al bambino che è stato liberato da Basilio,<br />
morto soffocato un mese dopo.<br />
Padre Onagro, interrogato su quello che i due vecchi<br />
dovrebbero fare per il nipote, risponde: Difficile, difficile!<br />
I due vecchi e invecchiati genitori vogliono sapere se<br />
devono considerarsi nonni.<br />
Padre Onagro ha un muso da ciuccio e nitrisce: – Quel<br />
bambino viene dal vostro sangue e il vostro sangue viene<br />
da lontano. – Arriccia le labbra: – Volete che si esaurisca il<br />
vostro sangue? No, certo! Ma come è stato generato? Ecco,<br />
questo è il nodo che procura dolore… Come è stato<br />
generato? C’è un difetto di legittimità, questo è certo. E<br />
159
sul difetto di legittimità dovrei sentire altri pareri canonici.<br />
Ci vorrà tempo e gli avvocati di più di una curia, giacché<br />
il caso è unico.<br />
Vanno ugualmente al compleanno.<br />
* * *<br />
Nel frattempo è successo.<br />
– Spingi Amelina, spingi forte… sei troppo soda, fa fatica<br />
a venire fuori… pensa alle tue pecorelle… come se fossi<br />
sola nel bosco… Spingi…<br />
Amelina non era spaventata. Mostrava i denti al dolore,<br />
spingeva e si concentrava sul ricordo di Sertolino che,<br />
quando era addosso a lei, non capiva più nulla.<br />
Amelina aveva riempito del suo buon odore la stanza.<br />
Aveva sorriso, spinto e illuminato tutto intorno:<br />
– Ecco.<br />
Con la luce era venuta fuori una bambina scura, solida,<br />
un po’ pelosa ma con una bella pelle salutare solo a vederla.<br />
La bambina, sorprendendo Sertolino, prima di piangere,<br />
aveva fatto un bel sorriso e cosparso madre e padre<br />
di un buon umore dorato che gli si era attaccato addosso e<br />
non se ne sarebbe andato più via.<br />
La levatrice, tagliandole il cordone e coprendolo di polvere<br />
da ombelico, aveva detto:<br />
– Melania, chiamatela Melania.<br />
* * *<br />
Così al compleanno di Enrico Xaxa partecipa, aiutando<br />
a servire i gelati, anche Sertolino che aiuta i suoi vecchi<br />
160<br />
padroni, gli mostra Melania e la fa avvicinare al figlio di<br />
Guglielmino e Medina che tante ne ha passate anche se ha<br />
solo un anno. Però ora sembra un bambino come gli altri.<br />
Enrico è afflitto da tutta quella gente che lo tocca e lo<br />
prende in braccio, ma quando vede la piccola Melania,<br />
scura, bella e pelosa, e quando gliela avvicinano sente l’odore,<br />
la annusa a lungo e si consola.<br />
Nessuno se ne accorge ma il corso della vita dei due<br />
bambini è cambiato in questo momento ed è cominciata<br />
un’assistenza reciproca che avviene con un linguaggio infinitesimo<br />
iniziato con l’olfatto. L’odore non cambia e per<br />
il piccolo Enrico si tratta di una zampata affettuosa e senza<br />
unghie che gli arriva al naso e da lì alla memoria imprimendosi<br />
come un marchio a un vitellino.<br />
E ogni volta, quando Sertolino porta Melania a casa<br />
Xaxa, Enrico sente subito l’odore prima di vederla e lascia<br />
anche il capezzolo della nutrice e, per gentilezza, lo dà da<br />
succhiare a Melania. In questo modo crescono sviluppando<br />
in comune tutti i sensi che possono condividere.<br />
Quando Melania perde la sua peluria e, in cambio, ha<br />
denti a sufficienza il suo sorriso incomincia a far luce, una<br />
luce bianca che fa saltare come un folle Enrico qua e là, la<br />
stessa che è apparsa al momento della sua uscita dal ventre<br />
materno e che ha illuminato Sertolino e la levatrice.<br />
Un giorno Battista Xaxa vedendola ridere sente l’occhio<br />
bruciargli di meno e il cuore battere più tranquillo e<br />
pensa: “Questa bambina consola gli afflitti.” E una volta<br />
che la vede giocare in giardino: “La fontana manda più<br />
acqua… i girasoli si voltano… arrivano più farfalle e i calabroni<br />
volano più veloci… Tutto per questo sorriso…”<br />
Ripensa al naso di Medina che è venuto da lontano per<br />
161
andarsi a depositare sulla faccia del nipote Enrico. E pensa<br />
anche al futuro più distante sperando con tutte le sue<br />
forze che quel naso passerà da faccia a faccia per tutta la<br />
durata di Epipanormo, forse, e anche dopo.<br />
* * *<br />
Guglielmino aveva sentito il crac del collo senza spavento<br />
e aveva aspettato che il buio entrasse nei suoi occhi<br />
perché si era convinto che quello era proprio morire.<br />
Il collo era spezzato, non muoveva più neppure un dito,<br />
il torace non si muoveva, già diventava freddo alle estremità…<br />
però il freddo lo sentiva. Sentiva.<br />
Aveva aspettato così, fermo perché era morto, che sparissero<br />
anche le tracce minime della vita. E aveva continuato<br />
a sentirsi Guglielmino, prepotente, innamorato di<br />
Medina… e invece ciondolava freddo, spinto dallo scirocco.<br />
Come un pendolo andava una volta nell’aldilà e<br />
poi tornava di qua.<br />
Cosa era quell’energia che ancora sentiva? Si era arrabbiato,<br />
aveva divincolato i pensieri per fuggire da lì, ma<br />
questo lo aveva fatto soffrire troppo e aveva smesso.<br />
Non gli era toccato aspettare molto.<br />
Si era portato via il ricordo profumato dell’albero infelice<br />
mormorando come un bambino dispettoso: Ecco, ecco…<br />
E quello che restava di lui lo aveva lasciato a pendere dal<br />
ramo.<br />
162<br />
V<br />
Erano in auto e andavano a palazzo di giustizia, costruito<br />
giù a Talattone dove ce n’era sempre stato più bisogno.<br />
Un edificio in stile egizio che non conteneva faraoni.<br />
– Dunque è una sostanza? – domandava Enrico.<br />
– È un’anima o una sostanza? Vogliamo consumare l’anima<br />
e la sostanza nostre in questa discussione? – chiese<br />
Battistino mentre guidava nervoso.<br />
– È una cosa imperfetta, e fa paura, a me fa molta paura,<br />
– disse Melania. – Però ha avuto un figlio, così ti ha<br />
detto questo Guglielmino… vero, Enrico? Ha detto che<br />
ha avuto un figlio?<br />
– Sì, ma l’ha saputo solo dopo che si è appeso all’albero<br />
di pesco. E mi chiedo di continuo: perché non mi ha voluto<br />
uccidere? Ha detto che non poteva farlo con me.<br />
Melania si raccolse i capelli. Enrico, che era seduto dietro,<br />
le vide la nuca e si incantò, come sempre, davanti a<br />
quella sostanza sostanziata da cui emanava qualcosa che<br />
magari era proprio l’anima di Melania:<br />
– Ha detto che non poteva farlo, che non poteva uccidermi.<br />
Ecco.<br />
Melania si girò e sorrise ad Enrico:<br />
– A Epipanormo sono nati e morti in tanti, ed è questo<br />
che fa disperare Enrico… Si dispera perché li hanno di-<br />
163
menticati e non se ne sa più niente. Strati su strati di corpi<br />
e nessuno si ricorda nulla, vero?<br />
Enrico annuì anche se questo era un altare che non<br />
amava scoprire in presenza di Battistino:<br />
– L’altro giorno sei svenuto su strati di morti, Enrico<br />
mio… non perché quella donna con le zanne ti alitava addosso.<br />
Battistino succhiava una sigaretta:<br />
– Enrico sviene su morti definitivi e non sviene davanti<br />
a quella specie di odore, ombra, anima…<br />
– Beh, io ho paura della morte definitiva, non delle ombre,<br />
anzi… Da piccolo speravo sempre, prima di spegnere<br />
la luce, di vedere una di quelle anime di parenti che<br />
papà e mamma ne parlavano sempre. Poi ho iniziato a<br />
pensare alle cose vere e da allora ho iniziato a prendere<br />
un quarto di pastiglia per dormire, poi una metà… e con<br />
le pastiglie la fantasia se n’è andata. Ci ho messo anni:<br />
adesso ne ingoio una intera solo ogni tanto.<br />
Ammutolì: si era confessato senza pudore e senza accorgersene.<br />
Melania lo guardò benigna. Battistino sogghignò<br />
soddisfatto:<br />
– Lo fanno in tanti quello che fai tu, non tutti, ma in<br />
tanti si impasticcano.<br />
Melania gli disse:<br />
– È solo l’inizio dei tuoi racconti, Enrico. Se l’avessi fatto<br />
prima… Purché adesso non esageri! Eccoci, siamo arrivati.<br />
L’avvocato Petinicchio non dà appuntamenti, lo<br />
sapete… Mi ha detto: mi troverete nell’androne a palazzo,<br />
tra una causa e l’altra. Non fatevi ingannare dall’aspetto…<br />
e non giudicate, eh!<br />
Battistino era cupo:<br />
164<br />
– A cosa ci serve un avvocato?<br />
Melania non si voltò neppure:<br />
– Tre morti, un commissario che ci studia al microscopio…<br />
– Con quell’occhio ci studia al microscopio?<br />
Melania non ci badava all’acido di Battistino:<br />
– …un commissario che spia ogni cambiamento nelle<br />
nostre espressioni, che ci gira intorno e tu domandi a cosa<br />
ci serve un avvocato? Battistino, sei seccante…<br />
– Forse ci servirà un giorno… io domando: a cosa ci serve<br />
ora?<br />
Arrivarono a palazzo e scesero dalla macchina.<br />
Lei non rispose a Battistino e salì le scale facendo girare<br />
un bel po’ di maschi.<br />
Enrico iniziò una vertigine sottile e continua. Era tutta<br />
questa gente che qua - distratta dalle cose terribili che avvenivano<br />
in questo palazzo - si dimenticava che doveva<br />
prima o poi andarsene, tutta questa processione che lo faceva<br />
stare male.<br />
In effetti, come aveva detto Melania, trovarono nel<br />
grande andito l’avvocato Eligio Petinicchio, curvo e pallido,<br />
i capelli tinti nerofumo, vestito di nero anche d’estate,<br />
le scarpe gommate.<br />
Petinicchio passeggiava in atteggiamento di confidenza<br />
con qualcuno, lasciava la sua manina per un istante impercettibile<br />
in quella di chiunque incrociava, sorrideva di<br />
profilo, e continuava a tenere stretto in un braccetto molle<br />
quello con cui parlava il quale era sempre diverso all’andata<br />
e al ritorno lungo l’androne.<br />
165
Enrico notò subito che tutto quello che veniva guardato,<br />
sfiorato o preso a braccetto dall’avvocato si ricopriva<br />
immediatamente di una patina grigia miracolosa e, quando<br />
si trattava di persone, vide che quelle, ingrigite, rallentavano<br />
idea e azione.<br />
Battistino fu subito maldisposto e pensò che la peggior<br />
espressione di un essere del genere in natura era proprio<br />
Petinicchio che usava le mani in modo indecente come<br />
prolungamento di un’anima che avrebbe voluto molto<br />
più di due mani.<br />
Quando, lasciato l’ultimo braccio, arrivò il turno delle<br />
mani di Melania, Enrico e Battistino, Petinicchio le prese<br />
tutt’e tre nelle sue e li condusse come bambini in una delle<br />
stanze intorno all’aula.<br />
– Signora Lampreda, ho già parlato con il commissario<br />
Glicerio, – disse ingrigendo subito tutta la stanza e poi<br />
sfregandosi la fronte lucida:<br />
– È una storia che giuridicamente ha mille lati, e non<br />
solo giuridici: tra il romantico e il forense, tra il forense e<br />
il magico, tra lo storico e il forense, tra la religione e…<br />
– Abbiamo coscienza, avvocato, della complessità di<br />
questa storia, anzi, nessuno, come noi, ce l’ha, – disse Melania<br />
coprendo lei di bianco col sorriso l’avvocato che le<br />
diede ragione:<br />
– Ma noi possiamo considerare solo alcuni lati, – fece<br />
una pausa. – È vero, è verissimo, signora.<br />
– Quali possiamo considerare? – domandò Battistino<br />
già molto ostile accendendosi una sigaretta.<br />
Spruzzandogli un bel po’ di grigio addosso Petinicchio<br />
rispose:<br />
166<br />
– Almeno due: il lato storico e quello religioso, tutti e<br />
due da unificare, poi, sotto l’aspetto forense per il quale<br />
la signora Lampreda si è rivolta a me.<br />
Battistino si scosse la polvere e rispose protetto dal suo<br />
acido:<br />
– In un argomento si può entrare di fianco, di fronte e<br />
dandogli le spalle. Quale lato sceglie lei, avvocato?<br />
L’avvocato rispose con un sorriso di cenere:<br />
– Entrare in una storia come questa con passo di corsa<br />
significherebbe inciampare subito e cadere senza potersi<br />
rialzare più. Di fianco, invece, si può guardare in due direzioni:<br />
davanti e dietro, se mi capite. La sua ostilità la capisco<br />
solo se non è personale, professor Mattiolo… la capisco<br />
solo se è rivolta a tutto l’ordine degli avvocati, a tutto<br />
l’ordine giuridico, allora sì, la capisco e la capisco bene.<br />
Battistino si ravviò i capelli:<br />
– È che non arrivo a capire a cosa ci serva un avvocato.<br />
Non siamo indagati, nessuno ci cerca, ci hanno solo fatto<br />
qualche domanda…<br />
Petinicchio spruzzò:<br />
– È una storia in cui si può restare impigliati come un<br />
tonno in una tonnara…<br />
Enrico si sentì pesante, senza più un futuro da sperare,<br />
tramonti da guardare, bagni, cibo, libri… più nulla gli sarebbe<br />
piaciuto. Forse - ma non poteva pensarci - neppure<br />
Melania lo avrebbe più interessato. Nulla: c’era la giustizia<br />
che lo inseguiva e per quanto ne sapeva lui erano inseguimenti<br />
che non finivano mai e che, sino ad allora, erano<br />
capitati solo ad altri. Ora toccava a lui. Come la morte. E<br />
si appoggiò, sfinito, al muro per non cadere.<br />
Invece la testardaggine caustica di Battistino - che lui<br />
167
chiamava coraggio - gli mandò in giro per il sangue una<br />
scarica di forza irritata: – Io non sono un tonno, avvocato,<br />
non sono un animale.<br />
Poi guardò Enrico:<br />
– Questo sviene, questo sviene…<br />
* * *<br />
Porfirio tirò fuori dal taschino un metro pieghevole e<br />
disse:<br />
– Cinquanta centimetri per quaranta. Una cornice che<br />
dovrà essere una corona per questa reliquia, dottor Gracchini,<br />
una corona. Quanto fumo, però…<br />
Il dottor Gracchini era un vecchio sempre seduto, ossidato<br />
dalle sigarette e dalle candele, ed evocava, anche se<br />
non era un prete ma un ospite laico del convento del Santo<br />
Crocifisso, punizioni eterne, terribili come la reliquia<br />
plumbea del dito a forma di croce.<br />
Viveva in una cella dove aveva fatto ridurre la finestra a<br />
un oblò per privarsi di cielo e mare, e gli bastava per capire<br />
il tempo a seconda della luce che entrava impaurita in<br />
quella grotta.<br />
Conosceva da quando erano ragazzi Enrico Ricasoli e<br />
Battistino Mattiolo e riteneva, pensando a loro, che l’amicizia<br />
maschile era proprio contro l’interesse dell’associazione<br />
umana.<br />
Conservava nella sua cella centinaia di bottiglie vuote<br />
ammucchiate. Porfirio se ne stupì ma, abituato a entrare<br />
nelle case della gente e a trovarci le cose più inaspettate,<br />
non fece domande sulle bottiglie.<br />
– Quante sigarette fuma, dottor Gracchini?<br />
168<br />
– Più di cento, signor Rubinacci, e ho ottantasette anni.<br />
E respiro nella mia cella sempre la stessa aria respirata da<br />
me stesso, l’unica di cui mi fido. E non mi muovo quasi<br />
mai dalla mia sedia, ho avuto anche piaghe a forza di stare<br />
seduto, ma non mi muovo. Ogni tanto viene il dottore a<br />
medicarmele, lui non capisce com’è che non peggiorano.<br />
Sono le mie stigmate.<br />
Continuando a misurare, Porfirio Rubinacci parlava:<br />
– È una zona da stigmate, dottor Gracchini? Le stigmate<br />
vengono nelle mani, nelle ginocchia, in fronte… Anche<br />
nel punto dove compaiono a lei sono considerate un miracolo?<br />
La astiosa determinazione del dottor Gracchini non era<br />
solo legata alla vecchiaia ma veniva da un carattere dispettoso<br />
e pieno di risentimento che aveva sin da bambino e<br />
che tutti avevano avuto in odio tanto da spingerlo a isolarsi,<br />
pagando una retta mensile, nel convento del Santo<br />
Crocefisso dove tolleravano anche la collezione di bottiglie<br />
vuote:<br />
– Senta, Rubinacci, lei deve fare una cornice a questa reliquia.<br />
Voglio stare qui dentro e il padre provinciale mi ha<br />
concesso di tenere questo dito a croce nella mia cella, tanto<br />
non lo guardava nessuno e chi lo guardava sentiva un<br />
brivido che veniva da sottoterra e non dal cielo. Perciò voglio<br />
tenerla io questa oscenità, che non faccia male a chi la<br />
osserva. Qui il dito ha a che fare con me: nessun influsso,<br />
nessun veleno, niente mi si attacca. Quanto alle mie stigmate,<br />
può darsi che arrivino anche quelle da sottoterra<br />
ma me le tengo come un segno di attenzione che fuori di<br />
qui non ho mai trovato. Non le chiederò di incorniciarmele,<br />
ma non le permetto di fare lo spiritoso su questo fe-<br />
169
nomeno: io continuo a stare fermo e non peggiorano, capisce<br />
o no? Le bottiglie, stia attento alle bottiglie, si muova<br />
con cautela.<br />
– Sto attento, ma lei non sente almeno un formicolio alle<br />
gambe?<br />
– Le gambe? Quelle servono a chi deve camminare in<br />
quelle luride strade della città. Io faccio tutto qui, tutto<br />
qui nella mia sedia. Formicolio!<br />
Rubinacci rinunciò alla discussione, si allontanò dalla<br />
catasta di bottiglie e si informò:<br />
– Oggi mi hanno detto che vengo da commercianti fenici,<br />
ma io devo chiederlo prima: quanto vuole spendere? È<br />
una reliquia, non c’è da risparmiare su una reliquia.<br />
* * *<br />
Tornando a bottega Porfirio rifletteva sul ritratto di Guglielmo<br />
Redenti e quella reliquia orrenda. Brutta mattinata!<br />
Meglio incorniciare grappoli d’uva, pernici, fiori, barche…<br />
Quella faccia pallida del ritratto e quel dito mozzato<br />
li avrebbero dovuti bruciare, e seppellire le ceneri, non<br />
lasciarle al vento, ché sarebbero potute finire in faccia a<br />
qualcuno.<br />
Arrivato al negozio in via degli Scalpellati, alzò la serranda<br />
a metà. Erano le quattro del pomeriggio, stappò<br />
una birra e accese una sigaretta. Guardò una bella stecca<br />
nuova e intarsiata di ciliegio.<br />
Odorò e riodorò birra e sigaretta: perché sapevano di<br />
pesche? Si guardò intorno, aprì il frigo: pesche non ce n’erano.<br />
Si guardò ancora in giro cercando pesche ma vide<br />
170<br />
all’improvviso un giovane che prima non c’era, seduto sul<br />
suo tavolo di lavoro con le gambe accavallate.<br />
Guardò il quadro, riguardò ancora il ragazzo e cadde all’indietro<br />
battendo la testa su una cornice dorata.<br />
Guglielmino saltò elastico giù dal tavolo, si avvicinò a<br />
Porfirio e lo svegliò con la birra fredda. Quello aprì gli occhi<br />
ma li richiuse subito e allora Guglielmino gli disse:<br />
– Non faccio male ai talattonesi che mi hanno dato una<br />
mano a suo tempo. Un altro Porfirio, color mattone come<br />
te, ha salvato il sangue del mio sangue.<br />
Porfirio sentì improvvisa una tranquillità azzurra in giro<br />
per tutto il corpo e si mise a sedere muto. Questa era<br />
un’apparizione… e, pensò, rendeva inutile e ridicolo il<br />
suo sforzo giornaliero di far combaciare angolo con angolo,<br />
misura con misura, millimetro con millimetro… tutto<br />
inutile… Un’apparizione!<br />
Guglielmino continuò:<br />
– Prima di andarmene volevo distruggere questo quadro.<br />
Mi ha dipinto un pittore di fuori città, venuto apposta<br />
per me: avevo diciannove anni. Ero bello. Ma il ritratto,<br />
quando è così penetrante sparge intorno qualcosa della<br />
persona ritratta e io non voglio che niente di mio venga<br />
sparso intorno, devo conservarmi e non è facile tenere<br />
tutto insieme.<br />
– Magari era un artista… – disse Porfirio estatico.<br />
– È tutta forza che se ne va… me l’hanno rubata e io la<br />
riprendo. Enrico Ricasoli non ha colpa. Lui vorrebbe una<br />
linea, un filo, una traccia, vorrebbe capire. Fosse solo per<br />
lui o per Melania Lampreda o per Battistino Mattiolo, lascerei<br />
fare. Però ci mettono il naso in tanti, tanti nasi che<br />
frugano… io mi consumo…<br />
171
Si prese il quadro e se ne andò dal negozio di Porfirio<br />
che restò seduto, distratto da pensieri che gli stavano arrivando<br />
chissà da dove, certamente da parabole che, normalmente,<br />
i suoi pensieri non seguivano.<br />
* * *<br />
L’avvocato Petinicchio aprì la porta dello studio dove<br />
erano seduti compunti Enrico, Melania e Battistino. Con<br />
un gesto di richiamo da animale domestico, fece entrare<br />
un uomo piccolo e spinoso, uno di quei cardi che crescevano<br />
a Talattone, e lo presentò avvolgendolo in un braccetto<br />
che era un segno di fiducia: – Il signor Amoracchio<br />
ci aiuterà: lui non ha pareri, non fornisce punti di vista. È<br />
un registratore di fatti, di cose.<br />
– Anche se non hanno tre dimensioni come nel nostro<br />
caso e quindi non sono né fatti né cose? – domandò Battistino.<br />
Basilio Amoracchio parlava solo tra parentesi, salvo<br />
che in famiglia, dove, però, ogni tanto le parentesi gli<br />
scappavano anche con la moglie. Lui non doveva immettersi<br />
nelle cose, nel senso che non doveva mai, in nessun<br />
caso, fare parte degli eventi, e perciò, qualunque frase<br />
pronunciasse, era tornita da parentesi, in genere curve,<br />
qualche volta quadre e, nei casi eccezionali dai quali lui si<br />
estraniava totalmente sotto l’aspetto della oggettiva responsabilità,<br />
faceva uso di parentesi graffe. Il suo nome<br />
finiva in acchio e inutilmente aveva cercato di mutarlo in<br />
icchio come il suo padrone. Era una terza persona nata e<br />
fatta.<br />
– (Ho raccolto tutto quello che si sa in questo quaderno,<br />
172<br />
tutto quello che l’avvocato sa da voi e dal commissario<br />
Glicerio e ha ritenuto opportuno farmi conoscere; ora sta<br />
a chi è sopra di me dirmi in quale direzione devo muovermi,<br />
anzi, in quale strato devo muovermi.)<br />
– Strato? – domandò Enrico: – Cosa vuol dire?<br />
– (È semplice, io non ho un valore specifico, ce l’avrei<br />
solo se venissi messo in relazione con quello che cerco, ma<br />
io relazione con quello che cerco non ne ho: quindi posso<br />
muovermi o sotto le cose o sopra le cose, mai insieme alle<br />
cose e a chi le muove. Ora, avete capito? A seconda di come<br />
mi viene ordinato: sopra o sotto.)<br />
Petinicchio guardò il suo uomo, strinse contemporaneamente<br />
tre mani dei suoi tre clienti, come un giuramento<br />
di coscritti, e lasciando una nube di grigio nella camera<br />
se ne andò dicendo:<br />
– Si dà per inteso che qualunque fatto deve essere comunicato,<br />
oltre che al commissario Glicerio e al suo grande<br />
occhio che vede lontano, al mio studio. Oppure, signori,<br />
in caso di urgenza mi troverete in questo androne dove<br />
il va e il vieni dei dolori umani, sempre gli stessi, badate,<br />
sempre gli stessi, io cerco di lenire, con la mia opera.<br />
E riprese il suo movimento di marea, inciambellando il<br />
braccio del primo passante che trovò oltre la porta al quale<br />
aderì immediatamente spruzzandolo di grigio.<br />
* * *<br />
– (Dunque non sapete dove fu sepolto questo Guglielmino<br />
Redenti?)<br />
Battistino provava disprezzo e diffidenza verso il cardo<br />
talattonese che non aveva neppure un pensiero proprio.<br />
173
Enrico rispose:<br />
– No, non lo sappiamo. L’assessorato responsabile dei<br />
cimiteri, non sa nulla dei morti di quattro secoli fa. I sepolcri<br />
più antichi sono di duecento anni fa. Guglielmino<br />
Redenti ci sarà pure in cimitero ma non sappiamo dove.<br />
– (E se l’avessero sepolto in giardino come si usava tra i<br />
ricchi? Dico per dire, solo per registrare un’ipotesi.)<br />
Ora in macchina erano in quattro. Amoracchio sedeva<br />
davanti insieme a Battistino.<br />
Non parlarono più sino a quando arrivarono in via degli<br />
Scalpellati, alla bottega di Porfirio che trovarono con la<br />
serranda mezzo abbassata. Dovevano far vedere ad Amoracchio<br />
il ritratto di Guglielmino. Amoracchio doveva fotografarlo<br />
e poi sarebbe andato alla ricerca seguendo la<br />
traccia del ritratto e dell’odore di pesca.<br />
Porfirio Rubinacci era seduto con la testa tra le mani e<br />
fissava il tavolo su cui aveva visto il contino, poi, con lo<br />
sguardo faceva in continuazione il tragitto verso la porta<br />
che il giovane aveva fatto tenendo il quadro tra le mani e<br />
quando gli altri entrarono non smise di farlo:<br />
– Chi? – domandò Melania.<br />
– Vi dico che era Guglielmino, si è preso il quadro e se<br />
l’è portato via.<br />
– (L’avete visto bene in faccia? Siete sicuro? Che direzione<br />
ha preso? E quanto tempo fa se n’è andato?)<br />
Porfirio guardò Amoracchio, lo conosceva perché veniva<br />
dal suo stesso quartiere ma non aveva mai provato l’ascesa<br />
alla città alta restando nel brodo appiccicoso di Talattone.<br />
Battistino si tirò i capelli indietro e gridò:<br />
– È desolante sentirvi fare queste domande, signor<br />
174<br />
Amoracchio. Sono domande desolanti che rivelano l’assenza<br />
di un qualsiasi disegno, di un’ipotesi…<br />
Enrico lo interruppe. Gli luccicavano gli occhi:<br />
– Sentite che odore ha lasciato Guglielmino!<br />
– (È il solito odore di pesca per quanto ne posso sapere<br />
io.)<br />
– Sì, signor Amoracchio, e l’abbiamo sentito anche per<br />
strada quando siamo scesi dall’auto, vero?<br />
– È vero Enrico, – disse Melania seria, – quindi era proprio<br />
Guglielmino Redenti che si è ripreso il suo ritratto.<br />
Sorprendendo tutti, il cardo saltò fuori dalla bottega di<br />
Porfirio e corse, corse sino a scomparire dietro l’angolo<br />
con via dei Coltelli.<br />
Tutti tacevano cercando di capire qualcosa da quell’unica<br />
traccia che Guglielmino aveva lasciato: l’odore. L’odore<br />
per la memoria, aveva detto Guglielmino a Enrico.<br />
Dopo un quarto d’ora Amoracchio ritornò ansimando:<br />
– (È arrivato a casa vostra, professor Ricasoli, nel vostro<br />
palazzo, sino all’ultimo piano. L’odore si sentiva forte sino<br />
a via del Compasso, e ancora più forte nelle vostre scale.) –<br />
Continuò fra parentesi graffe a significare che stava per<br />
esprimere una deduzione. – {Ritengo che stia mantenendo<br />
la stessa forma che ha assunto in presenza del signor<br />
Rubinacci e che ora circoli per casa nel suo appartamento,<br />
professor Ricasoli, non ne ho la certezza ma mi sembra<br />
plausibile e, comunque, le conseguenze dei fatti, che io riporto<br />
fedelmente, non devono essere tratte da me.}<br />
Porfirio, che nel frattempo era uscito dallo stato di inebetimento<br />
e estasi si guardava intorno perché aveva l’impressione<br />
che qualcos’altro mancasse dal disordine del<br />
suo laboratorio. Gridò:<br />
175
– Il dito a croce! La reliquia di Gracchini! Si è preso anche<br />
la reliquia di Gracchini!<br />
– (Quale reliquia, prego?)<br />
– Quel dito immondo… scusate… quel dito conservato<br />
nella chiesa del Santo Crocifisso che tutti evitavano…<br />
nessuno la guardava più da tanto tempo… un dito a forma<br />
di croce appartenuto a chissà quale storpio… Non c’è<br />
più! Se l’è preso Guglielmino!<br />
Amoracchio prese nota:<br />
– (Gracchini, immonda reliquia, dito storpio, Guglielmino,<br />
s’intende Redenti, avete detto voi, badate bene<br />
non io: confermate?)<br />
Enrico non impallidì. Prese Melania per mano e fecero<br />
di gran passo via degli Scalpellati, attraversarono via dei<br />
Coltelli e risalirono via del Compasso, spostarono il gatto<br />
portinaio che annusava ispirato l’atrio col pelo dritto, salirono<br />
le scale e aprirono la porta di casa. Lì l’odore era fortissimo.<br />
Sul divano era sdraiato Guglielmino Redenti che con<br />
un coltellino grattava via la pittura del quadro. Melania<br />
notò subito che bocca, naso e occhi li aveva cancellati e restava<br />
solo il viso ovale e i capelli neri raccolti. Enrico, invece,<br />
sarà stato per lo sforzo della corsa, sarà stato per l’emozione,<br />
si appoggiava al tavolo tremando e cercava di<br />
aprire una finestra perché aveva bisogno di vedere cielo,<br />
nuvole e luce, soprattutto luce. Non ci riuscì e allora si rivolse<br />
a Melania e guardò quanto era bella con quei capelli<br />
neri e scarmigliati, rossa per la corsa, forte e calda.<br />
176<br />
La dispettosa misantropia del dottor Alberico Gracchini<br />
- contenuta anche nel suono del nome, alimentata da<br />
una ricca rendita che, in cuor suo, un cuore tutto screpolato<br />
ma regolare, lo faceva sentire più in alto, sopra una<br />
base di ferro e circondato da mura che nessuno avrebbe<br />
scalfito - era all’origine della richiesta di incorniciare la tenebrosa<br />
reliquia, schivata anche dai fedeli più fedeli. Lui<br />
se la voleva tenere in cella, da solo e a sua protezione perché<br />
era un vecchio e, visto che non ci pensavano gli altri,<br />
lui si sarebbe protetto da solo aiutato da questo dito mortificato<br />
che faceva coppia con le sue stigmate.<br />
Gli portavano il cibo in cella. Quel giorno a pranzo aveva,<br />
come sempre, minestra e bollito.<br />
Quando Gracchini vide l’occhio del commissario Glicerio<br />
- una meteora di fuoco - lo considerò come una stigmate,<br />
molto diversa dalle sue ma che gli fece sentire un<br />
po’ più vicino il poliziotto e non si indispettì:<br />
– Si accomodi, commissario. Stia attento alle bottiglie.<br />
Io continuo a mangiare.<br />
E iniziò a succhiare la minestra.<br />
– Dottor Gracchini. Lei è un conoscitore profondo di<br />
Epipanormo… e di Talattone.<br />
177
– E perciò sono chiuso in questa stanza. Non portatemi<br />
la città qui dentro, commissario. Sapete perché questa<br />
città non ha mai avuto un unico nome come ogni altra<br />
città?<br />
– Perché non è mai stata una città sola… lo so, lo so.<br />
– Insomma, non ne voglio sapere di miserie e la mia<br />
città è questa sedia.<br />
Glicerio si asciugò l’occhio:<br />
– Dottor Gracchini, tre morti, una sgozzata e due fatti a<br />
pezzi non vi toccano? No, non rispondete, lo so, non vi<br />
toccano neppure di striscio. Ma, vede, la morte mette in<br />
moto i vivi.<br />
Colpito da questa frase di Glicerio, Gracchini smise di<br />
aspirare la minestra:<br />
– La morte mette in moto i vivi? Questo è certo, certissimo…<br />
Tutti ad agitarsi intorno a un morto… si infervorano,<br />
proprio vero.<br />
Fece una pausa per finire la minestra, poi riprese:<br />
– Ottobre del 1639. Sa cosa è successo qui a Epipanormo?<br />
È morta una donna che aveva poco di santo, eppure<br />
tutti le giravano intorno.<br />
L’argomento metteva appetito a Gracchini il quale passò<br />
a sbranare il bollito. Nutriva le sue stigmate:<br />
– Poco di santo aveva questa donna, salvo un dito che le<br />
era ricresciuto dopo l’amputazione, ma le era ricresciuto<br />
a forma di croce. Quando è morta le è stato amputato<br />
una seconda volta e mummificato. Ora è una reliquia che<br />
nessuno vuol vedere salvo il sottoscritto che l’ha data da<br />
incorniciare al miglior corniciaio della città, un talattonese<br />
che è emigrato, diciamo così, a Epipanormo…<br />
– Il signor Rubinacci.<br />
178<br />
Gracchini continuava a sbranare la carne:<br />
– Lo conosce?<br />
– L’ho conosciuto ieri. È venuto a denunciare il furto di<br />
un quadro e anche quello della reliquia.<br />
Gracchini scricchiolò, cigolò e si voltò con tutto il dolore<br />
delle stigmate che erano il suo perno:<br />
– Hanno rubato la mia reliquia?<br />
E si mise a lacrimare senza singhiozzi e in silenzio, tanto<br />
che Glicerio si alzò e gli posò una mano sulla spalla ossuta.<br />
Ma Gracchini non tollerava la solidarietà che poteva<br />
costituire poi un qualche debito, un diritto alla riconoscenza<br />
che non voleva contrarre con nessuno, e si rivoltò<br />
dolorosamente nella sedia riprendendo a mangiare il bollito.<br />
Glicerio sentì il desiderio di andarsene ma vide in quella<br />
nuca scavata qualche notizia annidata nel cervello secco<br />
del vecchio e gli disse tutto in una volta:<br />
– Dottor Gracchini, quel dito a croce apparteneva a<br />
una donna che magari non era una santa, ma era venerata<br />
quattro secoli fa. Perché piange? Io le domando: di chi<br />
era quel dito, che rapporti aveva con la città? Poi le domando<br />
ancora: chi era Guglielmino Redenti, come è<br />
morto? E poi: cosa c’entrano le pesche con la morte? Mi<br />
aiuti.<br />
Gracchini non rispose, finì il bollito, bevve il bicchiere<br />
di vino, guardò la bottiglia piena a metà controluce.<br />
Scricchiolò ancora sulle sue piaghe con una smorfia e si<br />
voltò verso Glicerio fissandolo nell’occhio della verità:<br />
– Le pesche? Lei mi chiede delle pesche? Sulle pesche<br />
posso dirle qualcosa.<br />
179
* * *<br />
Melania trovò che Guglielmino era bellissimo. Enrico<br />
non era riuscito ad aprire la finestra ma si sentiva affacciato<br />
sul cielo intero e fissava la faccia pallida e le guance rosse<br />
del giovane.<br />
Guglielmino sussurrava guardando in una direzione<br />
precisa fuori della finestra:<br />
– Sono venuto al mondo come tutti gli altri. È il modo in<br />
cui me ne sono andato che è diverso e ancora soffro. Cosa<br />
è rimasto di Guglielmo Redenti lo vedete qua: è rimasto<br />
lui. Quello che è rimasto appeso all’albero e che mio padre<br />
fece mummificare non c’è più, neanche una traccia.<br />
Non è bello rimanere…<br />
Guglielmino raccontò ancora la sua storia sino all’albero<br />
infelice e sino al figlio Enrico.<br />
Quando arrivò al figlio suo, nato dalla pancia già morta<br />
di Medina Xaxa, Melania aveva le lacrime agli occhi e Enrico<br />
era in uno stato di transizione verso la perdita dei sensi.<br />
Non voleva svenire ma venne giù lentamente, senza<br />
farsi male e Melania lo accarezzò a lungo e continuò a carezzarlo<br />
anche dopo che Guglielmino se ne andò lasciando<br />
nella casa un delicato odore di pesche.<br />
* * *<br />
Gracchini ricompose i suoi lineamenti da possessore di<br />
piaghe dolorose, da grigio diventò bianco, e distese le<br />
gambette. Glicerio pensò che stesse per alzarsi. Il vecchio,<br />
si pulì le labbra e guardò la luce giallina che entrava<br />
dall’oblò:<br />
180<br />
– Il pesco fiorisce precocemente a primavera, perciò è il<br />
rinnovamento, la fecondità e, siccome è la prima fioritura,<br />
vuol dire verginità, badi… protegge dalle cattive influenze,<br />
esorcizza, protegge dal tuono… dal mantello della<br />
morte… i bastoni dell’oracolo erano di pesco… e la porta<br />
immensa degli spiriti era protetta da un enorme pesco…<br />
l’orlo del mantello non sfiora neppure l’albero che è ancora<br />
da qualche parte, inviolato… Allora, commissario, cerchi<br />
di usare quell’occhio della verità che lei considera, a<br />
torto, una malattia e guardi dentro le cose… Qui abbiamo<br />
una storia infelice, un odore meraviglioso che preserva<br />
dalla putrefazione e, però, accompagna la morte… come<br />
si spiega? Usi il suo occhio, lo usi. Mia moglie ha un solo<br />
occhio da vent’anni eppure con quell’occhio, piccolo e vecchio<br />
riesce a vedere tante cose che lei, commissario, con<br />
questo globo che le è cresciuto nell’orbita dovrebbe vedere<br />
meglio di tutti.<br />
– Lei ha una moglie?<br />
Gracchini addolcì il profilo:<br />
– Io ho una moglie da cinquantasei anni. Sempre la stessa.<br />
Non la cambio come fanno altri, e non perché sarebbe<br />
troppo tardi ora. Ho provato una gioia celeste a lasciarla a<br />
casa, in penombra. È innocente ma capisce tante cose.<br />
Ora che mi hanno rubato la reliquia mi resta lei, polverosa,<br />
vecchia, tutti scappano e lei è sola… sola come quel dito<br />
a croce.<br />
– E questo dito a croce com’è finito qua dentro? Vi teneva<br />
compagnia?<br />
Non era una domanda da fare al dispettoso Gracchini.<br />
– Quella era la parte più importante del corpo di una<br />
donna santa! Cosa ne vuole capire lei, commissario?<br />
181
Quello era un segno dell’esistenza, un segno della presenza,<br />
della forza! Io conservo, metto da parte l’energia più<br />
forte. È sempre la stessa quantità che non cambia, sa? E io<br />
la conservo!<br />
La pancia di Gracchini si stava gonfiando e su quel corpo<br />
mortificato era un’escrescenza che preoccupava:<br />
– Lei mangia troppo in fretta! – gli disse Glicerio pensando<br />
di trovare un ingresso nella fortezza del misantropo<br />
che verso il cibo sembrava provare sentimenti.<br />
– Mi gonfio anche se mangio piano. Io so cosa resterà di<br />
me e come lo conserverò. Si ricordi, commissario, che<br />
non è vero che la materia non è eterna. La materia è sempre<br />
la stessa, è eterna e io la conservo. Senta, sulle pesche<br />
le ho già risposto e lei ha preso nota. Sulla reliquia le ho<br />
detto qualcosa di sacro e la capirà, ci vorrà un po’, ma capirà.<br />
Glicerio sentì l’occhio spingere:<br />
– E su Guglielmo Redenti?<br />
– Non è conservabile come credevo, bisognerebbe conservare<br />
anche lui, ma non ci riesco.<br />
Di colpo il cibo aveva raggiunto il cervello, a Gracchini<br />
cadde la mandibola, le palpebre si chiusero e si addormentò<br />
con una smorfia.<br />
Glicerio si gettò un po’ di gocce nell’occhio, guardò tutte<br />
quelle bottiglie intorno, sentì improvvisamente la puzza<br />
di quell’aria respirata e rirespirata da anni e scappò fuori<br />
del convento. Entrò nell’auto dove Bombòi l’aspettava,<br />
aprì il finestrino e si mise a scrivere sul suo blocchetto.<br />
– Bombòi, questo mezzomonaco ha una moglie. Via<br />
delle Tovaglie 12, a Epipanormo.<br />
182<br />
* * *<br />
– Come te la immagini, Bombòi?<br />
– Chi?<br />
– La signora Gracchini, dico. Una vittima della misantropia<br />
di sicuro. Ma come sarà?<br />
– Una donna trascurata, commissario, poco usata.<br />
Glicerio scrisse nel taccuino: “Un corpo mai usato”.<br />
– In che senso “trascurata”?<br />
– Nel senso che il marito l’ha lasciata perdere, commissario.<br />
Fece i quattro piani a piedi e trovò il pianerottolo più<br />
lucido che avesse mai visto e le foglie più luccicanti del<br />
quartiere.<br />
La signora Tilde Gracchini non aveva colpe, aveva una<br />
faccia stupita e sembrava che tutto fosse stato creato intorno<br />
a lei in quel momento:<br />
– Dio mio! Cosa ha fatto all’occhio?<br />
– È colpa della tiroide, signora.<br />
– E cosa c’entra la tiroide con l’occhio? Io l’ho perso<br />
perché si è ammalato… ha fatto da solo. I dottori lo chiamano<br />
bulbo, bulbo, capisce? Mi spaventavo a sentirlo<br />
chiamare così…<br />
Glicerio evita di guardare l’occhio solitario della vecchia<br />
Gracchini:<br />
– Signora Gracchini, devo farle delle domande. Suo<br />
marito…<br />
Alla parola marito Tilde si spettinò e le labbra diventarono<br />
viola:<br />
– Alberico è chiuso da tanti anni che sarà marcito. Del<br />
suo corpo faccia quello che vuole. Io ho desiderato per<br />
183
anni che il mio corpo venisse usato come un corpo qualunque,<br />
sarei dovuta nascere schiava e non diventare moglie.<br />
Un giorno Alberico finirà dentro una di quelle bottiglie<br />
che conserva e addio corpo.<br />
– A parte delle piccole piaghe che non vuole curarsi,<br />
suo marito sta bene, ha un corpo quasi sano.<br />
La vecchia ebbe una piccola convulsione sul divanetto:<br />
– No, dentro una bottiglia ci finirà il suo ultimo respiro,<br />
non il suo corpo.<br />
– Il suo ultimo respiro?<br />
– Lui in quelle bottiglie conserva ultimi respiri. Quelli<br />
che gli capitano li conserva. Una volta andava in giro<br />
per gli ospedali a conservarli. Dice che è l’ultima cosa viva<br />
che lasciamo in terra.<br />
La casa della signora Gracchini aveva finestre piccole<br />
e per di più chiuse. Glicerio in quella penombra sentiva<br />
il proprio globo rinsavire.<br />
La vecchia parlava a occhi chiusi:<br />
– Ha iniziato quarant’anni fa. C’era ancora la pena di<br />
morte in questo paese e lui ha iniziato con i condannati.<br />
Poi glielo hanno permesso negli ospedali. Io non l’ho<br />
mai visto ma so che metteva proprio il collo della bottiglia<br />
nella bocca del moribondo.<br />
Bombòi impallidì.<br />
L’occhio di Glicerio sembrava un tramonto sereno e,<br />
come un tramonto, andava verso il blu. La vecchia continuava<br />
a tenere le palpebre chiuse.<br />
– Poi, un giorno, Alberico ha iniziato a stare sempre<br />
seduto. E sa perché, commissario? Perché, diceva, in giro<br />
c’erano tanti ultimi respiri che non c’era bisogno di<br />
andare a cercarli, tanto entravano in casa… Stava sedu-<br />
184<br />
to dove è lei adesso ma a me non mi guardava neppure.<br />
– E i respiri si imbottigliavano da soli… È così, signora?<br />
Per questo poi si è chiuso in cella da solo…<br />
– Si è chiuso in convento, senza avermi mai usato, e lì<br />
aspetta gli ultimi respiri che arrivano da quelle parti attraverso<br />
un oblò…<br />
– Suo marito ha mai conservato un odore?<br />
– Non è più mio marito. Quanto all’odore io so che una<br />
volta ci ha provato… ci è riuscito ma l’odore è scappato e<br />
non so nulla di quella bottiglia.<br />
– Che odore era? Di pesca, per caso?<br />
– Non lo so, commissario. Sono contenta che abbia le<br />
piaghe che poi sono un annuncio chiaro e tondo che sta<br />
per trapassare. E non si continua a vivere in una bottiglia,<br />
come dice lui. Vivere è un’altra cosa.<br />
Glicerio guardò bene la vecchia sulla trapunta e la trapunta<br />
gli sembrò un sudario:<br />
– Signora, questa storia della conservazione dell’ultimo<br />
sospiro è un’idea come un’altra… voglio dire, suo marito<br />
si sforza… cerca qualcosa.<br />
L’occhio senza sugo della vecchia fu l’ultima cosa che<br />
vide uscendo dall’appartamento.<br />
* * *<br />
L’avvocato Petinicchio guardava il cielo dal suo studio<br />
ma senza la serenità necessaria. Quello, per lui, era un<br />
puro cielo catastale di cui gli spettava una parte che aveva<br />
individuato, delimitato e fatto registrare. Non ci vedeva<br />
bellezza e non pensava al creato.<br />
Si sapeva - tutti lo sapevano perché il fatto era straordi-<br />
185
nario - che vent’anni prima era riuscito in quello che ogni<br />
giudice e avvocato ha sempre desiderato come apice assoluto<br />
e che da allora aveva costituito il suo apogeo.<br />
Vent’anni prima, in un’intera aula del tribunale era calata,<br />
progressiva, invincibile e alata, la paralisi fatale. Attore<br />
e convenuto, giudice e procuratori, testimoni, spettatori<br />
nelle panche del pubblico, cancellieri e segretari si erano<br />
prima ricoperti udienza dopo udienza di polvere, poi di<br />
una patina opaca uguale per tutti, poi avevano rallentato i<br />
movimenti e infine, senza dolore e senza lamenti, si erano<br />
fermati come in un grande e grigio presepio forense. In<br />
principio l’aula era stata conservata così com’era con tutto<br />
il sinedrio nerovestito e andavano a vederla da altre<br />
città in silenzio ma con risentimento soddisfatto.<br />
L’unico sul quale non era scesa la paralisi era stato proprio<br />
Petinicchio per la ragione che spruzzando e spruzzando<br />
la sua polvere grigia ogni volta che prendeva la parola,<br />
aveva generato lui l’immobilità nell’aula e lui si era<br />
immunizzato. Il giovane avvocato, all’epoca, non era cosciente<br />
del proprio potere, e rinviando scivolando scartando<br />
obiettando era arrivato, stupefatto, a fermarli definitivamente.<br />
Da allora quelle di Petinicchio erano le udienze più brevi<br />
a palazzo. Lui aveva piegato la professione alla sua volontà<br />
e si era ritrovato tanto tempo in più che utilizzava in<br />
quelle strisciatine della mano su altre mani, centinaia di<br />
strisciatine ogni mattina. Dalla sua mano usciva una bava<br />
come quella del ragno e aveva costruito la più grande ragnatela<br />
della città.<br />
Padrone delle date, delle ore e dei giorni, padrone del<br />
tempo del giudizio.<br />
186<br />
Aspettava, seduto nella sua poltrona girevole, Enrico e<br />
Battistino e, poiché non aveva mani da stringere, si teneva<br />
una mano nell’altra.<br />
Anche le sedie dei clienti erano girevoli, più piccole, ma<br />
girevoli perché i clienti potessero seguire il legale che aveva<br />
l’abitudine di alzarsi e camminare per la stanza.<br />
– Avvocato, – disse Battistino protetto dalle zaffate di<br />
Petinicchio grazie all’aria della finestra aperta, – tre morti<br />
collegate da un odore…<br />
– Quattro morti… non dimenticare Nellina, anche se<br />
era un cane, – diceva Enrico triste vicino alla finestra. –<br />
Un giovane che dovrebbe avere quasi quattrocento anni e<br />
che si trasforma in essenza e in quintessenza di pesca. I<br />
morti che hanno spaventato tutta la città. Noi che ormai<br />
viviamo in tre per paura.<br />
– In tre? – domandò Petinicchio facendo girare a destra<br />
e a sinistra la poltrona.<br />
– In tre con la signora Lampreda. Ci teniamo per mano,<br />
ecco, in questo senso viviamo insieme… più vicini possibile,<br />
– rispose Enrico.<br />
Erano bersagli difficili per le polveri di Petinicchio.<br />
Battistino si tirò i capelli all’indietro sino a farsi male:<br />
– Guglielmino Redenti era a casa di Enrico, lo sapete?<br />
Ha rubato una reliquia e un suo ritratto da un corniciaio…<br />
– Lo so da Amoracchio, lo so. Ma andate piano nel racconto,<br />
piano, piano.<br />
Battistino schivò una spruzzata:<br />
– E ha distrutto il quadro con un temperino. Ma la cosa<br />
più strana è che ha bruciato la reliquia che non le dico<br />
187
quale odore indescrivibile di aldilà ha prodotto. E ora…<br />
– Ora volete sapere in quale parte voi entrate in questa<br />
storia sotto il profilo, beninteso, delle leggi e dico “delle<br />
leggi” per una ragione giacché voi non vi trovate sotto il<br />
dominio di una sola legge, né di un solo articolo. E neppure<br />
siete appesi a un comma. In realtà tutta una flottiglia<br />
di leggi vi punta la prua contro e naviga di conserva verso<br />
di voi.<br />
Enrico e Battistino davanti a una grande nuvola di cenere<br />
che partiva dall’avvocato si avvicinarono alla veranda<br />
e spalancarono la finestra schivando la nuvola ma avvertendo<br />
una certa debolezza.<br />
– E questa flotta ci sono due modi di affrontarla. O tutta<br />
con un’unica grande cannonata. Oppure bombardiamo<br />
naviglio per naviglio, con pazienza. Ma…<br />
– Ma? – domandò Enrico.<br />
– Ma il commissario Glicerio deve ancora finire di costruire<br />
le navi. Quindi, forse, c’è tempo.<br />
Battistino ebbe, nonostante le promesse fatte a Melania,<br />
un rigurgito acido:<br />
– Avvocato, noi insegniamo lettere, capisce? Insegniamo<br />
letteratura e di metafore ne abbiamo piene le tasche<br />
perché è da millenni che poeti e romanzieri le usano ed<br />
Enrico e io le spieghiamo. Ora, appunto, ne abbiamo le<br />
bisacce piene. Ascolti bene: qualcuno ci può coinvolgere,<br />
ci può portare dentro questa storia, tutto qua… E lei, lei ci<br />
deve tenere fuori e difendere se ci tirano dentro. Quindi<br />
eviti gli ingressi di fianco. Lei Guglielmino Redenti non lo<br />
mummifica, non lo paralizza, non lo ferma col suo sale<br />
grigio sulla coda. Lo capisce? Glielo ha detto Amoracchio?<br />
188<br />
Petinicchio, pallido e sudato, si alzò e si mise a camminare<br />
per lo studio con le scarpe gommate rumorose. Gli<br />
mancavano mani da toccare e braccia da inciambellare,<br />
ma pensava, pensava:<br />
– Professori, loro hanno una possibilità… e io che credevo<br />
di essere all’apice… hanno una sola cosa da fare per<br />
iniziare. Una sola…<br />
– Quale? – domandò Enrico accorgendosi che gli tremavano<br />
le mani che nascondeva nelle tasche dei pantaloni.<br />
Petinicchio si aureolò di grigio al centro della stanza:<br />
– Incrimineranno Guglielmino Redenti!<br />
Una lenta polvere grigiastra si poggiò sulle parti più salienti<br />
di Enrico e Battistino che ebbero un brivido e si rifugiarono<br />
in veranda.<br />
– Sì, signori, – gridò dal suo studio l’avvocato. – Incrimineranno<br />
un fantasma… Persona giuridica… o meglio<br />
persona no, ma giuridica sì… Persona…<br />
189
Come un grande feto accovacciato, il mento sullo sterno<br />
e le braccia incrociate, Gracchini era stato fatto entrare<br />
dentro una damigiana piena di salamoia.<br />
Però non c’era mistero. Il vecchio era magro e il collo<br />
della damigiana largo. Ce lo avevano fatto entrare dopo<br />
morto, fratturandolo qua e là.<br />
Lo avevano strangolato con un laccio e spinto sulle sue<br />
bottiglie che si erano rovesciate e rotte liberando tanti ultimi<br />
respiri che erano subito scappati dall’oblò della cella<br />
verso la città alta e la città bassa.<br />
Come poi si distribuirono, quartiere per quartiere, appartamento<br />
per appartamento, non si seppe mai con<br />
chiarezza anche perché nelle bottiglie non c’era un nome.<br />
Fatto sta che da quel giorno in molte case ci fu un sospiro<br />
in più.<br />
Gracchini era stato trovato galleggiante dentro la damigiana<br />
dal frate che gli portava il bollito.<br />
Il frate aveva poi raccontato a tutti che nella cella, al posto<br />
dell’odore di Gracchini, c’era un buonissimo odore di<br />
pesca che lui aveva da subito considerato come un segno<br />
di santità o, comunque di qualcosa molto vicina al miracolo.<br />
Anche il galleggiamento del vecchio dentro la damigiana<br />
sembrava un segno proveniente dall’eternità e Grac-<br />
191
chini sembrava, dentro quel liquido salato, destinato alla<br />
conservazione.<br />
L’acqua e il sale ce le aveva messe l’assassino ma il frate<br />
aveva considerato l’acqua e il sale come il liquido della vita<br />
e si era inginocchiato, aveva bagnato le dita dentro la<br />
damigiana e aveva pregato a lungo prima di riportare indietro<br />
il bollito e dare l’allarme in convento.<br />
Alla rottura della damigiana era presente il commissario<br />
Glicerio.<br />
Il necroforo Albertino ruppe il vetro tagliandosi dappertutto<br />
e senza lamenti. Depose Gracchini sul tavolo<br />
d’acciaio e con un crac multiplo lo distese supino col<br />
mento aguzzo puntato verso il neon.<br />
Glicerio pensò che quel mento acuminato fosse puntato<br />
verso l’infinito:<br />
– Sarà possibile, Albertino, un referto entro oggi? È evidente<br />
che l’hanno strangolato. Se vuole, il professor Petracchi<br />
potrebbe fare in quattro e quattr’otto. Lei, aspettandolo,<br />
vada a disinfettarsi Albertino, è stato imprudente<br />
rompere la damigiana a quel modo.<br />
Arrivò il perito settore Petracchi, fissò con lo sguardo<br />
da perito settore il corpo desolante di Gracchini e poi<br />
l’occhio inverosimile di Glicerio. Si mise un camicione,<br />
un grembiule di caucciù e iniziò, senza indugi, con un lungo<br />
taglio pacato.<br />
* * *<br />
– Nulla di nuovo, dottoressa.<br />
La dottoressa Maria Nives Paneangelico, piemme gio-<br />
192<br />
vane non ancora sfiorata dalla polvere di Petinicchio. Lei<br />
aveva disposto l’autopsia di Gracchini. Era una donna<br />
cartacea, una donna intatta, poco sangue, con le mani<br />
bianche e marmoree, un bacino capace e gambe troppo<br />
lunghe.<br />
– Sulle stigmate cosa dice il referto?<br />
Glicerio si teneva l’occhio:<br />
– Il referto le chiama piaghe, semplicemente piaghe.<br />
Non dice altro. Così le chiama il professor Petracchi, il<br />
medico legale.<br />
– Commissario Glicerio, la medicina legale non è tutto!<br />
Anzi, io diffido di quei ragionamenti metà da medico e<br />
metà da leguleio che vanno dove vogliono loro dopo avere<br />
vagato dappertutto. In particolare diffido del professor<br />
Petracchi, è uno che chiamerebbe piaghe anche le ferite<br />
di Gesù risorto. Ascolti questo nastro.<br />
Calcò sul tasto del registratore e si sentì una voce:<br />
Quel renitente a morire di Gracchini è morto strangolato<br />
e ho liberato i fiati dalle bottiglie con cui soffocava i moribondi.<br />
Il tempo cannibale se l’è divorato e i fiati, ora sono liberi<br />
e sono in alto.<br />
– Chi è? È una voce giovane, dottoressa.<br />
– Abbiamo scomposto la voce, commissario.<br />
– Scomposto la voce?<br />
– E sapete cosa ne è risultato? Ne è venuto fuori che<br />
non è la voce di nessuno. In altre parole non è una voce<br />
umana.<br />
– Una voce sintetica, di quelle elettroniche?<br />
– No, umana è umana, solo che non è una voce di don-<br />
193
na, né di uomo, né di bambino o bambina. E questo ha<br />
fatto maturare un sospetto… Voi non avete ancora messo<br />
in relazione i delitti con qualcuno, vero? Nutrite e fate ingrassare<br />
solo sospetti… ma di colpevoli, scusate, non se<br />
ne parla neppure, vero?<br />
Glicerio non rispose ma disse:<br />
– Quella voce, quindi, non è di Mattiolo o di Ricasoli.<br />
Io quei due li osservo, ci penso e uno dei due, cosa vuole,<br />
sono debolezze da poliziotto, vorrei incriminarlo per qualcosa<br />
ma non so cosa.<br />
– Quale dei due?<br />
– Mattiolo. Puzza e puzza di un odore suo. In qualche<br />
modo è collegato, insieme al suo amico, alla storia del fantasma.<br />
E questa voce registrata mi sa tanto di fantasmatico…<br />
la voce di nessuno. Quanto a Enrico Ricasoli non so,<br />
c’è qualcosa che me lo fa sentire vicino…<br />
– Vicino?<br />
– Vicino di sangue, sarà che a Epipanormo circola sempre<br />
lo stesso sangue. Comunque Ricasoli non puzza.<br />
Paneangelico si alzò in piedi:<br />
– Glicerio, lasci stare le puzze e trovatemi un legame tra<br />
Gracchini e gli altri morti. Poi tra i morti, Mattiolo e Ricasoli.<br />
E io farò cercare il possessore di questa voce. È nessuno?<br />
È senza corpo? Non è? Voi avete capito che chi non<br />
è - eppure ha una voce e si manifesta - altro non può essere<br />
che un fantasma. E se non lo trovo, lo farò processare<br />
ugualmente!<br />
Glicerio iniziò a sudare:<br />
– Un processo a un fantasma? Dottoressa Paneangelico…<br />
– Processerò un fantasma!<br />
194<br />
– E Petinicchio? E di Petinicchio cosa mi dice?<br />
Paneangelico rifletté:<br />
– Commissario, lei è un uomo coraggioso, col suo occhio<br />
e con le sue malattie, non ha paura! Dopo il processo<br />
che ha imbambolato l’aula, le cause innumerevoli che Petinicchio<br />
ha vinto… ecco il processo dei processi. Il processo<br />
a un fantasma - che io dimostrerò processabile - e ai<br />
suoi amici complici. Io sto entrando nella maturità forense<br />
e i casi sono due: o mi ricopro di polvere da sola o mi ricopre<br />
Petinicchio.<br />
* * *<br />
Una piccola impiegata profumata accompagnò Enrico<br />
e Battistino che seguirono la scia della donna sino all’ufficio<br />
della dottoressa Paneangelico.<br />
Enrico si era intristito per i neon accesi anche se fuori<br />
c’era il sole. Quella luce lo intorpidì.<br />
– Battistino, perché Petinicchio non è ancora arrivato?<br />
– Ora arriva, arriva. E arriverà anche questa dottoressa<br />
Paneangelico. Tutti questi morti ci hanno portato sin qui,<br />
davanti a un magistrato. Stiamo iniziando una strada che<br />
non finirà più…<br />
– Io da Petinicchio mi sento protetto e farò esattamente<br />
quello che mi dirà di fare. Sei avvertito, Battistino.<br />
In quel momento, con la faccia di chi ha scacciato i mercanti<br />
dal tempio, nerovestito, pallido e ispirato, entrò nello<br />
studio l’avvocato accompagnato dall’impiegata profumata<br />
che subito scappò via:<br />
– Buongiorno, professori. Entro subito nel cuore delle<br />
cose. Non c’è tempo.<br />
195
– Sì.<br />
– Ho parlato col magistrato che sarà qui a momenti.<br />
Cercheranno di collegarvi agli assassinati tramite il fantasma,<br />
questo lo avete chiaro? È chiaro?<br />
Un dolore, una debolezza improvvisa e nebbia. Cosa<br />
succede? Un’infinita confusione dolorosa. Si siedono Enrico<br />
e Battistino. Si tengono la testa mentre Petinicchio<br />
spiega e mormorano:<br />
– Una cosa mai sentita prima… Un processo a un fantasma…<br />
mai sentito…<br />
– Questo non vuol dire. Hanno costruito un’ipotesi accusatoria<br />
e quella va avanti. D’altronde voi non potete negare<br />
che questo Guglielmino Redenti esiste in una forma<br />
che si può definire almeno metafisica…<br />
Battistino fece un saltello stanco sulla sedia:<br />
– Metafisica? E questi sarebbero omicidi metafisici?<br />
Morti metafisici? Sangue metafisico?<br />
In quel momento entrò la dottoressa Paneangelico.<br />
Petinicchio, con l’indice, zittì Battistino, accennò un inchino<br />
da seduto e fissò il pubblico ministero con lo sguardo<br />
dell’avvocato che sta davanti alla legge. Come il pittore<br />
davanti alla tela bianca, il miscredente davanti alla rivelazione.<br />
– Avvocato, risparmiamoci ragionamenti polizieschi…<br />
Io so bene, benissimo, che i suoi clienti non sono gli autori<br />
materiali degli omicidi di Tebe Mistrè, Egeico Lago e<br />
Alberico Gracchini.<br />
Enrico e Battistino sentirono il sangue circolare più caldo.<br />
La dottoressa Paneangelico continuò.<br />
– Intendo con ciò riferirmi alla materia da cui sono fatte<br />
le cose e che è necessaria per compiere le azioni. Dal pun-<br />
196<br />
to di vista, appunto, dell’azione materiale essi sono certamente<br />
estranei ai fatti. Ma i fatti possono essere considerati<br />
anche in altro modo.<br />
Petinicchio conservava la polvere paralizzante e taceva.<br />
Il piemme proseguì:<br />
– Accettata anche, dico anche, attraverso una perizia fonica<br />
l’esistenza di un fantasma, accettato che un fantasma<br />
possa essere, ovverossia, esistere e avere una propria essenza,<br />
quand’anche quintessenza, egli ha, per logico effetto,<br />
anche sostanza giuridica. Questo è lampante! Ergo, in<br />
qualità di essere che esiste, è sottomesso alla morale naturale<br />
e, per conseguenza, alle leggi che ne sono derivate.<br />
Petinicchio, con lo sguardo perso tra le mattonelle, sollevò<br />
una mano per interrompere:<br />
– Perché avete detto “Accettata anche, dico anche, attraverso<br />
una perizia fonica l’esistenza di un fantasma”?<br />
Avete altre prove che il fantasma esista e abbia una sua<br />
forma di essere?<br />
– Ha un nome.<br />
– Anche i morti hanno un nome, dottoressa.<br />
– Ha un odore.<br />
– Dottoressa, non c’è bisogno di avere un’anima per<br />
avere un odore, si sa.<br />
– Non è esattamente un odore, è un’essenza e l’essenza,<br />
le ripeto, può venire solo da un essere. È un’essenza che<br />
viene modulata da una volontà che segnala l’essere. È<br />
un’essenza cosciente e sentimentale che indica sentimenti<br />
anche di odio e si è associata alla morte (io direi assassinio)<br />
di tre persone, quattro se si aggiunge Medina Xaxa.<br />
– Beh, quello di Medina Xaxa, per quanto se ne sa, è solo<br />
un incidente.<br />
197
– Il professor Ricasoli era là. D’accordo, avvocato, lui<br />
non l’ha spinta, l’ha addirittura sostenuta tentando di salvarla.<br />
Però anche nella teleferica si è manifestato l’odore.<br />
E poi, le confermo e ribadisco, io non voglio incriminare i<br />
professori di omicidio.<br />
La dottoressa Paneangelico distese un foglio sulla sua<br />
scrivania, lo guardò per un poco e riprese il ragionamento:<br />
– Avvocato, lei sa che sono stati processati animali.<br />
Battistino disse che loro non erano animali ma nessuno<br />
lo ascoltò.<br />
– So bene, dottoressa, – disse con un inchino Petinicchio.<br />
– Sa anche che la legge spreme succo giuridico persino<br />
dal nascituro che, eppure, non è, non esiste.<br />
– So bene.<br />
– Sa, perché questa è la base del diritto, che lei conserva<br />
la procura di un suo cliente anche dopo la morte del cliente,<br />
proprio come se fosse ancora vivo… eppure, non c’è<br />
più, quel suo cliente… non c’è nell’accezione, diciamo,<br />
quotidiana che per praticità la gente dà a quel non c’è. Ma<br />
noi non siamo la gente.<br />
– So bene.<br />
– Dunque può, anzi, deve essere d’accordo sull’esistenza<br />
di un essere, anche se solo in forma di profumo, il quale<br />
può incidere sugli eventi e addirittura determinarli. Ed è<br />
anche d’accordo che questo essere ha intrattenuto rapporti<br />
amichevoli esclusivamente con due persone che<br />
avrebbe potuto uccidere mentre, come si sa dai fatti, le ha<br />
risparmiate se non protette.<br />
Paneangelico fa una pausa e si guarda le belle mani<br />
bianche:<br />
198<br />
- Insomma, avvocato Petinicchio questa procura la<br />
informa che siamo intenzionati a procedere nei confronti<br />
di Ricasoli Enrico e Mattiolo Battistino per concorso in<br />
omicidio plurimo.<br />
Enrico sentì un desiderio così forte di Melania che la<br />
invocò sottovoce.<br />
Battistino non capì subito e si infastidì solo per il cognome<br />
prima del nome.<br />
Petinicchio non usò la sua polvere. Aveva intuito che la<br />
dottoressa Paneangelico si era preparata e avvicinata alla<br />
finestra, pronta ad aprirla nel caso l’avvocato avesse rilasciato<br />
le sue polveri.<br />
– Ammesso che il procuratore generale accetti il ridicolo<br />
del processo a un fantasma, ammesso che la giurisprudenza<br />
dia sostanza alla vostra teoria, accettata anche l’idea<br />
di una possibilità di colpevolezza del fantasma, io vi<br />
domando, dottoressa, e in aula ve lo domanderò molto<br />
più forte, che relazione abbiano i miei due assistiti con il<br />
fantasma…<br />
– Diamogli un nome, avvocato, cominciamo ad abituarci<br />
e a indicarlo come Redenti Guglielmino.<br />
– D’accordo, il mio quesito non muta: che relazione potete<br />
ipotizzare tra Guglielmino Redenti e i miei due assistiti?<br />
– Forse il Redenti Guglielmino non è un fantasma. Forse<br />
non è mai deceduto e questa sua capacità di cambiare la<br />
propria sostanza gli ha evitato quello che a tutti prima o<br />
poi tocca. Se così fosse, ancora di più sarebbe incriminabile<br />
chi di materia è composto, di carne, pelle, organi e<br />
cervello dove risiede la volontà, in questo caso, la volontà<br />
di delinquere dell’indagato.<br />
199
– Non è ancora indagato.<br />
– È già sul tavolo del procuratore generale la richiesta<br />
ed è articolata, motivata e giustificata dall’obbiettivo pericolo<br />
sociale che il Redenti rappresenta.<br />
Petinicchio aveva atteso che la dottoressa Paneangelico<br />
si allontanasse dalla finestra per spruzzarle, alzando un<br />
braccio, una dose della sua polvere:<br />
– Le ripropongo il quesito: in che relazione ponete Guglielmino<br />
Redenti con i miei due assistiti?<br />
Paneangelico, benché impolverata e un po’ indebolita,<br />
manteneva l’espressione della vergine senza incertezze,<br />
quindi non era un’espressione intelligente e per questo<br />
motivo faceva più paura a Enrico e Battistino.<br />
– Per me un omicida, purché sia un essere dotato di volontà,<br />
è un omicida quale che sia la sua sostanza o essenza.<br />
Se altri lo frequentano e lo nascondono ne discende, avvocato,<br />
che sono complici. Il processo chiarirà… Ricasoli<br />
Enrico e Mattiolo Battistino sono complici e hanno concorso,<br />
dico, concorso.<br />
– Il processo è la peggiore delle pene! – singhiozzò Enrico<br />
desiderando infinitamente di stare abbracciato a<br />
Melania.<br />
Petinicchio si alzò, prese per mano Enrico e Battistino i<br />
quali gli si affidarono spaventati. Guardò la dottoressa<br />
Paneangelico come un soldato guarda il nemico che sta<br />
per sparargli addosso, si sentì forte e protettivo, si sporse<br />
in avanti, sventolò la bandiera degli avvocati, spruzzò<br />
un’enorme quantità di polvere e gridò il suo grido di guerra:<br />
– Al processo! Al processo!<br />
200<br />
<strong>Ei</strong><br />
L’aria aveva uno splendore così speciale che la città appariva<br />
ancora più bella e sembrò ai due ragazzi come sospesa<br />
al cielo dell’Attica.<br />
La videro all’orizzonte dopo quattro giorni di cammino<br />
e la videro immensa, bianca e luminosa, oltre il fiume Cefiso.<br />
Atene sembrava una dimora del sole.<br />
In realtà la parte bassa della città era un affollamento<br />
immenso e disordinato di casupole di terra e uomini che<br />
fermentavano per arrivare alla città alta da dove venivano<br />
cacciati continuamente. Ma di questo loro non sapevano.<br />
Nicteo e Peante, non guardarono in basso e pensarono<br />
tutt’e due che l’uomo era il più straordinario tra gli esseri<br />
viventi e che davvero era simile agli dèi. Loro non erano<br />
ancora nati quando Atene era stata fatta così bella e il pensiero,<br />
chissà perché, li commosse.<br />
Seguirono ancora la via sacra ed entrarono in città il pomeriggio<br />
dalla porta di Dipylon e, dopo avere trovato una<br />
locanda in un quartiere fatto con mattoni di paglia e fango,<br />
lasciati gli asini, si diressero verso la città di marmo di<br />
cui parlava tutto il mondo e che il mondo lo faceva girare.<br />
Fu un percorso che compensò da solo tutto il dolore<br />
201
provato, e lo sbalordimento si trasformò in una felicità<br />
che Nicteo definì piena, suprema, sublime, assoluta e poi<br />
restò senza aggettivi. Anche Peante dimenticò pecore e<br />
dubbi e si sentì più vicino alle nuvole. Trascorsero la serata<br />
a guardare statue, monumenti e un’infinità di uomini e<br />
donne indaffarati.<br />
Una giovane gli sorrise. Loro si guardarono e si resero<br />
conto di non essere all’altezza della città e dei suoi abitanti<br />
con i capelli ricci e spettinati, con la peluria da radere, le<br />
unghie nere e l’odore d’asino che si portavano addosso.<br />
Decisero di spendere per abbellirsi.<br />
Il bagno pubblico gli apparve come un olimpo luccicante,<br />
un luogo dove tante semidivinità riunite si raccontavano,<br />
con l’acqua all’ombelico, le loro storie. Lo schiavo<br />
bagnaiolo li guidò. Loro intanto ascoltavano tutto quello<br />
che arrivava ai loro timpani emozionati.<br />
– Locoòne? Lui dovrebbe fare la scelta delle tragedie e<br />
delle commedie quest’anno? Lui? Ma se era un commerciante<br />
d’olio prima di diventare arconte! Cosa vuoi che ne<br />
capisca Locoòne?<br />
– Ma davvero credi che bisogna capire d’arte, saper scrivere<br />
o saper recitare per scegliere una bella storia? Allora bisognerebbe<br />
saper fare tutto questo anche per essere uno degli<br />
spettatori del teatro di Dioniso. E invece non mi pare che<br />
siano tutti letterati.<br />
– Beh, una cosa è stare a guardare, una cosa è scegliere,<br />
un’altra cosa è recitare e un’altra ancora scrivere. Se gli arconti<br />
che hanno scelto gli autori sino a oggi fossero stati<br />
ignoranti come Locoòne…<br />
– È troppo fredda quest’acqua!<br />
202<br />
– Dove andremo a finire? Tutto si sta disfacendo. L’altro<br />
giorno, al processo contro Eudimacripto che ha rubato all’erario,<br />
lui si è preso il lusso di parlare oltre il tempo concesso<br />
dall’orologio ad acqua, io ero là tutta la mattina e ho sentito.<br />
– Sei proprio un vecchio senza niente da fare. Nel mio demo<br />
di Ceràmico i vecchi sono esempi per i giovani, equilibrati<br />
nei costumi e nella parola. Anziché passare la mattina<br />
in tribunale a spettegolare dovresti preoccuparti di educare<br />
la gioventù.<br />
– Questa massa di maleducati e poltroni? Ci porteranno<br />
alla rovina e tu li difendi.<br />
– Tu perdi il cervello a pezzi.<br />
– Rimbambito, ti calpesteranno come una stuoia.<br />
– Beh, che Telèsforo fosse un serpente lo sapevo, ma che<br />
arrivasse a dire di me quello che tu mi riferisci con tanti particolari!<br />
– Tu lo sai che io aborrisco il pettegolezzo, lo ritengo una<br />
piaga del genere umano, eppure ho voluto riferirtelo. Sai<br />
anche che non amo mettere zizzania. Voi siete i miei migliori<br />
amici, non vorrei vedervi divisi per nulla al mondo. Però<br />
tu vigila, stai attento, spesso le oneste e ben create coscienze<br />
non conoscono la frode.<br />
– Grazie.<br />
– Hai sentito, Tedecteto, del monumento al povero Socrate?<br />
Se ne accorgono ora! Ma tanti non sono d’accordo. C’è<br />
ancora gente avversa alle sue idee. Figurati, fargli una statua…<br />
– Con la faccia da silèno che gli dèi gli avevano assegnato<br />
sarà difficile rendergli un buon servizio per i posteri e lo ri-<br />
203
pagheranno male dell’ingiustizia. Sarebbe meglio un pubblico<br />
pentimento inciso nella pietra.<br />
– Tutti pentiti! L’accusatore Meleto condannato a morte,<br />
Anito d’Eraclea scacciato dalla sua città, Licòne esiliato e le<br />
dracme d’oro come risarcimento a Santippe! Che ipocrisia!<br />
Solo ipocrisia! Facile, ora che è tra i più…<br />
– Perché dici che è tra i più?<br />
– Perché quelli che sono morti sono più numerosi di noi<br />
vivi, perciò si chiamano i più.<br />
– E chi lo può affermare con sicurezza?<br />
– Beh, c’è stato certamente un momento in cui i primi uomini<br />
erano tutti vivi e nessuno era ancora morto. Poi hanno<br />
iniziato a morire e ancora per un po’ i vivi sono stati più<br />
numerosi dei morti. E alla fine il numero dei morti ha superato<br />
quello dei vivi e da allora è sempre aumentato il numero<br />
dei morti perché diminuiva quello dei vivi. Questo,<br />
Tedecteto, è un ragionamento.<br />
– Ma gli uomini hanno continuato a nascere e ne nascono<br />
più di quanti ne muoiono, sennò la popolazione, per esempio,<br />
di Atene non sarebbe in aumento. Cosa mi rispondi<br />
eh! Una volta c’erano pochi uomini e oggi ce n’è molti di<br />
più. E allora, quali sono i più?<br />
– Sardine, tonno, calamari e anguille? Io te li comprerei,<br />
Aristòsseno, però l’odore a dire la verità è rivoltante.<br />
– Lo so ma puoi sempre rivenderle all’osteria di Trofiòne.<br />
Lì sono di bocca buona, i suoi clienti sono pastori che non<br />
conoscono l’odore del pesce fresco. Li mangeranno e penseranno<br />
che gli ateniesi sono matti e che il loro capretto è<br />
un’altra cosa.<br />
– La puzza è puzza, al mare e in montagna.<br />
204<br />
– Li correggi con l’aceto durante la cottura. Ho buonissimo<br />
aceto di Tito che i Fenici mi portano ogni anno.<br />
– D’accordo. Vediamo un po’ il prezzo.<br />
Ovunque sentivano parlare e parlare. Capirono subito<br />
che la parola, senza smettere mai, faceva muovere la città.<br />
Tutti parlavano con tutti, senza freno e senza arrestarsi<br />
davanti a nessun argomento, tregua non ce n’era. E le parole<br />
entravano dappertutto. Sarebbe sembrato che non<br />
parlassero da secoli e che dovessero rifarsi del silenzio degli<br />
albori, quando i loro antenati dicevano poche parole<br />
pesate. Il centro di questa frenesia che non si attenuava<br />
mai era la grande agorà, dove il chiasso diventava massimo<br />
e produceva una rete che raccoglieva tutto, immondezza<br />
e perle, perle e immondezza. Per le orecchie di Nicteo<br />
e Peante, abituati al silenzio e al canto delle cicale in<br />
campagna, quella era una rivoluzione, una vita capovolta.<br />
All’uscita dei bagni, puliti e freschi, anche nel cuore, si<br />
sentivano già cittadini di questa città delle meraviglie; soprattutto<br />
Nicteo il cui talento per le parole sembrava<br />
avesse trovato il luogo ideale dove esprimersi.<br />
– È la parola che cambia il mondo Peante. Qui le parole<br />
producono anche denari.<br />
– Sarà. Ma chissà quante bisogna buttarne via per conservare<br />
le migliori.<br />
Nicteo non ascoltava:<br />
– Le parole, le parole, – ripeteva.<br />
* * *<br />
Le parole. Ci pensarono tutta la notte. Quante parole da<br />
205
mettere in ordine. Trovarci un filo, magari un filo spinoso,<br />
oppure nero, oppure velenoso, un filo. In fondo in questa<br />
città avevano messo ordine anche alla materia più resistente<br />
e testarda: la pietra. Qua i sassi bianchi e il marmo esprimevano<br />
il divino. E anche gli uomini non erano storti e fatti<br />
con poco come al paese. I corpi, da queste parti, richiamavano<br />
la natura all’ordine e all’equilibrio. Ma le parole?<br />
Si addormentarono parlando:<br />
– Nicteo, qui è tutto messo come si deve, almeno nella<br />
città alta… Mi guardo intorno e respiro meglio, il cuore<br />
mi batte più lento… Ma tutto questo dire e dire di continuo…<br />
– Qua si respira armonia, Peante… Sì, le parole sembrano<br />
troppe, e alla rinfusa… e sembra che ciascuno parli a<br />
caso… Ma secondo me anche alle parole qualcuno ci ha<br />
pensato e ha trovato una disposizione… un posto dove<br />
farle finire…<br />
Continuarono a discutere il giorno dopo.<br />
Nicteo e Peante, dopo lunghi scambi di idee e senza risparmio<br />
di parole, avevano concordato che tutto questo<br />
raccontare convergeva e si rifugiava in un unico luogo dove<br />
si depositava in un flusso simmetrico e organizzato dove<br />
aumentava di peso e di importanza.<br />
Il Teatro.<br />
Anche loro due avrebbero potuto vivere di parola, secondo<br />
Nicteo. E il Teatro era il punto geometrico perfetto<br />
dove ogni brusio, voce, dolore, grido, protesta si trasformava<br />
in suoni ascoltati, meditati e poi raccontati ancora.<br />
Però la prudenza suggeriva di far procedere la fase creativa<br />
vera e propria da un apprendistato che speravano non<br />
troppo doloroso.<br />
206<br />
Già, ma come entrarci in quel mondo?<br />
Dopo alcuni giorni trascorsi a conoscere la città evitando<br />
accuratamente guide, sfaccendati, accompagnatrici -<br />
si ricordavano i consigli di Polifonte, il guerriero spartano<br />
incontrato sulla strada per Delfi - stando lontani da compagnie<br />
troppo ciarliere, pensarono che il modo più diretto<br />
di avvicinarsi al teatro fosse quello di rivolgersi a chi ci<br />
lavorava.<br />
– Come facciamo? Andiamo lì e chiediamo se possiamo<br />
essere utili anche per il più umile dei compiti?<br />
– Sì. Mi sembra la strada più breve. Poi si vedrà. Mi raccomando,<br />
Peante, anche se si trattasse di svuotare gli orinali<br />
della compagnia. Dignità e buone maniere.<br />
– D’accordo.<br />
– Evita di accentuare quella tua pronuncia da montanaro.<br />
– D’accordo.<br />
– E non inchinarti troppo.<br />
– Ho capito, ho capito.<br />
Il teatro scelto sorgeva non lontano da quello di Dioniso,<br />
a sud della città, in un intestino di vicoli senza sole,<br />
botteghe, fabbri, falegnami e tintori che dal teatro vivevano.<br />
Una bella mattina di sole sorridente entrarono e si stupirono<br />
per la grandezza della cavea bianchissima e per il<br />
proscenio pieno di comparse, attori, ballerine e operai.<br />
Nicteo si informò, chiese e indagò.<br />
Per consiglio di un coetaneo che spazzava il tavolato si<br />
rivolsero a un uomo intento a fare nodi con grosse corde<br />
207
seduto sul piedistallo di una statua di Apollo che ad Atene<br />
sembrava meno sorridente che a Delfi, ma più bello.<br />
– Buona giornata, signore. Ci hanno detto che voi comandate<br />
le macchine miracolose che muovono la scena.<br />
Possiamo parlarvi? Io sono Nicteo e questo è il mio amico<br />
Peante, veniamo dalla Megaride e nostra ambizione è<br />
quella di vivere accanto all’arte del teatro, anche faticando.<br />
L’uomo li guardò:<br />
– Sembrate due bravi giovani e vi presentate come si<br />
deve, questo lo devo dire. Ma come ci siete arrivati qui?<br />
Raccontarono la loro vicenda omettendo alcuni particolari<br />
che bruciavano ancora.<br />
– Bene, due adolescenti con l’anima in ebollizione! Ho<br />
un lavoro per voi che vi calmerà! Alle macchine, alle macchine<br />
meravigliose! Non hanno pari ad Atene!<br />
Il macchinista si chiamava Teofrane, era un uomo di<br />
cinquant’anni, rosso di capelli, robusto, irascibile, ma di<br />
sangue buono.<br />
La macchina che gli suscitava tanto entusiasmo consisteva<br />
in un sistema pesante e complicato che cambiava la<br />
scenografia facendo ruotare un grande solido che poteva<br />
mostrare tre facciate ed era mosso a mano da cavi e carrucole.<br />
Videro anche macchine con ganci, leve e funi che<br />
dovevano far volare cavalli, fare salire al cielo eroine e fare<br />
scendere in terra gli dèi che, con lo stesso trucco, poi se ne<br />
tornavano in cielo. Capirono subito che tutto quel cordame<br />
sarebbe stato il centro della loro vita. Si consolarono<br />
pensando che si trattava di un compito delicato come gli<br />
chiarì lo stesso Teofrane.<br />
– Ragazzi, nutritevi bene e dormite meglio. Se sbagliate<br />
qualcosa facendo girare il periacte, salta lo spettacolo, noi<br />
208<br />
in poche ore diventiamo lo zimbello di tutta Atene e voi finireste<br />
spellati vivi davanti a tutta la compagnia: spellati<br />
vivi, prima uno e poi l’altro.<br />
In venti giorni di apprendistato, mani sanguinanti e muscoli<br />
indolenziti, diventarono, sotto la guida del maestro,<br />
macchinisti discreti, e un giorno Teofrane gli disse:<br />
– Nicteo e Peante, oggi tocca a voi, farete da soli. Ma attenzione,<br />
giuro su Dioniso che se qualcosa andrà male vi<br />
spellerò vivi davanti a tutta la compagnia, prima uno e poi<br />
l’altro.<br />
I due giovani avevano approfittato delle brevi pause - il<br />
loro carattere curioso era diventato ancora più curioso -<br />
per fare conoscenze. Nicteo, generalmente, gettava le basi<br />
e Peante, secondo i casi, serviva da freno o collaborava.<br />
Riuscirono, un po’ col lavoro, un po’ per la naturale facilità<br />
con cui si avvicinavano al prossimo, a guadagnarsi una<br />
certa generale simpatia.<br />
Avevano individuato una scala sociale con in cima l’arconte<br />
eponimo, i benefattori del teatro e tutta una schiera<br />
di uomini influenti. Seguivano: l’Autore, poi colui che curava<br />
la messa in scena, che qualche volta erano la stessa<br />
persona. Dopo venivano gli attori e fra questi avevano notato<br />
gradi diversi di importanza. Più in fondo stavano il<br />
capo delle macchine, i coristi e, infine, le ballerine. Le ballerine<br />
per ultime. Ultime perché non corrispondevano all’idea<br />
che la gloria più grande per una donna consisteva<br />
proprio nel fatto che gli uomini non parlassero affatto di<br />
lei, né in bene, né in male. Ma Nicteo e Peante erano disposti,<br />
più di altri uomini, a transigere su questo ordine<br />
delle cose e, a qualsiasi categoria appartenessero le ballerine<br />
del teatro, avevano in abbondanza tutto quello che,<br />
209
secondo loro, serviva ad alleviare la fatica e i dolori causati<br />
dalle funi.<br />
– Ciao Etemea.<br />
– Ciao, Peante. Come sono stanca. Micletico sarà un<br />
bravo coreografo ma odia le donne dal momento che non<br />
riesce a esserlo lui stesso - è così peloso… - e ci distrugge<br />
con le prove. Ho i polpacci come due anfore!<br />
– Ti massaggio, vuoi?<br />
– Come sei premuroso! Accetto di sicuro, ma non qui.<br />
Oggi non c’è spettacolo: perché non venite a casa tu e il<br />
tuo amico Nicteo? Vi vediamo sempre così stanchi! Pensa<br />
che Nicteo ieri ha trovato il tempo per andare al mercato a<br />
comprare dei nastri e forcine per Giambe.<br />
– È andato al mercato? Non me l’ha detto.<br />
Da un po’ di tempo Nicteo e Peante giravano concentricamente<br />
intorno al gruppo delle quindici danzatrici che<br />
alleggerivano la tristezza accumulata dal pubblico durante<br />
le tragedie.<br />
Etemea, piccola e bruna, era una calamita per Peante.<br />
Nicteo aveva adocchiato una certa Giambe, più alta di lui<br />
e di modi svenevoli. Dopo poche settimane le due ragazze<br />
avevano superato del tutto le funi nella graduatoria di importanza<br />
che i due amici si erano dati. Ora, con l’invito a<br />
cena, erano arrivati al cerchio più ristretto.<br />
* * *<br />
Su Atene splendeva una luna mirabolante. Nicteo studiava<br />
sempre il cielo e prese la luna rotonda come un buon<br />
augurio.<br />
210<br />
– Benvenuti nella nostra casa.<br />
– Grazie. Giambe, sei bellissima! – e Nicteo continuò: –<br />
A vederti così, alla luce delle fiaccole, hai occhi che innamorerebbero<br />
un dio! Le tue pupille sono nere come l’ossidiana,<br />
le tue ciglia muovono l’aria, le tue…<br />
– Che esagerazione! – miagolò Giambe.<br />
– Abbiamo portato vino e fichi, – accorciò Peante, ma<br />
vedendo Etemea anche lui si indebolì. – Etemea, sembri<br />
una dea marina, una divinità delle acque, una…<br />
– Anche voi siete bellini!<br />
Giambe e Etemea presero Nicteo e Peante per mano e li<br />
condussero nel piccolo giardino dove la tavola era imbandita<br />
con cura.<br />
– Bene, siamo tra giovani che hanno lasciato presto le loro<br />
famiglie, qualcosa in comune ce l’abbiamo, – disse<br />
Giambe guardando la luna.<br />
– Perché avete lasciato le vostre case? – domandò Peante.<br />
– Noi veniamo da Efeso. È una bella città, ma quello che<br />
sentivamo dire di Atene era talmente affascinante che diventò<br />
un’ossessione venirci, una smania. Ma non avevamo<br />
cuore sufficiente per dirlo alle nostre famiglie e allora<br />
siamo scappate via. Abbiamo pianto giorni e giorni ma<br />
poi ci è passata e ora eccoci qui.<br />
– Sì, eccoci qui con voi, – pigolò Etemea.<br />
Nicteo e Peante raccontarono la loro storia omettendo i<br />
soliti particolari. Quello che però estasiò le giovani, già<br />
ben disposte, furono i concetti profondi e ben esposti che<br />
i due amici avevano confezionato sino dal pomeriggio per<br />
la sera.<br />
– Sapete cosa risponderei a chi ci accusasse di essere stati<br />
azzardati? Io credo che nella gioventù bisogna essere<br />
211
giovani, nella maturità esperti e saper sopportare il peso<br />
della vita, la moglie, la casa, i parenti. È beato colui che a<br />
vent’anni ha provato a essere un filosofo o un libertino,<br />
poi, a trenta, ha contratto un bel matrimonio, a cinquanta<br />
non ha debiti e ha un bel po’ di dracme da parte. Costui è,<br />
sotto tutti gli aspetti, un uomo eccellente.<br />
Anche Peante sbalordì per la saggezza dell’amico. Ancora<br />
di più le ragazze che furono felici di non essersi sbagliate<br />
sui due addetti alle funi.<br />
Peante, sospettando che le frasi dell’amico fossero non<br />
sue, non si vergognò di citare i maestri di Mègara:<br />
– Io non vorrei, quando sarò maturo, rattristarmi pensando<br />
che la gioventù mi è stata data invano e che i miei<br />
sogni più belli li ho lasciati marcire tradendo la natura e,<br />
quindi, gli dèi che la regolano. La gioventù è un tesoro da<br />
spendere, non si può conservare.<br />
Giambe e Etemea collocarono i due macchinisti in un<br />
empireo di intelligenza e saggezza. Che concetti rari. Pensarono<br />
che avrebbero figurato in palcoscenico sulla bocca<br />
di Pepareto, il primo attore.<br />
Fu per tutti e quattro una notte indimenticabile. Per<br />
Nicteo e Peante la più bella della loro vita. Il mattino successivo,<br />
uscendo dalla casa delle ballerine per andare a<br />
teatro, sentivano irradiare da sé un’inesprimibile aura<br />
quasi divina.<br />
* * *<br />
Teofrane era preoccupato come sempre quando c’era<br />
spettacolo.<br />
– Attenti, eh! Questa sera Pepareto deve mandare in vi-<br />
212<br />
sibilio il pubblico. Cheremone ha scritto per il nostro attore<br />
un monologo sulla tristezza che si impadronisce di alcuni<br />
uomini senza spiegazione. Guardate, il poeta è là che<br />
prova con Pepareto.<br />
– Teofrane, possiamo avvicinarci ad ascoltare? – chiese<br />
Nicteo. – Fateci lasciare per un poco questo cordame. Vedere<br />
l’opera d’arte che nasce non è cosa di tutti i giorni ed<br />
è più affascinante che vederla bell’e fatta.<br />
Teofrane acconsentì. Si avvicinarono a distanza di riguardo<br />
al proscenio, dove l’attore e l’autore accudivano al<br />
lavoro di produrre parole che dovevano toccare ogni sera<br />
il cuore di tanti uomini diversi.<br />
Come era bello Pepareto con la maschera e con la veste<br />
grigia del fuggiasco. Ma Cheremone il poeta non era soddisfatto:<br />
– All’osso, all’osso! Ti dico che i movimenti devono essere<br />
ridotti all’osso! E queste urla che straziano? No! Siamo<br />
ad Atene, non c’è bisogno di troppi gesti per farsi capire,<br />
la gente qui non è stupida! Su, continua… sei triste e<br />
non devi agitarti tanto… sei solo nella tua casa, solo. Chi è<br />
che si agita tanto da solo? Su, continua.<br />
Solo a vedere un essere animato<br />
m’assale il tedio e sono disperato!<br />
Quell’ansia di conoscer nuove genti,<br />
che anima rendea e cor frementi,<br />
premonizione è divenuta, oscura,<br />
d’angoscia, di terror e, ahi, di sventura!<br />
– Quell’ahi non è scritto.<br />
– L’ho detto solo per essere più visibile, solo per questo.<br />
213
– Sei già solo in scena, Pepareto, hai un monologo lunghissimo<br />
e nuovo di zecca, mai portato in scena e tu… tu<br />
vuoi essere più visibile? Più visibile? È ridicolo, su, continua,<br />
continua.<br />
Il volo degli uccelli al dolce Egitto<br />
m’empiva allor d’un sentimento ardito.<br />
Ora, inutil terrore d’animale<br />
prova a schivar la morte che m’assale.<br />
Finiscon forza, energia vigore…<br />
– Troppo forte e troppo calore! Dovresti essere triste e<br />
melanconico, svuotato, affranto e non ce la fai neppure ad<br />
alzare la voce… Così invece assordi le prime file! Devi farti<br />
sentire sussurrando. La natura ti ha infuso questo malessere<br />
nero come le penne di un corvo… Possibile che…<br />
Improvvisamente tutto si fermò.<br />
Un gruppo di uomini del ceto alto era entrato al seguito<br />
di uno solo che, evidentemente, gli stava al di sopra, parecchio<br />
al di sopra, a giudicare dalle schiene curve degli<br />
altri.<br />
– Conone! Che onore e che piacere, nobile Conone,<br />
vincitore di Cnido! – disse Cheremone.<br />
Pepareto si tolse la maschera.<br />
Autore e attore si diressero verso il gruppo scostando<br />
bruscamente Nicteo e Peante.<br />
– Disturbarsi per venirci a trovare e per di più a quest’ora<br />
della giornata, con le preoccupazioni che avete in Assemblea!<br />
– Non è più l’Assemblea di una volta, ricordàtelo, i tempi<br />
sono cambiati, cambiati definitivamente, – disse Cono-<br />
214<br />
ne con uno sguardo circolare e tutta la scorta fece un’espressione<br />
seria.<br />
– Beh, sì, certo, io volevo solo dire, – rispose Cheremone,<br />
– che con tutto quello che avrete da fare… un uomo<br />
che da vecchio vivrà a pubbliche spese nel pritanèo…<br />
– Sono venuto a vedere come va la tragedia, con tutto<br />
quello che ci spendo. E tu Pepareto, sempre arie da<br />
grand’uomo, eh! Ma hai ragione, sulla scena funziona e<br />
qualche volta funziona anche nella realtà, ma non con me.<br />
Badate che oggi ospito uomini importanti della Licia, fatemi<br />
fare una bella figura! A proposito, Cheremone, cosa<br />
hai deciso per la sorella di Ermes, alla fine muore?<br />
Cheremone rispose:<br />
– Come preferite, signore.<br />
Tutta la compagnia si guardò.<br />
Silenzio e poi:<br />
– Bene, direi che farebbe più colpo farla morire. – Conone<br />
rifletté per qualche minuto nel silenzio assoluto e<br />
poi disse: – Sì, ho deciso: falla morire.<br />
Nicteo e Peante avevano sentito tutto ed erano storditi<br />
da tanta forza. Conone come una raffica di vento disastroso<br />
era arrivato e andato via dopo aver scosso tutto il teatro.<br />
Cheremone si teneva la testa e la pancia:<br />
– Avete sentito? E io dovrei far morire la sorella di Ermes?<br />
E come faccio se è lei che chiude il finale con te, come<br />
faccio? Come faccio? Ecco, vedi? Io avrò il fuoco nello<br />
stomaco tutto il giorno, mi conosco, e anche nella testa!<br />
Come faccio?<br />
– È semplice, – rispose Pepareto, – falla morire e chiuderò<br />
da solo.<br />
– Lo so, lo so bene che a te non dispiace, – ringhiò Che-<br />
215
emone, – ma anche io ho una dignità! Chi crede di essere<br />
Conone? In fondo cosa ha fatto? Ha battuto gli spartani a<br />
Cnido comandando la flotta del Gran Re persiano! Che<br />
razza di eroe: ha vinto con la flotta di altri! Non cambierò<br />
un bel nulla, neanche una virgola, nulla! Ho le fiamme<br />
nella pancia! Mi scenderà la paralisi per la rabbia, è come<br />
se la sentissi volare qui vicino!<br />
– Bravo, tu rifiuta e salta la compagnia intera. Bada che<br />
non lo dico per me: io ho un nome, lo sai, e mi cercano<br />
ogni giorno da altri teatri. Ma gli altri? Alla fame per il tuo<br />
orgoglio?<br />
– E il mio lavoro?<br />
– Già, il tuo lavoro… ma non sarebbe peggio anche per<br />
il tuo lavoro se anziché saltarne una parte saltasse tutto intero?<br />
Non ne resterebbe traccia.<br />
Cheremone si sedette zitto, all’ombra, con la testa dolorante<br />
e sembrava che la volesse schiacciare. Pepareto si rimise<br />
la maschera e continuò per conto proprio.<br />
Nicteo sentì l’alito della follia sulla sua nuca giovane, diventò<br />
bianco, sudò, tremò e prese la decisione di giocarsi<br />
in un istante il lavoro alle funi, Giambe e tutto il resto. Si<br />
rivolse a Cheremone e Pepareto tenendosi fermo sulle<br />
gambe e dicendo in un solo fiato:<br />
– Ascoltate un giovane matto per un istante, vi prego!<br />
Se l’Arte deve fare, a quanto sembra, i conti con gli uomini,<br />
io proporrei come si fa in Assemblea e al mercato un<br />
compromesso che conserverà intatta l’Opera e ingannerà<br />
Conone. Ecco l’idea: finite l’Opera come volete, però poi<br />
appiccicateci sopra, come si appiccica un baffo finto, una<br />
piccola appendice: la morte della sorella di Ermes voluta<br />
da Conone. Appiccicata, ecco, ma solo, badate, dopo il fi-<br />
216<br />
nale vero con Pepareto. La fate morire e aggiungete pochi<br />
versi scialbi per Pepareto… Intatta la vostra Opera, contento<br />
Conone e dopo due o tre rappresentazioni l’aggiunta<br />
cadrà da sola. La memoria del pubblico è per le cose<br />
importanti. La tragedia, così com’è è bellissima. Il pubblico<br />
strapperà il baffo finto voluto da uno che di teatro non<br />
capisce nulla, – e come un bambino dispettoso aggiunse:<br />
– Ecco, ecco.<br />
Teofrane, livido, accorse con l’intenzione di frustare il<br />
ragazzo con una delle sue corde e cominciò a farlo, ma<br />
l’Autore lo fermò e disse:<br />
– Mi pare che tu sia quel nuovo addetto alle corde.<br />
– Scusatelo, Cheremone, in genere non fa così, deve essere<br />
ubriaco. Ma sei impazzito, Nicteo? Non c’è bisogno<br />
dei tuoi consigli qui. Torna immediatamente alle tue corde!<br />
Cheremone taceva ma Pepareto disse subito:<br />
– Non è un’idiozia questa del ragazzo! È l’innocenza<br />
che è arrivata in soccorso. Che ne dici Cheremone?<br />
L’Autore si massaggiava inutilmente la pancia, taceva e<br />
pensava. Poi disse:<br />
– Dico che, visto che Conone vuole il cambiamento, noi<br />
glielo daremo e dico che a questo ragazzo io darei l’alloro.<br />
Peante riprese il respiro. Aveva smesso nel momento in<br />
cui l’amico era intervenuto eroicamente. Nicteo ingigantì<br />
il concetto, già alto, che aveva di sé. Giambe lo guardò come<br />
un piccolo dio.<br />
La serata andò bene, il pubblico soffrì con Pepareto e si<br />
stupì molto vedendo che l’eroina inaspettatamente moriva,<br />
ma non ci pensò tornando a casa. Le ballerine furono<br />
più leggere del solito. Conone venne a complimentarsi<br />
217
con Cheremone dopo lo spettacolo e elogiò Pepareto il<br />
quale aveva recitato asciutto e semplice come si usava ad<br />
Atene.<br />
La notizia del suggerimento risolutivo di Nicteo si sparse<br />
sino alle stradine intorno al teatro. Tutto era meraviglioso<br />
per i due amici ma la felicità perfetta è sempre interrotta<br />
da qualche evento.<br />
Una dozzina di giorni dopo l’incontro con Giambe ed<br />
Etemea gli strumenti del piacere dei due giovani iniziarono<br />
a produrre una sostanza giallo-verde che li terrorizzò.<br />
Non pensarono alle due ragazze e, anzi, si guardarono bene<br />
dall’informarle del fenomeno.<br />
Il disturbo gli appariva come una punizione divina e si<br />
rivolsero in segreto a un sacerdote del vicino tempio di<br />
Afrodite e, involontariamente, scelsero bene perché il<br />
vecchio aveva conoscenze discrete su tutto quello che in<br />
qualche modo era connesso alla sua dea. Gli ordinò di bere<br />
una pozione fatta secondo una regola antica e che<br />
avrebbe guarito quello scolo. Raccomandò di far bere il<br />
decotto ben caldo anche alle ragazze ma non spiegò attraverso<br />
quali vie il morbo si era propagato.<br />
Contenti, Nicteo e Peante, la sera stessa portarono a cena<br />
da Giambe e Etemea la bevanda fumante e gliela fecero<br />
bere spiegando che si trattava di una pozione rinfrescante<br />
e purificatrice della loro terra.<br />
Guarirono e continuarono contenti l’amore con le due<br />
ballerine.<br />
Con il successo dell’Opera arrivò l’offerta, procurata<br />
dallo stesso Conone, di portare la tragedia nella ricca Siracusa<br />
e nella lontanissima Marsiglia.<br />
218<br />
Questo rattristò i due giovani che per qualche giorno<br />
persero quasi l’uso della parola perché pensavano di doversi<br />
separare dalle loro amanti. Etemea e Giambe partono…<br />
e loro due di nuovo soli. Che cosa potevano valere<br />
due ragazzi che tiravano corde? Chi se li sarebbe portati<br />
in viaggio? Ma Pepareto, uomo di sangue buono, vedendo<br />
i due addetti alle funi tristi e svogliati, ricordò a Cheremone<br />
i meriti di Nicteo e i ragazzi furono inclusi nel numero<br />
di chi partiva.<br />
Fu il periodo più emozionante della loro vita sino ad allora.<br />
La conoscenza arrivava attraverso l’esperienza, senza<br />
fatica e senza dolore che non fosse quello - a cui si erano<br />
abituati - delle funi. E pensavano che sarebbe stato sempre<br />
così.<br />
* * *<br />
Partirono dal Pireo distribuiti su due navi.<br />
Il mare e il vento furono amici.<br />
Arrivarono felicemente a Siracusa, uno dei due occhi<br />
della Trinacria. Dal mare videro la città bellissima, le mura<br />
smisurate e l’isola di Ortigia. Un’apparizione bianca,<br />
una nube, la città più grande del mondo. Il teatro era<br />
splendido e la Compagnia andò a vederlo subito, prima di<br />
occupare gli alloggi.<br />
La gente di qui era più silenziosa che ad Atene. C’erano<br />
più etère e più schiavi. Le donne erano belle ma era difficile<br />
parlarci. Ma cosa interessava a Nicteo e Peante, così<br />
felici con Giambe ed Etemea?<br />
Pepareto avevo portato con sé una cortigiana di Smirne,<br />
219
molto reputata ad Atene tanto che a teatro sedeva nelle<br />
prime file. Recitavano di tutto e Pepareto, intelligente e<br />
esperto, si adattava a tutto.<br />
A Siracusa bisognava gridare in scena, alla gente piaceva<br />
così, e lui li accontentava.<br />
– Secondo me Pepareto è grande. Ne conosci altri che<br />
fanno il tragico e il comico come lui? E quando improvvisa?<br />
– diceva Peante.<br />
– A me piace quando recita secco. E poi, a dire la verità,<br />
il genere comico non mi tocca, non mi esalta.<br />
– Sì, lo so che a te piace stordirti con re, regine e semidei,<br />
però è così irreale! Ne vedi di gente così al mercato o per<br />
strada?<br />
– Ma sono figure eterne! Possibile che non lo capisca!<br />
Io voglio commuovermi a teatro!<br />
– E i poveracci non sono eterni anche loro? In più assomigliano<br />
alla verità e poi ritorno a casa contento e non oppresso<br />
come dopo che ho visto le storie che piacciono a te.<br />
– Giambe e Etemea dove sono?<br />
– Oggi sono invitate al palazzo con tutto il balletto. Torneranno<br />
tardi.<br />
Passarono dei giorni e i due amici videro ricomparire<br />
quell’umore giallo-verde che di nuovo li gettò nello<br />
sconforto e nella paura.<br />
Questa volta andarono da un medico vero che dopo<br />
averli spremuti sino alle lacrime disse:<br />
– Si chiama scolo. Nelle sentenze Cnidie troviamo ogni<br />
spiegazione di questa malattia. È un’entità emanata dalle<br />
etère che hanno rapporti carnali con molti uomini. Nelle<br />
etère lo scolo non appare, è subdolo. Ci si trasmette così<br />
220<br />
questo spurgo dai genitali che accumulano bile e flegma i<br />
quali provengono da un riscaldamento degli ipocondri legati<br />
alle Pleiadi che con i primi freddi tramonteranno raffreddando<br />
anche il vostro addome. Siete fortunati a essere<br />
incappati in me: ho una grande esperienza e ho visto e<br />
curato centinaia di casi come il vostro.<br />
Nicteo e Peante ringraziarono il cielo per aver trovato<br />
un uomo così sgombro da dubbi:<br />
– Prendete questa prescrizione, ne ricaverete una pozione<br />
eccellente da bere due volte al giorno per cinque<br />
giorni. Ci vuole l’acqua della fonte Arethusa, è essenziale.<br />
E che l’orzo non sia in chicchi, sennò, entro sette giorni,<br />
morirete dopo avere subito lo sfacelo del cervello e con i<br />
membri mostruosamente gonfi.<br />
Impressa nella memoria la raccomandazione di non<br />
usare l’orzo in chicchi, iniziarono a disperarsi per il tradimento<br />
delle due ragazze. E dire che avevano desiderato<br />
che il mondo fosse popolato solo da loro quattro.<br />
Decisero di non dire nulla a Giambe ed Etemea e si limitarono<br />
a somministrare la pozione anche a loro. Una sera<br />
le seguirono dopo lo spettacolo. Videro con i loro occhi<br />
che le ballerine erano uno strumento infallibile con i siracusani<br />
ricchi i quali offrivano oro alla compagnia. Era il<br />
bene del gruppo.<br />
Era il bene ma fu un colpo.<br />
Però Nicteo e Peante non avevano fatto le loro esperienze<br />
invano e erano diventati meno fragili:<br />
– Vedi, Peante, credevo che avrei sofferto molto di più.<br />
In fondo, la cosa più importante è che noi due siamo ancora<br />
amici. Sono donne di teatro, ce lo dovevamo aspettare.<br />
221
– Dopo tutto neanch’io sono molto triste. Volevamo il<br />
teatro? Ce l’abbiamo. Volevamo vivere vicino all’Arte? Ci<br />
siamo avvicinati troppo e ci siamo presi questo scolo che a<br />
me sembra una punizione degli dèi.<br />
– Una punizione? E perché? Noi siamo onesti e buoni.<br />
E poi abbiamo la pozione. Peante, noi dobbiamo continuare<br />
a apprendere tutto quello che…<br />
Peante era malinconico:<br />
– Nicteo, non so più quanto lo desidero, non lo so più.<br />
Ti devo fare una confessione a proposito del teatro. Tutti<br />
questi morti, questi figli che muoiono, donne murate vive,<br />
padri che maledicono i figli, cominciano a farmi male,<br />
proprio un male che sento qua nel petto.<br />
– Peante, sai cosa penso continuamente? Penso che un<br />
giorno si reciteranno le nostre tragedie…<br />
– Le mie non saranno tragedie.<br />
– Saremo conosciuti, stimati, purificati dall’Arte. Però,<br />
ricordiamocelo sempre, è necessaria una dura, durissima<br />
ascesa dal basso.<br />
– Ma a me sembra che non ascendiamo mai.<br />
– Intanto giriamo il mondo, cerchiamo di capire, conosciamo…<br />
e poi, vedrai, toccherà a noi.<br />
Si abbracciarono, si commossero, Peante ricordò il suo<br />
gregge e tutt’e due ricordarono che in fondo c’era la pozione.<br />
Incassavano il colpo.<br />
Così continuarono gli incontri con le due ragazze e,<br />
quando compariva l’inconfondibile umore giallo-verde<br />
del morbo, con il decotto guarivano.<br />
La natura, l’amicizia e l’età li facevano sentire invulnerabili<br />
e, dopo ogni inciampo, si riprendevano con una velocità<br />
da uomini fatti.<br />
222<br />
All’inizio di Sciroforione lasciarono Siracusa e diressero<br />
la prua verso Marsiglia.<br />
Nicteo e Peante sentivano che il viaggio, lo spostamento<br />
per mare, l’allontanamento dalla casa dove erano nati dava<br />
loro nuove energie, tanto più forti quanto più lontani si<br />
trovavano dalla loro terra.<br />
* * *<br />
Marsiglia, bianca come Mègara, come Atene e come Siracusa,<br />
apparve in una mattina lucente per un bel vento<br />
secco che ripuliva il cielo e che i marinai, con un sorriso,<br />
riconobbero subito.<br />
Il colore del mare era sempre lo stesso e questo li fece<br />
sentire meno lontani da casa. Anche lì, così lontano, si<br />
parlava la loro lingua.<br />
Il vento portava i profumi della terra verso il mare e provocava<br />
un’eccitazione profonda nei due giovani sensibili.<br />
Pepareto ripassava a prua la parte funesta di un parricida.<br />
Anche lui si mise a guardare la città che diventava più<br />
vicina. Anche qui il teatro si vedeva dal mare e sembrava<br />
levitare sulla pietra candida.<br />
– Scusa, Pepareto, possiamo parlarti?<br />
– Certo, Nicteo.<br />
– Io e Peante ti vorremmo chiedere se hai mai pensato a<br />
qualche altro lavoro per noi. Siamo stanchi di produrre<br />
tuoni finti, far girare le scene e tenere divinità appese in<br />
aria, anche se lo facciamo col massimo piacere che se ne<br />
può ricavare.<br />
– Siete due ragazzi. È già tanto quello che fate, una grande<br />
responsabilità… sapete che sghignazzi se sbagliate…<br />
un dio sulla testa del coro…<br />
223
– Tu hai iniziato a recitare a sedici anni.<br />
– Ma non parlavo, dovevo stare solo fermo e muto.<br />
– Io e Nicteo conosciamo a memoria tutti i testi che tu<br />
reciti, quelli dei grandi e anche quelli dei meno grandi.<br />
Vuoi un esempio? – disse Peante.<br />
– Davvero conoscete i testi a memoria? Va bene, proviamo,<br />
ma badate che è solo un gioco eh! Dunque, vediamo,<br />
il monologo sull’amore della tragedia di Teodecte può andar<br />
bene.<br />
Recitarono un pezzo a testa del monologo, alla moderna,<br />
come si usava a Atene.<br />
Pepareto fu gentile:<br />
– Bravi, ma non basta. Dovete ancora aspettare, col pubblico<br />
è un’altra cosa. Dovete farvi sentire da lontano e<br />
avete ancora la voce con qualche eco di rana. Comunque<br />
parlerò con Cheremone di questa vocazione che, ragazzi,<br />
vi fa proprio onore.<br />
Marsiglia era bella e il clima mite. Quasi ogni sera, al caldo<br />
del giorno si sostituiva lo stesso vento aromatico e fresco<br />
che li aveva accolti all’arrivo. Inoltre non avevano mai<br />
visto una tale abbondanza di ragazze bionde. Ne vedevano<br />
ovunque: per strada, in piazza, a teatro, e tutte con<br />
qualcosa nella pronuncia delle parole greche che provocava<br />
un prurito al cuore di Nicteo e Peante.<br />
Lì era uso che lo spettacolo iniziasse la sera e non la mattina<br />
o il pomeriggio come ad Atene. La gente viveva dolcemente,<br />
il cibo e il vino erano straordinari, la campagna<br />
profumata e ricca d’acqua. Solo il vento, ogni tanto, esagerava.<br />
224<br />
Un giorno si presentò a teatro con un gran seguito un<br />
certo Publio Attinio, un etrusco originario di Veia e con<br />
grandi interessi in Corsica, dove, si diceva, era divenuto<br />
potente e temuto con la pirateria. Domandò di parlare<br />
con Cheremone il quale quel giorno soffriva terribilmente<br />
per il suo stomaco che bruciava come una fiaccola.<br />
Nicteo e Peante, per la loro naturale propensione a trovarsi<br />
coinvolti negli avvenimenti, assistettero al colloquio<br />
per caso.<br />
Publio Attinio parlava come un attore da strapazzo e<br />
gesticolava senza tregua:<br />
– Nacqui nella florida Etruria e mi fu vaticinato un futuro<br />
di Poesia. Invece il destino mi ha imposto finora fatica,<br />
dolori, tempeste in mare e ansie. Quando un giorno il mio<br />
corpo verrà riportato alla mia terra io, Publio Attinio, voglio,<br />
– e disse voglio con un lampo nello sguardo, – voglio<br />
che le mie tragedie siano offerte al pubblico e agli dèi. Chi<br />
meglio della vostra compagnia può farlo? Voi che recitate<br />
sotto tutti i cieli, recitate me per i marsigliesi!<br />
– Ma signore, – disse Cheremone, – non potreste limitarvi<br />
a offrirle agli dèi?<br />
L’etrusco non apprezzò:<br />
– Badate, non accetto rifiuti. La mia poesia è il mio sangue.<br />
Inoltre tutto questo oro sarà vostro se voi reciterete<br />
solo una delle nove tragedie che ho scritto.<br />
La cassa dell’oro era voluminosa e la scorta di Publio<br />
Attinio composta da facce patibolari. Cheremone, di cervello<br />
pronto, considerò l’affare vantaggioso e inoltre si<br />
immaginò di ritrovare il pirata sulla rotta del ritorno. Così<br />
rispose conciliante:<br />
– Leggerò i tuoi versi, Publio. Chissà cosa ha prodotto<br />
225
un uomo d’azione come te. Anche Eschilo era un guerriero<br />
e combatté a Maratona e a Salamina.<br />
Lesse la sera stessa la tragedia che iniziava con lo sterminio<br />
di una famiglia intera, continuava con matricidi e fratricidi,<br />
l’assassinio di un cugino primo e arrivava dopo<br />
stupri e incesti a un generale macello. Cheremone bevve<br />
molto latte di capra per il suo stomaco ma non evitò il mal<br />
di testa.<br />
Comunque, riunì la compagnia al completo perché si<br />
era fatto una convinzione.<br />
– Una compagnia come la nostra che ha un secolo di tradizione,<br />
dico un secolo, che ha recitato nei teatri più celebri,<br />
non può mettere in scena questa immonda concatenazione<br />
di scannamenti scritta con stile da ubriaco. Io mi<br />
rifiuto.<br />
Il rappresentante del coro fu più breve di Pepareto:<br />
– Mi ricorda la zuppa di pesce che fanno da queste parti:<br />
puzza e invoglia a cibarsi d’altro.<br />
Tutti si mostrarono d’accordo. Per ultimo parlò Cheremone:<br />
– Il mio stomaco sa quanto mi costa e credo che finirà<br />
col bruciare anche le altre viscere, però ritengo che dovremmo<br />
tutti riflettere, amici: anche l’Arte ha bisogno del<br />
pane, anche l’Arte e gli artisti!<br />
– Ma il pane ce l’abbiamo già!<br />
– Torneremo a Atene ricchi! Conoscete l’offerta. Nessuno<br />
verrebbe a sapere che abbiamo recitato questa cosa<br />
orrenda e informe… Badate che sono d’accordo con voi<br />
sul giudizio… ma Atene è lontana…<br />
Pepareto replicò:<br />
226<br />
– Non tanto lontana visto che noi siamo qui. Il mare è<br />
diventato piccolo. Che figura ci faremo? Un po’ d’oro oggi<br />
e la cattiva reputazione sempre.<br />
Cheremone ingoiò altro latte, si massaggiò lo stomaco e<br />
disse a voce alta:<br />
– Insomma, vuoi proprio saperlo, Pepareto? Ho riletto<br />
il dramma. È scritto, è vero, da un dilettante, ma c’è del<br />
sugo e non è poi così brutto. Un ritocco qua e un ritocco là<br />
lo renderanno degno del pubblico. In fondo qui la gente è<br />
di bocca facile.<br />
Ci fu un mormorio scandalizzato… A questo arrivava<br />
Cheremone! C’è del sugo… Un ritocco qua e là… Macché<br />
ritocco, bisognava bruciare il dramma e l’autore in un<br />
rogo unico, così non ne avrebbe scritto altri di sicuro…<br />
Che vergogna per un po’ d’oro!<br />
Era un ammutinamento e allora usò forza e autorità:<br />
– Basta, qui decido io! Tra venti giorni, non uno di più,<br />
non uno di meno, la tragedia sarà rappresentata! Pepareto,<br />
ecco la tua parte, studiatela!<br />
E così fu.<br />
Il pubblico accorse alle prime recite perché incuriosito<br />
e perché spinto dagli uomini di Publio Attinio con minacce<br />
o con denaro.<br />
Ma dopo le prime tre rappresentazioni le gradinate erano<br />
deserte.<br />
Pepareto si lamentava:<br />
– Mai, mai durante la mia carriera sono stato così offeso!<br />
Ecco il risultato della tua ostinazione a portare in scena<br />
questa brodaglia rivoltante! Figuriamoci, un ritocco<br />
qua e un ritocco là… sono umiliato.<br />
227
– Su, Pepareto, tra qualche giorno ripartiamo per Atene<br />
e Publio Attinio è stato più che generoso. Avremo oltre<br />
l’oro persino una nave tutta nostra.<br />
– Cosa me ne faccio di una nave? La uso per cercare un<br />
paese dove nascondermi per la vergogna? Basta Cheremone,<br />
partiamo subito, ho nostalgia di Atene.<br />
Per Nicteo e Peante fu una delusione. Prima l’amore e<br />
la delusione per la malattia delle due etère in erba, poi<br />
l’Arte avvelenata dalla ricchezza e dal potere… E come la<br />
realtà sporcava le cose appena le sfiorava…<br />
Su questi argomenti ragionavano una mattina appoggiati<br />
al parapetto della nave. Peante chiedeva:<br />
– Ma tu credi che resterà qualcosa di buono di tutto<br />
questo contagio… di questi teatri in tutto il mondo?<br />
– Non lo so, però mi immagino che chi leggerà le nostre<br />
tragedie in futuro, se sopravvivranno alle guerre, alle fiamme<br />
e all’incuria, si immaginerà gli artisti in un modo che<br />
non sarà reale. Gli artisti impastano storie e la gente se le<br />
beve come noi beviamo la nostra pozione. Oppure è solo il<br />
desiderio di lasciare un ricordo, come piace a Pepareto.<br />
– E a te.<br />
– Lo so cosa pensi, Peante. Io credo che non ci sia nulla<br />
di male a desiderare di essere ricordati. Noi siamo due<br />
giovani, forse senza nessun talento…<br />
– E sbagliare è diventato il nostro pane… E cosa ci è rimasto?<br />
Questo scolo immondo!<br />
– Almeno noi chiediamo, guardiamo, sperimentiamo,<br />
insomma, proviamo!<br />
Anche nei momenti difficili si sforzavano di riflettere e<br />
si rafforzavano ogni giorno.<br />
228<br />
* * *<br />
Rividero il Pireo in una giornata grigia che immiseriva<br />
il paesaggio.<br />
Ad eccezione dell’Acropoli, tutto sembrava quella mattina<br />
una grande, fangosa periferia melanconica.<br />
Tornarono al loro lavoro ma le funi gli sembravano cattive<br />
come il cappio del boia.<br />
Ormai temevano le loro amanti. L’affetto era scomparso,<br />
ma la carne, che nei due era una tiranna, faceva degli<br />
scherzi e l’uso del decotto continuò.<br />
– Dunque non era amore? – chiedeva un giorno Peante.<br />
– Credo che abbiamo scambiato per amore il riscaldamento<br />
causato da una bella pelle. E poi, se fosse stato<br />
amore, sarebbe durato di più, non credi?<br />
Peante era stanco:<br />
– Ma perché, Nicteo, più esperienze facciamo e più ne<br />
otteniamo confusione?<br />
Anche l’amico era indebolito e non trovava chiarezza<br />
nelle cose:<br />
– Non lo so, forse è solo questione di tempo e tutto ci si<br />
sarà chiaro, magari di colpo, più avanti.<br />
– Ho paura che per noi due la conoscenza arriverà<br />
troppo tardi.<br />
– Ho paura anch’io.<br />
* * *<br />
Seppero subito del malore di Cheremone mentre dalla<br />
cavea verificava l’effetto della voce di Pepareto. La sua<br />
morte fu improvvisa in una giornata di sole e questo gliela<br />
229
ese meno dolorosa perché Cheremone aveva detto che<br />
sarebbe voluto morire alla luce del teatro e sotto il cielo<br />
rotondo del teatro.<br />
I ragazzi furono scossi e spaventati. Peante non se la<br />
sentì di andare a vederlo. Di ritorno dalla veglia funebre<br />
Nicteo disse:<br />
– Dicono che non si muore mai del male che ci si aspetta.<br />
Uno vive temendo la peste e invece muore per il morso<br />
di una vipera, un altro ha paura della consunzione e muore<br />
affogato. Lui aveva paura della paralisi e proprio la paralisi<br />
gli è arrivata. Pensa!<br />
– Penso, penso, eccome se ci penso! È tutta la notte che<br />
penso.<br />
– È morto dopo qualche ora di agonia. Non riusciva a<br />
parlare, poverino…<br />
– Non riusciva a muoversi e a parlare? Che cosa orrenda!<br />
Capiva?<br />
– Beh, ci guardava con la faccia di uno che capiva…<br />
– È vissuto preoccupato di tutto. Conone era il suo incubo.<br />
Meno male che qualche gioia l’ha provata e che qui<br />
gli volevano tutti bene. Le sue opere le sentiranno nostri<br />
figli…<br />
– Nostri figli? – domandò Peante: – E dove le troviamo<br />
noi le donne da cui avere figli? Dove?<br />
Uscirono per una passeggiata a dorso d’asino fuori Atene<br />
che quel giorno li rattristava troppo e imboccarono la<br />
via sacra dalla quale erano entrati in città. Si accorsero che<br />
ai lati la strada era tutta punteggiata di cippi funerari. Così<br />
si fermarono a leggere le iscrizioni. Alcune mostravano<br />
attenzione alle cose che regolano la vita ma altre toccarono<br />
in un punto delicato le viscere di Nicteo e Peante. In<br />
230<br />
effetti non si erano ancora chiesti dove finivano i morti<br />
della città, anzi, ai morti non avevano mai pensato.<br />
– Guarda qui, Nicteo, leggi.<br />
FUI LA PRIMA MOGLIE DI EURICLOO<br />
E FINCHÉ VISSI PIACQUI A MIO MARITO.<br />
FU LUI, MENTRE MORIVO, L’ULTIMO CHE VIDI<br />
E SENTII LE SUE MANI CHIUDERMI GLI OCCHI.<br />
– Forse quello era amore.<br />
– Vieni qui, Peante, leggi.<br />
MORIRE NON È STATO DOLOROSO.<br />
VIVERE, INVECE, LO È STATO.<br />
SI VIVE SAPENDO CHE LA VITA È BREVE E LA MORTE ETERNA.<br />
Restarono a leggere lapidi sino a che la luce glielo permise.<br />
– Questa mi mette freddo addosso…<br />
QUI È DEPOSTO MELAMPO, POVERO PICCOLO DI DUE ANNI:<br />
“ALLA MADRE MIA EMPIA E SCELLERATA GLI DEI INFERI FAC-<br />
CIANO SCONTARE IL FIO PER AVERMI…”<br />
– Questo qua sotto fa lo spiritoso… è morto all’età di<br />
Cheremone, guarda le date…<br />
QUI RIPOSANO IN PACE LE MIE OSSA:<br />
SONO TUTTO CIÒ CHE RESTA.<br />
NON MI ANGUSTIA PIÙ IL PENSIERO DI TROVARMI ALLA FAME,<br />
SONO IMMUNE DALLA PODAGRA<br />
231
NÉ MI ACCADRÀ D’ESSERE GARANTE DI UN PAGAMENTO.<br />
USUFRUISCO PER SEMPRE DI UN ALLOGGIO GRATUITO.<br />
– Leggi qui, anche questo era amore? Lei è morta ragazza<br />
e i sentimenti, magari, non si sono consumati.<br />
CHE SIA MORTA UNA DONNA COSÌ SOAVE<br />
CREDO SIA AVVENUTO<br />
PERCHÉ PARVE PIÙ ADATTA ALLA COMPAGNIA DEGLI DEI.<br />
È CIÒ CHE VEDI E NON PUÒ ESSERE ALTRIMENTI.<br />
Sulla via del ritorno il silenzio sembrò il rimedio migliore.<br />
Cosa ci facevano loro lì?<br />
La voglia di rivedere la casa dove erano nati diventò superiore<br />
a ogni altra e il rimpianto li fece sospirare a lungo.<br />
– Cosa vorresti inciso sulla tua lapide, Peante?<br />
– Non lo so. So solamente che la vorrei vicino al mio ovile.<br />
Là c’è tutto: una bella fonte, l’ombra d’estate e un riparo<br />
contro la pioggia. Te lo immagini se morissimo qui? Altro<br />
che lapide… Partiamo, Nicteo, andiamocene.<br />
– Io vorrei inciso: “Ha discusso tutto”.<br />
– Cambierai idea altre cento volte su quello da incidere<br />
sul tuo sepolcro. Guarda come ci ha cambiato riflettere<br />
solo un poco sul mondo, guarda… Partiamo, Nicteo.<br />
Nicteo fissò a lungo l’amico, ripensò a tutto quello che<br />
era accaduto da quando avevano lasciato la casa paterna e<br />
disse:<br />
– Sì, torniamo, Peante, torniamo.<br />
Salutarono solo Pepareto che mostrò di capire. Anche<br />
232<br />
lui era nato lontano, in Tessaglia, e la nostalgia lo prendeva<br />
spesso ma la combatteva, disse, con la compagnia delle<br />
donne. Fuori delle scene detestava recitare e li salutò con<br />
semplicità. Non diedero l’addio a Giambe e Etemea per<br />
paura di una ricaduta e di altre pozioni fumanti perché la<br />
carne, lo avevano imparato, era troppo forte per loro.<br />
* * *<br />
In quattro giorni, maturati e anche più belli, giunsero al<br />
villaggio con i loro asini più belli di colpo, come i padroni,<br />
all’odore dell’erba di casa. Quale fu l’accoglienza dei genitori<br />
si può immaginare. Subito i vecchi dimenticarono<br />
l’offesa di essere stati abbandonati e anche il precettore<br />
Mitrone li accolse felice. Il monte Citerone riprese a rassicurarli.<br />
Impiegarono dieci serate intorno al tavolo di famiglia<br />
per raccontare le loro vicende omettendo particolari e<br />
tentando di non esagerare. Ma fu impossibile, come per<br />
due pescatori, magari onesti, che descrivono le prede.<br />
Peante trascorse molti giorni solo con le sue pecore alle<br />
quali raccontò proprio tutto.<br />
Piano piano ripresero la vita per la quale avevano sentito<br />
una nostalgia tanto forte da farli tornare.<br />
Ma molte cose, riflettevano, non andavano bene.<br />
Mitrone gli sembrava solo un vecchio provato dagli anni.<br />
Le adolescenti pelose del villaggio erano monotone e<br />
prive di ogni interesse che non fosse le labbra e tutto il resto,<br />
mai che avessero un volo di fantasia, uno slancio. E<br />
pensare che i genitori, spaventati dall’idea di un’altra fuga,<br />
premevano già per un’unione duratura e una moglie.<br />
233
Così, dopo poche stagioni, ripiombarono nello stesso<br />
tedio che era stata la molla forte della fuga. Presto l’ansia<br />
della conoscenza, o qualunque altra cosa fosse, li riafflisse<br />
più forte di prima; più forte perché avevano assaggiato ormai<br />
la vita fuori del villaggio.<br />
Sdraiati sull’erba, guardavano le pecore pacifiche e parlavano<br />
in un pomeriggio caldo all’ombra della capanna di<br />
Peante masticando fili d’erba del fiume.<br />
– Te lo immagini, Peante, vivere tra gli Iperborei, toccare<br />
le terre del nord dove finisce il mondo, guardare il cielo<br />
la notte, tracciare rette e volute e capire l’ordine del creato?<br />
Dicono che i loro maghi volino e spostandosi per l’aria<br />
sappiano contare l’esatto numero delle stelle…<br />
– Gli Iperborei? Cosa ti salta in testa? Gli Iperborei…<br />
– Ma ti immagini andare lontano dal demone Fobos che<br />
laggiù dove nasce Borea non è conosciuto… Dicono che<br />
gli Iperborei, che vivono all’aperto per il clima mite sino a<br />
duecento anni, muoiono felicemente quando decidono di<br />
aver vissuto abbastanza. Allora si mettono sulla testa una<br />
corona di fiori e si gettano tra le onde dove trapassano con<br />
gioia…<br />
– Dicano quello che vogliono, ma mi domando come si<br />
possa affogare felicemente. Non si affoga con piacere. E<br />
poi, come riescono a muoversi per aria? E come possono<br />
vivere duecento anni? O non sono uomini, ma semidei,<br />
oppure non è vero quello che si dice. Certo, sono semidei!<br />
È così: gli dèi sono eterni, i semidei vivono duecento anni<br />
e noi uomini molto meno e, per sovrapprezzo, tra stenti e<br />
dolori. Qualcuno, addirittura, nasce già morto: all’uomo<br />
è dato anche questo dolore. E chi vive, vive sempre ac-<br />
234<br />
compagnato da Fobos, il demone che tu vuoi sfuggire tra i<br />
tuoi Iperborei e che, invece, è ovunque, anche nel mio<br />
ovile.<br />
– Peante, forse hai ragione tu. Ma pensi che la vita tra le<br />
tue pecore ottuse sia quella che vuoi fare per il resto dei<br />
giorni assegnati? Se ci tieni tanto ti ci puoi far trasportare<br />
dopo morto sotto i tuoi cipressi, anche se morissi in Paflagonia.<br />
Crescere e invecchiare qui, caro amico mio, no e poi<br />
no! E se tu non vuoi seguirmi, io ti giuro che parto da solo!<br />
– Di nuovo questa mania? Non ti è bastato quello che è<br />
successo? Hai dimenticato Echecrate, le bugie della Pitia,<br />
quello scolo orribile e la morte di Cheremone? Io resto<br />
qui, voglio la pace, voglio assomigliare alle mie pecore!<br />
Dormire con loro e svegliarmi con loro…<br />
Peante non era sincero. Voleva solo che il suo amico fosse<br />
più ragionevole e coi piedi in terra, tanto più in terra<br />
quanto più lontana era la meta.<br />
Questa volta partirono tra i peana dei paesani e benedetti<br />
dai genitori commossi, su due cavalli e non a dorso<br />
d’asino, e con le borse piene.<br />
Il coro cantava:<br />
C’è ancora orizzonte<br />
innanzi la prora<br />
arrivi laggiù<br />
eppur ce n’è ancora.<br />
E sempre mutando<br />
paesi e città<br />
tu cerchi tra i vivi<br />
la tua verità.<br />
235
Speravano che questo calore quasi alcolico che li aveva<br />
invasi e che gli faceva prudere un’altra volta le palme delle<br />
mani non sarebbe mai cessato e pensavano, guardando<br />
i loro padri tremolanti, che è troppo breve il tempo concesso<br />
per conoscere.<br />
236<br />
VI<br />
Dove erano andati a finire i fiati, gli ultimi respiri, conservati<br />
nelle bottiglie di Gracchini? Si erano riuniti in<br />
qualche punto di Epipanormo o di Talattone? Erano tornati<br />
nelle case dove erano vissuti? Erano nascosti, spaventati<br />
dopo essere rimasti per tanto tempo nella stanza di<br />
Gracchini e disabituati al mondo?<br />
Tutti quei respiri erano una cosa seria e Glicerio tanto ci<br />
aveva pensato che gli avevano bendato l’occhio in fiamme<br />
per la preoccupazione.<br />
“Con quest’occhio diventerò matto… ma se mi segnala<br />
qualcosa allora non è solo un male… Io sono in tempesta<br />
e non c’è più pastiglia che la calma… Insomma, insomma…<br />
Sediamoci a facciamo il punto. Ho bisogno di carta,<br />
non ce la faccio a tenere tutto nella testa…”<br />
In cartoleria comprò un quadernetto azzurro. Si sedette<br />
al tavolino di un bar, sotto un grande oleandro, ordinò<br />
una birra e un panino, spianò il quaderno, tolse il tappo<br />
alla penna e scrisse:<br />
«I respiri delle bottiglie di Gracchini sono vivi quanto<br />
l’essenza di Guglielmino Redenti. Secondo me sono lo<br />
stesso tipo di vita. Se io radunassi i respiri e li portassi al<br />
processo, forse potrebbero testimoniare che loro la forza<br />
di ammazzare ce l’hanno o non ce l’hanno. Tanto è questo<br />
237
il sugo del processo. Guglielmino ce l’aveva la forza di<br />
ammazzare? La dottoressa Paneangelico può pensare<br />
quello che vuole… lei fa discorsi di diritto, discorsi folli,<br />
sente le voci… e il processo a un fantasma sembra che<br />
piaccia a tutti… Figuriamoci l’avvocato Petinicchio… felice<br />
di paralizzare, rallentare, fermare, obiettare… Ma io<br />
devo trovare i respiri che il vecchio Gracchini aveva imprigionato…<br />
Quelle sono anime che il vento si è preso e<br />
magari non le ha neanche sparse in giro ma sono raggruppate<br />
dove le ha spinte il vento… Ma come le riconosco?<br />
Sono respiri e non avranno forma… Come faccio, come<br />
faccio?»<br />
* * *<br />
Una luce dorata e serena che non abbaglia e riposa. Dalle<br />
finestre aperte si sentiva l’aria fresca del tramonto di<br />
Epipanormo.<br />
L’avvocato Francesco Araceli aveva sopracciglia teatrali<br />
e le spostava in tutte le direzioni proprio come un attore.<br />
Ogni direzione aveva un significato e i suoi clienti - anche<br />
quelli più tardi - avevano imparato a comprendere come<br />
andavano le loro cose più dalle sopracciglia che dalle parole<br />
dell’avvocato il quale, tra il teatrale e il forense, usava<br />
anche la voce come uno strumento che doveva far capire<br />
solo dal suono quale era la direzione giuridica delle cose e<br />
dove era orientato l’ago magnetico della giustizia.<br />
Quella sera, però, sopracciglia e voce erano tutt’e due in<br />
uno stato di paralisi da alcuni secondi.<br />
Araceli si alzò e guardò da vicino il nuovo cliente:<br />
– Lei sarebbe? Lo ripeta.<br />
238<br />
– Io sono un ultimo fiato, il rappresentante di tutti gli<br />
ultimi fiati concentrati da Gracchini. Io, questo è il mio<br />
caso personale, sono morto con mia moglie che mi teneva<br />
la mano anche se non volevo, ma ero troppo debole per<br />
oppormi, avvocato. Non la volevo, non la volevo mia moglie.<br />
È lei che ha permesso a Gracchini di mettere il mio<br />
ultimo fiato in bottiglia e ora, anziché essere dove dovrei<br />
essere, sono qua mezzo vivo e mezzo morto.<br />
Araceli recuperò la voce e un sopracciglio che diventava<br />
alto e severo:<br />
– Mi dica ancora, e me lo dica meglio, cosa è venuto a<br />
chiedere.<br />
– Vogliamo essere difesi dall’accusa di avere ucciso noi<br />
il professor Alberico Gracchini.<br />
– Chi vi accusa?<br />
– Sinora nessuno… Però, ve l’ho detto, un certo commissario<br />
Glauco Glicerio ci cerca, ci sospetta di qualcosa<br />
che è connesso all’omicidio dell’odioso Gracchini anche<br />
se, pare, un odore di pesca trovato nella cella puzzolente<br />
sia il segnale di un omicida del quale poco si sa… Noi Ultimi<br />
Respiri non profumiamo di pesca…<br />
Francesco Araceli riprese la padronanza delle proprie<br />
sopracciglia, gli servivano e gli servivano ora, subito:<br />
– Insomma, – diede una manata sulla scrivania che emise<br />
un rimbombo legale, – chi siete? Se siete qualcuno…<br />
Il respiro rappresentante di tutti gli altri ultimi respiri<br />
aveva preso la forma più compatta possibile, però restava<br />
una certa trasparenza che aveva lasciato senza parole l’avvocato.<br />
Sembrava un uomo, questo sì, però senza molta<br />
materia, non molto denso ma ad Araceli che lo fissava<br />
sembrò presentabile, sì, presentabile alla Giustizia. Per-<br />
239
ciò gli altri respiri avevano mandato lui. Gli altri non dovevano<br />
essere così vicini a una sembianza da potersene<br />
andare in giro.<br />
Se questo respiro, al quale bisognava dare subito un nome,<br />
era lì, significava che voleva un consiglio giuridico oppure,<br />
addirittura, voleva essere assistito… Francesco Araceli<br />
aveva fatto la professione, era stato senatore per due<br />
volte, aveva difeso gente importante, vinto processi importanti…<br />
ma, chiuse gli occhi, e pensò a tutto quello che<br />
sarebbe potuto succedere se lui avesse preso la difesa di un<br />
ultimo respiro, anzi, di tutto un gruppo di ultimi respiri.<br />
Che il respiro potesse avere una personalità giuridica…<br />
beh, questo si sarebbe potuto vedere… era da vedere…<br />
Ma quello che non si sarebbe potuto stare a vedere, né<br />
sopportare, sarebbero state le risate, le conseguenze inevitabili<br />
del ridicolo, entrare nella storia del palazzo come<br />
un comico… non era un pagliaccio, lui… lo rispettavano,<br />
lo cercavano…<br />
Il Respiro che rappresentava tutti i respiri imprigionati<br />
da Gracchini capì l’imbarazzo dell’avvocato Araceli:<br />
– Avvocato, tra noi respiri, il destino ha voluto che non<br />
ci fossero avvocati. Gracchini ne aveva paura anche dopo<br />
morti… Io ero un professore di liceo, archeologo dilettante,<br />
archeologo.<br />
– Come si chiama lei?<br />
– Ero il Professor Oreste Foramini.<br />
Araceli aveva ripreso colorito ed era molto serio. Non<br />
capiva cosa aveva davanti ma era una cosa importante di<br />
sicuro:<br />
– Professore, se voi eravate e non siete, allora non c’è<br />
più nessuna speranza, – Araceli ragionava. – O partiamo<br />
240<br />
dal presupposto accettato da tutti che voi siete… io vi vedo<br />
e vi sento, e voi siete, siete… Se incominciamo da qui,<br />
dal vostro essere…<br />
Le sopracciglia di Araceli diventarono cupe e fecero<br />
ombra da quanto erano preoccupate.<br />
Il Respiro diventò più compatto ancora:<br />
– Lei vuole almeno ipotizzare una nostra difesa… ho<br />
capito bene? Nella sua testa sta imbastendo una difesa…<br />
Sono emozionato!<br />
– Lei sente emozioni?<br />
– E lei, lei avvocato non teme il ridicolo, bravo… Ci<br />
avevano parlato di una personalità forte e saggia…<br />
Le ciglia di Francesco Araceli si preoccuparono di nuovo:<br />
– Certo, certo… ma uno spiraglio, almeno uno spiraglio…<br />
Vedete, Professor Foramini…<br />
Gli mancavano parole. Quelle che usava di solito ora<br />
non bastavano. Un respiro, l’ultimo, era davanti a lui a dimostragli<br />
qualcosa di troppo grande… Sì, era la forza del<br />
sovrumano a indebolirlo.<br />
– Professor Foramini…<br />
– Ci difenderà, avvocato? Noi siamo liberi respiri e non<br />
vogliamo che la memoria di un assassinio ci resti addosso<br />
neppure come leggenda…<br />
– Chi mi paga?<br />
Oreste Foramini diventò ancora più chiaro e più aereo,<br />
un tonico, sembrava a Araceli, un sedativo:<br />
– Davanti a Epipanormo, in mare, in un punto che si<br />
può ricavare tracciando una retta che va da capo Icone a<br />
capo Sandalo stando sul bastione della Porta Grande,<br />
quando le basse maree sigiziali sono al massimo, in quel<br />
241
punto, sotto un mantello di alghe conservative, si trova<br />
una piccola dea naufragata e intatta, una dea di bronzo<br />
con gli occhi di lapislazzuli e il nome inciso sulla base. Il<br />
nome della dea o della ragazza, magari era semplicemente<br />
una ragazza… insomma il nome ha un suono che parte<br />
proprio dalle labbra, si chiama Ptea, provate e sentite come<br />
battono le labbra a pronunciarlo…<br />
Araceli provò:<br />
– Ptea, Ptea… – In effetti le labbra battevano in un modo<br />
dolce e poi la lingua sul palato.<br />
– Ecco, avvocato, Ptea era il segreto della mia vita. Perciò<br />
non avrei voluto mia moglie vicina al momento del mio<br />
trapasso. Lei non ne capiva nulla. Ora, il segreto lo metto a<br />
disposizione vostra e di tutti i respiri scappati dalle bottiglie<br />
di Gracchini e che al momento si nascondono…<br />
– Dove si sono rifugiati? – Araceli era di colpo pallido e<br />
stanco, davvero come se davanti si fosse trovato l’aldilà,<br />
una specie di sfinimento del corpo ma un lumicino nuovo<br />
in fondo in fondo.<br />
– Sono tutti sott’acqua, vicino a Ptea e la guardano tutti<br />
commossi…<br />
L’avvocato aveva il colore di uno graziato al quale hanno<br />
appena staccato il cappio dal collo:<br />
– Guardano una statua e sono commossi… Gli Ultimi<br />
Respiri…<br />
– E aspettano il mio ritorno… Loro sono sereni adesso…<br />
Chi vede Ptea capisce che non c’è cosa che l’occhio<br />
deve guardare con terrore perché tanto su tutto domina<br />
senza rivali l’Armonia… I vari Gracchini provano a distruggere…<br />
Ma tanto vince l’Armonia… La città è cresciuta<br />
davanti a Ptea sommersa… ed Epipanormo resta<br />
242<br />
Epipanormo… E le scorie giù a Talattone… tutto in equilibrio…<br />
e l’equilibrio è armonico, s’intende… Le due parole,<br />
armonia ed equilibrio…<br />
Araceli non era un uomo di fede, perciò soffrì a credere<br />
ma sentì, sentì proprio, un tepore rasserenante arrivare<br />
da Foramini.<br />
– Sentite, Professore, datemi le prove che questa statua<br />
dell’Armonia esiste, che questa Ptea sarà vista da tutti<br />
quelli di Epipanormo e da tutti quelli che verranno qua<br />
per trovare tranquillità davanti a Ptea… Io farò barricate<br />
contro il ridicolo, muri, bastioni e fossati… E noi, me e<br />
tutti i respiri, ce ne staremo insieme a questa Ptea che<br />
metterà ordine alle cose… ordine…<br />
Foramini spremette dalla sua figura trasparente una lacrima<br />
poco densa che evaporò subito.<br />
– Avvocato, me lo avevano detto che siete un uomo aperto<br />
e intelligente… Voi lo sapete da dove arriviamo… Non<br />
vogliamo che la grazia dei fondatori scompaia…<br />
* * *<br />
Enrico Ricasoli piangeva, però non di disperazione e<br />
Melania lo teneva tra le braccia dove lui vedeva un’oscurità<br />
confortante, non proprio buio ma una penombra che<br />
lo faceva sentire un malato convalescente, uno che se l’è<br />
scampata e adesso il pericolo lo vede allontanarsi come<br />
una stazione superata dal treno in velocità.<br />
– Cosa vuoi che sia un processo, Melania… Cosa vuoi<br />
che sia davanti a questo Guglielmino Redenti che ha preso<br />
forma, colore e calore davanti a noi? Abbiamo risolto…<br />
243
– Hai risolto…<br />
– Ho risolto la faccenda della paura. È fatta, è fatta…<br />
Tutta la vita che desideravo vedere un fantasma… Ecco,<br />
ecco…<br />
– Hai la febbre, Enrico – disse Melania togliendogli il<br />
termometro dall’ascella.<br />
– Che razza di febbre è? Di sicuro me la sono presa<br />
stando vicino alle finestre per evitare la polvere di Petinicchio.<br />
Hai visto quanta glien’è venuta fuori quando si è<br />
messo a gridare “Al processo, al processo!”? Sei sicura<br />
che sia l’avvocato giusto?<br />
244<br />
<strong>Ei</strong><br />
Era bella, le doghe lucide, la vela col bordo azzurro e<br />
un occhio disegnato al centro.<br />
– Venti metri? E la vendi in fretta e furia, Cleoptico? –<br />
domandava Nicteo guardando la nave tanto elegante da<br />
sembrare una nave da donne, da donne giovani, ragazze.<br />
– Sì, venti metri e la vendo con tutto quello che c’è sopra.<br />
Vi parlerò con franchezza, – si guardava intorno continuamente<br />
e sudava, – ad Atene dicono che sono un imbroglione,<br />
un ladro senza scrupoli. Qui al porto nessuno<br />
comprerebbe neppure un chiodo da me. Nel mio demo<br />
hanno smesso di salutarmi. Mia moglie se n’è tornata nel<br />
suo paese in Beozia. Non ho figli. Ero ricco e ora mi restano<br />
quattro schiavi e un patrimonio che è questa nave. È il<br />
destino dei ladri.<br />
Peante guardava Cleoptico - ladro per sua confessione -<br />
lentamente in ogni particolare e guardava la tunica che si<br />
macchiava di sudore. Cleoptico aveva un occhio più grande<br />
dell’altro, rosso fiamma e sembrava che volesse uscire<br />
dalla testa, forse per guardare lontano se qualcuno lo inseguiva.<br />
– È già qualcosa che un ladro dica di esserlo. È un bel<br />
passo avanti per te… Vivrai meglio… Ma a noi serve una<br />
nave che non affondi. Non basta che galleggi vezzosa nel<br />
245
porto. Siamo già andati per mare, Cleoptico, e sappiamo<br />
che non basta sacrificare capretti ai venti per approdare<br />
sani e salvi.<br />
Cleoptico era un uomo ben fatto. Lo tradiva però l’occhio<br />
gigantesco che subito metteva in allarme chi aveva a<br />
che fare con lui:<br />
– Parto con voi a garanzia della merce. Mi butterete in<br />
mare se la nave non va bene. Ma è un portento anche con<br />
Borea scatenato.<br />
Nicteo rise:<br />
– Se la nave non va bene ti butteremo in mare, va bene,<br />
però in mare ci finiremo anche noi subito dopo, caro<br />
Cleoptico. Non sei una bella garanzia.<br />
– Ma io devo lasciare Atene e questo paese, devo, capite?<br />
Dalla faccia dell’ateniese scomparve ogni traccia di disonestà.<br />
Scomparvero trame, imbrogli e furti. Apparve il<br />
verde della paura e il sudore aumentò tanto che sembrava<br />
un uomo appena ripescato dall’acqua. L’occhio iniziò a<br />
pulsare per scappare prima del padrone:<br />
– Tutta la verità, ve la dirò tutta. Ho venduto la casa e le<br />
terre, ma gli schiavi sono qui con me. Io devo lasciare Atene<br />
perché il tribunale mi aspetta domani e io oggi devo<br />
scappare sennò finisco lapidato… Lapidato, legato a terra,<br />
il mio sangue impastato alla polvere, aspettando la pietra<br />
più grossa che mi sfonda la testa, lanciata da uno che<br />
neppure sa chi sono…<br />
Quante volte aveva visto i condannati subire la pena e<br />
ora se la rivedeva davanti agli occhi che gli si riempivano<br />
di lacrime:<br />
– Adesso mi capite? Ascoltate, non so dove siete diretti,<br />
246<br />
non so chi siete e non so cosa vi passa per la testa. Io sono<br />
un disonesto e so riconoscere meglio degli altri le facce<br />
oneste… Qualsiasi colonia, qualsiasi città… nelle terre<br />
del Gran Re… dove volete! Io sarò sempre con voi con la<br />
tempesta e con la bonaccia.<br />
Ormai non guardava più Nicteo e Peante, fissava la strada<br />
che univa il Pireo alla città e stringeva le mani dei due<br />
giovani come sollecito pietoso.<br />
Peante domandò:<br />
– I cavalli?<br />
– Da me non li comprerebbe nessuno, vendeteli voi, –<br />
rispose Cleoptico sempre più impaurito. – Io salgo a bordo<br />
e aspetto, aspetto.<br />
Vendere i due piccoli cavalli fu facile. Li scambiarono<br />
con provviste, strumenti, vestiti, sementi e anche un alberello<br />
persiano che, disse il mercante, avrebbe prodotto<br />
frutti dolci, profumati e con una buccia vellutata.<br />
– Come si chiamano i frutti di questa pianta? – aveva<br />
domandato Peante.<br />
– Chiamateli come volete.<br />
Poi Cleoptico accompagnò Nicteo e Peante nella stiva<br />
dove, avvolta da una vela, videro una forma umana. Si spaventarono<br />
e pensarono per un momento che Cleoptico<br />
fosse anche un assassino. Ma quando il ladro svolse la vela<br />
videro, così sembrò ai due ragazzi, la statua più bella…<br />
Gli si rizzarono i peli… Videro l’occhio universale di<br />
Cleoptico scolorire e diventare rosa… Sentirono un’onda<br />
di caldo venire da dentro il cuore e andarsene sino alle<br />
estremità… Una dea di bronzo con gli occhi azzurri, una<br />
dea di sicuro, visto che creature come questa non ne ave-<br />
247
vano mai viste e la natura non ne aveva prodotte di donne<br />
così… il naso perfetto, il collo e le spalle, i fianchi… L’armonia<br />
e l’eternità. Quanto ne avevano parlato… E adesso<br />
loro l’avevano comprata.<br />
– L’occhio celeste è di lapislazzuli, – disse Cleoptico come<br />
se l’avesse fatta lui. E invece l’aveva rubata.<br />
– È il ritratto di una ragazza della Calcide morta d’amore.<br />
Si chiamava Ptea. I genitori hanno voluto conservare…<br />
Mi sono liberato di tutto prima di fuggire ma di questa<br />
ragazza no.<br />
– E tu l’hai rubata ai genitori?<br />
– No, no, sono morti anche loro.<br />
– Ptea… Ptea… – disse Nicteo mentre l’accarezzava: –<br />
Che bel nome!<br />
– Senza neppure un velo! – disse Peante fissando i capezzoli<br />
all’insù della ragazza che sembravano unirla al<br />
cielo.<br />
– Questo è l’intero che contiene tutto come diceva Echecrate…<br />
Cosa vuoi che se ne faccia di un velo, Peante?<br />
Ricoprirono la statua e pensarono che, se nel paese degli<br />
Iperborei gli sarebbe stato concesso uno spazietto, allora<br />
là avrebbero messo la statua di Ptea, e intorno avrebbero<br />
costruito la casa e si sarebbero consolati a guardarla,<br />
loro, i figli e i nipoti.<br />
Non parlarono degli Iperborei a Cleoptico e tanto meno<br />
al marinaio Porfirio, un fenicio giovane ma tutto rughe<br />
salmastre, che assoldarono per poche dracme.<br />
Nicteo e Peante si ricordarono di avere nelle bisacce la<br />
pozione contro lo spurgo ricorrente quando si accorsero<br />
che gli schiavi di Cleoptico erano, sì, quattro, però due<br />
erano ragazze, ossute, malnutrite, ma ragazze.<br />
248<br />
– Nicteo, due donne a bordo! Non sembrano bellezze, è<br />
vero, ma con l’aria di mare e il viaggio chissà cosa succede!<br />
– disse Peante all’orecchio dell’amico.<br />
– Hai paura di due donne?<br />
– Beh, hai visto cosa portano con sé le donne.<br />
– Senti, noi andiamo a cercare un luogo benedetto da<br />
Apollo, dove all’alzarsi delle Pleiadi possiamo sentire il<br />
dio che canta. Andiamo dove nasce il vento che purifica<br />
anche l’anima più nera, dove la vita è dolce. Costruiremo<br />
templi e case… E tu ancora con questa faccenda delle<br />
donne e dello scolo. Ioppe e Ifianassa sono due schiave e<br />
non due ballerine. Insomma, vuoi provare o no? Vuoi<br />
tentare o no? Sempre discorsi da pastore… Non cambi,<br />
non cambi…<br />
Peante non rispose: accettava. Quanto alla faccenda del<br />
pastore pensò che ce ne sarebbe voluto di tempo per dimenticare<br />
pecore e ovile… Anzi, non se lo voleva proprio<br />
dimenticare il suo cosmo così piccolo, tanto piccolo che<br />
gli era venuta la curiosità, un prurito irresistibile per il<br />
quale adesso era lì.<br />
Il sole era a metà del tragitto quando salparono. Uscirono<br />
dal golfo incrociando imbarcazioni di tutte le forme<br />
che trasportavano ogni genere di faccia.<br />
La nave era davvero agile e elegante.<br />
– A quest’ora domani sarei nello spiazzo della lapidazione,<br />
– mormorava Cleoptico affacciato alla murata.<br />
– Scappare! Che sensazione grande e profonda! Non so<br />
descriverla, amici!<br />
Nicteo ripensò al teatro e a quante volte aveva visto l’attore<br />
vestire il mantello grigio del fuggitivo:<br />
249
– La fuga! La fuga, caro Cleoptico, non è riservata solo<br />
ai ladri. Qualche volta scappano anche gli onesti. Anzi, sai<br />
cosa credo? Credo che un uomo più è onesto e più scappa<br />
col mantello spinoso che lo fa sanguinare dappertutto.<br />
Ecco, ecco!<br />
Peante temeva in cuor suo i ragionamenti di Nicteo il<br />
quale da un po’ di tempo aveva preso l’abitudine di allisciarsi<br />
i capelli quando iniziava un discorso impegnativo,<br />
ma se ne restò zitto mentre l’amico continuava.<br />
– Vedi, Cleoptico, anche noi scappiamo, ma non ci inseguono<br />
altri uomini.<br />
– E da cosa scappate? – domandò il ladro che, man mano<br />
che si allontanava dalla costa riassumeva la sua espressione<br />
da sparviero e l’occhio diventava di nuovo una minaccia.<br />
– Noi scappiamo e inseguiamo allo stesso tempo.<br />
– E cosa inseguite?<br />
Peante guardò l’amico pensando a quanto ne avevano<br />
ragionato insieme all’ombra, masticando erba cipollina:<br />
– Il demone Fobos ci insegue, questo è certo. E davanti a<br />
lui, o ti mancano i sensi o te ne vai nella direzione opposta.<br />
Così scappiamo cercando un posto dove la paura non c’è.<br />
– Oppure, – aggiunse Peante, – un posto dove almeno<br />
ce la possiamo dimenticare.<br />
Cleoptico era sensibile all’argomento e di nuovo verde<br />
per i cattivi pensieri:<br />
– Fobos ci insegue ovunque andiamo, è vero. Ma è anche<br />
una questione di distanze: è molto peggio quando ti<br />
insegue da vicino come succede a me.<br />
– Prima o poi si avvicina a tutti… – rispose Nicteo.<br />
La discussione era di quelle che sfinivano Peante. Per<br />
250<br />
fortuna Porfirio gridò da prua moltiplicando le rughe in<br />
viso:<br />
– Vento da terra! Ci allontaniamo veloci! Aiutatemi alla<br />
vela!<br />
Zittirono tutti. Avevano capito che il viaggio era iniziato<br />
e quando l’isola di Salamina diventò un profilo scuro a<br />
poppa, nessuno provò più desiderio di parlare, anche se<br />
una forza nuova e refrigerante circolava nelle vene di<br />
ognuno.<br />
Il mare era alto, scuro ma sereno. Solo nel suo fondo,<br />
dove non arrivava la luce, dove i pesci non hanno occhi,<br />
dormiva borbottando, lontana dai due giovani, la paura.<br />
* * *<br />
Nicteo, Peante, Cleoptico, Porfirio il marinaio, Tideo e<br />
Sicano gli schiavi, Ioppe e Ifianassa le schiave ossute, trascorsero<br />
sulla nave tre stagioni, dal mese delle Ecatombi<br />
sino a Targelione. Andavano sempre a nord.<br />
A nord abitavano gli Iperborei ma Nicteo e Peante non<br />
sapevano in quali terre e neppure quanto mare dovevano<br />
ancora attraversare.<br />
Quando trovavano isole - e ne trovarono tante - quando<br />
vedevano città, quando incrociavano altre navi, la necessità<br />
di vedere e parlare con altri uomini diventava più<br />
forte di ogni cosa e allora si fermavano. Gli schiavi volevano<br />
spiegare che erano diventati liberi e Cleoptico che<br />
era un uomo onesto. Porfirio cercava altri Fenici. Così<br />
conobbero altre città e altre razze, fecero provviste di parole,<br />
ma non incontrarono nessuna gente volante che viveva<br />
duecento anni.<br />
251
Ioppe e Ifianassa erano ingrassate perché mangiavano<br />
finalmente ogni giorno e l’aria del mare le aveva abbellite,<br />
riuscivano a mantenere lucide le capigliature nere, a<br />
colorare le labbra e anche a profumarsi. Tideo e Sicano<br />
se n’erano rimasti in silenzio solo i primi giorni dopo la<br />
partenza, e quando si erano resi conto che la loro vita era<br />
davvero cambiata in meglio, rivelarono un carattere allegro.<br />
La pozione fumante non servì: nessuno scolo apparve<br />
durante il viaggio.<br />
E intanto andavano ancora a nord conoscendo isole<br />
nuove e popoli nuovi.<br />
Nicteo e Peante continuavano a parlare degli Iperborei<br />
solo tra di loro e aspettavano il momento in cui il re<br />
dei gabbiani avrebbe annunciato che le città degli uomini<br />
erano finite e che là, finalmente, dovevano sbarcare.<br />
Ioppe e Ifianassa iniziarono a vomitare tutte le mattine,<br />
ad arrotondarsi sempre di più e assunsero un alone<br />
che le fece apparire ancora più belle. Durante un approdo<br />
in una città fenicia comprarono una capretta per dare<br />
latte alle due donne. La chiamarono Ipsi.<br />
Non vedevano terra né navi da venti giorni e ormai, secondo<br />
i loro calcoli, il mese di Targelione stava per terminare.<br />
– Oneste? – domandava Peante?<br />
– Sì, l’onestà è ornamento di queste donne.<br />
– Ma se non sappiamo di chi sono i figli che si portano<br />
dentro!<br />
– Avranno cinque padri.<br />
– Sarà così tra gli Iperborei. Noi veniamo da Atene, an-<br />
252<br />
zi, veniamo da un villaggio delle montagne dove le donne<br />
sono oneste in un altro modo.<br />
– Diventiamo dieci, Peante! Non è così anche tra le tue<br />
pecore che tu porti sempre come esempio di saggezza divina?<br />
Zittirono di colpo perché sentirono un grande brontolio<br />
nel fondo della nave.<br />
Guardarono tutti il mare e stettero ad ascoltare il<br />
brontolio, un rimbombo.<br />
Videro gabbiani che fuggivano verso sud. Provarono<br />
un gelo improvviso. Da nord sembrava che l’orizzonte<br />
nero stesse per avventarsi contro di loro, ma non riconobbero<br />
subito la paura.<br />
Porfirio piegava la vela gridando:<br />
– Ecco cosa viene dalle terre del nord che voi cercate!<br />
Tutto quel nero là in fondo è Borea in persona che viene<br />
verso di noi! Cleoptico, ora vedremo se questa nave da<br />
donne è davvero resistente. Tra un po’ non sarà più vergine.<br />
Speriamo che non senta dolore e non perda troppo sangue.<br />
Tutti si legarono all’albero, salvo Porfirio che si legò al<br />
timone.<br />
Videro un’ombra nera distendersi sull’acqua e gonfiarla.<br />
Il rumore delle onde e del vento diventò così forte che<br />
non si sentì altro suono. La nave teneva la prua dritta verso<br />
l’oscurità. La capretta Ipsi non stava in piedi e Cleoptico<br />
se la legò al braccio. Peante chiuse gli occhi pensando<br />
ai prati e agli alberi del monte Citerone.<br />
Andavano veloci verso un’oscurità più nera ancora. Il<br />
mare… un’infinita bolla nera dalla quale non sarebbero<br />
usciti più… caduti oltre il margine del mondo.<br />
253
Era proprio paura quella che sentivano?<br />
La statua! È di bronzo.<br />
– Ptea, Ptea, dobbiamo sacrificarti alle acque… la perfezione<br />
alle acque!<br />
Cleoptico riuscì a fare scivolare la statua fra le onde feroci<br />
e poi si mise a piangere.<br />
Al buio, improvvisamente, tutti videro gli occhi grandi<br />
della paura e sentirono una mano gelida che se li prendeva<br />
per la nuca. Allora capirono, chiusero le palpebre e<br />
cercarono l’ultimo pensiero.<br />
Quando il buio era ormai quello dell’aldilà e uno strappo<br />
della nave sembrò il salto nel nulla, proprio allora avvenne,<br />
di colpo - se lo sarebbero ricordati sempre - che lo<br />
stupore e la gioia arrivarono con una folata tiepida, rosea<br />
e benefica che cacciò via l’ombra nera e tirò giù il mare.<br />
Il prodigio di Ptea.<br />
A Peante sembrò di vedere un cocchio d’oro in cielo.<br />
Cleoptico vide i delfini.<br />
Sole e azzurro riapparvero improvvisamente come se<br />
avessero aperto una porta immensa per fare entrare la luce<br />
e le onde diventarono riccioli. Sentirono la pelle pizzicare<br />
per i raggi dorati e gli occhi smisero di bruciare.<br />
Guardarono tutti a sud e videro l’ombra nera allontanarsi<br />
arrabbiata, prepotente, che si contorceva e si tirava<br />
dietro schiuma e gorghi.<br />
Poi guardarono a nord e aprirono le bocche rotonde.<br />
Era apparsa la costa, bianca come il ghiaccio, alta sul<br />
mare e più in basso una piana che si confondeva con l’acqua.<br />
Tutto scintillava immobile. Il vento che arrivava da<br />
terra lo respirarono tutti in silenzio e la nave era beata.<br />
254<br />
Avevano visto la terra in un momento.<br />
Una farfalla folle e stanca veniva da terra e aveva perso<br />
la speranza. Si lasciò cadere sulla nave e si mise controvento<br />
a riposare le ali.<br />
Momenti, pensava Nicteo. Ed erano ancora così giovani.<br />
Momenti. Tutti messi in fila ma senza ordine, mica<br />
messi lì l’uno per preparare l’altro. Che disordine… Vita a<br />
caso. Trovarci un filo, ecco cosa volevano più di tutto, o<br />
trovare almeno l’inizio del filo. Il resto lo avrebbero cercato<br />
gli altri dopo di loro… Una vita sola non basta.<br />
Il popolo leggero degli Iperborei magari non abitava là,<br />
ma quello era un approdo perfetto e la sabbia una culla<br />
calda.<br />
Nicteo non sapeva se avrebbero trovato il popolo volante<br />
ma - e l’idea era chiara nella testa - pensò che sarebbero<br />
arrivati lui e Peante ad avere una barba bianca con la<br />
quale distillare per tutti la storia della città iniziata proprio<br />
da loro due. Sarebbe stata una parte del filo che cercavano<br />
e che non si sarebbero mai più fatti sfuggire di mano.<br />
E pensò anche al ritrovamento miracoloso della statua<br />
perfetta di Ptea e alla meraviglia del pescatore che nelle<br />
sue reti avrebbe trovato il fiore degli anni eterno di Ptea.<br />
– Ptea, Ptea… come battono le labbra quando si dice il<br />
tuo nome… In fondo al mare per cacciare la paura da<br />
questo golfo…<br />
* * *<br />
Dalla rocca alta scendevano tre torrenti ripidi che finivano<br />
in una grande laguna salmastra. A occidente un<br />
promontorio e ancora stagni. Luce, tanta luce che Nicteo<br />
255
e Peante credevano che ne sarebbe rimasta anche per la<br />
notte.<br />
Ognuno immaginò, senza dirlo, ricordandosi la tempesta,<br />
che il promontorio a occidente sarebbe stato il loro cimitero<br />
e avrebbe confortato la loro trasformazione in erba<br />
e alberi.<br />
Tideo e Sicano aspiravano l’odore della terra.<br />
Ioppe e Ifianassa tenendosi le pance rotonde si sedettero<br />
in riva al torrente per togliersi di dosso il sale.<br />
Cleoptico non aveva momentaneamente la faccia del rapace,<br />
guardava il luogo intatto e si fregava delicato l’occhio<br />
gigante che guardava intorno e girava veloce.<br />
Nicteo camminava incantato vicino a Ipsi, contenta dopo<br />
tanti giorni di mare. Erano tutti sopraffatti dal silenzio<br />
sovrumano.<br />
Peante che era corso avanti gridò:<br />
– Sterco di pecora! C’è sterco di pecora! Questo posto<br />
magari è abitato!<br />
Ma per tutta la giornata non trovarono anima viva e<br />
continuarono sino al tramonto a fantasticare, ciascuno<br />
per proprio conto, sparsi tra la rocca e la pianura, sul loro<br />
destino che si stava legando a questi luoghi.<br />
La sera Nicteo ebbe un’ispirazione e, allisciandosi i capelli,<br />
illuminato dalla luna disse:<br />
– Tutti oggi abbiamo pensato che il viaggio è finito, tutti!<br />
Non siamo giunti al confine della terra come ci è sembrato<br />
per colpa della paura, terra ce ne sarebbe ancora<br />
tanta. Però qui c’è un porto, c’è una rocca dove rifugiarsi<br />
e costruire palizzate e mura di pietra. C’è acqua dolce e<br />
più di una fonte da consacrare. La temperatura è mite.<br />
Ioppe e Ifianassa partoriranno i nostri figli tra poco.<br />
256<br />
Peante ha trovato sterco di pecora e troveremo, per logica<br />
conseguenza, anche il latte. Porfirio conosce bene il mare<br />
e le rotte, ora sa dove si nasconde Fobos e lo eviterà. Il mare<br />
ci terrà uniti agli altri uomini. Cleoptico qui può camminare<br />
senza guardarsi alle spalle, senza temere pietre e<br />
giudici, ma dovrà essere onesto. Tideo e Sicano sono liberi,<br />
s’intende, ma dovranno lavorare la pietra. Insomma,<br />
noi siamo una razza fondatrice!<br />
Peante, reso mistico dal luogo, smise di cercare sterco di<br />
pecora e disse:<br />
– Epipanormo! La chiameremo Epipanormo! Le strade,<br />
i pozzi, i giardini nella città alta e la piazza! Le strade<br />
dedicate a Apollo! Sarà un’età dell’oro e i nostri nomi saranno<br />
scritti in eterno…<br />
Ma Ifianassa strillò:<br />
– Le acque, le acque si sono rotte! Aiuto! Non ho mai<br />
messo al mondo un bambino! Chi mi aiuta in questo posto<br />
senza templi?<br />
L’energia che spingeva fuori il figlio di Ifianassa e dell’equipaggio<br />
era più forte dello scalpello col quale Peante<br />
voleva incidere nella pietra i loro nomi. Il primo nato di<br />
Epipanormo era più forte di tutto. Ptea li avrebbe aiutati<br />
dal fondo del mare.<br />
Trascorsero la notte a proteggere il bambino dalle zanzare<br />
ubriache e felici perché non avevano mai succhiato<br />
sangue umano.<br />
* * *<br />
Le tracce di pecora avevano affascinato Peante che già<br />
si immaginava un ovile, latte e formaggio. Così il giorno<br />
257
seguente, alla prima luce, tanta luce, iniziò a cercare pascoli<br />
possibili. Salì verso il bosco sulla rocca da dove vedeva<br />
la nave nel golfo tranquillo. Il vento produceva tra<br />
gli alberi un suono che non sentiva da molto tempo.<br />
Udì un belato e corse verso le rocce da dove proveniva,<br />
pensando che se c’erano pecore c’era anche il pastore.<br />
Un polpaccio brillò sopra di lui tra la pietra bianca.<br />
Peante sentì il rumore di un sandalo energico e saltò anche<br />
lui sulla roccia.<br />
La donna non era scappata e Peante, di colpo, diventò<br />
un ragazzo di marmo. Una dea, pensò quando la vide in<br />
mezzo alle pecorelle, ma non balbettò:<br />
– Mi chiamo Peante e vengo da Atene.<br />
– Vieni da molto lontano. Io mi chiamo Melania e sono<br />
figlia di Iperoche, – sorrise.<br />
Peante si accorse che quel sorriso metteva in moto ogni<br />
cosa intorno. Le lucertole uscivano dalle tane, il muschio<br />
rinverdiva, il vento si rallegrava e ogni cosa sembrava in<br />
relazione con la pelle di Melania. Quella creatura era figlia<br />
di qualcuno che aveva pensato a tutto e Peante, messo in<br />
moto anche lui dalla forza che da lei proveniva, disse:<br />
– Noi siamo arrivati sin qui per costruire una città, una<br />
città completa col teatro, il tribunale, il cimitero. Serve<br />
un inizio anche se, forse, le cose sono già iniziate.<br />
– Per il cimitero basterà il mare. Da noi usiamo il mare.<br />
Si seppellivano in mare? Un pensiero… ma lui continuò<br />
fissandola:<br />
– Io e il mio amico Nicteo abbiamo commesso una serie<br />
ragionevole di errori, sofferto le stesse pene e sappiamo,<br />
più o meno, le stesse cose del mondo. Vogliamo, ti ho<br />
detto, fondare una città. Il tuo sorriso è il più bello che io<br />
258<br />
ho visto e tu saresti l’inizio migliore per la città. Epipanormo<br />
dovrebbe incominciare da te e resisterebbe a tutto,<br />
sempre.<br />
– Io abito sui monti, Peante, e vengo qui con le pecore<br />
di mio padre perché il vento della mia città non smette<br />
mai e qualche volta è troppo forte, mi stordisce e me ne<br />
vado a cercare altri pascoli.<br />
Il vento che non smette mai? Peante domandò:<br />
– Tu abiti in una città del vento?<br />
Melania sorrise e gli alberi ondeggiarono di piacere:<br />
– Da noi il cielo è così pulito per il vento che i saggi contano<br />
le stelle ogni notte. Non hanno ancora finito di contarle<br />
tutte ma la costellazione del Sagittario li protegge e<br />
li solleva da terra, li cosparge di polvere argentata così<br />
che si vedono anche la notte, e svolazzano in tutte le direzioni<br />
per segnare le stelle sui loro papiri. Borea nasce da<br />
queste parti. Però io, ogni tanto, devo cambiare aria.<br />
Borea nasce da queste parti? Peante sentì le gambe deboli:<br />
– E tu vieni qui senza protezione? Non hai paura?<br />
Lei sorrise e tutto si mosse ancora intorno:<br />
– Il demone Fobos? Sappiamo che Fobos accompagna<br />
i guerrieri nei campi di battaglia, non ce ne importa, non<br />
ci sono battaglie da queste parti. Io cerco altre terre per le<br />
mie pecore.<br />
Peante si sedette. Era possibile quello che gli stava passando<br />
per la testa?<br />
– Tuo padre si chiama Iperoche? È un pastore come il<br />
mio?<br />
– Mio padre è il re della città.<br />
– E la città è lontana? – domandò senza più forze per-<br />
259
ché iniziava a convincersi d’essere arrivato dove aveva<br />
immaginato d’arrivare.<br />
– È a nord. Tre giorni di cavallo. Io non ho la polvere<br />
argentata che rende leggeri ma conosco il cammino.<br />
* * *<br />
Nicteo teneva in alto il bambino di Ifianassa:<br />
– Lo chiameremo Minio, così sarà protetto da Nettuno,<br />
casomai gli venisse la voglia di andare sul mare da grande.<br />
Sei d’accordo Ifianassa?<br />
Ifianassa era nata in oriente e non capiva i nomi greci,<br />
ma gli sembrò un bel suono.<br />
Decisero riuniti in assemblea che la prima casa di Epipanormo<br />
l’avrebbero costruita in alto sulla rocca bianca<br />
utilizzando la stessa pietra della rocca. Tideo e Sicano sapevano<br />
tagliare la pietra e lavorare il legno. Porfirio disegnò<br />
una casa fenicia e decisero di costruirla vicino a un<br />
pozzo. Nicteo aveva scelto il sito. Cleoptico progettò la<br />
costruzione di un molo con l’aiuto di Peante.<br />
Una mattina di sole Sicano, mentre tagliava un’asse di<br />
legno, sentì l’urlo di Ioppe da dentro casa:<br />
– Le acque! Partorisco! Chiamate Ifianassa!<br />
Sicano chiamò tutti a raccolta. Così anche Ioppe, con<br />
una facilità che sbalordì tutti, partorì, ma partorì due bambini<br />
piccoli e magri, un maschio e una femmina biondi.<br />
Tideo teneva in braccio i due neonati e guardava intorno<br />
tutti gli altri color nocciola e di pelo nero. Non c’erano<br />
biondi tra i padri possibili e qualcuno si ricordò, senza<br />
dirlo, di una città in cui erano sbarcati molti mesi prima e<br />
dove gli abitanti avevano i capelli d’oro.<br />
260<br />
Nicteo, che ormai parlava come un capo pacificatore,<br />
disse:<br />
– Molti di noi, probabilmente, erano biondi da bambino,<br />
chi può ricordarlo? Non ci sono qui le nostre madri<br />
per dirci come eravamo. Questi gemelli cambieranno, vedrete,<br />
e i capelli diventeranno neri come i nostri. Oppure<br />
lo stesso Apollo, che è biondo, potrebbe conservarli con<br />
questi boccoli dorati come augurio per tutti noi. È un segno<br />
divino!<br />
Ma Porfirio aggiunse:<br />
– E gli occhi color cielo? Come si spiegano?<br />
Intervenne Peante:<br />
– Anche gli occhi cambiano colore, lo sanno tutti. Io<br />
stesso, mi raccontava mio padre, avevo gli occhi chiari alla<br />
nascita e ora sono scuri. Questi nuovi nati sono nostri figli<br />
e cittadini della città che costruiamo. Dobbiamo dargli<br />
un nome, cibo, affetto, conoscenza e farne persone di<br />
cuore. Il maschietto lo chiameremo Palemone e la femminuccia…<br />
Ioppe era sfinita ma guardò Peante con gratitudine e<br />
fiatò:<br />
– Per la femminuccia un nome delle mie parti… Arisbe,<br />
la chiamo Arisbe.<br />
Terminarono la casa in poco tempo. Mezzo casa e mezzo<br />
capanna, di pietra e legno, li ospitava tutti. Da una parte<br />
le donne con i bambini e dall’altra gli uomini. Un atrio<br />
grande e una sala dove fare il fuoco, mangiare e parlare.<br />
Quella era una comunità di conversatori dove le parole -<br />
fatta la scorta ad Atene - avevano un peso così grande da<br />
dare forza a tutti.<br />
261
Intorno alla casa, Nicteo, aveva piantato i semi e le piantine<br />
comprati al Pireo tra cui l’alberello persiano che doveva<br />
dare fiori rosa e frutti profumati e vellutati.<br />
Anche il molo era terminato e ora proteggeva la nave.<br />
Cleoptico e Porfirio avevano costruito una casa più piccola,<br />
con un recinto di pietra, vicino al molo e avevano piantato<br />
delle viti sperando in un vino forte come quello che<br />
bevevano nelle taverne di Atene. Ora aspettavano i giorni<br />
giusti per seminare orzo e grano.<br />
Ma dovevano pensare al tempio e affrontare il problema<br />
delle colonne.<br />
Una sera, distesi sulla sabbia, Nicteo e Peante guardavano<br />
la luna rotonda e la luna li guardava. Il mare era fosforescente,<br />
sereno ma pieno di forza. Qualche pulviscolo<br />
luminoso spariva e riappariva in cielo:<br />
– Siamo una piccola tribù, caro Peante, e noi siamo i capi…<br />
i capi.<br />
– Ho fatto dei calcoli, Nicteo. Se Ioppe e Ifianassa faranno<br />
un figlio all’anno fra quattro anni saremmo diciannove.<br />
Non è un granché. E non rispondermi che i bambini<br />
non nascono come i capretti, lo so che questo non è un<br />
gregge. Ma è che per fare una città occorre più gente e per<br />
fare un popolo non bastiamo noi. Per ora abbiamo solo<br />
un bel nome per la città: Epipanormo.<br />
– Noi siamo una tribù civilizzata, Peante. E poi io ragiono<br />
guardando più in là di tre anni. Pensa a quando avremo<br />
i capelli bianchi e Arisbe avrà fatto figli con noi. Saremo<br />
cinquanta, sessanta, come il nostro villaggio. Avremo<br />
anche un teatro…<br />
– Un teatro per sessanta? Al villaggio avevamo un tea-<br />
262<br />
tro forse? E poi, nessuno si ammalerà mai da queste parti?<br />
Nessuno morirà? Io mi immagino con il labbro pendente,<br />
cieco e sordo e tu ti immagini marito di Arisbe che<br />
è appena nata?<br />
Nicteo si appoggiò sui gomiti:<br />
– Peante, cosa vuoi dirmi? Che non abbiamo speranza?<br />
Che vorresti tornare ad Atene e poi di nuovo al nostro villaggio<br />
disgraziato? Riattraversare la tempesta che ci siamo<br />
lasciati alle spalle e che adesso ci aspetta da qualche<br />
parte in mare? Credi che nessuno approderà più a questo<br />
molo e che qui non ci sarà mai vita? Insomma, che cosa<br />
vuoi?<br />
Peante raccontò di Melania e della città a nord, dove il<br />
vento rendeva il cielo perfetto e i saggi studiavano le costellazioni<br />
guardandole da vicino. Perché non andare come<br />
ambasciatori e chiedere aiuto a quel popolo senza<br />
guerrieri che aveva generato una creatura come Melania?<br />
Peante chiudeva gli occhi quando la nominava e vedeva<br />
le gambe al sole e il sorriso che muoveva piante e animali.<br />
Non raccontò che ogni volta che era libero correva al pascolo<br />
a cercarla per parlare sino al tramonto con lei.<br />
– Compreremo cavalli, Nicteo, altri schiavi e li libereremo.<br />
Così popoliamo la città alta e quella bassa, matureremo<br />
e invecchieremo sereni.<br />
Nicteo rimuginava guardando in cielo il pulviscolo lucente:<br />
– Non posso credere che siamo arrivati nella terra dove<br />
Apollo viene a far festa… Non riesco a crederci, ecco. La<br />
città del vento e i saggi volanti!<br />
E se ne andò a casa silenzioso.<br />
263
Non aveva il coraggio di dire quello che sospettava, lui<br />
che raramente si faceva mancare le parole. Neanche Peante<br />
aveva avuto l’animo di chiedere a Melania altre spiegazioni<br />
sulla città, sull’età degli abitanti e sugli astronomi che<br />
volavano.<br />
L’idea di essere arrivati dove avevano immaginato li aveva<br />
privati dell’energia che sino a quel momento li aveva<br />
mossi. Non pensarono che quello sfinimento, la delusione<br />
che non confessavano, fosse naturale, un poco come la<br />
tristezza che aveva preso Ioppe dopo aver messo al mondo<br />
i due gemelli che aveva aspettato con tanti pensieri.<br />
* * *<br />
Quattro giorni di viaggio a piedi furono leggeri.<br />
Melania viaggiava col gregge e il cane Tikos che riconosceva<br />
annusandoli i sentieri.<br />
All’alba del quarto giorno Melania si stiracchiava:<br />
– Questa mattina entreremo in città.<br />
Tikos sentiva odore di casa e puntava il muso dritto verso<br />
un monte a forma di cono perfetto. Ma un dubbio era<br />
entrato e procedeva nella testa di Nicteo e Peante. Nessuno<br />
dei due aveva chiesto, durante il viaggio, il nome della<br />
città e del popolo di Melania. Non avevano trovato il coraggio<br />
per il semplice motivo che il paese degli Iperborei,<br />
se esisteva, forse non volevano trovarlo a quel punto della<br />
loro vita. Era troppo presto e per questo motivo, man mano<br />
che si avvicinavano alla città, si immelanconivano.<br />
Mentre Melania si lavava a una fonte parlante, loro, sottovoce,<br />
dicevano:<br />
– E se fossimo arrivati davvero nella terra perfetta di<br />
264<br />
Apollo? Perfetta come quel monte che mi fa paura? Guardalo,<br />
un cono perfetto. Io comincio a essere preoccupato<br />
e non so perché.<br />
– Ti capisco, Peante.<br />
– Cosa dovremmo fare dopo che abbiamo trovato questi<br />
Iperborei?<br />
– Credo che non ci resterebbe più nulla da fare, niente<br />
più da apprendere e niente più da patire. Avremmo una<br />
bella espressione felice, non come Cleoptico che controlla<br />
ancora l’orizzonte temendo che arrivino per arrestarlo.<br />
– Sarà obbligatorio anche per noi contare le stelle volando?<br />
Il mio posto è la terra. Sopra, da vivo, e sotto, poi.<br />
Quando in questa città innocente dove stiamo andando<br />
leggeranno le commedie e le tragedie che gli portiamo in<br />
dono, quelli in volo cadranno giù e quelli a terra sapranno<br />
quale razza di uomini popola il resto del mondo. Magari<br />
penseranno che anche noi siamo come i personaggi delle<br />
scene.<br />
Nicteo si arrovellava:<br />
– Beh, non è necessario che noi restiamo tra questi uomini<br />
felici.<br />
Peante non era sereno:<br />
– Già, veniamo solo quando sentiamo sofferenza! Se<br />
Ifianassa ci sembrerà una donna volgare allora verremo<br />
qui a cercare donne nobili. Se Porfirio ci sembrerà un<br />
mercante avaro allora ci rivolgeremo a qualche saggio volante<br />
disinteressato all’oro.<br />
– Basta, Peante! Sei tu che mi hai fatto conoscere Melania…<br />
– È vero, però è per una tua idea che siamo fuggiti dal<br />
villaggio sognando di non sentire più il dolore al petto che<br />
265
ci ha oppresso con Echecrate, con Etilla, con la Pitia, lo<br />
scolo verde, Giambe e Etemea… Qui non si suda, camminiamo<br />
da giorni e non abbiamo versato una goccia di sudore!<br />
– Ricordati, Peante, che abbiamo sofferto, è vero, la<br />
tempesta è stata tremenda, ma poi è stato bello vedere il<br />
sereno e la costa, ricordatelo. E la paura che scappava.<br />
Apparve Melania.<br />
Così, senza discutere davanti al suo sorriso, continuarono<br />
il cammino verso il monte a forma di cono ricordandosi<br />
i monti senza geometria del loro paese.<br />
Quando il sole era a metà, videro le mura circolari della<br />
città, lisce e bianche, senza porte, senza acropoli e senza<br />
case di fango ma solo belle case bianche e rotonde. Melania<br />
salutava i contadini nei campi e Peante notò che non<br />
avevano calli.<br />
Finalmente entrarono nella città rotonda e videro, ammutoliti,<br />
il tempio di piume.<br />
Conobbero il re Iperoche, un vecchio senza tremori, al<br />
quale non poterono raccontare nessuna novità di Atene<br />
perché la conosceva e conosceva anche le commedie e le<br />
tragedie portate in dono, interi atti a memoria. Ancora<br />
meglio conosceva Delfi perché, per ordine di Apollo, ogni<br />
diciannove anni, periodo entro il quale, spiegò, gli astri<br />
compiono una rivoluzione completa tornando allo stesso<br />
punto, mandava lì due ambasciatori della città.<br />
Nicteo aveva fiducia ma temeva ugualmente le risposte<br />
del re:<br />
– Re Iperoche, questa è dunque la città dove il dio Apollo<br />
viene a riposarsi e a cantare i suoi inni all’alzarsi delle<br />
Pleiadi?<br />
266<br />
Iperoche aveva una voce levigata e trasparente<br />
– Certamente. Questa è la città che custodisce la freccia<br />
del dio con la quale il nostro cittadino Abasi ha attraversato<br />
il mondo da una parte all’altra volando sopra le nostre<br />
teste.<br />
Dunque erano arrivati proprio lì. Si sentirono deboli di<br />
colpo.<br />
– Siamo qui per un consiglio, re Iperoche, che siedi sul<br />
trono della pazienza. Noi chiediamo cosa dovremmo fare<br />
in undici onesti sbarcati in queste terre con l’intenzione di<br />
trascorrere la vita, per il tempo che ci spetta, proprio là<br />
dove siamo approdati. Abbiamo un ladro tra noi che è<br />
scampato alla lapidazione, ma ora è onesto anche lui. Tre<br />
neonati da allevare e educare. Due donne da proteggere.<br />
Abbiamo attraversato quella tempesta nera che vi separa<br />
dal mondo.<br />
Iperoche zittì Nicteo che avrebbe continuato. Con un<br />
gesto radunò il consiglio e si ritirò.<br />
* * *<br />
Melania e Peante passeggiavano alle falde del monte a<br />
cono.<br />
– Peante, mio padre ama chi parla poco perché pensa<br />
che per progetti onesti bastino poche parole. Molte, secondo<br />
lui, nascondono un imbroglio.<br />
Peante non staccava gli occhi dal monte geometrico:<br />
– Melania, Nicteo è fatto in questo modo, lui smania,<br />
ma è onesto e vorrebbe una città in pace.<br />
– Anche io amo chi parla poco.<br />
Peante distolse lo sguardo dal monte e la guardò:<br />
267
– Ami chi parla poco?<br />
Sentiva le parole agitarsi nella testa e poi depositarsi alla<br />
rinfusa ma si decise perché anche lui sapeva dare un ordine<br />
ai discorsi e lasciò fare alla testa:<br />
– Melania, io, a costo di darti un dolore parlando, voglio<br />
spiegarti cosa mi ha passato da parte a parte quando ti ho<br />
conosciuto.<br />
Lei si appoggiò a un albero e ascoltò.<br />
– Epipanormo è solo una casa sulla roccia, due colonne<br />
per il tempio, ne mancano diciotto, un molo giù in basso e<br />
un pugnetto di persone. Tutto imperfetto. C’è anche una<br />
capra che, comunque, non migliora il gruppo.<br />
– È tutto da fare, non c’è nulla di male. Qui è già tutto<br />
fatto.<br />
– Ci ha inseguito, ovunque siamo stati, la paura con la<br />
bocca spalancata. Ma più di tutto, Melania, siamo scappati<br />
dalla noia. Temo le malattie, temo la morte, temo la<br />
tempesta e temo la noia. Adesso sento tutti i momenti della<br />
mia vita, sudo nel paese dove nessuno suda, tremo. Melania<br />
vieni con me a Epipanormo? Costruiremo una casa,<br />
magari rotonda, se vuoi.<br />
* * *<br />
Iperoche concesse la fondazione di Epipanormo promettendo<br />
aiuto e alleanza e, dubbioso ma arreso alla figlia,<br />
concesse Melania a Peante.<br />
– La vostra città dovrà fare i conti con i venti che arrivano<br />
da sud e portano odori e vapori di altri paesi. Bisogna<br />
fare molta attenzione. Riceverete una volta all’anno un<br />
nostro saggio che mi riferirà sulla nuova città.<br />
268<br />
Concesse la libertà a trenta schiavi: quindici maschi e<br />
quindici femmine.<br />
Melania, Peante e Nicteo tornarono a cavallo a Epipanormo<br />
guidando un gregge di pecore e un branco di<br />
maiali.<br />
Appena scomparve la punta del monte conico, Nicteo<br />
parlò agli schiavi allisciandosi i bei capelli:<br />
– Iperoche, che sta nel palmo di Apollo, mi ha raccomandato<br />
parsimonia con le parole. Dobbiamo costruire<br />
Epipanormo e voi non sapete cosa vi ha portato qua e perché<br />
il caso, a dispetto dell’armonia, vi farà fondare una<br />
città…<br />
Non riuscì a terminare il discorso perché i trenta schiavi,<br />
spingendo i gioghi di buoi regalati da Iperoche, cantavano:<br />
Fuggiam noia e paura<br />
cercando l’avventura<br />
che fa dimenticare<br />
quell’orrido animale,<br />
il mostro immateriale<br />
che scaccia l’armonia<br />
e il cuor ti strappa via.<br />
* * *<br />
Gli astri avevano compiuto un quinto circa della loro rivoluzione<br />
da quando Melania e Peante si erano sposati.<br />
Nicteo e l’amico governavano la città ricordando sempre,<br />
come aveva raccomandato Iperoche, i propri difetti e le<br />
proprie colpe.<br />
269
Da alcuni giorni il vento arrivava da sud.<br />
– È morta?<br />
– No, respira… – rispose Peante controllando il torace<br />
candido che andava su e giù.<br />
La portarono sulla sabbia calda.<br />
– Che bel naso all’insù. Il più bel naso che…<br />
– Nicteo, portiamola al porto. Come è pallida!<br />
La naufraga era stata spinta con la zattera sulla spiaggia<br />
da un vento benigno che poi aveva cambiato direzione<br />
dopo aver salvato il bel naso.<br />
Nicteo e Peante l’avevano vista durante una delle loro<br />
discussioni su quello che è giusto e quello che non lo è.<br />
L’avevano vista nuda e bianca sulla sabbia, bagnata da<br />
onde gentili. L’avevano coperta e portata nella casa di<br />
Cleoptico, al porto, il quale aveva da alcune stagioni iniziato<br />
a produrre un vino acido che subito aveva aperto le<br />
palpebre alla ragazza e arricciato il naso parlante.<br />
Medina si chiamava e veniva, senza dubbio, da molto<br />
lontano.<br />
Ma la paura aveva cancellato per sempre la memoria<br />
della giovane conservandole solo il nome, un bel nome<br />
che a Nicteo aveva provocato una ben percettibile debolezza<br />
alle gambe. Il dolore aveva cancellato tante parole<br />
dalla testa di Medina che perciò parlava poco e, per farsi<br />
capire, usava come nessun’altra il naso che aveva avuto in<br />
dono.<br />
La ospitarono nella casa che Melania e Peante dividevano<br />
con Nicteo.<br />
Il pallore della naufraga non le scomparve mai più. La<br />
ragazza più bianca di Epipanormo e qualcosa in lei ricordava<br />
il colore delle foglioline giovani che crescono al-<br />
270<br />
l’ombra. Forse per questo curava l’orto con impegno tanto<br />
che i frutti polposi delle piante persiane non erano mai<br />
cresciuti così belli, gonfi di sugo e avevano profumato l’aria<br />
dell’orto.<br />
Il suo naso faceva voltare tutti.<br />
Uno degli schiavi artigiani, Perimele, che a Epipanormo<br />
viveva libero come tutti e che scolpiva la pietra,<br />
scolpì, ispirato da quel naso, dieci profili di Medina in un<br />
medaglione di marmo e li usò come ornamento per dieci<br />
delle venti colonne del tempio di Apollo.<br />
Perimele fu premiato da Nicteo:<br />
– Bravo, ecco dieci monete del nostro conio. Una per<br />
colonna, bravo!<br />
Perimele pesò le monete che avevano da un lato l’effigie<br />
di Nicteo e dall’altro quella di Peante e riprese a scolpire.<br />
Il tempio veniva su.<br />
* * *<br />
Melania restò incinta un giorno di vento da nord e andò<br />
a partorire, accompagnata da Peante, nella sua città. Portarono<br />
in dono i frutti vellutati che Medina coltivava e che<br />
neppure nella città rotonda conoscevano.<br />
– Si dice che vengano dalla Persia, re Iperoche, non so<br />
che nome abbiano.<br />
Arrivò al mondo un maschio con i capelli scuri che il<br />
padre e la madre allisciavano di continuo. Lo chiamarono<br />
Teedecteto. Ma c’era qualcosa negli strilli del bambino<br />
- mezzo iperboreo e mezzo no - che non si intonava alle<br />
case rotonde e al monte a cono. Iperoche più lo osservava<br />
e più pensava che c’era qualcosa che non andava nel<br />
271
ambino, qualcosa che, magari, gli arrivava da un altro popolo.<br />
Quando, secondo astronomi infallibili, si compì un anno,<br />
Melania, Peante e Teedecteto ripartirono.<br />
Videro Epipanormo più bella, i giardini più verdi, le<br />
strade, botteghe nuove giù al mare, un’altra nave in costruzione,<br />
i maiali moltiplicati e buoi che trascinavano<br />
pietre bianche per le mura. Trovarono Nicteo sulla soglia<br />
con Medina il cui naso annunciava allegria.<br />
– Che bella casa! E quanti spigoli! Dopo la città circolare<br />
di Iperoche questa mi sembra la città dei pazzi! Tutto<br />
storto, tutto a caso! Però respiro meglio qua! Meglio il caso!<br />
Persino Teedecteto è figlio mio, di Melania e del caso.<br />
Qualcosa di impercettibile ma allo stesso tempo di radicale<br />
era accaduto in Nicteo. Peante se n’era accorto e smise<br />
improvvisamente di parlare guardando l’amico.<br />
Nicteo era un altro Nicteo: la prima sottile ruga sulla<br />
fronte.<br />
– Nicteo! Il primo segno del lavoro, della fatica e magari<br />
di qualche dolore… te n’eri accorto? In fronte ti è apparsa<br />
la prima ruga! E sei così giovane… Dovrò controllare<br />
anche la mia fronte. Ho un figlio: avrò anch’io una<br />
ruga.<br />
Nicteo era serio:<br />
– Ci sono specchi a Epipanormo, l’ho vista anch’io la<br />
mia ruga. E ho riflettuto per giorni da solo. La ruga è solo<br />
l’inizio.<br />
Uscirono in giardino, sotto l’albero di Medina, e Nicteo<br />
continuò respirando l’odore dei pomi persiani:<br />
– Ho pensato a lungo al nostro corpo… e mi sono con-<br />
272<br />
vinto che ce lo dovremmo immaginare come fuori di noi,<br />
un semplice anello di una catena di corpi, un corpo che dà<br />
luogo ad altri corpi. Allora, ho riflettuto, potremmo vivere<br />
felici e senza paura perché la paura da qui viene, dal nostro<br />
corpo, da dentro di noi. Capisci?<br />
Peante continuava a fissare la ruga dell’amico che, a<br />
guardarla bene, gli sembrava ancora più profonda. Nicteo<br />
proseguì:<br />
– Questo ho pensato, e me lo sono anche scritto per non<br />
dimenticare il concetto che mi sembrava raro. Volevo anche<br />
farlo incidere su una colonna al tempio: Vivi lontano<br />
dal tuo corpo. E provavo a uscire dal mio involucro, a sedermi<br />
su una roccia e guardarmi da fuori. Ma non c’era<br />
niente da fare, Peante, non ci riuscivo.<br />
Il naso di Medina era attento e Nicteo si allisciò i capelli:<br />
– A Epipanormo siamo un numero definito di corpi e<br />
ciascuno con la sua importanza. Il mio bel concetto ha<br />
smesso di respirare quando mi sono guardato intorno.<br />
Ho capito che io avevo nostalgia di Peante perché Peante<br />
è fatto così e considerarlo un anello di una catena di carne<br />
mi faceva sentire ancora più perduto nell’universo e aumentava<br />
la paura. Ecco! Che buon odore questi frutti<br />
persiani…<br />
Peante sorrise come sorrideva a Teedecteto:<br />
– E quando ti sei reso conto che non c’è barba di ragionamento<br />
che vince la realtà e che la realtà…<br />
Nicteo lo interruppe:<br />
– Quando non c’eri e ho temuto di perderti. Mancavi un<br />
anno, non siamo mai rimasti così lontani da quando siamo<br />
nati. E così un giorno, di colpo, mi sono visto questa ruga<br />
che, pure, ne sono sicuro, non è nata di colpo, però c’è sta-<br />
273
to un momento in cui me ne sono accorto… Che buon<br />
odore questi frutti…<br />
Peante guardò la ruga, la rocca e la città in basso. Rabbrividì<br />
un pochino anche se le giornate erano calde. Il rumore<br />
degli scalpelli era il rumore della città e tutti quegli<br />
spigoli alla fine si sarebbero composti in armonia, imperfetta,<br />
ma armonia. Anche dalla città bassa arrivava qualcosa<br />
di vivo che però non profumava come i frutti di Medina.<br />
Dalle nuvole la luce arrivava disordinata sulla terra e sul<br />
mare, e le ombre sull’acqua del golfo producevano tristi<br />
pozzanghere perché un po’ di tristezza c’era in cielo e si riproduceva<br />
sul mare. Ma dove arrivavano i raggi, l’acqua<br />
viveva, tremolava come piccoli cristalli e rimandava buon<br />
umore agli occhi, alle narici a alle orecchie di Nicteo e<br />
Peante che guardavano, respiravano e ascoltavano.<br />
274<br />
VII<br />
Luce e vento, gli stessi da quando esisteva il golfo e il<br />
mare di Epipanormo.<br />
– Signor sindaco, la statua di Ptea non può essere trattata<br />
come una puttana.<br />
Battistino si annodò i capelli, si strinse la cravatta e<br />
schiacciò la sigaretta come se avesse voluto schiacciare<br />
un insetto repellente.<br />
– Neanche una di quelle puttane che fanno concorsi di<br />
bellezza, caro sindaco, e si agitano davanti alle telecamere<br />
vengono trattate come puttane. A loro danno premi perché<br />
hanno un bel culo, le illudono di essere delle signore e<br />
le convincono che per essere una dama basti profumarsela<br />
come una cosa rara. Ptea è una dea e se non è una dea,<br />
comunque, è una cosa perfetta. Le hai viste, no, le foto<br />
sott’acqua… Perfetta. Qualche giornale lo ha chiamato<br />
Ptea’s day… Te li immagini quelli che l’hanno concepita?<br />
Te li immagini se sentissero una cosa del genere? Dovremmo<br />
essere tutti ingoiati in una voragine… – e ripeteva arrabbiato,<br />
– Ptea’s day, Ptea’s day… sono pazzi…<br />
Il sindaco, Bartolomeo Basilico, era stato un compagno<br />
di classe di Battistino, uno che non aveva propensione a<br />
nulla e perciò faceva il sindaco e aveva smesso di fare il<br />
medico. Era di sangue buono e chi fosse Ptea, da dove ve-<br />
275
niva, come era stata trovata lo sapeva. Ma di come si doveva<br />
presentarla al mondo non aveva un’idea precisa perché<br />
idee precise non voleva averne, lo disturbavano e gli mettevano<br />
inquietudine addosso: le avrebbe dovute spiegare<br />
e difendere. Comunque, insomma, lui sapeva che era una<br />
statua e come statua bisognava presentarla.<br />
– Battistino, non chiamarmi signor sindaco. Ascolta:<br />
c’è la televisione di mezzo mondo, giornali… Non dormo<br />
da una settimana… È diventata una questione…<br />
– Non usare quella parola!<br />
– Quale parola?<br />
– Mediatica! Tu stavi per dire mediatica.<br />
– Smettila di brontolare. Sei proprio un signorino di<br />
Epipanormo, un vero signorino. Sì, io stavo per dire che<br />
questa è una cosa mediatica, anzi, multimediatica. Ascolta,<br />
quella storia dei respiri e di Gracchini non l’abbiamo<br />
raccontata ma verrà fuori e Epipanormo diventerà la città<br />
dei fantasmi. Il processo a Guglielmino Redenti, tu e Enrico<br />
coinvolti… Ptea serve a tutti, sarà una medicina per<br />
tutti.<br />
Battistino si sedette e guardò il golfo dalla finestra del<br />
sindaco. Al centro del golfo, proprio nel punto geometrico<br />
e cartografico che il professor Foramini aveva indicato<br />
all’avvocato Araceli, c’era un groviglio di navi, barche e<br />
ogni mezzo capace di stare a galla. Si vedevano le barche<br />
della polizia che presidiavano un quadrato azzurro di mare<br />
e in mezzo al quadrato una bella barcona verde con una<br />
gru.<br />
– Bartolomeo, io sono aggressivo, nervoso… in una parola<br />
non sto bene. Questa storia di Ptea mi rende felice<br />
però… Però… domani inizia il processo e ci sarà una<br />
276<br />
metà del mondo in aula a sperare che il profumo di pesche,<br />
il principe dei peschi infelici, Guglielmino, si presenti<br />
davanti al giudice. La dottoressa Paneangelico che si<br />
prepara l’accusa della sua vita e si conserva incontaminata…<br />
L’avvocato Petinicchio…<br />
– Petinicchio vi salverà. Ha salvato mezza giunta comunale<br />
e salverà anche voi.<br />
– Può darsi. Cosa ci vuole a dimostrare che noi non c’entriamo<br />
niente con gli omicidi di Medina Xaxa, di Egeico<br />
Lago e di Tebe Mistrè? Nulla ci vuole. Comunque, torniamo<br />
a Ptea. Salvala, Bartolomeo, salvala dalle zanne di tutti<br />
questi sfaccendati che se la vogliono divorare, che la vogliono<br />
sputtanare come una troia biblica. Rinchiudila.<br />
– Non posso.<br />
– Chiudila almeno in una protezione che non ci arrivino<br />
mani con le unghie da predatori. Gente che se ne porterebbe<br />
un pezzetto a casa da mettere insieme al carillon e<br />
alla bambola vestita di tulle.<br />
– La metteremo nel salone delle udienze alla Porta Vecchia.<br />
– Lontana dalle mani e anche dagli occhi della gente.<br />
Gli occhi sono peggio delle mani, hanno ancora meno pudore<br />
delle mani, guardano dappertutto e non c’è legge<br />
che glielo impedisca.<br />
Bartolomeo aveva anche lui una faccia che arrivava da<br />
lontano, non era una faccia qualunque, aveva in viso qualcosa<br />
di marinaro che gli conferiva la calma e il distacco con<br />
cui affrontava le sedute noiose e i consiglieri petulanti.<br />
– Senti, Battistino, quando l’avvocato Araceli mi ha rivelato<br />
i fatti, difficili da credere, di questa ragazza di<br />
bronzo che è tanto bella da far dimenticare la sofferenza e<br />
277
perfino la morte, così ha detto lui, io non ci ho creduto.<br />
Però mandare una nave e un subacqueo non mi è costato<br />
nulla, l’avvocato è un uomo stimato a Epipanormo come<br />
a Talattone. Così, quando il subacqueo è riemerso e si è<br />
tolto la maschera aveva, l’hanno testimoniato tutti, lo<br />
sguardo ebete dell’innamorato… E la stessa espressione<br />
ha preso tutti quelli che hanno visto le fotografie fatte<br />
sott’acqua. Saranno gli occhi di lapislazzuli, non lo so. Mi<br />
hanno detto che ha gli occhi azzurri e che la curva dei fianchi…<br />
La segretaria del sindaco entrò, lasciò fogli sul tavolo e<br />
un odore che a Battistino sembrò nauseante e pensò alla<br />
grazia di Ptea che non aveva bisogno di nulla.<br />
– … Questa ragazza, Ptea, dico, ha protetto la città, ha<br />
protetto noi… Chissà come è finita là sotto… Magari durante<br />
una tempesta l’hanno buttata giù per alleggerire la<br />
nave… Poi magari sono tornati e non l’hanno trovata<br />
più… Ptea, però, ha continuato a produrre tanta forza<br />
che noi siamo ancora qui… senza bisogno di tingersi le<br />
labbra di viola come la tua segretaria.<br />
Bartolomeo guardò il quadrato in acqua e quanto era<br />
azzurro il golfo. Qualcosa di celeste era uscito da sott’acqua<br />
da quel punto del golfo e si era sparso intorno sino a<br />
Epipanormo e aveva toccato sotto la pelle, in fondo, tutti<br />
quelli che dalla città avevano preso forma, colore e consuetudini.<br />
L’avevano proprio sentita in ogni angolo di sé -<br />
anche il più sperduto - questa forza che arrivava da Ptea.<br />
Persino Bartolomeo faceva discorsi delicati.<br />
Battistino aveva perso molti gradi della sua acidità che<br />
se n’erano volati via. E la bella giornata luccicante era diventata<br />
ancora più bella perché a mezzogiorno una rete<br />
278<br />
elastica con la quale stavano imbragando Ptea doveva essere<br />
tirata su.<br />
I pesci del golfo erano dispiaciuti e stavano intorno al<br />
quadrato che le vedette della polizia proteggevano. Un<br />
grande dentice di stirpe reale decise di morire facendosi<br />
tirare a galla con Ptea e si intrufolò nella rete. Gli altri<br />
guardavano da lontano e stavano zitti come in chiesa.<br />
L’avvocato Francesco Araceli se n’era rimasto in studio<br />
insieme all’etereo Foramini il quale, dopo una riunione<br />
con gli altri ultimi respiri, aveva scritto un memoriale. Ora<br />
tutt’e due erano seduti in veranda e guardavano col binocolo,<br />
scambiandoselo di continuo, verso il centro del<br />
golfo dove il professor Oreste Foramini aveva ritrovato<br />
tanti anni prima la statua marina.<br />
Si era sentito un semidio, smilzo ma semidio, quando<br />
l’aveva vista la prima volta sott’acqua. Aveva trentacinque<br />
anni e aveva creduto di essere il custode della grazia che<br />
adesso, dopo morto, era stato costretto a rivelare per far<br />
comprendere che loro, gli ultimi respiri, erano respiri<br />
buoni e gentili perché discendevano dai fondatori di Epipanormo.<br />
Anche lui, come il dentice, era innamorato di<br />
Ptea e tante volte l’aveva accarezzata dappertutto sott’acqua,<br />
l’aveva ripulita - anche nelle parti più delicate - dalle<br />
incrostazioni, dai licheni e dai coralli. Perciò ne aveva preso<br />
possesso con delicatezza, rispetto e, si poteva dire,<br />
amore. E non aveva fatto, come tanti altri maschi, il prepotente.<br />
Ce ne aveva messo di tempo prima di toccarle i<br />
capezzoli che andavano dritti verso il cielo, da dove erano<br />
precipitati molto tempo prima.<br />
279
L’avvocato Araceli aveva disteso alla brezza le sue grandi<br />
sopracciglia che ora, finalmente, erano serene e calmavano<br />
anche il suo cliente la cui consistenza dipendeva dalla<br />
salute della statua di Ptea e dai segnali che gli arrivavano<br />
dalle sopracciglia di Araceli.<br />
* * *<br />
Guglielmino teneva gli occhi chiusi e aveva scelto, per la<br />
giornata di Ptea, la forma congenita del bel ragazzo: pallido<br />
ma con le guance rosse. Aveva scelto anche il punto<br />
della città alta da dove guardare la nascita della dea, la seconda<br />
nascita visto che la prima era avvenuta in una fonderia<br />
di bronzo più calda dei grembi che avevano messo al<br />
mondo lui, suo nipote e tanta altra gente della città. Un<br />
solo grembo aveva raggiunto, e una volta sola, la temperatura<br />
di fusione: quello della sua Medina, ed era successo<br />
tutto quello che era successo.<br />
Se ne stava col mento appoggiato nel palmo della mano<br />
aspettando la giovane Ptea che avrebbe rimesso le cose in<br />
ordine ristabilendo l’inizio. E proprio all’inizio pensava e<br />
pensava.<br />
* * *<br />
Enrico aveva paura di vedere.<br />
Non c’è cosa che un occhio umano non può reggere.<br />
L’occhio - come era fatto glielo aveva spiegato la professoressa<br />
Rampinetti che insegnava biologia - vede e guarda<br />
morti e sangue. Regge, regge qualsiasi cosa guarda. Magari<br />
si gira da un’altra parte, si ammala, però regge. C’è inve-<br />
280<br />
ce qualcosa che alle volte dentro gli occhi non ci sta tutta:<br />
la bellezza. Quando arriva la bellezza, si chiede aiuto ad<br />
altre parti del corpo. Così le bocche diventano tonde per<br />
lo stupore, più tonde degli occhi, e vengono fuori suoni<br />
primitivi, non parole, ché per decenza si sta zitti: non ce<br />
n’è parole per l’incomprensibile complessità delle cose.<br />
Ma è inutile. Tanto le mosche incominciano a cercarci da<br />
vivi perché sanno che siamo naturali come gli altri resti sui<br />
quali si posano, uguali, proprio uguali per loro. Perciò i<br />
nostri occhi conoscendo la pasta di cui siamo fatti, vedendo<br />
intorno un unico grande pastone che fermenta, sopportano<br />
la vista di qualsiasi cosa ma da soli non ce la fanno,<br />
con la bellezza.<br />
Tutto questo passava nella testa di Enrico che aspettava<br />
di vedere, sporgendosi dalla nave della sovrintendenza, le<br />
forme e l’essenza di Ptea che l’avrebbe dovuto consolare<br />
di un mucchio di pensieri.<br />
Era proprio così… che quando la bellezza era troppa lui<br />
non ce la faceva a guardarla, non reggeva… Per esempio<br />
Melania… Non ce l’aveva mai fatta del tutto neppure con<br />
Melania…<br />
* * *<br />
Glauco Glicerio usciva dalla farmacia dove aveva comprato<br />
il collirio per il suo occhio metaforico.<br />
Anche lui andava verso il pezzo di mare costruito intorno<br />
a Ptea come una tonnara. L’occhio si lamentava, gemeva<br />
e Glicerio aveva già messo le nuove gocce all’eufrasia.<br />
Questa uscita di Ptea dalle acque era la vera causa profonda<br />
della nuova eruzione nell’occhio del commissario.<br />
281
Non riusciva a mettere insieme le cose. Troppe cose, avvenimenti,<br />
fatti, troppo grandi, troppo numerosi e, alla fine,<br />
indecifrabili e lui non riusciva a prendere le misure né<br />
poliziesche né fantastiche a tutto quello che succedeva.<br />
Eppure lo sapeva che le cose sono tutte collegate, magari<br />
da fili microscopici e senza colori di riconoscimento,<br />
oppure da un odore impercettibile. Il profumo alla pesca<br />
era stato una traccia troppo grande e altre così non ne<br />
avrebbe mai più trovato.<br />
Adesso, questa storia di Ptea.<br />
Ogni cosa cambiava intorno. Si poteva pensare che era<br />
merito della dea che stava per venire fuori dalle acque.<br />
Una faccenda esagerata… troppo, troppo… Ci pensava e<br />
ripensava.<br />
Che cielo alto e che silenzio a Epipanormo: tutti al porto<br />
quella mattina.<br />
La macchina gialla della polizia non gli sembrava la solita<br />
macchina. E le voci che gli arrivavano dalla radio non<br />
suonavano di metallo come sempre e non avevano più<br />
l’accento abituale. Neppure l’asfalto non appariva più del<br />
grigio solito. E il distributore di benzina non aveva più la<br />
forma orribile delle altre volte. Tutto si era ripreso una<br />
forma che superava i ricordi e arrivava da vie del sangue<br />
che neppure l’alambicco più fine può analizzare e Glicerio<br />
sentiva una barcarola e un canto che veniva dall’acqua,<br />
però lo sapeva che era il fornello della tiroide che gli<br />
dava alla testa.<br />
Insomma, Glicerio non capiva i fatti che accadevano.<br />
L’odore di pesca e la quintessenza di Guglielmino Redenti,<br />
Enrico Ricasoli, Battistino Mattiolo, Medina e quel naso<br />
meraviglioso, Melania Lampreda che quando appari-<br />
282<br />
va con tutta la bellezza che spargeva dappertutto gli arrossava<br />
l’occhio all’inverosimile, tutti quegli assassinati<br />
che con l’armonia non avevano a che fare, il piemme Paneangelico,<br />
la follia giuridica di Petinicchio che però un<br />
po’ di genio la conteneva, anche se Glicerio ricordava<br />
sempre la zia zitella che, siccome lui non studiava, gli diceva<br />
che quando tutto sarebbe stato perduto almeno l’avvocato<br />
avrebbe potuto farlo… Gracchini e gli ultimi respiri<br />
accusati anche loro. Aveva persino ricevuto una lettera<br />
dal Presidente degli Ultimi Respiri. Avrebbero girato<br />
- a dimostrazione della loro bontà d’animo - per sempre<br />
nella città alta e in quella bassa per proteggerla anche se<br />
la protezione vera, quella grande e perpetua, era compito<br />
assegnato a Ptea. Loro sarebbero stati i soldatini di Ptea,<br />
non di piombo ma di una materia molto più lieve e quasi<br />
trasparente. I respiri si trasformavano in queste folate<br />
dolci che davano brividi al golfo.<br />
283
Uno splendore, un raggio, un lampo che accecava: la<br />
targa di Petinicchio brillava più di tutte.<br />
Intorno al Palazzo targhe lucenti d’avvocati ce n’erano<br />
tante e intorno alle targhe gravitavano dolori ancora più<br />
numerosi e pesanti delle targhe. Comunque, le targhe<br />
splendevano.<br />
Giovani a centinaia, più lucidi delle targhe, ogni mattina<br />
col vestito della domenica, borse voluminose e carta,<br />
carta che bruciava foreste ogni giorno, apprendevano la<br />
professione a Palazzo.<br />
Nessuna targa, né a Epipanormo, e ancora meno a Talattone<br />
dove tutto si ossidava più in fretta, produceva luce<br />
come quella di Petinicchio.<br />
Amoracchio, a giorni alterni, lucidava l’insegna dell’avvocato<br />
e aveva l’ordine di contare i riflessi. Più erano e<br />
meglio era.<br />
Oggi inizia il processo. Tutti puliti, lavati, sbarbati e<br />
profumati come a un matrimonio. Bisogna entrarci puliti<br />
e uscirne più puliti.<br />
Petinicchio - sempre uguale, in divisa nera - diceva che<br />
285
processo è il participio passato di procedere e che il sostantivo<br />
era procedura. Procediamo! gridava ai suoi assistiti<br />
che si ritraevano spaventati.<br />
Il raptus di Petinicchio era la sua morfina. Ma nella inestricabile<br />
ragnatela di interessi che neppure tre generazioni<br />
avrebbero risolto - aveva due figli venuti al mondo nerovestiti<br />
e con le scarpe di gomma nere - lui riusciva ancora<br />
a fare distinzioni fondamentali.<br />
Usava la percezione e l’istinto e a un certo punto dei<br />
processi - lo sapevano tutti - lui non pensava più, non utilizzava<br />
la ragione e utilizzava, invece, una sua specifica bestiale<br />
ottusità. Sosteneva che in un dato momento il pensiero<br />
diventava un danno irreversibile che avrebbe potuto<br />
segnare la vita sua e dei suoi assistiti. Ma quel momento, il<br />
momento nel quale bisogna smettere di pensare, era necessario,<br />
vitale saperlo riconoscere, sennò tutto sarebbe<br />
finito in rovina.<br />
Alle sette del mattino si sbarbava e leggeva i giornali<br />
che Amoracchio gli sfogliava in piedi vicino al lavandino.<br />
Era una mattina di quelle belle di Epipanormo, una giornata<br />
grande e azzurra.<br />
L’emozione gladiatoria che gli prudeva addosso lo faceva<br />
sentire perfino bello. Curò i particolari - lui che pensava<br />
sempre all’effetto complessivo - e si fece spuntare i capelli<br />
tinti da un suo assistito barbiere che lo pagava con tagli<br />
accurati.<br />
Quando vide il Palazzo, sentì l’eccitazione del cantante,<br />
del concertista, dell’attore e del torero tutte insieme. Affilò<br />
la suola delle scarpe di gomma, iniziò la scalinata del<br />
Palazzo e incominciò, sotto il sole, a stringere mani e ma-<br />
286<br />
ni. Mani ossute, molli, umide, troppo pieghevoli, bianche,<br />
pelose, mani di ogni tipo.<br />
Ne strinse una che, però, non riuscì a percepire - non<br />
fece in tempo a vedere di chi era - e gli lasciò un odore di<br />
pesca che lo fece vacillare.<br />
Il pesco, il pesco!<br />
Si guardò intorno. No, nessuno: sempre le stesse facce,<br />
a centinaia. Avanti, andare avanti… lui difendeva anche il<br />
fantasma… Che si facesse vedere!<br />
Entrò nell’androne e non strinse nessuna mano perché<br />
continuava a odorare la sua che sapeva di pesca, proprio<br />
di pesca.<br />
* * *<br />
Il giudice Domenico Favonio. Si torceva un orecchio<br />
come se avesse dovuto dare la corda al cervello e si teneva<br />
il pizzo diviso in due parti, una parte per ciascuno dei due<br />
che stavano ai suoi lati, un giudice scolorito e il cancelliere,<br />
i quali sembravano esistere perché esisteva quel pizzo<br />
che li indicava:<br />
– Dottoressa Paneangelico, basta, basta con i presupposti.<br />
Questo non è un processo di presupposti. Tutto quello<br />
che normalmente un giudice presuppone qua salta… è<br />
già saltato. Qua è saltata la normalità e quindi non c’è una<br />
norma… e senza norme, dalle quali deriva la normalità<br />
oppure è il contrario… senza norme, cosa ci stiamo a fare?<br />
La procura generale un suo parere su questo processo<br />
lo ha già dato… Non è nel mio, diciamo, umore, nelle mie<br />
corde… ma io sono ligio e obbedisco. Dobbiamo trattare<br />
un fantasma come un essere, d’accordo, lo trattiamo co-<br />
287
me un essere… Ma, dottoressa Paneangelico, mi risparmi<br />
i presupposti, li ho già letti…<br />
– E non li condivide, signor giudice… Lo so e lo sento…<br />
– Questo non ha nessuna rilevanza. Dal momento in cui<br />
sono entrato in aula la contumacia del Redenti Guglielmino<br />
e la presenza del Foramini Oreste hanno un valore che<br />
dà sostanza e quintessenza al processo. Insomma, in tutti i<br />
casi, le chiedo di finirla con i presupposti… Oltretutto<br />
presupposti è una parola che non mi è mai piaciuta.<br />
Poi il dottor Favonio smise di torturare le orecchie e iniziò<br />
a leggere. Guardava ogni tanto verso Petinicchio - temeva<br />
la sua polvere ma Petinicchio aveva le polveri un po’<br />
inumidite dalle gocce distillate da un pesco - e poi guardava<br />
verso Araceli che aveva le sopracciglia ottimiste e spiegate<br />
come vele al vento. Guardò anche le facce in aula.<br />
Ben distinte restavano le due razze endogene di Epipanormo<br />
e Talattone.<br />
Nel tavolo a sinistra, dove sedevano anche Enrico e Battistino,<br />
c’era un’aria di tristezza che il giudice apprezzò.<br />
Era giusto che due imputati, soprattutto due imputati di<br />
concorso in omicidio, avessero addosso una tristezza tale<br />
che la si poteva vedere.<br />
Battistino disse sottovoce:<br />
– Enrico, guarda il pizzetto del giudice, diviso in mezzo<br />
col pettine. Un pennello diviso in due. Ci deve avere pensato<br />
a lungo e, se lo porta, vuol dire che trova che gli stia<br />
bene. Questo è un matto… a noi ci dovrà giudicare un<br />
matto… Un pizzo diviso in due parti uguali… la bilancia<br />
della giustizia uguale per tutti ma non per un fantasma.<br />
Enrico era rifugiato nel vestito buono e nell’odore vicino<br />
di Melania:<br />
288<br />
– Senti, io sono disperato, disperato… Non riesco neppure<br />
a immaginare cosa può succedere… Non so dove sono<br />
e non capisco perché sono qua io con te affianco… E<br />
tu mi parli del pizzetto del giudice…<br />
– L’aspetto dice quasi tutto… Questo tizio è una caricatura<br />
e noi siamo in sue mani… L’aspetto di Petinicchio<br />
non corrisponde a Petinicchio? E quello dell’avvocato<br />
dei sospiri non ti fa pensare a un uomo saggio e stagionato<br />
che dà buoni consigli? E la giuria… li hai visti? E il nostro<br />
aspetto? Il nostro non è un aspetto da persone tristi?<br />
– Disperate.<br />
– Comunque l’aspetto e soprattutto la faccia di una<br />
persona…<br />
Petinicchio li guardò e, a scopo sedativo, senza malizia,<br />
gli spruzzò addosso un poco di polvere e loro si rincantucciarono,<br />
si piegarono, appiattirono le onde del dolore,<br />
abbassarono il mento e stettero zitti.<br />
Al tavolo vicino, Foramini era sereno come il cielo di<br />
Epipanormo ma pieno di pensieri che lo attraversavano<br />
da parte a parte e facevano qualche nuvoletta. Quel tiranno<br />
di Gracchini li aveva imprigionati per tenersi memorie<br />
e forza… Ma da dove era arrivato l’astio misantropico dei<br />
Gracchini? Di sicuro da qualche anima nera di Talattone<br />
che aveva abitato per secoli abusivamente nella città alta,<br />
di sicuro, sicuro.<br />
289
Per il caso di Guglielmino Redenti la varietà delle facce<br />
abituali in aula era stata sostituita da una varietà che faceva<br />
pensare alla natura stanca, sfinita dall’incommensurabile<br />
assortimento di fisionomie che aveva prodotto e che,<br />
come le note musicali, aveva superato ogni possibilità di<br />
ricombinarsi in un modo originale. A vedere tutti quei visi<br />
sembrava che le razze interne di Epipanormo e Talattone<br />
avessero smesso di produrre novità genetiche e aspettassero<br />
un angelo cromosomico che li doveva salvare.<br />
Sul tetto del Palazzo, steso alla luce, se ne stava Guglielmino.<br />
– Contumace? – chiese il giudice Domenico Favonio<br />
questa volta torcendo la punta destra del pizzo senza che<br />
nessuno sapesse dare un significato alla scelta sbilanciata,<br />
visto che il pizzo aveva la stessa funzione della bilancia<br />
scolpita nel marmo sopra Favonio.<br />
La dottoressa Maria Nives Paneangelico era bianca,<br />
purgata e casta da molte settimane perché si era convinta<br />
che la purezza derivata dall’astinenza le avrebbe fatto da<br />
corazza oppure l’avrebbe resa invulnerabile. Si era astenuta<br />
anche dalla carne, dalle uova, dal latte e dal formaggio<br />
che oggi, per la tensione, la tentavano molto.<br />
291
– Lei sa già, signor giudice, che l’imputato Guglielmino<br />
Redenti non è presente a questo processo. Ne discende<br />
che è un contumace. E che questo è un processo a un<br />
contumace.<br />
Aveva una voce ispirata che non fece piacere a Favonio:<br />
– Dottoressa, lo so, lo so cosa è un contumace. Ho chiesto<br />
solo perché venisse verbalizzato e non perché desideravo<br />
spiegazioni sul significato di contumace. Continui,<br />
continui ma se le fosse possibile utilizzare un tono meno,<br />
diciamo, didattico, ne sarei lieto. Cancelliere Rumoretti,<br />
scriva chiaro contumace e che non se ne parli più, almeno<br />
durante questo processo.<br />
Le sopracciglia di Araceli sussultarono. E il suo cliente?<br />
L’istinto processuale è, appunto, un istinto e non segue<br />
le vie tutte curve del ragionamento ma sente, piuttosto, la<br />
direzione e la via della procedura la quale è un pachiderma<br />
lento, magari armonico ma preistorico ed esiste, come<br />
tra gli animali, prima del ragionamento.<br />
Araceli questo istinto lo possedeva.<br />
Le sue sopracciglia avevano sussultato: Contumace!<br />
Foramini era presente… un composto del verbo essere<br />
oppure, in quanto ultimo respiro, lo si poteva considerare<br />
anche lui un essere contumace? Le cose cambiavano sostanzialmente:<br />
presente o contumace.<br />
Guardò il suo difeso che era una via di mezzo tra la sostanza<br />
e tutto quello che, invece, non si sa definire e neppure<br />
pensare. Si rese conto che non riusciva a concepire<br />
nulla che non fosse sostanza. Però questa era un’altra faccenda<br />
e poi ce n’erano cose che non riusciva a concepire.<br />
Concepire. Lui non doveva concepire. Foramini, qualsiasi<br />
cosa fosse, per quanto incomprensibile fosse, era do-<br />
292<br />
tato di una morale. Voleva essere giudicato e assolto perché<br />
aveva un’aspirazione ascrivibile, anche dal cancelliere<br />
Rumoretti, al campo fiorito della morale e quindi della<br />
legge. Foramini era soave non solo perché aveva risolto il<br />
problema del trapasso lasciandolo sospeso, ma perché il<br />
suo buon nome, il ricordo, era in mano al suo avvocato<br />
anche ora che lui era un’apparizione che, però, giuridicamente<br />
era protetta e, soprattutto, contemplata da codici<br />
contemplativi.<br />
Con una sola mossa delle sopracciglia l’avvocato Araceli<br />
attirò in un baleno l’attenzione di tutti.<br />
Ogni faccia, di ogni forma, colorito e sesso si voltò verso<br />
di lui. Ci fu silenzio, si spensero le voci e si accesero molti<br />
registratori:<br />
– Signor giudice, non so come fare ad essere breve.<br />
Domenico Favonio si allargò la cinghia dei pantaloni e,<br />
siccome nessuno vedeva la metà sotto la tribuna, si tolse<br />
le scarpe. Fece un gesto per dire che era lì ad ascoltare.<br />
Le sopracciglia di Araceli diventarono padrone di tutti<br />
e tutti le guardavano:<br />
– Il professor Oreste Foramini è morto, deceduto, trapassato,<br />
defunto in una sera di settembre di otto anni fa…<br />
Lui stesso mi ha raccontato che tornava a casa a piedi come<br />
ogni sera - camminava un’ora la mattina, un’ora la sera,<br />
non fumava ed era parco a tavola, però non è bastato -<br />
e che, mentre guardava il tramonto verso capo Pentimele,<br />
ha sentito la zampa del dolore in mezzo al torace, il cielo si<br />
è fatto a pezzettini… Lui si è spaventato, ha fatto in tempo<br />
a pensare che quella era la sua fine, lo hanno portato in<br />
ospedale perché avesse una morte moderna e progredi-<br />
293
ta… E lì, in effetti, è passato ad un’altra esistenza, in modo<br />
agile, pulito e senza volgarità. Lui stesso mi ha detto di<br />
essersi sentito un morto dei nostri tempi. Però là, proprio<br />
mentre boccheggiava, ha trovato un uomo che, per una<br />
predisposizione caratteriale al furto nelle sue forme più<br />
oscure, rubava al morente - ficcandogli un fiasco in bocca<br />
- l’ultimo respiro… E così Foramini, a cinquantaquattro<br />
anni, è defunto ma non si è estinto… È morto ma non è<br />
scomparso… Contraddicendo tutti i necrologi che allora<br />
apparvero. Lui è rimasto in una bottiglia, ma in una forma<br />
incomprensibile e che non è mia possibilità comprendere…<br />
Fece una pausa:<br />
– Ma d’altronde, non è nelle mie capacità comprendere<br />
la forma nella quale esisto io stesso e tutti noi qua dentro e<br />
fuori di qui.<br />
Le sopracciglia si aprirono come mai si erano aperte:<br />
– Una fisionomia dobbiamo dargliela al professor Foramini<br />
perché lui la chiede e se lui lo domanda bisogna accettarlo<br />
in questo mondo e se lo accettiamo dobbiamo<br />
dargli un riconoscimento - per esempio abbiamo già ammesso<br />
di riconoscerlo per nome e cognome - un riconoscimento<br />
che gli valga consistenza se non fisica e materiale,<br />
almeno giuridica. E se questa sostanziale configurazione,<br />
che gli attribuisce anche tutte le categorie della morale<br />
ammesse nella nostra specie, è lui a domandarcela… se ce<br />
la chiede lui stesso, in qualità diciamo di contromateria…<br />
beh, allora qua, senza bisogno di riconsiderare e ribaltare<br />
la filosofia del diritto, il professor Foramini è accettato tra<br />
le entità che hanno diritto a leggi e giustizia.<br />
Araceli sudava perché stava creando idee incerte, fati-<br />
294<br />
cava e aveva paura perché non sapeva dove le idee sarebbero<br />
andate a conficcarsi:<br />
- E poi… e poi il respiro, se è tale, non è una delle<br />
espressioni più alte e complesse dell’esistere? Il Respiro<br />
è… sussiste…<br />
Il giudice Favonio annotava dei pensieri, smise e<br />
guardò il difensore dei Respiri:<br />
– Avvocato Araceli, non sta bene?<br />
– Sa come mi sento?<br />
– Non lo so… non si capisce a guardarla…<br />
– Mi sento davanti al sovrumano… Ma ne riparleremo,<br />
giudice, ne riparleremo. Ora devo pensare al mio difeso…<br />
anche se non capisco…<br />
Tutta la varietà delle facce in aula, previste dalla natura e<br />
qualcuna anche non prevista, aveva gli occhi bagnati dalle<br />
lacrime.<br />
Il piemme Paneangelico sentiva addosso un formicolio<br />
che castità e astinenza rendevano quasi un piacere iniziale<br />
che lei presentiva come un peccato molto grande… sentì<br />
un suono di cornamuse e una voce d’uomo che invocava<br />
Nives Nives…<br />
Petinicchio si sporse per intero oltre il tavolo attratto<br />
dai sentimenti che Araceli spargeva intorno. Enrico e Battistino<br />
non riuscivano a sopportare tutta l’emozione che<br />
ora arrivava da questo piccolo e inconsistente ultimo respiro<br />
sopravvissuto. L’infinito addolorava Enrico sino allo<br />
svenimento e indispettiva Battistino.<br />
Araceli era elegiaco:<br />
– A Epipanormo e Talattone molti conoscevano Alberico<br />
Gracchini. Egli viveva come un eremita che odiava i vivi,<br />
un misantropo, un uomo abbandonato per l’orrore fi-<br />
295
sico e biologico dalla moglie, un carnivoro al quale i frati<br />
mercenari di un convento dove lui era un solvente, uno<br />
che pagava, lo cibavano, gli fornivano aria e uno scarico.<br />
Ho visto la cella dove lui viveva come una cozza gigante<br />
filtrando porcherie. La luce non gli serviva.<br />
Tutto il carnevale di facce ondeggiò.<br />
– Conservava una reliquia orribile: ricordi orribili e respiri.<br />
Respiri… ultimi respiri di uomini che sceglieva onesti<br />
e probi, ultimi respiri di brava gente… Diceva che erano<br />
meglio delle vitamine e che gli allungavano la vita…<br />
Le facce allargarono le orecchie che a centinaia, per l’interesse,<br />
diventarono rosse.<br />
– Voleva acchiappare la forza della città. Voleva l’energia<br />
che è sempre in viaggio. Ma l’energia, se la si accumula,<br />
supera quella di chi la conserva e lo schiaccia. Foramini<br />
e i suoi amici non ce la facevano più a stare chiusi in una<br />
bottiglia… Alberico Gracchini li aveva indeboliti con un<br />
trucco semplice: ciascuno imprigionato in una bottiglia<br />
non ce la poteva fare da solo. Magari una bottiglia ogni<br />
tanto si rompeva, un respiro scappava, si avventava su<br />
Gracchini ma lui con un gesto, come si fa con una mosca,<br />
lo scacciava e non ci pensava più. Ne aveva una provvista<br />
così grande di bottiglie con i respiri che non si doveva<br />
preoccupare del futuro… Ma qualcosa è accaduto… Una<br />
cosa, una forza, un’energia che lo ha vinto… Incomprensibile…<br />
Gracchini è diventato di colpo quello che era.<br />
Una specie di vecchio in salamoia… Per conservarlo non<br />
c’era bisogno dei respiri, bastava acqua e sale. L’aspetto e<br />
la sostanza sarebbero stati uguali… Qualcosa di più sovrumano<br />
dei respiri lo ha rinchiuso in una damigiana e ha<br />
liberato gli spiriti in bottiglia…<br />
296<br />
Sovrumano.<br />
– … Super umano, sopra di noi… qualcuno che è diventato<br />
gente…<br />
Favonio si agitò e separò al massimo le due punte del<br />
suo pizzo forense:<br />
– Gente? Cosa intende per gente, avvocato Araceli…<br />
eravamo nella metafisica… mi stavo distendendo e lei mi<br />
riporta al processo, alle cose… – Il giudice china il capo e<br />
pensa che lui non ne vuole più sapere di condanne, di leggi<br />
e di responsabilità… Ha cinquantacinque anni… Ha<br />
diritto a starsene in pace… vuole pace e tutta questa trascendenza<br />
gli va a genio, lo allontana dalla terra e da questa<br />
maledetta aula dove i fatti e la materia vengono sottoposti<br />
al suo giudizio… Finalmente qualcosa di diverso anche<br />
se non sa di cosa si tratta… Lui una forma a questo<br />
fantasma non riesce a dargliela e neppure se lo immagina<br />
come si costituisce Guglielmino Redenti quando prende<br />
la sostanza di un profumo e, addirittura, il peso e i sensi di<br />
un corpo.<br />
297
VIII<br />
Sovrumano.<br />
Il grande quadrato nero di ardesia al centro dell’aula segnava<br />
l’ora attraverso un cono di luce che arriva da un abbaino<br />
del soffitto a volta.<br />
Questa lastra di pietra esisteva prima del palazzo e, secondo<br />
il defunto studioso inutile Egeico Lago, il palazzo<br />
le era stato costruito intorno.<br />
Nessuno ci camminava mai sopra, né giudici, né avvocati,<br />
né imputati. Un’area sacra.<br />
Forse, aveva scritto Egeico Lago nell’almanacco della<br />
città, era stata una lastra dei sacrifici e molti capretti erano<br />
stati sgozzati proprio lì. E, forse, sempre secondo Egeico,<br />
là erano stati sacrificati anche bambini che gridavano<br />
più dei capretti. Il sangue, di capretto, di bambino o di<br />
donna, non aveva macchiato la pietra. Però qualcosa era<br />
rimasto.<br />
Si sapeva - e questo era certo perché sulla pietra lo si vedeva<br />
inciso - che cinquecento anni prima, il tribunale dei<br />
gesuiti aveva condotto al ceppo qualche strega di Talattone<br />
e là era stata decapitata. Su questa lastra era stata trascinata<br />
anche una donna santa alla quale era stato tagliato<br />
un dito per punizione e le era ricresciuto, per miracolo,<br />
un dito a forma di croce.<br />
299
Ma neppure Egeico aveva capito cosa erano quei graffiti<br />
più antichi e consumati che univano punti incerti con linee<br />
incerte sull’ardesia screpolata.<br />
La dottoressa Paneangelico aspetta l’ora giusta - per lei<br />
l’ora giusta è quando il sole è alto - e sceglie un angolo dell’aula<br />
vicino a una finestra aperta, da dove arriva l’aria purificata<br />
e curativa della città alta, per proteggersi dalle polveri<br />
mortificanti di Petinicchio. Vorrebbe essere ancora<br />
più bianca e più astinente per essere ascoltata e creduta:<br />
– Guglielmino Redenti lega e collega tutte le cose, gli avvenimenti,<br />
i fatti… Sì, lui tiene insieme i fatti…<br />
Qualcuno a quest’ora ha fame in aula ma nessuno se ne<br />
va. Paneangelico si aureola d’oro, guarda in alto:<br />
– Noi non siamo qua a spiegare l’Eternità. Ma ci è data,<br />
per un disegno divino, fatemi usare la parola divino, ci è<br />
data la possibilità di un contatto con l’Eternità che, anch’essa,<br />
rispetta la legge e si presenta al suo cospetto. Di<br />
Eternità sentiamo l’odore appena nominiamo il Redenti<br />
Guglielmino, quando ne riconosciamo l’essere e l’esistere,<br />
quando ammettiamo che egli sia capace di assumere<br />
una consistenza simile alla materia. Una materia che prende<br />
forma di profumo ed esercita una forza che ha determinato<br />
la morte orribile di esseri umani.<br />
L’aureola dorata della dottoressa diventa densa e spessa:<br />
– L’intervento del Redenti Guglielmino…<br />
Un boato, un tuono. Ognuno in aula si avvicina all’altro,<br />
tutti i polsi suonano insieme e anche i polsi rimbombano.<br />
300<br />
Bello e pallido con un ramo in mano è apparso Guglielmino,<br />
proprio nel quadrato d’ardesia da dove arriva alle<br />
narici di tutti, più forte di ogni cosa, un avvincente odore<br />
di pesca.<br />
Sovrumano.<br />
Come un airone che cresce e prende un’apparenza completa<br />
solo quando apre le ali e produce il silenzio perfetto<br />
del volo, Guglielmino si è incarnato strato su strato sino<br />
ad assumere la forma del ragazzo bello e pallido, con le<br />
guance rosa, i capelli neri e un segno blu intorno al collo<br />
che solo quelli più vicini notano.<br />
Il paragone è apparso nelle teste di ogni forma di tutti.<br />
E teste ce n’erano.<br />
C’era bisogno del silenzio. Le centocinquanta persone<br />
dentro l’aula sentivano, proprio in quel momento, il naturale,<br />
primordiale bisogno del silenzio.<br />
Silenzio.<br />
Qualcuno sente ancora parole che gli girano per il cervello<br />
e scappa dall’aula per una nausea improvvisa, scappa,<br />
cerca un bagno e vomita.<br />
Silenzio.<br />
Inedite facce da nulla si trasformano in facce pensierose<br />
che, finalmente, qualcosa esprimono nel silenzio della<br />
nuova espressione. Respirano e ascoltano.<br />
Quelli che vivono della trama della parola parlata e del<br />
suo suono hanno sprecato le parole proprio attraverso il<br />
suono. Ora le parole si prendono il silenzio che normalmente<br />
le sostiene più del suono. Un silenzio, una parola,<br />
un silenzio, una parola, un silenzio.<br />
Enrico pensa che una parola adesso sarebbe rivoluzio-<br />
301
naria. Battistino che sarebbe un segno di forza. Melania<br />
ha gli occhi chiusi e sente un piacere che non sa neppure<br />
dove se lo sente. Glicerio prova quiete dentro il suo occhio<br />
meteorite. Tutti sentono lo spazio immenso e, forse,<br />
infinito dal quale arriva Guglielmino Redenti.<br />
Petinicchio sente bagnate le sue polveri paralizzanti da<br />
tutto questo silenzio per l’apparizione dell’eterno Guglielmino.<br />
È come se gli mancasse il suolo sotto i piedi e<br />
prova un’instabilità che neppure le sue aderenti scarpe<br />
gommate diminuiscono. Si tiene ai braccioli. Se la dimostrazione<br />
dell’eternità toglie l’unica forza di cui dispone è<br />
finita e tutto è finito. Il sovrumano non se ne fa nulla della<br />
sua polvere rallentante. È ovvio, pensa, lui ha bisogno di<br />
gente fragile e di nulla di eterno, gli serve sfuggire, sottrarre,<br />
aggirare, scivolare, deviare, disegnare linee incerte.<br />
Ecco cosa gli serve. E invece ecco qui, davanti a lui, la certezza<br />
e l’immutabile. Altro che polverina.<br />
Mentre Petinicchio riflette sulla fragilità del proprio lavoro,<br />
sente alle sue spalle:<br />
– (Avvocato, scusi, avvocato).<br />
Una modestia ottusa e un’intelligenza minima anche loro<br />
un colpo, una fuga in alto ce l’hanno. Così ricompare,<br />
dalle radici di Talattone - mezzo marce e mezzo fertili - il<br />
fisico spinoso del cardo Amoracchio questa volta pieno di<br />
orgoglio:<br />
– (Avvocato, sono qui fuori… Le ho scovate e le ho convinte<br />
a venire come da voi richiesto).<br />
Petinicchio è distratto dalla bellezza di Guglielmino:<br />
– Chi hai trovato? Chi?<br />
Amoracchio rinforza le parentesi:<br />
302<br />
– {Gli Ultimi Respiri ho trovato. Sono qua fuori e l’avvocato<br />
Araceli non lo sa. D’altronde sottolineo di non<br />
avere grandi meriti ma di avere semplicemente ottemperato<br />
ad una vostra richiesta}<br />
– Ottemperato? Amoracchio, tu dici ottemperato?<br />
– {Ottemperato. Confermo}<br />
Petinicchio guarda Enrico, Battistino e Melania.<br />
Gli Ultimi Respiri, in fondo, si devono difendere anche<br />
loro, pensa, e l’odore di pesca è stato trovato anche nella<br />
cella di Alberico Gracchini, l’odore aveva vinto sulla puzza<br />
dell’aria consumata dal vecchio sino a diventare un veleno.<br />
L’odore di pesca scagionava gli Ultimi Respiri i quali<br />
erano stati liberati da Guglielmino. E poi, quella faccenda<br />
che avevano ficcato il vecchio, fratturandolo qua e là, in<br />
una damigiana dopo averlo ammazzato era stata una punizione<br />
che nessuno, nella città alta e nella città bassa, aveva<br />
considerato esagerata. Ora gli Ultimi Respiri, i prigionieri<br />
di Gracchini, sono qua fuori accusati di omicidio e più innocenti<br />
di un Primo Respiro per quello che hanno patito.<br />
Petinicchio si avvicina a Araceli, gli bisbiglia all’orecchio<br />
la notizia. Le sopracciglia di Araceli saltano per aria<br />
sino alla volta dell’aula.<br />
I due avvocati si avvicinano al piemme Paneangelico, le<br />
parlano all’orecchio e lei ha come una folgorazione mistica,<br />
si spettina e ruota gli occhi in alto sino a che si vede solo<br />
il bianco. È una che ha le visioni e chissà cosa vede.<br />
Poi tutti e tre si avvicinano al giudice, parlottano e il pizzo<br />
di Favonio si elettrizza e si spaventa.<br />
Chiamano Amoracchio al banco e lui, davanti alla Giustizia,<br />
puntella le sue parentesi più che può:<br />
– [( Faccio entrare?)]<br />
303
Guglielmino aveva richiamato tutti al pensiero degli<br />
eterni giri e al silenzio.<br />
Gli Ultimi Respiri entrano in gruppo e la brezza dolce<br />
che portano dentro l’aula provoca in ciascuno la stessa<br />
sensazione profonda di appagamento, la stessa assenza di<br />
domande e di paura prodotta dal giovane fantasma.<br />
I Respiri sono silenziosi e docili, trasparenti e impauriti,<br />
ondeggiano quando vedono Foramini. Sono a mezz’aria<br />
e qualcuno - ci sono anche bambini - gira per l’aula e<br />
cerca il cono di luce dentro il quale è apparso Guglielmino<br />
Redenti. Frusciano e borbottano e sembra un suono<br />
che sa, anche questo, di sovrumano.<br />
Araceli ha una bella voce da tribunale ma una parte gli<br />
manca e sussurra:<br />
– Giudice…<br />
Poi ci ripensa, guarda Foramini, abbassa la testa e le sopracciglia,<br />
e sta zitto.<br />
304<br />
– I fatti sono cominciati col cane. Il cane di Enrico Ricasoli<br />
che mi ha inseguito, innervosito. Io ero un ragazzo<br />
nervoso e sono un uomo nervoso. Così il cane l’ho messo<br />
tra l’ascensore e la ringhiera: per questa ragione hanno<br />
trovato un pezzetto di cane ad ogni pianerottolo. Poi sono<br />
rimasto a casa, e ho ascoltato. Ero più calmo e la mia<br />
presenza non ha prodotto alcun fenomeno (in genere<br />
produco fenomeni) salvo un pezzo di formaggio che è<br />
marcito di colpo. Le cose stavano prendendo forma, e io<br />
incominciavo a risolverle… Ecco!<br />
– Giravo per Talattone, senza avere una forma e neppure<br />
un profumo, quando mi è venuta l’idea di uccidere Tebe<br />
Mistrè.<br />
– Guardavo il mare dal bastione di Sant’Elmo quando<br />
ho deciso di ammazzare Medina Xaxa.<br />
– Ero furibondo quando non sono riuscito ad ammazzare<br />
Enrico Ricasoli: non potevo ammazzarlo… Contento<br />
quando ho convinto Battistino Mattiolo che io esistevo.<br />
Felice quando ho fatto a pezzi Egeico Lago.<br />
Enrico si alza dalla sua sedia e si avvicina alla pietra di<br />
ardesia.<br />
– Volevi ammazzare anche me? E perché non l’hai fatto?<br />
Perché non lo fai ora? Ora non ho più paura… Ora è<br />
305
tutto diverso… tutto cambiato… magari anche Nellina è<br />
da qualche parte… Medina Xaxa, Tebe Mistrè, Egeico<br />
Lago… Non si muore più, non si muore… Non avevo mai<br />
visto un angelo bianco seduto sul sepolcro di uomo…<br />
Guglielmino lo guarda:<br />
– Tebe Mistrè era una puttana rotonda e bianca, pulita e<br />
non puzzava di Talattone. A Talattone anche i giovani<br />
puzzavano di aringa. Avrei dovuto incominciare da lei e<br />
lasciare in pace il cane che sapeva di borotalco.<br />
La dottoressa Paneangelico interviene e la sua espressione<br />
è sempre più mistica, si vestirebbe di sacco e si flagellerebbe<br />
felice:<br />
– Incominciare? Incominciare che cosa? – unisce le mani<br />
come in preghiera. – Redenti Guglielmino, lei ha avuto<br />
un inizio come tutti, un inizio qualunque… È la fine che è<br />
diversa. Lei non ha incominciato uccidendo Tebe Mistrè…<br />
Questi ammazzamenti, come tutti gli assassini, sono<br />
una conclusione! Concludono qualche cosa! Lei ce lo<br />
deve dire perché ferri di campagna e sbarre non sono una<br />
minaccia per lei ma la memoria della giustizia e dell’ingiustizia<br />
vale anche per un fantasma… Pensi alla memoria<br />
dei fatti, pensi al ricordo… Quello resta, Redenti Guglielmino…<br />
In fondo è questo lo scopo della giustizia: la memoria…<br />
Tutti si stupiscono per le parole della dottoressa Paneangelico<br />
e una signora in prima fila, una faccia talattonese,<br />
mostra a tutti le sue enormi gengive rosse e grida:<br />
– Io la conoscevo Tebe e anche se era una puttana lei faceva<br />
miracoli! Nessuno ne vuole parlare! – e alza la voce sino<br />
a fuori del palazzo: – Miracoli! – e si sente la parola della<br />
cinghialessa come attraverso altoparlanti: – Miracoli!<br />
306<br />
Battistino ha un ricordo: lei che se la insaponava e diceva<br />
che così, durante, avrebbe fatto le bolle di sapone più<br />
grandi mai viste. Si incurva ed Enrico, per consolarlo, gli<br />
mette una mano sulla spalla che Battistino sposta via.<br />
Guglielmino è pallido e bello e tutte le pietre filosofali<br />
delle donne dentro l’aula, compresa quella della dottoressa<br />
Paneangelico, se ne sono accorte aumentando di temperatura<br />
guardandolo. Ma, sentendo le parole della donna<br />
dalle gengive giganti, Guglielmino diventa di cera mezzo<br />
sciolta e la faccia gli si confonde perdendosi per un po’.<br />
– Di un miracolo io avevo bisogno e nessuno, nessuno lo<br />
ha fatto… Anzi una mostruosità mi ha fatto appendere all’albero<br />
del dolore…<br />
Enrico sussurra:<br />
– Ecco l’albero… ecco il pesco e tutto questo profumo…<br />
Ecco…<br />
Guglielmino lo sente:<br />
– Non dire ecco, ecco come un bambino, Enrico… È un<br />
capriccio… eravamo ragazzi e adesso siamo uomini…<br />
Chissà dove abbiamo imparato a dire continuamente ecco,<br />
ecco. – Guglielmino si tiene il mento e per un po’ ci<br />
pensa. Poi si sposta i capelli lucenti dalla faccia:<br />
– È una fatica per me essere morto anche se qualcuno<br />
crede che morire da ragazzi è meno doloroso. Un ragazzo<br />
si deve svezzare da pochi piaceri, non ha l’abitudine ai<br />
piaceri che arrivano col tempo e che ti attaccano alla vita<br />
e può morire in pace perché non ha nulla da rimpiangere…<br />
E invece io ho perduto più di quello che potevo perdere<br />
perché ho perduto lei che è morta prima di me e non<br />
è da nessuna parte, lei… Enrico, lei non è in giro da nessuna<br />
parte e non c’è un angelo sulla sua tomba che mi<br />
307
aspetta per darmi notizie… A me è capitato di diventare<br />
quello che sono, solo a me… sono solo…<br />
La professoressa di lettere Agave Martinetto, in pensione<br />
e vedova da molti anni, si commuove. Molti non lo<br />
sanno chi era questa specie di Euridice che non si poteva<br />
perdere, però capiscono dal colorito e dalla faccia di<br />
Guglielmino che lui sta parlando di un’anima dell’altro<br />
mondo ma di un altro mondo che, per la stessa presenza<br />
del contino Redenti e degli Ultimi Respiri, fa meno<br />
paura.<br />
In quel momento entra in aula, senza che nessuno si volti<br />
a guardarlo, Priamino: un ubriaco perenne. Nessuno<br />
direbbe che Priamino è un ubriacone perché l’alcol su di<br />
lui ha effetti soprattutto interiori e lui riesce a camminare<br />
dritto anche con le idee e i sensi impastati in un’unica<br />
amalgama. Priamino mostra meno della sua età perché il<br />
vino gli spiana le rughe, però inciampa in ogni pensiero<br />
che gli viene alla mente. Su certe idee, addirittura, inciampa<br />
in un modo che non si solleva più e resta con la fronte<br />
appoggiata al tavolo e le braccia penzolanti che sembra<br />
uno afferrato dalla morte improvvisa. Questa morte apparente<br />
arriva col dodicesimo bicchiere e dura mezzora.<br />
Poi Priamino ritorna in vita.<br />
È ubriaco, e grida:<br />
– Chi schiaccia i foruncoli a Venere, visto che anche Venere<br />
ha i foruncoli in quei giorni? Chi? Ve lo dico io: Priamino<br />
glieli schiaccia!<br />
Guarda tutte le facce presenti:<br />
– Facce angolari, ovali, trapezoidali, rotonde… che si<br />
svegliano la notte per vedere se un Angelo è entrato nella<br />
308<br />
stanza… Era tutto spiegato dal dolore e noi esistevamo<br />
per il dolore… E ora abbiamo il rimedio…<br />
E va giù come un sasso perché deve avere superato da<br />
poco la seconda dozzina di bicchieri:<br />
La signora con le gengive esposte gli salta addosso:<br />
– Cosa vuoi dire, maledetto ubriaco, cosa vuoi dire con<br />
questa storia del dolore?<br />
Ma Priamino è già morto apparente.<br />
Gli Ultimi Respiri a mezz’aria si agitano e Guglielmino<br />
sorride:<br />
– Lo conosco questo Priamino, abita in un basso di Talattone<br />
e non proviene da una razza di stupidi. Lui, con<br />
l’alcol prova a indovinare. È una famiglia talattonese che<br />
ama l’alcol da tre o quattro secoli e forse anche da prima.<br />
Parlano da soli per strada e si vede, dall’impegno che ci<br />
mettono, che parlano a se stessi e si vede - basta vedere<br />
che faccia hanno - che non parlano d’amore…<br />
Il giudice Favonio sente arrivare dal suo pizzo uno e diviso<br />
una scossa, un richiamo:<br />
– Silenzio! Io uso i mezzi che ho dalla giustizia e questo<br />
non è l’antro delle streghe… Dunque cerchiamo una risposta<br />
a misura…<br />
– A misura, giudice? – Petinicchio una piccola nuvoletta<br />
di polvere la emette ma involontariamente, una specie<br />
di riflesso, gli è scappata.<br />
Favonio dà una scrollata alla toga, orgoglio giuridico:<br />
– … Intendo dire a misura di Codice visto che qua non<br />
si leggono formule, non si commentano libri sacri, non si<br />
reincarna e non si resuscita nessuno… A misura di Codice<br />
vuol dire che da adesso in poi si riprendono le cose in pu-<br />
309
gno e che in questo preciso istante, sono le dodici e quindici,<br />
il cancelliere Rumoretti verbalizza, la dottoressa Paneangelico<br />
fa le domande, l’avvocato Petinicchio e l’avvocato<br />
Araceli deducono e io presiedo… Questo vuol dire a<br />
misura di Codice. Io non conosco altri sistemi. Non sono<br />
un prete!<br />
Guglielmino riprende la sua bella faccia bianca e tutte le<br />
donne si concentrano su di lui.<br />
La dottoressa Paneangelico mette a tacere la propria<br />
pietra filosofale che era entrata in vibrazione e la faceva<br />
sudare da tutte le parti.<br />
Petinicchio si spolvera.<br />
Araceli riacchiappa le sopracciglia.<br />
Glicerio si instilla il collirio, molte gocce.<br />
Enrico e Battistino si raddrizzano sulla sedia e si pettinano<br />
con le dita.<br />
Priamino, in coma, si ricorda il gesto sedativo e beato<br />
del bicchiere sollevato e avvicinato alle labbra.<br />
Melania sorride. Un lampo scocca dal prodigio interplanetario<br />
delle sue labbra che arriva sino alla fronte melanconica<br />
e prepotente di Guglielmino, e gli cade di mano<br />
il ramo di pesco che teneva dal momento della sua comparsa<br />
sulla lastra quadrata e giusta di ardesia.<br />
310<br />
<strong>Ei</strong><br />
Peante gli teneva la mano:<br />
– Se c’è… se c’è ho bisogno di saperlo da te, Peante…<br />
Solo tu puoi…<br />
– Basta con le parole, Nicteo… Ci hanno tenuto compagnia…<br />
Ma è meglio il silenzio delle pecore… Adesso basta…<br />
Nicteo alzò la testa dal letto:<br />
– Solo tu me lo puoi spiegare… proprio mentre succede…<br />
Osserva e spiegami… Ecco, Ecco!<br />
– Basta con le parole… Non fare il prepotente… Tu immaginati<br />
in un gregge… Se ne manca una di pecora il<br />
gregge non cambia granché, e la pecora che manca…<br />
– Smettila tu con questa faccenda delle pecore… Come<br />
se tutta la saggezza del mondo ce l’avessero loro… Le pecore…<br />
Le pecore… Basta con le pecore! E chi ha vissuto<br />
senza pecore? Come fa, secondo te?<br />
Nicteo chiuse gli occhi e la testa gli cadde sul cuscino.<br />
Peante guardava le sue ciglia bianche. Possibile tutto questo<br />
sbiancare? Anche gli occhi sono diventati più bianchi…<br />
Anche la pupilla di Nicteo era bianca…<br />
Epipanormo alta e Talattone bassa facevano silenzio<br />
perché Nicteo moriva. Tutti volevano che morisse al tramonto<br />
quando c’era ancora un po’ di luce. La città è stata<br />
311
costruita per prendere tutta la luce possibile perché questa<br />
era l’idea di Nicteo.<br />
Anche Peante non voleva un’altra notte di agonia. Non<br />
lo voleva morto col buio: chissà dove se ne sarebbe andato<br />
a finire per lo spavento il suo amico morto. Nessun carro<br />
muove il sole e nessun gigante sostiene la terra. E le pecore<br />
hanno un cervello piccolo, piccolo. Perciò, pensava<br />
Peante, sono sempre così tranquille, persino mentre le<br />
sgozzano per fare un sacrificio.<br />
Melania e Medina erano in giardino dove respiravano<br />
l’aria profumata degli alberi persiani che si erano moltiplicati<br />
e raccoglievano i frutti succosi che la sera erano freschi.<br />
Ne hanno portato uno anche a Nicteo e glielo hanno<br />
fatto odorare perché lui diceva sempre che tutti questi alberelli<br />
che facevano un fiore profumato e poi un frutto<br />
ancora più profumato e che si erano moltiplicati a Epipanormo<br />
erano l’odore della città fondata da loro due.<br />
– Seduto, Peante, voglio stare seduto e guardare davanti…<br />
Coricato vedo solo il soffitto…<br />
Lo aiutarono a sedersi e gli girarono la testa verso il<br />
golfo:<br />
– Mi dispiacerà non vedere più terra e mare, ecco, ecco…<br />
e non sapere cosa faranno quelli che…<br />
Morì parlando. Una morte così mite che per un po’ nessuno<br />
se ne rese conto. Peante pensò che era una morte<br />
proporzionata e gli venne in testa che l’armonia aveva deciso<br />
tutto lei per l’amico il quale aveva utilizzato l’ultimo<br />
fiato non per rantolare o gridare o fare versi spaventosi.<br />
Nicteo aveva usato la parola per andarsene all’altro mondo.<br />
E ora che, seduto, con la testa reclinata su un lato, arri-<br />
312<br />
vava sul suo viso la luce viola del sole che non precipitava<br />
ma calava anche lui in armonia senza esagerare con colori<br />
selvatici, sembrava che l’unica fondamentale e irrimediabile<br />
differenza tra Nicteo vivo e Nicteo morto fosse proprio<br />
la parola, definitivamente scomparsa dalle sue labbra<br />
e dalla sua testa bianca.<br />
Così tutte le teste bianche di Epipanormo e Talattone -<br />
che in tanti anni si era popolato di molte teste nere e di<br />
qualche testa inspiegabilmente bionda - pensarono che<br />
anche a loro sarebbe toccata, magari, una morte armonica:<br />
la morte di Nicteo sarebbe stata un esempio per ogni<br />
abitante di questa città. Certo, loro non erano il popolo<br />
felice degli Iperborei, ma avevano trovato anche loro un<br />
modo appagato di morire: morire parlando.<br />
Fu l’ubriaco di Talattone, Priaminos, ad accendere il rogo<br />
e, siccome il vino era la sua fonte sacra, la usò per comporre<br />
il canto di morte. C’era poco tempo perché Nicteo<br />
era morto col caldo, come voleva lui… c’era poco tempo,<br />
poco tempo:<br />
Tutto, tutto è già iniziato,<br />
mai puoi dire è terminato.<br />
Molto vino, quando si concentra nelle vene, può finire<br />
per mandare a fuoco anche chi lo beve e Priaminos se ne<br />
restò lontano dal rogo. Lui si considerava un’anfora ideale,<br />
semplice, senza fondo e collegata al mare che sentiva<br />
profumato del vino.<br />
Peante, tra i molti pensieri, chissà perché, tirò fuori<br />
quello, leggero come una fonte, di Ptea… Ptea sott’acqua<br />
che non aveva protetto Nicteo… Si diede una manata sul-<br />
313
la guancia pendula. Ma che cosa diceva? Pensò a Ptea andata<br />
a fondo da quando esisteva la città… Ptea l’aveva<br />
protetto e riparato il suo amico morto a centoventunanni:<br />
Nicteo era vissuto e tutta questa serenità qua intorno, persino<br />
il rogo che bruciava con un crepitio dolce perché il<br />
vento questa sera si era dato un limite di modestia… le<br />
stelle unite dalla linea che Nicteo negli ultimi anni aveva<br />
disegnato su una lastra d’ardesia… la brezza, Talattone<br />
che produceva odori, Epipanormo profumata dagli orti<br />
dove le piante persiane avevano prodotto un’infinità di<br />
frutti profumati… tutta questa serenità era grazia sparsa<br />
da Ptea.<br />
Peante pensò a lungo alla dea della città e poi alle pecore,<br />
all’ovile paterno dove il caldo seccava il pelo delle sue<br />
bestie, e pensò all’acqua, che non c’era mai. L’acqua dalle<br />
parti sue era solo un’idea.<br />
314<br />
IX<br />
C’è tanto silenzio che le scarpe gommate dell’avvocato<br />
Petinicchio fanno dolore ai denti di tutti come un’unghia<br />
che sfrega sulla lavagna. Pochi passi stridenti ed è davanti<br />
al giudice Favonio che, per istinto, si copre la faccia fingendo<br />
di stropicciarsi gli occhi:<br />
Ma Petinicchio non vuole usare le sue polveri:<br />
– Siamo l’unica specie che si studia da sé. E qualcuno<br />
studia le altre specie.<br />
Pausa.<br />
Il Giudice:<br />
– Filosofia, avvocato? Biologia? Antropologia? Ci prevenga<br />
sull’indirizzo della sua argomentazione. Dopo la<br />
metafisica del suo collega Araceli si cambia argomento?<br />
Le gomme di Petinicchio sfrigolano:<br />
– Sì, esco dal mio terreno dove i paletti e i confini sono<br />
asfissianti e infiniti… D’altronde la nostra è l’unica categoria,<br />
una specie mammifera a parte, che ha l’obbligo<br />
dell’onniscienza perché tutto è toccato dalla luce del diritto…<br />
Dobbiamo sapere tutto!<br />
Su questo tutto, a sorpresa, ma una sorpresa attesa che<br />
è solo una mezza sorpresa, Petinicchio - senza che nessuno<br />
riuscisse a capire da dove gli veniva fuori - emette una<br />
densa, polverosa e opaca nube calcolata non per spaven-<br />
315
tare ma per ricordare a tutti la sua sconfinata forza paralizzante:<br />
– Non voglio fermare eventi o persone! Dottoressa Paneangelico,<br />
faccia riapparire il sereno, lei non deve giustiziare<br />
nessuno. Guglielmino si è dato da solo il patibolo. E<br />
gli Ultimi Respiri? Innocenti come un neonato roseo appena<br />
sgusciato dalle vie materne! Alberico Gracchini<br />
dentro la damigiana ce lo ha messo Guglielmino. Guglielmino<br />
Redenti ha ucciso Tebe Mistrè per interrompere<br />
una genìa di puttane… Ha ucciso Egeico Lago e poi<br />
Medina Xaxa perché era sangue sfibrato… Non ha ucciso<br />
Enrico Ricasoli perché era sangue vicino al suo e neanche<br />
Battistino Mattiolo perché gli ricordava sangue buono…<br />
Sbaglio, signor fantasma?<br />
La dottoressa Paneangelico, incomincia a sentire un calore<br />
addosso che non è solo calore, si ricorda la castità<br />
giuridica e allora si raffredda:<br />
– Avvocato, la sostanza!<br />
– La sostanza, sostanziata, ce l’avete davanti, dottoressa.<br />
Finalmente vi è apparsa la sostanza, l’essere sostanziale<br />
che, essendo, è e, se è, può essere giudicato. Guardate<br />
Guglielmino.<br />
Lei Guglielmino l’aveva fissato sino al richiamo di Petinicchio.<br />
Lo guarda ancora e un’espressione da novizia<br />
peccatrice disposta a ogni gioco appare sulla faccia del<br />
piemme Paneangelico. Allora, anche se questo aumenta<br />
gli effetti del peccato desiderato, non commesso, ma peggio<br />
che commesso, guarda per terra.<br />
Petinicchio è invulnerabile:<br />
– Concorso in omicidio! Tutti sappiamo, anche i più<br />
semplici, che l’omicidio è l’atto più grande e vicino all’as-<br />
316<br />
soluto che un uomo possa compiere. Certo, – e si volta verso<br />
il professor Foramini perché si ricorda di Ptea,: – anche<br />
l’arte tocca l’infinito, qualche volta lo sfiora e qualche volta<br />
ci entra dentro… ma è più difficile. Uccidere non richiede<br />
arte e, qualche volta, neppure idee. Serve attenzione,<br />
cure, amore per i particolari ma arte no… E grande non<br />
vuole dire grandioso… Ma abbastanza grande da distrarre<br />
tutti da tutto, persino dal povero assassinato che in una<br />
cassa o in un forno diventa, a velocità differente, polvere<br />
simile a quella che io spargo intorno. È l’assassino che interessa<br />
i vivi, non il morto che, tanto, è morto. I vivi si interessano<br />
ai vivi, perciò chi vive fa le leggi.<br />
Pausa giuridica.<br />
– Io voglio invece interessarmi, oggi, dei morti.<br />
Favonio ha uno scatto d’ira, lo reprime per paura delle<br />
polveri e gli viene fuori una vocina:<br />
– E non ne avete parlato sino ad adesso? Volete interessarvi<br />
a tutti i morti? Vero? Questo è un tema abbastanza<br />
filosofico per voi? Preferirei attenermi al tema del processo.<br />
Attinenza, avvocato, attinenza.<br />
L’ironia messa in mostra non piace a Petinicchio, lui<br />
crede che l’ironia deve restarsene nascosta. E poi non gli<br />
piace che Favonio si attenga e basta. Attenersi è da giudici<br />
piccoli, superficiali, travestiti da giudici, non è sufficiente<br />
attenersi:<br />
– I morti che ci hanno portato qua sono tutti i morti di<br />
questa città, quelli che assomigliavano a noi, che avevano<br />
nasi, arti, colorito, la voce simile alla nostra. Di questi morti<br />
intendo parlare. Persino gli animali morti: cani che avevano<br />
il pelo che ora vediamo addosso a un altro cane. Nellina,<br />
che mi permetto di indicare, tanto era di casa, come<br />
317
Nellina Ricasoli, chissà da dove arrivava. Anche le piante<br />
si assomigliano da chissà quanto tempo e si ripetono.<br />
Pausa.<br />
– Guglielmino Redenti ha bestemmiato oltre che ammazzato.<br />
Ha cercato di rivoluzionare questo ordine che,<br />
non ci evita l’altro mondo, ma, almeno, ci tiene in comunità…<br />
Lui la comunità la voleva distruggere. – Ancora<br />
pausa. – Ci ha rivelato cose importanti… Ma ha bestemmiato<br />
per un dolore personale che gli sembrava un dolore<br />
eterno e invincibile… Ha assassinato tre persone nelle<br />
quali vedeva il veicolo della nostra razza, modesta, nerastra,<br />
siccitosa ma identica… E ha portato la bestemmia alle<br />
sue conseguenze più oscene…<br />
Ora guarda il fantasma impallidito:<br />
– Perché Medina Xaxa era diventata improvvisamente<br />
una donna che cercava luce e mostrava segni di felicità<br />
nuova, danzava e non dormiva più nella culla del figlio?<br />
Pezzi di pianeti fantastici erano arrivati dal cielo per Medina<br />
dopo tanto dolore…<br />
Sceglie per un po’ la decenza del silenzio e poi indica<br />
Guglielmino:<br />
– Si era innamorata di te, vero?<br />
Lui si torce i bei capelli:<br />
– È vero, però io non potevo, non potevo…<br />
– L’hai ravvivata, riportata in vita e poi l’hai ammazzata.<br />
L’hai imbrogliata.<br />
– Voleva morire.<br />
– L’hai imbrogliata.<br />
– Voleva morire.<br />
Guglielmino si sposta dalla lastra sacra al centro della<br />
sala e si appoggia al muro.<br />
318<br />
Ricordi precisi levigati dai secoli:<br />
– Medina Xaxa veniva dalle parti più lontane dell’universo.<br />
La mia Medina è arrivata in una notte che le rette e<br />
le volute tracciate nel cielo stellato non si potevano più<br />
contare e il mio astrolabio era un giocattolo inutile. Io le<br />
ho dato la sua prima agonia.<br />
– Era un’altra Medina, un’altra!<br />
– E come avrei potuto resistere a vederla di nuovo in<br />
una carne indebolita e scolorita, addormentata in una culla?<br />
È un delitto paragonabile a quelli che giudicate ogni<br />
giorno? È un delitto averla fatta contenta e poi averla uccisa<br />
in un modo dal quale non si torna indietro: spezzata<br />
in due parti? Io mi sono appeso all’albero del dolore e ho<br />
acquisito un diritto che voi non avreste previsto… Medina<br />
era morta, morta, qualunque Medina fosse…<br />
Paneangelico sente un caldo forte intorno all’ombelico,<br />
i suoi gioielli bruciano, beve acqua, impallidisce e chiede<br />
aiuto. Rumoretti, che durante l’udienza ha tenuto d’occhio<br />
le gambe senza pudore della dottoressa - gambe, aveva<br />
pensato, di una donna pronta - Rumoretti corre ad aiutarla<br />
mentre sta per cadere e la sostiene.<br />
Guglielmino non ci bada:<br />
– Non sono giudicabile, non qua e non da voi, ecco.<br />
Petinicchio l’aveva deciso dal primo momento, da appena<br />
Guglielmino era apparso sulla pietra sacra. Non lo<br />
poteva sapere se la sua polvere poteva funzionare sul fantasma<br />
bello e arrabbiato:<br />
– È un delitto, Guglielmino Redenti, peggio di un delitto<br />
perché è stato commesso con la sicurezza di scampare<br />
alla pena. Tu non credi di essere di essere carne per le nostre<br />
celle! Ma non c’è bisogno della cella, non sempre!<br />
319
Guglielmino è appoggiato, spalle al muro e la testa bassa.<br />
Non si vede il bel viso.<br />
320<br />
X<br />
La prima parte di Guglielmino a diventare opaca sono i<br />
bei capelli neri. Solleva la fronte come un animale selvatico<br />
che sente succedere qualcosa. Poi traballa, gli occhi neri<br />
e smaglianti perdono lo smalto e ingrigiscono. Poi le<br />
guance rosa, poi le labbra rosse, le mani lunghe. Il sempreverde<br />
Redenti, il due volte giovane, il quintessenziale,<br />
scatta, ma lo scatto è solo un movimento qualunque, niente<br />
di elastico o armonico. Cammina verso Petinicchio, ma<br />
di colpo anche il passo è un passo qualunque.<br />
Petinicchio sta facendo qualcosa di mai fatto, lo sa, ci<br />
pensa e ha paura. E allora cerca aiuto nel mare davanti a<br />
Epipanormo che guarda dal finestrone dell’aula. Il mare è<br />
luccicante. Ptea l’ha cosparso di pagliuzze che tremano<br />
d’emozione e, ora, di spavento. Non guarda neppure Guglielmino<br />
che si avvicina.<br />
Si concentra sul mare da dove gli arriva un fiato azzurro<br />
che per lui è il fiato di un dio al quale non ha mai creduto.<br />
Guglielmino rallenta, si inceppa, si arrugginisce, sente<br />
dolore e la sua rabbia sale sino al tetto del Palazzo.<br />
– Io non sapevo che sarebbe andata così quando l’albero<br />
mi ha salvato e il profumo dei frutti mi ha conservato<br />
fiato e sangue…<br />
321
Si avvicina ancora.<br />
Amoracchio non è un uomo d’azione, è un uomo di riserva,<br />
una mano sinistra che non ce la fa da sola:<br />
– {Signor Ricasoli, credo [ma è un’impressione] che l’avvocato<br />
corra un pericolo. Può essere [ma non posso affermarlo]<br />
che le sue celebri polveri non siano onnipotenti}<br />
Enrico si alza. Favonio solleva un braccio per fare alt.<br />
Ma Enrico fissa in estasi ipnotica Guglielmino. Sta andandosi<br />
incontro… sente - ma non lo sa spiegare - che<br />
cammina verso un se stesso che è diventato crudele, ha<br />
sofferto e ha prolungato il suo dolore all’infinito. All’infinito?<br />
All’infinito? E chi lo sa? Magari il suo dolore ora sta<br />
finendo e magari sta per finire tutto l’erratico muoversi e<br />
agitarsi e disperarsi suo e di Battistino… L’energia di Melania…<br />
perché non la sente? Non segue una linea dritta<br />
per arrivare a Guglielmino. Perché questo zig zag?<br />
La donna dalle gengive enormi è diventata la riconosciuta<br />
autorità delle facce di ogni forma, naturale e innaturale,<br />
dietro la balaustra di legno dove il coro aveva trovato<br />
con lei un capo sanguinario.<br />
322<br />
XI<br />
Se un’anima con la configurazione di un’anima, incorporea<br />
ma percettibile, apparisse in questo momento - una<br />
di quelle anime che non sono mai ricomparse a consolare<br />
nessuno, neppure il figlio, la mamma o la persona amata<br />
di più - se una di queste anime severe ma oneste e mossa<br />
solo dal desiderio di consolare, entrasse in aula, noterebbe<br />
che tra Guglielmino e i presenti (nel senso dell’essere<br />
presente), tra Guglielmino e gli Ultimi Respiri - che erano<br />
qualcosa di meno e qualcosa di più di un’anima - si è stabilito<br />
un astio che non ha nulla a che fare con i disegni del<br />
catechismo che raffigurano gli angeli e le anime sempre<br />
buoni, di una bontà inespressiva e completa che oggi, invece,<br />
è assente tra le anime in aula.<br />
Qua c’è un fantasma, fantasma nella verità delle cose e<br />
nella verità giuridica, un fantasma verbalizzato, un’ombra<br />
scritta, un’anima affumicata da una nube che cancella la<br />
quintessenza aromatica e significante della pesca che ha<br />
adornato Guglielmino sino ad ora.<br />
La forza materiale della polvere di Petinicchio, intanto,<br />
si sviluppa con la costanza geologica della giustizia - fondendo<br />
ere in secondi - senza che nessuno, proprio nessuno,<br />
possa determinare il punto di origine di quella polvere<br />
poco visibile che avanza verso un obiettivo definito.<br />
323
Petinicchio, lo sguardo fermo sul mare, continua ad<br />
emettere una nube che ha ammutolito anche la donna<br />
dalle grandi gengive rosse, anche Paneangelico, anche<br />
Favonio.<br />
Amoracchio è colpito dalla nuvola solo come fenomeno<br />
oggettivo:<br />
– {Ora aumenta, continua ad aumentare [constato]}<br />
La nube si insinua, oltrepassando la barriera sfinita della<br />
cute ingrigita di Guglielmino, nell’infinito e microscopico<br />
delta dei capillari e poi passa nelle diramazioni arboree<br />
dei vasi azzurri. Il sangue, al contatto col gas di Petinicchio,<br />
subisce un contraccolpo languido che gli ricorda<br />
il rimbalzo dolce e duro del ramo del pesco quando si era<br />
appeso.<br />
Melania, la pelle aurea e il pelo d’ossidiana, mezzo disciolta<br />
in sudore emozionato, è vinta dai ricordi ma non<br />
sa cosa si ricorda, non capisce.<br />
Enrico ha capito che il sangue di Guglielmino è lo stesso<br />
suo sangue ma che quello di Guglielmino si sta disfacendo<br />
e sente dolore.<br />
Araceli non vuole perdere nulla di questo incantesimo<br />
anche giudiziario incominciato con l’apparizione - ma a<br />
lui il termine comparsa piace di più - dell’impalpabile Foramini<br />
degli Ultimi Respiri.<br />
– {Tre, quattro metri [direi a occhio, ma solo come mia<br />
relativa e fallibile impressione] separano l’avvocato Petinicchio<br />
da Redenti Guglielmino}<br />
Battistino mette a sedere Amoracchio:<br />
324<br />
– Ma non lo capisci, cardo spinoso, che sta avvenendo<br />
una cosa grande? Esci dalle parentesi, guarda e cerca di<br />
pensare e pensare.<br />
Mancano tre metri.<br />
325
<strong>Ei</strong><br />
Quando il rogo diventò cenere pura e neanche un tizzone<br />
bruciava più, Peante restò solo al promontorio<br />
bianco che, dopo la discesa del sole, sembrava più alto<br />
sul mare bruno e perfino più bianco.<br />
Gli sembrò proprio che sbiancasse e facesse luce come<br />
le ceneri candide di Nicteo e si convinse che questa luminescenza<br />
fosse l’ultimo barlume emanato dal suo amico.<br />
Guardò in basso e gli scogli, che brillavano come scintille,<br />
gli apparvero ghiaia sparsa da una mano naturale e<br />
benigna. La luce della scogliera non smetteva più. Il mare<br />
era di una calma da dio assonnato disteso sul suo letto di<br />
sabbia.<br />
Ora Peante aspettava il vento perché le ceneri di Nicteo<br />
dovevano finire nell’acqua nutriente del golfo. Ne avevano<br />
parlato tante volte. E il vento, nell’ora giusta, arrivò<br />
dalla direzione del paese di Melania dove gli Iperborei<br />
avevano continuato a vivere sereni e a morire inghirlandati.<br />
Questo era il vento dei prodigi e Peante, nonostante<br />
i centoventanni, si sentì un vigore pulito e onesto, non da<br />
giovane, ma nella proporzione preziosa che tocca a un<br />
vecchio.<br />
Ascoltò il fruscio della cenere portata via, che volò oltre<br />
il precipizio, si sollevò in alto e poi scese verso il mare<br />
spargendo un chiarore notturno che lo incantò.<br />
327
Peante non aveva mai pensato che tutto fosse nelle parole.<br />
Le usava per convincere, per vendere, per comprare.<br />
Erano parole e al massimo servivano ad indicare e mostrare.<br />
Ma poi, cosa potevano le parole davanti alle cose<br />
che c’erano intorno e come poteva, lui, esprimere sentimenti<br />
e pensieri con le sue parole? Il silenzio e le opere,<br />
bisbigliò.<br />
Si voltò verso Epipanormo.<br />
Avevano costruito, costruito. Costruire.<br />
Le strade le avevano concepite e fatte secondo il corso<br />
del sole e ora si vedeva che avevano seguito la più pura e<br />
naturale delle linee.<br />
Il porto si era adattato alle curve della costa, non aveva<br />
spezzato correnti. I venti, come entravano nel porto divenivano<br />
brezze, e il mare non lo assediava con spruzzi alti<br />
e violenti, mai.<br />
I templi li avevano fatti, alti, utilizzando le pietre bianche<br />
e zuccherine dei colli e il risultato era che vederli calmava<br />
e a entrarci si provavano sentimenti infiniti che il silenzio,<br />
secondo Peante, spiegava meglio delle parole.<br />
Le case di pietra e di un impasto caldo e plasmabile di<br />
paglia e fango.<br />
Loro non avevano esercitato la propria forza sulle cose<br />
e le cose si erano disposte in consonanza, nella città alta e<br />
in quella bassa.<br />
Gli stagni facevano respirare la rocca e il porto e spiegavano<br />
perché erano diventati il rifugio di tanti uomini e<br />
donne.<br />
Le zanzare le tenevano lontane con l’aceto così durante<br />
le notti calde e stellate tutta la città dormiva.<br />
Arrivavano mercanti ma non portavano malattie.<br />
328<br />
Peante raccolse il bastone e iniziò il tragitto verso casa<br />
dove Melania aspetta. Ancora con i capelli neri… un nero<br />
che non cambia…<br />
329
XII<br />
Meno di tre metri e Guglielmino è toccato proprio in<br />
fondo dalla polvere e dal suo sangue che rallenta. Il sangue<br />
non può rallentare oltre un limite che è in proporzione<br />
alla sua fluidità, lui, questo, lo sa: studiava le stelle e<br />
l’anatomia e ha continuato per quattrocento anni.<br />
La demenza del vecchio con la mandibola molle sino<br />
allo sterno, la mancanza delle idee energiche, la vista decidua,<br />
l’udito catacombale, il tatto che non sente né spine,<br />
né raso, i muscoli che fanno dolore, il dolore sentito<br />
nelle parti più infinitesime e dimenticate, dove non aveva<br />
mai immaginato di sentire dolore, e la lentezza, soprattutto<br />
la lentezza… che patimento… lui che arrivava elastico<br />
come un giunco in ogni luogo mentre gli altri faticavano,<br />
sudavano e rallentavano pensieri e movimenti…<br />
Petinicchio ha fatto un giro su se stesso.<br />
Petinicchio sembra il maligno, tanto più che - tutti se lo<br />
sono dimenticato - lui doveva difendere il fantasma per<br />
difendere Enrico e Battistino.<br />
L’ordine, il ragionamento, la giurisprudenza e la legge<br />
sono finite gambe all’aria e adesso mostrano le loro parti<br />
sconce, quelle da nascondere, le vergogne esposte come<br />
una puttana che attira i maschi allargando le gambe sino<br />
a slogarsele.<br />
331
Così Petinicchio, forse stordito dalle sue stesse polveri<br />
perché in così grande quantità non ne aveva mai prodotto,<br />
disposto ad esaurire il suo potere e a diventare un avvocato<br />
senza polvere grigia, Petinicchio ha scelto la via,<br />
secondo lui morale ed esaltante, del profeta che perde la<br />
ragione, che sorvola le leggi e le leggi le origina, le crea.<br />
Dalla vecchiaia acuta che lui gli somministra Guglielmino<br />
passerà alla paralisi che sarà un monito, un avvertimento.<br />
Poi si discuterà, poi si vedrà se è una condanna a<br />
morte, poi si vedrà se è morte.<br />
Priamino, da una parte del cervello che il perenne coma<br />
etilico gli ha ben levigato, una parte antica, grida:<br />
Tutto, tutto è già iniziato,<br />
mai può dirsi è terminato…<br />
332<br />
XIII<br />
Glauco Glicerio era rimasto zitto e con gli occhi chiusi<br />
sin dall’inizio per cercare di capire meglio. Quando li riapre,<br />
quello sano e quello in fiamme, vede il miracolo<br />
deforme di Guglielmino che si incenerisce piano piano a<br />
due metri dal mistico Petinicchio il quale sembra a tutti<br />
più alto, più pallido e onnipotente ed emette un immenso<br />
spruzzo grigio come i topi di Talattone.<br />
Allora Glicerio toglie di tasca il fazzoletto, se lo mette<br />
davanti alla bocca e al naso per non finire intossicato,<br />
apre la giacca, cerca la pistola e si alza con uno scatto che<br />
il ciclone, provocato dall’ingiustizia e dalla tiroide, rende<br />
fulminante.<br />
Di Guglielmino, giovani e bianche, restano le mani e<br />
lui, con gli occhi sbiaditi, se le guarda, si ricorda di quello<br />
che ha toccato e fatto con queste mani.<br />
Con tutta la forza degli ormoni che gli schizzano in ogni<br />
parte del torrente in piena del sangue, Glauco Glicerio<br />
salta in mezzo alla sala, tra Petinicchio e Guglielmino. La<br />
mano sinistra tiene il fazzoletto e la destra impugna, con<br />
una forza virile che spaventa tutti, una pistola, ferma e<br />
nera, che l’avvocato guarda con la bocca a forma di O.<br />
Petinicchio ha una voce che viene da sotto la rocca di<br />
Epipanormo:<br />
333
– Commissario! Questo è il mio difeso, mio, capisce? E<br />
ne faccio quello che voglio, come tutti gli avvocati! È<br />
mio! È mio possesso! Ci sono donne in questa sala che lo<br />
avrebbero rinchiuso nella propria casa e lo avrebbero<br />
soffocato con i loro gingilli da femmine! Ma lui le avrebbe<br />
decapitate, squartate, scannate, bruciate, torturate…<br />
Voi sapete cosa ha fatto quest’uomo - visto che tutti abbiamo<br />
accettato che è un essere con le caratteristiche di<br />
un uomo e non solo quelle giuridiche? Lo sapete, vero?<br />
Dall’occhio di Glicerio esce una goccia di sangue da<br />
martire perché questa energia che lo ha portato con un<br />
salto davanti a Petinicchio non è energia sua:<br />
– Ma io lo difendo… È come se difendessi carne mia…<br />
– la goccia rossa macchia la camicia di Glicerio. – Non ho<br />
moglie, non ho figli, non mi piacciono gli uomini, se è<br />
questo che intendete col vostro sorriso polveroso, avvocato.<br />
Io difendo Redenti Guglielmino da una giustizia inferiore<br />
come è quella decisa da voi! È un fantasma!<br />
L’occhio sanguina e arrossa la camicia:<br />
– La dottoressa Paneangelico ha sproloquiato e ora è<br />
scombussolata dai suoi organi più incontaminati. Che si<br />
contamini e non si distragga mentre si fa contaminare…<br />
che non pensi più al diritto mistico! Il processo astratto<br />
ha preso anche voi, avvocato… e siete diventato, a forza<br />
di rimuginare, un pazzo infiammato.<br />
– Guglielmino è un pericolo e l’unica soluzione, dovete<br />
convincervi, è la paralisi delle mie polveri…<br />
– Guglielmino l’avete già rimandato al nulla, Petinicchio…<br />
Guardatelo… Lui ha liberato gli Ultimi Respiri…<br />
Anche loro accusati come se avessero carne, ossa e tutto il<br />
resto… Ora il pericolo siete voi, avvocato Eligio Petinicchio…<br />
334<br />
Glicerio chiude l’occhio malato, punta il mirino sulla<br />
fronte dell’avvocato:<br />
– Una città normale, con morti normali, con assassinati<br />
che hanno odore di cadavere, con processi senza paralisi,<br />
la città alta e la città bassa… Il pericolo siete voi…<br />
– {Commissario, commissario [la prego] si fermi, per<br />
quanto vale la mia modesta, insignificante preghiera [ovvero<br />
nulla]}<br />
– Commissario, nel nome della legge normale, di quella<br />
che giudica cose normali, ossia nella norma, abbassi la pistola!<br />
Le assicuro e le garantisco sul mio pizzo che torneremo<br />
alla norma!<br />
– Commissario, io sono il piemme, sono io che costruisco<br />
le accuse… Mi pento! Ho costruito una mostruosità…<br />
È stata una mattana… Non spari!<br />
– Commissario, io è come se indovinassi, quello là ha<br />
ucciso la mia vicina Tebe Mistrè, spari, spari, tanto lei è<br />
un commissario…<br />
– In coro, tutti noi Ultimi respiri, la preghiamo di non<br />
sparare e la prega anche il nostro onesto avvocato, tanto<br />
onesto che non cerca neppure più le parole…<br />
– Commissario, troppo sangue, troppo, ecco… troppo,<br />
ecco, ecco…<br />
Nella bufera c’è una confusione sterminatrice e c’è un<br />
rumore che batte tutti i rumori umani. E quando la tempesta<br />
continua e non si vede luce e non arriva calore, allora<br />
ci si perde e l’espressione dell’uomo perduto è come<br />
quella del condannato che sta per morire e sta per smettere<br />
di esistere.<br />
Così sembrava e si sentiva Petinicchio.<br />
335
<strong>Ei</strong><br />
Il bastone di legno di Peante non era pregiato - l’aveva<br />
ricavato da uno di quegli alberi dei frutti profumati e non<br />
aveva voluto che nessuno glielo scolpisse - ma, dove lo impugnava,<br />
aveva preso la forma giusta per la sua mano e,<br />
anche se vedeva bene, lo usava la sera per controllare il<br />
cammino, passo per passo, e si rassicurava perché era<br />
convinto che la posizione più giusta di un uomo è quella<br />
all’impiedi.<br />
Il figlio Teedecteto lo aspettava alle falde del promontorio<br />
con un asinello piccolo, tanto piccolo che lui ci si sedeva<br />
come su una seggiola.<br />
Il vecchio guardò le candele di Epipanormo e di Talattone,<br />
ogni casa una candela.<br />
Lento lento percorse il sentiero in discesa. Era notte ma<br />
un po’ di chiarore di Nicteo, in qualche forma sulla quale<br />
lui non si è fatto domande, era rimasto sul promontorio e<br />
Peante vide il profilo di Teedecteto.<br />
La fronte, il naso, il mento, questo mento che concludeva<br />
una mandibola perfetta e il collo da statua… Dunque,<br />
pensò, Melania rimaneva, continuava.<br />
Salì sull’asino e l’animale, senza ordini e pungoli, trottò<br />
verso la città e sbatacchiò pensieri e pensieri nella testa di<br />
Peante.<br />
337
338<br />
XIV<br />
Formano un cerchio sacro e silenzioso, inginocchiati intorno<br />
al corpo lungo e mezzo incenerito del giovane secolare,<br />
come si sta inginocchiati davanti all’eterno.<br />
I gesti del morente. Che rabbia non capirli.<br />
Araceli sussurra:<br />
– Eppure vorranno dire qualcosa… Commissario voi<br />
capite cosa vuol dire Guglielmino? Avete un’idea? È importante…<br />
Guglielmino muove la testa di lato, lentamente e poi la<br />
riporta dritta.<br />
Glicerio ha tutt’e due gli occhi rossi:<br />
– Qualcosa vorrà dire… Sente dolore… oppure non<br />
sente… o pensa… oppure questa, forse, è solo un’agonia…<br />
solo un movimento.<br />
Enrico è più che inginocchiato, lui è prostrato davanti a<br />
questa ripetizione di sé che ora muore. Vorrebbe sostenerlo<br />
ma sostanza da sostenere non ce n’è più:<br />
– Non voglio parlare. Le cose che ho in testa non devono<br />
essere dette, non sono fatte per essere dette.<br />
Avvicina l’orecchio al morente: niente, nessun bisbiglio,<br />
neppure un respiro. Ma questo movimento del capo…<br />
forse Guglielmino dice che non è possibile quello che accade,<br />
ma che questo aveva voluto… voleva essere giudica-<br />
339
to… Sennò perché è apparso sulla lastra nera, l’ombelico<br />
della città? Voleva una punizione e voleva questa condanna…<br />
Favonio, le due punte del pizzo congiunte, guarda verso<br />
Petinicchio che si asciuga il sudore, sfinito, spettinato e<br />
folle mentre lo portano via accompagnato da Amoracchio.<br />
L’avvocato, la faccia di terracotta, ammattito e senza<br />
polveri grida:<br />
– Senza il verbo essere non esisterebbe la parola… È<br />
stata la prima invenzione dell’uomo… Senza il verbo essere,<br />
senza l’idea contenuta nel verbo non esisterebbe<br />
nulla, nulla! L’orologiaio conosce il Tempo della vittima,<br />
ma non lo può cambiare, non lo può accorciare, non lo<br />
può allungare… Io, io, io! Io ho sentimenti da equatore!<br />
Anche lei dottoressa Paneangelico ha sentimenti tropicali<br />
ma in un corpo alpino! Pensieri grandi, grandi! Io, io, io!<br />
Melania sente caldo, sente il suo corpo tramandato:<br />
– Enrico, andiamocene, si dimentica tutto e i fatti, vedrai,<br />
si addolciscono… andiamo via<br />
Battistino poggia una mano sulla spalla dell’amico:<br />
– Enrico, abbiamo visto tutto e non abbiamo capito<br />
niente. Che razza di intelligenza… Abbiamo giusto quella<br />
che serve per vivere e di altra non ce ne facciamo nulla…<br />
Non c’è nulla da capire: sono cose avvenute… Petinicchio<br />
è impazzito e non farà mai più male a nessuno… Ma<br />
per me era già pazzo. Andiamo… Questa è cenere, non è<br />
più Guglielmino… Non fa più odore di pesca, non è più<br />
quintessenza… È un morto.<br />
Melania cerca di accarezzare la fronte di Guglielmino<br />
ma ormai lui è solo fuliggine:<br />
– Non è ancora morto…<br />
340<br />
Enrico non sa quale nuovo metabolico entusiasmo attraversa<br />
tutto il solido corpo di Melania che si è infervorato<br />
in una recente e orgogliosa gravidanza.<br />
Era questo suo stato superiore che l’aveva fatta alzare<br />
quando Glicerio impugnava la pistola e la puntava sull’avvocato<br />
che spruzzava le sue polveri velenose. Si era alzata<br />
e si era avvicinata a Glicerio: “Non lo ammazzi, commissario,<br />
non lo ammazzi… Spari, questo sì, spari vicino<br />
all’avvocato, lo spaventi… Ma non lo ammazzi… Questa<br />
non è la fine di niente.” A questo suo nuovo stato aveva<br />
obbedito, senza capirlo, Glauco Glicerio che aveva sparato<br />
ma non su Petinicchio il quale, però, per lo spavento, si<br />
era accasciato.<br />
Ora Enrico sente che la temperatura di Melania è mutata,<br />
e ci si rifugia.<br />
Il processo.<br />
Araceli si guarda intorno… Foramini… dov’è? Gli<br />
sembra di vederlo. Lo insegue sino al corridoio del Palazzo.<br />
Lo trova fermo che guarda per terra, sulle mattonelle,<br />
i segni neri delle suole di Petinicchio trascinato via:<br />
– Avvocato Araceli, non so cosa ci aspetta, me e gli altri<br />
Ultimi Respiri. Non ho paura. È che non ho capito cosa è<br />
successo… Non li vedo più non ritrovo più… E anche io<br />
non mi sento come prima.<br />
– Il processo, professore, il processo ha avuto un effetto…<br />
una sentenza, si può dire… Insomma un risultato c’è<br />
stato.<br />
– Un risultato?<br />
Araceli ha le sopracciglia orientate verso terra:<br />
– Un risultato… ottenuto senza sentenze, senza parole<br />
341
sconce e frantumando perfino la procedura… il processo<br />
ha ristabilito la norma. Capisce? La norma! Tutto ritorna<br />
nella norma fissata e costituita…<br />
– E noi? Noi ultimi respiri come la mettiamo con la norma?<br />
Eppure abbiamo pagato la parcella: Ptea l’abbiamo<br />
consegnata alla città… Povera Ptea…<br />
Araceli cerca di abbracciarlo ma di Foramini non ce n’è,<br />
non gliene resta tra le braccia.<br />
Fuori dal Palazzo il vento alto del nord ha aperto un immenso<br />
corridoio celeste nella stratosfera e da terra si vede<br />
il nuovo varco grande, aperto e pulito. Arriva sempre il<br />
vento settentrionale che cambia tutto: da questo smisurato<br />
corridoio celeste.<br />
Così, dentro l’aula, dai vetri del lucernario entra un cono<br />
di nuova luce bianca, e un pulviscolo che finiscono addosso<br />
a Guglielmino disteso sulla lastra d’ardesia. E<br />
ognuno vede che, lentamente, lui porta la sua mano di cenere<br />
alla bocca come fa uno che mangia o che desidera silenzio<br />
- nessuno sa cosa vuole dire - e questo resta l’ultimo<br />
incomprensibile e non misurabile gesto del morto.<br />
342<br />
Enrico chiede alla memoria di dimenticare. Povera memoria<br />
sfinita che lui tortura tutti i giorni e che di notte si<br />
cancella con una pastiglia candida e perfetta. Vorrebbe<br />
solo continuare il suo studio sui bagni greci della città,<br />
quanta gente c’era e viveva, immaginare, fare percorsi<br />
piccoli e fantasie grandi.<br />
Esce, mani in tasca e capo chino tutte le mattine. Ogni<br />
giorno va a vedere, lui dice proprio che va a trovarla, come<br />
una visita a un vivo, la statua di Ptea. Quando non c’è<br />
nessuno la tocca e siccome Ptea è in alto, arriva solo ad accarezzare<br />
i piedi e i polpacci. Ecco, ecco…<br />
Oggi, dopo la visita alla statua dell’armonia, ha preso la<br />
teleferica oscillante, ha vertigini e guarda sempre in basso,<br />
scende a Piazza dei Naviganti e in tram va al mare alle<br />
Grotte di Panope.<br />
Si cambia, legge un poco il libro che gli ha dato Battistino<br />
e poi senza la scorta di pesci argentati, che appare solo<br />
per Melania, fa un bagno.<br />
Ma non è un bagno, è un’immersione sacra, un battesimo.<br />
Galleggia a pancia in su, vede le nuvole, se ne sceglie<br />
una alta, bianca e ha una vertigine in forma di schiaffo<br />
perché è tutto troppo per lui. Ha bisogno di poco, piaceri<br />
non troppo grandi e dolori più piccoli possibile.<br />
343
Allora si volta e nuota. Apre gli occhi, si sente al sicuro,<br />
e sotto l’acqua vede e guarda e gli sembra di non stancarsi<br />
mai perché in questo liquido lui, in questa mattinata<br />
bianca, in questi pochi panni, si sente proprio un grande<br />
bambino sereno generato da una grande energia.<br />
344<br />
INDICE
INDICE<br />
<strong>Ei</strong><br />
I 7<br />
II 53<br />
<strong>Ei</strong> 83<br />
III 107<br />
<strong>Ei</strong> 127<br />
IV 151<br />
V 163<br />
<strong>Ei</strong> 201<br />
VI 237<br />
<strong>Ei</strong> 245<br />
VII 275<br />
VIII 299<br />
<strong>Ei</strong> 311<br />
IX 315<br />
X 321<br />
XI 323<br />
<strong>Ei</strong> 327<br />
XII 331<br />
XIII 333<br />
<strong>Ei</strong> 337<br />
XIV 339
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili . Narrativa<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a ristampa)<br />
Maria Giacobbe, Il mare (ristampa)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />
Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (ristampa)<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />
Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />
Marcello Fois, Materiali<br />
Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />
Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />
Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />
Gavino Ledda, Padre padrone<br />
Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />
Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />
Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />
Giorgio Todde, <strong>Ei</strong><br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />
Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />
Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />
Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />
Poesia<br />
Giovanni Dettori, Amarante<br />
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />
Gigi Dessì, Il disegno<br />
Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />
Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole
Saggistica<br />
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />
Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />
Pascale Dessanai<br />
FuoriCollana<br />
Salvatore Cambosu, I racconti<br />
Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />
Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />
I Menhir<br />
Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />
Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />
Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi<br />
Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in <strong>Sardegna</strong><br />
In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />
Marcello Fois, Sempre caro<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Marcello Fois, L’altro mondo<br />
Giorgio Todde, Paura e carne
Finito di stampare<br />
nel mese di febbraio 2004<br />
dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE