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Ei - Sardegna Cultura

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Giorgio Todde<br />

<strong>Ei</strong>


Tascabili . Narrativa


Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />

La matta bestialità, 2002<br />

con Il Maestrale-Frassinelli:<br />

Lo stato delle anime, 2002 (già Il Maestrale 2001)<br />

Paura e carne, 2003<br />

In copertina:<br />

Igor Mitoraj,<br />

Light of the moon (1991),<br />

bronzo<br />

Foto di copertina:<br />

Mary Ann Sullivan<br />

Editing<br />

Giancarlo Porcu<br />

Grafica e impaginazione<br />

Imago multimedia<br />

© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: edizionimaestrale@tiscalinet.it<br />

Internet: www.edizionimaestrale.it<br />

ISBN 88-86109-75-X<br />

Giorgio Todde<br />

<strong>Ei</strong><br />

Il Maestrale


Una bracciata, l’acqua calma per andare avanti.<br />

Dov’è la boa rossa?<br />

Tira fuori la testa dall’acqua, aspetta che gli occhi vedano,<br />

e vede la boa. Rimette la testa dentro e ricomincia a<br />

nuotare con le bracciate da uomo alto e magro. Se lo è sempre<br />

domandato se essere alto serve a qualcosa in acqua.<br />

È dimagrito per tutto quello che è successo.<br />

Guarda il fondo bianco. Gli bruciano gli occhi. L’acqua<br />

è più salata col vento di terra. E continua con le bracciate<br />

calme.<br />

Poi se ne sta appeso alla boa per un po’, si soffia il naso e<br />

aspetta che il respiro ritorni normale. Arrivano ancora voci<br />

da terra, qualche urlo e un cane che abbaia.<br />

Ancora altre bracciate: più lontano possibile dalla riva.<br />

Cosa ha lasciato a riva non vuole neppure ricordarselo.<br />

Oggi, quando è uscito dalla penombra della cabina, il<br />

sole era così forte che gli ha procurato un piacere violento<br />

e un’amnesia tanto dolce che si è sentito energico, e gli<br />

sembrava di essere finalmente all’inizio di qualche cosa.<br />

Allora si era immerso e adesso è qua, lontano dalla riva,<br />

che nuota e nuota.<br />

Poi si ferma, ascolta: neppure una voce, nessun suono<br />

umano. E ricomincia.<br />

5


I<br />

– Ti passerà col tempo, Enrico, ti passerà.<br />

– Passa col tempo? Ma chi te l’ha detto, Battistino, chi<br />

te l’ha detto? È il contrario! Il dolore aumenta… matura,<br />

ecco! Ecco!<br />

Come i bambini offesi: Ecco! Enrico, le gelosie socchiuse,<br />

mugolava in penombra. Fuori c’era sole, tutto<br />

scintillava, la gente nelle strade ondeggiava al vento energico<br />

di Epipanormo.<br />

Enrico Ricasoli abitava da sempre nella città alta, in via<br />

del Compasso, nell’appartamento all’ultimo piano dei<br />

genitori morti da anni: una casa di tufo costruita da gente<br />

che voleva la luce, da dove vedeva la città bassa, il porto e<br />

il mare. Viveva tra i muri che aveva scarabocchiato da<br />

piccolo e quei graffiti gli tornavano alla mente spesso.<br />

Da qualche tempo dormiva nel lettone dei genitori defunti<br />

dove il padre, come lui, aveva sofferto di vertigini<br />

astronomiche nel passaggio dalla veglia al sonno.<br />

– Non pensavo che sarebbe morta d’estate… con tutta<br />

questa luce fuori… E adesso?<br />

– Enrico, Nellina doveva morire prima di te… è normale.<br />

Le rughe di Enrico quarantottenne, le più belle, secondo<br />

lui, perché cancellano difetti e non deformano ancora,<br />

sorrisero alla morta.<br />

7


– È come se la vedessi… Se stiamo zitti la sento… È una<br />

cosa senza proporzioni!<br />

– Non esagerare…<br />

– Non l’ho vista malata, mai!<br />

– E infatti non si è ammalata neanche questa volta… è<br />

stata una disgrazia…<br />

– E adesso?<br />

– Beh, adesso devi vivere senza di lei, Enrico… la potrai<br />

vedere nei sogni… Sognarla è un modo per, com’è che si<br />

dice, elaborare il lutto.<br />

Enrico ebbe un contorcimento.<br />

– Elaborare il lutto? Ma cosa c’è da elaborare? C’è solo<br />

da aspettarsi il proprio lutto, l’elaborazione finale, ecco…<br />

E sognarla, meschinetta? Me la sognerò come l’ho<br />

vista l’ultima volta… In quello stato…<br />

Battistino si alzò dalla poltrona.<br />

– Enrico, hai ragione, non elaboriamo proprio nulla.<br />

Ora ho fame e non ho deciso io. Nellina, se ci vede, capirà,<br />

andiamo.<br />

Battistino Mattiolo - lo stesso patrimonio di rughe di<br />

Enrico ma più profonde per le sigarette - era amico sino<br />

dall’infanzia. Viveva nello stesso palazzo, un piano sotto,<br />

dove era nato. La loro amicizia corrosiva si era costituita<br />

in modi infinitesimali. Una comunanza tra orecchie e nasi,<br />

tra palati, occhi e nervi teneva uniti Enrico e Battistino,<br />

i quali per questo motivo potevano tacere stando uno<br />

in faccia all’altro, anche per ore, senza che questa confidenza<br />

coniugale li annoiasse. Qualche muffa acida, però,<br />

gli spuntava qua e là.<br />

Da adolescenti avevano spiato melanconici la crescita<br />

8<br />

delle ragazze del quartiere. Si erano laureati insieme. Insegnavano<br />

letteratura nel liceo. Erano arrivati a apparire<br />

gemelli, di quelli che vengono dallo stesso uovo: alti, olivastri,<br />

con una piccola gobba, conseguenza di troppe riflessioni.<br />

Ma differenze ce n’erano tra i due e, man mano<br />

che passava il tempo, le differenze venivano fuori alla luce<br />

forte di Epipanormo.<br />

Battistino spalancò le persiane.<br />

Una nuvola innocente occupò il rettangolo della finestra<br />

e Battistino domandò di nuovo:<br />

– Allora, andiamo a mangiare? Sennò continuo a fumare…<br />

Guarda che bella nuvola pulita…<br />

Enrico aveva un debole per il cielo e si voltò a guardare<br />

la nuvoletta: quello, magari, era un modo di ricomparire<br />

di Nellina, il suo cane morto stritolato dall’ascensore. Ma<br />

la nuvola non aveva forma di cagnolino.<br />

Il quartiere alto e volante di Epipanormo, sulla rocca<br />

bianca, guardava in basso il quartiere di Talattone, al porto,<br />

e tutt’e due guardavano il sud. I greci, arrivati proprio<br />

da quella direzione, col genio del divino avevano tracciato<br />

strade che seguivano il corso del sole. Gli stessi tracciati<br />

percorrevano Enrico e gli altri abitanti del rione ogni<br />

giorno.<br />

A nord, tutto monti, la città si era sviluppata contro natura<br />

unendosi alle montagne e ai paesini con ponti e gallerie<br />

muschiose. Ma era un’espansione separata: Epipanormo<br />

restava Epipanormo.<br />

A sud, in basso sul mare, il quartiere di Talattone si era<br />

generato sul guano fermentante.<br />

Gli abitanti della città, dopo l’unione ai paesi della<br />

9


montagna, erano diventati tanti, troppi per Enrico e Battistino.<br />

Però coi monti restava un confine genetico. In città,<br />

clima e facce cambiavano bruscamente, si era conservata<br />

una razza color nocciola, legnosa e marinara, ordinata secondo<br />

forza e intelligenza. In alto i migliori, a Epipanormo,<br />

e in basso, a Talattone, gli altri.<br />

I due quartieri erano uniti da una vecchia teleferica che<br />

oscillava ma non cadeva mai.<br />

Era l’unica città con due nomi.<br />

– Mangiare? È già ora? – chiese Enrico, abbagliato da<br />

tante ore di penombra, fissando la nuvola e vedendoci finalmente<br />

Nellina.<br />

– È quasi l’una, Enrico. Non mangio da ieri sera. Da<br />

quando l’abbiamo sepolta non ho mandato giù un boccone.<br />

– Sepolta? E tu credi che sia finita così? – A Enrico venne<br />

fuori dalla gola un grugnito che impressionò Battistino<br />

e poi disse: – La vita… neanche un minuto di più…<br />

povera Nellina! – Si teneva le tempie: – Cose enormi, a<br />

volte, dipendono da poco…<br />

Battistino non era paziente, era in piedi, già rivolto alla<br />

porta, le chiavi che tintinnavano in mano. Frasi così gli<br />

mettevano il nervoso. In fondo era morto un cane, Nellina<br />

era solo un cane e per giunta vecchio.<br />

– Enrico, Nellina mangiava anche lei… abbaiava come<br />

una matta all’ora dei pasti, la sentivo dal piano di sotto.<br />

Adesso dobbiamo mangiare noi.<br />

Enrico si alzò, era spettinato e più curvo:<br />

– Andiamo da Didimo? Non voglio carne! Non voglio<br />

mai più carne.<br />

10<br />

– Andiamo dove vuoi e mangiamo quello che vuoi.<br />

Però pettinati.<br />

Per strada sembravano una visione doppia. Enrico<br />

continuava a ricordare il proprio cane morto per disgrazia<br />

e soprattutto la testa spaventata rimasta sul pianerottolo<br />

come su un patibolo domestico.<br />

L’appartamento di Enrico e quello di Battistino restarono<br />

deserti.<br />

In casa di Enrico, sul tavolo di cucina, c’era un pezzo di<br />

parmigiano sopra un piattino. Quando i due amici uscirono<br />

di casa e la loro assenza fu certa, un fenomeno più<br />

che chimico avvenne nel formaggio e nell’aria. La temperatura<br />

nella stanza aumentò e anche l’odore del parmigiano<br />

aumentò, sino a interessare un gabbiano giovane che<br />

passava davanti alle finestre e si avventò sui vetri lussandosi<br />

le ali, precipitando e richiamando altri gabbiani che<br />

sui vetri sbattevano inferociti.<br />

Il pezzo di formaggio si aggravò e si perforò in molti<br />

punti. Dai buchi schizzarono vermi bianchi a centinaia.<br />

Poi la pasta del parmigiano si indurì tanto che la massa<br />

iniziò a respingersi sino all’estrema conseguenza dell’esplosione.<br />

L’etto e mezzo di parmigiano, con un rumore<br />

di frattura, si ruppe in tanti pezzetti tra i quali saltavano<br />

già i vermi e volteggiavano farfalline pelose.<br />

Il pranzo di Enrico e Battistino era alla fine. Didimo,<br />

l’oste con le unghie nere, sapeva della morte di Nellina<br />

Ricasoli, la cagnetta di Enrico e lo aveva trattato come chi<br />

di cose materiali ha bisogno ma non vuole ammetterlo:<br />

– Ecco il dolce, professor Enrico, leggero come un’ostia.<br />

11


Enrico lo ingoiò senza considerare l’oste:<br />

– Ieri era come se sapesse… povera bestia… era strana<br />

dalla mattina. Aveva odore di pesca, non so perché…<br />

– Di pesca? – domandò Battistino che a quel cane non<br />

si era mai affezionato come Enrico avrebbe voluto.<br />

– Sì, il pelo odorava di pesche mature. Proprio di pesche.<br />

Ecco.<br />

Ebbe una vertigine funesta. Ma non riuscì a stare zitto:<br />

– Guarda che capelli lunghi che ho, Battistino… Li dovrei<br />

tagliare, ma sono troppo triste per farlo. Serve un<br />

umore decente per il barbiere.<br />

Battistino fumava:<br />

– Serve un umore decente per fare qualsiasi cosa. Stai<br />

esagerando, esagerando.<br />

Al ritorno i due amici non dissero una parola percorrendo<br />

via dei Collerici per arrivare a casa. In via del Compasso<br />

gli alberi d’arancio si gustavano il vento dai monti che rinfrescava<br />

Epipanormo senza badare ai pensieri di Enrico.<br />

* * *<br />

In via San Genesio, nel quartiere di Talattone, le case<br />

intorno al porto erano alte, strette e colorate.<br />

Via San Genesio non puzzava come altre strade di Talattone<br />

e finiva in una piazzetta con un’acacia, panchine e<br />

una fontanella sempre asciutta. Il vento da nord arrivava<br />

anche là in basso ma come un vento già usato da quelli di<br />

Epipanormo: invecchiato e tremolante dopo aver rinfrescato<br />

la città alta.<br />

La casa di Tebe Mistrè era all’ultimo piano, tutta tendine<br />

e fiocchetti.<br />

12<br />

Tramontava e la luce entrava mite di sbieco nella stanza<br />

da letto di Tebe.<br />

Che odore di pesche! pensò Tebe mentre, in sottoveste,<br />

si guardava da ogni lato allo specchio. Da qualsiasi parte si<br />

girasse non trovava nessuno spigolo. “Come se non lo sapessi!<br />

Quando scopano con me pensano a un’altra. Ma<br />

tanto è così per tutti… Un bel formicaio di pensieri… a<br />

miliardi… È tutta forza che se ne va a finire in niente…<br />

Messa insieme, sarebbe la bomba più forte… Vengono, mi<br />

chiedono di tutto, e sono sempre gli stessi… mi hanno<br />

sposato ormai, sempre gli stessi… Che odore di pesche…”<br />

Pesche in casa non ce n’erano e questi furono gli ultimi<br />

pensieri di Tebe Mistrè quando, stupita di non sentire dolore<br />

e di vedere solo se stessa allo specchio, il rasoio le tagliò<br />

il collo soffice. Vide le iniziali che conosceva sulla lama,<br />

B M, un’incisione perfetta che arrivò sino alla nuca<br />

dove questo omicida le teneva sollevati i capelli con cura.<br />

Sentì sapore di sangue, prima come se le sanguinasse solo<br />

un dente e poi come se tutto il sangue le fosse finito nella<br />

bocca.<br />

Tebe aveva intravisto un solo istante la bella mano bianca<br />

che impugnava la lama. Si stupì quando vide il rosso<br />

esagerato che le scappava dal collo e si accorse che non ce<br />

la faceva a stare in piedi.<br />

Non ci credeva e non si spaventò.<br />

Ebbe il tempo di stendersi e di decidere in che posizione<br />

farsi trovare. Non portò le mani al collo e non se le<br />

sporcò. Era supina con la testa ruotata dalla parte del taglio<br />

e la bocca storta: da lì guardò per un momento le tendine<br />

alla finestra che aveva ricamato lei stessa. Se le sarebbe<br />

prese la sua vicina per ricordo.<br />

13


Provò terrore solo quando si accorse che il sangue fuggiva<br />

dagli occhi e vide bianco.<br />

L’agonia durò una dozzina di secondi, silenziosa e ordinata,<br />

senza movimenti, solo una scossa all’ultimo.<br />

“Come volevo Io,” pensò l’omicida e ripeté: “Io, Io”.<br />

Resistette alla tentazione di tagliare di più di quella polpa<br />

rosa e la guardò a lungo prima di lasciarla così com’era.<br />

Lavò per terra irritandosi perché il sangue si era già<br />

seccato e diventato nero: – Uffa! – Poi si dedicò alla pulizia<br />

del corpo di Tebe che, nel frattempo era diventata celestina.<br />

La ripulì con una spugna, le raddrizzò la bocca<br />

storta e la pettinò. La lasciò nella posizione che lei aveva<br />

scelto: – Ecco… ecco.<br />

A mezz’ora dalla morte era fredda e composta ma sembrava<br />

indispettita. D’altronde, lo dicevano tutti nel quartiere,<br />

anche da viva aveva una faccia dispettosa.<br />

Nella camera diventò più forte l’odore di pesche mature<br />

e tutti gli altri odori scomparvero dall’appartamento.<br />

Lui trovò un tagliaunghie e se le accorciò. Così riuscì a<br />

lavare via il sangue che era diventato crosta. Poi guardò<br />

ancora Tebe. “Un taglio perfetto, un fiore di pesco non è<br />

così bello.” E se ne andò.<br />

14<br />

Melania Lampreda faceva lampeggiare i polpacci salendo<br />

le scale del Mercato Vecchio e quei lampi facevano<br />

sollevare lo sguardo a molti che stavano dietro, compreso<br />

Enrico tutto sgualcito. Lei sentì prurito alle gambe e si<br />

voltò:<br />

– Ah, sei tu. – Gli sorrise.<br />

Il sorriso di Melania.<br />

Nel viso di Melania Lampreda - sviluppato con una varietà<br />

che lasciava muti - i muscoli della bocca andavano<br />

oltre le labbra e i maschi ci andavano pazzi. La loro forza,<br />

dei muscoli, era un mulino a vento in attività e mai, proprio<br />

mai, si sarebbe pensato che là sotto c’erano ossa.<br />

Melania l’aveva sempre saputo che Enrico soffriva per<br />

lei sino da quando lui tornava a casa dalle lezioni all’università<br />

e la vedeva con lo zaino del ginnasio percorrere le<br />

salite di Epipanormo con il corpo che cresceva e il sorriso<br />

che era già cresciuto. Da allora tutto era stato difficile tra<br />

loro due.<br />

Enrico era concentrato sui polpacci e sulle caviglie. A<br />

due giorni dalla morte del cane, per la prima volta si distraeva.<br />

Le diede la notizia guardando la bocca di lei.<br />

– È morta Nellina, lo sai? Stritolata dall’ascensore… E<br />

15


sono rimasto solo in casa. Sette stanze e ne uso solo tre.<br />

Nellina zampettava dappertutto.<br />

I gradini del mercato erano ripidi, come tutto ad Epipanormo.<br />

E ripido, un precipizio, sembrò a Enrico il collo di<br />

Melania, un precipizio che portava al centro della terra.<br />

– Ma tu eri solo anche con Nellina. Che razza di compagnia<br />

facevi a quel cane? Povera bestia.<br />

Lui si accorse di essere troppo curvo, pensò che la colpa<br />

era di Battistino, lo frequentava troppo, e si raddrizzò,<br />

era alto quando stava dritto:<br />

– Perché mi hai sorriso?<br />

– Beh, ne hai bisogno, si vede. Sento quando mi guardi<br />

anche se ti do le spalle, anzi, quando ti do le spalle il tuo<br />

sguardo lo sento di più.<br />

– È che quando mi dài le spalle è meno complicato<br />

guardarti.<br />

– Oggi non sembri neanche uno di Epipanormo, sembri<br />

di un’altra razza! Sei giallo…<br />

– Sono giallo?<br />

Lei aveva le maniche rimboccate e Enrico non resistette<br />

alla tentazione di accarezzarla. Melania accettò, la sua<br />

peluria mandò segnali buoni e strinse le spalle come chi<br />

ha freddo.<br />

Entrarono al Mercato Vecchio. Qui Epipanormo comunicava<br />

con Epipanormo. Gli altri erano ammessi, sceglievano,<br />

compravano, facevano affari, chiacchieravano,<br />

passavano il tempo, ma restavano stranieri.<br />

Melania e Enrico arrivarono dal Pechinese, il pescatore<br />

con la voce da castrato: – Professor Ricasoli, professore!<br />

Venga, venga! Guardi, guardi che banco! Qui tutto si<br />

muove, tutto vivo! Senza impegno, guardi! Tutto vivo! A<br />

16<br />

proposito, ho saputo del cane: non comprerà più ventresca<br />

di tonno per Nellina!<br />

Il Pechinese fissava Melania come avrebbe guardato il<br />

più bel pesce del golfo, le pinne forti e le squame brune.<br />

Gridò: – Venga anche lei, signora!<br />

I due si avvicinarono e il Pechinese gridò più forte: –<br />

Professore! Che colorito! È blu!<br />

Enrico si appoggiò alla spalla di Melania… “Sono<br />

blu…” e sentì la clavicola solida di lei. – Vorrei sogliole,<br />

ma senza la testa, – disse. Il Pechinese gliene decapitò tre.<br />

Le mise dentro la carta straccia e gliele porse con le manine<br />

al cloro che Enrico evitava di sfiorare. Gracidò ancora:<br />

– Che faccia blu, professore!<br />

Lui, mentre pagava, si ricordò di colpo: la testa di Nellina…<br />

il sangue di Nellina… il pelo di Nellina… sapeva di<br />

pesca… Svenne.<br />

Si svegliò dentro la vasca delle anguille dove era caduto.<br />

Le anguille erano terrorizzate. Melania era sbalordita.<br />

Enrico riuscì a saltare fuori dalla vasca e si trascinò un<br />

groviglio di anguille che scapparono in mezzo alla gente.<br />

Cercò Melania, la guardò, trovò forza e pattinò via sulle<br />

piastrelle luride.<br />

Stordito, vide viali di pesci, la danza dei gamberi, il coro<br />

delle spigole con la bocca spalancata. Arrivò alle carni<br />

che gli ricordarono ancora Nellina morta, vide grovigli di<br />

budella, cuori fibrosi, il rosso dei fegati, e gli procurarono<br />

subito acidità. Trovò l’uscita, fece le scale a precipizio,<br />

cercò una panchina e si sedette all’ombra tastandosi il<br />

polso e respirando, a occhi chiusi. Ecco.<br />

Melania, anche se non era una donna pietosa, si sedette<br />

vicino:<br />

17


– Va meglio? È da quando ti conosco che svieni… Hai<br />

ancora il cartoccio con quelle sogliole decapitate…<br />

A lui sembrò che Melania fosse davvero interessata.<br />

– Melania, andiamocene da Epipanormo per oggi. Mi<br />

accompagni? Al mare, magari.<br />

– Non ho fatto la spesa, Enrico, dovrei tornare dentro.<br />

– Andiamo via, per favore. Prima mi lavo, però. Passiamo<br />

a casa, mi cambio e poi decidiamo.<br />

Si avviarono.<br />

Un bel sole di giugno illuminava la città. Giugno metteva<br />

buon umore a tutto il quartiere, prometteva il sole e<br />

una bella luce forte e serena. Enrico pensava a quante<br />

volte avrebbe preso, la mattina, la teleferica che portava<br />

dall’acropoli al mare. Sentì l’odore di Melania e glielo<br />

disse:<br />

– Sai Melania che il tuo odore è più forte del profumo<br />

che porti e anche di questa puzza di anguille? È come stare<br />

in mezzo agli ulivi stesi sull’erba, ma come fai?<br />

– Oh, anche mia madre aveva quest’odore e io lo sentivo<br />

anche a nonna.<br />

– Sei una donna cosmica, ecco.<br />

– Che bel complimento!<br />

– Una di quelle donne all’origine di tutto… Mi facevi<br />

spavento a vent’anni! Insomma, era troppo… Con te era<br />

meglio non capire… Ci voleva un uomo che…<br />

– La solita storia… Per me ci voleva uno che non capiva<br />

niente, vero? Un uomo sensibile per me non va bene, giusto?<br />

– Hai ragione, sto zitto.<br />

In quel momento Melania gli sembrò il centro di ogni<br />

cosa e che tutto fosse là per lei e che ogni linea tracciabile<br />

18<br />

convergesse verso di lei: era sempre stato davvero innamorato<br />

di Melania.<br />

Giunsero in via del Compasso.<br />

Enrico vide un estraneo che si massaggiava le tempie,<br />

affacciato alla finestra di Battistino. Sulla porta del palazzo<br />

andava su e giù il gatto portinaio nervoso. C’era una<br />

macchina gialla della polizia e due poliziotti nell’atrio del<br />

palazzo. “Cosa succede? Uffa!”<br />

Quando il commissario Glauco Glicerio era arrivato<br />

davanti alla porta dell’appartamento di Battistino Mattiolo,<br />

si era già fatto un’idea di chi si sarebbe trovato davanti.<br />

Il palazzo antico, il pianerottolo con le felci, la luce<br />

polverosa nella tromba delle scale dovevano essere come<br />

il padrone di casa. Quando Battistino era apparso, il poliziotto<br />

aveva pensato d’avere indovinato: Bell’uomo. Un<br />

po’ scrostato, come i muri dell’appartamento, però di base<br />

ben congegnato, proprio come il palazzo.<br />

Il dottor Glicerio aveva iniziato a sudare e si era ricordato<br />

degli esami del sangue da ritirare al laboratorio.<br />

Battistino si era seduto sulla sua poltrona consumata:<br />

– Mi sono spaventato quando la polizia mi ha telefonato,<br />

non mi era mai successo. Ora va bene, però: so controllarmi.<br />

Che notizia mi ha dato, commissario! Avevo un<br />

legame con Tebe che durava da anni, ma non profondo…<br />

e non ero l’unico… lei si sarà già informato. Ho fumato<br />

senza interruzione sino a quando lei ha bussato.<br />

– Infatti non ha una bella cera, professor Mattiolo.<br />

Battistino si era indispettito:<br />

– Neanche lei ha un bell’aspetto, commissario.<br />

Si è ostili o bendisposti dal primo incontro.<br />

19


La poltrona dava sicurezza a Battistino. Glicerio grondava<br />

sudore e si asciugava con un fazzoletto già fradicio:<br />

– Io non posso riposare, perciò ho una cera così così. Sa,<br />

il mio metabolismo non è a posto, non ha pause. La notte<br />

brucio, vado a fuoco, brutti pensieri… la mia tiroide lancia<br />

frecce incendiarie… la tiroide…<br />

Battistino si era preso la libertà di guardare il commissario<br />

dalla testa ai piedi e gli era sembrato rivestito delle sue<br />

malattie. Evitava di guardare l’occhio destro dell’investigatore<br />

che pareva fatto apposta per vedere più di ogni altro<br />

occhio perché era enorme, sporgente e precedeva il<br />

resto del corpo. Si era acceso una sigaretta senza offrirla,<br />

ravviato i bei capelli e ascoltato Glicerio:<br />

– Professor Mattiolo, la morte mi interessa, mi interessa<br />

molto ma solo se si muore per mano d’altri. Se poi è una<br />

morte meditata e magari contemplata con soddisfazione<br />

dall’assassino che si taglia le unghie mentre la vittima agonizza,<br />

allora, pensi, la cosa mi prende tanto che non penso<br />

ad altro e riesco anche a dimenticare i miei guai.<br />

Battistino, accarezzandosi ancora la testa:<br />

– Un interesse così forte da far dimenticare il proprio<br />

dolore… Questo mi dice?<br />

Glicerio sudava tanto che l’alone di sudore aveva attraversato<br />

la giacca e si muoveva guadagnando millimetri a<br />

vista d’occhio:<br />

– Ha le unghie corte, professore.<br />

– Il mio barbiere ha una brava manicure, una vecchia<br />

del quartiere, mi ha tagliato le unghie ieri.<br />

Il commissario aveva proseguito:<br />

– Guardi che anch’io sono nato ad Epipanormo.<br />

– E non ci siamo mai conosciuti?<br />

20<br />

– Nella toeletta di Tebe Mistrè c’erano rasoio, crema da<br />

barba, profumo e accappatoio maschili; nella cassettiera<br />

mutande da uomo; sul comodino libri. Sui libri c’è il suo<br />

autografo e l’anno dell’acquisto, sull’accappatoio è ricamato<br />

il suo nome e sulla lama del rasoio sono incise due<br />

iniziali che corrispondono alle sue.<br />

Battistino aveva raccolto tutti i suoi acidi:<br />

– E le mutande, commissario? Erano, anche quelle,<br />

mie? Ha controllato?<br />

Glicerio si teneva l’occhio:<br />

– No, quelle sono anonime e tutte diverse, taglia e modello.<br />

Un campionario.<br />

Battistino si era visto davanti agli occhi il tatuaggio sul<br />

polso di lei e sentito una puntura:<br />

– Quel campionario di mutande è il campionario di uomini<br />

di Tebe, commissario. I libri glieli regalavo ma erano<br />

per me, per far passare il pomeriggio. È stata sgozzata, vero?<br />

Ed è stata sgozzata col mio rasoio? Era in sottoveste?<br />

Per questo lei è venuto da me. Sono dispiaciuto, molto dispiaciuto,<br />

ma tranquillo, capisce?<br />

Aveva sorriso. Un sorriso che nasceva e finiva nei muscoli:<br />

– Ci andavo la sera, a inizio di settimana. Sa, tutti quei<br />

pizzi che ha visto per casa, tende, tovaglie, tovaglioli, lenzuola,<br />

tutto era merlettato a casa di Tebe, mi facevano un<br />

effetto che non so spiegare bene. Sapevano di pulito, senza<br />

germi… merlettava qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Ci<br />

sono donne così.<br />

Glicerio si era affacciato:<br />

– Professor Mattiolo, dalla sua finestra si vedono le<br />

porcherie di Talattone sino a Capo La Martora! Puttane<br />

21


a quindici anni, ragazzini col culo rotto, magnaccia, pervertiti…<br />

sono stufo di Talattone…<br />

Il commissario si stava aprendo mentre sarebbe dovuto<br />

essere il contrario. Si vede che la tiroide fa anche questo<br />

effetto, aveva pensato Battistino.<br />

– Lei vuol dire, commissario, che a Talattone c’è ogni<br />

genere di peccatori ma assassini, insomma, assassini veri,<br />

di quelli che dice lei, non ce n’è.<br />

Glicerio si era affacciato e appoggiato al davanzale tenendosi<br />

la testa tra le mani.<br />

Là lo videro dalla strada Melania ed Enrico.<br />

L’occhio di Glicerio diventò viola, pulsò e sembrò che<br />

saltasse fuori, il poliziotto si tolse la giacca inzuppata di<br />

sudore e riprese il filo.<br />

– Sì, esattamente. Vede, da ventisette anni faccio l’investigatore,<br />

il poliziotto. L’omicidio richiede forza, fegato,<br />

carattere e intelligenza. Uno che si fa ragazzini, uno che<br />

protegge troie, un ladro, un finocchio, tutta gente che<br />

cerca soldi, uccidono raramente: macellano.<br />

L’occhio premeva sempre di più perché Glicerio era<br />

concentrato e ora si asciugava la fronte con dei fazzolettini<br />

di carta.<br />

– Per ammazzare occorrono dei princìpi, regole. Mi segue?<br />

Non parliamo poi di omicidi come quello di Tebe<br />

Mistrè: un omicidio fine, pulito, semplice, senza volgarità,<br />

senza scenografie, ben pensato insomma. Quelli di<br />

Talattone, quando ammazzano, lo fanno per caso, per<br />

ubriachezza, per idiozia, per bestialità… non li devo<br />

neanche cercare… basta l’odore.<br />

Battistino si sentiva solo, ma calmo. Capiva che il dot-<br />

22<br />

tor Glicerio era al centro di un fortunale di ormoni. In<br />

quel momento avrebbe voluto spingergli in dentro l’occhio<br />

sporgente e mettere sul balcone ad asciugare il poveretto<br />

intossicato. In quel momento bussò quattro volte,<br />

come sempre, Enrico Ricasoli.<br />

Glauco Glicerio era stato un uomo corpulento. Da tempo<br />

però era bruciacchiato dal proprio metabolismo. Da<br />

un anno si era accorto che l’occhio destro era diventato<br />

più sporgente dell’altro. Un po’ al giorno l’occhio si era<br />

ingigantito, rosso e minaccioso. I medici gli avevano spiegato<br />

che era colpa della tiroide. Lui aveva chiesto che gliela<br />

strappassero via. Lo avevano operato, gliene avevano tolto<br />

metà, ma l’occhio era rimasto rosso e sporgente. Ogni<br />

reazione del proprio corpo era esagerata e lui non si stancava<br />

quasi mai. Ma quando la tromba d’aria si fermava, allora<br />

Glauco Glicerio diveniva come una seppia senz’osso.<br />

La sera precedente il commissario era stato nell’appartamento<br />

della rosea e merlettata Tebe.<br />

– Poverina… uccisa e sgocciolata come le galline! – gridava<br />

la vicina di casa che l’aveva trovata, una donna che<br />

odorava forte di minestrone. – Però non mi ha fatto impressione<br />

come pensavo, commissario… forse me la farà<br />

poi, fra qualche giorno, cosa dice?… C’era un odore<br />

quando sono entrata, un odore che non saprei… – aveva<br />

aggiunto fissando l’occhio storpio del dottor Glicerio.<br />

Il sovrintendente Lucio Bombòi se n’era accorto e, per<br />

distogliere l’attenzione della donna dall’occhio malato,<br />

l’aveva rimproverata:<br />

– Un odore è un odore! Se si sente si deve sapere che<br />

odore è.<br />

23


La donna aveva allargato le narici e fiutato l’aria come<br />

un cinghiale:<br />

– Eccolo! C’è ancora, lo sentite? È odore di pesche!<br />

Una vera donna di Talattone, pensò il commissario<br />

guardandola: Un naso da bestia e la bocca feroce. Anche<br />

Glicerio annusò. In effetti c’era odore di pesche.<br />

Bombòi chiese agli uomini che facevano rilievi in silenzio<br />

se nella casa c’erano pesche: non ce n’erano. Inorridì<br />

quando gli fecero vedere la bustina con le unghie tagliate<br />

e col bordo di sangue rappreso. C’erano i segni di diverse<br />

frequentazioni maschili, disse, e alcune tracce portavano<br />

a Battistino Mattiolo.<br />

* * *<br />

L’arrivo di Enrico e Melania accompagnati dal sovrintendente<br />

Bombòi aveva rafforzato la sicurezza di Battistino,<br />

anche se Enrico puzzava di pesce. Il commissario Glicerio,<br />

invece, si era agitato perché il suo cervello si rendeva<br />

conto, a sprazzi, di non dominare né l’umore né le parole.<br />

Doveva andarsene.<br />

Parlarono ancora un poco. Enrico raccontò del cane<br />

morto schiacciato e fatto a pezzi dall’ascensore con tanti<br />

particolari che il commissario tagliò il discorso, tenendosi<br />

l’occhio chiuso con la mano perché bruciava:<br />

– So che domani avete scrutini a scuola… ma io vorrei<br />

parlarvi ancora nei giorni prossimi.<br />

– Quando vuole, commissario, – rispose Battistino raddrizzandosi<br />

sulla poltrona.<br />

Glicerio non ebbe il coraggio di rimettersi la giacca fradicia<br />

e, con Bombòi, salutarono.<br />

24<br />

Nelle scale, sforzandosi di tenere la voce bassa, fece notare<br />

al sovrintendente:<br />

– Hai visto che uomo controllato questo Mattiolo?<br />

– Certo non era il ritratto della disperazione, dottore.<br />

L’occhio carminio di Glicerio guardò il suo sovrintendente<br />

olivastro, secco, piccolo ma sano:<br />

– Sbagli, sbagli Bombòi: non era il ritratto del dispiacere,<br />

era il dispiacere vero! Il dolore non ha bisogno di ornamenti,<br />

quello autentico, dico. Senza contorcimenti,<br />

ululati, come quella donna di Talattone. Battistino Mattiolo<br />

era davvero triste! Tutto il contrario di quell’altro<br />

che, prima di presentarsi, mi ha detto della morte del suo<br />

cane: quello il dolore lo mette fuori come panni al sole…<br />

Ah, se fosse malato come me non parlerebbe d’altro…<br />

– Ho capito, commissario.<br />

Uscirono sulla strada. A quell’ora la stretta via del<br />

Compasso era trafficata di piccole utilitarie e piccoli autobus<br />

che univano città bassa e città alta.<br />

– Bombòi passiamo al laboratorio Minerva, devo ritirare<br />

i miei esami. L’occhio mi brucia come l’inferno.<br />

25


Melania Lampreda era vedova da cinque anni e ne aveva<br />

trentotto. Il marito era stato uno di quei maschi che,<br />

non avendo capito chi fosse e da dove era originata Melania,<br />

era riuscito a corteggiarla, sposarla e a trattarla come<br />

una donna senza neppure immaginare le origini sulle<br />

quali aveva sempre fantasticato Enrico Ricasoli. Era morto<br />

a quarant’anni mentre rimetteva i gioielli in cassaforte<br />

e un drogato di Talattone lo aveva minacciato con una pistola.<br />

Il cuore era scoppiato per lo spavento eterno del<br />

gioielliere. All’ospedale i medici erano riusciti con la<br />

scossa elettrica a far ripartire il cuore ma ormai era rotto.<br />

Lui si era messo seduto sul lettino, aveva detto: Chi siete?<br />

Chiudete bene, mi raccomando! Ed era morto da uomo<br />

pratico, senza un fiato in più.<br />

Ora lei, sola, più bella, viveva dell’eredità, andava in<br />

gioielleria due mattine alla settimana, per controllare<br />

l’amministrazione e per rinchiudersi nel piccolo caveau a<br />

guardare, una ad una le pietre, i colori e i riflessi sulle faccette.<br />

Se le metteva davanti alle pupille e per un poco si<br />

faceva accecare dai riflessi.<br />

– Vermi nel formaggio? – chiese Melania senza interesse<br />

perché pensava a quella povera Mistrè che qualche<br />

volta aveva comprato dei ciondoli nel suo negozio impie-<br />

27


gando ore a sceglierli: si ricordava bene che aveva un bel<br />

color porcellino, chissà come l’avevano tagliata con soddisfazione.<br />

Enrico in piedi, osservava il formaggio diventato crema<br />

e i vermi che saltavano come molle: vermi e farfalline a<br />

miriadi… la morte di quella povera Tebe Mistrè… questo<br />

schifo… troppe cose, troppe cose…<br />

Melania si era tolta la giacca e se ne stava sul divano a<br />

braccia aperte. Enrico si distrasse per quelle ascelle misteriose.<br />

Lei se ne accorse ma restò nella stessa posizione<br />

e ridendo disse:<br />

– Se è un formaggio che hai tolto ieri dal frigo, beh, non<br />

so cosa dirti. Non c’è verme così veloce. Se bastassero<br />

ventiquattrore di caldo saremmo sommersi dai vermi e<br />

loro sarebbero i padroni.<br />

Enrico la guardava e pensava a isole, boschetti, fonti e<br />

mare. Melanconico, nonostante tanta forza davanti a lui,<br />

sospirò:<br />

– Hanno sempre ragione i vermi alla fine. Ecco, ecco.<br />

– Che frase da poco! Proprio da professore.<br />

Dalla finestra della cucina un gabbiano, appollaiato sul<br />

davanzale, attratto dal pattume che ogni casa nasconde,<br />

lo guardava dritto negli occhi chiedendo quei resti di cibo.<br />

L’uccello sporcaccione venne accontentato: Enrico<br />

aprì la finestra, mise il formaggio sul davanzale e il gabbiano<br />

se lo portò in cielo. Anche le farfalline pelose se ne<br />

volarono via. La casa, con le finestre aperte, si riempì dei<br />

borbottii che a lui piacevano. Guardò ancora la penombra<br />

delle ascelle di lei esposte al vento che ora attraversava<br />

l’appartamento, l’abbracciò finalmente allegro - ma<br />

era solo distratto - e lei lasciò fare contenta.<br />

28<br />

A mezzodì del giorno seguente Enrico e Battistino, terminate<br />

le discussioni miserabili di fine anno a scuola, tornavano<br />

a piedi verso casa fermandosi ogni tanto all’ombra<br />

di qualche alberello lungo le salite ripide che avevano<br />

conferito ai due quell’andatura curva che avvicina la testa<br />

al terreno per diminuire la fatica. Enrico aveva una classe<br />

di studenti ai quali aveva attaccato la malinconia. Gli allievi<br />

di Battistino invece erano dispettosi. Ma i due amici<br />

ora pensavano ad altro. Ciascuno era attento ai suoi pensieri,<br />

propenso a dare importanza alle proprie opinioni e<br />

ad aspettarsi il peggio dalle cose. Si fermarono sotto una<br />

palma.<br />

– Se una volta, una sola volta Melania mi avesse del tutto<br />

accontentato! – si lamentava Enrico. – Quando tutto<br />

andava bene… ecco, zac: l’obiezione. E si rovinava tutto.<br />

Obiettava a sorpresa. Anche quando era sposata è capitato<br />

due volte che ci vedessimo dopo tante storie… ed è andata<br />

malissimo… Ieri notte siamo stati insieme… abbiamo<br />

mangiato, ascoltato musica, lei ha fumato delle boccate<br />

celestiali, abbiamo discusso, discusso e ingarbugliato<br />

nodi che c’erano già e allora…<br />

Col respiro un po’ grosso l’amico rispose:<br />

– Enrico, è da più di trent’anni che mi parli di questi<br />

nodi, sempre degli stessi…<br />

– Hai ragione, hai ragione… ma non sono esattamente<br />

gli stessi… cambiano con gli anni…<br />

– Da fuori a me sembrano sempre gli stessi, Enrico.<br />

– Comunque hai ragione… così ti do il mal di testa.<br />

Parliamo d’altro.<br />

A Battistino piaceva spiegare sempre qualcosa:<br />

– Il commissario Glicerio! Un malato! Mettono a inve-<br />

29


stigare uomini che dovrebbero stare in ospedale. Ma i<br />

fatti non si modellano come vuole lui, i fatti non si cambiano.<br />

Enrico gli rovinò la spiegazione:<br />

– Cosa dici? Un nemico quell’uomo? È venuto perché<br />

doveva venire. E poi, tu eri indaffarato con altre persone<br />

la sera che hanno ammazzato quella povera Tebe Mistrè.<br />

Le unghie sporche di sangue trovate per terra non sono le<br />

tue; ti ha telefonato per confermarlo… – Poi lo pizzicò: –<br />

Sai cos’è? Forse tu hai rimorsi… con quella poveretta…<br />

– Quale poveretta?<br />

– Insomma con Tebe, voglio dire, chissà com’eri con<br />

lei…<br />

Battistino, non cascò nella provocazione. Si fermò appoggiandosi<br />

a un albero, poi guardò verso una finestra di<br />

via dei Collerici:<br />

– Senti questa chitarra? È Egeico Lago. Strumento da<br />

pigri… bravo, però.<br />

Poi guardò in alto, i cornicioni scrostati, il cielo senza<br />

una nuvola, chiuse gli occhi e sussurrò:<br />

– Che pace… sono a posto, sai, Enrico… mi sento a posto.<br />

Che bell’istante. Dovevamo sposarci noi due. Perdiamo<br />

tempo a classificare tutto… non ci ascoltiamo neppure<br />

mentre parliamo, proprio come marito e moglie… Io<br />

Tebe la cercavo per quella bella pelle salutare, come i fanghi,<br />

e le volevo anche bene quando ero lì in mezzo ai suoi<br />

merletti, mezzo asfissiato dai suoi deodoranti. Poteva nascondere<br />

microbi, peste, peccati, quello che vuoi, ma a<br />

me quella pelle piaceva. Casomai il problema era dopo,<br />

ma proprio subito dopo. Immediatamente dopo mi faceva<br />

schifo… dovevo farmi forza per non scappare, – alzò<br />

30<br />

la voce irritato. – Certo che vederla per l’ultima volta,<br />

morta, non lo avrei voluto per tutto l’oro del mondo. Sono<br />

le persone care che si vogliono vedere almeno l’ultima<br />

volta. Sì, lei non era una persona cara e non mi ricorda, a<br />

essere sincero, nulla di buono di me…<br />

Enrico aveva invidiato sin dall’adolescenza la sincerità<br />

di Battistino, una sincerità da lettino psicoanalitico, e<br />

aveva sempre pensato che quel modo crudele di esporre<br />

le cose evitava tanta sofferenza. Ma siccome era stato ad<br />

ascoltarlo, pensò di avere il diritto a parlare un po’ di Melania:<br />

– Certo, tutta la vita con Tebe… non ti immagino, – e<br />

mordicchiò di nuovo: – Ma devi riconoscere che Melania<br />

è di altre origini… il sangue è un altro…<br />

Battistino rise:<br />

– Il sangue di una razza fondatrice! Lo so, lo so… e sarà<br />

anche vero… Ma al tuo sangue non ci hai pensato? Da<br />

dove arriva il tuo sangue?<br />

Le loro discussioni, dopo un poco, inacidivano. Ma accadde<br />

qualcosa che modificò il solito procedimento.<br />

Enrico all’improvviso esclamò illuminato:<br />

– Da sempre abbiamo uno stemma con le pesche nel<br />

cortile del palazzo! Sì, pesche! È stato tuo padre a scoprire<br />

che si trattava di pesche e non di mele, visto che potevano<br />

confondersi. Anzi, per anni ho sempre pensato che<br />

fossero mele, mele araldiche, e invece erano pesche araldiche<br />

di chissà quale famiglia. Tuo padre diceva che si distinguevano<br />

dalle foglie. Aveva ragione il commissario a<br />

dubitare.<br />

Battistino aggrottò le ciglia:<br />

– Perché, Glicerio l’ha chiesto?<br />

31


– Ha chiesto che frutti erano quelli scolpiti nel marmo,<br />

ha chiesto proprio così… vedi che è uno attento, lo vedi?<br />

Egeico Lago smise di suonare la chitarra pigra. Enrico<br />

e Battistino si avviarono di nuovo verso casa.<br />

* * *<br />

Dopo pranzo il vento decise di spolverare il quartiere<br />

alto: case, alberi, bestie e uomini.<br />

Enrico socchiuse le finestre e si mise a lavorare all’opera<br />

che lo assorbiva da mesi: la faccenda dei bagni greci ritrovati<br />

a Talattone. Lui voleva calcolare il numero degli<br />

abitanti della città più di duemila anni prima a partire dai<br />

bagni.<br />

Seduto al computer era rammollito e si distraeva perché<br />

in quei bagni si immaginava Melania coperta solo di<br />

un lenzuolo bagnato dal vapore, nera di pelo e lucente.<br />

In quel momento sentì un profumo forte e inconfondibile<br />

di pesche mature.<br />

Spalancò la finestra, si affacciò e annusò l’aria in veranda.<br />

C’era un bel sole caldo che gli diede prurito. I suoi<br />

sensi riusciva a usarli, da qualche anno, con la concentrazione<br />

di chi sa che non era lontanissimo il tempo in cui li<br />

avrebbe persi e annusò ad occhi chiusi: non c’era odore<br />

di pesche fuori all’aperto.<br />

L’odore di pesche è in casa!<br />

L’odore diventò fitto, invase Enrico e lo impregnò sino a<br />

dare un segnale di allarme. Enrico corse a un’altra finestra.<br />

Nessun odore nell’aria, anche da questo lato!<br />

Corse in terrazza e annusò sino ad avere vertigini. Niente<br />

da fare, l’odore non lo porta il vento!<br />

32<br />

Scappò in camera da letto e ci si chiuse a chiave.<br />

Ma l’odore, anche se stava cominciando ad avere un<br />

corpo, passò tra porta e stipiti.<br />

Enrico si coricò e l’odore montò sul letto. L’odore si mise<br />

a fianco di Enrico lasciando, tanto era denso, il segno sul<br />

cuscino e sul lenzuolo, ma lui non guardò che forma avesse.<br />

Quando l’odore lo abbracciò Enrico non oppose resistenza.<br />

L’odore gli disse:<br />

– Stai impallidendo. Ora me ne vado. Stai tranquillo,<br />

torno, ma a te non posso, a te non posso… c’è tanto di<br />

quel sangue di mezzo.<br />

Enrico riprese a respirare normale; avrebbe voluto fargli<br />

domande, almeno chiedergli cos’era, se era un’anima,<br />

da dove arrivava, quanti anni aveva e che vita faceva. Ma<br />

l’odore sparì dalla casa.<br />

* * *<br />

Egeico Lago, sessantenne, aveva numerosi cognomi ed<br />

era frutto di avvicinamenti tra sangui sempre più acquosi.<br />

Con lui era possibile ricostruire un’anagrafe che rivelava<br />

quanto la forza della parentela si identifichi con la forza<br />

dell’accoppiamento benché molti credano il contrario.<br />

A Egeico, anche se la storia durava da vent’anni, la pelle<br />

ghiacciata della cugina Medina Xaxa faceva sempre ribollire,<br />

ma con bollicine, l’olio del cuore.<br />

Era l’uomo più pigro di Epipanormo e si era convinto<br />

che, siccome era attratto dall’arte e dalla storia, dovesse<br />

essere per forza sgombro dalle preoccupazioni di un lavoro,<br />

di una sveglia e di un orario. Anche l’espressione<br />

33


occuparsi d’arte era troppo forte per Egeico Lago. Preferiva<br />

dire che pensava all’arte aspettando che i pensieri gli<br />

germogliassero nella testa impollinata dal vento.<br />

Abitava in un piano alto in via dei Collerici.<br />

Enrico e Battistino erano saliti per invitarlo a cena al ristorante.<br />

Egeico Lago, sin dal tardivo risveglio pomeridiano, era<br />

pronto a uscire la sera e la notte. Era bianco come una<br />

candela.<br />

– Sono contrario a risparmiare le parole. Meglio qualche<br />

parola di troppo, la si può sempre togliere, ritirare.<br />

Ma i taciturni chissà quanta saggezza sprecano stando<br />

zitti, chissà di quante cose sarebbero capaci se parlassero…<br />

È una bella sera, il sole, per quante se ne sono dette,<br />

il sole, non fa per me… Dove andiamo?<br />

– Siamo in macchina, – rispose Enrico. – Se lei è d’accordo<br />

possiamo andare da Settimio al Precipizio. Lo so<br />

che da Epipanormo per lei non si dovrebbe uscire. Ma se<br />

chiude gli occhi, non vedrà nulla di Talattone, e quando<br />

saremo al ristorante la avvertiamo, così potrà riaprirli.<br />

– Non mi prenda in giro professor Ricasoli. Conosco<br />

bene Talattone. Prima è nata Talattone, è probabile, poi i<br />

migliori se ne sono venuti qui con la forza della mente: e<br />

facendo faticare uomini di razza inferiore alla nostra, abbiamo<br />

costruito questa acropoli! Ecco l’ascensore.<br />

Mezz’ora dopo erano ad un tavolo del ristorante sul<br />

precipizio di Sant’Eusebio. Vicini alla vetrata guardavano<br />

le luci della città, tremolanti per l’umido.<br />

– Le pesche nella storia di Epipanormo? Che domanda<br />

mi fate?<br />

34<br />

Battistino conosceva i tempi mentali di Egeico Lago sin<br />

dal Liceo, quando Egeico era stato insegnante supplente<br />

di storia dell’arte per poco tempo: aveva rinunciato dopo<br />

una settimana e si era ritirato nel suo appartamento a farsi<br />

inseminare la testa dalle idee. Perciò Battistino era deciso<br />

a guidare l’ozioso indisponente verso quello che interessava<br />

loro due:<br />

– Vorremmo solo sapere se lei, che è considerato un sapiente<br />

delle cose di Epipanormo, è a conoscenza di qualche<br />

fatto nella storia del quartiere.<br />

Enrico aggiunse:<br />

– Per esempio: lei conosce una famiglia che aveva uno<br />

stemma con due pesche e due spade incrociate su uno<br />

scudo, pesche araldiche?<br />

– Sapere se lei è a conoscenza, – proseguì infastidito<br />

Battistino, – di fatti che comunque sono in relazione alle<br />

pesche. Tutto qua.<br />

Egeico disse irritando i due amici:<br />

– Che cos’è questo vino bianco?<br />

– È Mèlico secco, professore.<br />

In ogni modo, comunque Egeico mettesse mano a<br />

un’attività o a una discussione, era capace di trasformarla<br />

in ozio che lui riteneva produttivo. Battistino se ne accorse<br />

e riprese il timone:<br />

– Le pesche, le chiedo, hanno mai avuto importanza nella<br />

nostra città? Noi abbiamo scartabellato, siamo insegnanti,<br />

lei lo sa, e quindi scartabelliamo. Dal milleottocentodue<br />

non abbiamo trovato notizie sulle pesche, di<br />

nessun tipo.<br />

Egeico, visto che gli erano stati sottratti i suoi argomenti,<br />

finse di cercarne altri:<br />

35


– I miei allievi, allievi per poco tempo, mi dicevano che<br />

avevo una faccia da psicopompo.<br />

– Da psicopompo? Si può dire quello che si vuole di<br />

una faccia, – disse Enrico.<br />

Battistino sentiva la bile in gola:<br />

– Lei non deve dire cose del genere, non deve dirle…<br />

Dove trova le parole? E poi, che uso ne fa?<br />

Allora Egeico, forse per effetto del vino, forse per effetto<br />

del rombo al forno, disse la verità:<br />

– Non so cosa dirvi, non lo so proprio. Devo aspettare<br />

delle idee. Mi viene solo in testa qualcosa sull’albero infelice,<br />

qualche leggenda su un albero infelice… devo aspettare.<br />

Magari era un pesco.<br />

La cena fu breve perché Egeico Lago era a disagio fuori<br />

di casa e ancora di più fuori del quartiere, perché Battistino<br />

era irritato ed Enrico intristito per contagio dalla disgraziata<br />

pigrizia di Egeico.<br />

Quando arrivarono al portone dello studioso astenico<br />

il vento era caduto chissà dove e il cielo si era sporcato di<br />

qualche evaporazione che arrivava dal basso.<br />

36<br />

Il cimitero di Talattone era in riva al mare, sopra altri<br />

tre cimiteri: un cimitero, sommerso dall’acqua salata dove<br />

si erano disintegrati i greci, un secondo sulla sabbia<br />

dove riposavano polverizzati i romani, un terzo sul tufo,<br />

con morti di razza recente.<br />

Morire d’estate è diverso dalle altre stagioni. C’è in giro,<br />

col caldo, gente meno interessata, anche se il cadavere,<br />

col caldo, è più cadavere e manifesta più velocemente<br />

la propria tendenza. Il dolore c’è ma il caldo non conserva<br />

a lungo neanche il dolore.<br />

Tebe Mistrè, sigillata dalla sera precedente e in procinto<br />

di sparire anche dai ricordi, era nella sala bianca del cimitero<br />

insieme alle altre salme.<br />

Alle dieci arrivò qualcuno che, a mani giunte, si affiancò<br />

alla bara di Tebe dopo aver letto il cartellino bianco<br />

con il nome di lei.<br />

Era una mattinata luminosa, il mare verde e il cielo ventoso.<br />

Dopo mezz’ora c’era, intorno al feretro, una decina di<br />

persone tra cui il commissario Glicerio, Enrico e Battistino.<br />

L’occhio del poliziotto era rosso come un sole minore<br />

irritato dal vento e ad Enrico, in quella sala senza speranza,<br />

sembrò un’escrescenza velenosa:<br />

37


– Commissario, come si sente? – domandò fissando il<br />

globo rosso.<br />

– Brucio, brucio alla velocità del… – non gli venne il<br />

paragone in quel luogo dove c’erano persone che non<br />

bruciavano più nulla, – insomma, più veloce degli altri. E<br />

lei, professor Mattiolo, come si sente? Io non so se farle le<br />

mie condoglianze.<br />

Battistino era ostile ma melanconico:<br />

– Vorrei stare zitto, commissario. Sa, una volta facevo<br />

dello spirito ai funerali, da qualche anno la voglia di<br />

scherzare mi è diminuita. Alla fine sparirà.<br />

La spiegazione bastò al commissario che puntò l’occhio<br />

da altre parti.<br />

C’era anche la vicina cinghialesca di Tebe con la bocca<br />

dipinta oltre le labbra sino alle guance:<br />

– Non me lo sarei mai immaginato, professore, – mugolava<br />

rivolta a Battistino che, vestito di lino blu, era più alto<br />

e importante del solito. – L’hanno tagliata come un<br />

animaletto… Che bella pelle aveva, se la ricorda, no? Ma<br />

non la difendeva nessuno! Chiunque poteva farle male!<br />

Battistino non la guardava neppure, era rivolto verso il<br />

cono di luce dell’ingresso, e pensava un’orazione funebre<br />

privata:<br />

“Tebe, povero lumicino, merlettaia nata. Sapone, sapone<br />

e deodoranti, ma cosa strofinavi e deodoravi, cosa?<br />

Buona prima e disgustosa poi. Quell’odore di borotalco<br />

che mi rimaneva addosso per ore. E non c’era doccia,<br />

non c’era immersione né disinfestazione che me lo togliesse…<br />

La mia penitenza: dovevo aspettare la voglia<br />

successiva. Valevi un’oretta… Tebe, scusa, ma era così…<br />

almeno io ricordo così.”<br />

38<br />

La vicina di casa, allora, si rivolse ad Enrico e gli alitò<br />

all’orecchio:<br />

– Lei è un avvocato? Da Tebe ci andavano persone di<br />

tutti i tipi… lei è avvocato?<br />

Enrico si spaventò e cercò aiuto, ma Melania era fuori<br />

al sole:<br />

– Non sono avvocato.<br />

La donna alitò ancora più forte:<br />

– Era anche lei uno dei suoi amici?<br />

– No.<br />

Lei allargò la bocca rossa da pagliaccio e battendosi la<br />

pancia gridò:<br />

– Lei non la conosceva. Adesso non la conosce nessuno.<br />

Le hanno tolto il sangue sino all’ultima goccia…<br />

scannata e abbandonata… e non la conosce più nessuno.<br />

Enrico si spaventò ancora di più e sentì il bisogno di appoggiarsi<br />

a qualcosa:<br />

– Siamo qua, non è una morta abbandonata, signora.<br />

Ecco.<br />

Quella aveva l’alito di un drago:<br />

– Succhiata e abbandonata come l’immondezza!<br />

Enrico trovò un carrello d’acciaio per il trasporto delle<br />

bare dove appoggiarsi ma le vertigini aumentarono. Si<br />

scusò e, spingendo ed appoggiandosi al carrello, cercò<br />

l’uscita dalla sala inseguendo il sole e il vento che muoveva<br />

gli alberi.<br />

Nel piazzale riuscì a stare in piedi per un attimo. “Qui<br />

si cammina sui morti, strati di morti… Terra nuova, voglio<br />

terra nuova.”<br />

Vide i colori cambiare, si sentì il cuore come quello di<br />

una lucertola, vide Melania che parlava con un uomo di<br />

39


carbone che aveva un occhio enorme, riconobbe Glicerio<br />

e svenne guardando il cielo.<br />

* * *<br />

Enrico era così, affrontava le cose concentrandosi su una<br />

sola, non si sforzava di metterle insieme e di sistemare tutto<br />

in armonia. Il suo paesaggio olfattivo ormai era invaso<br />

dall’odore delle pesche mature. Quell’odore di pesca gli<br />

sembrava di importanza straordinaria ma senza sapere<br />

perché. Perfino mentre sveniva in cimitero l’aveva sentito.<br />

L’unico odore che poteva spiazzare quello delle pesche<br />

era quello di Melania ed era stato l’odore di lei a farlo rinvenire.<br />

Ma da tre giorni lei non si faceva vedere ed Enrico<br />

non l’aveva cercata perché non si sentiva forte abbastanza.<br />

Egeico Lago si era chiuso da qualche giorno a casa della<br />

cugina Medina Xaxa, chiuso e catturato da lei che usciva<br />

raramente.<br />

Medina era una donna triste, un essere del paese del<br />

dolore. Però, quando ospitava Egeico, smetteva di dormire<br />

dentro la culla del figlio morto, dove tutte le altre<br />

notti giaceva respirando pesante per i sonniferi e tenendosi<br />

stretta alle sbarre. Quel figlio, si diceva fosse stato<br />

proprio figlio di Egeico Lago.<br />

Nonostante il dolore da amputazione per la perdita,<br />

Medina era interessata a vivere.<br />

Come Egeico era dissanguata da incroci tra parentele<br />

vicine. Una donna clorofillica, alta e con un bel naso. Veniva<br />

alla mente, vedendola, l’idea di una razza indebolita<br />

da radiazioni, alimentata solo con acqua e foglie. Ma a<br />

40<br />

differenza di Egeico, che lei aveva scelto di frequentare<br />

ad accessi, per pochi giorni al mese lontani dalle sue ovulazioni<br />

fiacche, era attiva e attenta. Solo al tramonto veniva<br />

presa da una malinconia che spegneva la sua vitalità da<br />

bambola. E allora era impressionante vederla, con le occhiaie<br />

improvvise, ritornare a casa precipitosamente.<br />

Era cugina lontana di tante persone e anche di Enrico<br />

che la chiamava “la mia cugina del crepuscolo” e le voleva<br />

bene.<br />

* * *<br />

Un sabato che Enrico aveva deciso di andarsene allo<br />

stabilimento marino della Grotta di Panope, mentre<br />

scendeva leggero le scale, trovò nell’atrio del palazzo un<br />

giovane appoggiato allo stipite del portone col gatto portinaio<br />

tra le braccia.<br />

Lo salutò:<br />

– Buongiorno! Che aria ad Epipanormo oggi! Il mare<br />

ci manda messaggi! Sono Enrico Ricasoli, e abito in questo<br />

palazzo.<br />

L’uomo posò il gatto sulle mattonelle calde e se ne andò<br />

con un bel passo pneumatico da ragazzo verso la discesa<br />

sollevando un braccio in segno di saluto.<br />

Alle narici di Enrico arrivò un buon odore di pesche.<br />

Non si preoccupò e realisticamente si disse:<br />

– Narici noiose, sentono dappertutto lo stesso odore!<br />

Arrivò al gabbiotto della funicolare. Con lo stesso motore<br />

una funicolare saliva e l’altra scendeva, perciò c’era<br />

sempre un punto nel quale le due cabine si sfioravano e<br />

chi discendeva vedeva le facce di chi risaliva.<br />

41


Nella saletta della funicolare Enrico leggeva un librettino<br />

che gli alunni gli avevano regalato e pensava: “Allievi<br />

avari, figli di avari.”<br />

Stava per condire il pensiero quando gli chiesero:<br />

– Vai al mare Enrico?<br />

Era Medina Xaxa che, nel punto più oscuro della biglietteria,<br />

leggeva anche lei un libretto. Medina, con la luce<br />

delle vetrate, era più clorofillica del solito ma il suo fogliame<br />

era in tempesta:<br />

– Enrico, oggi vado a cercare il sole. Certo, dovrò starmene<br />

un po’ all’ombra, ma ho desiderio della luce. Luce,<br />

capisci? Enrico leggi il libro al contrario, dalla fine?<br />

– Mi capita quando sono ansioso. D’altronde, cugina,<br />

un quadro non lo guardi iniziando dalla parte che vuoi?<br />

Io faccio così anche coi giornali.<br />

– Beh, anche un quadro ha il suo inizio, cugino. Si incomincia<br />

a guardarlo dal centro, non dagli angoli.<br />

Medina non era come sempre e dall’angolino in ombra<br />

dove si trovava proveniva un’energia da sottobosco insolita<br />

per lei.<br />

La teleferica si poggiò ondeggiando sulla pensilina d’acciaio.<br />

Enrico e la cugina montarono.<br />

– Sai che soffro questi ondeggiamenti, Enrico?<br />

– Oh, è il sistema dell’equilibrio che nelle persone sensibili<br />

funziona così. È un aggeggino delicato che mi ha fatto<br />

vedere in un disegno il mio collega di scienze. Sono tante<br />

le cose che lo influenzano. Pensa che ieri una donna, una<br />

specie di cinghialessa, senza farmi ondeggiare, senza spinte,<br />

solo con le parole, mi ha fatto perdere l’equilibrio e sono<br />

svenuto.<br />

– Tu sei sempre svenuto con facilità.<br />

42<br />

Medina alla luce brillava e un brio insolito, breve come<br />

il magnesio dei fotografi, la animava seduta sulla panca di<br />

legno della teleferica:<br />

– Si sono mai toccate le due teleferiche? Intendo, si sono<br />

mai scontrate quella che sale con quella che scende?<br />

Enrico non ci aveva mai pensato e di nuovo sentì scosso<br />

il suo equilibrio:<br />

– No, no, mai. Non credo che sia possibile. Quando c’è<br />

molto vento non le fanno viaggiare.<br />

Erano già sopra Talattone e le mura candide di Epipanormo<br />

erano lontane in alto. Man mano che scendevano,<br />

la muraglia azzurra del mare appariva più bassa e più vicina.<br />

Il conducente azionò il morso dei freni. La teleferica<br />

ondeggiò, rallentò e con la lentezza di un aquilone approdò<br />

a Piazzale dei Naviganti.<br />

Arrivarono col tramvai agli ombrelloni bianchi della<br />

Grotta Di Panope alle dieci.<br />

Pochi minuti dopo Enrico aveva convinto Medina a<br />

togliere l’accappatoio e ad entrare in acqua. Lei si era cosparsa<br />

di una crema biancastra e lui aveva notato le natiche<br />

appuntite che mai avrebbe immaginato nella cugina.<br />

Gli scogli della Grotta di Panope erano di tufo. Medina<br />

era abbagliata da tutto quel chiarore ed Enrico era stupito<br />

dalla forma della donna che sembrava aver trascorso la<br />

vita a nascondere tutto, e il viso gli sembrava, tolto dall’oscurità,<br />

un insieme di particolari messi bene a suonare insieme.<br />

– Perché sei venuta al mare, Medina?<br />

Lei si allisciava le gambe con sospiretti perché il sole la<br />

pizzicava:<br />

– Sai, da ieri non dormo più nella culla del bambino.<br />

43


Enrico non capì ma comprese che qualcosa di grande<br />

passava nella testa della cugina e si affrettò a dire:<br />

– Non parliamone. Non si può parlare di tutto. Non<br />

parliamone, ho fatto una domanda che non dovevo fare.<br />

– È morto di debolezza… non doveva nascere… non<br />

doveva…<br />

Medina sorrise e si addormentò sulla sdraio, stanca per<br />

tutta quella luce.<br />

Aspettavano la teleferica per il ritorno. Medina parlava<br />

del pranzo, di cibo che le avrebbe fatto sangue e della<br />

bellezza che le donne di Epipanormo, tutte, possedevano,<br />

magari nascosta anche solo in un angolino del corpo.<br />

Spettava a uno, e non a chiunque, la scoperta.<br />

– Eh, io sono uno qualunque, cara Medina, però oggi ti<br />

ho vista bene, con un’attenzione da copista. – Enrico era<br />

galante senza difficoltà con le donne che non erano Melania:<br />

– C’è da passarci anni a ricopiarti, cugina.<br />

– Egeico mi ama. Io lo tengo lontano: lui non ha forza.<br />

D’altronde neanche io ho tanta forza, sai? Però imparerò<br />

ad usare quella che ho: in fondo ho solo trentasette anni e<br />

lui quasi sessanta.<br />

Montarono sulla teleferica. Si sentivano spossati dall’acqua<br />

salata e dal sole. Pensavano al vino, al cibo e al<br />

sonno pomeridiano con le tende accostate. Tacevano e<br />

Medina prese sottobraccio il cugino per sostenersi visto<br />

che c’erano solo posti in piedi: – Mi tengo qua, così mi<br />

godo questo capogiro, questo ondeggiare. Che bello, che<br />

bello…<br />

Avvenne a metà del percorso, dove, di solito si incontra-<br />

44<br />

vano le due cabine, quella che scendeva e quella che saliva.<br />

Enrico si allarmò quando sentì l’odore di pesca: prima<br />

lontano, poi più vicino, poi ancora più vicino.<br />

Medina si rallegrò:<br />

– Che buon profumo! Guarda devo avere le guance come<br />

due pesche per il sole! Profumano!<br />

Le due teleferiche erano l’una accanto all’altra. I due<br />

conducenti si salutarono.<br />

Fu un vortice piccolo e venuto dal niente che tutti videro.<br />

La porta si aprì nel vuoto e il vento entrò.<br />

Medina scivolò fuori per metà.<br />

Enrico, in silenzio, afferrò la cugina per i polsi e riportò<br />

il tronco di lei sul pavimento della cabina, lasciando le<br />

gambe fuori. L’odore di pesche diventò un tanfo ma nessuno<br />

ci badò.<br />

Le due cabine ondeggiarono l’una verso l’altra e la gente<br />

gridò: – Oooh!<br />

Medina guardando in basso sospirò solo: – Ah!<br />

La cabina che discendeva si prese in silenzio la metà inferiore<br />

di Medina e tutti videro precipitare verso Talattone<br />

un bacino con due gambe sgangherate.<br />

La metà superiore restò nella cabina e a Medina fu sufficiente<br />

per sospirare ancora:<br />

– Tirami sopra, non voglio che anche questa metà vada<br />

giù… mi è rimasta la gonna, vero?<br />

Enrico sentì la cugina leggera, che pesava come un bambino,<br />

e la trascinò senza fatica al centro della cabina che,<br />

intanto continuava a salire. Tutti tenevano la faccia girata<br />

salvo Enrico che fissava il viso di lei con le improvvise occhiaie<br />

infinite.<br />

45


Sbatté la faccia sul linoleum e morì.<br />

Il bacino e le gambe di Medina caddero alle pendici<br />

delle mura impigliandosi a un bel pino. La parte inferiore<br />

di Medina spettò al quartiere più basso. Lei non si era lamentata<br />

perché era troppo grande la cosa che le era capitata.<br />

Era verde come un germoglio.<br />

* * *<br />

Un’ambulanza portò la metà superiore a ricongiungersi<br />

con quella inferiore all’obitorio di Santa Vincolata.<br />

Un’altra ambulanza condusse invece, più tardi, Enrico<br />

a Villa Teresina, tra gli abeti, in montagna, perché quella<br />

storia lo aveva fatto correre a casa dove aveva ingoiato un<br />

pugnetto di sedativi. Così Melania Lampreda lo aveva<br />

trovato mentre dormiva e piangeva insieme, e, sempre<br />

addormentato, l’avevano caricato e trasportato in clinica.<br />

* * *<br />

L’ex convento di Santa Vincolata era adatto, con tutte<br />

le cellette basse, ad ospitare salme che ricevevano luce da<br />

una finestrella quadrata.<br />

Glicerio aveva quella mattina successiva alla disgrazia<br />

l’occhio rasserenato dai farmaci. Sporgeva, sì, ma senza<br />

flussi esagerati. Inoltre, davanti a Medina Xaxa le cui metà<br />

erano state riunite, l’occhio si ritirò ulteriormente nella<br />

sua naturale cavità.<br />

– Chi l’ha ricomposta così? – Domandò a Bombòi sollevando<br />

il lenzuolo e guardando sotto: – È un capolavoro!<br />

Nessuno potrebbe immaginare!<br />

46<br />

Il sovrintendente, che aveva già controllato anche lui,<br />

fece un passo in avanti tenendo le mani dietro la schiena:<br />

– È stato il dottor Malagrida. L’hanno come incollata,<br />

con una specie di mastice che usano anche per i vivi… ha<br />

visto? È rimasta solo una linea grigia.<br />

Glicerio continuò a osservare Medina Xaxa.<br />

Il cono di luce che entrava nella cella era rassicurante<br />

perché, mettendo la mano dentro la luce, si sentiva un tepore<br />

da vivi che consolava.<br />

Glicerio rifletteva:<br />

– Aumentano i dubbi, fermentano i fatti, come sempre.<br />

Possibile che le cose passino attraverso quel piagnone di<br />

Enrico Ricasoli e quel Battistino Mattiolo? La sicura della<br />

portina della teleferica è comandata dal macchinista…<br />

eppure si è aperta! E ancora quell’odore di pesche!<br />

L’hanno sentito tutti.<br />

In quel momento bussò Egeico Lago.<br />

Era un’abitudine di Glicerio investigare col morto recente<br />

e, meglio ancora, presente: tutti diventavano, secondo<br />

questa sua idea, più vulnerabili. Diceva sempre<br />

che la prima reazione rivelava tutto di una persona ed era<br />

addirittura inutile andare avanti con interrogatori e processi.<br />

L’indiziato si mette a ragionare, a pensare cosa è meglio<br />

o cosa è peggio per lui, e allora addio verità.<br />

Egeico non disse una parola. Chiese con un gesto che<br />

venisse spostato il lenzuolo dal volto di Medina e cercò un<br />

punto nella cella da dove poterla vedere di profilo. Lo<br />

trovò e lì si sedette a guardarla. Anche Glicerio gli si sedette<br />

accanto e osservò il profilo della morta.<br />

– Guardi bene, dottor poliziotto. Questo è un profilo<br />

che non è mai stato esibito! Eppure, se lei studia i profili<br />

47


di Epipanormo o i ritratti di donne del nostro quartiere<br />

alto, questo profilo, da secoli, li contiene tutti: è un miracolo!<br />

Tutte le altre facce sono nate da questa! C’è tutta la<br />

nostra razza davanti a lei… quel nasino è tutti i nasini,<br />

quel mento è tutti i menti e quella fronte è tutte le fronti…<br />

Bombòi si commosse pensando a sua figlia che aveva<br />

preso il naso della madre che era stato del nonno e prima<br />

ancora di tanti altri. Glicerio trovò bellissimo questo discorso<br />

funebre e l’occhio ricominciò a fiammeggiare:<br />

– Professor Lago, perché Medina Xaxa aveva deciso di<br />

andare al mare? A detta di chi la conosceva non ci andava<br />

da quando era bambina.<br />

La domanda non fece girare Egeico Lago che continuava<br />

a fissare il profilo di Medina:<br />

– Commissario, Medina dormiva nella culla del figlio<br />

morto, lo sapeva? Una culla di metallo con le sbarrette, ci<br />

avrà dormito anche lei da piccino…<br />

– Sì, ne ho avuta una così sino a cinque anni.<br />

– Beh, Medina ci dormiva da molto tempo… Però da<br />

tre giorni aveva ripreso a dormire da sola nel letto matrimoniale.<br />

Inoltre, ho visto a casa sua cose mai viste prima.<br />

– Cioè?<br />

– Fondo tinta, profumi, mascara, creme da donna…<br />

Mai viste!<br />

Egeico si voltò verso il commissario, sobbalzò per l’occhio<br />

infuocato che gli sembrò un ex voto e continuò:<br />

– Era successo qualcosa. Aveva anche ripreso a ballare.<br />

Gliel’ho chiesto e sa cosa mi ha risposto mentre danzava<br />

il Valzer dei Glicini?<br />

– Cosa le ha risposto? – chiese Bombòi.<br />

– Beh, mi ha detto che la prova che si poteva continuare<br />

48<br />

a vivere, ma proprio a vivere, l’aveva avuta perché aveva<br />

capito che Fabiano ci poteva essere ancora.<br />

– Fabiano? Il figlio morto? – domandò il sovrintendente.<br />

– Sì. Allora ho pensato che si era ribellata al cilicio, perché<br />

quel lettino era il cilicio di Medina. Ma ora penso che<br />

la gioia è un pericolo, commissario…<br />

– Quindi non era una che pensava al suicidio, secondo<br />

lei? Ma cosa voleva dire che Fabiano ci poteva essere ancora?<br />

– Non lo so, però sembrava contenta, come mai era stata…<br />

Non so esattamente cosa passasse nella sua testa, era<br />

chiusa e senza serratura, ma era felice e cominciava a usare,<br />

uno alla volta, tutti i suoi sensi. Più in là, giacché era<br />

una donna intelligente, avrebbe imparato a usarli tutti insieme.<br />

Bombòi sussurrò piano piano all’orecchio del commissario:<br />

– Dottore, deve prendere la pastiglia, sennò esce di senno<br />

come l’altro giorno che se l’è dimenticata.<br />

Glicerio strinse la mano molle di Egeico. Si segnò con la<br />

croce. Contemplò il profilo di Medina per l’ultima volta.<br />

Pensò che tutta questa dolcezza era stata dolce per poco<br />

tempo. Guardò Egeico, curvo, spettinato, e con il colletto<br />

della camicia sporco: “Cosa c’entrava con Medina quest’uomo?<br />

Però… quel naso… quel naso dice qualcosa, è<br />

vero: un nasino dominante.” Si palpò l’occhio ribelle, ingoiò<br />

la pastiglia e se ne andò.<br />

* * *<br />

Battistino, coricato sul divano, al buio, le finestre aper-<br />

49


te, sentiva la musica dell’appartamento di sopra a occhi<br />

chiusi. Scosso ma lucido, in mutande ma dignitoso.<br />

Il suo amico era ancora ricoverato e dormiva da due<br />

giorni; era Melania Lampreda che ascoltava musica a casa<br />

di Enrico: “Beato lui,” pensò Battistino. “Riesce sempre a<br />

scappare… non ce la fa a stare al mondo quando c’è da<br />

soffrire… E Melania che lo ama soprattutto quando non<br />

c’è! Mah, forse è meglio così! E quel commissario? Mai<br />

che gli si senta un ragionamento, un’ipotesi, una domanda<br />

intelligente…”<br />

Pensava ai fatti degli ultimi giorni in ordine di orrore e<br />

non sapeva bene se più orrenda fosse stata la morte di Tebe<br />

Mistrè o quella di Medina Xaxa. “Tagliate, l’una e l’altra<br />

tagliate, in modi diversi. E questa storia delle pesche…<br />

Perfino il cane è un morto alla pesca…”<br />

Era un uomo duro ma provava una debolezza addosso<br />

che lo innervosiva: tutta quella morte devastava anche lui.<br />

“Morte pelosa!”<br />

Battistino odiava le medicine, specie quelle che servivano<br />

per funzioni normali come il sonno, ma quella notte ne<br />

avrebbe voluta una, di nascosto, senza che nessuno sapesse<br />

i fatti suoi.<br />

C’era luna piena e la luce della stanza era blu, vedeva<br />

bene le ombre familiari dei mobili. Si alzò e si guardò intorno<br />

e disse a voce alta: – La luna oggi sparge bianco a<br />

Epipanormo anche dentro le case.<br />

Vide una nube, un vapore, un velo passare nella finestra<br />

e cambiare la faccia della luna. Si affacciò: il gatto portinaio<br />

passeggiava sotto casa, avanti e indietro. La musica<br />

di Melania cessò.<br />

Quando si voltò una cosa nel soggiorno era cambiata:<br />

50<br />

tutti i profili della stanza erano uguali salvo che sul divano,<br />

dove prima c’era lui, ora c’era una bella figura, blu come<br />

tutto il resto, che lo guardava.<br />

“È vapore entrato nella camera!” pensò.<br />

Desiderò di scappare: quell’ombra era contro tutto<br />

quello che la sua testa aveva pensato in quarantotto anni,<br />

e non poteva esserci. Ma lui ai sensi credeva, a cosa doveva<br />

credere sennò? Guardò ancora.<br />

“Il vapore può prendere qualsiasi forma, ma non resta<br />

fermo a guardare, le finestre sono aperte…”<br />

Quella forma, ancora più blu, si mosse e Battistino sentì<br />

la paura del condannato:<br />

– Cosa vuoi?<br />

– Sto rimettendo le cose a posto, Battistino Mattiolo. Le<br />

rimetto come si deve… in bell’ordine… vedrai.<br />

Anche Battistino, senza vergogna, ma solo perché era<br />

l’unica soluzione, svenne perché non voleva vedere e sentire<br />

di più.<br />

Cadendo sentì un denso, rappreso, nauseante odore di<br />

pesche mature.<br />

51


II<br />

Dagli spalti delle mura bianche di Epipanormo le sentinelle<br />

gridano l’ora agli abitanti e sudano indolenzite dentro<br />

le armature arroventate. Tra le giunture di ferro comincia<br />

a infilarsi l’aria fresca dei monti e il metallo si raffredda.<br />

A casa Redenti, come in tutte le case dei ricchi, sanno<br />

come difendersi dal caldo:<br />

– Quando arriva il ghiaccio dalla montagna, Sertolino?<br />

Sertolino, raccoglie piatti e bicchieri sparsi per la terrazza<br />

illuminata dalle torce e dalla luce rossa del sole che<br />

tramonta:<br />

– Come volete che arrivi, signore? Andrò io a dorso di<br />

mulo quando avrò messo in ordine quello che voi avete<br />

messo in disordine… Studiate giorno e notte l’ordine del<br />

cielo, ma qui in terra, quello che mettete, è disordine…<br />

Posso tenermelo questo mezzo boccale di vino? L’astrolabio<br />

lo lascio qua, tanto ve lo portate voi nel frutteto…<br />

Il giovane non ci bada al suo servitore:<br />

– I baci dell’addio… ecco!<br />

Poi, al servitore che si ferma ad ascoltarlo:<br />

– Ma ti pare, Sertolino, che basti dire addio alle cose e<br />

le cose diventano inesistenti? Credi che se uno si allonta-<br />

53


na da una cosa questa cosa non esiste più? – si alza di<br />

scatto, guarda il cielo estivo di Epipanormo, stelle e astri<br />

lucenti e pensa all’altra metà del mondo al sole.<br />

Da casa Redenti si vedono i galeoni nel porto e anche<br />

uno che arriva, con le vele sanguigne al crepuscolo, e a lui<br />

il mare, questa sera, sembra un’immensa palude.<br />

Il colpo di cannone segna il tramonto e l’ora del riposo<br />

per tutti in città.<br />

Sertolino discende in cucina senza rispondere alla domanda<br />

e consegna le stoviglie ad Amelina, la sguattera<br />

dal naso un po’ porcino che però a lui piace, anche se<br />

dorme in un angolo della cucina dove le pulci considerano<br />

Amelina una riserva infinita di cibo buono.<br />

– Senti, pensaci tu. Io parto per monte Morrone a cercare<br />

ghiaccio. Ghiaccio in agosto! Accidenti a chi gli ha<br />

insegnato a leggere e scrivere… Così ricco, non ne aveva<br />

bisogno di leggere e scrivere… Meno male che c’è questa<br />

luna che sembra una mamma anche se il sole non è ancora<br />

scomparso… A proposito, Amelina, guarda che bel<br />

tramonto…<br />

Amelina, zitta, prende piatti e bicchieri e sparisce nella<br />

luce dorata della cucina da dove esce un soffio caldo di<br />

arrosto e carbone. Sertolino, la guarda. È pelosa, ma questo<br />

collo carnoso gli muove il sangue sino alla punta delle<br />

dita e pensa che a toccarla deve essere come l’uovo sodo.<br />

E poi, quando lei sorride, si muove tutto intorno e la fuliggine<br />

della cucina sembra un mantellino di seta. Sertolino<br />

riempie una zucca col vino, guarda la zucca pensando<br />

alle cose di Amelina, lega il mulo al carretto, assicura l’archibugio<br />

alla sella, monta e esce, meno vivace del solito,<br />

dal grande portale. Partire al tramonto è necessario, c’è<br />

54<br />

troppo caldo durante il giorno per trasportare il ghiaccio,<br />

ma Sertolino inizia ad avere paura quando gli chiudono<br />

alle spalle la grande porta settentrionale di Epipanormo e<br />

ritirano il ponte levatoio.<br />

Guglielmino dei Redenti ha ventisette anni, alto, elastico<br />

e un po’ curvo per l’umore melanconico, la pelle come<br />

la cera, per nobiltà, ma le guance rosse per natura, i capelli<br />

lisci e neri, gli occhi arrivati da oriente, le mani belle<br />

che molte donne di Epipanormo si immaginano addosso<br />

alla ricerca della propria pietra filosofale.<br />

Il terrazzo di Casa Redenti da un lato dà sulle mura di<br />

Epipanormo e dall’altro lato sul frutteto, circondato da<br />

muri alti.<br />

Il frutteto è di piante di pesco che il padre di Guglielmino<br />

ha piantato alla nascita del figlio.<br />

Al centro c’è l’osservatorio del giovane Guglielmino:<br />

una cupoletta di legno con una grande apertura sull’apice.<br />

Tutti gli alberi sono carichi di frutti e il profumo è tanto<br />

forte che l’aria si muove pesante.<br />

La luna è davvero una mamma questa sera e riempie la<br />

testa di Guglielmino che suda: ha bevuto troppo vino di<br />

Talattone, un vino salato che lo stordisce dalla prima boccata.<br />

È coricato, sui gradini dell’osservatorio, perso tra rette<br />

e volute che traccia nel cielo stellatissimo. Sa dividere il<br />

tempo: non ha bisogno che glielo segni il colpo di cannone<br />

al tramonto: gli basta la luna e qualche astro. Col sole,<br />

poi, è ancora più facile.<br />

“Non finirò più, ce n’è troppe… non le conterò mai e<br />

55


non saprò mai dove stanno esattamente! Segnarle tutte!<br />

Io ho solo un miserabile lenzuolo nero dove ogni giorno<br />

aggiungo un puntino bianco e gli do un nome… Sono un<br />

disgraziato! E quelle che vedo una volta sola? Come le<br />

conto? E quelle che passano per un istante? Sono un disgraziato,<br />

ecco! Ecco…”<br />

Come i bambini offesi: Ecco.<br />

Si versa un altro bicchiere di vino e lo ingoia in una<br />

volta.<br />

“E quelle che non vedo quante saranno? Arrivo a un<br />

palmo del mio naso col cannocchiale… Quelle vorrei<br />

contare, che nessuno è mai arrivato a contare…”<br />

Accende le candele all’interno dell’osservatorio, guarda<br />

il suo planetario nero con pochi puntini bianchi e gli<br />

sembra così povero rispetto al cielo vero sulla sua testa<br />

che si arrabbia ancora di più e lo getta in terra.<br />

“E cosa dovrei fare? Mettermi a guardare l’orto e contare<br />

le foglie? E non faccio parte di tutto questo che mi<br />

sta sulla testa? Le foglie e le stelle non si contano, si guardano…<br />

Così si usa la testa per contemplare e non per dare<br />

giudizi sul creato facendolo a pezzettini sempre più<br />

piccoli… Ecco.”<br />

Raddrizza la schiena.<br />

– E no! Avrà pure una misura questo cielo!<br />

Il vino tossico di Talattone gli fa calore nel cervello e<br />

pensa a voce alta:<br />

– È una forza sola che lo muove e fa muovere anche me.<br />

L’infinito sono io e mi riconosceranno…<br />

Qualche settimana prima ha annotato, mettendo poi<br />

l’idea in versi, che tutte le energie si assomigliano.<br />

Lo ha ispirato un’adolescente: Medina degli Xaxa, per la<br />

56<br />

quale ha provato un rimescolamento mai provato prima,<br />

una specie di eruzione, quando l’aveva vista passare per<br />

strada lasciando una scia e Medina gli era sembrata una<br />

cometa.<br />

Cerca i versi che ha nascosto, li rilegge e straccia il foglio.<br />

La stessa tempesta tra pianeti ha colpito Medina degli<br />

Xaxa e anche lei aveva visto una scia che seguiva Guglielmino.<br />

Medina aveva smesso ogni attività: non cuciva più, non<br />

leggeva più, non passeggiava più - non guardava più gli altri,<br />

ci guardava attraverso. Il suo sguardo attraversava anche<br />

le pareti della casa, poi quelle della villa di Guglielmino<br />

dei Redenti, poi il frutteto di pesche e arrivava, proprio<br />

come un raggio miracoloso, sino all’osservatorio del giovane<br />

astronomo.<br />

Medina non pensava all’infinito anche se, senza saperlo,<br />

dall’infinito era attraversata da una parte all’altra.<br />

Guglielmino ha riflettuto e ancora riflettuto sul fatto<br />

che tutto è mosso da una forza unica e che quella che gli<br />

arriva da Medina è la stessa, ma proprio la stessa che muove<br />

sole, luna e maree, fa maturare le sue pesche e lo ha fatto<br />

crescere sino a essere pronto per questa ragazza.<br />

Gli appare mentre lui si attorciglia i capelli sudati.<br />

Il vento si è fermato, e lui si è tolto la camicia.<br />

La vede arrivare dritta dalla luce della luna.<br />

Possibile che da lì arrivi Medina, circondata da tutto<br />

questo pulviscolo? Un chiarore mistico.<br />

Sente il collo battere forte, tanto forte che gli fa male e si<br />

spaventa. Lei è più vicina. Guglielmino respira profondo<br />

57


e sente i polmoni riempirsi di pesche. Medina sale i gradini<br />

dell’osservatorio quando lui si alza per abbracciarla.<br />

Allarga le braccia, fa in tempo a sentire che anche lei è sudata.<br />

La ragazza bisbiglia qualcosa e Guglielmino si sente<br />

l’orecchio colpito da un fulmine.<br />

Sviene felice aggrappandosi alle braccia di lei.<br />

Quando Medina lo vede per terra e mezzo nudo è colpita<br />

dallo stesso lampo e gli cade vicino, ma con grazia e, cadendo,<br />

sente ben chiaro l’odore da prepotente di Guglielmino.<br />

– Ma come sei arrivata?<br />

– Non lo so… io dormivo… e sono qua… tu cosa facevi?<br />

Sono rinvenuti che il colore del cielo cambia e la brezza<br />

dei monti gli ha calmato la pelle e la testa. Gugliemino allunga<br />

un braccio e prende l’astrolabio di ferro e argento<br />

per mostrarglielo. Mentre lo avvicina a Medina la graffia<br />

col bordo e dal seno della ragazza esce - come se non avesse<br />

aspettato altro - uno schizzo di sangue azzurro che cola<br />

sino all’ombelico. Lei sorride.<br />

Guglielmino impallidisce e resta a fissare il rivolo che<br />

continua a scorrere per qualche minuto sino a quando si<br />

ferma da sé dopo aver fatto un laghetto nell’ombelico.<br />

Lui l’abbraccia, lei continua a sorridere:<br />

– Se fosse stato sangue mio, non sarei stato capace di<br />

sorridere come te.<br />

– E cosa avresti fatto?<br />

– Non so, sarei svenuto di nuovo… ecco.<br />

Medina chiede:<br />

– Puliscimi e poi dammi da mangiare.<br />

58<br />

Lui si alza, tira su un secchio d’acqua dal pozzo e la lava<br />

tutta con la sua camicia come straccio. Poi la riveste e le<br />

mette in ordine i capelli neri.<br />

– Cosa mangio?<br />

Guglielmino riempie un cestino di pesche e inizia a<br />

sbucciarle e a mettergliele a pezzetti tra i denti affilati.<br />

– Ma come sei arrivata? – domanda ancora guardando<br />

tutto quello che riusciva a guardare di Medina ma rendendosi<br />

conto di non riuscire a guardarla tutta.<br />

– Non lo so… io non volo… Senti, piuttosto, com’è che<br />

non provo vergogna?<br />

Lui si alza, corre verso il muro di oriente e ritorna col<br />

fiatone:<br />

– C’è la porticina aperta… quella porta è quasi un segreto<br />

anche in casa mia… come lo sapevi?<br />

– Non lo sapevo. Sono tutta appiccicosa per le pesche,<br />

dovrai lavarmi di nuovo.<br />

Gugliemino riempie ancora un secchio. Mentre la lava<br />

dice:<br />

– È acqua gelata.<br />

– È meravigliosa. Io non lo sapevo di essere fatta così.<br />

Niente mi può fermare più. Non provarci mai, Guglielmino!<br />

Il cielo è chiaro e qualcuno a casa Redenti comincia a<br />

muoversi. Questa volta Medina, andandosene, segue vie<br />

visibili e sguscia dalla porticina. Perché lui non l’ha vista<br />

arrivare da lì… e come gli è apparsa? Lei vola per strada<br />

all’alba, arriva al muretto di cinta di casa Xaxa, attraversa<br />

il giardino, si arrampica al balcone della sua camera e si<br />

mette sotto il lenzuolo fresco, nasconde la testa e sente,<br />

59


con una nostalgia che le fa dolore, un buonissimo odore<br />

di pesche mature.<br />

Per Medina l’infinito ha, d’ora in poi, un profumo.<br />

60<br />

Medina finge di svegliarsi quando la mamma, Eponina,<br />

entra in camera.<br />

– Medina! Che bella faccia! Chissà che bei sogni hai<br />

fatto! Beviti il latte.<br />

La ragazza non risponde, finge di essere abbagliata dalla<br />

luce, con gli occhi chiusi, si beve il latte. Poi apre gli occhi<br />

che mettono buon umore alla mamma Eponina e le<br />

escono di bocca dei versi.<br />

Dice che non teme la miseria… che fugge la materia…<br />

che vano è il braccio di quel mago che arrancando col suo<br />

drago cerca un varco per vedere nel giardino del piacere dove<br />

il muro è di cristallo e protegge… il suo…<br />

– …il mio?<br />

E fa schioccare le dita, nervosa perché la rima non arriva.<br />

Eponina ride e pensa che questa creatura di diciotto<br />

anni sta proprio cambiando: “Ora scrive versi… beh, è<br />

normale alla sua età… suo padre mi scriveva cose bellissime…<br />

nel mese di agosto poi ancora di più…”<br />

La mamma si commuove: vede il marito nella faccia<br />

della figlia e sorride perché lo immagina al femminile.<br />

Medina che guarda fuori, verso l’orto di casa Redenti, si<br />

mette ancora a cinguettare saltellando per la stanza:<br />

61


Sangue caldo e celestino<br />

m’ha legato al tuo destino.<br />

Dal mio seno gonfio è uscito.<br />

Lui, toccando, m’ha guarito.<br />

Stesso sangue che da oriente<br />

generò la nostra gente.<br />

Eponina continua per qualche ora a prendere quelle effusioni<br />

come un mutamento naturale della figlia che, in<br />

fondo, è arrivata al limite intimo dei diciotto anni che anche<br />

il mondo riconosce legittimo per una donna: perciò<br />

non c’è niente di male se Medina, così bella e bianca parla<br />

di destini legati dal sangue e di toccamenti magici che<br />

guariscono le ferite. Il sangue, poi, non spaventa Eponina:<br />

è un segno buono, anzi la spaventerebbe una cosa pallida<br />

e senza sangue.<br />

Comincia a preoccuparsi a metà giornata: Medina non<br />

la smette di esprimersi in versi, versi lunghi, versi brevi,<br />

versi riusciti e versi zoppi, versi allegri e versi tristi, ma comunque<br />

pieni di forza da bruciare chi si avvicina troppo.<br />

– Medina, smettila! Per un momento parlami normalmente…<br />

non può durare così tutto il giorno… smettila…<br />

smettila o chiamo il medico…<br />

Non essere nell’orto delle pesche insieme a Gugliemino,<br />

le procura un dolore tale che l’unica anestesia è quell’ossessionante<br />

fare versi. Con i versi può parlare di lui<br />

senza che gli altri capiscano.<br />

Così la voce della madre gli arriva da dietro una nube e<br />

mentre la sente Medina non pensa di essere impazzita ma<br />

di essere solo molto concentrata sull’amore.<br />

62<br />

Torna il padre, Battista Xaxa, Capitano della città, che<br />

risale da Talattone:<br />

– Quartiere alto, quartiere alto e aria buona! Si respira<br />

qua ad Epipanormo… giù a Talattone oggi tutto puzza<br />

della stessa cosa… forse anch’io adesso ho quell’odore di<br />

palude… E sì, qua è un’altra cosa… Che buon odore di<br />

pesche! Arriva dal giardino dei Redenti?<br />

Dal cortile di casa gli arriva la voce di Medina che, a<br />

forza di parlare tutto il giorno, si è un po’ inasprita:<br />

Babbo mio non domandare<br />

del miracolo rotondo<br />

che spuntò venendo al mondo<br />

dalle gemme di quel ramo<br />

per cui oggi dico…<br />

La rima viene in testa a tutti nella casa e anche a Capitan<br />

Battista Xaxa.<br />

* * *<br />

L’aveva pensato che sarebbe arrivato disordine nelle<br />

cose dopo l’incontro con Medina.<br />

L’arrivo di Medina dritta dalla luna, abbracciarla, baciarla<br />

e, soprattutto, pulire il suo sangue gli ha dato una<br />

certezza di intimità eterna che lo distrae da tutto. Perché,<br />

pensa il giovane, se avesse fatto solo l’amore sarebbe stato<br />

come tra altri esseri viventi. Medina è la ragazza più<br />

bella e forte di Epipanormo, con pelle e carne soprannaturali,<br />

profumata, è dolce anche il sudore di ragazza. A<br />

pensare ai particolari, Guglielmino perde il pallore e il re-<br />

63


spiro diventa profondo: quanti particolari in una persona!<br />

Possibile?<br />

Ma è il sangue di lei, schizzando dal seno teso, che lo ha<br />

fatto sicuro di come Medina lo cercherà per tutta la vita.<br />

Lo ha reso vertiginoso, incapace di camminare in linea<br />

retta, di sollevare pesi, esente da fame e da sete, infastidito<br />

da qualsiasi cosa che non riguardi Medina e il liquido<br />

che le circola dentro e la tiene in piedi, le dà colore, sapore<br />

e odore. Lui è entrato nel tabernacolo di Medina, non<br />

quello in cui sarebbe potuto entrare anche un altro, ma in<br />

quello segreto che miracola la ragazza.<br />

* * *<br />

Il medico visita Medina e non trova malattie studiate<br />

sui libri né viste negli uomini: è onesto e non raglia al cielo.<br />

Certo, un riscaldamento nella ragazza c’è e può darsi<br />

che gli umori, mescolandosi a temperature troppo alte<br />

nella scatola della testa, abbiano prodotto questo fenomeno<br />

e il riscaldamento si è diffuso tanto che c’è, a suo<br />

parere, anche il rischio che emani verso altri. Così se ne<br />

va lasciando Capitan Xaxa e mamma Eponina a chiedersi<br />

cosa sia successo.<br />

Arrivano il tramonto e l’ora di cena. Medina mangia<br />

con una fame che stupisce i genitori, si corica rauca perché<br />

non è stata zitta un momento e si addormenta con<br />

violenza come fanno i ragazzi, più forti degli adulti nella<br />

veglia e nel sonno.<br />

Battista ed Eponina, invece, hanno gli occhi sbarrati. La<br />

moglie spia contro la luce della candela il profilo del mari-<br />

64<br />

to: è proprio tale e quale a quello della figlia. Questo profilo<br />

è stato il profilo dei profili per lei. Ora ci sono rughe,<br />

guance che cadono, e la linea del mento ha perso ogni grazia,<br />

però a saperli guardare sono proprio profili identici.<br />

– Battista, tu hai visto la ferita sul seno di Medina?<br />

Lui non sopporta l’attenzione ai particolari inutili che<br />

Eponina ha sempre avuto e che con gli anni è diventata<br />

un vizio, un peccato che la tiene lontana dalle cose importanti,<br />

e una delle ragioni per cui Battista Xaxa con la<br />

moglie parla poco:<br />

– Non ho visto nessuna ferita, lo sai che Medina con me<br />

si vergogna da molti anni. E poi, ti chiedo, era una ferita<br />

malata, era nera, sembrava perniciosa? Se era una ferita<br />

piccola e con la crosta allora tutto va bene: era un graffio.<br />

Lei si nasconde sotto il lenzuolo e bisbiglia perché si<br />

immagina la reazione di Battista a quello che sta per dire:<br />

– Dalle ferite esce il sangue… Ma dalle ferite può anche<br />

entrare qualcosa…<br />

Invece Battista non risponde neppure con un sospiro.<br />

Prendono sonno tardi. Sognano tutt’e due Medina che<br />

a tre anni si era tagliata un polpaccino con un coccio: il<br />

sangue che non finiva di venire fuori dalla gambetta rosa<br />

e nessuno che se ne preoccupava perché, tanto, sarebbe<br />

bastato darle altro latte.<br />

Battista si sveglia e vede la stanza triste per la luce dell’alba:<br />

fuori è nuvoloso e da Talattone salgono vapori che<br />

scalano le mura alte dell’acropoli.<br />

Medina dorme e il respiro si sente sino dall’andito.<br />

La guarda a lungo: Medina è proprio lui stesso. Lo sa<br />

senza bisogno di controllare profili, occhi e altre somiglianze.<br />

65


“Si è innamorata! E allora? Perché sono preoccupato?<br />

Cinguetta, salta, ha un odore che neanche un fiore all’ora<br />

della rugiada…”<br />

Medina si rigira con la grazia di una statuina e nel sonno<br />

sussurra:<br />

Io non so cosa succede…<br />

ma vorrei darvi un erede…<br />

Battista non ha sentito bene, si affaccia alla veranda e<br />

gli arriva l’odore delle pesche che questa mattina stagna.<br />

Preferirebbe un vento da nord per il sonno della figlia,<br />

più fresco e più buono d’animo: quello scirocco viene dal<br />

quartiere dove pensieri maligni e commerci torbidi lo<br />

contaminano. Arriva, sì, dal mare pulito, però nella città<br />

bassa si impregna di polvere e cattiveria.<br />

* * *<br />

La condizione di Medina cambia col vento maligno<br />

proprio quella mattina.<br />

Ora canta.<br />

Insomma non solo dice versi, ma li canta con una bella<br />

voce, proprio bella, e i passanti si fermano tutti, a piedi, a<br />

cavallo o sui carri.<br />

È una melodia infelice:<br />

Ecco, sento ormai esalare<br />

ogni forza mia d’amare<br />

ogni sangue se non quello<br />

che è servito da suggello<br />

66<br />

al bell’animo perfetto<br />

di quel corpo a me diletto.<br />

Verso mezzogiorno la voce non ce la fa più e le corde<br />

vocali di Medina sono viola e gonfie.<br />

Si corica e dorme triste.<br />

Quando solleva la testa dal cuscino sudato sente il desiderio<br />

di Guglielmino ed ha coliche così dolorose che le<br />

devono fare impacchi caldi.<br />

In effetti Medina ha proprio una congestione degli<br />

umori. Non ha più voce e dalla gola le escono solo sibili<br />

come un serpente. Si dispera, si tortura i capelli e suda. I<br />

sibili sono incomprensibili.<br />

– Scrivi! Scrivi! – le dice Battista disperato.<br />

Lei ha infradiciato lenzuola e materasso, non riesce ad<br />

alzarsi per il dolore che sente in pancia.<br />

E scrive soltanto:<br />

«Sangue suo, sangue mio».<br />

Cade dal letto svenuta quando lo scirocco incattivito le<br />

porta un odore esagerato di pesche dal giardino di Guglielmino.<br />

Cadendo desidera l’acqua fresca del pozzo che lui ha<br />

usato per lavarla: perché non la bagnano con quella? Con<br />

quella guarirebbe.<br />

67


– Il conte Guglielmino con la testa è dove neanche il<br />

suo telescopio arriva… i genitori pensano alla terra e invitano<br />

mezzo consiglio, commercianti… affari, soldi, navi,<br />

grano, orzo per i semolini dei vecchi senza denti…<br />

Noi, invece, i denti ce li abbiamo sani, eh, Amelina? Tu,<br />

poi, ce li hai bianchi bianchi.<br />

Sono soli e sentono anche un poco di dolore per tutta<br />

quella forza che sta per venire fuori.<br />

– Che buon odore, Amelina.<br />

Amelina bisbiglia:<br />

– Anche tu hai bei denti, scommetto che tagliano come<br />

coltelli.<br />

Sertolino cerca di morderle il collo polposo. È così tiepida<br />

che dimentica l’orzo, la semola, i Redenti e il ghiaccio.<br />

Amelina torna indietro, sino all’angolo più nero della<br />

cucina con Sertolino attaccato al collo.<br />

In mezzo al nerofumo la pelle è ancora più candida e<br />

carbone sembrano i peli di Amelina che si è spogliata e<br />

appoggiata a pancia in giù al suo lettino di paglia.<br />

Si spoglia anche lui ma, mentre scioglie la cintura, lo<br />

spadino da servo scivola, cade su Amelina e le ferisce una<br />

natica. Ne esce un sangue rosso pieno di energia che<br />

schiuma. Lei si volta e si mette a ridere e lui, nudo e incandescente,<br />

si mette a pulirla con la voglia che aumenta e<br />

69


approfittando per guardare tutto quello che ha sognato<br />

da mesi, da quando Amelina è arrivata dalle montagne<br />

con i suoi stracci.<br />

La ferita smette di sanguinare.<br />

Sertolino si è innamorato.<br />

Amelina ora non ride, ha una faccia feroce e ogni tanto<br />

mostra i denti. Lui immagina che sia piacere e allora spinge<br />

di più per vedere se il ringhio aumenta. La ferita si riapre<br />

e solo dopo si accorgono di essere mezzo insanguinati.<br />

Restano muti, lei con un respiro da cerva, lui da mulo<br />

in salita.<br />

La ragazza prende un secchio d’acqua fredda e si fa lavare,<br />

ride illuminando la cucina, si riveste e riprende a<br />

sbucciare patate sorridente ma ancora col fiato lungo.<br />

Sertolino si vergogna d’essere là gocciolante e sporco e<br />

gli viene in mente la macelleria di Talattone con tutte<br />

quelle bestie insanguinate. Si sente forte, allegro, continua<br />

a sorridere e non riesce a smettere.<br />

* * *<br />

– Sarà una strega?<br />

Guglielmino è di un pallore che fa luce:<br />

– Ma cosa ti passa in testa? È solo una ragazza di montagna<br />

che fa l’amore come ha visto fare a donnole e furetti.<br />

Tu l’hai vista subito e lo sai: la vista è il desiderio e l’occhio<br />

è la voglia.<br />

Sertolino, non capisce bene, cammina intorno al padrone,<br />

sempre lo stesso cerchio:<br />

– Donnole e furetti? Scusate ma non è il paragone giusto,<br />

padrone. Non era roba da donnole e furetti.<br />

70<br />

Guglielmino si siede per terra, all’ombra di un pesco<br />

gigante dove pendono frutti grandi come un ginocchio e<br />

si tormenta i capelli:<br />

– Siamo tutti uguali, Sertolino… tutti uguali, ecco… ecco.<br />

Sertolino ha sviluppato, per essere un servitore, una<br />

bella capacità di discutere. Gli è sempre piaciuto passare<br />

ore seduto a dire e parlare di tutto quello che arrivava a<br />

tiro di pensiero e dice continuando a girare come un asinello<br />

alla mola intorno a Guglielmino:<br />

– Sarà vero in generale, ma a me sembra che Amelina<br />

sia unica… che arrivi da lontano, da un’altra razza… E<br />

quando sorride? Si accende anche il carbone della cucina<br />

e la cenere diventa cipria! Mi vergogno un po’ a dirlo ma<br />

non la cambierei con nessun’altra… solo lei…<br />

Guglielmino, allisciandosi i capelli, quasi gridando:<br />

– Certo, bravo, hai ragione! Il trucco è questo, altro che<br />

stregonerie! L’amore è una mania! Ecco! Non la cambieresti<br />

con un’altra, hai detto… una mania!<br />

Sertolino a sentirsi dare ragione vince anche il pudore:<br />

– Quando ho sentito il sapore del suo sangue e l’ho ripulito<br />

mi sono sentito come… non so neanche dirlo… come<br />

se avessero legato le sue budella alle mie… come se…<br />

Da un ramo del pesco cade una pesca troppo matura.<br />

Sertolino si distrae, è figlio di contadini poveri lui:<br />

– Bisogna raccoglierle e venderle al mercato, padrone.<br />

Cominciano a cadere.<br />

Guglielmino guarda il pesco, dove ha lavato il sangue<br />

di Medina:<br />

– No, no. Ho già parlato con mio padre. Non voglio rinunciare<br />

a questo profumo.<br />

71


– Non volete rinunciare al profumo? Ma ragionate…<br />

passa lo stesso…<br />

L’amore non è pratico e Gugliemino si infastidisce per<br />

il tono della domanda, lo stesso che si usa con i folli:<br />

– Ho le mie ragioni… questo odore mi serve, ognuno<br />

ha le sue manie… Mi hai detto che hai pulito il suo sangue?<br />

– chiese torturandosi i capelli.<br />

Sertolino ora si vergogna di nuovo:<br />

– Sì, insomma, si è tagliata e io l’ho pulita… Beh, vi<br />

sembrerà strano, ma a me quel sangue ha fatto da filtro<br />

magico, si è mischiato col mio…<br />

La giornata sta terminando. Tra qualche ora Guglielmino<br />

ricomincia a guardare il cielo e a contare. Si affaccia al<br />

terrazzo e guarda verso Talattone. Lo scirocco ha condensato<br />

vapore, come sempre, nella città bassa. Sporgendosi<br />

e guardando in giù vede che quel vapore peloso tenta<br />

di scalare le mura.<br />

Ma non c’è pericolo: Epipanormo mantiene un’aria di<br />

cristallo.<br />

72<br />

– Io sono il Capitano della città! Commercianti, avvocati…<br />

anche duchi e marchesi, conti e contini… tutti devono<br />

passare da qui! E aspetto qui i medici, sopratutto i medici!<br />

Battista Xaxa è un uomo malato e nessun medico, neanche<br />

quello chiamato dalle Isole Felici, aveva capito cosa se<br />

lo sta mangiando. – Sembra che bruci, – aveva detto il medico<br />

dei nobili e dei ricchi di Epipanormo. “Brucerà tutto,<br />

pezzo per pezzo, fino a quando il cuore gli scoppierà<br />

come un tizzone,” aveva pensato il medico delle Isole dopo<br />

dieci giorni di viaggio in mare. Non lo aveva detto a<br />

Battista, tanto era inutile.<br />

– Quelli di Talattone, le troie, i ruffiani, i bari, i ladri, gli<br />

strozzini, tutti prosciugati dalla sifilide, ce li dobbiamo tenere<br />

come ci teniamo le parti del nostro corpo che non ci<br />

piacciono… A lasciarli fare, arrivano alla città alta, come i<br />

bubboni della peste… e invece bisogna tenere tutto ben<br />

distinto come Dio ha voluto sin dall’inizio… capito?<br />

Il Capitano parla ai cento uomini della guarnigione.<br />

– Chiudere le porte di Epipanormo al tramonto è come<br />

dare la purga a un brav’uomo che ha mangiato troppo…<br />

Serve a tenere l’ordine nel corpo della città.<br />

73


I soldati oscillano. Il Capitano continua e le sue parole<br />

sono combustibile:<br />

– Cosa succederebbe se mischiassimo Talattone ad Epipanormo?<br />

Il porto morirebbe, nessuna nave, nessun commercio…<br />

sparirebbero le puttane, che sono un segno di<br />

buona salute per la città, gli avvocati, altro segno di salute,<br />

non avrebbero chi assistere, persino i frati se ne andrebbero<br />

in altre città… e voi non avreste nessuno da arrestare,<br />

da frustare, da mettere alla gogna in piazza… Perciò<br />

domani dovremmo impiccare Porfirio! Anche se quelli di<br />

Talattone lo vogliono vivo! Impiccato alla porta di Epipanormo<br />

e se la testa si stacca tanto meglio! Ha un solo modo<br />

per salvarsi…<br />

Il Capitano Battista brucia quelli della prima fila guardandoli<br />

dritto negli occhi e li congeda ordinando:<br />

– Portatemelo qua, davanti a me, ha un solo modo di<br />

salvarsi.<br />

È un uomo intelligente, ma la malattia e il comando, a<br />

tratti, creano delle turbolenze nei suoi discorsi pubblici.<br />

Quando però passa alle cose sotterranee dell’amministrazione<br />

della città - quelle che non diventeranno mai pubbliche<br />

- allora la sua ragione, magari con mille contorcimenti<br />

e salti, arriva comunque all’obiettivo. Quei salti e<br />

quei contorcimenti non sono follia ma seguono la linea<br />

tutt’altro che retta delle cose. Quelle vie vuole seguire per<br />

guarire Medina.<br />

* * *<br />

Porfirio Ronzi contiene tutto Talattone e respira col na-<br />

74<br />

so all’insù per cercare l’aria di Epipanormo, ma non ci arriva<br />

mai perché il suo naso, per quanto lo indirizzi verso il<br />

cielo, resta piegato come un becco in basso. È calmo davanti<br />

al Capitano e non spreme nulla del veleno di Talattone.<br />

– Porfirio, ti ho voluto qui perché…<br />

– Capitan Battista, la vita è inflessibile… Domani morirò?<br />

– Senti, la vita è inflessibile anche con me… Siediti.<br />

Porfirio ha vissuto da ricco. Sa molte cose senza aver<br />

fatto scuole e senza aver avuto precettori. È figlio di due<br />

ladri che si erano voluti molto bene prima di finire decapitati<br />

insieme quando lui era ancora un bambino. Non<br />

usciva di casa per settimane. Riceveva, riceveva mattina e<br />

sera, uomini e donne del quartiere alto e del quartiere<br />

basso e nessuno sapeva cosa si dicessero, cosa passasse tra<br />

Porfirio e i suoi visitatori. Ma per vivere come faceva, Porfirio<br />

aveva necessità che la Giustizia lo lasciasse stare e un<br />

mese prima Capitan Xaxa, stufo dei suoi traffici, lo aveva<br />

fatto arrestare con l’accusa d’aver ordinato l’uccisione di<br />

un commerciante di granaglie.<br />

Porfirio ha un aspetto, in tutto e per tutto, di poiana e<br />

mette un brivido vedere come gira la testa a scatti per trecentossessanta<br />

gradi, proprio come un rapace e con l’occhio<br />

che cerca sempre qualcosa di cui appropriarsi.<br />

– Domani, Capitano? – insiste Porfirio.<br />

– Sì, Porfirio. Domani a mezzogiorno, quando il cannone<br />

del porto segnerà l’ora, verrai spinto in basso dalla porta<br />

della città con la corda al collo…<br />

– La testa si staccherà, Capitano.<br />

– Se si stacca tanto meglio. Tutti se lo ricorderanno, an-<br />

75


che fra duecento anni, anche fra trecento. Ci sono le carte<br />

del processo e c’è la memoria della gente che serve a<br />

questo.<br />

Porfirio è sereno, ha capito che non è là per sentire la<br />

descrizione dei suoi ultimi orrendi istanti e sa che le forze<br />

di Talattone, magari passando tra gli interstizi delle porte<br />

e risalendo le mura, riescono ad arrivare anche nella città<br />

alta:<br />

– È troppo crudele. Buttato nel vuoto dalla torre, poi la<br />

corda si tende, la testa si strappa e il corpo cade nel fossato.<br />

Ma voi non mi avete chiamato per raccontarmi come<br />

morirò…<br />

Battista si toglie l’elmo. La testa gli brucia e da qualche<br />

settimana gli brucia più della testa un occhio, che gli sembra<br />

voglia venire fuori. Ora, però, il dolore per Medina<br />

supera il bruciore.<br />

– Mia figlia è strana Porfirio, è diventata strana da giorni.<br />

Recita versi, canta versi, è rauca, non ce la fa con la voce<br />

e dorme, dorme un sonno di pietra. Poi si sveglia e ricomincia.<br />

Io sono il Capitano della città e non posso<br />

piangere…<br />

Porfirio accavalla le gambe:<br />

– Ma potete piangere! Davanti a me, potete.<br />

Capitan Xaxa guarda il talattonese che ha segnati in<br />

faccia tutti i traffici del porto. Porfirio cambia posizione e<br />

raddrizza le gambe.<br />

– Davanti a te? Davanti a te posso fare quello che voglio,<br />

tutto quello che voglio… Comunque ho pianto stamattina<br />

quando il vento mi ha portato in casa l’odore delle<br />

pesche di casa Redenti e Medina cantava.<br />

Prende Porfirio per le spalle e lo libera delle catene:<br />

76<br />

– È alta, è bella! Ha un nasino che viene da lontano…<br />

un nasino che va verso il cielo, piccolo piccolo, ma sembra<br />

che unisca cielo e città… i maschi ci si aggrapperebbero<br />

per cercare salvezza… ma, ti giuro, Porfirio, se ne<br />

trovo uno appeso al naso di mia figlia…<br />

Porfirio è un uomo senza sole ma tutto il male di Talattone<br />

lo ha reso scuro di pelle. Sa che non morirà domani<br />

perché troppe cose passano attraverso di lui. Per questo<br />

dorme profondo anche sul tavolaccio della prigione e<br />

parla tranquillo con i ratti, molto più nobili di tanti suoi<br />

debitori:<br />

– Perché sono qua, Capitan Xaxa?<br />

Battista Xaxa è in piedi e fissa a lungo Porfirio:<br />

– Non ti dico cosa vedo nella tua faccia, nei tuoi occhi da<br />

poiana. Ascolta: mi servono tutte le orecchie di cui disponi.<br />

L’importante è che i padroni di quelle orecchie usino la<br />

bocca solo con te e tu solo con me. Avrai salva la vita.<br />

– Cosa devono dirmi queste bocche?<br />

Battista si asciuga l’occhio rosso che ormai è una fiamma:<br />

– Voglio sapere perché Medina soffre tanto da parlare<br />

in versi, perché canta e dorme e poi canta ancora…<br />

– Ma sarà amore, solo amore.<br />

Il Capitano si alza, solleva dalla sedia il talattonese e gli<br />

sente odore di muffa:<br />

– Attento, Porfirio, potrebbe essere qualcosa di magico,<br />

oppure gli umori di Medina che si rimescolano, oppure<br />

nulla… Ma tu stai attento… L’impiccagione è poco,<br />

tu sai come togliamo la pelle a palazzo… e tu non moriresti<br />

come muore un santo che sorride agli scorticatori…<br />

non guarderesti Dio dritto negli occhi…<br />

77


– Non me lo dimenticherò, Capitano.<br />

– Siamo fatti di porcherie che vengono fuori continuamente,<br />

ma tu più di tutti…<br />

– Lo so, lo so.<br />

– Ora vattene, sei libero ma sorvegliato. Prendi aria e<br />

lavora.<br />

Porfirio esce dalla sala: i suoi occhi tondi non brillano e<br />

fissano tutto Talattone.<br />

I commercianti della città bassa lucidano i frutti: pomodori<br />

e peperoni luccicano. Le strade si riempiono di<br />

batuffoli bianchi che fanno starnutire, e i bambini li chiamano<br />

angioletti.<br />

La gente di Epipanormo, con quella bella luce e quel<br />

bel vento, si getta i peccati dietro le spalle e a Talattone li<br />

raccolgono. I peccati già usati sono molto diffusi nella<br />

città bassa; sono sempre gli stessi che la gente rigira. Capitan<br />

Xaxa lo sa bene ma meglio di lui lo sa Porfirio che li<br />

ammucchia e li mette in vendita in un modo che non si<br />

può rifiutare.<br />

Porfirio esce per strada e l’odore a palazzo migliora.<br />

* * *<br />

Medina svolazza da ore in giardino, ma ritorna sempre<br />

sul balcone da dove vede casa Redenti. Allora respira<br />

profondo e chiude gli occhi poggiandosi la mano sulla ferita.<br />

Non è forza umana<br />

che regna sovrana<br />

sul mio cervelletto<br />

78<br />

che brucia a dispetto<br />

del corpo che langue<br />

per chi del mio sangue<br />

ha visto il colore<br />

spezzandomi il cuore.<br />

La cinica adolescenza di Medina continua l’opera di<br />

distruzione fermentando il veleno dell’innamoramento<br />

in una quantità miracolosa. Non ha più voce e i versi se<br />

li fa girare per la testa dove l’ordine delle idee si sta disfacendo:<br />

L’acqua fresca della fonte<br />

vorrei ancora sulla fronte<br />

dispensata dalla mano<br />

del mio pallido sovrano.<br />

Mai i miei occhi da fanciulla<br />

sbarro ormai davanti al nulla.<br />

Il respiro di Medina non ritorna normale. Affanna e,<br />

qualche volta, un piccolo rantolo fa disperare la madre<br />

che vede più di tutti il margine lungo il quale la figlia cammina<br />

insicura.<br />

* * *<br />

Arriva il quinto tramonto di spavento per Capitan Xaxa<br />

e Medina non migliora. Anzi, la testa le si è così ingorgata<br />

che il dolore è incessante e suda. Suda tanto, un sudore<br />

senza sale e le guance hanno perso quell’aspetto di polpa<br />

rosa che faceva girare i ragazzi di Epipanormo. Sta a letto<br />

79


e si occupa soprattutto di respirare. Respirare, respirare,<br />

aria del giardino di Guglielmo. Vuole aria del giardino e<br />

nessuno gliela porta, perché?<br />

* * *<br />

Sottovoce, a palazzo:<br />

– Allora, Porfirio? – domanda Battista Xaxa senza tono<br />

di minaccia tenendosi un impacco di malva sull’occhio<br />

che gli brucia.<br />

– Non ho saputo nulla, Capitano. Ho solo un consiglio<br />

da riferirvi. Io parlo dal mio posto e voi ascoltate dal vostro.<br />

Poi deciderete.<br />

Porfirio gira la testa da poiana veloce intorno e Capitan<br />

Xaxa lo ferma:<br />

– Non c’è bisogno di minacce, vero? Sei un uomo intelligente…<br />

un talattonese, è vero, ma sai mettere le idee<br />

una dietro l’altra, vero? Quindi parla.<br />

Porfirio respira profondo, si decide e il naso rapace uncina<br />

l’aria:<br />

– Medina è capace di distruggersi da sola, sino da piccola<br />

ne era capace. Ora… scusate, Capitano… ora sta<br />

succedendo…<br />

Battista ringhia:<br />

– Cosa sta succedendo?<br />

A Porfirio appare in faccia la verità come non gli capita<br />

mai e gliela abbellisce un poco:<br />

– Succede che la distruzione è iniziata e non so come si<br />

ferma, non lo sa nessuno. I sensi di Medina sono molti,<br />

tanti che non ce li immaginiamo neppure. Il nasino? Voi<br />

avete detto che viene da lontano… Ecco, i sensi di Medi-<br />

80<br />

na vengono da ancora più lontano… dalle stelle, dal cielo…<br />

da lontanissimo…<br />

Porfirio non trema neppure quando Capitan Xaxa gli<br />

prende la gola tra le mani e continua deciso sottovoce:<br />

– È tutta forza dentro casa vostra… si agita, si ferma e si<br />

condensa… il vento non se la porta via… viene fuori da<br />

vostra figlia… e se la sta mangiando. Me lo ha detto Tebe<br />

la Monaca, voi la conoscete… Tebe la monaca di Talattone!<br />

Ve la ricordate, vero?<br />

Battista lascia il collo di Porfirio:<br />

– Dove vive ora?<br />

– Al Convento di Santa Vincolata.<br />

Tebe Mistrè ritorna chiara in mente a Battista Xaxa.<br />

La Confraternita feroce dei Ficcadenti l’aveva accusata<br />

di convivenza bestiale con i demoni dei boschi e lui, Battista,<br />

aveva ordinato l’arresto di Tebe.<br />

Il Capitano non ci ha mai creduto e le torture che aveva<br />

scelto per quella donna rosea e rotonda erano state le meno<br />

dure possibili. Al processo era riuscito a farla condannare<br />

soltanto al “mezzo dito”: un colpo d’ascia al mignolo:<br />

accorciato di due falangi. Pena pubblica, la condannata<br />

esposta in Piazza Maggiore per tre giorni.<br />

Solo che in tre giorni il mignolo era ricresciuto e tutti<br />

avevano pensato al diavolo.<br />

Ma, quando già stavano per appiccare il fuoco, il boia<br />

e il frate si erano accorti che il mignolo era, sì, ricresciuto<br />

ma con una falangetta di traverso e che aveva assunto<br />

la forma di un crocefisso. Tebe era quasi rimasta soffocata<br />

dall’incenso e dall’alito di centinaia di peccatori di Talattone.<br />

81


Da allora vive in clausura, autorizzata a mostrare solo il<br />

mignolo miracoloso attraverso una grata.<br />

82<br />

<strong>Ei</strong><br />

Si alzarono prima che il cielo leggero della Megaride<br />

cambiasse colore.<br />

Il pastorello Peante nella sua capanna si vestì, uscì sull’aia<br />

dove, come faceva ogni giorno da bambino, contò le<br />

pecore e il conto tornò.<br />

In una vera casa, all’interno del paese, si svegliò anche<br />

Nicteo e si avvicinò alla fonte per lavare il viso gonfio per<br />

il sonno profondo dei diciassette anni. Tutta la casa dormiva.<br />

Il monte Citerone era coperto da un lenzuolo bianco<br />

che era un buon segno perché quei vapori sarebbero diventati<br />

nuvolette per fare da scudo al sole.<br />

I due ragazzi mangiarono e si diressero verso il luogo<br />

concordato sulla riva del fiume. Da lì avrebbero seguito il<br />

fiume quasi sino alla foce.<br />

Sui due asinelli avevano caricato qualche mina di formaggio,<br />

fichi, pane e due otri d’acqua.<br />

Quando si incontrarono, in cielo si vedeva a oriente una<br />

piccola falce di chiarore.<br />

Senza parole, ma con l’emozione che gli faceva prudere<br />

le palme delle mani, iniziarono il cammino voltandosi a<br />

guardare ogni tanto il villaggio che si allontanava in un<br />

mare soffice di ulivi argentati.<br />

83


Nicteo e Peante erano due adolescenti riscaldati dall’età<br />

e dal sole, unici figli delle loro famiglie.<br />

Nicteo era figlio del commerciante Terambo, scappato<br />

da Atene vent’anni prima a causa della politica.<br />

Peante era solo figlio di un pastore, Picnòs, che era diventato<br />

il mezzadro di Terambo.<br />

Ma i due ragazzi erano cresciuti insieme, amici, tanto<br />

che avevano finito col sembrare gemelli nati dallo stesso<br />

uovo.<br />

Terambo, che veniva dalla città, aveva tenuto a far educare<br />

Nicteo, e Peante aveva partecipato anche lui alle lezioni<br />

del vecchio maestro Mitrone di Mileto. Così avevano<br />

acquisito una conoscenza straordinaria per due campagnoli.<br />

Un anno prima della loro fuga, era giunta al villaggio la<br />

notizia della morte per cicuta di un vecchio saggio. Nessuno<br />

aveva capito perché un vecchio, e per di più saggio,<br />

era stato messo a morte, ma tutti ne discussero a lungo.<br />

I commercianti portavano le notizie e Nicteo ascoltava<br />

quando gli raccontavano della città, delle piazze, dei teatri,<br />

dei bagni o dei mercati, come se ascoltasse un poema,<br />

una poesia, una melodia.<br />

Come? C’erano luoghi dove trovare spiegazioni a tutte<br />

le cose e loro, lui e Peante, se ne stavano lì e già gli spuntavano<br />

i primi peli?<br />

Ormai il vecchio maestro Mitrone aveva esaurito il suo<br />

sapere e i due ragazzi, con spavento, avevano notato che<br />

ricominciava da principio.<br />

Lo stesso Peante che raggranellava la sua conoscenza<br />

stando al fianco dell’amico - anche se il padre pastore era<br />

84<br />

contrario - da molto tempo pensava a luoghi dove imparare,<br />

vedere e capire quello che dalle sue pecore non riusciva<br />

a sapere.<br />

Così, quando a Nicteo era venuta in testa l’idea della fuga,<br />

Peante, che in genere era il freno del compagno, aveva<br />

accettato la proposta.<br />

Viaggiavano soli e pensierosi per i rimorsi e la paura, in<br />

una giornata di sole sopportabile a quest’ora fresca e per<br />

il fiume vicino, sbatacchiati dagli asini al trotto. Ma Nicteo,<br />

quando il villaggio non fu più visibile, non resisté più<br />

al voto del silenzio che avevano pattuito per evitare pentimenti.<br />

– Per mio padre io non sarei pronto all’esperienza della<br />

città. Dice che in città c’è troppa eguaglianza, che nessuno<br />

deve cedere il passo a nessuno, dice che persino i cavalli<br />

e gli asini credono di avere dei diritti in città. Secondo<br />

lui sapere le cose troppo presto può nuocere. Ma cosa dovrei<br />

aspettare? Di avere trent’anni e una moglie che non<br />

mi farebbe partire per vedere le cose che nel nostro villaggio<br />

non vedremmo mai? E perché non dobbiamo sentire<br />

le idee di tanti grandi uomini che stanno nelle città?<br />

– Ma perché, secondo te, questi grandi uomini si prendono<br />

la briga di insegnare la propria conoscenza? Se la<br />

tenessero per sé, diventerebbero ricchi, – osservò Peante<br />

con la voce spezzettata dal trotto dell’asino.<br />

– Proprio perché sono superiori! Le idee sono infinite,<br />

Peante. Appena prodotto un grande pensiero lo spiegano<br />

a noi, lo lasciano in eredità, e subito dopo sono già al<br />

lavoro per produrne un altro. Perciò sono grandi, ecco.<br />

– Comunque non faranno tutto da soli.<br />

85


– Sono gli dèi a scegliere!<br />

– Il nostro Mitrone ha imparato tutto a Mileto da altri<br />

uomini, non dagli dèi.<br />

– Gli dèi, però, hanno voluto che nascesse a Mileto. Lui<br />

ci ha sempre detto di avere imparato dai sacerdoti del<br />

gran Re persiano.<br />

– Vedi che da soli non ce la fanno, vedi?<br />

Continuarono a discutere sino a che il cielo diventò<br />

bianco per il calore. Si fermarono in un boschetto pieno<br />

di uccellini esaltati dalla bella giornata che esaltava anche<br />

Nicteo:<br />

– Sembra di sentire il flauto di Pan nelle campagne deserte.<br />

È a quest’ora che esce per rallegrare la campagna<br />

addormentata dal caldo.<br />

– Io sento solo i passeri che cantano, – disse Peante.<br />

Nicteo si infastidì:<br />

– La fantasia è importante! Serve a vivere meglio! È la<br />

fantasia che ci ha spinto a scappare… Senza fantasia siamo<br />

come gli animali! Ecco! – E ripeté come un bambino:<br />

– Ecco!<br />

– Sì, ma bisogna tenerla distinta dalla realtà. Certo che<br />

se ti intestardisci a credere che il vento che muove le cime<br />

dei cipressi è il suono del flauto, alla fine ti convinci. Ma se<br />

poi cerchi il flauto per suonarlo, allora le cose cambiano.<br />

Ripresero il viaggio, tutto scossoni per il passo disordinato<br />

degli asini, sino a sera. La notte, meno disponibili alla<br />

discussione ma contenti della loro saggezza e del coraggio,<br />

precipitarono in un sonno agitato da qualche rimorso<br />

portato dal buio e intorno gli danzarono sino all’alba<br />

i genitori offesi e la barba del precettore.<br />

86<br />

* * *<br />

Era sera e il cielo già viola.<br />

– Ancora ragazzi! Ma è una mania qui a Mègara! Non<br />

ho stanze libere! Tutti in questa città riuniti per parlare,<br />

parlare! Non si cambia il mondo a parole!<br />

Nicteo e Peante pensarono di cercare un’altra locanda<br />

ma una giovane bruna, con la stessa faccia rotonda dell’oste<br />

e una bella pelle, gli disse sottovoce:<br />

– Non badateci, mio padre è contrario alla nuova sapienza<br />

che, dice lui, porterà il paese alla rovina. Ma io so<br />

che senza i nuovi saggi qui sarebbe vuoto e le cucine spente.<br />

Da quando è morta mia madre sono io che mi occupo<br />

delle faccende da donne nella locanda. Mi chiamo Etilla.<br />

Nicteo si rivolse all’oste Trittolemo attento all’effetto<br />

delle parole sulle facce tonde del padre e della figlia:<br />

– Vorremmo un alloggio semplice e poco caro perché,<br />

come vedete, siamo giovani di poche possibilità. Però siamo<br />

onesti e rispettosi, come ci è stato insegnato dai nostri<br />

genitori e dal nostro maestro Mitrone.<br />

– Educati all’antica! Bene! – disse Trittolemo: – Non se<br />

ne sentono più così ben educati! Etilla, accompagnali<br />

nella loro camera e poi prepara da mangiare.<br />

Sistemate le loro cose, Nicteo e Peante scesero in giardino<br />

dove la giovane aveva apparecchiato e si avventarono<br />

sul cibo interrompendo di masticare solo per bere e rimandando<br />

a dopo cena le attività del cervello.<br />

Alla loro destra, illuminato dalle torce, seduto sulle radici<br />

di un ulivo, stava un uomo di mezza età, dall’aspetto<br />

curato. Fissava i due giovani.<br />

– Buona sera, signore, scusateci se non vi abbiamo salu-<br />

87


tato ma la stanchezza e la fame ci hanno distratto, – disse<br />

Nicteo.<br />

– Buona sera, signore, scusateci, – disse Peante a bocca<br />

piena.<br />

L’uomo ricambiò:<br />

– Mangiate e riposate. Ci vedremo sicuramente domani.<br />

Dedicate questa notte alla cura del corpo perché la<br />

mente poi sia luminosa come si deve.<br />

* * *<br />

Svegli dall’alba i due ragazzi innamorati della conoscenza<br />

chiesero notizie a Etilla sull’uomo della sera prima.<br />

La faccia rotonda della ragazza sembrava un buon<br />

augurio:<br />

– Si chiama Echecrate e lo troverete nel campo di Enope.<br />

L’assemblea li ha sistemati là i maestri.<br />

– Quello era un maestro? – domando Nicteo.<br />

– Sì, viene spesso a mangiare da noi. Si siede mangia e<br />

poi resta là a pensare. Prepara le idee per il giorno dopo.<br />

Il colle di Enope lo trovarono fuori città, tutto lecci, erba<br />

e ombre. Maestri e alunni erano divisi in gruppi, alcuni<br />

in movimento, altri fermi intorno alla propria guida<br />

che occupava un posto più elevato, era vestita di bianco e<br />

aveva il privilegio di un angolo fresco e ventilato. Nicteo<br />

e Peante si sentirono improvvisamente estranei e pensavano<br />

di ritornare alla locanda quando gli venne incontro<br />

l’uomo salutato la sera prima a cena:<br />

– Avanti, avanti! Due giovani che vengono da lontano<br />

troveranno nel campo sacro di Enope una ricompensa. È<br />

sicuro! Io sono Echecrate.<br />

88<br />

Nicteo, stordito dall’accoglienza, attinse alle formule<br />

migliori che la sua famiglia gli aveva insegnato e, sudato<br />

per la vergogna, inspirò profondo e disse a tutto il gruppo<br />

che si era radunato intorno:<br />

– Grazie, grazie! Noi veniamo da un villaggio piccolo<br />

della Megaride sul fiume che nasce dal monte Citerone e<br />

vorremmo migliorare le nostre conoscenze da paesani.<br />

Lui è Peante e anche lui è qui per capire qualcosa di più<br />

sull’universo, su quello che lo muove…<br />

– E, se è possibile, per sapere cosa ci stiamo a fare in<br />

questo bellissimo mondo e se è stato fatto per noi e per le<br />

creature che ci vivono come noi… – aggiunse Peante.<br />

Tutti sorrisero e ai due amici sembrò di avere trovato il<br />

luogo giusto: la sicurezza bonaria di Echecrate e di tutti<br />

gli altri sembrava volere dire che loro le risposte le avevano<br />

già trovate. Echecrate condusse i due ragazzi, tenendogli<br />

le mani sulla nuca, in uno spiazzo ombroso davanti<br />

al più vecchio dei maestri:<br />

– È Pericleto, studia la geometria degli astri. Avvicinatevi.<br />

Il ricercatore tremava e fissava un punto all’infinito:<br />

– Benvenuti, come vi chiamate?<br />

– Io mi chiamo Nicteo.<br />

– Sei Nicteo della stirpe nobile? Fratello di Lico e figlio<br />

di Irieo e di Clonia? Anche se la storia confonde due Lico,<br />

uno figlio di Poseidone e di Alcione, facendo così Nicteo<br />

figlio di Celeno e Poseidone. O sei discendente di Ctonio<br />

che generò Nicteo e Lico dopo aver ucciso Flegia?<br />

Nicteo non trovò il coraggio di rispondere.<br />

Peante non vide nessun alone intorno a Pericleto e disse:<br />

89


– Il mio nome è Peante e mio padre è un pastore con<br />

duecentoventitre pecore mentre il padre del mio amico è<br />

un commerciante di granaglie con una bella casa, almeno<br />

per il nostro paese.<br />

Echecrate si occupò ancora dei due. Nicteo lo ringraziava:<br />

– Come avremmo fatto senza di voi! Che gentilezza ci<br />

avete usato! Come potremmo mai ricambiare?<br />

Echecrate accarezzò le guance rosse dei suoi protetti.<br />

– Prendete almeno un po’ del nostro pane e formaggio,<br />

– disse Peante.<br />

Nicteo lo sgomitò:<br />

– Come vuoi che gli interessi il nostro pane e formaggio?<br />

Echecrate, invece, si dimostrò interessato:<br />

– L’anima sanguinaria del pastore e quella placida del<br />

contadino, il formaggio e il pane!<br />

Addentò il dono e disse:<br />

– Vedete, il vostro maggior tesoro è la giovinezza incorrotta.<br />

L’apprezzare bellezza e gioventù non è segno di superficialità<br />

e poca profondità di pensiero. Quelli che sostengono<br />

il contrario, sono proprio loro vuoti e poco riflessivi.<br />

Nicteo sbalordì per il pensiero: lui aveva sempre ritenuto<br />

il contrario ma pensò che era influenzato dal suo<br />

paese di poveri pastori.<br />

– A nostro avviso, – proseguì il saggio, – chi si preoccupa<br />

per il proprio corpo si preoccupa anche per la propria<br />

anima, perché le due cose in vita sono una sola cosa. Se è<br />

vero che l’invecchiamento prelude alla morte è vero pure,<br />

per conseguenza, che tentare di evitarlo con la ginna-<br />

90<br />

stica, la frugalità a tavola è una forma di riflessione sulla<br />

caducità dei nostri doni. Disprezzarli trascurandoli, i doni<br />

dico, sarebbe disprezzare il creato e l’opera degli dèi:<br />

quindi si peccherebbe di empietà. E dalla paura dell’invecchiamento<br />

deriva, se voi collegate tutti gli anelli del<br />

ragionamento, una naturale e potentissima attrazione di<br />

ciò che è vecchio verso ciò che è giovane.<br />

Nicteo e Peante ascoltavano e riflettevano. Finalmente<br />

la conoscenza! Forse anche loro un giorno trasmetteranno<br />

in questo modo la conoscenza ad altri giovani e questi,<br />

poi, ad altri!<br />

Echecrate completò l’opera di stupefazione:<br />

– Per esempio, voi due adolescenti, per nulla alterati da<br />

giorni di viaggio sotto il sole, neppure sfiorati dalla stanchezza,<br />

dalla sete e da tutto quello che segna un vecchio,<br />

siete voi stessi il più perfetto spettacolo che la natura mette<br />

davanti ai miei occhi e paragonabili alla perfezione del<br />

cielo, della luce e delle acque.<br />

Malizia non ce n’era fra le provviste che i due ragazzi<br />

avevano caricato sui loro asini e Peante guardò Nicteo<br />

cercandovi tutta quella perfezione. Ma Echecrate li prese<br />

per mano e disse ancora:<br />

– Qui troverete tutto quello che cercate ma, vi avverto,<br />

dovete abbandonare ogni pregiudizio e prepararvi a mettere<br />

in discussione tutto ciò che avete appreso sino ad oggi,<br />

dimenticando tutto quello che sino ad ora avete ritenuto<br />

ovvio.<br />

* * *<br />

Da circa quaranta giorni Nicteo e Peante andavano<br />

91


ogni giorno alla scuola dove, con cura affettuosa, Echecrate<br />

faceva loro da guida e da maestro presentandoli,<br />

spiegando e indirizzandoli.<br />

Una mattina, all’ombra di un leccio, seduti tra le radici,<br />

Peante e Nicteo discutevano:<br />

– Vedi, Nicteo, se mio padre sapesse che l’amore, siccome<br />

è bontà, non ha limiti tra gli esseri viventi, chissà cosa<br />

direbbe. Anch’io ho difficoltà. Sarà così che sono nati i<br />

mezzo-uomini e mezzo-animali? Da un amore senza limiti?<br />

Lo devo chiedere a Echecrate.<br />

– Qui, caro Peante, non ci sono confini! Dove la mente<br />

arriva non si ferma e continua a cercare, continua…<br />

– Già, ma devo farti una confidenza, tutto questo pensare,<br />

ma il perché non lo so, mi sta facendo provare una cosa<br />

mai provata prima: sono agitato. Io non avevo mai pensato<br />

alla mia fine, sapevo che ci sarebbe stata e mi bastava.<br />

Adesso, non ci crederai, mi ossessiona, è un chiodo. Povero<br />

corpo mio destinato al decadimento, alla morte e alla<br />

putrefazione.<br />

– Ma l’anima, l’anima resta! Hai sentito Echecrate? Ti<br />

sopravvive! Di cosa ti preoccupi?<br />

– Bella consolazione! L’anima! Inutile che ci chiediamo<br />

dov’è, l’ha detto anche lui… potrebbe essere in qualunque<br />

parte… Il fatto è che sono triste e che me ne tornerei<br />

alle pecore se mi facessero dimenticare… ma neanche loro<br />

ci riuscirebbero. Sono diventato intelligente di colpo?<br />

Ha ragione tuo padre: bisogna imparare lentamente.<br />

Nicteo si stese sorridente sull’erba:<br />

– A me, invece, consola l’immortalità della mia anima…<br />

Io sono la mia anima… Siamo eterni, Peante, siamo eterni!<br />

Coraggio!<br />

92<br />

Così discutevano a pancia all’aria i due amici e quando<br />

arrivò Echecrate si zittirono.<br />

– Io vi metto a disagio? Perché avete taciuto al mio arrivo?<br />

Non avete fiducia nel vostro maestro? Dobbiamo<br />

avere confidenza totale su ogni argomento, nessuna vergogna,<br />

se vogliamo che il sapere diventi profondo. Io accrescerei<br />

insieme a voi la mia conoscenza dell’essere. Capite?<br />

A queste parole Nicteo si sentì promosso ad un mondo<br />

di uomini superiori che, per ora, gli accordavano fiducia:<br />

un giorno, magari, avrebbe potuto farne parte. Si inginocchiò<br />

davanti a Echecrate baciandogli le mani. Il sapiente<br />

lo abbracciò a lungo e a Peante disse:<br />

– Vieni, Peante, dimostrami anche tu il tuo affetto.<br />

Il pastorello sentiva chiara l’agitazione di cui aveva parlato:<br />

– Io, maestro, vi sono grato, anzi, gratissimo, ma a dire<br />

la verità non sono ancora abbastanza disinvolto… Certo,<br />

certo è colpa mia e l’abitudine a frequentare le bestie ha<br />

reso un po’ bestia anche me.<br />

E sfuggì all’abbraccio.<br />

* * *<br />

Nicteo e Peante pensarono che due giorni in meno di<br />

scuola e conoscenza non sarebbero stati un grande peccato<br />

quando Etilla, una sera, con la faccia più rosa e rotonda<br />

del solito, aveva proposto ai ragazzi un viaggio in compagnia<br />

sua e del padre al mercato di Nisea, sul mare.<br />

Nisea era vicina e i quattro arrivarono, seguendo la muraglia<br />

che la collegava a Mègara, con carro, cavallo e asini<br />

93


davanti al mare azzurro e tanto luccicante quella mattina<br />

che non lo si poteva guardare.<br />

I due amici non avevano mai respirato l’aria marina e si<br />

sentivano strani.<br />

Mentre Trittolemo e Nicteo, curioso di conoscere una<br />

nuova città e i suoi abitanti, combinavano affari al centro,<br />

Etilla e Peante passeggiavano e saltellavano tra gli scogli.<br />

Peante aveva già provato quel rimescolamento vicino<br />

alla pelle di una donna, ma non ne aveva mai toccato una.<br />

Si sentì soffocare dalla voglia di abbracciarla. Provò a tenerle<br />

la vita e quando si accorse che lei si appoggiava gli<br />

mancarono le gambe e si appoggiò ancora di più a Etilla<br />

che era incandescente.<br />

“Ha la febbre,” pensò. “Dicono che qui è frequente a<br />

causa delle paludi.”<br />

Scapparono in mezzo agli alberi e Peante, guidato dalle<br />

sue poche conoscenze che si riducevano all’aver visto<br />

le sue pecore accoppiarsi - e alle pecore si ispirò - ci mise<br />

tanta energia che produsse un’estasi quasi mistica in<br />

Etilla la quale, ma di questo Peante non si rese conto,<br />

nella successione dei fatti non aveva dimostrato nessuna<br />

incertezza.<br />

Il giorno seguente l’oste disse:<br />

– Peante, oggi spetta a te vedere la città.<br />

Senza protestare per non insospettire l’amico, accettò<br />

l’invito col cuore come un chicco d’uva passa.<br />

Mentre Trittolemo e Peante, che si girava continuamente<br />

a salutare, si allontanavano, Nicteo diceva:<br />

– Cara Etilla, viaggiare è meraviglioso, quante cose si<br />

apprendono! Io voglio conoscere il mondo, sino a Babilo-<br />

94<br />

nia, voglio conoscere gli uomini, riflettere e capire i loro<br />

dèi. Non potrò mai ringraziare abbastanza Echecrate…<br />

– E me? A me non devi nulla?<br />

– Beh, certo, anche a te, – rispose stupito. – Ma è diverso…<br />

Noi siamo due giovani e le cose sono diverse tra i<br />

giovani.<br />

– Ma con chi stai meglio, con me o con Echecrate?<br />

– Insomma, Etillina cara…<br />

– Come mi hai chiamato? Come hai detto?<br />

Lei si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla nuca accarezzandolo.<br />

Anche Nicteo provò le forze che regolano il mondo.<br />

Perse la parola e il fiato e anche lui pensò che Etilla avesse<br />

la febbre delle paludi.<br />

L’indomani tornarono a Mègara col carro carico affiancato<br />

da Nicteo e Peante a dorso d’asino che non smettevano<br />

di parlare.<br />

* * *<br />

Ripresero la loro vita e trascorsero alcuni mesi durante i<br />

quali il bagaglio di sapienza aumentò caricandosi di conoscenze<br />

che arrivavano da tante direzioni diverse.<br />

Etilla continuava a dividersi, mantenendosi fresca e innocente,<br />

fra Nicteo e Peante. Nessuno dei due aveva il coraggio<br />

di confidarsi con l’altro per paura di procurargli<br />

dolore.<br />

Ma una di quelle sere un poco melanconiche che segnano<br />

la fine della bella stagione, Nicteo, più sentimentale<br />

del solito, disse all’amico:<br />

– Peante, è il mese di Boedromion, il sole se ne va prima<br />

95


e una certa tristezza, chissà perché, mi fa parlare della<br />

dolce Etillina…<br />

– Dolce Etillina?<br />

– Sì, di lei: insomma, Peante, credo di amarla e che anche<br />

lei mi ami!<br />

Peante restò zitto per qualche minuto, con la mascella<br />

che pendeva, mentre Nicteo lo fissava in attesa:<br />

– Nicteo, non so cosa pensare! Anche io credo che Etilla<br />

mi ami e anche io credo d’amarla! Facciamo l’amore<br />

ogni giorno da tre mesi.<br />

– Come sarebbe “ogni giorno”?<br />

– Beh, quasi, e, comunque, spesso. E poi cosa cambia<br />

se è ogni giorno o no?<br />

– Dunque tu mi hai nascosto tutto questo per tanto<br />

tempo?<br />

– E tu allora?<br />

– Basta! Ma dove è cominciato?<br />

– A Nisea.<br />

– Anche tu?<br />

– Non dirmelo…<br />

E continuarono a parlare sempre più disgustati dal<br />

comportamento di Etilla, trascurando di disgustarsi di sé<br />

che profittavano della bontà di Trittolemo il quale non<br />

esigeva più nessun compenso dai suoi due ospiti che trattava<br />

come nipoti.<br />

Non la salutarono più ma per questo Etilla non si sentì<br />

offesa, tanto più che da alcuni giorni aveva conosciuto un<br />

ragazzo di Eleusi, campione di pugilato della città, con<br />

una vaga espressione da cavallo che alla ragazza piaceva<br />

tanto. Di notte lo ospitava nella sua stanza, di giorno lo<br />

nutriva e lo accudiva.<br />

96<br />

Nicteo e Peante, taciturni e nervosi, frequentarono di<br />

più il campo di Enope, e Echecrate fu contento.<br />

* * *<br />

Un giorno Echecrate, che sorvegliava sempre i suoi due<br />

allievi, trovò Nicteo nella sua camera solo e ancora addormentato.<br />

Lo svegliò accarezzandolo e il ragazzo, contento che<br />

qualcuno si occupasse affettuosamente di lui, gli fece un<br />

bel sorriso:<br />

– Buongiorno, maestro! È tardi o passavate da queste<br />

parti e avete avuto la gentilezza di venirmi a trovare?<br />

– Ti invito a casa mia, dove mia moglie Ciane ci preparerà<br />

un bagno e poi ci darà latte di capra fresco. Vestiti,<br />

Nicteo, così sei uno scandalo.<br />

– Uno scandalo?<br />

– Scherzo, cosa c’è di scandaloso in un giovane nudo di<br />

primo mattino? È normale che sia in questo stato, sei bellissimo,<br />

ogni tuo angolo è bellissimo.<br />

E lo accarezzò in ogni angolo dicendo:<br />

– Così sarai ben sveglio quando arriviamo a casa. Ci sono<br />

dei punti nel nostro corpo che tu devi conoscere meglio.<br />

Quando arrivarono a casa dello studioso, intravidero<br />

soltanto la moglie che salutò, squadrò il ragazzo e si ritirò.<br />

Echecrate spogliò in silenzio l’allievo e lo aiutò a immergersi<br />

nel bagno, lo lavò con cura e lo asciugò a lungo.<br />

Nicteo pensò ai genitori - ci pensava poco negli ultimi<br />

tempi - e disse:<br />

97


– Grazie, maestro, per quello che fate per me.<br />

– Ormai sei il figlio che non ho mai avuto e sarebbe un<br />

dolore grande se la tua fiducia venisse meno adesso. Perché<br />

tu hai fiducia, vero? Qualsiasi cosa io faccia tu avrai<br />

fiducia in me, giuralo sugli dèi.<br />

Nicteo giurò e capì che era arrivato il momento. Non sapeva<br />

bene di che cosa si sarebbe trattato ma sarebbe certamente<br />

servito a farlo entrare in un mondo nuovo, sempre<br />

più lontano dal suo paese e lontano anche da Etilla.<br />

– Il tuo maestro può avvicinarsi? Sei fatto come un dio!<br />

– Non ho giurato di avere fiducia?<br />

Echecrate iniziò senza impazienza. Disse solo:<br />

– Vedi? Basta sfiorarti e guarda cosa ti succede!<br />

Poi non parlò più. Per Nicteo non ci fu nulla di doloroso<br />

ma quanto a sentire piacere non fece paragone con la<br />

vertigine che Etilla gli provocava ogni volta. Però Echecrate<br />

lo consolava, corpo e anima, e dopo si sentì sereno,<br />

ripulito e rivestito dallo stesso maestro che lo aveva adottato<br />

e nel cui cuore, lo sentiva, lui occupava un posto importante.<br />

Il precettore gli portò del cibo, Nicteo mangiò e, stanco<br />

per le troppe novità, si addormentò.<br />

* * *<br />

Da molti giorni aspettavano l’arrivo del filosofo più celebre<br />

delle colonie orientali, Menecteo di Efeso.<br />

Peante, solitario perché il suo amico trascorreva poco<br />

tempo con lui e molto col suo pedagogo, era seduto sotto<br />

il pergolato dell’ostello quando vide un bel carro trainato<br />

da due piccoli cavalli neri. Coricato sui bagagli c’era un<br />

98<br />

uomo scuro, sulla quarantina, coi capelli raccolti, mentre<br />

guidava il carro una donna più matura.<br />

Etilla uscì dalla cucina e si inchinò:<br />

– Signori, benvenuti.<br />

– Veniamo da Atene. Il viaggio è stato faticoso. Vogliamo<br />

alloggio e cibo. Quanta polvere!<br />

– Siete forse Menecteo di Efeso?<br />

– Sì, – disse l’uomo guardando la faccia rotonda della<br />

ragazza, – e questa donna impolverata è mia sorella Pitone.<br />

Peante sussultò: Un sapiente più sapiente degli altri!<br />

Cominciava ad averne abbastanza - in certi momenti la<br />

nostalgia per il padre Picnòs e per le pecore diventava una<br />

punizione - però capiva che la conoscenza poteva strapparlo<br />

al suo stato di pastore, magari con sofferenza, per<br />

farlo vivere di sole idee nel più semplice e elevato dei modi.<br />

La sorella del pensatore provvedeva a scaricare i bagagli<br />

e Peante, sempre solidale con chi usava il corpo per faticare,<br />

si offrì di aiutarla giacché la vispa Etilla si era presa<br />

cura di Menecteo che chiedeva informazioni sulla città.<br />

– Bravo ragazzo, grazie! Finalmente qualcuno che fa<br />

qualcosa di concreto, – disse la donna trascinando una<br />

sacca. – Devi sapere che da qualche tempo mio fratello è<br />

triste perché dice che il suo pensare e pensare non è utile<br />

a nessuno. Io lo so che non è vero, però a Efeso ne sono<br />

successe di tutti colori senza che i pensieri di Menecteo<br />

abbiano cambiato le cose di una sola virgola.<br />

Continuava a parlare e Peante pensò che c’era sale in<br />

quello che diceva.<br />

– Grazie, ragazzo, si vede che non vieni dalla città.<br />

– Io e il mio amico Nicteo, che in questo momento non<br />

99


è qui, siamo scappati dal nostro villaggio per sentire i sapienti<br />

del campo di Enope. Sentire la parola del filosofo<br />

più celebre delle colonie d’oriente sarà una gioia doppia,<br />

proprio perché non l’avevamo prevista.<br />

Pitone si fermò per asciugare il sudore:<br />

– Fate bene, tu e il tuo amico, a cercare conoscenza, ma,<br />

– e abbassò il tono della voce, – non è nella filosofia che<br />

troverete soddisfazione. Mio fratello è un genio, su questo<br />

non c’è dubbio, e poi lo dicono tutti. Dovreste vedere<br />

con quale rispetto gli si rivolgono. Adesso c’è rispetto per<br />

i sapienti in questo paese. Ma quando si tratta, non dico di<br />

decidere una guerra, ma anche solo di costruire un porto<br />

o una strada, di distribuire il denaro pubblico eccetera eccetera,<br />

beh, allora mio fratello vale meno di uno zero. E ne<br />

soffre, meschinetto. In confidenza, sta cercando da anni<br />

di ottenere una carica pubblica e non ci riesce. Ora la situazione<br />

si è complicata e staremo qui un bel pezzo.<br />

Guardalo, ora sta sicuramente pensando a quello che ti<br />

ho detto.<br />

Peante si rattristò tutta la sera dopo questo discorso. La<br />

confusione aumentava. Apprendere che la forza del pensiero<br />

non era sufficiente a mettere armonia nelle cose degli<br />

uomini gli toglieva la forza.<br />

Nicteo tornò tardi anche quella sera senza voglia di parlare.<br />

* * *<br />

Per molti mesi, tutte le mattine, i maestri si riunivano e<br />

la sapienza continuava a travasarsi dalle teste dei saggi a<br />

quelle degli allievi.<br />

100<br />

Nicteo viveva con Echecrate, dormiva nella sua casa,<br />

mangiava con lui e andava alla scuola stando al fianco del<br />

suo maestro.<br />

Peante non comprendeva bene ma non si preoccupava.<br />

Era infatti tutto preso a seguire i discorsi di Menecteo<br />

sempre sotto la stessa quercia, ascoltato da un numero<br />

sempre più grande di ragazzi. La sera rifletteva su quello<br />

che aveva sentito la mattina. La notte dormiva ma solo<br />

dopo aver spiato dentro la stanza di Etilla che, da qualche<br />

tempo, era triste per la partenza del giovane di Eleusi.<br />

La ragazza, in una bella notte di plenilunio, fredda e<br />

secca, si affacciò alla sua finestra con un’espressione infelice<br />

e vide Peante arrampicato a un albero che la guardava.<br />

Etilla sorrise e, di lontano, allargò le braccia come ad<br />

accoglierlo. Peante, a vedere quella faccia rotonda come<br />

la luna, riprovò la stessa agitazione profonda di sempre,<br />

scivolò tra i rami graffiandosi dappertutto e saltò nella<br />

camera della giovane la quale confermò da vicino quello<br />

che aveva promesso da lontano.<br />

* * *<br />

Un giorno Menecteo non venne alla scuola. Tutti si domandarono<br />

perché. Così Peante, solo solo perché Nicteo<br />

se ne stava con Echecrate, tornò alla locanda sperando di<br />

trovare Etilla libera. Ma la ragazza non c’era e nel loggiato,<br />

coricato su un tappeto, con gli occhi chiusi c’era addirittura<br />

Menecteo che respirava pesante.<br />

– Chi è là? – chiese aprendo un solo occhio. – Ah, sei tu,<br />

ragazzo, Pitone mi parla spesso di te.<br />

Peante era emozionato.<br />

101


– Vieni avanti! Eri preoccupato perché non mi hai visto<br />

al campo di Enope? Come sei caro! Sei venuto a informarti!<br />

Ma che garbato! Hai sentito ieri il mio discorso sul<br />

paese dei Cimmeri dove non sorge mai il sole e la mia<br />

spiegazione alla leggenda?<br />

– Sì, signore. Avete detto che in realtà si tratta di minatori<br />

schiavi e che su di essi fanno la guardia Gerione e le<br />

Gorgoni che vegliano sull’arricchimento di pochi.<br />

– Bravo!<br />

– E che non è vero che il sole inizia ogni giorno da lì il<br />

suo cammino notturno. Ho imparato la trigonometria<br />

che spiega anche il viaggio del sole.<br />

– Un allievo perfetto! Ma io tra qualche mese ripartirò<br />

ad Atene… e allora? Come farai? Tu potresti seguirmi,<br />

l’Assemblea mi ha concesso una parte del terreno sacro<br />

vicino alla città… che te ne pare?<br />

– È troppo per un pastore.<br />

– Un pastore? Ma è meraviglioso che il tuo desiderio di<br />

conoscenza superi così le difficoltà che derivano dal tuo<br />

stato!<br />

Peante diventò rosso e, in particolare, le orecchie che si<br />

infiammarono da fargli male.<br />

– Così timido in un’epoca di arroganti e violenti! Avvicinati!<br />

Dimmi, hai già avuto altri maestri o sono io il primo?<br />

– Il primo.<br />

– Il primo? Mai avuto un vero maestro? Avvicinati, avvicinati.<br />

Lo prese per mano e lo condusse oltre l’orto guardandosi<br />

intorno con circospezione.<br />

Dopo, mentre si lavava, gli domandò:<br />

– Come ti chiami? Ho sentito parlare di te, te l’ho detto,<br />

102<br />

ma non ricordo il nome: Triante, Creante, qualcosa del genere.<br />

– Peante, mi chiamo Peante.<br />

– Bene, caro Peante, quello che è successo fra noi non<br />

ha di per sé un significato, né buono, né empio. Può averlo<br />

a seconda del nostro comportamento futuro.<br />

Il giovane si sentì umiliato per il fatto che tutto fosse<br />

successo senza che quell’uomo sapesse il suo nome e ancora<br />

più offeso dal fatto che il maestro non attribuisse<br />

nessun significato a quello che era successo.<br />

– Ma come? – singhiozzò: – Gli ho offerto il mio corpo<br />

con buona grazia e lui… non sa proprio come si tratta un<br />

ragazzo. E io che pensavo…<br />

Una vergogna.<br />

* * *<br />

Il giorno dopo, al risveglio, Peante sentiva un’umiliazione<br />

che sommava bruciore a bruciore. Decise di raccontare<br />

tutto a Nicteo. Andò alla scuola ma non lo trovò. Si diresse<br />

verso casa di Echecrate dove il suo amico era occupato<br />

nel compenso al suo pedagogo e attese pazientemente.<br />

Fu difficile per Peante confessare l’errore all’amico. Lo<br />

chiamò inciampo, cedimento, debolezza e in tanti altri modi<br />

ma il succo era che non se ne capacitava e non riusciva<br />

a darsi pace. Ancora più difficile fu per Nicteo, colpito<br />

dalla sincerità del compagno, confessare un comportamento,<br />

il suo, che durava da mesi.<br />

Ma parlarne fu una purga miracolosa, un balsamo divino.<br />

– Ti immagini cosa direbbero i nostri venerabili genitori…<br />

e Mitrone… e i nostri amici?<br />

103


Rifletterono per la prima volta che il dolore non è condivisibile.<br />

Ciascuno, pensarono, soffre per conto proprio<br />

e non ricava sollievo dal condividere una pena con altri.<br />

Fu una riflessione precoce, considerata la loro età, ma utile,<br />

e non la dimenticarono.<br />

Cominciavano davvero a fare da soli.<br />

Decisero di lasciare Mègara, ma non sapevano dove andare:<br />

non erano delusi dalla filosofia, erano delusi di sé.<br />

– Se poi penso che questa conoscenza cambia continuamente,<br />

come dice Menecteo, mi viene una rabbia… – si<br />

torturava i capelli: – Per una cosa che cambia senza sosta e<br />

che tra un po’ non è più la stessa noi abbiamo…<br />

– Non parlarne, Peante, e non nominare nessuno di<br />

questi… almeno per un po’, ti prego.<br />

Restarono a lungo in silenzio mentre passeggiavano in<br />

campagna, lontani dal campo di Enope.<br />

Al tramonto rientrarono in città con una decisione chiara<br />

nella testa.<br />

– Solo dagli dèi ci verrà una risposta, Peante!<br />

– Sì, solo gli dèi ci forniranno un antidoto al dolore e<br />

una risposta alle domande che abbiamo in testa. Sai cosa<br />

ho imparato qua?<br />

– Non so, amico mio. Tante cose, immagino.<br />

– Ho imparato a farmi domande. Sono arrivato a Mègara<br />

che ne avevo due o tre in testa: una sul mondo, una su di<br />

noi e una sulle pecore. Adesso di domande ne avrei almeno<br />

cento da fare, mi si sono moltiplicate nel cervello come<br />

le locuste.<br />

Nicteo si fermò, sorrise e sussurrò a occhi chiusi:<br />

104<br />

– Delfi!<br />

Il cielo era stellatissimo.<br />

– Delfi! – ripeté Peante.<br />

Delfi, certamente! Da lì partiva in tutte le direzioni la<br />

luce degli dèi che avrebbe illuminato anche loro e là diressero<br />

i musi dei loro asini a notte fonda dopo una preparazione<br />

rapida e furtiva. Sparirono nel buio che cancellava<br />

bruciori e ricordi.<br />

105


III<br />

La luce del convento entra costretta attraverso una feritoia<br />

e fa da meridiana alle donne in clausura.<br />

– Tebe, che forza consuma mia figlia? Che forza c’è a<br />

casa mia?<br />

Tebe mostra il suo mignolino mostruoso, bianco e con<br />

tre unghiette, attraverso la grata:<br />

– Capitano, a me lo chiedi? Io sono chiusa qui a causa<br />

di forze che non conosco. Non so cosa abbia fatto ricrescere<br />

questo dito. Me lo domando da dieci anni. Sarebbe<br />

stato meglio con nove dita ma a casa mia. Mi ricordo la<br />

puzza del porto come il più buono dei profumi… Talattone<br />

è il paradiso per me… E quante volte ho chiesto alla<br />

stessa forza che mi ha fatto crescere questo crocefisso di<br />

carne di farmelo cadere, di farmelo mangiare dai topi del<br />

convento, di farmelo finire in cenere! Lo sai che quando<br />

dormo mi dimentico questa appendice e, invece, ogni<br />

mattina, la prima luce della cella illumina proprio la vergogna<br />

che io vorrei nascondere, tagliarmi e seppellire e<br />

che, invece, la gente mi bacia?<br />

Capitan Xaxa prende il mignolo a croce nella sua mano:<br />

– Ma io non voglio sapere che razza di forza è entrata<br />

dentro Medina, voglio sapere come scacciarla, solo questo!<br />

107


– Medina non può scappare, non c’è un luogo… neanche<br />

io posso scappare… non si può scappare…<br />

– Qui! Qui, in convento, vicino a te, Medina deve stare<br />

vicina a te. Tu mi devi molto, Tebe, e il tuo mignolo servirà<br />

a qualcosa finalmente.<br />

Tebe si rosicchia il dito per la rabbia:<br />

– Io, forse, ti devo questo mignolo storpio che qualunque<br />

peccatore si tiene tra le mani mentre prega… mani di<br />

ogni rango… odio le mani… sono diventata una specie di<br />

santa che tutti consumano, Capitano… ti devo questo…<br />

– Qui in convento, Tebe. Medina verrà qui a toccare la<br />

tua mano.<br />

In quel momento dal lungo corridoio bianco arriva<br />

un’ombra sotto forma di odore che diventa subito un sudario<br />

su Tebe e il Capitano.<br />

– Odore di pesche! – dice lei, annusando l’aria e il mignolo.<br />

Battista Xaxa salta all’indietro e corre verso casa ma<br />

non sente la forza nemmeno per camminare. L’odore del<br />

lutto toglie forza e vita ai vivi.<br />

* * *<br />

Il pesco più vecchio dell’orto ha scricchiolato. L’albero<br />

infelice ora ha prodotto il più bello e grande dei suoi<br />

frutti.<br />

Il mantello del lutto ondeggia e ad ogni onda diventa<br />

più grande, ricopre case e giardini e cala giù dalle mura<br />

attirato dalla città bassa.<br />

108<br />

* * *<br />

Il sudore di Medina è diventato brina e lei si conserva<br />

fresca e lucente, coperta di aghi di ghiaccio.<br />

Decidono di aprirla dopo una settimana che Capitan<br />

Xaxa la veglia.<br />

Il dottor Fiammatorta parla sottovoce con Porfirio al<br />

quale il Capitano si è attaccato in questi giorni pensando<br />

che tutta la malvagità di cui il talattonese è a conoscenza<br />

possa spiegargli le cose o, almeno, portare un poco di<br />

equilibrio nel miracolo osceno di questa morte.<br />

– È morta senza i segni della morte, Porfirio, e odora di<br />

pesca e così resterà per chissà quanto tempo. Ma è morta.<br />

– Guardate questi fogli, dottore, Capitan Xaxa ha disegnato<br />

il naso di Medina centinaia di volte, sempre di profilo<br />

e sempre, dice lui, rivolto al cielo… Dice anche che il<br />

cielo non cambierà mai e neanche sua figlia… Ora quel<br />

naso non sente più odori e per lei profumare di pesco o di<br />

pesce non fa differenza…<br />

– Ragionamento da talattonese. A Epipanormo le cose<br />

le vediamo diversamente, perciò siamo così diversi, almeno<br />

da vivi, s’intende, e qualche volta, come vedi, anche<br />

da morti. Noi vogliamo capire e anche Capitan Xaxa<br />

vuole capire: perciò apriremo Medina.<br />

– Era amore, credete a me, enorme… l’amore l’ha imbalsamata,<br />

l’ha avvolta di questa brina, e non c’è verme<br />

così coraggioso da farsi avanti… Ho il naso impestato<br />

dall’odore dell’orto dei Redenti. Intanto do altro oppio<br />

alla madre.<br />

– Sì Porfirio, che dorma anche un anno se occorre.<br />

109


Battista Xaxa si raddrizza e, poiché è rimasto sempre<br />

inginocchiato accanto alla figlia, non riesce a stare in piedi,<br />

cade a terra e tutti vedono le ginocchia piagate. Lo fasciano<br />

e lui si vuole sedere sul letto della figlia:<br />

– Fiammatorta, apritela mia figlia Medina e preparate<br />

tutto per richiuderla di fretta se dentro esistesse ancora<br />

qualcosa che imita la vita… Anche solo un’imitazione miserabile…<br />

mi basterebbe un segno piccolissimo che qualcosa<br />

di vivo è rimasto, anche un pezzettino insignificante…<br />

Non è possibile che qualcosa non sia rimasto. Sì, Porfirio,<br />

alla mamma dài tanto oppio da dormire sino a non<br />

capire più se è sonno.<br />

Posa la mano sulla fronte gelata di Medina e sente gli<br />

aghi di ghiaccio.<br />

La ricorda questa figlia sua: nata da pochi minuti, piccola,<br />

bianca e non viola come tutti quei neonati gonfi per<br />

il dolore. E come ricorda il primo respiro senza pianti!<br />

S’era presa la sua prima aria con una grazia… con una grazia…<br />

Da subito si era capito! Si capiva che tutto correva<br />

verso di lei, tutte le linee del creato! E se il sangue - hanno<br />

sangue anche i serpenti, c’è sangue dappertutto - se il sangue<br />

non fosse sempre lo stesso che travasiamo dall’uno all’altro,<br />

se il sangue ricominciasse a muoversi, a moltiplicarsi<br />

e sciogliesse questo lenzuolo di ghiaccio… se il sangue<br />

dei serpenti servisse a farla vivere… se il sangue non<br />

avesse l’odore dei campi di battaglia. Se tutto non si coprisse<br />

di polvere… Ma il sangue vuole salvarsi e spesso<br />

trova un modo e: “Io, vedi, avevo salvato il mio con te.”<br />

Il dottor Fiammatorta apre le tende perché ha bisogno<br />

di molta luce. Scosta la camicia di Medina e le scopre<br />

l’addome.<br />

110<br />

Guarda a lungo l’ombelico che per lui è il centro di tutte<br />

le forze e misura. Gli basterebbe un taglio di un palmo<br />

per entrare nel mistero. Violare un ombelico è una cosa<br />

per lui fatta e rifatta, ma l’ombelico di Medina lo conosce<br />

da quando era un monconcino che lui stesso aveva tagliato.<br />

Prende ugualmente in mano la lama e il lino con cui<br />

sposta la brina sulla pelle della ragazza che, però, subito<br />

si riforma.<br />

Quando ha inciso inizia uno stupore che non finirà più.<br />

111


– È un uomo che ha sbagliato lavoro, Battistino.<br />

– E invece sbagli tu, ecco, sbagli perché quell’occhio ti<br />

distrae nel giudizio. È messo lì apposta per distrarre i delinquenti<br />

che arresta: quelli pensano all’occhio e lui, intanto,<br />

ragiona e li mette in cella. Ecco.<br />

– I tuoi giudizi sono sempre basati sulla pietà, neanche<br />

una terziaria francescana.<br />

– Beh, senti, intanto se tu ci avessi messo non dico amore,<br />

ma almeno qualche sentimento con Tebe, forse adesso<br />

non saremmo qui.<br />

Enrico e Battistino, scambiandosi acido, aspettavano in<br />

questura il commissario Glicerio che li aveva convocati.<br />

Quando Glicerio arrivò, l’occhio era in piena ma lui ingoiò<br />

subito due pillole e si sedette alla scrivania toccandosi<br />

l’occhio come se toccasse un animale feroce:<br />

– Ho scoperto qualcosa. È stata una riflessione di Egeico<br />

Lago che mi ha ispirato…<br />

– Ispirato? – domandò Battistino ravviandosi i capelli e<br />

facendo la bocca piccola.<br />

Enrico temeva Battistino perché il dispetto causa altro<br />

dispetto. Glicerio diede una manata alla scrivania da dove<br />

venne fuori un rumore da ultimo giorno:<br />

– Esatto, caro professore, ispirazione! Vorrebbe discu-<br />

113


tere sull’ispirazione? Io sono pronto, ma non è il mio lavoro<br />

e poi qua non siamo a scuola, lo sa? Qui siamo in<br />

questura!<br />

Enrico fu contento della risposta del commissario e<br />

Battistino si zittì.<br />

– Bombòi, mi porti il verbale di Egeico Lago.<br />

Il sovrintendente posò il verbale e un collirio sulla scrivania.<br />

– Grazie. Dunque, vado all’argomento. – Si sgocciolò<br />

l’occhio di medicina e proseguì: – Ho detto ispirazione<br />

perché qualcosa nei fatti supera i fatti in sé. All’inizio<br />

quella faccenda dell’odore l’ho solo tenuta a mente. È insolito,<br />

sarete d’accordo, che nel luogo del delitto ci sia<br />

odore di pesche senza che ci sia una pesca, è insolito che<br />

un cane morto sappia di pesca, che aleggi odore di pesca<br />

a casa di una morta sgozzata senza che ci siano pesche in<br />

casa, è insolito che ci sia odore di pesche nella teleferica…<br />

Enrico ebbe un brivido, ma decise di interromperlo,<br />

ormai gli sembrava ora:<br />

– Scusi, commissario, ma è ancora più insolito quello<br />

che le dirò: quattro giorni fa l’odore è diventato, come si<br />

può dire, così denso da farsi materia, mi ha inseguito sino<br />

al mio letto e mi ha detto: “Sei pallido”. Ecco, non ne ho<br />

parlato neppure col mio amico e neppure con Melania<br />

Lampreda, – e qui si interruppe cercando una parola che<br />

non trovò: – Inoltre l’odore l’ho sentito anche in altre occasioni,<br />

persino nell’atrio di casa mia quando ho salutato<br />

un giovane…<br />

– Quale giovane?<br />

– Un giovane che stava in portineria il giorno della mor-<br />

114<br />

te di Medina. Non so chi fosse, mi ricordo che aveva un<br />

bel passo elastico che solo da giovani si possiede.<br />

Battistino, allisciandosi più velocemente i capelli, a voce<br />

bassa:<br />

– Anche a casa mia, commissario, anche da me l’odore<br />

ha assunto una forma. L’ho visto seduto, al buio, sul mio<br />

divano illuminato dalla luna. Mi vergogno a dirlo, ma sono<br />

svenuto. E non so altro.<br />

Enrico, sbalordito dall’amico che aveva confessato la<br />

debolezza dello svenimento, prese coraggio e disse lentamente<br />

perché Bombòi potesse scrivere:<br />

– Con me l’odore ha parlato… – e, fissando Battistino,<br />

sillabò: – Io non sono svenuto e l’odore se n’è andato.<br />

Glicerio aveva preso le pillole, instillato il collirio, zittito<br />

Battistino Mattiolo e ascoltato. Ma tutto iniziò a rimescolarsi<br />

dentro con le dichiarazioni dei due amici.<br />

Non sapeva come dirlo, ci aveva pensato dalla sera prima<br />

e non sapeva come dirlo. Allora scelse la via breve, come<br />

avevano fatto Enrico e Battistino raccontando il loro<br />

incontro con l’odore.<br />

– Bombòi, mi dia le fotografie.<br />

Ne scelse alcune e disse:<br />

– Basteranno queste. Prima di farvi vedere queste fotografie<br />

voglio chiedervi se sapevate che Egeico Lago consumava<br />

cocaina.<br />

Enrico chiese spontaneo:<br />

– Consuma… Intendete dire che usa cocaina, che Egeico<br />

si droga?<br />

– Si drogava…<br />

Battistino aveva riacquistato acidità:<br />

115


– Egeico è un idiota pigro, la cocaina non trasforma un<br />

idiota in un genio. Lui è un raccoglitore di notizie sulla<br />

città… figuratevi che è tanto pigro che non le scrive neppure…<br />

La cocaina bisognerebbe fornirgliela con una colletta<br />

tutti i giorni.<br />

Glicerio sorvolò, pazientò, si toccò l’occhione e chiese<br />

ancora:<br />

– Quindi voi non sapete che uso ne faceva? Non sapete<br />

se la prendeva solo quando andava da Medina Xaxa?<br />

Enrico fece una domanda da insegnante, ma, mentre la<br />

faceva, sentì un tremore nella schiena e debolezza, e anche<br />

spilli da tutte le parti:<br />

– Perché usate l’imperfetto, commissario? Perché?<br />

Un silenzio severo, come quello che precede sempre un<br />

dolore, riempì la stanza.<br />

Il commissario gli avvicinò le foto sulla scrivania e li<br />

fissò:<br />

– Guardate, professor Ricasoli, e anche lei, professor<br />

Mattiolo, guardate bene.<br />

Egeico era fotografato a colori. Non stava tutto nello<br />

stesso posto e usciva fuori, inarrestabile per i cuori deboli<br />

di Enrico e Battistino, dalle fotografie numerate.<br />

Glicerio iniziò a leggere:<br />

– È la relazione del medico legale. Ascoltate, leggerò solo<br />

le parti essenziali. Quello che vedete nelle foto si chiama<br />

depezzamento, il termine è questo.<br />

Enrico e Battistino sembravano di colpo due candele<br />

che si scioglievano, e guardavano le foto vedendo tutto lo<br />

scandalo. Depezzamento.<br />

Glicerio leggeva e aggiungeva di suo:<br />

116<br />

– Ogni pezzo dell’assassinato si trovava in stanze diverse…<br />

La testa sul cuscino della camera da letto, gli occhi<br />

aperti, come vedete… Il tronco in cucina, sul tavolo… Le<br />

gambe: tutt’e due in soggiorno, ciascuna su una poltrona…<br />

Le braccia: nello studio, una vicino all’altra. Il depezzamento<br />

è stato accurato… eseguito con una lama da<br />

mani esperte che hanno disarticolato i vari pezzi senza<br />

strappi o lacerazioni rozze. Il sangue ripulito. È verosimile<br />

che la testa sia stata tagliata per prima.<br />

Enrico, guardando la testa mozzata di Egeico adagiata<br />

sul cuscino, sussurrò:<br />

– Cosa c’entra la cocaina, commissario, cosa c’entra<br />

con tutto questo.<br />

– Esami tossicologici, professore. Era sotto l’effetto<br />

della cocaina quando gli è stato fatto questo. È stato un<br />

vantaggio, credo, per Egeico Lago. Non sappiamo altro,<br />

neppure con che lama è stato fatto a pezzi. Comunque…<br />

Battistino si teneva la testa:<br />

– Finiremo tutti a pezzi ad Epipanormo.<br />

– Comunque, – proseguì Glicerio con l’occhio quieto<br />

di colpo, – non mi avete ancora domandato quello che mi<br />

aspettavo…<br />

Un altro silenzio.<br />

Enrico sussurrò tenendosi la testa con le mani sulle<br />

tempie:<br />

– Glielo chiederò io, commissario: c’era odore di pesca,<br />

vero?<br />

L’occhio del commissario pulsò:<br />

– Sì, c’era odore di pesche dappertutto in casa.<br />

Enrico si afflosciò sulla sedia e poi scivolò giù. Bombòi<br />

dovette raccoglierlo da terra.<br />

117


Battistino allontanò le fotografie e singhiozzò, un solo<br />

singhiozzo.<br />

Quando Enrico si riprese, Glicerio aveva in mano un<br />

foglio scritto a mano:<br />

– È scrittura di Egeico Lago. Come vede, professor<br />

Mattiolo, Egeico scriveva… Comunque sentite:<br />

«Lo stemma con le pesche appartiene a una famiglia<br />

estinta da tre secoli, la famiglia Dei Redenti di Epipanormo.<br />

Enrico Ricasoli e Battistino Mattiolo non troverebbero<br />

acqua in mare, figuriamoci. L’ultimo Dei Redenti forse<br />

era creatura che veniva, come me e come Medina, da troppi<br />

incroci, come tutti, d’altronde, qui ad Epipanormo. Ora<br />

sono stanco. Nei prossimi giorni vedrò l’altra faccenda<br />

dell’albero infelice… ora sono stanco.»<br />

* * *<br />

Enrico entrò nell’acqua sino all’ombelico. Le acque dello<br />

stabilimento della Grotta di Panope gli sembravano acque<br />

morte come il suo umore. Un pesciolino sbiadito fece<br />

un salto fuori dell’acqua e dopo una misera parabola cadde<br />

con un piccolo spruzzo. “Acque morte” pensò ancora,<br />

ma era lui che vedeva così una bella giornata di fine giugno.<br />

Nuotò, galleggiando come un relitto consumato, sino<br />

alla punta degli scogli.<br />

Melania era già là, sotto un ombrellone che a Enrico<br />

sembrò la tenda di uno sceicco quando si sdraiò aspirando<br />

il buon odore di Melania:<br />

– Melania, sei bella, ma così su un fianco sei più dea del<br />

solito.<br />

Lei scherzò:<br />

118<br />

– Oggi non svieni, Enrico, eppure sul giornale ci sono<br />

più morti che nati.<br />

– Oggi no… merito tuo… quando ci sei mi dimentico<br />

anche quelle fotografie orrende… e persino Medina dimezzata…<br />

Forse più tardi potrò svenire.<br />

Melania gli diede un bacio, gli grattò la nuca e si alzò.<br />

Quando le energie si coagulano in un punto, prendono<br />

forme diverse: trombe d’aria, onde smisurate, grandi dolori,<br />

record, lampi… insomma, fenomeni. Così rifletteva<br />

Enrico guardando Melania in mare.<br />

Un volo di pesci argentati schizzò dall’acqua e corteggiò<br />

subito Melania. Lei lasciava una scia azzurra e si allontanava<br />

scortata dai pesci.<br />

Enrico stava osservando quel corpo che galleggiava perfetto,<br />

i fianchi, le gambe, tutto, ed era abbagliato quando<br />

alle narici, che gli si aprirono come crateri, arrivò l’odore<br />

di pesche.<br />

Si voltò e vide l’odore, giovane, bruno, sdraiato accanto<br />

a lui. Richiuse gli occhi per non svenire e disse:<br />

– Non vorrai ammazzarmi? Non so neppure chi sei. So<br />

che c’eri quando è morta Nellina, quando è morta Tebe,<br />

quando è morta Medina, quando è morto Egeico… morti<br />

ammazzati… anche Medina, vero, è stata ammazzata,<br />

non era un incidente?<br />

Enrico teneva gli occhi chiusi e, chissà perché, non sentiva<br />

paura:<br />

– Ma perché giri intorno a me e a Battistino? Tu sei di<br />

Epipanormo, vero? Perché hai scelto questa forma del<br />

profumo?<br />

Melania nuotava lontana senza fatica seguita dai pesci<br />

pilota contenti.<br />

119


L’odore rispose:<br />

– Perché a me è rimasta una sola memoria, quella degli<br />

odori, una memoria dolorosa per gli odori, ecco… Un solo<br />

odore mi ricorda la mia Medina… Mi sono condannato<br />

da me alla pena dell’albero infelice. Ho già scontato la<br />

mia pena. Di me è rimasto l’odore del trapasso. Ma avevo<br />

un figlio e non lo sapevo ancora quando mi sono appeso<br />

all’albero<br />

“Che bel giovane…” pensò Enrico quando riaprì gli<br />

occhi e il profumo si rapprese ancora di più.<br />

– Ora puoi ridere, Enrico, puoi ridere di me, se vuoi,<br />

tanto non posso ucciderti, c’è un motivo, un buonissimo<br />

motivo. Ora puoi ridere.<br />

– Mi dispiace, il buonumore non mi è tornato ancora, ci<br />

vorrà tempo, solo Melania che vedi nuotare laggiù, è capace<br />

di farmi dimenticare per un po’… Quanto agli odori<br />

e alla memoria, hai ragione.<br />

– Oh, a me il buonumore è passato da quattrocento anni<br />

e non tornerà più. Non posso dimenticare quel cuor<br />

luccicante e il sen sanguinante…<br />

– Un cuore che luccica, un seno che sanguina…<br />

– Una tristezza eterna.<br />

– Eterna? Ma cosa ne sai? Chi l’ha detto che la tua è una<br />

forma eterna? – domandò Enrico.<br />

– Sono eterno perché questo che vedi sono Io.<br />

– Eterno perché hai trecento anni? Ci vuole altro per<br />

essere eterni.<br />

L’Io eterno scoppiò a piangere:<br />

– Sono passato al mondo senza rughe, o meglio, avevo<br />

una sola ruga che mi è comparsa sulla fronte quando è<br />

morta lei. La vedi? È ancora qui, verticale, in mezzo alla<br />

120<br />

fronte, alla mia bella fronte. Il tuo cane si è spaventato<br />

quando mi ha visto, deve avere capito qualcosa…<br />

– Nellina era così intelligente.<br />

Enrico sentì un dolore forte occupargli lo stomaco perché<br />

si ricordò Nellina, un pezzo per ogni pianerottolo:<br />

– Dimmi cosa devo fare.<br />

Il giovane Io rispose:<br />

– A guardare il mare non sembra cambiato nulla, è lo<br />

stesso che vedevo dal mio terrazzo. La città è cambiata ma<br />

voi di Epipanormo no. E neppure i talattonesi. Avete continuato<br />

nello stesso modo. Sempre nello stesso modo.<br />

Enrico fissò il cielo e bisbigliò: – Il nome… Il nome…<br />

– Mi chiamo Guglielmino dei Redenti.<br />

Melania aveva iniziato il ritorno girando alla boa. Enrico<br />

non sentiva paura e neppure sentiva forte l’odore di<br />

pesche:<br />

– Guglielmino dei Redenti…<br />

– Sì. Ma non l’ultimo dei Redenti, come credevo quando<br />

mi sono appeso all’albero infelice. Ricordatelo, Enrico,<br />

non sono l’ultimo dei Redenti.<br />

E gli raccontò la sua storia sino all’albero infelice e al<br />

parto miracoloso di Medina.<br />

Poi sparì.<br />

Enrico vide Melania che saltellava tra gli scogli per raggiungerlo.<br />

La gratitudine di Enrico traboccò per la consolazione<br />

che lei gli dava.<br />

L’abbracciò, la baciò e l’asciugò a forza di accarezzarla.<br />

* * *<br />

– Come vedi, – disse Enrico a Battistino, – tutti i tuoi<br />

121


giudizi sono andati a quel paese. Glicerio ha capito e ha<br />

capito molto. Egeico aveva trovato una strada…<br />

– Due teste di terracotta che hanno capito quello che<br />

abbiamo capito noi.<br />

– Due teste, né più né meno delle nostre o della tua.<br />

– Non ci sono due teste uguali.<br />

Bussarono a casa di Enrico.<br />

Porfirio Rubinacci era nato cinquanta anni prima in<br />

una casa del porto da un mamma conosciuta nel quartiere<br />

per aver messo al mondo altri dodici Rubinacci.<br />

Porfirio aveva studiato sino al diploma delle scuole<br />

professionali e poi aveva lasciato gli altri Rubinacci a Talattone<br />

per aprire una bottega di corniciaio a Epipanormo<br />

cercando di scalare la città alta. Ma tutti i cognomi<br />

che finivano in acci e altri dispregiativi erano un marchio<br />

di Talattone e, comunque, Porfirio sarebbe restato un talattonese<br />

anche se si fosse cambiato il cognome in ucci o<br />

in elli, per via del naso a vela e di quelle rughe salate da<br />

commerciante della città bassa.<br />

Faceva cornici perfette, rinomate. Veloce, attivissimo,<br />

aveva incorniciato tutto quello che era incorniciabile nel<br />

quartiere. Vedeva una cornice intorno a ogni cosa e aveva<br />

teorizzato con la sua vasta clientela che tutto, proprio tutto,<br />

doveva avere un contorno, almeno un alone.<br />

Enrico e Battistino lo stavano aspettando e quando<br />

bussò interruppero la discussione sulle teste di Glicerio e<br />

di Egeico:<br />

– Credo di avere trovato il ritratto! – disse forte Porfirio.<br />

Enrico aveva la pelle d’oca per l’emozione.<br />

Bussarono ancora: era Melania.<br />

122<br />

– Signora Lampreda, qui, a casa di professor Ricasoli la<br />

cornice è lei! Meglio di ogni ciliegio intarsiato, che, – precisò<br />

Porfirio, – è il materiale più caro!<br />

Melania sorrise e davvero incorniciò tutti col sorriso.<br />

Enrico la baciò e disse:<br />

– Il signor Rubinacci ci ha portato un ritratto di Guglielmino<br />

Redenti.<br />

Battistino si accese una sigaretta e rifinì:<br />

– Un probabile ritratto di Guglielmo Redenti.<br />

Porfirio non poteva aspettare:<br />

– Eccolo, ve lo scarto.<br />

Apparve un ritratto, alto due palmi, di un giovane pallido<br />

su uno sfondo annerito, con i capelli lunghi divisi al<br />

centro, con un tocco di etilico nello sguardo che, nelle intenzioni<br />

del pittore, doveva essere la rappresentazione<br />

della melanconia nella faccia ovale. La guance erano rosse<br />

e le labbra socchiuse. Si intravedevano i denti appuntiti<br />

del ragazzo. Nell’insieme dava l’impressione di un prepotente<br />

triste perché non riusciva ad avere ciò che voleva.<br />

Porfirio interruppe il silenzio:<br />

– Consiglierei il legno di rosa, è caro, ma con una cornice<br />

così questo bel giovane pallido verrebbe fuori dalla tela,<br />

ve lo assicura Porfirio Rubinacci.<br />

Melania disse:<br />

– Per carità! Se questo giovane salta dal quadro combina<br />

guai… Ce l’ha scritto in faccia… ci manca solo questo!<br />

Porfirio domandò:<br />

– È un vostro antenato?<br />

Enrico era sempre più emozionato e quasi tremolava<br />

tenendo il quadro tra le mani:<br />

– È un antenato di tutta Epipanormo. Vedete l’anno?<br />

123


Milleseicentoquattro. Guardate bene in faccia i vostri<br />

clienti, signor Rubinacci, ciascuno avrà almeno una gocciolina<br />

del sangue di questo ragazzo.<br />

Porfirio si guardò allo specchio del soggiorno:<br />

– Già, neanche una goccia a Talattone… guardate il mio<br />

colore. Ho il colore delle mie cornici, io. Non è roba da<br />

Epipanormo. Ma miei figli sono un po’ più chiari di me,<br />

un primo passo. Però il mio naso da falco ce l’hanno anche<br />

loro.<br />

Battistino prese il quadro tra le mani e lo guardò, poi<br />

guardò Porfirio:<br />

– Lei, signor Rubinacci, ha il colore di qualche fenicio<br />

laborioso che commerciava per mare. Questo ragazzo è<br />

bianco come la cera.<br />

Enrico era scarmigliato e Melania lo pettinava con le dita<br />

mentre Porfirio prendeva le misure del quadro borbottando:<br />

– Gli acci in basso e gli altri, gli ini, gli ucci, in alto… tutto<br />

come sempre.<br />

Quando il corniciaio e Battistino se ne andarono discutendo<br />

di suffissi, lasciando Enrico e Melania soli, lui, dopo<br />

quella lunga pettinata, socchiuse le gelosie, fece una<br />

bella penombra e iniziò ad annusare Melania che lo lasciò<br />

fare e l’aiutò. Caddero sul divano, fecero chiasso, fecero<br />

in fretta e poi, rossi e dilatati, mangiarono tutto quello che<br />

c’era in frigorifero.<br />

Lasciarono solo una pesca.<br />

– Sai cosa mi ha detto Guglielmino? Che le parole si dimenticano,<br />

le facce si dimenticano, si dimentica tutto, ma<br />

gli odori no, gli odori non si dimenticano.<br />

124<br />

* * *<br />

Dentro una teca senza cornice, su un pizzo grigio e opaco,<br />

stava un dito mummificato, color piombo, a forma di<br />

croce, con le unghie perfettamente conservate. Era la reliquia<br />

meno adorata di tutta la chiesa del Santo Crocefisso e<br />

veniva rifuggita da tutti i fedeli di Epipanormo. A guardarlo<br />

con attenzione il mignolo mostruoso era coperto da<br />

una muffetta sottile e pelosa che lo rendeva all’apparenza<br />

vellutato.<br />

125


<strong>Ei</strong><br />

Non salutarono nessuno, neppure Etilla e l’oste generoso.<br />

Fuga e vergogna.<br />

La Focide e Delfi erano lontane ma gli avevano spiegato<br />

che era facile trovare la valle e il tempio sacri ad Apollo<br />

perché per strada avrebbero incontrato altri pellegrini.<br />

Inoltre, a un certo punto, li avrebbe guidati la sagoma del<br />

monte Parnaso.<br />

Così risalirono la Megaride e quando videro da lontano<br />

il profilo del loro monte Citerone si commossero e si abbracciarono<br />

a lungo piangendo.<br />

A Egostena si accodarono a un gruppo di ricchi spartani<br />

protetti da soldati vestiti di nero, diretti anche loro al<br />

tempio di Apollo per interrogare la Pitia.<br />

Nicteo e Peante avevano solo sentito parlare della guerra<br />

e dell’odio, ma sapevano che su tutto regnavano, rispettati,<br />

temuti e adorati, gli dèi.<br />

Loro dovevano, senza impicciarsi d’altro, raggiungere<br />

l’oracolo, aspettare e, infine, interrogarlo sulle cose grandi<br />

che gli si agitavano nella testa.<br />

Un vecchio guerriero diceva a voce alta:<br />

– Sette anni fa ho combattuto a Egospotami con Lisandro.<br />

Abbiamo vinto. Molti amici hanno perso la vita ma<br />

abbiamo ucciso tremila, dico, tremila cani ateniesi. Io<br />

127


stesso sono stato ferito e, lo vedete, ho perso il braccio<br />

destro, tre dita della mano sinistra, quasi tutto il naso, un<br />

orecchio e un occhio. Ma sono contento e darei quello<br />

che mi resta per la mia città!<br />

Peante fu proprio sventato:<br />

– Non vi resta granché da dare, signore.<br />

Un soldato con l’elmo nero si abbassò dal cavallo e diede<br />

una manata sul collo di Peante che cascò dall’asino:<br />

– Non essere insolente ragazzo.<br />

– Non volevo essere insolente… volevo solo dire che<br />

quest’uomo ha dato tanto per la patria che non gli si può<br />

chiedere altro, ecco cosa volevo dire.<br />

– E inoltre, – mentì Nicteo, – noi abbiano sempre ammirato<br />

Sparta. Siamo nati e cresciuti in una regione che è<br />

seguace dei vostri costumi e anche a noi ragazzi nel mio<br />

villaggio si fa scuola di sobrietà ai pubblici conviti dove<br />

ascoltiamo gli adulti e tra noi, evitando di essere scurrili,<br />

scherziamo senza risentirci quando veniamo, a nostra<br />

volta, burlati.<br />

Il soldato si levò l’elmo, sorrise e diede una manata più<br />

leggera sulle spalle del giovane:<br />

– Bravi! Un po’ troppo chiacchieroni ma educati come<br />

si deve, si vede subito, io conosco gli uomini. Mi sembrate<br />

sani e robusti. Ma cosa fanno due ragazzi qui a Egostena<br />

da soli e a dorso d’asino?<br />

– Siamo diretti a Delfi, signore, vorremmo interrogare<br />

l’oracolo sul futuro, sul presente e sul passato. Ci interessano<br />

tutt’e tre.<br />

– Consigli sentimentali?<br />

– Non siamo quel tipo di giovani che vivono sospirando<br />

per una donna.<br />

128<br />

– Ma le donne vi piacciono? Io gli uomini li so valutare<br />

subito e a guardarvi direi che vi piacciono. Non avete l’aria<br />

di quei ragazzini corrotti di cui si dice che pulluli Atene.<br />

A Nicteo e Peante iniziarono a tremare le gambe: – Certo<br />

che ci piacciono le donne! La sola idea che un vecchio<br />

cisposo si dia da fare con noi ci rivolta lo stomaco! – E<br />

Peante aggiunse sputando per terra: – Ho conosciuto uno<br />

di questi ragazzi sventurati. Poveretto! Le guance di cera<br />

e le braccia sottili da femminuccia. L’avreste dovuto vedere!<br />

Al guerriero spartano piacque, a istinto militare, lo spirito<br />

dei due ragazzi e li prese sotto la sua protezione.<br />

Arrivò la sera.<br />

Polifonte, così si chiamava, ordinò loro di addormentarsi<br />

al tramonto e lui stesso li svegliò prima del sorgere<br />

del sole per proseguire il viaggio con la carovana.<br />

*<br />

A Crisa convergevano molte strade dal mare, dalla Beozia<br />

e dalla Locride e i due ragazzi si stupivano della moltitudine<br />

che trovavano per strada.<br />

Man mano che si avvicinavano al tempio della Pitia la<br />

folla cresceva in varietà e quantità. Videro, dal dorso dei<br />

loro asini un’infinità di uomini in movimento ciascuno<br />

con una storia che riguardava il singolo, la famiglia e, via<br />

via, il villaggio, l’intera città, l’intera Ellade ed era portatrice<br />

di un’immensa quantità di interessi.<br />

Peante, che aveva già dimenticato Mègara, guardava e<br />

si meravigliava che potessero esistere tante facce diverse.<br />

Nicteo si rivolgeva a tutti quelli che gli capitavano a tiro<br />

durante il cammino.<br />

129


– Amico, volete che vi aiuti? La vostra magrezza suscita<br />

pietà. Volete il mio asino fino a Delfi?<br />

– Non so cosa farmene del tuo asino che sembra più<br />

malconcio di me. Quanto alla mia magrezza, ragazzo petulante,<br />

cerca di non pensare a chi vuole essere lasciato in<br />

pace anche se è pieno di guai come me. I medici mi hanno<br />

quasi ucciso e, non riuscendoci, si sono accontentati<br />

di rendermi povero. Sono andato anche a Cos per le cure<br />

moderne. Ecco il risultato! Il flegma si è accumulato nel<br />

mio ventre e mi ucciderà se non riesco a scaricarlo. Mi<br />

hanno imputridito l’intestino con l’orzo bollito. Solo<br />

Apollo può salvarmi!<br />

Nicteo, che non riusciva a stare zitto a lungo, si rivolse<br />

allora a una donna che viaggiava su un carro in compagnia<br />

di una bella ragazza:<br />

– Signore, gradite acqua fresca? Avete le guance rosse<br />

per il caldo e le labbra asciutte.<br />

– Io e mia figlia Cilla ti ringraziamo. Sono vedova da<br />

poco e mi fa piacere la protezione di un uomo, anche se è<br />

ancora un ragazzo.<br />

Così Nicteo appaltava a sua volta la protezione accordatagli<br />

da Polifonte anche perché da quel carro arrivava<br />

un profumo buono di muschio e ambra.<br />

– Vedi, giovane gentile, – disse la vedova, – andiamo a<br />

invocare Apollo, secondo solo a Zeus, perché a Messene,<br />

la nostra città, venga giudicato l’assassino di mio marito,<br />

stupratore mio e, quello che più addolora, della mia<br />

unica figlia. L’uomo che ora si è impadronito della mia<br />

casa.<br />

Trottando sull’asino troppo lento, Nicteo perse di vista<br />

il carro trainato da due cavalli. Ma era euforico per l’e-<br />

130<br />

norme numero di persone con cui aveva la possibilità di<br />

parlare e si mise a scegliere i tipi più interessanti.<br />

Un grande carro, pesante, coperto da una tenda bianca,<br />

ospitava un uomo corpulento, ben vestito e intento a leggere<br />

enormi pergamene. Viaggiava con una donna e uno<br />

smilzo giallo e calvo.<br />

Nicteo spronò l’asino:<br />

– Buona giornata, signori! Se andate a Delfi come me,<br />

disponete pure di Nicteo.<br />

– Grazie, ragazzo, – disse l’uomo corpulento. – Ad Atene,<br />

da dove veniamo, non capita di trovare giovani così<br />

servizievoli se non in cambio di qualcosa.<br />

– Ecco una ricompensa, signore: notizie su Atene.<br />

La donna che stava accanto all’omone sorrise e lo invitò<br />

a salire sul carro. Nicteo era contento dell’approccio sobrio<br />

e, a suo avviso, poco provinciale.<br />

– Mi chiamo Pirilampe e sono cittadino ateniese. I miei<br />

antenati e io stesso abbiamo combattuto contro Sparta e<br />

contro l’Oriente. Il governo della città decise, grazie ai<br />

miei meriti, di affidarmi il controllo delle casse dell’erario…<br />

– Non spaventarti ragazzo, mio marito non scappa con<br />

l’oro di Atene sul carro.<br />

– Avrebbe fatto bene a farlo, – borbottò il compagno di<br />

viaggio della coppia, lo smilzo.<br />

– Bene, dicevo che sono sempre stato, anche se non<br />

spetterebbe a me dichiararlo, un onesto amministratore.<br />

Ma mi fu chiaro presto che gli ateniesi vivevano troppo<br />

lussuosamente in rapporto alle loro ricchezze. Per me<br />

poi, che mangerei onestà e mi vestirei con l’onestà, fu una<br />

constatazione amara. Guardate un po’ che tasse pagano a<br />

131


Sparta! Lì sì che governanti e cittadini fanno il loro dovere!<br />

Ad Atene no!<br />

E iniziò a cambiare il colore della faccia:<br />

– Ad Atene si paga secondo umore e ispirazione. E io<br />

dovevo arrabattarmi per pagare strade, templi e statue.<br />

Stavo diventando pazzo. Dunque inventai nuove tasse<br />

ma con astuzia e, anche se non spetterebbe a me dichiararlo,<br />

sono stato abile perché ho iniziato piano piano,<br />

abituando la gente ad allargare i cordoni della borsa. Entrava<br />

molto più denaro nelle casse della città. Fui aiutato<br />

da tutti in Assemblea e, pensa, allora li ammiravo e credevo<br />

che loro ammirassero me…<br />

– Siete stato saggio, signore, di sicuro. Ma un certo mio<br />

maestro mi ha insegnato che molte tasse rendono più costoso<br />

vivere: il pane costa di più, comprare le vesti diventa<br />

difficile, gli schiavi costano un occhio eccetera eccetera.<br />

– Il tuo maestro aveva ragione. Ma il punto non era l’eccesso<br />

di tasse. Purtroppo scoprii che una parte del denaro<br />

che affluiva agli uffici non me la ritrovavo nei conti.<br />

Avevo molti segretari…<br />

Lo smilzo ridacchiò e Pirilampe lo fissò con severità:<br />

– I loro averi erano cresciuti senza spiegazione. Appena<br />

me ne accorsi avvertii i magistrati deciso a spedirli davanti<br />

all’Areopago. Ma anche i magistrati avevano cambiato<br />

vita, banchettavano ogni sera con le etere più belle a dispetto<br />

dei loro capelli bianchi. Li minacciai di denunciarli<br />

all’Assemblea.<br />

– E cosa avvenne?<br />

– Nulla, anzi, peggio, molto peggio di nulla. Il nobile<br />

Cronate, un uomo molto importante al quale avevo con-<br />

132<br />

fidato tutto, mi invitò nella sua bellissima casa e durante<br />

la festa cercò di consolarmi: “Godi Pirilampe, gli dèi sono<br />

dalla nostra parte e non solo gli dèi”. Tornai a casa col<br />

desiderio di essere cittadino di Sparta, non mi vergogno a<br />

dirlo. Volevo diventare cittadino di Sparta!<br />

– Credo di avere capito, signore. È una storia che contiene<br />

grandi insegnamenti per un ragazzo.<br />

– Eh, hai capito che le cose vanno male ad Atene da<br />

quando la politica è diventato un mestiere per abbindolare<br />

i babbei?<br />

Nicteo aveva avuto il tempo di elaborare la sua osservazione:<br />

– Credo, così mi è stato insegnato, che tutte le città<br />

grandi mostrino come il potere e la ricchezza portino la<br />

corruzione e che un giorno si potrà calcolare la corruzione<br />

conoscendo il numero degli abitanti.<br />

– Che giovane acuto, – gracchiò lo smilzo. – Troppo<br />

acuto per essere del tutto onesto.<br />

– Perdonalo, ragazzo, è afflitto dalla bile nera. Però è<br />

l’unico segretario fidato che mi è rimasto. Forse è così<br />

perché non ha avuto un padrone ladro che lo ha riempito<br />

di dracme.<br />

– Ma cosa vi aspettate dalla Pitia? – domandò Nicteo.<br />

– In due parole: o taccio e resto, oppure me ne vado.<br />

Insomma, chiedo alla mia onestà - che, non spetterebbe a<br />

me dirlo, ad Atene è proverbiale - se resistere o recedere.<br />

– E lo chiederete anche alla Pitia?<br />

– Esatto, ragazzo, esatto.<br />

Qui la giovane età tradì Nicteo che avrebbe dovuto andarsene<br />

a trottare da un’altra parte:<br />

– Perdonatemi: se la vostra onestà è così sviluppata e se<br />

133


voi avete ben chiari chi è ladro e chi non lo è, avete da solo<br />

trovato la risposta. Che bisogno avete della Pitia? Si<br />

tratta solo di decidere se volete andare ad aumentare l’esercito<br />

dei disonesti oppure no.<br />

Pirilampe cambiò argomento:<br />

– Guardate quanti pellegrini! Sarà difficile trovare una<br />

locanda! Affrettiamoci!<br />

Nicteo saltò giù dal carro e raggiunse Peante nel gruppo<br />

spartano.<br />

Polifonte gridò a tutti:<br />

– Poco cibo e subito a dormire. Lo stomaco pieno ostacola<br />

il sonno e impedisce all’anima di sognare.<br />

Come gli altri, Nicteo e Peante mangiarono poco, bevvero<br />

acqua, pregarono gli dèi e si avvolsero nelle coperte.<br />

* * *<br />

Delfi non era il luogo mistico, silenzioso e soprannaturale<br />

che i due ragazzi avevano immaginato e aveva poco<br />

di sacro. Un unico brodo di uomini ricchi, poveri, sani,<br />

malati e storpi che protestava in una varietà impressionante<br />

di dialetti, confluiva verso quel punto dove, anticamente,<br />

la terra si era aperta facendo uscire le esalazioni<br />

che ispiravano la Pitia. E quanto più ci si avvicinava a<br />

quel punto tanto più diminuiva il desiderio di pregare e<br />

di riflettere.<br />

Peante, che non dimenticava le sue pecore, si teneva il<br />

mento dubbioso.<br />

“Chissà perché la capra fu considerata uno strumento<br />

degli dèi e questo luogo diventò sacro ad Apollo, il più<br />

ragionevole degli dèi. Possibile che un dio così di buon<br />

134<br />

senso si sia svelato attraverso una capra stordita dai fumi?”<br />

Protetti da Polifonte che aveva indossato le armi più<br />

tremende, arrivarono al tempio dove salutarono il soldato<br />

abbracciandolo e ringraziandolo.<br />

– Addio ragazzi! State attenti, la Pitia la sa lunga! Attenti<br />

anche alle puttane, ne ho visto un’infinità in giro!<br />

Ma dimenticatevi la paura, Fobos bisogna guardarlo negli<br />

occhi! Addio!<br />

Erano di nuovo soli.<br />

Sulle scale restarono incantati a contemplare la costruzione<br />

meravigliosa: non avevano mai visto nulla di così<br />

bello. Anche lì Apollo aveva quell’espressione paziente e<br />

sorridente che avevano già visto.<br />

– È il dio più comprensivo.<br />

– Sempre gentile con noi esseri umani che strisciamo<br />

sulla terra.<br />

– Peante, ho un presentimento…<br />

– Dimmi.<br />

– Ho paura…<br />

– Paura?<br />

– Sì, ho paura che, se la nostra ricerca è affidata a questo<br />

tempio e alla Pitia, dovremo faticare… e poi, chi ci<br />

guiderà qua dentro?<br />

– Coraggio, Nicteo, ho sentito dire che questo luogo è<br />

l’ombelico del mondo perché qui si sono incontrate al ritorno<br />

le aquile che Zeus aveva inviato alle due estremità.<br />

– E ti pare una buona ragione?<br />

Guardavano e guardavano. Peante si fermò con il naso<br />

per aria:<br />

135


– Lassù… Cosa vuole dire quella grande E incisa nel<br />

marmo?<br />

Nicteo non rispose:<br />

– Andiamo avanti, ormai non si torna indietro…<br />

Nicteo prese per mano l’amico pensieroso ed entrarono<br />

nel grande vestibolo.<br />

Un uomo elegante con un mantello bianco gli si avvicinò:<br />

– Il tempio è troppo grande per voi ragazzi. Il dio vi<br />

manda una guida. Mi chiamo Aghirte e sono a disposizione<br />

dei pellegrini.<br />

I due amici erano diventati sospettosi con le guide e i<br />

maestri. Nicteo parlò per primo:<br />

– Signore, siamo due giovani nati ai piedi del monte Citerone,<br />

semplici, è vero, ma con una grande sete di conoscenza.<br />

Abbiamo domande importanti da fare alla Pitia.<br />

Peante aggiunse:<br />

– Prima, però, dobbiamo sapere come funzionano le<br />

cose qui per distinguere quelle buone da quelle cattive.<br />

L’uomo rispose:<br />

– Io vi posso aiutare perché questo è il mio mestiere.<br />

Vedete, ciò che qui bisogna imparare subito è la gerarchia.<br />

Ascoltatemi bene: l’ordine è tutto. Prima di ogni cosa<br />

e sopra ogni cosa c’è la Pitia. Attualmente ne abbiamo<br />

addirittura tre perché il lavoro è tanto e una sola finiva intossicata<br />

dai fumi della sacra fenditura da dove il dio<br />

manda l’ispirazione. Poi ci sono i sacerdoti soprintendenti<br />

al tempio che sono di stirpe nobile. Ancora sotto<br />

stanno i sacerdoti chiosatori, quelli, insomma che spiegano<br />

i vaticini che, sennò, sono incomprensibili. Poi le an-<br />

136<br />

celle che hanno la grazia trasmessa dal dio. E infine ci sono<br />

le guide, insomma quelli come me. Capito?<br />

– Ma tutti questi che avete elencato, quanti sono? – domandò<br />

Peante.<br />

– Beh, circa cinquecento persone. Ma il numero varia.<br />

Durante la bella stagione aumentano perché aumentano i<br />

fedeli.<br />

– Ma come vivono, voglio dire, come si mantengono a<br />

questo mondo? – insistette Peante.<br />

Nicteo si guardava intorno:<br />

– Ho sentito che oggi è il giorno del mese in cui la Pitia<br />

prende ispirazione. Potremmo assistere ai suoi oracoli e,<br />

magari, porre noi stessi dei quesiti?<br />

– Siete ricchi?<br />

La domanda scosse i due giovani. Aghirte camminava e<br />

spiegava:<br />

– Vedete quelle cassette di ferro con una piccola fenditura?<br />

Lì dovete versare la vostra offerta che non deve essere<br />

misera, mi raccomando, il dio vi guarda.<br />

Nicteo e Peante si consultarono a lungo e versarono<br />

una somma - che li impoverì ancora di più - nella cassetta<br />

dove notarono in bassorilievo un Apollo molto sorridente.<br />

Da quel momento Aghirte assunse un’aria di contrizione<br />

con il collo torto da un lato e le mani unite all’altezza<br />

del cuore.<br />

Il breve tragitto fu un viaggio al centro della terra, verso<br />

l’adito della Pitia. Ecco l’adito ed ecco la fenditura! Ovunque<br />

si sentiva un tanfo di alghe marce.<br />

La crepa sacra era deludente: un buco senza niente di<br />

maestoso che per di più puzzava. Sopra la crepa c’era un<br />

137


tripode d’oro sul quale era poggiata una piastra simile a<br />

uno scudo.<br />

Alle pareti era appeso di tutto: offerte nelle quali si era<br />

sbizzarrita tutta la fantasia degli uomini quando cercano<br />

l’aiuto degli dèi.<br />

La folla parlava a voce bassa e si percepiva un’inquietudine<br />

che col passare dei minuti diventava eccitazione.<br />

Doveva essere d’origine divina quello stato alcolico che si<br />

sentivano addosso e li teneva tesi come le corde di una lira.<br />

Peante provava un grande bisogno d’aria e pensava ai<br />

suoi prati e alle sue pecore, tanto che gli sembrò di vederli.<br />

Nicteo, invece, provò la sensazione di essere con la madre<br />

che gli preparava il bagno e gli oli balsamici.<br />

C’era qualcosa in quell’aria che arrivava da sotto la terra.<br />

Si scossero tutti e ammutolirono quando entrarono i<br />

cinquanta sacerdoti vestiti di bianco, una grande entrata.<br />

Tra la folla i due ragazzi riconobbero Polifonte e gli altri<br />

spartani, la vedova con la figlia e anche Pirilampe con<br />

la moglie e il segretario che sgomitavano in prima fila.<br />

Da una porticina entrò una vecchia, piccola e magra,<br />

imbellettata e coi capelli dipinti di nero e scarmigliati.<br />

Si sentiva solo il lamento di qualche malato.<br />

Peante sussurrò:<br />

– Che occhi terribili! E che unghie, sembrano artigli e<br />

guarda i denti…<br />

– Zitto, è solo il tramite del dio, cosa ce ne importa dell’aspetto.<br />

– E abbiamo pagato metà dei nostri averi per trovare<br />

questa donna!<br />

– Zitto.<br />

La Pitia respirò profondamente le esalazioni prove-<br />

138<br />

nienti dalle budella della terra sino a che il suo sguardo -<br />

così sembrò a Nicteo e Peante - diventò vacuo ma attraversato<br />

da lampi di follia che peggioravano la smorfia<br />

della pitonessa e fecero indietreggiare i pellegrini.<br />

La Pitia, finalmente, trascendeva.<br />

Un sacerdote parlò:<br />

– È il caso che sceglie tra gli uomini quelli che possono<br />

parlare alla somma sacerdotessa del dio. Non c’è bisogno<br />

che il prescelto spieghi la propria storia: la sacerdotessa<br />

sa e parla di conseguenza. Noi prendiamo nota e gli addetti<br />

spiegano il vaticinio. Gli altri possono rivolgersi a<br />

noi. Vediamo chi è il primo.<br />

Ma la sibilla, sorprendentemente, parlò rivolgendosi a<br />

tutti:<br />

– Segui il carro. Un punto della terra o del cielo è quello<br />

dove gli uomini si congiungono al loro spirito. Cercate il<br />

luogo, cercate il luogo. Il cavallo è la forza, il delfino è il<br />

cuore. Mangia sempre tavole quadrate. Evita di guardare<br />

l’orizzonte sino a Targelione. Non indire feste e banchetti<br />

ma volteggia solo nella tua casa.<br />

La folla restò sbalordita. Non si aspettava la grazia di<br />

un vaticinio buono per tutti. Qualcuno, più pronto, aveva<br />

annotato le parole che al momento, è vero, erano imperscrutabili<br />

ma che poi avrebbero assunto un chiaro e<br />

definitivo significato.<br />

Peante si avvicinò all’orecchio dell’amico:<br />

– Tu hai capito? Echecrate, con tutti i suoi difetti, era<br />

più trasparente.<br />

– Io intanto ho scritto tutto, poi vedremo di capire.<br />

Quel “cercate il luogo”, in fondo, non è quello che stiamo<br />

facendo noi due?<br />

139


– Sarà. Ma come me le spiegherai le “tavole quadrate” e<br />

questa storia di volteggiare da soli?<br />

– Beh, anche evitare di guardare l’orizzonte sino al mese<br />

di Targelione non è facile, né da fare e neppure da capire.<br />

La perdita dello spirito è il primo segno vero di invecchiamento<br />

e Nicteo e Peante erano davvero ancora dei<br />

ragazzi.<br />

Aghirte guardava soddisfatto.<br />

Sentirono il nome di Pirilampe che, chiamato da un sacerdote,<br />

cadde in ginocchio davanti alla pitonessa la quale<br />

aveva assunto un aspetto ancora più terribile e tirava<br />

fuori la lingua. Pirilampe era agitato e non aveva il coraggio<br />

di guardare la Pitia:<br />

– Nel vortice del cielo nero non è dato comprendere all’uomo<br />

il perché della tempesta. Perché il vento abbatte<br />

le capanne, spazza le spiagge e stronca gli alberi? Chi lo<br />

sa? Neppure la Pitia può saperlo!<br />

Rivolse lo sguardo al pubblico e ai sacerdoti con un<br />

lungo giro. Peante notò che la donna non si reggeva bene<br />

sulle gambe.<br />

– Quindi tu, uomo che strisci sulla terra, cosa vuoi giudicare?<br />

Non puoi, devi solo tacere, tacere o le aquile di<br />

Zeus ti mangeranno il cuore! – roteò gli occhi, si morsicò<br />

la lingua e con un gesto scacciò via Pirilampe.<br />

L’ateniese, rosso, sudato e stordito dai fumi, cadde all’indietro<br />

tra le braccia di un sacerdote che lo aspettava<br />

alle spalle.<br />

– Ateniese, io sono il sacerdote prescelto dalla Pitia per<br />

spiegarti il tuo responso, vieni.<br />

Si appartarono in una delle celle che si affacciavano su<br />

un lunghissimo colonnato.<br />

140<br />

– Dunque, noi abbiamo perfetta conoscenza del quesito<br />

che tu ci poni. L’onestà dell’uomo è un buon oggetto<br />

per le predizioni della sibilla perché l’onestà non è un valore<br />

assoluto ma è del tutto relativa alle situazioni e alle<br />

condizioni in cui gli uomini si vengono a trovare. Ciò che<br />

è onesto a Atene non lo è a Sparta. Solo la nostra divina<br />

può discernere tra le nebbie del dubbio.<br />

– D’accordo, alto sacerdote, – disse Pirilampe sottovoce.<br />

– Ma chi mi spiega ciò che l’indovina ha detto?<br />

– Io sono qui apposta, – rispose il sacerdote indispettito.<br />

– Quel responso può solo significare che tu, proprio<br />

tu, visto che il responso è fatto a tua misura, e per questo<br />

ci aspettiamo molta gratitudine, devi smettere di giudicare<br />

gli uomini raggruppandoli in onesti e disonesti. Questo<br />

è compito degli dèi o, al massimo, dei semidei. La tua<br />

presunzione sta esagerando e può divenire degna di una<br />

punizione da parte degli uomini. Stai attento!<br />

Pirilampe si arrovellava:<br />

“Ma come sanno dell’erario, delle tasse, dei ladrocini,<br />

come fanno a sapere tutto?”<br />

Il sacerdote continuò:<br />

– Così ha deciso la pitonessa: tu limiterai il tuo lavoro<br />

all’amministrazione del denaro pubblico che ti passa tra<br />

quelle mani oneste che gli dèi ti hanno fatto crescere.<br />

Storna lo sguardo dagli altri e guarda solo alla tua famiglia.<br />

Sarai felice.<br />

Pirilampe, dopo l’offerta, offeso e triste, faceva ritorno<br />

al carro. Desiderava stare tra le braccia della moglie. Il<br />

suo stupore fu grande quando, dietro una delle colonne<br />

del tempio, vide Cronate, il suo consigliere dell’Assemblea,<br />

che confabulava col sacerdote brutale che gli aveva<br />

141


comunicato la volontà di Apollo. Cronate, qua, a Delfi!<br />

Fu una folgorazione:<br />

– Dunque sono arrivati sin qui! Addirittura alla Pitia!<br />

Vagò per Delfi sino al tramonto, quando le bancarelle<br />

chiudevano e i mercanti si placavano. Si sedette e pensò<br />

a lungo. Pensò che se lui non poteva giudicare gli altri allora<br />

neppure gli altri potevano giudicarlo. Insomma,<br />

nessuno poteva giudicare nessuno perché ciascuno peccava<br />

e, quindi, tutti peccavano. E ne discendeva che nessuno<br />

peccava. Improvvisamente apprezzò la perfezione<br />

divina del sistema. Non doveva essere difficile adattarsi.<br />

Lui era un uomo come tutti gli altri, fatto come gli altri,<br />

e ora aveva il più sacro dei permessi.<br />

Tornò allegro dalla moglie e dal segretario. Voleva sacrificare<br />

ad Apollo e banchettare.<br />

Dopo il vaticinio per Pirilampe ne erano venuti molti<br />

altri. Ma con qualche inciampo.<br />

Infatti l’indovina, con gli occhi bianchi, stramazzò con<br />

un urlo, cadde dal tripode e restò incastrata con una<br />

gamba nella fenditura sacra.<br />

– Niente paura! – disse Aghirte. – Guardate!<br />

Due sacerdoti portarono via la pitonessa svenuta attraverso<br />

una porticina da dove, in un battere di ciglia, entrò<br />

un’altra donna, abbigliata allo stesso modo ma più grassa<br />

tanto che fu issata sul tripode a fatica.<br />

– Ne abbiamo anche un’altra se serve, – bisbigliò<br />

Aghirte, – e questa è un vero talento.<br />

Una volta guadagnata la posizione anche la seconda indovina<br />

inspirò a fondo i vapori:<br />

– Possibile che l’ombelico del mondo sia così puzzolente?<br />

– chiese Peante. – Non sembra l’ombelico.<br />

142<br />

– Silenzio, – sussurrò Aghirte.<br />

Con la voce da ventriloqua, a occhi chiusi e con le braccia<br />

in alto, l’oracolo gorgogliò:<br />

– Noi tracciamo il solco ma il solco è già tracciato. E i<br />

nostri giochi saranno graditi agli dèi? E cosa fare davanti<br />

al leone che agita la coda e ringhia?<br />

La folla, sempre più stordita dalle esalazioni e dalle predizioni<br />

oscure, si sentì a disagio. Un altro vaticinio in comune?<br />

E poi si chiedevano: Ma come, la Pitia, fa lei le domande?!<br />

Peante, dopo un lungo silenzio, disse all’orecchio di Nicteo:<br />

– Ora capisco la mania dei nostri maestri di volere chiarire<br />

ogni cosa… Avranno i loro difetti, è vero, ma almeno<br />

si sforzano di decifrare le cose. Matematica, geometria,<br />

filosofia, qui ce n’è un grande bisogno. E poi io mi sento<br />

sempre più strano, quest’aria mi avvelena il cervello!<br />

Nicteo apprezzò molto il giudizio dell’amico.<br />

Ora la donna di Messene, Plissena, quella alla quale era<br />

stato assassinato il marito, fu condotta tremante davanti<br />

alla Pitonessa che continuava a tenere gli occhi chiusi:<br />

– Quando è fitta l’oscurità bisogna sperare di non incontrare<br />

nemici. Arriverà l’alba e io già vedo la luce. La luce!<br />

Fu un vaticinio breve.<br />

Un sacerdote ripeté con Plissena il rituale della cella:<br />

– Dunque, donna, devi tornare a Messene e cercare la<br />

pace con l’uomo che in un momento di debolezza…<br />

– In un momento di debolezza?<br />

– … che in un momento di debolezza ha ucciso tuo marito.<br />

Quest’uomo, ascoltami attentamente, ti ama. È cosa<br />

certa.<br />

143


– Tanto da violentarmi e, visto che l’amore era molto<br />

grande, tanto da violentare anche mia figlia. Io lo odio,<br />

lo odio e voi…<br />

– Zitta! Anche Zeus stuprò Leda. E tu, povera vedova,<br />

rifiuteresti un uomo che ti ama tanto da uccidere tuo marito<br />

per averti?<br />

Non c’era tempo: altri pellegrini subivano lo stesso<br />

trattamento con risultati alterni, compreso il malato che<br />

Nicteo aveva apostrofato in viaggio.<br />

Alle parole della sacerdotessa, oscure quanto quelle<br />

dei medici di Cos, il malato si sentì meglio e rafforzò il<br />

suo cattivo concetto su chi l’aveva curato sino ad allora.<br />

Entusiasta, riferì che immediatamente dopo il vaticinio i<br />

dolori terebranti allo stomaco che lo affliggevano da mesi<br />

erano scomparsi, che già dopo due ore era in grado di<br />

mangiare l’agnello arrosto sacrificato al dio guaritore e,<br />

sopratutto, che era riuscito a liberarsi di tutti i fluidi maligni<br />

che aveva accumulato nelle viscere.<br />

– Anatema ai medici e specialmente a quelli di Cos!<br />

Che Apollo ne disperda la razza e affondi l’isola di Cos!<br />

– urlava nelle vie di Delfi.<br />

Quando Nicteo e Peante uscirono all’aria aperta respirarono<br />

profondamente, felici di essere fuori dell’antro<br />

ma ancora più confusi di quando erano entrati. Però col<br />

vento fresco della montagna, il sole e la luce arrivò nuova<br />

forza. La giovinezza li proteggeva più di ogni altro<br />

dio.<br />

– E ora?<br />

Si rivolsero ad Aghirte:<br />

– La Pitia non ci ha degnato di uno sguardo.<br />

144<br />

– Beh, si capisce, avete visto l’alto grado dei questuanti,<br />

l’importanza dei quesiti, il numero dei fedeli. E poi, di<br />

cosa vi lamentate? Avete avuto la fortuna di due vaticini<br />

buoni per tutti. Non capita spesso.<br />

– È vero, – disse Nicteo. – Ma sono misteriosi. Comunque<br />

li abbiamo scritti nelle nostre tavolette, qualcuno<br />

ce li spiegherà.<br />

Aghirte improvvisamente esclamò entusiasta e battendo<br />

le mani:<br />

– Issione! C’è Issione! Che fortuna! Potete fare a lui le<br />

vostre domande. È il più saggio e anziano dei chiosatori<br />

e ha fatto voto di povertà, non vi costerà nulla. È un po’<br />

mutevole…<br />

– Mutevole?<br />

La guida si avvicinò al vecchio che se ne andava lento<br />

per i fatti suoi e lo convinse a dedicare qualche minuto ai<br />

due giovani che aspettavano con le tavolette in mano.<br />

Issione si sedette a fatica, ansimando, ai piedi di una<br />

statua di Apollo danzatore e sorrise con una faccia che<br />

esprimeva, finalmente, bontà:<br />

– Cosa vi addolora?<br />

– Non si tratta di dolore, – iniziò Nicteo, – siamo due<br />

giovani della Megaride assetati…<br />

– Non mi interessa chi siete e come vi chiamate. Io sono<br />

cieco ma la cispa che mi fa ombra alla vista non mi fa ombra<br />

alla mente e so giudicare due ragazzi. Cosa chiedete?<br />

– Vorremmo conoscere il significato di due vaticini<br />

della Pitia. Ecco, li abbiamo scritti qui… Voi non ci vedete<br />

ma noi possiamo leggerli…<br />

Issione si ravvivò, chiuse le palpebre rosse e iniziò:<br />

– Bene! In principio era il Caos…<br />

145


– Potete anche saltare questa parte, sacerdote, la conosciamo<br />

già, – disse Peante.<br />

– … poi gli dèi crearono il cosmo e l’ordine delle stelle…<br />

– Non siamo ignoranti come credete, lo sappiamo che il<br />

cosmo…<br />

Issione si imbizzarrì e la bontà scomparve dalla sua faccia:<br />

– Insomma! Io sono qua a cercare di mettere le cose in<br />

ordine a loro posto e voi mi interrompete! Qui convergono<br />

tutte le storie degli uomini e noi, da questa fogna immonda,<br />

ricaviamo un ordine! Non vi rendete conto di<br />

quello che avete visto oggi… del potere del dio. Qui si<br />

danno risposte che guariscono e ci sono voluti secoli, secoli,<br />

per fare tutto questo, capite? E voi vorreste comprendere<br />

tutto in un giorno, in un attimo. Siete matti!<br />

– Scusate, sommo sacerdote… – disse Nicteo.<br />

– Non sono sommo, sono solo un sacerdote chiosatore<br />

e anche vecchio. Io spiego, chiarisco e ho fatto voto di<br />

povertà.<br />

– Scusate, ma l’ordine di cui parlate ci chiarisce solo<br />

una piccola parte. Noi domandiamo al dio…<br />

Il vecchio si coprì il viso cattivo con le mani e improvvisamente<br />

iniziò a singhiozzare:<br />

– Ma cosa volete da me?<br />

Si scoprì la faccia e a Nicteo e Peante apparve la Paura<br />

attaccata come un mostro all’espressione del vecchio:<br />

– Sono vicino alla morte, affacciato sul vuoto e ancora<br />

non ho capito cosa mi aspetta dopo. Io supplico, un anno,<br />

un mese, un giorno, un istante di vita in più e ancora<br />

non so se qualcuno mi ascolta… Non so a chi domando,<br />

146<br />

non so a chi rivolgo le mie preghiere… Troverò il nulla e<br />

non capirò cos’è… Ho passato la vita a spiegare la forma<br />

del mondo a migliaia di idioti in ascolto e ora… È orribile,<br />

orribile, capite? Non ho capito e non c’è più tempo!<br />

Mutò ancora, diventò iracondo e iniziò a gridare:<br />

– Ecco cosa serve a quegli sciagurati che vengono da<br />

noi a fare domande, ve lo dico io! Serve che noi gli spieghiamo<br />

tutto con l’Armonia, qui è il segreto. Vogliono<br />

che noi gli diciamo, comunque sia, che il mondo e le loro<br />

insignificanti vite sono governati dall’Armonia. E se proprio<br />

armonico il mondo non è, noi glielo facciamo credere.<br />

E li convinciamo che per ogni storpio che resta storpio<br />

c’è uno sfacciatamente bello e sano, per ogni morto<br />

ammazzato c’è un nuovo nato che è accolto con amore,<br />

per cento poveri c’è un ricco, per ogni donna stuprata ce<br />

n’è una vergine e che tutto ciò dimostra senza possibilità<br />

di discussione il supremo equilibrio del creato, l’architettura<br />

sublime del mondo e che sono gli dèi a regolarla. Ma<br />

quando muoiono hanno tutti lo stesso terrore e muoiono<br />

con gli occhi aperti perché vogliono vedere cielo e terra<br />

sino all’ultimo! La stessa paura! E io ho paura! Scappate<br />

dalla paura!<br />

Fu preso da una risata nervosa, poi di nuovo dal pianto<br />

e poi, respirando come uno che ha corso, tacque.<br />

Aghirte retrocesse sino all’ultimo ordine delle colonne<br />

e si dileguò.<br />

Nicteo, superata la sorpresa, domandò:<br />

– Dunque è una farsa?<br />

– Un mercato? – aggiunse Peante.<br />

Issione aveva le braccia penzolanti e con la bocca aperta<br />

cercava aria:<br />

147


– È la risposta che la gente vuole.<br />

Improvvisamente Issione divenne amichevole:<br />

– Cari ragazzi, volete altre spiegazioni?<br />

– No, grazie, siete stato esauriente.<br />

– Mi raccomando, dietro la statua ci dovrebbe essere<br />

una cassetta, siate generosi.<br />

– Ma voi avete fatto voto di povertà, – osservò Peante.<br />

– Io certamente, ma il dio no. Qui ci sono cinquecento<br />

bocche da sfamare e non si tratta di bocche qualsiasi.<br />

Peante raccolse da terra un chiodo e lo mise nella cassetta.<br />

Il sacerdote non possedeva più la vista ma l’orecchio<br />

era esercitato:<br />

– Che suono strano! Non è un tintinnio di monete greche.<br />

– Sono dracme di semplice piombo della Megaride, –<br />

disse Nicteo.<br />

Fu conviviale:<br />

– Ora che avete trovato la risposta che cercavate vi consiglio<br />

di sacrificare un capretto dall’oste Licopèo che arrostisce<br />

ispirato da Apollo in persona. Vi consiglio anche<br />

di non usare con lui quelle dracme di semplice piombo<br />

della Megaride.<br />

Dopo queste parole il vecchio mistico si alzò e si allontanò<br />

tastando il muro.<br />

Un vecchio svaporato e folle. Una bella esibizione di<br />

furbizia secolare. Però quel discorso sull’Armonia aveva<br />

colpito Peante. E tutte quelle bocche da sfamare aperte<br />

come quelle dei pulcini che aspettano nel nido!<br />

L’apprendistato di Mègara aveva conferito ai due amici<br />

una certa malizia e uno spirito critico che, con la gio-<br />

148<br />

ventù, li salvava dall’oscurità. Erano passati da uno stato<br />

di intelligenza sorgiva a un altro più evoluto per cui i fatti<br />

dovevano essere prima esaminati e poi accettati o rifiutati.<br />

Intanto, però, la Pitia avrebbe farneticato a lungo.<br />

Restavano due sacchetti di dracme.<br />

– Abbiamo cercato la conoscenza e ci ha sopraffatto,<br />

abbiamo cercato conforto negli dèi e ci hanno intossicato<br />

con i suoi vapori…<br />

– E io comincio a provare troppa nostalgia, Nicteo. Filosofia<br />

e religione! Che cambino il mondo, a me non importa.<br />

Io voglio il mio, di mondo… io sono un pastore.<br />

Ho capito che, tanto, non cambierà nulla: si continuerà a<br />

vivere con la paura di morire e a morire lo stesso anche se<br />

un esercito di Echecrati e di Pitie si opponessero.<br />

– Questo è vero, Peante. Ma io voglio conoscere, conoscere…<br />

Te le immagini le sere al paese? No, no! Lo sapevamo<br />

che sarebbe stato faticoso. Fammi riflettere. Il colpo<br />

è stato forte.<br />

Al tramonto, dopo una lunga passeggiata tra gli ulivi,<br />

Nicteo affermò:<br />

– Amico, gli dèi ci hanno illuminato. Ascolta bene cosa<br />

ho pensato.<br />

Peante era sospettoso, però Nicteo era sicuro e fermo:<br />

– Quali sono, Peante, i prodotti dell’uomo che si fanno<br />

ammirare solo per quello che sono e non perché truccati<br />

o imposti con la forza?<br />

– Il grano, l’orzo, il vino…<br />

– No, no, questi sono i prodotti della natura, non c’entrano<br />

con quello che intendo io.<br />

– E cosa intendi tu?<br />

149


– L’Arte, caro mio, con l’Arte non si bara! Se una statua<br />

è brutta e sproporzionata non puoi convincere qualcuno<br />

che è un capolavoro! Se una tragedia è noiosa non puoi<br />

imbrogliare il pubblico che non applaude e non torna a<br />

vederla.<br />

Peante pensò che il ragionamento era sottile e che<br />

Echecrate si era dedicato al suo compagno con bei risultati.<br />

– E dov’è concentrata l’Arte? Dove?<br />

Peante non ebbe dubbi:<br />

– Atene.<br />

Così prepararono i pochi bagagli, pulirono gli asini,<br />

mangiarono pane e fichi, dormirono sonni intossicati e si<br />

svegliarono all’alba. Diressero i musi delle loro cavalcature<br />

verso meridione, contro la corrente dei pellegrini folli<br />

come quegli animali che si muovono solo in mandrie alla<br />

ricerca dell’acqua e ricominciarono a parlare e parlare.<br />

150<br />

IV<br />

Uno stupore che non finirà più.<br />

Dentro la pancia candida di Medina, accucciato e soddisfatto,<br />

c’è un bimbo già bello e grande, rosa, con le palpebre<br />

ben aperte che fissa tutti dritto negli occhi, fulminandoli<br />

uno per uno con uno sguardo prepotente. Esce<br />

qualche goccia di sangue bianco dalla ferita di Medina<br />

che il medico deve allargare tremando come una canna al<br />

vento per far uscire il bambino enorme.<br />

Il bambino, con qualche sforzo, porgendo la mano a<br />

Porfirio esce gocciolante continuando a fissare tutti.<br />

Il dottor Fiammatorta taglia il cordone, l’annoda e ci<br />

mette una garza, poi sente un fortissimo dolore alla testa,<br />

si porta le mani alle tempie, lancia un urlo e cade a terra<br />

tenendo ancora la lama con cui ha aperto l’ombelico di<br />

Medina.<br />

Porfirio, moltiplica le rughe, piega il becco più in giù,<br />

muove tutte le penne e dice soltanto:<br />

– Ecco cos’era! Era amore! Avevo ragione: un amore<br />

esagerato, esagerato!<br />

Battista Xaxa inizia in silenzio il suo pianto e ordina altro<br />

oppio per la moglie.<br />

151


* * *<br />

Tutti hanno saputo la notizia del miracolo mostruoso, e<br />

qualcuno dubita che sia un miracolo.<br />

Il vento arriva dai monti e spazza i vapori fetidi di Talattone.<br />

Le prostitute escono per strada. I pederasti del porto<br />

escono dall’ombra delle stanze e fanno uscire anche i<br />

bambini pallidi. Esce tutta la brodaglia ristretta del quartiere<br />

basso. Anche l’unico prete di Talattone esce e, nonostante<br />

il naso sempre umido, sente anche lui nell’aria<br />

quell’odore di pesche. Anche nel convento Tebe Mistrè<br />

sente l’aria di miracolo e si morsica il dito a croce perché<br />

odia i miracoli e pensa che vengano da sottoterra e non<br />

dal cielo.<br />

* * *<br />

Porfirio bussa.<br />

La stanza è buia e si vede il naso bianco di Basilio, l’unica<br />

parte che ha resistito al disfacimento di quest’uomo alto<br />

e malato:<br />

– Senti Basilio, c’è bisogno di te a casa di Capitan Xaxa.<br />

Basilio non s’alza più da anni dal suo letto sporco perché<br />

al posto dei polmoni ha due bolle d’aria piene di liquido.<br />

A sentire il nome di Capitan Xaxa, diventa azzurro,<br />

non respira, si contorce, rumina e rumina a lungo uno<br />

sputo tra palato e lingua e poi lo schizza in terra.<br />

Porfirio non ci bada:<br />

– Ti ho portato pesce bollito, ecco, mangialo. Ma c’è bisogno<br />

di te per mandare via il diavolo da casa Xaxa.<br />

Basilio mangia anche le pinne e gli occhi bianchi del pe-<br />

152<br />

sce, poi, quando finisce, dopo una serie innumerevoli di<br />

sputi, si decide a parlare con uno sforzo smisurato:<br />

– Porfirio, tu puoi chiedermi tutto, lo sai. Ma Capitan<br />

Xaxa ha impiccato mio fratello, mi ha chiuso senza processo<br />

in una cella coi topi che mi morsicavano e senza luce…<br />

e ora guarda cosa sono! Non esco da questa stanza…!<br />

Ho i polmoni in piena!<br />

Porfirio accende il fuoco sotto una pentola:<br />

– Ora farai i fumenti con la polvere di artemisia che ti<br />

ho portato.<br />

Solleva Basilio, lo accosta alla pentola quando l’acqua<br />

calda inizia a fumare e lo ricopre con un panno sporco di<br />

ogni peccato di Talattone. Da sotto il panno ogni tanto Basilio<br />

toglie la testa a sorpresa da una parte o dall’altra lanciando<br />

sputi una volta qua e una volta là. È una mortificazione<br />

vedere quest’uomo curvo che parla da sotto il telo:<br />

– Tu lo sai Porfirio che io ho dovuto usare quello che ho<br />

trovato per fare la minestra della mia vita. E se ho trovato<br />

solo il male e i rifiuti, rovistando da bambino in mezzo alle<br />

porcherie di questa città, non è una mia colpa… E invece<br />

tutto mi è stato rovesciato addosso e mi sono sporcato…<br />

– Respira, Basilio, respira.<br />

– Chi ha deciso di lasciare qui noi, in basso, a crescere<br />

tra il letame? Quando è successo? Io domando un giorno,<br />

un’ora, un respiro in più… un mendicante d’aria…<br />

ma noi non siamo ascoltati perché è così da quando c’è<br />

questa città… Le fogne in basso e noi vicini ai topi…<br />

– Respira, Basilio.<br />

– Dev’essere stato così sin dall’inizio, dev’essere stato<br />

deciso dagli inizi… E dove vuoi che venga mantenuto<br />

153


uno che, come i topi sa prendersi il male addosso, anche<br />

il peggiore, senza morire… È il male che mi allunga la vita,<br />

senza male e dolore io sarei già incenerito… Morirò e<br />

non avrò capito nulla… Ora vuoi che venga a prendere<br />

altro male che mi si attacca e mi prolunga la vita…<br />

– Ti farò portare io in carrozza e Capitan Xaxa si inginocchierà…<br />

– Si inginocchierà? – rantola togliendosi il drappo dalla<br />

testa e allargando le narici per prendere più aria.<br />

– Beh, insomma ti chiederà, si piegherà a chiedere che<br />

tu gli liberi la casa e salvi il bambino che il diavolo sta facendo<br />

crescere ogni ora di più. In un giorno da che è uscito<br />

dal ventre materno ha imparato a camminare, pensa. Il<br />

dottore ha avuto una flussione alla testa ed è morto davanti<br />

al bambino. La moglie di Capitan Xaxa è soffocata perché<br />

hanno esagerato con l’oppio. Dicono che è il diavolo<br />

o qualcosa di simile che lo muove. Dimmi cosa ti serve,<br />

ma ricordati che, secondo me è solo un’esagerazione dell’amore:<br />

hanno esagerato ed ecco cosa ne è venuto fuori.<br />

– L’amore esagerato? E chi ce la fa, Porfirio? Io non ci<br />

ho mai provato…<br />

– Vieni?<br />

Basilio rumina ancora, pensa e rumina di nuovo, poi, al<br />

posto di un sì, lancia uno sputo catramoso che finisce più<br />

lontano di tutti gli altri sputi.<br />

* * *<br />

Porfirio ha continuato con la luce e col buio il giro per<br />

le sue vie oblique:<br />

– Sertolino, lo so che tu volevi bene al conte.<br />

154<br />

Sertolino ha gli occhi rossi e stringe forte la mano di<br />

Amelina che ha giurato di sposare.<br />

– Se io non fossi stato innamorato, e coricato con Amelina<br />

sulla paglia, l’avrei salvato e lui sarebbe ancora qui, magari<br />

disperato, a contare le stelle. Sono salito io a staccarlo<br />

da quell’albero infelice… il più bello dei frutti che quel<br />

maledetto pesco ha prodotto… Era il suo albero preferito:<br />

quante cose mi ha insegnato là sotto, quando il sole<br />

picchiava o la notte, all’ombra della luna… I genitori lo<br />

vogliono imbalsamare, pensate, per poterlo almeno vedere<br />

ancora e, magari, parlarci quando ne hanno voglia… Si<br />

è ucciso per quella poverina che è morta con suo figlio in<br />

pancia…<br />

Amelina singhiozza e piange.<br />

Porfirio non si commuove mai perché lui è la strada che<br />

tutti i vizi attraversano per arrivare al dunque:<br />

– Ora c’è da purificare il bambino da questa maledizione<br />

che inizia dall’albero infelice e chissà dove arriverà.<br />

Tiene già la matita in mano e cerca di scrivere, pensa…<br />

– Studierà il cielo come il padrone, mio Dio!<br />

– Mi serve una goccia di sangue del tuo padrone.<br />

Amelina scappa via.<br />

Sertolino impallidisce:<br />

– Sangue di Guglielmino Redenti? Ma è sangue fermo<br />

ormai! Come faccio a toglierglielo?<br />

Può sposare Amelina con tutti i soldi che gli dà Porfirio,<br />

tenersi sempre vicino quella pelle da uovo sodo, respirare<br />

e sentire l’odore di Amelina che gli fa tanto sangue, il collo<br />

peloso, la bocca. Gli manca il respiro. Deve solo spremere<br />

sangue da Guglielmino, spremerne qualche goccia<br />

155


direttamente dal cuore. Deve pungerlo in un punto preciso<br />

che Porfirio gli ha spiegato. Poi con quel sangue bisogna<br />

bagnare il bambino che nessuno ha avuto ancora il<br />

coraggio di battezzare, neanche il prete raffreddato e umido<br />

di Talattone.<br />

* * *<br />

Basilio è stato trasportato in barella, con i polmoni liquidi,<br />

davanti al neonato che cerca di tendere un arco e<br />

lanciare una freccia in aria. È saltato fuori dalla pancia di<br />

Medina solo da quattro giorni. Ma il talattonese non si<br />

stupisce e sembra che capisca subito di cosa si tratta e<br />

compiacendosene sputa nel fazzoletto. Rantola solo:<br />

– Ce ne vorrà.<br />

Capitan Xaxa è peggiorato e ora un occhio gli sporge<br />

spaventosamente più dell’altro ed è rosso come una torcia.<br />

Non dorme più e non mangia, abbrustolito dalla malattia.<br />

Aspetta Basilio, non bada agli sputi, si inginocchia e<br />

indirizza come una lancia l’occhio verso Basilio:<br />

– Porfirio salverà il collo dal cappio. Ma tu devi liberare<br />

la casa e questa creatura terribile.<br />

Basilio sputa ancora, per rispetto, in un panno pulito, ci<br />

guarda dentro e poi inizia.<br />

* * *<br />

Era curvo quando aveva fatto passare la corda sopra il<br />

ramo più robusto del pesco grande. Si era raddrizzato<br />

quando aveva fatto passare il cappio che aveva stretto bene<br />

al collo. Si era allisciato i capelli, ascoltato il vento nel<br />

156<br />

frutteto e guardato il cielo: “Medina, polverina celeste, è<br />

il sangue tuo che ha fatto tutto.”<br />

Quando era saltato giù non aveva ricevuto la punizione<br />

desiderata.<br />

Era azzurro, quando l’aveva trovato Sertolino, e ancora<br />

ondeggiava spinto dallo scirocco forte. Non sembrava<br />

morto, era anche più bello del solito e Sertolino aveva<br />

pensato, ma solo un istante, che giocasse all’altalena. Non<br />

aveva mai visto un morto così aggraziato con il capo così<br />

gentile piegato da un lato.<br />

Aveva tagliato la corda col suo spadino da scudiero e lo<br />

aveva disteso tra le pesche mature cadute.<br />

Guglielmino Redenti, bello, pettinato e freddo.<br />

* * *<br />

Basilio viene coricato dentro la carrozza che riempie di<br />

sputi lavici e riportato alla sua tana a Talattone. Ha respirato<br />

un poco d’aria di Epipanormo, sta meglio; i suoi polmoni<br />

gorgogliano come prima ma lui si regge in piedi. È<br />

un poco di vita in più.<br />

Ricompare il vento nobile del nord.<br />

Il bambino ora dorme in una culla e piange come tutti i<br />

bambini chiedendo un capezzolo e un capezzolo enorme<br />

viene fatto arrivare dalla montagna e fa un latte al rosmarino.<br />

Tutti mettono il vestito nero in casa.<br />

Medina è murata nella sua stanza di ragazza ma il padre<br />

vuole che un mattone in alto non sia messo al suo posto in<br />

modo che un unico raggio di luce entri nella camera della<br />

figlia dal lato del balcone che dà verso casa Redenti.<br />

157


Eponina, uccisa dall’oppio, viene sepolta al promontorio<br />

sotto una croce di marmo bianca nel cimitero sabbioso.<br />

Ognuno pensa che l’oppio è una cosa benedetta da<br />

tutti i santi perché lei, con l’oppio, è morta senza smorfie,<br />

e senza paura ha lentamente preso il largo senza strappare<br />

le corde che la tenevano al molo.<br />

Battista Xaxa ha scelto il nome per il bambino: Enrico.<br />

Lo fa battezzare nella cattedrale bianca dove le luci, in<br />

una bella giornata di settembre, entrano come un liquido<br />

argentato e si incrociano arrivando al fonte dalle finestre<br />

alte. Uno di questi raggi colpisce l’occhio gigante di Battista.<br />

È l’occhio della fronte, l’occhio destro, quello del futuro,<br />

dell’eternità, l’occhio senza palpebra, l’occhio lungo.<br />

Lascia il comando della città al suo luogotenente energico.<br />

Segue le poppate, il sonno, le giornate di Enrico. Controlla<br />

il seno della balia Egidia ogni mattina spingendolo<br />

con un dito e dicendo: – Va bene, però mangia più carne.<br />

Ogni dieci giorni va a portare notizie alla tomba della<br />

moglie.<br />

Ogni sera, dopo che chiudono le porte tra città alta e<br />

città bassa, dà consigli con il suo enorme occhio al luogotenente,<br />

troppo onesto per governare da solo su Talattone.<br />

Ogni notte si appoggia ai mattoni della camera di Medina<br />

e racconta del bambino sussurrando alle pietre.<br />

* * *<br />

I genitori di Guglielmino guardano ogni volta che ne<br />

hanno voglia il figlio imbalsamato che hanno fatto conser-<br />

158<br />

vare nella stanza più fredda del palazzo. Ma dopo alcuni<br />

mesi è così cambiato che dapprima lo guardano solo in<br />

penombra e poi, siccome ha smesso del tutto di assomigliare<br />

a Guglielmino - tanto che può essere chiunque e di<br />

qualunque età - preferiscono seppellirlo, non vederlo più<br />

e guardarlo solo in un bel ritratto che si portano nella camera<br />

da letto.<br />

Il padre fa tagliare tutti gli alberi di pesco del frutteto fatale<br />

e lo lascia raso e melanconico con la cupoletta, l’osservatorio<br />

del figlio che non ha il cuore di distruggere.<br />

Spariscono passeri, allodole e merli e rimane qualche tortora<br />

per il lamento funebre a ogni alba. – Tutto, tutto…<br />

ma sentire quell’odore di pesche non posso più, mai più.<br />

La madre tiene in un sacchetto di lino una ciocca dei capelli<br />

di Guglielmino e ogni volta che abbassa lo sguardo,<br />

se la vede al collo e ricomincia il ciclo nero del lutto di cui<br />

sente dappertutto le zampe brutali.<br />

Per il nipote Enrico non sanno bene cosa provare: pensano<br />

spesso al bambino che è stato liberato da Basilio,<br />

morto soffocato un mese dopo.<br />

Padre Onagro, interrogato su quello che i due vecchi<br />

dovrebbero fare per il nipote, risponde: Difficile, difficile!<br />

I due vecchi e invecchiati genitori vogliono sapere se<br />

devono considerarsi nonni.<br />

Padre Onagro ha un muso da ciuccio e nitrisce: – Quel<br />

bambino viene dal vostro sangue e il vostro sangue viene<br />

da lontano. – Arriccia le labbra: – Volete che si esaurisca il<br />

vostro sangue? No, certo! Ma come è stato generato? Ecco,<br />

questo è il nodo che procura dolore… Come è stato<br />

generato? C’è un difetto di legittimità, questo è certo. E<br />

159


sul difetto di legittimità dovrei sentire altri pareri canonici.<br />

Ci vorrà tempo e gli avvocati di più di una curia, giacché<br />

il caso è unico.<br />

Vanno ugualmente al compleanno.<br />

* * *<br />

Nel frattempo è successo.<br />

– Spingi Amelina, spingi forte… sei troppo soda, fa fatica<br />

a venire fuori… pensa alle tue pecorelle… come se fossi<br />

sola nel bosco… Spingi…<br />

Amelina non era spaventata. Mostrava i denti al dolore,<br />

spingeva e si concentrava sul ricordo di Sertolino che,<br />

quando era addosso a lei, non capiva più nulla.<br />

Amelina aveva riempito del suo buon odore la stanza.<br />

Aveva sorriso, spinto e illuminato tutto intorno:<br />

– Ecco.<br />

Con la luce era venuta fuori una bambina scura, solida,<br />

un po’ pelosa ma con una bella pelle salutare solo a vederla.<br />

La bambina, sorprendendo Sertolino, prima di piangere,<br />

aveva fatto un bel sorriso e cosparso madre e padre<br />

di un buon umore dorato che gli si era attaccato addosso e<br />

non se ne sarebbe andato più via.<br />

La levatrice, tagliandole il cordone e coprendolo di polvere<br />

da ombelico, aveva detto:<br />

– Melania, chiamatela Melania.<br />

* * *<br />

Così al compleanno di Enrico Xaxa partecipa, aiutando<br />

a servire i gelati, anche Sertolino che aiuta i suoi vecchi<br />

160<br />

padroni, gli mostra Melania e la fa avvicinare al figlio di<br />

Guglielmino e Medina che tante ne ha passate anche se ha<br />

solo un anno. Però ora sembra un bambino come gli altri.<br />

Enrico è afflitto da tutta quella gente che lo tocca e lo<br />

prende in braccio, ma quando vede la piccola Melania,<br />

scura, bella e pelosa, e quando gliela avvicinano sente l’odore,<br />

la annusa a lungo e si consola.<br />

Nessuno se ne accorge ma il corso della vita dei due<br />

bambini è cambiato in questo momento ed è cominciata<br />

un’assistenza reciproca che avviene con un linguaggio infinitesimo<br />

iniziato con l’olfatto. L’odore non cambia e per<br />

il piccolo Enrico si tratta di una zampata affettuosa e senza<br />

unghie che gli arriva al naso e da lì alla memoria imprimendosi<br />

come un marchio a un vitellino.<br />

E ogni volta, quando Sertolino porta Melania a casa<br />

Xaxa, Enrico sente subito l’odore prima di vederla e lascia<br />

anche il capezzolo della nutrice e, per gentilezza, lo dà da<br />

succhiare a Melania. In questo modo crescono sviluppando<br />

in comune tutti i sensi che possono condividere.<br />

Quando Melania perde la sua peluria e, in cambio, ha<br />

denti a sufficienza il suo sorriso incomincia a far luce, una<br />

luce bianca che fa saltare come un folle Enrico qua e là, la<br />

stessa che è apparsa al momento della sua uscita dal ventre<br />

materno e che ha illuminato Sertolino e la levatrice.<br />

Un giorno Battista Xaxa vedendola ridere sente l’occhio<br />

bruciargli di meno e il cuore battere più tranquillo e<br />

pensa: “Questa bambina consola gli afflitti.” E una volta<br />

che la vede giocare in giardino: “La fontana manda più<br />

acqua… i girasoli si voltano… arrivano più farfalle e i calabroni<br />

volano più veloci… Tutto per questo sorriso…”<br />

Ripensa al naso di Medina che è venuto da lontano per<br />

161


andarsi a depositare sulla faccia del nipote Enrico. E pensa<br />

anche al futuro più distante sperando con tutte le sue<br />

forze che quel naso passerà da faccia a faccia per tutta la<br />

durata di Epipanormo, forse, e anche dopo.<br />

* * *<br />

Guglielmino aveva sentito il crac del collo senza spavento<br />

e aveva aspettato che il buio entrasse nei suoi occhi<br />

perché si era convinto che quello era proprio morire.<br />

Il collo era spezzato, non muoveva più neppure un dito,<br />

il torace non si muoveva, già diventava freddo alle estremità…<br />

però il freddo lo sentiva. Sentiva.<br />

Aveva aspettato così, fermo perché era morto, che sparissero<br />

anche le tracce minime della vita. E aveva continuato<br />

a sentirsi Guglielmino, prepotente, innamorato di<br />

Medina… e invece ciondolava freddo, spinto dallo scirocco.<br />

Come un pendolo andava una volta nell’aldilà e<br />

poi tornava di qua.<br />

Cosa era quell’energia che ancora sentiva? Si era arrabbiato,<br />

aveva divincolato i pensieri per fuggire da lì, ma<br />

questo lo aveva fatto soffrire troppo e aveva smesso.<br />

Non gli era toccato aspettare molto.<br />

Si era portato via il ricordo profumato dell’albero infelice<br />

mormorando come un bambino dispettoso: Ecco, ecco…<br />

E quello che restava di lui lo aveva lasciato a pendere dal<br />

ramo.<br />

162<br />

V<br />

Erano in auto e andavano a palazzo di giustizia, costruito<br />

giù a Talattone dove ce n’era sempre stato più bisogno.<br />

Un edificio in stile egizio che non conteneva faraoni.<br />

– Dunque è una sostanza? – domandava Enrico.<br />

– È un’anima o una sostanza? Vogliamo consumare l’anima<br />

e la sostanza nostre in questa discussione? – chiese<br />

Battistino mentre guidava nervoso.<br />

– È una cosa imperfetta, e fa paura, a me fa molta paura,<br />

– disse Melania. – Però ha avuto un figlio, così ti ha<br />

detto questo Guglielmino… vero, Enrico? Ha detto che<br />

ha avuto un figlio?<br />

– Sì, ma l’ha saputo solo dopo che si è appeso all’albero<br />

di pesco. E mi chiedo di continuo: perché non mi ha voluto<br />

uccidere? Ha detto che non poteva farlo con me.<br />

Melania si raccolse i capelli. Enrico, che era seduto dietro,<br />

le vide la nuca e si incantò, come sempre, davanti a<br />

quella sostanza sostanziata da cui emanava qualcosa che<br />

magari era proprio l’anima di Melania:<br />

– Ha detto che non poteva farlo, che non poteva uccidermi.<br />

Ecco.<br />

Melania si girò e sorrise ad Enrico:<br />

– A Epipanormo sono nati e morti in tanti, ed è questo<br />

che fa disperare Enrico… Si dispera perché li hanno di-<br />

163


menticati e non se ne sa più niente. Strati su strati di corpi<br />

e nessuno si ricorda nulla, vero?<br />

Enrico annuì anche se questo era un altare che non<br />

amava scoprire in presenza di Battistino:<br />

– L’altro giorno sei svenuto su strati di morti, Enrico<br />

mio… non perché quella donna con le zanne ti alitava addosso.<br />

Battistino succhiava una sigaretta:<br />

– Enrico sviene su morti definitivi e non sviene davanti<br />

a quella specie di odore, ombra, anima…<br />

– Beh, io ho paura della morte definitiva, non delle ombre,<br />

anzi… Da piccolo speravo sempre, prima di spegnere<br />

la luce, di vedere una di quelle anime di parenti che<br />

papà e mamma ne parlavano sempre. Poi ho iniziato a<br />

pensare alle cose vere e da allora ho iniziato a prendere<br />

un quarto di pastiglia per dormire, poi una metà… e con<br />

le pastiglie la fantasia se n’è andata. Ci ho messo anni:<br />

adesso ne ingoio una intera solo ogni tanto.<br />

Ammutolì: si era confessato senza pudore e senza accorgersene.<br />

Melania lo guardò benigna. Battistino sogghignò<br />

soddisfatto:<br />

– Lo fanno in tanti quello che fai tu, non tutti, ma in<br />

tanti si impasticcano.<br />

Melania gli disse:<br />

– È solo l’inizio dei tuoi racconti, Enrico. Se l’avessi fatto<br />

prima… Purché adesso non esageri! Eccoci, siamo arrivati.<br />

L’avvocato Petinicchio non dà appuntamenti, lo<br />

sapete… Mi ha detto: mi troverete nell’androne a palazzo,<br />

tra una causa e l’altra. Non fatevi ingannare dall’aspetto…<br />

e non giudicate, eh!<br />

Battistino era cupo:<br />

164<br />

– A cosa ci serve un avvocato?<br />

Melania non si voltò neppure:<br />

– Tre morti, un commissario che ci studia al microscopio…<br />

– Con quell’occhio ci studia al microscopio?<br />

Melania non ci badava all’acido di Battistino:<br />

– …un commissario che spia ogni cambiamento nelle<br />

nostre espressioni, che ci gira intorno e tu domandi a cosa<br />

ci serve un avvocato? Battistino, sei seccante…<br />

– Forse ci servirà un giorno… io domando: a cosa ci serve<br />

ora?<br />

Arrivarono a palazzo e scesero dalla macchina.<br />

Lei non rispose a Battistino e salì le scale facendo girare<br />

un bel po’ di maschi.<br />

Enrico iniziò una vertigine sottile e continua. Era tutta<br />

questa gente che qua - distratta dalle cose terribili che avvenivano<br />

in questo palazzo - si dimenticava che doveva<br />

prima o poi andarsene, tutta questa processione che lo faceva<br />

stare male.<br />

In effetti, come aveva detto Melania, trovarono nel<br />

grande andito l’avvocato Eligio Petinicchio, curvo e pallido,<br />

i capelli tinti nerofumo, vestito di nero anche d’estate,<br />

le scarpe gommate.<br />

Petinicchio passeggiava in atteggiamento di confidenza<br />

con qualcuno, lasciava la sua manina per un istante impercettibile<br />

in quella di chiunque incrociava, sorrideva di<br />

profilo, e continuava a tenere stretto in un braccetto molle<br />

quello con cui parlava il quale era sempre diverso all’andata<br />

e al ritorno lungo l’androne.<br />

165


Enrico notò subito che tutto quello che veniva guardato,<br />

sfiorato o preso a braccetto dall’avvocato si ricopriva<br />

immediatamente di una patina grigia miracolosa e, quando<br />

si trattava di persone, vide che quelle, ingrigite, rallentavano<br />

idea e azione.<br />

Battistino fu subito maldisposto e pensò che la peggior<br />

espressione di un essere del genere in natura era proprio<br />

Petinicchio che usava le mani in modo indecente come<br />

prolungamento di un’anima che avrebbe voluto molto<br />

più di due mani.<br />

Quando, lasciato l’ultimo braccio, arrivò il turno delle<br />

mani di Melania, Enrico e Battistino, Petinicchio le prese<br />

tutt’e tre nelle sue e li condusse come bambini in una delle<br />

stanze intorno all’aula.<br />

– Signora Lampreda, ho già parlato con il commissario<br />

Glicerio, – disse ingrigendo subito tutta la stanza e poi<br />

sfregandosi la fronte lucida:<br />

– È una storia che giuridicamente ha mille lati, e non<br />

solo giuridici: tra il romantico e il forense, tra il forense e<br />

il magico, tra lo storico e il forense, tra la religione e…<br />

– Abbiamo coscienza, avvocato, della complessità di<br />

questa storia, anzi, nessuno, come noi, ce l’ha, – disse Melania<br />

coprendo lei di bianco col sorriso l’avvocato che le<br />

diede ragione:<br />

– Ma noi possiamo considerare solo alcuni lati, – fece<br />

una pausa. – È vero, è verissimo, signora.<br />

– Quali possiamo considerare? – domandò Battistino<br />

già molto ostile accendendosi una sigaretta.<br />

Spruzzandogli un bel po’ di grigio addosso Petinicchio<br />

rispose:<br />

166<br />

– Almeno due: il lato storico e quello religioso, tutti e<br />

due da unificare, poi, sotto l’aspetto forense per il quale<br />

la signora Lampreda si è rivolta a me.<br />

Battistino si scosse la polvere e rispose protetto dal suo<br />

acido:<br />

– In un argomento si può entrare di fianco, di fronte e<br />

dandogli le spalle. Quale lato sceglie lei, avvocato?<br />

L’avvocato rispose con un sorriso di cenere:<br />

– Entrare in una storia come questa con passo di corsa<br />

significherebbe inciampare subito e cadere senza potersi<br />

rialzare più. Di fianco, invece, si può guardare in due direzioni:<br />

davanti e dietro, se mi capite. La sua ostilità la capisco<br />

solo se non è personale, professor Mattiolo… la capisco<br />

solo se è rivolta a tutto l’ordine degli avvocati, a tutto<br />

l’ordine giuridico, allora sì, la capisco e la capisco bene.<br />

Battistino si ravviò i capelli:<br />

– È che non arrivo a capire a cosa ci serva un avvocato.<br />

Non siamo indagati, nessuno ci cerca, ci hanno solo fatto<br />

qualche domanda…<br />

Petinicchio spruzzò:<br />

– È una storia in cui si può restare impigliati come un<br />

tonno in una tonnara…<br />

Enrico si sentì pesante, senza più un futuro da sperare,<br />

tramonti da guardare, bagni, cibo, libri… più nulla gli sarebbe<br />

piaciuto. Forse - ma non poteva pensarci - neppure<br />

Melania lo avrebbe più interessato. Nulla: c’era la giustizia<br />

che lo inseguiva e per quanto ne sapeva lui erano inseguimenti<br />

che non finivano mai e che, sino ad allora, erano<br />

capitati solo ad altri. Ora toccava a lui. Come la morte. E<br />

si appoggiò, sfinito, al muro per non cadere.<br />

Invece la testardaggine caustica di Battistino - che lui<br />

167


chiamava coraggio - gli mandò in giro per il sangue una<br />

scarica di forza irritata: – Io non sono un tonno, avvocato,<br />

non sono un animale.<br />

Poi guardò Enrico:<br />

– Questo sviene, questo sviene…<br />

* * *<br />

Porfirio tirò fuori dal taschino un metro pieghevole e<br />

disse:<br />

– Cinquanta centimetri per quaranta. Una cornice che<br />

dovrà essere una corona per questa reliquia, dottor Gracchini,<br />

una corona. Quanto fumo, però…<br />

Il dottor Gracchini era un vecchio sempre seduto, ossidato<br />

dalle sigarette e dalle candele, ed evocava, anche se<br />

non era un prete ma un ospite laico del convento del Santo<br />

Crocifisso, punizioni eterne, terribili come la reliquia<br />

plumbea del dito a forma di croce.<br />

Viveva in una cella dove aveva fatto ridurre la finestra a<br />

un oblò per privarsi di cielo e mare, e gli bastava per capire<br />

il tempo a seconda della luce che entrava impaurita in<br />

quella grotta.<br />

Conosceva da quando erano ragazzi Enrico Ricasoli e<br />

Battistino Mattiolo e riteneva, pensando a loro, che l’amicizia<br />

maschile era proprio contro l’interesse dell’associazione<br />

umana.<br />

Conservava nella sua cella centinaia di bottiglie vuote<br />

ammucchiate. Porfirio se ne stupì ma, abituato a entrare<br />

nelle case della gente e a trovarci le cose più inaspettate,<br />

non fece domande sulle bottiglie.<br />

– Quante sigarette fuma, dottor Gracchini?<br />

168<br />

– Più di cento, signor Rubinacci, e ho ottantasette anni.<br />

E respiro nella mia cella sempre la stessa aria respirata da<br />

me stesso, l’unica di cui mi fido. E non mi muovo quasi<br />

mai dalla mia sedia, ho avuto anche piaghe a forza di stare<br />

seduto, ma non mi muovo. Ogni tanto viene il dottore a<br />

medicarmele, lui non capisce com’è che non peggiorano.<br />

Sono le mie stigmate.<br />

Continuando a misurare, Porfirio Rubinacci parlava:<br />

– È una zona da stigmate, dottor Gracchini? Le stigmate<br />

vengono nelle mani, nelle ginocchia, in fronte… Anche<br />

nel punto dove compaiono a lei sono considerate un miracolo?<br />

La astiosa determinazione del dottor Gracchini non era<br />

solo legata alla vecchiaia ma veniva da un carattere dispettoso<br />

e pieno di risentimento che aveva sin da bambino e<br />

che tutti avevano avuto in odio tanto da spingerlo a isolarsi,<br />

pagando una retta mensile, nel convento del Santo<br />

Crocefisso dove tolleravano anche la collezione di bottiglie<br />

vuote:<br />

– Senta, Rubinacci, lei deve fare una cornice a questa reliquia.<br />

Voglio stare qui dentro e il padre provinciale mi ha<br />

concesso di tenere questo dito a croce nella mia cella, tanto<br />

non lo guardava nessuno e chi lo guardava sentiva un<br />

brivido che veniva da sottoterra e non dal cielo. Perciò voglio<br />

tenerla io questa oscenità, che non faccia male a chi la<br />

osserva. Qui il dito ha a che fare con me: nessun influsso,<br />

nessun veleno, niente mi si attacca. Quanto alle mie stigmate,<br />

può darsi che arrivino anche quelle da sottoterra<br />

ma me le tengo come un segno di attenzione che fuori di<br />

qui non ho mai trovato. Non le chiederò di incorniciarmele,<br />

ma non le permetto di fare lo spiritoso su questo fe-<br />

169


nomeno: io continuo a stare fermo e non peggiorano, capisce<br />

o no? Le bottiglie, stia attento alle bottiglie, si muova<br />

con cautela.<br />

– Sto attento, ma lei non sente almeno un formicolio alle<br />

gambe?<br />

– Le gambe? Quelle servono a chi deve camminare in<br />

quelle luride strade della città. Io faccio tutto qui, tutto<br />

qui nella mia sedia. Formicolio!<br />

Rubinacci rinunciò alla discussione, si allontanò dalla<br />

catasta di bottiglie e si informò:<br />

– Oggi mi hanno detto che vengo da commercianti fenici,<br />

ma io devo chiederlo prima: quanto vuole spendere? È<br />

una reliquia, non c’è da risparmiare su una reliquia.<br />

* * *<br />

Tornando a bottega Porfirio rifletteva sul ritratto di Guglielmo<br />

Redenti e quella reliquia orrenda. Brutta mattinata!<br />

Meglio incorniciare grappoli d’uva, pernici, fiori, barche…<br />

Quella faccia pallida del ritratto e quel dito mozzato<br />

li avrebbero dovuti bruciare, e seppellire le ceneri, non<br />

lasciarle al vento, ché sarebbero potute finire in faccia a<br />

qualcuno.<br />

Arrivato al negozio in via degli Scalpellati, alzò la serranda<br />

a metà. Erano le quattro del pomeriggio, stappò<br />

una birra e accese una sigaretta. Guardò una bella stecca<br />

nuova e intarsiata di ciliegio.<br />

Odorò e riodorò birra e sigaretta: perché sapevano di<br />

pesche? Si guardò intorno, aprì il frigo: pesche non ce n’erano.<br />

Si guardò ancora in giro cercando pesche ma vide<br />

170<br />

all’improvviso un giovane che prima non c’era, seduto sul<br />

suo tavolo di lavoro con le gambe accavallate.<br />

Guardò il quadro, riguardò ancora il ragazzo e cadde all’indietro<br />

battendo la testa su una cornice dorata.<br />

Guglielmino saltò elastico giù dal tavolo, si avvicinò a<br />

Porfirio e lo svegliò con la birra fredda. Quello aprì gli occhi<br />

ma li richiuse subito e allora Guglielmino gli disse:<br />

– Non faccio male ai talattonesi che mi hanno dato una<br />

mano a suo tempo. Un altro Porfirio, color mattone come<br />

te, ha salvato il sangue del mio sangue.<br />

Porfirio sentì improvvisa una tranquillità azzurra in giro<br />

per tutto il corpo e si mise a sedere muto. Questa era<br />

un’apparizione… e, pensò, rendeva inutile e ridicolo il<br />

suo sforzo giornaliero di far combaciare angolo con angolo,<br />

misura con misura, millimetro con millimetro… tutto<br />

inutile… Un’apparizione!<br />

Guglielmino continuò:<br />

– Prima di andarmene volevo distruggere questo quadro.<br />

Mi ha dipinto un pittore di fuori città, venuto apposta<br />

per me: avevo diciannove anni. Ero bello. Ma il ritratto,<br />

quando è così penetrante sparge intorno qualcosa della<br />

persona ritratta e io non voglio che niente di mio venga<br />

sparso intorno, devo conservarmi e non è facile tenere<br />

tutto insieme.<br />

– Magari era un artista… – disse Porfirio estatico.<br />

– È tutta forza che se ne va… me l’hanno rubata e io la<br />

riprendo. Enrico Ricasoli non ha colpa. Lui vorrebbe una<br />

linea, un filo, una traccia, vorrebbe capire. Fosse solo per<br />

lui o per Melania Lampreda o per Battistino Mattiolo, lascerei<br />

fare. Però ci mettono il naso in tanti, tanti nasi che<br />

frugano… io mi consumo…<br />

171


Si prese il quadro e se ne andò dal negozio di Porfirio<br />

che restò seduto, distratto da pensieri che gli stavano arrivando<br />

chissà da dove, certamente da parabole che, normalmente,<br />

i suoi pensieri non seguivano.<br />

* * *<br />

L’avvocato Petinicchio aprì la porta dello studio dove<br />

erano seduti compunti Enrico, Melania e Battistino. Con<br />

un gesto di richiamo da animale domestico, fece entrare<br />

un uomo piccolo e spinoso, uno di quei cardi che crescevano<br />

a Talattone, e lo presentò avvolgendolo in un braccetto<br />

che era un segno di fiducia: – Il signor Amoracchio<br />

ci aiuterà: lui non ha pareri, non fornisce punti di vista. È<br />

un registratore di fatti, di cose.<br />

– Anche se non hanno tre dimensioni come nel nostro<br />

caso e quindi non sono né fatti né cose? – domandò Battistino.<br />

Basilio Amoracchio parlava solo tra parentesi, salvo<br />

che in famiglia, dove, però, ogni tanto le parentesi gli<br />

scappavano anche con la moglie. Lui non doveva immettersi<br />

nelle cose, nel senso che non doveva mai, in nessun<br />

caso, fare parte degli eventi, e perciò, qualunque frase<br />

pronunciasse, era tornita da parentesi, in genere curve,<br />

qualche volta quadre e, nei casi eccezionali dai quali lui si<br />

estraniava totalmente sotto l’aspetto della oggettiva responsabilità,<br />

faceva uso di parentesi graffe. Il suo nome<br />

finiva in acchio e inutilmente aveva cercato di mutarlo in<br />

icchio come il suo padrone. Era una terza persona nata e<br />

fatta.<br />

– (Ho raccolto tutto quello che si sa in questo quaderno,<br />

172<br />

tutto quello che l’avvocato sa da voi e dal commissario<br />

Glicerio e ha ritenuto opportuno farmi conoscere; ora sta<br />

a chi è sopra di me dirmi in quale direzione devo muovermi,<br />

anzi, in quale strato devo muovermi.)<br />

– Strato? – domandò Enrico: – Cosa vuol dire?<br />

– (È semplice, io non ho un valore specifico, ce l’avrei<br />

solo se venissi messo in relazione con quello che cerco, ma<br />

io relazione con quello che cerco non ne ho: quindi posso<br />

muovermi o sotto le cose o sopra le cose, mai insieme alle<br />

cose e a chi le muove. Ora, avete capito? A seconda di come<br />

mi viene ordinato: sopra o sotto.)<br />

Petinicchio guardò il suo uomo, strinse contemporaneamente<br />

tre mani dei suoi tre clienti, come un giuramento<br />

di coscritti, e lasciando una nube di grigio nella camera<br />

se ne andò dicendo:<br />

– Si dà per inteso che qualunque fatto deve essere comunicato,<br />

oltre che al commissario Glicerio e al suo grande<br />

occhio che vede lontano, al mio studio. Oppure, signori,<br />

in caso di urgenza mi troverete in questo androne dove<br />

il va e il vieni dei dolori umani, sempre gli stessi, badate,<br />

sempre gli stessi, io cerco di lenire, con la mia opera.<br />

E riprese il suo movimento di marea, inciambellando il<br />

braccio del primo passante che trovò oltre la porta al quale<br />

aderì immediatamente spruzzandolo di grigio.<br />

* * *<br />

– (Dunque non sapete dove fu sepolto questo Guglielmino<br />

Redenti?)<br />

Battistino provava disprezzo e diffidenza verso il cardo<br />

talattonese che non aveva neppure un pensiero proprio.<br />

173


Enrico rispose:<br />

– No, non lo sappiamo. L’assessorato responsabile dei<br />

cimiteri, non sa nulla dei morti di quattro secoli fa. I sepolcri<br />

più antichi sono di duecento anni fa. Guglielmino<br />

Redenti ci sarà pure in cimitero ma non sappiamo dove.<br />

– (E se l’avessero sepolto in giardino come si usava tra i<br />

ricchi? Dico per dire, solo per registrare un’ipotesi.)<br />

Ora in macchina erano in quattro. Amoracchio sedeva<br />

davanti insieme a Battistino.<br />

Non parlarono più sino a quando arrivarono in via degli<br />

Scalpellati, alla bottega di Porfirio che trovarono con la<br />

serranda mezzo abbassata. Dovevano far vedere ad Amoracchio<br />

il ritratto di Guglielmino. Amoracchio doveva fotografarlo<br />

e poi sarebbe andato alla ricerca seguendo la<br />

traccia del ritratto e dell’odore di pesca.<br />

Porfirio Rubinacci era seduto con la testa tra le mani e<br />

fissava il tavolo su cui aveva visto il contino, poi, con lo<br />

sguardo faceva in continuazione il tragitto verso la porta<br />

che il giovane aveva fatto tenendo il quadro tra le mani e<br />

quando gli altri entrarono non smise di farlo:<br />

– Chi? – domandò Melania.<br />

– Vi dico che era Guglielmino, si è preso il quadro e se<br />

l’è portato via.<br />

– (L’avete visto bene in faccia? Siete sicuro? Che direzione<br />

ha preso? E quanto tempo fa se n’è andato?)<br />

Porfirio guardò Amoracchio, lo conosceva perché veniva<br />

dal suo stesso quartiere ma non aveva mai provato l’ascesa<br />

alla città alta restando nel brodo appiccicoso di Talattone.<br />

Battistino si tirò i capelli indietro e gridò:<br />

– È desolante sentirvi fare queste domande, signor<br />

174<br />

Amoracchio. Sono domande desolanti che rivelano l’assenza<br />

di un qualsiasi disegno, di un’ipotesi…<br />

Enrico lo interruppe. Gli luccicavano gli occhi:<br />

– Sentite che odore ha lasciato Guglielmino!<br />

– (È il solito odore di pesca per quanto ne posso sapere<br />

io.)<br />

– Sì, signor Amoracchio, e l’abbiamo sentito anche per<br />

strada quando siamo scesi dall’auto, vero?<br />

– È vero Enrico, – disse Melania seria, – quindi era proprio<br />

Guglielmino Redenti che si è ripreso il suo ritratto.<br />

Sorprendendo tutti, il cardo saltò fuori dalla bottega di<br />

Porfirio e corse, corse sino a scomparire dietro l’angolo<br />

con via dei Coltelli.<br />

Tutti tacevano cercando di capire qualcosa da quell’unica<br />

traccia che Guglielmino aveva lasciato: l’odore. L’odore<br />

per la memoria, aveva detto Guglielmino a Enrico.<br />

Dopo un quarto d’ora Amoracchio ritornò ansimando:<br />

– (È arrivato a casa vostra, professor Ricasoli, nel vostro<br />

palazzo, sino all’ultimo piano. L’odore si sentiva forte sino<br />

a via del Compasso, e ancora più forte nelle vostre scale.) –<br />

Continuò fra parentesi graffe a significare che stava per<br />

esprimere una deduzione. – {Ritengo che stia mantenendo<br />

la stessa forma che ha assunto in presenza del signor<br />

Rubinacci e che ora circoli per casa nel suo appartamento,<br />

professor Ricasoli, non ne ho la certezza ma mi sembra<br />

plausibile e, comunque, le conseguenze dei fatti, che io riporto<br />

fedelmente, non devono essere tratte da me.}<br />

Porfirio, che nel frattempo era uscito dallo stato di inebetimento<br />

e estasi si guardava intorno perché aveva l’impressione<br />

che qualcos’altro mancasse dal disordine del<br />

suo laboratorio. Gridò:<br />

175


– Il dito a croce! La reliquia di Gracchini! Si è preso anche<br />

la reliquia di Gracchini!<br />

– (Quale reliquia, prego?)<br />

– Quel dito immondo… scusate… quel dito conservato<br />

nella chiesa del Santo Crocifisso che tutti evitavano…<br />

nessuno la guardava più da tanto tempo… un dito a forma<br />

di croce appartenuto a chissà quale storpio… Non c’è<br />

più! Se l’è preso Guglielmino!<br />

Amoracchio prese nota:<br />

– (Gracchini, immonda reliquia, dito storpio, Guglielmino,<br />

s’intende Redenti, avete detto voi, badate bene<br />

non io: confermate?)<br />

Enrico non impallidì. Prese Melania per mano e fecero<br />

di gran passo via degli Scalpellati, attraversarono via dei<br />

Coltelli e risalirono via del Compasso, spostarono il gatto<br />

portinaio che annusava ispirato l’atrio col pelo dritto, salirono<br />

le scale e aprirono la porta di casa. Lì l’odore era fortissimo.<br />

Sul divano era sdraiato Guglielmino Redenti che con<br />

un coltellino grattava via la pittura del quadro. Melania<br />

notò subito che bocca, naso e occhi li aveva cancellati e restava<br />

solo il viso ovale e i capelli neri raccolti. Enrico, invece,<br />

sarà stato per lo sforzo della corsa, sarà stato per l’emozione,<br />

si appoggiava al tavolo tremando e cercava di<br />

aprire una finestra perché aveva bisogno di vedere cielo,<br />

nuvole e luce, soprattutto luce. Non ci riuscì e allora si rivolse<br />

a Melania e guardò quanto era bella con quei capelli<br />

neri e scarmigliati, rossa per la corsa, forte e calda.<br />

176<br />

La dispettosa misantropia del dottor Alberico Gracchini<br />

- contenuta anche nel suono del nome, alimentata da<br />

una ricca rendita che, in cuor suo, un cuore tutto screpolato<br />

ma regolare, lo faceva sentire più in alto, sopra una<br />

base di ferro e circondato da mura che nessuno avrebbe<br />

scalfito - era all’origine della richiesta di incorniciare la tenebrosa<br />

reliquia, schivata anche dai fedeli più fedeli. Lui<br />

se la voleva tenere in cella, da solo e a sua protezione perché<br />

era un vecchio e, visto che non ci pensavano gli altri,<br />

lui si sarebbe protetto da solo aiutato da questo dito mortificato<br />

che faceva coppia con le sue stigmate.<br />

Gli portavano il cibo in cella. Quel giorno a pranzo aveva,<br />

come sempre, minestra e bollito.<br />

Quando Gracchini vide l’occhio del commissario Glicerio<br />

- una meteora di fuoco - lo considerò come una stigmate,<br />

molto diversa dalle sue ma che gli fece sentire un<br />

po’ più vicino il poliziotto e non si indispettì:<br />

– Si accomodi, commissario. Stia attento alle bottiglie.<br />

Io continuo a mangiare.<br />

E iniziò a succhiare la minestra.<br />

– Dottor Gracchini. Lei è un conoscitore profondo di<br />

Epipanormo… e di Talattone.<br />

177


– E perciò sono chiuso in questa stanza. Non portatemi<br />

la città qui dentro, commissario. Sapete perché questa<br />

città non ha mai avuto un unico nome come ogni altra<br />

città?<br />

– Perché non è mai stata una città sola… lo so, lo so.<br />

– Insomma, non ne voglio sapere di miserie e la mia<br />

città è questa sedia.<br />

Glicerio si asciugò l’occhio:<br />

– Dottor Gracchini, tre morti, una sgozzata e due fatti a<br />

pezzi non vi toccano? No, non rispondete, lo so, non vi<br />

toccano neppure di striscio. Ma, vede, la morte mette in<br />

moto i vivi.<br />

Colpito da questa frase di Glicerio, Gracchini smise di<br />

aspirare la minestra:<br />

– La morte mette in moto i vivi? Questo è certo, certissimo…<br />

Tutti ad agitarsi intorno a un morto… si infervorano,<br />

proprio vero.<br />

Fece una pausa per finire la minestra, poi riprese:<br />

– Ottobre del 1639. Sa cosa è successo qui a Epipanormo?<br />

È morta una donna che aveva poco di santo, eppure<br />

tutti le giravano intorno.<br />

L’argomento metteva appetito a Gracchini il quale passò<br />

a sbranare il bollito. Nutriva le sue stigmate:<br />

– Poco di santo aveva questa donna, salvo un dito che le<br />

era ricresciuto dopo l’amputazione, ma le era ricresciuto<br />

a forma di croce. Quando è morta le è stato amputato<br />

una seconda volta e mummificato. Ora è una reliquia che<br />

nessuno vuol vedere salvo il sottoscritto che l’ha data da<br />

incorniciare al miglior corniciaio della città, un talattonese<br />

che è emigrato, diciamo così, a Epipanormo…<br />

– Il signor Rubinacci.<br />

178<br />

Gracchini continuava a sbranare la carne:<br />

– Lo conosce?<br />

– L’ho conosciuto ieri. È venuto a denunciare il furto di<br />

un quadro e anche quello della reliquia.<br />

Gracchini scricchiolò, cigolò e si voltò con tutto il dolore<br />

delle stigmate che erano il suo perno:<br />

– Hanno rubato la mia reliquia?<br />

E si mise a lacrimare senza singhiozzi e in silenzio, tanto<br />

che Glicerio si alzò e gli posò una mano sulla spalla ossuta.<br />

Ma Gracchini non tollerava la solidarietà che poteva<br />

costituire poi un qualche debito, un diritto alla riconoscenza<br />

che non voleva contrarre con nessuno, e si rivoltò<br />

dolorosamente nella sedia riprendendo a mangiare il bollito.<br />

Glicerio sentì il desiderio di andarsene ma vide in quella<br />

nuca scavata qualche notizia annidata nel cervello secco<br />

del vecchio e gli disse tutto in una volta:<br />

– Dottor Gracchini, quel dito a croce apparteneva a<br />

una donna che magari non era una santa, ma era venerata<br />

quattro secoli fa. Perché piange? Io le domando: di chi<br />

era quel dito, che rapporti aveva con la città? Poi le domando<br />

ancora: chi era Guglielmino Redenti, come è<br />

morto? E poi: cosa c’entrano le pesche con la morte? Mi<br />

aiuti.<br />

Gracchini non rispose, finì il bollito, bevve il bicchiere<br />

di vino, guardò la bottiglia piena a metà controluce.<br />

Scricchiolò ancora sulle sue piaghe con una smorfia e si<br />

voltò verso Glicerio fissandolo nell’occhio della verità:<br />

– Le pesche? Lei mi chiede delle pesche? Sulle pesche<br />

posso dirle qualcosa.<br />

179


* * *<br />

Melania trovò che Guglielmino era bellissimo. Enrico<br />

non era riuscito ad aprire la finestra ma si sentiva affacciato<br />

sul cielo intero e fissava la faccia pallida e le guance rosse<br />

del giovane.<br />

Guglielmino sussurrava guardando in una direzione<br />

precisa fuori della finestra:<br />

– Sono venuto al mondo come tutti gli altri. È il modo in<br />

cui me ne sono andato che è diverso e ancora soffro. Cosa<br />

è rimasto di Guglielmo Redenti lo vedete qua: è rimasto<br />

lui. Quello che è rimasto appeso all’albero e che mio padre<br />

fece mummificare non c’è più, neanche una traccia.<br />

Non è bello rimanere…<br />

Guglielmino raccontò ancora la sua storia sino all’albero<br />

infelice e sino al figlio Enrico.<br />

Quando arrivò al figlio suo, nato dalla pancia già morta<br />

di Medina Xaxa, Melania aveva le lacrime agli occhi e Enrico<br />

era in uno stato di transizione verso la perdita dei sensi.<br />

Non voleva svenire ma venne giù lentamente, senza<br />

farsi male e Melania lo accarezzò a lungo e continuò a carezzarlo<br />

anche dopo che Guglielmino se ne andò lasciando<br />

nella casa un delicato odore di pesche.<br />

* * *<br />

Gracchini ricompose i suoi lineamenti da possessore di<br />

piaghe dolorose, da grigio diventò bianco, e distese le<br />

gambette. Glicerio pensò che stesse per alzarsi. Il vecchio,<br />

si pulì le labbra e guardò la luce giallina che entrava<br />

dall’oblò:<br />

180<br />

– Il pesco fiorisce precocemente a primavera, perciò è il<br />

rinnovamento, la fecondità e, siccome è la prima fioritura,<br />

vuol dire verginità, badi… protegge dalle cattive influenze,<br />

esorcizza, protegge dal tuono… dal mantello della<br />

morte… i bastoni dell’oracolo erano di pesco… e la porta<br />

immensa degli spiriti era protetta da un enorme pesco…<br />

l’orlo del mantello non sfiora neppure l’albero che è ancora<br />

da qualche parte, inviolato… Allora, commissario, cerchi<br />

di usare quell’occhio della verità che lei considera, a<br />

torto, una malattia e guardi dentro le cose… Qui abbiamo<br />

una storia infelice, un odore meraviglioso che preserva<br />

dalla putrefazione e, però, accompagna la morte… come<br />

si spiega? Usi il suo occhio, lo usi. Mia moglie ha un solo<br />

occhio da vent’anni eppure con quell’occhio, piccolo e vecchio<br />

riesce a vedere tante cose che lei, commissario, con<br />

questo globo che le è cresciuto nell’orbita dovrebbe vedere<br />

meglio di tutti.<br />

– Lei ha una moglie?<br />

Gracchini addolcì il profilo:<br />

– Io ho una moglie da cinquantasei anni. Sempre la stessa.<br />

Non la cambio come fanno altri, e non perché sarebbe<br />

troppo tardi ora. Ho provato una gioia celeste a lasciarla a<br />

casa, in penombra. È innocente ma capisce tante cose.<br />

Ora che mi hanno rubato la reliquia mi resta lei, polverosa,<br />

vecchia, tutti scappano e lei è sola… sola come quel dito<br />

a croce.<br />

– E questo dito a croce com’è finito qua dentro? Vi teneva<br />

compagnia?<br />

Non era una domanda da fare al dispettoso Gracchini.<br />

– Quella era la parte più importante del corpo di una<br />

donna santa! Cosa ne vuole capire lei, commissario?<br />

181


Quello era un segno dell’esistenza, un segno della presenza,<br />

della forza! Io conservo, metto da parte l’energia più<br />

forte. È sempre la stessa quantità che non cambia, sa? E io<br />

la conservo!<br />

La pancia di Gracchini si stava gonfiando e su quel corpo<br />

mortificato era un’escrescenza che preoccupava:<br />

– Lei mangia troppo in fretta! – gli disse Glicerio pensando<br />

di trovare un ingresso nella fortezza del misantropo<br />

che verso il cibo sembrava provare sentimenti.<br />

– Mi gonfio anche se mangio piano. Io so cosa resterà di<br />

me e come lo conserverò. Si ricordi, commissario, che<br />

non è vero che la materia non è eterna. La materia è sempre<br />

la stessa, è eterna e io la conservo. Senta, sulle pesche<br />

le ho già risposto e lei ha preso nota. Sulla reliquia le ho<br />

detto qualcosa di sacro e la capirà, ci vorrà un po’, ma capirà.<br />

Glicerio sentì l’occhio spingere:<br />

– E su Guglielmo Redenti?<br />

– Non è conservabile come credevo, bisognerebbe conservare<br />

anche lui, ma non ci riesco.<br />

Di colpo il cibo aveva raggiunto il cervello, a Gracchini<br />

cadde la mandibola, le palpebre si chiusero e si addormentò<br />

con una smorfia.<br />

Glicerio si gettò un po’ di gocce nell’occhio, guardò tutte<br />

quelle bottiglie intorno, sentì improvvisamente la puzza<br />

di quell’aria respirata e rirespirata da anni e scappò fuori<br />

del convento. Entrò nell’auto dove Bombòi l’aspettava,<br />

aprì il finestrino e si mise a scrivere sul suo blocchetto.<br />

– Bombòi, questo mezzomonaco ha una moglie. Via<br />

delle Tovaglie 12, a Epipanormo.<br />

182<br />

* * *<br />

– Come te la immagini, Bombòi?<br />

– Chi?<br />

– La signora Gracchini, dico. Una vittima della misantropia<br />

di sicuro. Ma come sarà?<br />

– Una donna trascurata, commissario, poco usata.<br />

Glicerio scrisse nel taccuino: “Un corpo mai usato”.<br />

– In che senso “trascurata”?<br />

– Nel senso che il marito l’ha lasciata perdere, commissario.<br />

Fece i quattro piani a piedi e trovò il pianerottolo più<br />

lucido che avesse mai visto e le foglie più luccicanti del<br />

quartiere.<br />

La signora Tilde Gracchini non aveva colpe, aveva una<br />

faccia stupita e sembrava che tutto fosse stato creato intorno<br />

a lei in quel momento:<br />

– Dio mio! Cosa ha fatto all’occhio?<br />

– È colpa della tiroide, signora.<br />

– E cosa c’entra la tiroide con l’occhio? Io l’ho perso<br />

perché si è ammalato… ha fatto da solo. I dottori lo chiamano<br />

bulbo, bulbo, capisce? Mi spaventavo a sentirlo<br />

chiamare così…<br />

Glicerio evita di guardare l’occhio solitario della vecchia<br />

Gracchini:<br />

– Signora Gracchini, devo farle delle domande. Suo<br />

marito…<br />

Alla parola marito Tilde si spettinò e le labbra diventarono<br />

viola:<br />

– Alberico è chiuso da tanti anni che sarà marcito. Del<br />

suo corpo faccia quello che vuole. Io ho desiderato per<br />

183


anni che il mio corpo venisse usato come un corpo qualunque,<br />

sarei dovuta nascere schiava e non diventare moglie.<br />

Un giorno Alberico finirà dentro una di quelle bottiglie<br />

che conserva e addio corpo.<br />

– A parte delle piccole piaghe che non vuole curarsi,<br />

suo marito sta bene, ha un corpo quasi sano.<br />

La vecchia ebbe una piccola convulsione sul divanetto:<br />

– No, dentro una bottiglia ci finirà il suo ultimo respiro,<br />

non il suo corpo.<br />

– Il suo ultimo respiro?<br />

– Lui in quelle bottiglie conserva ultimi respiri. Quelli<br />

che gli capitano li conserva. Una volta andava in giro<br />

per gli ospedali a conservarli. Dice che è l’ultima cosa viva<br />

che lasciamo in terra.<br />

La casa della signora Gracchini aveva finestre piccole<br />

e per di più chiuse. Glicerio in quella penombra sentiva<br />

il proprio globo rinsavire.<br />

La vecchia parlava a occhi chiusi:<br />

– Ha iniziato quarant’anni fa. C’era ancora la pena di<br />

morte in questo paese e lui ha iniziato con i condannati.<br />

Poi glielo hanno permesso negli ospedali. Io non l’ho<br />

mai visto ma so che metteva proprio il collo della bottiglia<br />

nella bocca del moribondo.<br />

Bombòi impallidì.<br />

L’occhio di Glicerio sembrava un tramonto sereno e,<br />

come un tramonto, andava verso il blu. La vecchia continuava<br />

a tenere le palpebre chiuse.<br />

– Poi, un giorno, Alberico ha iniziato a stare sempre<br />

seduto. E sa perché, commissario? Perché, diceva, in giro<br />

c’erano tanti ultimi respiri che non c’era bisogno di<br />

andare a cercarli, tanto entravano in casa… Stava sedu-<br />

184<br />

to dove è lei adesso ma a me non mi guardava neppure.<br />

– E i respiri si imbottigliavano da soli… È così, signora?<br />

Per questo poi si è chiuso in cella da solo…<br />

– Si è chiuso in convento, senza avermi mai usato, e lì<br />

aspetta gli ultimi respiri che arrivano da quelle parti attraverso<br />

un oblò…<br />

– Suo marito ha mai conservato un odore?<br />

– Non è più mio marito. Quanto all’odore io so che una<br />

volta ci ha provato… ci è riuscito ma l’odore è scappato e<br />

non so nulla di quella bottiglia.<br />

– Che odore era? Di pesca, per caso?<br />

– Non lo so, commissario. Sono contenta che abbia le<br />

piaghe che poi sono un annuncio chiaro e tondo che sta<br />

per trapassare. E non si continua a vivere in una bottiglia,<br />

come dice lui. Vivere è un’altra cosa.<br />

Glicerio guardò bene la vecchia sulla trapunta e la trapunta<br />

gli sembrò un sudario:<br />

– Signora, questa storia della conservazione dell’ultimo<br />

sospiro è un’idea come un’altra… voglio dire, suo marito<br />

si sforza… cerca qualcosa.<br />

L’occhio senza sugo della vecchia fu l’ultima cosa che<br />

vide uscendo dall’appartamento.<br />

* * *<br />

L’avvocato Petinicchio guardava il cielo dal suo studio<br />

ma senza la serenità necessaria. Quello, per lui, era un<br />

puro cielo catastale di cui gli spettava una parte che aveva<br />

individuato, delimitato e fatto registrare. Non ci vedeva<br />

bellezza e non pensava al creato.<br />

Si sapeva - tutti lo sapevano perché il fatto era straordi-<br />

185


nario - che vent’anni prima era riuscito in quello che ogni<br />

giudice e avvocato ha sempre desiderato come apice assoluto<br />

e che da allora aveva costituito il suo apogeo.<br />

Vent’anni prima, in un’intera aula del tribunale era calata,<br />

progressiva, invincibile e alata, la paralisi fatale. Attore<br />

e convenuto, giudice e procuratori, testimoni, spettatori<br />

nelle panche del pubblico, cancellieri e segretari si erano<br />

prima ricoperti udienza dopo udienza di polvere, poi di<br />

una patina opaca uguale per tutti, poi avevano rallentato i<br />

movimenti e infine, senza dolore e senza lamenti, si erano<br />

fermati come in un grande e grigio presepio forense. In<br />

principio l’aula era stata conservata così com’era con tutto<br />

il sinedrio nerovestito e andavano a vederla da altre<br />

città in silenzio ma con risentimento soddisfatto.<br />

L’unico sul quale non era scesa la paralisi era stato proprio<br />

Petinicchio per la ragione che spruzzando e spruzzando<br />

la sua polvere grigia ogni volta che prendeva la parola,<br />

aveva generato lui l’immobilità nell’aula e lui si era<br />

immunizzato. Il giovane avvocato, all’epoca, non era cosciente<br />

del proprio potere, e rinviando scivolando scartando<br />

obiettando era arrivato, stupefatto, a fermarli definitivamente.<br />

Da allora quelle di Petinicchio erano le udienze più brevi<br />

a palazzo. Lui aveva piegato la professione alla sua volontà<br />

e si era ritrovato tanto tempo in più che utilizzava in<br />

quelle strisciatine della mano su altre mani, centinaia di<br />

strisciatine ogni mattina. Dalla sua mano usciva una bava<br />

come quella del ragno e aveva costruito la più grande ragnatela<br />

della città.<br />

Padrone delle date, delle ore e dei giorni, padrone del<br />

tempo del giudizio.<br />

186<br />

Aspettava, seduto nella sua poltrona girevole, Enrico e<br />

Battistino e, poiché non aveva mani da stringere, si teneva<br />

una mano nell’altra.<br />

Anche le sedie dei clienti erano girevoli, più piccole, ma<br />

girevoli perché i clienti potessero seguire il legale che aveva<br />

l’abitudine di alzarsi e camminare per la stanza.<br />

– Avvocato, – disse Battistino protetto dalle zaffate di<br />

Petinicchio grazie all’aria della finestra aperta, – tre morti<br />

collegate da un odore…<br />

– Quattro morti… non dimenticare Nellina, anche se<br />

era un cane, – diceva Enrico triste vicino alla finestra. –<br />

Un giovane che dovrebbe avere quasi quattrocento anni e<br />

che si trasforma in essenza e in quintessenza di pesca. I<br />

morti che hanno spaventato tutta la città. Noi che ormai<br />

viviamo in tre per paura.<br />

– In tre? – domandò Petinicchio facendo girare a destra<br />

e a sinistra la poltrona.<br />

– In tre con la signora Lampreda. Ci teniamo per mano,<br />

ecco, in questo senso viviamo insieme… più vicini possibile,<br />

– rispose Enrico.<br />

Erano bersagli difficili per le polveri di Petinicchio.<br />

Battistino si tirò i capelli all’indietro sino a farsi male:<br />

– Guglielmino Redenti era a casa di Enrico, lo sapete?<br />

Ha rubato una reliquia e un suo ritratto da un corniciaio…<br />

– Lo so da Amoracchio, lo so. Ma andate piano nel racconto,<br />

piano, piano.<br />

Battistino schivò una spruzzata:<br />

– E ha distrutto il quadro con un temperino. Ma la cosa<br />

più strana è che ha bruciato la reliquia che non le dico<br />

187


quale odore indescrivibile di aldilà ha prodotto. E ora…<br />

– Ora volete sapere in quale parte voi entrate in questa<br />

storia sotto il profilo, beninteso, delle leggi e dico “delle<br />

leggi” per una ragione giacché voi non vi trovate sotto il<br />

dominio di una sola legge, né di un solo articolo. E neppure<br />

siete appesi a un comma. In realtà tutta una flottiglia<br />

di leggi vi punta la prua contro e naviga di conserva verso<br />

di voi.<br />

Enrico e Battistino davanti a una grande nuvola di cenere<br />

che partiva dall’avvocato si avvicinarono alla veranda<br />

e spalancarono la finestra schivando la nuvola ma avvertendo<br />

una certa debolezza.<br />

– E questa flotta ci sono due modi di affrontarla. O tutta<br />

con un’unica grande cannonata. Oppure bombardiamo<br />

naviglio per naviglio, con pazienza. Ma…<br />

– Ma? – domandò Enrico.<br />

– Ma il commissario Glicerio deve ancora finire di costruire<br />

le navi. Quindi, forse, c’è tempo.<br />

Battistino ebbe, nonostante le promesse fatte a Melania,<br />

un rigurgito acido:<br />

– Avvocato, noi insegniamo lettere, capisce? Insegniamo<br />

letteratura e di metafore ne abbiamo piene le tasche<br />

perché è da millenni che poeti e romanzieri le usano ed<br />

Enrico e io le spieghiamo. Ora, appunto, ne abbiamo le<br />

bisacce piene. Ascolti bene: qualcuno ci può coinvolgere,<br />

ci può portare dentro questa storia, tutto qua… E lei, lei ci<br />

deve tenere fuori e difendere se ci tirano dentro. Quindi<br />

eviti gli ingressi di fianco. Lei Guglielmino Redenti non lo<br />

mummifica, non lo paralizza, non lo ferma col suo sale<br />

grigio sulla coda. Lo capisce? Glielo ha detto Amoracchio?<br />

188<br />

Petinicchio, pallido e sudato, si alzò e si mise a camminare<br />

per lo studio con le scarpe gommate rumorose. Gli<br />

mancavano mani da toccare e braccia da inciambellare,<br />

ma pensava, pensava:<br />

– Professori, loro hanno una possibilità… e io che credevo<br />

di essere all’apice… hanno una sola cosa da fare per<br />

iniziare. Una sola…<br />

– Quale? – domandò Enrico accorgendosi che gli tremavano<br />

le mani che nascondeva nelle tasche dei pantaloni.<br />

Petinicchio si aureolò di grigio al centro della stanza:<br />

– Incrimineranno Guglielmino Redenti!<br />

Una lenta polvere grigiastra si poggiò sulle parti più salienti<br />

di Enrico e Battistino che ebbero un brivido e si rifugiarono<br />

in veranda.<br />

– Sì, signori, – gridò dal suo studio l’avvocato. – Incrimineranno<br />

un fantasma… Persona giuridica… o meglio<br />

persona no, ma giuridica sì… Persona…<br />

189


Come un grande feto accovacciato, il mento sullo sterno<br />

e le braccia incrociate, Gracchini era stato fatto entrare<br />

dentro una damigiana piena di salamoia.<br />

Però non c’era mistero. Il vecchio era magro e il collo<br />

della damigiana largo. Ce lo avevano fatto entrare dopo<br />

morto, fratturandolo qua e là.<br />

Lo avevano strangolato con un laccio e spinto sulle sue<br />

bottiglie che si erano rovesciate e rotte liberando tanti ultimi<br />

respiri che erano subito scappati dall’oblò della cella<br />

verso la città alta e la città bassa.<br />

Come poi si distribuirono, quartiere per quartiere, appartamento<br />

per appartamento, non si seppe mai con<br />

chiarezza anche perché nelle bottiglie non c’era un nome.<br />

Fatto sta che da quel giorno in molte case ci fu un sospiro<br />

in più.<br />

Gracchini era stato trovato galleggiante dentro la damigiana<br />

dal frate che gli portava il bollito.<br />

Il frate aveva poi raccontato a tutti che nella cella, al posto<br />

dell’odore di Gracchini, c’era un buonissimo odore di<br />

pesca che lui aveva da subito considerato come un segno<br />

di santità o, comunque di qualcosa molto vicina al miracolo.<br />

Anche il galleggiamento del vecchio dentro la damigiana<br />

sembrava un segno proveniente dall’eternità e Grac-<br />

191


chini sembrava, dentro quel liquido salato, destinato alla<br />

conservazione.<br />

L’acqua e il sale ce le aveva messe l’assassino ma il frate<br />

aveva considerato l’acqua e il sale come il liquido della vita<br />

e si era inginocchiato, aveva bagnato le dita dentro la<br />

damigiana e aveva pregato a lungo prima di riportare indietro<br />

il bollito e dare l’allarme in convento.<br />

Alla rottura della damigiana era presente il commissario<br />

Glicerio.<br />

Il necroforo Albertino ruppe il vetro tagliandosi dappertutto<br />

e senza lamenti. Depose Gracchini sul tavolo<br />

d’acciaio e con un crac multiplo lo distese supino col<br />

mento aguzzo puntato verso il neon.<br />

Glicerio pensò che quel mento acuminato fosse puntato<br />

verso l’infinito:<br />

– Sarà possibile, Albertino, un referto entro oggi? È evidente<br />

che l’hanno strangolato. Se vuole, il professor Petracchi<br />

potrebbe fare in quattro e quattr’otto. Lei, aspettandolo,<br />

vada a disinfettarsi Albertino, è stato imprudente<br />

rompere la damigiana a quel modo.<br />

Arrivò il perito settore Petracchi, fissò con lo sguardo<br />

da perito settore il corpo desolante di Gracchini e poi<br />

l’occhio inverosimile di Glicerio. Si mise un camicione,<br />

un grembiule di caucciù e iniziò, senza indugi, con un lungo<br />

taglio pacato.<br />

* * *<br />

– Nulla di nuovo, dottoressa.<br />

La dottoressa Maria Nives Paneangelico, piemme gio-<br />

192<br />

vane non ancora sfiorata dalla polvere di Petinicchio. Lei<br />

aveva disposto l’autopsia di Gracchini. Era una donna<br />

cartacea, una donna intatta, poco sangue, con le mani<br />

bianche e marmoree, un bacino capace e gambe troppo<br />

lunghe.<br />

– Sulle stigmate cosa dice il referto?<br />

Glicerio si teneva l’occhio:<br />

– Il referto le chiama piaghe, semplicemente piaghe.<br />

Non dice altro. Così le chiama il professor Petracchi, il<br />

medico legale.<br />

– Commissario Glicerio, la medicina legale non è tutto!<br />

Anzi, io diffido di quei ragionamenti metà da medico e<br />

metà da leguleio che vanno dove vogliono loro dopo avere<br />

vagato dappertutto. In particolare diffido del professor<br />

Petracchi, è uno che chiamerebbe piaghe anche le ferite<br />

di Gesù risorto. Ascolti questo nastro.<br />

Calcò sul tasto del registratore e si sentì una voce:<br />

Quel renitente a morire di Gracchini è morto strangolato<br />

e ho liberato i fiati dalle bottiglie con cui soffocava i moribondi.<br />

Il tempo cannibale se l’è divorato e i fiati, ora sono liberi<br />

e sono in alto.<br />

– Chi è? È una voce giovane, dottoressa.<br />

– Abbiamo scomposto la voce, commissario.<br />

– Scomposto la voce?<br />

– E sapete cosa ne è risultato? Ne è venuto fuori che<br />

non è la voce di nessuno. In altre parole non è una voce<br />

umana.<br />

– Una voce sintetica, di quelle elettroniche?<br />

– No, umana è umana, solo che non è una voce di don-<br />

193


na, né di uomo, né di bambino o bambina. E questo ha<br />

fatto maturare un sospetto… Voi non avete ancora messo<br />

in relazione i delitti con qualcuno, vero? Nutrite e fate ingrassare<br />

solo sospetti… ma di colpevoli, scusate, non se<br />

ne parla neppure, vero?<br />

Glicerio non rispose ma disse:<br />

– Quella voce, quindi, non è di Mattiolo o di Ricasoli.<br />

Io quei due li osservo, ci penso e uno dei due, cosa vuole,<br />

sono debolezze da poliziotto, vorrei incriminarlo per qualcosa<br />

ma non so cosa.<br />

– Quale dei due?<br />

– Mattiolo. Puzza e puzza di un odore suo. In qualche<br />

modo è collegato, insieme al suo amico, alla storia del fantasma.<br />

E questa voce registrata mi sa tanto di fantasmatico…<br />

la voce di nessuno. Quanto a Enrico Ricasoli non so,<br />

c’è qualcosa che me lo fa sentire vicino…<br />

– Vicino?<br />

– Vicino di sangue, sarà che a Epipanormo circola sempre<br />

lo stesso sangue. Comunque Ricasoli non puzza.<br />

Paneangelico si alzò in piedi:<br />

– Glicerio, lasci stare le puzze e trovatemi un legame tra<br />

Gracchini e gli altri morti. Poi tra i morti, Mattiolo e Ricasoli.<br />

E io farò cercare il possessore di questa voce. È nessuno?<br />

È senza corpo? Non è? Voi avete capito che chi non<br />

è - eppure ha una voce e si manifesta - altro non può essere<br />

che un fantasma. E se non lo trovo, lo farò processare<br />

ugualmente!<br />

Glicerio iniziò a sudare:<br />

– Un processo a un fantasma? Dottoressa Paneangelico…<br />

– Processerò un fantasma!<br />

194<br />

– E Petinicchio? E di Petinicchio cosa mi dice?<br />

Paneangelico rifletté:<br />

– Commissario, lei è un uomo coraggioso, col suo occhio<br />

e con le sue malattie, non ha paura! Dopo il processo<br />

che ha imbambolato l’aula, le cause innumerevoli che Petinicchio<br />

ha vinto… ecco il processo dei processi. Il processo<br />

a un fantasma - che io dimostrerò processabile - e ai<br />

suoi amici complici. Io sto entrando nella maturità forense<br />

e i casi sono due: o mi ricopro di polvere da sola o mi ricopre<br />

Petinicchio.<br />

* * *<br />

Una piccola impiegata profumata accompagnò Enrico<br />

e Battistino che seguirono la scia della donna sino all’ufficio<br />

della dottoressa Paneangelico.<br />

Enrico si era intristito per i neon accesi anche se fuori<br />

c’era il sole. Quella luce lo intorpidì.<br />

– Battistino, perché Petinicchio non è ancora arrivato?<br />

– Ora arriva, arriva. E arriverà anche questa dottoressa<br />

Paneangelico. Tutti questi morti ci hanno portato sin qui,<br />

davanti a un magistrato. Stiamo iniziando una strada che<br />

non finirà più…<br />

– Io da Petinicchio mi sento protetto e farò esattamente<br />

quello che mi dirà di fare. Sei avvertito, Battistino.<br />

In quel momento, con la faccia di chi ha scacciato i mercanti<br />

dal tempio, nerovestito, pallido e ispirato, entrò nello<br />

studio l’avvocato accompagnato dall’impiegata profumata<br />

che subito scappò via:<br />

– Buongiorno, professori. Entro subito nel cuore delle<br />

cose. Non c’è tempo.<br />

195


– Sì.<br />

– Ho parlato col magistrato che sarà qui a momenti.<br />

Cercheranno di collegarvi agli assassinati tramite il fantasma,<br />

questo lo avete chiaro? È chiaro?<br />

Un dolore, una debolezza improvvisa e nebbia. Cosa<br />

succede? Un’infinita confusione dolorosa. Si siedono Enrico<br />

e Battistino. Si tengono la testa mentre Petinicchio<br />

spiega e mormorano:<br />

– Una cosa mai sentita prima… Un processo a un fantasma…<br />

mai sentito…<br />

– Questo non vuol dire. Hanno costruito un’ipotesi accusatoria<br />

e quella va avanti. D’altronde voi non potete negare<br />

che questo Guglielmino Redenti esiste in una forma<br />

che si può definire almeno metafisica…<br />

Battistino fece un saltello stanco sulla sedia:<br />

– Metafisica? E questi sarebbero omicidi metafisici?<br />

Morti metafisici? Sangue metafisico?<br />

In quel momento entrò la dottoressa Paneangelico.<br />

Petinicchio, con l’indice, zittì Battistino, accennò un inchino<br />

da seduto e fissò il pubblico ministero con lo sguardo<br />

dell’avvocato che sta davanti alla legge. Come il pittore<br />

davanti alla tela bianca, il miscredente davanti alla rivelazione.<br />

– Avvocato, risparmiamoci ragionamenti polizieschi…<br />

Io so bene, benissimo, che i suoi clienti non sono gli autori<br />

materiali degli omicidi di Tebe Mistrè, Egeico Lago e<br />

Alberico Gracchini.<br />

Enrico e Battistino sentirono il sangue circolare più caldo.<br />

La dottoressa Paneangelico continuò.<br />

– Intendo con ciò riferirmi alla materia da cui sono fatte<br />

le cose e che è necessaria per compiere le azioni. Dal pun-<br />

196<br />

to di vista, appunto, dell’azione materiale essi sono certamente<br />

estranei ai fatti. Ma i fatti possono essere considerati<br />

anche in altro modo.<br />

Petinicchio conservava la polvere paralizzante e taceva.<br />

Il piemme proseguì:<br />

– Accettata anche, dico anche, attraverso una perizia fonica<br />

l’esistenza di un fantasma, accettato che un fantasma<br />

possa essere, ovverossia, esistere e avere una propria essenza,<br />

quand’anche quintessenza, egli ha, per logico effetto,<br />

anche sostanza giuridica. Questo è lampante! Ergo, in<br />

qualità di essere che esiste, è sottomesso alla morale naturale<br />

e, per conseguenza, alle leggi che ne sono derivate.<br />

Petinicchio, con lo sguardo perso tra le mattonelle, sollevò<br />

una mano per interrompere:<br />

– Perché avete detto “Accettata anche, dico anche, attraverso<br />

una perizia fonica l’esistenza di un fantasma”?<br />

Avete altre prove che il fantasma esista e abbia una sua<br />

forma di essere?<br />

– Ha un nome.<br />

– Anche i morti hanno un nome, dottoressa.<br />

– Ha un odore.<br />

– Dottoressa, non c’è bisogno di avere un’anima per<br />

avere un odore, si sa.<br />

– Non è esattamente un odore, è un’essenza e l’essenza,<br />

le ripeto, può venire solo da un essere. È un’essenza che<br />

viene modulata da una volontà che segnala l’essere. È<br />

un’essenza cosciente e sentimentale che indica sentimenti<br />

anche di odio e si è associata alla morte (io direi assassinio)<br />

di tre persone, quattro se si aggiunge Medina Xaxa.<br />

– Beh, quello di Medina Xaxa, per quanto se ne sa, è solo<br />

un incidente.<br />

197


– Il professor Ricasoli era là. D’accordo, avvocato, lui<br />

non l’ha spinta, l’ha addirittura sostenuta tentando di salvarla.<br />

Però anche nella teleferica si è manifestato l’odore.<br />

E poi, le confermo e ribadisco, io non voglio incriminare i<br />

professori di omicidio.<br />

La dottoressa Paneangelico distese un foglio sulla sua<br />

scrivania, lo guardò per un poco e riprese il ragionamento:<br />

– Avvocato, lei sa che sono stati processati animali.<br />

Battistino disse che loro non erano animali ma nessuno<br />

lo ascoltò.<br />

– So bene, dottoressa, – disse con un inchino Petinicchio.<br />

– Sa anche che la legge spreme succo giuridico persino<br />

dal nascituro che, eppure, non è, non esiste.<br />

– So bene.<br />

– Sa, perché questa è la base del diritto, che lei conserva<br />

la procura di un suo cliente anche dopo la morte del cliente,<br />

proprio come se fosse ancora vivo… eppure, non c’è<br />

più, quel suo cliente… non c’è nell’accezione, diciamo,<br />

quotidiana che per praticità la gente dà a quel non c’è. Ma<br />

noi non siamo la gente.<br />

– So bene.<br />

– Dunque può, anzi, deve essere d’accordo sull’esistenza<br />

di un essere, anche se solo in forma di profumo, il quale<br />

può incidere sugli eventi e addirittura determinarli. Ed è<br />

anche d’accordo che questo essere ha intrattenuto rapporti<br />

amichevoli esclusivamente con due persone che<br />

avrebbe potuto uccidere mentre, come si sa dai fatti, le ha<br />

risparmiate se non protette.<br />

Paneangelico fa una pausa e si guarda le belle mani<br />

bianche:<br />

198<br />

- Insomma, avvocato Petinicchio questa procura la<br />

informa che siamo intenzionati a procedere nei confronti<br />

di Ricasoli Enrico e Mattiolo Battistino per concorso in<br />

omicidio plurimo.<br />

Enrico sentì un desiderio così forte di Melania che la<br />

invocò sottovoce.<br />

Battistino non capì subito e si infastidì solo per il cognome<br />

prima del nome.<br />

Petinicchio non usò la sua polvere. Aveva intuito che la<br />

dottoressa Paneangelico si era preparata e avvicinata alla<br />

finestra, pronta ad aprirla nel caso l’avvocato avesse rilasciato<br />

le sue polveri.<br />

– Ammesso che il procuratore generale accetti il ridicolo<br />

del processo a un fantasma, ammesso che la giurisprudenza<br />

dia sostanza alla vostra teoria, accettata anche l’idea<br />

di una possibilità di colpevolezza del fantasma, io vi<br />

domando, dottoressa, e in aula ve lo domanderò molto<br />

più forte, che relazione abbiano i miei due assistiti con il<br />

fantasma…<br />

– Diamogli un nome, avvocato, cominciamo ad abituarci<br />

e a indicarlo come Redenti Guglielmino.<br />

– D’accordo, il mio quesito non muta: che relazione potete<br />

ipotizzare tra Guglielmino Redenti e i miei due assistiti?<br />

– Forse il Redenti Guglielmino non è un fantasma. Forse<br />

non è mai deceduto e questa sua capacità di cambiare la<br />

propria sostanza gli ha evitato quello che a tutti prima o<br />

poi tocca. Se così fosse, ancora di più sarebbe incriminabile<br />

chi di materia è composto, di carne, pelle, organi e<br />

cervello dove risiede la volontà, in questo caso, la volontà<br />

di delinquere dell’indagato.<br />

199


– Non è ancora indagato.<br />

– È già sul tavolo del procuratore generale la richiesta<br />

ed è articolata, motivata e giustificata dall’obbiettivo pericolo<br />

sociale che il Redenti rappresenta.<br />

Petinicchio aveva atteso che la dottoressa Paneangelico<br />

si allontanasse dalla finestra per spruzzarle, alzando un<br />

braccio, una dose della sua polvere:<br />

– Le ripropongo il quesito: in che relazione ponete Guglielmino<br />

Redenti con i miei due assistiti?<br />

Paneangelico, benché impolverata e un po’ indebolita,<br />

manteneva l’espressione della vergine senza incertezze,<br />

quindi non era un’espressione intelligente e per questo<br />

motivo faceva più paura a Enrico e Battistino.<br />

– Per me un omicida, purché sia un essere dotato di volontà,<br />

è un omicida quale che sia la sua sostanza o essenza.<br />

Se altri lo frequentano e lo nascondono ne discende, avvocato,<br />

che sono complici. Il processo chiarirà… Ricasoli<br />

Enrico e Mattiolo Battistino sono complici e hanno concorso,<br />

dico, concorso.<br />

– Il processo è la peggiore delle pene! – singhiozzò Enrico<br />

desiderando infinitamente di stare abbracciato a<br />

Melania.<br />

Petinicchio si alzò, prese per mano Enrico e Battistino i<br />

quali gli si affidarono spaventati. Guardò la dottoressa<br />

Paneangelico come un soldato guarda il nemico che sta<br />

per sparargli addosso, si sentì forte e protettivo, si sporse<br />

in avanti, sventolò la bandiera degli avvocati, spruzzò<br />

un’enorme quantità di polvere e gridò il suo grido di guerra:<br />

– Al processo! Al processo!<br />

200<br />

<strong>Ei</strong><br />

L’aria aveva uno splendore così speciale che la città appariva<br />

ancora più bella e sembrò ai due ragazzi come sospesa<br />

al cielo dell’Attica.<br />

La videro all’orizzonte dopo quattro giorni di cammino<br />

e la videro immensa, bianca e luminosa, oltre il fiume Cefiso.<br />

Atene sembrava una dimora del sole.<br />

In realtà la parte bassa della città era un affollamento<br />

immenso e disordinato di casupole di terra e uomini che<br />

fermentavano per arrivare alla città alta da dove venivano<br />

cacciati continuamente. Ma di questo loro non sapevano.<br />

Nicteo e Peante, non guardarono in basso e pensarono<br />

tutt’e due che l’uomo era il più straordinario tra gli esseri<br />

viventi e che davvero era simile agli dèi. Loro non erano<br />

ancora nati quando Atene era stata fatta così bella e il pensiero,<br />

chissà perché, li commosse.<br />

Seguirono ancora la via sacra ed entrarono in città il pomeriggio<br />

dalla porta di Dipylon e, dopo avere trovato una<br />

locanda in un quartiere fatto con mattoni di paglia e fango,<br />

lasciati gli asini, si diressero verso la città di marmo di<br />

cui parlava tutto il mondo e che il mondo lo faceva girare.<br />

Fu un percorso che compensò da solo tutto il dolore<br />

201


provato, e lo sbalordimento si trasformò in una felicità<br />

che Nicteo definì piena, suprema, sublime, assoluta e poi<br />

restò senza aggettivi. Anche Peante dimenticò pecore e<br />

dubbi e si sentì più vicino alle nuvole. Trascorsero la serata<br />

a guardare statue, monumenti e un’infinità di uomini e<br />

donne indaffarati.<br />

Una giovane gli sorrise. Loro si guardarono e si resero<br />

conto di non essere all’altezza della città e dei suoi abitanti<br />

con i capelli ricci e spettinati, con la peluria da radere, le<br />

unghie nere e l’odore d’asino che si portavano addosso.<br />

Decisero di spendere per abbellirsi.<br />

Il bagno pubblico gli apparve come un olimpo luccicante,<br />

un luogo dove tante semidivinità riunite si raccontavano,<br />

con l’acqua all’ombelico, le loro storie. Lo schiavo<br />

bagnaiolo li guidò. Loro intanto ascoltavano tutto quello<br />

che arrivava ai loro timpani emozionati.<br />

– Locoòne? Lui dovrebbe fare la scelta delle tragedie e<br />

delle commedie quest’anno? Lui? Ma se era un commerciante<br />

d’olio prima di diventare arconte! Cosa vuoi che ne<br />

capisca Locoòne?<br />

– Ma davvero credi che bisogna capire d’arte, saper scrivere<br />

o saper recitare per scegliere una bella storia? Allora bisognerebbe<br />

saper fare tutto questo anche per essere uno degli<br />

spettatori del teatro di Dioniso. E invece non mi pare che<br />

siano tutti letterati.<br />

– Beh, una cosa è stare a guardare, una cosa è scegliere,<br />

un’altra cosa è recitare e un’altra ancora scrivere. Se gli arconti<br />

che hanno scelto gli autori sino a oggi fossero stati<br />

ignoranti come Locoòne…<br />

– È troppo fredda quest’acqua!<br />

202<br />

– Dove andremo a finire? Tutto si sta disfacendo. L’altro<br />

giorno, al processo contro Eudimacripto che ha rubato all’erario,<br />

lui si è preso il lusso di parlare oltre il tempo concesso<br />

dall’orologio ad acqua, io ero là tutta la mattina e ho sentito.<br />

– Sei proprio un vecchio senza niente da fare. Nel mio demo<br />

di Ceràmico i vecchi sono esempi per i giovani, equilibrati<br />

nei costumi e nella parola. Anziché passare la mattina<br />

in tribunale a spettegolare dovresti preoccuparti di educare<br />

la gioventù.<br />

– Questa massa di maleducati e poltroni? Ci porteranno<br />

alla rovina e tu li difendi.<br />

– Tu perdi il cervello a pezzi.<br />

– Rimbambito, ti calpesteranno come una stuoia.<br />

– Beh, che Telèsforo fosse un serpente lo sapevo, ma che<br />

arrivasse a dire di me quello che tu mi riferisci con tanti particolari!<br />

– Tu lo sai che io aborrisco il pettegolezzo, lo ritengo una<br />

piaga del genere umano, eppure ho voluto riferirtelo. Sai<br />

anche che non amo mettere zizzania. Voi siete i miei migliori<br />

amici, non vorrei vedervi divisi per nulla al mondo. Però<br />

tu vigila, stai attento, spesso le oneste e ben create coscienze<br />

non conoscono la frode.<br />

– Grazie.<br />

– Hai sentito, Tedecteto, del monumento al povero Socrate?<br />

Se ne accorgono ora! Ma tanti non sono d’accordo. C’è<br />

ancora gente avversa alle sue idee. Figurati, fargli una statua…<br />

– Con la faccia da silèno che gli dèi gli avevano assegnato<br />

sarà difficile rendergli un buon servizio per i posteri e lo ri-<br />

203


pagheranno male dell’ingiustizia. Sarebbe meglio un pubblico<br />

pentimento inciso nella pietra.<br />

– Tutti pentiti! L’accusatore Meleto condannato a morte,<br />

Anito d’Eraclea scacciato dalla sua città, Licòne esiliato e le<br />

dracme d’oro come risarcimento a Santippe! Che ipocrisia!<br />

Solo ipocrisia! Facile, ora che è tra i più…<br />

– Perché dici che è tra i più?<br />

– Perché quelli che sono morti sono più numerosi di noi<br />

vivi, perciò si chiamano i più.<br />

– E chi lo può affermare con sicurezza?<br />

– Beh, c’è stato certamente un momento in cui i primi uomini<br />

erano tutti vivi e nessuno era ancora morto. Poi hanno<br />

iniziato a morire e ancora per un po’ i vivi sono stati più<br />

numerosi dei morti. E alla fine il numero dei morti ha superato<br />

quello dei vivi e da allora è sempre aumentato il numero<br />

dei morti perché diminuiva quello dei vivi. Questo,<br />

Tedecteto, è un ragionamento.<br />

– Ma gli uomini hanno continuato a nascere e ne nascono<br />

più di quanti ne muoiono, sennò la popolazione, per esempio,<br />

di Atene non sarebbe in aumento. Cosa mi rispondi<br />

eh! Una volta c’erano pochi uomini e oggi ce n’è molti di<br />

più. E allora, quali sono i più?<br />

– Sardine, tonno, calamari e anguille? Io te li comprerei,<br />

Aristòsseno, però l’odore a dire la verità è rivoltante.<br />

– Lo so ma puoi sempre rivenderle all’osteria di Trofiòne.<br />

Lì sono di bocca buona, i suoi clienti sono pastori che non<br />

conoscono l’odore del pesce fresco. Li mangeranno e penseranno<br />

che gli ateniesi sono matti e che il loro capretto è<br />

un’altra cosa.<br />

– La puzza è puzza, al mare e in montagna.<br />

204<br />

– Li correggi con l’aceto durante la cottura. Ho buonissimo<br />

aceto di Tito che i Fenici mi portano ogni anno.<br />

– D’accordo. Vediamo un po’ il prezzo.<br />

Ovunque sentivano parlare e parlare. Capirono subito<br />

che la parola, senza smettere mai, faceva muovere la città.<br />

Tutti parlavano con tutti, senza freno e senza arrestarsi<br />

davanti a nessun argomento, tregua non ce n’era. E le parole<br />

entravano dappertutto. Sarebbe sembrato che non<br />

parlassero da secoli e che dovessero rifarsi del silenzio degli<br />

albori, quando i loro antenati dicevano poche parole<br />

pesate. Il centro di questa frenesia che non si attenuava<br />

mai era la grande agorà, dove il chiasso diventava massimo<br />

e produceva una rete che raccoglieva tutto, immondezza<br />

e perle, perle e immondezza. Per le orecchie di Nicteo<br />

e Peante, abituati al silenzio e al canto delle cicale in<br />

campagna, quella era una rivoluzione, una vita capovolta.<br />

All’uscita dei bagni, puliti e freschi, anche nel cuore, si<br />

sentivano già cittadini di questa città delle meraviglie; soprattutto<br />

Nicteo il cui talento per le parole sembrava<br />

avesse trovato il luogo ideale dove esprimersi.<br />

– È la parola che cambia il mondo Peante. Qui le parole<br />

producono anche denari.<br />

– Sarà. Ma chissà quante bisogna buttarne via per conservare<br />

le migliori.<br />

Nicteo non ascoltava:<br />

– Le parole, le parole, – ripeteva.<br />

* * *<br />

Le parole. Ci pensarono tutta la notte. Quante parole da<br />

205


mettere in ordine. Trovarci un filo, magari un filo spinoso,<br />

oppure nero, oppure velenoso, un filo. In fondo in questa<br />

città avevano messo ordine anche alla materia più resistente<br />

e testarda: la pietra. Qua i sassi bianchi e il marmo esprimevano<br />

il divino. E anche gli uomini non erano storti e fatti<br />

con poco come al paese. I corpi, da queste parti, richiamavano<br />

la natura all’ordine e all’equilibrio. Ma le parole?<br />

Si addormentarono parlando:<br />

– Nicteo, qui è tutto messo come si deve, almeno nella<br />

città alta… Mi guardo intorno e respiro meglio, il cuore<br />

mi batte più lento… Ma tutto questo dire e dire di continuo…<br />

– Qua si respira armonia, Peante… Sì, le parole sembrano<br />

troppe, e alla rinfusa… e sembra che ciascuno parli a<br />

caso… Ma secondo me anche alle parole qualcuno ci ha<br />

pensato e ha trovato una disposizione… un posto dove<br />

farle finire…<br />

Continuarono a discutere il giorno dopo.<br />

Nicteo e Peante, dopo lunghi scambi di idee e senza risparmio<br />

di parole, avevano concordato che tutto questo<br />

raccontare convergeva e si rifugiava in un unico luogo dove<br />

si depositava in un flusso simmetrico e organizzato dove<br />

aumentava di peso e di importanza.<br />

Il Teatro.<br />

Anche loro due avrebbero potuto vivere di parola, secondo<br />

Nicteo. E il Teatro era il punto geometrico perfetto<br />

dove ogni brusio, voce, dolore, grido, protesta si trasformava<br />

in suoni ascoltati, meditati e poi raccontati ancora.<br />

Però la prudenza suggeriva di far procedere la fase creativa<br />

vera e propria da un apprendistato che speravano non<br />

troppo doloroso.<br />

206<br />

Già, ma come entrarci in quel mondo?<br />

Dopo alcuni giorni trascorsi a conoscere la città evitando<br />

accuratamente guide, sfaccendati, accompagnatrici -<br />

si ricordavano i consigli di Polifonte, il guerriero spartano<br />

incontrato sulla strada per Delfi - stando lontani da compagnie<br />

troppo ciarliere, pensarono che il modo più diretto<br />

di avvicinarsi al teatro fosse quello di rivolgersi a chi ci<br />

lavorava.<br />

– Come facciamo? Andiamo lì e chiediamo se possiamo<br />

essere utili anche per il più umile dei compiti?<br />

– Sì. Mi sembra la strada più breve. Poi si vedrà. Mi raccomando,<br />

Peante, anche se si trattasse di svuotare gli orinali<br />

della compagnia. Dignità e buone maniere.<br />

– D’accordo.<br />

– Evita di accentuare quella tua pronuncia da montanaro.<br />

– D’accordo.<br />

– E non inchinarti troppo.<br />

– Ho capito, ho capito.<br />

Il teatro scelto sorgeva non lontano da quello di Dioniso,<br />

a sud della città, in un intestino di vicoli senza sole,<br />

botteghe, fabbri, falegnami e tintori che dal teatro vivevano.<br />

Una bella mattina di sole sorridente entrarono e si stupirono<br />

per la grandezza della cavea bianchissima e per il<br />

proscenio pieno di comparse, attori, ballerine e operai.<br />

Nicteo si informò, chiese e indagò.<br />

Per consiglio di un coetaneo che spazzava il tavolato si<br />

rivolsero a un uomo intento a fare nodi con grosse corde<br />

207


seduto sul piedistallo di una statua di Apollo che ad Atene<br />

sembrava meno sorridente che a Delfi, ma più bello.<br />

– Buona giornata, signore. Ci hanno detto che voi comandate<br />

le macchine miracolose che muovono la scena.<br />

Possiamo parlarvi? Io sono Nicteo e questo è il mio amico<br />

Peante, veniamo dalla Megaride e nostra ambizione è<br />

quella di vivere accanto all’arte del teatro, anche faticando.<br />

L’uomo li guardò:<br />

– Sembrate due bravi giovani e vi presentate come si<br />

deve, questo lo devo dire. Ma come ci siete arrivati qui?<br />

Raccontarono la loro vicenda omettendo alcuni particolari<br />

che bruciavano ancora.<br />

– Bene, due adolescenti con l’anima in ebollizione! Ho<br />

un lavoro per voi che vi calmerà! Alle macchine, alle macchine<br />

meravigliose! Non hanno pari ad Atene!<br />

Il macchinista si chiamava Teofrane, era un uomo di<br />

cinquant’anni, rosso di capelli, robusto, irascibile, ma di<br />

sangue buono.<br />

La macchina che gli suscitava tanto entusiasmo consisteva<br />

in un sistema pesante e complicato che cambiava la<br />

scenografia facendo ruotare un grande solido che poteva<br />

mostrare tre facciate ed era mosso a mano da cavi e carrucole.<br />

Videro anche macchine con ganci, leve e funi che<br />

dovevano far volare cavalli, fare salire al cielo eroine e fare<br />

scendere in terra gli dèi che, con lo stesso trucco, poi se ne<br />

tornavano in cielo. Capirono subito che tutto quel cordame<br />

sarebbe stato il centro della loro vita. Si consolarono<br />

pensando che si trattava di un compito delicato come gli<br />

chiarì lo stesso Teofrane.<br />

– Ragazzi, nutritevi bene e dormite meglio. Se sbagliate<br />

qualcosa facendo girare il periacte, salta lo spettacolo, noi<br />

208<br />

in poche ore diventiamo lo zimbello di tutta Atene e voi finireste<br />

spellati vivi davanti a tutta la compagnia: spellati<br />

vivi, prima uno e poi l’altro.<br />

In venti giorni di apprendistato, mani sanguinanti e muscoli<br />

indolenziti, diventarono, sotto la guida del maestro,<br />

macchinisti discreti, e un giorno Teofrane gli disse:<br />

– Nicteo e Peante, oggi tocca a voi, farete da soli. Ma attenzione,<br />

giuro su Dioniso che se qualcosa andrà male vi<br />

spellerò vivi davanti a tutta la compagnia, prima uno e poi<br />

l’altro.<br />

I due giovani avevano approfittato delle brevi pause - il<br />

loro carattere curioso era diventato ancora più curioso -<br />

per fare conoscenze. Nicteo, generalmente, gettava le basi<br />

e Peante, secondo i casi, serviva da freno o collaborava.<br />

Riuscirono, un po’ col lavoro, un po’ per la naturale facilità<br />

con cui si avvicinavano al prossimo, a guadagnarsi una<br />

certa generale simpatia.<br />

Avevano individuato una scala sociale con in cima l’arconte<br />

eponimo, i benefattori del teatro e tutta una schiera<br />

di uomini influenti. Seguivano: l’Autore, poi colui che curava<br />

la messa in scena, che qualche volta erano la stessa<br />

persona. Dopo venivano gli attori e fra questi avevano notato<br />

gradi diversi di importanza. Più in fondo stavano il<br />

capo delle macchine, i coristi e, infine, le ballerine. Le ballerine<br />

per ultime. Ultime perché non corrispondevano all’idea<br />

che la gloria più grande per una donna consisteva<br />

proprio nel fatto che gli uomini non parlassero affatto di<br />

lei, né in bene, né in male. Ma Nicteo e Peante erano disposti,<br />

più di altri uomini, a transigere su questo ordine<br />

delle cose e, a qualsiasi categoria appartenessero le ballerine<br />

del teatro, avevano in abbondanza tutto quello che,<br />

209


secondo loro, serviva ad alleviare la fatica e i dolori causati<br />

dalle funi.<br />

– Ciao Etemea.<br />

– Ciao, Peante. Come sono stanca. Micletico sarà un<br />

bravo coreografo ma odia le donne dal momento che non<br />

riesce a esserlo lui stesso - è così peloso… - e ci distrugge<br />

con le prove. Ho i polpacci come due anfore!<br />

– Ti massaggio, vuoi?<br />

– Come sei premuroso! Accetto di sicuro, ma non qui.<br />

Oggi non c’è spettacolo: perché non venite a casa tu e il<br />

tuo amico Nicteo? Vi vediamo sempre così stanchi! Pensa<br />

che Nicteo ieri ha trovato il tempo per andare al mercato a<br />

comprare dei nastri e forcine per Giambe.<br />

– È andato al mercato? Non me l’ha detto.<br />

Da un po’ di tempo Nicteo e Peante giravano concentricamente<br />

intorno al gruppo delle quindici danzatrici che<br />

alleggerivano la tristezza accumulata dal pubblico durante<br />

le tragedie.<br />

Etemea, piccola e bruna, era una calamita per Peante.<br />

Nicteo aveva adocchiato una certa Giambe, più alta di lui<br />

e di modi svenevoli. Dopo poche settimane le due ragazze<br />

avevano superato del tutto le funi nella graduatoria di importanza<br />

che i due amici si erano dati. Ora, con l’invito a<br />

cena, erano arrivati al cerchio più ristretto.<br />

* * *<br />

Su Atene splendeva una luna mirabolante. Nicteo studiava<br />

sempre il cielo e prese la luna rotonda come un buon<br />

augurio.<br />

210<br />

– Benvenuti nella nostra casa.<br />

– Grazie. Giambe, sei bellissima! – e Nicteo continuò: –<br />

A vederti così, alla luce delle fiaccole, hai occhi che innamorerebbero<br />

un dio! Le tue pupille sono nere come l’ossidiana,<br />

le tue ciglia muovono l’aria, le tue…<br />

– Che esagerazione! – miagolò Giambe.<br />

– Abbiamo portato vino e fichi, – accorciò Peante, ma<br />

vedendo Etemea anche lui si indebolì. – Etemea, sembri<br />

una dea marina, una divinità delle acque, una…<br />

– Anche voi siete bellini!<br />

Giambe e Etemea presero Nicteo e Peante per mano e li<br />

condussero nel piccolo giardino dove la tavola era imbandita<br />

con cura.<br />

– Bene, siamo tra giovani che hanno lasciato presto le loro<br />

famiglie, qualcosa in comune ce l’abbiamo, – disse<br />

Giambe guardando la luna.<br />

– Perché avete lasciato le vostre case? – domandò Peante.<br />

– Noi veniamo da Efeso. È una bella città, ma quello che<br />

sentivamo dire di Atene era talmente affascinante che diventò<br />

un’ossessione venirci, una smania. Ma non avevamo<br />

cuore sufficiente per dirlo alle nostre famiglie e allora<br />

siamo scappate via. Abbiamo pianto giorni e giorni ma<br />

poi ci è passata e ora eccoci qui.<br />

– Sì, eccoci qui con voi, – pigolò Etemea.<br />

Nicteo e Peante raccontarono la loro storia omettendo i<br />

soliti particolari. Quello che però estasiò le giovani, già<br />

ben disposte, furono i concetti profondi e ben esposti che<br />

i due amici avevano confezionato sino dal pomeriggio per<br />

la sera.<br />

– Sapete cosa risponderei a chi ci accusasse di essere stati<br />

azzardati? Io credo che nella gioventù bisogna essere<br />

211


giovani, nella maturità esperti e saper sopportare il peso<br />

della vita, la moglie, la casa, i parenti. È beato colui che a<br />

vent’anni ha provato a essere un filosofo o un libertino,<br />

poi, a trenta, ha contratto un bel matrimonio, a cinquanta<br />

non ha debiti e ha un bel po’ di dracme da parte. Costui è,<br />

sotto tutti gli aspetti, un uomo eccellente.<br />

Anche Peante sbalordì per la saggezza dell’amico. Ancora<br />

di più le ragazze che furono felici di non essersi sbagliate<br />

sui due addetti alle funi.<br />

Peante, sospettando che le frasi dell’amico fossero non<br />

sue, non si vergognò di citare i maestri di Mègara:<br />

– Io non vorrei, quando sarò maturo, rattristarmi pensando<br />

che la gioventù mi è stata data invano e che i miei<br />

sogni più belli li ho lasciati marcire tradendo la natura e,<br />

quindi, gli dèi che la regolano. La gioventù è un tesoro da<br />

spendere, non si può conservare.<br />

Giambe e Etemea collocarono i due macchinisti in un<br />

empireo di intelligenza e saggezza. Che concetti rari. Pensarono<br />

che avrebbero figurato in palcoscenico sulla bocca<br />

di Pepareto, il primo attore.<br />

Fu per tutti e quattro una notte indimenticabile. Per<br />

Nicteo e Peante la più bella della loro vita. Il mattino successivo,<br />

uscendo dalla casa delle ballerine per andare a<br />

teatro, sentivano irradiare da sé un’inesprimibile aura<br />

quasi divina.<br />

* * *<br />

Teofrane era preoccupato come sempre quando c’era<br />

spettacolo.<br />

– Attenti, eh! Questa sera Pepareto deve mandare in vi-<br />

212<br />

sibilio il pubblico. Cheremone ha scritto per il nostro attore<br />

un monologo sulla tristezza che si impadronisce di alcuni<br />

uomini senza spiegazione. Guardate, il poeta è là che<br />

prova con Pepareto.<br />

– Teofrane, possiamo avvicinarci ad ascoltare? – chiese<br />

Nicteo. – Fateci lasciare per un poco questo cordame. Vedere<br />

l’opera d’arte che nasce non è cosa di tutti i giorni ed<br />

è più affascinante che vederla bell’e fatta.<br />

Teofrane acconsentì. Si avvicinarono a distanza di riguardo<br />

al proscenio, dove l’attore e l’autore accudivano al<br />

lavoro di produrre parole che dovevano toccare ogni sera<br />

il cuore di tanti uomini diversi.<br />

Come era bello Pepareto con la maschera e con la veste<br />

grigia del fuggiasco. Ma Cheremone il poeta non era soddisfatto:<br />

– All’osso, all’osso! Ti dico che i movimenti devono essere<br />

ridotti all’osso! E queste urla che straziano? No! Siamo<br />

ad Atene, non c’è bisogno di troppi gesti per farsi capire,<br />

la gente qui non è stupida! Su, continua… sei triste e<br />

non devi agitarti tanto… sei solo nella tua casa, solo. Chi è<br />

che si agita tanto da solo? Su, continua.<br />

Solo a vedere un essere animato<br />

m’assale il tedio e sono disperato!<br />

Quell’ansia di conoscer nuove genti,<br />

che anima rendea e cor frementi,<br />

premonizione è divenuta, oscura,<br />

d’angoscia, di terror e, ahi, di sventura!<br />

– Quell’ahi non è scritto.<br />

– L’ho detto solo per essere più visibile, solo per questo.<br />

213


– Sei già solo in scena, Pepareto, hai un monologo lunghissimo<br />

e nuovo di zecca, mai portato in scena e tu… tu<br />

vuoi essere più visibile? Più visibile? È ridicolo, su, continua,<br />

continua.<br />

Il volo degli uccelli al dolce Egitto<br />

m’empiva allor d’un sentimento ardito.<br />

Ora, inutil terrore d’animale<br />

prova a schivar la morte che m’assale.<br />

Finiscon forza, energia vigore…<br />

– Troppo forte e troppo calore! Dovresti essere triste e<br />

melanconico, svuotato, affranto e non ce la fai neppure ad<br />

alzare la voce… Così invece assordi le prime file! Devi farti<br />

sentire sussurrando. La natura ti ha infuso questo malessere<br />

nero come le penne di un corvo… Possibile che…<br />

Improvvisamente tutto si fermò.<br />

Un gruppo di uomini del ceto alto era entrato al seguito<br />

di uno solo che, evidentemente, gli stava al di sopra, parecchio<br />

al di sopra, a giudicare dalle schiene curve degli<br />

altri.<br />

– Conone! Che onore e che piacere, nobile Conone,<br />

vincitore di Cnido! – disse Cheremone.<br />

Pepareto si tolse la maschera.<br />

Autore e attore si diressero verso il gruppo scostando<br />

bruscamente Nicteo e Peante.<br />

– Disturbarsi per venirci a trovare e per di più a quest’ora<br />

della giornata, con le preoccupazioni che avete in Assemblea!<br />

– Non è più l’Assemblea di una volta, ricordàtelo, i tempi<br />

sono cambiati, cambiati definitivamente, – disse Cono-<br />

214<br />

ne con uno sguardo circolare e tutta la scorta fece un’espressione<br />

seria.<br />

– Beh, sì, certo, io volevo solo dire, – rispose Cheremone,<br />

– che con tutto quello che avrete da fare… un uomo<br />

che da vecchio vivrà a pubbliche spese nel pritanèo…<br />

– Sono venuto a vedere come va la tragedia, con tutto<br />

quello che ci spendo. E tu Pepareto, sempre arie da<br />

grand’uomo, eh! Ma hai ragione, sulla scena funziona e<br />

qualche volta funziona anche nella realtà, ma non con me.<br />

Badate che oggi ospito uomini importanti della Licia, fatemi<br />

fare una bella figura! A proposito, Cheremone, cosa<br />

hai deciso per la sorella di Ermes, alla fine muore?<br />

Cheremone rispose:<br />

– Come preferite, signore.<br />

Tutta la compagnia si guardò.<br />

Silenzio e poi:<br />

– Bene, direi che farebbe più colpo farla morire. – Conone<br />

rifletté per qualche minuto nel silenzio assoluto e<br />

poi disse: – Sì, ho deciso: falla morire.<br />

Nicteo e Peante avevano sentito tutto ed erano storditi<br />

da tanta forza. Conone come una raffica di vento disastroso<br />

era arrivato e andato via dopo aver scosso tutto il teatro.<br />

Cheremone si teneva la testa e la pancia:<br />

– Avete sentito? E io dovrei far morire la sorella di Ermes?<br />

E come faccio se è lei che chiude il finale con te, come<br />

faccio? Come faccio? Ecco, vedi? Io avrò il fuoco nello<br />

stomaco tutto il giorno, mi conosco, e anche nella testa!<br />

Come faccio?<br />

– È semplice, – rispose Pepareto, – falla morire e chiuderò<br />

da solo.<br />

– Lo so, lo so bene che a te non dispiace, – ringhiò Che-<br />

215


emone, – ma anche io ho una dignità! Chi crede di essere<br />

Conone? In fondo cosa ha fatto? Ha battuto gli spartani a<br />

Cnido comandando la flotta del Gran Re persiano! Che<br />

razza di eroe: ha vinto con la flotta di altri! Non cambierò<br />

un bel nulla, neanche una virgola, nulla! Ho le fiamme<br />

nella pancia! Mi scenderà la paralisi per la rabbia, è come<br />

se la sentissi volare qui vicino!<br />

– Bravo, tu rifiuta e salta la compagnia intera. Bada che<br />

non lo dico per me: io ho un nome, lo sai, e mi cercano<br />

ogni giorno da altri teatri. Ma gli altri? Alla fame per il tuo<br />

orgoglio?<br />

– E il mio lavoro?<br />

– Già, il tuo lavoro… ma non sarebbe peggio anche per<br />

il tuo lavoro se anziché saltarne una parte saltasse tutto intero?<br />

Non ne resterebbe traccia.<br />

Cheremone si sedette zitto, all’ombra, con la testa dolorante<br />

e sembrava che la volesse schiacciare. Pepareto si rimise<br />

la maschera e continuò per conto proprio.<br />

Nicteo sentì l’alito della follia sulla sua nuca giovane, diventò<br />

bianco, sudò, tremò e prese la decisione di giocarsi<br />

in un istante il lavoro alle funi, Giambe e tutto il resto. Si<br />

rivolse a Cheremone e Pepareto tenendosi fermo sulle<br />

gambe e dicendo in un solo fiato:<br />

– Ascoltate un giovane matto per un istante, vi prego!<br />

Se l’Arte deve fare, a quanto sembra, i conti con gli uomini,<br />

io proporrei come si fa in Assemblea e al mercato un<br />

compromesso che conserverà intatta l’Opera e ingannerà<br />

Conone. Ecco l’idea: finite l’Opera come volete, però poi<br />

appiccicateci sopra, come si appiccica un baffo finto, una<br />

piccola appendice: la morte della sorella di Ermes voluta<br />

da Conone. Appiccicata, ecco, ma solo, badate, dopo il fi-<br />

216<br />

nale vero con Pepareto. La fate morire e aggiungete pochi<br />

versi scialbi per Pepareto… Intatta la vostra Opera, contento<br />

Conone e dopo due o tre rappresentazioni l’aggiunta<br />

cadrà da sola. La memoria del pubblico è per le cose<br />

importanti. La tragedia, così com’è è bellissima. Il pubblico<br />

strapperà il baffo finto voluto da uno che di teatro non<br />

capisce nulla, – e come un bambino dispettoso aggiunse:<br />

– Ecco, ecco.<br />

Teofrane, livido, accorse con l’intenzione di frustare il<br />

ragazzo con una delle sue corde e cominciò a farlo, ma<br />

l’Autore lo fermò e disse:<br />

– Mi pare che tu sia quel nuovo addetto alle corde.<br />

– Scusatelo, Cheremone, in genere non fa così, deve essere<br />

ubriaco. Ma sei impazzito, Nicteo? Non c’è bisogno<br />

dei tuoi consigli qui. Torna immediatamente alle tue corde!<br />

Cheremone taceva ma Pepareto disse subito:<br />

– Non è un’idiozia questa del ragazzo! È l’innocenza<br />

che è arrivata in soccorso. Che ne dici Cheremone?<br />

L’Autore si massaggiava inutilmente la pancia, taceva e<br />

pensava. Poi disse:<br />

– Dico che, visto che Conone vuole il cambiamento, noi<br />

glielo daremo e dico che a questo ragazzo io darei l’alloro.<br />

Peante riprese il respiro. Aveva smesso nel momento in<br />

cui l’amico era intervenuto eroicamente. Nicteo ingigantì<br />

il concetto, già alto, che aveva di sé. Giambe lo guardò come<br />

un piccolo dio.<br />

La serata andò bene, il pubblico soffrì con Pepareto e si<br />

stupì molto vedendo che l’eroina inaspettatamente moriva,<br />

ma non ci pensò tornando a casa. Le ballerine furono<br />

più leggere del solito. Conone venne a complimentarsi<br />

217


con Cheremone dopo lo spettacolo e elogiò Pepareto il<br />

quale aveva recitato asciutto e semplice come si usava ad<br />

Atene.<br />

La notizia del suggerimento risolutivo di Nicteo si sparse<br />

sino alle stradine intorno al teatro. Tutto era meraviglioso<br />

per i due amici ma la felicità perfetta è sempre interrotta<br />

da qualche evento.<br />

Una dozzina di giorni dopo l’incontro con Giambe ed<br />

Etemea gli strumenti del piacere dei due giovani iniziarono<br />

a produrre una sostanza giallo-verde che li terrorizzò.<br />

Non pensarono alle due ragazze e, anzi, si guardarono bene<br />

dall’informarle del fenomeno.<br />

Il disturbo gli appariva come una punizione divina e si<br />

rivolsero in segreto a un sacerdote del vicino tempio di<br />

Afrodite e, involontariamente, scelsero bene perché il<br />

vecchio aveva conoscenze discrete su tutto quello che in<br />

qualche modo era connesso alla sua dea. Gli ordinò di bere<br />

una pozione fatta secondo una regola antica e che<br />

avrebbe guarito quello scolo. Raccomandò di far bere il<br />

decotto ben caldo anche alle ragazze ma non spiegò attraverso<br />

quali vie il morbo si era propagato.<br />

Contenti, Nicteo e Peante, la sera stessa portarono a cena<br />

da Giambe e Etemea la bevanda fumante e gliela fecero<br />

bere spiegando che si trattava di una pozione rinfrescante<br />

e purificatrice della loro terra.<br />

Guarirono e continuarono contenti l’amore con le due<br />

ballerine.<br />

Con il successo dell’Opera arrivò l’offerta, procurata<br />

dallo stesso Conone, di portare la tragedia nella ricca Siracusa<br />

e nella lontanissima Marsiglia.<br />

218<br />

Questo rattristò i due giovani che per qualche giorno<br />

persero quasi l’uso della parola perché pensavano di doversi<br />

separare dalle loro amanti. Etemea e Giambe partono…<br />

e loro due di nuovo soli. Che cosa potevano valere<br />

due ragazzi che tiravano corde? Chi se li sarebbe portati<br />

in viaggio? Ma Pepareto, uomo di sangue buono, vedendo<br />

i due addetti alle funi tristi e svogliati, ricordò a Cheremone<br />

i meriti di Nicteo e i ragazzi furono inclusi nel numero<br />

di chi partiva.<br />

Fu il periodo più emozionante della loro vita sino ad allora.<br />

La conoscenza arrivava attraverso l’esperienza, senza<br />

fatica e senza dolore che non fosse quello - a cui si erano<br />

abituati - delle funi. E pensavano che sarebbe stato sempre<br />

così.<br />

* * *<br />

Partirono dal Pireo distribuiti su due navi.<br />

Il mare e il vento furono amici.<br />

Arrivarono felicemente a Siracusa, uno dei due occhi<br />

della Trinacria. Dal mare videro la città bellissima, le mura<br />

smisurate e l’isola di Ortigia. Un’apparizione bianca,<br />

una nube, la città più grande del mondo. Il teatro era<br />

splendido e la Compagnia andò a vederlo subito, prima di<br />

occupare gli alloggi.<br />

La gente di qui era più silenziosa che ad Atene. C’erano<br />

più etère e più schiavi. Le donne erano belle ma era difficile<br />

parlarci. Ma cosa interessava a Nicteo e Peante, così<br />

felici con Giambe ed Etemea?<br />

Pepareto avevo portato con sé una cortigiana di Smirne,<br />

219


molto reputata ad Atene tanto che a teatro sedeva nelle<br />

prime file. Recitavano di tutto e Pepareto, intelligente e<br />

esperto, si adattava a tutto.<br />

A Siracusa bisognava gridare in scena, alla gente piaceva<br />

così, e lui li accontentava.<br />

– Secondo me Pepareto è grande. Ne conosci altri che<br />

fanno il tragico e il comico come lui? E quando improvvisa?<br />

– diceva Peante.<br />

– A me piace quando recita secco. E poi, a dire la verità,<br />

il genere comico non mi tocca, non mi esalta.<br />

– Sì, lo so che a te piace stordirti con re, regine e semidei,<br />

però è così irreale! Ne vedi di gente così al mercato o per<br />

strada?<br />

– Ma sono figure eterne! Possibile che non lo capisca!<br />

Io voglio commuovermi a teatro!<br />

– E i poveracci non sono eterni anche loro? In più assomigliano<br />

alla verità e poi ritorno a casa contento e non oppresso<br />

come dopo che ho visto le storie che piacciono a te.<br />

– Giambe e Etemea dove sono?<br />

– Oggi sono invitate al palazzo con tutto il balletto. Torneranno<br />

tardi.<br />

Passarono dei giorni e i due amici videro ricomparire<br />

quell’umore giallo-verde che di nuovo li gettò nello<br />

sconforto e nella paura.<br />

Questa volta andarono da un medico vero che dopo<br />

averli spremuti sino alle lacrime disse:<br />

– Si chiama scolo. Nelle sentenze Cnidie troviamo ogni<br />

spiegazione di questa malattia. È un’entità emanata dalle<br />

etère che hanno rapporti carnali con molti uomini. Nelle<br />

etère lo scolo non appare, è subdolo. Ci si trasmette così<br />

220<br />

questo spurgo dai genitali che accumulano bile e flegma i<br />

quali provengono da un riscaldamento degli ipocondri legati<br />

alle Pleiadi che con i primi freddi tramonteranno raffreddando<br />

anche il vostro addome. Siete fortunati a essere<br />

incappati in me: ho una grande esperienza e ho visto e<br />

curato centinaia di casi come il vostro.<br />

Nicteo e Peante ringraziarono il cielo per aver trovato<br />

un uomo così sgombro da dubbi:<br />

– Prendete questa prescrizione, ne ricaverete una pozione<br />

eccellente da bere due volte al giorno per cinque<br />

giorni. Ci vuole l’acqua della fonte Arethusa, è essenziale.<br />

E che l’orzo non sia in chicchi, sennò, entro sette giorni,<br />

morirete dopo avere subito lo sfacelo del cervello e con i<br />

membri mostruosamente gonfi.<br />

Impressa nella memoria la raccomandazione di non<br />

usare l’orzo in chicchi, iniziarono a disperarsi per il tradimento<br />

delle due ragazze. E dire che avevano desiderato<br />

che il mondo fosse popolato solo da loro quattro.<br />

Decisero di non dire nulla a Giambe ed Etemea e si limitarono<br />

a somministrare la pozione anche a loro. Una sera<br />

le seguirono dopo lo spettacolo. Videro con i loro occhi<br />

che le ballerine erano uno strumento infallibile con i siracusani<br />

ricchi i quali offrivano oro alla compagnia. Era il<br />

bene del gruppo.<br />

Era il bene ma fu un colpo.<br />

Però Nicteo e Peante non avevano fatto le loro esperienze<br />

invano e erano diventati meno fragili:<br />

– Vedi, Peante, credevo che avrei sofferto molto di più.<br />

In fondo, la cosa più importante è che noi due siamo ancora<br />

amici. Sono donne di teatro, ce lo dovevamo aspettare.<br />

221


– Dopo tutto neanch’io sono molto triste. Volevamo il<br />

teatro? Ce l’abbiamo. Volevamo vivere vicino all’Arte? Ci<br />

siamo avvicinati troppo e ci siamo presi questo scolo che a<br />

me sembra una punizione degli dèi.<br />

– Una punizione? E perché? Noi siamo onesti e buoni.<br />

E poi abbiamo la pozione. Peante, noi dobbiamo continuare<br />

a apprendere tutto quello che…<br />

Peante era malinconico:<br />

– Nicteo, non so più quanto lo desidero, non lo so più.<br />

Ti devo fare una confessione a proposito del teatro. Tutti<br />

questi morti, questi figli che muoiono, donne murate vive,<br />

padri che maledicono i figli, cominciano a farmi male,<br />

proprio un male che sento qua nel petto.<br />

– Peante, sai cosa penso continuamente? Penso che un<br />

giorno si reciteranno le nostre tragedie…<br />

– Le mie non saranno tragedie.<br />

– Saremo conosciuti, stimati, purificati dall’Arte. Però,<br />

ricordiamocelo sempre, è necessaria una dura, durissima<br />

ascesa dal basso.<br />

– Ma a me sembra che non ascendiamo mai.<br />

– Intanto giriamo il mondo, cerchiamo di capire, conosciamo…<br />

e poi, vedrai, toccherà a noi.<br />

Si abbracciarono, si commossero, Peante ricordò il suo<br />

gregge e tutt’e due ricordarono che in fondo c’era la pozione.<br />

Incassavano il colpo.<br />

Così continuarono gli incontri con le due ragazze e,<br />

quando compariva l’inconfondibile umore giallo-verde<br />

del morbo, con il decotto guarivano.<br />

La natura, l’amicizia e l’età li facevano sentire invulnerabili<br />

e, dopo ogni inciampo, si riprendevano con una velocità<br />

da uomini fatti.<br />

222<br />

All’inizio di Sciroforione lasciarono Siracusa e diressero<br />

la prua verso Marsiglia.<br />

Nicteo e Peante sentivano che il viaggio, lo spostamento<br />

per mare, l’allontanamento dalla casa dove erano nati dava<br />

loro nuove energie, tanto più forti quanto più lontani si<br />

trovavano dalla loro terra.<br />

* * *<br />

Marsiglia, bianca come Mègara, come Atene e come Siracusa,<br />

apparve in una mattina lucente per un bel vento<br />

secco che ripuliva il cielo e che i marinai, con un sorriso,<br />

riconobbero subito.<br />

Il colore del mare era sempre lo stesso e questo li fece<br />

sentire meno lontani da casa. Anche lì, così lontano, si<br />

parlava la loro lingua.<br />

Il vento portava i profumi della terra verso il mare e provocava<br />

un’eccitazione profonda nei due giovani sensibili.<br />

Pepareto ripassava a prua la parte funesta di un parricida.<br />

Anche lui si mise a guardare la città che diventava più<br />

vicina. Anche qui il teatro si vedeva dal mare e sembrava<br />

levitare sulla pietra candida.<br />

– Scusa, Pepareto, possiamo parlarti?<br />

– Certo, Nicteo.<br />

– Io e Peante ti vorremmo chiedere se hai mai pensato a<br />

qualche altro lavoro per noi. Siamo stanchi di produrre<br />

tuoni finti, far girare le scene e tenere divinità appese in<br />

aria, anche se lo facciamo col massimo piacere che se ne<br />

può ricavare.<br />

– Siete due ragazzi. È già tanto quello che fate, una grande<br />

responsabilità… sapete che sghignazzi se sbagliate…<br />

un dio sulla testa del coro…<br />

223


– Tu hai iniziato a recitare a sedici anni.<br />

– Ma non parlavo, dovevo stare solo fermo e muto.<br />

– Io e Nicteo conosciamo a memoria tutti i testi che tu<br />

reciti, quelli dei grandi e anche quelli dei meno grandi.<br />

Vuoi un esempio? – disse Peante.<br />

– Davvero conoscete i testi a memoria? Va bene, proviamo,<br />

ma badate che è solo un gioco eh! Dunque, vediamo,<br />

il monologo sull’amore della tragedia di Teodecte può andar<br />

bene.<br />

Recitarono un pezzo a testa del monologo, alla moderna,<br />

come si usava a Atene.<br />

Pepareto fu gentile:<br />

– Bravi, ma non basta. Dovete ancora aspettare, col pubblico<br />

è un’altra cosa. Dovete farvi sentire da lontano e<br />

avete ancora la voce con qualche eco di rana. Comunque<br />

parlerò con Cheremone di questa vocazione che, ragazzi,<br />

vi fa proprio onore.<br />

Marsiglia era bella e il clima mite. Quasi ogni sera, al caldo<br />

del giorno si sostituiva lo stesso vento aromatico e fresco<br />

che li aveva accolti all’arrivo. Inoltre non avevano mai<br />

visto una tale abbondanza di ragazze bionde. Ne vedevano<br />

ovunque: per strada, in piazza, a teatro, e tutte con<br />

qualcosa nella pronuncia delle parole greche che provocava<br />

un prurito al cuore di Nicteo e Peante.<br />

Lì era uso che lo spettacolo iniziasse la sera e non la mattina<br />

o il pomeriggio come ad Atene. La gente viveva dolcemente,<br />

il cibo e il vino erano straordinari, la campagna<br />

profumata e ricca d’acqua. Solo il vento, ogni tanto, esagerava.<br />

224<br />

Un giorno si presentò a teatro con un gran seguito un<br />

certo Publio Attinio, un etrusco originario di Veia e con<br />

grandi interessi in Corsica, dove, si diceva, era divenuto<br />

potente e temuto con la pirateria. Domandò di parlare<br />

con Cheremone il quale quel giorno soffriva terribilmente<br />

per il suo stomaco che bruciava come una fiaccola.<br />

Nicteo e Peante, per la loro naturale propensione a trovarsi<br />

coinvolti negli avvenimenti, assistettero al colloquio<br />

per caso.<br />

Publio Attinio parlava come un attore da strapazzo e<br />

gesticolava senza tregua:<br />

– Nacqui nella florida Etruria e mi fu vaticinato un futuro<br />

di Poesia. Invece il destino mi ha imposto finora fatica,<br />

dolori, tempeste in mare e ansie. Quando un giorno il mio<br />

corpo verrà riportato alla mia terra io, Publio Attinio, voglio,<br />

– e disse voglio con un lampo nello sguardo, – voglio<br />

che le mie tragedie siano offerte al pubblico e agli dèi. Chi<br />

meglio della vostra compagnia può farlo? Voi che recitate<br />

sotto tutti i cieli, recitate me per i marsigliesi!<br />

– Ma signore, – disse Cheremone, – non potreste limitarvi<br />

a offrirle agli dèi?<br />

L’etrusco non apprezzò:<br />

– Badate, non accetto rifiuti. La mia poesia è il mio sangue.<br />

Inoltre tutto questo oro sarà vostro se voi reciterete<br />

solo una delle nove tragedie che ho scritto.<br />

La cassa dell’oro era voluminosa e la scorta di Publio<br />

Attinio composta da facce patibolari. Cheremone, di cervello<br />

pronto, considerò l’affare vantaggioso e inoltre si<br />

immaginò di ritrovare il pirata sulla rotta del ritorno. Così<br />

rispose conciliante:<br />

– Leggerò i tuoi versi, Publio. Chissà cosa ha prodotto<br />

225


un uomo d’azione come te. Anche Eschilo era un guerriero<br />

e combatté a Maratona e a Salamina.<br />

Lesse la sera stessa la tragedia che iniziava con lo sterminio<br />

di una famiglia intera, continuava con matricidi e fratricidi,<br />

l’assassinio di un cugino primo e arrivava dopo<br />

stupri e incesti a un generale macello. Cheremone bevve<br />

molto latte di capra per il suo stomaco ma non evitò il mal<br />

di testa.<br />

Comunque, riunì la compagnia al completo perché si<br />

era fatto una convinzione.<br />

– Una compagnia come la nostra che ha un secolo di tradizione,<br />

dico un secolo, che ha recitato nei teatri più celebri,<br />

non può mettere in scena questa immonda concatenazione<br />

di scannamenti scritta con stile da ubriaco. Io mi<br />

rifiuto.<br />

Il rappresentante del coro fu più breve di Pepareto:<br />

– Mi ricorda la zuppa di pesce che fanno da queste parti:<br />

puzza e invoglia a cibarsi d’altro.<br />

Tutti si mostrarono d’accordo. Per ultimo parlò Cheremone:<br />

– Il mio stomaco sa quanto mi costa e credo che finirà<br />

col bruciare anche le altre viscere, però ritengo che dovremmo<br />

tutti riflettere, amici: anche l’Arte ha bisogno del<br />

pane, anche l’Arte e gli artisti!<br />

– Ma il pane ce l’abbiamo già!<br />

– Torneremo a Atene ricchi! Conoscete l’offerta. Nessuno<br />

verrebbe a sapere che abbiamo recitato questa cosa<br />

orrenda e informe… Badate che sono d’accordo con voi<br />

sul giudizio… ma Atene è lontana…<br />

Pepareto replicò:<br />

226<br />

– Non tanto lontana visto che noi siamo qui. Il mare è<br />

diventato piccolo. Che figura ci faremo? Un po’ d’oro oggi<br />

e la cattiva reputazione sempre.<br />

Cheremone ingoiò altro latte, si massaggiò lo stomaco e<br />

disse a voce alta:<br />

– Insomma, vuoi proprio saperlo, Pepareto? Ho riletto<br />

il dramma. È scritto, è vero, da un dilettante, ma c’è del<br />

sugo e non è poi così brutto. Un ritocco qua e un ritocco là<br />

lo renderanno degno del pubblico. In fondo qui la gente è<br />

di bocca facile.<br />

Ci fu un mormorio scandalizzato… A questo arrivava<br />

Cheremone! C’è del sugo… Un ritocco qua e là… Macché<br />

ritocco, bisognava bruciare il dramma e l’autore in un<br />

rogo unico, così non ne avrebbe scritto altri di sicuro…<br />

Che vergogna per un po’ d’oro!<br />

Era un ammutinamento e allora usò forza e autorità:<br />

– Basta, qui decido io! Tra venti giorni, non uno di più,<br />

non uno di meno, la tragedia sarà rappresentata! Pepareto,<br />

ecco la tua parte, studiatela!<br />

E così fu.<br />

Il pubblico accorse alle prime recite perché incuriosito<br />

e perché spinto dagli uomini di Publio Attinio con minacce<br />

o con denaro.<br />

Ma dopo le prime tre rappresentazioni le gradinate erano<br />

deserte.<br />

Pepareto si lamentava:<br />

– Mai, mai durante la mia carriera sono stato così offeso!<br />

Ecco il risultato della tua ostinazione a portare in scena<br />

questa brodaglia rivoltante! Figuriamoci, un ritocco<br />

qua e un ritocco là… sono umiliato.<br />

227


– Su, Pepareto, tra qualche giorno ripartiamo per Atene<br />

e Publio Attinio è stato più che generoso. Avremo oltre<br />

l’oro persino una nave tutta nostra.<br />

– Cosa me ne faccio di una nave? La uso per cercare un<br />

paese dove nascondermi per la vergogna? Basta Cheremone,<br />

partiamo subito, ho nostalgia di Atene.<br />

Per Nicteo e Peante fu una delusione. Prima l’amore e<br />

la delusione per la malattia delle due etère in erba, poi<br />

l’Arte avvelenata dalla ricchezza e dal potere… E come la<br />

realtà sporcava le cose appena le sfiorava…<br />

Su questi argomenti ragionavano una mattina appoggiati<br />

al parapetto della nave. Peante chiedeva:<br />

– Ma tu credi che resterà qualcosa di buono di tutto<br />

questo contagio… di questi teatri in tutto il mondo?<br />

– Non lo so, però mi immagino che chi leggerà le nostre<br />

tragedie in futuro, se sopravvivranno alle guerre, alle fiamme<br />

e all’incuria, si immaginerà gli artisti in un modo che<br />

non sarà reale. Gli artisti impastano storie e la gente se le<br />

beve come noi beviamo la nostra pozione. Oppure è solo il<br />

desiderio di lasciare un ricordo, come piace a Pepareto.<br />

– E a te.<br />

– Lo so cosa pensi, Peante. Io credo che non ci sia nulla<br />

di male a desiderare di essere ricordati. Noi siamo due<br />

giovani, forse senza nessun talento…<br />

– E sbagliare è diventato il nostro pane… E cosa ci è rimasto?<br />

Questo scolo immondo!<br />

– Almeno noi chiediamo, guardiamo, sperimentiamo,<br />

insomma, proviamo!<br />

Anche nei momenti difficili si sforzavano di riflettere e<br />

si rafforzavano ogni giorno.<br />

228<br />

* * *<br />

Rividero il Pireo in una giornata grigia che immiseriva<br />

il paesaggio.<br />

Ad eccezione dell’Acropoli, tutto sembrava quella mattina<br />

una grande, fangosa periferia melanconica.<br />

Tornarono al loro lavoro ma le funi gli sembravano cattive<br />

come il cappio del boia.<br />

Ormai temevano le loro amanti. L’affetto era scomparso,<br />

ma la carne, che nei due era una tiranna, faceva degli<br />

scherzi e l’uso del decotto continuò.<br />

– Dunque non era amore? – chiedeva un giorno Peante.<br />

– Credo che abbiamo scambiato per amore il riscaldamento<br />

causato da una bella pelle. E poi, se fosse stato<br />

amore, sarebbe durato di più, non credi?<br />

Peante era stanco:<br />

– Ma perché, Nicteo, più esperienze facciamo e più ne<br />

otteniamo confusione?<br />

Anche l’amico era indebolito e non trovava chiarezza<br />

nelle cose:<br />

– Non lo so, forse è solo questione di tempo e tutto ci si<br />

sarà chiaro, magari di colpo, più avanti.<br />

– Ho paura che per noi due la conoscenza arriverà<br />

troppo tardi.<br />

– Ho paura anch’io.<br />

* * *<br />

Seppero subito del malore di Cheremone mentre dalla<br />

cavea verificava l’effetto della voce di Pepareto. La sua<br />

morte fu improvvisa in una giornata di sole e questo gliela<br />

229


ese meno dolorosa perché Cheremone aveva detto che<br />

sarebbe voluto morire alla luce del teatro e sotto il cielo<br />

rotondo del teatro.<br />

I ragazzi furono scossi e spaventati. Peante non se la<br />

sentì di andare a vederlo. Di ritorno dalla veglia funebre<br />

Nicteo disse:<br />

– Dicono che non si muore mai del male che ci si aspetta.<br />

Uno vive temendo la peste e invece muore per il morso<br />

di una vipera, un altro ha paura della consunzione e muore<br />

affogato. Lui aveva paura della paralisi e proprio la paralisi<br />

gli è arrivata. Pensa!<br />

– Penso, penso, eccome se ci penso! È tutta la notte che<br />

penso.<br />

– È morto dopo qualche ora di agonia. Non riusciva a<br />

parlare, poverino…<br />

– Non riusciva a muoversi e a parlare? Che cosa orrenda!<br />

Capiva?<br />

– Beh, ci guardava con la faccia di uno che capiva…<br />

– È vissuto preoccupato di tutto. Conone era il suo incubo.<br />

Meno male che qualche gioia l’ha provata e che qui<br />

gli volevano tutti bene. Le sue opere le sentiranno nostri<br />

figli…<br />

– Nostri figli? – domandò Peante: – E dove le troviamo<br />

noi le donne da cui avere figli? Dove?<br />

Uscirono per una passeggiata a dorso d’asino fuori Atene<br />

che quel giorno li rattristava troppo e imboccarono la<br />

via sacra dalla quale erano entrati in città. Si accorsero che<br />

ai lati la strada era tutta punteggiata di cippi funerari. Così<br />

si fermarono a leggere le iscrizioni. Alcune mostravano<br />

attenzione alle cose che regolano la vita ma altre toccarono<br />

in un punto delicato le viscere di Nicteo e Peante. In<br />

230<br />

effetti non si erano ancora chiesti dove finivano i morti<br />

della città, anzi, ai morti non avevano mai pensato.<br />

– Guarda qui, Nicteo, leggi.<br />

FUI LA PRIMA MOGLIE DI EURICLOO<br />

E FINCHÉ VISSI PIACQUI A MIO MARITO.<br />

FU LUI, MENTRE MORIVO, L’ULTIMO CHE VIDI<br />

E SENTII LE SUE MANI CHIUDERMI GLI OCCHI.<br />

– Forse quello era amore.<br />

– Vieni qui, Peante, leggi.<br />

MORIRE NON È STATO DOLOROSO.<br />

VIVERE, INVECE, LO È STATO.<br />

SI VIVE SAPENDO CHE LA VITA È BREVE E LA MORTE ETERNA.<br />

Restarono a leggere lapidi sino a che la luce glielo permise.<br />

– Questa mi mette freddo addosso…<br />

QUI È DEPOSTO MELAMPO, POVERO PICCOLO DI DUE ANNI:<br />

“ALLA MADRE MIA EMPIA E SCELLERATA GLI DEI INFERI FAC-<br />

CIANO SCONTARE IL FIO PER AVERMI…”<br />

– Questo qua sotto fa lo spiritoso… è morto all’età di<br />

Cheremone, guarda le date…<br />

QUI RIPOSANO IN PACE LE MIE OSSA:<br />

SONO TUTTO CIÒ CHE RESTA.<br />

NON MI ANGUSTIA PIÙ IL PENSIERO DI TROVARMI ALLA FAME,<br />

SONO IMMUNE DALLA PODAGRA<br />

231


NÉ MI ACCADRÀ D’ESSERE GARANTE DI UN PAGAMENTO.<br />

USUFRUISCO PER SEMPRE DI UN ALLOGGIO GRATUITO.<br />

– Leggi qui, anche questo era amore? Lei è morta ragazza<br />

e i sentimenti, magari, non si sono consumati.<br />

CHE SIA MORTA UNA DONNA COSÌ SOAVE<br />

CREDO SIA AVVENUTO<br />

PERCHÉ PARVE PIÙ ADATTA ALLA COMPAGNIA DEGLI DEI.<br />

È CIÒ CHE VEDI E NON PUÒ ESSERE ALTRIMENTI.<br />

Sulla via del ritorno il silenzio sembrò il rimedio migliore.<br />

Cosa ci facevano loro lì?<br />

La voglia di rivedere la casa dove erano nati diventò superiore<br />

a ogni altra e il rimpianto li fece sospirare a lungo.<br />

– Cosa vorresti inciso sulla tua lapide, Peante?<br />

– Non lo so. So solamente che la vorrei vicino al mio ovile.<br />

Là c’è tutto: una bella fonte, l’ombra d’estate e un riparo<br />

contro la pioggia. Te lo immagini se morissimo qui? Altro<br />

che lapide… Partiamo, Nicteo, andiamocene.<br />

– Io vorrei inciso: “Ha discusso tutto”.<br />

– Cambierai idea altre cento volte su quello da incidere<br />

sul tuo sepolcro. Guarda come ci ha cambiato riflettere<br />

solo un poco sul mondo, guarda… Partiamo, Nicteo.<br />

Nicteo fissò a lungo l’amico, ripensò a tutto quello che<br />

era accaduto da quando avevano lasciato la casa paterna e<br />

disse:<br />

– Sì, torniamo, Peante, torniamo.<br />

Salutarono solo Pepareto che mostrò di capire. Anche<br />

232<br />

lui era nato lontano, in Tessaglia, e la nostalgia lo prendeva<br />

spesso ma la combatteva, disse, con la compagnia delle<br />

donne. Fuori delle scene detestava recitare e li salutò con<br />

semplicità. Non diedero l’addio a Giambe e Etemea per<br />

paura di una ricaduta e di altre pozioni fumanti perché la<br />

carne, lo avevano imparato, era troppo forte per loro.<br />

* * *<br />

In quattro giorni, maturati e anche più belli, giunsero al<br />

villaggio con i loro asini più belli di colpo, come i padroni,<br />

all’odore dell’erba di casa. Quale fu l’accoglienza dei genitori<br />

si può immaginare. Subito i vecchi dimenticarono<br />

l’offesa di essere stati abbandonati e anche il precettore<br />

Mitrone li accolse felice. Il monte Citerone riprese a rassicurarli.<br />

Impiegarono dieci serate intorno al tavolo di famiglia<br />

per raccontare le loro vicende omettendo particolari e<br />

tentando di non esagerare. Ma fu impossibile, come per<br />

due pescatori, magari onesti, che descrivono le prede.<br />

Peante trascorse molti giorni solo con le sue pecore alle<br />

quali raccontò proprio tutto.<br />

Piano piano ripresero la vita per la quale avevano sentito<br />

una nostalgia tanto forte da farli tornare.<br />

Ma molte cose, riflettevano, non andavano bene.<br />

Mitrone gli sembrava solo un vecchio provato dagli anni.<br />

Le adolescenti pelose del villaggio erano monotone e<br />

prive di ogni interesse che non fosse le labbra e tutto il resto,<br />

mai che avessero un volo di fantasia, uno slancio. E<br />

pensare che i genitori, spaventati dall’idea di un’altra fuga,<br />

premevano già per un’unione duratura e una moglie.<br />

233


Così, dopo poche stagioni, ripiombarono nello stesso<br />

tedio che era stata la molla forte della fuga. Presto l’ansia<br />

della conoscenza, o qualunque altra cosa fosse, li riafflisse<br />

più forte di prima; più forte perché avevano assaggiato ormai<br />

la vita fuori del villaggio.<br />

Sdraiati sull’erba, guardavano le pecore pacifiche e parlavano<br />

in un pomeriggio caldo all’ombra della capanna di<br />

Peante masticando fili d’erba del fiume.<br />

– Te lo immagini, Peante, vivere tra gli Iperborei, toccare<br />

le terre del nord dove finisce il mondo, guardare il cielo<br />

la notte, tracciare rette e volute e capire l’ordine del creato?<br />

Dicono che i loro maghi volino e spostandosi per l’aria<br />

sappiano contare l’esatto numero delle stelle…<br />

– Gli Iperborei? Cosa ti salta in testa? Gli Iperborei…<br />

– Ma ti immagini andare lontano dal demone Fobos che<br />

laggiù dove nasce Borea non è conosciuto… Dicono che<br />

gli Iperborei, che vivono all’aperto per il clima mite sino a<br />

duecento anni, muoiono felicemente quando decidono di<br />

aver vissuto abbastanza. Allora si mettono sulla testa una<br />

corona di fiori e si gettano tra le onde dove trapassano con<br />

gioia…<br />

– Dicano quello che vogliono, ma mi domando come si<br />

possa affogare felicemente. Non si affoga con piacere. E<br />

poi, come riescono a muoversi per aria? E come possono<br />

vivere duecento anni? O non sono uomini, ma semidei,<br />

oppure non è vero quello che si dice. Certo, sono semidei!<br />

È così: gli dèi sono eterni, i semidei vivono duecento anni<br />

e noi uomini molto meno e, per sovrapprezzo, tra stenti e<br />

dolori. Qualcuno, addirittura, nasce già morto: all’uomo<br />

è dato anche questo dolore. E chi vive, vive sempre ac-<br />

234<br />

compagnato da Fobos, il demone che tu vuoi sfuggire tra i<br />

tuoi Iperborei e che, invece, è ovunque, anche nel mio<br />

ovile.<br />

– Peante, forse hai ragione tu. Ma pensi che la vita tra le<br />

tue pecore ottuse sia quella che vuoi fare per il resto dei<br />

giorni assegnati? Se ci tieni tanto ti ci puoi far trasportare<br />

dopo morto sotto i tuoi cipressi, anche se morissi in Paflagonia.<br />

Crescere e invecchiare qui, caro amico mio, no e poi<br />

no! E se tu non vuoi seguirmi, io ti giuro che parto da solo!<br />

– Di nuovo questa mania? Non ti è bastato quello che è<br />

successo? Hai dimenticato Echecrate, le bugie della Pitia,<br />

quello scolo orribile e la morte di Cheremone? Io resto<br />

qui, voglio la pace, voglio assomigliare alle mie pecore!<br />

Dormire con loro e svegliarmi con loro…<br />

Peante non era sincero. Voleva solo che il suo amico fosse<br />

più ragionevole e coi piedi in terra, tanto più in terra<br />

quanto più lontana era la meta.<br />

Questa volta partirono tra i peana dei paesani e benedetti<br />

dai genitori commossi, su due cavalli e non a dorso<br />

d’asino, e con le borse piene.<br />

Il coro cantava:<br />

C’è ancora orizzonte<br />

innanzi la prora<br />

arrivi laggiù<br />

eppur ce n’è ancora.<br />

E sempre mutando<br />

paesi e città<br />

tu cerchi tra i vivi<br />

la tua verità.<br />

235


Speravano che questo calore quasi alcolico che li aveva<br />

invasi e che gli faceva prudere un’altra volta le palme delle<br />

mani non sarebbe mai cessato e pensavano, guardando<br />

i loro padri tremolanti, che è troppo breve il tempo concesso<br />

per conoscere.<br />

236<br />

VI<br />

Dove erano andati a finire i fiati, gli ultimi respiri, conservati<br />

nelle bottiglie di Gracchini? Si erano riuniti in<br />

qualche punto di Epipanormo o di Talattone? Erano tornati<br />

nelle case dove erano vissuti? Erano nascosti, spaventati<br />

dopo essere rimasti per tanto tempo nella stanza di<br />

Gracchini e disabituati al mondo?<br />

Tutti quei respiri erano una cosa seria e Glicerio tanto ci<br />

aveva pensato che gli avevano bendato l’occhio in fiamme<br />

per la preoccupazione.<br />

“Con quest’occhio diventerò matto… ma se mi segnala<br />

qualcosa allora non è solo un male… Io sono in tempesta<br />

e non c’è più pastiglia che la calma… Insomma, insomma…<br />

Sediamoci a facciamo il punto. Ho bisogno di carta,<br />

non ce la faccio a tenere tutto nella testa…”<br />

In cartoleria comprò un quadernetto azzurro. Si sedette<br />

al tavolino di un bar, sotto un grande oleandro, ordinò<br />

una birra e un panino, spianò il quaderno, tolse il tappo<br />

alla penna e scrisse:<br />

«I respiri delle bottiglie di Gracchini sono vivi quanto<br />

l’essenza di Guglielmino Redenti. Secondo me sono lo<br />

stesso tipo di vita. Se io radunassi i respiri e li portassi al<br />

processo, forse potrebbero testimoniare che loro la forza<br />

di ammazzare ce l’hanno o non ce l’hanno. Tanto è questo<br />

237


il sugo del processo. Guglielmino ce l’aveva la forza di<br />

ammazzare? La dottoressa Paneangelico può pensare<br />

quello che vuole… lei fa discorsi di diritto, discorsi folli,<br />

sente le voci… e il processo a un fantasma sembra che<br />

piaccia a tutti… Figuriamoci l’avvocato Petinicchio… felice<br />

di paralizzare, rallentare, fermare, obiettare… Ma io<br />

devo trovare i respiri che il vecchio Gracchini aveva imprigionato…<br />

Quelle sono anime che il vento si è preso e<br />

magari non le ha neanche sparse in giro ma sono raggruppate<br />

dove le ha spinte il vento… Ma come le riconosco?<br />

Sono respiri e non avranno forma… Come faccio, come<br />

faccio?»<br />

* * *<br />

Una luce dorata e serena che non abbaglia e riposa. Dalle<br />

finestre aperte si sentiva l’aria fresca del tramonto di<br />

Epipanormo.<br />

L’avvocato Francesco Araceli aveva sopracciglia teatrali<br />

e le spostava in tutte le direzioni proprio come un attore.<br />

Ogni direzione aveva un significato e i suoi clienti - anche<br />

quelli più tardi - avevano imparato a comprendere come<br />

andavano le loro cose più dalle sopracciglia che dalle parole<br />

dell’avvocato il quale, tra il teatrale e il forense, usava<br />

anche la voce come uno strumento che doveva far capire<br />

solo dal suono quale era la direzione giuridica delle cose e<br />

dove era orientato l’ago magnetico della giustizia.<br />

Quella sera, però, sopracciglia e voce erano tutt’e due in<br />

uno stato di paralisi da alcuni secondi.<br />

Araceli si alzò e guardò da vicino il nuovo cliente:<br />

– Lei sarebbe? Lo ripeta.<br />

238<br />

– Io sono un ultimo fiato, il rappresentante di tutti gli<br />

ultimi fiati concentrati da Gracchini. Io, questo è il mio<br />

caso personale, sono morto con mia moglie che mi teneva<br />

la mano anche se non volevo, ma ero troppo debole per<br />

oppormi, avvocato. Non la volevo, non la volevo mia moglie.<br />

È lei che ha permesso a Gracchini di mettere il mio<br />

ultimo fiato in bottiglia e ora, anziché essere dove dovrei<br />

essere, sono qua mezzo vivo e mezzo morto.<br />

Araceli recuperò la voce e un sopracciglio che diventava<br />

alto e severo:<br />

– Mi dica ancora, e me lo dica meglio, cosa è venuto a<br />

chiedere.<br />

– Vogliamo essere difesi dall’accusa di avere ucciso noi<br />

il professor Alberico Gracchini.<br />

– Chi vi accusa?<br />

– Sinora nessuno… Però, ve l’ho detto, un certo commissario<br />

Glauco Glicerio ci cerca, ci sospetta di qualcosa<br />

che è connesso all’omicidio dell’odioso Gracchini anche<br />

se, pare, un odore di pesca trovato nella cella puzzolente<br />

sia il segnale di un omicida del quale poco si sa… Noi Ultimi<br />

Respiri non profumiamo di pesca…<br />

Francesco Araceli riprese la padronanza delle proprie<br />

sopracciglia, gli servivano e gli servivano ora, subito:<br />

– Insomma, – diede una manata sulla scrivania che emise<br />

un rimbombo legale, – chi siete? Se siete qualcuno…<br />

Il respiro rappresentante di tutti gli altri ultimi respiri<br />

aveva preso la forma più compatta possibile, però restava<br />

una certa trasparenza che aveva lasciato senza parole l’avvocato.<br />

Sembrava un uomo, questo sì, però senza molta<br />

materia, non molto denso ma ad Araceli che lo fissava<br />

sembrò presentabile, sì, presentabile alla Giustizia. Per-<br />

239


ciò gli altri respiri avevano mandato lui. Gli altri non dovevano<br />

essere così vicini a una sembianza da potersene<br />

andare in giro.<br />

Se questo respiro, al quale bisognava dare subito un nome,<br />

era lì, significava che voleva un consiglio giuridico oppure,<br />

addirittura, voleva essere assistito… Francesco Araceli<br />

aveva fatto la professione, era stato senatore per due<br />

volte, aveva difeso gente importante, vinto processi importanti…<br />

ma, chiuse gli occhi, e pensò a tutto quello che<br />

sarebbe potuto succedere se lui avesse preso la difesa di un<br />

ultimo respiro, anzi, di tutto un gruppo di ultimi respiri.<br />

Che il respiro potesse avere una personalità giuridica…<br />

beh, questo si sarebbe potuto vedere… era da vedere…<br />

Ma quello che non si sarebbe potuto stare a vedere, né<br />

sopportare, sarebbero state le risate, le conseguenze inevitabili<br />

del ridicolo, entrare nella storia del palazzo come<br />

un comico… non era un pagliaccio, lui… lo rispettavano,<br />

lo cercavano…<br />

Il Respiro che rappresentava tutti i respiri imprigionati<br />

da Gracchini capì l’imbarazzo dell’avvocato Araceli:<br />

– Avvocato, tra noi respiri, il destino ha voluto che non<br />

ci fossero avvocati. Gracchini ne aveva paura anche dopo<br />

morti… Io ero un professore di liceo, archeologo dilettante,<br />

archeologo.<br />

– Come si chiama lei?<br />

– Ero il Professor Oreste Foramini.<br />

Araceli aveva ripreso colorito ed era molto serio. Non<br />

capiva cosa aveva davanti ma era una cosa importante di<br />

sicuro:<br />

– Professore, se voi eravate e non siete, allora non c’è<br />

più nessuna speranza, – Araceli ragionava. – O partiamo<br />

240<br />

dal presupposto accettato da tutti che voi siete… io vi vedo<br />

e vi sento, e voi siete, siete… Se incominciamo da qui,<br />

dal vostro essere…<br />

Le sopracciglia di Araceli diventarono cupe e fecero<br />

ombra da quanto erano preoccupate.<br />

Il Respiro diventò più compatto ancora:<br />

– Lei vuole almeno ipotizzare una nostra difesa… ho<br />

capito bene? Nella sua testa sta imbastendo una difesa…<br />

Sono emozionato!<br />

– Lei sente emozioni?<br />

– E lei, lei avvocato non teme il ridicolo, bravo… Ci<br />

avevano parlato di una personalità forte e saggia…<br />

Le ciglia di Francesco Araceli si preoccuparono di nuovo:<br />

– Certo, certo… ma uno spiraglio, almeno uno spiraglio…<br />

Vedete, Professor Foramini…<br />

Gli mancavano parole. Quelle che usava di solito ora<br />

non bastavano. Un respiro, l’ultimo, era davanti a lui a dimostragli<br />

qualcosa di troppo grande… Sì, era la forza del<br />

sovrumano a indebolirlo.<br />

– Professor Foramini…<br />

– Ci difenderà, avvocato? Noi siamo liberi respiri e non<br />

vogliamo che la memoria di un assassinio ci resti addosso<br />

neppure come leggenda…<br />

– Chi mi paga?<br />

Oreste Foramini diventò ancora più chiaro e più aereo,<br />

un tonico, sembrava a Araceli, un sedativo:<br />

– Davanti a Epipanormo, in mare, in un punto che si<br />

può ricavare tracciando una retta che va da capo Icone a<br />

capo Sandalo stando sul bastione della Porta Grande,<br />

quando le basse maree sigiziali sono al massimo, in quel<br />

241


punto, sotto un mantello di alghe conservative, si trova<br />

una piccola dea naufragata e intatta, una dea di bronzo<br />

con gli occhi di lapislazzuli e il nome inciso sulla base. Il<br />

nome della dea o della ragazza, magari era semplicemente<br />

una ragazza… insomma il nome ha un suono che parte<br />

proprio dalle labbra, si chiama Ptea, provate e sentite come<br />

battono le labbra a pronunciarlo…<br />

Araceli provò:<br />

– Ptea, Ptea… – In effetti le labbra battevano in un modo<br />

dolce e poi la lingua sul palato.<br />

– Ecco, avvocato, Ptea era il segreto della mia vita. Perciò<br />

non avrei voluto mia moglie vicina al momento del mio<br />

trapasso. Lei non ne capiva nulla. Ora, il segreto lo metto a<br />

disposizione vostra e di tutti i respiri scappati dalle bottiglie<br />

di Gracchini e che al momento si nascondono…<br />

– Dove si sono rifugiati? – Araceli era di colpo pallido e<br />

stanco, davvero come se davanti si fosse trovato l’aldilà,<br />

una specie di sfinimento del corpo ma un lumicino nuovo<br />

in fondo in fondo.<br />

– Sono tutti sott’acqua, vicino a Ptea e la guardano tutti<br />

commossi…<br />

L’avvocato aveva il colore di uno graziato al quale hanno<br />

appena staccato il cappio dal collo:<br />

– Guardano una statua e sono commossi… Gli Ultimi<br />

Respiri…<br />

– E aspettano il mio ritorno… Loro sono sereni adesso…<br />

Chi vede Ptea capisce che non c’è cosa che l’occhio<br />

deve guardare con terrore perché tanto su tutto domina<br />

senza rivali l’Armonia… I vari Gracchini provano a distruggere…<br />

Ma tanto vince l’Armonia… La città è cresciuta<br />

davanti a Ptea sommersa… ed Epipanormo resta<br />

242<br />

Epipanormo… E le scorie giù a Talattone… tutto in equilibrio…<br />

e l’equilibrio è armonico, s’intende… Le due parole,<br />

armonia ed equilibrio…<br />

Araceli non era un uomo di fede, perciò soffrì a credere<br />

ma sentì, sentì proprio, un tepore rasserenante arrivare<br />

da Foramini.<br />

– Sentite, Professore, datemi le prove che questa statua<br />

dell’Armonia esiste, che questa Ptea sarà vista da tutti<br />

quelli di Epipanormo e da tutti quelli che verranno qua<br />

per trovare tranquillità davanti a Ptea… Io farò barricate<br />

contro il ridicolo, muri, bastioni e fossati… E noi, me e<br />

tutti i respiri, ce ne staremo insieme a questa Ptea che<br />

metterà ordine alle cose… ordine…<br />

Foramini spremette dalla sua figura trasparente una lacrima<br />

poco densa che evaporò subito.<br />

– Avvocato, me lo avevano detto che siete un uomo aperto<br />

e intelligente… Voi lo sapete da dove arriviamo… Non<br />

vogliamo che la grazia dei fondatori scompaia…<br />

* * *<br />

Enrico Ricasoli piangeva, però non di disperazione e<br />

Melania lo teneva tra le braccia dove lui vedeva un’oscurità<br />

confortante, non proprio buio ma una penombra che<br />

lo faceva sentire un malato convalescente, uno che se l’è<br />

scampata e adesso il pericolo lo vede allontanarsi come<br />

una stazione superata dal treno in velocità.<br />

– Cosa vuoi che sia un processo, Melania… Cosa vuoi<br />

che sia davanti a questo Guglielmino Redenti che ha preso<br />

forma, colore e calore davanti a noi? Abbiamo risolto…<br />

243


– Hai risolto…<br />

– Ho risolto la faccenda della paura. È fatta, è fatta…<br />

Tutta la vita che desideravo vedere un fantasma… Ecco,<br />

ecco…<br />

– Hai la febbre, Enrico – disse Melania togliendogli il<br />

termometro dall’ascella.<br />

– Che razza di febbre è? Di sicuro me la sono presa<br />

stando vicino alle finestre per evitare la polvere di Petinicchio.<br />

Hai visto quanta glien’è venuta fuori quando si è<br />

messo a gridare “Al processo, al processo!”? Sei sicura<br />

che sia l’avvocato giusto?<br />

244<br />

<strong>Ei</strong><br />

Era bella, le doghe lucide, la vela col bordo azzurro e<br />

un occhio disegnato al centro.<br />

– Venti metri? E la vendi in fretta e furia, Cleoptico? –<br />

domandava Nicteo guardando la nave tanto elegante da<br />

sembrare una nave da donne, da donne giovani, ragazze.<br />

– Sì, venti metri e la vendo con tutto quello che c’è sopra.<br />

Vi parlerò con franchezza, – si guardava intorno continuamente<br />

e sudava, – ad Atene dicono che sono un imbroglione,<br />

un ladro senza scrupoli. Qui al porto nessuno<br />

comprerebbe neppure un chiodo da me. Nel mio demo<br />

hanno smesso di salutarmi. Mia moglie se n’è tornata nel<br />

suo paese in Beozia. Non ho figli. Ero ricco e ora mi restano<br />

quattro schiavi e un patrimonio che è questa nave. È il<br />

destino dei ladri.<br />

Peante guardava Cleoptico - ladro per sua confessione -<br />

lentamente in ogni particolare e guardava la tunica che si<br />

macchiava di sudore. Cleoptico aveva un occhio più grande<br />

dell’altro, rosso fiamma e sembrava che volesse uscire<br />

dalla testa, forse per guardare lontano se qualcuno lo inseguiva.<br />

– È già qualcosa che un ladro dica di esserlo. È un bel<br />

passo avanti per te… Vivrai meglio… Ma a noi serve una<br />

nave che non affondi. Non basta che galleggi vezzosa nel<br />

245


porto. Siamo già andati per mare, Cleoptico, e sappiamo<br />

che non basta sacrificare capretti ai venti per approdare<br />

sani e salvi.<br />

Cleoptico era un uomo ben fatto. Lo tradiva però l’occhio<br />

gigantesco che subito metteva in allarme chi aveva a<br />

che fare con lui:<br />

– Parto con voi a garanzia della merce. Mi butterete in<br />

mare se la nave non va bene. Ma è un portento anche con<br />

Borea scatenato.<br />

Nicteo rise:<br />

– Se la nave non va bene ti butteremo in mare, va bene,<br />

però in mare ci finiremo anche noi subito dopo, caro<br />

Cleoptico. Non sei una bella garanzia.<br />

– Ma io devo lasciare Atene e questo paese, devo, capite?<br />

Dalla faccia dell’ateniese scomparve ogni traccia di disonestà.<br />

Scomparvero trame, imbrogli e furti. Apparve il<br />

verde della paura e il sudore aumentò tanto che sembrava<br />

un uomo appena ripescato dall’acqua. L’occhio iniziò a<br />

pulsare per scappare prima del padrone:<br />

– Tutta la verità, ve la dirò tutta. Ho venduto la casa e le<br />

terre, ma gli schiavi sono qui con me. Io devo lasciare Atene<br />

perché il tribunale mi aspetta domani e io oggi devo<br />

scappare sennò finisco lapidato… Lapidato, legato a terra,<br />

il mio sangue impastato alla polvere, aspettando la pietra<br />

più grossa che mi sfonda la testa, lanciata da uno che<br />

neppure sa chi sono…<br />

Quante volte aveva visto i condannati subire la pena e<br />

ora se la rivedeva davanti agli occhi che gli si riempivano<br />

di lacrime:<br />

– Adesso mi capite? Ascoltate, non so dove siete diretti,<br />

246<br />

non so chi siete e non so cosa vi passa per la testa. Io sono<br />

un disonesto e so riconoscere meglio degli altri le facce<br />

oneste… Qualsiasi colonia, qualsiasi città… nelle terre<br />

del Gran Re… dove volete! Io sarò sempre con voi con la<br />

tempesta e con la bonaccia.<br />

Ormai non guardava più Nicteo e Peante, fissava la strada<br />

che univa il Pireo alla città e stringeva le mani dei due<br />

giovani come sollecito pietoso.<br />

Peante domandò:<br />

– I cavalli?<br />

– Da me non li comprerebbe nessuno, vendeteli voi, –<br />

rispose Cleoptico sempre più impaurito. – Io salgo a bordo<br />

e aspetto, aspetto.<br />

Vendere i due piccoli cavalli fu facile. Li scambiarono<br />

con provviste, strumenti, vestiti, sementi e anche un alberello<br />

persiano che, disse il mercante, avrebbe prodotto<br />

frutti dolci, profumati e con una buccia vellutata.<br />

– Come si chiamano i frutti di questa pianta? – aveva<br />

domandato Peante.<br />

– Chiamateli come volete.<br />

Poi Cleoptico accompagnò Nicteo e Peante nella stiva<br />

dove, avvolta da una vela, videro una forma umana. Si spaventarono<br />

e pensarono per un momento che Cleoptico<br />

fosse anche un assassino. Ma quando il ladro svolse la vela<br />

videro, così sembrò ai due ragazzi, la statua più bella…<br />

Gli si rizzarono i peli… Videro l’occhio universale di<br />

Cleoptico scolorire e diventare rosa… Sentirono un’onda<br />

di caldo venire da dentro il cuore e andarsene sino alle<br />

estremità… Una dea di bronzo con gli occhi azzurri, una<br />

dea di sicuro, visto che creature come questa non ne ave-<br />

247


vano mai viste e la natura non ne aveva prodotte di donne<br />

così… il naso perfetto, il collo e le spalle, i fianchi… L’armonia<br />

e l’eternità. Quanto ne avevano parlato… E adesso<br />

loro l’avevano comprata.<br />

– L’occhio celeste è di lapislazzuli, – disse Cleoptico come<br />

se l’avesse fatta lui. E invece l’aveva rubata.<br />

– È il ritratto di una ragazza della Calcide morta d’amore.<br />

Si chiamava Ptea. I genitori hanno voluto conservare…<br />

Mi sono liberato di tutto prima di fuggire ma di questa<br />

ragazza no.<br />

– E tu l’hai rubata ai genitori?<br />

– No, no, sono morti anche loro.<br />

– Ptea… Ptea… – disse Nicteo mentre l’accarezzava: –<br />

Che bel nome!<br />

– Senza neppure un velo! – disse Peante fissando i capezzoli<br />

all’insù della ragazza che sembravano unirla al<br />

cielo.<br />

– Questo è l’intero che contiene tutto come diceva Echecrate…<br />

Cosa vuoi che se ne faccia di un velo, Peante?<br />

Ricoprirono la statua e pensarono che, se nel paese degli<br />

Iperborei gli sarebbe stato concesso uno spazietto, allora<br />

là avrebbero messo la statua di Ptea, e intorno avrebbero<br />

costruito la casa e si sarebbero consolati a guardarla,<br />

loro, i figli e i nipoti.<br />

Non parlarono degli Iperborei a Cleoptico e tanto meno<br />

al marinaio Porfirio, un fenicio giovane ma tutto rughe<br />

salmastre, che assoldarono per poche dracme.<br />

Nicteo e Peante si ricordarono di avere nelle bisacce la<br />

pozione contro lo spurgo ricorrente quando si accorsero<br />

che gli schiavi di Cleoptico erano, sì, quattro, però due<br />

erano ragazze, ossute, malnutrite, ma ragazze.<br />

248<br />

– Nicteo, due donne a bordo! Non sembrano bellezze, è<br />

vero, ma con l’aria di mare e il viaggio chissà cosa succede!<br />

– disse Peante all’orecchio dell’amico.<br />

– Hai paura di due donne?<br />

– Beh, hai visto cosa portano con sé le donne.<br />

– Senti, noi andiamo a cercare un luogo benedetto da<br />

Apollo, dove all’alzarsi delle Pleiadi possiamo sentire il<br />

dio che canta. Andiamo dove nasce il vento che purifica<br />

anche l’anima più nera, dove la vita è dolce. Costruiremo<br />

templi e case… E tu ancora con questa faccenda delle<br />

donne e dello scolo. Ioppe e Ifianassa sono due schiave e<br />

non due ballerine. Insomma, vuoi provare o no? Vuoi<br />

tentare o no? Sempre discorsi da pastore… Non cambi,<br />

non cambi…<br />

Peante non rispose: accettava. Quanto alla faccenda del<br />

pastore pensò che ce ne sarebbe voluto di tempo per dimenticare<br />

pecore e ovile… Anzi, non se lo voleva proprio<br />

dimenticare il suo cosmo così piccolo, tanto piccolo che<br />

gli era venuta la curiosità, un prurito irresistibile per il<br />

quale adesso era lì.<br />

Il sole era a metà del tragitto quando salparono. Uscirono<br />

dal golfo incrociando imbarcazioni di tutte le forme<br />

che trasportavano ogni genere di faccia.<br />

La nave era davvero agile e elegante.<br />

– A quest’ora domani sarei nello spiazzo della lapidazione,<br />

– mormorava Cleoptico affacciato alla murata.<br />

– Scappare! Che sensazione grande e profonda! Non so<br />

descriverla, amici!<br />

Nicteo ripensò al teatro e a quante volte aveva visto l’attore<br />

vestire il mantello grigio del fuggitivo:<br />

249


– La fuga! La fuga, caro Cleoptico, non è riservata solo<br />

ai ladri. Qualche volta scappano anche gli onesti. Anzi, sai<br />

cosa credo? Credo che un uomo più è onesto e più scappa<br />

col mantello spinoso che lo fa sanguinare dappertutto.<br />

Ecco, ecco!<br />

Peante temeva in cuor suo i ragionamenti di Nicteo il<br />

quale da un po’ di tempo aveva preso l’abitudine di allisciarsi<br />

i capelli quando iniziava un discorso impegnativo,<br />

ma se ne restò zitto mentre l’amico continuava.<br />

– Vedi, Cleoptico, anche noi scappiamo, ma non ci inseguono<br />

altri uomini.<br />

– E da cosa scappate? – domandò il ladro che, man mano<br />

che si allontanava dalla costa riassumeva la sua espressione<br />

da sparviero e l’occhio diventava di nuovo una minaccia.<br />

– Noi scappiamo e inseguiamo allo stesso tempo.<br />

– E cosa inseguite?<br />

Peante guardò l’amico pensando a quanto ne avevano<br />

ragionato insieme all’ombra, masticando erba cipollina:<br />

– Il demone Fobos ci insegue, questo è certo. E davanti a<br />

lui, o ti mancano i sensi o te ne vai nella direzione opposta.<br />

Così scappiamo cercando un posto dove la paura non c’è.<br />

– Oppure, – aggiunse Peante, – un posto dove almeno<br />

ce la possiamo dimenticare.<br />

Cleoptico era sensibile all’argomento e di nuovo verde<br />

per i cattivi pensieri:<br />

– Fobos ci insegue ovunque andiamo, è vero. Ma è anche<br />

una questione di distanze: è molto peggio quando ti<br />

insegue da vicino come succede a me.<br />

– Prima o poi si avvicina a tutti… – rispose Nicteo.<br />

La discussione era di quelle che sfinivano Peante. Per<br />

250<br />

fortuna Porfirio gridò da prua moltiplicando le rughe in<br />

viso:<br />

– Vento da terra! Ci allontaniamo veloci! Aiutatemi alla<br />

vela!<br />

Zittirono tutti. Avevano capito che il viaggio era iniziato<br />

e quando l’isola di Salamina diventò un profilo scuro a<br />

poppa, nessuno provò più desiderio di parlare, anche se<br />

una forza nuova e refrigerante circolava nelle vene di<br />

ognuno.<br />

Il mare era alto, scuro ma sereno. Solo nel suo fondo,<br />

dove non arrivava la luce, dove i pesci non hanno occhi,<br />

dormiva borbottando, lontana dai due giovani, la paura.<br />

* * *<br />

Nicteo, Peante, Cleoptico, Porfirio il marinaio, Tideo e<br />

Sicano gli schiavi, Ioppe e Ifianassa le schiave ossute, trascorsero<br />

sulla nave tre stagioni, dal mese delle Ecatombi<br />

sino a Targelione. Andavano sempre a nord.<br />

A nord abitavano gli Iperborei ma Nicteo e Peante non<br />

sapevano in quali terre e neppure quanto mare dovevano<br />

ancora attraversare.<br />

Quando trovavano isole - e ne trovarono tante - quando<br />

vedevano città, quando incrociavano altre navi, la necessità<br />

di vedere e parlare con altri uomini diventava più<br />

forte di ogni cosa e allora si fermavano. Gli schiavi volevano<br />

spiegare che erano diventati liberi e Cleoptico che<br />

era un uomo onesto. Porfirio cercava altri Fenici. Così<br />

conobbero altre città e altre razze, fecero provviste di parole,<br />

ma non incontrarono nessuna gente volante che viveva<br />

duecento anni.<br />

251


Ioppe e Ifianassa erano ingrassate perché mangiavano<br />

finalmente ogni giorno e l’aria del mare le aveva abbellite,<br />

riuscivano a mantenere lucide le capigliature nere, a<br />

colorare le labbra e anche a profumarsi. Tideo e Sicano<br />

se n’erano rimasti in silenzio solo i primi giorni dopo la<br />

partenza, e quando si erano resi conto che la loro vita era<br />

davvero cambiata in meglio, rivelarono un carattere allegro.<br />

La pozione fumante non servì: nessuno scolo apparve<br />

durante il viaggio.<br />

E intanto andavano ancora a nord conoscendo isole<br />

nuove e popoli nuovi.<br />

Nicteo e Peante continuavano a parlare degli Iperborei<br />

solo tra di loro e aspettavano il momento in cui il re<br />

dei gabbiani avrebbe annunciato che le città degli uomini<br />

erano finite e che là, finalmente, dovevano sbarcare.<br />

Ioppe e Ifianassa iniziarono a vomitare tutte le mattine,<br />

ad arrotondarsi sempre di più e assunsero un alone<br />

che le fece apparire ancora più belle. Durante un approdo<br />

in una città fenicia comprarono una capretta per dare<br />

latte alle due donne. La chiamarono Ipsi.<br />

Non vedevano terra né navi da venti giorni e ormai, secondo<br />

i loro calcoli, il mese di Targelione stava per terminare.<br />

– Oneste? – domandava Peante?<br />

– Sì, l’onestà è ornamento di queste donne.<br />

– Ma se non sappiamo di chi sono i figli che si portano<br />

dentro!<br />

– Avranno cinque padri.<br />

– Sarà così tra gli Iperborei. Noi veniamo da Atene, an-<br />

252<br />

zi, veniamo da un villaggio delle montagne dove le donne<br />

sono oneste in un altro modo.<br />

– Diventiamo dieci, Peante! Non è così anche tra le tue<br />

pecore che tu porti sempre come esempio di saggezza divina?<br />

Zittirono di colpo perché sentirono un grande brontolio<br />

nel fondo della nave.<br />

Guardarono tutti il mare e stettero ad ascoltare il<br />

brontolio, un rimbombo.<br />

Videro gabbiani che fuggivano verso sud. Provarono<br />

un gelo improvviso. Da nord sembrava che l’orizzonte<br />

nero stesse per avventarsi contro di loro, ma non riconobbero<br />

subito la paura.<br />

Porfirio piegava la vela gridando:<br />

– Ecco cosa viene dalle terre del nord che voi cercate!<br />

Tutto quel nero là in fondo è Borea in persona che viene<br />

verso di noi! Cleoptico, ora vedremo se questa nave da<br />

donne è davvero resistente. Tra un po’ non sarà più vergine.<br />

Speriamo che non senta dolore e non perda troppo sangue.<br />

Tutti si legarono all’albero, salvo Porfirio che si legò al<br />

timone.<br />

Videro un’ombra nera distendersi sull’acqua e gonfiarla.<br />

Il rumore delle onde e del vento diventò così forte che<br />

non si sentì altro suono. La nave teneva la prua dritta verso<br />

l’oscurità. La capretta Ipsi non stava in piedi e Cleoptico<br />

se la legò al braccio. Peante chiuse gli occhi pensando<br />

ai prati e agli alberi del monte Citerone.<br />

Andavano veloci verso un’oscurità più nera ancora. Il<br />

mare… un’infinita bolla nera dalla quale non sarebbero<br />

usciti più… caduti oltre il margine del mondo.<br />

253


Era proprio paura quella che sentivano?<br />

La statua! È di bronzo.<br />

– Ptea, Ptea, dobbiamo sacrificarti alle acque… la perfezione<br />

alle acque!<br />

Cleoptico riuscì a fare scivolare la statua fra le onde feroci<br />

e poi si mise a piangere.<br />

Al buio, improvvisamente, tutti videro gli occhi grandi<br />

della paura e sentirono una mano gelida che se li prendeva<br />

per la nuca. Allora capirono, chiusero le palpebre e<br />

cercarono l’ultimo pensiero.<br />

Quando il buio era ormai quello dell’aldilà e uno strappo<br />

della nave sembrò il salto nel nulla, proprio allora avvenne,<br />

di colpo - se lo sarebbero ricordati sempre - che lo<br />

stupore e la gioia arrivarono con una folata tiepida, rosea<br />

e benefica che cacciò via l’ombra nera e tirò giù il mare.<br />

Il prodigio di Ptea.<br />

A Peante sembrò di vedere un cocchio d’oro in cielo.<br />

Cleoptico vide i delfini.<br />

Sole e azzurro riapparvero improvvisamente come se<br />

avessero aperto una porta immensa per fare entrare la luce<br />

e le onde diventarono riccioli. Sentirono la pelle pizzicare<br />

per i raggi dorati e gli occhi smisero di bruciare.<br />

Guardarono tutti a sud e videro l’ombra nera allontanarsi<br />

arrabbiata, prepotente, che si contorceva e si tirava<br />

dietro schiuma e gorghi.<br />

Poi guardarono a nord e aprirono le bocche rotonde.<br />

Era apparsa la costa, bianca come il ghiaccio, alta sul<br />

mare e più in basso una piana che si confondeva con l’acqua.<br />

Tutto scintillava immobile. Il vento che arrivava da<br />

terra lo respirarono tutti in silenzio e la nave era beata.<br />

254<br />

Avevano visto la terra in un momento.<br />

Una farfalla folle e stanca veniva da terra e aveva perso<br />

la speranza. Si lasciò cadere sulla nave e si mise controvento<br />

a riposare le ali.<br />

Momenti, pensava Nicteo. Ed erano ancora così giovani.<br />

Momenti. Tutti messi in fila ma senza ordine, mica<br />

messi lì l’uno per preparare l’altro. Che disordine… Vita a<br />

caso. Trovarci un filo, ecco cosa volevano più di tutto, o<br />

trovare almeno l’inizio del filo. Il resto lo avrebbero cercato<br />

gli altri dopo di loro… Una vita sola non basta.<br />

Il popolo leggero degli Iperborei magari non abitava là,<br />

ma quello era un approdo perfetto e la sabbia una culla<br />

calda.<br />

Nicteo non sapeva se avrebbero trovato il popolo volante<br />

ma - e l’idea era chiara nella testa - pensò che sarebbero<br />

arrivati lui e Peante ad avere una barba bianca con la<br />

quale distillare per tutti la storia della città iniziata proprio<br />

da loro due. Sarebbe stata una parte del filo che cercavano<br />

e che non si sarebbero mai più fatti sfuggire di mano.<br />

E pensò anche al ritrovamento miracoloso della statua<br />

perfetta di Ptea e alla meraviglia del pescatore che nelle<br />

sue reti avrebbe trovato il fiore degli anni eterno di Ptea.<br />

– Ptea, Ptea… come battono le labbra quando si dice il<br />

tuo nome… In fondo al mare per cacciare la paura da<br />

questo golfo…<br />

* * *<br />

Dalla rocca alta scendevano tre torrenti ripidi che finivano<br />

in una grande laguna salmastra. A occidente un<br />

promontorio e ancora stagni. Luce, tanta luce che Nicteo<br />

255


e Peante credevano che ne sarebbe rimasta anche per la<br />

notte.<br />

Ognuno immaginò, senza dirlo, ricordandosi la tempesta,<br />

che il promontorio a occidente sarebbe stato il loro cimitero<br />

e avrebbe confortato la loro trasformazione in erba<br />

e alberi.<br />

Tideo e Sicano aspiravano l’odore della terra.<br />

Ioppe e Ifianassa tenendosi le pance rotonde si sedettero<br />

in riva al torrente per togliersi di dosso il sale.<br />

Cleoptico non aveva momentaneamente la faccia del rapace,<br />

guardava il luogo intatto e si fregava delicato l’occhio<br />

gigante che guardava intorno e girava veloce.<br />

Nicteo camminava incantato vicino a Ipsi, contenta dopo<br />

tanti giorni di mare. Erano tutti sopraffatti dal silenzio<br />

sovrumano.<br />

Peante che era corso avanti gridò:<br />

– Sterco di pecora! C’è sterco di pecora! Questo posto<br />

magari è abitato!<br />

Ma per tutta la giornata non trovarono anima viva e<br />

continuarono sino al tramonto a fantasticare, ciascuno<br />

per proprio conto, sparsi tra la rocca e la pianura, sul loro<br />

destino che si stava legando a questi luoghi.<br />

La sera Nicteo ebbe un’ispirazione e, allisciandosi i capelli,<br />

illuminato dalla luna disse:<br />

– Tutti oggi abbiamo pensato che il viaggio è finito, tutti!<br />

Non siamo giunti al confine della terra come ci è sembrato<br />

per colpa della paura, terra ce ne sarebbe ancora<br />

tanta. Però qui c’è un porto, c’è una rocca dove rifugiarsi<br />

e costruire palizzate e mura di pietra. C’è acqua dolce e<br />

più di una fonte da consacrare. La temperatura è mite.<br />

Ioppe e Ifianassa partoriranno i nostri figli tra poco.<br />

256<br />

Peante ha trovato sterco di pecora e troveremo, per logica<br />

conseguenza, anche il latte. Porfirio conosce bene il mare<br />

e le rotte, ora sa dove si nasconde Fobos e lo eviterà. Il mare<br />

ci terrà uniti agli altri uomini. Cleoptico qui può camminare<br />

senza guardarsi alle spalle, senza temere pietre e<br />

giudici, ma dovrà essere onesto. Tideo e Sicano sono liberi,<br />

s’intende, ma dovranno lavorare la pietra. Insomma,<br />

noi siamo una razza fondatrice!<br />

Peante, reso mistico dal luogo, smise di cercare sterco di<br />

pecora e disse:<br />

– Epipanormo! La chiameremo Epipanormo! Le strade,<br />

i pozzi, i giardini nella città alta e la piazza! Le strade<br />

dedicate a Apollo! Sarà un’età dell’oro e i nostri nomi saranno<br />

scritti in eterno…<br />

Ma Ifianassa strillò:<br />

– Le acque, le acque si sono rotte! Aiuto! Non ho mai<br />

messo al mondo un bambino! Chi mi aiuta in questo posto<br />

senza templi?<br />

L’energia che spingeva fuori il figlio di Ifianassa e dell’equipaggio<br />

era più forte dello scalpello col quale Peante<br />

voleva incidere nella pietra i loro nomi. Il primo nato di<br />

Epipanormo era più forte di tutto. Ptea li avrebbe aiutati<br />

dal fondo del mare.<br />

Trascorsero la notte a proteggere il bambino dalle zanzare<br />

ubriache e felici perché non avevano mai succhiato<br />

sangue umano.<br />

* * *<br />

Le tracce di pecora avevano affascinato Peante che già<br />

si immaginava un ovile, latte e formaggio. Così il giorno<br />

257


seguente, alla prima luce, tanta luce, iniziò a cercare pascoli<br />

possibili. Salì verso il bosco sulla rocca da dove vedeva<br />

la nave nel golfo tranquillo. Il vento produceva tra<br />

gli alberi un suono che non sentiva da molto tempo.<br />

Udì un belato e corse verso le rocce da dove proveniva,<br />

pensando che se c’erano pecore c’era anche il pastore.<br />

Un polpaccio brillò sopra di lui tra la pietra bianca.<br />

Peante sentì il rumore di un sandalo energico e saltò anche<br />

lui sulla roccia.<br />

La donna non era scappata e Peante, di colpo, diventò<br />

un ragazzo di marmo. Una dea, pensò quando la vide in<br />

mezzo alle pecorelle, ma non balbettò:<br />

– Mi chiamo Peante e vengo da Atene.<br />

– Vieni da molto lontano. Io mi chiamo Melania e sono<br />

figlia di Iperoche, – sorrise.<br />

Peante si accorse che quel sorriso metteva in moto ogni<br />

cosa intorno. Le lucertole uscivano dalle tane, il muschio<br />

rinverdiva, il vento si rallegrava e ogni cosa sembrava in<br />

relazione con la pelle di Melania. Quella creatura era figlia<br />

di qualcuno che aveva pensato a tutto e Peante, messo in<br />

moto anche lui dalla forza che da lei proveniva, disse:<br />

– Noi siamo arrivati sin qui per costruire una città, una<br />

città completa col teatro, il tribunale, il cimitero. Serve<br />

un inizio anche se, forse, le cose sono già iniziate.<br />

– Per il cimitero basterà il mare. Da noi usiamo il mare.<br />

Si seppellivano in mare? Un pensiero… ma lui continuò<br />

fissandola:<br />

– Io e il mio amico Nicteo abbiamo commesso una serie<br />

ragionevole di errori, sofferto le stesse pene e sappiamo,<br />

più o meno, le stesse cose del mondo. Vogliamo, ti ho<br />

detto, fondare una città. Il tuo sorriso è il più bello che io<br />

258<br />

ho visto e tu saresti l’inizio migliore per la città. Epipanormo<br />

dovrebbe incominciare da te e resisterebbe a tutto,<br />

sempre.<br />

– Io abito sui monti, Peante, e vengo qui con le pecore<br />

di mio padre perché il vento della mia città non smette<br />

mai e qualche volta è troppo forte, mi stordisce e me ne<br />

vado a cercare altri pascoli.<br />

Il vento che non smette mai? Peante domandò:<br />

– Tu abiti in una città del vento?<br />

Melania sorrise e gli alberi ondeggiarono di piacere:<br />

– Da noi il cielo è così pulito per il vento che i saggi contano<br />

le stelle ogni notte. Non hanno ancora finito di contarle<br />

tutte ma la costellazione del Sagittario li protegge e<br />

li solleva da terra, li cosparge di polvere argentata così<br />

che si vedono anche la notte, e svolazzano in tutte le direzioni<br />

per segnare le stelle sui loro papiri. Borea nasce da<br />

queste parti. Però io, ogni tanto, devo cambiare aria.<br />

Borea nasce da queste parti? Peante sentì le gambe deboli:<br />

– E tu vieni qui senza protezione? Non hai paura?<br />

Lei sorrise e tutto si mosse ancora intorno:<br />

– Il demone Fobos? Sappiamo che Fobos accompagna<br />

i guerrieri nei campi di battaglia, non ce ne importa, non<br />

ci sono battaglie da queste parti. Io cerco altre terre per le<br />

mie pecore.<br />

Peante si sedette. Era possibile quello che gli stava passando<br />

per la testa?<br />

– Tuo padre si chiama Iperoche? È un pastore come il<br />

mio?<br />

– Mio padre è il re della città.<br />

– E la città è lontana? – domandò senza più forze per-<br />

259


ché iniziava a convincersi d’essere arrivato dove aveva<br />

immaginato d’arrivare.<br />

– È a nord. Tre giorni di cavallo. Io non ho la polvere<br />

argentata che rende leggeri ma conosco il cammino.<br />

* * *<br />

Nicteo teneva in alto il bambino di Ifianassa:<br />

– Lo chiameremo Minio, così sarà protetto da Nettuno,<br />

casomai gli venisse la voglia di andare sul mare da grande.<br />

Sei d’accordo Ifianassa?<br />

Ifianassa era nata in oriente e non capiva i nomi greci,<br />

ma gli sembrò un bel suono.<br />

Decisero riuniti in assemblea che la prima casa di Epipanormo<br />

l’avrebbero costruita in alto sulla rocca bianca<br />

utilizzando la stessa pietra della rocca. Tideo e Sicano sapevano<br />

tagliare la pietra e lavorare il legno. Porfirio disegnò<br />

una casa fenicia e decisero di costruirla vicino a un<br />

pozzo. Nicteo aveva scelto il sito. Cleoptico progettò la<br />

costruzione di un molo con l’aiuto di Peante.<br />

Una mattina di sole Sicano, mentre tagliava un’asse di<br />

legno, sentì l’urlo di Ioppe da dentro casa:<br />

– Le acque! Partorisco! Chiamate Ifianassa!<br />

Sicano chiamò tutti a raccolta. Così anche Ioppe, con<br />

una facilità che sbalordì tutti, partorì, ma partorì due bambini<br />

piccoli e magri, un maschio e una femmina biondi.<br />

Tideo teneva in braccio i due neonati e guardava intorno<br />

tutti gli altri color nocciola e di pelo nero. Non c’erano<br />

biondi tra i padri possibili e qualcuno si ricordò, senza<br />

dirlo, di una città in cui erano sbarcati molti mesi prima e<br />

dove gli abitanti avevano i capelli d’oro.<br />

260<br />

Nicteo, che ormai parlava come un capo pacificatore,<br />

disse:<br />

– Molti di noi, probabilmente, erano biondi da bambino,<br />

chi può ricordarlo? Non ci sono qui le nostre madri<br />

per dirci come eravamo. Questi gemelli cambieranno, vedrete,<br />

e i capelli diventeranno neri come i nostri. Oppure<br />

lo stesso Apollo, che è biondo, potrebbe conservarli con<br />

questi boccoli dorati come augurio per tutti noi. È un segno<br />

divino!<br />

Ma Porfirio aggiunse:<br />

– E gli occhi color cielo? Come si spiegano?<br />

Intervenne Peante:<br />

– Anche gli occhi cambiano colore, lo sanno tutti. Io<br />

stesso, mi raccontava mio padre, avevo gli occhi chiari alla<br />

nascita e ora sono scuri. Questi nuovi nati sono nostri figli<br />

e cittadini della città che costruiamo. Dobbiamo dargli<br />

un nome, cibo, affetto, conoscenza e farne persone di<br />

cuore. Il maschietto lo chiameremo Palemone e la femminuccia…<br />

Ioppe era sfinita ma guardò Peante con gratitudine e<br />

fiatò:<br />

– Per la femminuccia un nome delle mie parti… Arisbe,<br />

la chiamo Arisbe.<br />

Terminarono la casa in poco tempo. Mezzo casa e mezzo<br />

capanna, di pietra e legno, li ospitava tutti. Da una parte<br />

le donne con i bambini e dall’altra gli uomini. Un atrio<br />

grande e una sala dove fare il fuoco, mangiare e parlare.<br />

Quella era una comunità di conversatori dove le parole -<br />

fatta la scorta ad Atene - avevano un peso così grande da<br />

dare forza a tutti.<br />

261


Intorno alla casa, Nicteo, aveva piantato i semi e le piantine<br />

comprati al Pireo tra cui l’alberello persiano che doveva<br />

dare fiori rosa e frutti profumati e vellutati.<br />

Anche il molo era terminato e ora proteggeva la nave.<br />

Cleoptico e Porfirio avevano costruito una casa più piccola,<br />

con un recinto di pietra, vicino al molo e avevano piantato<br />

delle viti sperando in un vino forte come quello che<br />

bevevano nelle taverne di Atene. Ora aspettavano i giorni<br />

giusti per seminare orzo e grano.<br />

Ma dovevano pensare al tempio e affrontare il problema<br />

delle colonne.<br />

Una sera, distesi sulla sabbia, Nicteo e Peante guardavano<br />

la luna rotonda e la luna li guardava. Il mare era fosforescente,<br />

sereno ma pieno di forza. Qualche pulviscolo<br />

luminoso spariva e riappariva in cielo:<br />

– Siamo una piccola tribù, caro Peante, e noi siamo i capi…<br />

i capi.<br />

– Ho fatto dei calcoli, Nicteo. Se Ioppe e Ifianassa faranno<br />

un figlio all’anno fra quattro anni saremmo diciannove.<br />

Non è un granché. E non rispondermi che i bambini<br />

non nascono come i capretti, lo so che questo non è un<br />

gregge. Ma è che per fare una città occorre più gente e per<br />

fare un popolo non bastiamo noi. Per ora abbiamo solo<br />

un bel nome per la città: Epipanormo.<br />

– Noi siamo una tribù civilizzata, Peante. E poi io ragiono<br />

guardando più in là di tre anni. Pensa a quando avremo<br />

i capelli bianchi e Arisbe avrà fatto figli con noi. Saremo<br />

cinquanta, sessanta, come il nostro villaggio. Avremo<br />

anche un teatro…<br />

– Un teatro per sessanta? Al villaggio avevamo un tea-<br />

262<br />

tro forse? E poi, nessuno si ammalerà mai da queste parti?<br />

Nessuno morirà? Io mi immagino con il labbro pendente,<br />

cieco e sordo e tu ti immagini marito di Arisbe che<br />

è appena nata?<br />

Nicteo si appoggiò sui gomiti:<br />

– Peante, cosa vuoi dirmi? Che non abbiamo speranza?<br />

Che vorresti tornare ad Atene e poi di nuovo al nostro villaggio<br />

disgraziato? Riattraversare la tempesta che ci siamo<br />

lasciati alle spalle e che adesso ci aspetta da qualche<br />

parte in mare? Credi che nessuno approderà più a questo<br />

molo e che qui non ci sarà mai vita? Insomma, che cosa<br />

vuoi?<br />

Peante raccontò di Melania e della città a nord, dove il<br />

vento rendeva il cielo perfetto e i saggi studiavano le costellazioni<br />

guardandole da vicino. Perché non andare come<br />

ambasciatori e chiedere aiuto a quel popolo senza<br />

guerrieri che aveva generato una creatura come Melania?<br />

Peante chiudeva gli occhi quando la nominava e vedeva<br />

le gambe al sole e il sorriso che muoveva piante e animali.<br />

Non raccontò che ogni volta che era libero correva al pascolo<br />

a cercarla per parlare sino al tramonto con lei.<br />

– Compreremo cavalli, Nicteo, altri schiavi e li libereremo.<br />

Così popoliamo la città alta e quella bassa, matureremo<br />

e invecchieremo sereni.<br />

Nicteo rimuginava guardando in cielo il pulviscolo lucente:<br />

– Non posso credere che siamo arrivati nella terra dove<br />

Apollo viene a far festa… Non riesco a crederci, ecco. La<br />

città del vento e i saggi volanti!<br />

E se ne andò a casa silenzioso.<br />

263


Non aveva il coraggio di dire quello che sospettava, lui<br />

che raramente si faceva mancare le parole. Neanche Peante<br />

aveva avuto l’animo di chiedere a Melania altre spiegazioni<br />

sulla città, sull’età degli abitanti e sugli astronomi che<br />

volavano.<br />

L’idea di essere arrivati dove avevano immaginato li aveva<br />

privati dell’energia che sino a quel momento li aveva<br />

mossi. Non pensarono che quello sfinimento, la delusione<br />

che non confessavano, fosse naturale, un poco come la<br />

tristezza che aveva preso Ioppe dopo aver messo al mondo<br />

i due gemelli che aveva aspettato con tanti pensieri.<br />

* * *<br />

Quattro giorni di viaggio a piedi furono leggeri.<br />

Melania viaggiava col gregge e il cane Tikos che riconosceva<br />

annusandoli i sentieri.<br />

All’alba del quarto giorno Melania si stiracchiava:<br />

– Questa mattina entreremo in città.<br />

Tikos sentiva odore di casa e puntava il muso dritto verso<br />

un monte a forma di cono perfetto. Ma un dubbio era<br />

entrato e procedeva nella testa di Nicteo e Peante. Nessuno<br />

dei due aveva chiesto, durante il viaggio, il nome della<br />

città e del popolo di Melania. Non avevano trovato il coraggio<br />

per il semplice motivo che il paese degli Iperborei,<br />

se esisteva, forse non volevano trovarlo a quel punto della<br />

loro vita. Era troppo presto e per questo motivo, man mano<br />

che si avvicinavano alla città, si immelanconivano.<br />

Mentre Melania si lavava a una fonte parlante, loro, sottovoce,<br />

dicevano:<br />

– E se fossimo arrivati davvero nella terra perfetta di<br />

264<br />

Apollo? Perfetta come quel monte che mi fa paura? Guardalo,<br />

un cono perfetto. Io comincio a essere preoccupato<br />

e non so perché.<br />

– Ti capisco, Peante.<br />

– Cosa dovremmo fare dopo che abbiamo trovato questi<br />

Iperborei?<br />

– Credo che non ci resterebbe più nulla da fare, niente<br />

più da apprendere e niente più da patire. Avremmo una<br />

bella espressione felice, non come Cleoptico che controlla<br />

ancora l’orizzonte temendo che arrivino per arrestarlo.<br />

– Sarà obbligatorio anche per noi contare le stelle volando?<br />

Il mio posto è la terra. Sopra, da vivo, e sotto, poi.<br />

Quando in questa città innocente dove stiamo andando<br />

leggeranno le commedie e le tragedie che gli portiamo in<br />

dono, quelli in volo cadranno giù e quelli a terra sapranno<br />

quale razza di uomini popola il resto del mondo. Magari<br />

penseranno che anche noi siamo come i personaggi delle<br />

scene.<br />

Nicteo si arrovellava:<br />

– Beh, non è necessario che noi restiamo tra questi uomini<br />

felici.<br />

Peante non era sereno:<br />

– Già, veniamo solo quando sentiamo sofferenza! Se<br />

Ifianassa ci sembrerà una donna volgare allora verremo<br />

qui a cercare donne nobili. Se Porfirio ci sembrerà un<br />

mercante avaro allora ci rivolgeremo a qualche saggio volante<br />

disinteressato all’oro.<br />

– Basta, Peante! Sei tu che mi hai fatto conoscere Melania…<br />

– È vero, però è per una tua idea che siamo fuggiti dal<br />

villaggio sognando di non sentire più il dolore al petto che<br />

265


ci ha oppresso con Echecrate, con Etilla, con la Pitia, lo<br />

scolo verde, Giambe e Etemea… Qui non si suda, camminiamo<br />

da giorni e non abbiamo versato una goccia di sudore!<br />

– Ricordati, Peante, che abbiamo sofferto, è vero, la<br />

tempesta è stata tremenda, ma poi è stato bello vedere il<br />

sereno e la costa, ricordatelo. E la paura che scappava.<br />

Apparve Melania.<br />

Così, senza discutere davanti al suo sorriso, continuarono<br />

il cammino verso il monte a forma di cono ricordandosi<br />

i monti senza geometria del loro paese.<br />

Quando il sole era a metà, videro le mura circolari della<br />

città, lisce e bianche, senza porte, senza acropoli e senza<br />

case di fango ma solo belle case bianche e rotonde. Melania<br />

salutava i contadini nei campi e Peante notò che non<br />

avevano calli.<br />

Finalmente entrarono nella città rotonda e videro, ammutoliti,<br />

il tempio di piume.<br />

Conobbero il re Iperoche, un vecchio senza tremori, al<br />

quale non poterono raccontare nessuna novità di Atene<br />

perché la conosceva e conosceva anche le commedie e le<br />

tragedie portate in dono, interi atti a memoria. Ancora<br />

meglio conosceva Delfi perché, per ordine di Apollo, ogni<br />

diciannove anni, periodo entro il quale, spiegò, gli astri<br />

compiono una rivoluzione completa tornando allo stesso<br />

punto, mandava lì due ambasciatori della città.<br />

Nicteo aveva fiducia ma temeva ugualmente le risposte<br />

del re:<br />

– Re Iperoche, questa è dunque la città dove il dio Apollo<br />

viene a riposarsi e a cantare i suoi inni all’alzarsi delle<br />

Pleiadi?<br />

266<br />

Iperoche aveva una voce levigata e trasparente<br />

– Certamente. Questa è la città che custodisce la freccia<br />

del dio con la quale il nostro cittadino Abasi ha attraversato<br />

il mondo da una parte all’altra volando sopra le nostre<br />

teste.<br />

Dunque erano arrivati proprio lì. Si sentirono deboli di<br />

colpo.<br />

– Siamo qui per un consiglio, re Iperoche, che siedi sul<br />

trono della pazienza. Noi chiediamo cosa dovremmo fare<br />

in undici onesti sbarcati in queste terre con l’intenzione di<br />

trascorrere la vita, per il tempo che ci spetta, proprio là<br />

dove siamo approdati. Abbiamo un ladro tra noi che è<br />

scampato alla lapidazione, ma ora è onesto anche lui. Tre<br />

neonati da allevare e educare. Due donne da proteggere.<br />

Abbiamo attraversato quella tempesta nera che vi separa<br />

dal mondo.<br />

Iperoche zittì Nicteo che avrebbe continuato. Con un<br />

gesto radunò il consiglio e si ritirò.<br />

* * *<br />

Melania e Peante passeggiavano alle falde del monte a<br />

cono.<br />

– Peante, mio padre ama chi parla poco perché pensa<br />

che per progetti onesti bastino poche parole. Molte, secondo<br />

lui, nascondono un imbroglio.<br />

Peante non staccava gli occhi dal monte geometrico:<br />

– Melania, Nicteo è fatto in questo modo, lui smania,<br />

ma è onesto e vorrebbe una città in pace.<br />

– Anche io amo chi parla poco.<br />

Peante distolse lo sguardo dal monte e la guardò:<br />

267


– Ami chi parla poco?<br />

Sentiva le parole agitarsi nella testa e poi depositarsi alla<br />

rinfusa ma si decise perché anche lui sapeva dare un ordine<br />

ai discorsi e lasciò fare alla testa:<br />

– Melania, io, a costo di darti un dolore parlando, voglio<br />

spiegarti cosa mi ha passato da parte a parte quando ti ho<br />

conosciuto.<br />

Lei si appoggiò a un albero e ascoltò.<br />

– Epipanormo è solo una casa sulla roccia, due colonne<br />

per il tempio, ne mancano diciotto, un molo giù in basso e<br />

un pugnetto di persone. Tutto imperfetto. C’è anche una<br />

capra che, comunque, non migliora il gruppo.<br />

– È tutto da fare, non c’è nulla di male. Qui è già tutto<br />

fatto.<br />

– Ci ha inseguito, ovunque siamo stati, la paura con la<br />

bocca spalancata. Ma più di tutto, Melania, siamo scappati<br />

dalla noia. Temo le malattie, temo la morte, temo la<br />

tempesta e temo la noia. Adesso sento tutti i momenti della<br />

mia vita, sudo nel paese dove nessuno suda, tremo. Melania<br />

vieni con me a Epipanormo? Costruiremo una casa,<br />

magari rotonda, se vuoi.<br />

* * *<br />

Iperoche concesse la fondazione di Epipanormo promettendo<br />

aiuto e alleanza e, dubbioso ma arreso alla figlia,<br />

concesse Melania a Peante.<br />

– La vostra città dovrà fare i conti con i venti che arrivano<br />

da sud e portano odori e vapori di altri paesi. Bisogna<br />

fare molta attenzione. Riceverete una volta all’anno un<br />

nostro saggio che mi riferirà sulla nuova città.<br />

268<br />

Concesse la libertà a trenta schiavi: quindici maschi e<br />

quindici femmine.<br />

Melania, Peante e Nicteo tornarono a cavallo a Epipanormo<br />

guidando un gregge di pecore e un branco di<br />

maiali.<br />

Appena scomparve la punta del monte conico, Nicteo<br />

parlò agli schiavi allisciandosi i bei capelli:<br />

– Iperoche, che sta nel palmo di Apollo, mi ha raccomandato<br />

parsimonia con le parole. Dobbiamo costruire<br />

Epipanormo e voi non sapete cosa vi ha portato qua e perché<br />

il caso, a dispetto dell’armonia, vi farà fondare una<br />

città…<br />

Non riuscì a terminare il discorso perché i trenta schiavi,<br />

spingendo i gioghi di buoi regalati da Iperoche, cantavano:<br />

Fuggiam noia e paura<br />

cercando l’avventura<br />

che fa dimenticare<br />

quell’orrido animale,<br />

il mostro immateriale<br />

che scaccia l’armonia<br />

e il cuor ti strappa via.<br />

* * *<br />

Gli astri avevano compiuto un quinto circa della loro rivoluzione<br />

da quando Melania e Peante si erano sposati.<br />

Nicteo e l’amico governavano la città ricordando sempre,<br />

come aveva raccomandato Iperoche, i propri difetti e le<br />

proprie colpe.<br />

269


Da alcuni giorni il vento arrivava da sud.<br />

– È morta?<br />

– No, respira… – rispose Peante controllando il torace<br />

candido che andava su e giù.<br />

La portarono sulla sabbia calda.<br />

– Che bel naso all’insù. Il più bel naso che…<br />

– Nicteo, portiamola al porto. Come è pallida!<br />

La naufraga era stata spinta con la zattera sulla spiaggia<br />

da un vento benigno che poi aveva cambiato direzione<br />

dopo aver salvato il bel naso.<br />

Nicteo e Peante l’avevano vista durante una delle loro<br />

discussioni su quello che è giusto e quello che non lo è.<br />

L’avevano vista nuda e bianca sulla sabbia, bagnata da<br />

onde gentili. L’avevano coperta e portata nella casa di<br />

Cleoptico, al porto, il quale aveva da alcune stagioni iniziato<br />

a produrre un vino acido che subito aveva aperto le<br />

palpebre alla ragazza e arricciato il naso parlante.<br />

Medina si chiamava e veniva, senza dubbio, da molto<br />

lontano.<br />

Ma la paura aveva cancellato per sempre la memoria<br />

della giovane conservandole solo il nome, un bel nome<br />

che a Nicteo aveva provocato una ben percettibile debolezza<br />

alle gambe. Il dolore aveva cancellato tante parole<br />

dalla testa di Medina che perciò parlava poco e, per farsi<br />

capire, usava come nessun’altra il naso che aveva avuto in<br />

dono.<br />

La ospitarono nella casa che Melania e Peante dividevano<br />

con Nicteo.<br />

Il pallore della naufraga non le scomparve mai più. La<br />

ragazza più bianca di Epipanormo e qualcosa in lei ricordava<br />

il colore delle foglioline giovani che crescono al-<br />

270<br />

l’ombra. Forse per questo curava l’orto con impegno tanto<br />

che i frutti polposi delle piante persiane non erano mai<br />

cresciuti così belli, gonfi di sugo e avevano profumato l’aria<br />

dell’orto.<br />

Il suo naso faceva voltare tutti.<br />

Uno degli schiavi artigiani, Perimele, che a Epipanormo<br />

viveva libero come tutti e che scolpiva la pietra,<br />

scolpì, ispirato da quel naso, dieci profili di Medina in un<br />

medaglione di marmo e li usò come ornamento per dieci<br />

delle venti colonne del tempio di Apollo.<br />

Perimele fu premiato da Nicteo:<br />

– Bravo, ecco dieci monete del nostro conio. Una per<br />

colonna, bravo!<br />

Perimele pesò le monete che avevano da un lato l’effigie<br />

di Nicteo e dall’altro quella di Peante e riprese a scolpire.<br />

Il tempio veniva su.<br />

* * *<br />

Melania restò incinta un giorno di vento da nord e andò<br />

a partorire, accompagnata da Peante, nella sua città. Portarono<br />

in dono i frutti vellutati che Medina coltivava e che<br />

neppure nella città rotonda conoscevano.<br />

– Si dice che vengano dalla Persia, re Iperoche, non so<br />

che nome abbiano.<br />

Arrivò al mondo un maschio con i capelli scuri che il<br />

padre e la madre allisciavano di continuo. Lo chiamarono<br />

Teedecteto. Ma c’era qualcosa negli strilli del bambino<br />

- mezzo iperboreo e mezzo no - che non si intonava alle<br />

case rotonde e al monte a cono. Iperoche più lo osservava<br />

e più pensava che c’era qualcosa che non andava nel<br />

271


ambino, qualcosa che, magari, gli arrivava da un altro popolo.<br />

Quando, secondo astronomi infallibili, si compì un anno,<br />

Melania, Peante e Teedecteto ripartirono.<br />

Videro Epipanormo più bella, i giardini più verdi, le<br />

strade, botteghe nuove giù al mare, un’altra nave in costruzione,<br />

i maiali moltiplicati e buoi che trascinavano<br />

pietre bianche per le mura. Trovarono Nicteo sulla soglia<br />

con Medina il cui naso annunciava allegria.<br />

– Che bella casa! E quanti spigoli! Dopo la città circolare<br />

di Iperoche questa mi sembra la città dei pazzi! Tutto<br />

storto, tutto a caso! Però respiro meglio qua! Meglio il caso!<br />

Persino Teedecteto è figlio mio, di Melania e del caso.<br />

Qualcosa di impercettibile ma allo stesso tempo di radicale<br />

era accaduto in Nicteo. Peante se n’era accorto e smise<br />

improvvisamente di parlare guardando l’amico.<br />

Nicteo era un altro Nicteo: la prima sottile ruga sulla<br />

fronte.<br />

– Nicteo! Il primo segno del lavoro, della fatica e magari<br />

di qualche dolore… te n’eri accorto? In fronte ti è apparsa<br />

la prima ruga! E sei così giovane… Dovrò controllare<br />

anche la mia fronte. Ho un figlio: avrò anch’io una<br />

ruga.<br />

Nicteo era serio:<br />

– Ci sono specchi a Epipanormo, l’ho vista anch’io la<br />

mia ruga. E ho riflettuto per giorni da solo. La ruga è solo<br />

l’inizio.<br />

Uscirono in giardino, sotto l’albero di Medina, e Nicteo<br />

continuò respirando l’odore dei pomi persiani:<br />

– Ho pensato a lungo al nostro corpo… e mi sono con-<br />

272<br />

vinto che ce lo dovremmo immaginare come fuori di noi,<br />

un semplice anello di una catena di corpi, un corpo che dà<br />

luogo ad altri corpi. Allora, ho riflettuto, potremmo vivere<br />

felici e senza paura perché la paura da qui viene, dal nostro<br />

corpo, da dentro di noi. Capisci?<br />

Peante continuava a fissare la ruga dell’amico che, a<br />

guardarla bene, gli sembrava ancora più profonda. Nicteo<br />

proseguì:<br />

– Questo ho pensato, e me lo sono anche scritto per non<br />

dimenticare il concetto che mi sembrava raro. Volevo anche<br />

farlo incidere su una colonna al tempio: Vivi lontano<br />

dal tuo corpo. E provavo a uscire dal mio involucro, a sedermi<br />

su una roccia e guardarmi da fuori. Ma non c’era<br />

niente da fare, Peante, non ci riuscivo.<br />

Il naso di Medina era attento e Nicteo si allisciò i capelli:<br />

– A Epipanormo siamo un numero definito di corpi e<br />

ciascuno con la sua importanza. Il mio bel concetto ha<br />

smesso di respirare quando mi sono guardato intorno.<br />

Ho capito che io avevo nostalgia di Peante perché Peante<br />

è fatto così e considerarlo un anello di una catena di carne<br />

mi faceva sentire ancora più perduto nell’universo e aumentava<br />

la paura. Ecco! Che buon odore questi frutti<br />

persiani…<br />

Peante sorrise come sorrideva a Teedecteto:<br />

– E quando ti sei reso conto che non c’è barba di ragionamento<br />

che vince la realtà e che la realtà…<br />

Nicteo lo interruppe:<br />

– Quando non c’eri e ho temuto di perderti. Mancavi un<br />

anno, non siamo mai rimasti così lontani da quando siamo<br />

nati. E così un giorno, di colpo, mi sono visto questa ruga<br />

che, pure, ne sono sicuro, non è nata di colpo, però c’è sta-<br />

273


to un momento in cui me ne sono accorto… Che buon<br />

odore questi frutti…<br />

Peante guardò la ruga, la rocca e la città in basso. Rabbrividì<br />

un pochino anche se le giornate erano calde. Il rumore<br />

degli scalpelli era il rumore della città e tutti quegli<br />

spigoli alla fine si sarebbero composti in armonia, imperfetta,<br />

ma armonia. Anche dalla città bassa arrivava qualcosa<br />

di vivo che però non profumava come i frutti di Medina.<br />

Dalle nuvole la luce arrivava disordinata sulla terra e sul<br />

mare, e le ombre sull’acqua del golfo producevano tristi<br />

pozzanghere perché un po’ di tristezza c’era in cielo e si riproduceva<br />

sul mare. Ma dove arrivavano i raggi, l’acqua<br />

viveva, tremolava come piccoli cristalli e rimandava buon<br />

umore agli occhi, alle narici a alle orecchie di Nicteo e<br />

Peante che guardavano, respiravano e ascoltavano.<br />

274<br />

VII<br />

Luce e vento, gli stessi da quando esisteva il golfo e il<br />

mare di Epipanormo.<br />

– Signor sindaco, la statua di Ptea non può essere trattata<br />

come una puttana.<br />

Battistino si annodò i capelli, si strinse la cravatta e<br />

schiacciò la sigaretta come se avesse voluto schiacciare<br />

un insetto repellente.<br />

– Neanche una di quelle puttane che fanno concorsi di<br />

bellezza, caro sindaco, e si agitano davanti alle telecamere<br />

vengono trattate come puttane. A loro danno premi perché<br />

hanno un bel culo, le illudono di essere delle signore e<br />

le convincono che per essere una dama basti profumarsela<br />

come una cosa rara. Ptea è una dea e se non è una dea,<br />

comunque, è una cosa perfetta. Le hai viste, no, le foto<br />

sott’acqua… Perfetta. Qualche giornale lo ha chiamato<br />

Ptea’s day… Te li immagini quelli che l’hanno concepita?<br />

Te li immagini se sentissero una cosa del genere? Dovremmo<br />

essere tutti ingoiati in una voragine… – e ripeteva arrabbiato,<br />

– Ptea’s day, Ptea’s day… sono pazzi…<br />

Il sindaco, Bartolomeo Basilico, era stato un compagno<br />

di classe di Battistino, uno che non aveva propensione a<br />

nulla e perciò faceva il sindaco e aveva smesso di fare il<br />

medico. Era di sangue buono e chi fosse Ptea, da dove ve-<br />

275


niva, come era stata trovata lo sapeva. Ma di come si doveva<br />

presentarla al mondo non aveva un’idea precisa perché<br />

idee precise non voleva averne, lo disturbavano e gli mettevano<br />

inquietudine addosso: le avrebbe dovute spiegare<br />

e difendere. Comunque, insomma, lui sapeva che era una<br />

statua e come statua bisognava presentarla.<br />

– Battistino, non chiamarmi signor sindaco. Ascolta:<br />

c’è la televisione di mezzo mondo, giornali… Non dormo<br />

da una settimana… È diventata una questione…<br />

– Non usare quella parola!<br />

– Quale parola?<br />

– Mediatica! Tu stavi per dire mediatica.<br />

– Smettila di brontolare. Sei proprio un signorino di<br />

Epipanormo, un vero signorino. Sì, io stavo per dire che<br />

questa è una cosa mediatica, anzi, multimediatica. Ascolta,<br />

quella storia dei respiri e di Gracchini non l’abbiamo<br />

raccontata ma verrà fuori e Epipanormo diventerà la città<br />

dei fantasmi. Il processo a Guglielmino Redenti, tu e Enrico<br />

coinvolti… Ptea serve a tutti, sarà una medicina per<br />

tutti.<br />

Battistino si sedette e guardò il golfo dalla finestra del<br />

sindaco. Al centro del golfo, proprio nel punto geometrico<br />

e cartografico che il professor Foramini aveva indicato<br />

all’avvocato Araceli, c’era un groviglio di navi, barche e<br />

ogni mezzo capace di stare a galla. Si vedevano le barche<br />

della polizia che presidiavano un quadrato azzurro di mare<br />

e in mezzo al quadrato una bella barcona verde con una<br />

gru.<br />

– Bartolomeo, io sono aggressivo, nervoso… in una parola<br />

non sto bene. Questa storia di Ptea mi rende felice<br />

però… Però… domani inizia il processo e ci sarà una<br />

276<br />

metà del mondo in aula a sperare che il profumo di pesche,<br />

il principe dei peschi infelici, Guglielmino, si presenti<br />

davanti al giudice. La dottoressa Paneangelico che si<br />

prepara l’accusa della sua vita e si conserva incontaminata…<br />

L’avvocato Petinicchio…<br />

– Petinicchio vi salverà. Ha salvato mezza giunta comunale<br />

e salverà anche voi.<br />

– Può darsi. Cosa ci vuole a dimostrare che noi non c’entriamo<br />

niente con gli omicidi di Medina Xaxa, di Egeico<br />

Lago e di Tebe Mistrè? Nulla ci vuole. Comunque, torniamo<br />

a Ptea. Salvala, Bartolomeo, salvala dalle zanne di tutti<br />

questi sfaccendati che se la vogliono divorare, che la vogliono<br />

sputtanare come una troia biblica. Rinchiudila.<br />

– Non posso.<br />

– Chiudila almeno in una protezione che non ci arrivino<br />

mani con le unghie da predatori. Gente che se ne porterebbe<br />

un pezzetto a casa da mettere insieme al carillon e<br />

alla bambola vestita di tulle.<br />

– La metteremo nel salone delle udienze alla Porta Vecchia.<br />

– Lontana dalle mani e anche dagli occhi della gente.<br />

Gli occhi sono peggio delle mani, hanno ancora meno pudore<br />

delle mani, guardano dappertutto e non c’è legge<br />

che glielo impedisca.<br />

Bartolomeo aveva anche lui una faccia che arrivava da<br />

lontano, non era una faccia qualunque, aveva in viso qualcosa<br />

di marinaro che gli conferiva la calma e il distacco con<br />

cui affrontava le sedute noiose e i consiglieri petulanti.<br />

– Senti, Battistino, quando l’avvocato Araceli mi ha rivelato<br />

i fatti, difficili da credere, di questa ragazza di<br />

bronzo che è tanto bella da far dimenticare la sofferenza e<br />

277


perfino la morte, così ha detto lui, io non ci ho creduto.<br />

Però mandare una nave e un subacqueo non mi è costato<br />

nulla, l’avvocato è un uomo stimato a Epipanormo come<br />

a Talattone. Così, quando il subacqueo è riemerso e si è<br />

tolto la maschera aveva, l’hanno testimoniato tutti, lo<br />

sguardo ebete dell’innamorato… E la stessa espressione<br />

ha preso tutti quelli che hanno visto le fotografie fatte<br />

sott’acqua. Saranno gli occhi di lapislazzuli, non lo so. Mi<br />

hanno detto che ha gli occhi azzurri e che la curva dei fianchi…<br />

La segretaria del sindaco entrò, lasciò fogli sul tavolo e<br />

un odore che a Battistino sembrò nauseante e pensò alla<br />

grazia di Ptea che non aveva bisogno di nulla.<br />

– … Questa ragazza, Ptea, dico, ha protetto la città, ha<br />

protetto noi… Chissà come è finita là sotto… Magari durante<br />

una tempesta l’hanno buttata giù per alleggerire la<br />

nave… Poi magari sono tornati e non l’hanno trovata<br />

più… Ptea, però, ha continuato a produrre tanta forza<br />

che noi siamo ancora qui… senza bisogno di tingersi le<br />

labbra di viola come la tua segretaria.<br />

Bartolomeo guardò il quadrato in acqua e quanto era<br />

azzurro il golfo. Qualcosa di celeste era uscito da sott’acqua<br />

da quel punto del golfo e si era sparso intorno sino a<br />

Epipanormo e aveva toccato sotto la pelle, in fondo, tutti<br />

quelli che dalla città avevano preso forma, colore e consuetudini.<br />

L’avevano proprio sentita in ogni angolo di sé -<br />

anche il più sperduto - questa forza che arrivava da Ptea.<br />

Persino Bartolomeo faceva discorsi delicati.<br />

Battistino aveva perso molti gradi della sua acidità che<br />

se n’erano volati via. E la bella giornata luccicante era diventata<br />

ancora più bella perché a mezzogiorno una rete<br />

278<br />

elastica con la quale stavano imbragando Ptea doveva essere<br />

tirata su.<br />

I pesci del golfo erano dispiaciuti e stavano intorno al<br />

quadrato che le vedette della polizia proteggevano. Un<br />

grande dentice di stirpe reale decise di morire facendosi<br />

tirare a galla con Ptea e si intrufolò nella rete. Gli altri<br />

guardavano da lontano e stavano zitti come in chiesa.<br />

L’avvocato Francesco Araceli se n’era rimasto in studio<br />

insieme all’etereo Foramini il quale, dopo una riunione<br />

con gli altri ultimi respiri, aveva scritto un memoriale. Ora<br />

tutt’e due erano seduti in veranda e guardavano col binocolo,<br />

scambiandoselo di continuo, verso il centro del<br />

golfo dove il professor Oreste Foramini aveva ritrovato<br />

tanti anni prima la statua marina.<br />

Si era sentito un semidio, smilzo ma semidio, quando<br />

l’aveva vista la prima volta sott’acqua. Aveva trentacinque<br />

anni e aveva creduto di essere il custode della grazia che<br />

adesso, dopo morto, era stato costretto a rivelare per far<br />

comprendere che loro, gli ultimi respiri, erano respiri<br />

buoni e gentili perché discendevano dai fondatori di Epipanormo.<br />

Anche lui, come il dentice, era innamorato di<br />

Ptea e tante volte l’aveva accarezzata dappertutto sott’acqua,<br />

l’aveva ripulita - anche nelle parti più delicate - dalle<br />

incrostazioni, dai licheni e dai coralli. Perciò ne aveva preso<br />

possesso con delicatezza, rispetto e, si poteva dire,<br />

amore. E non aveva fatto, come tanti altri maschi, il prepotente.<br />

Ce ne aveva messo di tempo prima di toccarle i<br />

capezzoli che andavano dritti verso il cielo, da dove erano<br />

precipitati molto tempo prima.<br />

279


L’avvocato Araceli aveva disteso alla brezza le sue grandi<br />

sopracciglia che ora, finalmente, erano serene e calmavano<br />

anche il suo cliente la cui consistenza dipendeva dalla<br />

salute della statua di Ptea e dai segnali che gli arrivavano<br />

dalle sopracciglia di Araceli.<br />

* * *<br />

Guglielmino teneva gli occhi chiusi e aveva scelto, per la<br />

giornata di Ptea, la forma congenita del bel ragazzo: pallido<br />

ma con le guance rosse. Aveva scelto anche il punto<br />

della città alta da dove guardare la nascita della dea, la seconda<br />

nascita visto che la prima era avvenuta in una fonderia<br />

di bronzo più calda dei grembi che avevano messo al<br />

mondo lui, suo nipote e tanta altra gente della città. Un<br />

solo grembo aveva raggiunto, e una volta sola, la temperatura<br />

di fusione: quello della sua Medina, ed era successo<br />

tutto quello che era successo.<br />

Se ne stava col mento appoggiato nel palmo della mano<br />

aspettando la giovane Ptea che avrebbe rimesso le cose in<br />

ordine ristabilendo l’inizio. E proprio all’inizio pensava e<br />

pensava.<br />

* * *<br />

Enrico aveva paura di vedere.<br />

Non c’è cosa che un occhio umano non può reggere.<br />

L’occhio - come era fatto glielo aveva spiegato la professoressa<br />

Rampinetti che insegnava biologia - vede e guarda<br />

morti e sangue. Regge, regge qualsiasi cosa guarda. Magari<br />

si gira da un’altra parte, si ammala, però regge. C’è inve-<br />

280<br />

ce qualcosa che alle volte dentro gli occhi non ci sta tutta:<br />

la bellezza. Quando arriva la bellezza, si chiede aiuto ad<br />

altre parti del corpo. Così le bocche diventano tonde per<br />

lo stupore, più tonde degli occhi, e vengono fuori suoni<br />

primitivi, non parole, ché per decenza si sta zitti: non ce<br />

n’è parole per l’incomprensibile complessità delle cose.<br />

Ma è inutile. Tanto le mosche incominciano a cercarci da<br />

vivi perché sanno che siamo naturali come gli altri resti sui<br />

quali si posano, uguali, proprio uguali per loro. Perciò i<br />

nostri occhi conoscendo la pasta di cui siamo fatti, vedendo<br />

intorno un unico grande pastone che fermenta, sopportano<br />

la vista di qualsiasi cosa ma da soli non ce la fanno,<br />

con la bellezza.<br />

Tutto questo passava nella testa di Enrico che aspettava<br />

di vedere, sporgendosi dalla nave della sovrintendenza, le<br />

forme e l’essenza di Ptea che l’avrebbe dovuto consolare<br />

di un mucchio di pensieri.<br />

Era proprio così… che quando la bellezza era troppa lui<br />

non ce la faceva a guardarla, non reggeva… Per esempio<br />

Melania… Non ce l’aveva mai fatta del tutto neppure con<br />

Melania…<br />

* * *<br />

Glauco Glicerio usciva dalla farmacia dove aveva comprato<br />

il collirio per il suo occhio metaforico.<br />

Anche lui andava verso il pezzo di mare costruito intorno<br />

a Ptea come una tonnara. L’occhio si lamentava, gemeva<br />

e Glicerio aveva già messo le nuove gocce all’eufrasia.<br />

Questa uscita di Ptea dalle acque era la vera causa profonda<br />

della nuova eruzione nell’occhio del commissario.<br />

281


Non riusciva a mettere insieme le cose. Troppe cose, avvenimenti,<br />

fatti, troppo grandi, troppo numerosi e, alla fine,<br />

indecifrabili e lui non riusciva a prendere le misure né<br />

poliziesche né fantastiche a tutto quello che succedeva.<br />

Eppure lo sapeva che le cose sono tutte collegate, magari<br />

da fili microscopici e senza colori di riconoscimento,<br />

oppure da un odore impercettibile. Il profumo alla pesca<br />

era stato una traccia troppo grande e altre così non ne<br />

avrebbe mai più trovato.<br />

Adesso, questa storia di Ptea.<br />

Ogni cosa cambiava intorno. Si poteva pensare che era<br />

merito della dea che stava per venire fuori dalle acque.<br />

Una faccenda esagerata… troppo, troppo… Ci pensava e<br />

ripensava.<br />

Che cielo alto e che silenzio a Epipanormo: tutti al porto<br />

quella mattina.<br />

La macchina gialla della polizia non gli sembrava la solita<br />

macchina. E le voci che gli arrivavano dalla radio non<br />

suonavano di metallo come sempre e non avevano più<br />

l’accento abituale. Neppure l’asfalto non appariva più del<br />

grigio solito. E il distributore di benzina non aveva più la<br />

forma orribile delle altre volte. Tutto si era ripreso una<br />

forma che superava i ricordi e arrivava da vie del sangue<br />

che neppure l’alambicco più fine può analizzare e Glicerio<br />

sentiva una barcarola e un canto che veniva dall’acqua,<br />

però lo sapeva che era il fornello della tiroide che gli<br />

dava alla testa.<br />

Insomma, Glicerio non capiva i fatti che accadevano.<br />

L’odore di pesca e la quintessenza di Guglielmino Redenti,<br />

Enrico Ricasoli, Battistino Mattiolo, Medina e quel naso<br />

meraviglioso, Melania Lampreda che quando appari-<br />

282<br />

va con tutta la bellezza che spargeva dappertutto gli arrossava<br />

l’occhio all’inverosimile, tutti quegli assassinati<br />

che con l’armonia non avevano a che fare, il piemme Paneangelico,<br />

la follia giuridica di Petinicchio che però un<br />

po’ di genio la conteneva, anche se Glicerio ricordava<br />

sempre la zia zitella che, siccome lui non studiava, gli diceva<br />

che quando tutto sarebbe stato perduto almeno l’avvocato<br />

avrebbe potuto farlo… Gracchini e gli ultimi respiri<br />

accusati anche loro. Aveva persino ricevuto una lettera<br />

dal Presidente degli Ultimi Respiri. Avrebbero girato<br />

- a dimostrazione della loro bontà d’animo - per sempre<br />

nella città alta e in quella bassa per proteggerla anche se<br />

la protezione vera, quella grande e perpetua, era compito<br />

assegnato a Ptea. Loro sarebbero stati i soldatini di Ptea,<br />

non di piombo ma di una materia molto più lieve e quasi<br />

trasparente. I respiri si trasformavano in queste folate<br />

dolci che davano brividi al golfo.<br />

283


Uno splendore, un raggio, un lampo che accecava: la<br />

targa di Petinicchio brillava più di tutte.<br />

Intorno al Palazzo targhe lucenti d’avvocati ce n’erano<br />

tante e intorno alle targhe gravitavano dolori ancora più<br />

numerosi e pesanti delle targhe. Comunque, le targhe<br />

splendevano.<br />

Giovani a centinaia, più lucidi delle targhe, ogni mattina<br />

col vestito della domenica, borse voluminose e carta,<br />

carta che bruciava foreste ogni giorno, apprendevano la<br />

professione a Palazzo.<br />

Nessuna targa, né a Epipanormo, e ancora meno a Talattone<br />

dove tutto si ossidava più in fretta, produceva luce<br />

come quella di Petinicchio.<br />

Amoracchio, a giorni alterni, lucidava l’insegna dell’avvocato<br />

e aveva l’ordine di contare i riflessi. Più erano e<br />

meglio era.<br />

Oggi inizia il processo. Tutti puliti, lavati, sbarbati e<br />

profumati come a un matrimonio. Bisogna entrarci puliti<br />

e uscirne più puliti.<br />

Petinicchio - sempre uguale, in divisa nera - diceva che<br />

285


processo è il participio passato di procedere e che il sostantivo<br />

era procedura. Procediamo! gridava ai suoi assistiti<br />

che si ritraevano spaventati.<br />

Il raptus di Petinicchio era la sua morfina. Ma nella inestricabile<br />

ragnatela di interessi che neppure tre generazioni<br />

avrebbero risolto - aveva due figli venuti al mondo nerovestiti<br />

e con le scarpe di gomma nere - lui riusciva ancora<br />

a fare distinzioni fondamentali.<br />

Usava la percezione e l’istinto e a un certo punto dei<br />

processi - lo sapevano tutti - lui non pensava più, non utilizzava<br />

la ragione e utilizzava, invece, una sua specifica bestiale<br />

ottusità. Sosteneva che in un dato momento il pensiero<br />

diventava un danno irreversibile che avrebbe potuto<br />

segnare la vita sua e dei suoi assistiti. Ma quel momento, il<br />

momento nel quale bisogna smettere di pensare, era necessario,<br />

vitale saperlo riconoscere, sennò tutto sarebbe<br />

finito in rovina.<br />

Alle sette del mattino si sbarbava e leggeva i giornali<br />

che Amoracchio gli sfogliava in piedi vicino al lavandino.<br />

Era una mattina di quelle belle di Epipanormo, una giornata<br />

grande e azzurra.<br />

L’emozione gladiatoria che gli prudeva addosso lo faceva<br />

sentire perfino bello. Curò i particolari - lui che pensava<br />

sempre all’effetto complessivo - e si fece spuntare i capelli<br />

tinti da un suo assistito barbiere che lo pagava con tagli<br />

accurati.<br />

Quando vide il Palazzo, sentì l’eccitazione del cantante,<br />

del concertista, dell’attore e del torero tutte insieme. Affilò<br />

la suola delle scarpe di gomma, iniziò la scalinata del<br />

Palazzo e incominciò, sotto il sole, a stringere mani e ma-<br />

286<br />

ni. Mani ossute, molli, umide, troppo pieghevoli, bianche,<br />

pelose, mani di ogni tipo.<br />

Ne strinse una che, però, non riuscì a percepire - non<br />

fece in tempo a vedere di chi era - e gli lasciò un odore di<br />

pesca che lo fece vacillare.<br />

Il pesco, il pesco!<br />

Si guardò intorno. No, nessuno: sempre le stesse facce,<br />

a centinaia. Avanti, andare avanti… lui difendeva anche il<br />

fantasma… Che si facesse vedere!<br />

Entrò nell’androne e non strinse nessuna mano perché<br />

continuava a odorare la sua che sapeva di pesca, proprio<br />

di pesca.<br />

* * *<br />

Il giudice Domenico Favonio. Si torceva un orecchio<br />

come se avesse dovuto dare la corda al cervello e si teneva<br />

il pizzo diviso in due parti, una parte per ciascuno dei due<br />

che stavano ai suoi lati, un giudice scolorito e il cancelliere,<br />

i quali sembravano esistere perché esisteva quel pizzo<br />

che li indicava:<br />

– Dottoressa Paneangelico, basta, basta con i presupposti.<br />

Questo non è un processo di presupposti. Tutto quello<br />

che normalmente un giudice presuppone qua salta… è<br />

già saltato. Qua è saltata la normalità e quindi non c’è una<br />

norma… e senza norme, dalle quali deriva la normalità<br />

oppure è il contrario… senza norme, cosa ci stiamo a fare?<br />

La procura generale un suo parere su questo processo<br />

lo ha già dato… Non è nel mio, diciamo, umore, nelle mie<br />

corde… ma io sono ligio e obbedisco. Dobbiamo trattare<br />

un fantasma come un essere, d’accordo, lo trattiamo co-<br />

287


me un essere… Ma, dottoressa Paneangelico, mi risparmi<br />

i presupposti, li ho già letti…<br />

– E non li condivide, signor giudice… Lo so e lo sento…<br />

– Questo non ha nessuna rilevanza. Dal momento in cui<br />

sono entrato in aula la contumacia del Redenti Guglielmino<br />

e la presenza del Foramini Oreste hanno un valore che<br />

dà sostanza e quintessenza al processo. Insomma, in tutti i<br />

casi, le chiedo di finirla con i presupposti… Oltretutto<br />

presupposti è una parola che non mi è mai piaciuta.<br />

Poi il dottor Favonio smise di torturare le orecchie e iniziò<br />

a leggere. Guardava ogni tanto verso Petinicchio - temeva<br />

la sua polvere ma Petinicchio aveva le polveri un po’<br />

inumidite dalle gocce distillate da un pesco - e poi guardava<br />

verso Araceli che aveva le sopracciglia ottimiste e spiegate<br />

come vele al vento. Guardò anche le facce in aula.<br />

Ben distinte restavano le due razze endogene di Epipanormo<br />

e Talattone.<br />

Nel tavolo a sinistra, dove sedevano anche Enrico e Battistino,<br />

c’era un’aria di tristezza che il giudice apprezzò.<br />

Era giusto che due imputati, soprattutto due imputati di<br />

concorso in omicidio, avessero addosso una tristezza tale<br />

che la si poteva vedere.<br />

Battistino disse sottovoce:<br />

– Enrico, guarda il pizzetto del giudice, diviso in mezzo<br />

col pettine. Un pennello diviso in due. Ci deve avere pensato<br />

a lungo e, se lo porta, vuol dire che trova che gli stia<br />

bene. Questo è un matto… a noi ci dovrà giudicare un<br />

matto… Un pizzo diviso in due parti uguali… la bilancia<br />

della giustizia uguale per tutti ma non per un fantasma.<br />

Enrico era rifugiato nel vestito buono e nell’odore vicino<br />

di Melania:<br />

288<br />

– Senti, io sono disperato, disperato… Non riesco neppure<br />

a immaginare cosa può succedere… Non so dove sono<br />

e non capisco perché sono qua io con te affianco… E<br />

tu mi parli del pizzetto del giudice…<br />

– L’aspetto dice quasi tutto… Questo tizio è una caricatura<br />

e noi siamo in sue mani… L’aspetto di Petinicchio<br />

non corrisponde a Petinicchio? E quello dell’avvocato<br />

dei sospiri non ti fa pensare a un uomo saggio e stagionato<br />

che dà buoni consigli? E la giuria… li hai visti? E il nostro<br />

aspetto? Il nostro non è un aspetto da persone tristi?<br />

– Disperate.<br />

– Comunque l’aspetto e soprattutto la faccia di una<br />

persona…<br />

Petinicchio li guardò e, a scopo sedativo, senza malizia,<br />

gli spruzzò addosso un poco di polvere e loro si rincantucciarono,<br />

si piegarono, appiattirono le onde del dolore,<br />

abbassarono il mento e stettero zitti.<br />

Al tavolo vicino, Foramini era sereno come il cielo di<br />

Epipanormo ma pieno di pensieri che lo attraversavano<br />

da parte a parte e facevano qualche nuvoletta. Quel tiranno<br />

di Gracchini li aveva imprigionati per tenersi memorie<br />

e forza… Ma da dove era arrivato l’astio misantropico dei<br />

Gracchini? Di sicuro da qualche anima nera di Talattone<br />

che aveva abitato per secoli abusivamente nella città alta,<br />

di sicuro, sicuro.<br />

289


Per il caso di Guglielmino Redenti la varietà delle facce<br />

abituali in aula era stata sostituita da una varietà che faceva<br />

pensare alla natura stanca, sfinita dall’incommensurabile<br />

assortimento di fisionomie che aveva prodotto e che,<br />

come le note musicali, aveva superato ogni possibilità di<br />

ricombinarsi in un modo originale. A vedere tutti quei visi<br />

sembrava che le razze interne di Epipanormo e Talattone<br />

avessero smesso di produrre novità genetiche e aspettassero<br />

un angelo cromosomico che li doveva salvare.<br />

Sul tetto del Palazzo, steso alla luce, se ne stava Guglielmino.<br />

– Contumace? – chiese il giudice Domenico Favonio<br />

questa volta torcendo la punta destra del pizzo senza che<br />

nessuno sapesse dare un significato alla scelta sbilanciata,<br />

visto che il pizzo aveva la stessa funzione della bilancia<br />

scolpita nel marmo sopra Favonio.<br />

La dottoressa Maria Nives Paneangelico era bianca,<br />

purgata e casta da molte settimane perché si era convinta<br />

che la purezza derivata dall’astinenza le avrebbe fatto da<br />

corazza oppure l’avrebbe resa invulnerabile. Si era astenuta<br />

anche dalla carne, dalle uova, dal latte e dal formaggio<br />

che oggi, per la tensione, la tentavano molto.<br />

291


– Lei sa già, signor giudice, che l’imputato Guglielmino<br />

Redenti non è presente a questo processo. Ne discende<br />

che è un contumace. E che questo è un processo a un<br />

contumace.<br />

Aveva una voce ispirata che non fece piacere a Favonio:<br />

– Dottoressa, lo so, lo so cosa è un contumace. Ho chiesto<br />

solo perché venisse verbalizzato e non perché desideravo<br />

spiegazioni sul significato di contumace. Continui,<br />

continui ma se le fosse possibile utilizzare un tono meno,<br />

diciamo, didattico, ne sarei lieto. Cancelliere Rumoretti,<br />

scriva chiaro contumace e che non se ne parli più, almeno<br />

durante questo processo.<br />

Le sopracciglia di Araceli sussultarono. E il suo cliente?<br />

L’istinto processuale è, appunto, un istinto e non segue<br />

le vie tutte curve del ragionamento ma sente, piuttosto, la<br />

direzione e la via della procedura la quale è un pachiderma<br />

lento, magari armonico ma preistorico ed esiste, come<br />

tra gli animali, prima del ragionamento.<br />

Araceli questo istinto lo possedeva.<br />

Le sue sopracciglia avevano sussultato: Contumace!<br />

Foramini era presente… un composto del verbo essere<br />

oppure, in quanto ultimo respiro, lo si poteva considerare<br />

anche lui un essere contumace? Le cose cambiavano sostanzialmente:<br />

presente o contumace.<br />

Guardò il suo difeso che era una via di mezzo tra la sostanza<br />

e tutto quello che, invece, non si sa definire e neppure<br />

pensare. Si rese conto che non riusciva a concepire<br />

nulla che non fosse sostanza. Però questa era un’altra faccenda<br />

e poi ce n’erano cose che non riusciva a concepire.<br />

Concepire. Lui non doveva concepire. Foramini, qualsiasi<br />

cosa fosse, per quanto incomprensibile fosse, era do-<br />

292<br />

tato di una morale. Voleva essere giudicato e assolto perché<br />

aveva un’aspirazione ascrivibile, anche dal cancelliere<br />

Rumoretti, al campo fiorito della morale e quindi della<br />

legge. Foramini era soave non solo perché aveva risolto il<br />

problema del trapasso lasciandolo sospeso, ma perché il<br />

suo buon nome, il ricordo, era in mano al suo avvocato<br />

anche ora che lui era un’apparizione che, però, giuridicamente<br />

era protetta e, soprattutto, contemplata da codici<br />

contemplativi.<br />

Con una sola mossa delle sopracciglia l’avvocato Araceli<br />

attirò in un baleno l’attenzione di tutti.<br />

Ogni faccia, di ogni forma, colorito e sesso si voltò verso<br />

di lui. Ci fu silenzio, si spensero le voci e si accesero molti<br />

registratori:<br />

– Signor giudice, non so come fare ad essere breve.<br />

Domenico Favonio si allargò la cinghia dei pantaloni e,<br />

siccome nessuno vedeva la metà sotto la tribuna, si tolse<br />

le scarpe. Fece un gesto per dire che era lì ad ascoltare.<br />

Le sopracciglia di Araceli diventarono padrone di tutti<br />

e tutti le guardavano:<br />

– Il professor Oreste Foramini è morto, deceduto, trapassato,<br />

defunto in una sera di settembre di otto anni fa…<br />

Lui stesso mi ha raccontato che tornava a casa a piedi come<br />

ogni sera - camminava un’ora la mattina, un’ora la sera,<br />

non fumava ed era parco a tavola, però non è bastato -<br />

e che, mentre guardava il tramonto verso capo Pentimele,<br />

ha sentito la zampa del dolore in mezzo al torace, il cielo si<br />

è fatto a pezzettini… Lui si è spaventato, ha fatto in tempo<br />

a pensare che quella era la sua fine, lo hanno portato in<br />

ospedale perché avesse una morte moderna e progredi-<br />

293


ta… E lì, in effetti, è passato ad un’altra esistenza, in modo<br />

agile, pulito e senza volgarità. Lui stesso mi ha detto di<br />

essersi sentito un morto dei nostri tempi. Però là, proprio<br />

mentre boccheggiava, ha trovato un uomo che, per una<br />

predisposizione caratteriale al furto nelle sue forme più<br />

oscure, rubava al morente - ficcandogli un fiasco in bocca<br />

- l’ultimo respiro… E così Foramini, a cinquantaquattro<br />

anni, è defunto ma non si è estinto… È morto ma non è<br />

scomparso… Contraddicendo tutti i necrologi che allora<br />

apparvero. Lui è rimasto in una bottiglia, ma in una forma<br />

incomprensibile e che non è mia possibilità comprendere…<br />

Fece una pausa:<br />

– Ma d’altronde, non è nelle mie capacità comprendere<br />

la forma nella quale esisto io stesso e tutti noi qua dentro e<br />

fuori di qui.<br />

Le sopracciglia si aprirono come mai si erano aperte:<br />

– Una fisionomia dobbiamo dargliela al professor Foramini<br />

perché lui la chiede e se lui lo domanda bisogna accettarlo<br />

in questo mondo e se lo accettiamo dobbiamo<br />

dargli un riconoscimento - per esempio abbiamo già ammesso<br />

di riconoscerlo per nome e cognome - un riconoscimento<br />

che gli valga consistenza se non fisica e materiale,<br />

almeno giuridica. E se questa sostanziale configurazione,<br />

che gli attribuisce anche tutte le categorie della morale<br />

ammesse nella nostra specie, è lui a domandarcela… se ce<br />

la chiede lui stesso, in qualità diciamo di contromateria…<br />

beh, allora qua, senza bisogno di riconsiderare e ribaltare<br />

la filosofia del diritto, il professor Foramini è accettato tra<br />

le entità che hanno diritto a leggi e giustizia.<br />

Araceli sudava perché stava creando idee incerte, fati-<br />

294<br />

cava e aveva paura perché non sapeva dove le idee sarebbero<br />

andate a conficcarsi:<br />

- E poi… e poi il respiro, se è tale, non è una delle<br />

espressioni più alte e complesse dell’esistere? Il Respiro<br />

è… sussiste…<br />

Il giudice Favonio annotava dei pensieri, smise e<br />

guardò il difensore dei Respiri:<br />

– Avvocato Araceli, non sta bene?<br />

– Sa come mi sento?<br />

– Non lo so… non si capisce a guardarla…<br />

– Mi sento davanti al sovrumano… Ma ne riparleremo,<br />

giudice, ne riparleremo. Ora devo pensare al mio difeso…<br />

anche se non capisco…<br />

Tutta la varietà delle facce in aula, previste dalla natura e<br />

qualcuna anche non prevista, aveva gli occhi bagnati dalle<br />

lacrime.<br />

Il piemme Paneangelico sentiva addosso un formicolio<br />

che castità e astinenza rendevano quasi un piacere iniziale<br />

che lei presentiva come un peccato molto grande… sentì<br />

un suono di cornamuse e una voce d’uomo che invocava<br />

Nives Nives…<br />

Petinicchio si sporse per intero oltre il tavolo attratto<br />

dai sentimenti che Araceli spargeva intorno. Enrico e Battistino<br />

non riuscivano a sopportare tutta l’emozione che<br />

ora arrivava da questo piccolo e inconsistente ultimo respiro<br />

sopravvissuto. L’infinito addolorava Enrico sino allo<br />

svenimento e indispettiva Battistino.<br />

Araceli era elegiaco:<br />

– A Epipanormo e Talattone molti conoscevano Alberico<br />

Gracchini. Egli viveva come un eremita che odiava i vivi,<br />

un misantropo, un uomo abbandonato per l’orrore fi-<br />

295


sico e biologico dalla moglie, un carnivoro al quale i frati<br />

mercenari di un convento dove lui era un solvente, uno<br />

che pagava, lo cibavano, gli fornivano aria e uno scarico.<br />

Ho visto la cella dove lui viveva come una cozza gigante<br />

filtrando porcherie. La luce non gli serviva.<br />

Tutto il carnevale di facce ondeggiò.<br />

– Conservava una reliquia orribile: ricordi orribili e respiri.<br />

Respiri… ultimi respiri di uomini che sceglieva onesti<br />

e probi, ultimi respiri di brava gente… Diceva che erano<br />

meglio delle vitamine e che gli allungavano la vita…<br />

Le facce allargarono le orecchie che a centinaia, per l’interesse,<br />

diventarono rosse.<br />

– Voleva acchiappare la forza della città. Voleva l’energia<br />

che è sempre in viaggio. Ma l’energia, se la si accumula,<br />

supera quella di chi la conserva e lo schiaccia. Foramini<br />

e i suoi amici non ce la facevano più a stare chiusi in una<br />

bottiglia… Alberico Gracchini li aveva indeboliti con un<br />

trucco semplice: ciascuno imprigionato in una bottiglia<br />

non ce la poteva fare da solo. Magari una bottiglia ogni<br />

tanto si rompeva, un respiro scappava, si avventava su<br />

Gracchini ma lui con un gesto, come si fa con una mosca,<br />

lo scacciava e non ci pensava più. Ne aveva una provvista<br />

così grande di bottiglie con i respiri che non si doveva<br />

preoccupare del futuro… Ma qualcosa è accaduto… Una<br />

cosa, una forza, un’energia che lo ha vinto… Incomprensibile…<br />

Gracchini è diventato di colpo quello che era.<br />

Una specie di vecchio in salamoia… Per conservarlo non<br />

c’era bisogno dei respiri, bastava acqua e sale. L’aspetto e<br />

la sostanza sarebbero stati uguali… Qualcosa di più sovrumano<br />

dei respiri lo ha rinchiuso in una damigiana e ha<br />

liberato gli spiriti in bottiglia…<br />

296<br />

Sovrumano.<br />

– … Super umano, sopra di noi… qualcuno che è diventato<br />

gente…<br />

Favonio si agitò e separò al massimo le due punte del<br />

suo pizzo forense:<br />

– Gente? Cosa intende per gente, avvocato Araceli…<br />

eravamo nella metafisica… mi stavo distendendo e lei mi<br />

riporta al processo, alle cose… – Il giudice china il capo e<br />

pensa che lui non ne vuole più sapere di condanne, di leggi<br />

e di responsabilità… Ha cinquantacinque anni… Ha<br />

diritto a starsene in pace… vuole pace e tutta questa trascendenza<br />

gli va a genio, lo allontana dalla terra e da questa<br />

maledetta aula dove i fatti e la materia vengono sottoposti<br />

al suo giudizio… Finalmente qualcosa di diverso anche<br />

se non sa di cosa si tratta… Lui una forma a questo<br />

fantasma non riesce a dargliela e neppure se lo immagina<br />

come si costituisce Guglielmino Redenti quando prende<br />

la sostanza di un profumo e, addirittura, il peso e i sensi di<br />

un corpo.<br />

297


VIII<br />

Sovrumano.<br />

Il grande quadrato nero di ardesia al centro dell’aula segnava<br />

l’ora attraverso un cono di luce che arriva da un abbaino<br />

del soffitto a volta.<br />

Questa lastra di pietra esisteva prima del palazzo e, secondo<br />

il defunto studioso inutile Egeico Lago, il palazzo<br />

le era stato costruito intorno.<br />

Nessuno ci camminava mai sopra, né giudici, né avvocati,<br />

né imputati. Un’area sacra.<br />

Forse, aveva scritto Egeico Lago nell’almanacco della<br />

città, era stata una lastra dei sacrifici e molti capretti erano<br />

stati sgozzati proprio lì. E, forse, sempre secondo Egeico,<br />

là erano stati sacrificati anche bambini che gridavano<br />

più dei capretti. Il sangue, di capretto, di bambino o di<br />

donna, non aveva macchiato la pietra. Però qualcosa era<br />

rimasto.<br />

Si sapeva - e questo era certo perché sulla pietra lo si vedeva<br />

inciso - che cinquecento anni prima, il tribunale dei<br />

gesuiti aveva condotto al ceppo qualche strega di Talattone<br />

e là era stata decapitata. Su questa lastra era stata trascinata<br />

anche una donna santa alla quale era stato tagliato<br />

un dito per punizione e le era ricresciuto, per miracolo,<br />

un dito a forma di croce.<br />

299


Ma neppure Egeico aveva capito cosa erano quei graffiti<br />

più antichi e consumati che univano punti incerti con linee<br />

incerte sull’ardesia screpolata.<br />

La dottoressa Paneangelico aspetta l’ora giusta - per lei<br />

l’ora giusta è quando il sole è alto - e sceglie un angolo dell’aula<br />

vicino a una finestra aperta, da dove arriva l’aria purificata<br />

e curativa della città alta, per proteggersi dalle polveri<br />

mortificanti di Petinicchio. Vorrebbe essere ancora<br />

più bianca e più astinente per essere ascoltata e creduta:<br />

– Guglielmino Redenti lega e collega tutte le cose, gli avvenimenti,<br />

i fatti… Sì, lui tiene insieme i fatti…<br />

Qualcuno a quest’ora ha fame in aula ma nessuno se ne<br />

va. Paneangelico si aureola d’oro, guarda in alto:<br />

– Noi non siamo qua a spiegare l’Eternità. Ma ci è data,<br />

per un disegno divino, fatemi usare la parola divino, ci è<br />

data la possibilità di un contatto con l’Eternità che, anch’essa,<br />

rispetta la legge e si presenta al suo cospetto. Di<br />

Eternità sentiamo l’odore appena nominiamo il Redenti<br />

Guglielmino, quando ne riconosciamo l’essere e l’esistere,<br />

quando ammettiamo che egli sia capace di assumere<br />

una consistenza simile alla materia. Una materia che prende<br />

forma di profumo ed esercita una forza che ha determinato<br />

la morte orribile di esseri umani.<br />

L’aureola dorata della dottoressa diventa densa e spessa:<br />

– L’intervento del Redenti Guglielmino…<br />

Un boato, un tuono. Ognuno in aula si avvicina all’altro,<br />

tutti i polsi suonano insieme e anche i polsi rimbombano.<br />

300<br />

Bello e pallido con un ramo in mano è apparso Guglielmino,<br />

proprio nel quadrato d’ardesia da dove arriva alle<br />

narici di tutti, più forte di ogni cosa, un avvincente odore<br />

di pesca.<br />

Sovrumano.<br />

Come un airone che cresce e prende un’apparenza completa<br />

solo quando apre le ali e produce il silenzio perfetto<br />

del volo, Guglielmino si è incarnato strato su strato sino<br />

ad assumere la forma del ragazzo bello e pallido, con le<br />

guance rosa, i capelli neri e un segno blu intorno al collo<br />

che solo quelli più vicini notano.<br />

Il paragone è apparso nelle teste di ogni forma di tutti.<br />

E teste ce n’erano.<br />

C’era bisogno del silenzio. Le centocinquanta persone<br />

dentro l’aula sentivano, proprio in quel momento, il naturale,<br />

primordiale bisogno del silenzio.<br />

Silenzio.<br />

Qualcuno sente ancora parole che gli girano per il cervello<br />

e scappa dall’aula per una nausea improvvisa, scappa,<br />

cerca un bagno e vomita.<br />

Silenzio.<br />

Inedite facce da nulla si trasformano in facce pensierose<br />

che, finalmente, qualcosa esprimono nel silenzio della<br />

nuova espressione. Respirano e ascoltano.<br />

Quelli che vivono della trama della parola parlata e del<br />

suo suono hanno sprecato le parole proprio attraverso il<br />

suono. Ora le parole si prendono il silenzio che normalmente<br />

le sostiene più del suono. Un silenzio, una parola,<br />

un silenzio, una parola, un silenzio.<br />

Enrico pensa che una parola adesso sarebbe rivoluzio-<br />

301


naria. Battistino che sarebbe un segno di forza. Melania<br />

ha gli occhi chiusi e sente un piacere che non sa neppure<br />

dove se lo sente. Glicerio prova quiete dentro il suo occhio<br />

meteorite. Tutti sentono lo spazio immenso e, forse,<br />

infinito dal quale arriva Guglielmino Redenti.<br />

Petinicchio sente bagnate le sue polveri paralizzanti da<br />

tutto questo silenzio per l’apparizione dell’eterno Guglielmino.<br />

È come se gli mancasse il suolo sotto i piedi e<br />

prova un’instabilità che neppure le sue aderenti scarpe<br />

gommate diminuiscono. Si tiene ai braccioli. Se la dimostrazione<br />

dell’eternità toglie l’unica forza di cui dispone è<br />

finita e tutto è finito. Il sovrumano non se ne fa nulla della<br />

sua polvere rallentante. È ovvio, pensa, lui ha bisogno di<br />

gente fragile e di nulla di eterno, gli serve sfuggire, sottrarre,<br />

aggirare, scivolare, deviare, disegnare linee incerte.<br />

Ecco cosa gli serve. E invece ecco qui, davanti a lui, la certezza<br />

e l’immutabile. Altro che polverina.<br />

Mentre Petinicchio riflette sulla fragilità del proprio lavoro,<br />

sente alle sue spalle:<br />

– (Avvocato, scusi, avvocato).<br />

Una modestia ottusa e un’intelligenza minima anche loro<br />

un colpo, una fuga in alto ce l’hanno. Così ricompare,<br />

dalle radici di Talattone - mezzo marce e mezzo fertili - il<br />

fisico spinoso del cardo Amoracchio questa volta pieno di<br />

orgoglio:<br />

– (Avvocato, sono qui fuori… Le ho scovate e le ho convinte<br />

a venire come da voi richiesto).<br />

Petinicchio è distratto dalla bellezza di Guglielmino:<br />

– Chi hai trovato? Chi?<br />

Amoracchio rinforza le parentesi:<br />

302<br />

– {Gli Ultimi Respiri ho trovato. Sono qua fuori e l’avvocato<br />

Araceli non lo sa. D’altronde sottolineo di non<br />

avere grandi meriti ma di avere semplicemente ottemperato<br />

ad una vostra richiesta}<br />

– Ottemperato? Amoracchio, tu dici ottemperato?<br />

– {Ottemperato. Confermo}<br />

Petinicchio guarda Enrico, Battistino e Melania.<br />

Gli Ultimi Respiri, in fondo, si devono difendere anche<br />

loro, pensa, e l’odore di pesca è stato trovato anche nella<br />

cella di Alberico Gracchini, l’odore aveva vinto sulla puzza<br />

dell’aria consumata dal vecchio sino a diventare un veleno.<br />

L’odore di pesca scagionava gli Ultimi Respiri i quali<br />

erano stati liberati da Guglielmino. E poi, quella faccenda<br />

che avevano ficcato il vecchio, fratturandolo qua e là, in<br />

una damigiana dopo averlo ammazzato era stata una punizione<br />

che nessuno, nella città alta e nella città bassa, aveva<br />

considerato esagerata. Ora gli Ultimi Respiri, i prigionieri<br />

di Gracchini, sono qua fuori accusati di omicidio e più innocenti<br />

di un Primo Respiro per quello che hanno patito.<br />

Petinicchio si avvicina a Araceli, gli bisbiglia all’orecchio<br />

la notizia. Le sopracciglia di Araceli saltano per aria<br />

sino alla volta dell’aula.<br />

I due avvocati si avvicinano al piemme Paneangelico, le<br />

parlano all’orecchio e lei ha come una folgorazione mistica,<br />

si spettina e ruota gli occhi in alto sino a che si vede solo<br />

il bianco. È una che ha le visioni e chissà cosa vede.<br />

Poi tutti e tre si avvicinano al giudice, parlottano e il pizzo<br />

di Favonio si elettrizza e si spaventa.<br />

Chiamano Amoracchio al banco e lui, davanti alla Giustizia,<br />

puntella le sue parentesi più che può:<br />

– [( Faccio entrare?)]<br />

303


Guglielmino aveva richiamato tutti al pensiero degli<br />

eterni giri e al silenzio.<br />

Gli Ultimi Respiri entrano in gruppo e la brezza dolce<br />

che portano dentro l’aula provoca in ciascuno la stessa<br />

sensazione profonda di appagamento, la stessa assenza di<br />

domande e di paura prodotta dal giovane fantasma.<br />

I Respiri sono silenziosi e docili, trasparenti e impauriti,<br />

ondeggiano quando vedono Foramini. Sono a mezz’aria<br />

e qualcuno - ci sono anche bambini - gira per l’aula e<br />

cerca il cono di luce dentro il quale è apparso Guglielmino<br />

Redenti. Frusciano e borbottano e sembra un suono<br />

che sa, anche questo, di sovrumano.<br />

Araceli ha una bella voce da tribunale ma una parte gli<br />

manca e sussurra:<br />

– Giudice…<br />

Poi ci ripensa, guarda Foramini, abbassa la testa e le sopracciglia,<br />

e sta zitto.<br />

304<br />

– I fatti sono cominciati col cane. Il cane di Enrico Ricasoli<br />

che mi ha inseguito, innervosito. Io ero un ragazzo<br />

nervoso e sono un uomo nervoso. Così il cane l’ho messo<br />

tra l’ascensore e la ringhiera: per questa ragione hanno<br />

trovato un pezzetto di cane ad ogni pianerottolo. Poi sono<br />

rimasto a casa, e ho ascoltato. Ero più calmo e la mia<br />

presenza non ha prodotto alcun fenomeno (in genere<br />

produco fenomeni) salvo un pezzo di formaggio che è<br />

marcito di colpo. Le cose stavano prendendo forma, e io<br />

incominciavo a risolverle… Ecco!<br />

– Giravo per Talattone, senza avere una forma e neppure<br />

un profumo, quando mi è venuta l’idea di uccidere Tebe<br />

Mistrè.<br />

– Guardavo il mare dal bastione di Sant’Elmo quando<br />

ho deciso di ammazzare Medina Xaxa.<br />

– Ero furibondo quando non sono riuscito ad ammazzare<br />

Enrico Ricasoli: non potevo ammazzarlo… Contento<br />

quando ho convinto Battistino Mattiolo che io esistevo.<br />

Felice quando ho fatto a pezzi Egeico Lago.<br />

Enrico si alza dalla sua sedia e si avvicina alla pietra di<br />

ardesia.<br />

– Volevi ammazzare anche me? E perché non l’hai fatto?<br />

Perché non lo fai ora? Ora non ho più paura… Ora è<br />

305


tutto diverso… tutto cambiato… magari anche Nellina è<br />

da qualche parte… Medina Xaxa, Tebe Mistrè, Egeico<br />

Lago… Non si muore più, non si muore… Non avevo mai<br />

visto un angelo bianco seduto sul sepolcro di uomo…<br />

Guglielmino lo guarda:<br />

– Tebe Mistrè era una puttana rotonda e bianca, pulita e<br />

non puzzava di Talattone. A Talattone anche i giovani<br />

puzzavano di aringa. Avrei dovuto incominciare da lei e<br />

lasciare in pace il cane che sapeva di borotalco.<br />

La dottoressa Paneangelico interviene e la sua espressione<br />

è sempre più mistica, si vestirebbe di sacco e si flagellerebbe<br />

felice:<br />

– Incominciare? Incominciare che cosa? – unisce le mani<br />

come in preghiera. – Redenti Guglielmino, lei ha avuto<br />

un inizio come tutti, un inizio qualunque… È la fine che è<br />

diversa. Lei non ha incominciato uccidendo Tebe Mistrè…<br />

Questi ammazzamenti, come tutti gli assassini, sono<br />

una conclusione! Concludono qualche cosa! Lei ce lo<br />

deve dire perché ferri di campagna e sbarre non sono una<br />

minaccia per lei ma la memoria della giustizia e dell’ingiustizia<br />

vale anche per un fantasma… Pensi alla memoria<br />

dei fatti, pensi al ricordo… Quello resta, Redenti Guglielmino…<br />

In fondo è questo lo scopo della giustizia: la memoria…<br />

Tutti si stupiscono per le parole della dottoressa Paneangelico<br />

e una signora in prima fila, una faccia talattonese,<br />

mostra a tutti le sue enormi gengive rosse e grida:<br />

– Io la conoscevo Tebe e anche se era una puttana lei faceva<br />

miracoli! Nessuno ne vuole parlare! – e alza la voce sino<br />

a fuori del palazzo: – Miracoli! – e si sente la parola della<br />

cinghialessa come attraverso altoparlanti: – Miracoli!<br />

306<br />

Battistino ha un ricordo: lei che se la insaponava e diceva<br />

che così, durante, avrebbe fatto le bolle di sapone più<br />

grandi mai viste. Si incurva ed Enrico, per consolarlo, gli<br />

mette una mano sulla spalla che Battistino sposta via.<br />

Guglielmino è pallido e bello e tutte le pietre filosofali<br />

delle donne dentro l’aula, compresa quella della dottoressa<br />

Paneangelico, se ne sono accorte aumentando di temperatura<br />

guardandolo. Ma, sentendo le parole della donna<br />

dalle gengive giganti, Guglielmino diventa di cera mezzo<br />

sciolta e la faccia gli si confonde perdendosi per un po’.<br />

– Di un miracolo io avevo bisogno e nessuno, nessuno lo<br />

ha fatto… Anzi una mostruosità mi ha fatto appendere all’albero<br />

del dolore…<br />

Enrico sussurra:<br />

– Ecco l’albero… ecco il pesco e tutto questo profumo…<br />

Ecco…<br />

Guglielmino lo sente:<br />

– Non dire ecco, ecco come un bambino, Enrico… È un<br />

capriccio… eravamo ragazzi e adesso siamo uomini…<br />

Chissà dove abbiamo imparato a dire continuamente ecco,<br />

ecco. – Guglielmino si tiene il mento e per un po’ ci<br />

pensa. Poi si sposta i capelli lucenti dalla faccia:<br />

– È una fatica per me essere morto anche se qualcuno<br />

crede che morire da ragazzi è meno doloroso. Un ragazzo<br />

si deve svezzare da pochi piaceri, non ha l’abitudine ai<br />

piaceri che arrivano col tempo e che ti attaccano alla vita<br />

e può morire in pace perché non ha nulla da rimpiangere…<br />

E invece io ho perduto più di quello che potevo perdere<br />

perché ho perduto lei che è morta prima di me e non<br />

è da nessuna parte, lei… Enrico, lei non è in giro da nessuna<br />

parte e non c’è un angelo sulla sua tomba che mi<br />

307


aspetta per darmi notizie… A me è capitato di diventare<br />

quello che sono, solo a me… sono solo…<br />

La professoressa di lettere Agave Martinetto, in pensione<br />

e vedova da molti anni, si commuove. Molti non lo<br />

sanno chi era questa specie di Euridice che non si poteva<br />

perdere, però capiscono dal colorito e dalla faccia di<br />

Guglielmino che lui sta parlando di un’anima dell’altro<br />

mondo ma di un altro mondo che, per la stessa presenza<br />

del contino Redenti e degli Ultimi Respiri, fa meno<br />

paura.<br />

In quel momento entra in aula, senza che nessuno si volti<br />

a guardarlo, Priamino: un ubriaco perenne. Nessuno<br />

direbbe che Priamino è un ubriacone perché l’alcol su di<br />

lui ha effetti soprattutto interiori e lui riesce a camminare<br />

dritto anche con le idee e i sensi impastati in un’unica<br />

amalgama. Priamino mostra meno della sua età perché il<br />

vino gli spiana le rughe, però inciampa in ogni pensiero<br />

che gli viene alla mente. Su certe idee, addirittura, inciampa<br />

in un modo che non si solleva più e resta con la fronte<br />

appoggiata al tavolo e le braccia penzolanti che sembra<br />

uno afferrato dalla morte improvvisa. Questa morte apparente<br />

arriva col dodicesimo bicchiere e dura mezzora.<br />

Poi Priamino ritorna in vita.<br />

È ubriaco, e grida:<br />

– Chi schiaccia i foruncoli a Venere, visto che anche Venere<br />

ha i foruncoli in quei giorni? Chi? Ve lo dico io: Priamino<br />

glieli schiaccia!<br />

Guarda tutte le facce presenti:<br />

– Facce angolari, ovali, trapezoidali, rotonde… che si<br />

svegliano la notte per vedere se un Angelo è entrato nella<br />

308<br />

stanza… Era tutto spiegato dal dolore e noi esistevamo<br />

per il dolore… E ora abbiamo il rimedio…<br />

E va giù come un sasso perché deve avere superato da<br />

poco la seconda dozzina di bicchieri:<br />

La signora con le gengive esposte gli salta addosso:<br />

– Cosa vuoi dire, maledetto ubriaco, cosa vuoi dire con<br />

questa storia del dolore?<br />

Ma Priamino è già morto apparente.<br />

Gli Ultimi Respiri a mezz’aria si agitano e Guglielmino<br />

sorride:<br />

– Lo conosco questo Priamino, abita in un basso di Talattone<br />

e non proviene da una razza di stupidi. Lui, con<br />

l’alcol prova a indovinare. È una famiglia talattonese che<br />

ama l’alcol da tre o quattro secoli e forse anche da prima.<br />

Parlano da soli per strada e si vede, dall’impegno che ci<br />

mettono, che parlano a se stessi e si vede - basta vedere<br />

che faccia hanno - che non parlano d’amore…<br />

Il giudice Favonio sente arrivare dal suo pizzo uno e diviso<br />

una scossa, un richiamo:<br />

– Silenzio! Io uso i mezzi che ho dalla giustizia e questo<br />

non è l’antro delle streghe… Dunque cerchiamo una risposta<br />

a misura…<br />

– A misura, giudice? – Petinicchio una piccola nuvoletta<br />

di polvere la emette ma involontariamente, una specie<br />

di riflesso, gli è scappata.<br />

Favonio dà una scrollata alla toga, orgoglio giuridico:<br />

– … Intendo dire a misura di Codice visto che qua non<br />

si leggono formule, non si commentano libri sacri, non si<br />

reincarna e non si resuscita nessuno… A misura di Codice<br />

vuol dire che da adesso in poi si riprendono le cose in pu-<br />

309


gno e che in questo preciso istante, sono le dodici e quindici,<br />

il cancelliere Rumoretti verbalizza, la dottoressa Paneangelico<br />

fa le domande, l’avvocato Petinicchio e l’avvocato<br />

Araceli deducono e io presiedo… Questo vuol dire a<br />

misura di Codice. Io non conosco altri sistemi. Non sono<br />

un prete!<br />

Guglielmino riprende la sua bella faccia bianca e tutte le<br />

donne si concentrano su di lui.<br />

La dottoressa Paneangelico mette a tacere la propria<br />

pietra filosofale che era entrata in vibrazione e la faceva<br />

sudare da tutte le parti.<br />

Petinicchio si spolvera.<br />

Araceli riacchiappa le sopracciglia.<br />

Glicerio si instilla il collirio, molte gocce.<br />

Enrico e Battistino si raddrizzano sulla sedia e si pettinano<br />

con le dita.<br />

Priamino, in coma, si ricorda il gesto sedativo e beato<br />

del bicchiere sollevato e avvicinato alle labbra.<br />

Melania sorride. Un lampo scocca dal prodigio interplanetario<br />

delle sue labbra che arriva sino alla fronte melanconica<br />

e prepotente di Guglielmino, e gli cade di mano<br />

il ramo di pesco che teneva dal momento della sua comparsa<br />

sulla lastra quadrata e giusta di ardesia.<br />

310<br />

<strong>Ei</strong><br />

Peante gli teneva la mano:<br />

– Se c’è… se c’è ho bisogno di saperlo da te, Peante…<br />

Solo tu puoi…<br />

– Basta con le parole, Nicteo… Ci hanno tenuto compagnia…<br />

Ma è meglio il silenzio delle pecore… Adesso basta…<br />

Nicteo alzò la testa dal letto:<br />

– Solo tu me lo puoi spiegare… proprio mentre succede…<br />

Osserva e spiegami… Ecco, Ecco!<br />

– Basta con le parole… Non fare il prepotente… Tu immaginati<br />

in un gregge… Se ne manca una di pecora il<br />

gregge non cambia granché, e la pecora che manca…<br />

– Smettila tu con questa faccenda delle pecore… Come<br />

se tutta la saggezza del mondo ce l’avessero loro… Le pecore…<br />

Le pecore… Basta con le pecore! E chi ha vissuto<br />

senza pecore? Come fa, secondo te?<br />

Nicteo chiuse gli occhi e la testa gli cadde sul cuscino.<br />

Peante guardava le sue ciglia bianche. Possibile tutto questo<br />

sbiancare? Anche gli occhi sono diventati più bianchi…<br />

Anche la pupilla di Nicteo era bianca…<br />

Epipanormo alta e Talattone bassa facevano silenzio<br />

perché Nicteo moriva. Tutti volevano che morisse al tramonto<br />

quando c’era ancora un po’ di luce. La città è stata<br />

311


costruita per prendere tutta la luce possibile perché questa<br />

era l’idea di Nicteo.<br />

Anche Peante non voleva un’altra notte di agonia. Non<br />

lo voleva morto col buio: chissà dove se ne sarebbe andato<br />

a finire per lo spavento il suo amico morto. Nessun carro<br />

muove il sole e nessun gigante sostiene la terra. E le pecore<br />

hanno un cervello piccolo, piccolo. Perciò, pensava<br />

Peante, sono sempre così tranquille, persino mentre le<br />

sgozzano per fare un sacrificio.<br />

Melania e Medina erano in giardino dove respiravano<br />

l’aria profumata degli alberi persiani che si erano moltiplicati<br />

e raccoglievano i frutti succosi che la sera erano freschi.<br />

Ne hanno portato uno anche a Nicteo e glielo hanno<br />

fatto odorare perché lui diceva sempre che tutti questi alberelli<br />

che facevano un fiore profumato e poi un frutto<br />

ancora più profumato e che si erano moltiplicati a Epipanormo<br />

erano l’odore della città fondata da loro due.<br />

– Seduto, Peante, voglio stare seduto e guardare davanti…<br />

Coricato vedo solo il soffitto…<br />

Lo aiutarono a sedersi e gli girarono la testa verso il<br />

golfo:<br />

– Mi dispiacerà non vedere più terra e mare, ecco, ecco…<br />

e non sapere cosa faranno quelli che…<br />

Morì parlando. Una morte così mite che per un po’ nessuno<br />

se ne rese conto. Peante pensò che era una morte<br />

proporzionata e gli venne in testa che l’armonia aveva deciso<br />

tutto lei per l’amico il quale aveva utilizzato l’ultimo<br />

fiato non per rantolare o gridare o fare versi spaventosi.<br />

Nicteo aveva usato la parola per andarsene all’altro mondo.<br />

E ora che, seduto, con la testa reclinata su un lato, arri-<br />

312<br />

vava sul suo viso la luce viola del sole che non precipitava<br />

ma calava anche lui in armonia senza esagerare con colori<br />

selvatici, sembrava che l’unica fondamentale e irrimediabile<br />

differenza tra Nicteo vivo e Nicteo morto fosse proprio<br />

la parola, definitivamente scomparsa dalle sue labbra<br />

e dalla sua testa bianca.<br />

Così tutte le teste bianche di Epipanormo e Talattone -<br />

che in tanti anni si era popolato di molte teste nere e di<br />

qualche testa inspiegabilmente bionda - pensarono che<br />

anche a loro sarebbe toccata, magari, una morte armonica:<br />

la morte di Nicteo sarebbe stata un esempio per ogni<br />

abitante di questa città. Certo, loro non erano il popolo<br />

felice degli Iperborei, ma avevano trovato anche loro un<br />

modo appagato di morire: morire parlando.<br />

Fu l’ubriaco di Talattone, Priaminos, ad accendere il rogo<br />

e, siccome il vino era la sua fonte sacra, la usò per comporre<br />

il canto di morte. C’era poco tempo perché Nicteo<br />

era morto col caldo, come voleva lui… c’era poco tempo,<br />

poco tempo:<br />

Tutto, tutto è già iniziato,<br />

mai puoi dire è terminato.<br />

Molto vino, quando si concentra nelle vene, può finire<br />

per mandare a fuoco anche chi lo beve e Priaminos se ne<br />

restò lontano dal rogo. Lui si considerava un’anfora ideale,<br />

semplice, senza fondo e collegata al mare che sentiva<br />

profumato del vino.<br />

Peante, tra i molti pensieri, chissà perché, tirò fuori<br />

quello, leggero come una fonte, di Ptea… Ptea sott’acqua<br />

che non aveva protetto Nicteo… Si diede una manata sul-<br />

313


la guancia pendula. Ma che cosa diceva? Pensò a Ptea andata<br />

a fondo da quando esisteva la città… Ptea l’aveva<br />

protetto e riparato il suo amico morto a centoventunanni:<br />

Nicteo era vissuto e tutta questa serenità qua intorno, persino<br />

il rogo che bruciava con un crepitio dolce perché il<br />

vento questa sera si era dato un limite di modestia… le<br />

stelle unite dalla linea che Nicteo negli ultimi anni aveva<br />

disegnato su una lastra d’ardesia… la brezza, Talattone<br />

che produceva odori, Epipanormo profumata dagli orti<br />

dove le piante persiane avevano prodotto un’infinità di<br />

frutti profumati… tutta questa serenità era grazia sparsa<br />

da Ptea.<br />

Peante pensò a lungo alla dea della città e poi alle pecore,<br />

all’ovile paterno dove il caldo seccava il pelo delle sue<br />

bestie, e pensò all’acqua, che non c’era mai. L’acqua dalle<br />

parti sue era solo un’idea.<br />

314<br />

IX<br />

C’è tanto silenzio che le scarpe gommate dell’avvocato<br />

Petinicchio fanno dolore ai denti di tutti come un’unghia<br />

che sfrega sulla lavagna. Pochi passi stridenti ed è davanti<br />

al giudice Favonio che, per istinto, si copre la faccia fingendo<br />

di stropicciarsi gli occhi:<br />

Ma Petinicchio non vuole usare le sue polveri:<br />

– Siamo l’unica specie che si studia da sé. E qualcuno<br />

studia le altre specie.<br />

Pausa.<br />

Il Giudice:<br />

– Filosofia, avvocato? Biologia? Antropologia? Ci prevenga<br />

sull’indirizzo della sua argomentazione. Dopo la<br />

metafisica del suo collega Araceli si cambia argomento?<br />

Le gomme di Petinicchio sfrigolano:<br />

– Sì, esco dal mio terreno dove i paletti e i confini sono<br />

asfissianti e infiniti… D’altronde la nostra è l’unica categoria,<br />

una specie mammifera a parte, che ha l’obbligo<br />

dell’onniscienza perché tutto è toccato dalla luce del diritto…<br />

Dobbiamo sapere tutto!<br />

Su questo tutto, a sorpresa, ma una sorpresa attesa che<br />

è solo una mezza sorpresa, Petinicchio - senza che nessuno<br />

riuscisse a capire da dove gli veniva fuori - emette una<br />

densa, polverosa e opaca nube calcolata non per spaven-<br />

315


tare ma per ricordare a tutti la sua sconfinata forza paralizzante:<br />

– Non voglio fermare eventi o persone! Dottoressa Paneangelico,<br />

faccia riapparire il sereno, lei non deve giustiziare<br />

nessuno. Guglielmino si è dato da solo il patibolo. E<br />

gli Ultimi Respiri? Innocenti come un neonato roseo appena<br />

sgusciato dalle vie materne! Alberico Gracchini<br />

dentro la damigiana ce lo ha messo Guglielmino. Guglielmino<br />

Redenti ha ucciso Tebe Mistrè per interrompere<br />

una genìa di puttane… Ha ucciso Egeico Lago e poi<br />

Medina Xaxa perché era sangue sfibrato… Non ha ucciso<br />

Enrico Ricasoli perché era sangue vicino al suo e neanche<br />

Battistino Mattiolo perché gli ricordava sangue buono…<br />

Sbaglio, signor fantasma?<br />

La dottoressa Paneangelico, incomincia a sentire un calore<br />

addosso che non è solo calore, si ricorda la castità<br />

giuridica e allora si raffredda:<br />

– Avvocato, la sostanza!<br />

– La sostanza, sostanziata, ce l’avete davanti, dottoressa.<br />

Finalmente vi è apparsa la sostanza, l’essere sostanziale<br />

che, essendo, è e, se è, può essere giudicato. Guardate<br />

Guglielmino.<br />

Lei Guglielmino l’aveva fissato sino al richiamo di Petinicchio.<br />

Lo guarda ancora e un’espressione da novizia<br />

peccatrice disposta a ogni gioco appare sulla faccia del<br />

piemme Paneangelico. Allora, anche se questo aumenta<br />

gli effetti del peccato desiderato, non commesso, ma peggio<br />

che commesso, guarda per terra.<br />

Petinicchio è invulnerabile:<br />

– Concorso in omicidio! Tutti sappiamo, anche i più<br />

semplici, che l’omicidio è l’atto più grande e vicino all’as-<br />

316<br />

soluto che un uomo possa compiere. Certo, – e si volta verso<br />

il professor Foramini perché si ricorda di Ptea,: – anche<br />

l’arte tocca l’infinito, qualche volta lo sfiora e qualche volta<br />

ci entra dentro… ma è più difficile. Uccidere non richiede<br />

arte e, qualche volta, neppure idee. Serve attenzione,<br />

cure, amore per i particolari ma arte no… E grande non<br />

vuole dire grandioso… Ma abbastanza grande da distrarre<br />

tutti da tutto, persino dal povero assassinato che in una<br />

cassa o in un forno diventa, a velocità differente, polvere<br />

simile a quella che io spargo intorno. È l’assassino che interessa<br />

i vivi, non il morto che, tanto, è morto. I vivi si interessano<br />

ai vivi, perciò chi vive fa le leggi.<br />

Pausa giuridica.<br />

– Io voglio invece interessarmi, oggi, dei morti.<br />

Favonio ha uno scatto d’ira, lo reprime per paura delle<br />

polveri e gli viene fuori una vocina:<br />

– E non ne avete parlato sino ad adesso? Volete interessarvi<br />

a tutti i morti? Vero? Questo è un tema abbastanza<br />

filosofico per voi? Preferirei attenermi al tema del processo.<br />

Attinenza, avvocato, attinenza.<br />

L’ironia messa in mostra non piace a Petinicchio, lui<br />

crede che l’ironia deve restarsene nascosta. E poi non gli<br />

piace che Favonio si attenga e basta. Attenersi è da giudici<br />

piccoli, superficiali, travestiti da giudici, non è sufficiente<br />

attenersi:<br />

– I morti che ci hanno portato qua sono tutti i morti di<br />

questa città, quelli che assomigliavano a noi, che avevano<br />

nasi, arti, colorito, la voce simile alla nostra. Di questi morti<br />

intendo parlare. Persino gli animali morti: cani che avevano<br />

il pelo che ora vediamo addosso a un altro cane. Nellina,<br />

che mi permetto di indicare, tanto era di casa, come<br />

317


Nellina Ricasoli, chissà da dove arrivava. Anche le piante<br />

si assomigliano da chissà quanto tempo e si ripetono.<br />

Pausa.<br />

– Guglielmino Redenti ha bestemmiato oltre che ammazzato.<br />

Ha cercato di rivoluzionare questo ordine che,<br />

non ci evita l’altro mondo, ma, almeno, ci tiene in comunità…<br />

Lui la comunità la voleva distruggere. – Ancora<br />

pausa. – Ci ha rivelato cose importanti… Ma ha bestemmiato<br />

per un dolore personale che gli sembrava un dolore<br />

eterno e invincibile… Ha assassinato tre persone nelle<br />

quali vedeva il veicolo della nostra razza, modesta, nerastra,<br />

siccitosa ma identica… E ha portato la bestemmia alle<br />

sue conseguenze più oscene…<br />

Ora guarda il fantasma impallidito:<br />

– Perché Medina Xaxa era diventata improvvisamente<br />

una donna che cercava luce e mostrava segni di felicità<br />

nuova, danzava e non dormiva più nella culla del figlio?<br />

Pezzi di pianeti fantastici erano arrivati dal cielo per Medina<br />

dopo tanto dolore…<br />

Sceglie per un po’ la decenza del silenzio e poi indica<br />

Guglielmino:<br />

– Si era innamorata di te, vero?<br />

Lui si torce i bei capelli:<br />

– È vero, però io non potevo, non potevo…<br />

– L’hai ravvivata, riportata in vita e poi l’hai ammazzata.<br />

L’hai imbrogliata.<br />

– Voleva morire.<br />

– L’hai imbrogliata.<br />

– Voleva morire.<br />

Guglielmino si sposta dalla lastra sacra al centro della<br />

sala e si appoggia al muro.<br />

318<br />

Ricordi precisi levigati dai secoli:<br />

– Medina Xaxa veniva dalle parti più lontane dell’universo.<br />

La mia Medina è arrivata in una notte che le rette e<br />

le volute tracciate nel cielo stellato non si potevano più<br />

contare e il mio astrolabio era un giocattolo inutile. Io le<br />

ho dato la sua prima agonia.<br />

– Era un’altra Medina, un’altra!<br />

– E come avrei potuto resistere a vederla di nuovo in<br />

una carne indebolita e scolorita, addormentata in una culla?<br />

È un delitto paragonabile a quelli che giudicate ogni<br />

giorno? È un delitto averla fatta contenta e poi averla uccisa<br />

in un modo dal quale non si torna indietro: spezzata<br />

in due parti? Io mi sono appeso all’albero del dolore e ho<br />

acquisito un diritto che voi non avreste previsto… Medina<br />

era morta, morta, qualunque Medina fosse…<br />

Paneangelico sente un caldo forte intorno all’ombelico,<br />

i suoi gioielli bruciano, beve acqua, impallidisce e chiede<br />

aiuto. Rumoretti, che durante l’udienza ha tenuto d’occhio<br />

le gambe senza pudore della dottoressa - gambe, aveva<br />

pensato, di una donna pronta - Rumoretti corre ad aiutarla<br />

mentre sta per cadere e la sostiene.<br />

Guglielmino non ci bada:<br />

– Non sono giudicabile, non qua e non da voi, ecco.<br />

Petinicchio l’aveva deciso dal primo momento, da appena<br />

Guglielmino era apparso sulla pietra sacra. Non lo<br />

poteva sapere se la sua polvere poteva funzionare sul fantasma<br />

bello e arrabbiato:<br />

– È un delitto, Guglielmino Redenti, peggio di un delitto<br />

perché è stato commesso con la sicurezza di scampare<br />

alla pena. Tu non credi di essere di essere carne per le nostre<br />

celle! Ma non c’è bisogno della cella, non sempre!<br />

319


Guglielmino è appoggiato, spalle al muro e la testa bassa.<br />

Non si vede il bel viso.<br />

320<br />

X<br />

La prima parte di Guglielmino a diventare opaca sono i<br />

bei capelli neri. Solleva la fronte come un animale selvatico<br />

che sente succedere qualcosa. Poi traballa, gli occhi neri<br />

e smaglianti perdono lo smalto e ingrigiscono. Poi le<br />

guance rosa, poi le labbra rosse, le mani lunghe. Il sempreverde<br />

Redenti, il due volte giovane, il quintessenziale,<br />

scatta, ma lo scatto è solo un movimento qualunque, niente<br />

di elastico o armonico. Cammina verso Petinicchio, ma<br />

di colpo anche il passo è un passo qualunque.<br />

Petinicchio sta facendo qualcosa di mai fatto, lo sa, ci<br />

pensa e ha paura. E allora cerca aiuto nel mare davanti a<br />

Epipanormo che guarda dal finestrone dell’aula. Il mare è<br />

luccicante. Ptea l’ha cosparso di pagliuzze che tremano<br />

d’emozione e, ora, di spavento. Non guarda neppure Guglielmino<br />

che si avvicina.<br />

Si concentra sul mare da dove gli arriva un fiato azzurro<br />

che per lui è il fiato di un dio al quale non ha mai creduto.<br />

Guglielmino rallenta, si inceppa, si arrugginisce, sente<br />

dolore e la sua rabbia sale sino al tetto del Palazzo.<br />

– Io non sapevo che sarebbe andata così quando l’albero<br />

mi ha salvato e il profumo dei frutti mi ha conservato<br />

fiato e sangue…<br />

321


Si avvicina ancora.<br />

Amoracchio non è un uomo d’azione, è un uomo di riserva,<br />

una mano sinistra che non ce la fa da sola:<br />

– {Signor Ricasoli, credo [ma è un’impressione] che l’avvocato<br />

corra un pericolo. Può essere [ma non posso affermarlo]<br />

che le sue celebri polveri non siano onnipotenti}<br />

Enrico si alza. Favonio solleva un braccio per fare alt.<br />

Ma Enrico fissa in estasi ipnotica Guglielmino. Sta andandosi<br />

incontro… sente - ma non lo sa spiegare - che<br />

cammina verso un se stesso che è diventato crudele, ha<br />

sofferto e ha prolungato il suo dolore all’infinito. All’infinito?<br />

All’infinito? E chi lo sa? Magari il suo dolore ora sta<br />

finendo e magari sta per finire tutto l’erratico muoversi e<br />

agitarsi e disperarsi suo e di Battistino… L’energia di Melania…<br />

perché non la sente? Non segue una linea dritta<br />

per arrivare a Guglielmino. Perché questo zig zag?<br />

La donna dalle gengive enormi è diventata la riconosciuta<br />

autorità delle facce di ogni forma, naturale e innaturale,<br />

dietro la balaustra di legno dove il coro aveva trovato<br />

con lei un capo sanguinario.<br />

322<br />

XI<br />

Se un’anima con la configurazione di un’anima, incorporea<br />

ma percettibile, apparisse in questo momento - una<br />

di quelle anime che non sono mai ricomparse a consolare<br />

nessuno, neppure il figlio, la mamma o la persona amata<br />

di più - se una di queste anime severe ma oneste e mossa<br />

solo dal desiderio di consolare, entrasse in aula, noterebbe<br />

che tra Guglielmino e i presenti (nel senso dell’essere<br />

presente), tra Guglielmino e gli Ultimi Respiri - che erano<br />

qualcosa di meno e qualcosa di più di un’anima - si è stabilito<br />

un astio che non ha nulla a che fare con i disegni del<br />

catechismo che raffigurano gli angeli e le anime sempre<br />

buoni, di una bontà inespressiva e completa che oggi, invece,<br />

è assente tra le anime in aula.<br />

Qua c’è un fantasma, fantasma nella verità delle cose e<br />

nella verità giuridica, un fantasma verbalizzato, un’ombra<br />

scritta, un’anima affumicata da una nube che cancella la<br />

quintessenza aromatica e significante della pesca che ha<br />

adornato Guglielmino sino ad ora.<br />

La forza materiale della polvere di Petinicchio, intanto,<br />

si sviluppa con la costanza geologica della giustizia - fondendo<br />

ere in secondi - senza che nessuno, proprio nessuno,<br />

possa determinare il punto di origine di quella polvere<br />

poco visibile che avanza verso un obiettivo definito.<br />

323


Petinicchio, lo sguardo fermo sul mare, continua ad<br />

emettere una nube che ha ammutolito anche la donna<br />

dalle grandi gengive rosse, anche Paneangelico, anche<br />

Favonio.<br />

Amoracchio è colpito dalla nuvola solo come fenomeno<br />

oggettivo:<br />

– {Ora aumenta, continua ad aumentare [constato]}<br />

La nube si insinua, oltrepassando la barriera sfinita della<br />

cute ingrigita di Guglielmino, nell’infinito e microscopico<br />

delta dei capillari e poi passa nelle diramazioni arboree<br />

dei vasi azzurri. Il sangue, al contatto col gas di Petinicchio,<br />

subisce un contraccolpo languido che gli ricorda<br />

il rimbalzo dolce e duro del ramo del pesco quando si era<br />

appeso.<br />

Melania, la pelle aurea e il pelo d’ossidiana, mezzo disciolta<br />

in sudore emozionato, è vinta dai ricordi ma non<br />

sa cosa si ricorda, non capisce.<br />

Enrico ha capito che il sangue di Guglielmino è lo stesso<br />

suo sangue ma che quello di Guglielmino si sta disfacendo<br />

e sente dolore.<br />

Araceli non vuole perdere nulla di questo incantesimo<br />

anche giudiziario incominciato con l’apparizione - ma a<br />

lui il termine comparsa piace di più - dell’impalpabile Foramini<br />

degli Ultimi Respiri.<br />

– {Tre, quattro metri [direi a occhio, ma solo come mia<br />

relativa e fallibile impressione] separano l’avvocato Petinicchio<br />

da Redenti Guglielmino}<br />

Battistino mette a sedere Amoracchio:<br />

324<br />

– Ma non lo capisci, cardo spinoso, che sta avvenendo<br />

una cosa grande? Esci dalle parentesi, guarda e cerca di<br />

pensare e pensare.<br />

Mancano tre metri.<br />

325


<strong>Ei</strong><br />

Quando il rogo diventò cenere pura e neanche un tizzone<br />

bruciava più, Peante restò solo al promontorio<br />

bianco che, dopo la discesa del sole, sembrava più alto<br />

sul mare bruno e perfino più bianco.<br />

Gli sembrò proprio che sbiancasse e facesse luce come<br />

le ceneri candide di Nicteo e si convinse che questa luminescenza<br />

fosse l’ultimo barlume emanato dal suo amico.<br />

Guardò in basso e gli scogli, che brillavano come scintille,<br />

gli apparvero ghiaia sparsa da una mano naturale e<br />

benigna. La luce della scogliera non smetteva più. Il mare<br />

era di una calma da dio assonnato disteso sul suo letto di<br />

sabbia.<br />

Ora Peante aspettava il vento perché le ceneri di Nicteo<br />

dovevano finire nell’acqua nutriente del golfo. Ne avevano<br />

parlato tante volte. E il vento, nell’ora giusta, arrivò<br />

dalla direzione del paese di Melania dove gli Iperborei<br />

avevano continuato a vivere sereni e a morire inghirlandati.<br />

Questo era il vento dei prodigi e Peante, nonostante<br />

i centoventanni, si sentì un vigore pulito e onesto, non da<br />

giovane, ma nella proporzione preziosa che tocca a un<br />

vecchio.<br />

Ascoltò il fruscio della cenere portata via, che volò oltre<br />

il precipizio, si sollevò in alto e poi scese verso il mare<br />

spargendo un chiarore notturno che lo incantò.<br />

327


Peante non aveva mai pensato che tutto fosse nelle parole.<br />

Le usava per convincere, per vendere, per comprare.<br />

Erano parole e al massimo servivano ad indicare e mostrare.<br />

Ma poi, cosa potevano le parole davanti alle cose<br />

che c’erano intorno e come poteva, lui, esprimere sentimenti<br />

e pensieri con le sue parole? Il silenzio e le opere,<br />

bisbigliò.<br />

Si voltò verso Epipanormo.<br />

Avevano costruito, costruito. Costruire.<br />

Le strade le avevano concepite e fatte secondo il corso<br />

del sole e ora si vedeva che avevano seguito la più pura e<br />

naturale delle linee.<br />

Il porto si era adattato alle curve della costa, non aveva<br />

spezzato correnti. I venti, come entravano nel porto divenivano<br />

brezze, e il mare non lo assediava con spruzzi alti<br />

e violenti, mai.<br />

I templi li avevano fatti, alti, utilizzando le pietre bianche<br />

e zuccherine dei colli e il risultato era che vederli calmava<br />

e a entrarci si provavano sentimenti infiniti che il silenzio,<br />

secondo Peante, spiegava meglio delle parole.<br />

Le case di pietra e di un impasto caldo e plasmabile di<br />

paglia e fango.<br />

Loro non avevano esercitato la propria forza sulle cose<br />

e le cose si erano disposte in consonanza, nella città alta e<br />

in quella bassa.<br />

Gli stagni facevano respirare la rocca e il porto e spiegavano<br />

perché erano diventati il rifugio di tanti uomini e<br />

donne.<br />

Le zanzare le tenevano lontane con l’aceto così durante<br />

le notti calde e stellate tutta la città dormiva.<br />

Arrivavano mercanti ma non portavano malattie.<br />

328<br />

Peante raccolse il bastone e iniziò il tragitto verso casa<br />

dove Melania aspetta. Ancora con i capelli neri… un nero<br />

che non cambia…<br />

329


XII<br />

Meno di tre metri e Guglielmino è toccato proprio in<br />

fondo dalla polvere e dal suo sangue che rallenta. Il sangue<br />

non può rallentare oltre un limite che è in proporzione<br />

alla sua fluidità, lui, questo, lo sa: studiava le stelle e<br />

l’anatomia e ha continuato per quattrocento anni.<br />

La demenza del vecchio con la mandibola molle sino<br />

allo sterno, la mancanza delle idee energiche, la vista decidua,<br />

l’udito catacombale, il tatto che non sente né spine,<br />

né raso, i muscoli che fanno dolore, il dolore sentito<br />

nelle parti più infinitesime e dimenticate, dove non aveva<br />

mai immaginato di sentire dolore, e la lentezza, soprattutto<br />

la lentezza… che patimento… lui che arrivava elastico<br />

come un giunco in ogni luogo mentre gli altri faticavano,<br />

sudavano e rallentavano pensieri e movimenti…<br />

Petinicchio ha fatto un giro su se stesso.<br />

Petinicchio sembra il maligno, tanto più che - tutti se lo<br />

sono dimenticato - lui doveva difendere il fantasma per<br />

difendere Enrico e Battistino.<br />

L’ordine, il ragionamento, la giurisprudenza e la legge<br />

sono finite gambe all’aria e adesso mostrano le loro parti<br />

sconce, quelle da nascondere, le vergogne esposte come<br />

una puttana che attira i maschi allargando le gambe sino<br />

a slogarsele.<br />

331


Così Petinicchio, forse stordito dalle sue stesse polveri<br />

perché in così grande quantità non ne aveva mai prodotto,<br />

disposto ad esaurire il suo potere e a diventare un avvocato<br />

senza polvere grigia, Petinicchio ha scelto la via,<br />

secondo lui morale ed esaltante, del profeta che perde la<br />

ragione, che sorvola le leggi e le leggi le origina, le crea.<br />

Dalla vecchiaia acuta che lui gli somministra Guglielmino<br />

passerà alla paralisi che sarà un monito, un avvertimento.<br />

Poi si discuterà, poi si vedrà se è una condanna a<br />

morte, poi si vedrà se è morte.<br />

Priamino, da una parte del cervello che il perenne coma<br />

etilico gli ha ben levigato, una parte antica, grida:<br />

Tutto, tutto è già iniziato,<br />

mai può dirsi è terminato…<br />

332<br />

XIII<br />

Glauco Glicerio era rimasto zitto e con gli occhi chiusi<br />

sin dall’inizio per cercare di capire meglio. Quando li riapre,<br />

quello sano e quello in fiamme, vede il miracolo<br />

deforme di Guglielmino che si incenerisce piano piano a<br />

due metri dal mistico Petinicchio il quale sembra a tutti<br />

più alto, più pallido e onnipotente ed emette un immenso<br />

spruzzo grigio come i topi di Talattone.<br />

Allora Glicerio toglie di tasca il fazzoletto, se lo mette<br />

davanti alla bocca e al naso per non finire intossicato,<br />

apre la giacca, cerca la pistola e si alza con uno scatto che<br />

il ciclone, provocato dall’ingiustizia e dalla tiroide, rende<br />

fulminante.<br />

Di Guglielmino, giovani e bianche, restano le mani e<br />

lui, con gli occhi sbiaditi, se le guarda, si ricorda di quello<br />

che ha toccato e fatto con queste mani.<br />

Con tutta la forza degli ormoni che gli schizzano in ogni<br />

parte del torrente in piena del sangue, Glauco Glicerio<br />

salta in mezzo alla sala, tra Petinicchio e Guglielmino. La<br />

mano sinistra tiene il fazzoletto e la destra impugna, con<br />

una forza virile che spaventa tutti, una pistola, ferma e<br />

nera, che l’avvocato guarda con la bocca a forma di O.<br />

Petinicchio ha una voce che viene da sotto la rocca di<br />

Epipanormo:<br />

333


– Commissario! Questo è il mio difeso, mio, capisce? E<br />

ne faccio quello che voglio, come tutti gli avvocati! È<br />

mio! È mio possesso! Ci sono donne in questa sala che lo<br />

avrebbero rinchiuso nella propria casa e lo avrebbero<br />

soffocato con i loro gingilli da femmine! Ma lui le avrebbe<br />

decapitate, squartate, scannate, bruciate, torturate…<br />

Voi sapete cosa ha fatto quest’uomo - visto che tutti abbiamo<br />

accettato che è un essere con le caratteristiche di<br />

un uomo e non solo quelle giuridiche? Lo sapete, vero?<br />

Dall’occhio di Glicerio esce una goccia di sangue da<br />

martire perché questa energia che lo ha portato con un<br />

salto davanti a Petinicchio non è energia sua:<br />

– Ma io lo difendo… È come se difendessi carne mia…<br />

– la goccia rossa macchia la camicia di Glicerio. – Non ho<br />

moglie, non ho figli, non mi piacciono gli uomini, se è<br />

questo che intendete col vostro sorriso polveroso, avvocato.<br />

Io difendo Redenti Guglielmino da una giustizia inferiore<br />

come è quella decisa da voi! È un fantasma!<br />

L’occhio sanguina e arrossa la camicia:<br />

– La dottoressa Paneangelico ha sproloquiato e ora è<br />

scombussolata dai suoi organi più incontaminati. Che si<br />

contamini e non si distragga mentre si fa contaminare…<br />

che non pensi più al diritto mistico! Il processo astratto<br />

ha preso anche voi, avvocato… e siete diventato, a forza<br />

di rimuginare, un pazzo infiammato.<br />

– Guglielmino è un pericolo e l’unica soluzione, dovete<br />

convincervi, è la paralisi delle mie polveri…<br />

– Guglielmino l’avete già rimandato al nulla, Petinicchio…<br />

Guardatelo… Lui ha liberato gli Ultimi Respiri…<br />

Anche loro accusati come se avessero carne, ossa e tutto il<br />

resto… Ora il pericolo siete voi, avvocato Eligio Petinicchio…<br />

334<br />

Glicerio chiude l’occhio malato, punta il mirino sulla<br />

fronte dell’avvocato:<br />

– Una città normale, con morti normali, con assassinati<br />

che hanno odore di cadavere, con processi senza paralisi,<br />

la città alta e la città bassa… Il pericolo siete voi…<br />

– {Commissario, commissario [la prego] si fermi, per<br />

quanto vale la mia modesta, insignificante preghiera [ovvero<br />

nulla]}<br />

– Commissario, nel nome della legge normale, di quella<br />

che giudica cose normali, ossia nella norma, abbassi la pistola!<br />

Le assicuro e le garantisco sul mio pizzo che torneremo<br />

alla norma!<br />

– Commissario, io sono il piemme, sono io che costruisco<br />

le accuse… Mi pento! Ho costruito una mostruosità…<br />

È stata una mattana… Non spari!<br />

– Commissario, io è come se indovinassi, quello là ha<br />

ucciso la mia vicina Tebe Mistrè, spari, spari, tanto lei è<br />

un commissario…<br />

– In coro, tutti noi Ultimi respiri, la preghiamo di non<br />

sparare e la prega anche il nostro onesto avvocato, tanto<br />

onesto che non cerca neppure più le parole…<br />

– Commissario, troppo sangue, troppo, ecco… troppo,<br />

ecco, ecco…<br />

Nella bufera c’è una confusione sterminatrice e c’è un<br />

rumore che batte tutti i rumori umani. E quando la tempesta<br />

continua e non si vede luce e non arriva calore, allora<br />

ci si perde e l’espressione dell’uomo perduto è come<br />

quella del condannato che sta per morire e sta per smettere<br />

di esistere.<br />

Così sembrava e si sentiva Petinicchio.<br />

335


<strong>Ei</strong><br />

Il bastone di legno di Peante non era pregiato - l’aveva<br />

ricavato da uno di quegli alberi dei frutti profumati e non<br />

aveva voluto che nessuno glielo scolpisse - ma, dove lo impugnava,<br />

aveva preso la forma giusta per la sua mano e,<br />

anche se vedeva bene, lo usava la sera per controllare il<br />

cammino, passo per passo, e si rassicurava perché era<br />

convinto che la posizione più giusta di un uomo è quella<br />

all’impiedi.<br />

Il figlio Teedecteto lo aspettava alle falde del promontorio<br />

con un asinello piccolo, tanto piccolo che lui ci si sedeva<br />

come su una seggiola.<br />

Il vecchio guardò le candele di Epipanormo e di Talattone,<br />

ogni casa una candela.<br />

Lento lento percorse il sentiero in discesa. Era notte ma<br />

un po’ di chiarore di Nicteo, in qualche forma sulla quale<br />

lui non si è fatto domande, era rimasto sul promontorio e<br />

Peante vide il profilo di Teedecteto.<br />

La fronte, il naso, il mento, questo mento che concludeva<br />

una mandibola perfetta e il collo da statua… Dunque,<br />

pensò, Melania rimaneva, continuava.<br />

Salì sull’asino e l’animale, senza ordini e pungoli, trottò<br />

verso la città e sbatacchiò pensieri e pensieri nella testa di<br />

Peante.<br />

337


338<br />

XIV<br />

Formano un cerchio sacro e silenzioso, inginocchiati intorno<br />

al corpo lungo e mezzo incenerito del giovane secolare,<br />

come si sta inginocchiati davanti all’eterno.<br />

I gesti del morente. Che rabbia non capirli.<br />

Araceli sussurra:<br />

– Eppure vorranno dire qualcosa… Commissario voi<br />

capite cosa vuol dire Guglielmino? Avete un’idea? È importante…<br />

Guglielmino muove la testa di lato, lentamente e poi la<br />

riporta dritta.<br />

Glicerio ha tutt’e due gli occhi rossi:<br />

– Qualcosa vorrà dire… Sente dolore… oppure non<br />

sente… o pensa… oppure questa, forse, è solo un’agonia…<br />

solo un movimento.<br />

Enrico è più che inginocchiato, lui è prostrato davanti a<br />

questa ripetizione di sé che ora muore. Vorrebbe sostenerlo<br />

ma sostanza da sostenere non ce n’è più:<br />

– Non voglio parlare. Le cose che ho in testa non devono<br />

essere dette, non sono fatte per essere dette.<br />

Avvicina l’orecchio al morente: niente, nessun bisbiglio,<br />

neppure un respiro. Ma questo movimento del capo…<br />

forse Guglielmino dice che non è possibile quello che accade,<br />

ma che questo aveva voluto… voleva essere giudica-<br />

339


to… Sennò perché è apparso sulla lastra nera, l’ombelico<br />

della città? Voleva una punizione e voleva questa condanna…<br />

Favonio, le due punte del pizzo congiunte, guarda verso<br />

Petinicchio che si asciuga il sudore, sfinito, spettinato e<br />

folle mentre lo portano via accompagnato da Amoracchio.<br />

L’avvocato, la faccia di terracotta, ammattito e senza<br />

polveri grida:<br />

– Senza il verbo essere non esisterebbe la parola… È<br />

stata la prima invenzione dell’uomo… Senza il verbo essere,<br />

senza l’idea contenuta nel verbo non esisterebbe<br />

nulla, nulla! L’orologiaio conosce il Tempo della vittima,<br />

ma non lo può cambiare, non lo può accorciare, non lo<br />

può allungare… Io, io, io! Io ho sentimenti da equatore!<br />

Anche lei dottoressa Paneangelico ha sentimenti tropicali<br />

ma in un corpo alpino! Pensieri grandi, grandi! Io, io, io!<br />

Melania sente caldo, sente il suo corpo tramandato:<br />

– Enrico, andiamocene, si dimentica tutto e i fatti, vedrai,<br />

si addolciscono… andiamo via<br />

Battistino poggia una mano sulla spalla dell’amico:<br />

– Enrico, abbiamo visto tutto e non abbiamo capito<br />

niente. Che razza di intelligenza… Abbiamo giusto quella<br />

che serve per vivere e di altra non ce ne facciamo nulla…<br />

Non c’è nulla da capire: sono cose avvenute… Petinicchio<br />

è impazzito e non farà mai più male a nessuno… Ma<br />

per me era già pazzo. Andiamo… Questa è cenere, non è<br />

più Guglielmino… Non fa più odore di pesca, non è più<br />

quintessenza… È un morto.<br />

Melania cerca di accarezzare la fronte di Guglielmino<br />

ma ormai lui è solo fuliggine:<br />

– Non è ancora morto…<br />

340<br />

Enrico non sa quale nuovo metabolico entusiasmo attraversa<br />

tutto il solido corpo di Melania che si è infervorato<br />

in una recente e orgogliosa gravidanza.<br />

Era questo suo stato superiore che l’aveva fatta alzare<br />

quando Glicerio impugnava la pistola e la puntava sull’avvocato<br />

che spruzzava le sue polveri velenose. Si era alzata<br />

e si era avvicinata a Glicerio: “Non lo ammazzi, commissario,<br />

non lo ammazzi… Spari, questo sì, spari vicino<br />

all’avvocato, lo spaventi… Ma non lo ammazzi… Questa<br />

non è la fine di niente.” A questo suo nuovo stato aveva<br />

obbedito, senza capirlo, Glauco Glicerio che aveva sparato<br />

ma non su Petinicchio il quale, però, per lo spavento, si<br />

era accasciato.<br />

Ora Enrico sente che la temperatura di Melania è mutata,<br />

e ci si rifugia.<br />

Il processo.<br />

Araceli si guarda intorno… Foramini… dov’è? Gli<br />

sembra di vederlo. Lo insegue sino al corridoio del Palazzo.<br />

Lo trova fermo che guarda per terra, sulle mattonelle,<br />

i segni neri delle suole di Petinicchio trascinato via:<br />

– Avvocato Araceli, non so cosa ci aspetta, me e gli altri<br />

Ultimi Respiri. Non ho paura. È che non ho capito cosa è<br />

successo… Non li vedo più non ritrovo più… E anche io<br />

non mi sento come prima.<br />

– Il processo, professore, il processo ha avuto un effetto…<br />

una sentenza, si può dire… Insomma un risultato c’è<br />

stato.<br />

– Un risultato?<br />

Araceli ha le sopracciglia orientate verso terra:<br />

– Un risultato… ottenuto senza sentenze, senza parole<br />

341


sconce e frantumando perfino la procedura… il processo<br />

ha ristabilito la norma. Capisce? La norma! Tutto ritorna<br />

nella norma fissata e costituita…<br />

– E noi? Noi ultimi respiri come la mettiamo con la norma?<br />

Eppure abbiamo pagato la parcella: Ptea l’abbiamo<br />

consegnata alla città… Povera Ptea…<br />

Araceli cerca di abbracciarlo ma di Foramini non ce n’è,<br />

non gliene resta tra le braccia.<br />

Fuori dal Palazzo il vento alto del nord ha aperto un immenso<br />

corridoio celeste nella stratosfera e da terra si vede<br />

il nuovo varco grande, aperto e pulito. Arriva sempre il<br />

vento settentrionale che cambia tutto: da questo smisurato<br />

corridoio celeste.<br />

Così, dentro l’aula, dai vetri del lucernario entra un cono<br />

di nuova luce bianca, e un pulviscolo che finiscono addosso<br />

a Guglielmino disteso sulla lastra d’ardesia. E<br />

ognuno vede che, lentamente, lui porta la sua mano di cenere<br />

alla bocca come fa uno che mangia o che desidera silenzio<br />

- nessuno sa cosa vuole dire - e questo resta l’ultimo<br />

incomprensibile e non misurabile gesto del morto.<br />

342<br />

Enrico chiede alla memoria di dimenticare. Povera memoria<br />

sfinita che lui tortura tutti i giorni e che di notte si<br />

cancella con una pastiglia candida e perfetta. Vorrebbe<br />

solo continuare il suo studio sui bagni greci della città,<br />

quanta gente c’era e viveva, immaginare, fare percorsi<br />

piccoli e fantasie grandi.<br />

Esce, mani in tasca e capo chino tutte le mattine. Ogni<br />

giorno va a vedere, lui dice proprio che va a trovarla, come<br />

una visita a un vivo, la statua di Ptea. Quando non c’è<br />

nessuno la tocca e siccome Ptea è in alto, arriva solo ad accarezzare<br />

i piedi e i polpacci. Ecco, ecco…<br />

Oggi, dopo la visita alla statua dell’armonia, ha preso la<br />

teleferica oscillante, ha vertigini e guarda sempre in basso,<br />

scende a Piazza dei Naviganti e in tram va al mare alle<br />

Grotte di Panope.<br />

Si cambia, legge un poco il libro che gli ha dato Battistino<br />

e poi senza la scorta di pesci argentati, che appare solo<br />

per Melania, fa un bagno.<br />

Ma non è un bagno, è un’immersione sacra, un battesimo.<br />

Galleggia a pancia in su, vede le nuvole, se ne sceglie<br />

una alta, bianca e ha una vertigine in forma di schiaffo<br />

perché è tutto troppo per lui. Ha bisogno di poco, piaceri<br />

non troppo grandi e dolori più piccoli possibile.<br />

343


Allora si volta e nuota. Apre gli occhi, si sente al sicuro,<br />

e sotto l’acqua vede e guarda e gli sembra di non stancarsi<br />

mai perché in questo liquido lui, in questa mattinata<br />

bianca, in questi pochi panni, si sente proprio un grande<br />

bambino sereno generato da una grande energia.<br />

344<br />

INDICE


INDICE<br />

<strong>Ei</strong><br />

I 7<br />

II 53<br />

<strong>Ei</strong> 83<br />

III 107<br />

<strong>Ei</strong> 127<br />

IV 151<br />

V 163<br />

<strong>Ei</strong> 201<br />

VI 237<br />

<strong>Ei</strong> 245<br />

VII 275<br />

VIII 299<br />

<strong>Ei</strong> 311<br />

IX 315<br />

X 321<br />

XI 323<br />

<strong>Ei</strong> 327<br />

XII 331<br />

XIII 333<br />

<strong>Ei</strong> 337<br />

XIV 339


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili . Narrativa<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a ristampa)<br />

Maria Giacobbe, Il mare (ristampa)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />

Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (ristampa)<br />

Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />

Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />

Marcello Fois, Materiali<br />

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />

Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />

Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />

Gavino Ledda, Padre padrone<br />

Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />

Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />

Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />

Giorgio Todde, <strong>Ei</strong><br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />

Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il disegno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole


Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />

Pascale Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />

I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi<br />

Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in <strong>Sardegna</strong><br />

In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Marcello Fois, L’altro mondo<br />

Giorgio Todde, Paura e carne


Finito di stampare<br />

nel mese di febbraio 2004<br />

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE

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