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72 <strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />
Adria Bernardi / Davide Argnani<br />
73<br />
a Raffaello Baldini soprattutto. Di suo ha pubblicato romanzi e numerose<br />
traduzioni da autori di vari paesi. Fra gli scrittori italiani ricordiamo<br />
la sua traduzione del romanzo Avventure d’Africa di Gianni<br />
Celati. Di Raffaello Baldini ha tradotto molte poesie pubblicate poi<br />
su riviste americane (Gradiva, Chelsia, L’Anello che non tiene…), e ora<br />
l’intera raccolta Ciacri, con testo originale in dialetto e in italiano. E<br />
ora ecco quattro chiacchiere con la traduttrice, Adria Bernardi, che ci<br />
parla di Raffaello Baldini e della poesia in America. (Ps. Buona parte<br />
di questa intervista apparve anche sul n. 101 della rivista L’Ortica nel<br />
2007, quando Adria Bernardi stava ancora lavorando alla traduzione<br />
di questo libro del nostro poeta, n.d.r).<br />
Tu che sei nata e vivi in America come hai conosciuto Raffaello Baldini<br />
e perché ti sei innamorata della sua poesia?<br />
«Devo dire che la Poesia di Raffaello Baldini mi ha trovata. Negli<br />
anni 1988-89 studiavo Letteratura <strong>Italian</strong>a all’Universita’ di Chicago.<br />
Rebecca West, che ha scritto saggi importanti su Montale e su Gianni<br />
Celati, dedicava alcune letture alla poesia scritta in dialetto, soprattutto<br />
a quella di Tonino Guerra. Ho visto e letto le parole, le espressioni, e<br />
le formazioni delle frasi, cioè dei versi, del dialetto romagnolo, per la<br />
prima volta, proprio in un’aula dell’Università di Chicago. Parole mai<br />
viste, né scritte da me. E certamente mai ascoltate in questo ambiente.<br />
Però sentivo dentro di me arrivare voci lontane, quelle della mia infanzia,<br />
fino ai tre-quattro anni. Ricordavo e riconoscevo un linguaggio<br />
di infanzia, quello senz’altro dei miei genitori, lontano nel tempo, ma<br />
che porto ancora dentro. Ho vissuto questa esperienza anche con un<br />
certo senso di ironia, l’ironia di certe voci che mi dicevano: “Brava!<br />
Abbiam’ fat’tutt’ quel’ per tornar’ in dre’”. (“Brava! Abbiamo fatto tanto<br />
nella nostra vita per tornare indietro n.d.r.)».<br />
Allora ricordi bene le tue origini…!<br />
«Certo. Ero lì in quella posizione estremamente privilegiata,<br />
avendo scoperto un nuovo linguaggio, il linguaggio delle ossa, cioè<br />
delle mie origini, ora diventato un mio oggetto di studio. Certo, è<br />
vero che tutto questo possa far ridere, no? almeno quando pensavo<br />
alle voci degli anziani, cioè a quelle più classiche del ‘900, a certi ‘narratori’<br />
in dialetto come Tonino Guerra o Raffaello Baldini, appunto,<br />
considerati nel contesto di questa situazione. Mi sentivo scombussolata<br />
in quel momento: triste, ma anche divertita; commossa, ma allo<br />
stesso tempo mi sentivo anche resistente, refrattaria e comprensiva<br />
nonostante tutto. Questa mia posizione - emozionale, psicologica,<br />
intellettuale - forse non è tanto lontana dalla stessa posizione della<br />
poesia di Raffaello Baldini. Dopo aver finito il master’s, sentivo, da<br />
parte mia, la mancanza del linguaggio. Cominciavo a tradurre la<br />
poesia di Tonino Guerra (poi pubblicato come Abandoned Places,<br />
nelle edizioni Guernica, 1990). L’Istituto di Cultura <strong>Italian</strong>a di Chicago,<br />
sotto la direzione di Lidia Rimogida, e con Franco Nasi, allora<br />
Applicato all’Università di Chicago, insieme con Bordighiera Press,<br />
avevano deciso di fare una traduzione di Carta canta di Baldini, chiedendomi<br />
di fare la traduzione; Daniele Benati era l’editore e Daniele<br />
aveva fatto un’intervista allo stesso Baldini. Allora ho incominciato a<br />
leggere Baldini pensando a questo progetto. Poi ho avuto la fortuna<br />
di fare la sua conoscenza. Sono venuta appositamente in Italia e ci<br />
siamo incontrati due volte a Milano».<br />
Raffaello Baldini scrive in dialetto romagnolo, quello di Santarcangelo<br />
di Romagna, una lingua monosillabica, quella cupa del dittongo, per<br />
intenderci, difficile da capire dagli altri romagnoli. Secca e senza lirismi,<br />
antiretorica, la poesia di Baldini può sembrare un graffito o avere la forza di<br />
una invettiva, ben lungi dunque da ogni perbenismo. Tradotta in un’altra<br />
lingua non rischia di essere tradita? E poi come può essere percepita dal<br />
pragmatismo culturale americano?<br />
«Tradurre un’opera in un’altra lingua c’è sempre il rischio di<br />
poterla tradire; ma qual è l’alternativa? Dopo sette anni di frequentazioni<br />
con la poesia di Baldini mi sento abbastanza disposta a tradurla<br />
perché sono certa di poterla comprendere. Ho nelle orecchie i<br />
suoni del dialetto modenese, quello delle mie origini di Frignano, e,<br />
proprio come tu hai detto, continuo a portarmi sempre dietro questa<br />
lingua monosillabica, quella cupa del dittongo. Ho dentro di me,<br />
nella mente, nelle orecchie e nel corpo, i suoni anche dell’inglese del<br />
midwest degli Stati Uniti, specialmente quelli di Chicago. L’accento<br />
di questa zona è un accento poco bello; è nasale, piatto, secco… Ma<br />
in questo modo non si parla anche il romagnolo? Anche la lingua<br />
del midwest è una lingua molto lontana dal lirismo. I suoni sono<br />
corti, brevi, “clipped”. Anche per quello, forse, sono adatta a ricreare<br />
un’altra versione del santarcangiolese. In “Ciacri,” il narratore è una<br />
donna antipatica con la quale nessuno vuol parlare. In paese tutti<br />
provono a fuggire quando lei arriva. Nei primi versi, la moglie spiega<br />
al marito: mo comè t fé e’ cafè? vè ach pisarèla,/l’è tótt, al vólti acsè, ma