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ANTONIO MUOZ MOLINA

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fondò le mani nelle tasche, abituata all'inverno, al freddo di quella città<br />

dell'interno, attrezzata per affrontarlo. Sul marciapiede, l'ispettore stava<br />

pensando rapidamente a una scusa per accomiatarsi quando Susana, con la<br />

secchezza di chi già da un po' lo sta meditando, gli propose di prendere<br />

qualcosa insieme.<br />

«Potremmo andare in un bar qui vicino» disse un po' incerto l'ispettore.<br />

Conosceva a memoria la zona, anche al buio, aveva in mente tutti i portoni<br />

e i negozi, ora con le saracinesche abbassate, ostili alla notte invernale, assicurati<br />

con allarmi e lucchetti contro la paura. Di fronte a loro, con le luci<br />

della vetrina spente, c'era la cartoleria in cui Fatima aveva comprato il cartoncino<br />

e la scatola di pastelli, un negozio modesto e senza pretese, come<br />

quasi tutti nel quartiere, botteghe di piccoli artigiani e di umili empori.<br />

Quella via lo faceva star male, accresceva la sua disperazione per non essere<br />

ancora riuscito a fare qualcosa di utile né essersi avvicinato di un passo<br />

alla verità.<br />

«I bar qui sono deprimenti» disse Susana, indicando il locale all'angolo,<br />

tristemente illuminato e con un tubo di ventilazione che diffondeva un forte<br />

odore di frittura; poi aggiunse rapidamente, come prima, per non dargli<br />

il tempo di rifiutare: «Ho la macchina qui vicino, se permette la invito a<br />

cena in un posto che ho scoperto da poco. Le piacerà, è un'antica cascina in<br />

riva al fiume».<br />

Si avviò, energica e ben coperta, tra le auto parcheggiate. Senza convinzione,<br />

ma anche lievemente lusingato, l'ispettore la seguì, dopo aver dato<br />

un'occhiata all'orologio. Non era tardi, solo le otto, ma avevano trascorso<br />

tante ore in casa di Fatima e la notte calava così presto da lasciargli la desolante<br />

sensazione che fosse già notte da un pezzo, come in un paese boreale.<br />

C'erano sere in cui, verso le otto e mezzo, dopo la cena nel refettorio<br />

della clinica, a sua moglie concedevano il permesso di telefonargli dalla<br />

camera.<br />

«Che razza di quartieri» disse Susana. «Quando sono arrivata non c'era<br />

niente. Dalla finestra della mia classe si vedevano solo orti e terreni incolti.<br />

È stupefacente come sono riusciti a far diventare tutto così orribile.»<br />

Era vero, anche se l'ispettore non ci aveva mai fatto caso. Avrebbero potuto<br />

essere in un quartiere periferico di Bilbao, o di qualunque altra città,<br />

con muri di mattoni sporchi e biancheria stesa sui terrazzini, autorimesse e<br />

marciapiedi sbrecciati, bar dall'aria unta, ghirigori fatti con lo spray. Eppure<br />

questo era stato lo spazio vitale di Fatima, il paradiso delle sue camminate<br />

verso la scuola, dei giochi con le compagne sulle scale davanti ai por-

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