PROMORAMA ::: PRESS
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BAND: THE BLACK HEART<br />
PROCESSION<br />
::: <strong>PROMORAMA</strong> ::: <strong>PRESS</strong> :::<br />
TITLE: THE SPELL LABEL: TOUCH & GO<br />
PAG. 33<br />
LIVEROCK<br />
http://www.liverock.it/tuttarec.php?chiave=644&chiave2=The%5EBlack%5EHeart%5EProce<br />
ssion<br />
Nel corso degli ultimi anni, i Black Heart Procession si sono ritagliati un posto di grande prestigio all’interno<br />
della scena indipendente americana e mondiale. La band californiana, giunta ora alla sua quinta uscita<br />
discografica, ha saputo fare della sua proposta –un’unione oscura tra cantautorato ombroso e suggestioni<br />
underground- un vero e proprio marchio di fabbrica: se, infatti, i primi tre “numerici” album rappresentavano<br />
una sorta di corpo unico –essendo accomunati da un sentire piuttosto simile-, è con il precedente disco,<br />
“Amore del Tropico”, che la cifra stilistica dei nostri subisce una variazione verso territori più “aperti” e, per<br />
certi versi, leggeri. Se il capitolo precedente della loro discografia non ci aveva convinto del tutto, ben<br />
diversa è la reazione all’ascolto del nuovo “The spell” dove, pur proseguendo la via intrapresa con “Amore<br />
del Tropico”, la sostanza è, per quanto riguarda i Black Heart Procession, nuova: “The spell”, infatti, si<br />
costruisce su canzoni dalle melodie “piene” ed ariose –il che, comunque, non ha intaccato la malinconia che<br />
da sempre caratterizza Pall Jenkins e compagni-, spesso strutturate su chitarre elettriche mai così evidenti e<br />
su toni generalmente meno minimali e sommessi rispetto a quelli presenti, soprattutto, nei primi tre album<br />
dei nostri. Per quanto un po’ del fascino originario sembra vagamente scemarsi –o, forse, modificarsi-, “The<br />
spell” è un album splendido, dove un songwriting maturissimo si fonda alla perfezione a sensazioni e<br />
tematiche –basta dare un’occhiata al curato artwork del disco, o una lettura ai testi per ottenere confermeche<br />
sanno di amarezza, incertezza, incapacità di agire (“Drawn in your web, I’m tangled in your web”, da<br />
Tangled) e smarrimento. Un connubio come sempre compiutissimo, nonostante la carriera ormai decennale<br />
e la tanta strada percorsa. “The spell” è una sorta di spirale in cui perdersi, un incantesimo, appunto, dal<br />
quale farsi rapire. Il suo magico agire è fatto di piccole gemme preziose come Tangled, The spell, The letter<br />
o Return to burn, al cui potere è francamente difficile sfuggire.<br />
KRONIC<br />
http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=13365<br />
Cosa manca a questo nuovo Black Heart Procession? Perché non dovremmo accontentarci di un onesto<br />
lavoro di rappresentanza anche da Pall Jenkins e soci? Dopo aver (de)scritto alcune della pagine più buie<br />
dell’America contemporanea, avvicinando la musica popolare alla narrazione dei più contrastati hard-boiled e<br />
fornendo uno dei più mirabili esempi di fusione di questi due linguaggi, “The Spell”, compendio stilistico ed<br />
estetico, potrebbe rappresentare il meritato momento di raccogliere i frutti di quanto seminato.<br />
D’altronde con “Tropics Of Love”, capolavoro di precisione descrittiva, di nitidezza espressiva e sorprendente<br />
passo in avanti a livello di produzione e sintesi melodica, i Black Heart Procession hanno rischiato di mettere<br />
il capo fuori dall’orticello alternativo che li ha sempre supportati. Ricevendone le consuete tirate di orecchie.<br />
Come a dimostrare da quale parte della barricata intendano restare, “The Spell” rinuncia agli ammiccamenti<br />
furbetti di quel lavoro e restituisce una band fieramente di nicchia, un po’ intimorita ma desiderosa di<br />
ribadire sé stessa, seppur con meno argomenti rispetto al passato.<br />
Non possiamo biasimare la compostezza formale di questo “The Spell”. Compiuto ed elegante come il meglio<br />
congeniato dei noir. Ma lamentiamo l’accademico formalismo di mestiere. Nemico - così sappiamo – della più<br />
genuina facoltà di sorprendere che ci piace ammirare nella musica più memorabile.<br />
Certo, non avevamo mai ascoltato i BHP così innamorati delle chitarre, dei riffs. Ma i disarmanti maidenismi<br />
(avete letto bene, Iron Maiden, con tutto il rispetto) dell’insulsa “Gps” non possono rappresentare<br />
un’evoluzione auspicabile per la band che meglio di tutte aveva saputo delineare i contorni del folklore<br />
suburbano americano contemporaneo, raccontandone la corruzione, il decadimento, la disperazione con note<br />
al limite della perfezione.<br />
Oggi abbiamo i consueti funerali di “Tangled”, “The Letter”, “The Replacement” e “The Water #5”. Perfetti<br />
esempi di stile, ma nulla più. Il cuore di Pall Jenkins è ancora profondamente nero come il più tragico dei<br />
giorni di ogni esistenza umana. Ma sembra aver smesso di battere.