Lacrime e sangue Quei Keynesiani del Fmi N ella seconda settimana di ottobre si è svolta a Tokyo l’assemblea annuale più importante del Fondo monetario internazionale (Fmi). In tale sede si è preso atto del forte rallentamento che sta caratterizzando, pur nella diversità <strong>dei</strong> risultati <strong>dei</strong> singoli Paesi, l’intera economia mondiale. Ciò implica anche ammettere che, ancora una volta, si sono commessi significativi errori previsionali. Ma ciò che più stupisce (favorevolmente) è che l’Fmi attribuisca tali errori alla sottovalutazione degli effetti depressivi delle manovre di rigore che, peraltro, era lo stesso organismo economico internazionale a pretendere. Come dichiarato dalla direttrice del Fondo, Christine Lagarde, «le misure di austerità adottate nel mondo hanno avuto effetti più forti di quelli previsti». Del resto, dal 2010 in poi, soprattutto in Europa, i Paesi hanno cominciato a tagliare significativamente e simultaneamente i bilanci pubblici. Trattandosi di regioni economiche altamente integrate tra loro, la riduzione della spesa pubblica e della domanda interna di ciascuna di esse non poteva che tradursi in minori esportazioni e, quindi, minore Pil anche per i Paesi vicini. L’Fmi ha quindi dovuto ammettere che politiche fiscali di austerità non possono essere l’unico strumento di politica economica in mano ai governi. Anche perché il debito pubblico ha continuato ad aumentare in molti Stati, nonostante i tagli alla spesa e l’aumento delle tasse. In definitiva sia i dati che le analisi del Fondo monetario internazionale sconfessano la cosiddetta “auste- Anche il Fondo monetario internazionale ha ammesso che l’austerity, da sola, non può farci uscire dalla crisi rità espansiva”, ossia la ricetta liberista di politica economica seguita, in particolare dall’Europa, per affrontare la crisi. Secondo tale ricetta la riduzione <strong>dei</strong> deficit pubblici, grazie anche al calo <strong>dei</strong> tassi di interesse che TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT di Alberto Berrini | globalvision | dovrebbe indurre (ma non si sono fatti i conti con mercati finanziari lasciati colpevolmente liberi di agire indisturbati), libera risorse che saranno poi utilizzate dai privati (consumatori e imprese) e, quindi, favoriranno la ripresa. In realtà, come la storia ha sempre dimostrato, non è scontata l’autonoma e spontanea capacità del mercato di risollevarsi, soprattutto quando la crisi è così profonda e riguarda l’intera economia globale. In breve, senza realistiche aspettative di crescita, difficilmente consumi e investimenti intraprendono spontaneamente la strada della ripresa. Ma la ricetta “keynesiana” dell’Fmi, per quanto rivoluzionaria per un organismo che in passato imponeva dolorosissime ancorché inefficaci politiche di tagli, è assai limitata. Il Fondo suggerisce, infatti, ai governi di prendere tempo, ossia di diluire nel tempo le politiche di aggiustamento per dare più ossigeno alla crescita. Ma i Paesi hanno ormai il fiato corto. E, come ricordava Keynes, «nel lungo periodo siamo tutti morti». Servono robusti interventi pubblici contro la crisi. Il capo-economista keynesiano del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, sicuramente lo sa. Gli daranno ascolto? | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 7 |