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Colpire al cuore

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“Quelle sono le sue scarpe, signor Sc<strong>al</strong>zi, le ho viste nella fotografia che ho trovato nell’appartamento della<br />

vittima. Sono le stesse che indossa ora. Diego Sc<strong>al</strong>zi, lei è in arresto per l’omicidio della professoressa Diana<br />

Monti. Pandolfi leggigli i suoi diritti e port<strong>al</strong>o in centr<strong>al</strong>e.”<br />

Pandolfi eseguì ammanettando Diego che dava in escandescenze: “Siete pazzi! Io non ho fatto niente! Le<br />

scarpe me le hanno rubate stamattina d<strong>al</strong>lo spogliatoio in p<strong>al</strong>estra!”<br />

“Rubate? Ma se le ha ai piedi! Non dica sciocchezze! ” inc<strong>al</strong>zò il preside.<br />

Sc<strong>al</strong>zi era confuso e disperato: “Le ho… le ho ritrovate nel bagno in fondo <strong>al</strong> corridoio, io non c’entro! Io non<br />

c’entro!”<br />

“Ne riparleremo in centr<strong>al</strong>e Sc<strong>al</strong>zi. Port<strong>al</strong>o via.” Pandolfi obbedì <strong>al</strong>lontanandosi con Sc<strong>al</strong>zi ammanettato e<br />

urlante.<br />

“Un caso risolto facilmente, quel ragazzo era destinato a fare una brutta fine” commentò il preside.<br />

B<strong>al</strong>di non rispose. Apprestandosi a riporre il computer si soffermò ancora a studiare il filmato. C’era qu<strong>al</strong>cosa<br />

di insolito. Tutto troppo semplice: un delitto, un assassino, una prova inoppugnabile. Guardò e riguardò la<br />

scena con attenzione, poi si rivolse <strong>al</strong> preside:<br />

“Lei è mai stato a casa della professoressa Monti?” chiese con noncuranza.<br />

Il preside sobb<strong>al</strong>zò e rispose: “No, non so neppure dove abiti”.<br />

“È proprio sicuro di non essere mai entrato nella casa della professoressa Monti?” insistette il commissario.<br />

“Certamente! Le ho già risposto. Non frequento i professori <strong>al</strong> di fuori della scuola. Ma perché queste domande?”<br />

Il preside dava segni di insofferenza.<br />

“Perché se lei non è mai entrato nella casa della professoressa e addirittura dichiara di non sapere dove abiti,<br />

come mai la sua bella borsa di cuoio è presente sulla scena del delitto?”<br />

“Co… come, ma cosa… cosa sta dicendo? Lei è pazzo!” esclamò il preside, fuori di sé.<br />

“Avrebbe dovuto stare più attento nel filmare professore. Non si è accorto che lo specchio nella stanza rifletteva<br />

una sedia su cui c’era la sua borsa. Lei è il colpevole e non il povero Sc<strong>al</strong>zi. Le conviene confessare.”<br />

Il preside rimase sbigottito. “Come? La mia… la mia borsa ? Ma… ce ne sono migliaia simili!” b<strong>al</strong>bettò per<br />

difendersi.<br />

“Non con una targhetta e le sue inizi<strong>al</strong>i. Si legge benissimo, guardi qui”, lo inc<strong>al</strong>zò B<strong>al</strong>di indicando il filmato.<br />

“Ma… ma… come … non capisco… la borsa … lo specchio…” sempre più confuso il preside agitava la testa e <strong>al</strong>la<br />

fine crollò.<br />

“… voleva denunciarmi, distruggermi. Aveva scoperto che avevo avuto una relazione con la sua studentessa<br />

minorenne e aveva le prove che non si era trattato di un suicidio. Aveva perso la testa. Era in perenne<br />

conflitto con sua madre. Diana mi teneva in pugno e un anno fa mi ha costretto ad ammazzare sua madre.<br />

Aveva predisposto tutto. Poi è caduta in una grave depressione. Si sentiva colpevole per la morte della madre<br />

e anche per la morte della sua studentessa…”, fece una pausa, con lo sguardo perso nel vuoto. “… era stata<br />

in clinica a curarsi ma ne era uscita con l’ossessione per il demonio e una vocazione paranoica. Delirava sulla<br />

legge del tre, parlava di espiazione, pentimento; voleva guarire il mondo dai peccati e voleva confessare<br />

tutto per espiare le sue colpe.”<br />

B<strong>al</strong>di ascoltava, il registratore continuava memorizzare.<br />

“L’ho ammazzata nello stesso modo della madre e ho cercato di manovrare per coinvolgere Diego Sc<strong>al</strong>zi,<br />

visto i suoi precedenti. Ho preso le sue scarpe d<strong>al</strong>lo spogliatoio e le ho indossate per incastrarlo, poi le ho<br />

abbandonate nel bagno dove le ha ritrovate”. Fece una pausa e proseguì:<br />

“Lei non mi dava pace, ho cercato di convincerla ma non c’è stato modo… ”<br />

“Un modo l’ha trovato, purtroppo”, concluse il commissario.<br />

Fuori pioveva. Quando piove a Como, non smette mai.<br />

LO SCONOSCIUTO E LA BRAVA RAGAZZA<br />

di Andrea Di Gregorio<br />

Andrea Di Gregorio insegna scrittura creativa, business writing e traduzione. Traduce per la Bompiani i romanzi<br />

del gi<strong>al</strong>lista greco Petros Màrkaris.<br />

Era ormai buio e non mancava che un quarto d’ora <strong>al</strong>la chiusura dell’edicola-souvenir, quando la porta si aprì<br />

e il suono del cic<strong>al</strong>ino distolse il vecchio signor Franco, il padrone, d<strong>al</strong> riordino delle riviste e dei ricordini.<br />

Era entrato un ragazzo sui venticinque anni, carnagione chiara, jeans, giubbotto, capelli molto corti. In un<br />

paese come Bellagio c’è molto passaggio e si è abituati a gente nuova. Ma quel ragazzo aveva qu<strong>al</strong>cosa che<br />

colpì Franco. Non era un turista. E non era neanche un ragazzo. Era un uomo di venticinque anni. Franco,<br />

ment<strong>al</strong>mente, lo etichettò come uno sconosciuto. E quando uno sconosciuto entra nel tuo negozio, a un quarto<br />

d’ora d<strong>al</strong>la chiusura, una buona cosa da fare è avvicinarsi <strong>al</strong> cassetto del bancone, dove ogni negoziante<br />

coscienzioso e prudente nasconde la pistola. E così fece, Franco, mettendosi dietro <strong>al</strong> bancone.<br />

Lo sconosciuto percorse i quattro metri che separavano la porta d<strong>al</strong> bancone, con c<strong>al</strong>ma. Zoppicava.<br />

“Buonasera. Mi chiamo Achille Grandi. Sono un ricercatore dell’Università Cattolica e sono a Bellagio per uno<br />

studio sulle comunità soci<strong>al</strong>i del Triangolo Lariano. Posso chiederle un favore?”<br />

Franco non aveva un’idea precisa di cosa fosse una comunità soci<strong>al</strong>e, ma la parola “Cattolica” gli piacque. Anche<br />

Achille Grandi era un nome che gli sembrava famigliare. E poi il ragazzo zoppicava e la cosa, come dire?,<br />

lo rassicurava.<br />

“Penso di rimanere in paese d<strong>al</strong>le due <strong>al</strong>le quattro settimane per la mia ricerca. Ho preso <strong>al</strong>loggio vicino<br />

<strong>al</strong>l’imbarcadero…”<br />

“D<strong>al</strong> Frangi?”<br />

“Sì, proprio lui.”<br />

“Ah, bene.”<br />

“E, appunto… in questo periodo, per la mia ricerca, avrei bisogno di inserirmi nel contesto soci<strong>al</strong>e del paese,<br />

sa, per capire un po’ le cose, d<strong>al</strong> didentro…”<br />

Franco ebbe un istintivo moto di ripulsa. Vedere le cose d<strong>al</strong> didentro non era mai rientrato nelle sue priorità.<br />

“… e quindi le chiederei se può assumermi, nel suo negozio, come aiutante, per queste settimane. Mi aiuterebbe<br />

molto nella mia ricerca.”<br />

Fuori era ormai buio. E anche dentro, perché Franco risparmiava sulla luce. E poi stava per chiudere.<br />

“No, nient de fa. Non posso permettermi un aiutante. E poi, tra due mesi vado in pensione.” Appunto: capita<br />

sempre così: due mesi prima della pensione il proprietario del negozio viene sgozzato d<strong>al</strong>l’aiutante per qu<strong>al</strong>che<br />

centinaio di euro di incasso.<br />

“Ma non dovrebbe pagarmi”, insistette l’uomo che si era presentato come Achille Grandi. “Anzi, sarebbe<br />

l’Università a passarle una certa somma per il disturbo. Avere questo posto sarebbe molto utile per le mie<br />

ricerche.”<br />

“Una somma? Sarebbe lei a pagarmi per lavorare?”<br />

“Be’, non io direttamente. L’università.”<br />

Che mondo: tutto <strong>al</strong>la rovescia, pensò Franco.<br />

“E… quanto darebbero?”<br />

Dopo due giorni, le bellagine di una certa età andavano nell’edicola-souvenir di Franco già più volentieri. “L’è<br />

propri un bel fioeu”, dicevano tutte contente. Educato non c’è che dire, anche se era sempre in giro a parlare<br />

con le donne, con i vecchi, con i ragazzetti, a intrufolarsi nelle case. Pare che le Zanetti, la Iole e la Ester, non<br />

l’avessero fatto entrare, perché insospettite della sua insistenza. Voci incontrollate e incontrollabili. Ma anche<br />

loro, povere donne: non era passato neanche un mese d<strong>al</strong> fatto brutto…<br />

“Che fatto brutto?” chiese quella mattina livida Achille <strong>al</strong> Tunìn del bar dell’imbarcadero, mentre si faceva<br />

tagliare un bianchino col Campari. Saranno state le 10 e il sole non si era ancora visto. Un po’ presto, forse,<br />

per il Camparino. Ma si sa, a Bellagio, d’inverno, il sole c’è poco e sembra sempre pomeriggio.<br />

“Eh… la Lauretta. Nessuno se l’aspettava. Che brava tosa che l’era. Ammazzarsi così. È affogata nella vasca.”<br />

“Nella vasca? Ma è affogata o si è affogata?”<br />

“Dicono che si è ammazzata.”<br />

“E perché?”<br />

“Chi dice che aveva un brutto m<strong>al</strong>e. Chi dice che si drogava…”<br />

“E non ha lasciato niente, un biglietto, una lettera?”<br />

“Mah… no. Neanche i carabinieri non hanno trovato niente. Era notte, era buio. Le Zanetti l’hanno vista morta,<br />

nella vasca, quando hanno acceso la luce in bagno. Poverette, manca poco che ci restavano secche anche<br />

loro. Hanno detto che ha lasciato un quaderno. Io non l’ho visto. Di sicuro ha lasciato parecchi milioni…”<br />

“Milioni? In euro?”<br />

“E sì, in che cosa, sennò, in borlotti? La villa col parco qui a Bellagio e una ventina di appartamenti a Milano.<br />

Ma ascolti un po’: lei si chiama proprio Achille Grandi? Come il nostro sindac<strong>al</strong>ista?”<br />

“Sindac<strong>al</strong>ista?” replicò lo sconosciuto. “No, non ne so niente.”<br />

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