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se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno ... - Editrice Rotas

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Musica<br />

Ottima performance del Coro “Il Gabbiano” di Barletta<br />

alla 14 a edizione di “Corinfesta 2012 Festival”<br />

di Alessandro Vi<strong>se</strong>ntin<br />

S i è conclusa la 14a edizione di Corinfesta 2012<br />

Festival, l’appuntamento corale puglie<strong>se</strong>.<br />

A Fasano, nello splendido scenario della Valle dei<br />

Trulli, tra le colline e il mare, si è svolta l’edizione di<br />

quest’anno.<br />

Sin dal mattino si sono dati appuntamento oltre 120<br />

artisti del coro provienienti da Bari, Barletta, Biccari,<br />

Foggia, Locorotondo, Martina Franca e Taranto.<br />

Dopo un intenso periodo di studio, avvenuto<br />

tra mattino e pomeriggio con il workshop dal titolo<br />

“Percorsi nella polifonia sacra” tenuto dal M° Donato<br />

Falco di Bari, in <strong>se</strong>rata, la suggestiva Chiesa del Trullo<br />

adagiata sulla Selva di Fasano, ha fatto da cornice alla<br />

kermes<strong>se</strong> finale alla quale hanno preso parte: il Coro<br />

“Gaudii Canticum” di Fasano diretto dal M° Maria<br />

Palma russo, il Coro Polifonico “odegitria” diretto dal<br />

M° Fiorenza Pastore, il Coro Polifonico “Il Gabbiano”<br />

di Barletta diretto dal M° Gianluigi Gorgoglione, i<br />

“Tarenti Cantores” di Taranto diretti dal M° Giovanna<br />

Facilla, la Corale “S. Cecilia” di Biccari diretta da Marina<br />

Ziccardi ed i “Wakeup Gospel Project” di Martina Franca<br />

diretti dal M° Graziano Le<strong>se</strong>rri.<br />

ogni Coro ha dato il meglio di sé offrendo al numeroso<br />

ed attento pubblico intervenuto un concerto di alto livello,<br />

caratterizzato da programmi di qualità e di vario genere<br />

musicale <strong>che</strong> hanno con<strong>se</strong>ntito di mettere in evidenza le<br />

caratteristi<strong>che</strong> dei Cori e le abilità dei rispettivi Direttori.<br />

In particolare va evidenziata l’eccellente resa fonica del<br />

Coro “Il Gabbiano” di Barletta, <strong>che</strong> si è distinto per aver reso<br />

magistralmente i brani proposti, denotando buon amalgama<br />

timbrica, ottima resa dinamica, superba interpretazione<br />

e perfetta simbiosi con il proprio direttore, M° Gianluigi<br />

Gorgoglione, il quale dotato di un buon gesto comunicativo<br />

e coinvolgente ha costantemente dominato <strong>non</strong> solo la<br />

Un momento della 14 a edizione di Corinfesta 2012 Festival (Foto dI MatIlde Ma-<br />

strIa)<br />

resa fonica del Coro ma an<strong>che</strong> le interazioni musicali con i<br />

precisi accompagnamenti del pianista Marcello Camporeale<br />

e delle belle voci soliste del soprano Matilde Mastrìa e della<br />

vocalist Francesca Pedico <strong>che</strong> hanno impreziosito con le loro<br />

caratteristi<strong>che</strong> vocali i brani e<strong>se</strong>guiti in dialogo con il Coro.<br />

Il Festival si è concluso tra gli applausi del folto pubblico<br />

pre<strong>se</strong>nte, con il Common singing (3 brani finali e<strong>se</strong>guiti con<br />

tutti i cori uniti), diretto dal M° Falco ed accompagnato al<br />

pianoforte dal M° Gianluigi Gorgoglione.<br />

Per informazioni tel. 347.9713009 Associazione Musicale Corale<br />

Polifonica “Il Gabbiano” Barletta<br />

coroilgabbiano@libero.it - www.coroilgabbiano.it<br />

S.I.A. srl<br />

Servizi d’Igiene Ambientale<br />

Società di <strong>se</strong>rvizi<br />

Pulizie condomini e uffici<br />

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tel. 338 300 50 73 (vito)<br />

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E-mail: SIA2004@libero.it<br />

Tradizioni<br />

L’odore del lievito madre<br />

di Francesco Gambino<br />

ia <strong>non</strong>na Giovanna, ancora negli anni ’50 del <strong>se</strong>colo<br />

M scorso, continuava come <strong>se</strong>mpre a fare il pane in casa,<br />

con cadenza <strong>se</strong>ttimanale.<br />

Io ero piccolo, avevo quattro o cinque anni, e mi piaceva vedere<br />

mia <strong>non</strong>na impastare la farina con l’acqua ed il lievito madre <strong>che</strong> lei<br />

custodiva gelosamente su un ripiano nella madia, in un angolo <strong>che</strong><br />

diventava buio con il chiudersi della portella. Era proprio l’odore<br />

del lievito <strong>che</strong> mi piaceva moltissimo e <strong>che</strong> ancora oggi <strong>se</strong>nto,<br />

<strong>se</strong>ppur in diversa intensità, quando mia moglie prepara in casa le<br />

focacce o le pizze.<br />

Ma ritornando a quell’antico profumo, ricordo <strong>che</strong>, con le<br />

ginocchia sulla <strong>se</strong>dia di legno (allora si portavano i pantaloni corti<br />

con le bretelle della stessa stoffa: le gambe e le ginocchia erano<br />

<strong>se</strong>mpre scoperte) mi affacciavo al bordo sopraelevato del tavoliere<br />

posto sul tavolo della cucina.<br />

Su quel tavoliere <strong>non</strong>na Giovanna formava prima una bella<br />

montagna di farina e poi mi diceva: “Hai le mani pulite? Si? Allora<br />

fai il buco”. Io contento affondavo le manine nella soffice farina<br />

bianca e cercavo di formare un cratere. Questa operazione me la<br />

ricordo quasi priva di odori, ma il profumo del lievito andava <strong>se</strong>mpre<br />

più aumentando quando lei prendeva il lievito e con le sue mani un<br />

po’ nodo<strong>se</strong> lo spezzettava, lo spappolava, lo strizzava, lo schiacciava<br />

annegandolo nell’acqua tiepida, mischiandolo con la farina, fino<br />

a <strong>che</strong> <strong>non</strong> scomparis<strong>se</strong> in un impasto dapprima disarticolato e<br />

disomogeneo, un po’ polveroso e un po’ poltiglia, poi, sotto le forza<br />

delle braccia e dei polsi, del rotolare sotto le mani, le stirate da destra<br />

a sinistra e poi da sinistra a destra, e sottosopra, fuori e dentro i suoi<br />

pugni sulla pasta, <strong>non</strong> fendenti, ma affondati nell’impasto <strong>che</strong> pian<br />

piano diventava ben amalgamato, liscio all’esterno, con dei piccoli<br />

buchi all’interno quando, stirandolo, si apriva.<br />

Poi lo ricompattava fino a formare una pagnottella, una palla<br />

schiacciata, sulla quale <strong>non</strong>na Giovanna, come <strong>se</strong> passas<strong>se</strong> una<br />

piuma di uccello, faceva scivolare la lama del coltello provocando<br />

due tagli formanti il <strong>se</strong>gno di croce, oppure due solchi diagonali.<br />

La pasta, allora, come d’incanto si apriva come gros<strong>se</strong> labbra in<br />

corrispondenza dei tagli.<br />

Per tutto il tempo dell’impasto io vedevo il lievito scomparire<br />

fra gli altri composti, ma continuavo a <strong>se</strong>ntire <strong>se</strong>mpre di più il suo<br />

Una parte della famiglia dell’autore: <strong>non</strong>na Giovanna, la sorella<br />

Carmela e la moglie milena<br />

fresco e vellutato profumo, e più l’impasto era maltrattato e più il<br />

profumo invadeva la stanza. Quell’odore di fres<strong>che</strong>zza mi <strong>se</strong>mbrava<br />

provenis<strong>se</strong> da un fitto bosco incantato, io chiudevo gli occhi e lo<br />

inspiravo profondamente.<br />

Qual<strong>che</strong> volta mi era capitato an<strong>che</strong> di in<strong>se</strong>guirlo. Sì, di<br />

in<strong>se</strong>guirlo. Mia <strong>non</strong>na quando preparava il pane faceva <strong>se</strong>tte<br />

formelle, una per ogni giorno della <strong>se</strong>ttimana, <strong>che</strong> poi metteva<br />

nei canovacci e le faceva lievitare. Quando la lievitazione era<br />

completata, chiamava il fornaio <strong>che</strong> veniva fin su, in casa, con in<br />

spalla una tavola larga intorno ai trenta centimetri e lunga circa due<br />

metri, gli spigoli arrotondati. <strong>non</strong> so come faces<strong>se</strong> a salire quelle<br />

ripide e strette scale, for<strong>se</strong> qual<strong>che</strong> volta rimaneva giù, all’ingresso<br />

del portoncino, in fondo alle scale.<br />

Mia <strong>non</strong>na allora prendeva le <strong>se</strong>tte formelle, una per volta,<br />

con decisione ma con delicatezza, come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong>ro <strong>se</strong>tte neonati,<br />

li avvolgeva in un canovaccio bianco e con garbo e cura, quasi<br />

accarezzandole, le poggiava sulla lunga tavola del fornaio, un po’<br />

in diagonale, es<strong>se</strong>ndo le forme più lunghe <strong>che</strong> larghe.<br />

Il profumo del lievito si <strong>se</strong>ntiva, di meno, ma si <strong>se</strong>ntiva, specie<br />

nei canovacci <strong>che</strong> avevano avvolto le formelle e <strong>che</strong> ne erano<br />

rimasti intrisi. E lo <strong>se</strong>ntivo ancora quando andavo al forno.<br />

Quel luogo me lo ricordo come un locale buio, tutto nero di<br />

fuliggine, tranne nei posti dove si adagiavano le tavole, con o <strong>se</strong>nza<br />

il pane, su appoggi paralleli e perpendicolari al muro. In fondo al<br />

locale di tanto in tanto veniva aperta la bocca del forno dalla quale<br />

fuoriusciva una magica luce ora rossastra, ora arancione, ora dinamica<br />

con lunghe lingue di fuoco, ora quasi statica con il chiarore delle<br />

braci, oppure solo l’intenso calore. Ad un fianco del forno c’erano<br />

cataste di legna ordinate, dall’altro fascine con quelle sciolte poste<br />

davanti. Il lievito lo <strong>se</strong>ntivo an<strong>che</strong> lì <strong>che</strong> accompagnava i gesti attenti,<br />

precisi, svelti, del fornaio, delle sue mani e delle sue palette.<br />

Io, <strong>se</strong>duto agli scalini <strong>che</strong> dalla porta su strada scendevano al<br />

piano del forno, ero affascinato ed in quel piacevole tepore vedevo<br />

sfornare i pani già infornati di altri clienti, fintanto <strong>che</strong> arrivas<strong>se</strong> il<br />

turno dei nostri. E quando quelle forme dorate uscivano dal forno, il<br />

profumo del pane prendeva il sopravvento su tutti gli altri profumi<br />

<strong>che</strong> <strong>se</strong>mbravano accoglierlo come una corte s’inchina al suo re.<br />

Quando tornavo a casa di <strong>non</strong>na Giovanna, lei mi dava un<br />

toc<strong>che</strong>tto di pane sul quale faceva cadere alcune gocce di olio<br />

d’oliva di avanzo dal misurino di latta <strong>che</strong> utilizzava in cucina:<br />

quanto era buono!<br />

normalmente quella costina di pane era la parte della formella<br />

<strong>che</strong> nel forno toccava l’altra formella, quasi <strong>che</strong> si bacias<strong>se</strong>ro, così<br />

<strong>che</strong> su di essa <strong>non</strong> si completava la crosta, ma rimaneva bianca<br />

e morbida. Era la parte <strong>che</strong> con<strong>se</strong>rvava una fragranza difficile da<br />

dimenticare e un caratteristico odore: quello del lievito madre.<br />

40 IL FIERAMoSCA LUGLIo 2012<br />

LUGLIo 2012 IL FIERAMoSCA 41

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