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DISPENSA DI ORTOPEDIA - LUDT

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LIBERA UNIVERSITA’<br />

<strong>DI</strong> DANZA E TEATRO


IN<strong>DI</strong>CE GENERALE<br />

1 GENERALITA’ pag. 3<br />

2 DEFORMITA’ CONGENITE pag. 15<br />

3 ALTERAZIONI DELL’ADOLESCENZA pag. 42<br />

4 ARTROSI pag. 78<br />

5 LOMBALGIE – LOMBOSCIATALGIE -<br />

LOMBOCRURALGIE pag. 95<br />

2


PREMESSA<br />

GENERALITA’ 1<br />

Il termine “Ortopedia” è stato coniato nel 1741 dal medici francese Nicolas Andry.<br />

Con parafrasi dell’etimologia greca egli chiamò ortopedia “l’arte di prevenire e correggere<br />

nei bambini, le deformità del corpo”.<br />

Questa definizione esprime tuttora adeguatamente il carattere preventivo e<br />

terapeutico di questa scienza nei confronti delle deformità scheletriche; carattere che essa<br />

ancora conserva, pur avendo esteso il suo campo di applicazione all’età adulta e senile ed<br />

alla prevenzione e cura delle deformità secondarie a fratture, lussazioni od altre lesioni<br />

traumatiche.<br />

E’ ovvio che nessuna prevenzione delle deformità post-traumatiche è efficace<br />

senza un adeguato trattamento iniziale del danno prodotto dal trauma: per tale ragione la<br />

traumatologia dell’apparato locomotore – che rappresenta certamente la più antica delle<br />

scienze chirurgiche – è entrata a far parte dell’ortopedia fin dai primi anni del ‘900. Da<br />

allora ortopedia e traumatologia dell’apparato locomotore si sono così intimamente fuse da<br />

rappresentare un’unica disciplina: la Clinica Ortopedica.<br />

Essa attualmente si indirizza alla prevenzione e al trattamento di ogni morfologia e<br />

funzionale dell’apparato locomotore, sia essa di natura congenita o acquisita.<br />

Clinicamente le alterazioni della normale morfologia corporea si distinguono in:<br />

Paramorfismi<br />

Dismorfismi<br />

► Nei paramorfismi la deviazione morfologica è la risultante di posizioni incongrue<br />

mantenute da abitudini posturali viziose, da dolore, etc… Si tratta cioè di deformità<br />

generalmente transitorie, correggibili volontariamente, non sostenute da alterazioni delle<br />

strutture scheletriche.<br />

Esempi di paramorfismi sono:<br />

Le deviazioni della colonna vertebrale nel piano frontale (atteggiamento scoliotico)<br />

per differente lunghezza degli arti inferiori, per contrattura dolorosa unilaterale della<br />

muscolatura paravertebrale (da irritazione di una radice nervosa dello sciatico);<br />

3


Le inclinazioni laterali del capo, dovute a processi infiammatori dell’orecchio o ad<br />

affezioni reumatiche della muscolatura del collo (torcicollo sintomatico);<br />

Le modificazioni della volta plantare nei bambini (piattismo);<br />

Etc…<br />

I paramorfismi sono di prognosi funzionale favorevole in quanto facilmente reversibili,<br />

specie se precocemente diagnosticati e trattati. Abbandonati a se stessi, soprattutto<br />

durante l’età dello sviluppo, alcuni paramorfismi possono talvolta trasformarsi in<br />

disformismi per la progressiva instaurazione di modificazioni strutturali scheletriche.<br />

► Per disformismi si intendono quelle modificazioni della normale morfologia,<br />

sostenute da alterazioni congenite (malformazioni) o acquisite delle strutture osteofibrose.<br />

Essi non sono correggibili, ne spontaneamente ne attivamente, senza un adeguato<br />

trattamento ortopedico incruento o cruento.<br />

Esempi di disformismi sono:<br />

Le curvature patologiche della colonna vertebrale nel piano frontale (scoliosi) o<br />

sagittale (cifosi) che si accompagnano ad alterazioni strutturali dei corpi<br />

vertebrali;<br />

Le inclinazioni del capo dovute ad alterazioni strutturali della muscolatura del<br />

collo (torcicollo piogeno congenito);<br />

Le deviazioni assiali tra i vari segmenti scheletrici o in uno stesso segmento;<br />

Etc…<br />

I disformismi relativi a deviazioni assiali prendono denominazioni diverse a seconda<br />

del piano nel quale si manifesta la deformità stessa; si ha:<br />

Varismo, quando, nel piano frontale, l’asse longitudinale di un osso lungo forma con<br />

l’asse longitudinale del segmento scheletrico adiacente, un angolo aperto all’interno<br />

(cioè verso la linea mediana del corpo) minore dei valori normali;<br />

Valgismo, nella condizione patologica inversa, quando cioè l’angolo aperto<br />

all’interno presenta valori maggiori della norma;<br />

Recurvato, quando la deformità angolare si sviluppa nel piano sagittale e con<br />

angolazione a seno aperto anteriormente;<br />

Procurato, quando l’angolazione appare invece aperta posteriormente;<br />

Questi, come altri disformismi, sono di prognosi funzionale buona solo se trattati<br />

correttamente e precocemente. Trascurati, tendono spesso ad aggravarsi provocando<br />

un’accentuazione progressiva dei disturbi funzionali che li accompagnano.<br />

4


EZIOPATOGENESI GENERALE<br />

Le affezioni dell’apparato locomotore si distinguono in congenite ed acquisite.<br />

Affezioni congenite<br />

Comprendono rare forme sistemiche (quali l’osteogenesi imperfetta, l’osteopetrosi,<br />

la acondroplasia, le condrodisplasie, etc…) e le più frequenti distrettuali, o malformazioni.<br />

Le malformazioni si distinguono in embrionarie e fetali.<br />

Le malformazioni embrionarie sono da riferire, a seconda dei casi, a fattori<br />

endogeni ereditari (patrimonio genetico) od a afattori esogeni (malattie virali della madre,<br />

etc…)<br />

Le malformazioni fetali possono invece essere legate a disturbi di nutrizione del feto<br />

per oligoidramnios, avitaminosi, etc…)<br />

Affezioni acquisite<br />

Si possono distinguere in:<br />

Circolatorie<br />

Infiammatorie<br />

Discrasiche<br />

Degenerative<br />

Tumorali<br />

Idiopatiche<br />

Traumatiche<br />

ALTERAZIONI <strong>DI</strong> NATURA CIRCOLATORIA<br />

Sona rappresentate essenzialmente dalla necrosi ossea asettica secondaria ad<br />

eventi traumatici che privano un distretto osseo del suo apporto vascolare e dalle varie<br />

localizzazioni dell’osteocondrosi giovanile.<br />

ALTERAZIONI <strong>DI</strong> NATURA INFIAMMATORIA<br />

Rivestono maggiore interesse, dal punto di vista ortopedico-chirurgico, le varie<br />

forme di osteomielite da cocchi e la tubercolosi osteoarticolare. Si tratta comunque di<br />

affezioni meno frequenti e meglio dominabili rispetto ad alcuni decenni fa.<br />

5


AFFEZIONI SCHELETRICHE <strong>DI</strong> ORIGINE <strong>DI</strong>SCRASICA<br />

Comprendono tutte le forme disvitaminosiche (es. rachitismo), dismetaboliche (es.<br />

osteoporosi, osteomalacia, gotta, etc…), e disendocrine (iperparatiroidismo,<br />

ipopituitarismo, Cushing, etc…). Si tratta di affezioni non eccezionali; alcune anzi<br />

abbastanza frequenti (quali il rachitismo e l’osteoporosi), ma che solo eccezionalmente<br />

presentano indicazioni a un trattamento chirurgico-ortopedico.<br />

FORME DEGENERATIVE <strong>DI</strong> INTERESSE ORTOPE<strong>DI</strong>CO<br />

Rientrano in questo gruppo tutte le varie localizzazioni della malattia artrosica e<br />

tutte quelle alterazioni dell’apparato locomotore secondarie a deficit neurologici (prime fra<br />

tutte quelle da poliomielite anteriore acuta).<br />

Fanno parte di questo stesso gruppo anche le rare artropatie neutrogene (tabe,<br />

siringomielia, etc…), caratterizzate dal completo sovvertimento morfologico delle<br />

articolazioni colpite, e le artropatie emofiliche rappresentate da gravi contratture dolorose<br />

in flessione, secondarie all’organizzazione fibrosa di versamenti ematici recidivanti che si<br />

verificano spontaneamente, o per minimi traumi, nella articolazioni del ginocchio, del collo<br />

del piede, del gomito, etc…<br />

AFFEZIONI TUMORALI<br />

Si distinguono in primitive e metastatiche. Anche queste ultima, in alcune particolari<br />

localizzazioni, si giovano del trattamento chirurgico-ortopedico (es. resezione e<br />

sostituzione della testa del femore).<br />

MALATTIE OSSEE “I<strong>DI</strong>OPATICHE”<br />

Sono quelle la cui genesi appare tuttora incerta.<br />

Si distinguono tra esse le affezioni sistemiche (meloreosteosi, malattia di Camerati<br />

Engelmann, malattia di Paget, etc…) e quelle distrettuali.<br />

Tra queste ultime figura la scoliosi e la epifisiolisi.<br />

LESIONI OSTEOARTICOLARI TRAUMATICHE<br />

Rappresentano le più comuni affezioni acquisite. Comprendono le contusioni, le<br />

distorsioni, le lussazioni, le fratture, i distacchi epifisari, le rotture tendinee, etc… Tutte si<br />

possono giovare della terapia ortopedica incruenta o chirurgica.<br />

6


ISPEZIONE<br />

l’ispezione.<br />

Durante l’esame clinico in ortopedia, il tempo fondamentale dell’esame obiettivo è<br />

Questa fase suppone la conoscenza della morfologia normale del tronco o dell’arto<br />

in esame, delle salienze o depressioni connesse al trofismo muscolare o alla<br />

conformazione scheletrica e quella dei rapporti esistenti tra i diversi assi anatomici, tra<br />

questi e gli assi di carico o linee di appiombo.<br />

► Per quanto riguarda il rachide si ricordi che normalmente in stazione eretta, sotto<br />

carico, la colonna vertebrale deve apparire rettilinea nel piano frontale (figura 1a), mentre<br />

nel piano sagittale deve presentare tre curvature che si compensano fra loro : lordosi<br />

cervicale, cifosi dorsale ad ampio raggio, lordosi lombare (figura 1b). Inoltre:<br />

La linea ideale congiungente le spalle (linea bis-acromiale) e quella congiungente le<br />

S.I.A.S. (linea bissino-iliaca) devono essere tra loro parallele (figura 1c);<br />

I triangoli destro e sinistro descritti dal profilo destro del tronco e dal profilo interno<br />

degli arti superiori (“triangoli della taglia”) devono apparire perfettamente simmetrici<br />

(figura 1a).<br />

Figura 1a Figura 1b Figura 1c<br />

7


► Per quanto riguarda la spalla e l’arto superiore si ricordi che:<br />

Il profilo della spalla deve apparire convesso verso l’esterno: eventuali modificazioni<br />

devono considerarsi patologiche (perdita dei rapporti articolari, ipotrofia del deltoide,<br />

etc…);<br />

Esiste un lieve valgismo fisiologico tra l’asse anatomico del braccio e quello<br />

dell’avambraccio: eventuali diminuzioni (gomito varo) o accentuazioni (gomito<br />

valgo) sono di natura patologica (figura 2);<br />

Gli assi dell’avambraccio e della mano devono apparire perfettamente allineati tra<br />

loro, sia sul piano frontale che sul piano sagittale: eventuali disassiamenti sono di<br />

natura patologica.<br />

Figura 2<br />

► Per quanto riguarda il bacino e l’arto inferiore<br />

La linea ideale passante per due S.I.A.S. deve essere perfettamente orizzontale:<br />

una sua inclinazione, sempre di significato patologico, è riferibile all’accorciamento<br />

di un arto (figura 3a), a vizioso atteggiamento dell’anca in flessione, etc…<br />

Esiste un valgismo fisiologico a livello del ginocchio tra l’asse anatomico del femore<br />

e quello della tibia; eventuali diminuzioni (ginocchio varo) od accentuazioni<br />

(ginocchio valgo) sono di natura patologica (figura 3b);<br />

8


Figura 3a Figura 3b<br />

Esiste di norma, sotto carico, una lievissima angolazione all’esterno tra l’asse<br />

longitudinale della gamba e l’asse longitudinale del retropiede (valgismo fisiologico<br />

del piede); la presenza di un’angolazione all’interno (piede varo) o un aumento di<br />

quella all’esterno (piede valgo), ha significato patologico (figura 4).<br />

Figura 4<br />

VARO NORMALE VALGO<br />

9


Nel piano sagittale esiste, sotto carico, un angolo di 90° aperto anteriormente tra<br />

l’asse longitudinale della gamba e quello longitudinale del piede; l’eventuale<br />

aumento di questo angolo (piede “equino”), o la diminuzione (piede “talo”), è di<br />

natura patologica (figura 5);<br />

Figura 5<br />

Nel piano orizzontale l’asse longitudinale del retropiede e quello dell’avampiede si<br />

trovano su un’unica linea; deve quindi considerarsi patologica (figura 6) sia<br />

un’angolazione aperta all’esterno (avampiede abdotto) sia un’angolazione aperta<br />

all’interno (avampiede addotto);<br />

Figura 6<br />

10


Un atteggiamento coatto in rotazione esterna (piede pronato) o in rotazione interna<br />

(piede supinato) ha pure significato patologico (figura 7);<br />

La regione plantare presenta medialmente una lieve concavità o “volta plantare<br />

longitudinale mediale”; la sua diminuzione (“piattismo”) o accentuazione (“cavismo”)<br />

hanno pure significato patologico (figura 7).<br />

Figura 7<br />

Effettuato il riscontro dei precedenti elementi l’esame obiettivo si indirizzerà a<br />

rilevare la presenza di eventuali turbe del trofismo muscolare a carico degli arti, l’esistenza<br />

di tumefazioni, l’integrità del mantello cutaneo (tramiti fistolosi, ulcere da decubito, cicatrici,<br />

etc…), il suo colorito (flogosi), l’eventuale presenza di reticolo venoso (neoplasmi), di<br />

ecchimosi, di flittene, di deformità tipiche secondarie sia a lesioni periferiche dei nervi<br />

radiale, mediano, ulnare, sciatico popliteo esterno, sia a retrazioni muscolo-aponeurotiche<br />

(torcicollo, morbo di Dupuytren) etc…<br />

11


Prima di procedere alle successive fasi dell’esame obiettivo, si dovrà attentamente<br />

esaminare con l’ispezione il comportamento statico-dinamico del paziente durante la<br />

stazione eretta e durante la deambulazione.<br />

► Per quanto riguarda la stazione eretta, oltre quanto già rilevato circa eventuali<br />

inclinazioni del tronco, del bacino e degli arti inferiori occorre ricercare sistematicamente il<br />

cosiddetto “fenomeno di Trendelemburg”, espressione patognomonica di insufficienza<br />

funzionale dell’anca.<br />

Il segno consiste nell’inclinazione o “caduta” dell’emibacino sano verso il basso<br />

quando il paziente poggia, unilateralmente, sull’arto malato (figura 8)<br />

Il fenomeno è connesso all’insufficienza dei muscoli glutei del lato leso. E’ causato<br />

da loro ipotrofia o accorciamento della distanza tra i loro punti d’inserzione per cui essi pur<br />

contraendosi, non sono più in grado di sostenere orizzontalmente l’emibacino del lato<br />

opposto, come avviene di norma quando il paziente si sostiene su un solo arto (appoggio<br />

unipodalico).<br />

Figura 8<br />

12


► Per quanto riguarda la deambulazione occorre ricercare l’esistenza di alterazioni<br />

della norma; queste sono riconducibili a:<br />

“Steppage”. Per compromissione delle fibre del nervo sciatico popliteo esterno o<br />

della radice il paziente è costretto a flettere esageratamente il ginocchio e l’anca,<br />

durante la fase non portante dell’arto (andatura equina), onde evitare che il piede<br />

(cadente in equinismo per paralisi dei muscoli deputati alla flessione dorsale) tocchi<br />

il suolo con la punta.<br />

Claudicazione. Può avere diverse caratteristiche. E’ detta “di caduta” quando nella<br />

fase di appoggio unilaterale si ha un apparente infossamento del tronco sull’arto<br />

portante. Può essere espressione di una diversa lunghezza dell’arto o di<br />

insufficienza funzionale dei glutei: in tal caso essa non è altro che la ripetizione, ad<br />

ogni passo, del fenomeno di Trendelemburg. Se tale insufficienza muscolare<br />

interessa bilateralmente i glutei la deambulazione assume un’andatura<br />

caratteristica che ricorda quella dell’anitra (andatura anserina).<br />

13


TERAPIA CRUENTA<br />

Comprende innumerevoli interventi su tutte le componenti dell’apparato locomotore.<br />

INTERVENTI SULLE OSSA<br />

I principali sono:<br />

Osteotomia. Consiste nell’interruzione chirurgica di un osso;<br />

Osteosintesi. Consiste nel solidarizzare tra loro due o più frammenti ossei<br />

con mezzi metallici;<br />

Resezione. Consiste nell’esportazione parziale o totale di una diafisi;<br />

Trapianto. Consiste nell’apporre e solidarizzare a un segmento scheletrico<br />

una stecca ossea.<br />

INTERVENTI SULLE ARTICOLAZIONI<br />

Artrocentesi. Consiste nella puntura e svuotamento del liquido.<br />

Artrotomia. Consiste nell’apertura del cavo articolare, per la rimozione dei<br />

corpi mobili.<br />

Resezione articolare. Consiste nell’asportazione totale o parziale di uno o di<br />

entrambi i capi di una stessa articolazione.<br />

INTERVENTI SUI TEN<strong>DI</strong>NI<br />

Comprendono:<br />

Le suture (tenorrafie) da praticarsi nelle rotture o lesioni da taglio;<br />

Le incisioni o tenotomie con eventuali allungamenti plastici;<br />

I trapianti;<br />

Le tendesi o fissazioni di tendini sullo scheletro, etc…<br />

14


DEFORMITA’ CONGENITE 2<br />

Rientrano in questo capitolo tutte le malformazioni presenti alla nascita,<br />

determinatesi per alterazioni dello sviluppo scheletrico entro i primi tre mesi della vita<br />

intrauterina (malformazioni embrionarie) o dopo i primi tre mesi (malformazioni fetali) e<br />

causate da fattori di natura genetica, tossica, infettiva o meccanica (es.: ereditarietà,<br />

rosolia, talidomide, raggi X, alcool, briglie amniotiche, oligoidramnios, etc…).<br />

Le deformità congenite più frequenti sono la displasia dell’anca, il piede torto, il<br />

torcicollo piogeno.<br />

COLONNA VERTEBRALE<br />

Le forme clinicamente più note di deformità congenite sono le seguenti.<br />

► Sinostosi (figura 9). Consiste nella fusione di due o più corpi vertebrali contigui. Si<br />

riscontra prevalentemente nella colonna cervicale. Determina un accorciamento del collo,<br />

e un atteggiamento coatto del capo, per ridotta escursione articolare.<br />

Figura 9<br />

15


► Emispondilia. Consiste nel mancato sviluppo di una metà del corpo vertebrale che<br />

si presenta conformato “a cuneo” laterale (figura 10a) o posteriore (figura 10b). Talvolta<br />

emispondilia e sinostosi, associandosi variamente tra loro, danno luogo a malformazioni<br />

complesse.<br />

Figura 10<br />

► Schisi vertebrale. La malformazione consiste nella mancata fusione, sulla linea<br />

mediana, dei due nuclei di ossificazione del corpo vertebrale (schisi anteriore) o dell’arco<br />

neurale (schisi posteriore o “spina bifida”: figura 11).<br />

Figura 11<br />

16


Quella posteriore, più frequente in sede lombare o sacrale, può accompagnarsi a<br />

erniazione delle sole meningi (meningocele: figura 12) oppure delle meningi, del midollo e<br />

delle radici (mielomeningocele). Questi casi, non molto frequenti, impongono un<br />

trattamento chirurgico precoce per evitare ulteriori complicazioni neurologiche.<br />

Molto frequente, e di prognosi generalmente benigna, è invece la spina bifida<br />

occulta, non accompagnata cioè da anomalie mieloradicolari. Spesso è del tutto<br />

asintomatica e costituisce solo occasionale reperto radiografico.<br />

Figura 12<br />

17


► Spondilolisi. Consiste nella mancata fusione dei nuclei di accrescimento a livello<br />

dell’, (porzione interarticolare dell’arco neurale, posta tra ipofisi articolari<br />

superiori e inferiori: figura 13). L’alterazione, pur avendo caratteristiche di natura<br />

congenita, dà manifestazioni cliniche evidenti solo durante o dopo l’adolescenza.<br />

Figura 13<br />

18


► Sacralizzazione della V vertebra lombare. Consiste nella iperplasia congenita e<br />

nella fusione al sacro di entrambe le apofisi traverse (figura 14). Talvolta l’anomalia può<br />

interessare un solo lato, (“emisacralizzazione”). E’ molto frequente. Assume importanza<br />

clinica nell’età adulta, quando dà luogo a quadri di lombalgia o lombosciatalgia dovuti a<br />

sollecitazioni incongrue sopportate dai rischi intervertebrali sovrastanti per la ridotta o<br />

abolita mobilità tra V vertebra lombare e I sacrale.<br />

Figura 14<br />

19


► Costa cervicale. E’ un’anomalia piuttosto frequente. Può manifestarsi con quadri<br />

anatomopatologici diversi che vanno dalla ipertrofia dell’ipofisi traversa della V cervicale<br />

(“megapofisi”) alla costituzione di una vera e propria costola soprannumeraria (figura 15),<br />

a volte tanto sviluppata da articolarsi con lo sterno (“costa cervicale lunga”).<br />

Il trattamento chirurgico (asportazione) trova indicazione solo quando è giustificato<br />

dall’entità dei disturbi (sindromi irritative o compressive a carico dei tronchi del plesso<br />

branchiale o sindromi di sclerosi della succlavia).<br />

Figura 15<br />

20


TORACE E CINGOLO SCAPOLARE<br />

Possono riscontrarsi:<br />

Il torace a imbuto: infossamento della parte distale dello sterno (figura 16a);<br />

Il torace carenato: abnorme sporgenza anteriore dello sterno (figura 16b);<br />

La scapola alta congenita o deformità di Sprengel: aplasia della scapola con suo<br />

risalimento in alto e inclinazione mediale (figura 16c).<br />

Si tratta di anomalie che determinano gravi disturbi estetici, per ovviare ai quali si<br />

attuano talvolta anche complessi interventi chirurgici: osteotomie correttive dello sterno,<br />

sezioni dei muscoli che si inseriscono sulla scapola e fissazione di questa a una costa,<br />

etc…<br />

Figura 16<br />

21


<strong>DI</strong>SPLASIA CONGENITA DELL’ANCA<br />

Si tratta di una malformazione a carattere evolutivo, consistente in un complesso di<br />

anomalie di “plasmazione” dell’anca (cioè di sviluppo e modellamento dei suoi componenti<br />

articolari) che, se non trattata tempestivamente, può condurre _dopo il 6°-8° mese di vita_<br />

alla perdita dei normali rapporti tra testa femorale e acetabolo (cosiddetta “lussazione<br />

congenita dell’anca”), con conseguente deformità, zoppia, etc…<br />

Tali anomalie, (“congenite” perché costituite durante il periodo fetale),<br />

rappresentano il substrato comune di quadri anatomoclinici diversi a seconda dell’età nella<br />

quale l’affezione viene diagnosticata e trattata: e cioè, prelussazione, lussazione franca,<br />

lussazione inveterata, sublussazione e coxa valga antiversa. Queste malformazioni infatti<br />

si differenziano tra loro dal punto di vista anatomopatologico, clinico e terapeutico, ma si<br />

identificano dal punto di vista eziopatogenetico in quanto tutte sono riferibili alla displasia<br />

congenita dell’anca. Ad essa, che è veramente presente alla nascita – e non alla<br />

eventuale lussazione della testa femorale – spetta quindi l’aggettivo “congenita”.<br />

Solo in casi del tutto eccezionali, può riscontrarsi fin dalla nascita una vera e propria<br />

perdita dei reciproci rapporti articolari (lussazione embrionaria). Si tratta dei casi nei quali<br />

l’alterato sviluppo dei componenti articolari deriva da vizio di prima formazione per effetto<br />

di una noxa che ha agito durante la vita embrionaria. Queste forme sono facilmente<br />

individuabili in quanto in esse è molto frequente l’associazione con malformazioni<br />

congenite che interessano altri distretti, fino a realizzare il complesso quadro<br />

dell’artrogriposi (lussazione congenita dell’anca, piede. torto congenito, malformazioni<br />

delle ginocchia e dei gomiti, mano torta congenita, etc…).<br />

EZIOPATOGENESI<br />

La displasia dell’anca è una affezione molto frequente: circa il 5% annuo dei<br />

neonati. Tra le varie malformazioni viene subito dopo il piede torto congenito, al quale<br />

spesso si associa, specie nella varietà talo-valga.<br />

Prevale in alcune regioni (Valle d’Aosta, Lombardia) e razze (alpina), forse in<br />

rapporto a particolari conformazioni del bacino. Sembra sussista una ereditarietà<br />

famigliare che si trasmette tra collaterali di sesso femminile. Predilige il sesso femminile.<br />

Spesso è bilaterale: in questa evenienza può presentare gravità diversa nei due lati<br />

(ad esempio lussazione franca da un lato e sublussazione dall’altro).<br />

22


Diverse ipotesi sono state avanzate nell’interpretazione patogenetica della displasia<br />

dell’anca. Quella embriogenetica riscuote attualmente maggiori consensi: sotto l’influsso di<br />

fattori endogeni, insiti nella madre (malattie infettive, carenze vitaminiche, irradiazioni,<br />

intossicazioni, traumi, turbe endocrine, etc…) e soprattutto di fattori esogeni insiti nel feto<br />

(posizione assunta da questo nell’utero materno), si determinerebbe un arresto nella<br />

morfogenesi dei componenti osteoarticolari dell’anca per cui essi conserverebbero ancora<br />

nel neonato le caratteristiche della morfologia fetale: scarso sviluppo della parte superiore<br />

dell’acetabolo ed accentuato valgismo ed antiversione del collo del femore.<br />

Per comprendere meglio questa terminologia ed i diversi quadri clinici dell’affezione è opportuno<br />

richiamare alcuni dati di anatomia e morfogenesi.<br />

Durante gli ultimi mesi della vita fetale i componenti articolari dell’anca si sviluppano avvicinandosi<br />

gradualmente alle caratteristiche proprie dell’età adulta, senza tuttavia raggiungerle neppure alla nascita.<br />

Nel bambino normale, alla nascita, la cavità cotiloide è rappresentata da una calotta sferica<br />

cartilaginea, risultante dall’insieme di tre porzioni – iliaca (figura 17a), ischiatica (figura 17b) e pubica<br />

(figura 17c) – incompletamente ossificate e non ancora saldate tra loro.<br />

La porzione iliaca – che comprende la parte superiore o “tetto” dell’acetabolo (figura 17d) – appare<br />

separata da quella ischiatica e pubica da un sepimento cartilagineo che prende il nome di “cartilagine a Y” o<br />

cartilagine “ipsilonica” (figura 17e).<br />

Figura 17<br />

23


LUSSAZIONE<br />

Costituisce il quadro anatomo-clinico col quale si manifesta, nel periodo successivo<br />

al primo anno di vita, una displasia congenita dell’anca non trattata.<br />

La lussazione si instaura gradatamente per il persistere della incongruenza dei capi<br />

articolari, per la aumentata tensione dei muscoli pelvitrocanterici, per effetto del carico<br />

connesso all’inizio della stazione eretta e della deambulazione.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Si riscontra (figura 18):<br />

Risalita (intracapsulare!) della testa del femore oltre il bordo del ciglio cotiloide, per<br />

sfuggenza del tetto;<br />

Ipoplasia, valgismo e antiversione di grado patologico nel collo del femore;<br />

Formazione del collo osseo, detto “doccia di migrazione”, scavato dalla migrazione<br />

della testa femorale lussata nel tratto compreso tra il cotile abbandonato e la zona<br />

iliaca dove essa si localizza stabilmente;<br />

Deformazione della testa femorale che, per le ineguali sollecitazioni presso rie, si<br />

schiaccia assumendo una forma conica o triangolare;<br />

Figura 18<br />

24


Deformazione “ a clessidra” (figura 19) della capsula articolare: la porzione<br />

superiore si incappuccia attorno alla testa femorale (“cappuccio cefalico”:<br />

figura 19a); la porzione inferiore resta inserita sul contorno dell’acetabolo,<br />

occludendolo (“recesso acetabolare”: figura 19b); la parte media si strozza in un<br />

“istmo” (figura 19c), anche per la pressione esercitata in quel punto dal tendine<br />

dell’ileopsoas che la sovrasta a ponte per inserirsi sul piccolo trocantere (figura<br />

19d);<br />

Figura 19<br />

25


Formazione di aderenze tra il cappuccio cefalico della capsula e l’osso iliaco, il collo<br />

del femore, etc… (aderenze pericefaliche della capsula);<br />

Sclerosi dell’, con conseguente inestensibilità ed impervietà della<br />

capsula al suo livello;<br />

Eventuale interposizione del cercine fibrocartilagineo, o “limbus”, tra bordo<br />

cotiloideo superiore ed epifisi femorale lussata;<br />

Obliterazione della cavità acetabolare che, occlusa dalla porzione inferiore della<br />

capsula e privata della testa femorale (sua naturale ospite), finisce col riempirsi di<br />

tessuto fibro-adiposo (iperplasia del pulvinar).<br />

Il graduale instaurarsi di tutte queste alterazioni accentua progressivamente le difficoltà<br />

meccaniche che si oppongono a una riduzione della lussazione per via incruenta: di qui la<br />

necessità di iniziare il trattamento il più precocemente possibile.<br />

26


SINTOMATOLOGIA<br />

E’ tanto più accentuata quanto maggiore tempo è passato dallo stadio di<br />

prelussazione. Si nota:<br />

Extrarotazione ed accorciamento dell’arto per risalita dell’epifisi prossimale del<br />

femore: ciò è documentato dalla positività di tutti i segni di risalita del gran<br />

trocantere (figura 20);<br />

Figura 20<br />

27


Ritardo nell’inizio della deambulazione;<br />

Positività del segno di Trendelemburg nella stazione eretta e nella deambulazione<br />

(vedi figura 8), con eventuale ripetizione del fenomeno ad ogni passo (“andatura<br />

anserina”) in caso di lussazione bilaterale;<br />

Possibilità di palpare la testa femorale in sede sovracotiloidea o in sede iliaca<br />

postero-superiore, invece che nella sua sede naturale (cioè nell’arcata inguinale,<br />

subito all’esterno del punto di pulsazione dell’arteria femorale);<br />

Deformità del profilo dell’anca lussata (per sporgenza del massiccio trocanterico) e<br />

del tronco (per scoliosi di compenso nelle forme unilaterali e per accentuazione<br />

della lordosi lombare nelle forme bilaterali);<br />

Ipotonia e ipotrofia muscolare, localizzata inizialmente alla natica ma poi estesa<br />

anche alla coscia ed a tutto l’arto inferiore.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

E’ riconducibile a:<br />

Interruzione dell’ (cioè della linea continua che nel bambino<br />

normale segue idealmente il margine inferiore del collo femorale e dell’osso pubico:<br />

figura 21a), dovuta alla progressiva risalita della testa del femore;<br />

Sfuggenza del tetto cotiloideo e spianamento del cotile, come già presente nella<br />

fase di prelussazione (figura 21b);<br />

Deformazione (“a triangolo”, “a glande”, “a fungo”, “a respingente ferroviario”, etc…)<br />

della testa femorale, ed ipoplasia del collo femorale (figura 21c);<br />

Eventuale presenza di un’impronta (neocotile) scavata nell’ala iliaca in<br />

corrispondenza del punto sul quale preme la testa femorale (figura 21d); il reperto è<br />

di più facile riscontro in quei casi nei quali la lussazione è data da maggior tempo.<br />

Figura 21<br />

28


LUSSAZIONE INVETERATA<br />

Costituisce la forma anatomo-clinica più grave, cioè quella che può manifestarsi<br />

dopo i 4-6 anni di vita, come esito di una lussazione dell’anca su base displasica non<br />

diagnostica ne trattata.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Sono riscontrabili, in grado molto più accentuato della lussazione franca, tutte le<br />

alterazioni precedentemente descritte in quella varietà clinica.<br />

Si nota: completa obliterazione del cotile da parte di tessuto fibroso neoformato,<br />

sviluppo di un neocotile, deformità grave della testa femorale, etc… (figura 22)<br />

Figura 22<br />

29


SINTOMATOLOGIA<br />

Clinicamente e radiograficamente si hanno reperti sovrapponibili a quelli descritti<br />

nella lussazione franca dai quali tuttavia si differenziano solo per una maggiore<br />

accentuazione.<br />

Col passare degli anni e con l’instaurarsi di alterazioni artrosiche secondarie può<br />

sorgere una sintomatologia dolorosa con ulteriore limitazione dei movimenti dell’anca.<br />

SUBLUSSAZIONE<br />

Costituisce una forma anatomo-clinica con la quale si manifestano – nel periodo<br />

compreso tra 1 ed i 16 anni di età – le forme più lievi di displasia congenita dell’anca non<br />

trattate nella fase di prelussazione (sublussazione primitiva).<br />

Essa però può anche rappresentare l’evoluzione di displasie più gravi, tardivamente<br />

o insufficientemente trattate nella fase di lussazione franca (sublussazioni secondarie).<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Il quadro presenta (figura 23):<br />

Allontanamento della testa femorale dal fondo del cotile e sua risalita rispetto alla<br />

cartilagine ipsilonica, senza però che venga oltrepassato completamente il tetto<br />

dell’acetabolo;<br />

Svasatura del cotile;<br />

Evidente valgismo del collo femorale;<br />

Alterazioni della testa femorale e della capsula più modeste di quelle riscontrabili<br />

nella lussazione franca.<br />

30


SINTOMATOLOGIA<br />

Figura 23<br />

E’ molto povera: può ridursi a un ritardo di deambulazione, a un accenno al<br />

Trendelemburg, a una lieve claudicazione.<br />

E’ proprio la modestia dei segni clinici a rendere particolarmente insidiosa questa<br />

forma clinica: il trascurarla oltre i 6-8 anni (sublussazione inveterata) conduce fatalmente<br />

all’artrosi dell’anca in età giovanile o appena adulta. Occorre quindi ricorrere<br />

sistematicamente all’esame radiografico, di fronte anche al più piccolo sospetto.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

E’ caratterizzato, oltre che dalla sfuggenza del tetto acetabolare, dalla parziale<br />

“copertura” della testa del femore che appare “non centrata” rispetto alla cavità cotiloidea e<br />

lievemente deformata “a berretto frigio” (figura 24).<br />

Figura 24<br />

31


COXA VALGA ANTIVERSA SUBLUXANS<br />

Costituisce un’altra forma anatomo-clinica della displasia congenita dell’anca.<br />

Interessa prevalentemente od esclusivamente il collo del femore. Si manifesta nell’infanzia<br />

(4-8 anni).<br />

Può rappresentare lo stadio terminale di una displasia congenita dell’anca nella quale<br />

mancava o era scarsa la componente dislasica acetabolare (“forma primitiva”). Oppure<br />

può verificarsi secondariamente ad una lussazione franca, nella quale il trattamento<br />

instaurato ha potuto correggere sufficientemente la deformità cotiloidea ma non<br />

l’antiversione del collo del femore.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

E’ presente un accentuato valgismo del collo del femore, responsabile di una<br />

sublussazione apparente della testa femorale. Tale valgismo è, almeno parzialmente,<br />

apparente in quanto dipende da una eccessiva antiversione del collo femorale<br />

(figura 25a): ne è prova il fatto che, intrarotando e abducendo l’arto inferiore è possibile<br />

mettere in evidenza nella proiezione antero-posteriore – una normale inclinazione del collo<br />

femorale ed il “centraggio” della testa nel cavo acetabolare (figura 25b).<br />

Figura 25<br />

32


SINTOMATOLOGIA<br />

Si concentra essenzialmente nella positività, anche se non molto accentuata, del<br />

segno di Trendelemburg.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Nella proiezione antero-posteriore, ad arti con rotule allo zenith, si ha un’immagine<br />

tipica di sublussazione della testa femorale con spiccato valgismo del collo del femore<br />

(figura 26a): la descritta manovra di abduzione ed intrarotazione, centrando perfettamente<br />

la testa femorale nella cavità cotiloide, permette di evidenziare l’entità dell’effettiva<br />

alterazione anatomica (figura 26b).<br />

Talvolta, l’immagine di sublussazione non si presenta: in questi casi si parla di<br />

“coxa valga antiversa contenuta”.<br />

Figura 26<br />

33


<strong>DI</strong>AGNOSI<br />

Il vero problema diagnostico della displasia congenita dell’anca è quello della<br />

diagnosi precoce di uno stato di prelussazione o di sublussazione.<br />

Lo scopo potrebbe essere raggiunto sottoponendo sistematicamente tutti i bambini<br />

sospetti, in età compresa tra i cinque e i sei mesi, ad esame radiograficio indirizzato alla<br />

ricerca di un eventuale “Triade di Putti”.<br />

Molte minoranze funzionali dell’anca in età adulta potrebbero essere evitate con un<br />

trattamento tempestivo della displasia.<br />

La diagnosi differenziale tra la lussazione su base displasica e quelle di natura<br />

acquisita – cioè di origine traumatica, osteartritica, o paralitica – è facilitato dall’indagine<br />

amamnestica e dalle caratteristiche proprie del quadro radiografico che nelle forme<br />

traumatiche e poliomielitiche presenta un cotile e un’epifisi normalmente conformata,<br />

mentre nelle forme infettive, da osteoartriti acute o tubercolari, presenta gravi lesioni<br />

distruttive a carico dei due componenti articolari.<br />

TRATTAMENTO<br />

si interviene.<br />

Si differenzia in rapporto alle caratteristiche anatomocliniche della forma sulla quale<br />

► Nella prelussazione (e cioè dalla nascita fino al 12° mese di vita) il trattamento è<br />

incruento.<br />

Consiste nell’applicazione, per alcuni mesi, di un cuscino divaricatore che<br />

mantenga ben abdotte le cosce del piccolo paziente.<br />

Nei casi più gravi: tutore in alluminio consistente in una valva posteriore che<br />

abbraccia il tronco e gli arti inferiori mantenendo questi ultimi abdotti nelle anche, e<br />

leggermente flessi nelle ginocchia.<br />

Il cuscino divaricatore o il tutore saranno rimossi definitivamente solo quando<br />

successivi controlli radiografici avranno dimostrato un normale sviluppo sia del tetto<br />

cotiloideo che del nucleo cefalico del femore ed un perfetto “centramento” della testa<br />

femorale nell’acetabolo.<br />

Questa terapia, se attuata precocemente, consente di ottenere risultati perfetti<br />

(figura 27) evitando l’evoluzione verso la coxartrosi dell’età adulta in una grandissima<br />

percentuale di casi.<br />

34


Figura 27<br />

► Nella lussazione franca (e cioè successivamente al primo anno di vita) il trattamento<br />

si concreta nel ridurre e mantenere ridotta la lussazione.<br />

La riduzione incruenta viene attualmente ottenuta col metodo atraumatico<br />

applicando all’arto inferiore del bambino, per diversi giorni, una fasciatura adesiva (skin<br />

traction) che, collegata ad un sistema di tiranti, carrucole e pesi, traziona distalmente l’arto<br />

(figura 28).<br />

Figura 28<br />

35


Quando – attraverso successivi controlli radiografici – il nucleo cefalico del femore<br />

apparirà perfettamente “centrato” rispetto al cotile (cioè sarà stata ottenuta la riduzione), al<br />

piccolo paziente verrà applicato un apparecchio gessato pelvimalleolare con modifica<br />

abduzione e intrarotazione dell’arto inferiore al fine di mantenere “centrata” le testa<br />

femorale nel cotile (figura 29).<br />

Figura 29<br />

L’apparecchio sarà tenuto per 4-6 mesi, durante i quali, successivi controlli<br />

radiografici dovranno confermare il persistere della riduzione precedentemente ottenuta.<br />

Dopo la rimozione dell’apparecchio gessato, verrà applicato un tutore ortopedico<br />

(figura 30) che, pur potendo essere saltuariamente rimosso, tutelerà ancora per qualche<br />

mese la ottenuta riduzione consentendo contemporaneamente cauti esercizi di<br />

mobilizzazione del ginocchio e dell’anca.<br />

Il carico diretto non dovrebbe essere concesso se non dopo 12-18 mesi dall’inizio<br />

del trattamento ortopedico.<br />

La riduzione cruenta trova indicazione quando il trattamento incruento descritto non<br />

permette di ottenere la riduzione della lussazione o il suo stabile mantenimento.<br />

36


Ciò può verificarsi nelle displasie particolarmente gravi, nei casi che sono stati trascurati per i primi<br />

due annidi vita e oltre, nei pazienti nei quali è recidivata la lussazione sebbene essa fosse stata ridotta<br />

precedentemente con metodo incruento, nei casi di irriducibilità incruenta “ab inizio”.<br />

Ostacoli meccanici alla riduzione incruenta sono:<br />

Le aderenze contratte dalla testa femorale con il cappuccio cefalico;<br />

L’eccessivo restringimento e sclerosi dell’istmo;<br />

La interposizione del limbus;<br />

La ipertrofia del pulvinar, etc…<br />

Ostacoli alla contenzione possono essere rappresentati da:<br />

Eccessiva sfuggenza del tetto cotiloideo;<br />

Eccessiva antiversione o inclinazione del collo femorale.<br />

Figura 30<br />

L’intervento di riduzione cruenta consiste in un’artrotomia dell’anca e nella<br />

reposizione della testa femorale in sede cotiloidea, previa rimozione degli ostacoli<br />

meccanici.<br />

All’intervento farà seguito l’applicazione di un apparecchio pelvipodalico.<br />

Se il persistere di un’accentuata inclinazione del tetto dell’acetabolo rendesse<br />

precaria la riduzione così ottenuta, può essere necessario provvedere,<br />

contemporaneamente oppure in un secondo tempo, a uno dei vari interventi di<br />

acetabuloplastica o di osteotomia del bacino.<br />

Se invece persistesse un eccessivo valgismo o una esagerata antiversione del collo<br />

del femore l’intervento di riduzione cruenta sarà completato da una osteotomia correttiva<br />

intertrocanterica e antivalgo (figura 31).<br />

37


Figura 31<br />

► Nelle lussazioni inveterate e cioè trascurate oltre il 6°-8° anno di vita il tr attamento è<br />

esclusivamente cruento (artrodesi, osteotomie di appoggio, etc…) anche se i risultati<br />

funzionali non possono essere soddisfacenti.<br />

► Nelle sublussazioni che si riscontrano in età compresa tra uno e due anni, il<br />

trattamento è identico a quello già descritto per la lussazione franca.<br />

Se invece la sublussazione viene riscontrata in età più avanzata (4-8 anni) - sia<br />

come esito di una displasia larvata, sia come esito di una lussazione già ridotta – si<br />

impone il trattamento chirurgico: plastiche dell’acetabolo, osteotomie del collo del femore<br />

od entrambi i tipi di intervento, a seconda che la genesi ed il mantenimento della<br />

sublussazione siano riferibili alle alterazioni preenti nell’una, nell’altra od in entrambi le<br />

componenti articolari.<br />

Nelle sublussazioni inveterate, riscontrate cioè oltre gli 8 anni, è opportuno<br />

provvedere sempre ad osteotomie correttive del collo del femore per ritardare il più<br />

possibile l’insorgenza di quei fenomeni artrosici che costituiscono l’vento fatale anche di<br />

questa forma di displasia.<br />

► Nella coxa valga antiversa il trattamento è pure chirurgico.<br />

Consiste nella cosiddetta “osteotomia di centramento”. L’intervento modifica<br />

l’eccessiva antiversione e il valgismo del collo del femore, permettendo così alla testa<br />

femorale di “centrarsi” nuovamente nell’acetabolo (figura 31).<br />

38


PIEDE TORTO CONGENITO<br />

Si intende per piede toro congenito (p.t.c.) una deformità del piede, presente alla<br />

nascita, caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso del piede per alterazioni dei<br />

rapporti reciproci tra le ossa che lo compongono e dal conseguente adattamento delle<br />

capsule articolari, dei legamenti, dei tendini e delle fasce, a questi alterati rapporti.<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

Esistono quattro varietà di piede toro congenito. In ordine di frequenza sono:<br />

Il piede equino-varo-addotto-supinato;<br />

Il piede talo-valgo;<br />

Il metatarso addotto o varo;<br />

Il piede reflesso valgo.<br />

Ognuna di queste varietà può essere di grado diverso e interessare uno e entrambi<br />

i piedi con forme cliniche tra loro anche diverse (piede equino-varo da un lato e talo-valgo<br />

dall’altro).<br />

PIEDE EQUINO-VARO-ADDOTTO-SUPINATO<br />

E’ la varietà di piede torto che si riscontra più spesso (70-75%).<br />

Predilige il sesso maschile. Frequentemente è bilaterale.<br />

La deformità consiste nell’atteggiamento del piede che appare fissato<br />

contemporaneamente in equinismo, varismo, adduzione e supinazione (figura 32).<br />

Figura 32<br />

Visione ant. Visione post. Visione med. Visione lat.<br />

39


PIEDE TALO VALGO<br />

E’ la deformità opposta al piede equino varo addotto spinato ( figura 33a). Come<br />

quello può essere mono o bilaterale.<br />

Il piede può essere sollecitato in massima flessione dorsale, (è addirittura possibile<br />

portare la superficie dorsale del piede a contatto con la regione anteriore della gamba).<br />

Limitata notevolmente la flessione plantare.<br />

Non rara l’associazione, nello stesso paziente, di piede talo valgo e displasia<br />

congenita dell’anca, e di piede torto equino-varo da un lato e talo-valgo dall’altro.<br />

Dal punto di vista prognostico la deformità è più facilmente correggibile rispetto al<br />

piede equino varo.<br />

TRATTAMENTO<br />

Figura 33<br />

Consiste in modellamenti manuali tendenti a portare il piede in flessione plantare.<br />

L’atteggiamento di ipercorrezione ottenuto va conservato prima con docce gessate dorsali,<br />

comprendenti la gamba e il piede (figura 33b), e poi, talora, con identici apparecchi in<br />

alluminio. Infine calzature con volta longitudinale ben modellata.<br />

40


METATARSO ADDOTTO O VARO<br />

La deformità, non molto frequente, è limitata all’avampiede che si presenta addotto,<br />

per deviazione verso l’interno dei raggi metatarsali e delle dita (figura 34).<br />

TRATTAMENTO<br />

Come per il piede torto, deve essere precoce. Consiste in modellamenti manuali ed<br />

apparecchi gessati di contenzione; successivamente valve di alluminio in ipercorrezione e<br />

calzature ortopediche.<br />

Nelle forme inveterate il trattamento è chirurgico e consiste nella resezione-<br />

artrodesi dell’articolazione di Lisfranc.<br />

Figura 34 Figura 35<br />

PIEDE REFLESSO<br />

Altrimenti detto “piede a dondolo”, è una rara ma grave deformità congenita<br />

caratterizzata da inversione della volta longitudinale (figura 35).<br />

TRATTAMENTO<br />

E’ analogo a quello del piede equino-varo-addotto-supinato (modellamenti manuali,<br />

apparecchi gessati, tenotomie, capsulotomie, artrodesi nelle forme inveterate), ma i<br />

risultati sono mediocri e spesso permane un evidente grado di malformazione del piede.<br />

41


ALTERAZIONI DELL’ADOLESCENZA 3<br />

Sono state riunite in questo capitolo le più frequenti alterazioni scheletriche che pur<br />

presentando un’etiopatogenesi diversa, hanno la comune caratteristica di manifestarsi o<br />

svilupparsi nel corso dell’accrescimento staturale proprio dell’adolescenza.<br />

GINOCCHIO VALGO<br />

E’ deformità molto frequente.<br />

Consiste nella deviazione del ginocchio verso la linea mediana del corpo: l’angolo<br />

esterno, formato dall’asse femorale con l’asse tibiale, risulta minore dei normali 170°-175°<br />

(figura 36).<br />

FORME CLINICHE<br />

Ginocchio valgo rachitico;<br />

Ginocchio valgo proprio dell’adolescenza.<br />

GENESI RACHITICA: è sospettabile quando la deformità si accompagna ad alterazioni cliniche e<br />

radiografiche proprie dell’ipovitaminosi A e D (tumefazione dei polsi, rosario rachitico, fronte olimpica,<br />

metafisi con limiti irregolari e slargate “a coppa”, ecc…) od a loro esiti. E’ facile comprendere come durante<br />

la fase florida del rachitismo possa verificarsi una deviazione angolare del ginocchio, data la particolare<br />

sensibilità di queste metafisi all’azione muscolare e del carico.<br />

GENESI MECCANICA: sembra intervenire specialmente nel ginocchio valgo dell’adolescenza: le<br />

maggiori sollecitazioni statiche che insistono sulla metà esterna delle cartilagini di accrescimento femorale<br />

determinerebbero una accentuazione dell’attività osteogenetica nella metà interna, con conseguente<br />

aggravamento della deformità stessa.<br />

Il ginocchio valgo è associato a “piede piatto valgo”: secondo alcuni ciò sarebbe<br />

l’effetto, ma secondo altri la causa, del valgismo del ginocchio.<br />

42


SINTOMATOLOGIA<br />

E’ immediatamente evidente.<br />

L’entità del valgismo può misurarsi anche valutando la distanza tra i due malleoli<br />

interni che, a soggetto in piedi ed a ginocchia unite, non dovrebbe superare 1-2 cm.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Figura 36<br />

Consiste nella prevenzione della deformità o del suo aggravamento:<br />

• Evitare il soggiorno in ambienti non soleggiati e la carenza di calcio e vitamina A e<br />

D, (se sono presenti stigmate di rachitismo);<br />

• Applicare calzature correttive con plantari in cuoio e sughero e con tacchi modificati<br />

in modo da variare la spinta esercitata dal carico sui condili femorali al fine di<br />

sollecitare la crescita del condilo esterno (figura 37).<br />

L’uso di tutori (ginocchiere o valve posteriori in alluminio per arto inferiore) è<br />

riservato a casi particolarmente gravi.<br />

43


Un eventuale intervento chirurgico (osteotomia correttiva) trova indicazione solo in<br />

casi eccezionali di valgismo molto grave e persistente oltre il termine dell’accrescimento<br />

staturale.<br />

PIEDE PIATTO-VALGO<br />

Di riscontro molto frequente.<br />

Figura 37<br />

Consiste nell’appiattimento della volta longitudinale interna del piede e nella<br />

deviazione del calcagno in valgismo.<br />

Normalmente il piede non poggia al suolo con tutta la regione plantare ma solo con le parti<br />

corrispondenti alla grande tuberosità del calcagno ed alla testa dei 1° e del 4° o 5° metatarso.<br />

Tra questi tre punti di appoggio si sviluppano le volte o archi plantari: due longitudinali (interna ed<br />

esterna) ed una trasversale.<br />

44


La volta longitudinale interna, formata dal calcagno, dall’astragalo, dallo scafoide, dai tre cuneiformi<br />

e dai primi tre metatarsi, è sostenuta da alcuni legamenti e dall’azione dei muscoli tibiale posteriore e<br />

peroneo lungo (muscoli cavizzanti: figura 38).<br />

EZIOPATOGENESI<br />

acquisito.<br />

Figura 38<br />

Il piede piatto valgo dell’adolescenza è la forma più frequente di piede piatto valgo<br />

La normale curvatura della volta plantare interna può infatti risultare abbassata per diverse cause:<br />

• Vizi di prima formazione delle ossa del tarso (piede piatto embrionario);<br />

• Posizione errata da briglie amniotiche od oligoidramnios (piede piatto fetale);<br />

• Esiti di fratture (piede piatto post-traumatico);<br />

• Esiti di paralisi, di processi infiammatori, di neoplasie (piede piatto neurogeno, tubercolare, ecc…);<br />

• Insufficienza dei muscoli attivatori del piede (piede piatto statico) quale può riscontrarsi per sovraccarichi funzionali (piede<br />

piatto professionale) o per deficit delle strutture legamentose durante lo sviluppo corporeo (piede piatto dell’adolescenza).<br />

Se, per deficienze di origine costituzionale, rachitica o endocrina, le strutture<br />

legamentose della pianta del piede non si adeguano tempestivamente al rapido sviluppo<br />

scheletrico dell’adolescente, si verifica il cedimento della volta longitudinale con<br />

alterazione dei normali rapporti articolari tra le ossa del tarso.<br />

Concorrono alla genesi delle deformità:<br />

Una cattiva distribuzione del carico, quale può verificarsi per coesistente ginocchio<br />

valgo;<br />

Un piattismo infantile, misconosciuto e trascurato.<br />

45


Il piattismo infantile è meno frequente di quanto lasci pensare la diffusa abitudine di applicare<br />

supporti plantari nella calzature dei bambini molto piccoli.<br />

Spesso viene scambiato per iniziale piattismo la iperplasia del tessuto adiposo plantare, costante<br />

nella prima infanzia.<br />

Solo in alcuni casi si ha effettivamente uno sfiancamento della volta plantare che, se non corretto<br />

prima dei 4-5 anni, può evolvere sfavorevolmente verso il piede piatto-valgo dell’adolescenza.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

All’inizio si ha alterazione dei rapporti articolari per:<br />

Deviazione mediale e plantare dell’astragalo rispetto al calcagno;<br />

Abbassamento della volta longitudinale (figura 39a) e valgismo del calcagno<br />

(figura 39b)<br />

Successivamente e gradualmente si ha:<br />

Alterazione strutturale delle ossa del tarso, sollecitate in modo incongruo;<br />

Conseguente, precoce instaurazione dei fenomeni artrosici.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Inizialmente molto modesta:<br />

Figura 39<br />

• Facile stancabilità alla stazione eretta e alla deambulazione;<br />

• Riduzione della volta longitudinale sotto carico, sporgenza dello scafoide,<br />

valgismo del calcagno;<br />

• Assenza di dolore e conservazione della mobilità del piede.<br />

46


Successivamente si hanno:<br />

Manifestazioni dolorose spiccate e costanti;<br />

Accentuazione delle singole anomalie morfologiche;<br />

Rigidità del piede (“piede piatto-valgo contratto”) con impossibilità a flettere o<br />

supinare il piede.<br />

L’impronta plantare (“podogramma”) mostra riduzione o scomparsa della zona plantare (a forma<br />

triangolare e a base mediale) che normalmente, sotto carico, non prende contatto col suolo (figura 40).<br />

Il radiogramma del piede, eseguito sotto carico e in proiezione laterale, mostra riduzione della<br />

distanza (1,5 cm) normalmente esistente tra il punto più basso del cuboide e l’orizzontale tesa tra il calcagno<br />

e la testa del 1° metatarso.<br />

TRATTAMENTO<br />

Figura 40<br />

E’ incruento. Si basa sull’applicazione di calzature correttive, provviste di plantari ed<br />

eseguite su misura, eventualmente da un calco in gesso ricavato dal piede del paziente<br />

mantenuto in posizione di ipercorrezione (varismo del retropiede e pronazione<br />

dell’avampiede).<br />

L’associazione con cinesiterapia mira ad ottenere, con opportuni esercizi, una<br />

maggiore efficienza dei muscoli cavizzanti.<br />

In quei casi nei quali la deformità è grave e persistente può essere indicata la<br />

correzione chirurgica.<br />

47


LE OSTEOCONDROSI<br />

Fino a pochi anni fa queste affezioni venivano chiamate “osteocondriti”: termine<br />

improprio, non trattandosi di malattie di origine infiammatoria.<br />

Esse consistono, infatti, in alterazioni di tipo necrotico-degenerativo, ad eziologia<br />

incerta, che colpiscono uno dei vari nuclei epifisari od ipofisari, durante il periodo della<br />

maggiore attività ostoegenetica (accrescimento).<br />

Per tutte le diverse localizzazioni osteocondrosiche è stato ammesso il carattere<br />

vascolare dell’affezione, dovuta forse a minore apporto ematico od occlusione vasale<br />

(teoria vascolare – infarto osseo).<br />

Probabilmente vi concorrono però traumi o microtraumi, fattori genotipici, turbe<br />

endocrine, ecc… Di sicuro è stata solo dimostrata l’assenza di fenomeni infiammatori<br />

(esami batteriologici e culturali negativi).<br />

OSTEOCONDROSI DELL’EPIFISI PROSSIMALE DEL FEMORE<br />

E’ malattia abbastanza frequente nei soggetti tra i 4 e i 12 anni.<br />

E’ prevalente nel sesso maschile.<br />

Interessa il nucleo epifisario prossimale del femore.<br />

Si localizza indifferentemente all’una o all’altra anca.<br />

Talvolta è bilaterale (10%).<br />

Evolve molto lentamente.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Sono state distinte didatticamente tre fasi evolutive della malattia (fase<br />

degenerativa, fase necrotica, fase riparativa) che si sviluppano contemporaneamente<br />

- con caratteri anatomopatologici propri – nel nucleo epifisario.<br />

Inizialmente si ha:<br />

Rigonfiamento ed edema della cartilagine articolare;<br />

Frammentazione e necrosi della spongiosa subcondrale;<br />

Schiacciamento e lieve deformazione del nucleo epifisario.<br />

48


Successivamente, nei casi non trattati, si ha:<br />

Spianamento “a fungo” della testa femorale (“coxa plana”);<br />

Accorciamento e ingrossamento del collo;<br />

Incongruenza articolare, per incompleta “copertura” da parte dell’acetabolo della<br />

testa deformata.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Dolore, dopo affaticamento, all’anca ed irradiato al ginocchio, lungo la zona interna<br />

della coscia (talvolta è limitato solamente al ginocchio);<br />

Claudicazione “di fuga”;<br />

Atteggiamento di adduzione e rotazione esterna dell’arto, con limitazione alla<br />

abduzione e all’intrarotazione;<br />

Ipotrofia di quadricipite femorale;<br />

Assenza di alterazione delle condizioni generali e dei dati di laboratorio.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Durante l’evoluzione della malattia si ha:<br />

Inizialmente, allargamento della rima articolare, per rigonfiamento ed edema della<br />

cartilagine articolare (figura 41a);<br />

Aumento di spessore e dentellatura della cartilagine di coniugazione (figura 41a);<br />

Poi, progressismo schiacciamento e addensamento del nucleo cefalico (che può<br />

arrivare ad assumere un “aspetto metallizzato”), espressione della necrosi delle<br />

trabecole e del loro stipamento reciproco sotto l’azione del carico (figura 41b);<br />

Quindi, frammentazione del nucleo con alternanza di zone più radiotrasparenti e<br />

zone più radiopache (“aspetto tigrato”), mentre il collo femorale si fa corto e tozzo<br />

(figura 41c);<br />

Infine, nello stadio terminale dell’evoluzione spontanea della malattia, deformità a<br />

fungo della testa femorale, scomparsa subtotale del collo, varismo cevico-diafisario<br />

(figura 46a).<br />

49


PROGNOSI<br />

Figura 41<br />

Dipende dalla precocità del trattamento: la riparazione spontanea delle alterazioni<br />

necrotiche è costante ma la possibilità che essa avvenga senza deformazione della testa<br />

femorale è subordinata alla tempestiva sottrazione dell’anca alle sollecitazioni del carico.<br />

TRATTAMENTO<br />

E’ incruento. Dura in media 18 mesi, durante i quali si cerca di ridurre al minimo la<br />

deformazione della epifisi prossimale del femore, mettendola al riparo dalle sollecitazioni<br />

del carico. Ciò si ottiene applicando per tutta la durata della malattia apparecchi gessati e<br />

tutori ortopedici pelvicondiloidei, forniti di staffa di carico e con valido appoggio a livello<br />

della tuberosità ischiatica. Gli apparecchi verranno periodicamente rinnovati controllando<br />

ad ogni rinnovo l’evoluzione radiografica della lesione.<br />

50


Quando, superata la fase terminale della malattia, residua un varismo del collo del<br />

femore può essere indicata, in alcuni casi, una osteotomia correttiva, come provvedimento<br />

profilattico alla evoluzione verso una precoce artrosi dell’anca.<br />

OSTEOCONDROSI VERTEBRALE GIOVANILE<br />

Consiste nella localizzazione della osteocondrosi a livello dei piatti articolari,<br />

(superiore ed inferiore) di tre o più corpi vertebrali dorsali.<br />

Si accompagna a dolore, progressivo incurvamento del dorso per accentuazione<br />

della cifosi fisiologica (“dorso curvo giovanile”: figura 42), ed iperlordosi lombare di<br />

compenso.<br />

Radiograficamente si nota soprattutto irregolarità e frastagliamento delle superfici<br />

superiore e inferiore dei corpi vertebrati (figura 43a), con loro lieve deformazione a cuneo<br />

anteriore (e secondario incurvamento in cifosi della colonna).<br />

Il trattamento consiste nell’applicazione di tutori ortopedici da alternarsi con cicli di<br />

ginnastica attiva ed esercizi di rettificazione della colonna.<br />

OSTEOCONDROSI DEL CORPO VERTEBRALE<br />

E’ molto rara.<br />

Tipica della prima infanzia.<br />

Colpisce una sola vertebra del tratto dorsale che radiograficamente si presenta<br />

notevolmente schiacciata e addensata (figura 43b).<br />

Trattamento immobilizzante (corsetto).<br />

51


Figura 42 Figura 43<br />

OSTEOCONDROSI DELLO SCAFOIDE DEL TARSO<br />

Lo scafoide appare radiograficamente addensato ed appiattito (figura 44a).<br />

Clinicamente si ha dolore alla deambulazione.<br />

Trattamento: gambaletto gessato sino a completa ristrutturazione dell’osso; poi<br />

plantari modellanti la volta longitudinale.<br />

52


OSTEOCONDROSI DELL’EPIFISI <strong>DI</strong>STALE DEL 2°<br />

METATARSO<br />

Si manifesta con dolore sotto carico e claudicazione.<br />

L’esame radiografico mostra appiattimento della testa del 2° metatarso, la cui<br />

estremità appare addensata e frammentata (figura 44b).<br />

trasversale.<br />

Il trattamento consiste in solette ortopediche di sostegno e di scarico della volta<br />

OSTEOCONDROSI DELL’APOFISI POSTERIORE DEL<br />

CALCAGNO<br />

Si manifesta con dolori saltuari durante la marcia.<br />

Radiograficamente il nucleo di ossificazione della grossa tuberosità è appiattito,<br />

spesso frammentato e notevolmente addensato (figura 44c).<br />

Clinicamente si ha dolore alla palpazione locale. L’affezione talora evolve e<br />

guarisce spontaneamente senza esiti.<br />

calcaneare.<br />

Trattamento: soletta ortopedica di sostegno della volta longitudinale e scarico<br />

OSTEOCONDROSI DELL’APOFISI TIBIALE ANTERIORE<br />

Clinicamente si riscontra: tumefazione locale, dolore alla palpazione e nelle<br />

sollecitazioni da contrazione del quadricipite.<br />

Radiograficamente si nota ipertrofia, frammentazione ed accentuazione della<br />

opacità del nucleo ipofisario (figura 44d).<br />

La malattia guarisce spontaneamente in due otre mesi.<br />

Il trattamento consiste nel proibire il salto, la corsa, il football, ecc… durante le fasi<br />

più dolorose della malattia. Solo se il dolore è particolarmente accentuato può essere<br />

opportuna l’applicazione per 20-25 giorni di una valva gessata posteriore femoro-<br />

malleolare.<br />

53


Figura 44<br />

54


EPIFISIOLISI<br />

Consiste in una lesione non infiammatoria della cartilagine di coniugazione<br />

interposta tra testa e collo femorale per cui – quasi per un cedimento (“lisi” della epifisi<br />

rispetto alla metafisi) – la testa femorale finisce per scivolare (“listesi”) posteriormente e in<br />

basso.<br />

EZIOPATOGENESI<br />

E’ malattia non eccezionale. Si verifica generalmente in soggetti che, in età<br />

prepuberale, presentano alterazioni più o meno accentuate della testa endocrina<br />

(sindrome adiposo-genitale, eunucoidismo, ecc…).<br />

Queste alterazioni diminuirebbero la coesione tra cartilagine di accrescimento ed<br />

epifisi prossimale del femore. L’epifisi sotto l’azione del carico e della tensione muscolare<br />

finisce con lo<br />

Molte sono le condizioni patologiche per le quali può verificarsi un varismo dell’anca: nell’adulto può<br />

rappresentare l’esito di fratture pertrocanteriche mal consolidate; nell’infanzia, può rappresentare l’esito di<br />

alterazioni congenite, di lesioni rachitiche, di traumi, di processi infiammatori, ecc…<br />

45a).<br />

In tutti questi casi l’alterazione avviene tra collo e diafisi femorale (varismo cervico-diafisario: figura<br />

Invece, nell’epifisiolisi (o “coxa vara degli adolescenti”) l’alterazione si verifica tra collo e testa<br />

femorale (varismo cervico-cefalico: figura 45b).<br />

Figura 45<br />

Il varismo da epifisiolisi si costituisce in genere progressivamente (nel corso di<br />

alcuni mesi) e comunque tardivamente rispetto all’inizio della malattia.<br />

55


ANATOMIA PATOLOGICA<br />

I reperti variano in rapporto ai diversi stadi evolutivi:<br />

Fase di epofisiolisi pura: si hanno solo alterazioni della cartilagine di accrescimento<br />

(distribuzione irregolare delle cellule cartilaginee, povertà o assenza di ossificazione<br />

endocondrale) che preludono e predispongono a uno scivolamento epifisario;<br />

Fase di pre-epifisiolistesi (dal greco = scivolamento): si riscontra solo un lievissimo<br />

slittamento (figura 46 a,b);<br />

Figura 46<br />

56


Fase di epifisiolistesi, nella quale lo scivolamento della epifisi sul collo femorale<br />

raggiunge la sua conclamata manifestazione radiografica e clinica (figura 47 a,b).<br />

Figura 47<br />

Ognuna di queste fasi dura anche diversi mesi; a volte però un evento traumatico,<br />

di pur lieve entità, può determinare uno scivolamento acuto dell’epifisi femorale.<br />

57


SINTOMATOLOGIA<br />

► Normalmente consiste in:<br />

o Dolore inguinale modesto, che si irradia fino al ginocchio e recede col riposo;<br />

o Zoppia “di fuga”, costante;<br />

o Atteggiamento dell’arto in adduzione e rotazione esterna;<br />

o Netta limitazione ad intrarotare ed abdurre, anche passivamente, l’arto.<br />

► In caso di scivolamento acuto dell’epifisi femorale si ha un dolore improvviso ed<br />

impotenza funzionale totale; in complesso si costituisce un quadro clinico che ricorda<br />

molto da vicino quello di un distacco epifisario.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

► E’ di particolare importanza il reperto iniziale, in fase di epifisiolisi pura; consiste in<br />

(figura 48 c,d):<br />

Lieve inclinazione o “bascule” dell’epifisi rispetto al collo femorale (meglio visibile<br />

nella proiezione laterale);<br />

Allargamento della linea di coniugazione cervico-epifisaria;<br />

Irregolarità della zona metafisaria che, in prossimità della cartilagine di<br />

accrescimento, può presentare zone di radiotrasparenza alternate a zone di<br />

radiopacità (aspetto “a pella di leopardo”).<br />

Questi segni permettono, in genere, di formulare una precoce diagnosi radiologica<br />

della epifisiolisi; la malattia deve essere sospettata in ogni adolescente che presenta<br />

- insieme a note di disendocrinia – una sia pur modesta e saltuaria coxalgia.<br />

► Nella fase di pre-epifisiolistesi si riscontra inizialmente scivolamento denunciato dalla<br />

presenza di un “gradino” di distacco tra metafisi ed epifisi (figura 46 c,d).<br />

► Nella fase di epifisiolistesi si ha infine:<br />

Immagine “a virgola” dell’epifisi femorale, scivolata e ruotata sull’apice metafisario<br />

del collo femorale (figura 47c);<br />

Inflessione posteriore (figura 47d) e verso il basso del collo femorale;<br />

Neoapposizione ossea tra testa e collo, negli angoli risultanti dallo spostamento del<br />

nucleo epifisario.<br />

58


PROGNOSI<br />

E’ buona se l’affezione viene trattata precocemente. In caso contrario essa passa<br />

subdolamente dalla fase prodromica alla fase di slittamento grave con esito in varismo<br />

cervico-cefalico, che rappresenta a sua volta il “primum movens” di una precoce artrosi<br />

dell’anca.<br />

Figura 48<br />

59


TRATTAMENTO<br />

E’ essenzialmente chirurgico.<br />

Consiste nell’avvitamento dell’epifisi al collo femorale (figura 49) previo tentativo di<br />

riduzione incruenta dell’eventuale scivolamento epifisario recente.<br />

Il trattamento chirurgico deve essere integrato da una idonea terapia medica che<br />

miri a correggere la disendocrinia di base.<br />

Figura 49<br />

60


SPON<strong>DI</strong>LOLISI e SPON<strong>DI</strong>LOLISTESI<br />

La spondilolisi consiste nell’interruzione dell’ (lisi istmica) cioè di quella<br />

porzione ristretta dell’arco posteriore delle vertebre lombari che è compresa tra le apofisi<br />

articolari posteriori e le articolari inferiori (figura 50).<br />

La spondilolistesi consiste nello scivolamento in avanti della parte anteriore della<br />

vertebra (comprendente il corpo vertebrale, i peduncoli, le apofisi traverse e le apofisi<br />

articolari superiori) rispetto alla parte postero-inferiore della vertebra stessa (cioè apofisi<br />

articolari inferiori, lamine e apofisi spinosa che resta solidale con il metamero sottostante.<br />

SPON<strong>DI</strong>LOLISI<br />

E’ relativamente frequente.<br />

Figura 50<br />

Colpisce elettivamente la V vertebra lombare e meno frequentemente la IV.<br />

Talvolta è unilaterale.<br />

Nel 50-60% dei casi è seguita da spondilolistesi.<br />

EZIOPATOGENESI<br />

E’ stata sempre molto dibattuta: teorie traumatica, displasica, congenita,<br />

trofostatica, ecc…<br />

Pur riconfermando la genesi displasica, studi recenti sulla particolare frequenza di<br />

alterazioni istmiche, presenti in quegli atleti che abitualmente sottopongono la cerniera<br />

lombo-scacrale a stress ripetuti (sollevatori di pesi), indurrebbe a rafforzare l’ipotesi che la<br />

lisi si determinerebbe – in soggetti affetti da meiopragia costituzionale dell’istmo – per<br />

sollecitazioni statico-dinamiche iterative che eserciterebbero selettivamente a livello<br />

istmico il maggior tormento meccanico (teoria trofodinamica).<br />

61


ANATOMIA PATOLOGICA<br />

La zona della lisi mette in evidenza un tessuto fibroso denso, con note<br />

degenerative.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

La spondilolisi decorre spesso in maniera asintomatica, rendendosi evidente solo<br />

come reperto radiografico occasionale.<br />

Talvolta si manifesta con improvvise lombalgie (secondarie a bruschi movimenti,<br />

salti, ecc…) accompagnate da modesto dolore alla pressione sulle spinose, da limitazione<br />

articolare, ecc…<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Nelle proiezioni ortogonali non si hanno costantemente reperti dimostrativi.<br />

Invece nella proiezioni oblique della colonna lombare la spondilolisi dà un reperto<br />

patognomonico, consistente nella cosiddetta “decapitazione del cagnolino”, cioè<br />

dell’immagine che rappresenta schematicamente l’emiarco posteriore della vertebra<br />

(figura 51).<br />

Secondo un paragone classico, nel radiogramma di un soggetto normale in proiezione obliqua, ogni<br />

emiarco vertebrale posteriore riproduce schematicamente l’immagine di un cagnolino.<br />

L’istmo sembra corrispondere al collo. L’interruzione dell’istmo – rappresentata da una zona lineare<br />

di trasparenza – sembra dare proprio l’immagine di una decapitazione.<br />

Figura 51<br />

62


TRATTAMENTO<br />

Si concreta in norme igieniche che tendono ad evitare professioni, sport o<br />

atteggiamenti posturali che possono favorire lo scivolamento della vertebra lesa su quella<br />

sottostante.<br />

Nelle eventuali fasi dolorose: riposo, analgesici, fisioterapia.<br />

Solo in forme a sintomatologia dolorosa particolarmente continua e intensa può<br />

essere indicato un trattamento chirurgico.<br />

SPON<strong>DI</strong>LOLISTESI<br />

Si verifica quando la vertebra lombare sede della lisi istmica, non più unita alle<br />

epofisi articolari inferiori scivola anteriormente e in basso (figura 52a) e sulla vertebra<br />

sottostante.<br />

Il fenomeno è talvolta acuto, talvolta graduale.<br />

Si sviluppa durante il 2°-3° decennio di vita.<br />

Si arresta, per ragioni ancora non ben precisate, all’inizio dell’età adulta.<br />

EZIOPATOGENESI<br />

Lo scivolamento vertebrale suppone una lisi istmica che disancori il corpo<br />

vertebrale dalle strutture ossee dell’arco posteriore ed una costituzionale lassità<br />

legamentosa.<br />

Figura 52<br />

63


ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Lo scivolamento può essere appena accennato; oppure tanto accentuato da far<br />

apparire la vertebra lesa trasposta anteriormente a quella sottostante.<br />

La forma della vertebra olistesica, col passare del tempo diventa trapezoidale.<br />

Il disco invertebrale corrispondente appare schiacciato e ridotto a un ammasso di<br />

tessuto fibroso.<br />

Incostante l’interessamento della radice nervosa corrispondente al livello della lisi;<br />

quando presente, è dovuto più a stiramento che a ghigliottinamento della radice all’interno<br />

del foro di coniugazione.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Sensazione di uno “scalino” alla palpazione delle apofisi spinose;<br />

Infossamento mediano in sede lombare (incostante), accompagnato in genere a<br />

iperlordosi;<br />

Lombalgia o lombosciatalgia a seconda che sia stata interessata o meno la radice<br />

spinale corrispondente; il dolore insorge spesso in modo acuto anche a seguito di<br />

un modesto trauma.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Nella proiezione laterale è possibile evidenziare (figura 52b):<br />

Il grado di slittamento;<br />

La netta riduzione dello spazio intersomatico;<br />

La deformazione trapezoidale del corpo vertebrale;<br />

L’eventuale proliferazione osteofitaria anteriore;<br />

Nelle proiezioni oblique si nota:<br />

La lisi istmica;<br />

Un eventuale restringimento del forame di coniugazione.<br />

64


PROGNOSI<br />

E’ benigna tenuto conto che:<br />

Non tutte le spondilolistesi si aggravano necessariamente, sia dal punto di vista<br />

anatomopatologico (entità dello slittamento) che clinico (sintomatologia);<br />

Non si ha motivo di temere peggioramenti quando sono passati i 25-30 anni, età<br />

nella quale il processo deve abitualmente considerarsi stabilizzato.<br />

TRATTAMENTO<br />

► Prima dei 20-25 anni, in presenza di uno scivolamento acuto: riduzione incruenta e<br />

artrodesi invertebrale.<br />

► Dopo i 25 anni, in presenza di lombalgia o lombosciatalgia cronica non accentuata:<br />

trattamento medico (antalgici), fisioterapico (massoterapia, ecc…) e ortopedico (busto in<br />

stoffa e stecche rigide). Solo quando la sintomatologia lombalica o lombosciatalgica è<br />

molto intenza può trovare indicazione la terapia chirurgica.<br />

65


SCOLIOSI<br />

Si intende per scoliosi una deviazione permanente laterale e rotatoria del rachide,<br />

ad eziopatogenesi multipla – ma più spesso ignota – alla quale conseguono gravi<br />

alterazioni estetiche e funzionali. Essa si aggrava in corrispondenza delle crisi di sviluppo<br />

staturale e si arresta nella sua evoluzione quando cessa l’attività delle cartilagini di<br />

accrescimento dei corpi vertebrali.<br />

Tale definizione permette di differenziare la scoliosi dagli atteggiamenti scoliotici: la<br />

prima o “scoliosi organica” rappresenta un disformismo del rachide; i secondi o “scoliosi<br />

funzionali”, non sono altro che paraformismi visibili solo quando la colonna è sotto carico<br />

(cioè “in funzione”).<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

Un’esauriente classificazione della scoliosi deve tener conto di quattro aspetti<br />

fondamentali che ne definiscono le diverse forme dal punto di vista prognostico e<br />

terapeutico. Si hanno quindi:<br />

► In rapporto alla genesi della malattia:<br />

Scoliosi idiomatiche;<br />

Scoliosi congenite;<br />

Scoliosi acquisiste.<br />

► In rapporto all’età di prima osservazione della malattia, (età che può essere più o meno<br />

lontana di quella nella quale la malattia si è costituita):<br />

Scoliosi neonatali;<br />

Scoliosi infantili;<br />

Scoliosi giovanili;<br />

Scoliosi dell’adolescenza.<br />

► In rapporto alla sede della curva primitiva:<br />

Scoliosi lombari;<br />

Scoliosi dorso-lombari;<br />

Scoliosi combinate dorsali e lombari;<br />

Scoliosi dorsali;<br />

Scoliosi cervico-dorsali.<br />

66


► In rapporto alla entità della deviazione angolare della curvatura:<br />

Scoliosi inferiore ai 30°;<br />

Scoliosi tra i 30° e i 50°;<br />

Scoliosi tra i 50° e i 70°;<br />

Scoliosi oltre i 70°.<br />

EZIOPATOGENESI<br />

Le scoliosi idiomatiche o essenziali rappresentano il gruppo più importante e più<br />

cospicuo (80-88%) di tutte le scoliosi. Ad esse sarà limitata la trattazione.<br />

Si riscontrano nel 2% circa dei soggetto in età pubere, con netta prevalenza per il<br />

sesso femminile.<br />

ignota.<br />

La causa che determina questo gruppo così cospicuo di scoliosi è praticamente<br />

Si tende oggi ad attribuire un ruolo preponderante a un’alterazione primaria della<br />

muscolatura paravertebrale oppure al concorso di fattori molteplici quali l’ereditarietà, la<br />

familiarità, deficit alimentari, tossici o vitaminici, alterazioni del ricambio, disendocrinie,<br />

miopatie in senso lato, ecc…<br />

Le scoliosi congenite conseguono a malformazioni quali emispondili (associati o<br />

meno a sinostosi), dismorfie della cerniera lombo-sacrale (emisacralizzazioni, schisi<br />

posteriori, ecc..)<br />

Le scoliosi acquisite sono riferibili a lesioni della cartilagine di accrescimento dei<br />

metameri vertebrali (condodistrofia spondilo-epifisaria, esiti di affezioni traumatiche o di<br />

lesioni infiammatorie), a lesioni dell’apparato neuro-muscolare (postumi di poliomielite,<br />

ipertonie asimmetriche della muscolatura vertebrale negli spastici, ecc…), a lesioni<br />

toraciche (fibrotorace, esiti di toracoplastiche per empiemi, tbc. polmonare, ecc…), ed a<br />

lesioni ossee sistemiche o a focolaio (osteoporosi, neurofibromatosi, rachitismo, ecc…).<br />

67


ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Ogni localizzazione della scoliosi presenta caratteristiche anatomopatologiche<br />

elementari definibili attraverso i seguenti elementi:<br />

Curvatura principale o primitiva (figura 53a). E’ quella prodotta direttamente<br />

dall’agente eziologico responsabile della scoliosi. Essa può interessare ognuno dei<br />

tre distretti rachidei (dorsale, cervicale, lombare), oppure ognuno dei loro tratti di<br />

passaggio. Presenta le maggiori alterazioni strutturali delle vertebre per cui è<br />

relativamente facile distinguerla dalle curve secondarie.<br />

Curvature secondarie o di compenso (figura 53a). Sono dette secondarie quelle<br />

curvature che si sviluppano nei tratti sopra e sottostante alla curva primitiva, al fine<br />

di compensare lo “strapiombo” vertebrale provocato da essa.<br />

Figura 53<br />

68


Ogni curvatura presenta una vertebra “apicale” e due vertebre “estreme”. La vertebra apicale è la<br />

vertebra posta all’apice della curva, quella cioè che, nel piano frontale, è più distante dal normale asse<br />

rachideo. Essa presenta le maggiori alterazioni strutturali in quanto sottoposta a maggiori sollecitazioni.<br />

Sono dette vertebre “estreme” le vertebre poste ai limiti della curva. Ognuna delle due non<br />

rappresenta altro che la vertebra di transizione o vertebra neutra fra due curve dirette in senso opposto<br />

(figura 53b).<br />

Rotazione di tutto il tratto vertebrato interessato dalla curvatura, intorno all’asse<br />

longitudinale del rachide con torsione delle singole vertebre su se stesse: pertanto i<br />

corpi vertebrali si portano verso il lato convesso della curvatura mentre le spinose si<br />

portano verso il lato concavo (figura 54).<br />

Figura 54<br />

Deformazione dei singoli corpi vertebrali (di entità decrescente dalla vertebra<br />

apicale alle vertebre estreme) per danno prodotto sullo sviluppo encondrale dalle<br />

sollecitazioni del carico che hanno agito asimmetricamente.<br />

69


Deformazioni del torace. Consistono nel gibbo costale posteriore (che si sviluppa<br />

dal lato della convessità della curvatura dorsale) per spinta, sulle costole, da parte<br />

delle apofisi trasverse delle vertebre dorsali che ruotano su se stesse. Al gibbo<br />

posteriore si accompagna con uguale meccanismo un gibbo anteriore, che si<br />

sviluppa dal lato della concavità della curva dorsale (figura 55).<br />

Figura 55<br />

Modificazioni degli organi endocavitari (ipertrofia del cuore destro, stasi nel piccolo<br />

circolo, ecc…) che si instaurano, nei casi più gravi, secondariamente alle descritte<br />

asimmetrie toraciche.<br />

Tutti i suddetti reperti sono variamente presenti nelle diverse localizzazioni della<br />

curvatura primitiva, di quella curva cioè che dà il nome alla scoliosi in esame.<br />

70


● Nelle scoliosi lombari si ha una curva principale estesa da D11 a L3 e con apice su L1 o<br />

L2; le curve di compenso, a grande raggio, si sviluppano nel tratto dorsale e, distalmente,<br />

a livello lombosacrale (figura 56a).<br />

Figura 56<br />

71


● Nelle scoliosi dorso-lombari, di solito, si ha una curva molto ampia estesa dalla D6-D7<br />

alla L2-L3; la vertebra apicale è rappresentata per lo più da D11 o D12; è frequente uno<br />

“strapiombo” (figura 56b).<br />

● Nelle scoliosi combinate dorsali e lombari si hanno due curve principali, disposte ad “S”<br />

italica: quella dorsale si estende da D5 a D10, quella lombare va da D11 a L3 con apice su<br />

L1-L2 (figura 56c).<br />

● Nelle scoliosi dorsali la curva primitiva interessa in genere sei vertebre: dalla D4-D6 alla<br />

D11-D12; la vertebra apicale è la D8 o D9; si hanno due curve di compenso, una cervico-<br />

dorsale e una lombare (figura 56d).<br />

● Nelle scoliosi cervico-dorsali, molto rare, si ha una curvatura primitiva, a raggio piuttosto<br />

piccolo, estesa per cinque-sei vertebre e con apice sulla D1 o D2 (figura 56e).<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

La malattia insorge ed evolve in maniera subdola, senza dolore e senza alcuna<br />

compromissione delle condizioni generali.<br />

Ad evitarne un riscontro tardivo, occorre ricercare sistematicamente in tutti gli<br />

adolescenti, in età prepubere, i seguenti sintomi prodromici:<br />

Incurvamento laterale della linea risultante dall’unione di tutte le apofisi spinose<br />

(figura 57a);<br />

Slivellamento del normale parallelismo tra le due linee congiungenti le spalle e le<br />

creste iliache; nelle bambine, differenza di livello e di volume delle mammelle;<br />

slivellamento di una scapola rispetto all’altra (figura 57b);<br />

Asimmetria dei “triangoli della taglia” (figura 57c);<br />

Eventuale strapiombo del tronco rispetto al bacino (figura 57d);<br />

Eventuale accenno o presenza di gibbo costale ben evidenziabile, anche nella sua<br />

incipiente costituzione, invitando il paziente a flettere anteriormente il tronco (figura<br />

57d).<br />

72


QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Figura 57<br />

Ha un ruolo di primo piano: i dati essenziali al giudizio prognostico e terapeutico<br />

derivano proprio da questa indagine.<br />

Dal radiogramma si possono rilevare:<br />

Le alterazioni di forma dei corpi vertebrali (aspetto trapezoidale) che decrescono<br />

dalla vertebra apicale alle vertebre estreme;<br />

La entità della rotazione dei corpi vertebrali, tanto maggiore quanto più l’immagine<br />

delle spinose si sposta verso la concavità della curva;<br />

La sede della curva primitiva per inquadrarla in uno dei tipi precedentemente<br />

descritti (lombare, dorso-lombare, combinata, ecc…);<br />

73


Il grado della curva misurando, ad esempio con il Metodo di Cobb, l’entità della<br />

deviazione angolare.<br />

La misurazione della deviazione angolare con il Metodo do Cobb (figura 58) si effettua tracciando due<br />

linee lungo le superfici articolari superiore ed inferiore delle vertebre estreme ed abbassando le<br />

perpendicolari a queste linee: l’angolo supplementare “α” che risulta dall’intersezione delle due<br />

perpendicolari esprime, in gradi, l’entità della curva scoliolitica, permettendone la collocazione in uno dei<br />

quattro gruppi classificati in precedenza.<br />

Figura 58<br />

74


L’età scheletrica del rachide, cioè il grado di residua attività delle cartilagini<br />

epifisarie delle vertebre, valutabile ad esempio con il Test di Risser.<br />

La valutazione dell’età scheletrica con il Test di Risser (figura 59) si effettua misurando il grado di<br />

“copertura” delle creste iliache da parte dei rispettivi nuclei di ossificazione; tale copertura si sviluppa<br />

generalmente in sincronia con l’ossificazione delle cartilagini epifisarie delle vertebre nell’arco di tempo di 26<br />

mesi circa, iniziando (“Risser 1+”) intorno ai 13 anni e terminando completamente (“Risser 5+”) intorno ai 15<br />

anni.<br />

Figura 58<br />

L’esame radiografico, per essere esauriente, dovrà accertare anche la correggibilità<br />

della curva onde permette di stabilire il grado di strutturazione della curvatura cioè l’entità<br />

delle alterazioni morfologiche presenti nel rachide in esame.<br />

Per questo scopo i radiogrammi (sempre in proiezione antero-posteriore) oltre che in stazione eretta<br />

(sotto carico ed in sospensione), vanno ripetuti anche in posizione supina (fuori carico) e rispettivamente in<br />

massima inclinazione laterale destra (bending destro) e sinistra (bending sinistro): il confronto dei vari<br />

radiogrammi indica la correggibilità delle curve e quindi, indirettamente, la loro strutturazione.<br />

PROGNOSI<br />

Costituisce un problema molto delicato, dato il diverso potenziale evolutivo dei vari<br />

tipi di scoliosi.<br />

Ai fini pratici valgono come elementi orientativi i seguenti concetti generali.<br />

La chiusura delle cartilagini epifisarie vertebrali la progressiva evoluzione della<br />

malattia: ciò avviene in genere attorno ai 16-17 anni, salvo variazioni dell’età<br />

scheletrica accertabili con il Test di Risser.<br />

75


La crisi puberale rappresenta il periodo più temibile per la progressione della<br />

deformità raggiungendosi, in quel periodo, il culmine dell’attività osteogenetica delle<br />

cartilagini epifisarie (rapido incremento staturale).<br />

Almeno tre sono i fattori che possono definire la prognosi in una scoliosi in atto: età<br />

del paziente, tipo della curvatura, grado della curvatura.<br />

In particolare per quanto riguarda l’età, tanto peggiore sarà la prognosi quanto<br />

maggiore sarà il potenziale evolutivo della malattia, cioè quanto maggiore sarà stato<br />

l’intervallo di tempo tra la data di insorgenza della scoliosi (che non si identifica con<br />

la data dl suo riscontro clinico) e la data di chiusura delle cartilagini vertebrali.<br />

Per quanto riguarda il tipo della curvatura, la gravità della prognosi decresce dalle<br />

scoliosi dorsali e dorso-lombari alle combinate, alle lombari e alle cervico-dorsali: le<br />

prime sono le più gravi perché presentano le maggiori alterazioni strutturali,<br />

tendono facilmente ad aggravarsi e a scompensarsi, determinando un notevole<br />

squilibrio del tronco.<br />

Infine per quanto riguarda il grado di deviazione angolare della curva è accertato<br />

che, a pari condizioni (stesso tipo di curva e stessa età del paziente), la prognosi è<br />

tanto migliore quanto minore è la deviazione angolare.<br />

Il suo risultato è subordinato alla precocità della diagnosi.<br />

● Forme iniziali, caratterizzate da modesta angolazione (meno di 30°) , in sede e in<br />

età favorevole: è sufficiente attuare una terapia cinesiterapica, tenendo però il<br />

paziente sotto controllo, pronti ad agire con un trattamento più impegnativo qualora<br />

si notasse un aggravamento. E’ bene ricordare che gli esercizi muscolari assumono<br />

in questa affezione un valore notevole: essi hanno come scopo principale quello di<br />

stimolare la muscolatura paravertebrale, di riequilibrare i movimenti del tronco, di<br />

favorire una stabilizzazione attiva delle curve; ma dovranno trovare, nei criteri<br />

precisati, la loro netta indicazione, pena il rischio di determinare altrimenti – con la<br />

mobilizzazione del rachide – un aggravamento della curvatura. Gli esercizi<br />

dovranno comunque essere sempre associati a ginnastica respiratoria,<br />

indispensabile complemento terapeutico durante tutte le fasi del trattamento.<br />

● Forme più gravi, con curvatura superiore ai 30°.<br />

Trova indicazione la terapia ortopedica incruenta, consistente nell’applicazione di<br />

corsetti ortopedici correttivi in cuoio e metallo (tipo Milwaukee) provvisti di pelotte<br />

modellanti la deformità o nell’applicazione di corsetti gessati eseguiti nel corso di<br />

manovre (trazione, derotazione, deflessione) effettuate su speciali lettini ortopedici<br />

76


(di Cotrel, di Risser, ecc…). Alla tutela gessata farà seguito (dopo 6-12 mesi,<br />

durante i quali successivi esami radiografici avranno mostrato una soddisfacente<br />

stabilizzazione delle curvature scoliotiche) la applicazione di un corsetto in plastica<br />

e metallo (tipo Lyonesse) che riproduce la caratteristiche del gesso, consentendo di<br />

mantenere la correzione raggiunta e di modificare ulteriormente la deformità<br />

estetica. Contemporaneamente si devono far praticare esercizi muscolari e<br />

respiratori, al fine di favorire il trofismo dei muscoli paravertebrali e lo sviluppo della<br />

capacità respiratoria che – già alterati dalla scoliosi – possono aver subito un<br />

ulteriore danno dalla prolungata immobilizzazione in corsetti.<br />

● Scoliosi molto gravi, con curvatura oltre i 50°-70°.<br />

Trova indicazione il trattamento cruento. Esso va preceduto però da trattamento<br />

chinesiterapico (per condurre il paziente all’intervento nella migliori condizioni<br />

possibili) e da trattamento incruento correttivo, eseguito con le metodiche già<br />

descritte. Ottenuta per via incruenta la migliore correzione possibile, si provvede<br />

alla artrodesi delle vertebre interessate dalla curvatura scoliotica, con trapianti<br />

autoplastici prelevati dalle ali iliache; l’intervento è da praticarsi in genere tra i 12 ed<br />

i 16 anni. Un utile sussidio per migliorare intraoperatoriamente la correzione<br />

raggiunta per via incruenta e/o per mantenerla durante il tempo necessario<br />

all’attecchimento dei trapianti (circa 6 mesi) è rappresentato dal cosiddetto<br />

“distrattore” o “diastasatore” di Harrighton. Esso consiste in un’asta metallica,<br />

estensibile intraoperatoriamente, da ancorarsi mediante due uncini alle lamine di<br />

due vertebre più o meno distanti tra loro e da applicarsi sul versante concavo della<br />

curvatura primitiva. Il diastasatore è rimosso a consolidazione dell’artrodesi, oppure<br />

è lasciato più a lungo. Anche i pazienti sottoposti a trattamento cruento, devono<br />

essere immobilizzati, dopo l’intervento, in corsetti gessati ed ortopedici,<br />

analogamente a quanto descritto per il trattamento incruento. Durante tutte le fasi<br />

del trattamento, il paziente deve essere costantemente sottoposto a ripetuti cicli di<br />

ginnastica respiratoria e fisiocinesiterapia.<br />

77


GENERALITA’<br />

ARTROSI 4<br />

Con il termine “artrosi” si intende un’artropatia cronica, a carattere evolutivo,<br />

consistente inizialmente in alterazioni regressive della cartilagine articolare e<br />

secondariamente in modificazioni delle altre strutture che compongono l’articolazione<br />

(tessuto osseo, sinovia, capsula).<br />

Clinicamente l’atrosi si manifesta con dolore, limitazione funzionale, atteggiamenti<br />

viziosi: tutti e tre i sintomi compaiono di norma qualche tempo dopo le iniziali alterazioni<br />

anatomopatologiche della cartilagine.<br />

PATOGENESI<br />

L’artrosi si instaura in una articolazione quando in essa si verifica, per fattori<br />

generali o locali, uno squilibrio tra resistenza della cartilagine e sollecitazioni funzionali.<br />

● Fattori generali:<br />

Età (modificazioni del Ph del liquido sinoviale);<br />

Ereditarietà (documentata predisposizione alle affezioni artro-reumatiche)<br />

Costellazione ormonica (con particolare riguardo agli estrogeni);<br />

Obesità (sovraccarico delle articolazioni e accumulo di colesterolo);<br />

Alterazioni metaboliche (del calcio, ecc…);<br />

Ambiente (abitazione, clima, condizioni di lavoro).<br />

● Fattori locali. Sono riconducibili a due gruppi fondamentali:<br />

Concentrazione o alterata distribuzione delle sollecitazioni meccaniche sulla<br />

superficie articolare (ad esempio per deviazione dei normali assi di carico<br />

come nel ginocchio valgo, nella sublussazione dell’anca, ecc…);<br />

Alterazioni articolari prodotte da affezioni di natura infiammatoria, traumatica,<br />

da necrosi epifasarie, ecc…<br />

78


CLASSIFICAZIONE<br />

Si distinguono due fonti di artrosi:<br />

Artrosi primaria: è riferibile solo a fattori generali;<br />

Artrosi secondaria: quando è riscontrabile una causa locale.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Si riscontrano costantemente, anche se variamente accentuate in rapporto al grado<br />

evolutivo della malattia:<br />

Figura 60<br />

1 Alteraz. cartilaginee<br />

2 Osteofitosi marginale<br />

3 Sclerosi subcondrale<br />

4 Cavità geodiche<br />

5 Restringimento rima<br />

articolare<br />

79


Alterazioni cartilaginee: sono distribuite a chiazze sulla cartilagine di rivestimento;<br />

consistono in modificazioni del colorito (giallastro), in assottigliamento e<br />

fissurazioni; laddove maggiore è il sovraccarico la cartilagine può ulcerarsi<br />

mettendo a nudo l’osso subcondrale (figura 60a);<br />

Osteofitosi marginali: sono rappresentati da cercini ossei a becco, a rostro, ecc…,<br />

neoformatisi (per ossificazione della cartilagine o delle inserzioni capsulari) in<br />

corrispondenza del margina periferico della superfici articolari (figura 60a e b);<br />

Osteosclerosi subcondrale: consiste in addensamento del tessuto osseo in<br />

corrispondenza delle zone di maggiore usura della cartilagine, laddove il carico è<br />

più accentuato (figura 60b); queste zone si alterano a zone di rarefazione che<br />

confluendo possono dare origine a<br />

Cavità pseudocistiche o “geodi”: sono piccole cavità (da un grano di riso a un<br />

chicco d’uva) presenti nello spessore delle zone osteosclerotiche (quindi nelle zone<br />

di maggiore carico funzionale), contenenti un liquido mucide, frammenti cartilaginei,<br />

trabecole necrotiche, ecc… (figura 60b);<br />

Alterazioni della membrana sinoviale: iperemia, ipertrofia ed ispessimento dei villi<br />

che presentano frange esuberanti, ecc…<br />

Alterazioni della capsula, consistenti in edema, ispessimento, fibrosclerosi.<br />

Tutte le alterazioni descritte, si sviluppano progressivamente in vario grado, a<br />

seconda della sede colpita e del tempo decorso dall’inizio della malattia. Nelle fasi iniziali<br />

si notano solo piccole zone di erosione cartilaginea e una modestissima osteofitosi; nelle<br />

fasi molto avanzate dominano il quadro le osteosclerosi, le cavità geodiche, la grossolana<br />

osteofitosi fino alla completa deformazione dei capi articolari (artrosi deformante).<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

E’ esclusivamente locale.<br />

Di instaurazione subdola e tardiva rispetto all’inizio della malattia, evolve in maniera<br />

cronica, pur attraverso periodi di attenuazione o remissione.<br />

I sintomi fondamentali sono:<br />

Il dolore locale; presenta un ciclo in tre tempi: è vivo all’inizio del movimento (ad<br />

esempio al mattino), si attenua durante l’attività funzionale, si riacutizza poi dopo<br />

prolungata attività (ad esempio alla sera); nelle fasi più avanzate si fa ininterrotto,<br />

disturbando anche il riposo notturno;<br />

80


La limitazione funzionale (espressione di ostacoli meccanici e della contrattura<br />

muscolare) è costante e relativamente precoce, anche se non interessa<br />

ugualmente tutti i piani del movimento articolare; col passare del tempo può<br />

giungere fino alla abolizione completa della particolarità.<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

I più comuni reperti (figura 60c) sono rappresentati da:<br />

Restringimento della rima articolare fino alla sua completa scomparsa (per usura<br />

della cartilagine);<br />

Osteofitosi (precoce) a livello dei bordi delle superfici articolari: dalle forme più<br />

modeste può giungere fino a grossolane protuberanze ossee;<br />

Alterazione della struttura ossea subcondrale con zone di osteosclerosi e cavità<br />

geodiche.<br />

TRATTAMENTO<br />

E’ di natura medica, fisioterapica e chirurgica.<br />

Ogni metodo, applicato secondo le indicazioni del singolo caso clinico, concorre a<br />

ritardare l’evoluzione del processo degenerativo non potendo far regredire le alterazioni<br />

della struttura cartilaginea ed ossea.<br />

● Terapia medica: antalgici, decontratturanti, antiflogistici, ecc… Trova indicazione<br />

nelle forme iniziali, nelle crisi di riacutizzazione, quando sussistono controindicazioni a un<br />

trattamento più impegnativo.<br />

● Terapia fisica: calore, massaggi, ginnastica funzionale, ecc… Trova indicazione<br />

nelle forme iniziali, in quelle più avanzate nelle quali non è ancora indicata la terapia<br />

chirurgica e come trattamento pre e post-operatorio.<br />

● Terapia chirurgica: osteotomie, artrodesi, artroprotesi.<br />

L’osteotomia trova indicazione come profilassi precoce dell’altrosi in alcune<br />

alterazioni congenite (esempio sublussazione congenita dell’anca) ed acquisite<br />

(esempio esiti di epifisiolisi) che predispongono alla sua insorgenza in alcune<br />

articolazioni (esempio anca); come profilassi tardiva nelle forme iniziali di artrosi<br />

costituitesi per alterazione dei normali assi di carico (esempio esiti di displasia<br />

dell’anca, deformità postraumatiche, ecc…); come provvedimento terapeutico in<br />

senso stretto in alcune localizzazioni (esempio anca, ginocchio) di forme resistenti<br />

ad ogni terapia medica e fisica.<br />

81


L’artroprotesi, in alcune articolazioni (esempio anca)e l’artrodesi, in altre<br />

articolazioni (esempio rachide, piede), trovano indicazione nelle forme<br />

particolarmente gravi di artrosi primaria o secondaria.<br />

PRINCIPALI LOCALIZZAZIONI<br />

ginocchio.<br />

La malattia artrosica interessa principalmente l’anca, la colonna vertebrale, il<br />

ARTROSI DELL’ANCA O COXARTROSI<br />

E’ molto frequente (1% dei soggetti adulti). Predilige il sesso femminile. Non<br />

eccezionalmente è bilaterale.<br />

CLASSIFICAZIONE<br />

● Coxartrosi primaria.<br />

E’ causata da fattori generali. Insorge senza precedenti patologici a carico<br />

dell’articolazione.<br />

Colpisce in genere soggetti che hanno oltrepassato i 50 anni.<br />

● Coxartrosi secondaria.<br />

Si manifesta precocemente, anche prima dei 40 anni. Insorge generalmente su<br />

anche nella quali precedenti affezioni hanno alterato i rapporti o il trofismo dei capi<br />

articolari; ciò può essere riferibile a<br />

o Sublussazione da displasia congenita dell’anca,<br />

o Osteocondrosi dell’anca o Malattia di Perthes,<br />

o Epifisiolisi,<br />

o Pregresse flogosi,<br />

o Pregressi traumi, ecc…<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Dolore in sede trocanterica o inguinale, spesso irradiato alla faccia antero-interna<br />

della coscia e mediale del ginocchio (zone innervate dagli stessi rami sensitivi che<br />

innervano la capsula articolare dell’anca: otturatorio e femorale; figura 61).<br />

82


Figura 61<br />

Atteggiamento di lieve flessione e netta adduzione e rotazione esterna dell’arto<br />

(figura 62a);<br />

Figura 62<br />

83


Accorciamento apparente dell’arto, dovuto all’atteggiamento obbligato di adduzione<br />

(figura 62b);<br />

Limitazione articolare che interessa inizialmente l’abduzione e i movimenti di<br />

rotazione interna (la flessione è compromessa in genere più tardivamente e in<br />

modo mincompleto);<br />

Ipotonia ed ipotrofia dei muscoli dell’arto interessato;<br />

Deambulazione con zoppia “di fuga”;<br />

Dolore ininterrotto e limitazione subtotale dell’articolarità (solo negli stadi più<br />

avanzati).<br />

QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Si ha: restringimento della rima articolare, osteofitosi, sclerosi subcondrale, cavità<br />

geodiche (figura 60c), ecc…, di grado più o meno pronunciato in dipendenza del quadro<br />

anatomopatologico.<br />

L’osservazione dei rapporti esistenti fra acetabolo e testa femorale permette si<br />

rilevare se il caso in esame è espressione di una forma primitiva di coxartrosi, o se invece<br />

si tratta di forma secondaria a sublussazione congenita dell’anca (figura 63).<br />

In base a questi elementi radiografici e al quadro clinico è possibile disporre di un<br />

valido orientamento terapeutico.<br />

Figura 63<br />

84


TRATTAMENTO<br />

● Nelle coxartrosi in fase iniziale: terapia medica e terapia fisica.<br />

● Nelle coxartrosi in fase avanzata, molto dolorose con un atteggiamento vizioso, ma<br />

in soggetti al di sotto dei 60 anni: osteotomia sottocanterica con traslazione mediale del<br />

frammento distale (per modificare le linee di sollecitazione del carico) ed eventuale<br />

correzione di posizioni viziose dell’arto in adduzione e/o extrarotazione (figura 64).<br />

L’intervento, del quale esistono diversi tipi, determina una netta riduzione del dolore anche<br />

se persiste – ma in posizione corretta – una certa rigidità dell’anca: il risultato sembra da<br />

riferire sia ad un’azione meccanica (spostamento delle zone di maggior carico) sia ad<br />

effetto biologico (miglioramento della circolazione locale).<br />

Figura 64<br />

● Nelle coxartrosi in fase avanzata, ma in soggetti al disopra dei 60 anni: artroprotesi.<br />

Questo intervento, che da molti viene eseguito con protesi di Charnlev –composta da<br />

parte femorale in metallo e della parte acetabolare in resina acrilica, entrambe cementate<br />

all’osso (figura 65) – non solo elimina il dolore ma conserva, o ripristina, quasi nei limiti<br />

della norma, ed entro pochi giorni, l’articolarità dell’anca, permettendo una soddisfacente<br />

ripresa della deambulazione, dopo appena 20 giorni dall’intervento.<br />

L’età di 60 anni, che rappresenta un limite convenzionale e del tutto provvisorio per l’indicazione<br />

all’osteotomia o all’artroprotesi, è stato adottato in base a criteri presuntivi di tollerabilità biologica e di<br />

resistenza alla usura da parte della protesi. E’ da presumere che in avvenire tale limite di età verrà<br />

progressivamente abbassato, come è già stato fatto per quelle forme che non offrono valide alternative (ad<br />

esempio spondiloartrite anchilopoietica).<br />

85


Figura 65<br />

● In casi particolari nei quali – data la professione del paziente – interessa poter<br />

assicurare stabilmente il carico ed anche una prolungata deambulazione priva di eventuali<br />

tardivi disturbi, può farsi ricorso all’artrodesi.<br />

● Nelle coxartrosi secondarie a sublussazione, ad osteocondrosi dell’anca, ecc…,<br />

comunque caratterizzate da variazione del normale angolo di inclinazione del collo del<br />

femore, è costantemente indicata un’esteotomia varizzante (figura 66) o valgizzante, da<br />

praticarsi il più precocemente possibile, con finalità anche profilattiche nei confronti di un<br />

aggravamento delle malattia.<br />

86


Figura 66<br />

L’intervento consiste nell’asportare un cuneo osseo, al fine di ripristinare il normale angolo di<br />

inclinazione del collo del femore e “centrare” meglio la testa femorale nell’acetabolo onde allargare la zona<br />

destinata a ricevere le sollecitazioni dl carico.<br />

87


ARTROSI DEL GINOCCHIO O GONARTROSI<br />

E’ un’altra frequente localizzazione.<br />

Spesso è secondaria (pregressi eventi traumatici o fenomeni infiammatori<br />

dell’articolazione).<br />

Non di rado è primaria, e solo in secondo tempo – per le alterazioni prodotte dallo<br />

stesso processo artrosico – può verificarsi una deviazione in varismo (figura 67a) o in<br />

valgismo del ginocchio.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

Figura 67<br />

Dolore locale, atteggiamento del ginocchio in lieve flessione, pastosità e ipertrofia<br />

dei tessuti periarticolari, versamenti endoarticolari recidivanti, ipertrofia quadricipitale,<br />

limitazione articolare con sensazione di scrosci endoarticolari, zoppia “di fuga”.<br />

Nelle fasi molto avanzate: ginocchio globoso, dolentissimo, deviato in varismo o in<br />

valgismo, con articolarità ridottissima (solo eccezionalmente abolita).<br />

88


QUADRO RA<strong>DI</strong>OGRAFICO<br />

Comprende alterazioni tipiche: restringimento della rima articolare, osteofitosi<br />

marginale, sclerosi sbucondrale, ecc…<br />

Tali reperti possono riscontrarsi prevalentemente nell’articolazione femoro-rotulea o<br />

in quella femoro-tibiale (figura 68). Nel secondo caso può coesistere una modificazione del<br />

normale asse di carico che pone l’indicazione ad un trattamento cruento.<br />

TRATTAMENTO<br />

Figura 68<br />

E’ essenzialmente medico e fisiochinesiterapico.<br />

La terapia chirurgica trova indicazione nei casi molto avanzati nei quali l’esistenza<br />

di una deformità assiale giustifica un intervento correttivo di osteotomia (figura 67). In<br />

alcuni casi può essere presa in esame l’eventualità di un’artroprotesi, secondo quanto si è<br />

recentemente iniziato a fare pur in attesa che gli studi in corso confermino, alla luce dei<br />

risultati ottenuti, la validità di questo tipo di intervento anche per il ginocchio (articolazione<br />

che presenta problemi bio-meccanici diversi da quelli dell’anca).<br />

89


ARTROSI VERTEBRALE<br />

E’ localizzazione particolarmente frequente specie nel tratto lombare o cervicale.<br />

E’ dovuta in genere alla associazione di fattori generali e fattori locali.<br />

Topograficamente si distingue in artrosi lombare, cervicale e dorsale, ognuna delle<br />

quali può presentare complicazioni diverse.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

A livello dei singoli metameri si distingue in artrosi anteriore (intersomatica) e artrosi<br />

posteriore (apofisaria).<br />

Le due forme possono essere isolate o associate tra loro.<br />

■ L’artrosi intersomatica (detta pure spondilodiscoartrosi), consiste nelle alterazioni<br />

dei corpi vertebrali connesse alla progressiva disidratazione, degenerazione e<br />

schiacciamento di uno o più dischi vertebrali adiacenti.<br />

Come è noto i dischi invertebrali sono formazioni composte da un anello fibroso e da un nucleo<br />

polposo (figura 69a -b).<br />

L’anello fibroso rappresenta la porzione periferica, consistente ed elastica, costituita da lamelle<br />

disposte concentricamente, formate da fibre collagene intercalate da fibre elastiche.<br />

Il nucleo polposo è costituito da una massa gelatinosa sferoidale posta al centro del disco<br />

invertebrale con funzione di assorbire e ridistribuire uniformemente alla periferia – cioè sulle superfici<br />

cartilaginee dei corpi vertebrali contigui – le sollecitazioni staticodinamiche che riceve (figura 69c-d).<br />

Dopo i 40-50 anni tutti i dischi, ma soprattutto quelli del tratto inferiore del rachide cervicale e<br />

lombare (esposti a maggior movimento o a più intense sollecitazioni pressorie) vanno incontro a fenomeni<br />

regressivi.<br />

Questi consistono nella riduzione del tenore idrico del nucleo e nella perdita delle proprietà elastiche<br />

dell’anulus: tali fenomeni si fanno particolarmente accentuati in alcuni soggetti nei quali i processi regressivi<br />

connessi all’età sono aggravati dalla usura e da fattori microtraumatici propri di alcune professioni o mestieri.<br />

A causa della degenerazione discale le sollecitazioni di pressione si concentrano ed<br />

accentuano sui bordi dei corpi vertebrali: ciò provoca sclerosi delle limitanti superiore ed<br />

inferiore e sviluppo di osteofiti marginali (figura 70a); i due reperti, insieme alla riduzione<br />

dello spazio intersomatico, costituiscono la triade radiografica dell’artrosi vertebrale<br />

anteriore (figura 70b).<br />

90


Figura 69<br />

Figura 70<br />

91


■ L’artrosi aposisaria (o artrosi vertebrale posteriore) consiste nella comparsa delle<br />

tipiche alterazioni artosiche a carico della apofisi articolari posteriori (figura 71).<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

articolare.<br />

Figura 71<br />

Tutte e due le forme presentano una identica sintomatologia locale: dolore e rigidità<br />

Esistono però alcuni casi – fortunatamente non molto frequenti – nei quali il<br />

restringimento dello spazio intersomatico o l’osteofitosi marginale danno luogo a<br />

complicazioni.<br />

COMPLICAZIONI<br />

Sindromi midollari (mielopatia da spondilodiscoartrosi): gli osteofiti si sviluppano sul<br />

bordo posteriore dei corpi vertebrali – generalmente cervicali – comprimendo il<br />

sacco meningeo e il midollo spinale (figura 72a).<br />

Sindromi vascolari (cervicocefalalgia da compressione dell’arteria vertebrale): i<br />

becchi osteofitici, sviluppandosi sui bordi laterali delle ultime vertebre cervicali,<br />

possono comprimere o deviare le arterie vertebrali che decorrono nei fori<br />

intertrasversari (figura 72b); conseguono disturbi funzionali più o meno accentuati<br />

quali algie cervicali e nucali, cefalea, nistagmo, vertigini, ecc… (Sindrome di Neri-<br />

Barrè-Lieu).<br />

92


Sindromi radicolari (cervicobrachialgie e lombosciatalgie) da irritazione o<br />

compressione di una radice: gli osteofiti, sviluppandosi in sede postero-laterale, in<br />

corrispondenza del foro di coniugazione, possono disturbare la rispettiva radice<br />

irritandola o comprimendola (figura 72c).<br />

Figura 72<br />

Tra le suddette suddette sindromi da artrosi cervicale, le più frequenti sono le<br />

cervicobrachialgie e le lombosciatalgie.<br />

93


Nella cervicobrachialgia, ai sintomi locali si accompagnano irradiazioni dolorose<br />

periferiche lungo l’arto superiore, turbe della sensibilità, della motricità e dei riflessi<br />

osteotendinei, soprattutto nei territori innervati dalle radici C6 e C7, più frequentemente<br />

interessate.<br />

Nella lombosciatalgia (sindrome molto più frequente della cervicobrachialgia) la<br />

sintomatologia periferica varia in rapporto alla radice interessata.<br />

TRATTAMENTO<br />

Nell’artrosi cervicale: terapia medica (antalgici, miorilassanti, antinevritici, ecc…) e<br />

fisioterapia (massoterapia, infrarossi, trazioni cervicali, ecc…). In alcuni casi, data la<br />

gravità dei disturbi accusati dal paziente, può essere indicata l’immobilizzazione,<br />

per un breve periodo di tempo, di collare di Schanz (figura 73) o in Minerva<br />

gessata. Rare le indicazioni al trattamento chirurgico; esso può mirare alla<br />

fissazione del tratto rachideo interessato (artrodesi), alla liberazione di una radice,<br />

ecc…<br />

Figura 73<br />

Nell’artrosi lombare: terapia essenzialmente medica e fisioterapica. Rari sono i casi<br />

nei quali è indicato un trattamento immobilizzante in busto gessato o in busto<br />

ortopedico. Infrequente – e comunque subordinata all’esistenza di grave turbe<br />

neurologiche – l’indicazione al trattamento chirurgico (laminectomie, artrodesi<br />

vertebrali, ecc…).<br />

94


lombare.<br />

LOMBALGIE<br />

LOMBOSCIATALGIE 5<br />

LOMBOCRURALGIE<br />

Si tratta di sindromi dolorose di frequentissima osservazione.<br />

Sono causate spesso, ma non esclusivamente, da alterazioni discali del rachide<br />

Si ha lombalgia quando la sintomatologia è limitata alla regione lombare. Essa è<br />

espressione clinica di un qualsiasi processo che colpisce le strutture osteofibrose del<br />

rachide lombare senza determinare alcun risentimento sulle radici spinali corrispondenti.<br />

Si ha lombosciatalgia o lombocruralgia quando la sintomatologia si estende ad<br />

interessare anche l’arto inferiore, rispettivamente nel territorio del nervo sciatico o del<br />

nervo crurale. Tutti e due i quadri clinici sono espressione di una sofferenza radicolare, sia<br />

essa dovuta – come più spesso accade – ad una particolare alterazione del disco, che<br />

prende il nome di “ernia discale”, oppure ad uno dei molti altri fattori che pure possono<br />

determinarla.<br />

95


LOMBALGIA<br />

E’ la sindrome lombare di più frequente osservazione.<br />

Colpisce specialmente l’età adulta, il sesso femminile e quelle professioni (es.<br />

autisti) che espongono le articolazioni del rachide lombare a maggiore usura.<br />

Obiettivamente si riscontra con varia intensità:<br />

Dolore spontaneo, localizzato al rachide lombare, con accentuazione alla pressione<br />

locale ed ai tentativi di mobilizzazione del tronco;<br />

Contrattura delle masse muscolari paravertebrali, con secondario atteggiamento<br />

obbligato dl rachide lombare in lieve flessione anteriore o laterale;<br />

Rigidità del tronco, ben evidenziabile nei tentativi di flettere anteriormente il rachide.<br />

Dal punto di vista fisiopatologico il dolore<br />

è espressione clinica della irritazione o<br />

compressione dei filuzzi nervosi che,<br />

provenendo dal nervo seno-vertebrale di<br />

Luschka (figura 74), si distribuiscono alla<br />

porzione periferica dell’anulus fibrosus, al<br />

legamento longitudinale posteriore, al<br />

periostio che ricopre i corpi vertebrali e le<br />

strutture ossee dell’arco posteriore delle<br />

vertebre, alle formazioni capsulo-<br />

legamentose delle articolazioni ipofisarie,<br />

ecc… Da tutti questi diversi punti di attacco<br />

può partire lo stimolo scatenante la sindrome<br />

lombalgica. Essa – in base ai caratteri di<br />

insorgenza e di intensità - si distingue in<br />

acuta o cronica.<br />

Figura 74<br />

96


LOMBALGIA ACUTA<br />

Si instaura improvvisamente, spesso senza causa apparente.<br />

I meccanismi che più frequentemente la provocano sono almeno due: distensione<br />

acuta dell’anulus e distorsione delle articolazioni interapofisarie.<br />

Nella prima evenienza il dolore sembra determinato dall’irritazione delle terminazioni sensitive delle<br />

fibre dell’anulus e del legamento longitudinale posteriore messe in sovratensione dalla spinta esercitata dal<br />

nucleo, in occasione di uno sforzo anche banale (figura 75). In genere col riposo si riduce la pressione<br />

esercitata dal nucleo polposo, sull’anulus, per cui questo riassume la primitiva morfologia.<br />

Nella seconda evenienza (meno frequente) il dolore sembra determinato dalla distrazione o da<br />

piccole lacerazioni della capsula che riveste queste articolazioni (figura 76) e che possono verificarsi nel<br />

corso di incongrui movimenti di rotazione del tronco.<br />

Figura 75<br />

Figura 76<br />

Dolore e contrattura sono molto intensi: diventano spesso intollerabili ai minimi<br />

movimenti, con lo starnuto, con la tosse, ecc…<br />

All’esame radiografico si riscontra spesso riduzione della normale lordosi e/o<br />

deviazione laterale del rachide lombare (da contrattura muscolare).<br />

La sindrome si risolve in genere entro pochi giorni con riposo e miorilassanti.<br />

Talvolta invece passa gradualmente nel quadro clinico della lombociatalgia, oppure sfuma<br />

nella forma cronica.<br />

97


LOMBALGIE CRONICHE<br />

Possono essere tali fin dall’inizio, oppure rappresentare la cronicizzazione di un<br />

quadro acuto e subacuto, intervallato da periodi più o meno lunghi di benessere.<br />

Sono più frequenti delle forme acute.<br />

Divengono spesso esasperanti per il loro protrarsi nel tempo, con grave limitazione<br />

dell’attività lavorativa del paziente.<br />

I fattori più frequentemente responsabili sono:<br />

La protrusione dell’anulus: apprezzabile solo con la saccoradicolografia per<br />

l’impronta scodelliforme che l’anulus produce sul profilo anteriore del sacco<br />

meningeo lombare (figura 77);<br />

L’artrosi intersomatica e l’artrosi interapofisaria;<br />

Le anomalie congenite del limite lombosacrale, per il sovraccarico funzionale che<br />

esse comportano sui dischi sovrastanti;<br />

Gli squilibri statico-dinamici: per spostamento della linea di carico del rachide per<br />

obesità, gravidanza, scoliosi, “ipocinesie” (cioè deficit della miscolatura<br />

paravertebrale), ecc… (figura 78).<br />

Figura 77<br />

Figura 78<br />

98


I processi infettivi, quali reumatismo, tubercolosi, melitense, tifo, ecc…;<br />

Le osteopatie metaboliche (iperparatiroidismo, osteomalacia, osteoporosi, ecc…;<br />

I processi tumorali benigni come l’angioma (dal caratteristico aspetto radiografico “a<br />

palizzata”: figura 79), l’encondroma, il granuloma eosinofilo, ecc…; ed i processi<br />

tumorali maligni primitivi (come il raro osteosarcoma vertebrale) o metastatici<br />

(cancro della prostata, dell’utero, ecc…)<br />

TRATTAMENTO<br />

Figura 79<br />

► Nelle forme acute sarà soprattutto sintomatico: riposo, miorilassanti, antidolorifici.<br />

► Nelle forme croniche, nelle quali è da escludere una etipotogenesi tumorale o<br />

infettiva, trova indicazione elettiva la chinesiterapia e la fisioterapia; è da ridurre a<br />

pochissimi e ben selezionati casi l’uso del busto ortopedico.<br />

99


LOMBOSCIATALGIE<br />

Per lombosciatalgia si intende una sindrome dolorosa che dalla regione<br />

lombosacrale si irradia con distribuzione radicolare all’arto inferiore, nel territorio del nervo<br />

sciatico.<br />

I fasci nervosi che entrano a costituire il nervo grande sciatico derivano dalle radici L5, S1, S2, S3,<br />

S4 (plesso sacrale: figura 80a). Nello spessore del nervo decorrono le fibre dei due rami terminali – tibiale<br />

posteriore e sciatico popliteo esterno – che generalmente fusi in un tronco unico dal foro grande ischiatico<br />

fino al terzo inferiore della fascia posteriore della coscia, si dividono a questo livello (figura 80b) per andare<br />

ad innervare i territori cutanei ed i gruppi muscolari rispettivi.<br />

Figura 80<br />

1. N. Gluteo<br />

super.<br />

2. N. per il m.<br />

piriforme<br />

3. N. per il<br />

gemello sup.<br />

4. N. per il<br />

gemello inf.<br />

5. N. per il<br />

quadrato<br />

femorale<br />

6. N. piccolo<br />

sciatico<br />

7. N. grande<br />

sciatico<br />

8. N. pudendo<br />

9. N.<br />

interno<br />

emorroidale<br />

10. N. otturatore<br />

int.<br />

11. N. per il m.<br />

elevatore ano<br />

12. N. tibiale o<br />

sciatico<br />

popliteo int.<br />

13. N. peroneo o<br />

sciatico<br />

popliteo<br />

esterno<br />

100


Abbandonato il sacco durale le radici L5 ed S1 si dirigono (con percorso obliquo in basso e<br />

all’esterno) verso i rispettivi fori di coniugazione (figura 81b). In questo decorso essi contraggono<br />

posteriormente rapporti con i legamenti gialli e con le articolazioni interapofisarie (figura 81a), anteriormente<br />

con i dischi intervertebrali, dai quali restano tuttavia separate per interposizione del legamento longitudinale<br />

posteriore (figura 81c). In particolare, la radice L5 si mette in rapporto con la porzione più mediale del disco<br />

interposto tra le vertebre L4 ed L5 (nonché con la porzione più laterale del disco interposta tra le vertebre L5<br />

ed S1), mentre la radice S1 contrae rapporto con la porzione più mediale del disco interposto tra le vertebre<br />

L5 ed S1 (figura 81b). Mnemonicamente si usa dire che ogni radice prende rapporto con il disco sovrastante<br />

la vertebra di pari numero: la L5 con il disco che sovrasta la vertebra L5, e la S1 con il disco che sovrasta la<br />

vertebra S1. Ma tenuto conto dei precedenti richiami anatomici è ovvio che la radice L5 può venire<br />

interessata sia nell’interspazio L4-L5 sia nell’interspazio L5-S1. Come pure è evidente che un processo<br />

relativo all’interspazio L5-S1 può interessare – isolatamente o contemporaneamente – sia la radice L5 che la<br />

radice S1.<br />

Figura 81<br />

101


Oltre a così stretti rapporti con i dischi invertebrali, queste radici contraggono anche rapporti molto<br />

intimi con le pareti osteofibrose dei rispettivi fori di coniugazione, relativamente lunghi e ristretti; esse anzi,<br />

trovandosi in immediata vicinanza delle apofisi articolari posteriori (figura 82) possono facilmente risentire dei<br />

processi patologici che colpiscono queste piccole articolazioni. Bisogna ricordare infine che queste radici<br />

spinali, nel loro percorso estradurale, sono circondate da un ricco plesso vascolare immerso (figura 82) ne<br />

tessuto adiposo periradicolare: è evidente come qualsiasi fenomeno che induca una stasi ematica locale,<br />

data l’inestensibilità della parete del femore di coniugazione, possa determinare una sofferenza della radice<br />

stessa.<br />

EZIOPATOGENESI<br />

Figura 82<br />

Dati i rapporti topografici esistenti tra le radici dello sciatico e le strutture<br />

osteofibrose del rachide è facile comprendere che molte affezioni possono essere la<br />

causa di insorgenza di una lombosciatalgia.<br />

In ordine di frequenza si ha:<br />

L’ernia discale;<br />

L’artrosi intersomatica (osteofitosi del bordo posteriore del corpo vertebrale);<br />

L’artrosi interapofisaria (proliferazione di osteofiti tra le piccole apofisi posteriori e<br />

restringimento del foro di coniugazione);<br />

Anomalie congenite del rachide (quali sacralizzazione, schisi della prima vertebra<br />

sacrale, spondilolisi e spondilolistesi come fattori responsabili di sovraccarico<br />

funzionale dei dischi o di un restringimento diretto del foro di coniugazione);<br />

102


Processi infiammatori di natura specifica o aspecifica, sia per danneggiamento e<br />

usura del corrispondente disco invertebrale, sia per diffusione diretta allo spazio<br />

epidurale (epiduriti spinali, periradicoliti cronivìche, ecc… o aracnoidale (aracnoiditi<br />

spinali):<br />

Turbe vascolari stasi venosa nei plessi periradicolari per stati infiammatori<br />

endopelvici, quali annessiti, ecc…);<br />

Processi tumorali ossei primitivi (sarcomi, ecc…) o metastatici e processi tumorali<br />

del cono midollare, delle radici stesse, ecc…<br />

Anomalie del sacco durale e delle radici (quali sacco stretto, cisti periradicolari).<br />

L’ernia discale rappresenta la causa più comune di lombocialtalgia.<br />

Colpisce preferibilmente il sesso maschile, nell’età compresa tra i 35 e i 50 anni.<br />

Si verifica quando sotto l’impulso di sollecitazioni talora anche lievi (alzarsi da una<br />

poltrona, sollevare una valigia, ecc…), il nucleo polposo ancora ben idratato, riesce a<br />

superare le fibre dell’anulus facendosi strada attraverso loro preesistenti deiscenze di<br />

natura degenerativa (discopatica) che rappresentano il presupposto anatomo-patologico<br />

dell’ernia stessa.<br />

Gli stretti rapporti esistenti tra gli ultimi due dischi e le radici spinali L5 ed S1 rende<br />

ragione della costante sofferenza radicolare (sciatalgia) che si instaura quando a questo<br />

livello si verifica un’ernia discale.<br />

L’alterazione colpisce in genere l’ultimo disco lombare; meno frequentemente il<br />

penultimo; quando – raramente – interessa il disco interposto tra la III e IV vertebra<br />

lombare si parla di “lombocruralgia”. Rarissima, l’ernia discale a livelli superiori del tratto<br />

lombare e dorsale.<br />

ANATOMIA PATOLOGICA<br />

Normalmente l’ernia appare come una tumefazione circoscritta, delle dimensioni<br />

che vanno da un grammo di riso a quelle di una nocciola.<br />

Abitualmente sporge nella zona postero-laterale del disco, che rappresenta il punto<br />

di minor resistenza alla forza espulsiva del nucleo (ernia discale “postero-laterale: figura<br />

83). Qui infatti, il disco, dato il progressivo assottigliarsi in senso medio-laterale del<br />

legamento longitudinale posteriore, non fruisce più di quel valido sistema di rinforzo<br />

rappresentato dallo spessore del legamento longitudinale in sede mediana, dove appunto<br />

le ernie discali (“postero-centrali” o mediane) sono più rare.<br />

103


Figura 83<br />

► In rapporto alla diversa estrinsecazione topografica dell’ernia si distinguono almeno<br />

le seguenti varietà:<br />

• Ernia postero-laterale del disco interposto tra IV e V vertebra lombare<br />

(interessamento della radice L5: figura 84a);<br />

• Ernia postero-laterale del disco interposto tra V vertebra lombare e I vertebra<br />

sacrale (interessamento della radice S1: figura 84b);<br />

• Ernia postero-mediale (cioè situata più medialmente rispetto alla precedente) tra IV<br />

e V vertebra lombare (interessamento di tutte e due le radici, L5 ed S1: figura 84c);<br />

• Ernia mediana (rara) del disco interposto tra V vertebra lombare e I vertebra sacrale<br />

o tra IV e V vertebra lombare (interessamento bilaterale delle rispettive radici di<br />

destra e di sinistra).<br />

Figura 84<br />

104


► In rapporto alla forza espulsiva del nucleo e alla resistenza opposta dalle strutture<br />

fibrose, si distinguono diversi gradi di protrusione dell’ernia:<br />

• Ernia contenuta (figura 85a); quando essa è ancora trattenuta dalle fibre del<br />

legamento longitudinale posteriore ed eventualmente anche da quelle più esterne<br />

dell’anulus;<br />

• Ernia protrusa: quando essa, pur essendo riuscita a far breccia su queste<br />

formazioni, non si allontana dal suo punto d’origine (figura 85b);<br />

• Ernia espulsa o migrata quando il nucleo polposo, fuoriuscito dall’anulus, si<br />

distacca liberamente o resta in rapporto col suo punto d’origine solo mediante un<br />

peduncolo (figura 85c).<br />

Figura 85<br />

► In rapporto alla struttura del tessuto erniato, la cui consistenza e colore variano in<br />

dipendenza del tempo intercorso dalla costituzione dell’ernia e al suo grado di sporgenza<br />

nello speco vertebrale, si distinguono:<br />

• L’ernia immatura: si riscontra nelle forme recenti o ancora contenute; il nucleo<br />

polposo (che fuoriesce non appena vengono incise le fibre del legamento o<br />

dell’anulus) appare biancastro, elastico, lucente, translucido;<br />

105


• L’ernia matura: si riscontra nelle forme meno recenti o già protruse; il nucleo<br />

polposo appare degenerato, giallastro, opaco, anelastico, sfilacciato.<br />

► In rapporto alla intensità delle alterazioni radicolari provocate dall’ernia si<br />

distinguono due quadri:<br />

• Ernia recente: radice edematosa, ipomobile, iperemia (congestione dei vasi<br />

periradicolari);<br />

• Ernia inveterata: radice assottigliata e fissata, con numerose aderenze, al grasso<br />

periradicolare, alle strutture legamentose adiacenti, al tessuto discale erniato.<br />

SINTOMATOLOGIA<br />

► Sintomatologia rachidea<br />

o Dolore in sede lombare, spontaneo, trafittivi; si accentua alla pressione esercitata in<br />

sede paravertebrale, in corrispondenza del disco interessato; in genere, dopo alcuni<br />

giorni, il dolore spontaneo si attenua mentre rimane quello provocato localmente e<br />

quello irradiato all’arto inferiore;<br />

o Rigidità del rachide lombare, con netta limitazione di qualsiasi movimento del<br />

tronco;<br />

o Contrattura muscolare, che si rende evidente anche alla ispezione per la salienza<br />

delle masse paravertebrali sulla parete lombare, per l’appianamento della<br />

fisiologica lordosi, per l’atteggiamento scoliotico ed in flessione anteriore mantenuto<br />

dal paziente nella stazione eretta (figura 86).<br />

► Sintomatologia periferica<br />

o Irradiazione dolorosa lungo il dermatomero corrispondente alla radice interessata<br />

(figura 87):<br />

per la radice L5, il dolore si irradia lungo la faccia postero-esterna della coscia, laterale della gamba<br />

e dorsale del piede, fino a raggiungere l’alluce;<br />

per la radice S1, il dolore si irradia lungo la faccia posteriore della coscia, posteriore della gamba e<br />

plantare del piede, fino ad estendersi alle ultime due dita del piede;<br />

per la radice L5 ed S1 dello stesso lato, l’irradiazione dolorosa interesserà contemporaneamente<br />

entrambi i territori.<br />

106


Figura 86 Figura 87<br />

o Riacutizzazione del dolore con opportune manovre semeiologiche:<br />

segno di Delitala: consiste nel dolore risvegliato alla pressione esercitata sulla linea paravertebrale,<br />

a livello dell’emergenza della radice in esame (figura 88);<br />

segno di Laségue: consiste nel dolore alla regione lombare (eventualmente irradiato lungo il decorso<br />

dello sciatico) provocato, per distensione delle radici del nervo, quando si tenta di estendere il<br />

ginocchio a coscia flessa sul bacino (figura 89);<br />

il segno di Valleix consiste nel dolore che si risveglia alla pressione esercitata su alcuni punti elettivi<br />

che corrispondono, in caso di sofferenza della radice L5, alla testa del perone, alla faccia esterna<br />

della gamba, e alla doccia premalleolare esterna; in caso di sofferenza della radice S1, alla regione<br />

glutea posteriore, ed alla parte mediana della faccia posteriore della coscia, della gamba e del collo<br />

del piede (figura 90).<br />

107


Figura 88 Figura 90<br />

Figura 89<br />

108


o Turbe della sensibilità cutanea: parestesie (formicolii, ecc…), ipoestesie, e<br />

raramente (nei casi più gravi) anestesie, con distribuzione cutanea analoga a quella<br />

del dolore (figura 87);<br />

o Alterazioni dei riflessi osteotendinei: ipovalidità o assenza di quei riflessi il cui arco<br />

diastaltico decorre nelle radici danneggiate (achilleo e medio plantare per la S1);<br />

o Deficit del tono e del trofismo muscolare a carico dei glutei e del tricipite surale<br />

nell’interessamento della radice S1; meno evidente il deficit della coscia<br />

nell’interessamento della radice L5;<br />

o Deficit motori: precoce esauribilità, paresi o – meno frequentemente – paralisi dei<br />

muscoli estensore proprio dell’alluce, estensore comune delle dita, tibiale anteriore<br />

e peronei (figura 91) nell’interessamento della radice L5 (rilevabili con la ricerca del<br />

segno di dandy e di eventuale “steppage”); ipovalidità del tricipite surale<br />

nell’interessamento della radice S1.<br />

Figura 91 Figura 92<br />

1. m. tibiale<br />

anteriore<br />

2. m.estensore<br />

comune dita<br />

3. m. peroniero<br />

breve<br />

4. m. peroniero<br />

lungo<br />

5. m. estensore<br />

proprio alluce<br />

Il segno di Dandy consiste nella ipovalidità alla<br />

flessione dorsale dell’alluce saggiata contro resistenza<br />

(figura 92);<br />

Lo “steppage” consiste nella flessione del<br />

ginocchio e dell’anca durante la fase non portante<br />

dell’arto, per compensare l’equinismo neurogeno del<br />

piede.<br />

o Difetti della conduzione elettrica, fino al silenzio completo dei singoli muscoli<br />

innervati dalle rispettive radici.<br />

109


FORME CLINICHE<br />

► In rapporto al diverso impegno delle singole radici interessate dall’ernia discale, si<br />

distinguono tre sindromi radicolari:<br />

Sindrome da irritazione (tipica della fase iniziale): il quadro è dominato dal dolore,<br />

dalle parestesie e talvolta da iperreflessie.<br />

Sindrome da compressione (tipica, in genere, delle fasi più avanzate): alla<br />

sintomatologia dolorosa subentrano, per maggiore danno radicolare, i deficit della<br />

sensibilità, della motilità, del trofismo, dei riflessi, della conduzione elettrica.<br />

Sindrome da interruzione (molto rara; in genere si verifica bruscamente: “ernia<br />

paralizzante”); per interruzione funzionale della radice scompare il dolore (blocco<br />

della conduzione sensitiva) e compaiono invece i deficit muscolari (generalmente<br />

incompleti, perché nessun muscolo è innervato da una sola radice) e le areflessie.<br />

► In rapporto al diverso livello dell’ernia e dal danno prodotto da questa sulle singole<br />

radici nervose si hanno questi quadri clinici:<br />

Sindrome monoradicolare (S1)<br />

o Fase di irritazione: dolore irradiato alla faccia posteriore della coscia e della gamba,<br />

a quella plantare del piede fino alle ultime due dita; positività dei segni di Delitala,<br />

Laségue e Valleix; non alterazioni neurologiche apprezzabili (salvo, talora, una<br />

iperreflessia dell’achilleo).<br />

o Fase di compressione: dolore irradiato come sopra, ma in genere, di minore<br />

intensità; parestesie ed ipoestesie con la stessa distribuzione; positività dei segni di<br />

Delitala, Laségue e Valleix; ipotrofia dei glutei e del tricipite surale; iporeflessia o<br />

areflessia dell’achilleo e medio-plantare; ipoeccitabilità elettrica dei gemelli.<br />

o Fase di interruzione: attenuazione o scomparsa del dolore; ipoestesie con zone di<br />

anestesia nel dermatomero corrispondente; ipotrofia accentuata del tricipite surale;<br />

scomparsa dell’achilleo e medio plantare; in eccitabilità elettrica dei gemelli.<br />

Sindrome monoradicolare (L5)<br />

o Fase di irritazione: dolore irradiato alla faccia postero-esterna della coscia, laterale<br />

della gamba, dorsale del piede fino all’alluce; positività dei segni di Delitala,<br />

Laségue e Valleix; non alterazioni neurologiche apprezzabili.<br />

o Fase di compressione: dolore irradiato come sopra, ma in genere, di minore<br />

intensità; parestesie ed ipoestesie con la stessa distribuzione; positività dei segni di<br />

Delitala, Laségue e Valleix; positività del segno di Dandy; non alterazione dei<br />

110


iflessi achilleo e rotuleo; ipoeccitabilità elettrica dell’estensore proprio dell’alluce e<br />

dell’estensore comune delle dita.<br />

o Fase di interruzione: attenuazione o scomparsa del dolore spontaneo o provocato;<br />

zone di anestesia nel territorio corrispondente alla L5;positività del Dandy e<br />

“steppage”; non alterazione dei riflessi achilleo e rotuleo; ipoeccitabilità elettrica.<br />

Sindromi biradicolari<br />

Nelle rare forme biradicolari, dovute a sofferenza contemporanea delle due radici, la<br />

sintomatologia può presentare reperti clinici misti e cioè, per esempio, compressione a<br />

carico di una radice e irritazione a carico di quella adiacente.<br />

Sindromi bilaterali<br />

In alcuni casi ai sintomi descritti a carico della S1 si associano disturbi riferibili a<br />

sofferenza delle radici sacrali sottostanti (ipoestesia a sella, turbe genitali, deficit<br />

sfinterici): si tratta spesso di sindromi bilaterali, o meglio di sindromi della cauda<br />

equina, espressione di rare ernie postero-centrali.<br />

111


BIBLIOGRAFIA<br />

“CLINICA ORTOPE<strong>DI</strong>CA – manuale e atlante”<br />

di C. Morlacchi & A. Mancini<br />

Presentazione di L. Perugina<br />

PICCIN E<strong>DI</strong>TORE - PADOVA<br />

112

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