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Università degli Studi di Siena – Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti – sezione di Grosseto
Archeologia urbana a Grosseto
Il villaggio nel contesto territoriale tardoantico e
altomedievale maremmano e il tema della città diffusa
1

IL PROGETTO
Il progetto nasce nell’ambito di una collaborazione fra
Amministrazione Comunale di Grosseto, Università di Siena e
Soprintendenza Archeologica per la Toscana.
L’occasione dello scavo è stata fornita dalla
necessità di ripavimentare l’intero centro storico
dopo aver posto in opera tutti i sottoservizi (fogne,
metano, fibre ottiche, acquedotto).
2

IL PROGETTO
Lo scopo era quello di documentare la sedimentazione archeologica
prima dell’asportazione definitiva a causa dei lavori.
Lo scavo urbano, condotto
sistematicamente dal 1998 al
2003, ha interessato tutte le aree
pubbliche del centro storico.
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IL PROGETTO
Alcuni dati quantitativi sul lavoro svolto
negli anni 1998 - 2005.
Partizione 2
71%
Partizione 1
29%
Sono stati aperti in totale 93 saggi nelle
strade e nelle piazze del centro storico nel
periodo luglio 1998 - dicembre 2003, cui
vanno aggiunti gli scavi nelle chiese di S.
Gherardo e S. Pietro. La sedimentazione
non indagata è ancora conservata per futuri
interventi di ricerca mirati alla soluzione di
specifiche domande storiografiche.
La superficie del centro storico interna
al circuito delle mura medicee è di
149.955 mq, di cui 43.273 sono le aree
aperte oggetto del nostro intervento,
pari al 28,9%. Di queste sono stati
indagati complessivamente 4.805 mq.
che corrispondono all’11,1% delle aree
aperte e al 3,2% dell’intero centro
storico. Il paleosuolo è stato raggiunto
in 47 punti.
scavato
10%
aree pubbliche
90%
4

A fianco il grafico che illustra le
giornate/uomo nelle tre diverse
sezioni del progetto divise per
anno. Il totale è 11.258 cui
vanno aggiunte le ricerche
d’archivio.
5

IL PROGETTO
Un primo intervento di scavo
fu effettuato nel 1978 sempre
dall’inse-gnamento di
Archeologia Medievale,
nell’occasione del restauro
del Cassero Senese.
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IL PROGETTO
Le attività di scavo sono state condotte
compatibilmente con le esigenze di
cantiere.
In accordo con le ditte appaltatrici
abbiamo avuto l’opportunità di estendere
alcuni settori di scavo e aprirne altri in
punti di particolare interesse.
7

Gli scavi urbani condotti fra il 1998 e il 2005 hanno portato sul tavolo della discussione
una quantità di dati concernenti il tema dell’origine e dello sviluppo del villaggio di
Grosseto sui quali occorre fare alcune riflessioni.
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Il contesto territoriale in età romana: viabilità e insediamenti
9

Grazie ad un riesame di vecchi ritrovamenti e ai nuovi dati emersi dall’indagine
geoarcheologica sul corso del fiume Ombrone e sulla laguna (lago Prile), è possibile
ubicare una stazione di posta lungo la via Aurelia vetus (Umbro flumen) su un sito
poco distante dal centro storico (a circa 200 m. in direzione est). Pertanto abbiamo
come primo dato il rapporto dell’area su cui sorge Grosseto e la viabilità romana.
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medioevo generico 25%
Tardoantico
altomedioevo 20%
ca. 300 aC-680 dC
ca. 300 aC-400 dC
ca. 400 – 550 dC dC
ca. 550 - 1200
Età classica sicura
10%
ca. 550 - 680
La ceramica dello strato a lunga frequentazione
US 12243 (chiesa di S. Pietro) classificata per
periodi
ca. 680 - 900
Età classica inizio altomedioevo generici
45%
ca. 900 - 1200
In primo luogo non abbiamo rinvenuto
strutture di età classica. I pochi
frammenti di laterizi sparsi su una
superficie di 16 ettari costituiscono un
“rumore di fondo” e niente più. Se però
spostiamo l’attenzione sulla ceramica e
le anfore, allora il quadro è diverso. Da
alcune aree emerge in modo
inequivocabile la presenza di una
residualità di età classica in strati
sicuramente medievali che non può
essere liquidata come frequentazione
occasionale. Soprattutto perché è
evidente che aumenta in modo
significativo nei secoli della transizione,
essendo le forme ceramiche
sicuramente databili fra il I e il II secolo
d.C. piuttosto esigue.
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L’analisi del sistema viario e portuale ci permette di comprendere questo ‘rumore di fondo’.
L’essere in prossimità di un approdo fluviale, forse in antico ubicato proprio sul sito di via
Giordano (Umbro flumen), lungo una strada importante, entrambi veicoli di penetrazione delle
merci dalla costa verso l’interno significa spiegare la presenza di pochi frammenti, perché di
questo si tratta. Ma in sé non spiega né l’evidente aumento di intensità in corrispondenza del V
secolo, né l’assenza di un insediamento stabile fino al VII.
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
12

Quindi l’interrogativo sulle origini di Grosseto si
scinde in una molteplicità di quesiti:
•perché fino ad un certo periodo non vi furono le
condizioni per un insediamento stabile
•perché si verificarono
•quando si verificarono
•perché a Grosseto e non in altri punti della pianura
rosellana si sviluppò un centro abitato così
dinamico da assorbire le funzioni della città
etrusco-romana.
Vediamo di rispondere con ordine sulla base dei
dati disponibili.
13

A circa 2 Km. ad est di Grosseto, lungo il fiume Ombrone, è noto da
decenni un sito di particolare rilevanza, la villa di Sterpeto-S. Martino,
la cui posizione risulta “strategica” in termini geomorfologici. Questo
sito riveste di fatto il ruolo di central place per una vasta area interessata
potenzialmente da un’economia differenziata. La storia di età romana
dell’area poi occupata dal villaggio di Grosseto va dunque letta
nell’ambito della gestione di una vasta proprietà fondiaria.
Via Giordano
Grosseto – piazza della Palma
Sterpeto-S. Martino
14

Questo tratto terminale della valle
dell’Ombrone era il punto di ingresso delle
merci mediterranee verso il rosellano fino alla
fine del VI secolo e forse per qualche decennio
ancora, ma non possiamo escludere che già in
età romana vi fosse un interesse per
l’estrazione del sale nella porzione
meridionale della laguna salmastra, cioè quella
più vicina al luogo dove poi sorgerà la città.
Questo spiegherebbe la ceramica e le anfore a
Grosseto per tutta l’età imperiale e l’assenza di
strutture: l’economia del sale potrebbe essere
stata gestita direttamente dalla villa di
Sterpeto-S. Martino attraverso un sistema di
lavoro stagionale che non necessitava di
edifici in muratura.
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Ma forse possiamo fare un’ulteriore sforzo. Ovvero possiamo collegare le
maggiori attestazioni di ceramiche e anfore dagli scavi urbani dopo il 400
d.C. ca. con i tentativi di riorganizzazione della produzione e delle attività
agricole e artigianali conseguente alla crisi generalizzata del mondo
romano. In questo caso la produzione del sale potrebbe essere uno degli
aspetti insieme alla riconversione delle manifatture ceramiche e alla ripresa
su scala regionale delle attività estrattive e metallurgiche.
Queste osservazioni non sono però sufficienti a rispondere ai primi dei quesiti che
abbiamo posto: dal V secolo si verificarono forse le condizioni per una più intensa
frequentazione dell’area di Grosseto, ma non per un insediamento stabile. I siti
maggiori del territorio rosellano continuarono a ricevere sigillate e anfore fino a tutto
il VI secolo. Dunque è necessario un ulteriore passaggio, che riteniamo essere
proprio il forte legame dell’area di Grosseto con la villa di S. Martino: l’abbandono
di questa alla fine del VI secolo o agli inizi del successivo, le prime, coeve,
attestazioni di abitato stabile a Grosseto e la conquista longobarda della Tuscia
sembrano tessere di un unico mosaico.
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Wilhelm Kurze in un saggio di alcuni
anni fa aveva delineato con estrema
chiarezza, sulla base di un raffinato
esame delle fonti altomedievali, le
fasi della conquista longobarda della
Tuscia. In particolare emergeva in
modo inequivocabile che l’area
occupata dalla laguna salata (il
cosidetto lago Prile) era al centro di
forti e conflittuali interessi dei due
grandi protagonisti della Tuscia
longobarda: Lucca e Chiusi. La
cartina da lui elaborata con le fasi
della conquista mostra in modo
grafico questo dato. E mostra che
l’interesse lucchese era centrato sul
basso corso del fiume Ombrone.
17

Altre fonti, analizzate dallo stesso Kurze, e in particolare il canone di Deusdedit, forniscono
chiari indizi che a questi due soggetti ne va aggiunto un terzo: il papato, che era un attore molto
più antico, perché nella prima metà dell’VIII secolo dava in affitto e otteneva rendite da beni
lungo la costa tirrenica longobarda, che non poteva certo avere ottenuto nel VI o nel VII. Non
sembra improbabile che parte o tutti questi beni fossero in origine di ricchi aristocratici o terre
fiscali: dopo la pace costantiniana e almeno fino a Teodorico vi erano tutte le condizioni perché
il patrimonium Petri le potesse acquisire.
18

Questa complessità può essere spiegata solo con la strategicità dell’area del Prile. Se le
rivendicazioni pontificie si inseriscono in un clima di difficoltà con Costantinopoli e quindi nel
primo tentativo di riorganizzare possedimenti e rendite in un contesto ormai italiano, allora i
dati riguardanti la Tuscia presentano spunti di riflessione di grande interesse. Le curtes del
papato nell’area maremmana sono infatti disposte ad arco sul Prile e sul corso dell’Ombrone, in
parte in sovrapposizione con Chiusi che controlla il settore nord delle saline facente perno su
Castiglione della Pescaia e Giuncarico.
19

Se veniamo poi alla prima citazione di Grosseto dell’anno 803, notiamo che è all’interno di
un atto in cui compare anche Calliano, identificabile con l’area della Trappola e la
letteratura da tempo ha puntualizzato la strategia del vescovo lucchese Iacopo nella gestione
dei possedimenti più lontani. Una strategia volta a garantire un controllo attraverso
personaggi di fiducia con contratti “ad meliorandum”, cioè finalizzati a valorizzare il
territorio che in questo caso è costituito da beni fondiari nel tratto finale del fiume Ombrone
e amministrati dalla chiesa di S. Giorgio.
Questa ricostruzione
trova ulteriore
conferma dai dati
emersi dagli scavi e
dalle ricerche in corso
sul Prile e sul fiume
Ombrone. E’ evidente
che Lucca controllava
il distretto
meridionale delle
saline facente perno
su Grosseto e
Caliano.
20

In questo contesto generale si inseriscono le prime attestazioni sicure di un
insediamento stabile prodotte dagli scavi urbani 1998-2005. Ciò consente di rispondere
ai primi tre quesiti che avevamo posto all’inizio. Grosseto nasce dalla dissoluzione dei
paesaggi antichi non solo in termini cronologici, ma anche come eredità di funzioni.
Possiamo ora tentare di rispondere all’ultimo: perché proprio Grosseto. Questa è forse,
alla luce dei nuovi dati, la risposta più semplice. C’erano in verità lungo la riva del
Prile controllata da Roselle più punti potenzialmente ben disposti, come Poggetti
Vecchi a nord, il Querciolo ad ovest, lo stesso Caliano, ma solo Grosseto si sviluppò.
21

Le motivazioni di questa scelta potranno essere comprese in modo chiaro solo scavando le aree
che non si svilupparono, ma possiamo comunque affermare che la prossimità alla viabilità
romana e al fiume Ombrone sembrano requisiti che solo Grosseto possedeva, senza escludere
una maggiore prossimità ad aree di produzione del sale di quanto finora sospettato. Che questo
sviluppo sia ben anteriore al 1138, data in cui venne traslata la sede vescovile da Roselle, è
testimoniato dal fatto che fra la fine dell’VIII e i primi del IX vi erano qui almeno due chiese,
una attestata per via documentaria (S. Giorgio), l’altra per via archeologica (S. Pietro), disposte
agli estremi dell’area occupata dal villaggio, che non doveva essere di poco conto.
22

Facciamo un passo indietro e torniamo al cruciale V secolo per
analizzare un po’ più nel dettaglio il contesto in cui ebbe origine il
“castello di Grosseto”. Consideriamo i soli dati editi.
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I dati in nostro possesso mostrano una modesta, parziale, ma chiara ripresa nel V
secolo. Essa è testimoniata dalla persistenza di alcuni grandi insediamenti e dalla
rioccupazione di altri abbandonati. Nello stesso periodo in cui a Grosseto si
intensifica la frequentazione. Che cosa può significare questo dato in termini
storiografici? Una spiegazione può essere cercata in ambito locale. Possiamo cioè
pensare che esso testimoni l’estremo tentativo di arginare la crisi da parte della
città e delle aristocrazie locali, con la creazione di vasti latifondi centrati sulle ville
ancora abitate con continuità e sulla città stessa, destinati a ceralicoltura e pascolo,
di cui le frequentazioni sulle vecchie ville abbandonate potrebbero testimoniare
un’occupazione di tipo stagionale. Ma forse possiamo tentare qualcosa di più,
almeno in termini patrimoniali.
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Abbiamo visto che nell’VIII
secolo sull’area del Prile e di
Grosseto si addensavano gli
interessi di alcuni grandi attori
(Lucca, Chiusi, Papato) cui
possiamo aggiungere anche
l’Impero. Per quello che
interessa in questa sede
possiamo tenere per buono che
nel V e VI Secolo buona parte
del territorio rosellano e
vetuloniese fosse di proprietà di
due soggetti: papato e impero.
La qual cosa non implica, né
potrebbe, che sia accaduto
subito, né l’esclusione di altri
soggetti locali fra i quali in
primo luogo dobbiamo
sicuramente mettere il vescovo,
ma solo a partire dall’età gota.
25

Possiamo tentare di leggere tutti questi dati come il risultato di una
riorganizzazione della produzione agricola nella fertile pianura
rosellana in occasione, forse, di un generale riassetto della grande
proprietà fondiaria.
L’area di Grosseto, almeno il centro storico oggetto di scavi prolungati, ha prodotto un
dato che va nella stessa direzione: è quindi possibile ipotizzare un rapporto di
dipendenza dal central place costituito dalla villa di Sterpeto-S. Martino nel quadro di
un’attività economica stagionale (assenza di materiali da costruzione a fronte di
presenza di ceramica e anfore). Questa poteva essere anche piuttosto differenziata (la
quantità di ceramiche, sebbene da scavo e non da raccolta di superficie orienta in
questa direzione) e il sale poteva giocare un ruolo che al momento non possiamo
quantificare, ma che sarà il leit motiv della storia medievale e moderna di Grosseto.
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In questo quadro non trova ancora una sua collocazione il vescovo di Roselle, se non in
età teodoriciana, ma ciò è in piena sintonia con la straordinaria labilità della
cristianizzazione delle campagne della diocesi di Roselle e della confinante Sovana per il
periodo tardoantico. Possiamo quindi ragionevolmente suggerire che l’azione del vescovo
si sia esplicata solo a partire dall’età longobarda.
Rapporto fra cimiteri con corredi e chiese di VIII-IX
27

Tutta questa ricostruzione trova come abbiamo detto nel sistema viario una sorta di legante.
Anche solo osservando le carte di distribuzione dei siti sovrapposte alla rete viaria risulta
evidente che, per quanto il cursus publicus fosse entrato in crisi, per quanto alcuni ponti
potessero essere crollati, le strade realizzate fra la metà del III secolo a.C. e i primi decenni
del II d.C. erano ancora certamente un punto di riferimento. Con l’osservazione che in un
momento ancora imprecisato sia il corso dell’Ombrone, sia l’arretramento della riva interna
del Prile determinarono una parziale inagibilità di due tratti.
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Questa fase ebbe vita breve. Come inizio
forse possiamo pensare ai primi decenni
del V secolo. Possiamo pensare ad un
terminus post quem intorno alla seconda
decade o forse la terza, facendo coincidere
l’inizio con un complesso di fattori fra i
quali può aver giocato un ruolo anche il
caos generato dalla fine della dinastia
teodosiana, la conquista vandala di
Cartagine e il generale riassetto dei flussi
di merci verso l’Italia. D’altro canto questa
parte della Tuscia era stata inserita nel
vicariato suburbicario della diocesi
italiciana e quindi a diretto contatto con
Roma.
29

Come momento finale credo che la guerra gotica, almeno la fase
acuta terminata con la pace del 540, sia un termine accettabile.
Con la specifica che fra i due termini la situazione si era aggravata.
In questa direzione vanno infatti, oltre alle testimonianze letterarie,
i relativamente numerosi ripostigli monetali rinvenuti nella
Toscana meridionale, talora entro i ruderi di edifici monumentali.
Rimane un ultimo aspetto: dove sono posizionati questi siti in
termini di paesaggio?
30

La maggior parte dei siti si pone su suoli a capacità 2 o 3, ma non mancano casi di siti che
sembrano non avere alcuna relazione con la potenzialità per l’agricoltura e l’allevamento.
Questo dato è molto più importante, a nostro avviso, di quello, tutto sommato atteso, che
ville e fattorie andavano a collocarsi sui suoli migliori. Sono i casi di Roselle stessa, ma
anche Scoglietto e Le Paduline, cioè infatti i siti a vocazione portuale.
31

A puro titolo di ipotesi e senza andare oltre, le proprietà papali nell’area rosellana, cioè
Castiglione della Pescaia, Casoni del Terzo, Aiali e Le Morelle avrebbero
complessivamente una superficie di pertinenza di circa 8.400 ettari che corrispondono a
circa 33.000 jugera.
32

Torniamo ora a Grosseto per chiederci: chi occupò in modo
stabile il sito fra la fine del VI e il VII secolo?
Gli scenari possibili sono due, opposti. Nel primo l’orecchino a
cestello in oro databile alla seconda metà del VI secolo rinvenuto
in sterri nel centro storico cittadino sarebbe databile verso la fine
del secolo, in fase con le prime attestazioni di stratigrafie certe,
ma senza un rapporto diretto con queste. Rileggendo le
informazioni desumibili dalla documentazione archivistica in
questa direzione, potremmo pensare che la conquista longobarda
di questa parte della Tuscia abbia provocato l’abbandono della
villa di Sterpeto-S. Martino, il trasferimento forzato della
popolazione contadina residente all’interno del fundus nell’area di
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
Grosseto dove i nuovi proprietari, lucchesi, avrebbero organizzato
la produzione del sale per fronteggiare un’analoga iniziativa
chiusina sul versante nord del Prile. A questo punto il papato non
avrebbe più potuto percepire le rendite dei vasti possedimenti a
corona sul Prile e sul corso dell’Ombrone fino alla prima
pacificazione con Liutprando. Che il vescovo di Lucca fosse
interessato alla produzione di grano e sale in Maremma è
testimoniato dal noto documento del 768 da cui peraltro emerge
che i due personaggi coinvolti, Autperto e Liutperto, erano soliti
prima fare lo stesso servizio al dux di Lucca Valperto. Dunque il
documento non registrò un evento occasionale.
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Nel secondo scenario l’orecchino a cestello sarebbe
inquadrabile nel breve periodo dell’occupazione
bizantina della Tuscia fra la fine della guerra gotica e
l’occupazione longobarda (ca. 554 – 572) e quindi in
un sistema di gestione della proprietà fondiaria
ancora centrato sulla villa di S. Martino. Questa
sarebbe stata abbandonata a seguito della
pacificazione fra Agilulfo e Gregorio magno del 593
e la popolazione si sarebbe raccolta nell’area di
Grosseto più funzionale, 2.6.4. in assenza La città di un’economia declassata: il modello generale.
di mercato, sia alla propria sussistenza, sia ai canoni
dovuti ai nuovi proprietari. I quali sarebbero
interessati, come peraltro mostra il citato documento
del 768, non al ciclo produttivo (non interessa
neppure dove si produce), né alla gestione della
manodopera, ma, nel solco della tradizione delle
aristocrazie merovinge, solo alla rendita.
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In questo secondo scenario, che ci sembra più probabile, l’origine del villaggio di Grosseto
sarebbe dunque inquadrabile nel più generale fenomeno di moto spontaneo di popolazioni
contadine che nello stesso periodo in altre aree dell’Italia centro-settentrionale andavano a
rioccupare i paesaggi d’altura. L’assenza di indicatori di status sociale nelle prime
stratigrafie emerse dagli scavi urbani va nella stessa direzione. L’assenza di indicatori della
proprietà fondiaria e l’assenza di gerarchie sono due questioni distinte. La proprietà
fondiaria della tarda età merovingia cominciò a muoversi nella direzione della formazione di
vasti e meno incoerenti possedimenti (fatto testimoniato da un sensibile e parallelo
comparire della documentazione scritta a partire dal 680 ca. cioè con l’inizio del cosiddetto
lungo VIII secolo).
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
35

A Grosseto i dati archeologici non consentono di vedere segni di distinzione fino alla
fondazione della prima chiesa di S. Pietro, alla quale possiamo aggiungere la chiesa di S.
Giorgio che il vescovo di Lucca Iacopo cedette al capostipite degli Aldobrandeschi. Poiché non
abbiamo potuto scavare nell’area dove questa viene generalmente ubicata, non possediamo dati
archeologici al riguardo, quindi non sappiamo di preciso quando fu fondata.
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
36

Tuttavia insieme a quella di S. Michele, attestata molto tardi (a. 1148) ma non
necessariamente più recente, e al toponimo S. Martino (il luogo della villa centro dei
possedimenti di età romana) forma per intero la triade dei mallea hereticorum, dediche
piuttosto comuni in età longobarda a partire dalla metà del VII secolo. Questo dato
potrebbe andare a costituire un ulteriore elemento nella direzione di un interesse
longobardo lucchese nella zona e un terminus post quem per la fondazione della chiesa.
pieno
XII
tardo IX
fine VIII-inizio IX
Vediamo nel dettaglio questa sequenza
fine VII-VIII
37

ca. 700 – 800 d.C.
La prima frequentazione stabile è costituita da una struttura in legno con funzione non abitativa.
Essa poteva essere parte di un complesso più ampio di edifici che si impostano sulla precedente
superficie di frequentazione stagionale.
38

ca. 770 – 830 d.C.
La prima chiesa viene quindi edificata su un’area che era già parte del villaggio. E’ un edificio ad
aula con abside poligonale per incapacità di realizzarne una semicircolare (?) di dimensioni 14,20
x 6, 60 m. (inclusa l’abside).
39

ca. 800 – 900 d.C.
Una seconda frequentazione all’interno della chiesa testimonia forse una breve fase di abbandono
prima dell’ampliamento. Le cronologie non possono essere più raffinate a causa della rapida
successione degli eventi.
40

ca. 800 – 900 d.C.
Nel corso del IX secolo una fase di cantiere piuttosto articolata, anche se di difficile lettura,
testimonia l’ampliamento della prima chiesa. Numerose buche per l’alloggio di pali di legno e
strati di calce suggeriscono che l’intervento non sia stato limitato alla sola zona absidale.
41

ca. 800 – 900 d.C.
La seconda chiesa riprende l’impianto della prima con un modesto ampliamento della parte
absidale che però viene rifatta con tecnica decisamente più raffinata. Le nuove dimensioni sono:
16,60 x 6,60 m.
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ca. 1100 – 1150 d.C.
La seconda chiesa fu completamente rasata per la costruzione della terza di cui non possediamo il
cantiere. Le nuove dimensioni sono: 24 x 9,30 m. Vi fu un leggero cambiamento d’asse di circa
6° in direzione ovest. Una torre quadrangolare fu edificata a fianco della seconda chiesa nel tardo
XI.
43

Che il documento dell’803 non menzioni altre chiese non deve stupire, perché in esso il
vescovo di Lucca fa riferimento solo ai beni di sua pertinenza e questo sarebbe un ulteriore
indizio del fatto che la chiesa di S. Pietro non fosse dipendente da questo vescovo. Ma forse
abbiamo altri elementi interessanti. La donazione carolina del territorio di Sovana, alla quale
Adriano I chiedeva di aggiungere anche quelli di Roselle e Populonia, doveva aver creato
seri problemi al vescovo lucchese in un contesto politico in cui, almeno a partire dalla fine
dell’VIII secolo, Carlo magno tese ad emarginare le aristocrazie longobarde e a sostituirle
con quelle franche. Dunque 2.6.4. la La datazione città declassata: della prima il modello chiesa di generale. S. Pietro proprio nei decenni
del delicato passaggio ai Franchi e il fatto che questa dedica sia sempre associata ad un
rapporto con Roma, potrebbero far apprezzare di più la “tempestività” dell’iniziativa del
vescovo Iacopo che negli anni successivi non si limitò al Rosellano, ma si estese anche al
territorio di Sovana, sebbene il vasto patrimonio fondiario degli Aldobrandeschi nel X secolo
non si possa far derivare solo dagli esordi lucchesi.
44

Una prova indiretta dell’importanza di fondare una chiesa da parte del papato potrebbe
venire da un versante completamente diverso. Nel catalogo dei beni artistici della
cattedrale di Grosseto pubblicato nel 1996 sono edite due lamine in rame dorato
raffiguranti i Santi Pietro e Paolo pertinenti, secondo gli esperti, alla coperta di un
codice o in alternativa ad di un reliquiario. Il loro rinvenimento agli inizi del secolo
XIX nel prato di S. Francesco, cioè a pochi passi dalla chiesa di S. Pietro, la
raffigurazione dei sue santi e soprattutto la cronologia di questi oggetti, fine VIII – inizi
IX secolo, ci sembrano elementi inquadrabili in un evento che, se non coinvolse le
maestranze di più alto livello allora presenti in Italia centrale, dovette comunque
costituire un momento di svolta piuttosto rilevante per la storia di un villaggio di
capanne sul quale si stavano sovrapponendo gli interessi dei poteri forti dell’epoca.
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
45

Forse, alla luce di quanto abbiamo detto
finora, non stupisce che i terzieri della
città bassomedievale siano denominati “di
S. Giorgio”, “di S. Pietro” e “di
Città” (cioè la parte dell’antico villaggio
situato sulla zona di pianoro sommitale).
Ma se sovrapponiamo le chiese più
antiche con la carta dei sistemi di
paesaggio, osserviamo che l’ubicazione
ipotetica della pieve di S. Maria, attestata
per la prima volta nel 1015, sulla quale
sembra sia stata edificata la cattedrale, è in
2.6.4. La città declassata: il modello generale.
una posizione “scomoda” da un punto di
vista geomorfologico. Ovvero: sembra
proprio che, nel momento in cui il
vescovo di Roselle istituì una pieve
nell’abitato di Grosseto, le posizioni
migliori, cioè i due gradoni pianeggianti o
quasi, erano già state occupate dalle chiese
di S. Giorgio e S. Pietro, e tutto il pianoro
sommitale era invece occupato dal
villaggio.
46

Dunque, grazie ad un’integrazione fra diverse tipologie di fonti, possiamo ipotizzare
uno scenario fra fine VIII e IX secolo che consente di inquadrare meglio le azioni
degli Aldobrandeschi nei decenni immediatamente successivi all’803, in una
“dialettica” chiamiamola così, fra poteri forti che si scontravano su un territorio la
cui unica risorsa veramente appetibile (a fronte di tanti sforzi) continua a sembrarci il
sale.
Questo andrebbe in sintonia con il
fatto che ancora nel pieno XII
secolo le saline grossetane
orbitavano nelle sfere degli 2.6.4. La città declassata: il modello generale.
Aldobrandeschi, e di altri soggetti
come i “boni homines” Grossetani, i
canonici di Grosseto, l’ospedale di
S. Leonardo di Grosseto, San
Salvatore al Monte Amiata (36).
Agli inizi del XIII secolo sappiamo
che anche Siena aveva ottenuto di
entrare nel gioco e gli
Aldobrandeschi erano costretti a
barcamenarsi fra la città e il
Comune di Grosseto (37).
47

Grosseto non era l’unico
villaggio abitato nella zona del
Prile fra IX e XII secolo. Ma
fu l’unico ad avere successo.
Altri, come Poggio Cavolo,
furono abbandonati nel corso
del XII, forse proprio a favore
della nuova città
48

Il tema della città diffusa: Roselle etrusco-romana.
Il concetto di città diffusa è stato introdotto da Riccardo Francovich nel
1997 per descrivere i rapporti fra Roselle e Grosseto nei secoli a cavallo
della traslazione della sede vescovile (1138). Questo tema divenne il
nucleo su cui fu progettato un parco archeologico. Le ricerche che ne
seguirono suggeriscono una precoce comparsa del fenomeno già in età
antica. Ovvero: è possibile che le sorti di Roselle e forse anche di
Populonia derivino da un’accelerazione di processi messi in atto al
momento dell’impianto dell’urbanesimo romano nel I secolo a.C.
Gli aspetti sui quali occorre riflettere sono almeno tre:
•il raggio della dispersione
•i tempi
•le funzioni disperse sul territorio
49

Roselle è ancora fra I e II secolo d.C. il luogo di autorappresentazione della forte “coscienza
urbana romana” delle più eminenti famiglie (come i Bassi e i Vicirii) e infatti nello stesso
periodo registriamo anche la massima attività edilizia pubblica. Con la fine del II secolo però il
quadro cambia nel senso di una stagnazione che nel successivo si trasforma in vero e proprio
degrado. La circolazione monetaria rallenta fino quasi a scomparire fra IV e V secolo. Nello
stesso periodo il sistema stradale viene obliterato e sostituito da percorsi diversi anche a quote
rialzate. Le terme e la domus dei mosaici sono riutilizzate per attività di rigattieri. L’abbandono
dell’area centrale è progressivo, ma inesorabile e sorgono problemi di regimentazione delle
acque provenienti dalla collina nord. La curia dopo il IV secolo viene abbandonata e spoliata.
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Tutto indica nel pieno V secolo il momento
finale per l’uso delle strutture del foro.
Forse alcune lastre della pavimentazione
furono utilizzate per le tombe del cimitero
che si sviluppò intorno alla chiesa costruita
sui ruderi delle terme.
Dentro la cinta muraria etrusca si
formarono alcuni nuclei: intorno alla
chiesa, parti dell’area forense, forse
l’anfiteatro, e le nuove terme in prossimità
della porta est. Questo complesso è
estremamente importante, perché costruito
per un rapporto evidente con il territorio e
inaugurato, se non addirittura promosso,
dal corrector Tusciae et Umbriae fra il 366
e il 370 con un’epigrafe in versi che non
pone dubbi:
•è l’autorita pubblica, ma di cursus
imperiale, e non più il ceto locale a
manifestare il suo status
•si sceglie un luogo ai margini della città
antica.
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Gli scavi, per quanto non estesi a tutto
l’abitato, non hanno però rivelato complessi
e articolati quartieri residenziali che ci
aspetteremmo in una città romana
“normale”. La cinta muraria etrusca
racchiudeva due colline (nord e sud): quella
sud non sembra sia mai stata occupata in età
romana. L’anfiteatro veniva in genere
edificato ai margini: la sua posizione sulla
sommità della collina nord sembra indicare
un altro limite. A conti fatti una superficie
di 10 ettari quasi interamente occupati da
edifici pubblici. Sono ipotesi, ma tutte nella
direzione della creazione di un centro di
rappresentanza politica e ideologica, più
che economica e demografica. Mette conto
rilevare che in età imperiale l’area
urbanizzata di città come Firenze (20),
Lucca (33), Volterra (33) è in media il
doppio o il triplo di Roselle mentre le città
del sud fondate fra III e II a.C. sono di
dimensioni simili: Heba 15, Cosa 13,5,
Sovana potrebbe oscillare fra 8 e 18.
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Per i secoli VI-VIII abbiamo un solo
elemento che indica ancora una certa
importanza di parte dell’ex centro
monumentale della Roselle romana: la
chiesa sorta sulle terme con l’attiguo
cimitero nel quale fu sepolto, intorno alla
prima metà del VII secolo, un personaggio
di cultura longobarda. La chiesa potrebbe
costituire l’unico punto di riferimento per la
comunità. Anche ammettendo che fosse la
chiesa vescovile, non dobbiamo supporre
una permanenza del vescovo per tutto
l’anno. Questi infatti poteva viaggiare
all’interno della diocesi o entro un raggio di
pochi chilometri dalla città, cioè l’area entro
la quale ancora nel XII secolo vantava la
gran parte dei suoi possedimenti
patrimoniali.
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Intorno al I secolo a.C. la pianura di Roselle vide un vero e proprio boom insediativo
che consentì il raggiungimento di livelli demografici consistenti. La diffusione delle
funzioni economiche potrebbe aver interessato un po’ tutti i siti, da quelli dediti
all’itticoltura e alla raccolta del sale lungo le rive del Prile, al complesso di fornaci per
laterizi posto 3 Km a sud est della città, all’area termale del Bagno di Roselle,
prospiciente quel colle della Canonica dove secondo alcuni sarebbe da ubicare la sede
del vescovo prima della traslazione a Grosseto.
La vastità della
superficie interessata da
edifici di pregio, per
quanto mai indagata in
modo sistematico,
fornisce un elemento di
paragone interessante
con la superficie
ipotizzata per Roselle: 2
ettari contro 10.
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Altri siti potenzialmente potevano assolvere le funzioni urbane di Roselle al posto di
Grosseto. Uno di questi è Montecurliano, oggi noto come ‘Tino di Moscona’.
La sua posizione è strategica
in ogni senso, poiché
costituisce l’altura di maggiore
rilievo dell’area rosellana
(oltre 300 m.s.l.m.) Qui i conti
Aldobrandeschi tentarono di
trasferire la città di Grosseto
nel 1179, intimoriti dal suo
troppo veloce sviluppo.
La Canonica
Roselle
Montecurliano
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L’assenza di scavi non consente di appurare preesistenze all’impianto del XII
secolo, sebbene non si possa escludere una anteriorità del cassero circolare.
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Il castello non riuscì a competere con Grosseto
che ormai era divenuta una città a tutti gli effetti
e infatti su abbandonato nel XIV secolo.
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Poco distante il sito La Canonica costituisce un altro tassello del tema della
città diffusa e un altro potenziale concorrente di Grosseto.
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La sommità della collina fu recinta da un
circuito murario che racchiudeva il castello di
Roselle nel delicato periodo di transizione dei
poteri fra l’antica città e Grosseto.
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Ai piedi della collina fu edificata
un’imponente chiesa romanica, la seconda
in Toscana dopo il duomo di Pisa che
tuttavia potrebbe non essere mai stata
completata. Qui dovevano risiedere i
canonici di Roselle
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