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Manuale didattico dedicato alle<br />
Scuole Elementari e Medie Inferiori<br />
<strong>Molecole</strong><br />
d’Acqua
Viaggio alla scoperta<br />
delle risorse<br />
L’acqua, i gas, le materie prime, le materie seconde, i loro cicli, la loro chimica, loro rapporti<br />
con l’uomo e la società, sono i temi affrontati dall’edizione di MATERIALITA’ del triennio<br />
1999-2002. Queste “risorse” sono analizzate attraverso esperienze sia pratiche sia<br />
teoriche oltre ad essere l’argomento di manuali didattici che, anno dopo anno, saranno a disposizione<br />
dei docenti delle scuole elementari, medie inferiori e superiori per affrontare questi<br />
importantissimi temi.<br />
“<strong>Molecole</strong> d’acqua”, la prima pubblicazione della collana di tre, affronta i temi collegati alla<br />
risorsa acqua. Questa molecola, la cui quantità è stimata in 1.400 milioni di miliardi di<br />
tonnellate, è distribuita sul globo terrestre a partire dagli oceani, dove è la componente<br />
principale, fino ad essere parte integrante della struttura dei più piccoli organismi viventi,<br />
quindi fondamentali per il proseguimento della vita sulla terra. Tutte queste molecole sono<br />
costantemente in movimento seguendo un ciclo, denominato “ciclo dell’acqua”, che ancora<br />
oggi l’uomo cerca di regolare e controllare per i propri fabbisogni, ma con scarsissimi<br />
risultati. Questi argomenti e altri, sono affrontati nelle pagine seguenti con l’obiettivo di<br />
fornire un concreto aiuto ai docenti per la programmazione scolastica delle attività<br />
didattiche educative.<br />
Premessa
Indice<br />
L’elemento acqua<br />
Pag. 3<br />
La molecola dell’acqua e la sua struttura Pag. 3<br />
Le proprietà dell’acqua<br />
Pag. 3<br />
La tensione superficiale<br />
Pag. 4<br />
La capillarità<br />
Pag. 4<br />
Il calore specifico e la capacità termica<br />
Pag. 4<br />
L’aumento di volume<br />
Pag. 5<br />
La solubilità<br />
Pag. 5<br />
Le caratteristiche chimiche dell’acqua<br />
L’acqua in natura<br />
Pag. 6<br />
Pag. 7<br />
La distribuzione delle acque<br />
Pag. 7<br />
Il ciclo dell’acqua<br />
Pag. 7<br />
Le precipitazioni<br />
Pag. 8<br />
L’evaporazione e la traspirazione<br />
Pag. 8<br />
L’infiltrazione<br />
Pag. 8<br />
Il deflusso superficiale<br />
Pag. 9<br />
Gli ambienti d’acqua<br />
Pag. 9<br />
Il Mare Adriatico<br />
Pag. 9<br />
Le zone umide<br />
Pag. 11<br />
I corsi d’acqua<br />
Pag. 14<br />
I laghi<br />
Pag. 20<br />
Gli ambienti carsici<br />
Pag. 22<br />
Le acque termali<br />
Pag. 23<br />
Le falde acquifere<br />
L’acqua nella società<br />
Pag. 23<br />
Pag. 24<br />
Non sempre “chiare, fresche e dolci acque” Pag. 24<br />
L’Acquedotto di Romagna<br />
Pag. 27<br />
L’impianto di potabilizzazione di Capaccio e la rete idrica Pag. 27<br />
L’Acquedotto di Romagna e le esigenze di Ravenna: il N.I.P. Pag. 27<br />
La rete acquedottistica odierna<br />
Pag. 28<br />
Il nuovo impianto di potabilizzazione di Ravenna Pag. 29<br />
L’alimentazione<br />
Pag. 29<br />
I trattamenti delle acque<br />
Pag. 29<br />
La qualità delle acque immesse in rete<br />
Pag. 30<br />
L’inquinamento delle acque<br />
Pag. 32<br />
Gli inquinanti e i loro effetti<br />
Pag. 32<br />
Le normative<br />
Pag. 33<br />
I liquami domestici<br />
Pag. 33<br />
Il depuratore di Ravenna città<br />
Pag. 33<br />
La Carta Europea dell’Acqua<br />
Proposte didattiche<br />
Pag. 39<br />
Pag. 40<br />
La tensione superficiale<br />
Pag. 40<br />
La capillarità<br />
Pag. 40<br />
Il calore specifico<br />
Pag. 41<br />
Le soluzioni<br />
Pag. 41<br />
Le caratteristiche chimiche dell’acqua<br />
Pag. 42<br />
L’acqua va... in giù, in sù, a livello<br />
Pag. 43<br />
Il galleggiamento<br />
Pag. 44<br />
I passaggi di stato<br />
Pag. 45<br />
Il ciclo dell’acqua<br />
Pag. 46<br />
Gli ambienti d’acqua<br />
Pag. 47<br />
L’acqua e la città<br />
Pag. 52<br />
Bibliografia<br />
Pag. 54
➤<br />
➤<br />
L’acqua è il composto chimico più abbondante della crosta terrestre e nella materia<br />
vivente, l’unico composto che esiste libero in natura, l’unico che in natura si trova sia allo<br />
stato solido, liquido e di vapore. L’acqua ha una forma semplicissima, H 2O, ma ha delle<br />
proprietà eccezionali. E’ una sostanza composta, la cui molecola è formata da due atomi<br />
di idrogeno e uno di ossigeno. Sono proprio questi atomi a rendere la molecola speciale dal<br />
punto di vista chimico. Analizziamo la sua struttura. Ogni atomo di idrogeno è unito<br />
all’ossigeno da un legame covalente. Ogni legame è molto forte e coinvolge due elettroni,<br />
uno dell’idrogeno e uno dell’ossigeno, che vengono ‘messi in comune’ tra gli atomi.<br />
La molecola d’acqua è complessivamente neutra, cioè dotata di un eguale numero di<br />
cariche positive e negative, tuttavia è una molecola polare. A causa della forte attrazione<br />
dell’ossigeno per gli elettroni, infatti, questi tendono a restare più tempo intorno al suo<br />
nucleo piuttosto che intorno a quelli dell’idrogeno. Come conseguenza di questo si realizzano<br />
nella molecola due regioni a carica debolmente positiva in prossimità dei nuclei<br />
dell’idrogeno, e due a carica debolmente negativa in prossimità dell’ossigeno, determinando<br />
in tal modo la polarità della molecola. Quando una regione dotata di<br />
carica si avvicina ad una con carica opposta di una diversa molecola<br />
d’acqua, la forza di attrazione determina un legame tra molecole, detto<br />
legame idrogeno. Ogni molecola d’acqua ne può formare sino a<br />
quattro contemporaneamente. Questo legame è molto più<br />
debole di un legame covalente o di un legame ionico ed ha<br />
una vita estremamente breve (un legame a idrogeno in<br />
acqua allo stato liquido dura circa 10 -11 secondi),<br />
ma, in condizioni normali di temperatura e<br />
pressione, questi legami si formano e si spezzano in continuazione,<br />
riuscendo a sviluppare complessivamente una<br />
forza di attrazione considerevole tra le molecole .<br />
Legami Idrogeno<br />
La presenza dei legami idrogeno conferiscono all’acqua le proprietà che hanno reso<br />
possibile la vita sulla Terra, facendo di questa molecola una componente essenziale degli<br />
organismi viventi e una protagonista dei cicli e dei fenomeni naturali che determinano le<br />
modificazioni dei nostri paesaggi.<br />
Le proprietà più significative sono le seguenti:<br />
1. un’elevata tensione superficiale, da cui deriva la capacità dell’acqua di assumere la<br />
forma di goccia;<br />
2. l’azione capillare: ovvero la capacità dell’acqua di risalire lungo fessure sottilissime;<br />
3. elevato calore specifico ed elevata capacità termica: vale a dire che, per un dato apporto<br />
di calore, la temperatura dell’acqua aumenta molto più lentamente di qualsiasi altra<br />
sostanza, e viceversa diminuisce molto più lentamente quando si sottrae calore;<br />
4. l’aumento di volume al di sotto dei 4°C;<br />
5. una buona solubilità.<br />
Vediamo ora, uno per uno, quali sono i vantaggi che derivano da queste proprietà.<br />
L’elemento acqua 3<br />
Le molecole d’acqua<br />
e la sua struttura<br />
Molecola d’acqua<br />
Le proprietà<br />
dell’acqua
4<br />
L’elemento acqua<br />
La tensione superficiale<br />
Osserviamo l’acqua che sgocciola da un rubinetto chiuso male. Ogni goccia che si forma<br />
rimane attaccata al rubinetto per un istante, prima di cedere alla gravità e di cadere in<br />
forma di sfera, ben delimitata dalla superficie esterna che la racchiude.<br />
Le idrometre ed altri insetti si appoggiano sulla superficie di uno specchio<br />
d’acqua senza difficoltà, come se fosse solida; un ago galleggia se appoggiato<br />
delicatamente, nonostante il metallo abbia densità maggiore. Questi fenomeni, e<br />
tanti altri ancora, sono gli effetti della tensione superficiale causata dalla coesione tra le<br />
molecole d’acqua, determinata a sua volta dai legami a idrogeno. Solo il mercurio presenta<br />
una tensione superficiale più elevata ma con la differenza che questo non aderisce a<br />
nessuna altra sostanza a causa dell’attrazione elevatissima fra i suoi atomi. L’acqua invece<br />
è in grado di ‘bagnare’, cioè di ricoprire la superficie di altri corpi. Ne sono un esempio le<br />
gocce che rimangono su un vetro dopo una poggia, su di un bicchiere dopo averlo<br />
svuotato, sul nostro corpo dopo la doccia, ecc.<br />
La capillarità<br />
Procurandosi una vaschetta piena d’acqua, possibilmente colorata, e dei tubi trasparenti di<br />
diametro diverso, di cui uno inferiore ai 2mm (capillare) è possibile effettuare un’esperimento<br />
su questo fenomeno. Sistemate i tubi dentro la vaschetta e osservate cosa succede.<br />
In base al principio dei vasi comunicanti dovremmo aspettarci che l’acqua entri in tutti i<br />
tubi portandosi allo stesso livello che ha l’acqua nella vaschetta.<br />
Se osserviamo bene ciò avviene solo in alcuni tubi, infatti via via che i tubi si fanno più<br />
stretti il livello raggiunto è maggiore di quello della vaschetta,<br />
nel capillare poi, è decisamente più elevato.<br />
E’ merito della forza di adesione che si fa sentire maggiormente<br />
nel capillare dove la superficie di contatto è enorme rispetto<br />
alla quantità d’acqua che è presente nel tubo.<br />
Questa è l'azione capillare.<br />
Per lo stesso motivo l’acqua riesce a diffondere fra due<br />
lastrine asciutte di vetro accostate, o in un foglio di<br />
carta assorbente e in una spugna, oppure diffonde<br />
attraverso i micropori del terreno.<br />
Il calore specifico e la capacità termica<br />
L’acqua, tra tutti i liquidi naturali conosciuti, ha il più alto calore specifico: cioè assorbe<br />
molto calore nel riscaldarsi e nell’evaporare. Ciò si verifica perché i legami idrogeno<br />
tendono a limitare il movimento delle molecole, quindi, affinché l’energia cinetica delle<br />
molecole aumenti la temperatura dell’acqua, è necessario fornire il calore sufficiente per<br />
rompere i legami idrogeno oltre a quello per far aumentare l’agitazione delle molecole.<br />
La proprietà di sottrarre calore senza riscaldarsi molto, fa’ dell’acqua un ottimo accumulatore,<br />
con importanti conseguenze per la vita degli organismi e nelle applicazioni tecniche.<br />
L’acqua presente nel nostro corpo, ad esempio, assorbe e perde molto calore senza che la<br />
nostra temperatura vari; quando fa caldo poi, sudiamo con conseguente raffreddamento<br />
della nostra pelle. Gli organismi acquatici grazie a questa proprietà si trovano in un<br />
ambiente la cui temperatura è relativamente costante e questo è fondamentale se consideriamo<br />
che le reazioni chimiche biologicamente importanti hanno luogo soltanto entro<br />
limiti ristretti di temperatura. Inoltre tutti sono a conoscenza dell’azione mitigatrice delle<br />
masse d’acqua. La capacità termica dell’acqua è sfruttata anche dall’industria per il
affreddamento degli impianti, come nel caso delle automobili in cui l’acqua del radiatore<br />
serve per sottrarre calore al motore.<br />
L’aumento di volume<br />
Nell’acqua allo stato liquido le varie molecole sono legate le une alle altre in modo<br />
disordinato. Quando l’acqua gela (0°C) si forma una struttura cristallina in cui le molecole<br />
devono essere in punti ben definiti per formare una struttura regolare. In questo reticolo<br />
cristallino le molecole, che sviluppano ciascuna quattro legami idrogeno, a causa della<br />
distribuzione delle cariche si dispongono a una distanza maggiore rispetto a quando sono<br />
allo stato liquido. Si determina in questo modo un aumento di volume e una conseguente<br />
diminuzione di densità. Il ghiaccio quindi è meno denso dell’acqua liquida e galleggia su di<br />
essa con enorme beneficio per le forme viventi. Se così non fosse il ghiaccio dei<br />
laghi e dei mari che si forma nelle stagioni fredde andrebbe a fondo e non<br />
avrebbe più la possibilità di essere disciolto dal calore solare nelle stagioni<br />
calde, accumulandosi nel tempo fino a trasformare intere masse d’acqua in<br />
ghiaccio. Invece, lo strato di ghiaccio galleggiante che in realtà si forma,<br />
isola l’acqua sottostante mantenendone la temperatura poco al di sopra<br />
dello 0, proteggendo così gli organismi acquatici che ci vivono.<br />
La neve e il ghiaccio sono inoltre stabilizzatori della temperatura particolarmente<br />
nei periodi di transizione dell’autunno e della primavera. Quando l’acqua<br />
gela libera calore, moderando gli sbalzi di temperatura e permettendo agli Reticolo di ghiaccio<br />
organismi di adattarsi alle stagioni.<br />
La solubilità<br />
La polarità della molecola dell’acqua ne fa uno dei migliori solventi naturali<br />
e, considerando che nei sistemi viventi molte sostanze si trovano in<br />
soluzione, si può facilmente comprendere l’importanza di questa proprietà.<br />
Le sostanze che facilmente si disciolgono in acqua sono quelle ioniche, come<br />
il cloruro di sodio, oppure le molecole polari, cioè caratterizzate dalla<br />
presenza di zone a carica positiva e negativa, come gli zuccheri.<br />
Queste molecole, dette ‘idrofile’ (amanti dell’acqua) passano facilmente in<br />
soluzione perché le loro regioni di carica parziale attraggono le molecole d’acqua<br />
quanto o più di quanto si attraggano tra loro, determinando la mescolanza omogenea<br />
delle due sostanze. Le molecole che non presentano regioni polari, come i grassi, sono<br />
dette ‘idrofobiche’ (che temono l’acqua) e, poste in acqua, tendono ad ammassarsi tra<br />
loro. Ciò è determinato ancora una volta dai legami a idrogeno delle molecole d’acqua<br />
che agiscono come una forza che tende ad escludere le molecole idrofobiche.<br />
La velocità di soluzione dipende dall’estensione della superficie di contatto tra solvente e<br />
soluto, dal mescolamento e dalla temperatura. Il processo di soluzione avviene esclusivamente<br />
alla superficie esterna del solido e solo quando lo strato esterno è andato in soluzione<br />
comincia a sciogliersi lo strato immediatamente sottostante.<br />
Quindi più è grande la superficie del solido esposta, maggiore è la velocità del processo.<br />
Nelle immediate vicinanze del solido immerso nel solvente, la soluzione è quasi satura,<br />
agitando la soluzione allontaniamo dal solido le particelle già in soluzione e acceleriamo il<br />
processo. Il terzo fattore da considerare è la temperatura della soluzione; più è elevata,<br />
maggiore è l’energia cinetica delle particelle e di conseguenza la velocità del processo.<br />
Questo lo sperimentiamo tutti i giorni quando zuccheriamo il caffè; lo zucchero, infatti,<br />
si scoglie più facilmente nel caffè caldo che in quello freddo.<br />
L’elemento acqua 5<br />
Ioni di NaCL in<br />
soluzione
6<br />
L’elemento acqua<br />
Le caratteristiche<br />
chimiche dell’acqua<br />
ACIDITA’➔<br />
➤<br />
pH 2 4 6 8 10 12<br />
Nell’acqua liquida gli atomi di idrogeno presentano una debole tendenza a passare<br />
dall’atomo di ossigeno a cui sono legati attraverso il legame covalente, ad un altro ossigeno,<br />
legandosi mediante un legame idrogeno. Si producono così due ioni: l’idrogenione H3O +<br />
e l’ossidrilione OH- . In un dato volume d’acqua pura, quindi, un piccolo ma costante numero<br />
di molecole sono ionizzate in questo modo e il numero di ioni H3O + è ovviamente lo stesso<br />
degli ioni OH- , dal momento che nessuno dei due ioni può formarsi senza l’altro.<br />
Se però sciogliamo in acqua pura sostanze ioniche (NaOH, HCl) o molecole polari, variamo<br />
il numero relativo di questi ioni. Una soluzione si definisce acida quando gli idrogenioni<br />
superano gli ossidrioni e basica (o alcalina) se si verifica il contrario.<br />
Di conseguenza, un acido è una sostanza che provoca l’aumento relativo degli H3O + e una<br />
base è una sostanza che determina l’aumento degli OH- . L’acido citrico e acido acetico sono<br />
esempi di sostanze debolmente acide che conferiscono alle soluzioni come l’aceto o il<br />
succo di limone un sapore agro, mentre acidi forti, come l’acido solforico, presentano<br />
spiccate caratteristiche di corrosività, fino a bucare e persino sciogliere certi metalli.<br />
Le basi deboli, come il lievito per torte, hanno un sapore amaro e sono saponose; le basi<br />
forti, come la soda caustica, sono pericolose quanto gli acidi forti.<br />
Il grado di acidità di una soluzione si esprime mediante la scala del pH, se il pH è 7<br />
significa che idrogenioni e ossidrilioni sono presenti in egual numero e la soluzione è detta<br />
neutra, se il pH è inferiore a 7 la soluzione è acida e ogni valore superiore a 7 indica una<br />
soluzione basica. La differenza di una unità nella scala del pH corrisponde a una differenza<br />
di 10 volte nella concentrazione di ioni H3O + .<br />
Le soluzioni naturali presentano pH compreso tra 6 e 8,5, valori minori di 4<br />
e maggiori di 9 impediscono la vita di gran parte degli organismi viventi.<br />
Un pH acido causa inoltre danni agli scafi, alle banchine oppure compromette<br />
i raccolti per l’eccessiva solubilizzazione di Fe, Al, e Mg.<br />
Il valore del pH influenza a sua volta il residuo fisso, cioè la quantità di<br />
sostanze disciolte che si possono recuperare da una soluzione, in particolare<br />
per quanto riguarda carbonato di calcio, anidride carbonica e acido<br />
carbonico. Possiamo distinguere un residuo a 103°C, (all’evaporazione) e un<br />
residuo a 180°C, più attendibile poiché elimina anche l’eventuale acqua di<br />
cristallizzazione.<br />
Un’altra caratteristica chimica dell’acqua è la durezza, cioè la capacità di<br />
precipitare sali alcalini e acidi grassi che, in seguito alla sostituzione di Na +<br />
e K + con altri cationi meno solubili, quali Ca + + e Mg + + , precipitano.<br />
Si parla di durezza carbonatica quando ci si riferisce ai sali di calcio e non<br />
carbonatica per gli altri sali, si esprime in mg/l di CaCO3 o in gradi francesi,<br />
tenendo conto che 1 grado francese corrisponde a 10 ppm di CaCO3. Valori elevati di durezza provocano molti effetti indesiderati<br />
come l’alterazione dei sapori dei cibi, le incrostazioni<br />
delle tubature, la diminuzione dell’azione dei<br />
saponi ecc.<br />
Classificazione delle acque in base<br />
alla durezza (F°)<br />
Acque molto dolci D
➤<br />
➤<br />
Osservando l’immagine fotografica o cartografica della Terra si può facilmente mettere in<br />
evidenza che la sua superficie è per la massima parte occupata dai mari. Il nostro pianeta,<br />
infatti, è occupato per il 71% dalle acque mentre solo il 29% è occupato dalle terre emerse.<br />
La quantità d’acqua sulla Terra è immensa: si stima intorno ai 1400 milioni di miliardi di<br />
tonnellate. La gran parte di essa, il 97,2%, è rappresentata da acqua di mare o salmastra,<br />
inutilizzabile da bere, ma usata per lavare, per l’irrigazione e per la maggior parte degli usi<br />
industriali. L’acqua dolce è ugualmente presente sul pianeta in quantità molto grandi (40<br />
milioni di miliardi di tonnellate), ma è trattenuta per la maggior parte dalle calotte glaciali<br />
e dai ghiacciai (2,15%); solo il rimanente 0,65% è suddiviso tra laghi, fiumi, acque<br />
sotterranee e atmosfera.<br />
L’insieme delle acque costituisce una sfera ideale a cui si dà il nome di idrosfera.<br />
DISTRIBUZIONE DELLE ACQUE<br />
Luogo Volume in litri Percentuale %<br />
Oceani 1.569.150x10 15 97,2<br />
Laghi 148x10 15 0,009<br />
Laghi salati e mari continentali 123,7x10 15 0,008<br />
Corsi d’acqua 1,35x10 15 0,0001<br />
Falda freatica 72,2x10 15 0,005<br />
Falde profonde 9.900x10 15 0,62<br />
Calotte glaciali e ghiacciai 34.650x10 15 2,15<br />
Atmosfera 153,45x10 15 0,001<br />
Il ciclo dell’acqua indica quella serie di processi attraverso i quali parte dell’acqua passa dal<br />
mare all’atmosfera, raggiunge i continenti sotto forma di precipitazioni e ritorna nuovamente<br />
al mare. Il complesso sistema, alimentato dall’energia solare, può essere schematizzato<br />
come segue.<br />
L’acqua evapora dalla superficie degli oceani e forma le nubi; le nubi si spostano verso i<br />
continenti e danno luogo alle precipitazioni (pioggia o neve); circa il 64% delle acque<br />
cadute sulle terre emerse viene temporaneamente trattenuto dalla vegetazione e dal suolo<br />
finché torna in atmosfera grazie ai processi di evaporazione e traspirazione.<br />
Il 25% scorre sulla superficie del suolo alimentando corsi d’acqua e raggiungendo così in<br />
breve tempo il mare. Il rimanente 11% si infiltra tra le rocce del sottosuolo e va ad<br />
alimentare le falde idriche.<br />
Quest’acqua si muove molto lentamente e una parte affiora nelle sorgenti, che alimentano<br />
a loro volta i corsi d’acqua.<br />
Se consideriamo i 300.000 chilometri quadrati di superficie dell’Italia vediamo che le<br />
precipitazioni corrispondono, in media, a un metro cubo all’anno per ogni metro quadrato<br />
di superficie cioè, complessivamente, a 300 miliardi di metri cubi all’anno.<br />
Dell’acqua che cade sul nostro territorio una parte va perduta per evaporazione e dispersa<br />
nel sottosuolo (circa 115 miliardi di metri cubi all’anno), una parte (25 miliardi di metri cubi<br />
all’anno) rappresenta l’apporto alle falde idriche sotterranee e una parte (160 miliardi di<br />
metri cubi all’anno) corrisponde alla portata dei fiumi.<br />
L’acqua in natura 7<br />
La distribuzione<br />
delle acque<br />
Il ciclo<br />
dell’acqua
8<br />
L’acqua in natura<br />
Le precipitazioni<br />
La causa principale della formazione delle nubi e la loro trasformazione in pioggia è il<br />
raffreddamento delle masse d'aria, innalzate da moti ascensionali.<br />
Le nubi contengono in sospensione moltissime goccioline d’acqua del diametro medio di<br />
0,01-0,03 mm, distanziate fra loro di circa 1 mm. La pioggia invece è formata da gocce<br />
d’acqua più grosse (0,5-2 mm di diametro), sufficientemente pesanti per precipitare.<br />
Le gocce si originano per condensazione delle goccioline attorno a ‘nuclei di condensazione’,<br />
costituiti da particelle igroscopiche di NaCl, CaSO 4, MgCl 2, provenienti dagli oceani.<br />
La quantità d’acqua precipitata viene misurata in altezza di precipitazione e si esprime in<br />
mm. In pratica si misura l’altezza dello strato d’acqua che si formerebbe al suolo se tutta<br />
l’acqua non scorresse, non si infiltrasse e non evaporasse.<br />
Uno dei parametri più utili in cui vengono elaborati i dati pluviometrici è la precipitazione<br />
media mensile, che esprime il totale delle precipitazioni che cadono mediamente in un<br />
mese. Tramite questi valori, calcolati su un lungo periodo di anni, nella penisola italiana<br />
sono stati distinti 5 tipi di regimi pluviometrici; quello che ci interessa maggiormente, il<br />
versante adriatico, è definito tipo sublitoraneo appenninico: presenta un minimo principale<br />
estivo e uno secondario alla fine dell’inverno, e inoltre un massimo principale alla fine<br />
dell’autunno e uno secondario in primavera.<br />
L’evaporazione e la traspirazione<br />
I processi di evaporazione e di traspirazione rappresentano gli elementi principali del<br />
bilancio idrologico di una regione, in quanto riportano nell’atmosfera la maggior parte<br />
delle precipitazioni cadute sulla superficie del suolo (64%).<br />
L’evaporazione è quel processo fisico che trasforma l’acqua in vapore; interessa le acque<br />
che scorrono sulla superficie del suolo, che ricoprono le piante, quelle stagnanti, le acque<br />
sotterranee poco profonde, le superfici innevate e i ghiacciai.<br />
La velocità di evaporazione dipende da due fattori principali: il tipo di superficie e il potere<br />
evaporante dell’atmosfera. Il secondo si esprime in mm d’acqua evaporata in un certo<br />
periodo di tempo, cresce con la temperatura, con l’altitudine e con la velocità e la<br />
turbolenza del vento, mentre decresce con la pressione barometrica. Una parte dell’acqua<br />
che cade al suolo viene assorbita dalle radici delle piante e convogliata fino alle foglie,<br />
dove si trasforma in vapore e si diffonde nell’atmosfera attraverso gli stomi.<br />
La traspirazione a volte supera ampiamente l’evaporazione, potendo raggiungere il<br />
60-100% delle acque di precipitazione. Essa è favorita dall’elevata temperatura, dalla bassa<br />
umidità dell’aria, dalla buona ventilazione, dall’elevata umidità del suolo e dalla buona<br />
irradiazione solare. Quest’ultima, oltre a fornire calore, rende permeabili le foglie e aiuta<br />
l’apertura degli stomi. La traspirazione inoltre dipende da fattori fisiologici, rappresentati<br />
dalla specie vegetale cui appartiene la pianta, l’età e lo sviluppo dell’apparato fogliare.<br />
Il processo è praticamente nullo durante la notte.<br />
L’infiltrazione<br />
Rappresenta il processo di penetrazione dell’acqua nel suolo. La frazione che alimenta le<br />
falde costituisce l’infiltrazione efficace. Durante il processo l’acqua si muove verso il basso<br />
nei pori e nelle crepe più grandi per gravità, in tutte le direzioni nei pori più piccoli per<br />
capillarità. La quantità totale di acqua che riesce ad infiltrarsi nel suolo dipende da vari<br />
fattori: aumenta con la permeabilità e la porosità del suolo; la permeabilità consente la<br />
penetrazione dell’acqua, la porosità determina il volume che può essere assorbito; l’infil-
➤<br />
trazione è minore se il suolo contiene molta acqua al momento delle precipitazioni<br />
(umidità iniziale del suolo); l’acqua assorbita aumenta con la durata e l’intensità delle<br />
precipitazioni. Nel caso di piogge violente di breve durata l’acqua tende piuttosto a<br />
scorrere in superficie e l’assorbimento può essere minimo.<br />
L’infiltrazione è agevolata quando la superficie è pianeggiante o lievemente inclinata;<br />
ed è favorita dalla presenza di vegetazione, poiché le piante rallentano il deflusso superficiale<br />
delle acque e rendono più permeabile il terreno mediante le loro radici.<br />
Il deflusso superficiale<br />
La quantità d’acqua che durante una precipitazione non viene trattenuta dai processi<br />
appena descritti defluisce lungo la superficie del suolo. Essa si raccoglie prima nelle<br />
piccole concavità del suolo o si arresta dietro ostacoli naturali (rami, foglie, ecc.), successivamente<br />
trabocca e comincia a scorrere. Lo scorrimento può avvenire incanalato entro<br />
alvei ben delimitati (corsi d’acqua) oppure diffuso sui versanti sotto forma di rivoletti più<br />
o meno concentrati, dando origine a fenomeni di ruscellamento.<br />
Il Mare Adriatico<br />
Il mare Adriatico è considerato un sotto bacino del Mar Mediterraneo, che a sua volta<br />
appartiene all’areale Atlantico. Si sviluppa in senso SE-NW per circa 800 km di lunghezza<br />
e ha una larghezza di 80-150 km. La costa orientale è per la maggior parte rocciosa e<br />
frastagliata, la nostra si presenta uniformemente sabbiosa, ad eccezione dei promontori del<br />
Conero, del Gargano e di quello più piccolo di Gabicce. Le profondità che si raggiungono<br />
sono minime, nella parte settentrionale non si superano i 50-60 metri, i 100-150 in quella<br />
centrale, mentre nella zona meridionale si hanno profondità superiori.<br />
Questa caratteristica batimetria fa si che la temperatura dell’acqua sia fortemente<br />
influenzata dall’alternarsi delle stagioni: in inverno le acque hanno temperature di 6-8°C<br />
(in Tirreno le acque difficilmente scendono al di sotto dei sotto i 12°C e in Mediterraneo al<br />
di sotto dei 13°C.), in estate invece le acque superficiali possono raggiungere i 28°C.<br />
Le acque marine derivano il loro<br />
calore dall’assorbimento delle<br />
radiazioni solari, che si verifica in<br />
gran parte nei primi metri di<br />
profondità. La temperatura superficiale<br />
varia con la latitudine, ma è<br />
molto influenzata dalle condizioni<br />
climatiche delle aree continentali<br />
adiacenti; diminuisce in genere<br />
sensibilmente con la profondità.<br />
Il calore assorbito dall’acqua<br />
superficiale si diffonde lentamente<br />
agli strati sottostanti determinando<br />
un gradiente termico:<br />
la diminuzione di temperatura è<br />
abbastanza rapida nei primi<br />
50-100 metri, poi essa diminuisce<br />
sempre più lentamente procedendo<br />
verso le maggiori profondità.<br />
Nei nostri mari vi è un forte<br />
Nel mare Adriatico anche la salinità presenta valori caratteristici. Mentre Il Tirreno si<br />
presenta con salinità più o meno costante (37,5-38 per mille) l’Adriatico, lungo la costa italiana<br />
settentrionale e centrale, risente moltissimo dell’influenza dei fiumi che scendono<br />
dalle Alpi (i fiumi padani scaricano un volume d’acqua pari a un terzo di quello che si<br />
L’acqua in natura 9<br />
Gli ambienti<br />
d’acqua<br />
sbalzo termico in poche decine di<br />
metri e, al di sotto di questo strato,<br />
detto termoclino, la variazione<br />
della temperatura è molto debole.<br />
Questo strato di forte variazione<br />
termica è importantissimo per i<br />
forti riflessi biologici, poiché<br />
costituisce una barriera agli<br />
spostamenti verticali di molti<br />
organismi.
10<br />
L’acqua in natura<br />
riversa nell’intero bacino del Mediterraneo), per cui vi è una salinità media del 33 per mille,<br />
mentre la costa della ex Iugoslavia e il golfo di Trieste, interessati dalle acque che entrano<br />
dal Canale di Otranto, presentano salinità di quasi il 38 per mille.<br />
SALI PRESENTI NELL’ACQUA MARINA<br />
Elementi % gr per Kg di H2O<br />
Cloruro di sodio (NaCL)<br />
Cloruro di magnesio (MgCL2)<br />
Solfato di magnesio (MgSO4)<br />
Solfato ci calcio (CaSO4)<br />
Solfato di potassio (K2SO3)<br />
Carbonato di calcio (CaCO3)<br />
Bromuro di magnesio (MgBr2)<br />
Totale<br />
PRINCIPALI IONI PRESENTI NELL’ACQUA MARINA<br />
Elementi % gr per Kg di H2O<br />
Cloruro (CL -<br />
)<br />
Sodio (Na +<br />
)<br />
--<br />
Solfato (SO4 )<br />
Magnesio (Mg ++<br />
)<br />
Calcio (Ca ++<br />
)<br />
Potassio (K +<br />
)<br />
Bicarbonato (HCO3)<br />
Bromo (Br --<br />
)<br />
Acido borico non dissociato<br />
Stronzio (Sr --<br />
)<br />
Fluoro (F -<br />
)<br />
77,758<br />
10,878<br />
4,737<br />
3,600<br />
2,465<br />
0,345<br />
0,217<br />
100,000<br />
55,04<br />
30,61<br />
7,68<br />
3,69<br />
1,16<br />
1,10<br />
0,41<br />
0,19<br />
0,07<br />
0,04<br />
0,00<br />
27,213<br />
3,807<br />
1,658<br />
1,260<br />
0,863<br />
0,123<br />
0,076<br />
35,000<br />
18,980<br />
10,556<br />
2,649<br />
1,272<br />
1,272<br />
0,400<br />
0,380<br />
0,140<br />
0,065<br />
0,026<br />
0,013<br />
0,001<br />
In Adriatico si registrano le più ampie escursioni di marea di tutto il Mediterraneo;<br />
a Venezia sono comuni variazioni di livello delle acque dell’ordine del metro, nei pressi di<br />
Riccione le escursioni massime di marea sono di 50-70 cm, mentre ad Ancona sono<br />
praticamente nulle. Queste variazioni sono dovute alle caratteristiche morfologiche e<br />
idrodinamiche del bacino che influenzano fortemente l’azione attrattiva, svolta dal sole e<br />
dalla luna, sulle acque.<br />
L’Adriatico, per le sue caratteristiche naturali, fondali poco profondi (buona parte della<br />
colonna d’acqua è zona eufotica) e presenza di notevoli apporti fluviali, è da sempre un<br />
mare molto produttivo. Elevata è la produzione di fitoplancton e di conseguenza la produzione<br />
animale nelle sue diverse componenti: zooplancton, molluschi, pesci ecc..<br />
Questa ricchezza biologica si traduce in una grande disponibilità di risorse per la pesca,
tanto è vero che dall’Adriatico proviene oltre il 50% dell’intero<br />
pescato italiano. L’abbondanza degli elementi nutritivi quali<br />
azoto e fosforo (eutrofia), accentuate a partire dagli anni<br />
settanta dall’immissione di sali nutritivi di origine antropica, è<br />
la causa anche di alcuni fenomeni noti come ‘blooms’ (fioriture)<br />
algali, che si verificano, in condizioni normali, nelle stagioni<br />
primaverili e autunnali lungo tutto l’Adriatico settentrionale.<br />
Si tratta di ‘maree colorate’, rosse e verdi costituite da<br />
milioni di microrganismi per litro di acqua. Il perdurare delle<br />
condizioni di eutrofia determina cambiamenti della qualità delle acque quali la diminuzione<br />
in prossimità del fondo dell’ossigeno, necessario ai processi di decomposizione del<br />
numero così elevato di microalghe, e una diminuzione della trasparenza.<br />
Le radiazioni luminose sono assorbite<br />
dall’acqua marina in modo<br />
differenziale a seconda della lunghezza<br />
d’onda; le più penetranti<br />
sono le radiazioni azzurre, mentre<br />
le più attive nel processo fotosintetico<br />
sono quelle corrispondenti<br />
al verde-azzurro. La penetrazione<br />
delle radiazioni varia a seconda<br />
della trasparenza delle acque: in<br />
quelle torbide l’illuminazione si<br />
attenua rapidamente e già a pochi<br />
metri di profondità la luce è ridotta<br />
a valori trascurabili. In base alla<br />
penetrazione della luce si possono<br />
riconoscere: la zona eufotica, ben<br />
illuminata, che può variare da<br />
40-50 m in acque più torbide fino<br />
a 100 e più metri in latitudini<br />
basse, dove le acque sono particolarmente<br />
chiare, la zona disfotica<br />
con limitata penetrazione di luce,<br />
fino ai 200 m circa, e la zona<br />
afotica, priva di luce, a tali<br />
Le zone umide<br />
Per zone umide, secondo quanto dice la Convenzione di Ramsar (Iran) firmata il 2 febbraio<br />
1971, si intende l’insieme delle paludi, degli acquitrini, delle torbe, dei bacini naturali ed<br />
artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salata o<br />
salmastra, comprese le acque marine la cui profondità durante la bassa marea, non supera<br />
i 6 metri. La Convenzione, firmata da molti Paesi (tra cui l’Italia nel 1976) ha il fine di<br />
valorizzare e conservare l’integrità delle zone umide per salvaguardare la presenza di<br />
specie animali e vegetali acquatici.<br />
L’Italia è un paese ricco di zone umide dichiarate di “importanza internazionale”.<br />
La sola Emilia Romagna ne conta 10:<br />
· Punte Alberete<br />
· Valle Santa<br />
· Sacca di Bellocchio<br />
· Valle di Gorino e territori limitrofi<br />
· Valle Bertuzzi e specchi d’acqua limitrofi<br />
· Valli residue e comprensorio di Comacchio<br />
· Piallassa della Baiona e territori limitrofi<br />
· Ortazzo e territori limitrofi<br />
· Saline di Cervia<br />
· Valle di Campotto e Bassarone<br />
L’acqua in natura 11<br />
profondità esiste solo una luminescenza<br />
di origine biologica<br />
prodotta da un gran numero di<br />
animali marini.<br />
Nelle prime due si trovano gli<br />
organismi vegetali che hanno<br />
bisogno di energia luminosa per il<br />
processo fotosintetico e di conseguenza<br />
anche la maggior parte<br />
degli organismi eterotrofi che<br />
costituiscono gli anelli successivi<br />
della catena alimentare.
12<br />
L’acqua in natura<br />
Valli di Comacchio<br />
Il territorio ravennate è caratterizzato dalla presenza di particolari ambienti d’acqua che si<br />
sono formati nel corso dei secoli, in parte per il lavorio incessante dei corsi d’acqua dolce<br />
e delle correnti marine, in parte come relitti di antiche ed estese paludi che l’uomo ha prosciugato<br />
nel tempo con le bonifiche. La più vasta area umida presente nel nostro territorio<br />
è rappresentata dalle Valli di Comacchio a cavallo tra le province di Ravenna e Ferrara<br />
(circa 11.000 ettari) e dal 1972, oasi della Regione Emilia Romagna.<br />
Si tratta di una ambiente definito “di transizione”, in quanto le acque che vi circolano non<br />
sono nè propriamente dolci nè salate, essendo infatti salmastre. La salinità però non<br />
risulta essere costante nel tempo, in quanto per il fenomeno dell’evaporazione, si osserva<br />
una maggiore concentrazione di sali disciolti nel periodo estivo.<br />
Il paesaggio è alquanto vario; dossi e barene emergenti, talvolta artificiali, si alternano ad<br />
antichi cordoni dunosi, testimonianze di antiche linee di costa. I dossi e i cordoni delimitano<br />
specchi d’acqua che in alcuni casi vengono impiegati per l’allevamento ittico (per lo<br />
più di anguille ma anche cefali, orate, rombi). Il termine “valle”, qui impiegato per indicare<br />
degli specchi d’acqua circondati da argini, deriva probabilmente dal latino “vallum”, cioè<br />
argine. La porzione a nord delle valli è occupata dalle Saline di Comacchio (600 ettari)<br />
attive già nell’epoca etrusca, come le già citate Saline di Cervia.<br />
L’apporto di acqua dolce all’interno delle valli<br />
comacchiesi è dovuto in prevalenza ai canali<br />
Logonovo e Bellocchio, mentre l’acqua di mare<br />
entra in valle tramite il Portocanale di Porto<br />
Garibaldi. I bacini più a sud, vengono alimentati<br />
saltuariamente anche dal fiume Reno,<br />
tramite paratoie di collegamento, in parte per<br />
abbassare la concentrazione salina estiva, in<br />
parte per migliorare i rendimenti ittici.<br />
Normalmente i chiari più vicini agli sbocchi di<br />
acqua dolce sono meno salini degli altri più lontani da queste fonti; ciò può essere<br />
misurato direttamente analizzando, tramite l’impiego di un salinometro, l’acqua campionata<br />
in diversi punti delle Valli. Non sempre però si hanno gli “strumenti tecnici” a portata<br />
di mano. Gli organismi vegetali però ci possono aiutare nell’indagine. La vegetazione<br />
degli argini, dove l’acqua è salmastra, è di tipo alofilo, cioè rappresentata da specie in grado<br />
di sopportare elevate concentrazioni saline. Non troveremo nè alberi nè arbusti (eccezion<br />
fatta per la tamerice), ma bensì piantine dalle foglie grasse e succulente come la salsola e<br />
la salicornia, spesso accompagnate dalle fioriture violette tardo estive del settembrino.<br />
Dove l’acqua è più dolce troviamo invece la cannuccia di palude, tipica di tutte le valli di<br />
acqua dolce, tanto che la Valle della Canna, situata più a sud, proprio da questa graminacea<br />
prende il nome. Insieme all’oasi di Punte Alberete, la Valle della Canna (o valle<br />
Mandriole) costituisce il residuo della “cassa di colmata” del fiume Lamone. La valle venne<br />
allagata, dopo gli interventi di arginatura del fiume Lamone effettuati nel 1972 dal Genio<br />
Civile di Ravenna, per gli usi idropotabili e industriali della città, modificandone in parte la<br />
componente più tipica: le acque, divenendo più profonde, si prestano a venir colonizzate,<br />
più che dalla cannuccia di palude, dalla tifa. La mancanza di un adeguato ricambio idrico<br />
e il grande sviluppo dei vegetali acquatici e di riva, ha causato nel tempo un aumento della<br />
concentrazione di biomassa nelle acque, che portava, come conseguenza, ad una preoccupante<br />
eutrofia. Per migliorare la circolazione delle acque si è recentemente provveduto,<br />
con il progetto LIFE ’94, a immettere nella valle le acque del fiume Lamone e a riescavare<br />
il Canale Fossa del Comune. Occorre altresì periodicamente intervenire a sfalciare la vege-
tazione, operazione necessaria per evitare che l’abbondante vegetazione ad elofite<br />
marcisca sul fondo, facilitando l’interrimento del biotopo e la sua evoluzione verso il bosco<br />
igrofilo. Punto di partenza della storia delle valli d’acqua dolce del ravennate può essere<br />
considerata la rottura degli argini del Lamone, nel 1839, in località Ammonite presso<br />
Mezzano. A seguito della rotta delle Ammoniti, si decise di intervenire bonificando “per<br />
colmata” una vasta area intorno al fiume Lamone nel suo tratto terminale.<br />
L’area interessata dalla bonifica comprendeva non soltanto i terreni inondati dalla piena,<br />
ma anche l’antica palude ravennate che lambiva il margine occidentale della Pineta<br />
S. Vitale. Gli ingegneri idraulici a servizio del Governo Pontificio in quel tempo vigente<br />
sfruttarono, al fine della bonifica, un principio molto semplice. Suddivisero vaste zone da<br />
bonificare con arginature, trasformandole in “casse di colmata”. Alternativamente, vi<br />
versavano le acqua torbide delle piene estive e autunnali, ricche di sedimenti dei fiumi<br />
appenninici e del Lamone in particolare. Si permetteva quindi il loro deflusso soltanto a<br />
sedimentazione avvenuta all’interno delle casse di colmata. I territori bonificati raggiunsero<br />
una vastità stimabile in circa 8000 ettari. Agli inizi degli anni sessanta il Comune di<br />
Ravenna, proprietario di gran parte dei relitti vallivi, intendeva bonificare tutte le zone<br />
umide ancora esistenti. Tutti coloro che non erano insensibili a tanto spreco, si batterono<br />
per la salvaguardia di queste zone, e tanto fecero che nel luglio del 1967, dopo infinite<br />
lungaggini burocratiche, venne emanato un Decreto di vincolo paesaggistico che<br />
comprendeva Punte Alberete (186 ettari) e Valle Mandriole (o della Canna, 271 ettari).<br />
Si dovette però fare i conti con il mondo venatorio che tentò in tutti i modi, per fortuna<br />
senza successo, di creare a loro vantaggio un‘oasi di protezione e rifugio della fauna.<br />
Gli anni successivi videro scontri importanti tra gli enti interessati alla tutela del territorio<br />
e il locale Comitato Provinciale della Caccia. Poiché non si riusciva ad arrivare ad un<br />
compromesso, il Ministero dell’agricoltura e foreste decretò nel Novembre 1968 l’istituzione<br />
dell’Oasi faunistica su Punte Alberete e Valle Mandriole. Nonostante ciò il peso<br />
venatorio si fece sentire, e nel 1969 la protezione venne ridotta soltanto a Punte Alberete.<br />
Questo atto accese gli animi a tal punto da promuovere delle campagne di sensibilizzazione<br />
naturalistica ed ecologica che indussero il Consiglio d’Europa a proclamare il 1970 “anno<br />
europeo per la Protezione della Natura”. Si era dunque giunti alla istituzione della prima<br />
Oasi del WWF dell’Italia settentrionale, cioè all’Oasi di Punte Alberete.<br />
Le “Pialasse” sono però considerate le vere lagune ravennati. Il loro nome sembrerebbe<br />
derivare dalla voce dialettale “pia e lassa”, cioè ai movimenti alterni delle correnti di marea<br />
in entrata ed in uscita. Il bacino riceve infatti acqua salata dal mare attraverso il Canale di<br />
Porto Corsini, il Candiano, e acqua dolce dai fiumi e dei canali provenienti dall’entroterra<br />
(Via Cupa, Scolo Fagiolo, taglio della Baiona…).<br />
Riferendoci alla letteratura esistente, ricaviamo anche altre ipotesi circa il significato della<br />
parola pialassa. Una prima fa riferimento al termine greco “pyelos” che significa “tinozza”<br />
- bacino;. la seconda la ritroviamo scritta in lingua volgare in un documento podestarile<br />
del 1497, tempo del governo veneto della città, che nomina le pedalasse (termine ricondotto<br />
al vocabolo gallo-latino bedum “canale, fossa d’acqua”), con chiaro riferimento al<br />
bacino.<br />
La Pialassa Baiona è un ampio bacino lagunare di acqua salmastra costituito da una fitta<br />
rete di canali dalla forma globale di una lisca di pesce che, se osservati dall’alto, non sembrano<br />
troppo profondi, e da vaste aree sommerse, i "chiari", caratterizzate anch’esse da<br />
bassa profondità. Separata da questa dal Canale Candiano, è la Pialassa Piombone.<br />
L’acqua in natura 13
14<br />
L’acqua in natura<br />
Non tutti i chiari presenti in Pialassa sono ad acque salmastre. Quelli più prossimi alla<br />
Pineta S. Vitale sono mantenuti rigorosamente ad acqua dolce, per preservare la salute dei<br />
pini, che mal sopportano la salinità dei suoli. Le acque più dolci risultano essere pertanto<br />
quelle del Chiaro del Comune, (mediamente la concentrazione dei cloruri è < a 3000 mg/l<br />
3 o /OO), le più salate, quelle dei chiari più prossimi ai canali che immettono acqua marina in<br />
pialassa con concentrazioni di NaCl di poco inferiori a 20000 mg/l (20 o /OO).<br />
Tutte le zone umide sono ricche di faune e flore interessanti dal punto di vista naturalistico-conservazionistico.<br />
Non infrequenti sono i fenicotteri rosa nelle saline di Cervia, il<br />
mignattino piombato nelle pialasse, il marangone minore a Punte Alberete, la moretta<br />
tabaccata nella Valle della Canna, le ninfee, il morso di rana, l’utricularia nelle acque dolci<br />
e l’astro settembrino negli ambienti salsi; e l’elenco potrebbe continuare.<br />
I corsi d’acqua<br />
I fiumi e i torrenti sono senza dubbio elementi fra i più significativi del paesaggio terrestre<br />
e, anche se l’acqua che vi scorre è una minima quantità di quella esistente sulla Terra, la<br />
loro importanza nell’economia del pianeta è grandissima.<br />
Le acque correnti, infatti, sono fra i più attivi agenti modificatori della crosta terrestre con<br />
la loro azione erosiva, di trasporto e di deposito del materiale eroso.<br />
Contribuiscono inoltre a ridistribuire l’umidità e le sostanze solubili, fra cui i nutrienti<br />
inorganici e le sostanze organiche disciolti, che convogliano ai laghi e al mare.<br />
I fiumi della Romagna, Santerno, Senio, Lamone, Montone, Rabbi, Ronco, Savio e tratto<br />
terminale del Marecchia, corrono circa paralleli fra loro nei fondovalle, propagandosi verso<br />
la pianura con direzione N-NE.<br />
I bacini idrografici sono separati da contrafforti che si staccano a spina di pesce dalla<br />
dorsale appenninica principale. I fiumi principali presentano lunghezza variabile, compresa<br />
fra i 70 e i 100 km circa, nascono da quote situate intorno ai 900-1200 m, in genere<br />
alimentati da diverse piccole sorgenti. Tutti i corsi d’acqua hanno carattere torrentizio,<br />
sono in piccola parte alimentati dalle sorgenti; l’acqua che scorre proviene soprattutto<br />
dalle precipitazioni atmosferiche, discontinue<br />
e imprevedibili, che determinano la<br />
portata variabile, con forti magre nei mesi<br />
estivi, da metà luglio fino alla fine di settembre<br />
e oltre. Le minori precipitazioni si<br />
hanno, infatti, nei mesi di luglio e agosto,<br />
mentre le massime si verificano nei mesi<br />
autunnali.<br />
Si ricorda che la portata è il volume di acqua<br />
che passa attraverso una sezione perpendicolare<br />
alla direzione della corrente nell’unità<br />
di tempo; si calcola moltiplicando l’area<br />
della sezione per la velocità media della<br />
corrente e si esprime in m 3 /sec.<br />
Di solito si distingue in portata “di minima” (magra), “di media” e “di massima” (piena).<br />
La differenza tra la massima e la minima è detta regime. Se la differenza è piccola, il corso<br />
d’acqua ha regime costante o fluviale, altrimenti presenta regime torrentizio, che è<br />
appunto il caso che si verifica nei nostri corsi.<br />
I fiumi nel primo tratto (di lunghezza compresa tra i 15 e i 25 km) scorrono stretti e
incassati fra erti pendii, presentando pendenza elevata (circa 30 m/km). L’acclività e il<br />
tracciato spesso risentono dei disturbi tettonici presenti nelle successioni geologiche.<br />
Attraversando i maggiori rilievi dell’Appennino, i fiumi della Romagna scavano il proprio<br />
letto nelle rocce della Formazione Marnoso Arenacea miocenica, costituita da una<br />
alternanza di strati di arenaria più o meno cementati a seconda del contenuto in carbonato<br />
di calcio, e strati di marna. Il substrato dell’alveo è costituito da roccia in posto,<br />
ciottoli e grossi massi, che ostacolano il flusso dell’acqua, costringendola a compiere salti<br />
e cascatelle, soprattutto in corrispondenza degli strati di arenaria poco erodibili.<br />
Lungo le rive, più tranquille, è possibile un accumulo di depositi più fini (sabbie).<br />
Entrando nella zona di media collina, la pendenza diminuisce sensibilmente (8-11 m/km).<br />
Il paesaggio, condizionato dalla natura litologica delle rocce, inizialmente è ancora quello<br />
delle stratificazioni marnoso-arenacee; più a valle è sostituito dalla fascia collinare di<br />
terreni pliocenici e pleistocenici, prevalentemente argillosi, che gradatamente si saldano<br />
alla pianura. Nei paesaggi collinari si hanno pendici modellate in forme arrotondate, alle<br />
quali si alternano i caratteristici calanchi, piccoli sistemi vallivi a minutissima trama, incisi<br />
nelle testate delle formazioni argillose. Nel medio corso la velocità della corrente tende<br />
progressivamente a diminuire, mentre aumenta la portata e si instaura un sostanziale<br />
equilibrio tra erosione e sedimentazione dei materiali litici. La velocità dell’acqua non è più<br />
sufficiente al trasporto di ciottoli di grosse e medie dimensioni che, quindi, vengono<br />
lasciati sul fondale, andando a costituire i ghiareti. Il fiume assume un andamento serpeggiante<br />
con curve più o meno accentuate; sono frequenti belle sequenze di meandri incassati.<br />
L’avvento di fenomeni di piena può modificare le condizioni morfologiche piuttosto<br />
rapidamente: la disponibilità di dati sul trasporto solido ci permette di osservare come<br />
siano intensi i processi di erosione e di dilavamento degli acquazzoni estivi, specie sulle<br />
L’acqua in natura 15<br />
Lunghezza e pendenza<br />
dei fiumi romagnoli:<br />
esempio del fiume<br />
Savio. Tratto da<br />
“Carichi teorici e reali<br />
di fosforo e azoto su<br />
tre corsi d’acqua<br />
dell’Emilia Romagna”;<br />
1995
16<br />
L’acqua in natura<br />
Analisi dei<br />
parametri<br />
chimico-fisici<br />
effettuata nel<br />
1995 nel Fiume<br />
Montone, nel<br />
tratto<br />
S. Benedetto-<br />
Castrocaro.<br />
Tratto da<br />
“Qualità dei<br />
fiumi”;<br />
Provincia<br />
di Forlì-Cesena,<br />
1995<br />
colline fittamente incise da calanchi. Una buona documentazione delle capacità erosive e<br />
di trasporto di questi fiumi si ha nel Savio: il bacino di Quarto, costruito nel 1925 con una<br />
capienza di oltre 4.500.000 metri cubi, già nel 1933 aveva visto ridursi la sua capacità di<br />
invaso a meno della metà, e negli anni seguenti è stato completamente interrato dal Savio<br />
e dal Para. La morfologia di media e bassa collina è caratterizzata dalle alluvioni terrazzate,<br />
distribuite a fianco dei corsi d’acqua attuali, generalmente ben evidenti perché conservano<br />
il caratteristico andamento quasi pianeggiante, separate l’una dall’altra da bruschi<br />
dislivelli con un andamento lineare.<br />
Gli ordini di terrazzi sono 4 o 5 (i più antichi si conservano solo in piccoli lembi).<br />
Essi rappresentano altrettanti letti del fiume che, nel corso dei millenni, ha modificato il<br />
suo alveo iniziale, approfondendolo e restringendolo, fino a mettere in luce il substrato<br />
roccioso sottostante. Le alluvioni terrazzate si raccordano con i sedimenti alluvionali e<br />
litorali sabbiosi di pianura. Qui i fiumi presentano pendenze minime, dell’ordine di 1 m/km.<br />
Gli alvei sono più ampi e prevale la sedimentazione di materiali a granulometria fine:<br />
sabbia, silt e argilla caratterizzano questi tratti di pianura, dove la corrente è così debole<br />
da trasportare solo le particelle più leggere.<br />
I fiumi assumono andamenti sinuosi con anse più o meno accentuate. Spesso l’uomo, per<br />
motivi idraulici, ha costruito argini sulle rive per cui, a causa dei continui depositi di<br />
materiale alluvionale, molti tratti, che attraversano per 20-25 km la Pianura Padana fino<br />
al mare, scorrono pensili. Le acque superficiali dei fiumi vengono costantemente monitorate<br />
e analizzate, al fine di ottenere il controllo dei principali parametri fisico-chimici e<br />
microbiologici, e di verificare l’impatto sui corsi d’acqua di particolari insediamenti<br />
produttivi.<br />
Parametri Un. mis. 1994 1995 1994 1995 1994 1995
DESTINAZIONE<br />
Potabile<br />
Vita acquatica<br />
Zootecnico<br />
Balneazione<br />
Ricreativo<br />
Industriale<br />
Irriguo<br />
BOD5<br />
I dati raccolti negli ultimi anni durante i monitoraggi della Regione Emilia Romagna e dalle<br />
Provincie hanno riscontrato qualità delle acque analizzate di notevole livello solo nei primi<br />
tratti dei corsi. La parte iniziale, infatti, non è interessata da particolari elementi inquinanti,<br />
scorrendo in zone poco antropizzate.<br />
Diversa è la situazione dei tratti medi, ma soprattutto nelle sezioni terminali, che si immettono<br />
in mare in condizioni di elevato inquinamento. Ciò è dovuto alla presenza, scendendo<br />
verso valle, di insediamenti abitativi e di attività produttive sempre più numerosi.<br />
(Vedi schema a pagina 19)<br />
I risultati forniti dagli esami chimico-fisici sono spesso insufficienti per ottenere un quadro<br />
d’insieme attendibile; per questo ora, accanto al classico monitoraggio, si sono sviluppate<br />
attività di analisi biologiche, che valutano il grado di inquinamento delle acque dalle<br />
caratteristiche delle comunità acquatiche.<br />
Gli organismi del fiume diventano dei veri e propri indicatori della qualità biologica delle<br />
acque. Il controllo di qualità avviene analizzando i Macroinvertebrati, piccoli animali che<br />
vivono sul fondo: quando la qualità dell’acqua peggiora, scompaiono le specie più sensibili<br />
e via via le altre, finché rimangono solo le più resistenti.<br />
I vari segnali dati dai campionamenti delle comunità biologiche possono essere combinati<br />
e tradotti in un “indice” di qualità (I.B.E., Indice Biotico Esteso), che a sua volta determina<br />
giudizi di qualità delle acque, espressi in cinque classi.<br />
Classi di qualità Valore I.B.E. Giudizio di qualità<br />
Classe I 10-11-12 -…<br />
Classe II 8-9<br />
Classe III 6-7<br />
Classe IV 4-5<br />
Classe V 1-2-3<br />
5<br />
5<br />
5<br />
5<br />
5<br />
5<br />
5<br />
Ammoniaca<br />
1<br />
1<br />
1<br />
1<br />
1<br />
1<br />
1<br />
Nitrati<br />
50<br />
50<br />
50<br />
50<br />
50<br />
50<br />
50<br />
Cloruri<br />
200<br />
100<br />
200<br />
200<br />
200<br />
100<br />
100<br />
Fosforo<br />
0,2<br />
0,2<br />
0,2<br />
0,2<br />
0,2<br />
0,2<br />
0,2<br />
Coliformi<br />
totali<br />
50.000<br />
50,000<br />
5,000<br />
2,000<br />
2,000<br />
50,000<br />
5,000<br />
Coliformi<br />
fecali<br />
L’acqua in natura 17<br />
20.000<br />
20.000<br />
2.000<br />
100<br />
100<br />
20.000<br />
2.000<br />
Streptococch<br />
i fecali<br />
10.000<br />
10.000<br />
1.000<br />
100<br />
100<br />
10.000<br />
1.000<br />
Ambiente non inquinato o comunque non alterato in<br />
modo sensibile<br />
Ambiente con moderati sintomi di inquinamento o di<br />
alterazione<br />
Ambiente inquinato o comunque alterato<br />
Ambiente molto inquinato o comunque molto alterato<br />
Ambiente eccezionalmente inquinato o alterato<br />
DESTINAZIONE<br />
Tratto da<br />
“Qualità dei fiumi”;<br />
Provincia di<br />
Forlì-Cesena, 1995
18<br />
L’acqua in natura<br />
Tratto da “Qualità<br />
dei fiumi.<br />
Rapporto annuale<br />
1995”.<br />
Provincia di<br />
Forlì-Cesena.<br />
n.c.:<br />
non campionato<br />
LA QUALITÀ DELLE ACQUE: mappaggio del Fiume Montone con indicatori biologici, 1995.<br />
Fiume Montone<br />
Stazioni<br />
Ostaria Nova<br />
S. Benedetto a monte<br />
S. Benedetto a valle<br />
Rocca S. Casciano a monte<br />
Rocca S. Casciano a valle<br />
Dovadola a monte<br />
Dovadola a valle<br />
Castrocaro a monte<br />
Castrocaro a valle<br />
Forlì Ponte S. Varano<br />
Forlì Ponte Schiavonia<br />
Forlì Ponte del Braldo<br />
Forlì Ponte Vico 6<br />
Ravenna chiusa S. Marco<br />
Gas disciolti nelle acque<br />
correnti: come varia la presenza<br />
dell’ossigeno<br />
I gas sciolti nelle acque correnti<br />
sono più o meno in equilibrio con<br />
l’atmosfera. L’ossigeno e l’anidride<br />
carbonica sono generalmente<br />
correlati inversamente tra loro<br />
a causa dell’attività fotosintetica<br />
e di quella respiratoria degli<br />
organismi. Nei piccoli corsi d’acqua,<br />
le acque sono spesso sature o<br />
addirittura sovrassature per effetto<br />
della turbolenza e della fotosintesi.<br />
Il contenuto di ossigeno è<br />
generalmente maggiore nell’alto<br />
corso dei fiumi e tende a diminuire<br />
nel tratto di pianura e verso la<br />
foce perché diminuisce la turbolenza<br />
ed è maggiore la quantità di<br />
sostanze organiche; sul fondo,<br />
specialmente in tratti a debole<br />
I° periodo<br />
Primavera/estate<br />
E.B.I. C.Q.<br />
12 I^<br />
12 I^<br />
10 I^<br />
9 II^<br />
10 I^<br />
8 II^<br />
8 II^<br />
9 II^<br />
5 IV^<br />
n.c. n.c.<br />
7 III^<br />
6 III^<br />
6 III^<br />
7 III^<br />
corrente in cui si depositano fanghi<br />
fini con molto materiale organico,<br />
il contenuto di ossigeno può<br />
essere particolarmente basso. In<br />
casi particolari questo valore può<br />
diventare talmente basso da<br />
determinare morie di pesci.<br />
Ciò è dovuto alla presenza di<br />
sostanze organiche, immesse dalle<br />
acque di scarichi fognari, da allevamenti<br />
o da industrie. Nei corsi<br />
d’acqua che fluiscono veloci, con<br />
cascatelle che facilitano la soluzione<br />
dell’ossigeno e la eliminazione<br />
dei gas prodotti da eventuali<br />
fenomeni putrefattivi, le condizioni<br />
normali possono essere<br />
ristabilite in breve tempo, altrimenti<br />
possono instaurarsi condizioni<br />
permanenti di anossia.<br />
Vi sono variazioni stagionali dei<br />
valori di ossigeno correlate con<br />
II° periodo<br />
Autunno/inverno<br />
E.B.I. C.Q.<br />
10 I^<br />
11 I^<br />
11 I^<br />
9 II^<br />
9 II^<br />
8 II^<br />
8 II^<br />
9 II^<br />
5 IV^<br />
n.c. n.c.<br />
5 IV^<br />
5 IV^<br />
7 III^<br />
7 III^<br />
l’andamento della temperatura:<br />
valori particolarmente bassi si<br />
possono avere in autunno in concomitanza<br />
con la caduta delle<br />
foglie, che aumentano la sostanza<br />
organica nell’acqua. Sensibili<br />
variazioni diurne si osservano nei<br />
tratti di corsi d’acqua con abbondante<br />
vegetazione sul fondo e<br />
sulle rive, dove durante il giorno,<br />
per effetto della fotosintesi, non è<br />
raro che si abbiano valori di<br />
sovrassaturazione piuttosto alti,<br />
superiori al 250-300%.<br />
Di notte il contenuto di ossigeno<br />
si abbassa notevolmente al di<br />
sotto dei valori di saturazione, e<br />
aumenta la CO2. Il normale tasso<br />
di questo gas viene ristabilito perché<br />
la CO2 o si disperde nell’atmosfera<br />
o interagisce con il carbonato<br />
di calcio.
L’acqua in natura 19<br />
Distribuzione delle attività<br />
produttive nel bacino<br />
dei Fiumi Uniti<br />
(Provincia di Forlì-Cesena).<br />
Tratto da<br />
“Qualità dei fiumi”;<br />
Provincia di<br />
Forlì-Cesena, 1995
20<br />
L’acqua in natura<br />
Lago di Ridracoli<br />
I laghi<br />
I laghi sono masse d’acqua continentale accumulate in depressioni chiuse dei continenti,<br />
isolate dal mare o comunicanti con esso tramite un fiume. Si trovano in tutte le regioni,<br />
a tutte le altezze e ad ogni latitudine, anche indipendentemente dal clima, benché siano<br />
più frequenti nelle zone umide.<br />
L’area complessiva degli specchi lacustri è di circa 2 milioni di Km 2 , e rappresenta solo una<br />
piccola frazione (meno del 2 %) delle terre emerse; le dimensioni e la profondità dei<br />
singoli laghi sono assai variabili: tra i maggiori ricordiamo il Caspio, impropriamente<br />
chiamato mare, (circa 438.000 Km 2 ); il più esteso dei nostri laghi è il Garda, di 370 km 2 .<br />
La profondità non è in relazione con la superficie, ma con l’origine, e ha valori massimi in<br />
laghi raccolti entro affossamenti tettonici (ad esempio il Caspio, profondo 1946 m).<br />
Il fondo del lago può essere situato al di sotto del livello marino (così è nei nostri laghi<br />
prealpini: Maggiore, -176 m; Garda, -277 m). I laghi possono essere alimentati da corsi<br />
d’acqua (chiamati immissari), da sorgenti subacquee e in misura minore dalle<br />
acque di precipitazione; gli afflussi sono compensati da deflussi causati<br />
dall’evaporazione, dall’infiltrazione delle acque nelle rocce formanti la conca<br />
lacustre e talora da un corso d’acqua che esce dal lago (emissario).<br />
Di norma i laghi sono caratterizzati da una vita limitata: col tempo i sedimenti<br />
trasportati dalle acque di alimentazione si accumulano e ne causano il<br />
progressivo interramento; a causa di questo fenomeno la profondità del lago<br />
tende a diminuire: alla fase lacustre succede quella di stagno e infine quella di<br />
palude, col progressivo incremento della vegetazione emergente.<br />
Condizioni termiche: la temperatura delle acque lacustri dipende da un<br />
numero notevole di fattori: il principale è la radiazione solare, della quale una<br />
parte viene riflessa e una parte impiegata nell’evaporazione superficiale;<br />
influiscono pure le condizioni climatiche locali, la profondità, la torbidità, la<br />
temperatura delle acque affluenti e di precipitazione.<br />
Nei laghi d’acqua dolce la stratificazione termica è dominata dal fatto che<br />
l’acqua ha densità massima alla temperatura di 4°C; l’acqua tende a disporsi in<br />
strati di densità crescente dall’alto verso il basso: perciò, a seconda del clima locale, in un<br />
lago d’acqua dolce la temperatura può decrescere dalla superficie verso il fondo, dove può<br />
raggiungere un valore minimo di 4°C (stratificazione termica diretta) oppure può aumentare<br />
dalla superficie verso il fondo, dove può raggiungere un valore massimo di 4°C<br />
(stratificazione termica inversa). Alcuni laghi alpini in cui le temperature sono ora superiori<br />
ora inferiori ai 4°C, presentano stratificazione termica diretta d’estate e inversa durante<br />
l’inverno. I laghi di apprezzabile estensione mitigano il clima delle zone circostanti, attenuando<br />
la rigidità invernale e la calura estiva, analogamente al fenomeno provocato dalle<br />
acque marine.<br />
Le condizioni termiche di un lago sono molto importanti per lo sviluppo degli organismi:<br />
nella maggior parte dei laghi esistono tre zone termiche sovrapposte: la superiore più<br />
calda, ricca di ossigeno e di organismi, chiamata epilimnion; l’intermedia, o metalimnion,<br />
rappresenta la zona limite per il movimento verticale del plancton; l’inferiore (ipolimnion)<br />
è caratterizzata da scarsità o mancanza di ossigeno (acque stagnanti). Questa stratificazione<br />
cambia con ciclo annuo: durante l’autunno si tende ad avere condizioni omeotermiche<br />
su tutta la colonna d’acqua per raffreddamento dell’acqua superficiale, d’inverno si ha<br />
stratificazione termica inversa (strato superficiale più freddo, talora ghiacciato).<br />
Dal punto di vista idrochimico e idrobiologico possiamo distinguere tre grandi gruppi di<br />
laghi: oligotrofici, ricchi di ossigeno, poveri di sostanze nutritive e di plancton; eutrofici,
poveri di ossigeno, ma ricchi di sostanze nutritive e di plancton; distrofici: poveri sia di<br />
ossigeno che di sostanze nutritive.<br />
La trasparenza dell’acqua è estremamente varia, non solo da lago a lago, ma anche nelle<br />
diverse parti di un medesimo lago e nelle diverse stagioni; in generale è inferiore a quella<br />
dell’acqua del mare a causa delle sostanze minerali e organiche sospese, trasportate dagli<br />
immissari. Il colore dipende da molti fattori tra cui la profondità, la composizione delle<br />
acque e la presenza di sostanze disciolte o sospese: le particelle minerali sospese rendono<br />
l’acqua opalina e verdastra. I minuti organismi vegetali e animali possono indurre tinte<br />
verdastre, brune e anche rossastre, dando luogo a fenomeni di breve durata.<br />
Normalmente le acque di un lago sono dolci; in quelli non dotati di emissario le sostanze<br />
disciolte in acqua possono però progressivamente concentrarsi a causa dell’evaporazione:<br />
la salinità può così raggiungere valori elevati, a volte superiori a quelli dell’acqua marina.<br />
In relazione alla salinità, possiamo così suddividere i laghi:<br />
laghi salinità (per mille)<br />
d’acqua dolce 0,3-1,0<br />
salmastri 1,0-24,7<br />
salati > 24,7<br />
Le oscillazioni di salinità possono essere estremamente rapide e ampie per due cause<br />
principali: evaporazione da una parte, intense precipitazioni e afflusso di acque fluviali<br />
dall’altra. Tra i laghi salati ricordiamo il Mar Morto (salinità del 200 per mille).<br />
In relazione ai sali disciolti, distinguiamo laghi carbonatici, con predominanza di ioni HCO3 -<br />
e CO3 -- , laghi solfatici (ioni SO4 -- ) e laghi clorurati (Cl - ). La maggioranza appartiene al primo<br />
tipo, così come la composizione delle acque fluviali, con contenuto di sostanze disciolte<br />
molto piccolo (da 0,1 a 0,2 per mille), presenza di prevalenti carbonati, a volte con<br />
proporzione alta di elementi abbondanti nelle rocce (K, Na, Ca, Mg, Fe).<br />
Le acque dei laghi rivestono una notevole importanza per l’uomo, essendo utilizzabili per<br />
la produzione di energia elettrica, per l’irrigazione e per uso potabile. A tali scopi vengono<br />
creati laghi da sbarramento artificiale, costruendo dighe e modificando i deflussi naturali<br />
dei fiumi. In Italia ne esistono più di 500, e tra questi ricordiamo il Lago di Ridracoli, in<br />
provincia di Forlì-Cesena, nell’alta valle del Bidente (S. Sofia). Questo invaso permette<br />
rifornimento di acqua potabile a 48 comuni della regione e produzione di energia elettrica<br />
(35 milioni di Kwora all’anno)<br />
Si tratta di un lago artificiale, creato appositamente per essere “sfruttato” dall’uomo; come<br />
riserva di acqua potabile, come generatore di corrente elettrica.<br />
Le caratteristiche fisico-chimiche delle sue acque sono buone: bassa durezza, assenza di<br />
ammoniaca, nitriti e fosfati, scarso apporto solido anche in periodi di piovosità data la gran<br />
copertura vegetale dei versanti.<br />
La temperatura delle acque varia durante il corso delle stagioni: in estate si misurano temperature<br />
superficiali massime di 24°C, mentre in inverno, lungo tutta la colonna il minimo<br />
registrato è di 4,8°C. La stratificazione termica inizia in maggio e termina in settembreottobre,<br />
quando le temperature dell’epilimnio si avvicinano a quelle degli strati profondi,<br />
favorendo in questo modo il rimescolamento delle acque (più le acque si avvicinano ai 4°C,<br />
più diventano dense e pesanti; in questo modo tendono a portarsi sul fondo facendo risalire<br />
le acque più calde). L’ossigeno disciolto ed il pH presentano valori indicativi di acque di<br />
buona qualità. Il rapporto N/P, che regola la crescita algale, colloca il lago di Ridracoli tra<br />
i laghi meso-oligotrofici, quindi poco produttivi. Nonostante ciò, (bassa concentrazione di<br />
L’acqua in natura 21
22<br />
L’acqua in natura<br />
Grotta carsica<br />
clorofilla e di biomassa lagale), le acque non si presentano del tutto trasparenti in quanto,<br />
anche nei periodi di bassa piovosità, il carico sedimentario è presente.<br />
Nel periodo estivo o comunque di scarsa piovosità, le acque lasciano scoperte aree di sponda,<br />
prima sotto il livello dell’acqua, quindi non protette dal manto vegetale. I movimenti<br />
delle acque erodono tali superfici sgretolandole in particelle che rendono “torbida” l’acqua.<br />
Gli ambienti carsici<br />
A secondo del clima, delle rocce e delle situazioni morfologiche locali, la parte di acqua<br />
piovana che si infiltra nel terreno può prevalere sull’altra o viceversa. In ambienti caldi<br />
l’aliquota soggetta a evapotraspirazione è notevole; in zone caratterizzate da rocce<br />
particolari, come quelle carbonatiche o più o meno fratturate, prevale invece la parte che<br />
penetra nel sottosuolo: è il caso degli ambienti carsici.<br />
Le acque meteoriche possono esercitare sulle rocce un’azione solvente, dando luogo a<br />
cavità sotterranee che prendono genericamente il nome di grotte.<br />
Il fenomeno si verifica solo in rocce particolarmente solubili, come i calcari, il gesso (solfato<br />
di gesso biidrato) e il salgemma (cloruro di sodio).<br />
Questi ultimi sono molto solubili in acqua pura, mentre le rocce calcaree, costituite essenzialmente<br />
da carbonato di calcio, lo sono pochissimo.<br />
La solubilità dei calcari è dovuta al fatto che le acque naturali contengono sempre una<br />
certa quantità di anidride carbonica, che causa la trasformazione del carbonato di calcio<br />
in bicarbonato di calcio, molto solubile.<br />
CaCO3 + H2O + CO2 ➞ Ca(HCO3)2<br />
L’acqua asporta il bicarbonato in soluzione e le fessure via via si allargano, trasformandosi<br />
in condotti sempre più ampi, verticali (pozzi), inclinati o orizzontali (gallerie e cunicoli),<br />
spesso collegati tra loro a formare sistemi sotterranei aventi uno sviluppo che può andare<br />
da poche centinaia di metri a decine di chilometri. Circolando entro i condotti l’acqua e i<br />
detriti da essa trasportati esercitano anche un’importante azione meccanica, che contribuisce<br />
all’ampliamento delle grotte.<br />
L’azione solvente delle acque sulle rocce carsogene non si esplica solo in<br />
profondità, ma anche in superficie, dando origine alle doline, tipiche depressioni<br />
a forma di imbuto localmente molto frequenti, che conferiscono al paesaggio<br />
un aspetto del tutto particolare.<br />
Un corso d’acqua superficiale può essere catturato da una grotta (inghiottitoio)<br />
e circolare nel sottosuolo formando un torrente sotterraneo.<br />
Dopo un percorso più o meno lungo le acque sotterranee ricompaiono in superficie<br />
attraverso fratture della roccia oppure uscendo da una grotta; il punto di<br />
affioramento delle acque prende il nome di risorgente carsica.<br />
Spesso i torrenti che percorrono le grotte si originano in profondità derivando<br />
dall’unione di stillicidi provenienti dalle fessure delle rocce.<br />
Le acque sotterranee, circolando entro le rocce carsogene non danno luogo solo a fenomeni<br />
di dissoluzione, ma possono originare anche sedimenti chimici. Consideriamo una<br />
grotta in cui si verificano degli stillicidi: le acque meteoriche, filtrando attraverso i terreni<br />
sovrastanti, raggiungono la volta delle grotte dopo un percorso entro le fessure del calcare,<br />
per cui possono essere sature di bicarbonato di calcio in soluzione. Passando alla volta<br />
della grotta le acque perdono anidride carbonica e, divenute sovraccariche, depositano<br />
carbonato di calcio secondo il processo inverso a quello della dissoluzione<br />
Il carbonato depositato forma inizialmente un piccolo anello, che col tempo si trasforma
in un cono calcitico molto allungato, con il vertice verso il basso, che prende il nome di<br />
stalattite. Le gocce che cadono sul pavimento della grotta contengono ancora una certa<br />
quantità di bicarbonato in soluzione, e l’impatto a terra causa una ulteriore liberazione di<br />
CO2, provocando la precipitazione di altro CaCO3 e dando luogo a concrezioni che prendono<br />
il nome di stalagmiti.<br />
Le acque termali<br />
Nella provincia di Ravenna sono presenti numerose stazioni termali: Terme di Cervia -<br />
Milano Marittima, Terme di Punta Marina, Riolo Terme, Terme di Brisighella ecc..<br />
E’ sicuramente interessante analizzare e confrontare le caratteristiche fisico-chimiche di<br />
queste acque, la loro origine e gli effetti che determinano sul nostro organismo.<br />
Le acque di Punta Marina, ad esempio, presentano un alto contenuto in magnesio, particolarmente<br />
efficace nei trattamenti delle affezioni dell’apparato osteoarticolare, e quelle<br />
di Riolo, sulfuree, salsobromojodiche, e clorurato sodiche sono particolarmente indicate<br />
per le vie respiratorie.<br />
Per approfondimenti consultare i siti:<br />
www.travel.it/emiliaromagna e www.termeitaliane.com<br />
Le falde acquifere<br />
Il sistema dei corpi idrici profondi nella Pianura Padana può essere considerato come un<br />
sistema multistrato in cui distinguere, dal punto di vista idrogeologico, i complessi delle<br />
conoidi appenniniche ed alpine e i complessi della media e bassa pianura.<br />
Le Alpi e gli Appennini rappresentano orientativamente il limite morfologico della pianura<br />
e il limite idrogeologico del sistema acquifero padano.<br />
L’Adriatico invece rappresenta solo un limite morfologico della pianura: l’acquifero è<br />
presente anche in corrispondenza del tratto di mare antistante la costa romagnola, fino a<br />
una distanza di circa 40-50 km dalla riva.<br />
Strutturalmente l’acquifero padano è costituito da una serie di orizzonti permeabili,<br />
intercalati da orizzonti impermeabili, le cui connessioni laterali e verticali sono molto poco<br />
conosciute, se non altro per l’enorme quantità di dati necessari a una definizione di<br />
dettaglio.<br />
Per fare un esempio, lo studio elaborato dal Comune di Ravenna e dal CNR, basato sulla<br />
ricostruzione stratigrafica, ha ipotizzato la presenza, sotto la città di Ravenna, di 9 falde a<br />
profondità comprese tra -90 e -430m, molte delle quali soggette in passato ad intenso<br />
sfruttamento; altre falde sono poi a minore profondità, con limitata potenzialità e a<br />
scadente qualità.<br />
L’intenso sfruttamento delle acque sotterranee ha contribuito al graduale abbassamento<br />
del suolo nel ravennate.<br />
La subsidenza è caratterizzata da una componente naturale, per lo più dovuta a movimenti<br />
tettonici profondi e al costipamento del terreno sottoposto a carico litostatico, e alla<br />
componente antropica legata all’intenso sfruttamento del fluidi sotterranei.<br />
Questa fragilità ambientale è complicata dalle variazioni del livello medio del mare che, in<br />
questo secolo, è stato caratterizzato da un aumento costante.<br />
L’acqua in natura 23
24<br />
L’acqua nella società<br />
Non sempre<br />
“chiare, fresche e<br />
dolci acque”<br />
➤<br />
Piloni ed arcate<br />
dell’acquedotto<br />
romano a San<br />
Bartolo.<br />
Nel I secolo d.C. Ravenna e le sue città satelliti, Classe e la vicina Cesarea, contavano<br />
complessivamente forse più di 100.000 abitanti. Cesarea era un borgo popolato per lo più<br />
da bottegai, commercianti e artigiani che, con i loro servizi, approvvigionavano la città<br />
portuale-militare di Classe fondata da Augusto, che conteneva fino a 250 navi. Da sola<br />
Classe annoverava già 50.000 abitanti, in quanto Augusto vi aveva installato una delle due<br />
legioni italiane, (l’altra era a Capo Miseno), che contava, tra ausiliari ed effettivi, circa<br />
10.000 uomini.<br />
I legionari erano per lo più cavalieri, e il bestiame non doveva essere di numero inferiore a<br />
1.000 capi. Soltanto il loro mantenimento doveva richiedere almeno 30.000 litri di acqua<br />
al giorno. Il problema dell’approvvigionamento idrico, nel corso del I secolo, venne probabilmente<br />
risolto costruendo grandi cisterne che raccoglievano l’acqua piovana, oppure<br />
tramite derivazioni di corsi d’acqua non in fase di torbida. In estate però la situazione<br />
doveva essere tragica. Le scorte d’acqua diminuivano senza poter essere rimpinguate.<br />
All’inizio del II secolo, l’imperatore Traiano, impiegando il tesoro vinto sconfiggendo<br />
Decebalo, costruisce strade, edifici e<br />
acquedotti per tutto l’impero, collegando<br />
Ravenna con l’Appennino di<br />
Ridracoli, fino e oltre Meldola con<br />
una pendenza dell’1 per mille.<br />
Parte dell’acquedotto era sotto<br />
forma di cunicolo, alto 190 cm e<br />
largo 60-70 cm, lungo 11-12 Km,<br />
parte sopraelevato su un terreno<br />
paludoso, di cui nel 1905 il Savini e<br />
più tardi Roncuzzi e Veggi, trovano<br />
in periodo di magra, piloni ed arcate<br />
ben visibili nel letto del fiume<br />
Ronco all’altezza di S. Bartolo. Dai rilievi da loro effettuati, emergono le dimensioni dell’acquedotto,<br />
che per ogni chilometro doveva contare ben 180 piloni alti circa 5,5 metri,<br />
che per 30 km., fanno 5.400 piloni e relative arcate, 11.000.000 di mattoni murari senza<br />
contare quelli di abbellimento. L’acquedotto era accompagnato da “piscine limarie” per la<br />
decantazione dei sedimenti, da cisterne per scorta d’acqua potabile, da una ragnatela di<br />
tubi in piombo per la distribuzione dell’acqua in città con una diramazione per il porto di<br />
Classe. Le cisterne dovevano essere molto grandi; a Miseno, dove era alloggiata l’altra<br />
legione, è tuttora visibile la “Piscina Mirabilis”, una cisterna per la scorta idropotabile delle<br />
dimensioni di 30.000 mc., non dissimile da quella che doveva sorgere nel ravennate, in un<br />
territorio compreso tra i Fiumi Uniti e la basilica di Classe.<br />
Le cisterne non sono mai state trovate, a dire il vero neanche cercate, e si pensa siano<br />
sprofondate a causa della subsidenza, di depositi alluvionali, di mancata manutenzione, e<br />
ridotte a discariche. Testimonianza di questo passato si ha nei toponimi: il fiume Ronco,<br />
dal X secolo era noto come “Fiume Acquedotto”, in quanto correva lungo il suo asse,<br />
rendendo visibili nel periodo di magra i piloni; quindi si hanno, Pile, Pilotti, Archi, Arco,<br />
arcopiatto, Pieve Acquedotto. Da Caput Acquae, classica indicazione iniziale di acquedotto<br />
romano, già a Firenze, capo Miseno, Paestum, ha origine il nome “Capaccio”.<br />
Con Onorio (402 d.C.), la capitale dell’impero viene trasferita a Milano; Ravenna tenta<br />
di sopravvivere, ma dopo neanche 50 anni, si ha la decadenza e la scomparsa persino<br />
dell’acquedotto. Passando per Ravenna, il poeta ed ambasciatore Sidonio Apollinare, che<br />
diventerà vescovo, scrive così “in questa Ravenna … pur trovandoci in mezzo all’acqua
avevamo sete, perché non c’era da nessuna parte acqua sana di acquedotto o una<br />
cisterna non inquinata o una sorgente irrigua o un pozzo di acqua non fangosa”.<br />
La società era in declino, non c’erano enti preposti alla manutenzione dei servizi, i danni<br />
causati dalla subsidenza e dal terremoto del 460 sono ingenti. Soltanto con il lungo regno<br />
dell’ostrogoto Teodorico Ravenna risplende e viene ripristinato l’acquedotto.<br />
Cassiodoro scrive così: “Il nostro signore Re Teoderico fece arrivare l’acqua a Ravenna, di<br />
cui restaurò l’acquedotto a proprio carico, acquedotto che da lungo tempo era crollato.<br />
Di quel tempo oggi rimane ben poco; durante scavi effettuati nel 1938 per ripristinare la<br />
rete fognaria, vennero alla luce in numerosi punti della città alcuni tratti dell’acquedotto<br />
teodericiano. Alcuni pezzi, ora esposti al Museo Nazionale, recano nitidissimo il marchio<br />
reale “D.N. Rex Theodericus – civitati reddidit” “ Il nostro signore e Re Teoderico ha reso<br />
alla città”. Dall’analisi dei reperti rinvenuti, si è potuto risalire all’importanza di tale opera,<br />
che adduceva alla città ca. 80 litri/secondo, cioè una dotazione di circa 100 litri al giorno<br />
per 70.000 abitanti (tale quantitativo di acqua fornita è il medesimo che si osserverà nella<br />
stessa città durante l’epoca fascista sino alla creazione dell’Azienda Municipalizzata AMGA,<br />
nel 1968).<br />
Attorno all’840 lo storico Agnello, descrivendo gli edifici circostanti la sede arcivescovile,<br />
illustra il complesso dei “Bagni del Clero, nei quali meravigliosamente ci si bagna”, e dalla<br />
parte opposta della città, oltre Porta serrata, recentemente è emerso un altro complesso<br />
termale, segno che l’acquedotto è ancora attivo.<br />
Nel periodo Medioevale sembra che l’approvvigionamento di acqua potabile non sia un<br />
problema, in quanto i corsi d’acqua (cloache a cielo aperto) forniscono l’acqua per ogni<br />
uso. La “malacqua” tuttavia porta con sé la peste ed altre epidemie. Nel 1200 gli Statuti<br />
cittadini vietano gli scarichi “super flumicellos” in quanto da questi e da pozzi melmosi<br />
viene attinta l’acqua potabile. Sembra che un rimedio possano portarlo i veneziani, che<br />
governano la città dal 1441 al 1509. Stremati da una grave forma di peste, avevano<br />
individuato una tecnologia di raccolta e conservazione dell’acqua potabile che consisteva<br />
nella costruzione di vere e proprie cisterne (pozzi in giardini e cortili) che contribuivano a<br />
formare un caratteristico arredo urbano. A Ravenna però questa tecnica non fu possibile;<br />
la maggior parte dei pozzi andava a pescare in una falda freatica superficiale inquinata<br />
dagli scarichi domestici, e spesso nei cortili pozzi idrici e pozzi neri erano contigui.<br />
Il rifornimento di acqua principalmente era di natura meteorica, convogliato in falde<br />
superficiali o in cisterne dove l’igiene era inesistente. Le malattie incombevano e la popolazione<br />
di Ravenna calò fino a contare 10.000-15.000 abitanti per molti secoli ancora.<br />
Nel 1605 le cose non sono ancora migliorate: uno scritto recita di Ravenna “…questo è un<br />
deserto che non l’abiterebbero gli zingari: gente poca e selvatica: aria pestifera, vini pessimi,<br />
acque calde ed infami”.<br />
Il XIX secolo è segnato da ricorrenti epidemie di colera; nel 1855, su 175.000 abitanti vi<br />
furono 4372 vittime. Nelle campagne si tenta di cercare acqua buona scavando pozzi artesiani<br />
che spesso però falliscono; nel 1880 si costruiscono in città latrine pubbliche con<br />
fognature a cielo aperto (S. Rocco, via S. Mama, Via Carraie). Ravenna doveva quindi comprare<br />
acqua da altre città; in particolare da Bologna, con un servizio a ferrocisterne da 20<br />
mc che durò fino al 1960. Dal 1883 al 1930 Ravenna fu collegata a Meldola con una linea<br />
di tramway a vapore, che portava un container di acqua potabile che veniva distribuita<br />
lungo la linea urbana (via Mangagnina, via Ravegnana, l’attuale via di Roma) per rifornire<br />
alcuni spacci per la vendita dell’acqua. Presso la stazione ferroviaria c’era persino una<br />
“birraria” che vendeva acqua di Faenza. Il prezzo era libero; nel 1920 l’acqua più buona<br />
costava 2 soldi al fiasco, quella meno pregiata veniva da Marina e valeva 1 soldo.<br />
L’acqua nella società 25
26<br />
L’acqua nella società<br />
Fontana di<br />
Piazza del Popolo,<br />
Ravenna<br />
Sul finire del 1800 si contano almeno 11 progetti per la realizzazione di un acquedotto ma<br />
nessuno di questi viene accettato; poiché l’acqua di falda è pressoché inutilizzabile, matura<br />
lentamente l’idea di prelevare l’acqua dai fiumi. Quello che sembra migliore è il Reno,<br />
ricco d’acqua anche in estate e raccogliente gli scarichi di Bologna e qualche piccolo centro.<br />
Il suo potere autodepurante è buono, dovrebbe trovarsi in condizioni batteriche buone;<br />
così in sintesi riporta un articolo del quotidiano locale “Il Ravenna” nel 1900.<br />
Nel 1914 nasce un Consorzio tra Ravenna e Cesena, che si trovano nelle stesse drammatiche<br />
condizioni, per sfruttare acqua buona dalle sorgenti presso le Balze di Verghereto.<br />
Vengono acquistati 7 lotti di terreno con sorgenti, e i lavori vengono avviati.<br />
La prima guerra mondiale ferma i lavori, che poi riprendono per bloccarsi di nuovo. Ancor<br />
oggi le sorgenti e le opere di presa sono di proprietà dei Comuni di Ravenna e Cesena, per<br />
un totale di circa 15 ettari abbandonati. L’abbandono dell’intero progetto è da imputarsi<br />
al regime fascista che ha preso il potere; non si vuole riconoscere i meriti delle precedenti<br />
amministrazioni democratiche. Viene incaricato un tecnico, definito “eminente ed interessato”,<br />
di redigere una relazione sul progetto (che guarda caso sarà “demolitrice” per favorirne<br />
un altro: la costruzione di Torre Pedrera. L’idea però non è nuova e i progettisti aprono<br />
un contenzioso con il Comune per “furto di idea” che durerà 24 anni, quando verranno<br />
liquidati con una somma in denaro. Nel 1927 il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici<br />
approva il Progetto di Torre Pedrera, alimentata dalla conoide dei Fiume Marecchia, che<br />
prevede una conduttura di 43 Km in cemento armato con una pendenza dell’ 1 per mille,<br />
identica a quella assicurata dall’acquedotto di Traiano 1800 anni prima.<br />
La condotta sarà poi realizzata in<br />
ghisa con un serbatoio finale interrato<br />
di 4.000 metri cubi.<br />
Il 1 agosto 1931 viene inaugurato<br />
da Mussolini l’acquedotto e per<br />
l’occasione viene edificata in Piazza<br />
del Popolo una fontana in gesso,<br />
che verrà subito demolita.<br />
L’acqua arriva però solo nella<br />
piazza, le case non sono allacciate<br />
all’acquedotto. La popolazione<br />
insorge e vengono aperte 12<br />
fontanelle pubbliche; le campagne<br />
resteranno senz’acqua per almeno<br />
50 anni. La seconda guerra mondiale<br />
arriva anche a Ravenna che subisce<br />
un grande bombardamento. La gente abbandona la città che rimane senza acqua in<br />
quanto viene a mancare l’elettricità. I tedeschi in ritirata fanno saltare il serbatoio sopraelevato<br />
di Marina di Ravenna e Torre Pedrera, che non verrà ricostruita fino al 1961 quando<br />
l’erogazione dell’acqua in città è pari a 100 litri al secondo, quanto cioè forniva l’acquedotto<br />
romano.<br />
La città si riempie di piccoli serbatoi e nelle campagne si perfora il terreno con pozzi artesiani,<br />
gestiti dall’Ente Delta Padano. La rete dell’ente prevedeva torri piezometriche in cui<br />
avveniva la degasificazione del metano. Tali impianti erano a rischio e gli scoppi frequenti;<br />
nel 1980 è saltato l’impianto dell’Ente delta Padano di Lamone, la torre dell’acquedotto<br />
di Alfonsine è stata distrutta almeno 2 volte, e più grave di tutti, nel 1955 saltò per<br />
colpa del metano nelle condotte una palazzina di Lido Adriano, un incidente che costò la<br />
vita a 5 persone.
➤<br />
Alla luce dei fatti, era chiaro che non si poteva continuare ad emungere dal sottosuolo<br />
acqua di falda. Fu così che nel 1966 venne costituito il Consorzio Acque per le Provincie di<br />
Ravenna e Forlì, a cui aderirono le rispettive Camere di Commercio, i Consorzi di Bonifica<br />
di Predappio e del Savio Borello, l’Ente Regionale di sviluppo dell’Agricoltura, e 19 Comuni<br />
delle due Provincie. Da ricerche ed indagini sul campo parve chiaro che era possibile<br />
utilizzare acque superficiali per la realizzazione di un invaso artificiale nell’alto corso del<br />
Bidente che permettesse l’alimentazione di un grande acquedotto ad uso potabile. Vennero<br />
pertanto avviati i primi studi relativi a quello che diverrà “l’acquedotto di Romagna”.<br />
Nel 1968 il progetto fu inserito nel “Piano Regolatore Generale degli Acquedotti” dello Stato<br />
Italiano e nel 1975 venne avviato il primo cantiere. Il progetto venne esteso per allacciare<br />
alla rete 48 Comuni, che in questo modo possono fornirsi di acqua migliore di quella estratta<br />
dai pozzi sotterranei dei singoli Comuni. A questi si devono aggiungere altri vantaggi, tra<br />
i quali vi è indubbiamente la limitazione del fenomeno di subsidenza nei territori di pianura,<br />
la produzione di energia idroelettrica presso la centrale di Isola, la creazione di nuovi posti<br />
di lavoro. I lavori vedono il termine nel 1988, con le seguenti strutture:<br />
· la diga di Ridracoli, principale serbatoio di raccolta delle acque<br />
· la centrale idroelettrica di Isola<br />
· le vasche di carico di Montecasale<br />
· l’impianto di potabilizzazione<br />
· la rete acquedottistica che porta l’acqua agli utenti finali.<br />
Le acque che giungono all’invaso derivano principalmente dal bacino idrografico del<br />
Bidente di Ridracoli, a cui sono collegati tramite un canale di gronda i bacini secondari del<br />
Bidente di Campigna, di Celle, di Fiumicello.<br />
L’impianto di potabilizzazione di Capaccio e la rete idrica<br />
L’acqua del lago di Ridracoli, dopo essere passata nella centrale idroelettrica, raggiunge<br />
l’impianto di potabilizzazione di Capaccio in una vasca di carico da cui dipartono 2 linee<br />
di trattamento delle acque che, dopo ancuni trattamenti, divengono potabili.<br />
L’acqua che esce dall’impianto (290 m. s.l.m.) viene immessa nella condotta principale,<br />
lunga 33 Km con tratti interrati e brevi tratti scoperti, per arrivare ai 183 m. s.l.m. di<br />
Montecasale. Una volta giunta a destinazione, la linea si biforca in due reti dorsali di adduzione<br />
dell’acqua ai Comuni utilizzatori in direzione Nord Ovest (Monte Casale - Alfonsine)<br />
e Sud Ovest (Monte Casale – Cesena).<br />
La rete adduttrice nel suo complesso, si sviluppa su 290 Km, fornendo di acqua 48 Comuni<br />
e la repubblica di S. Marino. I Comuni costieri necessitano di un maggior quantitativo di<br />
acqua durante il periodo estivo, in relazione al flusso turistico. Sono stati pertanto costruiti<br />
alcuni serbatoi interrati della capacità fino a 8.000 mc. e serbatoi pensili, alti dai 40 ai<br />
55 metri con capacità fino a 1.000 mc. L’intera rete di distribuzione è costantemente telecomandata<br />
e telecontrollata da tecnici operativi nel centro di Capaccio, in modo da poter<br />
intervenire tempestivamente su valvole di chiusura e di regimazione dei flussi di acqua.<br />
L’acquedotto di Romagna e le esigenze di Ravenna: il N.I.P.<br />
Il rifornimento di acqua dall’acquedotto di Ridracoli non è costante nel tempo ma soggetto<br />
a variazioni dovute sia alle variazioni climatiche che alle fluttuazioni di richiesta<br />
stagionali. In estate la richiesta di acqua si fa pressante a causa di un massiccio apporto di<br />
turisti nei lidi; e proprio in questa stagione l’invaso di Ridracoli è al suo minimo per<br />
quantità di acqua a causa degli scarsi apporti meteorici. Poiché uno dei requisiti minimi<br />
L’acqua nella società 27<br />
L’acquedotto di<br />
Romagna
28<br />
L’acqua nella società<br />
che una rete acquedottistica deve garantire è la continuità del servizio erogato, anche in<br />
termini di quantità e qualità delle acque, diviene necessario poter disporre di una fonte<br />
idropotabile propria da cui attingere nei momenti critici.<br />
Tale fonte oggi è rappresentata dall’Impianto di Potabilizzazione (N.I.P.) attivo già dal 1968<br />
alle “Bassette” per far fronte all’aumentato fabbisogno idropotabile della città di Ravenna,<br />
allora in forte crescita per il notevole sviluppo industriale che si andava a creare.<br />
Nei suoi primi anni il potabilizzatore erogava fino a 100 l/s., andando a raddoppiare la<br />
disponibilità d’acqua che offriva l’acquedotto di Torre Pedrera che fino agli anni ’30 riforniva<br />
il capoluogo. L’acqua di presa, da rendere potabile proveniva dal Fiume Reno attingendola<br />
dalla canaletta dell’ANIC, opera realizzata nei primi anni ’50 proprio per collegare<br />
le acque del fiume Reno e successivamente anche del Fiume Lamone alla città. Oltre alle<br />
vasche di potabilizzazione, venne costruito un laboratorio di analisi chimico-fisiche in<br />
modo da poter controllare la qualità delle acque sia in entrata (cioè ancora da trattare) sia<br />
in uscita, già trattata e resa potabile. Una volta resa potabile l’acqua deve essere distribuita.<br />
Occorreva quindi una rete di adduzione e una torre di sollevamento, che venne eretta<br />
in via S. Alberto e da cui prese il nome. Nel 1971 la gestione dell’acquedotto è curata dalla<br />
Azienda Municipalizzata Gas, con lo scopo di estendere i servizi sia di acqua che di gas a<br />
tutto il territorio comunale.<br />
Nel 1975 prese corpo un progetto ambizioso che prevedeva la realizzazione di un anello<br />
attorno alla città, che partendo dall’impianto di potabilizzazione si dirigeva verso Sud e<br />
attraversando il Candiano raggiungeva Fosso Ghiaia per innestarsi con Torre Pedrera.<br />
Da qui percorreva la via Standiana, raggiungeva S. Stefano, S. Pietro in Vicoli, Roncalceci,<br />
Piangipane, Mezzano per chiudersi a S. Alberto nella condotta che era già stata realizzata.<br />
Da S. P. in Vincoli in un secondo tempo, sarebbe avvenuto l’allacciamento con la adduttrice<br />
di Ridracoli. Con questa nuova linea, si sarebbe assicurato l’approvvigionamento anche<br />
ai lidi sud, cioè Marina di Ravenna, Punta Marina, Lido Adriano, Lido di Dante, Lido di Savio<br />
e di Classe.<br />
Attualmente la rete di approvvigionamento e distribuzione dell’acquedotto di Ravenna ha<br />
superato i 900 Km di lunghezza, il volume di acqua erogata all’utenza si aggira intorno ai<br />
15.000.000 di mc.. Da quando è attivo l’acquedotto di Romagna, cioè dal 1989, l’acquedotto<br />
di Torre Pedrera è fermo e l’acqua immessa in rete proviene per il 60% dal N.I.P, e per<br />
il 40% da Ridracoli.<br />
Nel 1973 e poi ancora nel 1980 l’impianto di Potabilizzazione venne ampliato, portando la<br />
potenzialità di 100 lt/sec a 350 lt/sec., quindi a 650 lt/sec.<br />
La rete acquedottistica odierna<br />
Oggi, la rete idrica del Comune di Ravenna è alimentata da due fonti di approvvigiomento:<br />
· l’impianto di potabilizzazione di Area (già AMGA) alle Bassette;<br />
· l’acquedotto della Romagna tramite l’allacciamento in via Standiana sulla S.S. 16<br />
Adriatica.<br />
· In casi di emergenza può tornare utile l’impianto di Torre Pedrera, il cui rifornimento<br />
avviene mediante emungimento da pozzi artesiani.<br />
L’acqua potabilizzata alle Bassette viene avviata in 3 condotte adduttrici:<br />
· una in direzione dei lidi Nord;<br />
· una in direzione dei lidi Sud, principale, che può alimentare le vasche di stoccaggio di via<br />
Fusconi e quelle di Lido di Savio;<br />
· la terza si porta presso le vasche di stoccaggio di via S. Alberto.<br />
L’acquedotto di Romagna a seconda dei casi e delle necessità può fornire acqua, tramite la
➤<br />
presa Gramadora a Fosso Ghiaia, sia alle zone del forese, sia agli stoccaggi di Lido di Savio<br />
e di via Fusconi, sia a quelli del N.I.P. che di via S. Alberto.<br />
L’alimentazione<br />
L’impianto di potabilizzazione costituisce una fonte idropotabile di sicura affidabilità, svincolata<br />
dalla variabilità dei fenomeni meteorologici per la pluralità delle fonti di alimentazione,<br />
costituite dai fiumi Reno e Lamone e dal Canale Emiliano Romagnolo.<br />
Le tre fonti garantiscono una costante alimentazione di acqua grezza per tutto l’anno (il<br />
Lamone e il Reno hanno origine appenninica, il CER alpina, prendendo acqua dal fiume Po).<br />
Il Canale Emiliano Romagnolo<br />
rappresenta una delle opere idrauliche<br />
più importanti costruite sul<br />
territorio italiano, in quanto assicura<br />
l’approvvigionamento idrico<br />
di una area territoriale vastissima<br />
(Emilia Orientale e Romagna) utilizzando<br />
come fonte l’acqua<br />
superficiale che viene attinta dal<br />
fiume Po. Questo fiume ha<br />
la caratteristica di mantenere<br />
costante la sua portata durante<br />
tutto l’anno, nel periodo estivo la<br />
qualità delle acque è decisamente<br />
migliore rispetto a quella di qua-<br />
lunque altro fiume di pianura ed<br />
inoltre, il punto di presa delle<br />
acque è distante dalle grandi città<br />
padane, in modo da assicurare<br />
una qualità d’acqua in origine<br />
apprezzabile già in partenza.<br />
Periodicamente e da molti anni, i<br />
laboratori di AREA effettuano<br />
controlli ed analisi fisico chimiche<br />
e biologiche in diversi punti lungo<br />
il corso d’acqua. Tra le stazioni di<br />
ingresso del Reno nel C.E.R.<br />
(Salvatonica di Bondeno) e di<br />
quella di uscita, si osserva un sensibile<br />
miglioramento della qualità<br />
I trattamenti delle acque<br />
L'acqua da trattare arriva all'impianto tramite una derivazione della canaletta ENICHEM.<br />
Al fine di eliminare corpi di grandi dimensioni, siano essi galleggianti o trascinati sul fondo,<br />
il flusso di acqua viene fatto passare attraverso una griglia (1) a barre verticali.<br />
Il "filtrato" viene raccolto in un contenitore e inviato poi in discarica. Alla grigliatura segue<br />
una preossigenazione (2) tramite insufflazione di aria dal basso. Il processo prosegue con<br />
una chiariflocculazione (3) con aggiunta di flocculante (FeCl3) e carbone in polvere per<br />
l’abbattimento delle sostanze organiche ed eventuali tensioattivi. L’acqua che esce dai<br />
chiariflocculatori entra in una vasca di disinfezione (4) in cui l’ipoclorito di sodio (NaClO)<br />
opportunamente dosato permette l’ossidazione delle sostanze organiche, (acidi umici e fulvici,<br />
fenoli ecc.), del ferro e del manganese, dell’ammoniaca, abbattendo inoltre la carica<br />
batterica. L’ipoclorito risulta molto attivo nella reazione di sostanze umiche cui consegue<br />
l’eliminazione di sapori ed odori sgradevoli. Presenta però alcuni svantaggi in quanto agendo<br />
come clorurante su alcune sostanze organiche, le trasforma in alometani, cioè composti<br />
pericolosi per la salute umana, che dovranno essere allontanati successivamente.<br />
Allo stadio di ossidazione e disinfezione seguono due processi di filtrazione: uno su letto<br />
di sabbia (5), l’altro su letto di carbone granulare (6). Il filtraggio permette una buona qualità<br />
dell’acqua in uscita, in quanto trattiene le eventuali sostanze organiche non ossidate e<br />
L’acqua nella società 29<br />
Il nuovo impianto di<br />
potabilizzazione<br />
di Ravenna<br />
dell’acqua, dovuto all’alto potere<br />
di autodepurazione interno.<br />
L’analisi dei parametri considerati,<br />
permette di ascrivere l’acqua del<br />
C.E.R. nella categoria più elevata<br />
(A1) tra quelle riportate nel D.P.R.<br />
515/1982, che tratta le caratteristiche<br />
che le acque grezze devono<br />
avere per poter essere destinate al<br />
consumo umano. Il territorio interessato<br />
dal sistema del C.E.R. presenta<br />
una superficie di circa<br />
340.000 ettari compresi nelle provincie<br />
di Ferrara, Ravenna,<br />
Bologna, Forlì e Rimini.
30<br />
L’acqua nella società<br />
L’impianto di<br />
potabilizzazione<br />
di Ravenna<br />
i composti alogenati, contenendo anche i trialometani dentro i limiti di legge (valore guida<br />
= 1 mg/l, valore limite = 30 mg/l). Sulle particelle di carbone attivo avviene però anche l’eliminazione<br />
del cloro attivo, (rimanente dal dosaggio dell’ipoclorito), determinando una<br />
riduzione del potere disinfettante.<br />
Occorre quindi dosare una supplementare quantità di disinfettante in modo da garantire<br />
una presenza sufficientemente efficiente lungo tutta la rete di distribuzione. Viene quindi<br />
impiegato il biossido di cloro (ClO2), in modo da averne un tenore di 0,15-0,20 mg/l in uscita<br />
dall’impianto.<br />
Il biossido di cloro viene scelto in quanto:<br />
· è efficace come agente ossidante;<br />
· permane per molto tempo come ClO2 inalterato;<br />
· ha un potere disinfettante superiore a quello del cloro e dell’ipoclorito, presentando una<br />
gamma di azione più ampia comprendente oltre ai batteri anche virus, alghe e ogni altro<br />
inquinante biologico;<br />
· evita la formazione dei trialometani (conseguenza inevitabile se si impiegasse ipoclorito<br />
sodico);<br />
· viene dosato con un buon grado di purezza mentre l’ipoclorito presenta una discreta percentuale<br />
di clorato (ClO3 - ) già nel prodotto di partenza e quindi la quantità delle impurezze<br />
tende ad aumentare.<br />
Il biossido di cloro presenta anche alcuni svantaggi:<br />
· non abbatte l’ammoniaca, cosa che invece fa l’ipoclorito;<br />
· il suo costo è molto più alto rispetto a quello dell’ipoclorito; la maggior spesa è compensata<br />
da un risultato sempre superiore sotto ogni aspetto.<br />
Prima di essere messa in rete l’acqua, resa potabile, viene stoccata in cisterne da 10.000 mc.<br />
e 6.000 mc. che forniranno acqua per gli usi civili (7). Un’altra vasca da 6.000 mc, viene<br />
invece utilizzata per stoccare acqua che servirà la zona industriale (8).<br />
Qualità delle acque immesse in rete<br />
Prima che l’acqua arrivi all’utente occorre che sia di qualità, e cioè che venga controllata.<br />
Il D.P.R. 236/88 elenca i parametri da tenere in considerazione per le analisi sulla qualità
delle acque potabili, e quando necessario, dai rispettivi Valori Guida (V.G.) e<br />
Concentrazione Massima Ammissibile (C.M.A.).<br />
Valore guida:<br />
si intende per valore guida il<br />
valore ottimale a cui si deve<br />
tendere, compatibilmente<br />
con quelle che sono le<br />
fonti di approvvigionamento<br />
disponibili.<br />
Concentrazione Massima<br />
Amissibile:<br />
indica il valore di una concentrazione<br />
che non può essere raggiunta;<br />
soltanto per alcuni parametri,<br />
legati alle caratteristiche geologiche<br />
dell’area in cui la risorsa idri-<br />
L’acqua nella società<br />
I controlli previsti dal D.P.R. 236/88 sono essenzialmente di tre tipi:<br />
· controllo minimo (C1): colore, odore, sapore, pH, conducibilità elettrica specifica, cloruri,<br />
cloro libero residuo, coliformi totali e fecali;<br />
· controllo normale (C2): parametri C1 + torbidità, temperatura, calcio, azoto ammoniacale,<br />
azoto nitrico, azoto nitroso, ossidabilità, streptococchi fecali;<br />
· controllo periodico (C3): parametri C2 + durezza totale, residuo fisso, solfati, ferro, fosforo<br />
totale, cadmio, cromo, piombo, carica batterica a 36°C e a 22°C.<br />
La frequenza dei controlli viene definita dalle Autorità Sanitarie competenti.<br />
Come già riportato, l’acqua che giunge ai nostri rubinetti proviene in parte dall’acquedotto<br />
della Romagna, che distribuisce le acque superficiali del bacino di Ridracoli, ed in parte<br />
dal nuovo impianto di potabilizzazione di AREA alle Bassette, la cui fonte di approvvigionamento<br />
è costituita dalle acque superficiali dei fiumi Lamone e Reno, del CER, tramite la<br />
canaletta ENICHEM.<br />
In particolare:<br />
· l’impianto delle Bassette alimenta prevalentemente la zona nord di Ravenna;<br />
· l‘allacciamento con l’acquedotto della Romagna alimenta prevalentemente la zona sud di<br />
Ravenna;<br />
· le torri piezometriche di via S. Alberto e di via Fusconi, alimentate con l’acqua proveniente<br />
sia da Ridracoli sia dall’impianto delle Bassette, in proporzione variabile a seconda delle<br />
esigenze e delle disponibilità, servono soprattutto la città.<br />
I dati ottenuti dalle continue analisi hanno evidenziato una corretta gestione della rete di<br />
distribuzione. In linea di massima si può affermare che l’acquedotto della Romagna<br />
fornisce un’acqua le cui caratteristiche chimico fisiche (contenuto in cloruri, durezza,<br />
calcio, conducibilità, temperatura) sono costanti per tutto l’arco dell’anno, mentre l’impianto<br />
di Ravenna presenta un’acqua in uscita con una variabilità superiore.<br />
La differenza tra “le due acque” che è più sensibile e percettibile dall’utente è data dalla<br />
temperatura. L’acqua del bacino di Ridracoli presenta la medesima fresca temperatura<br />
durante il corso delle stagioni. L’acqua dei fiumi di pianura, al contrario, si riscalda sensibilmente<br />
nel periodo estivo, e quindi al rubinetto, presenta una temperatura di qualche<br />
grado superiore rispetto a quella fornita nei mesi invernali.<br />
In definitiva, anche se l’acqua distribuita alla città di Ravenna non ha le stesse caratteristiche<br />
delle acque che scorrono quasi incontaminate in montagna, è senza dubbio<br />
un’acqua di buona qualità, che rispetta in pieno, non soltanto la C.M.A. ma nella maggioranza<br />
dei casi anche i V.G. imposti dalla normativa, sia che provenga dall’impianto di<br />
Ridracoli, sia da quello delle Bassette.<br />
ca viene a contatto, tale concentrazione<br />
può essere derogata. In<br />
nessun caso la deroga accordata<br />
per fattori che possono risultare<br />
tossici, microbiologici o che<br />
comunque possano recare danno<br />
alla salute.<br />
31
32<br />
L’acqua nella società<br />
L’inquinamento<br />
delle acque<br />
➤<br />
Ogni qualvolta si osserva in natura un’ alterazione ambientale sfavorevole alla vita, si parla<br />
di inquinamento. In particolare in un corso d’acqua è possibile riconoscerne tre livelli:<br />
· inquinamento naturale dovuto all’azione dell’acqua piovana che una volta raggiunto il<br />
suolo, assume in soluzione e in sospensione sostanze di origine minerale e biologica.<br />
Questo tipo di inquinamento è normalmente contenuto entro limiti tali da consentire l’impiego<br />
dell’acqua per la maggioranza degli scopi;<br />
· apporto di sostanze dall’esterno per cause non naturali in quantità non superiore alla<br />
capacità di autodepurazione del corso d’acqua stesso;<br />
· apporto di sostanze dall’esterno per cause non naturali in quantità superiore alla capacità<br />
di autodepurazione del corso d’acqua stesso. È questo il livello di inquinamento più<br />
grave in cui risultano compromessi numerosi usi dell’acqua.<br />
Gli inquinanti ed i loro effetti<br />
Sul pelo dell’acqua non è infrequente osservare la presenza di oggetti di varia natura, galleggianti<br />
o comunque trasportati dalla corrente, insieme a schiume o ad olii; l’effetto visivo<br />
ci porta a concludere che il corso d’acqua osservato è inquinato.<br />
Al contrario la vista di un’acqua cristallina senza impurità percepibili sensorialmente ci<br />
porta a considerare pulito l’oggetto della nostra analisi. Nella realtà non c’è nulla di più<br />
sbagliato; molte sostanze chimiche risultano incolori e insapori, ma possono portare alla<br />
morte se ingerite. Un ruscello di montagna può presentarsi colorato intensamente; non è<br />
l’effetto di un inquinamento artificiale ma del fango raccolto a seguito di una pioggia<br />
intensa. Passato un po’ di tempo il sedimento cade sul fondo e l’acqua torna pulita.<br />
Gli effetti degli inquinanti sono molteplici:<br />
i materiali galleggianti (oli, grassi e schiume, materiali sospesi e coloranti), modificano l’aspetto<br />
del corso d’acqua e ne ostacolano la riareazione, impedendo la penetrazione delle<br />
radiazioni solari e quindi i processi fotosintetici;<br />
i materiali in sospensione sono per lo più materiali insolubili di densità uguale o superiore<br />
a quella dell’acqua, mantenuti in sospensione dalla turbolenza. Con il passare del tempo,<br />
sedimentano sulle rive e sul fondo come fango. I materiali di origine organica vengono<br />
degradati, con consumo di ossigeno, dalla flora batterica. Quando l’ossigeno scarseggia,<br />
insorgono fenomeni putrefattivi.<br />
Gli organismi viventi, sia animali che vegetali, influiscono sulle qualità di un’acqua.<br />
I batteri, molto utili nei processi di autodepurazione, possono produrre cattivi odori oltre<br />
che aggredire piante ed animali.<br />
Le alghe sono organismi fotosintetici che si nutrono prevalentemente di prodotti<br />
inorganici, dando luogo a produzione di ossigeno. Se però sono presenti nelle acque in<br />
concentrazioni molto elevate, cosa che avviene quando nell’acqua sono disciolti elementi<br />
nutritivi (N,P), morendo offrono abbondante cibo per i batteri, i quali, per degradarle,<br />
consumano ossigeno producendo odori.<br />
Gli animali microscopici trovano la maggior parte del loro nutrimento in alghe e batteri e<br />
quindi possono essere utili come regolatori della loro crescita.<br />
Le sostanze disciolte rappresentano la categoria più numerosa. Si tratta per lo più di<br />
sostanze di natura tossica, (acidi, alcali, metalli pesanti, insetticidi, cianuri, sostanze<br />
organiche, ammoniaca ecc.), che rendono l’acqua non potabile e danneggiano la vita<br />
acquatica. Alle sostanze disciolte può essere collegato lo sviluppo di colore, odore e<br />
sapore delle acque.<br />
Elementi nutritivi (N, P), determinano crescite abnormi di vegetazione, soprattutto di alghe.
Le normative<br />
L’acqua si sa, è il bene più prezioso per l’umanità. Troppo spesso in passato, si è abusato<br />
della presenza dei corsi d’acqua per scaricarvi rifiuti di ogni genere e natura, recando gravi<br />
danni non soltanto a carattere ambientale ma anche sanitario. La prima norma che disciplina<br />
e assoggetta ad autorizzazione tutti gli scarichi, sia civili che industriali, è recente<br />
(legge 319 del 1976, ovvero Legge Merli) e detta le “norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”.<br />
La legge oltre a imporre l’autorizzazione per tutti gli scarichi sia in corsi<br />
d’acqua superficiali che sotterranei, fissa limiti di concentrazione per gli inquinanti<br />
immessi nel refluo scaricato.<br />
Nel 1982 il DPR 515/82 classifica le acque che possono divenire potabili.<br />
Successivamente nel 1988 il DPR 236 introduce per la prima volta il concetto di “tutela di<br />
una risorsa”, istituendo aree di salvaguardia suddivise in:<br />
· zone di tutela assoluta<br />
· zone di rispetto, nelle quali non si possono insediare determinate attività<br />
· zone di protezione, in cui l’utilizzo del territorio deve essere valutato di volta in volta<br />
Il decreto stabilisce poi i concetti di ”concentrazione massima ammissibile” (CMA) e<br />
“valore guida” (VG) per determinati inquinanti per le acque destinate al consumo umano.<br />
La legge successiva, n° 183/89 identifica nei bacini idrografici l’unità territoriale ottimale<br />
per la difesa del suolo e delle risorse idriche, suddividendoli in bacini di rilievo nazionale,<br />
interregionale, regionale.<br />
La più moderna legge emanata in Italia è quella che viene chiamata Legge Galli (n° 36/94)<br />
che sulla base del criterio del bacino idrografico, delimita il territorio di intervento negli<br />
“ambiti territoriali ottimali”. La legge sancisce che tutte le acque sono pubbliche e che<br />
quindi devono essere tutelate ed utilizzate nell’interesse delle comunità e delle generazioni<br />
future. L’utilizzo prioritario deve essere il consumo umano.<br />
All’interno dell’ambito territoriale ottimale i servizi inerenti al ciclo dell’acqua (potabilizzazione,<br />
fognature e depurazione) devono essere organizzati da un solo gestore.<br />
I liquami domestici<br />
Giornalmente nelle nostre case consumiamo 150 litri di acqua. Di questi, 65 litri vengono<br />
consumati quando utilizziamo lo sciacquone del gabinetto, 57 per la pulizia personale,<br />
20 per fare il bucato e 8 per bere. L’acqua di scarico in uscita dalle nostre case, entra in<br />
condotte che chiamiamo fognature. A differenza delle condutture dell’acquedotto, l’acqua<br />
di fogna non scorre sotto pressione ma secondo gravità, essendo il condotto in pendenza.<br />
Il sistema fognario più moderno separa le acque domestiche da quelle piovane, definendo<br />
le prime “acque nere” e le seconde “acque bianche”.<br />
L’acqua consumata per le necessità domestiche non va perduta ma viene restituita quasi<br />
interamente ai corsi d’acqua superficiali; occorre però che prima sia depurata.<br />
Il depuratore di Ravenna città<br />
Il depuratore di Ravenna città, situato in Via Romea Nord, è stato attivato nel 1983 e serve<br />
a tutt’oggi una popolazione di 135.000 abitanti equivalenti. All’impianto arrivano acque<br />
fognarie nere (40%) e miste (60%) dalla città di Ravenna, da Casalborsetti, da Marina<br />
Romea, da Porto Corsini, da Lido Adriano e da Lido di Dante.<br />
I trattamenti per la depurazione delle acque vengono classificati in 3 categorie e cioè, in<br />
funzione della loro successione temporale distinguiamo:<br />
1) trattamenti primari, di natura strettamente meccanica (fasi di grigliatura, dissabbiatu-<br />
L’acqua nella società 33
34<br />
L’acqua nella società<br />
L’impianto di<br />
depurazione<br />
di Ravenna<br />
ra, deoleazione ecc.);<br />
2) trattamenti secondari, di natura biologica (ossidazione a fanghi attivi);<br />
3) trattamenti terziari, di natura chimico-fisica, (coagulazione, flocculazione ecc.),<br />
ogni fase di trattamento produce dei fanghi che sono poi da trattare.<br />
LINEA ACQUA: depurazione del liquame<br />
Trattamenti primari<br />
Il liquame da depurare arriva all’impianto ad una quota inferiore rispetto al piano di<br />
lavoro e deve quindi essere “sollevato”. Per innalzare la quota dell’acqua, vengono impiegate<br />
delle pompe a vite di Archimede (coclee) (1). Una volta sollevato il liquame viene fatto<br />
passare attraverso una griglia grossolana (2) formata da una serie di sbarre metalliche<br />
parallele tra loro, distanziate circa 5 cm. l’una dall’altra. I corpi una volta raschiati dalle<br />
griglie, vengono raccolti in un contenitore e inviati in discarica.<br />
Al di là delle griglie, il liquame viene fatto passare in vasche dove subiscono la dissabbiatura<br />
e la disoleatura (3). Ciò che normalmente viene chiamato “sabbia” è costituito in realtà<br />
da rena, polvere, pietrisco, ceneri ed altre sostanze inorganiche pesanti.<br />
La sabbia deve essere raccolta, in quanto all’interno dell’impianto comporta una usura<br />
eccessiva delle tubazioni e dei macchinari. La sua rimozione tramite dei raschiatori di fondo<br />
viene effettuata subito a valle della griglia.<br />
Per eliminare i grassi, le cere e gli olii presenti in superficie vengono utilizzati dei raschiatori<br />
di superficie.<br />
Il liquame, una volta dissabbiato e disoleato, passa alla fase di microgrigliatura (4), ove<br />
attraverso griglie a tamburo rotante, vengono trattenute particelle superiori a 2 mm..<br />
Il liquame “filtrato” subisce ora una sedimentazione primaria (5). In un liquame sono<br />
presenti diversi tipi di particelle in sospensione; quelle che hanno un peso specifico maggiore<br />
a quello del liquame stesso, e quelle che hanno un peso specifico minore o uguale.<br />
Tutte e due, se la turbolenza è elevata, vengono trascinate dal flusso. Se la velocità del flusso<br />
diminuisce, le particelle con peso specifico maggiore rispetto al liquido che le contiene
cadono per gravità sul fondo; le altre rimangono in sospensione (cioè fluttuano senza<br />
precipitare).<br />
Le particelle possono anche essere divise in due categorie:<br />
· granulose;<br />
· flocculose.<br />
Le particelle granulose, di cui la sabbia è un tipico esempio, sedimentano indipendentemente<br />
le une dalle altre a velocità costante, senza che si verifichino dei cambiamenti di<br />
forma, peso e dimensioni.<br />
Le particelle flocculose, quali le sostanze organiche, il fango attivo o i fiocchi formatisi a<br />
seguito della flocculazione chimica, tendono ad unirsi le une alle altre durante la<br />
sedimentazione, a formare dei conglomerati.<br />
Si definisce materiale sedimentabile l’insieme dei solidi, sia di natura granulosa che<br />
flocculosa che sedimentano in un tempo ragionevole (di norma viene fissato un limite di<br />
tempo pari a 1 ora).<br />
I solidi non sedimentabili presentano delle dimensioni talmente piccole da non poter essere<br />
eliminati per questa via.<br />
La sedimentazione del particolato avviene dentro a vasche chiamate “sedimentatori”<br />
Il tipo più comune di sedimentatore ha forma circolare e prevede l’immissione del liquame<br />
dal basso verso l'alto con movimento radiale dal centro alla periferia. Il materiale<br />
sedimentato, chiamato fango primario, viene raccolto sul fondo e verrà trattato anch'esso<br />
prima di venire smaltito. Una sedimentazione primaria è buona se si ha l’eliminazione del<br />
50-80% delle sostanze sospese.<br />
Con la sedimentazione, hanno termine i trattamenti primari.<br />
Trattamenti secondari: la depurazione biologica<br />
La depurazione biologica rappresenta il cuore di un impianto di depurazione.<br />
Gli impianti di depurazione delle acque di scarico provenienti da insediamenti civili sono<br />
una imitazione di ciò che spontaneamente accade in natura. I corsi d’acqua contengono in<br />
sé una serie di microrganismi che vivono e si riproducono utilizzando per nutrimento il<br />
materiale organico contenuto nell’acqua stessa e per respirare l’ossigeno disciolto che è<br />
tanto maggiore tanto più è accidentato il corso d’acqua.<br />
L'uomo, negli impianti di depurazione, non fa che riprodurre in vasche ciò che naturalmente<br />
avviene nei corsi <strong>d'acqua</strong>. I processi biologici rimuovono la sostanza organica secondo<br />
meccanismi analoghi a quelli di autodepurazione di un corso <strong>d'acqua</strong>.<br />
La differenza consiste nel fatto che il trattamento avviene in apparecchiature costruite<br />
appositamente e con concentrazioni molto più elevate, per cui le trasformazioni avvengono<br />
con velocità e rendimenti molto maggiori.<br />
I trattamenti secondari iniziano quando il liquame in uscita dai sedimentatori primari viene<br />
immesso in una serie di vasche, nelle quali avvengono dei trattamenti il cui scopo è quello<br />
di rimuovere l'azoto contenuto nelle acque, cosa che avviene in due distinti processi;<br />
la nitrificazione che, partendo da azoto ammoniacale giunge alla formazione di nitrati, e<br />
successivamente la denitrificazione che riduce i nitrati ad azoto molecolare gassoso che<br />
lascia spontaneamente il liquame. In taluni impianti, come in quello di Ravenna, è opportuno<br />
trattare i liquami con una predenitrificazione.<br />
Il liquame in uscita dai sedimentatori primari viene quindi immesso in vasche nelle quali<br />
avviene una predenitrificazione (6), il liquame in uscita dalla vasca di predenitrificazione<br />
viene immesso in una vasca di aerazione e nitrificazione (7). Scopo è quello di ossidare i<br />
composti azotati presenti sotto forma ammoniacale, a NO2 e NO3 (nitrificazione).<br />
L’acqua nella società 35
36<br />
L’acqua nella società<br />
Il processo avviene in due fasi distinte, sotto descritte, ad opera di batteri autotrofi del<br />
genere Nitrosomonas e Nitrobacter, presenti comunemente nelle acque domestiche.<br />
2NH4 + + 3O2 NITROSOMONAS 2NO2 - + 4H + +2H2O (nitriti)<br />
2NO2 + O2 NITROBACTER 2NO3 - (nitrati)<br />
La velocità di nitrificazione che dipende dalla velocità di trasformazione dell’ammoniaca a<br />
nitriti è influenzata da una serie di parametri quali pH, concentrazione di ossigeno<br />
disciolto, temperatura. Nitrati e nitriti, in quanto nutrienti, non possono venire rilasciati<br />
nell'effluente. Occorre far seguire una fase di denitrificazione (8) finalizzato all’eliminazione<br />
della sostanza azotata presente sottoforma di nitrati attraverso la riduzione ad azoto<br />
molecolare gassoso che si allontana come gas dalla fase liquida.<br />
In altre parole, una volta prodotto, il nitrato deve venire ridotto (da batteri anaerobi) in<br />
N2 (gassoso).<br />
Per avvenire la denitrificazione ha bisogno di:<br />
· substrato batterico<br />
· azoto ossidato nella forma di nitrati<br />
· carbonio organico<br />
· assenza di ossigeno disciolto.<br />
Il substrato batterico è garantito dal flusso di fango di ricircolo proveniente dal sedimentatore<br />
secondario ed eliminato dall’ossidazione.<br />
I nitrati vengono immessi facendo ricircolare il liquame che viene prelevato dall’uscita dell’ossidazione/nitrificazione.<br />
L’assenza di ossigeno viene mantenuta non eccedendo nella fornitura di ossigeno libero in<br />
fase di ossidazione/nitrificazione.<br />
Dalla vasca di denitrificazione viene raccolto del fango di ricircolo che viene immesso nella<br />
vasca di predenitrificazione. In questo modo, si ha già un abbattimento della sostanza<br />
azotata. Una volta denitrificato, il materiale organico presente nel liquame deve venire<br />
depurato. Il trattamento prevede l'impiego del cosiddetto “fango attivo” e consiste nel<br />
mantenere in un bacino ben aerato una nutrita coltura di particolari specie batteriche già<br />
presenti in numero ridotto nel liquame da trattare. Il processo a fanghi attivi viene usato<br />
per convertire le sostanze non sedimentabili sia sospese che disciolte, in fanghi<br />
sedimentabili che poi verranno eliminati, ottenendo in questo modo un alto grado di<br />
depurazione. Il primo passaggio viene effettuato in vasche di aerazione, il secondo nelle<br />
vasche di sedimentazione secondaria (9).<br />
La depurazione di queste sostanze viene effettuata da microrganismi, in primo luogo<br />
batteri e protozoi che si nutrono di solidi contenuti nel liquame, agendo come fattore di<br />
depurazione. Questi organismi vengono mantenuti in un ambiente aerobico mediante<br />
l’introduzione di aria in una miscela di fango attivo e di liquame.<br />
Successivamente il fango attivo viene separato dal liquame con un processo di sedimentazione.<br />
Una volta separato il fango attivo può essere nuovamente impiegato per il trattamento<br />
di nuovo liquame.<br />
Quindi l’acqua che esce dal primo stadio (trattamento primario), chiarificata grazie alla<br />
eliminazione delle sostanze sospese o sedimentabili, subisce il secondo stadio, che mira<br />
principalmente ad eliminare le sostanze organiche (non sedimentabili) tramite l’aggiunta<br />
di fango attivo. La comunità di batteri presente nei fanghi attivi è principalmente costituita<br />
da batteri aerobici che richiedono sostanza organica per rifornirsi di carbonio ed<br />
energia (batteri eterotrofi). In questo modo, viene eliminata la frazione organica.
Nelle vasche di sedimentazione secondaria avvengono due processi fondamentali: produzione<br />
di materiale cellulare per ossidazione microbica della sostanza organica e assorbimento<br />
su questo materiale, che si aggrega in fiocchi, delle sostanze da rimuovere.<br />
È pertanto necessario che i fiocchi vengano mantenuti in sospensione tramite un appropriato<br />
grado di agitazione.<br />
L'aggregarsi delle particelle provoca un innalzamento del peso specifico dei fiocchi che<br />
quindi possono precipitare sul fondo sotto forma di fango "secondario".<br />
Una parte di questo fango attivo sedimentato, denominato “fango di ricircolo”, viene<br />
ripompata a monte della vasca di aerazione per facilitare il trattamento di altro liquame.<br />
Poiché la quantità di fango attivo aumenta considerevolmente è necessario allontanare la<br />
quantità di fango in eccesso (fango di supero) che, o viene reimmesso nel circuito, oppure<br />
viene inviato alla linea di depurazione dei fanghi. L'acqua in uscita dai sedimentatori<br />
secondari viene immessa nelle vasche per i trattamenti terziari.<br />
Trattamenti terziari<br />
Le operazioni di trattamento terziario, tutte a carattere chimico o chimico-fisico, sono<br />
deputate a rimuovere gli agenti inquinanti, che non sono stati adeguatamente rimossi con<br />
i trattamenti secondari convenzionali.<br />
I processi adoperati in questa fase sono molteplici.<br />
La disinfezione (10) è un’operazione mediante la quale si eliminano gli organismi patogeni<br />
tipo batteri o virus. Si impiegano per lo più sostanze a base di cloro (nell'impianto di<br />
Ravenna, l'ipoclorito di Na, meglio conosciuto come varichina). Non si ha una sterilizzazione<br />
delle acque, ma una disinfezione. L'aggiunta di ipoclorito avviene in una vasca a percorso<br />
sinuoso, a labirinto, in modo da mantenere un tempo di contatto acqua-cloro abbastanza<br />
elevato (il tempo di permanenza dipende dalla portata del flusso in ingresso).<br />
Alla disinfezione, segue una fase detta di chiariflocculazione (11) cioè operazione combinata<br />
di coagulazione, flocculazione e sedimentazione.<br />
Se i materiali in sospensione sono di tipo colloidale, non sedimentano sia a causa delle<br />
piccole dimensioni delle particelle, sia per la repulsione elettrica reciproca.<br />
La sedimentazione può avvenire solo a seguito della destabilizzazione delle cariche.<br />
Questo effetto è ottenibile attraverso l’aggiunta all’acqua di elettroliti, cioè composti chimici<br />
come il solfato di alluminio o di ferro, il cloruro di ferro o di alluminio, il cui scopo è<br />
quello di formare degli ioni metallici idrolizzabili. La destabilizzazione delle cariche è nota<br />
con il nome di coagulazione. Poiché normalmente i colloidi sono caricati negativamente,<br />
vengono impiegati coagulanti di tipo cationico che in acqua si caricano positivamente.<br />
Gli idrossidi metallici ed i polimeri organici, oltre a funzionare come coagulanti, favoriscono<br />
anche l’aggregazione delle particelle che così possono decantare. Tali aggregati, che<br />
possono raggiungere le dimensioni di qualche mm., sono detti fiocchi ed il meccanismo<br />
della loro formazione è detto flocculazione.<br />
La coagulazione e la flocculazione hanno esigenze contrastanti, perché la prima richiede<br />
una forte agitazione che favorisca la dispersione del coagulante, la seconda un’agitazione<br />
lenta tale da favorire l’incontro tra le particelle per la formazione del fiocco ma non tanta<br />
da favorire la rottura dello stesso. Le due operazioni vengono pertanto effettuate o in<br />
apparecchiature separate o in comparti differenti dello stesso apparecchio (nell'impianto<br />
di Ravenna, nello stesso apparecchio, l'accelator o chiariflocculatore).<br />
In una fase successiva i fiocchi devono essere sedimentati.<br />
Una volta che il liquame è stato depurato può venire immesso nel corpo idrico recettore<br />
cioè nel Canale Via Cupa. Nel caso che tale canale non fosse recettivo, viene impiegato lo<br />
L’acqua nella società 37
38<br />
L’acqua nella società<br />
Scolo Fagiolo. Il destino ultimo è in ogni caso, la pialassa Baiona. Le acque di scarico<br />
possono anche venire immesse nello scolo Tomba e impiegate per la fertirrigazione.<br />
LINEA DEI FANGHI<br />
Caratteristiche dei fanghi<br />
Con il termine di fango si intendono i solidi eliminati dai liquami con il processo di sedimentazione.<br />
A seconda della loro provenienza possono venire classificati come fanghi<br />
primari, secondari, di supero, o chimici. In base alle loro condizioni o ai processi subiti,<br />
possono distinguersi in grezzi, freschi, digeriti, lavati, disidratati, essiccati. Con il termine<br />
“trattamento dei fanghi” si intendono tutti quei metodi che intercorrono tra la rimozione<br />
del fango dai sedimentatori fino al loro smaltimento finale.<br />
In particolare nell'impianto di Ravenna si hanno i seguenti trattamenti:<br />
· pre-ispessimento<br />
· digestione<br />
· post-ispessimento<br />
· smaltimento finale.<br />
Il fango estratto dai sedimentatori primari è essenzialmente costituito dai solidi<br />
sedimentabili originariamente presenti nel liquame grezzo. Viene detto “fango fresco” e<br />
risulta instabile e putrescibile, di colore grigio-bruno e aspetto sgradevole, contenente<br />
particelle di materiale fecale, di rifiuti solidi, di piccoli detriti di varia natura. Il suo odore<br />
è cattivo. Il fango estratto dai sedimentatori secondari è composto da sostanze organiche<br />
parzialmente decomposte. Si presenta di colore marrone scuro, di natura fioccosa ed ha un<br />
aspetto più omogeneo. Il suo odore è meno intenso che non quello del fango fresco.<br />
Il fango attivo in eccesso è parzialmente decomposto, di colore nocciola e odore di<br />
terriccio; quando però comincia a setticizzarsi, sprigiona odori molto spiacevoli.<br />
Il fango dovuto a processi di sedimentazione chimica è generalmente scuro e meno odoroso<br />
rispetto ai fanghi primari.<br />
I fanghi hanno una altissima percentuale di umidità e non possono essere immessi direttamente<br />
nell’effluente o sul terreno. Devono venire trattati in modo da renderli inerti.<br />
La prima operazione che un fango subisce nel suo processo di depurazione è un preispessimento<br />
(12) cioè una diminuzione del suo contenuto in acqua. Questa operazione viene<br />
generalmente effettuata su un ispessitore (un accelator).<br />
L’acqua estrapolata dal fango viene rimessa in circolo nell'impianto, risegue cioè la linea<br />
acqua. Dopo un preispessimento occorre stabilizzare il fango tramite una digestione anaerobica<br />
(13). Il processo di digestione del fango è condotto in assenza di ossigeno libero da<br />
parte di organismi anaerobici. Avviene in tre fasi principali:<br />
1. fermentazione acida: i microrganismi aggrediscono i solidi disciolti, quali gli zuccheri,<br />
fino a formare acidi organici, idrogeno solforato, carbonati ed anidride carbonica.<br />
2. l’ambiente acido sviluppa la crescita di microrganismi che abbattono, anche se lentamente,<br />
proprio le sostanze acide.<br />
In questa fase si hanno processi di stabilizzazione e gasificazione dei fanghi (viene<br />
prodotto biogas, cioè anidride carbonica e metano che viene recuperato).<br />
3. Vengono poi attaccati i composti azotati quali le proteine e gli aminoacidi. Il pH si stabilizza<br />
attorno ai 6,8 e 7,4. Si ha una abbondante formazione di metano che trova spesso impiego<br />
come combustibile nell’impianto. I solidi rimasti nel fango sono relativamente stabili.<br />
Al processo di digestione seguono un postispessimento (14), mediante il quale viene tolta<br />
l’acqua interstiziale, una disidratazione spinta (15) eseguita mediante un nastro a pressa e
➤<br />
lo smaltimento finale. Nella disidratazione spinta il fango viene inviato in mezzo a due<br />
nastri in modo da lavorare sotto pressione. In questo modo si raggiunge un secco del 20-<br />
25%. Il filtrato viene riportato in testa al trattamento. Il fango, diventato di consistenza<br />
palabile, deve essere smaltito. Quando le caratteristiche organolettiche lo consentono il<br />
fango può venire utilizzato in agricoltura come ammendante del terreno. Altrimenti viene<br />
inviato in discarica.<br />
Nel 1968 è stata scritta la Carta Europea dell’Acqua, la quale riporta che:<br />
1. non c’è vita senz’acqua<br />
2. le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili; è indispensabile preservarle,<br />
controllarle e se possibile accrescerle<br />
3. alterare la qualità dell’acqua significa nuocere alla vita dell’uomo e degli altri esseri<br />
viventi che da essa dipendono<br />
4. la qualità dell’acqua deve essere tale da soddisfare le esigenze delle utilizzazioni previste;<br />
ma deve specialmente soddisfare le esigenze della salute pubblica<br />
5. quando l’acqua, dopo essere stata utilizzata, viene restituita al suo ambiente naturale,<br />
essa non deve compromettere i possibili usi, tanto pubblici che privati, che di questo<br />
ambiente potranno essere fatti<br />
6. la conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale<br />
per la conservazione delle risorse idriche<br />
7. le risorse idriche devono formare un oggetto di un inventario<br />
8. la buona gestione dell’acqua deve formare oggetto di un piano stabilito dalle autorità<br />
competenti<br />
9. la salvaguardia dell’acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di<br />
formazione di specialisti e di informazione pubblica<br />
10. l’acqua è un patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti;<br />
ciascuno ha il dovere di economizzarla e di utilizzarla con cura<br />
11. la gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale<br />
piuttosto che entro frontiere amministrative o politiche<br />
12. l’acqua non ha frontiere; essa è una risorsa comune che necessita di una cooperazione<br />
internazionale.<br />
L’acqua nella società 39<br />
La Carta Europea<br />
dell’Acqua
40<br />
Proposte didattiche<br />
La tensione<br />
superficiale<br />
La capillarità<br />
1. Un tessuto a tenuta d’acqua<br />
Cosa occorre<br />
Una bottiglia, un pezzo di garza da medicazione, un elastico e dell’acqua.<br />
Come procedere<br />
Riempite la bottiglia con l’acqua e fissate la garza sull’imboccatura<br />
con l’elastico.<br />
Ora provate a rovesciare il tutto!!! La tensione superficiale si comporterà come<br />
una pelle e impedirà all’acqua di passare attraverso gli spazi nella trama della<br />
garza.<br />
Cosa occorre<br />
2. Il detersivo propulsore<br />
Alcuni piatti di plastica, forbici, una bacinella rettangolare, acqua pulita, pezzetti di sapone<br />
o sapone liquido.<br />
Come procedere<br />
Ricavate dalla base di un piatto una forma affusolata e<br />
praticate un piccolo incavo nella sua parte terminale.<br />
Disponete la forma nella bacinella piena d’acqua e in<br />
corrispondenza dell’incavo posizionate un pezzo di sapone<br />
(oppure lasciate cadere una goccia di sapone liquido).<br />
La vostra piccola zattera comincerà a muoversi sotto la spinta della<br />
tensione superficiale. La velocità della zattera dipende fortemente dalla geometria della<br />
forma utilizzata, per verificarlo organizzate gare di velocità fra forme diverse, un rettangolo,<br />
una circonferenza, un triangolo. Ricordate sempre di cambiare l’acqua dopo ogni<br />
prova.<br />
3. Versare acqua lungo la corda<br />
Cosa occorre<br />
Una caraffa, una corda, un contenitore vuoto.<br />
Come procede<br />
Riempite la caraffa di acqua e annodate una estremità della corda al suo<br />
manico. Fate passare la corda sopra il beccuccio della caraffa e tenete l’estremità<br />
libera appoggiata all’interno del contenitore. Allontanate poi il contenitore<br />
dalla caraffa in modo che la corda sia ben tesa e, tenendo la caraffa proprio<br />
sopra il contenitore, iniziate a versare l’acqua. L’acqua scorrerà lungo la corda.<br />
Dopo che il flusso è iniziato spostate la caraffa più in basso, quasi a lato del contenitore<br />
e la tensione superficiale farà si che l’acqua continui a scorrere lungo la corda.<br />
4. Giochi di carta<br />
Cosa occorre<br />
Carta liscia non lucida, matite, forbici, un contenitore<br />
e dell’acqua.<br />
Come procedere<br />
Disegnate sulla carta un fiore come indicato nella figura accanto. Coloratelo a piacere e<br />
ritagliatelo. Ripiegate i petali verso l’interno e poggiate il fiore nell’acqua, questa risalirà<br />
lentamente lungo i tubicini tra una fibra e l’altra, facendo aprire i petali del fiore.
5. Acqua, radici e assorbimento<br />
Cosa occorre<br />
Alcuni fiori bianchi (i garofani sono ideali), colorante per alimenti, un recipiente<br />
e dell’acqua.<br />
Come procedere<br />
Le radici hanno, accanto alla funzione di ancoraggio, la funzione di assorbire dal<br />
terreno acqua e sali minerali disciolti. Il meccanismo che permette l’assunzione<br />
di acqua dal terreno è molto complesso e coinvolge fenomeni quali la<br />
traspirazione, la capillarità, l’osmosi, la tensione superficiale. L’esperienza del<br />
garofano, facile da realizzare e di immediata comprensione, sarà l’occasione per introdurre<br />
questi argomenti. Procuratevi dei fiori bianchi, ad esempio garofani, e immergeteli in<br />
acqua colorata. Dopo qualche giorno l’acqua colorata, assorbita dagli steli, avrà raggiunto<br />
e colorato i petali. Più intensa è la colorazione dell’acqua, più intenso sarà il colore che<br />
osserverete. Potete anche tagliare il gambo di un fiore, ovviamente prima di immergerlo<br />
nel colorante, per 5-6 cm dal fondo. Con il nastro adesivo bloccate il taglio in modo tale<br />
da impedire che lo stelo si spezzi, immergete quindi metà stelo nell’acqua colorata e metà<br />
nell’acqua non colorata. Osservate il risultato e discutetelo con i ragazzi.<br />
6. Prove di riscaldamento<br />
Cosa occorre<br />
Un fornellino, un tegame, un termometro, un misurino, un cronometro, liquidi da<br />
analizzare (acqua, olio, latte).<br />
Come procedere<br />
Misurate un certo quantitativo di olio con il misurino, prendete nota della<br />
quantità e versatelo nel tegame. Accendete il fornellino e riscaldate<br />
il tegame per 5 minuti. Misurate la temperatura raggiunta dall’olio.<br />
Ora ripetete l’operazione con le altre sostanze, utilizzando la stessa quantità<br />
di liquido e riscaldandolo con la medesima fonte di calore per lo<br />
stesso tempo. Misurate poi le temperature raggiunte, quale dei liquidi è<br />
diventato più caldo? Cosa significa?<br />
Un consiglio: lasciate riposare i liquidi per circa un’ora prima di cominciare in<br />
modo da avere la stessa temperatura di partenza.<br />
7. Cosa si scioglie e cosa no?<br />
Cosa occorre<br />
Acqua, sale, zucchero, farina, olio, cacao, segatura, caffè, vino, colori a tempera, sabbia,<br />
sapone da bucato, riso, contenitori trasparenti.<br />
Come procedere<br />
Mettete a disposizione degli studenti tante sostanze diverse e altrettanti contenitori di plastica<br />
trasparente. Fate riempire per metà i contenitori d’acqua e fatela assaggiare. Poi<br />
aggiungete un cucchiaino, ad esempio, di sale da cucina, mescolate e stimolate i ragazzi ad<br />
osservare cosa succede e ad assaggiare nuovamente la soluzione. Il sale sarà scomparso e<br />
l’acqua diventata salata. Aggiungete dell’altro sale, osservate ed assaggiate ancora. Fino a<br />
quando potrete aggiungere sale? Ripetete l’esperienza con altre sostanze, sia solubili sia<br />
insolubili, come ad esempio l’olio d’oliva, la farina ecc. e registrate i cambiamenti osservati.<br />
Proposte didattiche 41<br />
Il calore<br />
specifico<br />
Le soluzioni
42<br />
Proposte didattiche<br />
Le caratteristiche<br />
chimiche dell’acqua<br />
8. Sollevare il ghiaccio con un fiammifero<br />
Cosa occorre<br />
Una vaschetta d’acqua, un cubetto di ghiaccio, un fiammifero, un po’ di sale.<br />
Come procedere<br />
Sapreste sollevare un cubetto di ghiaccio con un fiammifero? Come in tutti i<br />
giochi di prestigio anche in questo caso esiste il trucco. Per riuscirci si sfrutta,<br />
infatti, la proprietà che hanno i sali di abbassare la temperatura di congelamento<br />
dell’acqua, ecco il motivo per cui il sale è sparso d’inverno sulle strade per<br />
prevenire la formazione del ghiaccio o per facilitare il suo scioglimento.<br />
Appoggiate un fiammifero, disposto orizzontalmente, sul cubetto di ghiaccio e<br />
ponete un po’ di sale attorno al fiammifero stesso. Il sale, abbassando la temperatura<br />
di congelamento, scioglierà una sottile pellicola di ghiaccio e il fiammifero<br />
‘sprofonderà’ di qualche millimetro. In poco tempo il fiammifero sarà imprigionato nel<br />
ghiaccio, e potrà essere utilizzato per sollevare il cubetto. Questo è anche quello che<br />
succede quando si pattina sul ghiaccio. Il peso del pattinatore provoca la fusione del<br />
ghiaccio sotto le lamine dei pattini e il sottile strato d’acqua creatosi consente di scivolare.<br />
Subito dopo il passaggio del pattinatore l’acqua si congela nuovamente.<br />
9. L’uovo magico<br />
Cosa occorre<br />
Due bicchieri grandi, dell’acqua, 10 cucchiaini di sale da<br />
cucina, due uova intere.<br />
Come procedere<br />
Mescolate il sale in mezzo bicchiere d’acqua e riempite a<br />
metà con acqua dolce l’altro bicchiere, poi inserite le uova,<br />
una in ciascun bicchiere. Come vi potete facilmente immaginare l’uovo in acqua salata<br />
galleggerà e quello in acqua dolce andrà a fondo (per il principio di Archimede i corpi subiscono<br />
una spinta verso l’alto pari al peso del volume di liquido spostato, quindi l’acqua<br />
salata pesa di più, a parità di volume l’uovo in acqua salata riceve una spinta maggiore).<br />
Ma l’esperimento non è tutto qui. Ora versate l’acqua dolce e l’acqua salata nei due<br />
bicchieri, riempiendoli per metà. Poi, lentamente versate l’acqua dolce in quella salata,<br />
senza mescolare i due liquidi e, a questo punto immettete delicatamente l’uovo.<br />
Se l’esperimento è riuscito dovreste vedete l’uovo galleggiare sull’acqua salata, esattamente<br />
a metà del vostro bicchiere.<br />
10. L’analisi del pH con il cavolo rosso<br />
Cosa occorre<br />
Un cavolo rosso di piccole dimensioni, 1 litro di acqua<br />
distillata, un colino, un contenitore, un<br />
campione di soluzione da analizzare<br />
(succo di limone, acqua piovana ecc.).<br />
Come procedere<br />
Prendete il cavolo rosso, tagliatelo in strisce<br />
sottili e mettetelo nel contenitore dove si è fatta bollire l’acqua distillata.<br />
Lasciate il cavolo in infusione nell’acqua bollente per mezz’ora, fino a completo raffredda-
mento. Passate il liquido, di colore porpora scuro, col colino. Versate un po’ di indicatore in<br />
un vasetto; aggiungete un po’ di liquido o soluzione da analizzare e constatare il cambio<br />
di colore.<br />
L’acidità fa diventare rosso l’indicatore, mentre assume le tonalità del blu fino all’azzurro<br />
per soluzioni tendente alla basicità. L’acqua distillata non ha effetto sull’indicatore perché<br />
è pura, perciò neutra. Essa rappresenta un utile esempio di confronto. L’acqua di rubinetto<br />
raramente è neutra, dato che spesso contiene impurità che la rendono leggermente<br />
alcalina, facendo diventare azzurro l’indicatore.<br />
11. Misuriamo la durezza<br />
Cosa occorre<br />
Acqua del rubinetto (o qualsiasi<br />
campione di acqua che si vuole analizzare), acqua<br />
distillata, un contagocce, del sapone liquido,<br />
due vasetti con tappo a vite, un vasetto piccolo.<br />
Come procedere<br />
Per prima cosa miscelate, nel vaso più piccolo, sapone liquido e acqua<br />
distillata in eguali quantità. Poi versate dell’acqua distillata in un<br />
barattolo e una quantità eguale di acqua del rubinetto nell’altro.<br />
Con il contagocce mettete una goccia di soluzione nell’acqua distillata, chiudete il barattolo<br />
e agitate. Aggiungete una goccia alla volta fino a quando non ottenete la schiuma.<br />
Attenzione a non perdere il conto delle gocce utilizzate, l’acqua distillata vi serve<br />
infatti come termine di confronto per stabilire la durezza dell’acqua in esame.<br />
Prendete ora il barattolo con l’acqua del rubinetto e iniziate ed aggiungere gocce di<br />
soluzione. Contate quindi quante ne servono per ottenere la schiuma. Più ne servono<br />
più l’acqua è dura. Confrontate il vostro risultato con quello ottenuto con acqua distillata<br />
e magari con acque di provenienze diverse (acqua minerale, acqua piovana ecc..)<br />
I movimenti dell’acqua in natura sono regolati da diversi fattori. Il vento, ad esempio<br />
innesca il moto ondoso, le diverse temperature favoriscono i moti verticali degli strati di<br />
acqua negli oceani e nei laghi, ma è la forza di gravità. Che innesca il movimento delle<br />
acqua correnti. Grazie alla forza di gravità infatti l’acqua scorre verso il “basso”, modellando<br />
torrenti impetuosi, spettacolari cascate e il lento fluire dei fiumi.<br />
12. Indovina il livello<br />
Cosa occorre<br />
Cartoncini colorati, matita e forbici.<br />
Come procedere<br />
Ritagliate da quattro cartoncini altrettante sagome di<br />
bottiglia e disponetele, ad esempio sulla lavagna, tenendo come<br />
riferimento un segmento orizzontale, come segue: una verticale, una leggermente inclinata,<br />
una molto inclinata e una appoggiata sul fianco (orizzontale). Ora provate a chiedere<br />
ai bambini di disegnare col pennarello il livello dell’acqua se le bottiglie fossero piene per<br />
tre quarti. Difficilmente tracceranno dei segni orizzontali, più comunemente il tratto<br />
seguirà l’inclinazione della bottiglia. Non si può mai dire, potrebbero sorprenderci!<br />
Proposte didattiche 43<br />
L’acqua va...<br />
in giù, in su,<br />
a livello
44<br />
Il galleggiamento<br />
Proposte didattiche<br />
A questo punto verificate con una bottiglia d’acqua riempita per tre quarti, fatele assumere<br />
le inclinazioni delle bottiglie disegnate e controllate insieme se le ipotesi fatte hanno<br />
un riscontro nella realtà.<br />
13. Un vulcano sott’acqua<br />
Cosa occorre<br />
Una bottiglietta, un contenitore con acqua fredda, un po’ di spago<br />
e del colorante alimentare.<br />
Come procedere<br />
Per prima cosa annodate lo spago al collo della bottiglietta (tipo fialette dei<br />
medicinali), riempitela d’acqua molto calda, aggiungendo qualche goccia di colorante per<br />
rendere evidente il movimento dell’acqua. Introducete lentamente la bottiglietta nel<br />
contenitore di acqua fredda: vedrete risalire l’acqua colorata verso l’alto come in una eruzione,<br />
lentamente il colore si diffonderà uniformando il contenuto della bottiglia.<br />
La spiegazione è piuttosto semplice: l’acqua calda è meno densa, e quindi più leggera, di<br />
quella fredda, e tende perciò a risalire verso la superficie del vaso.<br />
14. Giochi di “pressione” ed ecco: la fontana<br />
Cosa occorre<br />
Tre vasetti di vetro di cui uno col tappo di sughero, due cannucce, della<br />
plastilina, acqua e coloranti alimentari.<br />
Come procedere<br />
Praticate due fori in un tappo di sughero e inserite due cannucce.<br />
Riempite un vasetto d’acqua colorata e inserite il tappo regolando<br />
l’altezza delle cannucce in modo che: una sia a filo del tappo e l’altra<br />
entri per metà nel vasetto. A questo punto sigillate lo spazio attorno<br />
alle cannucce con della plastilina. Riempite il secondo vasetto con<br />
l’acqua colorata, tappate le cannucce con le dita, capovolgete il primo<br />
vasetto e posizionatelo sopra il secondo in modo che la cannuccia che<br />
sporge si immerga nell’acqua di quest’ultimo. Sistemate ora il terzo vasetto<br />
sotto l’altra cannuccia, vedrete l’acqua risalire dal secondo vasetto attraverso la<br />
cannuccia formando una fontanella. Il principio di funzionamento è<br />
il seguente: l’acqua scendendo dal primo al terzo vasetto riduce la pressione<br />
dell’aria nel primo, che risucchia quindi verso l’alto l’acqua dal secondo.<br />
Perché alcuni oggetti galleggiano ed altri no? Dipenderà forse dal loro peso? E se così<br />
fosse perché una grande nave che pesa molto sta a galla, mentre una piccola biglia di<br />
vetro che pesa poco sprofonda? E allora gli oggetti grandi galleggiano meglio di quelli piccoli?<br />
La forma di un oggetto fa qualche differenza? Sono solo alcune osservazioni e<br />
domande che possono innescarsi parlando del fenomeno del galleggiamento.<br />
15. E’ una questione di forma?<br />
Cosa occorre<br />
Un contenitore con dell’acqua e 2 fogli di alluminio per alimenti.
Come procedere<br />
Si tratta di un esperimento molto semplice che può essere realizzato<br />
direttamente dai bambini, anche dai più piccoli. Appoggiate il foglio di<br />
alluminio sull’acqua, cosa succede? In base al suo peso specifico dovrebbe<br />
andare a fondo, invece grazie alla sua forma (superficie molto ampia<br />
in rapporto al suo peso), lo vedrete galleggiare.<br />
Ore prendete il secondo foglio e ripiegatelo su se stesso tante volte fino a farlo diventare<br />
un pacchettino, facendo bene attenzione a togliere l’aria tra una ripiegatura e l’altra.<br />
A questo punto disponetelo nell’acqua, questa volta lo vedrete andare a fondo.<br />
Che cosa è cambiato rispetto a prima?<br />
16. La danza acquatica<br />
Cosa occorre<br />
Un recipiente di vetro pieno di acqua gassata e dell’uvetta.<br />
Come procedere<br />
Mettete alcuni acini di uvetta nell’acqua gassata e osservate cosa succede<br />
dopo pochi minuti. All’inizio l’uvetta affonderà, ma non appena le bollicine<br />
del gas rimarranno intrappolate tra le grinze degli acini, essi diventeranno<br />
meno densi del liquido e cominceranno a risalire. Giunti in superficie le<br />
bollicine scoppieranno e gli acini torneranno sul fondo. Il processo si ripeterà<br />
più volte trasformando il movimento dell’uvetta in una danza acquatica!!<br />
17. La camera a nebbia<br />
Cosa occorre<br />
Un vaso di vetro a bocca larga, un guanto di gomma, acqua e fiammiferi.<br />
Come procedere<br />
Vi sareste mai immaginati di poter far apparire e scomparire una nuvola in<br />
un barattolo? Non solo è possibile ma è anche facile e divertente!!.<br />
Versate un po’ d’acqua calda in un vaso di vetro, in modo da coprirne<br />
appena il fondo; introducetevi un guanto, con le dita in giù, e<br />
appendetelo stendendo la sua estremità aperta intorno alla bocca<br />
del recipiente. Infilate la mano nel guanto e tiratela velocemente<br />
verso l’esterno, senza danneggiare la tenuta della chiusura.<br />
Poi togliete il guanto, fate cadere nel vaso un fiammifero acceso<br />
(è la presenza delle particelle di fumo che favorisce il processo di condensazione)<br />
e rimettete il guanto al posto di prima. Tirate ancora una volta verso l’esterno:<br />
si formerà la nebbia. Ora provate a lasciare andare il guanto, la nebbia sparirà.<br />
Continuate a giocare e …. buon divertimento!<br />
18. Il battello a vapore<br />
Cosa occorre<br />
Un guscio d’uovo, una barchetta di cartone, una candela, del filo di ferro, un po’ d’acqua,<br />
una bacinella.<br />
Come procedere<br />
Prendete una barchetta di cartone o di polistirolo e collegate le sponde della barchetta con<br />
Proposte didattiche 45<br />
I passaggi di stato
46<br />
Il ciclo dell’acqua<br />
Proposte didattiche<br />
filo di ferro sagomandolo in modo che possa sorreggere un<br />
guscio d’uovo. Praticate un piccolo foro nella punta di un<br />
guscio, vuotatene il contenuto e riempitelo poi con l’acqua in<br />
modo che, disposto l’uovo orizzontalmente, il livello dell’acqua giunga un po’ al di sotto<br />
del foro. Posizionate ora il battello nell’acqua, un pezzetto di candela all’interno, il guscio<br />
pieno d’acqua con il foro rivolto all’indietro sul supporto creato al di sopra della candela<br />
accesa. Trascorsi alcuni minuti l’acqua comincerà a bollire e un filo di vapore uscirà<br />
attraverso l’estremità perforata del guscio facendo muovere il battello.<br />
19. Pozzanghere e terreni: asserviamo il fenomeno dell’infiltrazione<br />
Cosa occorre<br />
Una vaschetta trasparente, il collo di una bottiglia di plastica tagliato a metà, terreni con<br />
diversa granulometria (da sabbiosi ad argillosi).<br />
Come procedere<br />
L’esperienza proposta permette di vedere in che modo e in quanto tempo un uguale quantitativo<br />
di acqua filtra attraverso tipi diversi di terreno. In uno dei lati lunghi della vaschetta<br />
posizionate il collo della bottiglia, tagliato a metà in senso longitudinale, in modo che<br />
il bordo superiore sia a livello della superficie, fermatelo con nastro adesivo e riempite la<br />
vaschetta con il terreno che volete esaminare. Versate rapidamente l’acqua all’interno dell’imbuto<br />
sino a riempirlo. Osservate quindi la velocità di infiltrazione e come l’acqua<br />
diffonde nel terreno, prendete nota di quanto tempo è necessario perché l’acqua filtri<br />
completamente nel terreno ed eventualmente di quanta acqua è necessaria per saturarlo.<br />
Potete ripetere l’esperienza con diversi tipi di terreno e variando la quantità d’acqua.<br />
20. Il mini pianeta<br />
Cosa occorre<br />
Una campana per il formaggio con coperchio trasparente<br />
(oppure un vaso di vetro trasparente da marmellate), muschio<br />
vivo e piantine, spruzzatore.<br />
Come procedere<br />
Questa esperienza permetterà di osservare l’autoregolazione di un sistema vivente nel ciclo<br />
chiuso della materia. Adagiate il muschio, abbiate cura di raccogliere la zolla di muschio<br />
insieme al terriccio che trattiene, sul piano della campana da formaggio. Sovrapponete il<br />
coperchio e fate in modo di raggiungere il giusto equilibrio idrologico aggiungendo acqua<br />
o lasciando evaporare sino a che di giorno la campana sia per metà appannata e per metà<br />
trasparente. Raggiunto l’equilibrio sigillate il bordo con colla universale.<br />
Il vostro mini-pianeta, opportunamente esposto alla luce è a questo punto autonomo, gli<br />
organismi animali, acari, insetti, ecc., che vivono nel muschio insieme agli organismi<br />
vegetali, all’acqua e ai componenti minerali permettono lo svilupparsi del ciclo della<br />
materia e la luce proveniente dall’esterno fornisce il flusso energetico necessario alla vita.<br />
21. Tornado in bottiglia<br />
Cosa occorre<br />
Due bottiglie di plastica da 2 litri, una rondella piatta con un foro da 1 cm, un po’ di nastro
sigillante per guarnizioni idrauliche, forbici e acqua.<br />
Come procedere<br />
Con poco materiale e un po’ di abilità potete produrre dei gorghi che non hanno<br />
nulla da invidiare a quelli che si formano ovunque vi sia una forte corrente d’acqua.<br />
Riempite d’acqua per 2/3 una delle due bottiglie e appoggiate una rondella sulla<br />
sua imboccatura. Avvolgete attorno al bordo della rondella e dell’imboccatura il<br />
nastro adesivo facendo attenzione a non tappare il foro centrale. Ore capovolgete<br />
la bottiglia vuota e, con il nastro adesivo, fissate la sua imboccatura su quella<br />
della prima bottiglia. Avvolgete i colli delle bottiglie con diversi giri di nastro isolante<br />
in modo da realizzare una giuntura molto resistente. Dopo aver controllato<br />
che le bottiglie non perdano, reggete quella piena con una mano e con l’altra stringete<br />
i colli uniti. Tenendo le bottiglie orizzontali, fatele ruotare alcune volte con<br />
movimento circolare, poi riportatele in posizione verticale, sollevando quella piena.<br />
Se il vortice non compare, fate ruotare ancora un po’ le bottiglie o giratele nella<br />
direzione opposta. Dopo qualche tentativo vedrete che il vortice si formerà.<br />
22. Onde in bottiglia<br />
Cosa occorre<br />
Una bottiglia di vetro trasparente<br />
(possibilmente piatta), un tappo per<br />
chiudere ermeticamente la bottiglia, olio di semi, acqua, acquaragia o diluente per<br />
vernici, colorante per alimenti.<br />
Come procedere<br />
Lavate la bottiglia, togliete l’etichetta, riempite d’acqua fino a metà e aggiungere qualche<br />
goccia di colorante. Riempite poi circa 2/3 dello spazio rimanente con l’olio di semi e<br />
aggiungete l’acquaragia necessaria a riempire la bottiglia. Stringete bene il tappo.<br />
Ora appoggiare la bottiglia sul lato e lasciarla ferma per qualche minuto. L’acqua colorata<br />
scenderà verso il fondo e sarà netto il passaggio tra quest’ultima e la miscela di olio e<br />
diluente. Ora provate a muovere la bottiglia su e giù. E’ un minuscolo oceano che si può<br />
controllare a piacimento: bonaccia e calma piatta o mare in tempesta, se preferite.<br />
23. Il movimento dentro l’acqua<br />
Cosa occorre<br />
Organismi marini di diverse specie.<br />
Come procedere<br />
Se in classe è stato allestito un acquario, piccolo o grande che sia, i ragazzi avranno già<br />
avuto modo di osservare i pesci muoversi. Potranno essere le osservazioni già compiute che<br />
permettono l’inizio di questa attività legata al movimento.<br />
Si inizia chiedendo se i pesci sono progettati apposta per nuotare e quale dovrebbe essere<br />
la forma più adatta per andare veloce (i pesci veloci sono affusolati, i pesci piatti sono<br />
invece molto più lenti ecc.). Oltre alla forma affusolata i pesci hanno anche altre strutture<br />
utili al movimento. L’indagine sulle strutture potrà essere compiuta con l’ausilio di<br />
alcuni pesci ‘veri’. Procuratevi una sardina, un paganello, un’acciuga, una sogliola e una<br />
mazzola, e osservate la forma e la posizione delle loro pinne. Quante sono e a cosa servono?<br />
(N.B. la pinna caudale imprime il movimento, le pinne dorsali e anali stabilizzano il<br />
Proposte didattiche 47<br />
Gli ambienti<br />
d’acqua
48<br />
Proposte didattiche<br />
nuoto in senso laterale (rollio), le pinne pettorali e ventrali stabilizzano il nuoto in senso<br />
orizzontale (beccheggio) e permettono i movimenti laterali e di retromarcia).<br />
Ma tutti gli organismi del mare nuotano e si spostano così veloci? Basterà far trovare una<br />
mattina nell’acquario qualche mollusco e una piccola medusa, finta, per portare l’osservazione<br />
sugli organismi che “camminano” sul fondale e su quelli che, particolarmente pigri,<br />
si lasciano trasportare dalle correnti. In questo modo, senza fatica, i piccoli avranno chiara<br />
la distinzione tra: organismi che vivono sul fondale, il benthos, organismi che nuotano<br />
attivamente, il necton e organismi che si lasciano trasportare, il plancton.<br />
24. Il plancton: come lasciarsi trasportare dalle correnti<br />
Cosa occorre<br />
Microscopi a trasmissione, capsule Petri, vetrini copri e porta oggetto, pipette, campioni di<br />
plancton d’acqua dolce e d’acqua salata.<br />
Come procedere<br />
L’attività si riallaccia a quanto già proposto a proposito del galleggiamento.<br />
Dopo aver raccontato che si osserveranno organismi molto piccoli e strani, chiedete a un<br />
bambino se sa nuotare, e come si comporta quando è stanco per riposarsi in acqua.<br />
Fategli mimare il “morto”, facendo notare che ciò che cambia è la superficie di contatto<br />
con l’acqua e non il peso. Anche gli organismi del plancton aumentano la loro capacità di<br />
galleggiamento ampliando la superficie di contatto con l’acqua attraverso strutture come<br />
appendici, flagelli, ciglia, lunghe antenne, ecc. Fategliele osservare! E se li ritenete capaci,<br />
fategli disegnare l’organismo più strano, oppure più simpatico che vedono.<br />
Proseguite chiedendo se sanno qual è la funzione dei salvagenti, e spiegate che anche gli<br />
organismi del plancton possono avere dei salvagenti, o meglio dei vacuoli contenenti aria<br />
oppure sostanze oleose, che facilitano il galleggiamento.<br />
Fatevi raccontare le forme che vedono, ricorrete al mimo se fate osservare campioni di<br />
plancton vivo. Si divertiranno e per voi sarà l’occasione per raccontare stranezze e<br />
particolarità di questi piccoli organismi.<br />
25. Respirare nell’acqua<br />
Cosa occorre<br />
Una vaschetta, un pennello grande e l’acqua.<br />
Come procedere<br />
Utilizzando un’ immagine di un pesce, l’insegnante racconterà la vita di<br />
questo organismo nell’acqua, cercando di dare importanza soprattutto agli<br />
organi di senso. Si procederà chiedendo agli alunni di identificare sulla<br />
testa del pesce gli occhi, la bocca, le narici. Ma come fanno i pesci a<br />
respirare sott’acqua? A questo punto si introduce l’esperienza. Dopo aver<br />
mostrato dal vivo o con un disegno la struttura delle branchie, si immergerà<br />
il pennello in acqua chiedendo di descrivere cosa succede quando<br />
lo si estrae. Si osserverà così che: quando il pennello è immerso le setole si allargano, e<br />
quando è emerso aderiscono tra loro. Una volta completato l’esperimento si fa il parallelo<br />
con le branchie del pesce spiegando che le branchie si comportano come le setole del<br />
pennello: se sono immerse si allargano e riescono a catturare l’ossigeno, se sono emerse si<br />
stringono e il pesce muore.
26. Costruiamo uno stagno<br />
Cosa occorre<br />
Un telone di PVC, sabbia, terreno, piante acquatiche, acqua di stagno naturale.<br />
Come procedere<br />
Gli stagni hanno bisogno di un rivestimento impermeabile robusto, affinché l’acqua non<br />
vada dispersa. A questo proposito ci sono diversi modi di fare uno stagno: costruirne uno<br />
di cemento, usare una vasca di plastica oppure rivestire un avvallamento nel terreno con<br />
un telone plastificato. Gli stagni di plastica hanno un aspetto piuttosto artificiale, mentre<br />
quelli di cemento si fessurano facilmente, quelli dell’ultimo tipo hanno invece un aspetto<br />
naturale e durano a lungo. Si può usare un foglio di PVC o meglio ancora gomma<br />
butyl di almeno 1mm di spessore e di colore nero. La prima cosa da fare è<br />
scavare lo stagno fino alla profondità prestabilita, non inferiore ai<br />
60-70 cm per evitare che sia danneggiato dal gelo dell’inverno<br />
e ricordando di considerare i 20 cm oltre la profondità desiderata<br />
per lo spessore dei due strati di terriccio e del foglio di gomma.<br />
Rimuovete sassi e pietre dal fondo e dai bordi dello scavo e<br />
rivestitelo completamente con uno strato di giornali o di sabbia.<br />
Poi stendete il rivestimento di gomma, coprendo il fondo e i lati<br />
dell’invaso, lasciando un margine di 30 cm tutto intorno. Sopra il foglio<br />
di gomma stendete un po’ di terra o sabbia. Riempite lo stagno di acqua<br />
poco alla volta, ritagliate e sotterrate i bordi del rivestimento perché<br />
l’esposizione al sole lo può danneggiare.<br />
Aspettate circa una settimana prima di piantare qualcosa. E’ opportuno piantare<br />
prima le piante che hanno una parte sommersa come il Potamogeto, la ninfea, il Nannufero<br />
e la Sagittaria e poi piante emergenti come la Tifa, il Giunco e l’iris acquatico.<br />
La popolazione animale colonizzerà lo stagno per ultima quando la vegetazione si<br />
sarà ben insediata; la maggior parte degli animali arriveranno spontaneamente, altri<br />
invece dovranno essere introdotti direttamente aggiungendo qualche secchio d’acqua<br />
proveniente da altri stagni naturali.<br />
27. Costruiamo una trappola luminosa<br />
Cosa occorre<br />
Una pila, un vasetto di vetro con coperchio, tubo di plastica, rete metallica, corda.<br />
Come procedere<br />
Molti animali acquatici sono attirati dalla luce, potrete così facilmente catturarli utilizzando<br />
una trappola luminosa come quella proposta. Chiudete una piccola pila accesa in un<br />
vasetto vuoto di vetro. Sistemate il vasetto in un tubo di plastica o metallo di circa 20 cm<br />
di diametro, chiudete un’apertura del tubo con un coperchio e fissate all’altra una fitta rete<br />
metallica sagomata a forma di imbuto. Dotate la vostra trappola di una maniglia per<br />
immergerla, opportunamente legata, nell’acqua, abbiate cura di sistemarla con l’imboccatura<br />
contro corrente.<br />
28. Piante acquatiche e terrestri a confronto<br />
Cosa occorre<br />
Una pianta acquatica e una terrestre, tessere puzzle di alcune specie vegetali e disegni dei<br />
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Proposte didattiche<br />
loro ambienti.<br />
Come procedere<br />
Potrà capitare durante un’escursione, ad esempio al fiume, di osservare piante che vivono<br />
completamente o parzialmente immerse nell’acqua. Se volete centrare l’attenzione su questo<br />
argomento è necessario che i ragazzi abbiano già confidenza con gli organi che caratterizzano<br />
una pianta terrestre (radici, fusto, foglie) e sulle funzioni che gli stessi svolgono.<br />
Procuratevi una pianta acquatica e una terrestre e iniziate il confronto. Le radici della pianta<br />
terrestre sono più lunghe e ramificate per la necessità di penetrare nel suolo alla ricerca<br />
dell’acqua mentre la pianta acquatica non ha questa necessità e le sue radici sono di<br />
solito più corte e distribuite lungo il fusto. Il fusto della pianta terrestre deve essere in<br />
grado di sostenere l’apparato fogliare, nelle piante acquatiche il fusto non ha questa<br />
funzione e la pianta estratta dall’acqua si affloscia immediatamente. Le foglie presentano<br />
adattamenti osservabili a livello microscopico, potete però fissare l’attenzione sulla loro<br />
capacità di vivere completamente immerse nell’acqua.<br />
Dopo aver effettuato queste osservazioni si può introdurre un gioco. Preparate una serie<br />
di immagini di radici, foglie, fusti, ecc. semplicemente ritagliandole da giornali e, a parte,<br />
le immagini degli ambienti: lo stagno, il deserto, il bosco, il mare, dove le stesse specie vivono.<br />
Proponete ai bambini di ricostruire i puzzle delle specie collegando, anche grazie alla<br />
forma dei tasselli, le radici, il fusto e la foglia giusta. Controllate i risultati e continuate il<br />
gioco mostrando a sorpresa un ambiente. I bambini dovranno riconoscere la specie<br />
vegetale che vive in quell’ambiente. Commentate con loro ancora una volta le forme e i<br />
motivi degli adattamenti più vistosi.<br />
29. Vita nel “deserto-duna”: acqua e adattamenti<br />
Cosa occorre<br />
Disegni di ambienti “estremi”: deserto, bosco, prateria, disegni delle piante della duna.<br />
Come procedere<br />
L’insegnante introdurrà l’argomento: adattamenti delle piante e fattori dell’ambiente.<br />
Un bambino per volta sarà invitato a “entrare” con la fantasia in uno degli ambienti di cui<br />
l’insegnante mostrerà le immagini, chiedetegli di non svelare in quale ambiente si trova e<br />
di descriverlo ai compagni. Per agevolarli l’insegnante puntualizzerà tra i diversi fattori<br />
ambientali quelli che risultano particolarmente importanti per la vita vegetale terrestre: la<br />
presenza-assenza del suolo, l’escursione termica, la disponibilità di acqua. Alla descrizione<br />
seguirà l’individuazione dell’immagine “giusta” da parte dei compagni. Il percorso prosegue<br />
nell’ambiente duna, presentando i fattori ambientali limitanti, e gli adattamenti sviluppati<br />
dalle specie vegetali come risposta.<br />
Va sottolineato che gli adattamenti citati riguardano ora l’una, ora l’altra pianta che vive<br />
sulla duna. Aiutandosi con le immagini delle pianticelle, o ancor meglio programmando<br />
l’attività in natura, i bambini dovranno riconoscere gli adattamenti e collegarli con i<br />
fattori che li hanno determinati. Sarà interessante identificare quale specie presenta il<br />
maggior numero di adattamenti e qual è l’adattamento più ricorrente.<br />
Una caratteristica peculiare della comunità vegetale che abita la duna costiera, è la<br />
disposizione delle specie in fasce disposte parallelamente alla costa, ognuna delle quali<br />
corrispondente a una differente situazione ecologica. In linea teorica partendo dalla porzione<br />
di duna più vicina al mare, e proseguendo verso l’entroterra, si incontrano quattro<br />
fasce vegetazionali: il Cakileto, l’Agropireto, l’Ammofileto e il Tortuleto. Nella prima delle<br />
quattro fasce, il Cakileto, si rinvengono piante ad habitus tendenzialmente grasso: possia-
mo citare il Ravastrello marino (Cakile maritima), la Salsola (Salsola kali) e la Nappola<br />
(Xanthium italicum), tutte scarsamente capaci di coprire il suolo e generalmente presenti<br />
a notevoli distanze individuali. Le prime comunità stabili di vegetali iniziano a formarsi là<br />
dove non arrivano le onde marine: è rilevante in questa seconda fascia vegetazionale nota<br />
come Agropireto, la presenza di una pianta pioniera, la Gramigna delle spiagge (Agropyron<br />
junceum), una graminacea con radici rizomatose sotterranee molto lunghe. Molto più<br />
organizzata appare la successiva fascia vegetazionale, l’Ammofileto, che si insedia in una<br />
parte dell’arenile caratterizzato dall’alternarsi di zone depresse e zone sopraelevate.<br />
Sulle creste domina una graminacea cespugliosa dal carattere xerofilo (amante<br />
dell’aridità), lo Sparto pungente (Ammophila arenaria), costituendo un efficacissimo ostacolo<br />
alla sabbia trasportata dal vento che viene trattenuta nei suoi densi cespugli. Negli<br />
avvallamenti invece si assiste ad iniziali concentrazioni di piante tendenzialmente igrofile.<br />
Nell’area retrodunale osserviamo infine la presenza di una comunità di vegetali dominata<br />
da un muschio, la Tortula ruralis, che trattiene grandi quantità d’acqua che viene poi<br />
ceduta lentamente. Va sottolineato inoltre che in questa porzione della duna il suolo non<br />
è inclinato, per cui è molto stabile, mancando l’azione erosiva delle acque di pioggia.<br />
30. L’osmosi e l’esparimento della patata<br />
Cosa occorre<br />
Una patata, un pelapatate, sale da cucina, acqua, un piatto fondo di plastica,<br />
un cucchiaino.<br />
Come procedere<br />
Tagliate la patata per il lungo e con il cucchiaino scavatene l’interno fino<br />
formare una conca, poi pelatela e mettetela al centro del piatto.<br />
Riempite la conca di sale e il piatto di acqua, facendo attenzione a che<br />
questa non superi il bordo della patata. Nel giro di qualche ora l’acqua<br />
attraverserà la patata fino ad arrivare a bagnare il sale. Ciò accade grazie al fenomeno<br />
dell’osmosi, per il quale le molecole d’acqua migrano spontaneamente, attraverso le membrane<br />
semipermeabili, da una soluzione più diluita a una più concentrata.<br />
31. L’acquario d’acqua dolce<br />
Cosa occorre<br />
Vaschetta, arredo vasca, pesciolini.<br />
Come procedere<br />
Avere un acquario in classe significa offrire ai ragazzi l’occasione<br />
di poter osservare liberamente un organismo e anche di abituarsi<br />
ad occuparsene direttamente, sviluppando il senso di responsabilità.<br />
Se si decide di provare questa esperienza si può iniziare con un piccolo acquario di acqua<br />
dolce per il quale non sono necessarie particolari attenzioni. Una volta scelta la vasca, che<br />
può essere in vetro ma anche in plastica, si potrà scegliere di dotarla di un piccolo filtro<br />
che provvede direttamente a tenere pulita l’acqua oppure si deve aver cura, a giorni alterni,<br />
di cambiare l’acqua, non totalmente, ma per circa i tre quarti, sostituendola con acqua<br />
lasciata sedimentare almeno 12 ore. Si provvederà poi a scegliere un minimo di arredo,<br />
piccole piante acquatiche, sassolini per il fondo, ecc. sono tra gli elementi decorativi più<br />
comuni. Se non si dota la vasca di un filtro sarà necessario, durante le operazioni di pulizia<br />
della vaschetta, catturare i pesciolini, preferibilmente con il retino, e trasferirli in un<br />
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L’acqua e la città<br />
Proposte didattiche<br />
piccolo contenitore con parte dell’acqua. Riguardo l’alimentazione l’unica avvertenza è<br />
quella di non esagerare con la quantità!<br />
Se lo si desidera è possibile avventurarsi anche nell’allestimento di un acquario marino,<br />
affascinante ma molto più complesso e dispendioso nella gestione.<br />
32. L’acqua che corrode la roccia: stalattiti e Co.<br />
Cosa occorre<br />
Filo di lana, fermagli, una brocca, un piattino, due vasetti di vetro di uguale altezza, soda<br />
da bucato e un cucchiaio.<br />
Come procedere<br />
Oltre ad infiltrarsi nel terreno l’acqua è anche in grado di erodere rocce, come il calcare o<br />
la marna, dando luogo a quel fenomeno denominato carsismo. La successiva deposizione<br />
dei sali disciolti nell’acqua, dovuta al gocciolio costante, dà poi luogo alla formazione di<br />
strutture quali: stalattiti, stalagmiti ed altre concrezioni.<br />
Per poter osservare “in diretta” la formazione di una stalattite procedete in<br />
questo modo: riempite i vasetti con acqua molto calda. Aggiungete la soda e<br />
mescolate la soluzione, continuate ad aggiungere sino a portare la soluzione<br />
a saturazione. Fissate il filo di lana con i fermagli, e inserite le due estremità<br />
nei vasetti. Mettete poi il piatto fra i due vasi e lasciateli fermi per almeno<br />
una settimana. Per capillarità l’acqua satura di soda risalirà lungo il filo di<br />
lana per poi ridiscendere a causa della gravità. Lentamente, dal gocciolio<br />
dell’acqua, si formerà una stalattite e di contro, dal piattino, una stalagmite.<br />
Con un po’ di pazienza sarà possibile osservare il congiungimento delle due strutture.<br />
33. Depurazione fai da te!<br />
Cosa occorre<br />
Contenitori di plastica di varie dimensioni, tubi di plastica, sabbia, ghiaia, terra,<br />
fuliggine, rete metallica, grani di allume, cloro, tappi di sughero, acqua di scolo.<br />
Come procedere<br />
1) Aggiungete un cucchiaio di allume a grani nell’acqua sporca<br />
2) Rimescolate l’acqua, togliete il tappo e fate scendere l’acqua nel bacino di sedimentazione<br />
3) Lasciate sedimentare lo sporco e lasciate scendere l’acqua attraverso il filtro<br />
4) Aggiungete il cloro<br />
34. Costruiamo l’acquedotto romano<br />
Prendendo spunto dagli acquedotti romani, particolarmente da quelli di Ravenna antica, si<br />
propone la costruzione di un modello da effettuare in classe per comprenderne il funzionamento,<br />
e per capire il modo in cui veniva trasportata l’acqua dalle sorgenti alle città.<br />
Nella figura seguente è rappresentato lo<br />
schema di un acquedotto come dovevano<br />
essere quelli in Romagna in epoca<br />
romana (da Flumen aqueductus, nuove<br />
scoperte dagli scavi per l’acquedotto
della Romagna, Bologna 1988) che può essere preso come riferimento.<br />
Alcuni reperti rinvenuti durante scavi fognari sono esposti al Museo Nazionale di Ravenna.<br />
Oggi giorno sul territorio non sono visibili resti significativi dell’antico acquedotto; il suo<br />
percorso però può essere ricostruito utilizzando i toponimi di alcune località.<br />
Pile, Pilotti, Arco ecc. sono soltanto alcuni esempi di località toccate in passato dall’acquedotto;<br />
ricercando sulle cartine topografiche delle aree di Ravenna, Forlì, Meldola, Santa<br />
Sofia ecc. i luoghi i cui nomi ricordano tale testimonianza e collegandoli fra loro con un<br />
tratto, è possibile ricostruirne l’antico percorso.<br />
35. L’acquedotto moderno<br />
Fontane, torri piezometriche, impianti di trattamento, centrali di sollevamento, pozzi ecc.<br />
sono la traccia della presenza in città e nei dintorni dell’odierna rete idrica.<br />
L’attività che si propone, quindi, è quella di realizzare una sorta di censimento dei ‘punti<br />
acqua’ della città, se è possibile anche datandoli. Ogni ragazzo potrebbe occuparsi<br />
dell’indagine nel quartiere in cui abita, oppure si potrebbero organizzare dei gruppetti di<br />
lavoro per ogni area di interesse individuata. Al termine del censimento i dati raccolti<br />
dovranno essere posizionati su una carta della città, formato gigante, magari con colori<br />
diversi. In questo modo sarà possibile leggere su di un unico pannello la storia di Ravenna<br />
e la sua crescita.<br />
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54<br />
Bibliografia<br />
Ciabatti M. - “Elementi di idrologia superficiale”;<br />
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna, 1977<br />
Cognetti G., Sarà M. - “Biologia marina”; Edizioni Calderini, Bologna, 1981<br />
Colalongo, Pasini, Sartoni - “Il libro di geografia generale e di geologia”;<br />
Cappelli Editore, Bologna, 1987<br />
Ghirargelli E. - “La vita nelle acque”; Utet, Torino, 1981<br />
Ministero della Marina Mercantile - “Manuale per i corsi di qualificazione per agenti di polizia<br />
giudiziaria per la pesca marittima”; Memoria n. 38, 1974<br />
Piccone Antoniotti M.L. - “Geografia generale”; Paravia, Torino, 1985<br />
Pranzini G. (a cura di) - “La gestione delle risorse idriche”; Edizioni delle Autonomie, Roma, 1987<br />
Regione E-R, Provincia e Comune di Ravenna, AREA, AUSL di Ravenna, ARPA Ravenna “L’acqua da<br />
bere a Ravenna”,. 1997<br />
Cooperativa Atlantide “Quando l’uomo incontra la natura: L’acqua, dal progetto “Quando l’uomo<br />
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ravennati – La Pialassa Baiona” 1994<br />
Regione Emilia Romagna “Zone umide d’acqua dolce”, , 1983<br />
Regione Emilia Romagna “Atlante Parco del Delta”<br />
WWF Ravenna, Ed. Cooperativa Libraria e di Informazione “La foresta allagata:<br />
Punte Alberete: storia e realtà di una natura che scompare” 1987<br />
Mario Vianelli, Guide Verdi “A sud del Delta: dal Po di Goro alle saline di Cervia”,<br />
Maggioli Editore, 1988<br />
D. Bentivoglio, M. P. Boschi “Le ragioni della natura” Cappelli Editori 1994<br />
Comune di Russi - “Rapporto sullo stato dell’ambiente del Comune di Russi”; 1995<br />
Mazzanti, Trevisan - “Evoluzione della rete idrografica nell’Appennino centro-settentrionale”;<br />
in “Geografia fisica e dinamica quaternaria”; 1978<br />
Provincia di Forlì-Cesena - “Qualità dei fiumi. Rapporto annuale 1995”<br />
Regione Emilia Romagna-Provincia di Forlì Cesena - “Carichi teorici e reali di fosforo e azoto su tre<br />
corsi d’acqua dell’Emilia Romagna; 1994<br />
Cash Terry&Parker Steve - Divertiamoci con la scienza 2 - De Agostini <strong>Ragazzi</strong> 1998<br />
Diehn Gwen & Krautwurst - “L’officina della scienza” - Editoriale Scienza 1994<br />
Doherty Paul Rathjen Don - “Gli esperimenti dell’exploratorium” - Zanichelli 1996
Farndon John - “I perchè della terra” - Editoriale Giorgio Mondadori 1992<br />
Fiori Fabio - “La spiaggia di Riccione natura, cultura e storia” - 1998<br />
Giovani Marmotte - “L’acqua, dov’è, a cosa serve, come non sprecarla” - De Agostini Junior<br />
Hann Judith - “I perchè della scienza” - Editoriale Giorgio Mondadori 1991<br />
Marchetti, Pellegrini, Rossetti, Vanossi - La scienza - “La terra come e perchè” - La Nuova Italia 1996<br />
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Note<br />
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56<br />
A cura di<br />
Atlantide Cooperativa Studi e Servizi Ambientali<br />
Via Bollana 10, 48015 Cervia (Ravenna)<br />
tel. 0544/965806 Fax 0544/965800<br />
http://www.atlantide.net e-mail: atlantide@atlantide.net<br />
Coordinatore del progetto:<br />
Massimo Casadei<br />
Testi:<br />
Roberta Buselli<br />
Federica Casoni<br />
Stefania Loia<br />
Progetto grafico:<br />
Roberta Fraiese<br />
Stampa:<br />
La Greca<br />
Si ringraziano tutto lo staff di Atlantide S.C.R.L. e di AREA Ravenna per la collaborazione.<br />
Tutti i diritti della presente pubblicazione sono riservati