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20 Sulla figura artistica e umana - Biblioteca civica di Rovereto

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APPENDICE 3<br />

SULLA FIGURA ARTISTICA E UMANA DI ZANDONAI<br />

416<br />

Ales-Ten, Un maestro trentino: Riccardo Zandonai, «Noi e il mondo» VIII/6, 1.6.1918 – pp. 393-8<br />

[l’articolo è corredato delle seguenti illustrazioni:<br />

-p. 393: tre caricature e un piccolo ritratto fotografico <strong>di</strong> Zandonai con a lato la seguente <strong>di</strong>dascalia: «In questo<br />

interessantissimo articolo l’autore, trattando <strong>di</strong> questo fervido maestro della moderna scuola musicale italiana, ne<br />

delinea la <strong>figura</strong> d’uomo e d’artista con sapienza e con gusto veramente squisito. Le tre caricature <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai che si trovano riprodotte nella testata, sopra il ritratto del maestro stesso, sono dovute ai pittori Bettinelli,<br />

Musacchio e Girus». A fondo pagina, altra fotografia («Panorama <strong>di</strong> Sacco (Trentino) paese nativo <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai»);<br />

-p. 394: una pagina manoscritta e autografata de La Via della finestra («Stornello»);<br />

-p. 395: «due ritratti del maestro in quel paesaggio <strong>di</strong> campagna che egli tanto ama, e da cui ha tratto tanta ispirazione<br />

d’arte»;<br />

-p. 396: un altro paesaggio («Alta Val d’A<strong>di</strong>ge: <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Sacco») e, in basso, la riproduzione <strong>di</strong> una lettera a<br />

Zandonai <strong>di</strong> Gabriele d’Annunzio (2.11.1912);<br />

-p. 397: bozzetto della scena del I atto <strong>di</strong> Francesca da Rimini;<br />

-p. 398: altro bozzetto della medesima opera (Atto III)].<br />

È deplorevole l’ingratitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, sud<strong>di</strong>to poco remissivo <strong>di</strong> S. M. l’Imperatore d’Austria, verso i<br />

suoi padroni. Fra l’altro, proprio un chionzo tedesco meto<strong>di</strong>camente e quoti<strong>di</strong>anamente ubbriaco, ex-trombone <strong>di</strong> una<br />

banda militare ed impiegato nella manifattura dei tabacchi <strong>di</strong> Sacco – patria del giovane maestro – doveva avviarlo allo<br />

stu<strong>di</strong>o della musica. Il metodo del corpulento ex-trombone era <strong>di</strong> una esemplare semplicità balorda: ricopiava, l’extrombone,<br />

dalle riduzioni per banda delle ariette <strong>di</strong> opere italiane e le insegnava, sul violino, a colpi <strong>di</strong> arco sulle <strong>di</strong>ta<br />

del ragazzo. Didattica persuasiva che il piccolo alunno tentava <strong>di</strong> addolcire con la più mansueta rassegnazione.<br />

Inutilmente: l’ex-trombone continuava, iroso, a menar giù colpetti improvvisi sulle nocche del <strong>di</strong>scepolo.<br />

Esperimentata vana l’arrendevolezza, il ragazzo pensò <strong>di</strong> rendere più mite il precettore col favorirne il vizio.<br />

Bisognava dargli da bere.<br />

E così, ad ogni lezione, insieme allo strumento ed allo scartafaccio, portò una bottiglia <strong>di</strong> vino. L’espe<strong>di</strong>ente – me lo<br />

garantisce il giovane maestro – ebbe un certo successo. E Riccardo Zandonai – che raramente sorride – s’allieta a<br />

questo ricordo della sua prima e travagliata giovinezza, pensando che proprio dal ban<strong>di</strong>sta teutonico venne a lui il<br />

primo impulso alla musica. A <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> età, dopo aver pazientemente ruminata tutta la povera scienza dell’extrombone,<br />

Riccardo Zandonai venne accolto dal maestro Gianferrari, <strong>di</strong>rettore della scuola musicale <strong>di</strong> <strong>Rovereto</strong>, che in<br />

brevissimo tempo rifece e rior<strong>di</strong>nò l’educazione del fanciullo. Queste prime nozioni <strong>di</strong> musica del Gianferrari – cara<br />

immagine paterna nei ricor<strong>di</strong> dello Zandonai – bastarono perché un eccezionale temperamento <strong>di</strong> artista si rivelasse con<br />

il tumulto della forza più viva e la promessa più certa. I suoi primi saggi – danze, cori, romanze che venivano eseguite<br />

e cantate nelle feste del ridente paese nativo in riva all’A<strong>di</strong>ge dai compagni e dai compaesani – confermarono la<br />

vocazione del ragazzo. Di queste sue prime composizioni, notevoli per nitidezza d’inspirazione e finezza <strong>di</strong> gusto, il<br />

giovane maestro trentino è altero come è orgoglioso – non so se per una certa vanità scapigliata – <strong>di</strong> non aver mai<br />

seguito un corso regolare <strong>di</strong> armonia, egli che è riconosciuto uno fra i più esperti armonizzatori o<strong>di</strong>erni.<br />

Giovanissimo, adunque, decise il suo destino: si <strong>di</strong>ede esclusivamente alla musica, abbandonando la scuola <strong>di</strong><br />

grammatica ove, forse, urgenze implacabili <strong>di</strong> vita avrebbero soffocata o <strong>di</strong>spersa la fiamma dell’arte. Così Riccardo<br />

Zandonai s’elesse una con<strong>di</strong>zione normale <strong>di</strong> miseria, <strong>di</strong> privazioni e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o tenace.<br />

Rimasto benevola intenzione il mecenatismo, troppo spirituale, <strong>di</strong> un signore del suo paese che avrebbe desiderato che<br />

il ragazzo frequentasse l’accademia <strong>di</strong> Vienna, la famiglia, poverissima, facendo sacrifizi non lievi, mandò il piccolo<br />

Riccardo a Pesaro.<br />

A Pesaro – la bonaria, ridanciana, grassa citta<strong>di</strong>na adriatica – Pietro Mascagni era <strong>di</strong>rettore del Liceo Rossini e<br />

trasfondeva nei giovani il calore della sua impetuosità imperiosa e vivificatrice. Pesaro – anni in<strong>di</strong>menticabili! – e il<br />

suo Liceo <strong>di</strong>vennero un centro <strong>di</strong> civiltà <strong>artistica</strong> <strong>di</strong> reputazione mon<strong>di</strong>ale, il seminario <strong>di</strong> vive forze squassate dal vento<br />

ribelle e rinnovatore <strong>di</strong> Mascagni. La conservatrice, sedentaria probità provinciale, così arrendevole al segreto gusto <strong>di</strong><br />

una angusta e misteriosa ufficialità, così rispettosa del peso <strong>di</strong> una <strong>di</strong>gnità accademica, fu sorpresa e <strong>di</strong>sorientata –<br />

onesta, adorabile provincia! – e certo inorridì <strong>di</strong> questo rivoluzionario del funzionarismo che fra i buoni pesaresi aveva<br />

portata tanta scapigliatura e l’esibizione allegra del più multiforme e versicolore guardaroba personale. Chi rifarà la<br />

cronaca <strong>di</strong> questo periodo – forse il più agitato – della vita <strong>di</strong> Mascagni, potrà ben dare tutta la misura del suo<br />

temperamento filibustiere ed autoritario costretto a filare sulle rotaie burocratiche. Era una lotta a corpo a corpo con gli<br />

accademici, necessariamente passatisti, con i professori talpe, con gli amministratori tirchi. Mascagni trovava sfogo e<br />

riposo a queste lotte urlando i più terrificanti paradossi, scagliando i suoi motti mordaci. In questa atmosfera alacre e<br />

fiammea si formò Riccardo Zandonai e Pietro Mascagni intuì subito nel piccolo e gracile giovanetto, scesogli dai monti<br />

della nostra passione, un predestinato a superare prove ardue e che, in lui, sì, c’era della materia vergine e focosa.


Ricco <strong>di</strong> sogni e <strong>di</strong> miseria, anima milionaria senza un soldo in tasca, Zandonai si sottopose allo stu<strong>di</strong>o con una tenacia<br />

ed una resistenza che sbalor<strong>di</strong>va i compagni ed i maestri e soverchiava la sua personcina magra e patita. Lotta quasi<br />

impari: si trattava per Zandonai <strong>di</strong> realizzare felicemente in tre anni il corso novennale del Liceo, poiché le ristrettezze<br />

finanziarie della sua famiglia non avrebbero potuto sopportare un maggiore aggravio. E il giovanetto vinse. In tre anni<br />

esaurì l’intero corso del Liceo e si licenziò, a pieni voti, presentando per saggio <strong>di</strong> composizione «Il ritorno <strong>di</strong><br />

O<strong>di</strong>sseo», <strong>di</strong> Giovanni Pascoli, poema sinfonico per soli, cori ed orchestra, che rivelò un esperto strumentatore ed un<br />

colorista ricco ed impetuoso.<br />

Le vicende pesaresi <strong>di</strong> studentello umiliato in continue ristrettezze, pur addolcite dalle cure affettuose dell’umile<br />

famiglia che l’ospitava, in ispecie della padrona <strong>di</strong> casa, delicata anima <strong>di</strong> artista, furono delle più tribolate del maestro<br />

trentino. E verso questi suoi veri mecenati – che l’ammirazione e la fiducia accompagnavano, per quanto loro fosse<br />

possibile, <strong>di</strong> valido aiuto, il maestro serba una figliale tenerezza e tutt’ora – arrivato e celebre – ne consola la<br />

vecchiezza vivendo, fra loro, in Pesaro: «fra i suoi nonni» come egli ama chiamarli.<br />

***<br />

Vennero poi gli anni dello sconforto, i grigi giorni degli scoramenti, della ricerca tormentosa, torbi<strong>di</strong> delle inquietu<strong>di</strong>ni<br />

primaverili. Un breve melodramma, tratto dal Taucher dello Schiller (169) e presentato al Concorso Sonzogno del 1902<br />

non ebbe fortuna. Ma l’amore <strong>di</strong> Giovanni Pascoli gli fu <strong>di</strong> conforto e d’incitamento. Pascoli adorava il geniale<br />

interprete del suo poema – Il ritorno <strong>di</strong> Ulisse – e <strong>di</strong> alcune delle sue più profonde Myricæ, e gli inviava spesso quelle<br />

sue curiose letterine a caratteri chiari e minuti piene d’intuito, ricche d’idee e vive <strong>di</strong> adorabili sprezzature. In alcune<br />

accenna a certi suoi propositi ed intenzioni così originali per il teatro che farebbero la fortuna <strong>di</strong> un librettista e <strong>di</strong> un<br />

maestro, e propone allo Zandonai una grande trage<strong>di</strong>a: Paolo e Francesca. Ma varie <strong>di</strong>fficoltà sopravvenute non<br />

permisero al Pascoli <strong>di</strong> attuare la sua idea.<br />

Finalmente Zandonai, nel 1904, compare per la prima volta nel vasto mercato musicale <strong>di</strong> Milano. Qui bisognava<br />

affermarsi, valorizzarsi in qualche modo. La navigazione in quel mare agitato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenze, <strong>di</strong> rancori, d’invi<strong>di</strong>e, <strong>di</strong><br />

pettegolezzi, non fu delle più facili. Ma Arrigo Boito prese a cuore la sorte del piccolo maestro trentino e derogando<br />

una volta tanto dall’accordo stipulato e rigidamente mantenuto – molti musicisti sanno qualche cosa in proposito – con<br />

Giulio Ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> togliersi a vicenda la noia delle presentazioni e raccomandazioni <strong>di</strong> artisti, gli aprì le porte temute e<br />

sospirate della grande Casa. E Giulio Ricor<strong>di</strong>, acutissimo, perdonò generosamente l’infedeltà dell’amico illustre. Un<br />

anno dopo, nel novembre del 1908, il «Grillo del focolare», accettato dal Ricor<strong>di</strong>, venne eseguito a Torino per<br />

l’inaugurazione del teatro Chiarella e la prima foglia <strong>di</strong> lauro compensò la fatica del venticinquenne maestro. Al ricamo<br />

rado e trasparente <strong>di</strong> leggero umorismo che interpreta la sorridente novella del Dickens, profumata della tranquilla<br />

poesia domestica, seguì poco dopo con «Conchita», tratta dalla «Femme et le pantin» <strong>di</strong> Pierre Louys [sic], l’audacia<br />

cromatica e la passionalità perversa, la spasimante nervosità <strong>di</strong> una musica raffinata, modernissima.<br />

Contemporaneamente a «Conchita», lo Zandonai compose «Melenis», opera <strong>di</strong> densa drammaticità ed a forti rilievi, in<br />

cui il coro signoreggia, come nella trage<strong>di</strong>a greca, il dramma inquadrato nella magnifica, superba decadenza <strong>di</strong> Roma<br />

imperiale.<br />

Queste tre opere, che recano i segni <strong>di</strong> una vigorosa attività creatrice, sedussero il pubblico dei vari teatri d’Italia e<br />

dell’Estero e fecero vibrare, intorno al piccolo maestro, l’irruenza, animatrice per gli artisti, <strong>di</strong> appassionate<br />

<strong>di</strong>scussioni. La molle, multicolore atmosfera <strong>di</strong> sogno in cui vaga la sua musica e le spezzature ed i sacrifizî a cui<br />

costringe il declamato melo<strong>di</strong>co, da lui eletto come base del melodramma nello sfondo <strong>di</strong> un violento cromatismo<br />

orchestrale, non sono certo gli espe<strong>di</strong>enti, le prepotenze più sicure per soggiogare la folla. Eppure il maestro<br />

m’assicurava – non vorrei credere ad una sua garbata declinazione <strong>di</strong> autore acclamato verso la piccionaia sublime ed...<br />

i<strong>di</strong>ota – che l’esperienza che l’ha convinto che l’opinione, il giu<strong>di</strong>zio della folla è <strong>di</strong> un intuito così schietto e profondo<br />

e le sue affermazioni, ricostruzioni, così sicure e solide, da legittimare una convinta, quasi arrogante noncuranza verso<br />

la critica dotta ed officiale. È la rivalsa degli autori contro i critici. L’idea <strong>di</strong> Giovanni Pascoli <strong>di</strong> scrivere per lo<br />

Zandonai una trage<strong>di</strong>a, Paolo e Francesca, che non fu effettuata per ragioni in<strong>di</strong>pendenti dalla volontà del poeta e del<br />

giovane maestro, venne raccolta, con entusiasmo fraterno e con fede non fallace, da Gabriele d’Annunzio che gli affidò<br />

il suo poema d’amore e <strong>di</strong> sangue.<br />

Fra Zandonai e d’Annunzio, epistolografo quanto mai parsimonioso, corse allora una frequente corrispondenza.<br />

L’ansia dell’esule – trovavasi nel romitaggio <strong>di</strong> Arcachon – <strong>di</strong> conoscere la nuova veste della sua eroina trema spesso<br />

in queste lettere con accenti commossi. E quando il poeta poté, in casa Ricor<strong>di</strong>, u<strong>di</strong>re finalmente la musica, ne rimase<br />

preso ed abbagliato (170) . E veramente con «Francesca» la personalità <strong>di</strong> Riccardo Zandonai si è affermata. Il successo fu<br />

pieno, concorde. L’attività <strong>artistica</strong> <strong>di</strong> Zandonai, prima della «Francesca», non si univa in una linea ideale; era<br />

scomposta in varietà <strong>di</strong> attitu<strong>di</strong>ni per quanto efficaci e caratteristiche. Con questa opera i più genuini caratteri del suo<br />

temperamento si esemplificano e si intensificano raggiungendo assolutezza architettonica.<br />

Ora ha già finita una nuova comme<strong>di</strong>a – La via della finestra – su libretto che l’Adami ha tratto dallo Scribe. Ritorna<br />

così, il maestro, ai suoi primi passi, affascinato da quel genere <strong>di</strong> composizione – come il Grillo del focolare – che<br />

scarso <strong>di</strong> risorse e <strong>di</strong> effetti, contenuto e tenue, mette a prova le fibre più robuste e provate.<br />

S. M. la Piccionaia – in cui il maestro giura – giu<strong>di</strong>cherà.<br />

***<br />

Se interpellassi la sua domestica potrei informarvi sul colore delle calze, delle pantofole, del pigiama che il maestro<br />

porta, delle sue simpatie gastronomiche e, magari, delle sue gastriche ripugnanze. È obbligo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ligente, se non<br />

compiuto, cronista non <strong>di</strong>menticare certi dettagli curiosi dell’uomo celebre in pantofole e veste da camera. Il prestigio<br />

<strong>di</strong> un uomo illustre presso il mondo è costituito per una buona parte da certe singolarità ed abitu<strong>di</strong>ni quoti<strong>di</strong>ane; la folla


non accolta [?] in genere, nella sua innata superbia, il dominio delle celebrità che riducendole ai rapporti più modesti e<br />

più vicini ad essa.<br />

Di lui però posso <strong>di</strong>rvi che molto lavora, molto stu<strong>di</strong>a in questa calma solitu<strong>di</strong>ne provinciale. Pochissimi amici – bravi<br />

professionisti amanti <strong>di</strong> musica e taluno anche can<strong>di</strong>damente incompetente – che s’ingentiliscono nell’intimità<br />

spirituale con il giovane maestro. Intimità che ha bagliori <strong>di</strong> entusiasmo, sollevazioni cor<strong>di</strong>ali e, a volte, si chiude in un<br />

certo orgoglio pensoso, un po’ l’amarezza <strong>di</strong> chi ha molto sofferto e lottato ed è consapevole della propria forza.<br />

Accanto al maestro la gentilezza della moglie – una giovane e colta artista, una delle interpreti più intelligenti delle sue<br />

opere – la signora Tarquini-Zandonai, veglia affettuosa sull’operosità instancabile del maestro e partecipa con vigore <strong>di</strong><br />

animo e dolcezza consolatrice alle lotte ed alle ostilità, inevitabili, contro un giovane che suscita tanto interesse con la<br />

sua arte <strong>di</strong> sinfonista potente e <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>sta ispirato.<br />

Né la certezza <strong>di</strong> un avvenire sicuro ha elevato il tono della sua vita raccolta e modesta; né s’esilia, viziato dai fumi e<br />

gli incensi feratici <strong>di</strong> una reputazione già vasta, in quella specie <strong>di</strong> recon<strong>di</strong>to limbo ove l’<strong>umana</strong> vanità attende<br />

l’ufficiale assunzione ai cieli della gloria. Resiste nel suo spirito e si riflette nelle sue abitu<strong>di</strong>ni un frantumarsi in<br />

luccicori artificiali, o coagularsi in <strong>di</strong>ssolventi aci<strong>di</strong>tà incisive, o trastullarsi in spumeggiamenti subitanei e frizzanti.<br />

Conservatore nutrito e sobrio, non ama amabili <strong>di</strong>vagazioni: c’è sempre nei suoi <strong>di</strong>scorsi un accento <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tata<br />

convinzione e <strong>di</strong> severità alacre ed attiva e – benché non caustico – i sassi che getta <strong>di</strong> quando in quando nel verziere<br />

altrui colpiscono sempre giusto.<br />

Cacciatore appassionato e camminatore instancabile quale s’ad<strong>di</strong>ce ad un montanaro, da Pesaro risale coi suoi cani<br />

l’alta e rupestre Carpegna ove fra quei pastori e massari si è fatta una rinomanza venatoria <strong>di</strong> tiratore <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne.<br />

La guerra – per lui irredento – è la passione, l’ansia torturante che non gli dà requie. L’Austria, naturalmente, si è<br />

ven<strong>di</strong>cata <strong>di</strong> lui, che invece <strong>di</strong> attendere la coscrizione, l’internamento o qualche scherzo d’un rigido perpen<strong>di</strong>colarismo<br />

tutto proprio del paterno governo imperiale, si è fatto citta<strong>di</strong>no della sua grande patria: l’Italia.<br />

Si è ven<strong>di</strong>cata confiscandogli la casa <strong>di</strong> Sacco, ricca <strong>di</strong> libri, <strong>di</strong> oggetti d’arte, <strong>di</strong> care memorie e condannandolo al<br />

capestro.<br />

Tutto ciò è giusto e perfettamente austriaco.<br />

417<br />

Alessandro Benedetti, Profili - Riccardo Zandonai, «L’Italia che scrive» II/8-9-10, agosto-ottobre 1919 – p. 101<br />

Cammina per la propria strada aperta ed assolata, con passo sicuro e cuor tranquillo, senza sostare e compiacersi del<br />

cammino già fatto, senza avviature sollecite, cortesie beneauguranti: la buona ventura è lui stesso.<br />

Sa <strong>di</strong> giungere, e come, più lontano, con fiera e libera semplicità.<br />

Non ha bisogno, egli artista <strong>di</strong> autentica vocazione, spirito focoso ma fortificato in <strong>di</strong>scipline severissime e che poggia<br />

sopra una pura e squadrata certezza morale, <strong>di</strong> permute o concessioni, né lo seducono le mistificazioni che facilmente<br />

impaniano il pubblico.<br />

Resiste, per altro, in questo trentacinquenne montagnolo trentino, una energia ritorta, una nodosità verzicante <strong>di</strong><br />

capitozza che s’abbarbica profonda e le sue foglie hanno un tessuto più fibroso ed un più denso colore <strong>di</strong> quelle delle<br />

piante tirate su con potature avvedute e molte stabbiature. Si nutre della sua terra questo giovane che è, fra i nostri<br />

musicisti, italianissimo.<br />

Quattro opere principali: Il Grillo del Focolare, Conchita, Melenis, Francesca da Rimini, che suscitarono in Italia ed<br />

all’Estero fervore <strong>di</strong> lo<strong>di</strong> ed appassionate <strong>di</strong>scussioni, costituiscono la prima fase dell’attività creatrice <strong>di</strong> Zandonai. Le<br />

recentissime riprese della Francesca a Verona ed a Bologna furono definitiva conferma della vitalità piena <strong>di</strong><br />

quest’opera e del primo caloroso successo quale attende Conchita e Francesca – non c’è da temere – quando<br />

prossimamente affronteranno il gran pubblico dell’Opera a Parigi. Scaltrito nelle tecniche moderne e d’avanguar<strong>di</strong>a, le<br />

equilibra nel suo spirito con un largo senso <strong>di</strong> classica purificazione. Ma l’esperienza tecnica è in lui semplicemente<br />

accidentale, accessoria; mezzo non fine, forma spontanea per esprimersi. Poiché egli – è qui la sua originalità – ha delle<br />

idee.<br />

Possiede il fiuto sicuro del teatro, il segreto delle affascinanti ambientazioni.<br />

La sua progressione cromatica – sua perché questo metodo se lo è rilavorato e sviluppato intimamente, non<br />

adoperandolo come una estrinseca applicazione, meteriale d’accatto – non è che il <strong>di</strong>retto risultato della progressione<br />

della parte cantata. Zandonai, senza atassici vagabondaggi e senza violentare il suo istinto, trova i suoi accor<strong>di</strong><br />

costantemente sulla guida del canto. Perspicua caratteristica, inoltre, <strong>di</strong> Riccardo Zandonai è l’aderente valorizzazione<br />

della parola, la duttilità stupenda che si piega alle espressioni più varie, liquide e dense: ondulazione vibrante, arabesco<br />

funzionale e costruttivo, drammatico. Lirica pura, se Dio vuole.<br />

Tentando l’assaggio e la scomposizione dell’estetica <strong>di</strong> Zandonai, ciò che s’avverte, lucido e fermo, è che il sistema,<br />

dal quale mai deroga, della progressione cromatica è attuato per sola, l’unica attiva e positiva, forza appassionata,<br />

fantastica. Egli reagisce <strong>di</strong>rettamente ai suoi materiali. Importa accennare che questo proce<strong>di</strong>mento cromatico,<br />

Zandonai usa con la stessa coerenza e fedeltà nel dramma, come pure balza fervido nelle sue opere il lirismo delle parti<br />

vocali che vivono <strong>di</strong> una lor vita essenziale, marcate dal carattere nettamente italiano del suo temperamento.<br />

I brani costruiti quasi come arie, che si possono incontrare, risultano come vivide unità musicali, perché esprimono una<br />

concreta e profonda emotività. Siamo fuori, decisamente, da incalorite premiture tecniche, o, peggio, da trufferie <strong>di</strong><br />

mestiere. I professori, noteremo per incidenza e per lor consolazione, potranno rintracciare nella recente ristampa del


trattato orchestrale del Berlioz, curato dal maestro Panizza per la Casa Ricor<strong>di</strong>, alcune innovazioni tecniche <strong>di</strong><br />

Zandonai. Benissimo, ma quel che vale è la sua ricchezza ed originalità <strong>di</strong> idee, il vigor coloristico, il commosso<br />

sentimento della natura, l’incisività psicologica delle creature evocate, la versicolore allontanante atmosfera <strong>di</strong> sogno<br />

che ammorbi<strong>di</strong>sce le crudezze dei contrasti, le tenere, nostalgiche velature.<br />

Ar<strong>di</strong>to – gli ostacoli lo affascinano; a lui piace collaudarsi, e piegare le sue energie alle attitu<strong>di</strong>ni più <strong>di</strong>verse. La prima<br />

opera – non tenendo conto delle moltissime composizioni giovanili – Il Grillo del focolare è una comme<strong>di</strong>a musicale.<br />

E vinse la prova durissima.<br />

Dalla Femmina ed il bamboccio <strong>di</strong> Pierre Louys [sic], racconto scarsissimo <strong>di</strong> risorse teatrali, crea Conchita, arsa<br />

d’erotismo crudele sullo sfondo delle più abbaglianti e torride luminosità me<strong>di</strong>terranee.<br />

Fu un successo, che non ha bisogno <strong>di</strong> calzanti aggettivazioni.<br />

Dal romanticismo tenue, domestico, tutto trine e trasparenze vaporanti del Grillo del focolare, alla lussuriosa e<br />

scattante passionalità <strong>di</strong> Conchita, giustifica ancora la varietà e la fecon<strong>di</strong>tà eccezionali <strong>di</strong> questo maestro<br />

l’orizzontalismo <strong>di</strong> Melenis, dramma a rilievi netti, ad arcature larghe, solenni in cui il coro signoreggia. Così<br />

giungiamo a Francesca, alla tragica umanità dei due cognati, al più felice sforzo <strong>di</strong> creazione <strong>artistica</strong>: un vertice nella<br />

o<strong>di</strong>erna produzione musicale europea.<br />

Fin dal 1916 – e fu rappresentata nella passata estate – ha compiuta un’altra comme<strong>di</strong>a musicale: La via della finestra.<br />

Ritorna così, Zandonai, al punto <strong>di</strong> partenza, iniziando il secondo periodo della sua impetuosa attività creatrice che non<br />

ha abbandoni e riposi.<br />

E si è taciuto, riferendoci solo alle opere, della produzione marginale del maestro, alle sue esperienze culturali che si<br />

estendono dalla pittura alla letteratura.<br />

Alunno, a Pesaro, del Liceo Rossini sotto Pietro Mascagni, compiva il corso novennale in soli tre anni. La miseria,<br />

ferocissima ma fortificante, non gli consentiva stu<strong>di</strong> più riposati. Trentacinque anni: breve vita, già bene spesa,<br />

totalmente dominata dall’arte; mirabile esempio non solo intellettuale ma etico.<br />

Gentile anima rude. Un uomo dalle scarpe grosse, con un cervello stracarico <strong>di</strong> idee, che, anche per un musicista, non<br />

sono mai troppo abbondanti.<br />

418<br />

Zandonai fra Giulietta e Romeo - Alla vigilia <strong>di</strong> una «prima» al Costanzi, «L’Idea nazionale», 12.2.1922 – p. 5, col. 1-<br />

2-3-4<br />

An<strong>di</strong>amo.<br />

Voglio <strong>di</strong>re: an<strong>di</strong>amo al Costanzi dove si prepara «Giulietta e Romeo» che va in iscena il 14 sera.<br />

Eccoci qua.<br />

Si prova il primo atto. Sul palcoscenico sono montati gli scenari fatti da Stroppa. Gilda Dalla Rizza – Giulietta –, il<br />

tenore Fleta – Romeo – e il baritono Maugeri – Tebaldo – cantano. L’orchestra suona. Dei macchinisti mettono chio<strong>di</strong>.<br />

Il maestro Riccardo Zandonai <strong>di</strong>rige tutti.<br />

Zandonai alle prove<br />

Mascagni, quando prova, inforca gli occhiali e tiene delle brevi conferenze ai professori d’orchestra, agli artisti, ai cori.<br />

Ogni tanto posa la bacchetta, fa sospendere suoni e canti, e incomincia:<br />

-Sul declinare del secolo scorso...<br />

Oppure:<br />

-C’era una volta un Re potentissimo...<br />

E finisce per <strong>di</strong>rne una all’orchestra o ai cantanti.<br />

Mengelberg, alle prove, si leva la giacca e illustra la musica che <strong>di</strong>rige con esempi pratici, alla portata <strong>di</strong> tutti:<br />

-Queste terzine <strong>di</strong> biscrome sono tanti cavallini al galoppo... Attenzione alle semibrevi: è un signore che sopraggiunge<br />

a lenti passi...<br />

Toscanini va in escandescenze e qualche volta non prende cappello.<br />

Riccardo Zandonai, piccolo piccolo sul po<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>rige anche lui, alle prove, nervosamente. Ma parla poco, non<br />

s’impazientisce mai, tratta i professori d’orchestra e i cantanti con cortesia e deferenza. Di quando in quando una breve<br />

osservazione, un suggerimento, una correzione, fatta con molto tatto.<br />

È sempre «prego» e «grazie». Gli artisti gli sono grati <strong>di</strong> questo trattamento e glielo <strong>di</strong>mostrano con entusiasmo.<br />

Difatti, mentre entro, Zandonai mormora sfogliando a ritroso l’enorme spartito che sta sul leggìo:<br />

-Di nuovo, dal n. 36.<br />

Ed ecco che l’orchestra, obbe<strong>di</strong>ente e pronta, risuona il pezzo già eseguito e i cantanti lo cantano da capo.<br />

Ciò mi <strong>di</strong>mostra subito due cose: che Zandonai sa farsi obbe<strong>di</strong>re senza gridare e che il pezzo n. 36 ancora non va alla<br />

perfezione.<br />

Il canto e le gambe - Effetti e sorprese<br />

Si prova il duetto d’amore del primo atto. Giulietta canta dal suo balcone, Romeo dalla strada. Un amico che assiste<br />

alla prova ed ha assistito anche ad altre prove precedenti osserva come, in questo pezzo, Gilda Dalla Rizza interpreti la<br />

musica <strong>di</strong> Zandonai, oltre che con la sua bella voce, con tutto il corpo e specialmente con le gambe, alle quali fa


prendere, nei vari momenti drammatici e lirici del duetto, successive e <strong>di</strong>verse posizioni che sono sempre<br />

rispettivamente le stesse in tutte le prove già fatte. In altri termini, ai vari momenti e sentimenti del duetto d’amore<br />

corrispondono varii e costanti atteggiamenti delle gambe <strong>di</strong> Gilda Dalla Rizza.<br />

Ecco una nuova virtù della squisita artista. Non è chi non veda, <strong>di</strong> fatti, quale partito ella potrà trarre da questa sua<br />

facoltà, se vorrà sorvegliarla, educarla e svilupparla. Chi sa che, col tempo, ella non arrivi, perfezionando il sistema, a<br />

far gustare la musica anche ai sor<strong>di</strong>.<br />

Il fatto che a queste prove gli artisti vestono i loro abiti borghesi genera varii effetti. Per esempio, l’effetto singolare<br />

della «scolta» che percorre <strong>di</strong> notte le vie <strong>di</strong> Verona: arrivano tre signori in cappotto, cravatta e lobbia, suonando il<br />

tamburo, preceduti da un quarto signore in ghette e bombetta che canta un pauroso bando:<br />

Chi il sangue citta<strong>di</strong>no spargerà<br />

avrà la morte...<br />

È senza dubbio un effetto, questo della bombetta in testa al ban<strong>di</strong>tore me<strong>di</strong>oevale. Un effetto che il pubblico che<br />

interverrà alle rappresentazioni non potrà godere. Come pure è un effetto vedere Romeo – che la fantasia e il teatro ci<br />

hanno sempre presentato come il prestante innamorato cavaliere in farsetto – vederlo, <strong>di</strong>co, in pelliccia, col sigaro in<br />

bocca.<br />

Sempre s’hanno <strong>di</strong> questi effetti alle prove del teatro in costume. E qualche volta s’hanno effetti anche più singolari.<br />

Mentre, per esempio, Giulietta e Romeo fanno il loro duetto, vedo nel fondo della scena due uomini ascoltare<br />

cautamente e attentamente le loro frasi d’amore. Saranno, penso, due Capuleti in agguato. E mi preparo ad assistere alla<br />

sorpresa degli amanti, con conseguente ecci<strong>di</strong>o. Al contrario, finito il duetto, vedo con stupore i due uomini avvicinarsi<br />

agli amanti e complimentarli. Che?... Montecchi e Capuleti avrebbero fatto pace? Ma no. Salito sul palcoscenico,<br />

m’accorgo che i due presunti famigli in agguato non sono che il comm. Carlo Clausetti, <strong>di</strong>rettore generale <strong>di</strong> Casa<br />

Ricor<strong>di</strong> ed e<strong>di</strong>tore dell’opera, e il comm. Nicola D’Atri, grande amico <strong>di</strong> Zandonai, che l’opera gli ha de<strong>di</strong>cato.<br />

Ecco. Per non far nascere equivoci, dato che gli artisti alle prove vestono in borghese, non sarebbe un’idea <strong>di</strong> vestire in<br />

costume quelli che assistono?<br />

Pausa<br />

Finita la prova, Zandonai abbandona il po<strong>di</strong>o e s’inoltra nella platea dove è preso d’assalto dal piccolo pubblico<br />

formato da critici, amici, parenti, musicisti, e<strong>di</strong>tori ed impresari. Saluti, complimenti, scambi d’impressioni. Zandonai è<br />

sudato e la sua signora, che assiste a tutte le prove, accorre a fargli indossare il cappotto e a toglierlo dalle correnti<br />

d’aria. Il maestro deve mettere qualche firma a qualche spartito della «Giulietta», una <strong>di</strong> quelle magnifiche e<strong>di</strong>zioni<br />

Ricor<strong>di</strong> che rivaleggiano con le migliori e<strong>di</strong>zioni musicali estere. Si parla della andata in scena e degli ultimi<br />

preparativi. Zandonai contemporaneamente concede un’intervista, dà un or<strong>di</strong>ne a una maschera, un consiglio al<br />

<strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> scena, una preghiera alla protagonista, un appuntamento a un amico, una stretta <strong>di</strong> mano a un ammiratore,<br />

un’occhiata all’opera dei macchinisti; detta un telegramma, accende un sigaro, fuma una sigaretta, risponde a quattro<br />

<strong>di</strong>verse domande, sorride a un complimento; pare impossibile che possa fare tante cose insieme, piccolo com’è.<br />

Si parla del prossimo arrivo <strong>di</strong> Rossato, il librettista, che assisterà al varo.<br />

-Chi sa, osserva un amico con un sospiro, come se l’è presa per l’infortunio <strong>di</strong> Pinocchio innamorato! (171)<br />

-No, assicura un altro, sono in due gli autori. Quando s’è in due, la colpa è sempre dell’altro.<br />

-Allora, arrischia un terzo, se Giulietta e Romeo dovesse andare male, la colpa sarebbe per caso <strong>di</strong> Shakespeare?...<br />

Ma, a parte ogni altra considerazione, il libretto della nuova opera <strong>di</strong> Zandonai non ha nulla a che vedere con la<br />

trage<strong>di</strong>a shakespeariana.<br />

È l’ora <strong>di</strong> andare a colazione. Musicista, e<strong>di</strong>tore, interpreti e amici si traducono in massa alla vicina trattoria del<br />

Giglio (172) .<br />

Alla trattoria del Giglio - Ritorno al melodramma<br />

È una specie <strong>di</strong> continuazione e completamento delle quinte del Costanzi. Essa ha assistito impassibile al nascere e al<br />

tramontare <strong>di</strong> parecchie rivelazioni. Ha visto molte fortune e sfortune. E ne ha sentiti, smorzati un po’ dall’interposta<br />

via Torino, <strong>di</strong> applausi e <strong>di</strong> fischi!<br />

In questa trattoria, che conosce l’appetito <strong>di</strong> tutti gli autori delle novità italiane date al Costanzi, si riuniscono, nelle ore<br />

in cui non si prova dei giorni <strong>di</strong> prova, il maestro Zandonai, la sua signora, l’e<strong>di</strong>tore Clausetti, il <strong>di</strong>rettore della sede<br />

romana <strong>di</strong> Casa Ricor<strong>di</strong>, Giacompol, Nicola D’Atri e gli inseparabili amici <strong>di</strong> Zandonai, dottor Pizzini e maestro<br />

Michetti, del quale pure si darà quest’anno al «Costanzi» una novità, La Grazia.<br />

Eccoli qua, tutti a tavola. È l’unico luogo dove posso sperare, in questi giorni <strong>di</strong> gran lavoro, d’intervistar Zandonai.<br />

Ma Zandonai, alle prese con la pasta asciutta, è un po’ imbarazzato:<br />

-Un’intervista? Ma che posso <strong>di</strong>re in un’intervista?<br />

Evidentemente in certi casi l’imbarazzo è anche dell’intervistatore: che s’ha da domandare a un musicista alla vigilia<br />

della andata in iscena d’una sua nuova opera? Quanto v’ha messo d’ispirazione e quanto <strong>di</strong> dottrina? Quanto <strong>di</strong><br />

sincerità e quanto <strong>di</strong> programmatico? Ma sono domande da farsi? Allora, gli si domanderà come e in quanto tempo ha<br />

condotto il lavoro. Ahimè, non c’è da aspettarsi delle rivelazioni su questo terreno!<br />

-Ho scritto l’opera in tre<strong>di</strong>ci o quattor<strong>di</strong>ci mesi.<br />

La notizia può forse interessare, ma non commuovere fortemente. Allora? Allora, in questi casi, s’usa domandare che<br />

cosa ha inteso fare il musicista col suo nuovo lavoro. Ma che può rispondere il musicista? Evidentemente che ha inteso<br />

fare un nuovo lavoro.


-Programmi?<br />

-Nessuno. Solo un ritorno al nostro melodramma, un ritorno alle fonti, nel quale ho desiderato <strong>di</strong> portare una sensibilità<br />

che, essendo più moderna, è oggi più nostra. Il nuovo lavoro è più semplice e limpido delle mie precedenti opere, le<br />

quali sono molto più complicate e torturate. Ma questo avvenne perché <strong>di</strong>eci anni fa noi italiani eravamo considerati<br />

quasi degli ignoranti in fatto <strong>di</strong> musica. Ed io ho voluto fare una specie <strong>di</strong> schieramento <strong>di</strong> forze, per <strong>di</strong>mostrare che<br />

musica <strong>di</strong>fficile sapevamo farne anche noi. Ma oggi le cose sono cambiate e non occorre fare nessuna <strong>di</strong>mostrazione in<br />

questo senso. Anzi, <strong>di</strong> fronte a certi fatti come quello che si fa chiamare futurismo...<br />

Contro il futurismo - Casella e Strauss - Zandonai e il pubblico<br />

Questa parola, lasciata andare tranquillamente da Zandonai fra una forchettata e l’altra, suscita un pandemonio fra i<br />

convitati. Tutti gridano contro il futurismo musicale.<br />

-I futuristi – grida Nicola D’Atri agitando minacciosamente un affilato coltello – <strong>di</strong>cono che non vogliono regole. Non<br />

è una regola questa?<br />

-La miglior musica, <strong>di</strong>ce il maestro Michetti, è quella che viene dal cuore!<br />

E Zandonai:<br />

-Il vecchio Rossini <strong>di</strong>ceva: Com’è <strong>di</strong>fficile scrivere facile!<br />

Fra i più accesi è Clausetti che ricorda d’aver esortato una volta il maestro Casella (non quello <strong>di</strong> Dante) ad accettare<br />

qualcuna delle vecchie regole musicali, almeno come eccezione. Invano.<br />

E Clausetti aggiunge:<br />

-Quando Strauss <strong>di</strong>rigeva le prove della sua Salomè, ai presenti che allibivano per il susseguirsi e l’aggrovigliarsi delle<br />

scale <strong>di</strong>atoniche, <strong>di</strong>chiarava, rassicurandoli col gesto: Attendez: c’est du jar<strong>di</strong>n zoologique! E quando, alle ultime <strong>di</strong>eci<br />

battute dell’opera, gli astanti si rasserenarono udendo degli accor<strong>di</strong> all’antica, anche Strauss si rasserenò e <strong>di</strong>sse: C’est<br />

le bonheur de l’opéra!<br />

A proposito <strong>di</strong> musica facile e musica <strong>di</strong>fficile, Zandonai ricorda come il limpido e lungo finale del primo atto <strong>di</strong><br />

Francesca gli sia arrivato tutto in mezz’ora, tanto che, dubitoso della sua efficacia e vitalità, egli – che aveva in animo<br />

<strong>di</strong> fare un finale wagneriano – fu tentato <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggerlo. Ma non lo fece dopo che un suo amico – l’unica persona che a<br />

Sacco, il suo paese natìo dove si trovava, potesse dargli un consiglio – avendolo u<strong>di</strong>to, lo scongiurò <strong>di</strong> lasciarlo (173) .<br />

-Perché, conclude Zandonai, ci vuole del coraggio a scrivere facile! Io non faccio come quelli che <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> scrivere<br />

per il pubblico che verrà fra cinquant’anni. Modestamente, scrivo per il pubblico d’oggi, un po’ andando io verso <strong>di</strong> lui<br />

e un po’ lasciando che lui venga verso <strong>di</strong> me.<br />

Gli attacchi contro il futurismo musicale si fanno sempre più vivaci e generali, finché, sopraggiungendo il cameriere<br />

coi quarti <strong>di</strong> pollo e gli arrosti <strong>di</strong> vitello, tutti finiscono col trovare che, in fondo, i movimenti estremisti, nell’arte come<br />

in ogni campo, pur non potendosi accettare, sono salutari perché servono <strong>di</strong> spinta e <strong>di</strong> motore verso quell’equilibrio<br />

che si finisce poi col trovare sempre.<br />

Messisi d’accordo su questo punto, i convitati, con gioia della signora Zandonai premurosa della salute del marito,<br />

intensificano l’opera <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione delle vivande.<br />

Accor<strong>di</strong>, ricor<strong>di</strong> e Ricor<strong>di</strong><br />

Così la conversazione prende un tono più moderato, che <strong>di</strong>viene, con un rapido crescendo, allegretto. Un altro punto su<br />

cui tutti sono d’accordo col maestro Zandonai è nel tesser l’elogio dei professori d’orchestra del Costanzi, dei maestri<br />

sostituti Santini, Ricci e Arduini, del maestro dei cori Consoli e del suggeritore, anche del suggeritore, poverino, che<br />

sta sempre nella sua buca e nessuno nomina mai; del valoroso suggeritore Passari, reduce (se non fosse un suggeritore<br />

si <strong>di</strong>rebbe: dai trionfi) della Scala.<br />

Il pasto volge al termine, e la conversazione <strong>di</strong>viene più ilare. Qualcuno racconta che l’altra sera dopo la prova,<br />

terminata dopo la mezzanotte, il maestro Zandonai rientrò al suo albergo accompagnato da una larga e rumorosa<br />

brigata d’amici e <strong>di</strong> artisti che affollarono la sua camera e si dettero un gran da fare per bollire acqua, preparare il tè, le<br />

tazze, i piattini, i pasticcini. Senonché, sul più bello, dalla camera vicina giunse una voce cupa e cavernosa:<br />

-Ma la finiscano <strong>di</strong> lavare i piatti!...<br />

Era un tale a cui la lieta brigata aveva rotto l’alto sonno nella testa.<br />

Zandonai si compiace <strong>di</strong> ricordare come il suo amico Pizzini – uno dei convitati – a una delle prime rappresentazioni <strong>di</strong><br />

Conchita, che scatenò un putiferio, avesse affrontato un critico <strong>di</strong>cendogli in pubblico:<br />

-Lei non <strong>di</strong>ca tanto male del maestro Zandonai, altrimenti si <strong>di</strong>rà che non l’hanno pagato!<br />

Il dott. Pizzini non aveva detto «si <strong>di</strong>rà che l’hanno pagato», tuttavia il critico chiese spiegazioni e ne seguì una<br />

vertenza cavalleresca.<br />

Fra questi e altri conversari si fanno le 16: l’ora della prova <strong>di</strong> scena.<br />

A questo punto il comm. Clausetti, che anche a tavola fa il <strong>di</strong>rettore generale <strong>di</strong> Casa Ricor<strong>di</strong>, s’alza e batte tre colpi<br />

con le mani. Imme<strong>di</strong>atamente tutti si alzano e dai tavoli circostanti, dove pareva stesse mangiando un pubblico <strong>di</strong><br />

estranei, ve<strong>di</strong>amo spuntare, come per miracolo, qua Gilda Dalla Rizza, là il tenore Fleta, più giù il baritono Maugeri e<br />

quasi tutti i personaggi della nuova opera <strong>di</strong> Zandonai: quegli inconciliabili Montecchi e Capuleti che, all’ora del<br />

pranzo, <strong>di</strong>mentichi dei vecchi rancori, si riuniscono tutti in fraterna agape.<br />

419


Ugo Milelli, Riccardo Zandonai lavora - Da «La via della finestra» a «Gösta Berling», «La Tribuna», 24.2.1923 – p.<br />

3, col. 2-3-4<br />

TRIESTE, febbraio<br />

La trama della «Via della finestra» nella finzione scenica <strong>di</strong> Giuseppe Adami musicata da Riccardo Zandonai è<br />

arcinota.<br />

[...] Riccardo Zandonai, in uno <strong>di</strong> quei brevi ritagli <strong>di</strong> tempo che gli concedono le sue dure fatiche e <strong>di</strong> compositore e <strong>di</strong><br />

maestro concertatore, mi confessa can<strong>di</strong>damente che soltanto una scena del gaio vaudeville <strong>di</strong> Scribe lo ammaliò al<br />

punto da indurlo a musicare quel soggetto che oggi corre per i palcoscenici d’Italia suscitando ovunque entusiasmi se<br />

non eccessivi schietti e adeguati alla mole dell’opera.<br />

Il punto che sedusse il musicista fu proprio la scalata alla finestra. E ce ne erano motivi sufficienti per Riccardo<br />

Zandonai: la notte nel parco, nell’ombra, il verone a petto d’oca fiorito, lontano l’odore caldo del fieno da poco<br />

falciato; e poi l’entrata in scena della scala, la pesante scala che le manine bianche e delicate <strong>di</strong> Gabriella reggono a<br />

stento, la salita fra un ondeggiare <strong>di</strong> pizzi e <strong>di</strong> merletti, e il canto finale d’amore della coppia riconciliata sotto la<br />

carezza bianca della luna nascente. Fin troppo, per un musicista le cui caratteristiche principali vanno ricercate in un<br />

possente amore per le cose buone, gran<strong>di</strong> o piccole, ma buone e colme <strong>di</strong> una dolcezza profonda.<br />

La première <strong>di</strong> Trieste de «La via della finestra» ha avuto importanza <strong>di</strong> première nazionale in quanto l’opera è giunta<br />

nella città redenta notevolmente mutata dalla soppressione <strong>di</strong> un intero atto, il secondo. La ragione del sacrificio è da<br />

attribuirsi alla opportunità sentita dall’autore <strong>di</strong> non <strong>di</strong>luire trascurabili episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> dettaglio che avrebbero menomato il<br />

valore <strong>di</strong> tutta l’opera, già <strong>di</strong> per se stessa <strong>di</strong> una fralezza estrema. La trama del lavoro, del resto, non risentendone<br />

alcun danno, persuade appieno della efficacia dell’operazione compiuta.<br />

Riccardo Zandonai è così totalmente sod<strong>di</strong>sfatto: «La Via della finestra» rimane, e con essa la scala, il parco<br />

nell’ombra e, lontano, l’odore caldo del fieno falciato...<br />

Ma non basta.<br />

La «Via della finestra» segna nella progressione <strong>di</strong> lavoro del Maestro trentino i limiti <strong>di</strong> un’oasi breve, in<strong>di</strong>spensabile<br />

sebbene tenue compenso allo spirito del musicista travagliato dalla fatica immane compiuta fino ad oggi. Al lottatore<br />

più gagliardo occorre nella lunga tenzone l’attimo non dell’abbandono che <strong>di</strong>strugge, ma del respiro che alimenta i<br />

polmoni e tempra i muscoli per i cimenti maggiori. E a questo si accinge oggi Riccardo Zandonai poiché la tregua è<br />

scaduta.<br />

Nel «Gösta Berling» <strong>di</strong> Selma Lagerlow [sic] il Maestro ha scovato qualche cosa da cui si ripromette <strong>di</strong> trarre una<br />

gran<strong>di</strong>osa opera lirica.<br />

Nel romanzo della maggiore scrittrice contemporanea svedese è contenuta infatti tanta materia prima da dar vita a<br />

parecchi libretti <strong>di</strong> potentissima quadratura. Ma la scelta è seria e richiede scrupolosità <strong>di</strong> intenzioni e <strong>di</strong> lavoro sia da<br />

parte del poeta che del musicista, i quali dovranno lottare contro non in<strong>di</strong>fferenti ostacoli, il primo per raccogliere tutte<br />

le preziose bellezze che a piene mani sono state profuse nel romanzo della Lagerlow, il secondo per adattare al suo<br />

temperamento artistico motivi se pur poderosamente lirici, lontani certo da ogni carattere fondamentale dell’arte<br />

italiana.<br />

[...] Arturo Rossato troverà senza dubbio la tela <strong>di</strong> quello che potrebbe essere, come libretto, opera a sé, un vero<br />

gioiello artistico. Tutto il resto della parte centrale del romanzo è de<strong>di</strong>cato poi alla narrazione <strong>di</strong> fatti minori e non<br />

in<strong>di</strong>spensabili agli scopi <strong>di</strong>retti del poeta – se analizzati con inten<strong>di</strong>menti teatrali – ma ad ogni modo d’impareggiabile<br />

scorta per ciò che sarà la massima fatica del musicista in materia <strong>di</strong> folklore.<br />

[...] Riccardo Zandonai si appresta a rinchiudersi nella pace dei suoi monti <strong>di</strong> Sacco per me<strong>di</strong>tare la sua nuova opera.<br />

Da un anno <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne nacquero «Conchita», la «Francesca» e «Giulietta», da un anno <strong>di</strong> feconda solitu<strong>di</strong>ne balzerà<br />

«Gösta Berling».<br />

Non importa se le creature del Vermlasd [sic] sono tanto lontane dalle anime nostre; non importa se il gelo impera<br />

lassù, presso le rive del Leuven; il cimesti [?] è qui: vivificare dello spirito latino quelle fiamme che a noi appariscono<br />

incerte nel velo delle nebbie nor<strong>di</strong>che, trapiantare nel duro macigno del fiordo un tralcio <strong>di</strong> gelsomino italico e<br />

chiuderne tutto il profumo nell’essenza <strong>di</strong> una bella opera d’arte che da Riccardo Zandonai atten<strong>di</strong>amo con fede.<br />

4<strong>20</strong><br />

Mario Matteucci, Riccardo Zandonai pesarese, «Il Giornale d’Italia», 15.1.1925 – p. 4 (con una fotografia <strong>di</strong><br />

Zandonai)<br />

Pesaro, gennaio.<br />

Zandonai abita a Pesaro una piccola casa, dall’aspetto esteriore più che semplice: un piano, quattro finestrelle uguali<br />

colle persiane ver<strong>di</strong>, una casa insomma da... zona terremotata qual è Pesaro. Ma se l’esterno è banale e incolore, in<br />

compenso l’appartamento abitato dal Maestro ha tutto il carattere e l’impronta del suo Signore, che è un buongustaio in<br />

materia <strong>di</strong> estetica e <strong>di</strong> eleganza. C’è dappertutto quel simpatico miscuglio <strong>di</strong> mobili in noce scura, dalla pura linea<br />

trecentesca, e damaschi e tappeti, e sulle pareti, a iosa, quadri, stampe, xilografie e poi musica, libri, fiori... Insomma ci<br />

si vede la mano dell’artista che, nel duro lavoro della composizione ha bisogno <strong>di</strong> circondarsi <strong>di</strong> un ambiente<br />

simpatico, estetico, che non urti contro la sua sensibilità <strong>artistica</strong>.


Zandonai mi riceve nel suo salotto, tra il piano, ormai sacro alla storia, e i suoi cani, compagnia che il Maestro<br />

pre<strong>di</strong>lige e che lo occupa sovente negli scorci <strong>di</strong> “ozio” pesarese.<br />

Questo nostro giovane e già grande Maestro ha un carattere vibrante, pieno <strong>di</strong> energia e <strong>di</strong> geniale varietà. Zandonai è<br />

uno dei tipi più spiccatamente caratteristici <strong>di</strong> quel genio poliedrico ed enciclope<strong>di</strong>co che è proprio della nostra razza.<br />

Non sta chiuso nell’ambito del suo tema musicale, ma con entusiasmo e con calore <strong>di</strong>scute e si interessa <strong>di</strong> pittura, <strong>di</strong><br />

letteratura, <strong>di</strong> politica (questa poi con un ottimismo sereno e imparziale) e dà a chi l’ascolta l’impressione <strong>di</strong> una natura<br />

eccezionalmente viva, esuberante...<br />

Questa esuberanza <strong>di</strong> Zandonai è un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> gioventù! E ben lo sa Pesaro che ne ha conosciuti i primi anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>.<br />

C’è in molti qui nelle Marche la persuasione che Zandonai sia Pesarese, perché ormai la sua carriera <strong>artistica</strong> e la sua<br />

opera musicale è così legata a questa citta<strong>di</strong>na marchigiana che <strong>di</strong>fficilmente si risale alle sue origini tridentine.<br />

«C’è una specie <strong>di</strong> fato nella mia vita che mi tiene avvinto a questa città che ha conosciuto i miei anni migliori. E non<br />

mi posso sottrarre a questo “fato”. Vi basti sapere che dopo la guerra, affermatasi la mia opera musicale, un complesso<br />

<strong>di</strong> circostanze mi avrebbero consigliato a lasciare Pesaro per stabilirmi in un grande centro. Ma non vi riuscii. Il fascino<br />

<strong>di</strong> questa citta<strong>di</strong>na fu più forte delle ragioni d’opportunità. E rimasi...<br />

«La mia vita è <strong>di</strong>venuta un po’ vagabonda, per necessità <strong>di</strong> cose; le mie “Giuliette” e le mie “Francesche” mi obbligano<br />

<strong>di</strong> tanto in tanto a fare delle scappate fuori: il Trentino mia patria mi ospita in estate, ma la base, il focolare è sempre<br />

Pesaro, dove ho stu<strong>di</strong>ato, da dove mi son lanciato...<br />

«Come mai sono venuto a cadere dalle Alpi sulle rive dell’Adriatico? È la fama del liceo Pesarese che mi ha attratto;<br />

già amavo assai e coltivavo la musica. Trovai a Pesaro due bravi vecchi, miei conterranei, i coniugi Kalschmied [sic],<br />

che abitavano questa casa che ancora mi ospita.<br />

«Poveretti! Ne hanno viste delle belle nei primi anni!»<br />

Questo commento ironico <strong>di</strong> Zandonai mi ricorda quello che mi hanno raccontato dei suoi primi anni <strong>di</strong> Liceo. Era un<br />

vero ragazzaccio in<strong>di</strong>avolato. Quella esuberanza <strong>di</strong> vita, che poi ha contribuito a ispirare e creare la sua musica potente,<br />

ricca <strong>di</strong> succo, talora quasi spasmo<strong>di</strong>ca, allora si rivelava nella irrequietezza più “pericolosa”... Non poteva star fermo<br />

un minuto e le vittime della sua irrequietezza erano: il pianoforte e i vicini!<br />

Il buon vecchio Kalschmied è ora tornato in Trentino, sua patria, e nella sua casetta pesarese non c’è rimasto che il<br />

“ragazzaccio” <strong>di</strong>venuto grande Maestro nel pieno fulgore della sua fama <strong>artistica</strong>.<br />

***<br />

«La mia musica – <strong>di</strong>ce Zandonai – è stata giu<strong>di</strong>cata in mille mo<strong>di</strong>. I critici ne hanno dette <strong>di</strong> tutti i colori e <strong>di</strong> tutti i toni.<br />

Il giu<strong>di</strong>zio lo ha dato il pubblico: Giulietta e Francesca sono ormai <strong>di</strong>venute popolari. Quest’anno ce ne saranno una<br />

ventina in Italia...<br />

«La Via della finestra per il momento dorme. Anche qui bisogna far conto sulla ispirazione degli impresari. Ci sono<br />

delle opere che per qualche anno vivono nell’ombra, poi viene il momento in cui un impresario si accorge che l’opera è<br />

abbastanza "commerciale" e si persuade a lanciarla; ed ecco che non finisce più <strong>di</strong> girare i teatri.<br />

«I cavalieri <strong>di</strong> Ekkebù [sic] sono ultimati e andranno in scena nel prossimo febbraio alla Scala, <strong>di</strong>retti da Toscanini. Poi<br />

li avrete a Roma.<br />

«La trama dell’opera, tratta da una novella norvegese [!] della Lagerlöw [sic] è un soggetto fantastico, ricco <strong>di</strong> caratteri<br />

più o meno ben definiti, e talvolta evanescenti. Nel musicarla ho dovuto dar vita e forma a questi personaggi,<br />

drappeggiandoli in una veste musicale. È musica fluida, semplice, e mi son stu<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> rendere il soggetto più<br />

accessibile al nostro temperamento musicale, trasportandolo dalle brume del Nord nella nostra calda terra. Per il<br />

momento non scrivo altro; mi riposo, o meglio aspiro al riposo, perché un artista <strong>di</strong>fficilmente può riposare quando è<br />

stato colto da quella sacra febbre che è la creazione... E per il riposo, chiamiamolo così, non c’è miglior angolo <strong>di</strong><br />

mondo che questa citta<strong>di</strong>na quieta, abitata da gente laboriosa e buona, profondamente buona nell’anima.<br />

«E poi c’è un po’ <strong>di</strong> spirito artistico in tutti, in questa regione; gli artisti, piccoli e gran<strong>di</strong>, vi pullulano. Voi trovate, in<br />

alcuni piccoli centri, dei pittori forti, degli incisori pieni <strong>di</strong> carattere, degli uomini <strong>di</strong> grande valore che lavorano<br />

nell’ombra, con quella modestia un po’ ritrosa che caratterizza i marchigiani e che contrasta così vivamente colla<br />

intraprendenza dei meri<strong>di</strong>onali. E sovente questi uomini <strong>di</strong> valore fioriscono e si avvizziscono, <strong>di</strong>menticati nei loro<br />

paesi oscuri, dove non c’è altra gloria che quella del sole e della lussureggiante vegetazione. È un grande popolo<br />

semplice a cui mi sento intimamente legato».<br />

Zandonai mi ha espresso così le sue impressioni musicali e ambientali: non mi resta che congedarmi da lui e prendere<br />

la... via della finestra, per tornarmene nel "centro" della metropoli pesarese...<br />

421<br />

ABI’, Alla vigilia dei «Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù». Con Riccardo Zandonai, «Corriere d’Italia», 28.3.1925 – p. 3, col. 5-6<br />

(con foto <strong>di</strong> Zandonai)<br />

Sia in lui fierezza, celata nelle forme più eleganti e <strong>di</strong>vaganti del riserbo e dell’elusione, o piuttosto pudore per le<br />

intime appassionate responsabilità che impegnano l’artista, Zandonai non indulge ad inchieste, è premunito verso le<br />

in<strong>di</strong>screzioni. In fatto <strong>di</strong> musica, ed in ispecie della sua musica, è opaco e <strong>di</strong>stratto, come se fosse faccenda, in<br />

apparenza, che non lo riguar<strong>di</strong>. Al più vi rimanda, se vi garba, alle creature che egli ha creato e che vivono sulle scene<br />

e con gli anni appaiono rinvigorite e più belle. Sembrerebbe, pertanto, una posa scontrosa, ma è invece semplicità <strong>di</strong><br />

uno che sa <strong>di</strong> compiere – né se ne insuperbisce – un austero dovere: scriver musica. Quella gelosa <strong>di</strong>visa, insinuante il


sospetto maligno che in fondo ad essa ci sia della civetteria o peggio, potrebbe anche rispondere ad una convinzione:<br />

che l’artista cioè, in quanto artista, debba essere e rimanere un solitario, lontano dai propri simili, e come uomo vivere<br />

la vita comune. Convinzione non proclamata ma vissuta da Zandonai durante una operosità dura e senza soste per<br />

vent’anni: dalla prima prova col Grillo del focolare ai recenti Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù. Chi gli è amico può testimoniare con<br />

quanta cor<strong>di</strong>alità si apra il cuore del maestro, cor<strong>di</strong>alità robusta <strong>di</strong> certe asprezze montanine, sia pure chiusa nella nera e<br />

bianca bardatura officiale <strong>di</strong> una prima.<br />

Nato nel Trentino, è rimasto fermamente fedele alla montagna. E se s’appoggia, per molti mesi all’anno, a Pesaro è<br />

anche perché <strong>di</strong>etro i colli coronanti la città adriatica s’incarna, vasta e rupestre, la Carpegna. lassù c’è caccia: lepre,<br />

starna, beccaccia e, lungo i greti limacciosi del Foglia, l’anatra. Piace al maestro la braccata, solinga e faticosa, ricca <strong>di</strong><br />

imprevisto, al seguito dei suoi cani dei quali racconta miracoli. A credergli sono quelle le ore sue più leggere e<br />

riposanti e, talvolta, da esse ripullulano, inavvertite, immagini <strong>di</strong> poesia. Lo Zandonai più intimo e aperto lo troviamo<br />

in questo suo <strong>di</strong>porto all’aria aperta meglio che nel suo stu<strong>di</strong>olo pesarese, piccolo come una cabina, da far posto appena<br />

alla massa d’ebano lucente del pianoforte. L’unica finestra, quasi sbarrata da una scrivania, si apre su pochi palmi <strong>di</strong><br />

giar<strong>di</strong>no, fra aprile e settembre sontuoso dei rasi e dei velluti <strong>di</strong> svariati rosai. Niente della torre eburnea, del<br />

laboratorio dell’esteta, a cui una moda <strong>di</strong> decadenza ci aveva abituati: la scarsezza, or<strong>di</strong>nata e necessaria, degli arre<strong>di</strong><br />

del mestiere e basta. Qui è nata Francesca, è nata Giulietta, son nati i Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù.<br />

Fatterelli e curiosità, se ce ne fossero, gioverebbero a colorire la <strong>figura</strong> <strong>di</strong> Zandonai, a proporci con vivacità icastica<br />

qualche sua abitu<strong>di</strong>ne ed aspetti del suo carattere, che è il modo amabile dei contemporanei, magari con qualche goccia<br />

<strong>di</strong> fiele e <strong>di</strong> gelosia, <strong>di</strong> rappresentare gli uomini illustri o singolari dell’epoca. Notificare il colore preferito da lui per i<br />

vestiti, le gradazioni <strong>di</strong> luce <strong>di</strong>urna e notturna favorevoli all’ispirazione, le qualità delle bevande stimolanti, la forma e<br />

morbidezza della poltrona in cui si trincera per gli ozî sognanti, quelle inezie o manie, vere o supposte, che definiscono<br />

ciascun uomo geniale che si rispetti, sarebbe vano e bugiardo. Decadono le favole, gaie e tristi, anche intorno ai poeti e<br />

nel certificato anagrafico, sommario e preciso, è ridotta la loro biografia.<br />

Poco più che quarantenne, è nato a Sacco <strong>di</strong> <strong>Rovereto</strong> nel 1882 [!], da umile famiglia la quale, per quanto si sappia, non<br />

fu mai prima illustrata da talenti musicali. La rinomanza ha per lui anticipato il termine risolutivo in cui ella si concede<br />

o repugna ai suoi can<strong>di</strong>dati.<br />

Il largo consenso <strong>di</strong> pubblico e <strong>di</strong> critica che ha accompagnato l’ascesa del giovane maestro fu rapido, ma non <strong>di</strong> facile<br />

conquista. Ma Zandonai crede nella critica o nella folla, nell’élite o nel lubbione? Escluse, ben inteso, preoccupazioni<br />

insospettabili in un artista così severo e squisito, è incontestabile che le gioie maggiori gli son venute dal pubblico il<br />

quale, si sa, non esiste se non in quanto è espresso dalla suggestione, dal dominio dell’opera d’arte. Della giovinezza<br />

stentata e tutta spesa nell’intelligente sgobbo, nutrita dagl’insegnamenti del suo primo maestro, il Gianferrari – tre anni<br />

gli bastarono per compiere il corso novennale al liceo Rossini in Pesaro – non parla anche se richiesto; la considera<br />

un’ingrata, in<strong>di</strong>spensabile prova da non ricavarci, per vanità, il farsetto liso e romantico del giovane povero ad<br />

e<strong>di</strong>ficazione dei negligenti.<br />

Anni memorabili ed in<strong>di</strong>menticabili, quelli, quando Mascagni – Mascagnone, come è affettuosamente chiamato –<br />

irritava e sconvolgeva, con la foga torrenziale del suo spirito, la proba quietezza provinciale, nel secolo scettico e<br />

positivista, umbertino. Ma <strong>di</strong> Pesaro Mascagni aveva pur fatto un centro musicale che richiamava scolari da ogni parte<br />

d’Italia e del mondo. In quella fertile scuola crebbero Zandonai, Pratella, Forzano, che ha poi preso altre vie, tutta una<br />

schiera <strong>di</strong> valenti professionisti, <strong>di</strong> compositori nobilissimi, <strong>di</strong> teorici profon<strong>di</strong> ed acuti.<br />

Pure senza avere i caratteri del fenomeno, Zandonai, fin da quegli abbreviati e stu<strong>di</strong>osi anni <strong>di</strong> conservatorio, rivelò la<br />

sua vena viva e ricca tanto che, a volte, fu in sospetto all’invi<strong>di</strong>a dei con<strong>di</strong>scepoli e al <strong>di</strong>ffidente sussiego professorale.<br />

Licenziatosi a pieni voti dal Liceo pesarese, sovraccarico <strong>di</strong> sogni e <strong>di</strong> stretta miseria ma senza aria <strong>di</strong> sfida<br />

donchisciottesca, lui così magrolino e schivo eppure con un coraggio morale ed intellettuale pari alla necessità, va a<br />

Milano a coltivare in quel suolo insi<strong>di</strong>oso il suo ramoscello <strong>di</strong> lauro. Ma anche questo periodo tribolato della vita del<br />

giovane maestro non ha rilievi <strong>di</strong> avvenimenti strani o memorabili.<br />

Poche e buone parole del Boito gli aprono la venerata e temuta Casa Ricor<strong>di</strong>.<br />

Una fortuna sì, ma non una offerta, una fortuna che va conquistata.<br />

Il Grillo del focolare, Melenis e poi Conchita, che Puccini aveva desiderata e poi rifiutata, giustificano presso i signori<br />

della grande Casa la presenza dell’ospite riguardoso e sopratutto lavoratore instancabile. Poi Francesca e La via della<br />

finestra e Giulietta ed ora i Cavalieri, senza tener conto delle molte raccolte <strong>di</strong> liriche e sinfonie e componimenti vari.<br />

Con coscienza serena, adunque, Zandonai può riguardare la strada percorsa.<br />

La scelta del canovaccio del soggetto è la pena del maestro, ma trovatolo aderente al proprio temperamento e resolo,<br />

per fantasia e me<strong>di</strong>tazione, caldo e vivo come il suo sangue, non rimane a Zandonai che ripetere sulla tastiera, tradurre<br />

nella scrittura leggera e limpida, quasi definitiva come una copia. Questa sicurezza <strong>di</strong> lavoro garantisce per altro il<br />

librettista da esigenze alle quali dai compositori è sovente sottoposto il loro collaboratore dal multiforme supplizio<br />

delle mutilazioni, delle aggiunte, dei rifacimenti. Arturo Rossato, che ha partecipato ai recenti successi del maestro con<br />

Giulietta ed i Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù, attesta che Zandonai è anche per questo l’ideale dei compositori.<br />

Zandonai in fatto <strong>di</strong> librettisti ha avuto fiuto. Per certe affinità liriche, paesistiche e sentimentali, subì la seduzione delle<br />

Myricæ e ne musicò parecchie. Giovanni Pascoli allora propose entusiasta al giovanissimo maestro or<strong>di</strong>ti<br />

melodrammatici che però non andarono oltre le molte promesse e le ripetute assicurazioni. Diversamente andarono le<br />

cose per Francesca da Rimini, la nostra Francesca, come spesso ricorre nelle lettere che D’Annunzio inviava<br />

dall’eremo <strong>di</strong> Arcachon a Zandonai che con lena si era accinto a musicare il poema.


Ma a D’Annunzio non è stato finora consentito <strong>di</strong> assistere ad una rappresentazione dell’opera. Verso la fine del 1919,<br />

mentre il poeta teneva Fiume, se ne dava, a Trieste, un’esecuzione magnifica. E pur allora il poeta doveva, in una<br />

lettera piena <strong>di</strong> crucci e <strong>di</strong> ardore, significare al maestro il rammarico <strong>di</strong> non poter venire al Teatro se non con una<br />

autoblindata, che è un veicolo incomodo e forse pericoloso.<br />

Poiché Zandonai non si arrende alle interviste, le crede troppo superbiose per definire la propria personalità davanti al<br />

pubblico, è superfluo chiedergli quale delle sue opere preferisce. Tuttavia se il debole della paternità va per ragioni <strong>di</strong><br />

tempo ai neonati Cavalieri, le sue preferenze più riposate <strong>di</strong> creatore, per quel tanto che è dato travedere, debbono<br />

essere per Conchita, l’impetuosa e perfida sigaraia sivigliana.<br />

Fra le non minori consolazioni che i Cavalieri hanno procurato a Zandonai, anche se non lo confessa, vi devono essere<br />

<strong>di</strong> certo il sorriso benigno <strong>di</strong> Toscanini e quei colpetti – un modo come un altro <strong>di</strong> approvazione – che il magico<br />

interprete gli assestava con tanto garbo affettuoso sulle spalle quando insieme, lui piccolo e nodoso, l’altro <strong>di</strong> sottile e<br />

vantaggiosa statura, si affacciavano, evocati, al proscenio della Scala.<br />

422<br />

Raffaello De Rensis, Il “curriculum” <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, «La nuova Italia musicale» IV/11, novembre 1931 – pp.<br />

9-12<br />

C’è bisogno, oggi, <strong>di</strong> parlare dell’arte <strong>di</strong> Zandonai?<br />

Non dovrebbe essercene, invece sarà opportuno<br />

ricordarla a qualche smemorato <strong>di</strong> quelli che guidano<br />

le organizzazioni teatrali.<br />

La spiccata natura <strong>di</strong> compositore teatrale s’è rivelata in Zandonai, decisa e <strong>di</strong>stinta, fin dalla prima opera.<br />

Non aveva che ventisei anni, ma egli s’era addestrato in alcuni poemi per soli, cori e orchestra ispirati alla dolce musa<br />

<strong>di</strong> Giovanni Pascoli, aveva effuso il suo istintivo calore melo<strong>di</strong>co in liriche appassionate, aveva affrontato i problemi<br />

del gioco scenico in fiabe e leggende.<br />

Tutto per sé, e tutto è rimasto ine<strong>di</strong>to; anche un suo Inno per gli studenti del Trentino, nel quale freme l’amore<br />

impetuoso per la patria, giace nel geloso cassetto.<br />

Solo questa segreta ed ardente preparazione spirituale e formale spiega la salda e quasi precoce maturità <strong>di</strong> Zandonai<br />

nella sua prima opera. Spiega un’altra cosa: la esatta conoscenza del momento storico del melodramma italiano e la<br />

maniera <strong>di</strong> intervenire per assicurargli continuità e sviluppo.<br />

La primavera melodrammatica, che sorse intorno alla gloriosa vecchiezza <strong>di</strong> Giuseppe Ver<strong>di</strong>, costituita dalla allora<br />

giovine scuola: Catalani, Mascagni, Puccini, Franchetti, Cilea, era nel pieno rigoglio e splendore. Costoro mantennero<br />

e mantengono all’opera italiana il tra<strong>di</strong>zionale posto d’onore nelle competizioni internazionali; ma costoro, per ragioni<br />

<strong>di</strong> educazione <strong>artistica</strong> e per l’età, non riuscirono ad adattarsi al nuovo clima musicale prodotto dalle continue<br />

innovazioni e rivolte, che venivano irruenti dall’oriente e dall’occidente. Costoro, compreso Puccini, il più garbato e<br />

pronto assimilatore, non potevano mutar sistema, e concepire e tentare un tipo <strong>di</strong> opera più aderente alla sensibilità<br />

moderna.<br />

Questo compito, gravido <strong>di</strong> responsabilità, toccava ai giovani, ed i giovani erano, venti anni ad<strong>di</strong>etro, Alfano,<br />

Montemezzi, Pizzetti, Respighi, Zandonai e qualche altro, i quali, ciascuno secondo gli stu<strong>di</strong> compiuti e gli ambienti<br />

frequentati, si sono accinti alla risoluzione del complesso ed intricato problema dell’opera.<br />

Montemezzi si <strong>di</strong>mostrò troppo ligio all’incantesimo wagneriano, e per questa sua posizione, <strong>di</strong>remo tar<strong>di</strong>grada, è<br />

rimasto fuori dalla corrente innovatrice.<br />

Alfano e Respighi, fortissimi strumentatori a cui nessun lenocinio tecnico è ignoto, non sempre ebbero la precisa<br />

visione dell’equilibrio e della essenzialità degli elementi costruttivi del dramma. Essi, d’altra parte, specie Respighi che<br />

oggi è un magnifico campione, hanno de<strong>di</strong>cata molta della loro attività alla composizione sinfonica e da camera, per<br />

cui il loro contributo al teatro è ancora in azione.<br />

Pizzetti, salvo a vedere i risultati definitivi, ha preso subito netta e personale posizione con una concezione del dramma<br />

in senso unitario e inscin<strong>di</strong>bile, che è attuata in Debora e in Fra Gherardo più che in Fedra.<br />

Zandonai, nutrito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>i profon<strong>di</strong> fatti nel silenzio e nella solitu<strong>di</strong>ne, ansioso <strong>di</strong> appropriarsi <strong>di</strong> tutti i nuovi portati<br />

della tecnica armonica e strumentale, naturalmente sospinto verso il teatro, si deve esser posto subito questo quesito: –<br />

l’opera italiana reclama una maggiore adesione tra nota e parola, la melo<strong>di</strong>a non può essere abolita ma deve<br />

trasformarsi per sod<strong>di</strong>sfare e placare la nuova sensibilità; la funzione dell’orchestra, senza ricorrere pe<strong>di</strong>ssequamente ai<br />

sistemi <strong>di</strong> Wagner e <strong>di</strong> Debussy, va nobilitata ed adoperata come elemento psicologico e descrittivo <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne.<br />

Inoltre – deve aver pensato Zandonai esor<strong>di</strong>ente – c’è urgenza <strong>di</strong> uscire dagli ambienti veristici e borghesi, dai drammi<br />

truculenti ed affliggenti: pro<strong>di</strong>ghiamo al pubblico un po’ <strong>di</strong> sorriso, <strong>di</strong> ironia, <strong>di</strong> benessere.<br />

**<br />

Ed ecco che nasce Il Grillo del focolare, tratto dalla deliziosa novella del Dikens [sic], ove si alternano e fondono, con<br />

garbo signorile, sentimenti poetici e dolorosi, brillanti ed umoristici. Il richiamo del grillo che canta sotto l’ampio<br />

camino – simbolo della quiete domestica e nesso ideale tra i <strong>di</strong>versi personaggi e le parti dell’azione – aggiunge alla<br />

comme<strong>di</strong>a il fascino delicato della favola. Quanto alla musica, il giovane autore s’impose imme<strong>di</strong>atamente per la


sicurezza nel maneggio dell’orchestra e delle voci, per una varietà ritmica profusa in tutte le scene, per un <strong>di</strong>ffuso<br />

colorito, insolito e raffinato.<br />

Una riserva si fece e fu questa: che il genere <strong>di</strong> comme<strong>di</strong>a musicale non era il più in<strong>di</strong>cato per attrarre le gran<strong>di</strong> masse<br />

<strong>di</strong> pubblico. Per questa stessa ragione, però, va lodato l’autore, che ha scelto una via meno battuta, evitando i facili<br />

effetti e riconnettendosi, sia pure alla larga, a quel meraviglioso modello del Falstaff, allora non da tutti compreso ed<br />

apprezzato.<br />

Questo avvicinamento è molto lusinghiero ed anche promettente, ma il giovane autore, venendo per la prima volta in<br />

relazione <strong>di</strong>retta col pubblico, s’accorge che la sensibilità collettiva è lenta e torpida e chiede aspre situazioni<br />

drammatiche ed energiche emozioni.<br />

Cambia metro con la facilità e la prontezza dei gran<strong>di</strong> operisti italiani, dal duplice volto, che sanno ridere e far ridere,<br />

sanno piangere e far piangere. S’imbatte nell’ardente e lussuriosa creatura <strong>di</strong> Pierre Louys [sic], Conchita, viaggia per<br />

la Spagna a cercar mo<strong>di</strong> e canti nei gorghi più popolari, ed intesse una partitura abbagliante <strong>di</strong> torride luminosità<br />

me<strong>di</strong>terranee.<br />

A quei tempi, nel 1911, lo stile <strong>di</strong> Conchita cozza un po’ col gusto corrente. Le inconsuete sonorità <strong>di</strong>sorientano le<br />

platee ma, in compenso, suscitano interesse e simpatia nelle zone più evolute, che approvano questa ondata viva e<br />

robusta <strong>di</strong> benintesa modernità nel vecchio tronco del melodramma. In Conchita l’architettura non è sovvertita, la<br />

vocalità e il polifonismo conservano schietta impronta italiana. Zandonai, in ogni modo, offre agli increduli un’altra<br />

prova sfolgorante del suo talento teatrale.<br />

Non passa un anno che il maestro trentino – lavoratore portentoso ed anima esuberante – fa nuovamente parlare <strong>di</strong> sé.<br />

Melenis, <strong>di</strong> argomento ellenico, è un altro contributo alla elevazione spirituale e formale del dramma in musica. La<br />

linea melo<strong>di</strong>ca, tutta particolare, vibra <strong>di</strong> una passionalità squisita e penetrante, i cori signoreggiano necessari ed<br />

efficaci, la originalità della partitura imprime a tutta l’opera il suggello della bellezza e della grandezza, anche se non<br />

compiutamente raggiunte.<br />

L’ora <strong>di</strong> Zandonai è ormai prossima a scoccare: lo sanno i competenti, lo avvertono le folle.<br />

Ed ecco che trascorrono poco più <strong>di</strong> altri do<strong>di</strong>ci mesi e l’ora scocca solenne e risonante con la Francesca da Rimini,<br />

che gode il privilegio delle autentiche ed austere opere d’arte; nel senso che suscita ammirazione, interesse ed<br />

emozione tanto nella massa del pubblico, quanto nelle <strong>di</strong>fficili schiere intellettuali e degli esteti.<br />

La nobiltà del concetto <strong>di</strong> stile e <strong>di</strong> ambiente, ricondotta sul teatro da Gabriele D’Annunzio, non solo è stata<br />

perfettamente intesa da Zandonai, ma vivificata ed illuminata <strong>di</strong> novelli splendori per mezzo <strong>di</strong> smaglianti e sottili<br />

ricami sonori. Concepita nello spirito della musica la Francesca dannunziana, dalla musica <strong>di</strong> Zandonai è stata<br />

suggestivamente inondata. Il poeta-musico e il musicista-poeta, nel nome <strong>di</strong> Dante e come in un pro<strong>di</strong>gio, hanno creato<br />

un poema <strong>di</strong> parole, <strong>di</strong> atti e <strong>di</strong> suoni non agevolmente rinnovabile.<br />

Gli altri maestri che han collaborato con la musa dannunziana, Franchetti, Mascagni, Pizzetti, Montemezzi, si sono<br />

elevati, indubbiamente, nella misura del proprio talento, ad altezze insigni; ma nessuno come Zandonai è riuscito a<br />

fondere la bellezza poetica raffinatissima con una eguale espressione musicale. Il finale del primo atto – non v’ha una<br />

sola persona che possa contestarlo – è una delle pagine più fascinanti e soavi del repertorio teatrale moderno. I temi che<br />

ingemmano questo episo<strong>di</strong>o, avvolti come in un velo iridescente <strong>di</strong> armonie dolcissime, in<strong>di</strong>can[d]o lo sbocciare<br />

irresistibile dell’amore fatale, serpeggeranno per tutto il dramma dapprima come presentimento, poi, a volte a volte,<br />

come sviluppo e forza <strong>di</strong> quella passione che condurrà gli amanti ad una morte.<br />

Con la Francesca, che il tempo non sfiorisce ma avvicina sempre più all’anima popolare, la personalità <strong>di</strong> Zandonai<br />

assume caratteri definitivi, che non scompariranno col mutare delle fonti ispiratrici che costituiscono la sua forza e i<br />

titoli riconoscibili e intangibili della sua nobiltà <strong>artistica</strong>.<br />

**<br />

Arrivato a questo punto della rapida ascensione, Zandonai, per quanto calmo e sereno nel suo cammino, per quanto<br />

alpino rude e tenace, fa una sosta. Guarda in giù e si compiace della <strong>di</strong>stanza percorsa sul livello comune, guarda in su<br />

e si accorge che c’è un’altra vetta, più alta, da conquistare.<br />

-Bene, <strong>di</strong>ce fra sé, c’è ancora da salire; se fossi giunto al culmine non avrei null’altro da fare.<br />

Tra i suoi monti, nel 1915, getta sul pentagramma le impressioni sinfoniche per orchestra, Primavera in Val <strong>di</strong> Sole;<br />

nell’anno seguente addestra il gioco delle voci in una austera Messa da requiem eseguita in commemorazione <strong>di</strong> Re<br />

Umberto al Pantheon, compone un Inno alla patria, un Inno per i giovani esploratori; nel 1917 Patria lontana per<br />

orchestra, in cui si canta nostalgicamente la vita sentimentale delle campagne trentine e l’anelito della redenzione.<br />

La immensa trage<strong>di</strong>a, che infuriava sull’Europa e sull’Italia, teneva teso e preoccupato lo spirito <strong>di</strong> Zandonai, tutt’altro<br />

che <strong>di</strong>sposto a creare fantasmi d’arte.<br />

Ma, quando la vittoria ridonò ai popoli la pace ed all’Italia le sue terre, il Maestro tornò sulla breccia con un genere <strong>di</strong><br />

opera atto a sollevare ed a letificare gli animi.<br />

Tornò, idealmente, quasi al suo primo punto <strong>di</strong> partenza, quando il Grillo del focolare gli aprì gli orizzonti dell’arte in<br />

una visione <strong>di</strong> brio, <strong>di</strong> gentilezza e <strong>di</strong> ironia. Vi tornò per prendere il secondo slancio alla conquista della vetta più alta.<br />

La Via della Finestra è un tentativo verso un nuovo atteggiamento dell’opera comica, è, in ogni modo, un altro aspetto<br />

del talento poliedrico <strong>di</strong> Zandonai, che si <strong>di</strong>verte a piegare i meccanismi del suo stile alla blanda pateticità, al fine<br />

umorismo, alla generosa caricatura. Senonché la tenuità del libretto, derivato dal noto vaudeville <strong>di</strong> Scribe, ha nociuto<br />

al risultato scenico del lavoro, troppo <strong>di</strong>luito in tre atti.<br />

L’autore, però, lo ha ripreso tra le mani apportando fondamentali mo<strong>di</strong>ficazioni e condensandolo in due atti. Ed in<br />

verità, sarebbe spiacevole ed anche ingiusto la rinunzia o l’oblio, quando nell’opera son profusi, qua e là, gioielli


d’incomparabile valore. Il terzetto delle donne nel primo atto, l’incantevole finale del secondo e, dalla ripresa del<br />

prelu<strong>di</strong>etto in poi, tutto il terzo, son pagine che fanno ripensare alla fresca naturalezza cimarosiana.<br />

Infine, questa operina, composta per riposare e godere, a ben riguardarla, è quasi un lavacro, da cui l’arte <strong>di</strong> Zandonai,<br />

almeno dal punto <strong>di</strong> vista esteriore, ne esce più spontanea, più lieve, più limpida e comunicabile.<br />

Appunto in questo particolare atteggiamento stilistico – dopo la parentesi sinfonica del Concerto romantico per violino<br />

ed orchestra, che del resto non lo scuote dalla sua posizione – Zandonai si riaccosta al grande episo<strong>di</strong>o tragico e ne<br />

sceglie uno che, per altezza poetica e per universalità, non è impari alla Francesca.<br />

Il celebre amore <strong>di</strong> Giulietta e Romeo, raccontato primieramente dal Da Porto e dal Bandello, dei quali poi si serve<br />

Shakespeare per sollevarlo alle sublimità della sua poesia; questo celebre amore che ferisce il cuore <strong>di</strong> Bellini, Berlioz,<br />

Gounod, invade con la sua bella fiamma l’entusiasmo <strong>di</strong> Riccardo Zandonai.<br />

La Francesca, per il suo carattere classicheggiante, per le passioni torbide, tortuose, incestuose, sospinse ad una<br />

indagine psicologica che condusse necessariamente ad una elaborazione <strong>di</strong> suoni assai minuziosa, penetrante, acuta,<br />

preziosa. Invece, all’amore <strong>di</strong> Giulietta e Romeo, fulmineo, trascinante, irresistibile, pieno d’ingenui abbandoni, quasi<br />

schivo <strong>di</strong> sensualità, essenzialmente romantico, altamente lirico, sono serviti orizzonti limpi<strong>di</strong>, frasi larghe e calde,<br />

ritmi rapi<strong>di</strong> e varii, soavità <strong>di</strong> poesia, prontezza e facilità <strong>di</strong> movimenti.<br />

Tutto ciò in gran parte raggiunto, e non tanto o solo per la natura della trage<strong>di</strong>a, quanto, come abbiamo visto, per le<br />

mutate con<strong>di</strong>zioni creative dell’autore e per le mutate con<strong>di</strong>zioni politiche ed artistiche dell’ambiente italiano.<br />

Lo stesso Zandonai, non facile a parlare e a teorizzare, fattivo qual è, ebbe ad esprimersi così: «Giulietta vuol essere un<br />

ritorno al nostro melodramma, un ritorno alle fonti, nel quale ho desiderato <strong>di</strong> portare una sensibilità che, essendo più<br />

moderna, è oggi più nostra. Il nuovo lavoro è più semplice e limpido dei miei precedenti, i quali sono più complicati e<br />

torturati. Ma questo avvenne perché, <strong>di</strong>eci anni fa, noi italiani eravamo considerati quasi degl’ignoranti in fatto <strong>di</strong><br />

musica. Ed io ho voluto fare una specie <strong>di</strong> schieramento <strong>di</strong> forze per <strong>di</strong>mostrare che musica <strong>di</strong>fficile sapevamo farne<br />

anche noi. Ma oggi le cose son cambiate e non occorre fare nessuna <strong>di</strong>mostrazione in questo senso».<br />

Questa schietta e ingenua spiegazione ha ra<strong>di</strong>ci più profonde che non sia l’opportunità o meno <strong>di</strong> mostrarsi dotti o<br />

semplici; ha ra<strong>di</strong>ci nell’imperioso desiderio sia dei creatori che dell’anima collettiva <strong>di</strong> riprendere il contatto cor<strong>di</strong>ale e<br />

fraterno che fatalità <strong>di</strong> cose e volontà <strong>di</strong> uomini, per molti decenni, erano riusciti a d abolire.<br />

Anche in quest’opera la marca <strong>di</strong> fabbrica è riconoscibile e incisiva: pennellate coloristiche <strong>di</strong> sicuro fascino; quadri <strong>di</strong><br />

effusione lirica, come il primo duetto, in cui l’espressione melo<strong>di</strong>ca combacia con quella sentimentale; un alito <strong>di</strong><br />

poesia investe persone e cose; la primavera in fiore e la danza del torchio, squarci originalissimi; il lamento del cantore,<br />

lacrimoso e commovente; la cavalcata, ormai famosa, mentre l’uragano infuria nel cielo nella terra negli animi, ecc.<br />

A quest’opera non ancora pienamente compresa è riservata miglior fortuna e più vasto cammino.<br />

Ma Zandonai non è uomo che si arresta o si scoraggia; sembra che egli, ora, <strong>di</strong>ca al pubblico: – Giulietta non v’è<br />

piaciuta, pazienza, spero vi piacerà in seguito; intanto offro alla vostra brama un’altra opera.<br />

E siamo ai Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù che, nel 1925, danno motivo a vivaci <strong>di</strong>scussioni, sopratutto per la scelta dello<br />

stranissimo argomento tratto dal romanzo <strong>di</strong> Selma Lagerlof [sic]. Tipi bizzarri <strong>di</strong> cavalieri, una Comandante che fuma<br />

la pipa ed adopera lo scu<strong>di</strong>scio, un personaggio che non è uomo né <strong>di</strong>avolo, uno spretato ed una povera ingenua, tutti<br />

avvolti tra nebbie, nevi, venti e tristezza. Una vicenda più antilatina <strong>di</strong> questa sembrava, allora, che quasi non se ne<br />

potesse trovare una simile. Tuttavia essa porge al musicista, che delle persone e dei luoghi s’immedesima e s’innamora<br />

con pronta versatilità, l’occasione <strong>di</strong> comporre una partitura eletta, importante e al livello della sua reputazione. Qui si<br />

ammirano le linee vaste e i possenti respiri; momenti caratteristici come la canzone dei cavalieri (i cavalieri sono<br />

sempre argutamente <strong>di</strong>segnati e presentati) e la loro stonatissima orchestrina, la canzone nostalgica <strong>di</strong> Natale, i<br />

magnifici episo<strong>di</strong>i corali dell’epilogo...<br />

Anche non poche <strong>di</strong>scussioni provocò, tre anni dopo, nel 1928, specie in rapporto al libretto, il Giuliano. Contiene in<br />

sé, tra l’altro, elementi simbolici e soprannaturali assolutamente ostici alla tersa mentalità italiana. Giuliano è un’opera<br />

che alla imme<strong>di</strong>atezza musicale, in alcuni momenti irresistibile, non unisce per il pubblico or<strong>di</strong>nario una eguale<br />

imme<strong>di</strong>atezza concettuale. Bisogna entrare nello spirito, non certo consueto, dell’azione mistico-<strong>umana</strong> perché si riceva<br />

completa e definitiva l’impressione e perché si possa dare un giu<strong>di</strong>zio globale e preciso.<br />

Pertanto, lo stile <strong>di</strong> Zandonai prosegue nel processo <strong>di</strong> alleggerimento, al punto che nel Giuliano i mezzi <strong>di</strong> espressione<br />

si estrinsecano con la più adamantina purezza e con la più stretta necessità psicologica. Le scene descrittive, altre volte<br />

complicatissime, qui, come nel prologo, s’intravedono in tessuti sonori d’incomparabile trasparenza. Il sentimento<br />

umano <strong>di</strong> Giuliano, specie nell’invocazione del primo atto, non cre<strong>di</strong>amo che Zandonai l’abbia sentito ed esaltato con<br />

tanta angoscia e con tanta melo<strong>di</strong>osità come in questa splen<strong>di</strong>da pagina: prorompe da un cuore che palpita, da una gola<br />

che singhiozza, determinando la netta impostazione della trage<strong>di</strong>a; poiché Giuliano è una vera e propria trage<strong>di</strong>a<br />

<strong>umana</strong>, alla quale gli elementi mistici e soprannaturali, derivanti dalla leggenda sacra, nulla tolgono <strong>di</strong> grandezza,<br />

bellezza e verosimiglianza.<br />

**<br />

Questa, fissata in sintesi informativa, la cospicua e superba produzione drammatica, intersecata da non infrequenti<br />

irruzioni nel campo sinfonico e da camera, <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, che è nella balda floridezza della maturità.<br />

Montanaro dai garretti d’acciaio, cacciatore intrepido che non sbaglia la mira, egli può permettersi il lusso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

ver<strong>di</strong>anamente: ricominciamo da capo.<br />

Otto opere, pensate e scritte in un ventennio artistico irrequieto, ansioso, assetato, iconoclastico, contrad<strong>di</strong>ttorio come<br />

non si è mai verificato in epoche precedenti, non hanno fiaccato la sua fibra; l’hanno bensì ringagliar<strong>di</strong>ta. Le lotte, le<br />

contrarietà, il generale <strong>di</strong>sorientamento non sono riusciti ad arrestare il cammino <strong>di</strong> Zandonai, che fin dalla prima


apparizione nell’agone dell’arte si sentì ben corazzato <strong>di</strong> salda coscienza e munito <strong>di</strong> alcuni segni in<strong>di</strong>viduali, destinati<br />

ad incidersi e ad estendersi in tutte le sue opere.<br />

Già lo strumentale immesso da lui nel melodramma nostro fu un nuovo che sorprese e determinò consensi e <strong>di</strong>ssensi,<br />

più questi che quelli. Egli si <strong>di</strong>mostrò edotto delle più ar<strong>di</strong>te tecniche moderne e d’avanguar<strong>di</strong>a, non considerandole<br />

enigmi, arabeschi, ornamenti o superficialità, ma insegnamenti ed esperienze <strong>di</strong> cui si poteva e doveva profittare. Nelle<br />

sue partiture gli echi della musicalità novissima si ascoltano qua e là, o anche <strong>di</strong>ffusamente, ma sempre in funzione<br />

accessoria e sussi<strong>di</strong>aria. Il tematismo wagneriano, il polifonismo straussiano, i mo<strong>di</strong> armonici debussiani non sono che<br />

linee e colori <strong>di</strong> una tavolozza in continuo progresso scientifico, che Zandonai maneggia da padrone assoluto ed a cui<br />

impone la propria volontà.<br />

Quando qualcuno scopre ora una volata lirica alla Mascagni, ora un proce<strong>di</strong>mento alla Ver<strong>di</strong>, ora una sfumatura alla<br />

Puccini, subito grida: ecco Zandonai colto in fallo <strong>di</strong> imitazione e <strong>di</strong> derivazione.<br />

Nulla <strong>di</strong> più stolto. Da che mondo è mondo l’ambiente comune influisce reciprocamente sugli autori anche più<br />

in<strong>di</strong>pendenti ed originali: la storia insegna. Oggi poi che la facilità e la rapi<strong>di</strong>tà delle comunicazioni avvicinano tutti i<br />

popoli, i rapporti spirituali ed esteriori <strong>di</strong>ventano ancora più subitanei e frequenti: le interferenze inevitabili.<br />

La verità è ben altra. Zandonai è uno dei pochi musicisti contemporanei che può vantarsi <strong>di</strong> possedere idee proprie ed<br />

abbondanti, uno stile proprio ed identificabile.<br />

Egli non segue sistemi, non ha pre<strong>di</strong>lezioni estetiche, non si lascia per nessuna ragione imprigionare nel cerchio d’una<br />

tendenza. Il suo perenne e naturale contatto lo mantiene con il suo io, con la sua vita interiore, con la vita degli uomini<br />

che amano, soffrono, godono, e non dei fantocci costruiti dai cervelli in continua ebollizione. Di qui scaturisce quella<br />

vibrante e particolare musicalità che non si esaurisce nel gioco meccanico, ma si rinnova nel cozzo dei sentimenti.<br />

Il senso del quadro, dell’ambientazione, dell’atmosfera storica è un privilegio e posseduto in alto grado da Zandonai,<br />

tanto che tutti universalmente glielo riconoscono.<br />

Al contrario non gli riconoscono speciali facoltà melo<strong>di</strong>che; ed a torto. La melo<strong>di</strong>a nelle opere <strong>di</strong> Zandonai, anche le<br />

più giovanili e dottrinarie, fluisce sempre spontanea e ricca, ma è così caratteristica, così originale, così personale da<br />

non trovare facile e <strong>di</strong>ritta la ripercussione nell’anima delle folle. Essa si <strong>di</strong>fferenzia ra<strong>di</strong>calmente dalla melo<strong>di</strong>a degli<br />

autori tra<strong>di</strong>zionalisti e sgorga da intervalli inusitati e da modulazioni singolari intimalente incatenate al canovaccio<br />

armonico e contrappuntistico.<br />

Il proce<strong>di</strong>mento cromatico, la progressione ritmica, che improntano tutta la musica <strong>di</strong> Zandonai, non sono ricercati,<br />

voluti, stu<strong>di</strong>ati, sforzati, ma spontanei e facenti parte in<strong>di</strong>spensabile dei mezzi d’espressione. La sensibilità dell’artista<br />

raffinato, penetrante, indagatore ha saputo crearsi un linguaggio che le corrisponde esattamente.<br />

Zandonai è artista moderno nell’unica <strong>di</strong>rezione che poteva esserlo un musicista italiano, cioè al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni<br />

wagnerismo e <strong>di</strong> ogni debussismo, nella sfera delle esperienze continuative ed evolutive, senza falsi idoli o<br />

ingiustificati ostracismi. Questo eclettismo, che produce una materia sonora cospicua, completa, conciliante, duttile,<br />

lontana dal vecchio ed a debita <strong>di</strong>stanza dall’arbitrario e pazzesco, applicato ad una superba veemenza drammatica e ad<br />

una poeticità <strong>di</strong> suprema squisitezza, <strong>di</strong>stingue e impone l’arte <strong>di</strong> Zandonai.<br />

Egli, oggi, è l’erede più <strong>di</strong>retto della scuola melodrammatica italiana, egli, respingendo tutti gli snobismi dei gruppi<br />

musicali che, in Italia e fuori, ogni giorno dettano una legge nuova, segue, tranquillo e vigoroso, l’evoluzione naturale<br />

della sua arte, nella forma che ha sentito fin da giovine e che gli vibra nell’animo come una necessità <strong>di</strong> vita.<br />

423<br />

Italicus, Le calorose accoglienze <strong>di</strong> Malta al Maestro Zandonai, «La Tribuna», 25.12.1931<br />

MALTA, <strong>di</strong>cembre<br />

Non è possibile tradurre in parole l’entusiasmo, ad<strong>di</strong>rittura delirante, suscitato qui da Riccardo Zandonai venuto – per<br />

invito del Governo che da qualche anno ha assunto la gestione <strong>di</strong>retta del Teatro Reale – a <strong>di</strong>rigere alcune<br />

rappresentazioni della sua «Francesca da Rimini». Per avere un’idea proporzionale degli onori tributati all’illustre<br />

maestro italiano basti sapere che le numerose società musicali dell’isola, cui aderisce in pieno il popolo, hanno perfino<br />

costituito degli appositi comitati organizzatori. Giornali <strong>di</strong> ogni colore politico, riviste, numeri speciali, hanno formato<br />

– durante il soggiorno dello Zandonai a Malta – un coro unanime e possente nell’esaltazione dell’arte musicale italiana.<br />

La «Francesca da Rimini» ha riportato uno strepitoso successo che si è ripetuto per ogni rappresentazione con una<br />

spontaneità ed un calore commoventi. Agli applausi frenetici del pubblico si univano i professori d’orchestra, gli artisti<br />

e le masse del palcoscenico. Le chiamate alla ribalta sono state innumerevoli, ogni sera e dopo ogni atto. L’apparire del<br />

m.o Zandonai veniva salutato da uragani <strong>di</strong> applausi senza fine.<br />

La serata d’onore si è svolta in un clima <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario entusiasmo; erano presenti il Governatore con molte autorità<br />

militari e civili, il Console generale d’Italia comm. Silenzi, le più spiccate personalità del mondo intellettuale maltese,<br />

le rappresentanze <strong>di</strong> tutte le società musicali con i loro gonfaloni ed una folla immensa stipata in ogni or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> posti.<br />

Numerosi e pregevoli doni sono stati offerti allo Zandonai insieme a bellissime ceste <strong>di</strong> fiori fra le quali risaltava quella<br />

del Fascio italiano. Una serata così densa <strong>di</strong> vibrazioni – e per l’artista e per l’opera d’arte – che nessuno mai<br />

<strong>di</strong>menticherà.<br />

In onore dell’insigne musicista italiano hanno avuto anche luogo molti banchetti, ricevimenti e feste varie. I membri<br />

del Governo, presenti S. E. il Governatore e le più alte autorità navali, hanno dato un ricevimento improntato alla più<br />

schietta cor<strong>di</strong>alità; il Console generale d’Italia ha offerto una colazione ufficiale ed un banchetto con la colonia italiana;


anche alla Casa del Fascio il maestro trentino è stato fraternamente ricevuto e festeggiato. Accoglienze stragran<strong>di</strong><br />

Zandonai ha ricevuto visitando le Società filarmoniche all’ingresso delle quali, per trattenere la folla plaudente, la<br />

polizia ha dovuto organizzare un servizio d’or<strong>di</strong>ne. Particolarmente interessante è riuscito il ricevimento alla Società<br />

filarmonica La Vallette gremita da migliaia <strong>di</strong> soci ed invitati – fra i quali il Console generale d’Italia – ove il maestro<br />

Zandonai ha personalmente <strong>di</strong>retto la cavalcata della sua Giulietta e Romeo, provocando frenetiche ovazioni.<br />

L’altra mattina Zandonai ha partecipato ad un vermouth d’onore offertogli dalla Giovine Malta, una società giovanile<br />

<strong>di</strong> spirito goliar<strong>di</strong>co che lo ha festeggiato con vivace e caratteristico clamore; poi ha preso parte ad una colazione<br />

d’ad<strong>di</strong>o offertagli dai soci del Casino Maltese.<br />

Al teatro Reale ha avuto [luogo] l’ultima rappresentazione della Francesca da Rimini con un pubblico che ha<br />

improvvisato tali <strong>di</strong>mostrazioni allo Zandonai da rendere in<strong>di</strong>menticabile e <strong>di</strong>rei storico questo suo soggiorno maltese.<br />

A bordo del Città <strong>di</strong> Tripoli ove Riccardo Zandonai, accompagnato dalla sua gentile signora, ha preso posto per il suo<br />

ritorno in Italia, si è riversata una fi<strong>umana</strong> <strong>di</strong> gente che lo ha acclamato e festeggiato ancora al grido: «arrivederci!».<br />

Gl’italiani, con a capo il Console generale, hanno lanciato i loro alalà fraterni. Poi la nave si è allontanata, portando<br />

seco un grande ambasciatore d’italianità e lasciando in noi tutti un ricordo che non sarà mai cancellato.<br />

424<br />

Nino Cantalamessa, Visita a San Giuliano - Il rifugio <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, «Il popolo <strong>di</strong> Roma», 27.2.1932 – p. 3,<br />

col. 2-3-4 (con un ritratto <strong>di</strong> Zandonai e una foto che riproduce un angolo della villa <strong>di</strong> San Giuliano)<br />

PESARO, febbraio.<br />

La grande pace <strong>di</strong> un pomeriggio adriatico si stende ora sull’eterno sonno <strong>di</strong> Francesca. Il sole gioca con le nubi, laggiù<br />

dove si staglia su uno sfondo d’argento la massa scura della rocca <strong>di</strong> Carpegna e raggia obliquo sul paesaggio con la<br />

fastosa teatralità <strong>di</strong> un’acquaforte <strong>di</strong> maniera. Ecco a destra il monte Conero, fantastica prora <strong>di</strong> una nave ciclopica<br />

eternamente assorta nel sogno <strong>di</strong> un leggendario viaggio; ecco a sinistra l’esile poggio del Castello <strong>di</strong> Gradara,<br />

romantico e guerresco, erto sui colli che vanno dolcemente <strong>di</strong>gradando verso la ridente grazia delle spiegge <strong>di</strong><br />

Romagna; ecco <strong>di</strong>nanzi a noi l’infinita maestà del mare.<br />

Dalla sommità <strong>di</strong> questa collina, ove sorge la villa <strong>di</strong> S. Giuliano, l’occhio <strong>di</strong>scopre la Romagna intera e scorge i limiti<br />

delle Marche e della Toscana. E solo a chiudere gli occhi un istante la scena si popola <strong>di</strong> mille fantasmi. Storie d’amore<br />

e <strong>di</strong> morte, <strong>di</strong> passioni e <strong>di</strong> battaglie, <strong>di</strong> condottieri e <strong>di</strong> santi. Mezza storia d’Italia ha lasciato qui le sue impronte.<br />

Questa è la terra generosa, che crea e che dà, inesauribilmente, da secoli, fiera della sua fertilità <strong>di</strong> ricchezze e <strong>di</strong><br />

ingegni. Dà e non chiede. Promette e mentiene. Terra che non mente.<br />

Laggiù, oltre Rimini, sotto quella lama <strong>di</strong> sole che stende nell’atmosfera come una gigantesca parete <strong>di</strong> luce, è la casa<br />

ove nacque il Capo della nuova Italia.<br />

***<br />

Zandonai non aspetta la nostra invasione. Egli crede che Francesca, Paolo e Gianciotto, risolta definitivamente sul<br />

palcoscenico la loro secolare questione, stiano tranquillamente preparando i bagagli per altri li<strong>di</strong> e per nuovi trionfi.<br />

Ed eccoli apparirgli <strong>di</strong>nanzi, nelle vesti della signora Lina Scavizzi, <strong>di</strong> Pedro Mirasson [sic] e <strong>di</strong> Giovanni Inghilleri,<br />

mentre un’altra macchina, giunta subito dopo la nostra, scodella sul prato nuovi invasori: il maestro Tomassetti e il<br />

signor Gasperini.<br />

Non ci aspettava, il maestro, ma non protesta. Forse era venuto quassù per ripensare in pace, fra il verde dei suoi viali,<br />

alla in<strong>di</strong>menticabile serata del giorno innanzi, quando tutta la popolazione <strong>di</strong> Pesaro composta in un gran<strong>di</strong>oso corteo<br />

scintillante <strong>di</strong> mille e mille fiaccole, aveva voluto accompagnarlo in trionfo fin sulla porta del teatro, per l’ultima recita<br />

<strong>di</strong> Francesca. S’era già levata, la bacchetta del maestro, sulle prime battute dello spartito, che il religioso silenzio della<br />

sala era ancora solcato a tratti dal fragore della folla rimasta fuori ad acclamare: -Zandonai! Evviva Zandonai!<br />

Zandonai l’è noster (Zandonai è nostro): e le voci giungevano così <strong>di</strong>stinte che non si perdeva neppure dalla platea lo<br />

strano effetto <strong>di</strong> quella zeta sibilante, frusciante, musicalizzata – la zeta dei romagnoli, insomma – che pareva<br />

trasformare in un dolce accordo <strong>di</strong> archi la incisività, secca e aggressiva come un colpo <strong>di</strong> piatti, della prima sillaba <strong>di</strong><br />

quel cognome: Zandonai.<br />

Eccolo, ci appare in mezzo a un gruppo <strong>di</strong> alberi, con un gran cappottone grigio, circondato da un gruppo <strong>di</strong> cani da<br />

caccia i quali <strong>di</strong>mostrano palesemente <strong>di</strong> poter contare sulla più assoluta generosità da parte del padrone. Gli è accanto<br />

la gentile consorte, signora Tarquinia, che tutti ricordano come una Conchita in<strong>di</strong>menticabile. Il maestro depone un<br />

fucile che ha fra le mani e viene verso <strong>di</strong> noi armato soltanto <strong>di</strong> una sorridente e cortese giovialità. Mi spiego subito –<br />

poiché mi sa cacciatore appassionato quanto lui – che il fucile non gli serviva mica per uccidere i fringuelli che<br />

regnano in<strong>di</strong>sturbati nel parco – per carità! ma neanche per sogno! è proibito sparare agli uccelletti adesso! – ma<br />

unicamente per abituare il suo cane più giovane, ancora ignaro dei misteri cinegetici, alla visione dell’arma.<br />

-Ma io non pensavo nulla <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, maestro. Le pare! Dicono a Roma: tra cocchieri 'ste frustate!<br />

E mi presenta, con una competenza cinofila da impressionare Nembrod in persona, i suoi cani preferiti: due<br />

meravigliosi setters, infuocati e ardenti come soltanto i puri sangue sanno essere, e il piccolo Pax, coker [!] perfetto,<br />

scovatore e riportatore impeccabile. Mi pare che il maestro abbia un debole per quest’ultimo. Chissà perché. Ma non<br />

voglio chiedergliene la ragione per non interrompere il filo delle <strong>di</strong>vagazioni cinegetiche. Al primo silenzio gli<br />

domando invece, con aria <strong>di</strong>stratta, che cosa sta scrivendo. E la risposta è pronta: -Vede, ai primi <strong>di</strong> ottobre, o, per<br />

essere più esatti, fra il 4 e il 12...


-Ah! una novità pronta allora...<br />

-No, niente <strong>di</strong> nuovo. Mi lasci finire. Dicevo che fra il 4 e il 12 ottobre, quando il passo dei colombacci tocca il suo<br />

culmine, su questa valle è tutto un fremito <strong>di</strong> ali. Ecco, guar<strong>di</strong>. Di là, vede, a destra del Conero, "l’affilo" prende su per<br />

questa valle. E Pax ha <strong>di</strong> che stancarsi in quei giorni... Se vedesse che voli! E che bei tiri si fanno <strong>di</strong> quassù. Io, vede,<br />

preferisco, fra tutti i miei fucili, questo calibro 10, che non cederei per tutto l’oro del mondo...<br />

(Le due signore, capita l’antifona, lentamente si allontanano dal gruppo. È la signora Scavizzi, naturalmente, che<br />

protesta: -Quando che i se trova tra lori, sti benedeti cacciatori, i no sa parlar de altro... E la signora Zandonai, a<br />

quanto sembra, non è <strong>di</strong> parere <strong>di</strong>verso. Ma sembrano remissive e inclini al perdono. Come tutte le donne, quando<br />

sanno <strong>di</strong> essere osservate e non sono sole).<br />

E noi, contenti come ragazzi, giù a vuotare il sacco della nostra passione sportiva: fucili, cani, uccelli, cacciate <strong>di</strong><br />

montagna e <strong>di</strong> padule, carnieri formidabili, tiri alla barone <strong>di</strong> Münchausen, padelle tonde come una luna piena...<br />

Certo la passione cinegetica <strong>di</strong> Zandonai dev’essere pari al suo genio musicale. Ma cerco, per convincermene, l’ultima<br />

prova. E a bruciapelo scocco la domanda decisiva:-Un momento, maestro. Se, andando a caccia, lei si trovasse<br />

contemporaneamente a tiro una lepre e un beccaccino, a che cosa sparerebbe?<br />

-Che domanda! Al beccaccino.<br />

-Qua la mano. Solo un cacciatore <strong>di</strong> razza parla così.<br />

Le signore scappano inorri<strong>di</strong>te.<br />

***<br />

L’oro, adesso, è tutto laggiù, a occidente, dove un sole lucido e freddo gioca a rimpiattino con le nuvole in fuga. Nella<br />

pallida luce del tramonto invernale l’Adriatico trascolora in una opalescenza grigio-argento, da mare del Nord.<br />

Lontano, come attraverso un velo impalpabile, riappaiono le vele policrome delle paranze; e ce n’è una, più vicina alla<br />

costa, ch’è bianca e leggera come quella in cui volle riconoscersi la romantica anima <strong>di</strong> Andrea Chénier.<br />

(Forza Mirassou: -Passa la vita mia come una bianca vela...).<br />

Gira e rigira per viali, sentieri e prati, ci ritroviamo improvvisamente <strong>di</strong>nanzi alla villa.<br />

-Quello vede – mi in<strong>di</strong>ca Zandonai – è il balconcino "<strong>di</strong> Francesca".<br />

Ma Conchita e Francesca se ne stanno tranquillamente accanto a un camino, in sala da pranzo, e non pensano nemmeno<br />

a rimuginar vendette contro i cacciatori chiacchieroni. Ad esse preme soprattutto <strong>di</strong> salvar la gola da quest’arietta fina<br />

fina, che va facendosi sempre più sottile e porta giù dai monti un vago sentor <strong>di</strong> neve.<br />

Tengono, però, a far gli onori <strong>di</strong> casa come se tornassimo davvero da chissé quali fatiche; e ci accompagnano poi a<br />

visitare tutta la villa, da cima a fondo.<br />

Ecco il balconcino <strong>di</strong> Conchita – che vedevamo giù dalle coste così leggiadro e fiorito – ecco il balconcino <strong>di</strong><br />

Francesca: l’uno a mare, l’altro a monte, e tanto civettuolo il primo quanto romantico e passionale il secondo. Ecco lo<br />

stu<strong>di</strong>o del maestro dalle pareti tappezzate <strong>di</strong> quadri, fotografie, acqueforti e xilografie: c’è la iconografia completa delle<br />

sue opere attraverso le riproduzioni più preziose e più rare. Una Francesca, specialmente, ra<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> mistica luce e una<br />

fotografia <strong>di</strong> bassorilievi riproducenti la vita <strong>di</strong> Giuliano sembrano dominare la stanza con la forza <strong>di</strong> una suggestione<br />

inobliabile. Ed ecco la sobria camera nuziale, dalle ampie finestre ombreggiate dagli alti fusti del giar<strong>di</strong>no: ai pie<strong>di</strong> del<br />

letto, pronte, unte, curate da amorosissime mani, impazienti quasi <strong>di</strong> inebriarsi <strong>di</strong> rugiada e <strong>di</strong> sole, le scarpe da caccia<br />

del maestro.<br />

***<br />

Le prime ombre della sera inducono al congedo. Io penso che sarebbe questa l’ora più propizia alle confidenze. Perché,<br />

sì, va bene la caccia, va bene la villa, va bene il paesaggio; ma i lettori, santo Dio, qualcosa <strong>di</strong> più pretendono sempre.<br />

Il maestro è scomparso alla ricerca <strong>di</strong> un setter fuggiasco. Tentiamo l’ultima carta.<br />

-Dunque, signora Tarquinia, è vero che il maestro ha finito un altro lavoro?<br />

-Un atto sì. Credo anzi che si tratti <strong>di</strong> un atto unico (174) . Ma lavora sempre e chi riesce a tenergli <strong>di</strong>etro è bravo...<br />

-E il titolo?<br />

-Questo poi...<br />

Mentre la macchina si muove crosciante sulla ghiaia del giar<strong>di</strong>no, ricompare Zandonai, alla svolta del viale. Saluta a<br />

gran voce, reggendo al guinzaglio il setter in<strong>di</strong>sciplinato. È la signora Scavizzi che affida ai suoi acuti il collettivo<br />

saluto della comitiva. Ma una “puntatina” – l’ultima – ci vuole, in omaggio all’indomito spirito veneziano.<br />

-Arrivederla, maestro! Ah! me <strong>di</strong>ga, maestro, che lo go desmentegà: tra una lepre e un beccacin a cossa ghe sparelo,<br />

lu?<br />

La risposta arriva imme<strong>di</strong>ata, coprendo il ronzìo del motore:<br />

-Al beccaccino, sempre! – Zandonai ride dell’inatteso finale e mi saluta ripetutamente, con la mano aperta, come per<br />

aggiungere: -Noi lo sappiamo bene il perché...<br />

Bravo maestro. Chi parla così è capace <strong>di</strong> qualunque cosa. Anche <strong>di</strong> scrivere un’opera più bella <strong>di</strong> Conchita e <strong>di</strong><br />

Francesca da Rimini.<br />

425<br />

Maria Fiorenza Ferrari, Stasera all’Opera La Farsa amorosa <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, «Il Messaggero», 22.2.1933 – p.<br />

3, col. 4-5 (con un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Zandonai)<br />

IL MUSICISTA


Il maestro Zandonai mi perdoni se svelo un segreto, il quale del resto non è più tale per i pesaresi: quello <strong>di</strong> una<br />

presunta clausura della sua Villa San Giuliano. «Fare attenzione ai cani» si legge su un cartello pendente da un albero.<br />

Superato, infatti, il limite dell’albero ammonitore e che attesta della gran sincerità altruistica dell’illustre maestro, ecco<br />

Giosta, Lolita e Pax, i cani che han consigliato quel tale avviso saggio e previdente. Ma, alla prova, non pare sian così<br />

feroci da giustificare l’attenti ai cani! E allora?<br />

Alla Villa San Giuliano domina una quiete serena: da un lato si scopre il mare sperdentesi nel vasto orizzonte, e<br />

dall’altro le colline e i monti che circondano pittorescamente la ridente valle del Foglia; e tra il verde e l’azzurro, come<br />

una macchia <strong>di</strong> colore vivace e suggestivo, la splen<strong>di</strong>da pineta con il Castello imperiale. Dinanzi a un così meraviglioso<br />

spettacolo della natura, torna caro alla fantasia il ricordo <strong>di</strong> Torquato Tasso, ospite dei Della Tovere. In quella<br />

solitu<strong>di</strong>ne che la natura rallegra e a cui le meraviglie dell’arte accrescono attrattiva, vive gran parte dell’anno il<br />

maestro. Fra il mare <strong>di</strong> cobalto e il verde tenero della campagna la sua fantasia si è ispirata per la Farsa amorosa. E<br />

trascorre le sue giornate, a contatto <strong>di</strong> gente semplice e garbata, quasi a ripetere l’eletta esistenza <strong>di</strong> quelli spiriti<br />

antichi, attratti e amanti delle bellezze naturali.<br />

Tutti a Pesaro gli vogliono bene. E il maestro vi ha concorso con la genialità <strong>artistica</strong> e la bontà semplice e generosa e<br />

con il suo spirito sincero, tanto più apprezzati in una città <strong>di</strong> provincia come Pesaro, dove spesso non si resiste all’urto<br />

delle competizioni e delle gelosie. Di questo il maestro può esser orgoglioso.<br />

Ma, oltre la gente, Zandonai nutre un singolare schietto affetto per le molte bestie le quali – beate loro! – vivono entro<br />

la villa <strong>di</strong> lui come in una reggia zoologica. Ognuna <strong>di</strong> esse porta il nome <strong>di</strong> qualche sua creatura <strong>artistica</strong>. Il cane<br />

preferito è Giosta: ricordarsi del Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù; una cagnetta par tutta sicura delle sue... grazie e quasi altezzosa<br />

del nome <strong>di</strong> Lolita; una gallina ha invaso la poesia: è Biancofiore, la «Biancofiore» della Francesca.<br />

Ma il maestro non si limita a battezzar le sue bestie col repertorio delle sue opere. Un piccione caratteristico, adorno o<br />

<strong>di</strong>sadorno, come meglio vi piace, <strong>di</strong> una certa gobba naturale, ha nome Rigoletto. E basta, ché a elencarle tutte v’è da<br />

temere che Zandonai, a <strong>di</strong>fesa delle bestie della sua villa, scagli qualche fulmine verbale.<br />

Qual <strong>di</strong>verso ambiente nell’interno della villa, e che squisita ospitalità! La signora Tarquinia, col suo suggestivo<br />

sorriso, vi parla d’arte e risuona la sua voce con la non spenta musicalità.<br />

Il maestro invece vi parla sì <strong>di</strong> musica, ma se qualcuno accenna alla caccia non v’è verso <strong>di</strong> <strong>di</strong>strarlo dal tema preferito.<br />

Quella della caccia è la sua passione. E in ciò è stato un terribile avversario <strong>di</strong> Puccini. Non si contano le <strong>di</strong>spute avute<br />

a questo proposito con l’autore <strong>di</strong> Bohème, <strong>di</strong>spute le quali soltanto nella musica e nell’arte in genere trovarono il modo<br />

<strong>di</strong> placarsi simpaticamente.<br />

Che sia un cacciatore imbattibile, come del resto è musicista geniale, sembra non sia ignorato neppure a Stoccolma.<br />

Quando il maestro vi si recò, qualche anno fa, per I Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù, ne ebbe una prova luminosa. La fama vola per<br />

Zandonai non solo <strong>di</strong>etro la sua musica ma anche attraverso i colpi <strong>di</strong> fucile.<br />

A Stoccolma egli rimase incantato <strong>di</strong>nanzi allo spettacolo meraviglioso delle boscaglie <strong>di</strong> pini che popolano la terra<br />

svedese. E subito una nostalgia lo assale: la caccia abbondante che quei boschi promettono. Di questa nostalgia riesce a<br />

cogliere il senso intimo la Direzione del Teatro Reale. Ecco che vien fatta proposta al maestro <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare... svedese.<br />

Gli si propone la composizione <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> soggetto locale, <strong>di</strong>etro questo compenso: un bosco, una villa e un<br />

permesso <strong>di</strong>... caccia permanente, vita cioè natural durante.<br />

Per la prima volta è da credere che a un musicista sia stato offerto, da parte della Direzione <strong>di</strong> un teatro, il più tipico dei<br />

contratti: essere pagato in natura!<br />

Ma alla caccia, per una volta tanto, Zandonai non penserà questa sera per il battesimo della Farsa amorosa su libretto<br />

arguto, agile, spassoso <strong>di</strong> Arturo Rossato, al Teatro Reale dell’Opera.<br />

«In bocca al lupo, maestro!».<br />

426<br />

Matteo Incagliati, Rossini, Zandonai e la sinfonia del mare, «Il Messaggero», 9.8.1933 – p. 3, col. 3-4-5<br />

[...]<br />

Rossini qui nacque e qui sopravvive nella memore riconoscente ricordanza dei posteri. Il suo monumento non parla<br />

invano a tutti noi. E più parleranno le testimonianze <strong>di</strong> tanti manoscritti che Riccardo Zandonai, per incarico avutone,<br />

sta rior<strong>di</strong>nando. E balzerà da essi un Rossini nuovo, del tutto ignorato.<br />

Vogliamo forzare il segreto, prima che l’opera paziente e intelligente sia compiuta?<br />

Zandonai è lassù, sul colle San Bartolo, e a salire il <strong>di</strong>lettoso monte non è aspra fatica, se l’automobile ne facilita il<br />

corso.<br />

Eccoci alla mèta: una targa ne in<strong>di</strong>ca il segno: «Villa San Giuliano»; su la targhetta sono scolpiti su due pentagrammi le<br />

parole che risuonano con la musica <strong>di</strong> Zandonai nel Prologo della sua opera Giuliano: «Ogni pianta apre il suo cuore e<br />

canta».<br />

Zandonai, a quanto pare, non indulge con la pubblicità alla sua villa. Ma, come si supera il cancelletto, uno spettacolo<br />

meraviglioso si offre alla nostra scettica prevenzione. È proprio vero che ogni pianta qui apre il suo cuore e canta.<br />

La villetta, tutta nascosta, protetta dagli alti alberi, si profila civettuola, in un bizzarro stile nel quale si confondono, si<br />

amalgamano il me<strong>di</strong>oevale e il moderno, con un lontano richiamo al cinquecento. Ad affacciarsi da un terrazzino<br />

l’occhio abbraccia e si appaga <strong>di</strong> un panorama vasto e pittoresco: tutta la valle del Foglia con i segni lontani


dell’Appennino toscano; e più, <strong>di</strong>stesa placida la città con <strong>di</strong> fronte il mare che in queste notti <strong>di</strong> luna par richiami alla<br />

memoria il noto verso <strong>di</strong> d’Annunzio.<br />

Questa che scende e sale, <strong>di</strong> giù e <strong>di</strong> su dalla villetta, ha tutti gli aspetti e il tono <strong>di</strong> una foresta vergine, come se la terra<br />

feconda frenasse invano gli impeti della sua vita arborea. E pini e lecci e cipressi si guardano fra loro e levano le cime<br />

in alto, maestose. All’ombra <strong>di</strong> essi è la flora che <strong>di</strong>ffonde un acre profumo d’intorno. Quella che fu una stalla è adesso<br />

una serra; e i giar<strong>di</strong>ni germogliano senza nulla invi<strong>di</strong>are agli orti. Si sale ancora il colle, e una cappelletta non finita<br />

attende dal maestro illustre che venti giorni ad<strong>di</strong>etro Roma ha tanto festeggiato nei due memorabili concerti alla<br />

Basilica <strong>di</strong> Massenzio, che sia sistemata, abbellita. È la nota mistica in questo trionfale tripu<strong>di</strong>o della terra; e la signora<br />

Tarquinia, la fata della villa, bene consigliata è stata a volerla de<strong>di</strong>care a San Giuliano.<br />

Si ritorna alla villetta che alla piena luce dell’ora mattutina appare illeggiadrita da tutto quel verde che la decora, sulle<br />

quattro facciate, nei ghirigori delle piante rampicanti con le corolle <strong>di</strong> caprifogli, <strong>di</strong> rose, <strong>di</strong> solanum, <strong>di</strong> glicine e del<br />

fiore della passione.<br />

Lo stu<strong>di</strong>olo del maestro affaccia sul mare lontano. Tutto parla della fantasia <strong>di</strong> lui. È qui che son nate le sue due ultime<br />

opere: La Partita [sic], tenuta a battesimo con gran successo dalla Scala, e La farsa amorosa, che il pubblico <strong>di</strong> Roma<br />

ha accolto con tale espansiva e significativa accoglienza al teatro Reale dell’Opera, che è da augurarsi che il Conte<br />

d’Ancora l’includa nel cartellone della nuova stagione. Se no, a che ciarlare <strong>di</strong> protezione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione dell’opera<br />

nazionale? Ché la Farsa amorosa conta un successo – Roma, Catania, Trento, le tappe del primo anno <strong>di</strong> sua esistenza<br />

– come da oltre un decennio non se ne ricorda l’uguale.<br />

Una nota musicale ci <strong>di</strong>strae. È un uccellino che canta entro il fitto fogliame <strong>di</strong> un albero.<br />

-Maestro, che intonazione!<br />

-È una voce sensibile allo spirito rossiniano; ma dovreste essere qui, in primavera. Alle prime luci dell’alba, il giorno si<br />

desta con un concerto <strong>di</strong> usignuoli, e con tale abbandono da <strong>di</strong>ffondere per la purità dell’aria una sinfonia misteriosa e<br />

nostalgica.<br />

-E adesso che gli usignoli tacciono, quale opera, in tanta e così serena pace, agita la vostra fantasia?<br />

Il maestro non risponde. Ma dal sorriso della signora Tarquinia v’è da credere che un’altra creatura sta per rivestirsi <strong>di</strong><br />

melo<strong>di</strong>a, a far compagnia a Conchita, Francesca e Giulietta.<br />

L’ora del commiato è giunta. A volger lo sguardo ancora, un’altra sorpresa ci coglie: quante bestiole! Cani, gatti,<br />

piccioni, api, uccelli, questi ultimi imprigionati in cinquanta gabbie!<br />

-È questa forse, maestro, una missione... francescana? Beate le bestie che qui trovano asilo...<br />

***<br />

[...] (175)<br />

427<br />

Lino Ennio Pelilli, Ricor<strong>di</strong> pesaresi, «Rivista nazionale <strong>di</strong> musica» XVI/327, gennaio 1935 – pp. 3046-7<br />

Non <strong>di</strong>menticherò mai le serene ore passate in casa Zandonai, quando questi, agli albori della celebrità, accoglieva<br />

nella sua minuscola ed attraente <strong>di</strong>mora, durante le ore serali, alcuni tipi pesaresi sinceramente amici ed intellettuali.<br />

Dello Zandonai <strong>di</strong> allora ricordo la squisita signorilità dei mo<strong>di</strong> e la timidezza in ogni suo conversare, pur vibrante<br />

della più delicata e raffinata sensibilità.<br />

Era immancabile fra noi, in quelle sere, il pittore Quintilio Michetti, uomo gioviale ed artista sincero, quasi alla pari del<br />

fratello Francesco Paolo. Del nostro raduno egli rappresentava la parte vitale; la conversazione, in breve, per virtù sua,<br />

<strong>di</strong>ventava animata, ed il suo parlare fluido, facile, mirabilmente lucido serviva per concludere le polemiche <strong>di</strong> qualche<br />

tesi inasprita dal contrasto dei caratteri degli interlocutori così <strong>di</strong>fferenti, talora opposti gli uni agli altri, sebbene tutti<br />

convergenti verso la stessa profonda rispondenza spirituale.<br />

A tali nostri convegni spesso non mancavano la signora Gina Michetti, moglie del pittore, ed il sig. Montuori.<br />

Quest’ultimo allora consigliere <strong>di</strong> prefettura, e fino a pochi mesi fa Prefetto <strong>di</strong> Roma. La signora Gina, generosa,<br />

ingegnosa, s’immolava per intiero alla gioia dell’arte, ed a lei debbo durevole riconoscenza per avermi propiziato<br />

l’amicizia dello Zandonai, e <strong>di</strong> più, del poeta Morselli. Questa santa donna, che ho sempre d’allora considerato come la<br />

mia seconda mamma, loquace per temperamento, insegnava con il prestigio dell’esempio e con la fede delle nobili<br />

passioni. Io l’amavo, e ogni parola da lei pronunziata per me era una rivelazione, e niente mi piaceva più del suo brio,<br />

della sua acutezza e della sua vivacità espressiva. Anche il Maestro si intratteneva volentieri con essa in lunghe<br />

<strong>di</strong>scussioni e qualche volta, benché raramente, la conclusione del ragionamento consisteva in un’au<strong>di</strong>zione musicale.<br />

Interessante, anzi emozionante, era allora per sentir suonare e cantare Zandonai. Questi, con la sua bella voce<br />

baritonale, sembrava <strong>di</strong>venire un’anima sola col suo Bechstein. Le sue esecuzioni erano sovrabbondanti <strong>di</strong> sensibilità, e<br />

noi fissi con lo sguardo su <strong>di</strong> lui partecipavamo ai <strong>di</strong>fferenti suoi stati d’animo. Ci faceva spesso sentire qualcosa del<br />

Grillo del Focolare (prima giovanile opera dello Zandonai) per desiderio della Madrina, la quale <strong>di</strong> quest’opera era<br />

innamorata tanto che, per l’ora della morte, espresse il vivo desiderio che presso al suo capezzale ne fosse posto lo<br />

spartito, ed il suo desiderio fu appagato.<br />

E il signor Casmit (176) ? Era questi il padrino dello Zandonai, chiamato dallo stesso «Nonno»! Era un uomo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a<br />

statura, piuttosto scarno, grifagno e monosillabico nel parlare: <strong>di</strong> consigli ne sapeva dare a tutti, e li dava con certo tono<br />

autorevole, burbero ed affettuoso ad un tempo, duro e cor<strong>di</strong>ale.<br />

Il figlioccio rappresentava quasi per lui l’unico scopo della sua esistenza: era l’unico affetto.


Che <strong>di</strong>re del Montuori? Era allora come oggi un artista, oltre che un uomo politico. Il suo <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> copiosa abbondanza,<br />

metteva in evidenza l’uomo <strong>di</strong> una cultura enciclope<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong> una vasta eru<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong> una sensibilità delicata e raffinata.<br />

Era l’uomo che ci procurava soggezione e insieme gioia <strong>di</strong> averlo fra noi. Era, principalmente, il mecenate dei<br />

musicisti, come ritengo sia rimasto tutt’oggi.<br />

I nostri convegni avevano fine, quasi sempre, ad ora assai inoltrata nella notte, e prima dello scambievole saluto <strong>di</strong><br />

commiato, unitamente allo Zandonai, si faceva la consueta passeggiata alla spiaggia marina, ché questa trovasi assai<br />

vicina al centro <strong>di</strong> Pesaro ed ancora più all’abitazione del caro illustre Maestro.<br />

428<br />

Arturo Marpicati, Primi passi <strong>di</strong> Zandonai - I Premi Mussolini, «Quadrivio» III/27, 5.5.1935 – p. 1, col. 5 / p. 2, col. 1-<br />

2-3-4 (con foto <strong>di</strong> Zandonai)<br />

A Sacco<br />

Non spiacerà a quanti ammirano la musica dell’autore della Francesca da Rimini e della Farsa amorosa, ed a quanti<br />

amano gli artisti e le cose dell’arte in genere, seguire nei primi aspri passi della vita e degli stu<strong>di</strong> l’illustre compositore<br />

trentino. Questi umilissimi casi della fanciullezza dolorosa sono colmi, anche per i giovani, <strong>di</strong> un forte insegnamento.<br />

Dimostrano come tenacia <strong>di</strong> volontà e amore sconfinato all’arte riescano spesso a trionfare <strong>di</strong> tutte le ironie della più<br />

brutta realtà.<br />

Decimo Parziani non è affatto celebre: ma lo <strong>di</strong>venta a mano a mano che suo nipote, Riccardo Zandonai, sale su per un<br />

sentiero montano, così erto a salirsi e così lungo che pare non finir mai, e che sembra portare alle stesse soglie del cielo<br />

e dell’eternità. Ma Decimo Parziani, con ogni probabilità, <strong>di</strong> questo sentiero e <strong>di</strong> questo cielo non ne sapeva nulla. Egli,<br />

com’è obbligo e destino secolare <strong>di</strong> tutti gli zii, si stu<strong>di</strong>ava solo <strong>di</strong> svagare e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertire il nipotino: e però,<br />

accompagnandosi sulle corde d’una chitarra annosa, gli canticchiava le vecchie arie popolari <strong>di</strong> Bellini e <strong>di</strong> Ver<strong>di</strong>.<br />

Le prime bizze <strong>di</strong> Zandonai s’impuntarono quin<strong>di</strong> a voler sulle ginocchia quell’istrumento pro<strong>di</strong>gioso, da cui le sue<br />

piccole <strong>di</strong>ta, felici, potevano trarre una così inau<strong>di</strong>ta combinazione <strong>di</strong> suoni. Le cronache domestiche tacciono tuttavia<br />

se qualcuno in casa non s’impazientisse o non sbuffasse a quei primi saggi d’armonia, tanto spontanei, del futuro<br />

artista.<br />

Appesa ad una parete silenziosa nello stu<strong>di</strong>o della sua alpestre borgata nativa, quella chitarra soleva ricantare più tar<strong>di</strong>,<br />

negli ozi estivi, alla fantasia del maestro già famoso, melo<strong>di</strong>e che niuna virtù d’orchestra saprà mai riprodurre – quelle<br />

dell’aspra ma cara puerizia lontana, sorrise dai buoni occhi dello zio Decimo canterellante dalla sua seggiola inchinata<br />

a ridosso del fuoco: «Di quell’amor, <strong>di</strong> quell’amor che palpita...».<br />

Rivale della chitarra (<strong>di</strong> cui lo stu<strong>di</strong>olo è poi rimasto vedovo per opera <strong>di</strong> qualche territoriale austriaco) è un<br />

bombar<strong>di</strong>no che il signor Zandonai padre, smessa la lesina e il martello, suonava a per<strong>di</strong>fiato, specie nei mattutini<br />

riposi domenicali: egli era infatti, tra i <strong>di</strong>lettanti della antica banda del paese, uno dei più accesi. Le voci dei due<br />

strumenti furono perciò i primi richiami musicali, le prime sirene che sedussero l’orecchio e riempirono lo spirito del<br />

bambino, il quale è stato un vero precoce, senza per altro scomodare mezzo mondo per un frettoloso riconoscimento<br />

delle sue straor<strong>di</strong>narie attitu<strong>di</strong>ni. A sei anni poteva vedersi netta in lui la <strong>di</strong>sposizione all’arte del suono. Infatti da solo,<br />

a quella età, senza guida e senza l’aiuto d’uno de’ soliti meto<strong>di</strong>, intraprese... lo stu<strong>di</strong>o della teoria musicale.<br />

Così il padre, evangelicamente, gli pose tra mano un violino e: «Cava – gli <strong>di</strong>sse – dolci suoni da questo arnese, o<br />

figliolo mio!». E il docile figliolo suo cavò dolci suoni da quell’arnese.<br />

Dopo qualche tempo il padre suppose <strong>di</strong> avergli trovato un insegnante nel <strong>di</strong>rettore della banda paesana, un ruvido<br />

tedesco, impiegato nella grande fabbrica dei tabacchi <strong>di</strong> Sacco.<br />

Il precettore faceva consistere l’insegnamento nel ricopiare qualche aria dagli spartiti per banda; la buttava sotto il naso<br />

al ragazzo e gli or<strong>di</strong>nava <strong>di</strong> suonarla lì per lì sul violino.<br />

E ad ogni errore <strong>di</strong> lettura, ad ogni arresto o incertezza, corrispondevano altrettanti colpi d’archetto sulle tenere <strong>di</strong>ta<br />

dello scolaro, il quale, lamentandosi a causa <strong>di</strong> tali energici riti <strong>di</strong>dattici e minacciando <strong>di</strong> <strong>di</strong>sertare quella scuola se il<br />

professore non avesse cambiato solfa, ebbe dal padre – gustoso spirito veneto – il seguente saggio consiglio: «D’ora<br />

innanzi, bambino mio, assieme allo strumento ti porterai una bottiglia <strong>di</strong> vino.<br />

«Il tuo maestro – io lo conosco bene – è un buon <strong>di</strong>avolo: ma ha sempre molta sete; e quando non beve <strong>di</strong>venta aspro e<br />

feroce». Il piccolo Zandonai seguì l’amoroso consiglio paterno e trotterellò poi, in seguito, verso la casa del suo<br />

professore col fascicolo delle “arie”, col violino e con una bottiglia o con un fiasco del patriarcale liquore. «Papà invia;<br />

papà offre».<br />

Manco a <strong>di</strong>rlo, la trovata <strong>di</strong> papà sortì un pieno risultato pratico. Le cure del professore, specialmente verso la fine delle<br />

lezioni, erano sempre più gentili e persino tenere. Ma il minuscolo musicista continuava per conto suo a progre<strong>di</strong>re. A<br />

otto anni la passione e la preoccupazione più forti in lui erano quelle <strong>di</strong> poter "riscrivere" le note d’un’aria o d’un<br />

qualunque componimento musicale che gli avvenisse <strong>di</strong> sentire; e Zandonai rammenta oggi sorridendo che a <strong>di</strong>eci anni<br />

tentò le prime "partiture"! Cosicché il <strong>di</strong>rettore della Banda – a somiglianza del primo professore del Leopar<strong>di</strong> – benché<br />

a malincuore, rassegnò nelle mani <strong>di</strong> papà Zandonai le <strong>di</strong>missioni da insegnante, per non aver più che insegnare al<br />

ragazzo.<br />

A <strong>Rovereto</strong>


Condotto a <strong>Rovereto</strong>, cominciano per lui le prime schioppettate della dura battaglia giovanile. Povero, appartenente<br />

inoltre ad un Comune che non poteva mandare allievi a quella scuola <strong>di</strong> musica – a cui avevano invece <strong>di</strong>ritto<br />

solamente i roveretani – Zandonai trovò il primo aiuto valido e la prima vera guida nel <strong>di</strong>rettore della scuola stessa, il<br />

maestro Vincenzo Gianferrari, elevato spirito d’artista e coltissimo insegnante, in seguito <strong>di</strong>rettore del «liceo musicale»<br />

<strong>di</strong> Trento; uno <strong>di</strong> quegli uomini che al sole fatuo delle ribalte piazzaiole preferiscono l’ombra calda d’una ricca e<br />

resistente interiorità. Il Gianferrari nel ragazzo, pur arruffatamente istruito, fiutò – per così <strong>di</strong>re – il futuro cavallo da<br />

corsa e cominciò a nutrirlo <strong>di</strong> salda scienza, corrisposto dall’intelligente impetuosa avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> imparare e dalla tenace<br />

volontà dell’allievo.<br />

Colui che con sicuro intuito scoperse e con paterno stu<strong>di</strong>o alimentò la prima sacra favilla nel cuore del giovanissimo<br />

artista fu certo il Gianferrari, che il Maestro ricorda con filiale e grata venerazione.<br />

Troncò allora Zandonai le scuole ginnasiali già iniziate e si consacrò totalmente allo stu<strong>di</strong>o del violino, del pianoforte e<br />

de’ primi elementi d’armonia. Ma un corso regolare d’armonia – nemmeno più tar<strong>di</strong> a Pesaro – non lo seguì mai:<br />

preesistendo nel suo spirito, essa, l’armonia, vi faceva il suo “corso” anche senza... professori.<br />

Sono <strong>di</strong> questo tempo, fresche e nitide d’ispirazione, alcune prime sue romanze, cori e piccoli carmi <strong>di</strong> chiesa, che<br />

fanciulli e fanciulle del paese sorridente in riva all’A<strong>di</strong>ge cantavano nei giorni delle feste più solenni.<br />

Un signore – pezzo assai grosso <strong>di</strong> Sacco, anzi <strong>di</strong> tutto il Trentino, il conte Federico Bossi-Fedrigotti, in parentela da<br />

parte della moglie, una principessa Locovitz, con l’Imperatore e Re Cecco Beppe –, conosciute le speranze e le<br />

promesse eccezionali che <strong>di</strong> sé destava e dava a <strong>Rovereto</strong> il quattor<strong>di</strong>cenne Riccardo, manifestò il desiderio <strong>di</strong> farlo<br />

entrare nell’Accademia musicale <strong>di</strong> Vienna.<br />

Ma la somma annua assegnatagli a tale scopo era ad<strong>di</strong>rittura irrisoria; equivaleva non alla bohème ma ad una morte<br />

certa, per ine<strong>di</strong>a, sui marciapie<strong>di</strong>, allora luminosi e folleggianti, <strong>di</strong> Vienna capitale!<br />

D’altra parte l’apostolico conte non si sentì forse d’arrischiare, da solo, tutta una brillante azione <strong>di</strong> mecenate sulla testa<br />

sì grossa ma fragile e soggetta alle molte umane intemperie, del minuscolo musicista!<br />

Il Gianferrari esortò quin<strong>di</strong> caldamente papà Zandonai a sostenere qualsiasi sacrificio, ma a far proseguire il figlio negli<br />

stu<strong>di</strong> intrapresi. E gli consigliò il rinomato «Liceo Rossini <strong>di</strong> Pesaro»: dove Mascagni, pur fra le stranezze del suo<br />

arduo carattere, le singolarità strabilianti del suo guardaroba personale e le ribellioni scapigliate delle accademiche<br />

prudenze ed ai pudori provinciali – bene spesso tirannici – sapeva svecchiare e squassare i vecchi, stimolare e svegliare<br />

i nuovi artisti.<br />

A Pesaro<br />

Il treno li scaricò a Pesaro, padre e figlio, alle cinque <strong>di</strong> un freddoloso e piovoso mattino <strong>di</strong> novembre. Entrarono nel<br />

piccolo «Caffè del Trebbio» ad aspettarvi un’ora conveniente per presentarsi al liceo. Zandonai aveva quin<strong>di</strong>ci anni, e<br />

benché fosse già foderato <strong>di</strong> solida coltura musicale e sentisse ormai in sé l’insorgere del suo ingegno d’eccezione,<br />

furono pur tuttavia ore più d’ambascia che <strong>di</strong> speranza quelle dell’uggiosa notte in treno e della stanchevole sosta nello<br />

sba<strong>di</strong>gliante caffeuccio. «Avevo paura dell’esame d’ammissione al Liceo, sì, paura» – mi confessa oggi l’amico illustre<br />

senza sorridere. E in quella sua faccia nerboruta, solcata dai forti intagli che lasciano nelle carni i precoci "corpo a<br />

corpo" con la dentata miseria, si scorge il ricordo doloroso e superbo <strong>di</strong> quel tempo intessuto <strong>di</strong> rinunzie, <strong>di</strong> fredde<br />

<strong>di</strong>ffidenze, <strong>di</strong> umiliazioni e d’ironie. Vi leggete incisi i segni della sofferenza lontana, che la gloria recente non può<br />

cancellare. Ed è lui il primo a non volersene scordare!<br />

Quella sofferenza è una cosa cara tutta sua, è una forza del suo spirito, è l’aiuola più tormentata del suo giar<strong>di</strong>no, sulla<br />

quale l’alloro ha messo finalmente fronde resistenti.<br />

Passeggiando, il giorno prima, per le vie <strong>di</strong> Bologna, l’aveva colpito improvvisamente un signore dal vivo aspetto<br />

tragico e dal passo concitato. «Quello dev’essere Mascagni», aveva gridato a suo padre. Era Mascagni infatti, che<br />

scendeva poi a Pesaro dallo stesso treno, e in quella stessa mattina.<br />

L’esame d’ammissione andò a gonfie vele! Centosessanta le domande; 18 i posti; Zandonai tra i vincitori. Il segnale<br />

della battaglia era dato. Suo padre lo lasciava solo nella città, gli aveva in<strong>di</strong>cato la via che conduceva alla cittadella.<br />

Occorreva far presto; le cartucce erano poche. Ma il combattente era saldo e seppe spararle al segno e la vittoria fu sua.<br />

Rapidamente. A Pasqua del primo anno egli chiedeva <strong>di</strong> sostenere gli esami per l’ammissione al terzo corso. E<br />

superava la prova.<br />

Al secondo anno – spalleggiato dal dotto professor Cicognani, insegnante d’armonia, che, pre<strong>di</strong>ligendolo, lo sapeva<br />

anche <strong>di</strong>fendere dalle resistenze <strong>di</strong> alcuni altri professori – <strong>di</strong>vorava due corsi <strong>di</strong> contrappunto e due <strong>di</strong> fuga; gli veniva<br />

insieme eccezionalmente permesso <strong>di</strong> frequentare, come u<strong>di</strong>tore, il primo corso <strong>di</strong> composizione. Ma avendo riportato<br />

un profitto, <strong>di</strong>ciamo pure, uguale a quello d’un allievo "regolare", anche quell’anno da Mascagni gli fu contato per<br />

buono; cosicché al principio del terzo anno poteva inscriversi all’ultimo corso <strong>di</strong> composizione e all’ultimo <strong>di</strong> fuga. In<br />

tre anni egli si liberava così del novennio regolamentare al Liceo. Anni <strong>di</strong> lavoro incre<strong>di</strong>bile questi, non tanto per la<br />

scuola quanto per la lotta vicina e più tremenda che il giovane sentiva avvicinarsi.<br />

Ma oltre che un’affermazione del suo grande talento, l’assalto sbrigativo <strong>di</strong> Zandonai alla lunga trafila scolastica<br />

rimane un esempio <strong>di</strong> alto valore morale. La visione torturante della famigliuola poverissima, che da lungi lo seguiva<br />

con l’occhio slargato dalla speranza e dal più duro sacrificio, lo stimolava a richiamare dal profondo tutte le sue vergini<br />

e focose energie per affrettare la prima conquista. I maestri furono vinti dall’attività geniale e non comune dello<br />

studente; gli studenti, che allora portavano <strong>di</strong> gran ciuffi ondeggianti e <strong>di</strong> gran zazzere fosforose, ed in ognun dei quali<br />

il piccolo timido montanarotto aveva temuto i primi giorni d’aver a contrastare con altrettanti geni, rimasero sbalor<strong>di</strong>ti


dalla potenza acrobatica del giovanissimo compagno a cui non avevano risparmiato sorrisi <strong>di</strong> pietà o, per lo meno,<br />

sguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> olimpica tolleranza.<br />

All’esame <strong>di</strong> laurea – che Mascagni voleva sempre in forme solenni – Zandonai presentò come saggio Il ritorno <strong>di</strong><br />

O<strong>di</strong>sseo del Pascoli, poema sinfonico per soli coro ed orchestra; poema per cui qualche anno più tar<strong>di</strong> gli veniva<br />

assegnato un premio in denaro in un concorso, ban<strong>di</strong>to a Vienna dal Ministero austriaco del Culto e dell’Istruzione, al<br />

quale avevano partecipato una dozzina <strong>di</strong> concorrenti tedeschi. Anche con un altro <strong>di</strong>castero austriaco ebbe a che fare<br />

più tar<strong>di</strong> il Maestro allora irredento: cioè con quello degli Interni, che a Sacco gli fece perquisire la casa, durante la<br />

guerra, e gli sequestrò tra l’altro la sua numerosa corrispondenza, che però gli veniva tutta rispe<strong>di</strong>ta, a pace conchiusa,<br />

meticolosamente catalogata, spulciata, con segnate in blu ed in rosso le frasi troppo ar<strong>di</strong>tamente “italiane”! A 18 anni<br />

lasciava Pesaro, sempre povero in canna, ma possidente d’una vasta miniera <strong>di</strong> sogni e ricco <strong>di</strong> quella fede superiore<br />

che necessita per realizzarli.<br />

Lasciava Pesaro da lui amata e tenuta poi sempre come una seconda culla nativa, la bella Pesaro dai molti viali politi,<br />

orgogliosa così del suo nume tutelare Rossini come delle cinquecentesche e seicentesche maioliche de’ suoi celebri<br />

vasai, che trattengono le lucentezze e i riflessi dell’aureo ed azzurro mare estivo; citta<strong>di</strong>na, Pesaro, nella quale – sopra<br />

tutte le bizze, le beghe e le faziose parti battaglianti ora per l’uno ora per l’altro artista – stanno vivi e <strong>di</strong>ffusi come in<br />

nessun’altra città, forse, il culto ed il gusto più sicuro della Musica.<br />

Al bel cielo, al bel mare, alla bella atmosfera <strong>di</strong> Pesaro, pregna d’<strong>artistica</strong> passione, deve Zandonai parecchie delle sue<br />

ardenti inspirazioni. Ma ad una bassa casetta, tinta <strong>di</strong> bianco, a mezzo d’una breve via solitaria, verso Porta Fano, dove<br />

passa tuttora gran tempo dell’anno in quiete feconda, è legato sopratutto il cuore del Maestro; poiché in quell’umile<br />

abitazione egli trovò il calore più favorevole ai sogni nascenti. Nei coniugi Kalsmtt (177) , d’origine trentina, che ve lo<br />

tenevano in locanda, specie nella coltissima signora, ebbe non vacui mecenati sonori, ma veri e religiosi credenti nella<br />

sua arte, amici confortevoli nei tristi perio<strong>di</strong> d’oscura lotta.<br />

La vena cominciò presto a zampillare e vennero fuori, fresco e sereno Il grillo del Focolare, violenta ed accesa<br />

Conchita, lineare e romanamente maestosa Melenis, sino al trionfo decisivo della decorativa e descrittiva, drammatica e<br />

limpidamente cantata musica della Francesca da Rimini. Poi i successi, pur tra gli inevitabili contrasti e i cocciuti<br />

<strong>di</strong>nieghi, non si contarono, sino alla Farsa amorosa in questi giorni, applau<strong>di</strong>ta da Roma nel suo Teatro Reale<br />

dell’Opera.<br />

Non sono un critico musicale. Sono un vecchio amico e un estimatore sincero del musicista. E la mia spontanea opera<br />

<strong>di</strong> biografo voglio terminarla anch’io con alcune <strong>di</strong> quelle “curiosità” che interessano sempre, e forse troppo, quando<br />

riguardano artisti che hanno attinto la celebrità.<br />

Curiosità<br />

Riccardo Zandonai non fornisce però al suo biografo elementi brillanti per uno scapigliato profilo che piaccia a quella<br />

molta gente de<strong>di</strong>ta oggi, in special modo, con meschino go<strong>di</strong>mento, al morboso aneddoto da camera, alla elegante<br />

barzelletta e alla bella stravaganza. Egli è <strong>di</strong>verso da molti artisti che pur hanno raggiunto la fama. È modesto, non <strong>di</strong><br />

quella modestia che è sinonimo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ocrità o <strong>di</strong> nullità, ma <strong>di</strong> una modestia manzoniana, sano prodotto <strong>di</strong><br />

un’equilibrata coscienza superiore.<br />

Vive con semplicità una quieta vita famigliare, da cui esce, ben corazzato, <strong>di</strong> tratto in tratto, ad impegnare col mondo le<br />

sue forti e vaste battaglie. Ritorna quin<strong>di</strong> subito in una calda ombra <strong>di</strong> raccoglimento, confortato da una rara compagna<br />

<strong>di</strong> grande cuore e d’ingegno, la signora Tarquinia Tarquini Zandonai, che fu già impareggiabile interprete delle sue<br />

opere, specialmente <strong>di</strong> Conchita. Il Maestro suol <strong>di</strong>re sorridendo che se ha guadagnato una moglie intelligente, ha però<br />

perduto un’intelligentissima eroina dei suoi drammi. Ama la campagna più solitaria, <strong>di</strong> quel medesimo sincero ardore<br />

che mette nel fuggire dalla città. Ama gli amici – pochi – e che, possibilmente, non siano critici <strong>di</strong> musica, e tra i quali<br />

possa, dopo i giorni <strong>di</strong> lavoro, riposare lo spirito in una conversazione piana e lieve.<br />

O<strong>di</strong>a tutto ciò che odora <strong>di</strong> vacua mondanità. Se le esigenze gli impongono <strong>di</strong> partecipare a feste, a cerimonie, a cene<br />

ufficiali, egli vi si rassegna e vi partecipa anzi, spesso, con quella sua vivacità scattante e interrompente ogni poco la<br />

posa me<strong>di</strong>tativa che gli è abituale. Ma si rifà poi subito del sacrificio compiuto con un più lungo bagno all’aria aperta,<br />

col suo fucile in ispalla o sottobraccio, in compagnia <strong>di</strong> due ottimi familiari assai affezionati della razza dei Setter<br />

bianchi, Dot e Pax, madre e figlia... Adora questi cani e ve ne esalta ad ogni minima richiesta le qualità umane più<br />

buone e sorprendenti.<br />

Non è a credere tuttavia che Zandonai avrebbe mai fatto inorri<strong>di</strong>re, per la sua passione venatoria, il suo francescano<br />

amico Giovanni Pascoli. Mio Dio, se una quaglia gli sfrulla sotto il naso, imbraccia e sa anche colpire... Ma egli non ha<br />

del vero cacciatore i manigol<strong>di</strong> istinti sterminatori, bensì la caccia rimane per lui uno stimolo costante ad uscire <strong>di</strong> casa,<br />

a muoversi, a passeggiare, un pretesto per le sue ardue scarpinate, assorto nelle melo<strong>di</strong>e del paesaggio. A questo suo<br />

bisogno <strong>di</strong> percorrere chilometri nei purpurei silenzi mattutini o nei pomeriggi <strong>di</strong> fiamma dell’autunno, non è estraneo<br />

il suo sistema <strong>di</strong> lavoro.<br />

Egli compone a memoria scene sopra scene, persino un intero atto: scrive, corregge, accumula e cancella mentalmente<br />

migliaia e migliaia <strong>di</strong> note. Attacca un lavoro a capofitto e non lo lascia più fin che è finito. Non può soffrire<br />

l’interferenza d’altri lavori. Sente la necessità <strong>di</strong> non perdere il filo e però resiste ogni giorno sull’opera iniziata, senza<br />

soste.<br />

Prova sempre la tristezza sottile del dover fissare e più ancora nel non aver più da fissare: poiché quella scrittura<br />

definitiva è, sì, la fine per lui d’un travaglio e d’un tormento acuto, ma è anche la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una gioiosa gestazione.


Il giorno seguente alla stesura quelle note sono già <strong>di</strong> molti altri, non sono più solamente sue, non sono più l’atto<br />

angoscioso e sublime della creazione.<br />

Altra caratteristica del suo lavoro è la rapi<strong>di</strong>tà, talvolta incre<strong>di</strong>bile. Una volta “fissato”, non rifà e non corregge più; non<br />

mo<strong>di</strong>fica che rari dettagli. Il verbo che coniuga più volentieri praticamente è: “esaurire”.<br />

Il passato non lo interessa più: il “nuovo” soltanto, e il migliore, attrae e appassiona costantemente la pura fantasia <strong>di</strong><br />

questo piccolo duro legnoso uomo trentino, che ha raggiunto ormai l’alta statura dei veri artisti.<br />

429<br />

Riccardo Zandonai è tra le maggiori personalità artistiche d’Italia: il suo nome, popolare in patria quanto la sua<br />

musica, tiene alta, nel più vasto e combattuto mondo del teatro lirico, l’insegna del melodramma italiano, che,<br />

rinnovandosi alle fonti della musica sinfonica contemporanea, rimane saldo sulle sicure nostre tra<strong>di</strong>zioni della<br />

melo<strong>di</strong>a e del canto.<br />

Fin da quando si rappresentarono i suoi primi lavori teatrali, Il grillo del focolare e Conchita, ricchi <strong>di</strong> limpido<br />

sinfonismo e <strong>di</strong> estro melo<strong>di</strong>co nostrano, fu chiaro che sorgeva in Italia una nuova <strong>figura</strong> <strong>di</strong> operista. L’affermazione<br />

definitiva sopravvenne nel 1914 con la Francesca da Rimini, con la quale la tragica visione dannunziana trovò piena<br />

rispondenza nell’arte dei suoni. E, ciò che importa, il successo teatrale, in questa come nelle opere precedenti, era<br />

raggiunto non mai a scapito dell’opera d’arte.<br />

In siffatto culto rigoroso dell’arte, senza abbandoni e pertanto non scevro <strong>di</strong> amarezze e pericoli, da allora fino ad<br />

oggi si è svolta la produzione <strong>di</strong> Riccardo Zandonai che è abbondante sia nel campo teatrale, sia in quello puramente<br />

sinfonico. Ben <strong>di</strong>eci suoi melodrammi – <strong>di</strong> cui è superfluo elencare i titoli generalmente noti – stanno a <strong>di</strong>mostrare,<br />

non fosse che per l’ar<strong>di</strong>mento della scelta <strong>di</strong> taluni gran<strong>di</strong> soggetti, l’altezza degl’intenti artistici perseguiti dal loro<br />

autore.<br />

Con I Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù, opera <strong>di</strong> vasta concezione, rappresentata nel 1925 alla «Scala», si apre l’ultimo decennio –<br />

in<strong>di</strong>cato per il premio Mussolini – dell’attività <strong>artistica</strong> <strong>di</strong> Zandonai: attività per vero, fino ad oggi, continua e<br />

multiforme; ché, <strong>di</strong> conserva con la produzione musicale varia <strong>di</strong> genere e ininterrotta, egli ha sviluppato la sua<br />

personalità anche come <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> orchestra, non solo delle proprie opere nei teatri, ma pure come interprete <strong>di</strong><br />

musica classica e moderna nelle maggiori sale da concerto. All’ultimo decennio appartengono altresì col Giuliano,<br />

rappresentato la prima volta al «San Carlo» <strong>di</strong> Napoli nel 1928, i due ultimi melodrammi, La partita [sic] in un atto,<br />

datasi alla «Scala» nel 1933, e la Farsa amorosa nell’anno stesso in Roma al «Reale Teatro dell’Opera», dove in<br />

questi giorni è stata felicemente ripresa.<br />

Fra l’una e l’altra opera Zandonai ha composto negli ultimi anni non pochi lavori sinfonici e da camera; basta citare<br />

fra i più notevoli la popolare Danza del torchio e Cavalcata <strong>di</strong> Romeo (dalla sua opera Giulietta e Romeo) e il poema<br />

sinfonico Quadri <strong>di</strong> Segantini, che è venuto a completare con altri due poemi degli anni precedenti – Primavera in Val<br />

<strong>di</strong> Sole e Autunno fra i monti – il trittico orchestrale che sotto il titolo <strong>di</strong> Patria lontana (178) il musicista trentino,<br />

ritraendone gli echi in passaggi sonori, de<strong>di</strong>cava alla sua terra.<br />

L’affetto al natìo loco cagionava al musicista trentino nel 1916 la condanna per alto tra<strong>di</strong>mento da parte<br />

dell’Imperiale Regio Tribunale <strong>di</strong> Innsbruck, sotto la vecchia Austria: capi <strong>di</strong> accusa, l’aver dapprima composto la<br />

Messa <strong>di</strong> Requiem eseguita nel 1914 (179) al Pantheon in memoria <strong>di</strong> Re Umberto, l’aver poi scritto in senso "nazionale"<br />

italiano l’Inno degli Studenti trentini e infine, nel 1915, l’Inno alla patria, sui versi <strong>di</strong> Giovanni Bertacchi e per invito<br />

<strong>di</strong> Cesare Battisti.<br />

La <strong>figura</strong> del musicista s’illumina così anche <strong>di</strong> luce patriottica, che lo fa a noi ancor più stimabile e caro.<br />

Come della sua terra ora redenta, Riccardo Zandonai è vanto del teatro lirico italiano, <strong>di</strong> cui sa reggere con intenti<br />

moderni le sacre tra<strong>di</strong>zioni.<br />

Ottorino Respighi (180)<br />

430<br />

Luigi Dallasta, Zandonai e la sua «Arca» tra i fiori e i frutteti della Villa pesarese <strong>di</strong> San Giuliano, «La Tribuna»,<br />

1°.7.1939 – p. 5, col. 4-5-6-7 (con tre fotografie recanti rispettivamente le seguenti <strong>di</strong>dascalie: «Villa San Giuliano - La<br />

finestra con balcone dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Riccardo Zandonai»; «Riccardo Zandonai in un momento <strong>di</strong> ricreazione gita nel<br />

parco accompagnato dalla sua cara ‘checca’»; «Zandonai si fa fotografare assieme al suo fido»)<br />

PESARO, giugno<br />

A Villa San Giuliano si attendeva da tempo la primavera, ma l’attesa s’è risolta in un nulla <strong>di</strong> fatto, come <strong>di</strong>cono gli<br />

sportivi. Non si è avuta che qualche giornata <strong>di</strong> sole e, per il rimanente, pioggia a rovesci e clima invernale. Così siamo<br />

passati <strong>di</strong> colpo all’estate ed in questi giorni Villa San Giuliano, dove Riccardo Zandonai trascorre la sua feconda vita<br />

agreste, è tutta un sorriso ed un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> gioia tra i fiori ed il verde del parco che il Maestro cura con meticoloso<br />

amore.<br />

Niente in<strong>di</strong>screzioni...


Qui non parleremo dell’illustre compositore, né faremo in<strong>di</strong>screzioni sulla sua attività <strong>artistica</strong> (ai nostri lettori basti<br />

sapere in proposito che Riccardo Zandonai lavora attorno ad un’opera <strong>di</strong> massa, imponente, che dovrebbe avere per<br />

scena le meravigliose vestigia romane messe in luce nell’Urbe per volontà del Duce; che il il libretto sul tema «Orazi e<br />

Curiazi» è <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Guastalla; che, a quanto afferma lo stesso Maestro, la nuova opera rappresenterà per l’appunto<br />

un tentativo per il teatro <strong>di</strong> massa (181) ; e che infine Zandonai oltre a questo lavoro sta preparando una gra<strong>di</strong>tissima<br />

sorpresa, della quale, non appena possibile, saremo lieti <strong>di</strong> dar la primizia) (182) . Questa volta i lettori si accontentino <strong>di</strong><br />

conoscere un altro aspetto della vita del Maestro, un lato che non tutti sanno e per questo quanto mai interessante e cioè<br />

la vita agreste, ritiratissima, che il Maestro conduce lontano dalle rumorose città, lontano dalla vita mondana, sul colle<br />

<strong>di</strong> San Bartolo, fra le piante e gli animali che tanto ama.<br />

«Ogni pianta apre il suo cuore e canta»<br />

La villa <strong>di</strong> Zandonai si vede dalla strada nazionale venendo da Cattolica, poco prima <strong>di</strong> entrare a Pesaro attraverso il<br />

ponte sul Foglia: essa spicca can<strong>di</strong>da fra il verde dell’immenso parco e si scorge prima <strong>di</strong> imboccare il ponte, voltando<br />

a sinistra sulla strada del Castello Imperiale, magnifica opera <strong>di</strong> Luciano Laurana. Due mattonelle <strong>di</strong> ceramica poste sui<br />

pilastri ai lati del cancello fanno la presentazione della villa dove aleggia lo spirito <strong>di</strong> Giulietta: alcune note musicali e<br />

sotto due versi del Giuliano: «ogni pianta apre il suo cuore e canta».<br />

Ed è proprio così, perché un senso <strong>di</strong> poesia e <strong>di</strong> musica vi pervade non appena varcate la soglia per internarvi nel<br />

parco, in mezzo al quale, su una bella spianata, sorge la casa. E sarà opportuno <strong>di</strong>r subito che anche questa è un’opera<br />

<strong>di</strong> Zandonai, perché ideatore e ingegnere ne è stato lo stesso maestro; ed è stato proprio lui a volerla così, a volerne fare<br />

un angolo della sua «Giulietta e Romeo», tutto scalette e veroni, balconi fioriti, arcate e loggette coperte <strong>di</strong> rampicanti.<br />

È qui, da circa otto anni, che assieme all’eletta compagna della sua vita, la signora Tarquinia, il maestro Zandonai vive<br />

in piena comunione con la natura, in un isolamento fecondo: isolamento cui non rinuncia che molto a malincuore. Basti<br />

<strong>di</strong>re che quando per ragioni professionali deve lasciare Pesaro, le sue assenze si riducono al tempo strettamente<br />

necessario, sensibilissimo com’è al muto richiamo della sua villetta.<br />

La “Checca”, le “monachelle”, pavoni e galline<br />

Si de<strong>di</strong>ca con infinita passione alle piante ed agli animali, e la loro cura lo assorbe per parecchie ore del giorno; è per<br />

lui quasi il premio al suo lavoro, e la natura pare ricompensarlo ad usura ricambiando il suo amore e le sue premure con<br />

quella fluida e limpida vena che ha voluto donargli <strong>di</strong> cui appaiono doviziose le sue opere.<br />

Il parco gran<strong>di</strong>oso che sale verso il monte è percorso da un viale che ogni anno va arricchendosi <strong>di</strong> nuove varietà <strong>di</strong><br />

fiori e <strong>di</strong> frutta – ricor<strong>di</strong>amo quelle squisite che abbiamo gustato gli anni scorsi assieme al baritono Maugeri ed al<br />

tenore Salvati che anche quest’anno non mancheranno all’appuntamento – e ad ogni svolta il viale dà vita a un angolo<br />

caratteristico: prima una veduta panoramica, poi un originale teatrino con le quinte fatte <strong>di</strong> piante ben tagliate, poi una<br />

cappelletta de<strong>di</strong>cata a San Giuliano, che una bimba che il Maestro tiene spesso con sé adorna <strong>di</strong> immagini sacre. Infine<br />

il viale sbocca in uno spazio donde si gode un vasto orizzonte marino: ed è anche questa una sorpresa per il visitatore ai<br />

cui sguar<strong>di</strong> il mare si offre improvvisamente; visione tanto più suggestiva in quanto lo spettacolo meraviglioso vi si<br />

apre <strong>di</strong>nanzi come da un aereo balcone, ad un centinaio <strong>di</strong> metri d’altezza.<br />

È in questa quiete che il Maestro si ispira lavora e vive con la sua... arca: parecchie decine <strong>di</strong> animali, unici fortunati<br />

abitatori del parco e della villa.<br />

La «Checca» domina tutto il parco: è la graziosa somarella che il maestro ha voluto eternare, portandola sulla scena<br />

nella «Farsa amorosa»; sui veroni e sulle loggette è il regno delle “monachelle”, una graziosa varietà <strong>di</strong> piccioni che<br />

rende ancora più suggestivo il quadro; pavoni, galline, anatre, pulcini sono i padroni del cortile; i padroni <strong>di</strong> casa sono<br />

invece i gattini d’Angora e i cani che fanno, si può <strong>di</strong>re, tanti passi quanti ne fa Zandonai.<br />

Questo è l’ambiente in cui vive il Maestro che alterna le ore <strong>di</strong> lavoro alla cura del parco e delle sue amatissime bestie,<br />

alle gite, alla caccia. Talvolta, con allegre comitive <strong>di</strong> artisti, va volentieri al porto, sulla Via Canale, all’«Osteria del<br />

brodetto artistico», da lui stesso così battezzata, per gustare quelle eccellenti pietanze <strong>di</strong> pesce in brodetto, arrosto o<br />

fritto, che una autentica popolana prepara, fiera della sua sapienza gastronomica e dell’elogio incon<strong>di</strong>zionato del<br />

Maestro.<br />

431<br />

Bruno Barilli, Musica e teatro. Concerto Zandonai, «Il Tempo», [?.7.]1940<br />

Riccardo Zandonai fu allievo, circa quarant’anni fa, del Conservatorio <strong>di</strong> Pesaro – e scolaro, se non mi sbaglio, <strong>di</strong><br />

Pietro Mascagni, il quale forse non ci tiene a confermarlo.<br />

Stu<strong>di</strong>oso, modesto, e povero, Zandonai era sostenuto da ogni parte, e per <strong>di</strong>verse ragioni.<br />

Dunque fu spinto e sostenuto.<br />

Primo: perché era irredento (è nato in quel <strong>di</strong> Trento, in quell’alto mondo <strong>di</strong> neve dove all’alba appare l’aspro e<br />

improvviso, il gallo <strong>di</strong> montagna, ricciuto e intarsiato <strong>di</strong> colori come un balocco <strong>di</strong> legno, dove dondola alla tramontana<br />

l’orsacchiotto dell’epoca terziaria.<br />

Secondo: in ragione della sua singolare piccolezza: un’origine eccelsa e pura, non vi sembra? L’ha avuta il nostro<br />

Zandonai.<br />

Dopo i tre granatieri della melo<strong>di</strong>a, Puccini, Mascagni e Giordano, egli spuntò all’orizzonte della lirica italiana come<br />

una specie <strong>di</strong> Tom Pouce, ma senza la vivacità e la petulanza dei nani.


Lo mettevi in pie<strong>di</strong> su una se<strong>di</strong>a, e invece <strong>di</strong> recitarti una graziosa poesia come fa il fanciullo pro<strong>di</strong>gio, lui ti <strong>di</strong>rigeva<br />

una sinfonia. Ma aveva già ventitre anni.<br />

E, in terzo luogo, fu sostenuto perché era buono e modesto.<br />

Alla vista del bue non si gonfiava come la rana.<br />

Tutti gli volevano bene.<br />

Così fu, che dopo la scuola passò ipso facto al teatro e il suo nome passò dell’albo dei laurean<strong>di</strong> compositori al grande<br />

cartellone della Scala <strong>di</strong> Milano.<br />

Se il nostro Zandonai avesse avuto un po’, solo un po’ <strong>di</strong> musica in corpo, era fatto: il mondo era suo.<br />

Innalzato sugli scu<strong>di</strong> Zandonai continuò invece a costituire un caso <strong>di</strong> insufficienza vitale, a cui né il tempo né la<br />

fortuna non han potuto portare rime<strong>di</strong>o. E si comportò in modo da farci dubitare che egli fosse un vero essere umano in<br />

carne ed ossa.<br />

Cos’è cosa non è – Zandonai scrive musica, sulla carta. Quando non è più sulla carta questa musica non è più musica.<br />

Conosce a fondo il suo mestiere – e non è a <strong>di</strong>re che sia un mestierante – lavora con coscienza. Ha il suo amor proprio<br />

d’artista, ma l’arte non ce l’ha. È scrupoloso al massimo la qual cosa non significa poi che le sue sian scrupolose<br />

porcherie. Insomma è un gran lavoratore che non l’imbrocca mai. – Buono a fare tutto e bene.<br />

I francesi chiamano queste forze <strong>di</strong> secondo e terzo or<strong>di</strong>ne: un’utilitée.<br />

Crudo, ru<strong>di</strong>mentale, senza psicologia, né levatura il nostro operista traduce in estasi rassegnata i sentimenti che non<br />

conosce e non prova. Come autore non ha richiamo.<br />

Natura scabra, neutra, senza espressione, terra terra come un frammento geologico, non ostante le sue ridottissime<br />

<strong>di</strong>mensioni e minuscole proporzioni egli è materiato <strong>di</strong> gigantismo tonto.<br />

Senza autonomia, o personalità, alcuna, né <strong>di</strong>fferenza qualitativa fra lui e le Dolomiti del suo spettacoloso paese.<br />

Le passioni non lo possono bruciare – la vita non lo consuma. Non può intenerirlo il successo – né alleggerirlo la<br />

fantasia – insomma egli è il contrario, d’ogni volubilità ariosa, amorosa, alata, palpitante e soprattutto musicale.<br />

Per fortuna essendo vecchio, conservatore e fermo come la rupe, la pietra, egli non fa il rivoluzionario, né il modernista<br />

e non approfitta affatto della confusione e dell’inganno che si è andato creando intorno a lui, in nome delle idee nuove.<br />

Tetragono, Zandonai tiene la via <strong>di</strong> mezzo. Anche il pubblico tiene la via <strong>di</strong> mezzo – ma non è sod<strong>di</strong>sfatto mai –<br />

Purtroppo la sua voce cavernosa e stridente non ha prestigio sui cuori.<br />

D’altra parte è dovere aggiungere che, dati i concorrenti italiani che in quest’epoca si trova ad avere quest’operista, se<br />

la cava benissimo e con grande facilità – meglio lui che un altro, <strong>di</strong>ce la gente.<br />

Massiccio, duro, pesante, come un aereolito – e dove è caduto rimane. Né lo puoi smuovere più. Zandonai è caduto nel<br />

centro del teatro italiano.<br />

Bisognerà lasciarcelo, o abbandonare il teatro?<br />

Ma aspettate, e trasecolate.<br />

Finalmente ci tocca smentire tutto quel che abbiamo detto fin’ora: Zandonai elettrizzato ha dato segni palesi <strong>di</strong> vita –<br />

l’umano ha guadagnato la pietra, il respiro e l’animazione hanno invaso la cariatide.<br />

Fu nel concerto <strong>di</strong> ier l’altro qui a Roma, che, dopo quarant’anni <strong>di</strong> prigionia minerale, Zandonai si spiegò, si sciolse, si<br />

staccò dalla sua immobilità <strong>di</strong> roccia e <strong>di</strong>resse con spirito, colore e dolcezza pienamente musicale la gran<strong>di</strong>ssima e<br />

docile orchestra sinfonica del Teatro Adriano.<br />

432<br />

Renato Pompei, Puccini e Zandonai, «Il mondo musicale», 15.7.1945 – p. 2, col. 2-3-4<br />

Nel lieve canto <strong>di</strong> Liù morente, Giacomo Puccini sembra abbia fuso la poesia <strong>di</strong> una segreta mestizia e gli accenti tristi<br />

<strong>di</strong> chi sa <strong>di</strong> morire, in solitu<strong>di</strong>ne, in umiltà, con lo sconforto <strong>di</strong> un sogno infranto. Fu, senza dubbio, tragico presagio.<br />

Turandot rimase incompiuta sulla fine del terzo atto, alla scena della morte della piccola schiava. A quel punto, il<br />

vecchio Timur singhiozza ti seguirò nella notte che non ha mattino, e dalla pagina musicale emana quasi l’annuncio<br />

dell’atroce sorte che, poco più tar<strong>di</strong>, colpisce il maestro lucchese. Infatti si spense a Bruxelles nel novembre del 1924,<br />

in una casa <strong>di</strong> cura, stroncato da un morbo orribile.<br />

Con identica fine, circa vent’anni più tar<strong>di</strong>, veniva a mancare alla Patria, all’Arte – così <strong>di</strong> annunciava il laconico<br />

avviso funebre – Riccardo Zandonai. Si era al tramonto del 5 giugno dell’anno scorso, tristo e sanguigno. L’artista<br />

trentino scomparve per sempre, vinto da un male spietato, lasciando abbozzato il terzo atto della sua ultima opera<br />

intitolata Il bacio.<br />

Il gelido volo della morte ha coperto così i due musicisti, quasi a consacrare nella tragicità del comune destino la<br />

genuina italianità delle loro creazioni.<br />

Iniziarono la loro carriera per <strong>di</strong>rettrici <strong>di</strong>verse, fra le insi<strong>di</strong>e <strong>di</strong> una critica demolitrice, e colsero il primo successo <strong>di</strong><br />

pubblico, l’eterno onesto sovrano, Puccini con Manon e Zandonai con Conchita. Due drammi <strong>di</strong>fferenti, due creature<br />

del più suggestivo romanticismo: l’una <strong>di</strong> sensualità maliarda, e fatale l’altra. Poi, quasi percorrendo insieme la fiorita<br />

via dell’ispirazione, il Maestro lucchese prese a cantare le umili eroine (Mimì, Butterfly, Tosca, Minnie), il Maestro<br />

trentino invece, quasi rapito dal fascino <strong>di</strong> epoche fastose, <strong>di</strong> tragiche visioni, <strong>di</strong> ambienti ferrigni, ha con preferenza<br />

ornato <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>e e calde tinte celeberrimi amori (Melenis, Francesca, Giulietta).<br />

Ma l’estro versatile <strong>di</strong> Zandonai ha anche trattato trame saporosamente veriste, situazioni burlesche (Grillo del<br />

focolare, Via della finestra, Farsa amorosa) pur rimanendo il linguaggio, senza banalità, nella cornice della sua indole<br />

prevalentemente romantica. Altre composizioni <strong>di</strong> Puccini (Le Villi, La Ron<strong>di</strong>ne, Gianni Schicchi) sono alquanto


aderenti ai tre lavori zandonaiani per atmosfera, per intreccio <strong>di</strong> scene e sopratutto per il modo <strong>di</strong> stilizzare l’eloquio<br />

musicale in un tipo <strong>di</strong> opera essenzialmente me<strong>di</strong>terranea. Gli altri soggetti, infine, della pro<strong>di</strong>giosa attività dei due<br />

musicisti sono tutti animati da quel carattere <strong>di</strong> universalità e <strong>di</strong> umanità che è il requisito principale <strong>di</strong> ogni opera<br />

d’arte.<br />

Mentre Puccini è sostanzialmente animato da ampio respiro melo<strong>di</strong>co e parla con semplicità palpitante al nostro cuore,<br />

ornando <strong>di</strong> conforto e <strong>di</strong> dolcezze sogni forse inafferrabili, Zandonai appare cantore aristocratico, artefice intento a<br />

modellare il suo linguaggio melo<strong>di</strong>co come lo scultore <strong>di</strong> una Venere che poi ricopre quasi gelosamente con la opulenta<br />

capellatura. Ma tanto le creature pucciniane quanto le zandonaiane parlano appassionatamente e italianamente. I due<br />

artisti non si sono mai abbandonati alla ridda delle tendenze; si sono costantemente ribellati a talune influenze<br />

d’oltr'alpe ed hanno scritto lavori colmi <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni melo<strong>di</strong>ci.<br />

Turandot fu la sfida <strong>di</strong> Puccini al monopolio moderno <strong>di</strong> certe composizioni musicali <strong>di</strong> colore, <strong>di</strong> ambienti esotici <strong>di</strong><br />

marca bastarda.<br />

I Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù furono la nuova parola <strong>di</strong> Zandonai, il quale affrontando la originale e strana leggenda nor<strong>di</strong>ca<br />

riuscì a dare armonie patetiche e pittoriche a tutti i suoi motivi lirici e drammatici. Turandot e I Cavalieri sono, come<br />

soggetto, agli antipo<strong>di</strong>, ma al loro contenuto fiabesco i due autori, come presi dal medesimo fervore, affascinati dagli<br />

elementi folcloristici e ambientali, hanno impresso la loro personalità facilmente riconoscibile. E ciò senza incertezze,<br />

anche se talvolta la critica, in ispecie per Zandonai, ha fatto riserve sull’effetto <strong>di</strong> certe colorazioni del capolavoro <strong>di</strong><br />

Selma Lägerloef [sic]. Ma quelle riserve rimangono nel campo dell’angusta indagine, come quella, per esempio, che<br />

una volta non seppe ammettere Puccini alle prese con situazioni caricaturali o grottesche (tre maschere in Turandot) o<br />

con le gran<strong>di</strong> scene <strong>di</strong> masse (II atto medesima opera). Certo è che i due artisti hanno riscaldato, con affine sensibilità,<br />

con il sole della loro terra, i personaggi irreali, le fantasie abbacinanti, i linguaggi <strong>di</strong> sogno che formano il contenuto<br />

della fiaba del Gozzi e della leggenda <strong>di</strong> Giosta Berling. Quasi tutto l’or<strong>di</strong>to musicale è tessuto con fili esotici, ma ove<br />

gli episo<strong>di</strong> passionali appaiono, allora fioriscono veementi e commoventi le loro espressioni liriche. Nel finale delle<br />

due opere, poi, tanto la fragile Liù quanto la imponente Comandante muoiono in un’atmosfera <strong>di</strong> alta poesia e <strong>di</strong><br />

profonda significazione, il sacrificio del vero amore nell’una e nell’altra l’allegoria della redenzione <strong>umana</strong> col lavoro.<br />

Intento artistico comune, questo <strong>di</strong> dare un valore simbolico alle due creazioni, che ancora meglio avvicina i nostri due<br />

gran<strong>di</strong> musicisti scomparsi.<br />

433<br />

Mario Rinal<strong>di</strong>, Come Boito scoprì Zandonai. Il fiuto <strong>di</strong> Tito Ricor<strong>di</strong> - Un triste destino - L’inno «La libertà» su parole<br />

<strong>di</strong> Cesare Battisti - L’ultima sua invocazione fu per l’Italia, «Il Messaggero», 15.6.1947 – p. 3, col. 5-6-7<br />

Solenni onoranze sono state rese alla salma <strong>di</strong> Riccardo Zandonai traslata da Pesaro a <strong>Rovereto</strong> per essere tumulata<br />

nella tomba <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> Borgo Sacco. Alla commovente cerimonia presenziarono la vedova e la figlia del Maestro e<br />

varie personalità del mondo musicale e culturale. Il Presidente del Consiglio inviò un telegramma <strong>di</strong> adesione.<br />

Riccardo Zandonai attendeva un simile riconoscimento ufficiale; <strong>di</strong>remmo anzi che ad esso aveva <strong>di</strong>ritto. Artista tanto<br />

valoroso quanto sincero e modesto, riuscì a toccare sta<strong>di</strong> molto alti dell’arte fino a raggiungere l’appassionato canto <strong>di</strong><br />

Francesca da Rimini e l’impetuosità sinfonica della «Cavalcata» <strong>di</strong> Romeo.<br />

***<br />

Siamo alla fine dello scorso secolo. Vittoria Cima, donna fine e intelligente, si rivolge al suo amico Arrigo Boito per<br />

presentargli un giovane compositore. «Ascoltatelo – gli <strong>di</strong>ce – e se lo credete meritevole, raccomandatelo a Tito<br />

Ricor<strong>di</strong>».<br />

Boito accoglie con gentilezza il giovane, un trentino; lo fa suonare, gli guarda attentamente le composizioni e gli <strong>di</strong>ce:<br />

«Hai dell’ingegno e devi fare la tua strada». Poi prende carta, penna e calamaio e scrive all’e<strong>di</strong>tore milanese: «Caro<br />

Tito. Chiedo un quarto d’ora del tuo tempo e della tua coscienziosa attenzione, per la musica che il signor Zandonai,<br />

allievo del Conservatorio <strong>di</strong> Pesaro, desidera farti sentire. Mi pare che in quelle composizioni ci sia l’impronta <strong>di</strong><br />

un’indole sinceramente musicale. Ti ringrazio per l’accoglienza cortese che gli farai».<br />

Poi, quando il giovane se ne è andato tutto felice con quella lettera che gli aprirà le porte <strong>di</strong> casa Ricor<strong>di</strong>, siede <strong>di</strong><br />

nuovo alla scrivania e torna a scrivere a Vittoria Cima: «Penso che Tito, se vorrà, gli potrebbe essere utile; oltre<br />

l’influenza che esercita sui teatri egli <strong>di</strong>spone della forza <strong>di</strong> una casa e<strong>di</strong>trice <strong>di</strong> fama mon<strong>di</strong>ale».<br />

Qualche giorno dopo Riccardo Zandonai riceve l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> musicare Il grillo del focolare.<br />

***<br />

Triste destino quello <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Nato nel Trentino – precisamente a Sacco nel 1883 – morì sull’amato Colle<br />

San Bartolo sotto la oppressione nazista. Mai un momento la sua fede patriottica aveva vacillato. Figlio <strong>di</strong> lavoratori,<br />

versato nella musica, volle stu<strong>di</strong>are assiduamente. A do<strong>di</strong>ci anni già componeva.<br />

Nella prima gioventù aveva rivestito <strong>di</strong> note un canto dal titolo «La libertà», valendosi <strong>di</strong> parole dettate da Cesare<br />

Battisti. La facile melo<strong>di</strong>a, il suo schietto colore popolare tramutarono il canto in un inno patriottico.<br />

Per questo suo atteggiamento nel 1915 venne condannato alla pena capitale insieme al Battisti. Si rifugiò in Italia, nella<br />

sua Italia, ove svolse una vita densa <strong>di</strong> lavoro. E il pubblico gli voleva bene e lo acclamava. La sua era una voce<br />

sincera.<br />

***


Una delle più belle doti <strong>di</strong> Riccardo Zandonai fu la semplicità. Lontano da ogni polemica – l’unica che lo interessò<br />

veramente fu quella riguardante l’organizzazione dei teatri lirici –, lontano dalle città rumorose e dai critici<br />

incontentabili, passava intere giornate nel suo ritiro <strong>di</strong> Sacco prima e <strong>di</strong> Pesaro poi a lavorare con tranquillità, capace <strong>di</strong><br />

rimanere a tavolino per intere giornate.<br />

Non si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> “conoscere” Riccardo Zandonai senza avergli parlato, senza averlo trattato in un qualsiasi momento<br />

della sua vita; così non si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> “conoscere” la sua musica senza averla prima analizzata a dovere. Poche volte si<br />

nota una rispondenza tanto precisa fra artista e la sua opera. Tutti i momenti erano buoni per “conoscere” il Maestro. la<br />

sua tranquillità, la sua serenità lo rendevano immutabile: sia durante una “prima” esecuzione, sia in un intervallo <strong>di</strong><br />

concerto, sia in un periodo <strong>di</strong> riposo a Villa San Giuliano, sia infine in un viaggio in treno. Era sempre il medesimo:<br />

calmo, riflessivo, buono.<br />

Amava Pesaro perché aveva vivo il ricordo degli anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, quando a capo del Liceo v’era Pietro Mascagni.<br />

Accettò la <strong>di</strong>rezione del Conservatorio <strong>di</strong> quella città dopo aver rifiutato posti eccellenti come quelli <strong>di</strong> Bologna, <strong>di</strong><br />

Milano, <strong>di</strong> Roma. Amava Pesaro anche perché, forse, amava senza riserve Rossini.<br />

***<br />

La voce <strong>di</strong> Zandonai era dolce come certe sue cadenze melo<strong>di</strong>che, il suo <strong>di</strong>scorso era colorito come certi impasti sonori<br />

da lui preferiti: per esempio quelli che abbondano nella Primavera in Val <strong>di</strong> Sole o nei Quadri <strong>di</strong> Segantini. Una lieve<br />

mestizia lo circondava – il Maestro più che parlare amava ascoltare – ma quella mestizia nascondeva un acceso amore<br />

per la comme<strong>di</strong>a lirica: quello che lo condusse, attraverso la via tracciata dal Pesarese, alla Farsa amorosa.<br />

Tra i primi assertori e <strong>di</strong>vulgatori della sua opera fu il critico Nicola D’Atri che subito dopo aver ascoltato la Conchita<br />

ebbe la precisa percezione del valore del nuovo compositore. Il D’Atri, con tutta la sua autorità e competenza, sostenne<br />

il musicista trentino dall’epoca della sua rivelazione.<br />

«Se io valgo qualche cosa – asseriva con modestia – lo valgo per la strumentazione»: ma fu anche un creatore <strong>di</strong> climi e<br />

<strong>di</strong> ambienti, un appassionato romantico. L’ultima sua opera dal titolo Il bacio, su libretto <strong>di</strong> Rossato e <strong>di</strong> Emi<strong>di</strong>o Mucci,<br />

sintetizzava, a detta <strong>di</strong> quanti ascoltarono le pagine composte, tutte le sue aspirazioni d’artista.<br />

***<br />

La guerra era oramai giunta anche alla costa adriatica. Zandonai dovette lasciare il Conservatorio <strong>di</strong>venuto inattivo e<br />

dovette abbandonare il suo amato rifugio, posto tra gli alberi, per essere accolto, malato, dai padri del Claustro <strong>di</strong><br />

Mombaroccio. I frati minori per i quali aveva <strong>di</strong>mostrato tanto affetto lo accolsero amorevolmente. Malato lo si dovette<br />

trasportare all’ospedale <strong>di</strong> Trebbiantico.<br />

La notizia della sua morte giunse nel giugno del 1944 (morì precisamente il giorno 5) quando gli alleati erano alle porte<br />

<strong>di</strong> Roma.<br />

Si spense mentre l’Italia cacciava per sempre dal suo suolo il tedesco invasore. Il padre che lo assistette gli <strong>di</strong>ede la<br />

grande notizia: l’Italia era in gran parte liberata. Gli alleati marciavano vittoriosi. Zandonai con un supremo sforzo<br />

riuscì a sollevarsi e, come poté, esclamò: «Viva l’Italia!». Poi, affannato, più fiocamente aggiunse ancora: «Quella<br />

buona...». Alle 17.50 morì. Gli alleati non erano lontani dal paese. Il giorno dopo la salma venne trasportata al cimitero<br />

<strong>di</strong> Mombaroccio. Nel testamento il musicista lascerà scritte le sue ultime volontà: dormire nella nativa Sacco il sonno<br />

eterno.<br />

Che fare oramai più all’amata Villa <strong>di</strong> San Giuliano? I tedeschi hanno danneggiato tutto, il bosco è stato quasi raso al<br />

suolo, la <strong>di</strong>namite ha persino mutato fisionomia alle cose. È passata la guerra.<br />

La salma <strong>di</strong> Riccardo Zandonai fu vegliata da due frati minori che il compositore aveva istruito alla musica nel rifugio<br />

claustrale: padre Guido della Verna e padre Marabini <strong>di</strong> Forlì.<br />

In una delle sue ultime lettere, <strong>di</strong>retta a un <strong>di</strong>scepolo pre<strong>di</strong>letto, egli ringraziava Dio per la libertà che, da vero profeta,<br />

già vedeva «imminente».<br />

434<br />

Renato Chiesa, Zandonai: significato <strong>di</strong> un centenario, «Il mondo della musica» XXI/6, II trimestre 1983 – pp. 5-9<br />

(con un ritratto fotografico <strong>di</strong> Zandonai a tutta pagina [p. 5], la riproduzione del manifesto <strong>di</strong> L. Metlicovitz per<br />

Conchita [p. 7], un altro ritratto <strong>di</strong> Zandonai in una sanguigna <strong>di</strong> V. Casetti [p. 8] e la riproduzione del manifesto per la<br />

prima <strong>di</strong> Francesca [p. 9]. L’articolo è inoltre corredato da due frammenti dell’epistolario Zandonai/Maugeri [p. 8],<br />

con un <strong>di</strong>segno satirico in calce; e dalla rubrica «Le voci della critica» [p. 9], che raccoglie contributi <strong>di</strong> G. Bastianelli,<br />

V. Gui, E. Montale e R. Mariani. Infine, alle pp. 6 e 7 vi è un dettagliato calendario delle principali manifestazioni<br />

progettate nel 1983 per le celebrazioni del centenario)<br />

Nel campo della musica italiana il 1983 è l’anno <strong>di</strong> Casella e <strong>di</strong> Zandonai: sono i primi due nomi che mi vengono alla<br />

mente, <strong>di</strong> caratteristiche e stature <strong>di</strong>verse, entrambi caduti in un certo oblìo, soprattutto il compositore trentino, che non<br />

ha mai partecipato ad operazioni culturali <strong>di</strong> livello europeo o a iniziative promozionali <strong>di</strong> rinnovamento, ma che è<br />

stato, per tutta la vita, in primo luogo un compositore, a parte la sua presenza sul po<strong>di</strong>o delle più importanti orchestre e<br />

la sua guida intelligente del Conservatorio <strong>di</strong> Pesaro.<br />

Se c’è un musicista che deve essere riproposto per il Centenario (è il primo della nascita) è proprio Riccardo Zandonai,<br />

del quale un’intera generazione, dal secondo dopoguerra ad oggi, non sa quasi nulla. E la cosa è molto strana perché<br />

Zandonai non è mai stato un uomo <strong>di</strong> potere, coinvolto in prima persona nel fascismo come tanti altri, da Mascagni a<br />

Malipiero. A parte la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Pesaro, toccatagli alla fine dopo una vita <strong>di</strong> lavoro e <strong>di</strong> autentici riconoscimenti, non


mi risulta che egli abbia mai avuto dei ruolo-guida nella politica culturale del tempo come tanti me<strong>di</strong>ocri. Ma anche<br />

musicalmente i compromessi con l’opera verista o la chiusura autarchica alle esperienze <strong>di</strong> rinnovamento europeo non<br />

sono stati poi così drastici, e in ogni caso ancora da stu<strong>di</strong>are e da controllare.<br />

La vicenda critica sull’opera <strong>di</strong> Zandonai è una delle più povere che si conoscano: non fanno fede le gran<strong>di</strong> pagine<br />

agiografiche sui quoti<strong>di</strong>ani in occasione delle prime, o le interviste, o certe posizioni polemiche piene <strong>di</strong> acre<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong><br />

nessuna obiettività. Si tratta per lo più <strong>di</strong> contributi isolati, anche apprezzabili, in qualche caso chiarificanti, o <strong>di</strong> lavori<br />

biografico-documentaristici <strong>di</strong> importanza storica. Sull’altro versante, quello dell’esecuzione, la perenne crisi dei nostri<br />

Enti lirici è stata fatta pagare al nostro musicista, in modo ingiusto, anche per l’incapacità <strong>di</strong> tanti ruoli <strong>di</strong>rigenti e per lo<br />

scarso coraggio nell’affrontare delle opere "<strong>di</strong>verse" dalla moda corrente, con rare eccezioni, dell’Ente Arena <strong>di</strong><br />

Verona ad esempio, che in pochi anni ha proposto Francesca da Rimini e Giulietta e Romeo.<br />

Per tutte queste ragioni, che potrebbero essere stu<strong>di</strong>ate più a fondo, con risvolti sconcertanti, quanto il Comitato per le<br />

celebrazioni del I Centenario della nascita <strong>di</strong> Zandonai sta facendo, a <strong>Rovereto</strong>, non è solo superfluo, ma assolutamente<br />

in<strong>di</strong>spensabile, non per scoprire che Zandonai è il <strong>di</strong>retto erede <strong>di</strong> Ver<strong>di</strong>, ma per collocare una volta per tutte la <strong>figura</strong><br />

del compositore nella sua giusta luce. Per quanto gli sforzi fin qui fatti siano stati enormi, come si può osservare dal<br />

programma delle intere manifestazioni, alla fine dell’83, nel migliore dei casi, sarà già moltissimo se attorno alla <strong>figura</strong><br />

e all’opera del musicista trentino si sarà fatta un po’ <strong>di</strong> luce, se qualche suo lavoro potrà essere stato ascoltato, o<br />

<strong>di</strong>rettamente in teatro o attraverso la ra<strong>di</strong>o, se il materiale del ricco convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, con nomi prestigiosi della critica<br />

musicale, potrà essere raccolto in volume e <strong>di</strong>ffuso in tutte le librerie italiane, per la prima volta in assoluto con un<br />

lavoro massiccio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sull’opera e il tempo <strong>di</strong> Zandonai. Qualunque possa essere il risultato, si tratterà <strong>di</strong> una<br />

grande conquista. Dovrà essere un punto <strong>di</strong> partenza, con una base solida finalmente, per approfon<strong>di</strong>re ulteriormente<br />

l’opera del compositore, rendendola al tempo stesso appetibile per l’ascolto nei nostri teatri, poiché questo è il fine<br />

ultimo <strong>di</strong> ogni sforzo.<br />

L’anno zandonaiano è appena iniziato, il programma è stato tutto definito e appare vario e affascinante: Francesca da<br />

Rimini a Pesaro, Giulietta e Romeo a Verona e <strong>Rovereto</strong>, i concerti sinfonici e cameristici, il Convegno, le<br />

pubblicazioni, dall’Epistolario a Zandonai immagini, gli interventi della Rai-Ra<strong>di</strong>otelevisione Italiana, i progetti<br />

<strong>di</strong>scografici, soprattutto con i Cavalieri <strong>di</strong> Ekebù <strong>di</strong>retti da Gavazzeni per la Fonit-Cetra.<br />

Se alla fine dell’anno rimarrà solo una parte dell’opera <strong>di</strong> Zandonai degna <strong>di</strong> ulteriore stu<strong>di</strong>o, dovrà essere un punto <strong>di</strong><br />

partenza per il futuro. Illudersi <strong>di</strong> risolvere il caso-Zandonai in pochi mesi, dopo decenni <strong>di</strong> trascuratezza, è per lo<br />

meno illusorio. Ma le strutture culturali <strong>di</strong> <strong>Rovereto</strong>, dal Comune all’Accademia degli Agiati, possono essere le<br />

promotrici <strong>di</strong> una formazione stabile, un Istituto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> che avrà il compito, nei prossimi anni, <strong>di</strong> portare a<br />

compimento gli sforzi compiuti in occasione del Centenario.<br />

C’è ancora tanto lavoro da fare. Si pensi all’immenso epistolario esistente presso la <strong>Biblioteca</strong> Civica <strong>di</strong> <strong>Rovereto</strong>, che<br />

attende, un po’ alla volta, <strong>di</strong> essere pubblicato e stu<strong>di</strong>ato. Zandonai ha affidato spesso, alle lettere agli amici, i pensieri<br />

segreti: sono confessioni dell’anima, o gusto intimo delle piccole cose, o poesia <strong>di</strong> affetti. Qualche volta delusione,<br />

astio o passione: così come nella musica, Zandonai non è mai freddo, ma possiede una carica <strong>di</strong> sentimento e <strong>di</strong> energia<br />

impreve<strong>di</strong>bili per chi lo fa un uomo asciutto, <strong>di</strong>staccato, perennemente montanaro.<br />

Certe costanti del suo carattere, al <strong>di</strong> là delle soluzioni tecniche che non è qui il caso <strong>di</strong> trattare, sono ritrovabili dal<br />

Grillo del focolare al Bacio, ma è ancora da stu<strong>di</strong>are questo processo <strong>di</strong> evoluzione non regolare, con momenti <strong>di</strong><br />

esplosione alternati ad altri <strong>di</strong> stasi o <strong>di</strong> temporanee regressioni. Dentro questo cammino creativo il volto <strong>di</strong> Zandonai<br />

sa in ogni caso essere personale: la linea melo<strong>di</strong>ca, non esente da certe inflessioni mascagnane, in un lavoro<br />

comparativo risulta sempre fortemente caratterizzata, le soluzioni armoniche e quelle strumentali non sono mai<br />

generiche, ad un attento ascolto.<br />

Ci sono, in altre parole, i segni <strong>di</strong> una personalità che offre stimoli per lo stu<strong>di</strong>o, che non risulta mai piatta e anonima,<br />

che anche nei <strong>di</strong>fetti ha certe sue connotazioni <strong>di</strong> rilievo e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco dalla scuola. Non sono che le premesse – quelle a<br />

cui accenniamo – che <strong>di</strong>ventano quasi dei segnali per chi vuole affrontare l’opera <strong>di</strong> Zandonai. Già ad una prima<br />

lettura, sono cose queste che emergono, e che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni conclusione critica o collocazione storica, possono<br />

invogliare. Per lo stu<strong>di</strong>oso onesto, Zandonai potrà avere anche dei limiti, ma non è un compositore che ti annoia, che<br />

procede a rilento, in modo ripetitivo, come avviene per molti altri del suo tempo, tutti presi da quest’ansia frenetica <strong>di</strong><br />

melo<strong>di</strong>zzare ad ogni costo la frase, <strong>di</strong> tendere le voci allo spasimo.<br />

Per il pubblico, quando Zandonai è stato proposto anche <strong>di</strong> recente (con Francesca, soprattutto), si è sempre trattato <strong>di</strong><br />

una gradevole scoperta, <strong>di</strong> estrema finezza e buon gusto, solo qua e là intaccata dai mali perenni dell’opera verista,<br />

quasi mai alla ricerca dell’effetto fine a se stesso, del pezzo chiuso <strong>di</strong> sicuro successo. Un’anima nor<strong>di</strong>ca, è stato detto,<br />

per rigore costruttivo, immersa nella vocalità italiana. Si dovranno trovare delle conferme, nel Centenario, anche in<br />

questo senso, senza alcun timore.<br />

Qualunque bufera si possa sollevare, certe pagine <strong>di</strong> Francesca, <strong>di</strong> Conchita, <strong>di</strong> Cavalieri, <strong>di</strong> Giulietta, non si toccano:<br />

il compito nostro è quello <strong>di</strong> comprendere meglio questi preziosi frutti isolati, <strong>di</strong> creare una trama sullo sfondo, dei<br />

nessi chiarificanti fra <strong>di</strong> loro e con la cultura italiana del primo Novecento. È ormai tempo <strong>di</strong> farlo: la paura <strong>di</strong> questi<br />

decenni della nostra storia e della nostra cultura è scomparsa in molti settori ma resiste ancora nella musica, spesso con<br />

una tenacia ingiustificata. Che questa, almeno per Zandonai, sia la volta buona, per gli ingenui apologeti come per i<br />

cattivi detrattori?

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