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1 I decreti conciliari Optatam totius, Christus Dominus e ... - Cottolengo

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I <strong>decreti</strong> <strong>conciliari</strong> <strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong>, <strong>Christus</strong> <strong>Dominus</strong> e Presbyterorum ordinis<br />

Piccola Casa della Divina Provvidenza, 29/01/2013 – RELATORE: Don Antonio Nora, S.S.C.<br />

<strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong><br />

L’<strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong> è il decreto del Concilio Vaticano II sulla formazione sacerdotale. Venne approvato<br />

con 2.318 voti favorevoli e 3 contrari dai vescovi riuniti in Concilio e fu promulgato dal papa<br />

Paolo VI il 28 ottobre 1965. Il titolo <strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong> (Ecclesiae renovationem) significa dal latino: il<br />

desiderato (rinnovamento) di tutta (la Chiesa) e deriva dalle prime parole del decreto stesso. Il decreto<br />

<strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong> parla della formazione dei presbiteri all'interno della Chiesa cattolica. Questo<br />

lo schema:<br />

• Proemio<br />

• I - Regolamento di formazione sacerdotale da farsi in ogni nazione<br />

• II - Necessità di favorire più vigorosamente le vocazioni sacerdotali<br />

• III - Ordinamento dei seminari maggiori<br />

• IV - Approfondimento della formazione spirituale<br />

• V - Revisione degli studi ecclesiastici<br />

• VI - Norme per la formazione propriamente pastorale<br />

• VII - Perfezionamento della formazione dopo il periodo degli studi<br />

• Conclusione<br />

Non c’è formazione sacerdotale senza coloro che dovrebbero essere formati. Proprio per questo il<br />

decreto del Concilio sulla formazione sacerdotale comincia con l’affermazione che «il dovere di<br />

promuovere le vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana» (n. 2). Il Concilio sottolinea<br />

anche: «A tale riguardo il massimo contributo viene offerto […] dalle famiglie, le quali, […]<br />

costituiscono come il primo seminario» (n. 2). Le vocazioni sacerdotali nascono dunque, nelle comunità<br />

(parrocchie) dove c’è una fede viva. Non si dimentica però l’esempio dei sacerdoti: «Tutti i<br />

sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni e con la loro vita<br />

umile, operosa, vissuta con interiore gioia, come pure con l'esempio della loro scambievole carità<br />

sacerdotale e della loro fraterna collaborazione attirino verso il sacerdozio l'animo degli adolescenti»<br />

(n. 2). Posta la comune cooperazione in riferimento all’opera delle vocazioni, il Concilio ne richiama<br />

i mezzi tradizionali, cioè «la fervente preghiera, la penitenza cristiana, nonché una istruzione<br />

sempre più profonda dei fedeli da impartirsi con la predicazione e la catechesi, sia anche coi vari<br />

mezzi della comunicazione sociale; istruzione che deve tendere a mettere in luce la necessità, la natura<br />

e il valore della vocazione sacerdotale» (n. 2).<br />

Il Concilio indica cinque dimensioni della formazione sacerdotale: dimensione spirituale, quella intellettuale,<br />

pastorale e disciplinare, e infine dimensione umana. Questi aspetti della formazione sono<br />

unificati e indirizzati dal fine pastorale (cfr n. 4). I seminari minori sono «eretti allo scopo di coltivare<br />

i germi della vocazione» (n. 3), mentre i seminari maggiori devono «formare veri pastori<br />

d’anime, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore» (n. 4). La scelta<br />

dei superiori e del corpo docente si dice doversi fare «fra gli uomini migliori» (n. 5); per loro si prevedono<br />

anche delle forme di preparazione (istituti, corsi, etc.). «Tutti i sacerdoti considerino il seminario<br />

come il cuore della diocesi e ad esso volentieri diano il proprio aiuto» (n. 5).<br />

La formazione spirituale è quella che necessita di maggiore impegno ed è finalizzata «a vivere intimamente<br />

uniti a Cristo» (n. 8). I mezzi sono la meditazione della parola di Dio, la partecipazione ai<br />

misteri della Chiesa (eucaristia ed ufficio divino in particolare), il riconoscere Cristo «nel vescovo<br />

che li manda e negli uomini ai quali sono inviati (poveri, infermi, etc.)» (n. 8), la venerazione di<br />

Maria, gli esercizi di pietà. Ciò che sta più a cuore è che «gli alunni imparino […] a vivere secondo<br />

l'ideale del vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità, in modo che attraverso l'esercizio<br />

di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera, ottengano forza e difesa per la lo-<br />

1


o vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo»<br />

(n. 8). Si tratta di educare al senso della Chiesa e all’obbedienza (n. 9), alla castità (n. 10) e al<br />

dominio di sé (n. 11): «Con particolare sollecitudine vengano educati all'obbedienza sacerdotale, a<br />

un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare prontamente<br />

anche alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in conformità con Cristo crocifisso»<br />

(n. 9). Gli alunni «imparino a stimare quelle virtù che sono tenute in gran conto fra gli uomini e<br />

rendono accetto il ministro di Cristo, quali sono la sincerità d'animo, il rispetto costante della giustizia,<br />

la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare» (n.<br />

11). La disciplina dei seminari non può essere soltanto esterna, ma deve contribuire a formare negli<br />

alunni un'attitudine ad accogliere l'autorità dei superiori per ragioni di coscienza (cfr n. 11). Si prevede<br />

la possibilità di tirocini spirituali e pastorali (cfr n. 12).<br />

La formazione intellettuale dovrebbe aiutare i futuri sacerdoti a trovare «la soluzione dei problemi<br />

umani alla luce della Rivelazione» e ad applicare le verità eterne «alle mutevoli condizioni di questo<br />

mondo» (n. 16). Prima di iniziare gli studi ecclesiastici propriamente detti, gli alunni del seminario<br />

devono acquisire una base di cultura umanistica e scientifica, conoscere il latino e le lingue della<br />

sacra Scrittura e della tradizione (cfr n. 13). Gli studi ecclesiastici incominciano con<br />

un’introduzione al mistero di Cristo «in modo che gli alunni possano percepire il significato degli<br />

studi ecclesiastici, la loro struttura e il fine pastorale» (n. 14). Quindi proseguono con gli studi filosofici<br />

e teologici. Quanto ai primi si auspica che «il modo stesso di insegnare svegli negli alunni il<br />

desiderio di cercare rigorosamente la verità, di penetrarla e di dimostrarla, insieme all'onesto riconoscimento<br />

dei limiti della umana conoscenza» (n. 15); quanto ai secondi si mette in primo piano lo<br />

studio della sacra Scrittura, «che deve essere come l'anima di tutta la teologia» (n. 16).<br />

Nell’insegnamento della teologia dogmatica, dopo aver esposto il modo di procedere (Scrittura, Padri,<br />

evoluzione del dogma, etc.), si fa menzione esplicita di San Tommaso da tenere come maestro<br />

(cfr n. 16). Infine si parla di conoscenza delle chiese e comunità ecclesiali separate dalla sede apostolica<br />

romana e delle altre religioni più diffuse nel mondo (cfr n. 16).<br />

Per quanto riguarda la formazione al lavoro pastorale, il Concilio tiene conto di due aspetti: la pastorale<br />

rivolta ai credenti (formazione alla catechesi, predicazione, culto liturgico, amministrazione<br />

dei sacramenti, opere di carità, etc.), ma anche «l’andare incontro agli erranti e agli increduli» (cfr<br />

n. 19). Gli alunni devono imparare «l’arte di dirigere le anime», compresi i religiosi e le religiose di<br />

cui si fa esplicita menzione (cfr n. 19). Per adempiere bene questi compiti, il sacerdote dovrebbe essere<br />

ben istruito «circa il modo di suscitare e favorire l'azione apostolica dei laici» (n. 20). Si parla<br />

di educazione allo spirito missionario, cioè «a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione<br />

o rito» (n. 20), e infine di esercitazioni pratiche in attività fuori seminario per imparare «l'arte dell'apostolato<br />

non solo teoricamente ma anche praticamente» (n. 21).<br />

Alla fine del decreto troviamo l’asserzione che la formazione sacerdotale non riguarda soltanto i<br />

seminaristi, ma deve essere continuata anche dopo la loro ordinazione — «il giovane clero» — mediante<br />

l’aggiornamento teorico e pratico (istituti pastorali, convegni periodici, appropriate esercitazioni).<br />

In continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto <strong>Optatam</strong> <strong>totius</strong><br />

sulla formazione sacerdotale, la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato diversi<br />

documenti per promuovere un'adeguata formazione integrale dei futuri sacerdoti, offrendo orientamenti<br />

e norme precise circa suoi diversi aspetti 1 . Nel frattempo anche il Sinodo dei Vescovi del<br />

1 Cfr CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (6 gennaio<br />

1970; edizione nuova, 19 marzo 1985); L’insegnamento della filosofia nei Seminari (20 gennaio 1972); Orientamenti<br />

educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974); Insegnamento del Diritto Canonico per gli aspiranti<br />

al sacerdozio (2 aprile 1975); La formazione teologica dei futuri sacerdoti (22 febbraio 1976); Epistula circularis de<br />

formatione vocationum adultarum (14 luglio 1976); Istruzione sulla formazione liturgica nei Seminari (3 giugno 1979);<br />

Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei Seminari (6 gennaio 1980); Orientamenti<br />

educativi sull’amore umano – Lineamenti di educazione sessuale (1 novembre 1983); La Pastorale della mobilità umana<br />

nella formazione dei futuri sacerdoti (25 gennaio 1986); Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli<br />

2


1990 ha riflettuto sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, con l’intento di portare a<br />

compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più esplicita ed incisiva nel<br />

mondo contemporaneo. In seguito a questo Sinodo, Giovanni Paolo II pubblicò l'Esortazione apostolica<br />

post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992). L’Esortazione prende in esame le diverse<br />

dimensioni della formazione, umana, spirituale, intellettuale e pastorale, come pure gli ambienti<br />

e i soggetti responsabili di essa. Il discorso sulla formazione discende direttamente da quelli<br />

sull’identità e sulla spiritualità. La chiave di lettura è dunque la specifica finalizzazione pastorale.<br />

Su questo punto è molto esplicito il n. 57 dell’Esortazione: «“L’educazione degli alunni deve tendere<br />

allo scopo di formare veri pastori d’anime sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro,<br />

sacerdote e pastore” 2 . […] In tal senso il fine pastorale assicura alla formazione umana, spirituale e<br />

intellettuale determinati contenuti e precise caratteristiche, così come unifica e specifica l’intera<br />

formazione dei futuri sacerdoti».<br />

Fra i documenti promulgati dalla CEI ricordiamo: La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana.<br />

Orientamenti e norme per i seminari, citata anche come Ratio Studiorum o semplicemente<br />

Ratio, è il documento della Conferenza Episcopale Italiana che regola la vita dei seminari e la formazione<br />

dei presbiteri in Italia. La prima edizione della Ratio aveva più precisamente il titolo La<br />

preparazione al sacerdozio ministeriale. Orientamenti e norme (22 luglio 1972); fu pubblicata dopo<br />

il Concilio Vaticano II sulla base della Ratio fundamentalis della Congregazione per l'Educazione<br />

Cattolica, pubblicata il 6 gennaio 1970. La seconda edizione della Ratio, dal titolo La formazione<br />

dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari, risale al 15 maggio 1980,<br />

e fu seguita da un documento a parte, la Ratio Studiorum, del 1984, per regolare i piani di studi delle<br />

facoltà teologiche: anni di studio, materie, ore di insegnamento, ecc. La terza edizione della<br />

Ratio, dallo stesso titolo della precedente, fu pubblicata il 4 novembre 2006. È attualmente vigente.<br />

Include una nuova Ratio Studiorum che sostituisce quella del 1984.<br />

Ricordiamo anche: Il primo piano pastorale per le vocazioni in Italia (1973); Il piano pastorale per<br />

le vocazioni nella Chiesa italiana (1985); Decreto generale circa l’ammissione in seminario di candidati<br />

provenienti da altri seminari o famiglie religiose (27 marzo 1999); Linee comuni per la vita<br />

dei nostri seminari (25 aprile 1999).<br />

<strong>Christus</strong> <strong>Dominus</strong><br />

Il decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa, dal titolo latino <strong>Christus</strong> <strong>Dominus</strong>, fu<br />

votato nel Concilio Vaticano II a pochi giorni dalla sua conclusione — precisamente il 28 ottobre<br />

1965 — praticamente all'unanimità, poiché ottenne 2.319 voti a favore, appena 2 contrari e 1 nullo,<br />

strumenti della comunicazione sociale (19 marzo 1986); Lettera circolare riguardante gli studi sulle Chiese Orientali (6<br />

gennaio 1987); La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale (25 marzo 1988); Orientamenti per lo studio<br />

e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale (30 dicembre 1988); Istruzione sullo<br />

studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale (10 novembre 1989); Direttive sulla preparazione degli educatori<br />

nei Seminari (4 novembre 1993); Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio<br />

ed alla famiglia (19 marzo 1995); Istruzione alle Conferenze Episcopali circa l'ammissione in Seminario dei candidati<br />

provenienti da altri Seminari o Famiglie religiose (9 ottobre 1986 e 8 marzo 1996); Il periodo propedeutico (1 maggio<br />

1998); Lettere circolari circa le norme canoniche relative alle irregolarità e agli impedimenti sia ad Ordines<br />

recipiendos, sia ad Ordines exercendos (27 luglio 1992 e 2 febbraio 1999); Istruzione circa i criteri di discernimento<br />

vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini<br />

sacri (4 novembre 2005); Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione<br />

dei candidati al sacerdozio (28 giugno 2008); Decreto di Riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia (28 gennaio<br />

2011); Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale (25 marzo 2012). Ricordiamo<br />

inoltre il recente volume La cultura della qualità. Guida per le facoltà ecclesiastiche, Città del Vaticano 2011, dove la<br />

Congregazione per l’Educazione Cattolica — oltre a riassumere i punti essenziali delle norme che regolano il sistema<br />

degli studi accademici ecclesiastici — ha ritenuto opportuno soffermarsi sull'importanza di promuovere una cultura della<br />

qualità, suggerendo a tal scopo una serie di orientamenti volti a delineare le attività che tutte le istituzioni accademiche<br />

religiose dovrebbero intraprendere o solo rafforzare per promuovere tale cultura.<br />

2 OT 4.<br />

3


e fu quindi ratificato e promulgato da Paolo VI. È chiamato "decreto" poiché si presenta con un<br />

marcato carattere pastorale: si richiama alla dottrina sull'episcopato già presentata dalla costituzione<br />

dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (in particolare LG 21) e offre le linee guida per lo svolgimento<br />

della missione dei vescovi. Il decreto è diviso in tre capitoli:<br />

1. Nel primo tratta della posizione dei vescovi nei confronti della Chiesa universale 3 (il collegio<br />

episcopale, il sinodo dei vescovi, la sollecitudine per la Chiesa universale 4 ) e nei confronti della<br />

Santa Sede (il potere dei vescovi nelle loro diocesi 5 , la curia romana).<br />

2. Nel secondo capitolo si parla dei vescovi e le Chiese particolari 6 ,<br />

• con la presentazione dei tre ministeri: insegnare [annunziare il Vangelo di Cristo: cfr CD<br />

12 7 ], santificare [sono i principali dispensatori dei misteri di Dio, i regolatori, i promotori e<br />

i custodi di tutta la vita liturgica, nella chiesa loro affidata: cfr CD 15 8 ], governare da pastori<br />

d'anime [CD 16 9 ].<br />

• In una seconda parte di questo capitolo centrale si affronta la questione della revisione dei<br />

confini delle diocesi.<br />

• In una terza parte si tratta dei cooperatori del vescovo: vescovi coadiutori e ausiliari, curia e<br />

consigli diocesani (si parla del capitolo cattedrale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale:<br />

cfr CD 27), clero diocesano.<br />

• Infine, nella quarta parte si parla dei religiosi 10 .<br />

3 CD 2: «In questa chiesa di Cristo, il romano pontefice, come successore di Pietro, a cui Cristo affidò, perché li pascesse,<br />

le sue pecore e i suoi agnelli, è per divina istituzione rivestito di un potere supremo, pieno, immediato e universale,<br />

per il bene delle anime. Egli perciò, essendo stato costituito pastore di tutti i fedeli per promuovere sia il bene comune<br />

della chiesa universale sia il bene delle singole chiese, detiene il supremo potere ordinario su tutte le chiese».<br />

4 CD 3: «I vescovi [successori degli apostoli], partecipi della sollecitudine per tutte le chiese, esercitano la loro carica<br />

episcopale, ricevuta per mezzo della loro consacrazione episcopale, in comunione e sotto l'autorità del sommo pontefice,<br />

in tutto ciò che riguarda il magistero e il governo pastorale: uniti tutti in un collegio o corpo, per ciò che concerne<br />

tutta la chiesa di Dio»; LG 22 citato in CD 4: «L'ordine dei vescovi, che succede al collegio degli apostoli nel magistero<br />

e nel governo pastorale e nel quale anzi si perpetua il corpo apostolico, insieme col romano pontefice, suo capo, e mai<br />

senza questo capo, è anche il soggetto di un supremo e pieno potere sulla chiesa universale: potere, tuttavia, che non si<br />

può esercitare senza il consenso del romano pontefice».<br />

5 CD 8a: «Ai vescovi, come a successori degli apostoli, nelle diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario,<br />

proprio e immediato, che è necessario per l'esercizio del loro dovere pastorale, fermo sempre restando in ogni<br />

campo il potere del romano pontefice, in forza della sua carica, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità».<br />

6 CD 11: «La diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal<br />

suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui unita per mezzo del vangelo e della eucaristia nello Spirito<br />

santo, costituisca una chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la chiesa di Cristo, una, santa, cattolica<br />

e apostolica». Ricordiamo l’in quibus et ex quibus di LG 23.<br />

7 CD 12: «Insegnino pertanto quale sia, secondo la dottrina della chiesa, il valore della persona umana, della sua libertà<br />

e della stessa vita fisica; il valore della famiglia, della sua unità e stabilità, e della procreazione ed educazione della<br />

prole; il valore della convivenza civile, con le sue leggi e con le varie professioni in essa esistenti; il valore della povertà<br />

e dell'abbondanza dei beni materiali. E da ultimo espongano come debbano essere risolti i gravissimi problemi riguardanti<br />

il possesso dei beni materiali, il loro sviluppo e la loro giusta distribuzione, la pace e la guerra e la fraterna<br />

convivenza di tutti i popoli».<br />

8 CD 15: «Infatti i vescovi hanno la pienezza del sacramento dell'ordine; e da loro dipendono, nell'esercizio del loro<br />

potere, sia i presbiteri, che sono stati anch'essi consacrati veri sacerdoti del nuovo testamento perché siano provvidenziali<br />

cooperatori dell'ordine episcopale, sia i diaconi che, ordinati per il ministero, in comunione col vescovo e col suo<br />

presbiterio, sono al servizio del popolo di Dio».<br />

9 CD 16: «Nell'esercizio del loro dovere di padri e di pastori, i vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino come<br />

coloro che prestano servizio; come buoni pastori che conoscono le loro pecore e sono da esse conosciuti; come veri padri<br />

che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e alla cui autorità, ricevuta invero da Dio, tutti con animo<br />

grato si sottomettono. […] Trattino sempre con particolare carità i sacerdoti, come coloro che per la parte loro si assumono<br />

i doveri e le preoccupazioni e li attuano nella vita quotidiana con tanta premura. Li considerino come figli e amici,<br />

e perciò siano disposti ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza; e si applichino a promuovere l'intera<br />

attività pastorale in tutta la diocesi».<br />

10 CD 33: «A tutti i religiosi […] secondo la particolare vocazione di ciascun istituto, incombe l'obbligo di lavorare<br />

con ogni impegno e diligenza per l'edificazione e l'incremento di tutto il corpo mistico di Cristo e per l'edificazione delle<br />

chiese particolari. E tale scopo essi sono tenuti a promuovere soprattutto con la preghiera, con le opere di penitenza e<br />

4


3. Nel capitolo terzo si presentano orientamenti e indicazioni riguardo ai sinodi e concili particolari,<br />

alle conferenze episcopali, alle province e regioni ecclesiastiche.<br />

Nel decreto merita di essere evidenziata la visione sacramentale dell'episcopato. Il n. 4 afferma: «I<br />

vescovi, in virtù della loro sacramentale consacrazione e in gerarchica comunione 11 con il capo e<br />

con i membri del collegio, sono costituiti membri del corpo episcopale». Si ripropone la dottrina già<br />

esposta nella Lumen gentium: «Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa,<br />

secondo la testimonianza della tradizione tiene il primo posto l'ufficio di quelli che, costituiti nell'episcopato,<br />

per successione che decorre ininterrotta dall'origine, possiedono il tralcio del seme apostolico»<br />

(n. 20).<br />

Veniva così chiusa una questione che datava da tempi remoti. San Girolamo, per esempio, nel quarto<br />

secolo, sosteneva che dal punto di vista del sacramento, del carisma ministeriale, non esiste una<br />

differenza tra il vescovo e i preti. Egli non nega la legittimità del ministero del vescovo, ma sostiene<br />

che si tratta puramente di una distribuzione funzionale di compiti, necessaria di fatto per l'unità della<br />

Chiesa.<br />

Le questioni intorno all'episcopato lungo i secoli derivano soprattutto dal progressivo accentuarsi<br />

delle sue funzioni giurisdizionali a scapito del ministero della parola e dei compiti sacerdotali e pastorali.<br />

E proprio nel campo giurisdizionale, per il progressivo movimento di centralizzazione papale,<br />

la figura del vescovo non trova un posto preciso: per molti, se il papa ha un'autorità su tutta la<br />

Chiesa universale, i vescovi non possono averla sulle Chiese particolari, se non derivata dal papa<br />

stesso. Ogni concezione che vedesse nell'episcopato un'istituzione divina, un sacramento voluto da<br />

Cristo, sembrava porsi inevitabilmente in conflitto con il primato romano.<br />

Quando il Concilio Vaticano I definì in maniera solenne il primato del papa, molti pensarono che la<br />

questione dell'episcopato fosse chiusa per sempre e addirittura fosse finita per la Chiesa l'epoca dei<br />

concili. Di fatto sul piano dottrinale la questione rimase aperta e finalmente con il Concilio Vaticano<br />

II si è pervenuti a sostenere che l'episcopato è un vero e proprio sacramento istituito da Gesù<br />

Cristo. Pertanto, per il Concilio i vescovi «reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e<br />

delegati di Cristo» e «non devono esser considerati vicari dei romani pontefici» (LG 27).<br />

Il recupero del valore sacramentale dell'episcopato si accompagna da vicino con il recupero del significato<br />

della Chiesa particolare. Questa non può essere ridotta a una suddivisione burocratica di<br />

quella universale, né a una semplice entità amministrativa.<br />

Riscoprendo il ruolo della collegialità dei vescovi, la Chiesa locale, l'importanza dei laici e degli organismi<br />

di partecipazione, come i consigli presbiterali e pastorali, il Concilio ha sostituito alla logica<br />

della rappresentanza la spiritualità di comunione e la logica della partecipazione diretta, tipiche<br />

della Chiesa dei primi secoli.<br />

con l'esempio della loro vita: e questo sacrosanto sinodo li esorta vivamente ad accrescere sempre più in loro stessi la<br />

stima e l'applicazione per tali elementi spirituali. Ma nello stesso tempo essi devono partecipare sempre più alacremente<br />

anche alle opere esterne di apostolato, tenuta presente la caratteristica propria di ogni istituto».<br />

11 Padre Ghirlanda vede nella “comunione gerarchica” (LG 22; cfr CD 4) la possibilità di conciliare i due aspetti di<br />

unità sacramentale tra il romano pontefice e i vescovi e di reale subordinazione gerarchica dei secondi nei confronti<br />

del primo. Spiega Pié-Ninot: «Orbene, questa innovativa espressione di “comunione gerarchica” si presenta come una<br />

formula di compromesso che vuole articolare la prospettiva di comunione propria di tutto il collegio episcopale — espressione<br />

della ecclesiologia di comunione del primo millennio — con il primato universale del papa definito dal Vaticano<br />

I — testimonianza della ecclesiologia universalistica del secondo millennio. A ragione, W. Kasper commenta: “Il<br />

concetto di comunione gerarchica è una tipica formula di compromesso che sta ad indicare una giustapposizione tra<br />

l'ecclesiologia sacramentale della communio e l'ecclesiologia giuridica dell'unità. Per cui si è parlato anche di due ecclesiologie<br />

presenti nei testi del Vaticano II. Il compromesso è servito ad ottenere l'assenso della minoranza, ma non soddisfa<br />

del tutto, perché il problema che esso cela è profondo. Il principio cattolico della tradizione viva non consente di eliminare<br />

semplicemente la tradizione del secondo millennio: la continuità della tradizione esige piuttosto una sintesi<br />

creativa fra le tradizioni del primo e del secondo millennio. E questa sintesi l'ultimo concilio non è riuscito a compiere.<br />

Il che non significa che sarebbe poi compito dei concili sviluppare sintesi teologiche. Un concilio stabilisce dei ‘dati di<br />

fondo’, mentre spetta alla successiva teologia operare le sintesi richieste” (W. KASPER, Chiesa come comunione del<br />

1986). Ed è qui che affondano la loro radice le questioni più decisive della ricezione postconciliare fino ad oggi» (S.<br />

PIÉ-NINOT, Ecclesiologia, 92).<br />

5


In continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto <strong>Christus</strong><br />

<strong>Dominus</strong> sull’ufficio pastorale dei vescovi, la Congregazione per i Vescovi ha pubblicato tra gli altri<br />

documenti il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, dal titolo “Apostolorum Successores”<br />

(22 febbraio 2004). La X Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2001, sul<br />

"Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo", aveva suggerito che<br />

fosse aggiornato il Direttorio per i Vescovi emanato il 22 febbraio 1973, dal titolo "Ecclesiae imago".<br />

Da tale assemblea era frattanto scaturita l’esortazione apostolica post-sinodale “Pastores gregis”<br />

(16 ottobre 2003), ultima delle esortazioni apostoliche di Giovanni Paolo II.<br />

Presbyterorum ordinis<br />

La Presbyterorum ordinis è un decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale.<br />

Approvato con 2.390 voti favorevoli e 4 contrari dai vescovi riuniti in Concilio fu promulgato<br />

dal papa Paolo VI il 7 dicembre 1965. Il titolo Presbyterorum ordinis significa dal latino: ordine dei<br />

sacerdoti e deriva dalle prime parole del decreto stesso. Il decreto Presbyterorum ordinis tratta della<br />

vita e dei compiti dei presbiteri all'interno della Chiesa cattolica. Questo lo schema:<br />

• Proemio<br />

• Capitolo I - Il presbitero nella missione della Chiesa<br />

• Capitolo II - Il ministero dei presbiteri<br />

• Capitolo III - Vita dei presbiteri<br />

• Conclusione ed esortazione<br />

L’icona di Abramo — citata nella Conclusione del Decreto conciliare — è per tutti un invito a filtrare<br />

la figura del presbitero alla luce «del fedele Abramo, il quale per fede “obbedì all’ordine di dirigersi<br />

verso il luogo che avrebbe avuto in eredità, e partì senza sapere dove sarebbe andato a finire”<br />

(Eb 11,8)» (n. 22). Con tale icona il Concilio sembra voler riassumere l’identità presbiterale, che è<br />

delineata nel Decreto attraverso tocchi molteplici: egli è ‘cooperatore dell’ordine episcopale’ (2),<br />

uomo che ‘vive da fratello in mezzo a fratelli’, ‘testimone e dispensatore di una vita diversa da quella<br />

terrena, e tuttavia non estraneo alla vita e all’ambiente degli uomini’, persona corredata anzitutto<br />

di virtù umane (3) elevata però a ‘strumento di Cristo’ (12) ed ‘educatore nella fede’ (13). In definitiva<br />

egli — sulla scia di Abramo — è uomo che vive in balia di Dio, circondato di fragilità ma attraversato<br />

dalla grazia.<br />

Il decreto va letto alla luce di tutta la Lumen gentium, in particolare il n. 28 dove si parla dei presbiteri:<br />

«… Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da<br />

quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi. I presbiteri, pur non possedendo<br />

l'apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia<br />

a loro congiunti nella dignità sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine ad immagine di Cristo,<br />

sommo ed eterno sacerdote (cfr Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per predicare il Vangelo,<br />

essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento.<br />

Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore [Muneris unici Mediatoris<br />

Christi participes], che è il Cristo (cfr 1Tm 2,5) annunziano a tutti la parola di Dio. Esercitano il loro<br />

sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo e<br />

proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio<br />

della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr 1Cor 11,26), l'unico<br />

sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al<br />

Padre quale vittima immacolata (cfr Eb 9,11-28). Esercitano inoltre il ministero della riconciliazione<br />

e del conforto a favore dei fedeli penitenti o ammalati e portano a Dio Padre le necessità e le<br />

preghiere dei fedeli (cfr Eb 5,1-4). Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo,<br />

pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, per<br />

mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre e in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità<br />

(cfr Gv 4,24). Si affaticano inoltre nella predicazione e nell'insegnamento (cfr 1Tm 5,17), cre-<br />

6


dendo ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò che credono, vivendo<br />

ciò che insegnano. I sacerdoti, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suo aiuto e strumento,<br />

chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono col loro vescovo un solo presbiterio sebbene destinato<br />

a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono in certo modo presente il vescovo,<br />

cui sono uniti con cuore confidente e generoso, ne assumono secondo il loro grado, gli uffici<br />

e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana. Essi, sotto l'autorità del vescovo, santificano<br />

e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la<br />

Chiesa universale e portano un grande contributo all'edificazione di tutto il corpo mistico di Cristo<br />

(cfr Ef 4,12). Sempre intenti al bene dei figli di Dio, devono mettere il loro zelo nel contribuire al<br />

lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi di tutta la Chiesa. In ragione di questa loro partecipazione<br />

nel sacerdozio e nel lavoro apostolico del vescovo, i sacerdoti riconoscano in lui il loro padre e gli<br />

obbediscano con rispettoso amore. Il vescovo, poi, consideri i sacerdoti, i suoi cooperatori, come figli<br />

e amici così come il Cristo chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cfr Gv 15,15) …<br />

In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima<br />

fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale,<br />

pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità …<br />

Si ricordino che devono, con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine, presentare ai<br />

fedeli e infedeli, cattolici e non cattolici, l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale,<br />

e rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita; e come buoni pastori ricercare anche<br />

quelli (cfr Lc 15,4-7) che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica<br />

dei sacramenti o persino la fede».<br />

Il punto di partenza è il sacerdozio comune: «Tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono<br />

a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha<br />

chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa» (n. 2), quindi, con<br />

un’avversativa «Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però<br />

"non tutte le membra hanno la stessa funzione" (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri,<br />

in modo che nel seno della società dei fedeli avessero il sacro potere dell'ordine per offrire il sacrificio<br />

e perdonare i peccati, e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la<br />

funzione sacerdotale» (n. 2). Pur essenzialmente distinti (cfr LG 10), i due sacerdozi non sono separati.<br />

È anzi congeniale alle due diverse realtà la mutua collaborazione e l’agire in sinergia. Sono infatti<br />

ordinati e funzionali l’uno all’altro (cfr LG 10); più precisamente il sacerdozio ministeriale, «esiste<br />

unicamente in vista dell’esercizio del sacerdozio comune» 12 . Spiega PO 2: «Attraverso il ministero<br />

dei presbiteri il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al<br />

sacrificio di Cristo, unico Mediatore; questo sacrificio, infatti per mano dei presbiteri e in nome di<br />

tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della<br />

venuta del Signore». Sempre in PO 2 si afferma esplicitamente per il presbiterato la dottrina del carattere:<br />

«i presbiteri, in virtù della unzione dello Spirito santo, sono segnati da uno speciale carattere<br />

che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo».<br />

Il fine cui tendono con il loro ministero e la loro vita è “la gloria di Dio Padre in Cristo” (cfr n. 2),<br />

che “si faccia un solo ovile e un solo pastore” (n. 3; cfr Gv 10,14-16). «Per raggiungere questo scopo,<br />

di grande utilità risultano quelle virtù che giustamente sono molto apprezzate nella società umana,<br />

come ad esempio la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la<br />

giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù» (n. 3).<br />

I presbiteri sono ministri della parola di Dio: «nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno<br />

anzitutto il dovere di annunciare a tutti il vangelo di Dio […]; il loro compito non è di insegnare una<br />

propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione<br />

e alla santità» (n. 4); tale parola non possono limitarsi ad esporla in termini generali e astratti,<br />

ma devono applicarla alle circostanze concrete della vita (cfr n. 4).<br />

12 CTI (8 ottobre 1985), Temi scelti di ecclesiologia, 7.3.<br />

7


I presbiteri sono ministri dei sacramenti: «Essi infatti, con il battesimo, introducono gli uomini nel<br />

popolo di Dio; con il sacramento della penitenza, riconciliano i peccatori con Dio e con la chiesa;<br />

con l'olio degli infermi sollevano gli ammalati; e soprattutto con la celebrazione della messa offrono<br />

sacramentalmente il sacrificio di Cristo» (n. 5). A proposito di questo si aggiunge: «l'eucaristia si<br />

presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione, cosicché i catecumeni sono introdotti a<br />

poco a poco alla partecipazione dell'eucaristia, e i fedeli, già segnati dal sacro battesimo e dalla confermazione,<br />

sono pienamente inseriti nel corpo di Cristo per mezzo dell'eucaristia».<br />

Sul piano operativo il presbitero con l’ordinazione diventa segno di Cristo-Pastore a servizio della<br />

Chiesa. Perciò, come Gesù è stato “il grande profeta, sorto in mezzo al popolo” (Lc 7,16) per annunciare<br />

a tutti la parola che salva, così il presbitero nella Chiesa è chiamato a diventare esegeta vivente<br />

della Parola, “mai a servizio di un’ideologia, ma araldo del Vangelo” (n. 6). «Spetta ai sacerdoti,<br />

nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che<br />

ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo<br />

il vangelo, a praticare una carità sincera e operosa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo<br />

ci ha liberati» (n. 6). Un’attenzione particolare è riservata ai poveri, quali primi destinatari della<br />

Buona Notizia: «Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale<br />

i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito, e la cui evangelizzazione<br />

è mostrata come segno dell'opera messianica» (n. 6). Ancora, il presbitero è chiamato<br />

a presiedere la famiglia dei credenti nello spirito del Buon Pastore, che “fa crescere opportunamente<br />

il respiro comunitario” (6), “promuove la dignità dei laici” (9) associandoli responsabilmente<br />

alle varie collaborazioni; e, grazie anche al suo legame con il presbiterio diocesano, è guida<br />

spirituale della famiglia di Dio a lui affidata.<br />

Quanto al rapporto con il vescovo PO 7 dice: «i vescovi abbiano dunque i presbiteri come fratelli e<br />

amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale.<br />

È ai vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santificazione dei<br />

loro sacerdoti: devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della continua formazione del<br />

proprio presbiterio. Siano pronti ad ascoltarlo, anzi, siano essi stessi a consultarlo e a esaminare assieme<br />

i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi. […] I presbiteri,<br />

dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell'ordine di cui godono i vescovi,<br />

venerino [revereantur] in essi l'autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo<br />

con sincera carità e obbedienza». PO 8 parla di unione e cooperazione fraterna dei presbiteri tra<br />

loro: «I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione, sono tutti tra loro<br />

uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio [unum<br />

Presbyterium] nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo. […] Pertanto,<br />

ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica,<br />

di ministero e di fraternità: [si richiama il gesto dell’imposizione delle mani da parte dei presbiteri<br />

presenti alle ordinazioni] […]. Per tali motivi, i più anziani devono veramente trattare come fratelli i<br />

più giovani aiutandoli nelle prime attività e responsabilità del ministero, sforzandosi anche di comprendere<br />

la loro mentalità, per quanto possa essere diversa, e guardando con simpatia le loro iniziative.<br />

I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l'età e l'esperienza degli anziani, sappiano studiare<br />

assieme ad essi i problemi riguardanti la cura d'anime, e collaborino con loro». Infine il n. 9 parla<br />

dei rapporti dei presbiteri con i laici: verso di loro i presbiteri sono “padri e maestri” ma con loro<br />

sono “fratelli tra fratelli” perché membra dello stesso e unico corpo di Cristo. Per cui, «siano pronti<br />

ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi<br />

della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in modo da poter assieme<br />

a loro riconoscere i segni dei tempi. […] I fedeli, dal canto loro, abbiano coscienza del debito che<br />

hanno nei confronti dei presbiteri, e li trattino perciò con amore filiale, come loro pastori e padri; e<br />

inoltre, condividendo le loro preoccupazioni, si sforzino, per quanto è possibile, di esser di aiuto ai<br />

loro presbiteri con la preghiera e con l'azione, in modo che essi possano superare più agevolmente<br />

le eventuali difficoltà e assolvere con maggior efficacia i propri compiti». Il capitolo II si conclude<br />

con il n. 11 sulla cura per le vocazioni sacerdotali. A proposito della vocazione si precisa che «que-<br />

8


sta voce del Signore che chiama non va affatto attesa come se dovesse giungere all'orecchio del futuro<br />

presbitero in un qualche modo straordinario. Essa va piuttosto riconosciuta ed esaminata attraverso<br />

quei segni di cui si serve ogni giorno il Signore per far capire la sua volontà ai cristiani prudenti;<br />

e ai presbiteri spetta di studiare attentamente questi segni».<br />

Il capitolo III sulla vita dei presbiteri comprende testi sull’obbligo di tendere alla perfezione (12:<br />

«infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della salvezza anche attraverso ministri<br />

indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro<br />

i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito santo, possono dire con l'apostolo,<br />

grazie alla propria intima unione con Cristo e alla santità di vita: "Ormai non sono più io che<br />

vivo, bensì è Cristo che vive in me"[Gal 2,20]»), sulla santità favorita dall’esercizio della triplice<br />

funzione sacerdotale (13: «sono pertanto invitati a imitare ciò che trattano, nel senso che, celebrando<br />

il mistero della morte del Signore, devono cercare di mortificare le proprie membra dai vizi e<br />

dalle concupiscenze»), sulla carità pastorale che unifica e armonizza la vita dei presbiteri (cioè permette<br />

di fare «unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero», PDV 23):<br />

«Così, operando in rappresentanza del buon pastore, troveranno nell’esercizio stesso della carità pastorale<br />

il vincolo di perfezione sacerdotale che ridurrà a unità la loro vita e azione. La carità pastorale<br />

scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico» (n. 14). Spiega PDV 23: «Il contenuto essenziale<br />

della carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla chiesa, a immagine e in condivisione<br />

con il dono di Cristo. “La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua<br />

donazione di sé e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi che<br />

mostra l’amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e<br />

di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi ...” 13 .<br />

[…] Solo se ama e serve Cristo capo e sposo, la carità diventa fonte, criterio, misura, impulso<br />

dell’amore e del servizio del sacerdote alla chiesa, corpo e sposa di Cristo». L’espressione "carità<br />

pastorale" è stata consacrata da una vasta e autorevole letteratura: da Agostino, a Giovanni Crisostomo,<br />

a Gregorio Magno. La spiritualità che vi è sottesa è quella che nasce da un grande amore per<br />

Cristo e per la Chiesa, che si attua nella dedizione al ministero.<br />

Al n. 15 si parla di umiltà e obbedienza, al n. 16 del celibato come grazia (si espongono le ragioni<br />

della sua molteplice convenienza con il sacerdozio), al n. 17 della povertà volontaria e atteggiamento<br />

verso le cose materiali: «Mossi perciò dallo Spirito del Signore, che unse il Salvatore e lo mandò<br />

ad evangelizzare i poveri, i presbiteri come pure i vescovi, cerchino di evitare tutto ciò che possa in<br />

qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore eliminino<br />

nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno<br />

possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, aver timore di frequentarla<br />

[nella traduzione di EnchVat 1 si legge “e nessuno … nell’accedervi si trovi a disagio”]».<br />

Tra i mezzi per favorire la vita spirituale si annoverano «la fruttuosa ricezione dei sacramenti, specialmente<br />

la frequenza al sacramento della penitenza» (n. 18), la visita e il culto personale alla santissima<br />

eucaristia, il ritiro e la direzione spirituale. Si parla infine della necessaria cultura teologica<br />

(n. 19), del giusto compenso (n. 20) tale da «consentire anche un tempo sufficiente di ferie ogni anno»,<br />

della previdenza sociale (n. 21). Si conclude, come abbiamo già detto, con l’icona di Abramo<br />

(n. 22).<br />

In molte occasioni il magistero della chiesa ha continuato a testimoniare la sua sollecitudine per la<br />

vita e per il ministero dei sacerdoti. «Si può dire che negli anni del postconcilio non ci sia stato intervento<br />

magisteriale che in qualche misura non abbia riguardato, in modo esplicito o implicito, il<br />

senso della presenza dei sacerdoti nella comunità, il loro ruolo e la loro necessità per la chiesa e per<br />

la vita del mondo» (PDV 3). Ricordiamo in particolare l’VIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo<br />

dei vescovi (ottobre 1990), dedicata a “La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”,<br />

«con l’intento, a distanza di venticinque anni dalla fine del concilio, di portare a compimento la dottrina<br />

conciliare su questo argomento e di renderla più attuale e incisiva nelle circostanze odierne»<br />

13 Qui si cita l’Omelia di Giovanni Paolo II durante l’adorazione eucaristica a Seoul (7 ottobre 1989).<br />

9


(PDV 2). Ne è scaturita l’esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992)<br />

e, in seguito, ad opera della Congregazione per il Clero il Direttorio per il ministero e la vita dei<br />

presbiteri (31 marzo 1994). Ricordiamo le lettere ai sacerdoti inviate dai papi ogni anno in occasione<br />

del Giovedì Santo, per mettere in luce, a vantaggio della loro vita e del loro ministero sacerdotale,<br />

l'uno o l'altro aspetto del mistero eucaristico. Nel 2003 Giovanni Paolo II, ricorrendo il 25º del<br />

suo ministero petrino, ha voluto «coinvolgere più pienamente l'intera Chiesa nella riflessione eucaristica»,<br />

additandole con nuova forza la centralità dell'Eucaristia (cfr EdE 7). Questo è il motivo della<br />

pubblicazione della sua 14 a ed ultima enciclica, la Ecclesia de Eucharistia (La Chiesa vive dell'Eucaristia),<br />

che ha firmato il Giovedì Santo, 17 aprile 2003. Ricordiamo poi l’indizione dell’anno<br />

sacerdotale (19 giugno 2009-11 giugno 2010) da parte del papa Benedetto XVI e le sue catechesi<br />

durante quell’anno. Fra i documenti della CEI mi limito a citare solo la Lettera ai sacerdoti italiani,<br />

datata 19 maggio 2006, inviata a conclusione della 56 a Assemblea Generale.<br />

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