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Antologia degli autori più rappresentativi della sociologia

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<strong>Antologia</strong> <strong>degli</strong> <strong>autori</strong><br />

<strong>più</strong> <strong>rappresentativi</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong><br />

Contenuti<br />

• Percorso 1<br />

Il contesto storico culturale<br />

nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>:<br />

Rivoluzione industriale<br />

e scientifico-tecnologica<br />

• Percorso 2<br />

Storia del pensiero sociologico<br />

obiettivi<br />

• Acquisire familiarità con il linguaggio proprio <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />

• Entrare nel vivo delle nozioni e dei concetti teorizzati dai principali <strong>autori</strong><br />

<strong>della</strong> disciplina, attraverso la lettura di brani tratti dalle loro opere <strong>più</strong><br />

importanti.


il contesto storico culturale<br />

nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>:<br />

Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

2<br />

❱❱ 1. L’immaginazione sociologica<br />

Su cosa si concentra l’interesse? Su di un grande potere statale, su di una tendenza<br />

letteraria particolare, una famiglia, una prigione, una fede? Ecco le questioni poste<br />

dai migliori sociologi. Sono i cardini intellettuali classici dello studio dell’uomo<br />

nella società, e sono le questioni che chiunque possegga immaginazione sociologica<br />

solleva. Questa facoltà consiste nel saper passare da una prospettiva ad un’altra: da<br />

una prospettiva politica ad una prospettiva psicologica, dall’esame di una singola<br />

famiglia a uno studio comparativo dei vari bilanci nazionali del mondo, dalla scuola<br />

di teologia alle istituzioni militari, dall’analisi dei problemi di un’industria petrolifera<br />

alla critica <strong>della</strong> poesia contemporanea. È la facoltà di abbracciare con la mente le<br />

trasformazioni <strong>più</strong> impersonali e remote e le reazioni <strong>più</strong> intime <strong>della</strong> persona umana<br />

e di fissarne il rapporto reciproco. A muoverla è sempre il bisogno di conoscere il<br />

senso sociale e storico dell’individuo nella società e nel periodo in cui ha vita e valore.<br />

Ecco, in breve, perché gli uomini sperano oggi di afferrare, mediante l’immaginazione<br />

sociologica, ciò che avviene nel mondo e di comprendere ciò che si svolge in loro<br />

stessi in quanto punti di intersezione <strong>della</strong> biografia e <strong>della</strong> storia nella società. La<br />

consapevolezza che l’uomo contemporaneo ha di se stesso come elemento esterno,<br />

se non addirittura estraneo, si fonda in gran parte sull’assorbimento del concetto<br />

<strong>della</strong> relatività sociale e del potere di trasformazione <strong>della</strong> storia. L’immaginazione<br />

sociologica è la forma <strong>più</strong> feconda di tale consapevolezza.<br />

❱❱ 2. La fisica sociale<br />

(C. Wright Mills, L’immaginazione s ociologica, il Saggiatore, Milano 1995)<br />

Uno scienziato, amici miei, è un individuo che sa prevedere; ap punto perché offre i<br />

mezzi per prevedere l’avvenire la scienza è utile e gli scienziati sono superiori a<br />

tutti gli altri uomini. La totalità dei fenomeni, di cui abbiamo conoscenza, è stata<br />

suddivisa in varie classi, conformemente a diversi sistemi, uno dei quali è il seguente:<br />

feno meni astronomici, fisici, chimici, fisiologici. Chiunque sceglie di de dicarsi<br />

allo studio delle scienze dà importanza a una di queste sud divisioni. Voi conoscete<br />

alcune fra le predizioni che gli astronomi fanno e sapete anche che essi annunciano<br />

le eclissi; tuttavia ne fanno una quantità di altre di cui vi disinteressate e sulle quali<br />

io non cercherò di intrattenervi; mi limiterò invece a dirvi due parole circa l’uso che<br />

di esse si fa: quanto siano utili lo sapete benissimo. La posizione rispettiva dei vari


punti <strong>della</strong> terra è stata esattamente determinata grazie alle predizioni <strong>degli</strong> astronomi;<br />

e sempre grazie a esse abbiamo i mezzi per navigare nei mari <strong>più</strong> vasti. Alcune<br />

fra le predizioni dei chimici vi sono familiari. Un chimico vi dice che po trete ottenere<br />

la calce mediante una pietra, ma non mediante un’altra; e vi dice che mediante una<br />

certa quantità di ceneri, ricavata da una pianta di una data specie, laverete la vostra<br />

biancheria al trettanto bene che con una quantità assai maggiore, ricavata da una<br />

pianta appartenente a una specie diversa; vi dice che mischiando una certa sostanza<br />

con un’altra otterrete un prodotto dotato di una certa apparenza, fornito di una certa<br />

proprietà.<br />

Il fisiologo, il quale si occupa dei fenomeni dei corpi organizzati, se, per esempio,<br />

siete ammalati, vi dice: Voi oggi provate i tali sin tomi, e domani proverete questi<br />

altri.<br />

Non crediate, però, che io voglia suggerirvi che gli scienziati pos sono prevedere<br />

tutto; niente affatto, essi non solo non possono, ma anzi, ne sono sicuro, riescono a<br />

prevedere con esattezza ben poche cose; però voi siete convinti quanto me che gli<br />

scienziati, ciascuno nel proprio campo, sono coloro che possono prevedere il maggior<br />

nu mero di cose; e di ciò non vi è dubbio, perché essi acquistano la reputazione di<br />

essere scienziati soltanto se le loro predizioni vengono verificate; oggi per lo meno<br />

le cose vanno in questo modo, ma nel passato era ben diverso. Perciò è necessario<br />

dare uno sguardo ai progressi compiuti dallo spirito umano; nonostante gli sforzi che<br />

vado compiendo per essere chiaro, non sono perfettamente sicuro di essere capito<br />

subito, alla prima lettura, ma, se vorrete riflettere un poco, finirete per riuscirvi.<br />

I primi fenomeni che l’uomo ha osservato con una certa continuità sono quelli astronomici;<br />

è ciò per l’ottimo motivo che sono anche <strong>più</strong> semplici. All’inizio dei suoi<br />

lavori nel campo dell’astronomia, l’uomo confondeva i fatti che osservava con quelli<br />

che immaginava, e questo guazzabuglio alquanto rudimentale, faceva le migliori<br />

combinazioni possibili al fine di soddisfare tutte le richieste di predizioni circa l’avvenire;<br />

in seguito egli si andò sbarazzando dei fatti creati dalla sua immaginazione e,<br />

dopo molto lavoro, finì per adottar e un sistema sicuro di perfezionamento di questa<br />

scienza. Gli astronomi accettarono soltanto i fatti constatati dall’osservazione, scelsero<br />

il metodo che meglio li collegava, e da allora cessarono di far compiere passi<br />

falsi alla scienza. Ogniqualvolta viene presentato un nuovo sistema, prima di accoglierlo,<br />

essi verificano se collega i fatti meglio di quello che avevano adottato; se un<br />

fatto nuovo viene aff ermato, si assicurano, mediante l’osservazione, che realmente<br />

esista. L’epoca di cui parlo (la <strong>più</strong> memorabile nella storia del progresso dello spirito<br />

umano), è quella in cui gli astronomi cacciarono dalla loro società gli astrologi. Inoltre<br />

debbo farvi notare che da allora gli astronomi sono divenuti individui buoni,<br />

modesti, hanno rinunciato fingere di conoscere ciò che invece ignorano, mentre anche<br />

voi, da parte vostra, avete cessato di rivolger loro la richiesta impertinente di leggervi<br />

il destino negli astri.<br />

I fenomeni chimici sono <strong>più</strong> complicati di quelli astronomici, e perciò l’uomo se ne<br />

occupò molto tempo dopo. Studiando la chimica esso è caduto negli stessi errori in<br />

cui cadde studiando l’astronomia; alla fine però i chimici riuscirono a sbarazzarsi<br />

<strong>degli</strong> alchimisti.<br />

La fisiologia si trova tuttora nella situazione sfavorevole attraverso quale dovettero<br />

passare anche le scienze astronomiche e chimiche; fisiologi devono cacciare dalla<br />

loro società i filosofi, i moralisti e i metafisici, come già gli astronomi cacciarono gli<br />

astrologi, e i chimici gli alchimisti.


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

4<br />

Noi, amici miei, siamo dei corpi organizzati; ed è appunto consi derando come fenomeni<br />

fisiologici i nostri rapporti sociali che io ho ideato il progetto che vi presento,<br />

ed è attraverso considerazioni tratte dal sistema di cui mi servo per collegare i fatti<br />

fisiologici che vi dimostrerò che il progetto che vi presento è buono.<br />

Una lunga serie di osservazioni ha permesso di constatare come ogni uomo provi, a<br />

un grado <strong>più</strong> o meno elevato, il desiderio di dominare la totalità <strong>degli</strong> altri uomini.<br />

Ragionando, si vede chiara mente che ogni uomo che non sia isolato, si trova in una<br />

posizione attiva o passiva di predominio nei suoi rapporti con gli altri.<br />

Voi stimate, e cioè accordate volontariamente una porzione di predominio nei vostri<br />

confronti a quegli individui i quali, secondo voi, fanno cose utili; e avete il torto,<br />

condiviso con tutta l’umanità, di non aver tracciato una linea di demarcazione abbastanza<br />

precisa fra le cose di un’utilità momentanea e quelle di una utilità duratura; tra<br />

quelle di interesse locale e quelle di interesse generale; tra quelle che procurano dei<br />

vantaggi a una parte dell’umanità, a scapito di tutti gli atri, e quelle che accrescono<br />

la felicità generale. Voi, infine, non vi rendete ancora ben conto che vi è un solo interesse<br />

comune a tutti gli uomini: quello del progresso delle scienze.<br />

Il sindaco del vostro villaggio vi procura certi vantaggi sui paesi vicini? ed ecco che<br />

voi ne siete entusiasti e lo circondate di stima. Gli abitanti delle città manifestano in<br />

modo analogo il desiderio di esercitare la loro superiorità sulle città vicine; le province<br />

rivaleggiano fra loro e tra le nazioni scoppiano lotte, determinate dall’interesse<br />

particolare, cui viene dato il nome di guerre. Negli sforzi che tutte queste frazioni<br />

dell’umanità compiono, quale parte tende diretta mente al bene generale? Una parte<br />

in verità assai esigua; e non è il caso di stupirsi, dal momento che l’umanità non ha<br />

ancora preso alcun provvedimento al fine di accordare collettivamente delle ri compense<br />

a coloro i quali riescono a compiere lavori di utilità ge nerale.<br />

(Henri de Saint-Simon, Lettere di un abitante dì Ginevra in Opere,<br />

Utet, Torino 1975)<br />

[Henri de Saint-Simon (1760-1825) filosofo francese, annoverato tra gli esponenti del socialismo utopistico,<br />

inizia a ipotizzare lo studio <strong>della</strong> società, senza tuttavia che possa essere considerato un precursore.]<br />

❱❱ 3. Lo sviluppo <strong>della</strong> cultura<br />

Ogni generazione, ogni uomo, non deve ricominciare da capo a imparare come si<br />

costruiscono gli utensili, i rifugi, come si caccia e come ci si difende dai pericoli<br />

dell’ambiente particolare in cui si vive. Si impara per imi tazione <strong>degli</strong> anziani e per<br />

un insegnamento impartito da questi ul timi in modo esplicito. Questo accade anche<br />

tra gli animali in modo rudimentale. In moltissime specie esiste una conoscenza<br />

istintiva, trasmessa dai geni, su come cacciare, fuggire, nutrirsi, e una conoscenza<br />

appresa per esperienza individuale. Vi è sempre inoltre una interazione tra conoscenza<br />

innata e conoscenza acquisita. La conoscenza innata e conoscenza acquisita. La<br />

conoscenza innata (come cammi nare, scappare, distinguere pericoli) è sempre arricchita<br />

da tentativi ed errori, dall’espe rienza, dalla memorizzazione di informazioni<br />

intorno all’habitat (facilitata dalla curiosità istintiva) e dall’esercizio, facilitato dal<br />

gioco (che è anch’esso mosso da spinte innate molto con tigue a quelle <strong>della</strong> curiosità<br />

e dell’esplorazione). Ma si tratta di conoscenze abbastanza semplici, anche se non<br />

sempre così semplici se si pensa alla conoscenza dei percorsi migratori <strong>degli</strong> uccelli,


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

e comunque con un nucleo abbastanza stabile e ripetitivo, privo di innovatività.<br />

Negli esseri umani queste conoscenze acquisite durante la vita dell’individuo sono,<br />

da un certo momento in poi (è il momento in cui esso si differen zia nettamente dalle<br />

altre specie), assai complesse e legate alla conoscenza razionale e alla memoria.<br />

Questa importanza delle tecniche acquisite, che utilizzano cioè molta informazione<br />

intorno all’ambiente particolare e memoria di questa informazione, viene attribuita<br />

da alcuni paleoantropologi al fatto che l’uomo, rispetto agli altri animali e anche rispetto<br />

agli altri primati, si trova ad avere un rap porto molto instabile con il suo ambiente<br />

particolare. Il fatto di non avere un ambiente fisso e uniforme comporta la<br />

necessità di accrescere le capacità di adattamento, cioè, ancor <strong>più</strong> che le semplici<br />

tecniche, le speciali tecniche per risolvere i problemi, o metatecniche.<br />

Questo significa che per l’uomo diventa decisiva, ancor <strong>più</strong> che la raccolta l’interpreta<br />

zione delle informazioni, l’acquisizione di un abito scientifico, l’assorbimento<br />

pratico nell’esplorazione sistematica e metodica del mondo. La trasmis sione <strong>della</strong><br />

conoscenza attraverso le generazioni viene decuplicata dall’invenzione <strong>della</strong> scrittura<br />

e <strong>della</strong> simbolizzazione astratta, dalla produzione dei concetti e delle categorie.<br />

L’influenza <strong>della</strong> scrittura sulla qualità <strong>della</strong> vita umana è stata fino a oggi passata in<br />

sott’ordine, laddove meriterebbe un esame approfondito, che è stato avviato stranamente<br />

solo di recente. Il passaggio a un mondo influenzato dalla scrittura costituisce<br />

la svolta <strong>più</strong> decisiva nella storia <strong>della</strong> società umana.<br />

Abbiamo detto che la tecnica si applica in due campi principali sin dagli albori <strong>della</strong><br />

vita conosciuta dell’uomo. Il primo campo è quello del progressivo accrescimento,<br />

per invenzioni nuove o per perfezionamento delle invenzioni, dell’efficacia delle<br />

modalità di dominio sull’ambiente. L’ambiente non è per l’uomo, diversamente dagli<br />

altri animali, una ristretta nicchia ecologica, ma un ampio universo continuamente<br />

mutevole; l’uomo vive perennemente sulla frontiera […]<br />

Ora l’accrescimento del dominio sull’ambiente è facilitato an zitutto dalle forme di<br />

cooperazione sociale e di divisione dei com piti. Troviamo la cooperazione sociale<br />

anche nelle specie diverse dall’uomo, nel campo <strong>della</strong> caccia, <strong>della</strong> difesa dai predatori<br />

e nella protezione dei piccoli. Ma è nella specie umana che l’organizzazione<br />

sociale per dominare l’ambiente diventa e stremamente articolata e complessa, e fa<br />

compiere un salto al dominio sul l’ambiente.<br />

La storia <strong>della</strong> diversità umana nasce qui, nell’intensificazione dell’efficacia organizzativa<br />

e nella capacità di trasmettere, e quindi di accumulare, le conoscenze tecniche.<br />

La trasmissione da una gene razione all’altra delle tecniche di dominio è ciò che differenzia<br />

l’uomo. Non tanto il linguaggio che, in forma rudimentale, appartiene anche<br />

agli animali, ma la capacità, semmai, di fare del linguaggio stesso, come di ogni altra<br />

facoltà attinente al dominio, un utensile versatile al servizio dell’organizzazione.<br />

Ancora oggi il linguaggio ha due fun zioni completamente diverse: una funzione<br />

espressiva, di comunicazio ne delle emozioni e <strong>degli</strong> affetti, di costituzione <strong>della</strong> relazione<br />

e <strong>della</strong> socialità e di conservazione e una funzione informativa, di trasmissione<br />

di dati, cognizioni intorno a delle tecniche. I due tipi di linguaggio possono contaminarsi<br />

a vi cenda, interferire fa loro, ma la loro funzione resta radi calmente diversa:<br />

o il linguaggio serve alla tecnica e al dominio, o serve agli affetti e alle relazioni<br />

È il primo tipo di linguaggio che, trasformandosi in scrittura, produce quell’enorme<br />

potenziamento delle funzioni mentali al servizio <strong>della</strong> tecnica che è rappresentato<br />

dalla memoria utilitaria. Attraverso la trasmissione orale linguistica prima e attraverso<br />

la scrittura poi, l’accumulo delle informazioni che viene reso possibile supera le<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

6<br />

capacità mentali dell’individuo storico, diventa la memoria del gruppo e poi <strong>della</strong><br />

specie, diventa un deposito di dati (di un certo tipo di dati) che può essere accresciuto<br />

quasi senza limiti, uno strumento inconcepibilmente potente di dominio. Si può<br />

dire da questo punto di vista che la tecnica è anzitutto memoria e tecnica <strong>della</strong> memoria.<br />

Anche qui si deve tener conto che vi è l’altro tipo di memoria che non ha a che<br />

fare con le cose, con le modalità efficaci, con la tecnica, ma che riguarda le relazioni.<br />

La memoria delle persone («mi ricordo di te», «mi ricordo mia madre», «mi ricordo<br />

che mi hai aiutato») è un fatto affettivo e non intellettuale, contrapposto alla memoria<br />

delle cose. Essa è fatta di tante piccole e grandi emozioni, incontri gioiosi e ferite.<br />

La memoria delle cose, invece, è come una mappa; con la scrittura, la registrazione<br />

meccanica, i segni convenzionali essa può diventare sempre <strong>più</strong> ampia e dettagliata.<br />

La nostra conoscenza, che sta al servi zio del dominio e dell’efficacia, è come un gigantesco<br />

atlante, sempre <strong>più</strong> dettaglia to e continuamente ampliabile: atlante planetario<br />

dell’universo, dell’in finitamente grande, o atlante-mappa dell’infinitesimo, del<br />

suba tomico. I telescopi e microscopi elettronici continuano ad estendere illimitatamente<br />

questi atlanti.<br />

L’altro tipo di memoria, la memoria <strong>degli</strong> affetti, non può andare oltre la concreta<br />

esperienza storica di un individuo. La scrittura, la narrazione, possono parlarci delle<br />

emozioni, delle passioni di uomini appartenenti ad altre epoche, ma solo in quanto,<br />

in qualche modo, siamo poi in grado di sperimentare noi stes si questi affetti; e questo<br />

incontra dei limiti. L’espandibilità del la memoria affettiva è quasi niente se confrontata<br />

all’espandibilità teoricamente illimitata <strong>della</strong> memoria delle cose, che è all’origine<br />

del potere immenso sulle cose stesse, sull’ambiente, e sugli uomini stessi considerati<br />

come cose.<br />

La trasmissibilità delle informazioni sulle cose è dunque in sé la <strong>più</strong> importante delle<br />

invenzioni umane; essa ha effetti esplosivi, dirompenti; essa permette agli uomini<br />

di non ricominciare ogni volta da capo (per ogni generazione) a scoprire l’ambiente<br />

e il modo di domi narlo, e una volta scoperto questo vantaggio premia e favorisce<br />

mo dalità di organizzazione sociale che consentono la conservazione del l’informazione<br />

memorizzabile.<br />

(P. Maranini, Miseria dell’opulenza, Il Mulino, Bologna 1989)<br />

[Paolo Maranini è un sociologo italiano che studia la condizione dell’uomo nella società <strong>della</strong> tecnica e il<br />

conseguente controllo sociale, l’impatto delle trasformazioni tecnologiche sulla cultura e le risorse naturali.]<br />

❱❱ 4. La teoria dell’attore<br />

Per teoria dell’attore intendo una teoria capace di spiegare e di preve dere i modi in<br />

cui un individuo, partecipe d’uno o <strong>più</strong> sistemi sociali, ha agito o agirà in situazioni<br />

differenti, in presenza di differenti parametri iniziali <strong>della</strong> sua condizione, includendo,<br />

tra questi ultimi, stati interni quali emozioni, bisogni, scopi, valori, schemi interpretativi,<br />

processi di ra gionamento. Una teoria del genere parrebbe dover essere un<br />

elemento co stitutivo d’ogni teoria sociologica, in specie di quella che molti considerano<br />

pur sempre la teoria che meglio caratterizza la nostra disciplina, ovvero la teoria<br />

dei sistemi sociali. Priva d’una teoria dell’attore, la teoria del siste ma sociale si trasforma<br />

implicitamente in una sorta di behaviorismo acri tico. Le situazioni, i dati<br />

socioanagrafici, le affiliazioni di classe di partito o di cultura si configurano come


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

input in una scatola nera, il cui contenu to ignoto rappresenta appunto l’attore mancante,<br />

e dalla quale fuoriescono a titolo di output scioperi e voti, migrazioni e comportamenti<br />

devianti, pratiche religiose e ideologie.<br />

In tal modo, anziché modellizzato consapevolmente come titolare del l’iniziativa di<br />

agire, l’attore viene inferito a posteriori tramite l’analisi sta tistica dei risultati delle<br />

sue azioni e razionalizzazioni. In assenza d’un mo dello di soggetto agente cui riferirsi,<br />

l’analisi risulta orbata di incidenza cri tica in due direzioni: verso il modello, che<br />

in quanto assente non può ve nire modificato, rettificato, fatto evolvere ponendolo a<br />

fronte <strong>degli</strong> esiti delle predizioni e postdizioni in base ad esso formulate; e verso se<br />

stessa, poiché qualsiasi predicato, desunto dai suoi calcoli, appare plausibile quan do<br />

il soggetto sia, com’è, totalmente indeterminato. Non è questa l’ulti ma ragione <strong>della</strong><br />

scarsa cumulabilità delle ricerche sociologiche, che si av verte nella <strong>sociologia</strong> italiana<br />

forse <strong>più</strong> che in ogni altra <strong>sociologia</strong> nazio nale.<br />

Una teoria dell’attore possiede una precisa rilevanza anche sul piano epistemologico.<br />

Uno dei maggiori esiti dell’epistemologia del Novecento è consistito nel porre in luce<br />

le interrelazioni che sussistono tra osservatore e oggetto osservato. In base a tali esiti<br />

si conviene che non solo le osser vazioni dipendono dal sistema di coordinate dell’osservatore,<br />

ma la descri zione dell’oggetto osservato, sia esso un atomo, l’universo o<br />

qualsiasi og getto intermedio, riveste un senso solamente se è collegata in modo esplicito<br />

ad una descrizione dell’osservatore. Nell’analisi sociologica il proble ma si raddoppia.<br />

A fronte dei sistemi socioculturali in cui è inserito, il sog getto agente si pone<br />

come un osservatore, il quale dovrebbe dunque venire descritto al solo scopo di poter<br />

comprendere i sistemi che osserva. Tale de scrizione non può avere altra forma che<br />

una teoria dell’attore, un elemento portante <strong>della</strong> quale sono le rappresentazioni nella<br />

mente dell’attore dei si stemi sociali di cui fa parte o ai quali si riferisce.<br />

D’altra parte, a fronte del soggetto agente è il sociologo che si pone co me osservatore.<br />

Al fine di conferire un senso stabile alle proprie operazioni osservative, egli dovrebbe<br />

descrivere compiutamente se stesso, ma per far lo necessita di una teoria<br />

<strong>della</strong> costituzione dell’oggetto che specificamente osserva; oppure può affermare,<br />

sebbene con qualche rischio, di essere un osservatore allo stesso titolo in cui lo è<br />

l’attore che osserva. In ambedue i casi la mancanza d’una teoria locale del soggetto,<br />

che in ragione <strong>della</strong> sua localizzazione socioculturale conviene specificare come attore,<br />

porta l’a nalisi sociologica a ignorare questa doppia mediazione cognitiva, e a<br />

rica dere quindi sui sistemi oggetto come datità autonomamente costituite – illusione<br />

tipica del realismo ingenuo, benché talora avvolta in panni idea listici. […] Una teoria<br />

dell’azione risulta in genere vincolata all’am bito delle spiegazioni a posteriori <strong>degli</strong><br />

eventi osservati, poiché uno dei ca ratteri essenziali dell’azione umana consiste nel<br />

decidere caso per caso qual è il referente verso il quale si orienterà l’azione; ma per<br />

comprendere simi le processo di decisione è necessaria una teoria globale del soggetto<br />

agente, ovvero dell’attore. Le smentite, le sorprese alle quali sembra perennemente<br />

esposta la spiegazione sociologica sono dovute in notevole misura al non uso d’una<br />

teoria dell’attore.<br />

(Luciano Gallino, L’attore sociale, Einaudi, Torino 1987)<br />

[Luciano Gallino (1927) è uno dei <strong>più</strong> autorevoli sociologi italiani. Accanto alla teoria dell’attore sociale,<br />

ricordiamo i suoi studi nel campo del lavoro e dell’economia, con particolare riferimento alle conseguenze<br />

dello sviluppo delle nuove tecnologie, sia nel campo <strong>della</strong> produzione che <strong>della</strong> comunicazione.]<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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❱❱ 5. L’era di Frankenstein<br />

Nel suo romanzo Il mondo nuovo Aldous Huxley aveva profetizzato la fabbricazione<br />

in serie di esseri umani. In contenitori di laboratorio, gli embrioni si sarebbero sviluppati<br />

secondo la propria futura funzione nella scala sociale, dagli alfa destinati al<br />

comando fino agli epsilon prodotti per la servitù.<br />

Settanta anni dopo la biogenetica ci promette, come regalo del nascente millennio, una<br />

nuova razza umana. Cambiando il codice genetico delle generazioni future, la scienza<br />

produrrà esseri intelligenti, belli, sani, magari immortali, a seconda del prezzo che ogni<br />

famiglia potrà pagare. James Watson, premio Nobel, all’origine <strong>della</strong> struttura del DNA<br />

e capo del progetto genoma umano, ci predice l’avvento del dispotismo scientifico.<br />

Watson rifiuta qualsiasi limite alla manipolazione delle cellule riproduttrici umane:<br />

non ci deve essere «nessun limite né alla ricerca né al commercio». Ed aggiunge senza<br />

esitazioni «dobbiamo restare entro i limiti delle leggi e dei regolamenti esistenti».<br />

Gregory Pence, che tiene la cattedra di etica medica nell’università dell’Alabama,<br />

rivendica il diritto dei genitori a scegliersi quali figli avere, «nello stesso modo con<br />

cui gli allevatori realizzano incroci alla ricerca del cane <strong>più</strong> adatto per la famiglia».<br />

E l’economista Lester Thurow, del Massachusetts Institute of Technology, si chiede<br />

chi potrebbe rifiutarsi di programmare un figlio con elevato coefficente intellettuale.<br />

«Se non lo fa lei – avverte – lo faranno i suoi vicini, e suo figlio sarà il <strong>più</strong> stupido<br />

del quartiere».<br />

Se la fortuna ci accompagna, le maternità del futuro genereranno superbimbi uguali<br />

a questi geni. Il miglioramento <strong>della</strong> specie non richiederà <strong>più</strong> i forni a gas dove la<br />

Germania ha purificato la razza, né la chirurgia che gli Stati Uniti, la Svezia e altri<br />

paesi hanno applicato per evitare di riprodurre i prodotti umani di cattiva qualità. Il<br />

mondo fabbricherà persone geneticamente modificate, come già fabbrica alimenti<br />

geneticamente modificati.<br />

2001, odissea nello spazio: già siamo nel 2001 e già ci nutriamo di cibi chimici, come<br />

aveva annunciato oltre trent’anni fa il film di Stanley Kubrick. Oggi i giganti dell’industria<br />

chimica ci danno da mangiare. Questione di sigle: dopo il Ddt e il Pcb, che<br />

finalmente sono stati proibiti – da anni si sapeva che causavano <strong>più</strong> cancro che felicità<br />

– è arrivato il turno dei Gm, gli alimenti geneticamente modificati. Da Stati<br />

Uniti, Argentina e Canada i Gm invadono il mondo intero, e siamo tutti porcellini<br />

d’India in questo esperimento gastronomico dei grandi laboratori.<br />

In realtà, non sappiamo nemmeno cosa mangiamo. Tranne poche eccezioni, le etichette<br />

dei contenitori non ci avvertono se contengono ingredienti che hanno subito la<br />

manipolazione di uno o vari geni. Monsanto, il <strong>più</strong> grande fornitore in questo campo,<br />

non dà nessuna indicazione a proposito. Anche quando si tratta di latte che proviene<br />

da mucche che sono state trattate con <strong>degli</strong> ormoni transgenici <strong>della</strong> crescita.<br />

Secondo Lancet, giornale internazionale di servizi sulla salute, e secondo altre pubblicazioni<br />

scientifiche, questi ormoni favoriscono il cancro <strong>della</strong> prostata e del seno,<br />

ma la FDA (Food and Drug Administration) <strong>degli</strong> Stati Uniti ne <strong>autori</strong>zza la vendita<br />

senza nessuna menzione speciale sull’etichetta perché, in fin dei conti, questi ormoni<br />

accelerano la crescita, aumentano il rendimento e di conseguenza la redditività.<br />

Spazio alle priorità! E la prima è quella <strong>della</strong> salute sull’economia! In tutti i casi,<br />

quando Monsanto è obbligata a confessare quello che vende, come per esempio nel<br />

caso <strong>degli</strong> erbicidi, questo non cambia molto le cose. Qualche anno fa Monsanto ha<br />

dovuto pagare una multa per avere fatto 75 false dichiarazioni sulle etichette dei bidoni<br />

dell’erbicida Round-Up. 3000 dollari americani per ogni falsa etichetta.


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

Gli europei sono gli unici a difendersi, o almeno a cercare di difendersi. In Europa,<br />

l’importazione di prodotti di ingegneria genetica è proibita in certi casi e in altri sottomessa<br />

a controllo. Dal 1998 l’Unione europea esige delle etichette chiare per la soia<br />

geneticamente modificata ma è molto difficile mettere in pratica queste buone risoluzioni.<br />

La traccia si perde nelle manipolazioni successive: secondo Greenpeace, la soia<br />

OMG è presente già nel 60% di tutti gli alimenti messi in vendita nel mondo intero.<br />

Nelle manifestazioni ecologiste, un pesce gigante tiene un cartello con scritto: «Non<br />

toccate i miei geni», al suo fianco un pomodoro gigante chiede la stessa cosa. Nel<br />

mondo intero la protesta cresce. L’atteggiamento europeo è il risultato <strong>della</strong> pressione<br />

dell’opinione pubblica. Quando i contadini francesi distrussero dei campi di piante<br />

transgeniche a causa <strong>della</strong> nocività di questi prodotti per l’ecosistema, José Bové<br />

diventò un eroe nazionale e dichiarò: «Noi altri consumatori e contadini, nessuno ci<br />

ha mai consultato riguardo a questo. Mai!».<br />

Lo Stato francese, che l’aveva fatto arrestare, ritirò l’<strong>autori</strong>zzazione concessa per la<br />

coltivazione del mais inventato transgenico. Poco tempo dopo, l’impresa americana<br />

Kraft Foods dovette ritirare milioni di Tortillas di mais <strong>della</strong> marca Taco Bell in seguito<br />

alle denunce dei consumatori che erano stati vittime di allergie.<br />

Durante questo tempo, Madeleine Allbright, ex ministro <strong>degli</strong> affari esteri <strong>degli</strong> USA,<br />

diceva e ripeteva in Europa che non c’era nessuna prova che gli alimenti geneticamente<br />

modificati fossero nocivi alla salute o all’ambiente. Gli europei hanno anche<br />

altri motivi per non avere fiducia nelle piroette tecnocratiche sulla tavola da pranzo.<br />

Sono ancora scottati dalla loro recente esperienza con la mucca pazza. Mentre ruminavano<br />

foraggio e erba medica, durante migliaia di anni, le mucche si erano comportate<br />

con buon senso esemplare e avevano accettato rassegnate il proprio destino. E fu<br />

così, finché il folle sistema che ci dirige decise di obbligarle al cannibalismo. Le<br />

mucche mangiarono mucche, ingrassarono di <strong>più</strong>, garantirono all’umanità <strong>più</strong> carne<br />

e <strong>più</strong> latte, furono festeggiate dai padroni e applaudite dal mercato – e, di passaggio,<br />

impazzirono. Il fatto diede origine a parecchie battute di spirito, finché cominciò a<br />

morire la gente. Un morto, dieci, venti, cento...<br />

Nel 1996 il Ministero inglese <strong>della</strong> Sanità informava la popolazione che il sangue e<br />

le gelatine animali erano <strong>degli</strong> alimenti senza pericolo per il bestiame e inoffensivi<br />

per gli esseri umani.<br />

(Eduardo Galeano, «L’era di Frankenstein», il Manifesto, 10 gennaio 2001)<br />

[Eduardo Galeano (1940): scrittore e giornalista uruguaiano, si occupa di problemi sociali e politici legati<br />

alla globalizzazione e al neocolonialismo.]<br />

❱❱ 6. Avalutatività<br />

Si può dire che il concetto di avalutatività stia alla base <strong>della</strong> sua posizione, che si contrappone<br />

radicalmente alle altre tre con le quali Weber dissentiva. Dal punto di vista<br />

storicistico, lo studioso era talmen te radicato alla sua posizione culturale che la possibilità<br />

di trascenderla a favore di un nuovo livello di obbiettività era certamente problematica.<br />

Dal punto di vista marxista questo radicamento in un sistema sociocultu rale<br />

restava, ma era aggravato dall’impegno del movimento in favore del l’azione politica<br />

in nome dell’attuazione delle vedute dottrinali sull’ini quità del capitalismo e delle<br />

glorie future del socialismo. Il caso dell’uti litarismo è un po’ <strong>più</strong> complesso, ma non<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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veniva tracciata nessuna linea netta fra i fondamenti dell’obbiettività nel giudizio empirico<br />

da un lato è la difesa di determinate linee politiche dall’altro, perché quest’ultimo<br />

problema era ridotto completamente al livello delle preferenze puramente individuali.<br />

In contrasto con ciascuna di queste tre posizioni, quella di Weber si trova ad un livello<br />

di differenziazione molto <strong>più</strong> alto. Non è una pre tesa che lo scienziato sociale si<br />

astenga da qualsiasi impegno valutativo: ciò è messo perfettamente in chiaro dalla<br />

posizione presa in Wissenschaft als Beruf (La scienza come professione). La tesi è<br />

piuttosto che nel suo ruolo di scienziato lo studioso deve dare il primato ad un particolare<br />

sottosistema di valori nel quale i risul tati cercati del processo di indagine sono<br />

da un lato la chiarezza, coeren za e generalità dei concetti, e dall’altro la correttezza e<br />

verificabilità em piriche. Ma lo scienziato non è mai l’uomo totale e la comunità<br />

scientifica non è mai la società totale. È inconcepibile che una persona o una socie tà<br />

si esauriscano in questi termini e che debbano esserci un uomo o una società «totalmente»<br />

economici. In ruoli individuali diversi e in altri sottosistemi <strong>della</strong> società<br />

prevalgono naturalmente altre componenti di valore. Io interpreto dunque l’avalutatività<br />

come libertà di perseguire i valori <strong>della</strong> scienza entro i limiti rilevanti, senza che<br />

su questi si sovrap pongano valori contraddittori o irrilevanti rispetto a quelli dell’indagine<br />

scientifica. Questo comporta allo stesso tempo la rinuncia di qualsiasi pre tesa<br />

da parte dello scienziato a difendere, nella sua qualità di scienziato, delle posizioni di<br />

valore che abbiano una base di significato sociale e culturale <strong>più</strong> ampia di quella<br />

<strong>della</strong> sua scienza. Così dal punto di vista di Weber una espressione come «socialismo<br />

scientifico» è inaccettabile quanto lo sarebbe quella di «scienza cristiana» se il termine<br />

scienza vi fosse inteso nel senso empirico. Gli orientamenti di condotta dei movimenti<br />

politici non sono mai semplici applicazioni di conoscenza scientifica, ma implicano<br />

sempre delle componenti di valore che sono analiticamente indipendenti<br />

dalle scienze naturali o sociali. L’avalutatività implica inol tre per la scienza la possibilità<br />

di non essere vincolata ai valori di una qualunque cultura storica particolare.<br />

❱❱ 7. L’osservazione dei fatti sociali<br />

(Talcott Parsons, Teoria sociologica e società moderna,<br />

Etas Kompass, Milano 1971)<br />

La prima regola, quella fondamentale, è di «con siderare i fatti sociali come delle<br />

cose».<br />

Al momento nel quale diventa oggetto di scienza un nuovo ordine di fenomeni, questi<br />

si trovano già rappresentati nello spirito non soltanto mediante immagini sensibili,<br />

ma grazie a delle specie di concetti grossolanamente formati. Anteriormente ai<br />

primi rudi menti <strong>della</strong> fisica e <strong>della</strong> chimica, gli uomini avevano già – sui fenomeni<br />

fisico-chimici – delle nozioni che superavano la pura percezione; tali sono, per esempio,<br />

quelle che traviamo mescolate a tutte le religioni. Gli è che, effettivamente, la<br />

riflessione è anteriore alla scienza che non fa che servirsene con maggior metodo.<br />

L’uomo non può vivere in mezzo alle cose senza far sene delle idee in base alle quali<br />

regola il suo comportamento. Soltanto, poiché queste nozioni sono <strong>più</strong> vici ne a noi e<br />

<strong>più</strong> a nostra portata delle realtà alle quali corrispondono, tendiamo naturalmente a<br />

sostituirle a queste ultime ed a farne la materia stessa delle nostre speculazioni.<br />

Invece d’osservare le cose, di descriverle, di para gonarle, noi ci accontentiamo allora<br />

di prendere co scienza delle nostre idee, di analizzarle, di combinarle. […] Non è


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

dunque elaborandole, in qualsiasi maniera, che si arriverà a scoprire le leggi <strong>della</strong><br />

realtà. Queste sono, al contrario, come un velo che si interpone tra le cose stesse e<br />

noi, e che ce le maschera tanto meglio quanta <strong>più</strong> lo crediamo trasparente.<br />

Non soltanto una tale scienza non può essere che mutilata, ma ancora manca di materia<br />

che la possa ali mentare. Appena esiste, sparisce – per così dire – e si trasforma<br />

in arte. Infatti, queste nozioni sono sup poste contenere quanto v’è di essenziale nella<br />

realtà, dato che vengono confuse colla realtà stessa. […] Questo sconfinamento<br />

dell’arte sulla scienza, che impedisce a questa ultima di svilupparsi, è, d’altronde,<br />

facilitato dalle stesse circostanze che determinano il risveglio <strong>della</strong> riflessione scientifica.<br />

Perché, siccome questa non nasce che per soddisfare delle necessità vi tali, si<br />

trova naturalmente orientata verso la pratica. I bisogni che essa è chiamata a soddisfare<br />

sono sempre urgenti e, di conseguenza, la spingono a concludere; essi reclamano<br />

non delle spiegazioni, ma dei rimedi.<br />

Questa maniera di procedere è così conforme all’in clinazione naturale del nostro<br />

spirito, che la si ritrova persino all’origine delle scienze fisiche. È lei che diffe renzia<br />

l’alchimia dalla chimica, come l’astrologia dal l’astronomia. È per suo mezzo che<br />

Bacone caratterizza il metodo che seguivano i dotti del suo tempo e che egli combatte.<br />

Le nozioni delle quali abbiamo parlato sono quelle «notiones vulgares» o «praenotiones»<br />

che egli segnala alla base di tutte le scienze, dove prendano il posto dei<br />

fatti. Sono questi «idola», una specie di fantasmi che ci sfigurano il vero aspetto<br />

delle cose e che noi prendiamo tuttavia per le cose stesse. [...]<br />

Se questo è avvenuto colle scienze naturali, a mag gior ragione lo stesso doveva avvenire<br />

per la <strong>sociologia</strong>. Gli uomini non hanno atteso l’avvento <strong>della</strong> scienza sociale<br />

per farsi delle idee sul diritto, sulla morale, sulla famiglia, sullo Stato, sulla società<br />

stessa; perché non potevano farne a meno per vivere. Ora, è soprattutto in <strong>sociologia</strong><br />

che queste prenozioni – per riprendere l’espressione di Bacone – sono in condizioni<br />

di domi nare gli spiriti e di sostituirsi alle cose. Infatti, le cose sociali non si realizzano<br />

che per il tramite <strong>degli</strong> uomini; sono un prodotto dell’attività umana. Non sembrano<br />

quindi esser altro che la messa in opera di idee, innate o no, che noi partiamo<br />

dentro di noi; non altro che la loro applicazione alle differenti circostanze che accompagnano<br />

i rapporti <strong>degli</strong> uomini tra loro. L’organizza zione <strong>della</strong> famiglia, del contratto,<br />

<strong>della</strong> repressione, dello Stato, <strong>della</strong> Società appaiano perciò come un sem plice<br />

sviluppo delle idee che noi abbiamo <strong>della</strong> Società, dello Stato, <strong>della</strong> giustizia ecc. Di<br />

conseguenza, questi fatti ed altri loro analoghi sembrano non possedere una realtà<br />

che dentro e per le idee che ne sono il germe e che diventano, quindi, la materia propria<br />

<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />

Quello che finisce di fare completamente credito a questa maniera di vedere è il fatto<br />

che il particolare <strong>della</strong> vita sociale sconfina in tutti i sensi oltre i limiti <strong>della</strong> coscienza,<br />

e questa non ne ha una percezione sufficientemente netta per sentirne la realtà.<br />

Non aven do dentro di noi dei legami abbastanza solidi né abba stanza stretti, tutto<br />

questo ci fa, con sufficiente facilità, l’effetto di non avere una base e di galleggiare<br />

nel vuoto, materia semi-irreale e indefinitamente plastica. Ecco perché tanti uomini<br />

di pensiero non hanno veduto negli ordinamenti sociali che delle combinazioni artificiali<br />

e <strong>più</strong> o meno arbitrarie, Ma se il particolare, se le forme concrete e circostanziate<br />

ci sfuggono, almeno noi ci rappresentiamo all’ingrosso e approssimativamente<br />

gli aspetti <strong>più</strong> generali dell’esistenza collettiva, e sono pre cisamente queste rappresentazioni<br />

schematiche e som marie che costituiscono le prenozioni delle quali noi ci<br />

serviamo per gli usi correnti <strong>della</strong> vita. Non possiamo quindi immaginare di mettere<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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in dubbio la loro consistenza, poiché la percepiamo nello stesso tempo <strong>della</strong> nostra.<br />

Non soltanto esse sono in noi, ma, siccome sono un prodotto di esperienze ripetute,<br />

acquistano dalla ri petizione e dall’abitudine che ne risulta una specie d’ascendente e<br />

di <strong>autori</strong>tà. Le sentiamo resisterci quan do cerchiamo di liberarcene. Ora, noi non<br />

possiamo evitare di guardare come reale quello elle si oppone a noi. Tutto contribuisce<br />

quindi a farci vedere la vera realtà sociale.<br />

Effettivamente, fino ad oggi, la <strong>sociologia</strong> ha <strong>più</strong> o meno esclusivamente trattato non<br />

delle cose, ma dei concetti. Comte, è vero, ha proclamato che i fenomeni sociali sono<br />

dei fatti naturali, sottoposti alle leggi natu rali. Con questo ha implicitamente riconosciuto<br />

il loro carattere di cose. Perché non vi sono che delle cose nella natura. Ma<br />

quando, uscendo da queste generalità filosofiche, egli tenta d’applicare il principio e<br />

dedurre la scienza che vi era contenuta sono le idee che egli prende per oggetto di<br />

studio. Infatti, quello che forma soprattutto la materia principale <strong>della</strong> sua <strong>sociologia</strong>,<br />

è il progresso dell’umanità nel tempo. Parte dall’idea che si ha un’evoluzione continua<br />

del genere umano, consistente in una realizzazione sempre <strong>più</strong> completa <strong>della</strong> natura<br />

umana, ed il problema che egli tratta è la ricerca <strong>della</strong> legge di questa evoluzione.<br />

Ora, anche supponendo che questa evoluzione esi sta, la realtà sua non può essere<br />

stabilita che dopo la creazione <strong>della</strong> scienza. Non si può quindi farne l’oggetto stesso<br />

<strong>della</strong> ricerca se la si considera come una concezione dello spirito, non come una cosa.<br />

[…] Viceversa i fenomeni sociali sono delle cose e devono essere trattati come delle<br />

cose.<br />

❱❱ 8. Des esseintes a Parigi<br />

(Émile Durkheim, Le regole del metodo sociologico,<br />

Newton Compton, Roma 1971)<br />

Il suo disprezzo per l’umanità aumentò; si accorse che il mondo, per la maggior parte,<br />

è composto di sacripanti e di imbecilli. Non aveva <strong>più</strong> alcuna speranza di trovare<br />

in altri le sue stesse aspirazioni e ripugnanze, di incontrare un’intelligenza che, al pari<br />

<strong>della</strong> sua, si compiacesse in una studiosa decrepitezza, di unire uno spirito acuto e a<br />

tutto rilievo come il suo a quello di uno scrittore o di un letterato. […] Durante l’ultimo<br />

mese del suo soggiorno a Parigi, quando, deluso di tutto, abbattuto dall’ipocondria,<br />

schiacciato dallo spleen, era giunto a una tale sensibilità nervosa che la vista di<br />

un oggetto o di un essere spiacevole si imprimeva profondamente sul suo cervello e<br />

occorrevano parecchi giorni per cancellarne anche leggermente l’impronta, il volto<br />

umano appena intravisto per via era stato uno dei suoi <strong>più</strong> lancinanti supplizi.<br />

In realtà soffriva alla vista di certe fisionomie, considerava quasi come un insulto le<br />

espressioni pater ne o burbere di alcuni volti, sentiva una gran voglia di prendere a<br />

schiaffi quel tale che bighellonava chiudendo le palpebre con aria saputa, quell’altro<br />

che si dondolava sorridendo alla sua immagine davanti alle vetrine, quell’altro ancora<br />

che sembrava mettere sossopra un mondo di pensieri mentre divorava, con le sopracciglia<br />

contratte, tartine e fatti diversi di un giornale.<br />

Fiutava là sotto una così inveterata stupidaggine, una tale esecrazione per le sue proprie<br />

idee, un tal disprezzo per la letteratura, per l’arte, per tutto quello che lui adorava,<br />

bene impiantati in quegli stretti cervelli di bottegai, preoccupati solo di far birbanterie<br />

e di far soldi, accessibili solo a quella bassa distra zione <strong>degli</strong> spiriti mediocri che è la<br />

politica, che rientrava in casa pieno di rabbia e si chiudeva a chiave con i suoi libri.


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

Infine odiava con tutte le sue forze le nuove generazioni, figliate di ignobili tangheri<br />

che hanno il bisogno di parlare e di ridere forte nei ristoranti e nei caffè, che vi urtano<br />

senza domandarvi scusa sui marciapiedi, che vi gettano tra le gambe, senza il<br />

minimo cenno di scusa o di saluto, le ruote di una carrozzina da bambini.<br />

(Joris-Karl Huysmans, A ritroso, Rizzoli, Milano 1997)<br />

[Joris-Karl Huysmans (1848-1907). Scrittore francese, esponente del decadentismo.]<br />

❱❱ 9. il lavoro nel Medioevo<br />

Scomparso Carlo Magno, il centro culturale dell’Im pero non è <strong>più</strong> la corte. Scienza,<br />

arte, letteratura vengo no ormai dai conventi; nelle loro biblioteche, nei loro scriptoria<br />

e nelle loro officine si compie la parte <strong>più</strong> im portante <strong>della</strong> produzione intellettuale.<br />

Alla loro dili genza e alla loro ricchezza, l’arte dell’Occidente cristiano deve la sua<br />

prima fioritura. Moltiplicatisi i centri cultu rali per lo sviluppo dei conventi, le tendenze<br />

artistiche cominciano a differenziarsi nettamente. Non si deve cre dere che i monasteri<br />

fossero del tutto isolati; servivano a collegarli, se pur non molto strettamente, la<br />

comune dipendenza da Roma, l’influsso generale del monachesi mo irlandese e anglosassone<br />

e, <strong>più</strong> tardi, le congregazio ni di riforma <strong>degli</strong> ordini. Già il Bédier ha accennato<br />

ai loro contatti col mondo laico e alla loro funzione nei pellegrinaggi, in cui<br />

fungono da punti d’incontro fra pel legrini, mercanti e giullari. Ma nonostante questi<br />

rap porti con l’esterno, i conventi restano unità sostanzial mente autonome, raccolte in<br />

se stesse, e <strong>più</strong> tenacemente fedeli alle loro tradizioni di quel che non fosse prima la<br />

corte, sensibile al variare delle mode, o di quel che sarà, <strong>più</strong> tardi, la società borghese.<br />

La regola benedettina prescriveva il lavoro manuale come quello intellettuale, e metteva<br />

l’accento soprattut to sul primo. Come il feudo, così il convento cercava di sviluppare<br />

per quanto possibile un’economia autarchica, producendo tutto il necessario.<br />

L’attività dei monaci si estendeva dal lavoro nei campi e negli orti all’artigia nato. Fin<br />

dal principio i lavori <strong>più</strong> pesanti furono sbrigati in gran parte dai contadini liberi e<br />

dai servi e, <strong>più</strong> tardi, anche dai frati laici; ma l’artigianato, specie nei primi tempi, era<br />

esercitato soprattutto dai monaci; e proprio attraverso l’organizzazione del lavoro<br />

artigiano il monachesimo ha esercitato il <strong>più</strong> profondo influsso sullo sviluppo dell’arte<br />

e <strong>della</strong> cultura medievale. Se la produ zione artistica procede in forma <strong>più</strong> ordinata,<br />

con una certa divisione del lavoro, con metodi <strong>più</strong> o meno razio nali, e se anche elementi<br />

<strong>della</strong> classe superiore attendono al suo esercizio, è tutto merito <strong>degli</strong> ordini<br />

monastici. È noto che nei conventi dell’alto Medioevo prevalevano gli aristocratici;<br />

certi conventi erano quasi esclusivamente riservati a loro. Così persone che altrimenti<br />

non avreb bero mai preso in mano un pennello sporco, uno scal pello o una cazzuola,<br />

entrarono direttamente in contatto con le arti figurative. Certo, il disprezzo per il<br />

lavoro manuale è ancora molto diffuso nel Medioevo, e l’idea del «signore» resta a<br />

lungo inscindibile da quella <strong>della</strong> vita oziosa; ma non c’è dubbio che ora, contrariamente<br />

a quel che accadeva nell’antichità, accanto alla vita si gnorile, legata a un ozio<br />

illimitato, anche la vita labo riosa acquista un suo valore positivo, e questo nuovo<br />

atteggiamento verso il lavoro si ricollega, fra l’altro, alla popolarità <strong>della</strong> vita monastica.<br />

Ancora nel tardo Medio evo, nell’etica borghese del lavoro, quale si esprime, ad<br />

esempio, negli statuti delle corporazioni, riecheggia lo spirito <strong>della</strong> regola conventuale.<br />

Non si può dimenticare, d’altronde, che nei conventi il lavoro viene ancora<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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con siderato, in parte, come penitenza e punizione; e an che san Tommaso parla di<br />

viles artifices (Comm. in Polit., 3. I. 4). Di una nobilitazione <strong>della</strong> vita ad opera del<br />

lavoro non è ancora possibile parlare.<br />

Dai monaci l’Occidente ha appreso a lavorare con me todo; l’industria del Medioevo<br />

è in gran parte opera lo ro. Gli artigiani, ancora abbastanza numerosi nelle città come<br />

eredi dell’antica industria romana, lavorarono – fino alla rinascita dell’economia<br />

urbana – in limiti molto modesti, e diedero uno scarso contributo allo sviluppo delle<br />

tecniche industriali. Certo, artigiani specializzati erano attivi anche presso le corti<br />

palatine e nei maggiori feudi; ma essi appartenevano alla casa del re o alla ser vitù, e<br />

il loro lavoro conservava un carattere di attività domestica, ispirata alla tradizione<br />

piuttosto che a finalità razionali. Solo nei conventi l’artigianato si svincola dall’ambito<br />

domestico. È nei conventi che si apprende a far economia di tempo, a dividere e<br />

utilizzare razional mente la giornata, a misurare lo scorrere delle ore e ad annunciarle<br />

col tocco <strong>della</strong> campana. La divisione del lavoro diventa il principio fondamentale<br />

<strong>della</strong> produzio ne.<br />

[Arnold Hauser (1892-1978) storico dell’arte d’origine ungherese.]<br />

❱❱ 10. il tao <strong>della</strong> fisica<br />

(Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1955)<br />

Più si studiano i testi religiosi e filosofici <strong>degli</strong> Indù, dei Buddhisti e dei Taoisti, <strong>più</strong><br />

risulta evidente che in ognuno di essi il mondo è concepito in termini di movi mento,<br />

di flusso e di mutamento. Questa qualità dina mica <strong>della</strong> filosofia orientale sembra<br />

essere una delle sue caratteristiche <strong>più</strong> importanti. I mistici orientali vedono l’universo<br />

come una rete inestricabile, le cui intercon nessioni sono dinamiche e non statiche:<br />

Questa rete cosmica è viva: si muove, cresce e muta continuamente. Anche la fisica<br />

moderna è giunta a concepire l’universo come una siffatta rete di relazioni e, come il<br />

misticismo orientale, ha riconosciuto che questa rete è intrinseca mente dinamica. […]<br />

La fisica moderna, quindi, rappresenta la materia non come passiva e inerte, bensì in<br />

una danza e in uno stato di vibrazione continui, le cui figure ritmiche sono determinate<br />

dalle strutture molecolari, atomiche e nu cleari. Questo è anche il modo in cui i<br />

mistici orientali vedono il mondo materiale. Essi sottolineano tutti che l’universo deve<br />

essere afferrato nella sua dinamicità, mentre si muove, vibra e danza; che la natura<br />

non è in equilibrio statico ma dinamico. Per usare le parole di un testo taoista: «La<br />

quiete in quiete non è la vera quiete. Soltanto quando c’è quiete in movimento può<br />

apparire il ritmo spirituale che pervade cielo e terra».<br />

In fisica ci accorgiamo <strong>della</strong> natura dinamica dell’u niverso non soltanto quando<br />

scendiamo alle piccole dimensioni – al mondo <strong>degli</strong> atomi e dei nuclei – ma anche<br />

quando ci rivolgiamo alle dimensioni molto grandi, al mondo delle stelle e delle<br />

galassie. Mediante i nostri potenti telescopi osserviamo un universo in moto incessante:<br />

nubi di gas idrogeno in rotazione si contrag gono per formare stelle, riscaldandosi<br />

durante questo processo fino a diventare fuochi che ardono nel cielo. Quando<br />

hanno raggiunto quello stadio, esse continuano ancora a ruotare, ed alcune emettono<br />

nello spazio mate riali che si muovono a spirale verso l’esterno e si conden sano in<br />

pianeti, i quali ruotano a loro volta attorno alla stella. Infine, dopo milioni di anni,<br />

quando la stella ha consumato la maggior parte del suo combustibile, costi tuito da


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

idrogeno, essa si espande e poi si contrae nuo vamente nella fase finale dei collasso<br />

gravitazionale. Durante questa fase di forte contrazione possono avve nire esplosioni<br />

gigantesche e la stella può persino tra sformarsi in un buco nero. Tutte queste attività<br />

– la formazione di stelle dalle nubi di gas interstellari, la loro contrazione e successiva<br />

espansione e il loro collasso finale – possono essere osservate effettivamente in<br />

un qualche punto del cielo.<br />

Queste stelle che ruotano, che si contraggono, che si espandono o che esplodono sono<br />

raggruppate in galassie di forme svariate – dischi piatti, sfere, spirali, ecc. – che a loro<br />

volta non sono in quiete ma ruotano. La nostra galassia, la Via Lattea, è un immenso<br />

disco di stelle e gas che gira nello spazio come un’enorme ruota, cosicché tutte le sue<br />

stelle – compreso il Sole e i suoi pianeti – si muovono intorno al centro <strong>della</strong> galassia.<br />

In effetti, l’universo è pieno di galassie disseminate nell’intero spazio che riusciamo<br />

ad osservare, e tutte sono in rota zione come la nostra.<br />

Quando studiamo l’universo nel suo insieme, con i suoi milioni di galassie; raggiungiamo<br />

la massima scala di spazio e tempo; e ancora una volta, a quel livello cosmico,<br />

scopriamo che l’universo non è statico, bensì in espansione! Fu questa una delle <strong>più</strong><br />

importanti scoperte dell’astronomia moderna. Un’analisi precisa <strong>della</strong> luce, proveniente<br />

dalle galassie lontane ha rivelato che l’inte ro complesso delle galassie si<br />

espande e che lo fa seguen do uno schema preciso: la velocità di recessione di ogni<br />

galassia che osserviamo è proporzionale alla distanza <strong>della</strong> galassia stessa. Quanto<br />

<strong>più</strong> essa è distante, tanto <strong>più</strong> velocemente si allontana da noi; se si raddoppia la distanza,<br />

raddoppia anche la velocità di rècessione. Ciò è vero non solo per le distanze<br />

misurate a partire dalla nostra galassia, ma vale con qualsiasi punto di riferi mento. In<br />

qualunque galassia vi capitasse di trovarvi, osservereste le altre galassie allontanarsi<br />

velocemente da voi: le galassie <strong>più</strong> vicine si allontanerebbero alla velocità di alcune<br />

migliaia di chilometri al secondo, le <strong>più</strong> lontane a velocità superiori, e quelle lontanissime<br />

a velocità prossime a quella <strong>della</strong> luce. La luce delle galas sie che si trovano<br />

ancora <strong>più</strong> lontane non ci raggiungerà mai, in quanto esse si allontanano da noi <strong>più</strong><br />

velocemen te <strong>della</strong> velocità <strong>della</strong> luce. La loro luce è, secondo le parole di Sìr Arthur<br />

Eddington, «come un corridore su una pista in espansione con il traguardo che si<br />

allontana <strong>più</strong> rapidamente di quanto egli riesca a correre».<br />

Per formarci un’idea <strong>più</strong> precisa del modo in cui l’universo . si espande, dobbiamo<br />

ricordare che lo sche ma teorico adatto per studiarne le caratteristiche su larga scala è<br />

là teoria generale <strong>della</strong> relatività di Ein stein. Secondo questa teoria, lo spazio non è<br />

«piatto», ma «curvo», e il modo preciso in cui esso è incurvato è legato alla distribuzione<br />

di materia secondo le equazioni einsteiniane del campo. Queste equazioni<br />

possono esse re usate per determinare la struttura dell’universo nel suo insieme: esse<br />

sono il punto di partenza <strong>della</strong> cosmo logia moderna. […]. L’universo si espande [in<br />

questo] modo: qualunque sia la galassia nella quale un osservatore si trovi, tutte le<br />

altre galassie si allontaneranno da lui. Viene spontaneo porsi la seguente domanda a<br />

propo sito dell’universo in espansione: in quale modo ha avuto inizio tutto ciò? Dalla<br />

relazione tra la distanza di una galassia e la sua velocità di recessione – nota come<br />

legge di Hubble – si può calcolare il momento iniziale dell’e spansione, o, in altre<br />

parole, l’età dell’universo. Suppo nendo che non vi sia stata alcuna variazione nella<br />

veloci tà di espansione, il che non è affatto certo, si ottiene un’età dell’ordine di dieci<br />

miliardi di anni. Questa, quindi, è l’età dell’universo. Oggi, la maggior parte <strong>degli</strong><br />

studiosi di cosmologia crede che l’universo sia venuto in essere in un drammatico<br />

evento all’incirca dieci miliardi di anni fa, quando l’intera sua massa scaturì dall’esplo-<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

16<br />

sione di una piccola sfera di fuoco pri mordiale. L’attuale espansione dell’universo è<br />

vista come la spinta residua di questa esplosione iniziale. Secondo tale modello del<br />

«big-bang» (grande esplo sione), l’istante in cui avvenne questa gigantesca esplo sione<br />

segnò l’inizio dell’universo e l’inizio dello spazio e del tempo. Se vogliamo sapere<br />

cosa c’era prima di quel momento, incontriamo nuovamente serie di difficoltà di<br />

pensiero e di linguaggio. Come dice Sir Bernard Lovell: «Qui raggiungiamo la grande<br />

barriera del pensiero, perché cominciamo a lottare con i concetti di spazio e tempo<br />

prima che essi esistessero così come noi li conosciamo in base alla nostra esperienza<br />

quotidiana. Mi sento come se fossi improvvisamente entrato in un grande<br />

banco di nebbia nel quale il mondo familiare è scomparso».<br />

Per quanto riguarda il futuro dell’universo in espan sione, le equazioni di Einstein non<br />

forniscono una rispo sta univoca, ma sono compatibili con parecchie soluzio ni che<br />

corrispondono a differenti modelli dell’universo.<br />

Alcuni modelli prevedono che l’espansione continuerà per sempre; secondo altri,<br />

l’espansione sta rallentando e alla fine diventerà una contrazione. Questi modelli descrivono<br />

un universo oscillante, che si espande per mi liardi di anni, poi si contrae fino<br />

a quando la sua massa totale è concentrata in una piccola sfera di materia, quindi si<br />

espande nuovamente e così via, in un processo senza fine.<br />

Questa idea di un universo che periodicamente si espande e si contrae, nella quale<br />

compare una scala di tempo e spazio di proporzioni enormi, è comparsa non solo<br />

nella cosmologia moderna, ma era già presente nell’antica mitologia indiana. Gli Indù,<br />

che percepiva no l’universo come un cosmo organico e in movimento ritmico, furono<br />

in grado di elaborare cosmologie evolu tive che si avvicinano molto ai nostri modelli<br />

scientifici moderni. Una di queste cosmologie è basata sul mito indù di lila – il gioco<br />

divino – nella quale Brahman si trasforma nel mondo. Lila è un gioco ritmico che<br />

conti nua in cicli senza fine, durante i quali l’Uno diviene i molti e i molti ritornano<br />

nell’Uno. Nella Bhagavad Gita, il dio Krsna descrive il gioco ritmico di creazione<br />

con le seguenti parole: «Tutti gli esseri... alla fine di un kalpa [o ciclo cosmi co] tornano<br />

alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo io li emetto.<br />

«Avvalendomi di quella realtà che è la mia propria, sempre di nuovo emetto tutta<br />

questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento che giace sotto il<br />

dispotismo <strong>della</strong> prakrti [o natura].<br />

«E tali atti non mi vincolano neppure, o possessore <strong>della</strong> ricchezza, poiché io sto a<br />

sedere come colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da attacca mento<br />

in questi atti.<br />

«Avendo me come guida, la natura dà origine all’in sieme delle cose mobili e delle<br />

immobili; con questo mezzo [per questa via]... il mondo si volge e di nuovo si volge».<br />

I saggi indù non ebbero timore di identificare questo ritmico gioco divino con l’evoluzione<br />

del cosmo nel suo insieme. Essi ritenevano che l’universo si espandesse e si<br />

contraesse periodicamente e diedero il nome di kalpa all’inimmaginabile intervallo<br />

di tempo che va dall’inizio alla fine di una creazione. La grandiosità di questo antico<br />

mito è in realtà impressionante: alla mente uma na sono occorsi <strong>più</strong> di duemila anni<br />

per arrivare di nuovo a un concetto simile.<br />

(Fritjof Capra, Il Tao <strong>della</strong> fisica, Adelphi, Milano 1982)<br />

[Fritjof Capra (1939). Fisico austriaco, studia le implicazioni filosofiche <strong>della</strong> scienza moderna mettendo in<br />

luce l’armonia tra la saggezza orientale e le concezioni <strong>più</strong> recenti <strong>della</strong> scienza occidentale, i temi ecologici<br />

dello sviluppo sostenibile e <strong>della</strong> complessità.]


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

❱❱ 11. La nascita del mercato mondiale<br />

A partire dal XVI secolo, si formò nell’area atlantica un grande cir cuito commerciale,<br />

noto come «commercio triangolare», imper niato sulla tratta <strong>degli</strong> schiavi africani.<br />

Il circuito comprendeva tre di stinti tratti, collegati l’uno all’al tro: tessili e altri manufatti<br />

(in ge nere di bassa qualità) venivano in viati dall’Europa all’Africa per es sere<br />

scambiati con schiavi; gli schiavi venivano inviati dall’Afri ca alle Americhe, dove<br />

erano ven duti per acquistare prodotti agricoli e metalli; tali prodotti, frutto del lavoro<br />

<strong>degli</strong> schiavi nelle pian tagioni e nelle miniere, venivano inviati dalle Americhe in<br />

Europa per essere venduti sui mercati na zionali.<br />

Chi gestiva quest’ultimo tratto del commercio triangolare realiz zava i profitti maggiori.<br />

Con lo sviluppo del circuito si formarono, però, compagnie mercantili che, a<br />

differenza dei singoli mercanti e delle compagnie minori, erano in grado di gestire<br />

tutti e tre i tratti del commercio triangolare.<br />

In Inghilterra, le cui sole impor tazioni di zucchero dalle Indie oc cidentali si quintuplicarono<br />

tra il 1720 e la fine del secolo, la famiglia Cunliffes di Liverpool allestì nel<br />

1753 quattro navi, che effettuava no due o tre viaggi all’anno lungo lo stesso circuito.<br />

Raggiunta l’A frica occidentale, le merci che era no a bordo venivano scambiate con<br />

schiavi. Quindi gli schiavi, in media 1210 per viaggio, erano tra sportati e venduti<br />

nelle Indie occi dentali e in Nord America. Infine, le navi rientravano a Liverpool cariche<br />

di zucchero e altri prodotti, acquistati col ricavato <strong>della</strong> vendi ta <strong>degli</strong> schiavi.<br />

Grazie al commer cio triangolare, il traffico registra to nel porto di Liverpool passò da<br />

circa 18mila tonnellate nel 1719 ad oltre 260mila nel 1792.<br />

Mercanti come i Cunliffes realiz zavano in tal modo profitti anche del 300%, che<br />

permettevano loro di accumulare colossali fortune. L’espressione «ricco come un<br />

West Indian» diventò di uso corrente per indicare chi si era arricchito con il commercio<br />

delle Indie occi dentali. I <strong>più</strong> facoltosi – come Samuel Fludyer, la cui fortuna<br />

venne valutata nel 1767 in circa 900mila sterline, e William Beckford, dive nuto nel<br />

1770 sindaco di Londra non lesinavano mezzi per acqui stare un seggio in parlamento.<br />

A causa delle forti rivalità da parte <strong>degli</strong> aristocratici, solo pochi (ap pena dodici<br />

nel 1761) riuscirono ad arrivarvi, ma essi rappresenta vano il gruppo politico che concentrava<br />

nelle proprie mani una crescente ricchezza, soprattutto sotto forma di denaro<br />

liquido.<br />

Il commercio triangolare creava così, in Inghilterra e in altri paesi europei, le condizioni<br />

di una profonda trasformazione economica, sociale e politica: la borghesia<br />

mercantile e bancaria (le cui radici affondavano nel Medioevo), avva lendosi <strong>della</strong><br />

crescente forza eco nomica che andava acquisendo con lo sviluppo del capitalismo<br />

mercantile, dava la scalata al pote re politico, in cui predominava l’a ristocrazia.<br />

Sempre a partire dal XVI secolo, il collegamento dell’area commercia le atlantica con<br />

quella asiatica, tra mite l’Europa, determinava la for mazione di una rete mercantile<br />

che copriva tutti i continenti e, quindi, la nascita di un mercato mondiale.<br />

La novità di tale mercato consi steva non tanto nella sua estensio ne: il commercio<br />

intercontinentale era stato praticato, pur in misura minore, sin dall’antichità. Essa<br />

con sisteva soprattutto nel fatto che, al la sua base, c’era lo sfruttamento coloniale<br />

delle risorse umane e ma teriali, esercitato dalle potenze eu ropee in America, Africa<br />

e Asia, praticamente su scala planetaria.<br />

Ciò rendeva possibile in Europa un nuovo tipo di accumulazione, sia da parte <strong>della</strong><br />

nobiltà che dete neva il potere politico, sia da parte <strong>della</strong> borghesia in fase di ascesa:<br />

la loro ricchezza, infatti, non pro veniva <strong>più</strong> solo dalla fonte tradi zionale – il lavoro<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

18<br />

dei contadini e <strong>degli</strong> artigiani – ma, in misura crescente, dallo sfruttamento delle<br />

colonie d’oltremare e dal controllo delle principali rotte commerciali.<br />

Furono l’oro e l’argento delle Ame riche a determinare in Europa la pri ma grande<br />

trasformazione economi ca: essi si convertirono in domanda di beni di consumo e<br />

strumentali (tessili, derrate alimentari, armi, na vi) che stimolarono la produzione industriale.<br />

Lo sviluppo del commercio trian golare e la conseguente formazio ne di un mercato<br />

mondiale provocarono un radicale mutamento nella geografia economica euro pea: il<br />

baricentro si spostò dal Me diterraneo al Mare del Nord. Nel XV secolo, la regione<br />

mediterra nea era stata la <strong>più</strong> florida del mondo (con l’Italia centro-setten trionale come<br />

cardine) e nel XVI secolo aveva accresciuto la sua prosperità con le ricchezze affluite<br />

in Spagna e Portogallo dalle Ame riche. Nel XVII secolo, invece, essa fu emarginata<br />

dallo sviluppo <strong>della</strong> regione del Mare del Nord, dovuto al prevalere <strong>della</strong> potenza<br />

econo mica olandese e, successivamente, di quella inglese che le aveva strappato<br />

la supremazia.<br />

Allo stesso tempo, lo sviluppo del commercio triangolare e la for mazione del mercato<br />

mondiale crearono in Europa le condizioni per un ulteriore cambiamento: la trasformazione<br />

capitalistica del sistema produttivo attraverso l’indu strializzazione,<br />

successivamente denominata «rivoluzione industriale», che iniziò in Inghilterra attorno<br />

alla metà del XVIII secolo. Fu lo sfruttamento coloniale delle ri sorse umane e<br />

materiali dell’Ame rica, Africa e Asia, nel quadro del commercio triangolare e del<br />

na scente mercato mondiale, a creare la base economica (capitali, produ zioni, mercati)<br />

che, unitamente ad altri fattori (anzitutto le continue innovazioni tecnologiche sin<br />

dal Medioevo), determinò in Europa il passaggio dal capitalismo mercantile al capitalismo<br />

indu striale e il conseguente sviluppo del processo di industrializzazione. Le<br />

nuove colture (mais, patate, pomodori), portate in Europa dall’America meridionale,<br />

e l’introdu zione di nuove tecniche nella colti vazione e nell’allevamento fecero aumentare<br />

la produzione agricola, migliorando il regime alimentare e incrementando<br />

così la crescita de mografica. Nelle campagne ingle si venne a crearsi in tal modo, per<br />

effetto dell’accresciuta produttivi tà e dell’aumento <strong>della</strong> popolazio ne, un esubero di<br />

forza lavoro. Al lo stesso tempo, soprattutto dopo il 1760, molti villaggi furono pri vati<br />

delle terre comuni, a causa delle leggi sulle recinzioni appro vate dal parlamento.<br />

Crebbe di conseguenza la manodopera a buon mercato che cercava sbocco nelle<br />

miniere e nelle manifatture. Contemporaneamente, i lucrosi traffici del commercio<br />

triangolare e l’aumento di produttività nelle campagne generarono una forte accumulazione<br />

di capitale che venne investito in misura crescen te nella produzione mineraria<br />

e manifatturiera.<br />

Puntando sul carbon fossile e sul ferro, l’Inghilterra imboccò la via <strong>della</strong> rivoluzione<br />

industriale.<br />

Ad avviare tale processo fu lo sviluppo, a livello industriale, del la manifattura cotoniera.<br />

Intro dotta nel XVII secolo in Inghilterra, dove già era diffusa quella la niera col<br />

sistema <strong>della</strong> produzione a domicilio, essa ebbe forte impul so quando, nel 1701 e nel<br />

1720, vennero varate alcune leggi che proibivano l’importazione dall’In dia di un<br />

tessuto in cotone stampa to, detto calice.<br />

Nella fase iniziale, l’industria co toniera inglese si avvalse dei pro cedimenti manuali<br />

usati nella manifattura <strong>della</strong> lana e in quella del la seta, la quale, pur limitata dall’alto<br />

costo e dalla concorrenza continentale, si basava già su fab briche e macchine a energia<br />

idrau lica derivate da quelle italiane. Per questo i cotonifici furono costruiti per lo


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

<strong>più</strong> in vicinanza di corsi d’ac qua nelle zone rurali. L’industria cotoniera, la cui forza<br />

lavoro era costituita per la maggior parte da donne e bambini, si sviluppò rapi damente<br />

con il crescere <strong>della</strong> do manda di manufatti di cotone. Ciò stimolò le innovazioni<br />

tecnologi che, come la navetta volante inven tata nel 1733, il filatoio idraulico brevettato<br />

nel 1769 e quello a vapo re introdotto attorno al 1790. Si de terminò a questo<br />

punto il passag gio dallo stadio artigianale a quel lo industriale, che portò alla nasci ta<br />

di grandi fabbriche in città dove il carbon fossile era a buon merca to e la manodopera<br />

abbondante.<br />

Il cotone grezzo da lavorare fu importato in misura crescente (da 500 tonnellate annue<br />

agli inizi del Settecento a 2.500 nel 1770, a 25.000 alla fine del secolo) prima dall’India,<br />

quindi, attraverso il commercio triangolare, principal mente dalle colonie britanniche<br />

nei Caraibi e in Nord America, an che dopo che queste ultime si rese ro indipendenti.<br />

Fu lo stesso cir cuito a fornire all’industria coto niera inglese gli sbocchi di merca to<br />

soprattutto quando, saturata la domanda interna, essa entrò in cri si di stagnazione. I<br />

tessuti a scac chi di basso costo, fabbricati per la maggior parte con la materia pri ma<br />

prodotta nelle Americhe dagli schiavi africani, vennero espor tati per l’80% in Africa<br />

occidenta le, dove erano scambiati con schia vi, e per il 20% nelle Americhe, do ve servivano<br />

a vestire la crescente popolazione di schiavi africani al lavoro nelle piantagioni.<br />

(Manlio Dinucci, Il sistema globale, Zanichelli, Bologna 2004)<br />

[Manlio Dinucci è il maggior studioso italiano di geopolitica: giornalista e autore di testi in cui affronta i<br />

problemi <strong>della</strong> globalizzazione e del sistema economico che si è creato a seguito di questi processo.]<br />

❱❱ 12. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino<br />

Dal dualismo cartesiano all’idea di diritto naturale e <strong>più</strong> tardi all’ope ra di Kant, i<br />

secoli XVII e XVIII, malgrado la forza crescente del natu ralismo e dell’empirismo<br />

che preannunziano lo scientismo e il positivismo dell’Ottocento, restano fortemente<br />

segnati, sul piano intellet tuale, dalla secolarizzazione del pensiero cristiano, dalla<br />

trasformazio ne del soggetto divino in un soggetto umano, il quale è sempre meno<br />

assorbito nella contemplazione di un essere vie<strong>più</strong> nascosto, e diviene un attore, un<br />

lavoratore e una coscienza morale.<br />

Questo periodo si conclude con un grande testo: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo<br />

e del cittadino, votata dall’Assemblea nazionale il 26 agosto 1789. La sua influenza<br />

ha superato quella delle dichiarazio ni americane e il suo senso è ben diverso da<br />

quello del Bill of Rights inglese del 1689. Questo testo è grande, non solo perché<br />

proclama al cuni principi in contraddizione con quelli <strong>della</strong> monarchia assoluta (principi<br />

che, in questo senso, sono rivoluzionari), ma anche perché segna la conclusione<br />

di due secoli di polemiche e dà all’idea dei diritti del l’uomo un’espressione universale<br />

che contraddice l’idea rivoluziona ria. La dichiarazione francese dei diritti si situa<br />

alla congiunzione tra un periodo che fu dominato dal pensiero inglese e il periodo<br />

delle ri voluzioni che sarà dominato dal modello politico francese e dal pen siero tedesco.<br />

È l’ultimo testo che proclama sulla scena pubblica la du plice natura <strong>della</strong><br />

modernità, fatta al contempo di razionalizzazione e di soggettivazione, prima che per<br />

un lungo secolo trionfino lo stori cismo e il suo monismo.<br />

Questo testo è stato identificato così strettamente con i principi <strong>della</strong> democrazia e<br />

con il rovesciamento dell’Ancien Régime, in Francia e in molti altri paesi, che gli si<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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attribuisce, leggendolo con il rispetto che merita, un’unità che rende difficile la sua<br />

comprensione. Così come la volontà di Clemenceau, nel 1889, di difendere l’eredità<br />

<strong>della</strong> rivo luzione tutta intera, in blocco, rendeva difficile, o addirittura impos sibile,<br />

l’analisi dei dieci anni che, partendo dalla proclamazione <strong>della</strong> sovranità popolare, si<br />

conclusero con un colpo di stato militare. Si im pone, al contrario, l’intreccio di due<br />

temi contrapposti, quello dei di ritti individuali e quello <strong>della</strong> volontà generale, che si<br />

è soliti associare al nome di Locke il primo, di Rousseau il secondo, e con tanta forza<br />

che il problema centrale diventa quello di sapere cosa li unisca, cosa conferisca<br />

unità e coerenza a questa dichiarazione. Abbiamo citato qui questo testo storico perché<br />

esso appartiene <strong>più</strong> al pensiero individuali stico che al pensiero olista, per riprendere<br />

la contrapposizione formu lata da Louis Dumont, giacché esso è segnato <strong>più</strong><br />

dall’influenza <strong>degli</strong> inglesi e <strong>degli</strong> americani che da quella dei patrioti francesi –<br />

rappor to di forze e di influenza che presto sarà rovesciato e farà trionfare una rivoluzione<br />

sempre <strong>più</strong> estranea e ostile all’individualismo dei di ritti dell’uomo. In tal<br />

senso questa dichiarazione segna la fine del pe riodo prerivoluzionario, mentre invece<br />

la dichiarazione del 1793 si situerà già pienamente entro la logica rivoluzionaria. La<br />

preminenza del tema dei diritti individuali è chiaramente dimostrata dal preambolo<br />

che pone i «diritti naturali inalienabili e sacri dell’uomo» a monte del sistema politico<br />

i cui «atti» in ogni istante potrebbero essere confron tati al fine di ogni istituzione<br />

politica, e dunque non possono essere valutati in riferimento all’integrazione <strong>della</strong><br />

società, al bene comune o a ciò che oggi chiameremmo interesse nazionale. L’articolo<br />

II enu mera i principali diritti: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza al l’oppressione.<br />

Il diritto di proprietà è precisato nell’articolo XVII, al quale si sono arrestati i lavori<br />

dell’assemblea. L’articolo IV appartiene alla stessa logica individualistica. Ma, dinanzi<br />

all’uomo, si costruisce la figura del cittadino sin dal primo articolo, che afferma:<br />

«Le distin zioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune», e soprat tutto<br />

negli articoli III e VI, che pongono in primo piano le idee di na zione e di volontà<br />

generale. Queste due concezioni sono reciprocamente contrapposte, come osserva<br />

Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto: «Se si confonde lo Stato con la società<br />

civile e se lo si destina alla sicurezza e alla protezione <strong>della</strong> proprietà e <strong>della</strong> sicurezza<br />

personale, l’interesse <strong>degli</strong> individui in quanto tali è lo scopo supremo in vista del<br />

quale essi sono riuniti e ne risulta che essere membri di uno Stato è facoltativo. Ma<br />

il suo rapporto con l’individuo è ben altro se esso è lo spirito oggettivo; allora l’individuo<br />

stesso non ha oggettività, verità e moralità se non in quanto ne è un membro.<br />

L’associazione in quanto tale è essa stessa il vero contenuto e il vero scopo, e la destinazione<br />

<strong>degli</strong> individui consiste nel condurre una vita collettiva» [citato da Marcel<br />

Gauchet nel Dictionnai re critique de la Révolution française].<br />

La contrapposizione tra queste concezioni non si basa sull’antitesi tra un olismo<br />

tradizionale e un individualismo moderno; essa mette a confronto i due aspetti <strong>della</strong><br />

modernità. Da un lato, all’assolutismo <strong>della</strong> legge divina si sostituisce il principio<br />

dell’utilità sociale, l’uomo deve essere considerato un cittadino ed è tanto <strong>più</strong> virtuoso<br />

quanto <strong>più</strong> sacrifica i propri interessi egoistici alla salvezza e alla vittoria <strong>della</strong><br />

nazione; d’altro canto, gli individui e le categorie sociali difendono i propri interessi<br />

e i propri valori di fronte a un governo i cui appelli all’unità ostacolano le iniziative<br />

individuali e dunque la sua stessa <strong>rappresentativi</strong>tà.<br />

Questa contrapposizione non può essere superata con una migliore comprensione di<br />

cosa sia la nazione, che è non già lo Stato ma il po polo, e dunque la volontà generale,<br />

giacché questo riferimento appar tiene a una delle due concezioni che si tenta di


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

combinare, e l’espe rienza storica vieta assolutamente di identificare al bene comune<br />

e ai diritti dell’uomo l’unanimismo delle folle. La risposta fornita dalla di chiarazione<br />

del 1789 è diversa e <strong>più</strong> elaborata: ciò che concilia l’inte resse individuale e il bene<br />

comune è la legge, formula quasi ovvia alla fine di un secolo in cui il pensiero sociale<br />

si confonde con la filosofia del diritto oppure è dominato da essa. La legge è concepita<br />

come espres sione <strong>della</strong> volontà generale e come strumento dell’eguaglianza,<br />

ma ha anche il compito di difendere indirettamente le libertà individuali de finendo i<br />

«limiti» che rendono la libertà di ciascuno compatibile con il rispetto dei diritti altrui.<br />

Il che propone in poche parole una teoria <strong>della</strong> democrazia (parola che non compare<br />

nel testo). Questo regime non è forse quello che combina la pluralità <strong>degli</strong> interessi<br />

con l’unità <strong>della</strong> società, la libertà con la cittadinanza, grazie alla legge che non ha<br />

principi propri diversi da questa funzione di mediare e di combina re, in generale limitata<br />

e fragile, ma sempre indispensabile? Concezio ne <strong>della</strong> legge meno ambiziosa<br />

e soprattutto meno <strong>autori</strong>taria di quel la dei giuristi che hanno edificato lo Stato di<br />

diritto, spesso entro la cornice <strong>della</strong> monarchia assoluta, e che hanno fatto <strong>della</strong> legge<br />

lo stru mento <strong>della</strong> sottomissione dell’individuo a un bene comune ridefinito in<br />

termini di utilità collettiva. Qui, al contrario, la legge è subordinata ai diritti naturali<br />

dell’uomo; è incaricata dunque di combinare l’inte resse di ciascuno con l’interesse<br />

<strong>della</strong> società, il che fa uscire dall’uto pia alla Rousseau, giacché l’individuo può essere<br />

egoista o disonesto e la parola «società» può celare gli interessi particolari dei<br />

governi, <strong>della</strong> tecnocrazia o dei burocrati.<br />

La maggioranza <strong>degli</strong> articoli <strong>della</strong> dichiarazione, a partire dagli ar ticoli V e VI,<br />

precisano le condizioni di applicazione <strong>della</strong> legge, e in particolare il funzionamento<br />

<strong>della</strong> giustizia. Il che consente di ram mentare la priorità dei diritti dell’uomo, specialmente<br />

nell’articolo IX che introduce l’habeas corpus, e nell’articolo X con la sua<br />

strana for mulazione: «Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose»,<br />

che dà alla laicità la sua forma <strong>più</strong> lontana dallo spirito an tireligioso dei<br />

razionalisti dell’Ottocento, quella del rispetto delle li bertà fondamentali, e dunque<br />

<strong>della</strong> diversità culturale e politica in cui si incarnano i diritti dell’uomo. La dichiarazione<br />

si conclude non con l’articolo XVII, dedicato alla proprietà e già citato, ma in<br />

realtà con l’articolo XVI, dedicato a Montesquieu e la cui stessa formulazione – «Ogni<br />

società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri<br />

non è determinata non ha costituzione» – de cide risolutamente a favore dei diritti<br />

individuali contro l’integrazio ne politica, a favore <strong>della</strong> libertà contro l’ordine.<br />

Le rivoluzioni che eliminano la monarchia assoluta dall’Inghilterra e dalle ex colonie<br />

inglesi divenute Stati Uniti d’America, e dalla Francia, dunque sono state definite<br />

dalla sovrapposizione del pensiero dei lumi e del dualismo cristiano e cartesiano.<br />

L’individualismo borghese, che sopravviverà a lungo in questo periodo, ha combinato<br />

la coscien za del soggette personale con il trionfo <strong>della</strong> ragione strumentale, il<br />

pensiero morale con l’empirismo scientifico e con la creazione <strong>della</strong> scienza economica,<br />

in particolare in Adam Smith.<br />

La storia dei due secoli successivi consisterà nella vicenda <strong>della</strong> se parazione di questi<br />

due principi, così strettamente associati nel pen siero di Locke: la difesa dei diritti<br />

dell’uomo e la razionalità strumen tale. Più questa costruirà un mondo di tecniche e<br />

di potenza, e <strong>più</strong> il richiamo ai diritti dell’uomo si dissocerà, anzitutto nel movimento<br />

operaio, poi in altri movimenti sociali, dalla fiducia nella ragione stru mentale.<br />

L’umanità, trascinata dal progresso, si domanderà se non stia perdendo l’anima, se<br />

non la stia vendendo al diavolo in cambio del dominio sulla natura. Non è ancora così<br />

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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

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durante il Settecento, tanto resta predominante la lotta contro le tradizioni e i privilegi<br />

dell’An cien Régime, prima che gli sconvolgimenti introdotti dalla Rivoluzio ne<br />

francese, dall’Impero napoleonico e dalla rivoluzione industriale giun ta dalla Gran<br />

Bretagna suscitino la crisi romantica che porrà fine alla proclamata identità tra l’esperienza<br />

interiore e la ragione strumentale. Ecco perché la dichiarazione dei diritti è<br />

borghese e giusnaturalista al tempo stesso; il suo individualismo è contemporaneamente<br />

affer mazione del capitalismo trionfante e resistenza <strong>della</strong> coscienza morale al<br />

potere del principe. Creazione suprema <strong>della</strong> filosofia politica mo derna, la dichiarazione<br />

dei diritti reca già in sé le contraddizioni che stanno per lacerare la società industriale.<br />

Il trionfo <strong>della</strong> libertà in Francia, come, qualche anno prima, negli Stati Uniti d’America<br />

affrancati dalla dipendenza coloniale, pone termine a un periodo di tre secoli, che<br />

costituisce ciò che gli storici hanno chia mato «l’età moderna».<br />

(Alain Touraine, Critica <strong>della</strong> modernità, Il Saggiatore, Milano 1992)<br />

[Alain Touraine (1925). Sociologo francese si interessa ai problemi del lavoro e <strong>della</strong> produzione industriale<br />

e dell’analisi politica dei movimenti sociali.]<br />

❱❱ 13. il divenire <strong>della</strong> città<br />

È convinzione diffusa che la città stia subendo da qualche tempo un cambiamento<br />

radicale.<br />

Si assiste, infatti, al superamento di alcuni modelli urbani tradizionali nel vecchio<br />

continente e alla formazione di nuove città nel Terzo mondo, allo smantellamento di<br />

grandi aree industriali nei Paesi <strong>più</strong> avanzati e all’implementazione di imponenti e<br />

grandiose strutture produttive nei Paesi in via di sviluppo (PVS), alla conservazione<br />

e riqualificazione di intere zone del tessuto cittadino <strong>della</strong> nuova Europa e al decollo<br />

di avveniristici centri direzionali in alcune aree geografiche dell’Asia e del continente<br />

africano.<br />

La formazione di città mondiali come Tokyo, New York, Los Angeles, Londra, Parigi,<br />

e la progressiva emigrazione dalla campagna verso le grandi città milionarie del<br />

Sud del mondo come Città del Messico, il Cairo, Seul, Bombay, costituiscono due<br />

dei principali fenomeni che caratterizzano la civiltà urbana contemporanea.<br />

Il modello urbano tradizionale del nucleo chiuso ha sempre rigidamente contrapposto<br />

la città alla campagna, fissando nella memoria collettiva l’immagine <strong>della</strong> città moderna<br />

con alta densità demografica, l’abitato continuo, concentrazione di potere,<br />

ricchezza e divertimenti. Insomma un’isola cittadina che emerge dal piatto e uniforme<br />

paesaggio rurale.<br />

Oggi si assiste, invece, a una inversione di tendenza per la quale l’isolamento urbano<br />

si è rotto e la nuova forma urbana occupa sempre <strong>più</strong> spazio, oltrepassa i suoi tradizionali<br />

confini e dilaga nella campagna, mescolando ormai aspetti rurali ad altri tipicamente<br />

urbani e suburbani.<br />

In questi ultimi decenni, la contrapposizione città-campagna si è notevolmente attenuata<br />

grazie a nuove forme e pratiche insediative extraurbane sostenute da una fitta<br />

rete di comunicazione e dai sempre <strong>più</strong> veloci mezzi di trasporto pubblico e privato,<br />

e dalla rivoluzione informatica, tutti elementi che hanno reso possibile il definitivo<br />

decentramento di molte attività industriali e di servizi. Quindi, quello <strong>della</strong> città po-


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

stindustriale è un territorio esploso, caratterizzato da nuovi insediamenti, ma soprattutto<br />

da autostrade telematiche che, creando una rete di istantanea adiacenza artificiale,<br />

rompono l’isolamento urbano: la città, in senso fisico e in senso virtuale, occupa<br />

sempre <strong>più</strong> spazio. […]<br />

Con la mondializzazione delle economie e delle culture, il nostro mondo tende sempre<br />

di <strong>più</strong> ad assumere le caratteristiche di un unico grande «villaggio globale» dove<br />

soggetti fra loro diversi e lontani fino a qualche decennio fa sono portati adesso a<br />

confrontarsi e a conoscersi direttamente. Infatti, bisogna ancora una volta sottolineare<br />

che il mondo sta attraversando due processi che sembrano fra loro contraddittori<br />

ma che, in realtà, lo sono solo apparentemente. Essi consistono, da una parte, nella<br />

globalizzazione delle economie – che tende a trasformare il nostro pianeta in una<br />

sorta di mercato unico – e, dall’altra, nel riemergere delle società locali, che, riaffermando<br />

il loro esserci ripropongono diverse identità, risorse e valori culturali di appartenenza<br />

[…]<br />

Nei paesi in via di sviluppo l’esplosione urbana ha provocato una forte speculazione<br />

fondiaria, e il tessuto urbano risulta diviso in frammenti che, tra loro, presentano<br />

grandissimi contrasti. I poveri, che rappresentano una parte molto consistente <strong>della</strong><br />

popolazione <strong>della</strong> città dei Paesi del Terzo mondo, non riescono a trovare alloggio e<br />

sono costretti a installarsi in vecchi edifici in rovina situati nei quartieri del centro,<br />

spesso sprovvisti dei servizi primari. Questi occupanti abusivi, che si insediano illegalmente<br />

in luoghi squallidi ai margini <strong>della</strong> città, danno origine nei vari Paesi del<br />

Terzo mondo alle favelas, alle bidonvilles, agli squatters, ai barrios, ai cosiddetti<br />

unauthorized settlements. Raramente si tratta di invasioni spontanee: in genere sono<br />

pianificate da dirigenti o da associazioni di abitanti che prendono subito il controllo<br />

amministrativo del quartiere; sorgono così nelle periferie forme precarie di lottizzazione<br />

a opera dei proprietari dei terreni, che tracciano strade e delimitano piccoli<br />

lotti privi di infrastrutture e servizi.<br />

Di conseguenza «rapidità di crescita e scarsità di risorse fanno sì che struttura e funzionamento<br />

<strong>della</strong> città del Terzo mondo siano completamente diversi da quella occidentale.<br />

Viceversa, Manila, Lagos o Caracas presentano molti tratti in comune, a tal<br />

punto che, se non riducibili a un unico modello, esse possono essere ricondotte a una<br />

medesima tipologia.<br />

Nella maggior parte dei Paesi del Terzo mondo, il processo di occupazione del suolo<br />

risulta illegale, ma negli ultimi anni questo fenomeno viene ampiamente tollerato<br />

dalle istituzioni. Infatti, di fronte al fenomeno <strong>della</strong> forte urbanizzazione e alla mancanza<br />

di politiche abitative popolari, i poteri pubblici sono passati spesso dalla repressione<br />

alla regolamentazione dell’occupazione del suolo, e si incaricano oramai<br />

di realizzare le principali infrastrutture e fornire alla comunità i servizi minimi. A<br />

questi quartieri illegali e molto poveri, si contrappongono in modo stridente quelli<br />

delle classi medie e ricche, che occupano spazi <strong>più</strong> ampi e gradevoli, caratterizzati<br />

da una bassa densità abitativa, risultato, anche, del crescente uso dei mezzi di trasporto<br />

privati, che ha comportato l’allargamento smisurato delle zone residenziali nei siti<br />

di maggior pregio. Inoltre, in alcune delle zone <strong>più</strong> agiate, a ridosso del centro, si<br />

trovano selve di grattacieli lussuosi occupati da grandi società multinazionali. E,<br />

infine, per dare un quadro <strong>più</strong> completo <strong>della</strong> frammentarietà <strong>della</strong> città terzomondiale,<br />

dobbiamo ricordare le cosiddette aree industriali, che, in maniera disordinata e<br />

disomogenea, si insediano nel territorio urbano con una moltitudine di aziende familiari<br />

e piccole fabbriche con poche probabilità di espansione.<br />

23


il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />

24<br />

È ormai convinzione consolidata che, nel terzo millennio, la città industriale dalla<br />

struttura monocentrica si stia trasformando in un modello urbanistico polinucleare,<br />

composto da tanti grandi, medi e piccoli insediamenti abitativi, produttivi e funzionali,<br />

sparsi su un territorio sempre <strong>più</strong> vasto e di difficile demarcazione. La contrapposizione<br />

città-campagna si è attenuata grazie a nuove forme insediative extraurbane<br />

sostenute dai sempre <strong>più</strong> veloci mezzi di trasporto pubblico e privato, dalla rivoluzione<br />

informatica, dall’accessibilità e interdipendenza dei servizi, che hanno reso<br />

possibile il definitivo decentramento di molte attività industriali e di servizi. Un territorio<br />

esploso, quello <strong>della</strong> città nuova, che con le sue autostrade informatiche e i<br />

nuovi insediamenti produttivi segna una profonda ridefinizione del paesaggio con<br />

l’urbanizzazione <strong>della</strong> campagna.<br />

Il dilagare dell’urbanesimo nel paesaggio rurale prefigura oramai il divenire <strong>della</strong><br />

città basato su modelli urbanistici che danno vita talvolta alle grandi megalopoli come<br />

quelle americane o giapponesi, o a modelli che seguono la composizione di estese<br />

conurbazioni urbane, o la formazione di un’articolata rete di aree metropolitane caratterizzata<br />

da quella particolarità, tutta europea, di un sistema urbano diffuso. […]<br />

Le tradizionali formazioni delle città, messe in discussione dal sistema-mondo, fanno<br />

emergere in particolare nuove entità urbane che assomiglieranno sempre <strong>più</strong> a grandi<br />

snodi stradali dove andranno a incrociarsi flussi di lavoratori, scambi commerciali,<br />

conoscenze tecnologiche, operazioni finanziarie, riallocazione di capitali. Ci troviamo<br />

così di fronte a un’identità urbana sovranazionale e all’emergere di una nuova<br />

proiezione spaziale/virtuale ed economica <strong>della</strong> città che da un contesto localista si<br />

inserisce in un network mondiale.<br />

È il caso di New York, Londra e Tokyo, che svolgono la funzione di centri finanziari<br />

e dei servizi per l’intera economia internazionale. Queste grandi città mostrano alcuni<br />

tratti comuni, indipendenti dalla cultura in cui si sono originariamente sviluppate:<br />

presentano una peculiare stratificazione sociale (fatta soprattutto di ceti professionali<br />

emergenti e di lavoratori del terziario avanzato relativamente poveri), hanno stili<br />

di vita propri (che attraggono ampi strati sociali di tutto il pianeta), fanno un uso<br />

massiccio delle nuove tecnologie di comunicazione, di cui sono al tempo stesso vetrina<br />

e luogo di sperimentazione. Sono città capitali, ma non di singoli Stati. Sono<br />

capitali di una rete invisibile che avvolge l’intero pianeta. E come enormi pilastri che<br />

reggono questa rete urbana transnazionale, Tokyo, New York, Londra possono essere<br />

considerate vere e proprie global cities che, con i loro edifici-mondo sedi delle<br />

grandi corporations internazionali, si sfidano a tutto campo in un’arena mondiale<br />

dominata ormai dalle comunicazioni virtuali.<br />

Ma la nuova gerarchia urbana che sta prendendo forma proprio in questi anni, è<br />

tutt’altro che assestata: è e rimarrà, per molti aspetti, una gerarchia mobile. Infatti,<br />

parallelamente allo sviluppo di questa ragnatela urbana mondiale, sostenuta dalle<br />

cosiddette global cities, troviamo altri sistemi urbani mobili come quello delle conurbazioni<br />

europee che, partecipando attivamente alla ridefinizione del territorio, mirano<br />

anch’esse a inserirsi in questa rete di città che controllano ormai l’economia<br />

globale.<br />

(Nicolò Leotta, Photometropolis, Le vespe, Milano 2000)<br />

[Nicolò Leotta (1954) ha fondato con Guido Martinetti il Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università<br />

<strong>degli</strong> Studi di Milano-Bicocca. Si occupa dei problemi <strong>della</strong> comunicazione all’interno <strong>della</strong> metropoli con<br />

particolare riferimento all’arte urbana.]


Storia del pensiero sociologico<br />

❱❱ 1. Come sorge la <strong>sociologia</strong>?<br />

Come sorge la <strong>sociologia</strong>? A questo interrogativo si possono dare tre risposte. In<br />

primo luogo, si può sostenere che la <strong>sociologia</strong> esiste da sempre e che già la si ritrova,<br />

per esempio, negli <strong>autori</strong> classici greci e latini, per non menzionare quelli<br />

orientali. In secondo luogo si può sostenere che la <strong>sociologia</strong> nasce con il padre<br />

ufficiale di essa, Auguste Comte, coniatore del termine e quindi formalmente “inventore”<br />

<strong>della</strong> disciplina. In terzo luogo, è possibile dimostrare che la <strong>sociologia</strong><br />

nasce storicamente con l’avvento <strong>della</strong> società industriale moderna e con il concetto<br />

di “società civile”. È vero infatti che si ritrovano negli <strong>autori</strong> classici riflessioni<br />

e analisi di fenomeni sociali e politici importanti, ma solo occasionalmente tali riflessioni<br />

si pre sentano collegate con dati empirici di prova e avvertono l’esigenza<br />

d’una verifica, o di una falsifica, in senso proprio. D’altro canto la concezione <strong>della</strong><br />

<strong>sociologia</strong> che la vede legata all’insegnamento di Auguste Comte implica che una<br />

scienza possa sorgere all’improvviso compiuta e perfetta, quasi scaturisse ex capite<br />

Jovis, ad opera dei suoi <strong>autori</strong>, per così dire, ufficiali. La teoria che lega il sorgere<br />

<strong>della</strong> so ciologia all’avvento <strong>della</strong> società moderna è a nostro giudizio la <strong>più</strong> fondata<br />

in quanto non si dà <strong>sociologia</strong> senza società, e senza società di un certo tipo. La<br />

<strong>sociologia</strong> è lo strumento di auto-ascolto ed eventualmente di auto-regolazione<br />

fondamentale per le società che hanno abbandonato le “grandi tradizioni”, già statiche<br />

ed essenzial mente contadine, e che hanno deciso di imboccare la strada <strong>della</strong><br />

modernizzazione, sostituendo, come supremo criterio di legittimità per le decisioni<br />

rilevanti, il calcolo regionale all’<strong>autori</strong>tà dell’“eterno ieri”, cioè ai valori <strong>della</strong> tradizione.<br />

Non a caso, quindi, nel Sette cento ha inizio lo studio sociologico <strong>della</strong> società e si<br />

possono rin venire i primi elementi per una definizione <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> come analisi<br />

empirica, concettualmente orientata, delle strutture istituzio nali e dei comportamenti<br />

collettivi socialmente rilevanti così come non a caso già nel Settecento la <strong>sociologia</strong><br />

si presenta divisa in tre correnti ben distinte e consapevoli:<br />

a) un indirizzo psicologico, che tende a identificare i sentimenti e le passioni che<br />

influiscono sui rapporti sociali e rappresentano le forme generatrici delle forze<br />

sociali e delle loro modificazioni;<br />

b) un indirizzo economicistico, che tende a porre in luce, assai prima di Marx, se pure<br />

meno sistematicamente, il peso <strong>degli</strong> interessi e il significato sociale <strong>della</strong> proprietà<br />

e <strong>della</strong> sua distribuzione; in base ad esso per la prima volta il fenomeno dell’ineguaglianza<br />

umana non è considerato né come un dato naturale né come voluto da<br />

Dio, ma viene semplicemente collegato con altri fenomeni sociali;<br />

c) un indirizzo ecologico e geo-ambientale, che mette in rilievo l’importanza del<br />

fattore geografico e climatico-ambientale, con ri guardo alla conformazione <strong>della</strong><br />

società e sottolinea il rapporto uomo-risorse naturali.<br />

25


Storia del pensiero sociologico<br />

26<br />

Se poi la <strong>sociologia</strong> del Settecento trova in Inghilterra il suo ter reno <strong>più</strong> fertile, ciò si<br />

deve al fatto che l’evoluzione <strong>della</strong> società inglese precede quella di qualsiasi altro<br />

paese europeo. […]<br />

La concezione <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> come ricerca empirica, concettual mente orientata,<br />

aperta agli apporti inter-disciplinari, tesa ad integrare schema teorico e dato empirico,<br />

fortemente consapevole <strong>della</strong> di mensione storica e nel contempo legata al procedimento<br />

scientifi che si esprime nella triplice sequenza “problemi – ipotesi – veri fica”,<br />

rappresenta lo sbocco di un lungo e vario processo evolutivo le cui origini possono<br />

ragionevolmente collocarsi verso la metà del Settecento. Non v’è dubbio che un<br />

elemento probabilmente ineli minabile e di arbitrarietà si annida in qualsiasi tentativo<br />

di periodizzazione, specialmente quando si tratti di una disciplina relativa mente giovane,<br />

certamente <strong>più</strong> sciolta e spregiudicata ma anche meno sicuramente protetta da<br />

un’antica e collaudata tradizione accademica. Tenendo tuttavia presenti fondamentali<br />

caratteristiche sia di ordine analitico-metodologico che contenutistico-sostanziale,<br />

è dato distinguere, nello sviluppo <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> dalle origini ai nostri giorni, quattro<br />

grandi fasi:<br />

a) fase sistematica (1750-1880);<br />

b) fase <strong>della</strong> ricerca sociale circoscritta e <strong>della</strong> specificità (1890-1929);<br />

c) fase neo-sistematica (1929-1955);<br />

d) fase <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> critica (1955-...).<br />

(Franco Ferrarotti, Sociologia, Accademia, Milano 1977)<br />

[Franco Ferrarotti (1926) si è interessato dei problemi del mondo del lavoro e <strong>della</strong> società industriale e<br />

postindustriale, dei temi del potere e <strong>della</strong> sua gestione, <strong>della</strong> tematica dei giovani, <strong>della</strong> marginalità urbana<br />

e sociale, delle credenze religiose, delle migrazioni. Una particolare attenzione è stata dedicata nelle sue<br />

ricerche alla città di Roma. Il sociologo italiano ha sempre privilegiato un approccio interdisciplinare e insistito<br />

sull’importanza di uno stretto nesso tra impostazione teorica e ricerca sul campo.]<br />

❱❱ 2. i classici<br />

La maggior parte delle idee dei sociologi classici non si prestano facilmente a una<br />

precisa verifica. Sono idee di carattere interpretativo, che ci orientano sui diversi modi<br />

di guardare alle realtà sociali; tentativi di esprimere la direzione storica generale,<br />

l’indirizzo fondamentale <strong>della</strong> società moderna, ossia, per dirla con Ruth Glass, «lo<br />

Stato e il fato» delle collettività contemporanee. Sono tentativi di spiegare ciò che sta<br />

accadendo nel mondo e di por mente a ciò che potrà accadere nel prossimo futuro.<br />

I sociologi classici non conoscono l’inibizione dei limiti di competenza che è propria<br />

delle discipline e delle specializzazioni accademiche: nel loro lavoro quelle che vengono<br />

ora chiamate scienze politiche, psicologia sociale, economia, antropologia e<br />

<strong>sociologia</strong> sono tutte ugualmente adoperate e integrate in modo da fornire una visione<br />

panoramica <strong>della</strong> struttura sociale in tutti i suoi vari campi, dalla meccanica storica<br />

in tutte le sue diramazioni, e dalle funzioni <strong>degli</strong> individui in una grande varietà<br />

di sfumature psicologiche.<br />

Ma l’importante è che, anche quando le loro conclusioni risultano erronee o inadeguate<br />

– come per esempio nell’idea di Spencer sullo svolgimento <strong>della</strong> società militare<br />

in società industriale –, i sociologi classici riescono ugualmente col loro lavoro


Storia del pensiero sociologico<br />

e col loro metodo di lavoro a dirci molte cose sulla natura <strong>della</strong> società e le loro idee<br />

assumono una diretta rilevanza ai fini del nostro lavoro attuale.<br />

Ma come può darsi, si domanderà, che questi uomini si sbagliavano tanto spesso, pur<br />

restando tuttavia così grandi? La risposta va trovata, credo, in un dato caratteristico<br />

del loro lavoro: le loro «grandi idee» consistono in quelli che potremmo chiamare dei<br />

«modelli», contrapposti alle teorie specifiche o alle ipotesi particolari. Questi moduli<br />

di lavoro indicano: 1) i fattori a cui si deve prestare attenzione per comprendere un<br />

qualche particolare aspetto <strong>della</strong> società o anche una società nel suo insieme e la<br />

gamma delle relazioni possibili fra tali fattori. L’interazione di questi ultimi non è<br />

tuttavia considerata su un piano di vaga casualità: a torto o a ragione, questi fattori<br />

vengono organizzati secondo una stretta interconnessione, ognuno con una sua propria<br />

incidenza casuale: le connessioni e il peso di incidenza che si attribuiscono ai singoli<br />

fattori costituiscono appunto le teorie specifiche.<br />

In altri termini, i sociologi classici costruiscono dei modelli di società e se ne servono<br />

per sviluppare un certo numero di teorie. Il fatto importante è che né la validità,<br />

né l’inesattezza di alcune di queste teo rie specifiche necessariamente conferma o<br />

infirma la utilità o la pertinenza dei modelli. Questi ultimi possono essere usati per la<br />

costruzione di molte teorie: possono essere usati per correggere gli errori di teorie<br />

alla cui elaborazione essi stessi sono serviti; e sono schemi facilmente ampliabili, in<br />

quanto possono essere modificati sì da riuscire <strong>più</strong> utili come strumenti analitici ed<br />

empiricamente <strong>più</strong> aderenti al corso dei fatti.<br />

Sono questi modelli ad essere grandi, non soltanto in quanto contributi alla storia<br />

<strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> riflessione sociale, ma anche perché influiscono sul pensiero<br />

sociologico successivo: essi rappresentano, a mio avviso, il dato vivo <strong>della</strong> tradizione<br />

classica <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> e credo pure che ad essi si debba il fatto che con tanta persistenza<br />

e in circostanze assolutamente diverse si siano avuti tanti «rilanci» dei pensatori<br />

qui presentati; questo è, in breve, il perché <strong>della</strong> «classicità» delle loro opere.<br />

❱❱ 3. una società è un organismo<br />

(C.Wright Mills, Immagini dell’uomo, Milano 1982)<br />

Quando diciamo che lo sviluppo è comune agli aggregati sociali e agli aggregati organici,<br />

non escludiamo però interamente ogni co munanza con gli aggregati inorganici:<br />

alcuni di questi, per esempio i cristalli, crescono in modo visibile; e tutti,<br />

nell’ipotesi dell’evoluzione, sono ritenuti sorti, in un certo tempo, per via d’integrazione.<br />

Tut tavia, in confronto alle cose che chiamiamo inanimate, i corpi viventi e le<br />

società presentano in modo così evidente l’aumento <strong>della</strong> massa, che esso si può<br />

considerare come caratteristico <strong>degli</strong> uni e delle altre. Molti organismi crescono durante<br />

tutta la vita; altri crescono durante una parte considerevole <strong>della</strong> loro vita. Lo<br />

sviluppo sociale suole continuare o fino al tempo, in cui le società si dividono, o fino<br />

al tempo, in cui sono schiacciate.<br />

E questo è il primo carattere, per il quale le società si connettono al mondo organico,<br />

e si distinguono sostanzialmente dal mondo inorganico.<br />

È pure un carattere dei corpi sociali, come pure dei corpi viventi, che, mentre crescono<br />

in dimensione, crescono anche in struttura. Un animale inferiore, o l’embrione<br />

d’un animale superiore, ha poche parti che si possano distinguere; ma mentre acquista<br />

una massa maggiore, le sue parti si moltiplicano, e simultaneamente si differen-<br />

27


Storia del pensiero sociologico<br />

28<br />

ziano. Lo stesso avviene di una società. Dapprima le diversità tra i suoi gruppi .<br />

d’unità sono poco notevoli quanto a numero e a grado, ma facendosi essa <strong>più</strong> popolosa,<br />

le divisioni e le suddivisioni diveng ono <strong>più</strong> numerose e spiccate. Inoltre, nell’organismo<br />

sociale, come in quello individuale, le differenziazioni cessano solo con<br />

quella perfezione del tipo, che segna la maturità e precede la decadenza.<br />

È vero che, anche in certi aggregati inorganici, come nell’intero sistema solare e in<br />

ciascuno dei suoi membri, le differenziazioni di struttura s’accompagnano alle integrazioni;<br />

ma sono relativamente così lente e semplici, che si può non tenerne conto.<br />

La moltiplicazione delle parti di natura diversa è così grande nei corpi politici e nei<br />

corpi viventi, che costituisce un altro carattere comune sostan ziale, che li distingue<br />

dai corpi inorganici.<br />

La comunanza sarà <strong>più</strong> completamente intesa, se si osserva che la progressiva differenziazione<br />

delle strutture è accompagnata dalla progressiva differenziazione delle<br />

funzioni.<br />

Le divisioni moltiplicantisi, primarie, secondarie e terziarie, che si verificano in un animale<br />

in sviluppo, non assumono senza scopo la maggiore o minore diversità, che intercorre<br />

fra loro. Insieme alle diversità nelle loro forme e nelle loro composizioni si hanno<br />

diversità delle azioni, che compiono; si sviluppano in organi dissimili, che hanno compiti<br />

dissimili. Il sistema alimentare nell’assumere tutta la funzione di assorbire il nutrimento<br />

mentre assume anche i suoi ca ratteri strutturali, diviene gradualmente distinto in<br />

parti nettamente diverse; ognuna di questa ha una funzione specifica, che fa parte <strong>della</strong><br />

funzione generale. Un membro, destinato alla locomozione o prensione, acquista divisioni<br />

e suddivisioni che hanno compiti principali e secondari in quest’ufficio. Lo stesso<br />

si verifica per le classi in cui si divide una società. Una classe dominante che sorga, non<br />

solo diventa distinta dal resto, ma si assume un governo sul resto; e quando questa classe<br />

si distingue in <strong>più</strong> o meno dominanti, questi cominciano pure a compiere singole<br />

funzioni di governo. Così pure avviene delle classi le cui azioni sono soggette a governo.<br />

I vari gruppi, nei quali si dividono, hanno varie occupazioni; e ognuno di questi gruppi,<br />

in se stesso, acquista minori differenze di parti con minori differenze di compiti.<br />

E qui si vede chiaramente come le due classi di cose, che stiamo confrontando, si<br />

distinguano dalle cose di altra natura; perché quelle differenze di struttura, che si<br />

producono lentamente negli aggregati inorganici, non sono accompagnate da quelle<br />

che possiamo dire differenze di funzioni.<br />

Passando all’ultimo e <strong>più</strong> spiccato carattere del corpo politico e del corpo vivente,<br />

vedremo perché in essi le azioni dissimili di parti di verse sono da considerare come<br />

funzioni, mentre non altrettanto possiamo dire delle azioni dissimili di parti dissimili<br />

in un corpo inorganico.<br />

L’evoluzione determina negli uni e negli altri non solo semplici differenze, ma differenze<br />

che stanno in rapporti definiti, differenze, di cui ognuna rende possibile le altre.<br />

Le parti di un aggregato inorganico sono in tale relazione, che l’una può subire un<br />

gran cambiamento senza modificare il resto in modo apprezzabile. Ma avviene altrimenti<br />

nelle parti di un aggregato organico, o di un aggregato sociale. In ambedue le<br />

trasformazioni delle parti si determi nano vicendevolmente, e le azioni mutue delle<br />

parti dipendono l’una dall’altra. In ambedue questa vicendevole dipendenza cresce<br />

col progredire dell’evoluzione. Il tipo infimo di animale è tutto stomaco, tutto superficie<br />

respiratoria, tutto arti. Lo sviluppo di un tipo fornito di appendici, con cui possa<br />

muoversi o impadronirsi del cibo, può avere luogo solo se queste appendici, perdendo<br />

la facoltà di assorbire direttamente il nutrimento dai corpi circostanti, sono forni-


Storia del pensiero sociologico<br />

te di nu trizione dalle parti, che conservano questa facoltà di assorbimento. Una superficie<br />

respiratoria, cui son condotti i fluidi circolanti per essere aerati, può formarsi<br />

solo a condizione che la perdita simulta nea delle attitudini a fornirsi di materiali<br />

per la respirazione e per la crescita, sia compensata dallo sviluppo di una struttura,<br />

che porti questi materiali. Lo stesso si verifica in una società. Ciò che noi chiamiamo<br />

con perfetta proprietà la sua organizzazione, presuppone un fatto <strong>della</strong> stessa natura.<br />

Finché è rudimentale, tutti sono guer rieri, cacciatori, costruttori di capanne, fabbricanti<br />

di utensili: ogni parte soddisfa da sé ai propri bisogni. Il progresso fino al punto<br />

di avere un esercito permanente può aver luogo solo quando sorgono ordinamenti<br />

tali per cui il resto possa fornire l’esercito di vettovaglie, di vestiti, di munizioni da<br />

guerra. Se qua la popolazione si occupa esclusivamente di agricoltura e là di miniere,<br />

se questi manifatturano i beni, mentre quelli li distribuiscono, ciò può avvenire a<br />

condizione che, in cambio d’un certo servizio reso da una parte alle altre, cia scuna di<br />

queste altre parti presti i propri servizi nelle debite pro porzioni.<br />

Tale divisione del lavoro, che fu dapprima osservata dagli econo misti come un fenomeno<br />

sociale, e quindi riconosciuta dai biologi come fenomeno dei corpi viventi e<br />

chiamata “divisione fisiologica del lavoro”, è quella che fa <strong>della</strong> società, come dell’animale,<br />

un corpo vivente. Non si può insistere abbastanza sulla verità che, rispetto a<br />

questo carattere fondamentale, l’organismo sociale e l’individuale sono del tutto simili.<br />

Quando si vede che in un mammifero, l’arre starsi dei polmoni produce l’immediato<br />

arresto del cuore; che, se lo stomaco non compie affatto il suo ufficio, tutte le<br />

altre cessano a poco a poco di agire; che la paralisi <strong>degli</strong> arti costringe tutto il corpo<br />

alla morte per mancanza di cibo e per non poter sfuggire ai pericoli; che persino la<br />

perdita di organi piccoli, come gli occhi, priva il ri manente di servizi assegnati alla<br />

sua conservazione, non possiamo non ammettere che la mutua dipendenza delle parti<br />

sia un carattere essenziale. E quando in una società vediamo che i lavoratori di ferro<br />

si fermano, se i minatori non forniscono i materiali; che i sarti non possono fare il loro<br />

mestiere, se mancano quelli che fabbricano filati e tessuti; che i produttori di manufatti<br />

non operano, se non operano i produttori e i distributori <strong>degli</strong> alimenti; che i<br />

poteri governativi, i pubblici ufficiali, i giudici, non possono mantener l’ordine, se le<br />

cose necessarie alla vita non sono loro fornite dai governati, siamo co stretti a dire che<br />

la mutua dipendenza delle parti è altrettanto rigo rosa. Per quanto i due generi di aggregati<br />

siano dissimili per altro aspetto, sono simili per questo carattere fondamentale.<br />

S’intende <strong>più</strong> chiaramente, come le azioni combinate delle parti reciprocamente dipendenti<br />

costituiscano la vita del tutto e come ne risulti un parallelismo tra la vita<br />

nazionale e l’individuale, se si os serva che la vita di ogni organismo visibile è costituita<br />

dalla vita di unità troppo piccole per esser viste a occhio nudo.<br />

(Herbert Spencer, Principi di Sociologia, UTET, Torino 1968)<br />

❱❱ 4. Rivoluzione industriale e classi sociali<br />

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.<br />

Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi <strong>della</strong> gleba, membri delle corporazioni<br />

e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco<br />

contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni<br />

volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune<br />

rovina delle classi in lotta.<br />

29


Storia del pensiero sociologico<br />

30<br />

Nelle epoche passate <strong>della</strong> storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione<br />

<strong>della</strong> società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni<br />

sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori<br />

feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi <strong>della</strong> gleba, e, per<br />

di <strong>più</strong>, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.<br />

La società civile moderna, sorta dal tramonto <strong>della</strong> società feudale, non ha eliminato<br />

gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi,<br />

nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.<br />

La nostra epoca, l’epoca <strong>della</strong> borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato<br />

gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre <strong>più</strong> in due<br />

grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra:<br />

borghesia e proletariato.<br />

Dai servi <strong>della</strong> gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo<br />

popolo minuto si svilupparono i primi elementi <strong>della</strong> borghesia.<br />

La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa crearono alla sorgente<br />

borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e <strong>della</strong> Cina, la colonizzazione<br />

dell’America, gli scambi con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e<br />

delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio<br />

fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all’elemento<br />

rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.<br />

L’esercizio dell’industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava <strong>più</strong> al<br />

fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura.<br />

Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le<br />

diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina<br />

stessa.<br />

Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura<br />

era <strong>più</strong> sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione<br />

industriale. All’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto<br />

medio industriale subentrarono i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali,<br />

i borghesi moderni.<br />

La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch’era stato preparato dalla<br />

scoperta dell’America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio,<br />

alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha<br />

reagito a sua volta sull’espansione dell’industria, e nella stessa misura in cui si estendevano<br />

industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha<br />

accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal<br />

medioevo.[...]<br />

Ogni società si è basata finora, come abbiamo visto, sul contrasto fra classi di oppressori<br />

e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate<br />

condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava.<br />

Il servo <strong>della</strong> gleba, lavorando nel suo stato di servo <strong>della</strong> gleba, ha potuto elevarsi a<br />

membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell’assolutismo<br />

feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l’operaio moderno, invece di elevarsi<br />

man mano che l’industria progredisce, scende sempre <strong>più</strong> al disotto delle condizioni<br />

<strong>della</strong> sua propria classe. L’operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa<br />

anche <strong>più</strong> rapidamente che la popolazione e la ricchezza.<br />

(Karl Marx, Il manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1962)


❱❱ 5. La borghesia classe rivoluzionaria<br />

Storia del pensiero sociologico<br />

La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto<br />

il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali,<br />

idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo<br />

al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo<br />

interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo<br />

egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, <strong>della</strong> malinconia<br />

filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle<br />

innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di<br />

commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato,<br />

diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche.<br />

La borghesia ha spogliato <strong>della</strong> loro aureola tutte le attività che fino allora erano<br />

venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il<br />

poeta, l’uomo <strong>della</strong> scienza, in salariati ai suoi stipendi. [...]<br />

Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l’attività dell’uomo. Essa<br />

ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali<br />

gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli<br />

e le crociate.<br />

La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di<br />

produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione<br />

di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l’immutato mantenimento<br />

del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento <strong>della</strong> produzione,<br />

l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento<br />

eterni contraddistinguono l’epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti.<br />

Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti<br />

antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi<br />

fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni<br />

cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato<br />

la propria posizione e i propri reciproci rapporti.<br />

Il bisogno di uno smercio sempre <strong>più</strong> esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia<br />

a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve<br />

costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.<br />

Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un’impronta cosmopolitica<br />

alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell’industria<br />

il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime<br />

industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno.<br />

Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita<br />

o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano <strong>più</strong> soltanto le<br />

materie prime del luogo, ma delle zone <strong>più</strong> remote, e i cui prodotti non vengono<br />

consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni,<br />

soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere<br />

soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi <strong>più</strong> lontani. All’antica autosufficienza<br />

e all’antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una<br />

interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così<br />

per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene<br />

comune. L’unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre <strong>più</strong> impossibili,<br />

e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.<br />

31


Storia del pensiero sociologico<br />

32<br />

Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni<br />

infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche<br />

le <strong>più</strong> barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con la quale<br />

spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la <strong>più</strong> tenace<br />

xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione<br />

<strong>della</strong> borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa<br />

loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un<br />

mondo a propria immagine e somiglianza.<br />

La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio <strong>della</strong> città. Ha creato città<br />

enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra <strong>della</strong> popolazione urbana in confronto<br />

di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole <strong>della</strong> popolazione all’idiotismo<br />

<strong>della</strong> vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla città, la borghesia<br />

ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini<br />

da quelli di borghesi, l’Oriente dall’Occidente.<br />

La borghesia elimina sempre <strong>più</strong> la dispersione dei mezzi di produzione, <strong>della</strong> proprietà<br />

e <strong>della</strong> popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi<br />

di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne è stata conseguenza<br />

necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da<br />

vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una<br />

sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di<br />

classe, entro una sola barriera doganale.<br />

Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive<br />

in massa molto maggiore e <strong>più</strong> colossali che non avessero mai fatto tutte insieme<br />

le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine,<br />

l’applicazione <strong>della</strong> chimica all’industria e all’agricoltura, la navigazione a vapore, le<br />

ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d’interi continenti, la navigabilità dei<br />

fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo – quale dei secoli antecedenti<br />

immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive?<br />

Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta<br />

costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un certo<br />

grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle<br />

quali la società feudale produceva e scambiava, l’organizzazione feudale dell’agricoltura<br />

e <strong>della</strong> manifattura, in una parola i rapporti feudali <strong>della</strong> proprietà, non corrisposero<br />

<strong>più</strong> alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione<br />

invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate<br />

e furono spezzate.<br />

Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica,<br />

con il dominio economico e politico <strong>della</strong> classe dei borghesi.<br />

(Karl Marx, Il manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1962)<br />

❱❱ 6. Che cosa è un fatto sociale<br />

Prima di cercare quale è il metodo <strong>più</strong> confacente allo studio dei fatti sociali, è necessario<br />

sapere quali sono i fatti che vengono così chiamati. Questa definizione è<br />

tanto <strong>più</strong> necessaria in quanto ci si serve di tale qualifica senza malta precisione. Essa<br />

s’impiega correntemente per designare presso a poco tutti i fe nomeni che si verificano<br />

nell’interno <strong>della</strong> società, per poco che essi presentino, grazie ad un determinato


Storia del pensiero sociologico<br />

ca rattere generale, qualche interesse sociale. Ma, a questa stregua, non v’è, si può<br />

dire, avvenimento umano che non possa esser qualificato sociale. Ogni individuo<br />

beve, dorme, mangia, ragiona e la società ha tutto l’interesse che queste funzioni si<br />

esercitino regolarmente. Se per tanto questi fatti fossero sociali, la <strong>sociologia</strong> non<br />

avreb be un oggetto che le fosse proprio ed il suo dominio si confonderebbe con quello<br />

<strong>della</strong> biologia e <strong>della</strong> psi cologia.<br />

Viceversa, in realtà, in ogni società esiste un grup po determinato di fenomeni che si<br />

distinguono, grazie a caratteri spiccatamente diversi, da quelli che studiano le altre<br />

scienze <strong>della</strong> natura.<br />

Quando assolvo il mio compito di fratello, di sposo o di cittadino; quando rispetto gli<br />

impegni che ho pre so, io compio dei doveri che sono ben definiti, al di fuori <strong>della</strong> mia<br />

persona e dei miei atti, secondo il dirit to e secondo i costumi. Anche quando tali<br />

doveri sono in armonia coi miei propri sentimenti e che ne sento interiormente la<br />

realtà, questa non cessa d’essere ob biettiva, poiché non sono io che li ho creati ma li<br />

ho ricevuti dall’educazione. Quante volte, d’altronde, ca pita che noi ignoriamo i<br />

particolari <strong>degli</strong> obblighi che ci incombono e che, per conoscerli, dobbiamo consultare<br />

il Codice ed i suoi interpreti <strong>autori</strong>zzati. Allo stesso modo, le credenze e le pratiche<br />

<strong>della</strong> sua vita religiosa, il fedele le ha trovate bell’e fatte quando è nato. Se esse<br />

esistevano prima di lui, ciò significa che esistono al di fuori di lui. Il sistema di segni<br />

dei quali mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema di monete che impiego<br />

per pagare i miei debiti, gli stru menti di credito che utilizzo nelle mie relazioni commerciali,<br />

le pratiche seguite nella mia professione ecc. funzionano indipendentemente<br />

dagli usi che ne faccio. Si prendano l’uno dopo l’altro tutti i membri dei quali è<br />

composta la società; quanto precede potrà esser ripe tuto per ciascuno di essi. Ecco<br />

dunque delle maniere d’agire, di pensare e di sentire che presentano questa rimarchevole<br />

proprietà: esse esistono al di fuori delle coscienze individuali.<br />

Non soltanto questi tipi di condotte o di pensiero sono esteriori all’individuo, ma sono<br />

datati d’una po tenza imperativa e coercitiva in virtù <strong>della</strong> quale s’impongono a lui,<br />

lo voglia o non lo voglia. Senza dubbio, quando io mi ci conformo di buon grado,<br />

questa coerci zione non si fa o si fa poco sentire, essendo inutile. Ma non è meno un<br />

carattere intrinseco di questi fatti e la prova ne è che essa si afferma appena io tento<br />

di resistere. Se provo a violare le regole del diritto, que ste reagiscono contro di me<br />

in maniera tale da impedire il mio atto, quando vi sia ancora tempo; oppure da annullarlo<br />

e da ristabilirlo sotto la sua forma normale se è compiuto e riparabile, o da<br />

farmelo espiare se non può esser riparato in altra maniera. Si tratta di massi me puramente<br />

morali? La coscienza pubblica tende ad impedire qualsiasi atto che le offenda,<br />

mediante la sorveglianza che essa esercita sulla condotta dei citta dini e le pene speciali<br />

delle quali dispone.<br />

In altri casi, la costrizione è meno violenta; non cessa però d’esistere. Se io non mi<br />

sottometto alle con venzioni del mondo; se, vestendomi, non tengo alcun conto <strong>degli</strong> usi<br />

correnti nel mio paese e nella mia classe sociale, le risate che provoco, l’ostracismo nel<br />

quale mi si tiene, producono, anche se in una maniera <strong>più</strong> atte nuata, gli stessi effetti<br />

d’una pena propriamente detta. In altri campi, la costrizione, pur non essendo che indiretta,<br />

non è meno efficace. Io non sono obbligato a parlare francese coi miei compatrioti,<br />

né d’impiegare le monete legali: ma è impossibile che io possa fare diversamente. Se<br />

cercassi di sfuggire a questa necessità, il mio tentativo fallirebbe miseramente.<br />

Industriale, nulla mi vieta di lavorare con dei pro cedimenti e dei metodi dell’altro<br />

secolo: ma se lo faces si, mi rovinerei certamente. Ed anche se effettivamente potessi<br />

33


Storia del pensiero sociologico<br />

34<br />

liberarmi da queste norme e violarle con succes so, ciò non avverrebbe mai senza che<br />

io fossi obbligato a lottare contro di esse. Quand’anche queste fossero fi nalmente<br />

vinte, mi farebbero sufficientemente sentire la loro potenza coattiva mediante la resistenza<br />

che op porrebbero. Non vi è innovatore, anche felice, le cui iniziative non<br />

vengano ad urtarsi contro opposizioni di questo genere.<br />

Ecco dunque un ordine di fatti che presentano dei caratteri molto specifici: consistono<br />

in modi di agire, di pensare e di sentire, esteriori all’individuo, e che dotati d’un<br />

potere di coercizione per virtù del quale gli si impongono. Ne consegue che non si<br />

possono confondere coi fenomeni organici, poiché consistano in rappresentazioni ed<br />

azioni; né coi fenomeni psi chici, che non hanno esistenza che nella coscienza individuale<br />

e per azione di questa. Costituiscono dunque una specie nuova ed è a loro che<br />

deve essere data e riservata la qualifica di «sociali».<br />

Questa si adatta loro, perché è chiaro che, non avendo l’individuo per substrato, non<br />

possono averne un altro all’infuori <strong>della</strong> società, sia essa la società politica nella sua<br />

integralità, sia uno qualunque dei gruppi parziali che essa racchiude, confessioni<br />

religiose, scuole politiche o letterarie, corporazioni professionali ecc. D’altra parte,<br />

è a questi solo che essa conviene; perché la parola «sociale» non ha un senso definito<br />

che a condizione di designare unicamente dei fenomeni che non entrano in alcuna<br />

delle categorie di fatti già costituiti e deno minati. Sono dunque il campo specifico<br />

<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />

È vero che la parola «costrizione», colla quale noi li definiamo, rischia di allarmare<br />

gli zelanti partigiani d’un individualismo assoluto. Siccome essi professano che l’individuo<br />

è perfettamente autonomo, sembra loro che lo si diminuisca tutte le volte che<br />

gli si fa sentire che egli non dipende soltanto da se stesso. Ma siccome oggi è incontestabile<br />

che la maggior parte delle nostre idee e delle nostre tendenze non sono<br />

elaborate da noi, ma ci vengano dall’esterno, queste idee e tendenze non possono<br />

penetrare in noi che imponendosi: è tutto quello che significa la nostra definizione.<br />

D’altronde è risaputo che ogni costrizione sociale non esclude neces sariamente l’intervento<br />

<strong>della</strong> personalità individuale.<br />

Però, siccome gli esempi che abbiamo citato (regole giuridiche, morali; dogmi religiosi;<br />

sistemi finanziari ecc.) consistono tutti in credenze e pratiche costituite, si<br />

potrebbe ritenere, da quanto precede, che non si abbia fatto sociale che dove si ha<br />

un’organizzazione definita. Viceversa, vi sono altri fatti che, senza pre sentare queste<br />

forme cristallizzate, hanno e la stessa obbiettività e lo stesso ascendente sull’individuo.<br />

Si tratta di quelle che si chiamano «le correnti sociali». Così, in una assemblea, i<br />

grandi movimenti d’entusia smo, d’indignazione, di pietà che si producono, non hanno<br />

per punto d’origine alcuna coscienza particolare. Vengono a ciascuno di noi<br />

dall’esterno e sono suscetti bili di trascinarci nastro malgrado.<br />

Senza dubbio può capitare che, abbandonandomi a loro senza riserva, io non senta la<br />

pressione che eserci tano su di me. Ma questa si rivela dal momento in cui io cerco di<br />

lottare contro di loro. Che un individuo tenti d’opporsi ad una di queste manifestazioni<br />

collet tive, ed i sentimenti che egli nega si rivoltano contro di lui. Ora, se tale potenza<br />

di coercizione esteriore si afferma con questa chiarezza nei casi di resistenza,<br />

vuol dire che esiste, anche se inconscia, nei casi inversi. Noi siamo allora ingannati<br />

da una illusione che ci fa credere che abbiamo elaborato noi stessi quello che ci viene<br />

im posto dall’esterno. Però, anche se la compiacenza alla quale ci lasciamo andare<br />

maschera l’impulso subito, non lo sopprime affatto. Allo stesso modo che l’aria non<br />

cessa d’essere pesante anche se noi non ne sentia mo <strong>più</strong> il peso. E così, mentre abbia-


Storia del pensiero sociologico<br />

mo spontaneamen te collaborato, da parte nostra, all’emozione comune, l’impressione<br />

che noi avremmo provata se fossimo stati soli sarebbe stata ben differente. Una volta,<br />

poi, che l’assemblea si è sciolta, che queste influenze sociali han no cessato d’agire<br />

sopra di noi e che ci ritroviamo soli con noi stessi, i sentimenti attraverso i quali siamo<br />

passati ci fanno l’effetto di qualche cosa d’estraneo, dove non ci riconosciamo <strong>più</strong>. Ci<br />

accorgiamo allora che li avevamo subiti molto di <strong>più</strong> che non li avessimo creati. Capita<br />

persino che ci facciano orrore, tanto era no contrari alla nostra natura.<br />

❱❱ 7. Le classi sociali<br />

(Émile Durkheim, Le regole del metodo sociologico,<br />

Newton Compton, Roma 1971)<br />

Ogni ordinamento giuridico (non soltanto quello «statale») agi sce direttamente, mediante<br />

la sua configurazione sulla distribuzione <strong>della</strong> potenza caratteristica di una<br />

comunità – e ciò non soltanto per la potenza economica, ma anche per qualsiasi altra<br />

potenza. Per «potenza» intendiamo qui in generale la possibilità, che un uomo o una<br />

pluralità di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comu nità<br />

anche contro la resistenza di altri soggetti partecipi di questo agire. Naturalmente la<br />

potenza «economicamente condizionata» non si iden tifica con la «potenza» in generale.<br />

Il sorgere di un potere economico può essere piuttosto, al contrario, la conseguenza<br />

di una potenza che sussiste per altri motivi. La potenza non viene da parte sua<br />

desiderata soltanto per scopi economici (di arricchimento); piuttosto la potenza, anche<br />

quella economica, può essere apprezzata «per se stessa», e molto sovente l’aspirazione<br />

verso di essa è condizionata anche dall’«onore» sociale che ne consegue. Ma non<br />

ogni potenza conferisce onore sociale. Il tipico boss americano e il tipico speculatore<br />

all’ingrosso vi rinunciano consapevolmente, e in generale è precisamente la potenza<br />

«semplice mente» economica e soprattutto la «nuda» forza del denaro che non<br />

costituisce un fondamento riconosciuto di «onore» sociale. D’altra parte non soltanto<br />

la potenza costituisce il fondamento dell’onore. Al contrario, l’onore sociale (prestigio)<br />

può costituire – e ha spesso co stituito – la base di una potenza anche di carattere<br />

economico. L’or dinamento giuridico può garantire l’onore al pari del potere. Ma<br />

esso non costituisce di regola la fonte primaria, ma anche qui costituisce un soprap<strong>più</strong><br />

che rafforza la possibilità del suo possessore, ma non lo può sempre garantire. Noi<br />

chiameremo «ordinamento sociale» il modo in cui l’«onore» sociale si distribuisce<br />

in una comunità tra gruppi tipici dei soggetti che ne partecipano. Naturalmente l’ordinamento<br />

sociale sta con l’«ordinamento giuridico» in un rapporto simile a quello<br />

in cui sta l’ordinamento economico. L’ordinamento sociale non si identifica con<br />

questo, dato che l’ordinamento economico rappresenta unicamente il modo di distribuzione<br />

e di impiego dei beni e delle prestazioni econo miche; però è in larga misura<br />

condizionato da esso, e a sua volta lo influenza.<br />

Le «classi», i «ceti» e i «partiti» costituiscono precisamente fenomeni di distribuzione<br />

<strong>della</strong> potenza all’interno di una comunità.<br />

Le «classi» non costituiscono delle comunità nel senso qui stabi lito, ma rappresentano<br />

soltanto fondamenti possibili (e ricorrenti) di un agire di comunità. Noi parleremo<br />

di «classe» quando a una pluralità di uomini è comune una specifica componente<br />

causale delle loro possibilità di vita, nella misura in cui questa componente è rappresentata<br />

semplicemente da interessi economici di possesso e di guadagno – nelle condi-<br />

35


Storia del pensiero sociologico<br />

36<br />

zioni del mercato dei beni o del lavoro («situazione di classe»). È un fatto economico<br />

tra i <strong>più</strong> elementari che il modo in cui la disposizione del possesso materiale è<br />

distribuita tra una pluralità di uomini che si incontrano e concorrono sul mercato a<br />

scopo di scambio crea di per sé specifiche possibilità di vita. Questa distribuzione, in<br />

base alla legge dell’utilità marginale <strong>della</strong> concorrenza, esclude i non possi denti da<br />

tutti i beni di maggior pregio, a favore dei possidenti, e di fatto monopolizza per essi<br />

il loro acquisto. Essa monopolizza – in circo stanze per il resto eguali – le possibilità<br />

di guadagni di scambio per tutti coloro che, provvisti di beni, non devono senz’altro<br />

dipendere dallo scambio, aumentando in generale la loro potenza nella lotta dei prezzi<br />

con coloro che, sprovvisti di possesso, non possono offrire niente altro che le loro<br />

prestazioni di lavoro, in natura o sotto forma di pro dotti del loro lavoro, e che devono<br />

assolutamente smerciarli per vivere. Essa monopolizza inoltre la possibilità di<br />

trasferire un possesso dalla sfera dell’utilizzazione come «patrimonio» alla sfera<br />

dell’impiego come «capitale», vale a dire la funzione imprenditoriale e tutte le possibilità<br />

di partecipazione diretta o indiretta al profitto capitalistico. […]<br />

Sono gli interessi economici univoci, e precisamente quelli legati all’esistenza del<br />

«mercato», che creano la «classe». Ciononostante il concetto di «interesse di classe»<br />

ha vari significati, e non è un concetto empirico univoco, appena con esso si intenda<br />

qualcosa d’altro rispetto all’effettivo orientamento <strong>degli</strong> interessi di una certa «media»<br />

<strong>degli</strong> individui sottoposti ad una situazione di classe, quale deriva con una certa probabilità<br />

dalla situazione stessa. A parità di situazione di classe e di altre circostanze,<br />

la direzione nella quale ad esempio il singolo lavoratore perseguirà con probabilità i<br />

suoi interessi può essere molto diversa, a seconda, ad esempio, che per una determinata<br />

prestazione egli venga qualificato – nella sua valutazione – ad un livello alto,<br />

medio o basso; e anche a seconda che dalla «situa zione di classe» sia sorto o meno<br />

un agire di comunità di una parte <strong>più</strong> o meno grande dei soggetti da essa interessati<br />

in comune, o addi rittura un’associazione tra essi (ad esempio un «sindacato»), dalla<br />

quale l’individuo si possa ripromettere determinati risultati. L’emergere di una associazione<br />

o anche di un agire di comunità da una situazione di classe non rappresenta<br />

affatto un fenomeno universale. Piuttosto, la sua in fluenza può esaurirsi in una reazione<br />

essenzialmente omogenea, e cioè (nella terminologia qui adottata) in un «agire<br />

di massa»; oppure non si produce nemmeno questa conseguenza. Spesso poi sorge<br />

soltanto un agire di comunità amorfo. Così, ad esempio, il «brontolio» dei lavo ratori,<br />

noto all’etica orientale antica, il quale esprimeva la disapprova zione morale dell’atteggiamento<br />

del padrone – disapprovazione che, nel suo significato pratico, si può<br />

presumere equivalesse a un fenomeno che diventa di nuovo sempre <strong>più</strong> tipico del<br />

recente sviluppo industriale, cioè alla tendenza a «frenare» (cioè all’intenzionale limitazione<br />

<strong>della</strong> prestazione lavorativa) da parte dei lavoratori, in virtù di un consenso<br />

tacito. Il grado in cui dall’«agire di massa» <strong>degli</strong> appartenenti alla clas se sorge un<br />

«agire di comunità» – e eventualmente anche delle asso ciazioni – è legato a condizioni<br />

generali di cultura, in modo particolare di natura intellettuale, e al grado dei<br />

contrasti che sono sorti, e special mente alla perspicuità <strong>della</strong> connessione tra le cause<br />

e gli effetti <strong>della</strong> «situazione di classe». […]<br />

«Situazioni di classe» esistettero in una forma così specificamente semplice e chiara<br />

nell’antichità e nel Me dioevo nei centri cittadini, specialmente quando venivano ammassati<br />

grandi patrimoni in virtù di un commercio, di fatto monopolizzato, di prodotti<br />

industriali <strong>della</strong> località in questione o di sostanze alimentari; altri esempi si possono<br />

trovare in certe circostanze nell’agricoltura delle epoche <strong>più</strong> diverse, con l’affer-


Storia del pensiero sociologico<br />

marsi dello sfruttamento economico ac quisitivo. L’esempio storico <strong>più</strong> importante<br />

<strong>della</strong> seconda categoria è dato dalla situazione di classe del «proletariato» moderno.<br />

Ogni classe può quindi essere portatrice di qualche «agire di classe» – di cui sono<br />

possibili innumerevoli forme – ma non lo è necessariamente: in ogni caso essa non<br />

costituisce una comunità, e considerarla concettualmente equivalente a una comunità<br />

è fonte di equi voci. È vero che di regola uomini posti in una stessa situazione di<br />

classe reagiscono a situazioni così concrete come quella economica con un agire di<br />

massa rivolto nella direzione <strong>più</strong> adeguata agli interessi <strong>della</strong> media, e questo è fatto<br />

in fondo semplice, ma importante per la com prensione <strong>degli</strong> avvenimenti storici.<br />

[…] Se le «classi» in sé non «sono» comunità, tuttavia le situazioni di classe sorgono<br />

soltanto sul terreno di una comunità. Soltanto che l’agire di comunità che dà loro vita<br />

non è in prevalenza un agire di comunità <strong>degli</strong> appartenenti alla medesima classe, ma<br />

è invece un agire tra appartenenti a classi differenti. Ad esempio, l’agire di comunità<br />

che determina immediatamente la situazione di classe dei lavoratori e <strong>degli</strong> imprenditori<br />

è costituito dal mercato del lavoro, dal mercato dei beni e dall’impresa capitalistica.<br />

Ma l’esistenza di una impresa capitalistica presuppone a sua volta quella di<br />

un agire di comunità di forma molto particolare, diretto a tutelare il possesso dei beni<br />

in quanto tale, e spe cialmente la disponibilità in linea di principio libera dei mezzi di<br />

pro duzione da parte <strong>degli</strong> individui; essa presuppone cioè un «ordina mento giuridico»,<br />

e di forma molto specifica. Ogni genere di situazione di classe, in quanto fondata<br />

soprattutto sulla potenza del possesso in quanto tale, si realizza nella forma <strong>più</strong> pura<br />

quando tutti gli altri motivi determinanti delle relazioni reciproche sono il <strong>più</strong> possibile<br />

assenti, in modo che la potenza del possesso sul mercato possa venir utilizzata<br />

nella forma <strong>più</strong> sovrana. […]. Oggi invece il punto cruciale è la determinazione dei<br />

salari. Il passaggio è costituito da quelle lotte per l’accesso al mercato e per la determinazione<br />

del prezzo dei pro dotti che ebbero luogo all’inizio dell’età moderna tra<br />

provveditori e artigiani domestici.<br />

Un fenomeno generale delle antitesi di classe con dizionate dalla situazione di mercato,<br />

che deve quindi essere ricordato, è il fatto che esse si agitano nelle forme <strong>più</strong> aspre<br />

tra i soggetti che sono realmente interessati in modo diretto come avversari nella lotta<br />

dei prezzi. L’astio dei lavoratori non colpisce il redditiere o l’azionista a il banchiere<br />

– anche se proprio nelle casse di questi affluisce un profitto in parte maggiore e in<br />

parte «<strong>più</strong> sprovvisto di lavoro» ri spetto a quello dell’industriale o del direttore dell’impresa;<br />

esso colpisce invece quasi esclusivamente questi ultimi, quali avversari diretti<br />

nella lotta dei prezzi. Questo semplice fatto è spesso stato decisivo per l’im portanza<br />

<strong>della</strong> situazione di classe nella formazione dei partiti politici. Esso ha per esempio reso<br />

possibili le diverse varietà del socialismo patrimoniale e i tentativi di alleanza – almeno<br />

un tempo frequenti – dei ceti minacciati con il proletariato, contro la «borghesia».<br />

❱❱ 8. La burocrazia<br />

Il modo specifico di funzionamento <strong>della</strong> burocrazia moderna si esprime nel modo<br />

seguente.<br />

I. Esiste il principio delle competenze di <strong>autori</strong>tà definite, disci plinate in modo generale<br />

mediante regole, cioè mediante leggi e regola menti amministrativi. Ciò comporta:<br />

1) una stabile suddivisione delle attività regolari richieste per gli scopi <strong>della</strong> formazione<br />

burocratica dominante – in forma di doveri di ufficio;<br />

37


Storia del pensiero sociologico<br />

38<br />

2) i poteri di comando necessari per l’adempimento di questi compiti sano pure<br />

suddivisi in modo stabile e limitati mediante regole nei mezzi coercitivi (fisici o<br />

sacrali o di altro tipo) loro attribuiti;<br />

3) all’adempimento regolare e continuativo dei campiti così sud divisi, e all’esercizio<br />

dei diritti corrispondenti, si provvede in modo sistematico con l’assunzione di<br />

persone fornite di una qualificazione regolata in via generale.<br />

Questi tre momenti rappresentano, nel potere di diritto pubblico, la sussistenza di un<br />

«organo di <strong>autori</strong>tà» burocratico e, nel potere eco nomico privato, quella di un’«impresa»<br />

burocratica. In questo senso tale istituzione si è sviluppata completamente per<br />

la prima volta nelle comunità politiche e religiose dello stato moderno, e nell’economia<br />

pri vata con le <strong>più</strong> avanzate formazioni capitalistiche. Anche in formazioni politiche<br />

molto vaste quali quelle dell’antico Oriente, e così pure nei regni di conquista<br />

germanici o mongolici e in molte formazioni statali feudali, gli organi permanenti di<br />

<strong>autori</strong>tà forniti di competenza stabile non sono la regola ma l’eccezione. In essi il<br />

detentore del potere affida i compiti <strong>più</strong> importanti a fiduciari personali, commensali<br />

o servitori di corte con incarichi e competenze non rigidamente delimitate, e create<br />

volta a volta per il singolo caso.<br />

II. Esiste il principio <strong>della</strong> gerarchia <strong>degli</strong> uffici e <strong>della</strong> serie delle istanze, cioè di un<br />

sistema rigidamente regolato di sovra-ordinazione e sub-ordinazione <strong>degli</strong> organi di<br />

<strong>autori</strong>tà con controllo dei superiori sugli inferiori – sistema che offre anche ai dominati<br />

una possibilità rigida mente regolata di appellarsi dall’istanza inferiore a quella<br />

superiore.<br />

Quando si abbia un completo sviluppo del tipo, questa gerarchia è orga nizzata in modo<br />

monocratico. Il principio <strong>della</strong> serie gerarchica delle istanze si trova tanto nelle formazioni<br />

statali ed ecclesiastiche quanto in tutte le altre formazioni burocratiche, come<br />

le grandi organizzazioni di partito e le grandi imprese private – qualora si vogliano<br />

chiamare «organi di <strong>autori</strong>tà» anche le istanze private. Con un completo svi luppo del<br />

principio di «competenza», però, la subordinazione gerar chica non vuol dire, almeno<br />

negli uffici pubblici, che l’istanza «supe riore» sia abilitata a richiamare a sé gli affari<br />

dell’istanza «inferiore». La regola è proprio l’opposto, e perciò nel caso del disbrigo<br />

di una partita da parte di un ufficio incaricato non può aversi alcuno sposta mento.<br />

III. La moderna condotta dell’ufficio si fonda su documenti (atti) che vengono conservati<br />

in originale o in copia, e su un apparato di funzionari subalterni e scritturali<br />

di ogni tipo. Il complesso dei funzionari attivi in un organo di <strong>autori</strong>tà, e l’apparato<br />

di mezzi e di atti ad esso corrispondente, costituisce un «ufficio» (nelle imprese private<br />

esso è spesso designato come «ufficio commerciale»). L’organizzazione moderna<br />

<strong>degli</strong> organi di <strong>autori</strong>tà separa completamente la sede dell’uf ficio dall’abitazione<br />

privata, e ciò in quanto distingue del tutto l’atti vità di ufficio come ambito isolato<br />

rispetto alla sfera <strong>della</strong> vita privata, e così pure distingue le finanze e i mezzi dell’ufficio<br />

dal possesso privato del funzionario. Questa situazione è il prodotto di un lungo<br />

sviluppo; oggi essa si trova sia nelle imprese economiche pubbliche che in quelle<br />

private, e in queste si estende anche all’imprenditore dirigente. Quanto <strong>più</strong> conseguentemente<br />

è realizzato il tipo moderno <strong>della</strong> gestione <strong>degli</strong> affari – e gli inizi si<br />

trovano già nel Medioevo – tanto <strong>più</strong> sono separate la contabilità di ufficio e l’amministrazione<br />

domestica, la cor rispondenza di affari e la corrispondenza privata, il patrimonio<br />

di affari e il patrimonio privato. Si può affermare che la peculiarità<br />

dell’impren ditore moderno consiste nel fatto che egli si considera come «primo funzionario»<br />

<strong>della</strong> sua impresa, nello stesso modo in cui il dominatore di uno stato


Storia del pensiero sociologico<br />

moderno specificamente burocratico si dice il «primo ser vitore» di esso. Che l’attività<br />

di un ufficio statale e quello di un’azienda economica privata siano qualcosa di<br />

essenzialmente differente da un punto di vista interno, è un’idea propria dell’Europa<br />

continentale – a cui gli americani sono completamente estranei.<br />

IV. Ogni attività di ufficio, e almeno ogni attività specializzata – cosa specificamente<br />

moderna –, presuppone normalmente una mi nuziosa preparazione specializzata. Ciò<br />

vale sempre <strong>più</strong> per i moderni dirigenti e impiegati di un’impresa, economica privata<br />

come per i fun zionari statali.<br />

V. L’attività di ufficio – quando questo sia completamente svi luppato – pretende<br />

tutta la capacità lavorativa del funzionario, pre scindendo dalla circostanza che il<br />

tempo del lavoro di ufficio sia stabilmente determinato. Ciò è di norma il prodotto di<br />

un lungo sviluppo negli uffici pubblici e privati: viceversa, una volta la norma era che<br />

gli impegni di ufficio fossero assolti come «professione secondaria»<br />

VI. La condotta dell’ufficio del funzionario segue regole generali che possono essere<br />

apprese, e che sono <strong>più</strong> o meno fisse ed esaurienti. La conoscenza di tali regole rappresenta<br />

perciò una tecnica particolare – a seconda dei casi, si tratta <strong>della</strong> giurisprudenza<br />

o <strong>della</strong> teoria dell’amministrazione o <strong>della</strong> ragioneria – che i funzionari posseggono.<br />

Il vincolo alle regole <strong>della</strong> moderna condotta dell’ufficio è tanto radicato che la moderna<br />

teoria scientifica ammette per esempio che una competenza attribuita ad un’<strong>autori</strong>tà<br />

per la disciplina di determinate materie, mediante regolamento, non la legittima<br />

ad una disciplina me diante comandi stabiliti caso per caso, ma soltanto alla<br />

regolamenta zione astratta. Ciò costituisce la <strong>più</strong> netta contrapposizione al tipo di<br />

regolamentazione dominante che, per esempio nel patrimonialismo, ricevono tutte le<br />

relazioni non determinate dalla tradizione sacra, e che vengono dispensate mediante<br />

privilegi individuali e incarichi di favore.<br />

(Max Weber, Economia e società, edizioni di Comunità, Milano 1961)<br />

❱❱ 9. Livello sociale e livello individuale<br />

Fra la massa e il singolo esiste una differenza di livello: la stessa che sorge (e può<br />

essere compresa) ogni volta che i modi e le qualità del «far massa» – quelli che assimilano<br />

l’individuo a una collet tività – vengono distinti da altri, tipici <strong>della</strong> sfera privata<br />

e tali da isolare una persona dal suo gruppo di ap partenenza. […] L’individuo<br />

può possedere le qualità <strong>più</strong> fini e evolute: ma ogni volta che ciò accade, diventa<br />

anche meno probabile la sua uguaglianza rispetto agli altri (os sia la formazione di<br />

unità), mentre le sue caratteristiche divengono sempre <strong>più</strong> incomparabili e, infine, si<br />

ridu cono quei margini di sensibilità primitive che lo accomunano agli altri, fino a dar<br />

vita ad una massa unitaria. Può allora accadere che il «popolo» sia erroneamente<br />

inteso come una «massa», senza che gli individui se ne sentano partecipi, anche perché,<br />

cosi facendo, di indi vidui non si parla affatto. L’individuo, se considerato come<br />

tale e come un tutto, possiede delle qualità supe riori rispetto a quelle che lo accomunano<br />

ad un collet tivo.<br />

Secondo le parole di Schiller: «Gli uomini, singo larmente presi, sono abbastanza<br />

arguti e intelligenti. Ma provate a metterli insieme e avrete di fronte una banda d’imbecilli».<br />

Heine, invece, dedica <strong>più</strong> attenzione al mo mento in cui, dall’incontro fra<br />

personalità diverse, emergono come tratti comuni gli elementi <strong>più</strong> infimi di ciascuna.<br />

39


Storia del pensiero sociologico<br />

40<br />

Scrive infatti: «Raramente mi avete capito e raramente io ho capito voi. Solo se ci<br />

trovassimo nel le tame potremmo capirci al meglio».<br />

Questa differenza di livello fra il soggetto individuo e il soggetto massa si estende a<br />

tutta la vita sociale ed è tal mente ricca di implicazioni da spingermi ad elencare qualche<br />

altro parere: soprattutto di quelle personalità che, trovandosi in una posizione<br />

particolare – ancorché diversa –, seppero accumulare una vasta esperienza in materia<br />

di relazioni pubbliche. Solone pare abbia detto che i suoi ateniesi erano tante volpi<br />

astute, ma una volta riuniti sul Pnyx si trasformavano in un gregge di pecore. Nelle<br />

sue memorie, descrivendo le sedute del parlamen to di Parigi all’epoca <strong>della</strong> fronda,<br />

il Cardinale di Retz osserva che molte corporazioni, pur contenendo anche <strong>degli</strong><br />

esponenti autorevoli e istruiti, in sede di consulta zione comune solevano comportarsi<br />

come la plebe e obbedivano ai suoi stessi istinti e alle medesime passioni. Come<br />

Solone, anche Federico il Grande dichiara che i suoi generali, se presi ad uno ad uno,<br />

sono le persone <strong>più</strong> razionali del mondo: ma una volta riuniti in un con siglio di guerra<br />

si comportano come tante pecore. Identico è il parere dello storico inglese Freeman,<br />

che osser va come la Camera Bassa – a giudicare dal rango dei suoi esponenti – sia<br />

una corporazione aristocratica: ma durante le sedute non ha nulla di diverso da<br />

un’accoz zaglia di democratici. Il massimo studioso delle corpo razioni inglesi rileva<br />

come nelle loro assemblee di massa si prendano delle decisioni tanto assurde e dannose<br />

da indurre la maggior parte delle Unions a rinunciarvi e a preferire le assemblee<br />

di delegati.<br />

Vediamo dunque come, da una varietà di osservazioni, emerga un parere concorde.<br />

Esse, d’altronde, a prescin dere dal contenuto, hanno una rilevanza sociologica non<br />

solo per la loro generalità, ma anche perché sim boleggiano delle situazioni e dei fenomeni<br />

di grande importanza storica. Il mangiare e il bere (ossia le funzioni <strong>più</strong> antiche,<br />

ma anche le meno elevate sul piano intellettuale) possono essere il trait d’union<br />

(spesse volte il solo) fra persone e gruppi del tutto eterogenei. Nei circoli per soli<br />

uomini, anche se culturalmente elevati, ci si abbandona spesso al racconto di storielle<br />

oscene. Nei gruppi giovanili, la gioia <strong>più</strong> scatenata e l’unione <strong>più</strong> stretta fra membro<br />

e membro si ottiene con dei giochi di società, il cui carattere è spesso dei <strong>più</strong><br />

triviali e pri mitivi. La necessità di appartenenza ad una grande massa (e di restarvi il<br />

<strong>più</strong> a lungo possibile) torna così a detri mento del carattere. Essa infatti spoglia il<br />

singolo <strong>della</strong> sua cultura individuale e lo costringe a scendere tanto in basso da potersi<br />

associare con chiunque. […] Le azioni <strong>della</strong> massa puntano dritto allo scopo e<br />

cercano di raggiungerlo per la via <strong>più</strong> breve: questo fa sì che, a dominarle, sia sempre<br />

una sola idea, la <strong>più</strong> semplice possibile. Capita assai di rado che, nelle loro coscienze,<br />

i membri di una grande massa ab biano un vasto campionario di idee in comune<br />

con gli altri. Inoltre, data la complessità <strong>della</strong> realtà contem poranea, ogni idea semplice<br />

deve anche essere la <strong>più</strong> ra dicale ed esclusiva. Ciò spiega il successo dei partiti<br />

ra dicali nei periodi di grandi turbolenze di massa e la de bolezza dei partiti moderati,<br />

nel loro sforzo di risolvere le vertenze con gli strumenti del diritto. […] La<br />

massa non mente né simula mai, anche perché, data la sua struttura psichica, le manca<br />

il benché minimo senso del la responsabilità.<br />

[…] In generale, chiunque abbia voluto agire sulla massa lo ha sempre fatto con un<br />

appello ai sentimenti e solo di rado si è servito di argomenti teorici. Questo vale<br />

principalmente per una massa che si trovi concen trata in un sol luogo. In tal caso<br />

assistiamo ad un fe nomeno che potremmo indicare come suscettibilità col lettiva.<br />

Tipica <strong>della</strong> grande massa è assai spesso una passione, un’eccentricità, un’irritabilità


Storia del pensiero sociologico<br />

che difficilmen te compare nei suoi membri singolarmente presi. Il fenomeno interessa<br />

anche gli animali che vivono aggregati: il battito d’ali <strong>più</strong> leggero, uno scatto anche<br />

minimo di qualcuno, possono scatenare nel branco una vera e propria forma di timor<br />

panico. L’effetto alle volte ab norme di sollecitazioni episodiche, l’alternarsi vertiginoso<br />

di impulsi d’odio e d’amore, la suscettibilità quasi incomprensibile <strong>della</strong> massa,<br />

che la spinge a un’azione dirompente e annulla ogni distanza individuale tutto questo,<br />

insomma, deriva dall’effetto congiunto di mol teplici effusioni del sentimento che,<br />

propagandosi fra gli individui, si sommano in un’eccitazione collettiva che il singolo<br />

non basta a spiegare. È questo uno dei fenomeni <strong>più</strong> istruttivi nel campo <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong><br />

pura: l’individuo è posseduto dalla massa – e dal suo «stato d’animo» turbinoso<br />

– come da un po tere esterno, che lo oppone a se stesso e al suo volere. Ciò, nonostante<br />

il fatto che la massa consista solo di in dividui, delle loro forme di reciprocità,<br />

e sviluppi una dinamica che, date le dimensioni, appare come qualcosa di oggettivo,<br />

capace di nascondere a ciascuno il relativo apporto individuale. Di fatto, l’individuo<br />

ne è partecipe proprio perché trascinato nel suo stesso vortice. […] Innumerevoli<br />

esempi ci insegnano come sia proprio l’in telletto individuale a venir meno di fronte<br />

al crescere dell’emotività, quasi che il numero delle persone a con tatto fungesse da<br />

moltiplicatore per una potenza di sen timento che è l’individuo stesso a trasmettere.<br />

A teatro o nelle assemblee capita <strong>più</strong> volte di ridere per delle bat tute che, in privato,<br />

non si ascolterebbero nemmeno: le stesse di cui, con vergogna, ci informano i resoconti<br />

parlamentari, quando riportano un’espressione come: ilarità! In simili momenti<br />

di eccitazione collettiva, a soc combere non sono solo le istanze critiche dell’intelletto,<br />

ma anche quelle <strong>della</strong> moralità. Da ciò, infatti, traggo no spiegazione i cosiddetti<br />

crimini collettivi: quelli in cui ciascuno si proclama innocente con piena certezza<br />

soggettiva e buon diritto oggettivo, poiché, dilatandosi ol tremisura, le vibrazioni del<br />

sentimento assorbono anche la quota di energia psichica che provvede, di regola, a<br />

mantenere unita la personalità e a farne qualcosa di re sponsabile. Questo coinvolgimento<br />

nella massa, pur possedendo anche una dimensione etica – che si mani festa in<br />

un nobile fervore e nella <strong>più</strong> completa disponi bilità al sacrificio –, non può che apparirci<br />

abnorme e irrazionale: in sua presenza, l’individuo è spinto al di là delle norme<br />

valutative da cui, <strong>più</strong> o meno attivamente, aveva tratto impulso la sua coscienza.<br />

In base alle considerazioni fin qui svolte, la formazione di un livello sociale può essere<br />

espressa in questa for mula: quel che è comune a tutti, può solo appartenere a chi<br />

possiede di meno. […]<br />

È dunque illusorio credere che il livello di una comunità unitaria (o per lo meno tale<br />

da un punto di vista pratico) sia per davvero il livello «medio». Per calcolare questa<br />

«media» bisognerebbe sommare le posizioni di tutti gli individui e dividere il risultato<br />

per il loro numero. Ma ciò equivarrebbe ad elevare la posizione dei <strong>più</strong> umili,<br />

con un’operazione tanto irreale quanto improduttiva. La comunità, semmai, si trova<br />

tanto <strong>più</strong> vicina al loro livello, quanto <strong>più</strong> spesso accade che tutti i suoi membri siano<br />

accomunati da valori e attività uniformi. Per sua natura il comportamento collettivo<br />

tende a coincidere con quello delle persone <strong>più</strong> umili e, a meno di non confondermi<br />

a mia volta, penso sia esatto parlare di «mediocrità» quando si vuole intendere non<br />

il valore medio di una totalità di individui e prestazioni, ma in una qualità di gran<br />

lunga inferiore. […] Il livello sociale non si individua quasi mai con quello <strong>degli</strong><br />

individui <strong>più</strong> umili: tende a coincidervi, ma resta il <strong>più</strong> delle volte al di sopra. C’è<br />

infatti una forma di resistenza che, in diversa misura e da parte <strong>degli</strong> individui <strong>più</strong><br />

dotati, tende ad opporsi a questo abbassamento collettivo. La sua azione impedisce<br />

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Storia del pensiero sociologico<br />

42<br />

che l’agire <strong>della</strong> comunità precipiti verso i livelli <strong>più</strong> bassi. […] l’uomo può regredire<br />

facilmente, ma progredisce con molta fatica.<br />

❱❱ 10. Lo spirito libero<br />

(Georg Simmel, Forme e giochi di società, Feltrinelli, Milano 1983)<br />

O sancta simplicitas! In quale strana semplificazione e fal sificazione vive l’uomo!<br />

Non si finisce mai di meravigliarsi quando si è assistito ad un tale prodigio! Come<br />

abbiamo reso chiaro e libero e facile e semplice tutto quanto ci circonda! Come abbiamo<br />

saputo dare a noi stessi un lascia-passare per tutto ciò che è superficiale e al<br />

nostro pensiero una divina avidità di salti spavaldi e di paralogismi! – come abbiamo<br />

imparato fin dall’inizio a conservarci la nostra ignoranza, per godere di una libertà,<br />

una sicurezza, una imprudenza, una riso lutezza, una serenità di vita appena concepibili,<br />

per godere <strong>della</strong> vita! E, solo su questo fondo di ignoranza ormai saldo e granitico<br />

ha potuto erigersi finora la scienza; la volontà di sapere sulla base di una volontà<br />

molto <strong>più</strong> potente, <strong>della</strong> vo lontà di non-sapere, di incertezza, di non-verità! Non<br />

come suo contrario, ma – come suo perfezionamento! […] Correte a nascondervi! E<br />

usate la vostra maschera e l’astuzia perché vi si confonda con altri! O vi si tema un<br />

poco! E non dimenticate il giar dino, il giardino dalle inferriate d’oro! E abbiate uomini<br />

in torno a voi che siano come un giardino, – o come musica sulle acque, quando<br />

è sera, e già il giorno diventa ricordo: – sce gliete la buona solitudine, la libera, coraggiosa,<br />

lieve solitu dine, che vi dà anche un diritto di restare ancora, in un certo<br />

senso, buoni! Come rende velenosi, astuti, cattivi questa lunga guerra, che non si<br />

lascia condurre con violenza e a viso aperto! Come rende personali una lunga paura!<br />

una lunga attenzione al nemico, a un nemico possibile! Questi respinti dalla società,<br />

eternamente perseguitati, istigati con perfidia, – compresi gli eremiti per forza, gli<br />

Spinoza e i Giordano Bruno – alla fine diventano sempre, e sia pure sotto la maschera<br />

<strong>più</strong> spirituale, e forse addirittura senza saperlo, dei raffinati ricercatori di vendetta<br />

e avvelenatori. […] Ogni persona eletta tende istintivamente al suo rifugio e alla sua<br />

intimità, dove poter essere libera dalla massa, dai molti, dai troppi, dove poter dimenticare<br />

la regola «uomo», in quanto sua eccezione: – escluso l’unico caso, che egli<br />

venga spinto da un istinto ancora <strong>più</strong> forte direttamente su questa regola, come uomo<br />

<strong>della</strong> conoscenza in senso sublime ed eccezionale. Chi nel rapporto con gli uomini<br />

non ha assunto, secondo le circostanze, tutti i colori <strong>della</strong> pena, verde e grigio di<br />

nausea, fastidio, pietà, tetraggine, abbandono, non è certo un uomo di gusto superiore;<br />

ma se egli non si assume volontariamente tutti questi pesi e questo fastidio, se li<br />

elude sempre e rimane, come si è detto, silenzioso e superbo, rinchiuso nella sua<br />

torre, allora una cosa è certa: egli non è fatto, non è predestinato alla conoscenza.<br />

Perché, se lo fosse, dovrebbe dirsi un giorno «al diavolo il mio buon gusto! la regola<br />

è <strong>più</strong> inte ressante dell’eccezione, – di me, che sono l’eccezione!» – e scenderebbe in<br />

basso, soprattutto «dentro». Lo studio dell’uo mo medio, lungo, severo che vuole<br />

molte simulazioni, superamenti di sé, fiducia, cattive compagnie – ogni compagnia è<br />

cattiva, eccetto quella dei propri pari –: costituisce una parte necessaria <strong>della</strong> biografia<br />

di ogni filosofo, forse la <strong>più</strong> sgrade vole, la <strong>più</strong> maleodorante, la <strong>più</strong> ricca di delusione.<br />

Ma se egli ha fortuna, come si addice a un beniamino <strong>della</strong> cono scenza, allora<br />

incontrerà chi gli abbrevierà e gli mitigherà il compito, – intendo i cosiddetti cinici,<br />

dunque quei tali che riconoscono semplicemente in sé la bestia, la volgarità, la «re-


Storia del pensiero sociologico<br />

gola» e che oltre a ciò possiedono tuttavia abbastanza spiri tualità e sensibilità per<br />

sentire la necessità di parlare di sé e dei propri simili dinnanzi a testimoni: – talvolta<br />

si roto lano persino nei libri come nei loro stessi escrementi. Il Ci nismo è l’unica<br />

forma nella quale anime volgari rasentano l’onestà – e di fronte al cinismo <strong>più</strong> rozzo<br />

o <strong>più</strong> raffinato l’uomo superiore deve aprire bene le orecchie e congratularsi ogni<br />

volta con sé stesso, se proprio di fronte a lui il pagliac cio sfrontato o il satiro <strong>della</strong><br />

scienza parlano a voce alta, Ci sono persino casi nei quali alla nausea si mescola<br />

l’incanto: lì, cioè, dove per un capriccio <strong>della</strong> natura, il genio è unito a un tale sfrontato<br />

caprone e a una scimmia, come nel caso del l’Abbé Galiani, l’uomo <strong>più</strong> profondo,<br />

il <strong>più</strong> acuto e forse anche il <strong>più</strong> sporco del suo secolo – fu molto <strong>più</strong> profondo di<br />

Voltai re e di conseguenza anche molto <strong>più</strong> silenzioso. È accaduto già molto spesso<br />

che, come si è accennato, si abbia una testa di scienziato su un corpo di scimmia, un<br />

intelletto eccezional mente fine in un’anima volgare – un caso per nulla raro, in particolare<br />

fra i medici e i fisiologi <strong>della</strong> morale. E ogni volta che si parla senza amarezza,<br />

anzi tranquillamente del l’uomo come di un ventre con due bisogni e di una testa<br />

che ne ha uno solo; dovunque si veda, si cerchi e si voglia ve dere sempre solo fame,<br />

libidine sessuale e presunzione, come se esse fossero gli unici e veri moventi delle<br />

azioni umane; in breve, dove si parli «male» dell’uomo – e neppure con cattiveria –,<br />

lì l’amante <strong>della</strong> conoscenza, dovrà ascoltare con acuta attenzione e con zelo dovrà<br />

tendere l’orecchio sopratutto quando si parla senza indignazione. Poiché l’uomo indignato,<br />

e colui che sempre si strazia e si sbrana con i propri denti (o in sostituzione<br />

di sé strazia il mondo, o Dio, o la società), può sì secondo la morale, essere superiore<br />

al satiro che ride; pago di sé, ma in ogni altro caso è il caso <strong>più</strong> comune, <strong>più</strong> insignificante,<br />

meno istruttivo. E nessuno mente quanto l’in dignato. […]<br />

Ciò che è balsamo e nutrimento per la specie <strong>più</strong> elevata <strong>degli</strong> uomini, deve essere<br />

quasi veleno per una specie assai diversa e infe riore. Le virtù dell’uomo comune<br />

avrebbero forse in un filosofo il significato di vizio e di debolezza; sarebbe possibile<br />

che un uomo di tipo superiore, posto che degenerasse e an dasse in rovina, giungesse<br />

solo in questo modo a possedere le qualità in virtù delle quali fosse sentita la necessità<br />

di ve nerarlo come un santo, nel mondo abietto nel quale è spro fondato. Esistono<br />

libri che hanno per l’anima e per la salute un valore opposto a seconda che se ne<br />

serva un’anima vol gare, un’inferiore forza vitale, oppure la <strong>più</strong> elevata e pos sente;<br />

nel primo caso quei libri sono pericolosi, stritolano e dissolvono, nell’altro sono i<br />

richiami dell’araldo che invitano i <strong>più</strong> prodi a dar prova del loro valore. I libri per<br />

tutti sono sempre libri maleodoranti: vi si attacca l’odore <strong>della</strong> piccola gente. Dove<br />

il popolo mangia e beve, persino dove adora, lì di solito c’è fetore. Non bisogna entrare<br />

in una chiesa, se si vuole respirare aria pura.<br />

(Friedrich Nietzsche, Al di là dei, bene e del male, Newton Compton,<br />

Roma 1977)<br />

❱❱ 11. La scienza <strong>della</strong> politica<br />

L’emergere e lo sparire dei problemi nel nostro orizzonte intellettuale sono governati<br />

da un principio di cui non siamo ancora pienamente consapevoli. La nascita e la<br />

scomparsa di interi sistemi gnoseologici possono conclusivamente essere riportati a<br />

certi fattori e divenire pertanto comprensibili. Ci sono già stati dei tentativi, nella<br />

storia dell’arte, volti a scoprire per quali ragioni e quando la scultura o altre espres-<br />

43


Storia del pensiero sociologico<br />

44<br />

sioni figurative diventano le forme d’arte dominanti di un’età. Allo stesso modo, la<br />

<strong>sociologia</strong> del sapere dovrebbe cercare di spiegare le condizioni per cui nascono e<br />

s’affermano certi problemi e discipline. A lungo andare, il sociologo dovrebbe essere<br />

in grado di non attribuire realtà e la soluzione delle varie questioni alla sola presenza<br />

e abilità <strong>degli</strong> individui. I complessi rapporti sussistenti tra i diversi problemi,<br />

in un dato tempo e luogo, vanno in ogni caso, considerati nel quadro generale <strong>della</strong><br />

società in cui si danno, anche se esso non può sempre fornirci un’idea esatta di tutti<br />

i particolari. È pur vero che il singolo ha talora l’impressione dell’assoluta autonomia<br />

delle sue convinzioni, <strong>della</strong> loro indipendenza dall’assetto sociale; non è davvero<br />

infrequente per uno che vive in un mondo provinciale e socialmente ristretto pensare<br />

alle proprie cose, come a fatti del tutto isolati e di cui lui solo è responsabile. La <strong>sociologia</strong><br />

non può, tuttavia, accontentarsi di questa prospettiva limitata ed immediata.<br />

I fatti che all’apparenza sono sle gati e isolati debbano venire intesi in quel dinamico<br />

e sempre nuovo piano di esperienza che costituisce la loro vera concretezza. Solo in<br />

un tale contesto essi acquistano significato. Se la <strong>sociologia</strong> <strong>della</strong> cono scienza dovesse<br />

conseguire un qualche successo in questo tipo d’analisi, molte questioni che sino<br />

ad ora sono rimaste oscure potrebbero essere chiarite. Un tale progresso ci consentirebbe<br />

infatti di capire perché la <strong>sociologia</strong> e l’economia sono di data recente, perché<br />

esse hanno progredi to in certi paesi e in altri sono state invece impedite e ostacolate<br />

ogni mezzo. Diverrebbe ugualmente possibile rispondere ad un problema, cui mai è<br />

stata data risposta, e cioè al fatto che noi non abbiamo ancora assistito ad alcun sviluppo<br />

<strong>della</strong> scienza politica. In un mondo pervaso da un ethos razionalistico come il<br />

nostro, ciò costituisce una notevole anomalia.<br />

Non esiste quasi sfera dell’esistenza di cui non s’abbia una qualche conoscenza scientifica<br />

e per cui non valgano efficaci metodi di insegna mento. Si deve allora pensare<br />

che proprio la parte dell’attività umana dal cui controllo dipende il nostro destino, sia<br />

ostica al punto che la scienza non riesca a violarne i segreti? Non si possano trascurare<br />

gli aspetti problematici <strong>della</strong> questione. Quel che resta da vedere è se essa rifletta<br />

semplicemente uno stato provvisorio che si può superare o se invece noi non abbiamo<br />

già raggiunto, in questa sfera, il massimo e definitivo grado di conoscenza.<br />

Si può osservare, in favore <strong>della</strong> prima possibilità, che le scienze sociali sono ancora<br />

nello stato d’infanzia. Sarebbe allora legittimo con cludere dall’immaturità delle <strong>più</strong><br />

fondamentali fra tali discipline anche l’arretratezza di questa scienza «applicata». Se<br />

così fosse, basterebbe soltanto attendere che questo ritardo venga meno, e certamente<br />

la suc cessiva ricerca sarebbe poi in grado di esercitare sulla società un con trollo<br />

paragonabile a quello che oggi operiamo sul mondo fisico.<br />

La tesi opposta si fonda invece nella vaga consapevolezza che la prassi politica costituisca<br />

qualcosa di qualitativamente diverso da ogni altro tipo di esperienza umana,<br />

e che di conseguenza la sua compren sione presenti ostacoli assai maggiori di quanto<br />

non avvenga per gli altri campi del sapere. Ne segue che tutti gli sforzi per sottomettere<br />

questi fenomeni all’analisi scientifica sono considerati condannati all’in successo<br />

a causa <strong>della</strong> loro particolare natura.<br />

Una corretta impostazione del problema sarebbe già un successo rimarchevole. Renderci<br />

conto <strong>della</strong> nostra ignoranza costituirebbe in vero un grande passo in avanti, in<br />

quanto ci spiegheremmo allora perché la conoscenza e la comunicazione non sono in<br />

questo caso possibili. Pertanto il nostro primo compito consiste in una rigorosa definizione<br />

del problema. Esso si pone in questo modo: che cosa s’intende allorché domandiamo:<br />

è possibile una scienza <strong>della</strong> politica?


Storia del pensiero sociologico<br />

Ci sono alcuni aspetti <strong>della</strong> politica che sano immediatamente com prensibili e comunicabili.<br />

Un esperto e navigato leader politico do vrebbe infatti conoscere la storia del<br />

proprio paese e quella delle nazioni vicine, le quali costituiscono il teatro delle sue<br />

iniziative; ne con segue che la conoscenza <strong>della</strong> storia e una rilevante informazione<br />

stati stica sono indispensabili per la sua attività. Inoltre, un capo politico dovrebbe<br />

sapere qualcosa anche delle istituzioni politiche di quei paesi a cui è interessato. È<br />

comunque indispensabile che la sua esperienza non sia solo giuridica, ma includa<br />

anche una conoscenza delle relazioni sociali che sano a base <strong>della</strong> struttura istituzionale<br />

e insieme ne assi curano il funzionamento. Del pari, egli non deve ignorare le<br />

idee poli tiche tradizionali del proprio paese, né può restare all’oscuro di quelle appartenenti<br />

ai suoi avversari. Ci sono ancora altri problemi, sebbene meno immediati,<br />

che sono venuti in discussione nel nostro tempo: intendiamo riferirci, ad esempio,<br />

alle tecniche con cui poter disporre delle folle, senza le quali è impossibile affermarsi<br />

in una democrazia di masse come l’attuale. La storia, la statistica e la teoria politica,<br />

la socio logia, la storia delle idee e la psicologia sociale rappresentano, tra le<br />

molte altre discipline, campi del sapere particolarmente importanti per il leader politico.<br />

Se noi volessimo tracciare un vero e proprio curricu lum <strong>della</strong> sua educazione,<br />

gli studi in questione dovrebbero esservi senza dubbio inclusi. Le discipline già menzionate<br />

non offrono, comunque, molto di <strong>più</strong> di una conoscenza pratica, utilizzabile<br />

appunto dal poli tico di professione. Ma esse, anche se prese nel loro complesso, non<br />

bastano a darci una scienza <strong>della</strong> politica e, al massimo, possono servire come sue<br />

discipline ausiliarie. Se per politica intendessimo la semplice gamma delle nozioni<br />

pratiche utili per la condotta del leader o dell’uomo di partito, nessun dubbio si potrebbe<br />

levare sull’esistenza di una tale scienza e sulla sua insegnabilità. L’unico<br />

problema pedagogico consi sterebbe, in questo caso, nel trascegliere dal numero<br />

pressoché infinito dei fatti quelli <strong>più</strong> rilevanti ai fini dell’azione politica.<br />

È tuttavia evidente che la questione «Quali condizioni richiede una scienza <strong>della</strong><br />

politica e come può essa venire insegnata?» non si riferisce all’insieme di notizie<br />

pratiche sopra menzionate. In che consiste allora il problema?<br />

Le discipline che abbiamo esaminato sono strutturalmente con nesse solo nella misura<br />

in cui si occupano <strong>della</strong> società e dello Stato come se fossero i prodotti finali <strong>della</strong><br />

storia passata. La prassi politica, invece, si interessa dell’assetto sociale e dello stato<br />

nel loro nascere e nel loro formarsi. Essa ha che fare con un processo nel quale ogni<br />

momento dà luogo a una situazione irripetibile e da cui si cerca di isolare qualcosa<br />

che abbia un valore permanente. Nasce allora la que stione: «C’è una scienza di questo<br />

divenire, una scienza dell’attività creatrice?».<br />

Il primo stadio nell’elaborazione del problema è così raggiunto. Qual è (nell’ambito<br />

<strong>della</strong> società) il significato di questo contrasto tra ciò che è stato e ciò che sta divenendo?<br />

[…]<br />

Per razionale che la nostra vita attuale possa sembrare, tutti i progressi che in tal<br />

senso si sono compiuti fino qui sono solamente parziali, in quanto i <strong>più</strong> importanti<br />

settori <strong>della</strong> vita sociale sono tuttora ancorati all’irrazionale. La nostra vita economica,<br />

sebbene assai sviluppata nel suo aspetto tecnico e prevedibile in taluni suoi rapporti,<br />

non presenta, nel suo insieme, un ordine assoluto. Malgrado tutte le tendenze<br />

verso il monopolio e l’organizzazione, la libera competizione gioca ancora un ruolo<br />

decisivo. La nostra struttura sociale si definisce in termini di classe; ciò significa che<br />

non sono tanto i fatti oggettivi, quanto le forze irrazionali <strong>della</strong> lotta sociale a decidere<br />

il posto e la funzione dell’indivi duo nella società. Non altrimenti, il potere nella<br />

45


Storia del pensiero sociologico<br />

46<br />

vita <strong>della</strong> singola na zione e del mondo si consegue con la lotta, che è di per sé irrazionale<br />

e in cui il caso ha non poca importanza. Queste forze irrazionali costitui scono<br />

quella sfera <strong>della</strong> vita sociale che non è ancora organizzata e nella quale il comportamento,<br />

nel senso che s’è accennato, e la politica diven gono necessari. Le due principali<br />

sorgenti dell’irrazionalismo nella strut tura sociale (ovvero la lotta incontrollata<br />

e il predominio <strong>della</strong> forza) sono alla base <strong>della</strong> società tuttora disorganizzata, per<br />

cui la politica si rende indispensabile. Attorno a questi due centri, si accumulano quegli<br />

altri profondi elementi irrazionali che noi di solito chiamiamo emo zioni. Dal<br />

punto di vista sociologico, esiste senza dubbio una connessione tra la parte <strong>della</strong><br />

società ove prevalgono la lotta e la forza e l’integra zione sociale delle reazioni emozionali.<br />

Il problema deve allora essere formulato così: Quale conoscenza possediamo o è<br />

possibile ottenere di questa parte <strong>della</strong> vita sociale e del tipo di comportamento che<br />

in essa si presenta? Esso ci si presenta nella forma <strong>più</strong> facile per essere chiarito. Una<br />

volta determinato dove comincia il regno <strong>della</strong> politica e dove il comportamento (nel<br />

senso che s’è detto) diviene effettivo, noi siamo in grado di indicare quali siano le<br />

difficoltà che si frappongano allo studio dei rapporti tra la teoria e la pratica.<br />

❱❱ 12. Le istituzioni totali<br />

(Karl Mannheim, Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna 1957)<br />

Le organizzazioni sociali – o istituzioni nel senso comu ne del termine – sono luoghi,<br />

locali o insiemi di locali, e difici, costruzioni, dove si svolge con regolarità una certa<br />

attività. In <strong>sociologia</strong> non esiste un modo particolare di classificarle. Alcune istituzioni,<br />

come la stazione centrale, sono accessibili a chiunque si comporti in modo<br />

decente; altre, come l’Union Club di New York, o i laboratori di Los Alamos sembrano<br />

<strong>più</strong> esclusive e rigorose circa il li vello dei loro partecipanti; altre ancora, come<br />

negozi o uf fici postali, sono costituite da alcuni membri fissi che vi svolgono un<br />

certo servizio, e da un continuo fluire di per sone che lo richiedono. Altre, come case<br />

e fabbriche, coin volgono un gruppo meno fluttuante di partecipanti. In al cune istituzioni<br />

si svolgono attività dalle quali viene sanci ta la condizione sociale di coloro che<br />

ne fanno parte, il che può essere <strong>più</strong> o meno gradito. Altre invece consentono il raggrupparsi<br />

di persone allo scopo di svolgere un tipo di attività ricreative da loro scelte,<br />

sfruttando il tempo rima sto libero da attività impegnative. In questo saggio viene<br />

isolata e riconosciuta come naturale e ricca di possibilità di indagine, un’altra categoria<br />

di istituzioni, i cui membri sembrano avere tanti elementi in comune con quelli<br />

delle altre che, per studiarne una, risulterebbe utile esaminarle tutte.<br />

Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e <strong>degli</strong> interessi di coloro che da<br />

essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che<br />

tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azio ne inglobante. Nella nostra<br />

società occidentale ci sono tipi diversi di istituzioni, alcune delle quali agiscono con<br />

un potere inglobante – seppur discontinuo – <strong>più</strong> penetrante di altre. Questo carattere<br />

inglobante o totale è simbolizza to nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita<br />

ver so il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche<br />

dell’istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d’acqua, foreste o<br />

brughie re. Questo tipo di istituzioni io lo chiamo «istituzioni to tali» ed è appunto il<br />

loro carattere generale che intendo qui analizzare.


Storia del pensiero sociologico<br />

Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate – grosso modo<br />

– in cinque categorie. Primo, le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi<br />

(isti tuti per ciechi, vecchi, orfani o indigenti). Secondo, luoghi istituiti a tutela di<br />

coloro che, incapaci di badare a se stes si, rappresentano un pericolo – anche se non<br />

intenziona le – per la comunità (sanatori per tubercolotici, ospedali psichiatrici e lebbrosari).<br />

Il terzo tipo di istituzioni totali serve a proteggere la società da ciò che si<br />

rivela come un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere<br />

delle persone segregate non risulta la finalità immediata dell’istituzione che li segrega<br />

(prigioni, peni tenziari, campi per prigionieri di guerra, campi di concen tramento).<br />

Quarto, le istituzioni create al solo scopo di svolgervi una certa attività, che trovano<br />

la loro giustifica zione sul piano strumentale (furerie militari, navi, collegi, campi di<br />

lavoro, piantagioni coloniali e grandi fattorie, queste ultime guardate naturalmente<br />

dalla parte di coloro che vivono nello spazio riservato ai servi). Infine vi sono le organizzazioni<br />

definite come «staccate dal mondo» che pe rò hanno anche la funzione<br />

di servire come luoghi di prepa razione per religiosi (abbazie, monasteri, conventi ed<br />

altri tipi di chiostri). Una suddivisione delle istituzioni totali così formulata non è né<br />

chiara, né esauriente, né può ser vire di base per uno studio analitico dell’argomento.<br />

Essa risulta tuttavia capace di darci una definizione significati va <strong>della</strong> categoria, come<br />

punto di partenza concreto. […] Nessuno <strong>degli</strong> elementi che descriverò sembra tipicamente<br />

peculiare delle istitu zioni totali, né può essere condiviso da tutte. Ciò che è<br />

ti pico nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo grado, molti<br />

elementi in comune in questo ti po di caratteristiche. […] Uno <strong>degli</strong> assetti sociali<br />

fondamentali nella società mo derna è che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a<br />

lavo rare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse <strong>autori</strong>tà o senza alcuno<br />

schema razionale di carattere glo bale. Caratteristica principale delle istituzioni<br />

totali può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abi tualmente separano<br />

queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti <strong>della</strong> vita si svolgono nello stesso luogo<br />

e sotto la stessa, unica <strong>autori</strong>tà. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si<br />

svolge a stretto contatto di un enorme grup po di persone, trattate tutte allo stesso modo<br />

e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere<br />

sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall’una<br />

all’altra, dato che il complesso di attività è imposto dall’alto da un siste ma di regole<br />

formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per ultimo, le varie<br />

attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, apposita mente<br />

designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione.<br />

Queste caratteristiche possono essere riscontrate, isola tamente, anche in luoghi che<br />

non hanno niente a che fare con le istituzioni totali. Ad esempio, le nostre grandi<br />

organizza zioni commerciali, industriali e culturali vanno sempre <strong>più</strong> fornendo luoghi<br />

di ristoro e svaghi ricreativi per il tempo libero dei loro dipendenti. Tuttavia il fatto<br />

di poter gode re di una <strong>più</strong> vasta gamma di possibilità, conserva – sotto molti aspetti<br />

– un carattere volontario e ci si preoccupa, anzi, di non far estendere il potere usuale<br />

dell’<strong>autori</strong>tà fi no a questo territorio. Analogamente le «casalinghe» o le famiglie che<br />

vivono nelle fattorie di campagna possono svolgere le loro attività vitali <strong>più</strong> importanti<br />

all’interno di una medesima area recintata, senza tuttavia essere irreggi mentate<br />

collettivamente, dato che non svolgono loro attività giornaliere a stretto contatto di<br />

gruppi di persone nelle loro medesime condizioni.<br />

Il fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il do ver «manipolare» molti bisogni<br />

umani per mezzo dell’or ganizzazione burocratica di intere masse di persone – sia che<br />

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Storia del pensiero sociologico<br />

48<br />

si tratti di un fatto necessario o di mezzi efficaci cui l’organizzazione sociale ricorre<br />

in particolari circostanze. Ne conseguono alcune importanti implicazioni.<br />

Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da un personale<br />

la cui principale attività non risulta la guida o il controllo periodico (come può<br />

es sere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore), quanto piuttosto un tipo di<br />

sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla che ciascun membro faccia ciò<br />

che gli è stato chiesto di fare, in una situazione dove si tenderà a puntualizzare l’infrazione<br />

dell’uno contrapponendola all’evidente zelo dell’altro che, per questo, verrà<br />

costante mente messo in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a precedere<br />

il costituirsi del piccolo staff con trollore o viceversa, non è questo il problema; ciò<br />

che con ta è che l’uno è fatto per l’altro.<br />

Nelle istituzioni totali c’è una distinzione fondamentale fra un grande gruppo di persone<br />

controllate, chiamate op portunamente «internati», e un piccolo staff che controlla.<br />

Gli internati vivono generalmente nell’istituzione con limitati contatti con il<br />

mondo da cui sono separati, men tre lo staff presta un servizio giornaliero di otto ore<br />

ed è socialmente integrato nel mondo esterno. Ogni gruppo tende a farsi un’immagine<br />

dell’altro secondo stereotipi li mitati e ostili: lo staff spesso giudica gli internati<br />

malevo li, diffidenti e non degni di fiducia; mentre gli internati ri tengono spesso che<br />

il personale sì conceda dall’alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo staff tende a<br />

sentirsi superiore e a pensare di aver sempre ragione; mentre gli in ternati, almeno in<br />

parte, tendono a ritenersi inferiori, de boli, degni di biasimo e colpevoli. (Nelle situazioni<br />

in cui si richiede allo staff di vivere nell’istituzione, è presumibile che esso<br />

avverta di essere sottoposto ad una particolare privazione, oltre al fatto di essere<br />

soggetto ad una condizione di dipendenza che supera ogni aspettativa).<br />

(Erving Goffman, Asylums, Einaudi, Torino 1969)<br />

❱❱ 13. Scientificizzazione <strong>della</strong> politica e opinione pubblica<br />

La scientificizzazione <strong>della</strong> politica oggi non denota ancora un dato di fatto, ma indica<br />

pur sempre una tendenza, a dimo strazione <strong>della</strong> quale si possono citare dei dati:<br />

sono soprattutto l’ampiezza <strong>della</strong> ricerca eseguita su ordinazione statale e l’am montare<br />

di consulenza scientifica nei servizi pubblici che segnano tale sviluppo. Veramente<br />

fin dall’inizio lo Stato moderno, for matosi in connessione con il traffico mercantile<br />

di economie na zionali e territoriali emergenti, a partire dai bisogni di un’amministrazione<br />

finanziaria centrale, dovette ricorrere alla competenza di funzionari con<br />

formazione giuridica. Questi però disponevano di un sapere tecnico, che nel suo<br />

genere non si distingue sostan zialmente dalla competenza, per esempio, dei militari.<br />

Come que sti dovevano organizzare gli eserciti permanenti, così i giuristi dovevano<br />

organizzare l’amministrazione permanente; il loro com pito consisteva <strong>più</strong> nell’esercizio<br />

di un’arte che nell’applica zione di una scienza. Soltanto a partire da una generazione<br />

circa, anzi, in grande stile solo a partire dalla seconda Guerra mon diale, burocrati,<br />

militari e politici si orientano nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche in<br />

base a rigorose raccomandazioni scien tifiche. Così viene raggiunto un nuovo livello<br />

di quella «razio nalizzazione», alla luce <strong>della</strong> quale Max Weber ha interpretato il<br />

formarsi del dominio burocratizzato <strong>degli</strong> Stati moderni. Non che gli scienziati abbiano<br />

conquistato il potere nello Stato, però l’esercizio del dominio all’interno e<br />

l’affermazione <strong>della</strong> potenza contro nemici esterni non sono <strong>più</strong> razionalizzati sol-


Storia del pensiero sociologico<br />

tanto con la mediazione di un’attività amministrativa organizzata sulla base <strong>della</strong><br />

divisione del lavoro, regolata secondo competenze e vinco lata a norme stabilite.<br />

Piuttosto essi sono stati ancora una volta modificati nella loro struttura dalla normatività<br />

oggettiva di nuove tecnologie e strategie. […]<br />

L’opinione pubblica esterna alla scienza diventa già molto spesso, in presenza di una<br />

divisione del lavoro molto spinta, la via <strong>più</strong> breve per la comprensione interna tra gli<br />

specialisti estraniati gli uni agli altri. Ma di que sta costrizione a tradurre informazioni<br />

scientifiche, che deriva da bisogni <strong>della</strong> ricerca stessa, profitta anche la comunicazione<br />

pre caria tra gli scienziati e il vasto pubblico dell’opinione politica.<br />

Un’ulteriore tendenza che agisce anch’essa contro la paralisi <strong>della</strong> comunicazione tra<br />

i due ambiti, risulta dalla necessità in ternazionale <strong>della</strong> coesistenza pacifica di sistemi<br />

sociali concor renti. Le regole di segretezza militari, che bloccano il libero af flusso di<br />

informazioni scientifiche al pubblico, si accordano sem pre meno infatti con le condizioni<br />

di un controllo <strong>degli</strong> arma menti che sta diventando sempre <strong>più</strong> urgente. […]<br />

Nella misura in cui le scienze vengono effettivamente utilizzate per la prassi politica,<br />

cresce oggettiva mente per gli scienziati la necessità di riflettere, ora andando an che<br />

oltre le raccomandazioni tecniche da essi prodotte, sulle con seguenze pratiche che ne<br />

derivano. Ciò si è verificato in grande stile per la prima volta nel caso <strong>degli</strong> scienziati<br />

atomici occupati alla costruzione delle bombe atomiche e nucleari.<br />

In seguito si sono svolte discussioni, in cui scienziati autore voli hanno discusso le<br />

conseguenze politiche <strong>della</strong> loro prassi di ricerca; così per esempio sui danni provocati<br />

dal fall-out radioattivo per la salute presente <strong>della</strong> popolazione e per la sostanza<br />

genetica del genere umano. Ma gli esempi sono scarsi. Tuttavia, essi mostrano che<br />

scienziati responsabili, indipendentemente dalla loro competenza specifica, spezzano<br />

i limiti <strong>della</strong> loro opinione pubblica interna alla scienza e si rivolgono direttamente<br />

all’opi nione pubblica, quando vogliono o evitare conseguenze pratiche connesse alla<br />

scelta di certe tecnologie, oppure criticare determi nati investimenti per la ricerca<br />

sulla base dei loro effetti sociali. […] Da un lato non possiamo <strong>più</strong> contare su istituzioni<br />

garantite per una discussione pubblica nel vasto pubblico dei cittadini; dall’altro,<br />

un sistema di big science, basato sulla divisione del lavoro, e un apparato burocratico<br />

di dominio possono fin troppo bene accordarsi reciproca mente avendo escluso<br />

l’opinione pubblica politica. L’alternativa che ci interessa non consiste affatto nel<br />

preordinare da una parte un gruppo dirigente che sfrutta efficacemente un potenziale<br />

di sapere essenziale per la sopravvivenza al di sopra di una popola zione manipolata<br />

dai mezzi di comunicazione di massa, e dall’al tra un altro gruppo dirigente che, essendo<br />

isolato dall’afflusso di informazioni scientifiche, non può fare in modo che il<br />

sapere tecnico entri, se non scarsamente, nel processo di formazione <strong>della</strong> volontà<br />

politica. Si tratta piuttosto di vedere se un capitale di sapere carico di conseguenze<br />

debba venire incanalato soltanto nella disposizione di uomini manipolanti tecnicamente,<br />

oppure anche recuperato nel linguaggio posseduto da uomini comuni canti.<br />

Una società scientificizzata potrebbe costituirsi come ca pace di sé solo nella misura<br />

in cui scienza e tecnica fossero me diate con la prassi sociale attraverso le teste <strong>degli</strong><br />

uomini.<br />

(Jurgen Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza,<br />

Bari 1974)<br />

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Storia del pensiero sociologico<br />

50<br />

❱❱ 14. Sorvegliare e punire<br />

Damiens era stato condannato, era il 2 marzo 1757, a «fare confessione pubblica<br />

davanti alla porta principale <strong>della</strong> Chiesa di Parigi», dove doveva essere «condotto e<br />

posto dentro una carretta a due ruote, nudo, in camicia, tenendo una torcia di cera<br />

ardente del peso di due libbre»; poi «nella detta carretta, alla piazza di Grêve, e su un<br />

patibolo che ivi sarà innalzato, tanagliato alle mammelle, braccia, cosce e grasso<br />

delle gambe, la mano destra tenente in essa il coltello con cui ha commesso il detto<br />

parricidio bruciata con fuoco di zolfo e sui posti dove sarà tanagliato, sarà gettato<br />

piombo fuso, olio bollente, pece bollente, cera e zolfo fusi insieme e in seguito il suo<br />

corpo tirato e smembrato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo consumati<br />

dal fuoco, ridotti in cenere e le sue ceneri gettate al vento».<br />

«Alla fine venne squartato, – racconta la ‘Gazzetta di Amsterdam’. – Quest’ultima<br />

operazione fu molto lunga, perché i cavalli di cui ci si serviva non erano abituati a<br />

tirare; di modo che al posto di quattro, bisognò metterne sei; e ciò non bastando ancora,<br />

si fu obbligati, per smembrare le cosce del disgraziato a tagliargli i nervi e a<br />

troncargli le giunture con la scure […]<br />

Tre quarti di secolo <strong>più</strong> tardi, ecco il regolamento redatto da Léon Faucher «per la<br />

Casa dei giovani detenuti a Parigi».<br />

«ART. 17. La giornata dei detenuti comincerà alle sei del mattino d’inverno, alle<br />

cinque d’estate. Il lavoro durerà nove ore al giorno in ogni stagione. Due ore al giorno<br />

saranno consacrate all’insegnamento. Il lavoro e la giornata termineranno alle nove<br />

d’inverno, alle otto d’estate.<br />

ART. 18. Sveglia. Al primo rullo del tamburo, i detenuti devono alzarsi e vestirsi in silenzio,<br />

mentre il sorvegliante apre la porta delle celle. Al secondo rullo essi devono essere<br />

in piedi e fare il loro letto. Al terzo, essi si mettono in fila per andare alla cappella<br />

dove si fa la preghiera del mattino. Ci sono cinque minuti d’intervallo fra ciascun rullo.<br />

ART. 19. La preghiera è fatta dal cappellano e seguita da una lettura morale o religiosa.<br />

Questo esercizio non deve durare <strong>più</strong> di mezz’ora.<br />

ART. 20. Lavoro. Alle sei meno un quarto d’estate, alle sette meno un quarto d’inverno,<br />

i detenuti scendono in cortile dove devono lavarsi le mani e la faccia e ricevere la<br />

prima distribuzione di pane. Immediatamente dopo si raggruppano secondo i laboratori<br />

e si recano al lavoro, che deve cominciare alle sei d’estate e alle sette d’inverno.<br />

ART. 21. Pasto. Alle dieci i detenuti lasciano il lavoro e si recano in refettorio; si<br />

lavano le mani nei cortili e si raggruppano per squadra. Dopo la colazione, ricreazione<br />

fino alle undici meno venti.<br />

ART. 22. Scuola. Alle undici meno venti, al rullo del tamburo, si formano le file, e si<br />

entra in scuola per squadre. L’insegnamento dura due ore, impiegate alternativamente<br />

nella lettura, nella scrittura, nel disegno lineare, nel calcolo.<br />

ART. 23. Alla una meno venti, i detenuti lasciano la scuola per squadre, e si recano<br />

nelle loro corti per la ricreazione. Alla una meno cinque, al rullo del tamburo, si riuniscono<br />

secondo i laboratori.<br />

ART. 24. Alla una i detenuti devono essere di nuovo nei laboratori: il lavoro dura fino<br />

alle quattro.<br />

ART. 25. Alle quattro si lasciano i laboratori per recarsi nei cortili dove i detenuti si<br />

lavano le mani e si riuniscono per squadre per il refettorio.<br />

ART. 26. Il pranzo e la ricreazione che segue durano fino alle cinque: in questo momento<br />

i detenuti rientrano nei laboratori.


Storia del pensiero sociologico<br />

ART. 27. Alle sette d’estate e alle otto d’inverno, il lavoro finisce; si fa un’ultima<br />

distribuzione di pane nei laboratori. Una lettura di un quarto d’ora avente per oggetto<br />

nozioni istruttive o qualche tratto commovente è fatta da un detenuto o da un<br />

sorvegliante e seguita dalla preghiera <strong>della</strong> sera.<br />

ART. 28. Alle sette e mezzo d’estate e alle otto e mezzo d’inverno, i detenuti devono<br />

essere riportati nelle loro celle, dopo il lavaggio delle mani e l’ispezione dei vestiti<br />

fatta nei cortili; al primo rullo del tamburo, svestirsi, al secondo mettersi a letto. Si<br />

chiudono le porte delle celle ed i sorveglianti fanno la ronda nei corridoi, per assicurarsi<br />

dell’ordine e del silenzio».<br />

Ecco dunque un supplizio e un impiego del tempo. Non sanzionano gli stessi crimini,<br />

non puniscono lo stesso genere di delinquenti. Ma ciascuno definisce bene un certo<br />

stile penale. Meno di un secolo li separa. È l’epoca in cui tutta l’economia del castigo<br />

viene ridistribuita, in Europa e negli Stati Uniti. Epoca di grandi «scandali» per la<br />

giustizia tradizionale, epoca di innumerevoli progetti di riforme; nuova teoria <strong>della</strong><br />

legge e del crimine, nuova giustificazione morale o politica del diritto di punire;<br />

abolizione delle antiche ordinanze, scomparsa del diritto consuetudinario; progetto o<br />

redazione di codici «moderni»: Russia, 1769; Prussia, 1780; Pennsylvania e Toscana,<br />

1786; Austria, 1788; Francia, 1791, anno Quarto, 1808 e 1810. Una nuova era, per la<br />

giustizia penale.<br />

Fra tante modificazioni, ne coglierò una: la sparizione dei supplizi. Oggi siamo un<br />

po’ portati a trascurarla: forse ai suoi tempi aveva dato luogo a troppa retorica; forse<br />

era stata, troppo facilmente e con troppa enfasi, attribuita ad una «umanizzazione»<br />

che <strong>autori</strong>zzava a non esaminarla. E, in ogni modo, quale è la sua importanza se la<br />

paragoniamo alle grandi trasformazioni istituzionali, coi loro codici espliciti e generali,<br />

le loro regole di procedura unificate; la giuria adottata quasi ovunque, la definizione<br />

del carattere essenzialmente correttivo <strong>della</strong> pena, e la tendenza, che non cessa<br />

di accentuarsi a partire dal secolo Diciannovesimo, ad adattare i castighi ai colpevoli?<br />

Punizioni meno immediatamente fisiche, una certa discrezione nell’arte di far<br />

soffrire, un gioco di dolori <strong>più</strong> sottili, <strong>più</strong> felpati, spogliati del loro fasto visibile,<br />

merita tutto questo un’attenzione particolare, quando senza dubbio non è niente di<br />

<strong>più</strong> che l’effetto di rivolgimenti <strong>più</strong> profondi? Tuttavia un fatto esiste: in pochi decenni<br />

il corpo suppliziato, squartato, amputato, simbolicamente marchiato sul viso o<br />

sulla spalla, esposto vivo o morto, dato in spettacolo, è scomparso. È scomparso il<br />

corpo come principale bersaglio <strong>della</strong> repressione penale. […]<br />

L’eliminazione del supplizio è una tendenza che si radica nella grande trasformazione<br />

<strong>degli</strong> anni 1760-1840, ma non giunge a compimento: possiamo dire che la pratica del<br />

supplizio ha ossessionato a lungo il nostro sistema penale e vi è tuttora presente. La<br />

ghigliottina, questa macchina di morte rapida e precisa, aveva iniziato in Francia una<br />

nuova etica <strong>della</strong> morte legale. Ma la Rivoluzione l’aveva subito rivestita di un grandioso<br />

rituale scenografico. Per anni fece spettacolo. È stato necessario spostarla fino<br />

alla barriera di Saint-Jacques, sostituire la carretta scoperta con una vettura chiusa, far<br />

passare rapidamente il condannato dal furgone al palco, organizzare le esecuzioni ad<br />

ore impossibili, e, da ultimo, sistemare la ghigliottina entro la cinta delle prigioni e<br />

renderla inaccessibile al pubblico (dopo la esecuzione capitale di Weidmann, nel 1939),<br />

sbarrare le strade che danno accesso alla prigione dove è nascosto il patibolo e dove<br />

l’esecuzione si svolge in segreto (esecuzione di Buffet e di Bontemps alla Santé, nel<br />

1972), processare i testimoni che raccontano la scena, perché l’esecuzione non sia <strong>più</strong><br />

uno spettacolo e rimanga uno strano segreto tra la giustizia e il suo condannato. Basta<br />

51


Storia del pensiero sociologico<br />

52<br />

evocare tutte queste precauzioni per comprendere come la morte penale resti ancora<br />

oggi, nella sua essenza, uno spettacolo che bisogna, giustamente, vietare.<br />

Quanto alla presa sul corpo, anch’essa, alla metà del secolo Diciannovesimo, non era<br />

stata del tutto eliminata. Senza dubbio la pena non è <strong>più</strong> centrata sul supplizio come<br />

tecnica per far soffrire, e ha preso come oggetto principale la perdita di un bene o di<br />

un diritto, ma un castigo come i lavori forzati o perfino come la prigione – pura privazione<br />

<strong>della</strong> libertà – non ha mai funzionato senza un certo supplemento di punizione<br />

che concerne proprio il corpo in se stesso: razionamento alimentare, privazione<br />

sessuale, percosse, celle di isolamento.<br />

Conseguenza non voluta, ma inevitabile, <strong>della</strong> carcerazione? In effetti la prigione, nei<br />

suoi dispositivi <strong>più</strong> espliciti, ha sempre comportato, in una certa misura, la sofferenza<br />

fisica. La critica spesso rivolta, nella prima metà del secolo Diciannovesimo, al<br />

sistema carcerario (la prigione non è sufficientemente punitiva: i detenuti hanno meno<br />

freddo, meno fame, minori privazioni, nel complesso, di molti poveri e perfino di<br />

molti operai) indica un postulato che non è mai stato chiaramente abbandonato: è<br />

giusto che un condannato soffra fisicamente <strong>più</strong> <strong>degli</strong> altri uomini. La pena ha difficoltà<br />

a dissociarsi da un supplemento di dolore fisico. Cosa sarebbe, un castigo incorporeo?<br />

Nei meccanismi moderni <strong>della</strong> giustizia penale, permane quindi un fondo «suppliziante»,<br />

un sottofondo non ancora completamente dominato, ma avvolto, in maniera<br />

sempre <strong>più</strong> ampia, da una penalità dell’incorporeo. L’attenuarsi <strong>della</strong> severità penale<br />

nel corso <strong>degli</strong> ultimi secoli è fenomeno ben noto agli storici del diritto. Ma, a lungo,<br />

è stato considerato in maniera globale, come un fenomeno quantitativo; meno crudeltà,<br />

meno sofferenza, maggior dolcezza, maggior rispetto, maggiore «umanità». In<br />

effetti queste modificazioni sono accompagnate da uno spostamento nell’oggetto<br />

stesso dell’operazione punitiva. Diminuzione d’intensità? Forse. Sicuramente, un<br />

cambiamento di obiettivo. […]<br />

❱❱ 15. il disagio <strong>della</strong> postmodernità<br />

(Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976)<br />

Nel 1929 comparve a Vienna Das Unbehagen in der Kultur, un saggio che inizialmente<br />

doveva essere intitolato Das Unglúck in der Kultur. Il suo autore era Sigmund<br />

Freud. In italiano l’opera è nota come Il disagio <strong>della</strong> civiltà. La stimolante e provocante<br />

lettura freudiana delle pratiche <strong>della</strong> modernità entrò nella co scienza collettiva<br />

e finì per strutturare profondamente il modo di valutare le conseguenze (intenzionali<br />

e non) dell’avventura moderna. [...]<br />

Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: questo<br />

era il messaggio di Freud. Come «cultura» o «civiltà», la modernità ha a che fare con<br />

la bellezza («questa cosa inutile che ci aspettiamo la civiltà stimi»), la pulizia («ogni<br />

genere di sporcizia ci sembra incompatibile con la civiltà») e l’ordine («ordine è una<br />

specie di coazione a ripetere che decide, grazie ad una norma stabilita una volta per<br />

tutte, quando, dove e come una cosa debba essere fatta, in modo da evitare esitazione<br />

e indugio in tutti i casi simili tra loro»). La bellezza (cioè tutto ciò che produce il<br />

piacere sublime dell’armonia e la perfezione <strong>della</strong> forma), la pulizia e l’ordine sono<br />

acqui sizioni non trascurabili a cui certamente non si rinuncia senza dispiacere, dolore,<br />

o rimorso. Ma neppure si possono ottenere senza pagare un prezzo elevato. Gli


Storia del pensiero sociologico<br />

esseri umani non hanno alcuna predisposizione «naturale» a ri cercare e preservare la<br />

bellezza, a fare le pulizie e ad osservare la routine dell’ordine. (Anche se in qualche<br />

oc casione sembrano mostrare un tale «impulso», si tratta sempre di una inclinazione<br />

inventata, acquisita e coltivata, il segno <strong>più</strong> evidente di un processo di incivilimento<br />

in atto.) Gli uomini devono essere costretti a rispettare e ad apprezzare l’armonia, la<br />

pulizia e l’ordine. La loro libertà di agire sulla base di impulsi deve essere limitata e<br />

sotto posta a restrizioni. I vincoli imposti sono dolorosi: offrono protezione alla sofferenza<br />

ma generano ulteriore tormento.<br />

«La civiltà è costruita su una restrizione delle pulsioni». In particolare, la civiltà<br />

(leggi modernità), «impone grandi sacrifici» alla sessualità e all’aggressività dell’uomo.<br />

«Il desiderio di libertà, perciò, si volge o contro forme e pretese particolari <strong>della</strong><br />

civiltà, o contro la civiltà tutta». E non può essere altrimenti. La vita civile, così dice<br />

Freud, propone in una unica soluzione, piaceri e sofferenze, soddisfazione e disagio,<br />

obbedienza e ribellione. La civiltà – l’ordine impo sto sul disordine naturale dell’umanità<br />

– è un compromes so, un contratto continuamente messo in discussione e da rinegoziare.<br />

Il principio di piacere è in questo caso ridotto in funzione del principio di<br />

realtà, mentre le norme definiscono chiaramente ciò che si deve intendere per «realtà».<br />

«L’uomo civile ha scambiato una parte delle sue possibilità di felicità per un po’<br />

di sicurezza». Per quanto realistici e plausibili possano essere i nostri tentativi di<br />

agire miglio rando le imperfezioni delle condizioni attuali, «forse è bene abituarsi a<br />

pensare che ci sono alcune difficoltà intrinseche alla natura <strong>della</strong> civiltà in grado di<br />

resistere a qualsiasi tentativo di intervento».<br />

Freud parlava dell’ordine, orgoglio <strong>della</strong> modernità e punto di partenza di ogni altra<br />

sua realizzazione (sia che si manifestasse sotto la stessa dimensione dell’ordine o si<br />

ce lasse sotto le categorie <strong>della</strong> bellezza e <strong>della</strong> pulizia), in termini di «coazione»,<br />

«regolazione», «soppressione» o «ri nuncia forzata». Il disagio, profondamente intrecciato<br />

alla modernità, nasceva da un «eccesso di ordine» e dalla sua inseparabile<br />

compagna: la morte <strong>della</strong> libertà. Esposta alla triplice minaccia <strong>della</strong> caducità del<br />

corpo, dell’incontrol labilità <strong>della</strong> natura selvaggia, e dell’aggressività del prossi mo,<br />

la condizione di sicurezza richiedeva il sacrificio <strong>della</strong> libertà: prima di tutto, <strong>della</strong><br />

libertà individuale di procurar si il piacere. Nella cornice di una civiltà ripiegata sulla<br />

sicurezza, maggiore libertà significava minore frustrazione. In una civiltà che sceglie<br />

di limitare la libertà in nome <strong>della</strong> sicurezza, l’incremento dell’ordine implica la<br />

crescita <strong>della</strong> frustrazione.<br />

Il nostro, però, è un tempo di deregulation. Il principio di realtà è chiamato a difendersi,<br />

oggi, di fronte ad un tribunale in cui il principio di piacere è il giudice che<br />

presiede la corte. «L’idea che ci siano difficoltà intrinseche alla natura <strong>della</strong> civilizzazione<br />

che resistono a qualsiasi tentati vo di intervento» sembra aver perduto la sua<br />

originaria inequivocabile evidenza. La coazione e la rinuncia forzata che un tempo<br />

erano irritanti necessità, combattono oggi la loro battaglia contro la libertà individuale<br />

senza avere ga ranzie di successo.<br />

Settant’anni dopo la stesura de Il disagio <strong>della</strong> civiltà, la libertà individuale regna<br />

sovrana; è il valore in base al quale ogni altro valore deve essere valutato e la misura<br />

con cui la saggezza di ogni norma e decisione sovra-individuale va confrontata. Ciò<br />

non significa, però, che gli ideali di bellez za, pulizia e ordine, che avevano accompagnato<br />

gli uomini e le donne nel loro viaggio dentro la modernità, siano stati abbandonati<br />

o che abbiano perso il loro lustro originale. Al contrario, essi oggi devono<br />

essere perseguiti – e realizzati – attraverso sforzi, percorsi e volontà individuali.<br />

53


Storia del pensiero sociologico<br />

54<br />

Nella sua attuale versione postmoderna, la modernità sembra avere trovato la pietra<br />

filosofale che Freud aveva congedato come fantasia ingenua e dannosa: essa si propone<br />

di fondere il prezioso metallo di un «ordine puro» e di una «pulizia meticolosa»<br />

estraendo direttamente la materia prima dalla umana (troppo umana) ricerca di piaceri,<br />

sempre <strong>più</strong> nume rosi e sempre <strong>più</strong> appaganti – una ricerca che un tempo era del<br />

tutto screditata e condannata come autodistruttiva. La«mano invisibile», uscita indenne,<br />

forse perfino rinvigorita, da due secoli di tentativi diretti a rinchiuderla nel<br />

guanto d’acciaio delle regole e del controllo razionali, ha rigua dagnato fiducia e<br />

successo. La libertà individuale, un tempo un peso e un problema (forse il problema)<br />

per tutti i costruttori dell’ordine, è diventata il vantaggio e la risorsa maggiore nel<br />

continuo processo di autocreazione dell’universo umano.<br />

Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: la<br />

vecchia regola rimane vera oggi come un tempo. Solo che i guadagni e le perdite<br />

hanno invertito le loro posizioni: gli uomini e le donne postmoderni scambiano una<br />

parte delle loro possibilità di sicurezza per un po’ di felicità. II disagio <strong>della</strong> modernità<br />

nasceva da un tipo di sicurezza che assegnava alla libertà un ruolo troppo limi tato<br />

nella ricerca <strong>della</strong> felicità individuale. Il disagio <strong>della</strong> postmodernità nasce da un<br />

genere di libertà nella ricerca del piacere che assegna uno spazio troppo limitato alla<br />

sicurezza individuale.<br />

Ogni valore acquista rilevanza (come Georg Simmel osservava molto tempo fa) nella<br />

misura in cui, per poterlo ottenere, si devono abbandonare e sacrificare altri valori.<br />

D’altra parte, quanto meno un valore è disponibile e tanto <strong>più</strong> si fa intenso il suo<br />

bisogno. Il valore <strong>della</strong> libertà eserci ta il fascino maggiore quando deve essere sacrificata<br />

sull’al tare <strong>della</strong> sicurezza. Quando è la sicurezza a dover essere sacrificata nel<br />

tempio <strong>della</strong> libertà individuale, essa assorbe tutto lo splendore <strong>della</strong> sua precedente<br />

vittima. Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguo no la<br />

sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà. In entrambi<br />

i casi, la felicità va perduta. Ascoltiamo di nuovo Freud: «Noi siamo fatti in<br />

tal modo da essere in grado di ricavare un piacere intenso solo dal contrasto e molto<br />

poco dal normale stato delle cose». Perché? Perché «ciò che chiamiamo felicità [...]<br />

deriva dalla soddisfazione (di solito improvvisa) di bisogni che sono stati accuratamente<br />

repressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico». In<br />

questo modo, una condizione di libertà senza sicurezza non assicura una quan tità di<br />

felicità maggiore rispetto ad una sicurezza senza libertà. Un mutamento nella configurazione<br />

delle faccende umane non rappresenta sempre un passo avanti verso uno<br />

stato di felicità <strong>più</strong> intensa, anche se può sembrare tale nel momento in cui si compie.<br />

La rivalutazione di tutti i valori è un momento felice ed esaltante, ma i valori rivalutati<br />

non garantiscono necessariamente uno stato di beatitudine.<br />

Non ci sono guadagni senza perdite, ed è inutile sperare in una loro prodigiosa separazione:<br />

anzi, i guadagni e le perdite specifici di ogni accordo di convivenza umana<br />

vanno accuratamente conteggiati in modo da poter cercare l’equilibrio ottimale tra i<br />

due; anche se (o, piuttosto, poi ché) la sobrietà e la saggezza faticosamente acquisite<br />

pre servano noi, uomini e donne postmoderni, dall’abbando narci al sogno ad occhi<br />

aperti di un resoconto in cui compaia solo il consuntivo dei nostri crediti.<br />

L’ultima parola spetta alla libertà. Ogni gioco prevede vincitori e perdenti. Nel gioco<br />

<strong>della</strong> libertà, però, la differenza tra le due categorie tende ad essere sfumata, se non del<br />

tutto cancellata. Chi ha perso si consola con la speranza di vincere la prossima volta,<br />

mentre la gioia del vincitore è offuscata dal presentimento <strong>della</strong> perdita. Per entrambi,


Storia del pensiero sociologico<br />

la libertà significa che nulla è stabi lito in modo permanente e che la ruota <strong>della</strong> fortuna<br />

può ancora girare. I capricci <strong>della</strong> sorte rendono incerta la con dizione di entrambi. Ma<br />

l’incertezza è portatrice di messag gi differenti: ai perdenti dice che non tutto è ancora<br />

perdu to, mentre ai vincenti sussurra che ogni trionfo tende ad essere precario. Nel<br />

gioco <strong>della</strong> libertà, il perdente si ferma prima <strong>della</strong> disperazione e il vincitore si ferma<br />

prima di raggiungere l’assoluta certezza dei propri mezzi. Entrambi scommettono<br />

sulla libertà ed entrambi hanno motivo di lamentarsi. Nessuno accetterebbe chiaramente<br />

restrizioni alla libertà, ma nessuno è totalmente sordo al fascino <strong>della</strong> certezza, che<br />

in realtà si propone di curare i mali <strong>della</strong> libertà uccidendo il paziente.<br />

❱❱ 16. La fotografia<br />

(Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999)<br />

Si potrebbe dire <strong>della</strong> fotografia ciò che Hegel (Lineamenti di filosofia del diritto)<br />

diceva <strong>della</strong> filosofia: «Nessun’altra arte, nessun’altra scienza è esposta a così supremo<br />

disprezzo che chiunque presume di possederla d’un tratto». A differenza di attività<br />

culturali <strong>più</strong> esigenti, come il disegno, la pittura o la pratica di uno strumento<br />

musicale, a differenza perfino dalla frequenza ai musei o dall’ascolto ai concerti, la<br />

fotografia non presuppone né la cultura trasmessa dalla Scuola, né il tirocinio e il<br />

«mestiere» che conferiscono pregio ai consumi e alle pra tiche culturali comunemente<br />

ritenute <strong>più</strong> nobili, escluden done i non iniziati.<br />

Niente si oppone <strong>più</strong> direttamente all’immagine comune <strong>della</strong> creazione artistica come<br />

l’attività del fotografo ama tore; che spesso chiede all’apparecchio di compiere al suo<br />

posto il maggior numero possibile di operazioni, identifi cando il grado di perfezione<br />

<strong>della</strong> macchina che utilizza con il suo grado di automatismo. Tuttavia, sebbene la<br />

produ zione dell’immagine sia interamente devoluta all’automati smo dell’apparecchio,<br />

l’inquadratura rimane una scelta che impegna valori estetici ed etici: se, astrattamente,<br />

la natura e i progressi <strong>della</strong> tecnica fotografica tendono a rendere ogni cosa oggettivamente<br />

«fotografabile», ciò non toglie che di fatto, nell’infinità teorica delle fotografie<br />

tecnicamente pos sibili, ogni gruppo selezioni una gamma precisa e definita di<br />

soggetti, di generi e di composizioni. «L’artista – dice Nietzsche (La gaia scienza)<br />

– sceglie i suoi soggetti: è il suo modo di lodare». Poiché è una «scelta che loda»,<br />

poiché rappresenta l’inten zione di fissare, cioè solennizzare ed eternizzare, la fotografia<br />

non può essere esposta ai rischi <strong>della</strong> fantasia individuale e pertanto, con la<br />

mediazione dell’ethos, interiorizzazione delle regolarità oggettive e comuni, il . gruppo<br />

subordina questa pratica alla regola collettiva, in modo tale che la minima fotografia<br />

esprime, oltre le intenzioni esplicite di chi l’ha fatta, il sistema <strong>degli</strong> schemi<br />

percettivi, di pensiero e di valutazione comune a tutto un gruppo.<br />

In altri termini, l’area di tutto ciò che si propone a una determinata classe sociale<br />

come realmente fotografabile (cioè, il contingente di fotografie «fattibili» o «da fare»,<br />

in opposizione all’universo delle realtà oggettivamente foto grafabili, date le possibilità<br />

tecniche dell’apparecchio), ri sulta tracciata da modelli impliciti che si lasciano<br />

cogliere attraverso la pratica <strong>della</strong> fotografia e il suo prodotto, poi ché essi determinano<br />

oggettivamente il senso che un gruppo conferisce all’atto del fotografare come<br />

promozione ontolo gica di un oggetto percepito in oggetto degno di essere fotografato,<br />

cioè fissato, conservato, comunicato, esibito e ammirato. Le norme che organizzano<br />

la cattura fotografica del mondo secondo l’opposizione tra il fotografabile e il<br />

55


Storia del pensiero sociologico<br />

56<br />

non fotografabile, sono indissociabili dal sistema di valori impliciti propri di una<br />

classe, una professione o una scuola artistica, e di cui l’estetica fotografica costituisce<br />

sempre un aspetto malgrado la sua disperata protesta d’autonomia. Capire adeguatamente<br />

una fotografia, abbia essa per autore un contadino corso, un piccolo borghese<br />

di Bologna o un professionista parigino, non significa soltanto cogliere i significati<br />

che proclama, cioè in una certa misura le intenzioni esplicite dell’autore, ma soprattutto<br />

decifrare il sovrap<strong>più</strong> di significato che tradisce in quanto partecipe del simbolismo<br />

di un’epoca, d’una classe o d’un gruppo artistico. Considerato che, a differenza<br />

delle attività artistiche pienamente consacrate, come la pittura o la musica, la pratica<br />

<strong>della</strong> fotografia è ritenuta accessibile a tutti, dal punto di vista tecnico come da quello<br />

economico, e chi vi si dedica non si sente affatto legato a un sistema di norme<br />

esplicite e codificate che definiscano la pratica legittima nel suo og getto, le sue occasioni<br />

e la sua modalità, l’analisi del signi ficato soggettivo o oggettivo che i soggetti<br />

conferiscono alla. fotografia come pratica o come opera culturale, appare un mezzo<br />

privilegiato per cogliere nella loro espressione <strong>più</strong> autentica le estetiche (e le etiche)<br />

proprie ai differenti gruppi o classi e in particolare «l’estetica popolare» che vi si può<br />

eccezionalmente manifestare.<br />

In effetti, quando tutto farebbe credere che questa atti vità senza tradizioni e senza<br />

esigenze sia abbandonata all’anarchia dell’improvvisazione individuale, risulta invece<br />

che niente è <strong>più</strong> regolato e convenzionale <strong>della</strong> pratica <strong>della</strong> fotografia e delle fotografie<br />

d’amatore: le occasioni di foto grafare, come pure gli oggetti, i luoghi e i<br />

personaggi foto grafati o la composizione stessa delle immagini, tutto sem bra obbedire<br />

a norme implicite che s’impongono senza ecce zione e che gli amatori accorti o gli<br />

esteti riconoscono come tali, ma solo per denunciarle come difetti di gusto o impe rizia<br />

tecnica. […] Riconosciuta la fotografia come oggetto di studio sociolo gico, bisognava<br />

innanzitutto stabilire in che modo ogni gruppo o classe regoli e organizzi la pratica<br />

individuale, conferendole funzioni conformi ai propri interessi; non si potevano tuttavia<br />

assumere direttamente a oggetto gli indi vidui singoli e i rapporti che essi intrattengono<br />

con la foto grafia come pratica o come oggetto di consumo, senza rischiare di<br />

cadere nell’astrazione. Solo la decisione meto dologica di studiare in primo luogo i<br />

gruppi reali doveva poi far comprendere (o impedire di dimenticare) che il significato<br />

e la funzione conferiti alla fotografia sono diret tamente connessi alla struttura del<br />

gruppo, alla sua mag giore o minore differenziazione e soprattutto alla sua posi zione<br />

nella struttura sociale. Così, il rapporto che il contadino ha con la fotografia non è in<br />

ultima analisi altro che un aspetto del rapporto che egli intrattiene con la vita urbana,<br />

identificata con la vita moderna. […] Allo stesso modo che il contadino, respin gendo<br />

la pratica <strong>della</strong> fotografia esprime il suo rapporto con il sistema di vita urbano, rapporto<br />

entro e attraverso il quale egli sperimenta la particolarità <strong>della</strong> sua condizione,<br />

così il significato che i piccolo-borghesi conferiscono alla pratica <strong>della</strong> fotografia<br />

traduce o tradisce la relazione delle classi medie con la cultura, cioè con le classi superiori<br />

déten trici del privilegio delle pratiche culturali ritenute <strong>più</strong> no bili, e con le<br />

classi popolari da cui a tutti i costi cercano di distinguersi, manifestando nelle pratiche<br />

che sono loro accessibili la maggiore buona volontà culturale. Per questa ragione i<br />

membri dei fotoclub credono di nobilitarsi cultu ralmente tentando di nobilitare la<br />

fotografia, surrogato a loro misura e a loro portata delle arti nobili, e insieme di ritrovare<br />

nella disciplina del gruppo quel corpo di regole tecniche ed estetiche di cui si<br />

sono privati respingendo come volgari quelle che reggono la pratica popolare. Il rapporto<br />

esistente fra gli individui e la pratica <strong>della</strong> fotografia è per sua natura mediato,


Storia del pensiero sociologico<br />

poiché comporta sempre il riferimento al rapporto che i membri delle altre classi intrattengono<br />

con la fotografia, e da lì a tutta la struttura dei rapporti fra le classi.<br />

Cercare di superare le astrazioni di un oggettivismo falsa mente rigoroso al prezzo di<br />

uno sforzo per ristabilire i sistemi di relazioni adombrati dietro le totalità precostruite,<br />

significa tutt’altro che cedere alle seduzioni dell’intuizioni smo il quale, risvegliando<br />

le abbaglianti evidenze <strong>della</strong> falsa familiarità, non fa che trasfigurare, nel caso<br />

particolare, le banalità quotidiane sulla temporalità, l’erotismo, la morte in presunte<br />

analisi essenziali. Dal momento che la fotografia si presta poco, almeno in apparenza,<br />

a uno studio specifi camente sociologico, essa fornisce la sospirata occasione di sperimentare<br />

che il sociologo, dedito a decifrare ciò che è sempre soltanto senso comune,<br />

può occuparsi dell’immagine senza diventare visionario. Che cosa rispondere, a<br />

quelli che si aspettano che la <strong>sociologia</strong> procuri loro delle «vi sioni», se non, con le<br />

parole di Max Weber, «che vadano al cinema»?<br />

❱❱ 17. La società dello spettacolo<br />

(Pierre Bourdieu, La fotografia. Guaraldi, Rimini 1972)<br />

E senza dubbio il nostro tempo... preferisce l’im magine alla cosa, la copia all’originale,<br />

la rappre sentazione alla realtà, l’apparenza all’essere... Ciò che per esso è sacro<br />

non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità. Anzi il sacro s’ingiganti sce ai<br />

suoi occhi via via che diminuisce la verità e l’illusione aumenta, cosicché il colmo<br />

dell’illusio ne è anche per esso il colmo del sacro.<br />

(Feuerbach, Prefazione alla seconda edizione de L’Essenza del cristianesimo)<br />

1. Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione<br />

si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era<br />

direttamente vissuto si è allontanato in una rappre sentazione.<br />

2. Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto <strong>della</strong> vita si fondono in un<br />

corso comune, in cui l’unità di questa vita non può <strong>più</strong> essere ristabilita. La realtà<br />

considerata parzialmente si afferma nella sua propria unità generale in quanto pseudomondo<br />

a parte, oggetto <strong>della</strong> sola contemplazione. La specializzazione delle im magini<br />

del mondo si ritrova, compiuta, nel mondo autonomizzato dell’immagine, in cui il<br />

menzognero ha mentito a se stesso. Lo spettacolo in generale, come in versione concreta<br />

<strong>della</strong> vita, è il movimento autonomo del non-vivente.<br />

3. Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come una parte<br />

<strong>della</strong> società, e come stru mento di unificazione. In quanto parte <strong>della</strong> società, esso<br />

è espressamente il settore che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto<br />

stesso che questo settore è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il cen tro<br />

<strong>della</strong> falsa coscienza; e l’unificazione che esso com pie non è altro che un linguaggio<br />

ufficiale <strong>della</strong> separa zione generalizzata.<br />

4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui,<br />

mediato dalle immagini.<br />

5. Lo spettacolo non può essere compreso come un abu so del mondo visivo, prodotto<br />

delle tecniche di diffu sione massiva delle immagini. Esso è invece una Weltanschauung<br />

divenuta effettiva, tradotta materialmen te. È una visione del mondo che si<br />

è oggettivata.<br />

57


Storia del pensiero sociologico<br />

58<br />

6. Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stes so tempo il risultato e il<br />

progetto del modo di produ zione esistente. Non è un supplemento del mondo rea le,<br />

la sua decorazione sovrapposta. È il cuore dell’ir realismo <strong>della</strong> società reale. In tutte<br />

le sue forme parti colari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto di<br />

distrazioni, lo spettacolo costitui sce il modello presente <strong>della</strong> vita socialmente<br />

dominan te. Esso è l’affermazione onnipresente <strong>della</strong> scelta già fatta nella produzione,<br />

e il suo consumo conseguente.<br />

Forma e contenuto dello spettacolo sono entrambe l’i dentica giustificazione totale<br />

delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza<br />

permanente di questa giustificazione, in quanto occu pazione <strong>della</strong> parte principale<br />

del tempo vissuto al di fuori <strong>della</strong> produzione moderna.<br />

7. La separazione fa essa stessa parte dell’unità del mon do, <strong>della</strong> prassi sociale globale<br />

che si è scissa in realtà e in immagine. La pratica sociale, di fronte alla quale si<br />

pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità rea le che contiene lo spettacolo. Ma<br />

la scissione che è in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo come<br />

il suo scopo. Il linguaggio dello spettacolo è costituito da dei segni <strong>della</strong> produzione<br />

imperante, che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione.<br />

8. Non si può opporre astrattamente lo spettacolo e l’at tività sociale effettiva; questo<br />

sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente<br />

prodotto. Nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla<br />

contemplazione dello spet tacolo, e riproduce in se stessa l’ordine spettacolare portandogli<br />

un’adesione positiva. La realtà oggettiva è pre sente da entrambi i lati. Ogni<br />

nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio nell’opposto: la realtà<br />

sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale. Que sta alienazione reciproca è l’essenza<br />

e il sostegno <strong>della</strong> società esistente.<br />

9. Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momen to del falso.<br />

10. Il concetto di spettacolo unifica e spiega una grande diversità di fenomeni apparenti.<br />

Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di questa apparenza organizzata<br />

socialmente, che deve essere essa stessa ricono sciuta nella sua verità generale.<br />

Considerato secondo i suoi propri termini, lo spettacolo è l’affermazione dell’apparenza<br />

e l’affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come mera apparenza. Ma<br />

la critica che rag giunge la verità dello spettacolo lo scopre come la ne gazione visibile<br />

<strong>della</strong> vita; come una negazione <strong>della</strong> vita che è divenuta visibile.<br />

11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni, e le forze che<br />

tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente <strong>degli</strong> elementi inseparabili.<br />

Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso<br />

dello spettacolare, in quan to si passa sul terreno metodologico di questa società che<br />

si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è nient’altro che il senso <strong>della</strong> pratica<br />

totale di una for mazione economico-sociale, il suo impiego del tempo. È il momento<br />

storico che ci contiene.<br />

12. Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso<br />

non dice niente di <strong>più</strong> di questo, che «ciò che appare è buono, ciò che è buo no appare».<br />

L’attitudine che esso esige per principio è questa accettazione passiva, che ha di fatto già<br />

ottenu to con il suo modo di apparire senza repliche, con il suo monopolio dell’apparenza.<br />

13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spet tacolo deriva dal semplice<br />

fatto che i suoi mezzi sono al tempo stesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta<br />

mai sull’impero <strong>della</strong> passività moderna. Esso copre l’intera superficie del<br />

mondo e si bagna indefini tamente alla propria gloria.


Storia del pensiero sociologico<br />

14. La società che riposa sull’industria moderna non è fortuitamente o superficialmente<br />

spettacolare, è fonda mentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine<br />

dell’economia imperante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non<br />

vuole riuscire a nient’altro che a se stesso.<br />

15. In quanto indispensabile ornamentazione <strong>degli</strong> oggetti attualmente prodotti, in<br />

quanto esposizione generale del la razionalità del sistema, e in quanto settore economico<br />

avanzato che foggia direttamente una moltitudine cre scente di oggetti immagine,<br />

lo spettacolo è la principa le produzione <strong>della</strong> società attuale.<br />

(Guy Debord, La società dello spettacolo<br />

in Commentari sulla società dello spettacolo, SugarCo, Milano 1990)<br />

❱❱ 18. nonluoghi. introduzione a un’antropologia <strong>della</strong> surmodernità<br />

[Nota del Traduttore: Il termine surmodernité è stato tradotto sempre con «surmodernità»<br />

ricorrendo ad un uso raro, ma già esistente in italiano, in cui il sur francese<br />

non si traduce con l’equivalente italiano «sovra». Un esempio classico è costituito<br />

dai termini «surreali smo» e «surrenale».<br />

[…] La ragione per la quale in italiano il termine non-lieux risulta «nonluoghi», senza<br />

il trattino, è che nella lingua italia na, al contrario di quella francese, verso le parole<br />

composte si nutre una certa resistenza semantica e di assimilazione nel lin guaggio.]<br />

Prima di prendere l’auto, Pierre Dupont [Come dire il signor Qualunque – N.d.T.]<br />

ritira del danaro al bancomat. L’apparecchio accetta la carta di credito <strong>autori</strong>zzandolo<br />

a ritirare milleotto cento franchi. Pierre Dupont schiaccia il pulsante 1.800. L’apparecchio<br />

chiede di avere un istante di pazienza, poi emette la somma stabilita<br />

ricordan dogli di non dimenticare la carta di credito. «Grazie <strong>della</strong> vostra visita» conclude,<br />

mentre Pierre Dupont sistema le banconote nel portafoglio.<br />

Il tragitto è facile: entrare a Parigi per l’autostrada A11 non pone problemi a quell’ora<br />

<strong>della</strong> domenica.<br />

Non deve fare file all’entrata, paga con la carte bleue al casello di Dourdan, circonvalla<br />

Parigi prendendo il raccordo anulare e raggiunge Roissy per l’A1.<br />

Parcheggia al secondo piano sotterraneo (zona J), lascia scivolare la ricevuta del<br />

parcheggio nel porta foglio, poi si affretta verso gli sportelli di imbarco dell’Air France.<br />

Si libera con sollievo <strong>della</strong> valigia (venti chili giusti), mostra il biglietto alla hostess<br />

chiedendole di poter avere un posto fumatore dal lato corridoio. Sorridente e silenziosa,<br />

la donna fa un cenno con la testa dopo aver verificato sul suo computer, poi gli<br />

dà biglietto e carta di imbarco. «Imbarco satellite B ore 18» [Nell’aeroporto parigino<br />

Satellite è il nome che viene dato alle aree di attesa da cui ci si imbarca – N.d.T.]<br />

precisa.<br />

Si presenta in anticipo al controllo di polizia per fare qualche acquisto al duty-free.<br />

Compra una bottiglia di cognac (un souvenir <strong>della</strong> Francia per i suoi clienti asiatici)<br />

e una scatola di sigari (per uso personale). Ha cura di conservare la fattura assie me<br />

alla carte bleue.<br />

Scorre rapidamente con lo sguardo le vetrine lus suose – gioielli, abiti, profumi –, si<br />

ferma alla libre ria, sfogliando qualche rivista prima di scegliere un libro poco impegnativo<br />

– viaggio, avventura, spio naggio –, poi riprende la sua passeggiata senza<br />

im pazienza.<br />

59


Storia del pensiero sociologico<br />

60<br />

L’uomo assapora la sensazione di libertà datagli sia dall’essersi sbarazzato del bagaglio<br />

sia, <strong>più</strong> inti mamente, dalla certezza di dover solo attendere il corso <strong>degli</strong> avvenimenti<br />

una volta «messosi in rego la» grazie al fatto di aver intascato la carta di<br />

imbar co e di aver declinato la propria identità. «A noi due Roissy!»: non è in questi<br />

luoghi sovrappopolati, dove si incrociano ignorandosi migliaia di itinerari indi viduali,<br />

che sussiste oggi qualcosa del fascino incer to dei terreni incolti, delle sodaglie e <strong>degli</strong><br />

scali, dei marciapiedi di stazione e delle sale d’attesa dove i passi si perdono, di tutti<br />

i luoghi dell’incontro for tuito dove si può provare fuggevolmente la possibi lità residua<br />

dell’avventura, la sensazione che c’è solo da «veder cosa succede»?<br />

L’imbarco avviene senza problemi. I passeggeri con la carta di imbarco segnata Z<br />

sono invitati a presentarsi per ultimi, facendoli così assistere un po’ divertiti al leggero<br />

e inutile pigia pigia delle lettere X e Y all’uscita del satellite.<br />

Attendendo il decollo e la distribuzione dei gior nali, sfoglia la rivista <strong>della</strong> compagnia<br />

aerea e immagina il possibile itinerario del viaggio percorren dolo col dito: Héraklion,<br />

Larnaca, Beirut, Dharan, Dubai, Bombay, Bangkok – <strong>più</strong> di novemila chilo metri in<br />

un batter d’occhio e qualche nome che di tanto in tanto ha fatto parlare di sé la cronaca.<br />

Dà uno sguardo alle tariffe di bordo esentasse (duty free price list), verifica che<br />

le carte di credito siano accettate anche sui voli a lunga percorrenza, legge con soddisfazione<br />

i vantaggi <strong>della</strong> «business class», di cui beneficia grazie alla intelligente<br />

generosità <strong>della</strong> sua ditta. […] Si decolla. Sfoglia <strong>più</strong> rapidamente il resto <strong>della</strong> rivista<br />

[…]. Una pubblicità <strong>della</strong> carta Visa riesce a rassicurarlo («Accettata a Dubai e<br />

ovunque voi viaggiate... Viaggiate con fiducia con la vostra carta Visa»). Poi getta<br />

uno sguardo distratto su alcune recensioni di libri e, per interesse professionale, si<br />

attarda un istante su quella che riassume un’opera intitolata Euromarketing: «L’omogeneizzazione<br />

dei bisogni e dei comportamenti di consumo fa parte delle ten denze<br />

forti che caratterizzano il nuovo ambito inter nazionale dell’impresa... A partire<br />

dall’esame dell’incidenza del fenomeno di globalizzazione sull’im presa europea,<br />

sulla validità e il contenuto di un eu romarketing e sull’evoluzione prevedibile del<br />

mar keting internazionale, vengono dibattute numero se questioni». Per finire, la recensione<br />

evoca «le con dizioni propizie allo sviluppo di un mix il <strong>più</strong> stan dardizzato<br />

possibile» e «l’architettura di una comu nicazione europea».<br />

Un po’ sognante, Pierre Dupont ripone la sua rivista. La scritta Fasten seat belt [«Allacciare<br />

le cinture», in inglese nel testo – N.d.T.] si spegne. Si aggiusta la cuffia,<br />

sceglie il canale 5 e si lascia invadere dall’adagio del concerto n.1 in do maggiore di<br />

Joseph Haydn. Per qualche ora (il tempo di sorvolare il Mediterraneo, il Mare Arabico<br />

e il golfo del Bengala) sarà solo.<br />

(Marc Augé, Nonluoghi: introduzione ad un’antropologia <strong>della</strong> surmodernità,<br />

Elèutera Editrice, Milano 1993)


Glossario<br />

a<br />

Glossario<br />

Abasia: incapacità di camminare. Simbolicamente rappresenta l’impossibilità, dopo aver rimosso un<br />

trauma psichico, di prenderne coscienza e di “andare avanti”.<br />

Abilità: competenza o capacità verificabile nello svolgere un’attività.<br />

Abitudine: acquisizione di un comportamento che, con il passar del tempo e con l’esperienza, diventa<br />

istintivo e automatico.<br />

Abulia: mancanza di atti volontari. Il soggetto abulico è incapace sia di intraprendere un’azione sia di<br />

continuarla.<br />

Accomodamento: capacità di modificare i propri schemi mentali, per acquisire nuove informazioni.<br />

Acculturazione: processo attraverso il quale un gruppo, interagendo con altre componenti <strong>della</strong> società,<br />

acquisisce, riformulandoli e adattandoli, i tratti costitutivi delle culture di queste ultime.<br />

Acrofobia: angoscia a causa delle vertigini che si manifestano nei soggetti che hanno paura di cadere da<br />

grandi altezze.<br />

Adattamento: capacità d’adeguamento alle esigenze del mondo esterno.<br />

Addestramento: acquisizione, attraverso un esercizio continuo, di abilità e di abitudini.<br />

Agenti socializzatori: istituzioni (famiglia, scuola, mass media e così via) attraverso le quali si realizza<br />

la socializzazione di un individuo.<br />

Agorafobia: paura di stare in pubblico, di attraversare le strade o le piazze. È un disturbo di natura<br />

nevrotica e produce un’ingiustificata fobia verso ogni luogo aperto e pubblico.<br />

Alienazione: estraniazione nei confronti <strong>della</strong> propria attività fisica e mentale; è un sentirsi estraneo<br />

economicamente, culturalmente e socialmente nei confronti <strong>della</strong> realtà in cui si vive.<br />

Altruismo: attenzione disinteressata verso il benessere e la felicità <strong>degli</strong> altri.<br />

Ambiente: insieme di persone e di oggetti che interagiscono, influenzandosi reciprocamente. Esso può<br />

essere geografico, culturale e sociale.<br />

Ambivalenza: atteggiamento che è rappresentato da stati emotivi contrapposti, ma diretti verso la stessa<br />

persona od oggetto.<br />

Analogia: relazione di somiglianza tra due o <strong>più</strong> oggetti.<br />

Anecumene: territorio disabitato o solo temporaneamente abitato.<br />

Angoscia: paura dell’indeterminato o dell’ignoto.<br />

Anomia: mancanza di norme e di regole.<br />

Anonimia: fenomeno che si ha quando una persona vive in strada o in un raggruppamento aperto. Si vive<br />

una situazione d’anonimia, perché il rapporto tra gli individui non è basato sulla conoscenza reciproca.<br />

Anoressia: forma di permanente inappetenza; è causata da un grave disturbo psichico che, se non curato,<br />

può avere gravi conseguenze fino alla morte.<br />

Anosmia: incapacità di percepire gli odori.<br />

Ansia: paura del determinato. Consiste in una preoccupazione eccessiva per eventi <strong>della</strong> vita quotidiana.<br />

Antropologia: scienza che studia l’uomo e le culture.<br />

61


Glossario<br />

Apatia: incapacità di reagire emotivamente alla presenza di stimoli, anche interessanti.<br />

Aprassia: disturbo motorio che comporta l’incapacità di eseguire correttamente i movimenti del corpo.<br />

Areogramma: grafico statistico.<br />

Ascritto: è un attributo di status o di ruolo che un individuo possiede dalla nascita (sesso, etnia e così<br />

via).<br />

Atteggiamento: insieme di convinzioni, credenze e sentimenti che possono predisporre un soggetto a<br />

reagire favorevolmente o sfavorevolmente verso qualcuno o verso un evento.<br />

Attendibilità: coerenza di un test, come strumento di misura, in rapporto all’oggetto <strong>della</strong> ricerca.<br />

Attenzione: processo che consiste nel percepire e selezionare soltanto determinati stimoli, ignorandone<br />

altri.<br />

Attitudine: capacità innata o acquisita ad apprendere e ad esercitare, con una certa abilità, un’attività.<br />

Attributo di ruolo: caratteristica esteriore o segno di riconoscimento di una posizione sociale.<br />

Autorità: particolare influenza di un soggetto sugli altri. Essa viene resa comprensibile con comandi,<br />

ordini, intimazioni e leggi. Chi la subisce, però, la ritiene anche legittima. Diversamente si trasforma<br />

in <strong>autori</strong>tarismo.<br />

B<br />

Bisogno: stato di tensione che si mette in moto per la presenza di una deprivazione.<br />

Borghesia: classe sociale che, secondo la teoria marxista, detiene i mezzi di produzione ed è, perciò,<br />

dominante.<br />

Bulimia: frequente necessità di mangiare; è causata dalla paura negli adolescenti di essere abbandonati<br />

affettivamente dalla madre.<br />

Burocrazia: apparato amministrativo di uno Stato.<br />

C<br />

Cambiamento sociale: qualsiasi mutamento <strong>della</strong> struttura sociale.<br />

Campione: in senso statistico, è una serie di valori estratti da un universo o popolazione.<br />

Campo di variazione: indice statistico di dispersione.<br />

Canale: via lungo la quale viaggia un messaggio per far in modo che dall’emittente arrivi al ricevente.<br />

Capitalismo: sistema economico che si fonda contemporaneamente sul mercato autoregolato e sulla<br />

proprietà privata dei mezzi di produzione.<br />

Capro espiatorio: forma d’aggressività spostata. Un soggetto frustrato attribuisce la causa <strong>della</strong> sua<br />

frustrazione ad una vittima innocente e indifesa.<br />

Carenza: termine che indica uno stato d’insufficienza.<br />

Carisma: potere eccezionale che si attribuisce a un soggetto.<br />

Caso: minima unità d’osservazione.<br />

Casta: gruppo di famiglie socialmente stratificato e rigidamente definito.<br />

Categoria: in filosofia, il termine indica i predicati generali o le forme a priori <strong>della</strong> conoscenza.<br />

Categoria sociale: insieme di persone che, pur non avendo valori e norme in comune, sono, tuttavia,<br />

legate da qualche caratteristica.<br />

Cellula nervosa: unità anatomica e funzionale del sistema nervoso.<br />

Cervello: parte del sistema nervoso che controlla sia l’attività psicologica sia fisiologica.<br />

Ceto sociale: gruppo di persone che hanno in comune interessi, attività e posizione sociale.<br />

Chiesa: organizzazione religiosa.<br />

Chiusura: in psicologia, tendenza percettiva a riempire vuoti o a chiudere parti separate.<br />

62


Glossario<br />

Cibernetica: studio dei meccanismi che regolano i sistemi di controllo nelle macchine e negli esseri<br />

umani.<br />

Classe sociale: insieme di persone consapevoli <strong>della</strong> propria condizione economica e sociale e, quindi,<br />

storicamente determinate.<br />

Codice: insieme di simboli e di regole in possesso sia dell’emittente sia del ricevente nella comunicazione.<br />

Codificazione: processo con il quale le informazioni vengono inserite nel sistema di memorizzazione.<br />

Coefficiente di correlazione: indice numerico utilizzato per esprimere il grado di correlazione tra due<br />

valori.<br />

Collettività: insieme di individui che hanno, in base ai valori e alle norme comuni, sentimenti di solidarietà.<br />

I membri <strong>della</strong> collettività, essendo numerosi, non riescono ad interagire e a comunicare in forma<br />

diretta.<br />

Comportamentismo: teoria psicologica che studia il comportamento.<br />

Comportamento: attività manifesta, osservabile e misurabile nell’organismo vivente.<br />

Comportamento deviante: comportamento o modo di agire che devia dalle norme.<br />

Comunicazione: azione che l’emittente compie per trasmettere un messaggio al ricevente.<br />

Comunicazione di massa: sistema di comunicazione sociale.<br />

Comunicazione interpersonale: trasmissione di messaggi, con modalità verbali, non verbali e paraverbali,<br />

tra due o <strong>più</strong> soggetti.<br />

Comunismo: sistema economico nel quale, eliminata la proprietà privata dei mezzi di produzione, la<br />

ricchezza è distribuita equamente.<br />

Comunità o Gemeinschaft: forma di collettività nella quale i rapporti tra gli individui sono fondati sulla<br />

solidarietà e sull’altruismo.<br />

Concettualizzazione: processo per raggruppare mentalmente cose, eventi e persone simili.<br />

Condizionamento: fattore che determina un apprendimento condizionato dalla realtà circostante.<br />

Conflitto: in psicologia, situazione in cui convivono due stimoli opposti; in <strong>sociologia</strong> è la simultanea<br />

presenza di gruppi con culture diverse.<br />

Conflitto di classe: lotta tra la classe sociale che non possiede i mezzi di produzione o dominata e quella<br />

che li possiede o dominante.<br />

Conflitto di ruolo: situazione di conflitto in un soggetto che svolge contemporaneamente <strong>più</strong> ruoli.<br />

Conformismo: adattamento alle regole imposte dal gruppo egemone.<br />

Connotativo: significato emotivo di una parola o di un simbolo.<br />

Considerazione sociale: misura <strong>della</strong> valutazione che qualcuno riceve per come occupa una certa posizione<br />

sociale.<br />

Consumo: modo con il quale l’utenza risponde alla commercializzazione dei prodotti.<br />

Contesto: situazione nella quale avvengono trasmissione e ricezione di messaggi.<br />

Controcultura: valori e norme che si contrappongono a quelli <strong>della</strong> cultura dominante.<br />

Controllo sociale: controllo che determina l’osservanza dei valori e delle norme da parte di un gruppo.<br />

Conurbazione: processo d’agglomerazione urbana. Tale processo tende, partendo dai centri minori e<br />

periferici di una città e progressivamente espandendosi, ad integrarsi pienamente con il centro urbano.<br />

Convention: riunione o incontro, promosso da un’azienda, per festeggiare una ricorrenza.<br />

Correlazione: indice statistico che stabilisce in che misura due eventi variano.<br />

Coscienza di classe: consapevolezza di appartenere, in base alla propria posizione sociale, ad una<br />

determinata classe.<br />

Costumi o mores: norme sociali alle quali gli uomini attribuiscono un forte significato etico.<br />

Crescita zero: fenomeno demografico d’equilibrio, in una società, tra la natalità e la mortalità.<br />

Cultura: in senso antropologico, è un insieme di valori, di norme e di concezioni.<br />

Cultura <strong>della</strong> povertà: forma di cultura che si sviluppa, nelle società industrialmente avanzate, tra gli<br />

emarginati.<br />

63


Glossario<br />

Curva di distribuzione: curva a campana, che descrive la distribuzione dei punteggi relativi ad un campione<br />

casuale.<br />

D<br />

Definizione: descrizione accurata di un concetto.<br />

Denotativo: significato primario di una parola o di un simbolo.<br />

Desocializzazione: perdita di valori, di norme e di concezioni dell’ambiente in cui si vive.<br />

Devianza: deviazione dai valori, dalle norme e dalle concezioni <strong>della</strong> cultura dominante.<br />

Deviazione standard dalla media: indice statistico di dispersione.<br />

Diade: legame interpersonale tra due soggetti.<br />

Disadattamento: stato di conflitto tra un soggetto e il suo ambiente.<br />

Discalculia: difficoltà nell’apprendimento dell’aritmetica.<br />

Discriminazione: processo che l’organismo, secondo Pavlov, mette in moto per rispondere in modo<br />

diverso a stimoli identici.<br />

Disgrafia: difficoltà ad acquisire la capacità <strong>della</strong> scrittura.<br />

Dislessia: difficoltà ad acquisire la capacità <strong>della</strong> lettura.<br />

Disprassia: forma d’alterazione dell’organizzazione e <strong>della</strong> coordinazione motoria.<br />

Dissonanza cognitiva: situazione in cui un soggetto percepisce una discrepanza tra due opinioni o<br />

atteggiamenti diversi.<br />

Disuguaglianza sociale: condizione di soggetti, gruppi o classi, che a causa delle loro caratteristiche,<br />

hanno differenti possibilità di accedere alle ricompense sociali.<br />

E<br />

Ecumene: territorio stabilmente abitato.<br />

Effetto alone: tendenza ad attribuire a qualcuno, in modo improprio e non rispecchiando la realtà, una<br />

valutazione falsata da altri aspetti relativi alla persona.<br />

Emancipazione: processo attraverso il quale alcuni gruppi, considerati immaturi ed ineguali, acquisiscono<br />

prima l’eguaglianza giuridica e in seguito quella sociale nei confronti dell’intera società.<br />

Emarginazione: fenomeno che si manifesta quando un gruppo di soggetti non riesce ad integrarsi nella<br />

società ed è costretto a vivere ai suoi margini.<br />

Empatia: compartecipazione al modo di essere altrui; è comprensione <strong>degli</strong> altri, mettendosi al loro posto<br />

in certe situazioni.<br />

Epistemologia genetica: scienza che, fondata da Piaget, studia il modo di formarsi e di organizzarsi <strong>degli</strong><br />

elementi cognitivi.<br />

Estinzione: progressivo indebolirsi dei comportamenti appresi.<br />

Etnocentrismo: mettere al centro <strong>della</strong> realtà la propria cultura, per manifestare l’appartenenza etnica.<br />

Etologia: scienza che studia i comportamenti <strong>degli</strong> animali.<br />

Evoluzione: processo attraverso il quale le forme di vita semplici producono forme sempre <strong>più</strong> complesse.<br />

F<br />

Famiglia: nucleo fondamentale di una società.<br />

Feedback: informazione di ritorno.<br />

Fissazione: incapacità, da parte di un soggetto, di cogliere, in un determinato problema, un punto di vista<br />

nuovo.<br />

64


Glossario<br />

Fobia: disturbo ansiogeno; paura irrazionale per una situazione o per un oggetto.<br />

Frequenza: numero di volte che si presenta un evento o un fenomeno in un certo ambito ed in un<br />

determinato tempo.<br />

Frustrazione: stato psicologico attraverso il quale a qualcuno viene impedito di raggiungere <strong>degli</strong> scopi<br />

o di soddisfare dei desideri.<br />

G<br />

Gene: unità di trasmissione ereditaria.<br />

Generalizzazione: tendenza ad estendere le stesse risposte anche a stimoli che hanno qualche aspetto in<br />

comune.<br />

Genetica: scienza che studia tutti i meccanismi di trasmissione ereditaria dei geni.<br />

Gregarismo: tendenza, presente soprattutto negli animali, a vivere insieme.<br />

Gruppo: insieme di persone che sono vicine fisicamente e psicologicamente.<br />

Gruppo d’appartenenza: gruppo sociale cui un individuo fa riferimento e appartiene, perché ne condivide<br />

i valori, le norme e il modo di pensare.<br />

Gruppo di pari: gruppo di coetanei (spesso adolescenti), regolato e strutturato da norme che sono vincolanti<br />

per tutti i membri.<br />

I<br />

Identificazione: processo attraverso il quale un bambino, secondo la psicoanalisi, acquisisce e interiorizza<br />

le caratteristiche del genitore del proprio sesso.<br />

Ideologia: l’ideologia è un termine coniato nel 1796 da Destutt de Tracy e significa “scienza delle idee”.<br />

Nell’accezione marxiana assume il significato di falsa coscienza, perché gli individui, essendo alienati,<br />

si rappresentano la realtà in maniera mistificata.<br />

Immagazzinamento: conservazione dei ricordi codificati nel tempo.<br />

Inchiesta: tecnica per compiere indagini sulla realtà.<br />

Inconscio: insieme di processi psichici di cui non si ha esperienza diretta.<br />

Indice statistico: valore statistico che fornisce allo studioso, in modo immediato, un’idea di come vanno<br />

le cose.<br />

Inferenza: procedimento razionale che consiste nel passare, per induzione, da conoscenze sicure a<br />

conclusioni nuove su realtà che s’ignoravano.<br />

Informazione: processo con il quale si assumono e si trasmettono conoscenze.<br />

Input: informazione in entrata.<br />

Integrazione sociale: capacità da parte di un soggetto di adattarsi e di integrarsi ad un’altra cultura.<br />

Intelligenza: capacità di adattarsi in modo attivo a situazioni diverse.<br />

Interazione sociale: processo di comunicazione tra due o <strong>più</strong> persone fisicamente vicine, che s’influenzano<br />

reciprocamente.<br />

Interazionismo simbolico: indirizzo di <strong>sociologia</strong> che si fonda sul presupposto che gli uomini si<br />

comportano nella società in base ai significati che, attraverso il processo d’interazione, attribuiscono<br />

alle cose e agli altri.<br />

Interesse: impulso che induce un soggetto ad agire per conseguire un risultato.<br />

Intervista: tecnica per eseguire indagini statistiche.<br />

Istinto: comportamento fisso e stereotipato.<br />

Istituzione: insieme di norme durevoli che sopravvivono agli individui; tali norme formano un sistema<br />

di regole, che si tramandano da una generazione ad un’altra.<br />

Istogramma: grafico per rappresentare dati statistici.<br />

65


Glossario<br />

L<br />

Leader: soggetto capace di svolgere un ruolo decisivo sia nel controllare sia nel gestire il potere e le<br />

informazioni che circolano in un gruppo.<br />

Leadership: posizione e relativo ruolo di un leader in un gruppo.<br />

Libido: energia con la quale si manifesta la pulsione sessuale.<br />

Lingua: insieme di regole grammaticali e lessicali con le quali gli uomini di una comunità comunicano.<br />

Linguaggio: insieme di simboli con i quali si comunicano dei messaggi. Il linguaggio si compone di<br />

strutture (suoni, parole e regole di combinazioni) e di significati (segni convenzionali).<br />

Linguistica: scienza che studia il sistema dei suoni (fonologia), la formazione delle parole (morfologia)<br />

e le regole per dare una struttura alle frasi (sintassi).<br />

Livello d’aspirazione: obiettivo che un individuo, convinto <strong>della</strong> riuscita, si prefigge.<br />

M<br />

Manipolazione: influenza che alcuni esercitano, in maniera subdola, su altri.<br />

Marcatura del territorio: tecnica che utilizzano gli animali per stabilire il possesso di un territorio;<br />

vengono segnati i confini in modo tale che gli estranei, venendone a conoscenza, li rispettino.<br />

Marketing: tecnica che, attraverso l’analisi delle motivazioni e <strong>degli</strong> atteggiamenti dei consumatori,<br />

studia il mercato e aiuta a predisporre l’organizzazione delle vendite.<br />

Massa: moltitudine di soggetti che si trova in condizione di passività nei confronti del potere.<br />

Maturazione: processo di crescita fisiologica dell’individuo, che si risolve nella graduale e regolare<br />

modificazione del comportamento.<br />

Megalomania: tendenza a sopravalutare le proprie capacità.<br />

Metodo: procedimento attraverso il quale, elaborando giudizi e risolvendo problemi, si raggiungono gli<br />

obiettivi prefissati.<br />

Misantropia: pulsione di un generico disprezzo o odio per il genere umano.<br />

Misoginia: pulsione di un generico disprezzo e di rifiuto nei confronti del sesso femminile. Per alcuni<br />

studiosi tale pulsione è considerata un disturbo nevrotico.<br />

Misurazione: processo attraverso il quale si assegna un numero ad un evento o ad un fenomeno, secondo<br />

regole matematiche.<br />

Mobilità sociale: possibilità <strong>degli</strong> uomini, che vivono in una società, di spostarsi in modo ascendente o<br />

discendente da un ceto sociale ad un altro.<br />

Mobilitazione sociale: processo attraverso il quale si produce la mobilità sociale.<br />

Moda: indice statistico di posizione centrale.<br />

Mo<strong>della</strong>mento: procedimento che fa, in maniera graduale, assumere un comportamento, che si conforma<br />

a quello desiderato.<br />

Modernizzazione: processo di trasformazione socio-culturale di una società.<br />

Motivazione: forza interiore che fornisce al comportamento l’energia necessaria per indirizzarlo verso<br />

uno scopo.<br />

Mutamento sociale: qualsiasi cambiamento <strong>della</strong> struttura sociale.<br />

N<br />

Nevrosi: disturbo psichico che determina comportamenti dannosi, giacché l’individuo che ne è affetto,<br />

pur essendone consapevole, non riesce ad uscire da tale stato.<br />

Norma sociale: aspettativa dalla quale dipende l’agire o il non agire sociale <strong>degli</strong> individui.<br />

66


O<br />

Glossario<br />

Omeostasi: livello ottimale delle funzioni organiche, che si mantiene attraverso un meccanismo automatico<br />

di regolazione.<br />

Ontogenesi: sviluppo di un organismo dall’embrione alla vita adulta.<br />

Operazione: in psicologia, azione mentale caratterizzata dalla reversibilità del pensiero.<br />

Opinione: forma di giudizio che comporta una predizione dei comportamenti <strong>degli</strong> individui e <strong>degli</strong><br />

eventi.<br />

Ordine politico: sistema, attraverso il quale alcuni soggetti esercitano, dopo averlo acquisito, il potere<br />

politico sulla collettività.<br />

Organizzazione: complesso apparato, materiale ed immateriale, utile per raggiungere fini istituzionali.<br />

Orientamento: insieme di conoscenze, messe in atto, per indirizzare un soggetto verso scelte motivate.<br />

Osservazione: constatazione di eventi che si presentono in natura o nella realtà sociale.<br />

Output: informazione in uscita.<br />

P<br />

Pacificazione: superamento di uno stato di conflitto tra gli individui o d’aggressività di un gruppo verso<br />

gli altri.<br />

Parametro: costanza di una funzione, utile per definire la forma di una curva.<br />

Paura: reazione emotiva alla realtà circostante.<br />

Permanenza dell’oggetto: consapevolezza da parte di un bambino di circa otto mesi che gli oggetti<br />

continuano ad esistere anche quando scompaiono o quando, ad esempio, vengono nascosti.<br />

Personalità: insieme di caratteristiche e di modalità individuali; è sintesi di maturazione e d’apprendimento.<br />

Pigmalione: forma di pregiudizio; l’effetto Pigmalione è rappresentato dalle aspettative che ha qualcuno<br />

nei confronti di un altro. Ad esempio, le aspettative dell’insegnante, positive o negative, nei confronti<br />

di un alunno. Quest’ultimo ha, infatti, un alto livello di aspirazioni e un buon rendimento scolastico,<br />

se è tale l’aspettativa dell’insegnante; un basso livello di aspirazioni e uno scarso rendimento, se,<br />

anche in questo caso, è tale l’aspettativa dell’insegnante.<br />

Placebo: sostanza inerte, ma che, somministrata al posto di un farmaco attivo, produce, per autosuggestione,<br />

effetti sostitutivi e benefici per un paziente.<br />

Pluralismo: situazione in cui il potere è distribuito, all’interno di una società, tra gruppi e interessi diversi.<br />

Posizione: posto che si occupa nella vita sociale.<br />

Potere: particolare condizione con la quale si realizza una pressione psicologica e sociale su una persona<br />

o su un gruppo.<br />

Pragmatica: parte <strong>della</strong> linguistica che studia come debba essere usato il linguaggio nella vita sociale.<br />

Pregiudizio: predisposizione ben radicata, negativa o positiva, su persone, su oggetti e su gruppi sociali.<br />

Pressione sociale: tendenza a far cambiare comportamento e opinioni a persone o a gruppi.<br />

Prestigio sociale: valutazione sociale che viene accordata ad una posizione, indipendentemente dalla<br />

persona che la occupa.<br />

Problem solving: espressione inglese che designa le fasi da percorrere per risolvere concretamente un<br />

problema.<br />

Processo: svolgimento sequenziale di fenomeni in rapporto tra loro.<br />

Profezia che si autoadempie: comportamento involontario secondo le aspettative di qualcuno che valuta<br />

o discrimina un altro.<br />

Psicoanalisi: studio dei meccanismi psicologici inconsci e profondi <strong>della</strong> personalità.<br />

Psicologia: scienza che studia la personalità come sintesi di maturazione e apprendimento.<br />

67


Glossario<br />

Psicosi: disturbo psicologico che denota perdita di contatto con la realtà.<br />

Psicoterapia: uso di tecniche psicologiche per curare le malattie mentali.<br />

Pulizia etnica: tentativo e, talvolta, anche realizzazione di sterminio di intere popolazioni o generazioni,<br />

ritenute de facto nemiche e inferiori.<br />

Pulsione: spinta che un bisogno, sottostante alla coscienza, fornisce al comportamento per realizzare una<br />

gratificazione.<br />

Q<br />

Questionario: tecnica per realizzare una ricerca.<br />

Quoziente intellettivo: indicatore del livello d’intelligenza. Si calcola mettendo in rapporto l’età mentale<br />

e quella cronologica e moltiplicando il quoziente per cento.<br />

R<br />

Raggruppamento: tendenza, secondo la psicologia <strong>della</strong> Gestalt, ad organizzare gli stimoli in strutture<br />

coerenti.<br />

Razionalizzazione: meccanismo di difesa dell’Io.<br />

Razzismo: insieme di pregiudizi negativi di un soggetto, appartenente ad una determinata razza, nei<br />

confronti di un altro soggetto di una razza diversa.<br />

Reato: attività delittuosa.<br />

Recettore: dispositivo dell’organismo, sensibile agli stimoli periferici.<br />

Reificazione: capacità di oggettivare un concetto astratto.<br />

Retina: superficie interna dell’occhio sensibile alla luce e sulla quale cadono le immagini <strong>degli</strong> oggetti<br />

percepiti.<br />

Riapprendimento: apprendere nuovamente le informazioni temporaneamente dimenticate.<br />

Richiamo: riprodurre integralmente un’informazione.<br />

Riconoscimento: capacità di individuare un’informazione già memorizzata in precedenza.<br />

Riflesso: risposta automatica e immediata di un soggetto alle stimolazioni esterne.<br />

Rimozione: meccanismo per respingere nell’inconscio i ricordi e gli impulsi che il Super-io non ritiene<br />

accettabili.<br />

Rinforzo: evento che tende a far aumentare la probabilità che una risposta possa ripetersi.<br />

Ripetizione: un continuo ripetere alcune informazioni per immetterle nella memoria a lungo termine.<br />

Risposta: reazione ad una stimolazione fisica o psicologica, che si manifesta attraverso un comportamento.<br />

Rivoluzione: cambiamento rapido e radicale dei valori, delle norme e del modo di pensare <strong>degli</strong> uomini<br />

che vivono in una società.<br />

Ruolo: aspettativa bilaterale (ciò che un soggetto rappresenta in una determinata posizione e nello stesso<br />

tempo il comportamento richiesto deve essere verificabile e consequenziale).<br />

S<br />

Sanzione: positiva quando si è ricompensati per aver adeguatamente osservato le norme; negativa quando<br />

viene applicata la legge per i trasgressori delle norme.<br />

Scala: insieme di valori statistici; serve per stabilire le posizioni e gli intervalli lungo una dimensione.<br />

Scarto semplice medio: indice statistico di dispersione.<br />

Schema: concetto che interpreta e organizza un’informazione.<br />

68


Glossario<br />

Schizofrenia: forma di psicosi, caratterizzata da disorganizzazione logica e da una percezione alterata<br />

<strong>della</strong> realtà.<br />

Sé: personalità individuale, percepita soggettivamente.<br />

Secolarizzazione: processo sociale e culturale, attraverso il quale si sottrae, introducendo valori e norme<br />

laici, un soggetto al controllo ideologico e religioso.<br />

Segregazione: impiego di luoghi separati da parte di gruppi sociali diversi ed emarginati.<br />

Selettività: risposta percettiva nei confronti soltanto di alcuni stimoli.<br />

Semantica: studio del significato che deriva dall’interpretazione dei morfemi, delle parole e delle frasi.<br />

Semiotica: studio <strong>della</strong> natura dei segni linguistici.<br />

Sensazione: processo per individuare e identificare gli stimoli.<br />

Set percettivo: predisposizione psicologica e mentale a percepire solo alcuni elementi e non altri.<br />

Significatività statistica: grado d’affidabilità che una misura statistica rappresenti la realtà.<br />

Simbolo: elemento rappresentativo di una cosa diversa da quella utilizzata.<br />

Simbolo di status: indicatore di posizione sociale.<br />

Simulazione: rappresentazione, messa in atto per facilitare uno studio, <strong>degli</strong> elementi fondamentali di<br />

un fenomeno.<br />

Sintassi: insieme di regole che sono alla base sia <strong>della</strong> formazione sia <strong>della</strong> comprensione di un linguaggio.<br />

Socializzazione: assunzione da parte di un individuo dei valori, delle norme e delle convinzioni<br />

dell’ambiente circostante.<br />

Società: insieme di organizzazioni, di istituzioni, di gruppi e di individui.<br />

Sociobiologia: studio dell’evoluzione del comportamento sociale <strong>degli</strong> uomini. Tale studio si basa sui<br />

principi <strong>della</strong> selezione naturale.<br />

Sociogramma: grafico che rende evidente le interazioni e le dinamiche dei membri di un gruppo.<br />

Sociometria: rappresentazione grafica delle interazioni sociali e dei rapporti di rifiuto o d’attrazione tra<br />

i membri di un gruppo.<br />

Sociologia: scienza che studia, spiega e descrive l’agire sociale <strong>degli</strong> individui.<br />

Solidarietà: sentimento che i membri di un gruppo o di una comunità hanno per un reciproco sostegno<br />

e per un aiuto nei confronti di chi ha bisogno.<br />

Sondaggio d’opinione: inchiesta su un campione di popolazione per conoscere opinioni su determinati<br />

argomenti.<br />

Statistica: scienza che rileva e rappresenta i fenomeni collettivi o di massa.<br />

Stato: apparato legislativo, amministrativo, giudiziario e militare di una società.<br />

Status: posizione che occupa un individuo nella società.<br />

Stereotipo: valutazione precostituita, semplicistica e generalizzata; riguarda un gruppo o una categoria<br />

di persone.<br />

Stimolo: elemento esterno ad un individuo che determina una risposta.<br />

Stratificazione sociale: strutturata disuguaglianza tra i ceti sociali o tra le categorie di individui in ordine<br />

gerarchico.<br />

Stress di ruolo: condizione in cui si trova chi, nei rapporti quotidiani, è costretto ad interpretare ruoli<br />

diversi e conflittuali.<br />

Struttura: disposizione delle parti che formano un tutto.<br />

Subcultura: insieme di valori, norme e concezioni di un gruppo, che, all’interno di una società, si distingue<br />

dalla cultura dominante.<br />

Svantaggio: difficoltà, relativa, in un gruppo o in una società, a soggetti appartenenti ai nuclei familiari<br />

disagiati ed emarginati.<br />

69


Glossario<br />

T<br />

Tabù: ciò che, in alcune culture, è rigorosamente proibito e spesso anche sancito con punizioni severe.<br />

Tabulazione: trasferimento dei dati di una ricerca, dopo averli raccolti, su tabelle.<br />

Tasso di mortalità: numero annuo, nella misurazione statistica, di casi di morte in una determinata<br />

popolazione.<br />

Tasso di natalità: numero annuo, nella misurazione statistica, di casi di nascite in una determinata<br />

popolazione.<br />

Tecnica: strumento per raggiungere <strong>degli</strong> obiettivi.<br />

Temperamento: tendenza a provare stati emotivi; esso è anche l’intensità delle risposte che caratterizzano<br />

un individuo.<br />

Tempo di reazione: metodo fondato da Donders; consiste nel tempo che passa tra uno stimolo e la relativa<br />

risposta.<br />

Teoria: insieme di principi logici che analizzano ed organizzano la realtà.<br />

Territorialità: insieme di comportamenti che tendono a definire e a stabilire i confini di un territorio.<br />

Test: prova cui può essere sottoposto un soggetto allo scopo di misurarne l’intelligenza, studiarne la<br />

personalità e valutarne le attitudini.<br />

Tipo ideale: astrazione che il sociologo compie nell’osservare casi reali.<br />

Tradizione: un tramandare valori, norme e concezioni, ritenuti positivi e diffusi all’interno di una<br />

popolazione.<br />

Transfert: processo che mette in moto in un paziente l’esigenza di trasferire sul terapeuta le emozioni,<br />

legate ad altre relazioni.<br />

U<br />

Umore: disposizione emotiva per la quale un soggetto dà tonalità sgradevole o gradevole ai suoi stati<br />

psicologici.<br />

Universo: in senso statistico, è la popolazione che è rappresentata da un campione.<br />

Usi o folksways: usanze comuni o convenzioni <strong>della</strong> vita quotidiana.<br />

V<br />

Validità: misura che stabilisce il grado d’attendibilità di ciò che si vuole misurare.<br />

Variabile: elemento che viene, in un esperimento, preso in esame.<br />

Varianza: indice statistico di dispersione.<br />

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