Antologia degli autori più rappresentativi della sociologia
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<strong>Antologia</strong> <strong>degli</strong> <strong>autori</strong><br />
<strong>più</strong> <strong>rappresentativi</strong><br />
<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong><br />
Contenuti<br />
• Percorso 1<br />
Il contesto storico culturale<br />
nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>:<br />
Rivoluzione industriale<br />
e scientifico-tecnologica<br />
• Percorso 2<br />
Storia del pensiero sociologico<br />
obiettivi<br />
• Acquisire familiarità con il linguaggio proprio <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />
• Entrare nel vivo delle nozioni e dei concetti teorizzati dai principali <strong>autori</strong><br />
<strong>della</strong> disciplina, attraverso la lettura di brani tratti dalle loro opere <strong>più</strong><br />
importanti.
il contesto storico culturale<br />
nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>:<br />
Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
2<br />
❱❱ 1. L’immaginazione sociologica<br />
Su cosa si concentra l’interesse? Su di un grande potere statale, su di una tendenza<br />
letteraria particolare, una famiglia, una prigione, una fede? Ecco le questioni poste<br />
dai migliori sociologi. Sono i cardini intellettuali classici dello studio dell’uomo<br />
nella società, e sono le questioni che chiunque possegga immaginazione sociologica<br />
solleva. Questa facoltà consiste nel saper passare da una prospettiva ad un’altra: da<br />
una prospettiva politica ad una prospettiva psicologica, dall’esame di una singola<br />
famiglia a uno studio comparativo dei vari bilanci nazionali del mondo, dalla scuola<br />
di teologia alle istituzioni militari, dall’analisi dei problemi di un’industria petrolifera<br />
alla critica <strong>della</strong> poesia contemporanea. È la facoltà di abbracciare con la mente le<br />
trasformazioni <strong>più</strong> impersonali e remote e le reazioni <strong>più</strong> intime <strong>della</strong> persona umana<br />
e di fissarne il rapporto reciproco. A muoverla è sempre il bisogno di conoscere il<br />
senso sociale e storico dell’individuo nella società e nel periodo in cui ha vita e valore.<br />
Ecco, in breve, perché gli uomini sperano oggi di afferrare, mediante l’immaginazione<br />
sociologica, ciò che avviene nel mondo e di comprendere ciò che si svolge in loro<br />
stessi in quanto punti di intersezione <strong>della</strong> biografia e <strong>della</strong> storia nella società. La<br />
consapevolezza che l’uomo contemporaneo ha di se stesso come elemento esterno,<br />
se non addirittura estraneo, si fonda in gran parte sull’assorbimento del concetto<br />
<strong>della</strong> relatività sociale e del potere di trasformazione <strong>della</strong> storia. L’immaginazione<br />
sociologica è la forma <strong>più</strong> feconda di tale consapevolezza.<br />
❱❱ 2. La fisica sociale<br />
(C. Wright Mills, L’immaginazione s ociologica, il Saggiatore, Milano 1995)<br />
Uno scienziato, amici miei, è un individuo che sa prevedere; ap punto perché offre i<br />
mezzi per prevedere l’avvenire la scienza è utile e gli scienziati sono superiori a<br />
tutti gli altri uomini. La totalità dei fenomeni, di cui abbiamo conoscenza, è stata<br />
suddivisa in varie classi, conformemente a diversi sistemi, uno dei quali è il seguente:<br />
feno meni astronomici, fisici, chimici, fisiologici. Chiunque sceglie di de dicarsi<br />
allo studio delle scienze dà importanza a una di queste sud divisioni. Voi conoscete<br />
alcune fra le predizioni che gli astronomi fanno e sapete anche che essi annunciano<br />
le eclissi; tuttavia ne fanno una quantità di altre di cui vi disinteressate e sulle quali<br />
io non cercherò di intrattenervi; mi limiterò invece a dirvi due parole circa l’uso che<br />
di esse si fa: quanto siano utili lo sapete benissimo. La posizione rispettiva dei vari
punti <strong>della</strong> terra è stata esattamente determinata grazie alle predizioni <strong>degli</strong> astronomi;<br />
e sempre grazie a esse abbiamo i mezzi per navigare nei mari <strong>più</strong> vasti. Alcune<br />
fra le predizioni dei chimici vi sono familiari. Un chimico vi dice che po trete ottenere<br />
la calce mediante una pietra, ma non mediante un’altra; e vi dice che mediante una<br />
certa quantità di ceneri, ricavata da una pianta di una data specie, laverete la vostra<br />
biancheria al trettanto bene che con una quantità assai maggiore, ricavata da una<br />
pianta appartenente a una specie diversa; vi dice che mischiando una certa sostanza<br />
con un’altra otterrete un prodotto dotato di una certa apparenza, fornito di una certa<br />
proprietà.<br />
Il fisiologo, il quale si occupa dei fenomeni dei corpi organizzati, se, per esempio,<br />
siete ammalati, vi dice: Voi oggi provate i tali sin tomi, e domani proverete questi<br />
altri.<br />
Non crediate, però, che io voglia suggerirvi che gli scienziati pos sono prevedere<br />
tutto; niente affatto, essi non solo non possono, ma anzi, ne sono sicuro, riescono a<br />
prevedere con esattezza ben poche cose; però voi siete convinti quanto me che gli<br />
scienziati, ciascuno nel proprio campo, sono coloro che possono prevedere il maggior<br />
nu mero di cose; e di ciò non vi è dubbio, perché essi acquistano la reputazione di<br />
essere scienziati soltanto se le loro predizioni vengono verificate; oggi per lo meno<br />
le cose vanno in questo modo, ma nel passato era ben diverso. Perciò è necessario<br />
dare uno sguardo ai progressi compiuti dallo spirito umano; nonostante gli sforzi che<br />
vado compiendo per essere chiaro, non sono perfettamente sicuro di essere capito<br />
subito, alla prima lettura, ma, se vorrete riflettere un poco, finirete per riuscirvi.<br />
I primi fenomeni che l’uomo ha osservato con una certa continuità sono quelli astronomici;<br />
è ciò per l’ottimo motivo che sono anche <strong>più</strong> semplici. All’inizio dei suoi<br />
lavori nel campo dell’astronomia, l’uomo confondeva i fatti che osservava con quelli<br />
che immaginava, e questo guazzabuglio alquanto rudimentale, faceva le migliori<br />
combinazioni possibili al fine di soddisfare tutte le richieste di predizioni circa l’avvenire;<br />
in seguito egli si andò sbarazzando dei fatti creati dalla sua immaginazione e,<br />
dopo molto lavoro, finì per adottar e un sistema sicuro di perfezionamento di questa<br />
scienza. Gli astronomi accettarono soltanto i fatti constatati dall’osservazione, scelsero<br />
il metodo che meglio li collegava, e da allora cessarono di far compiere passi<br />
falsi alla scienza. Ogniqualvolta viene presentato un nuovo sistema, prima di accoglierlo,<br />
essi verificano se collega i fatti meglio di quello che avevano adottato; se un<br />
fatto nuovo viene aff ermato, si assicurano, mediante l’osservazione, che realmente<br />
esista. L’epoca di cui parlo (la <strong>più</strong> memorabile nella storia del progresso dello spirito<br />
umano), è quella in cui gli astronomi cacciarono dalla loro società gli astrologi. Inoltre<br />
debbo farvi notare che da allora gli astronomi sono divenuti individui buoni,<br />
modesti, hanno rinunciato fingere di conoscere ciò che invece ignorano, mentre anche<br />
voi, da parte vostra, avete cessato di rivolger loro la richiesta impertinente di leggervi<br />
il destino negli astri.<br />
I fenomeni chimici sono <strong>più</strong> complicati di quelli astronomici, e perciò l’uomo se ne<br />
occupò molto tempo dopo. Studiando la chimica esso è caduto negli stessi errori in<br />
cui cadde studiando l’astronomia; alla fine però i chimici riuscirono a sbarazzarsi<br />
<strong>degli</strong> alchimisti.<br />
La fisiologia si trova tuttora nella situazione sfavorevole attraverso quale dovettero<br />
passare anche le scienze astronomiche e chimiche; fisiologi devono cacciare dalla<br />
loro società i filosofi, i moralisti e i metafisici, come già gli astronomi cacciarono gli<br />
astrologi, e i chimici gli alchimisti.
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
4<br />
Noi, amici miei, siamo dei corpi organizzati; ed è appunto consi derando come fenomeni<br />
fisiologici i nostri rapporti sociali che io ho ideato il progetto che vi presento,<br />
ed è attraverso considerazioni tratte dal sistema di cui mi servo per collegare i fatti<br />
fisiologici che vi dimostrerò che il progetto che vi presento è buono.<br />
Una lunga serie di osservazioni ha permesso di constatare come ogni uomo provi, a<br />
un grado <strong>più</strong> o meno elevato, il desiderio di dominare la totalità <strong>degli</strong> altri uomini.<br />
Ragionando, si vede chiara mente che ogni uomo che non sia isolato, si trova in una<br />
posizione attiva o passiva di predominio nei suoi rapporti con gli altri.<br />
Voi stimate, e cioè accordate volontariamente una porzione di predominio nei vostri<br />
confronti a quegli individui i quali, secondo voi, fanno cose utili; e avete il torto,<br />
condiviso con tutta l’umanità, di non aver tracciato una linea di demarcazione abbastanza<br />
precisa fra le cose di un’utilità momentanea e quelle di una utilità duratura; tra<br />
quelle di interesse locale e quelle di interesse generale; tra quelle che procurano dei<br />
vantaggi a una parte dell’umanità, a scapito di tutti gli atri, e quelle che accrescono<br />
la felicità generale. Voi, infine, non vi rendete ancora ben conto che vi è un solo interesse<br />
comune a tutti gli uomini: quello del progresso delle scienze.<br />
Il sindaco del vostro villaggio vi procura certi vantaggi sui paesi vicini? ed ecco che<br />
voi ne siete entusiasti e lo circondate di stima. Gli abitanti delle città manifestano in<br />
modo analogo il desiderio di esercitare la loro superiorità sulle città vicine; le province<br />
rivaleggiano fra loro e tra le nazioni scoppiano lotte, determinate dall’interesse<br />
particolare, cui viene dato il nome di guerre. Negli sforzi che tutte queste frazioni<br />
dell’umanità compiono, quale parte tende diretta mente al bene generale? Una parte<br />
in verità assai esigua; e non è il caso di stupirsi, dal momento che l’umanità non ha<br />
ancora preso alcun provvedimento al fine di accordare collettivamente delle ri compense<br />
a coloro i quali riescono a compiere lavori di utilità ge nerale.<br />
(Henri de Saint-Simon, Lettere di un abitante dì Ginevra in Opere,<br />
Utet, Torino 1975)<br />
[Henri de Saint-Simon (1760-1825) filosofo francese, annoverato tra gli esponenti del socialismo utopistico,<br />
inizia a ipotizzare lo studio <strong>della</strong> società, senza tuttavia che possa essere considerato un precursore.]<br />
❱❱ 3. Lo sviluppo <strong>della</strong> cultura<br />
Ogni generazione, ogni uomo, non deve ricominciare da capo a imparare come si<br />
costruiscono gli utensili, i rifugi, come si caccia e come ci si difende dai pericoli<br />
dell’ambiente particolare in cui si vive. Si impara per imi tazione <strong>degli</strong> anziani e per<br />
un insegnamento impartito da questi ul timi in modo esplicito. Questo accade anche<br />
tra gli animali in modo rudimentale. In moltissime specie esiste una conoscenza<br />
istintiva, trasmessa dai geni, su come cacciare, fuggire, nutrirsi, e una conoscenza<br />
appresa per esperienza individuale. Vi è sempre inoltre una interazione tra conoscenza<br />
innata e conoscenza acquisita. La conoscenza innata e conoscenza acquisita. La<br />
conoscenza innata (come cammi nare, scappare, distinguere pericoli) è sempre arricchita<br />
da tentativi ed errori, dall’espe rienza, dalla memorizzazione di informazioni<br />
intorno all’habitat (facilitata dalla curiosità istintiva) e dall’esercizio, facilitato dal<br />
gioco (che è anch’esso mosso da spinte innate molto con tigue a quelle <strong>della</strong> curiosità<br />
e dell’esplorazione). Ma si tratta di conoscenze abbastanza semplici, anche se non<br />
sempre così semplici se si pensa alla conoscenza dei percorsi migratori <strong>degli</strong> uccelli,
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
e comunque con un nucleo abbastanza stabile e ripetitivo, privo di innovatività.<br />
Negli esseri umani queste conoscenze acquisite durante la vita dell’individuo sono,<br />
da un certo momento in poi (è il momento in cui esso si differen zia nettamente dalle<br />
altre specie), assai complesse e legate alla conoscenza razionale e alla memoria.<br />
Questa importanza delle tecniche acquisite, che utilizzano cioè molta informazione<br />
intorno all’ambiente particolare e memoria di questa informazione, viene attribuita<br />
da alcuni paleoantropologi al fatto che l’uomo, rispetto agli altri animali e anche rispetto<br />
agli altri primati, si trova ad avere un rap porto molto instabile con il suo ambiente<br />
particolare. Il fatto di non avere un ambiente fisso e uniforme comporta la<br />
necessità di accrescere le capacità di adattamento, cioè, ancor <strong>più</strong> che le semplici<br />
tecniche, le speciali tecniche per risolvere i problemi, o metatecniche.<br />
Questo significa che per l’uomo diventa decisiva, ancor <strong>più</strong> che la raccolta l’interpreta<br />
zione delle informazioni, l’acquisizione di un abito scientifico, l’assorbimento<br />
pratico nell’esplorazione sistematica e metodica del mondo. La trasmis sione <strong>della</strong><br />
conoscenza attraverso le generazioni viene decuplicata dall’invenzione <strong>della</strong> scrittura<br />
e <strong>della</strong> simbolizzazione astratta, dalla produzione dei concetti e delle categorie.<br />
L’influenza <strong>della</strong> scrittura sulla qualità <strong>della</strong> vita umana è stata fino a oggi passata in<br />
sott’ordine, laddove meriterebbe un esame approfondito, che è stato avviato stranamente<br />
solo di recente. Il passaggio a un mondo influenzato dalla scrittura costituisce<br />
la svolta <strong>più</strong> decisiva nella storia <strong>della</strong> società umana.<br />
Abbiamo detto che la tecnica si applica in due campi principali sin dagli albori <strong>della</strong><br />
vita conosciuta dell’uomo. Il primo campo è quello del progressivo accrescimento,<br />
per invenzioni nuove o per perfezionamento delle invenzioni, dell’efficacia delle<br />
modalità di dominio sull’ambiente. L’ambiente non è per l’uomo, diversamente dagli<br />
altri animali, una ristretta nicchia ecologica, ma un ampio universo continuamente<br />
mutevole; l’uomo vive perennemente sulla frontiera […]<br />
Ora l’accrescimento del dominio sull’ambiente è facilitato an zitutto dalle forme di<br />
cooperazione sociale e di divisione dei com piti. Troviamo la cooperazione sociale<br />
anche nelle specie diverse dall’uomo, nel campo <strong>della</strong> caccia, <strong>della</strong> difesa dai predatori<br />
e nella protezione dei piccoli. Ma è nella specie umana che l’organizzazione<br />
sociale per dominare l’ambiente diventa e stremamente articolata e complessa, e fa<br />
compiere un salto al dominio sul l’ambiente.<br />
La storia <strong>della</strong> diversità umana nasce qui, nell’intensificazione dell’efficacia organizzativa<br />
e nella capacità di trasmettere, e quindi di accumulare, le conoscenze tecniche.<br />
La trasmissione da una gene razione all’altra delle tecniche di dominio è ciò che differenzia<br />
l’uomo. Non tanto il linguaggio che, in forma rudimentale, appartiene anche<br />
agli animali, ma la capacità, semmai, di fare del linguaggio stesso, come di ogni altra<br />
facoltà attinente al dominio, un utensile versatile al servizio dell’organizzazione.<br />
Ancora oggi il linguaggio ha due fun zioni completamente diverse: una funzione<br />
espressiva, di comunicazio ne delle emozioni e <strong>degli</strong> affetti, di costituzione <strong>della</strong> relazione<br />
e <strong>della</strong> socialità e di conservazione e una funzione informativa, di trasmissione<br />
di dati, cognizioni intorno a delle tecniche. I due tipi di linguaggio possono contaminarsi<br />
a vi cenda, interferire fa loro, ma la loro funzione resta radi calmente diversa:<br />
o il linguaggio serve alla tecnica e al dominio, o serve agli affetti e alle relazioni<br />
È il primo tipo di linguaggio che, trasformandosi in scrittura, produce quell’enorme<br />
potenziamento delle funzioni mentali al servizio <strong>della</strong> tecnica che è rappresentato<br />
dalla memoria utilitaria. Attraverso la trasmissione orale linguistica prima e attraverso<br />
la scrittura poi, l’accumulo delle informazioni che viene reso possibile supera le<br />
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capacità mentali dell’individuo storico, diventa la memoria del gruppo e poi <strong>della</strong><br />
specie, diventa un deposito di dati (di un certo tipo di dati) che può essere accresciuto<br />
quasi senza limiti, uno strumento inconcepibilmente potente di dominio. Si può<br />
dire da questo punto di vista che la tecnica è anzitutto memoria e tecnica <strong>della</strong> memoria.<br />
Anche qui si deve tener conto che vi è l’altro tipo di memoria che non ha a che<br />
fare con le cose, con le modalità efficaci, con la tecnica, ma che riguarda le relazioni.<br />
La memoria delle persone («mi ricordo di te», «mi ricordo mia madre», «mi ricordo<br />
che mi hai aiutato») è un fatto affettivo e non intellettuale, contrapposto alla memoria<br />
delle cose. Essa è fatta di tante piccole e grandi emozioni, incontri gioiosi e ferite.<br />
La memoria delle cose, invece, è come una mappa; con la scrittura, la registrazione<br />
meccanica, i segni convenzionali essa può diventare sempre <strong>più</strong> ampia e dettagliata.<br />
La nostra conoscenza, che sta al servi zio del dominio e dell’efficacia, è come un gigantesco<br />
atlante, sempre <strong>più</strong> dettaglia to e continuamente ampliabile: atlante planetario<br />
dell’universo, dell’in finitamente grande, o atlante-mappa dell’infinitesimo, del<br />
suba tomico. I telescopi e microscopi elettronici continuano ad estendere illimitatamente<br />
questi atlanti.<br />
L’altro tipo di memoria, la memoria <strong>degli</strong> affetti, non può andare oltre la concreta<br />
esperienza storica di un individuo. La scrittura, la narrazione, possono parlarci delle<br />
emozioni, delle passioni di uomini appartenenti ad altre epoche, ma solo in quanto,<br />
in qualche modo, siamo poi in grado di sperimentare noi stes si questi affetti; e questo<br />
incontra dei limiti. L’espandibilità del la memoria affettiva è quasi niente se confrontata<br />
all’espandibilità teoricamente illimitata <strong>della</strong> memoria delle cose, che è all’origine<br />
del potere immenso sulle cose stesse, sull’ambiente, e sugli uomini stessi considerati<br />
come cose.<br />
La trasmissibilità delle informazioni sulle cose è dunque in sé la <strong>più</strong> importante delle<br />
invenzioni umane; essa ha effetti esplosivi, dirompenti; essa permette agli uomini<br />
di non ricominciare ogni volta da capo (per ogni generazione) a scoprire l’ambiente<br />
e il modo di domi narlo, e una volta scoperto questo vantaggio premia e favorisce<br />
mo dalità di organizzazione sociale che consentono la conservazione del l’informazione<br />
memorizzabile.<br />
(P. Maranini, Miseria dell’opulenza, Il Mulino, Bologna 1989)<br />
[Paolo Maranini è un sociologo italiano che studia la condizione dell’uomo nella società <strong>della</strong> tecnica e il<br />
conseguente controllo sociale, l’impatto delle trasformazioni tecnologiche sulla cultura e le risorse naturali.]<br />
❱❱ 4. La teoria dell’attore<br />
Per teoria dell’attore intendo una teoria capace di spiegare e di preve dere i modi in<br />
cui un individuo, partecipe d’uno o <strong>più</strong> sistemi sociali, ha agito o agirà in situazioni<br />
differenti, in presenza di differenti parametri iniziali <strong>della</strong> sua condizione, includendo,<br />
tra questi ultimi, stati interni quali emozioni, bisogni, scopi, valori, schemi interpretativi,<br />
processi di ra gionamento. Una teoria del genere parrebbe dover essere un<br />
elemento co stitutivo d’ogni teoria sociologica, in specie di quella che molti considerano<br />
pur sempre la teoria che meglio caratterizza la nostra disciplina, ovvero la teoria<br />
dei sistemi sociali. Priva d’una teoria dell’attore, la teoria del siste ma sociale si trasforma<br />
implicitamente in una sorta di behaviorismo acri tico. Le situazioni, i dati<br />
socioanagrafici, le affiliazioni di classe di partito o di cultura si configurano come
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
input in una scatola nera, il cui contenu to ignoto rappresenta appunto l’attore mancante,<br />
e dalla quale fuoriescono a titolo di output scioperi e voti, migrazioni e comportamenti<br />
devianti, pratiche religiose e ideologie.<br />
In tal modo, anziché modellizzato consapevolmente come titolare del l’iniziativa di<br />
agire, l’attore viene inferito a posteriori tramite l’analisi sta tistica dei risultati delle<br />
sue azioni e razionalizzazioni. In assenza d’un mo dello di soggetto agente cui riferirsi,<br />
l’analisi risulta orbata di incidenza cri tica in due direzioni: verso il modello, che<br />
in quanto assente non può ve nire modificato, rettificato, fatto evolvere ponendolo a<br />
fronte <strong>degli</strong> esiti delle predizioni e postdizioni in base ad esso formulate; e verso se<br />
stessa, poiché qualsiasi predicato, desunto dai suoi calcoli, appare plausibile quan do<br />
il soggetto sia, com’è, totalmente indeterminato. Non è questa l’ulti ma ragione <strong>della</strong><br />
scarsa cumulabilità delle ricerche sociologiche, che si av verte nella <strong>sociologia</strong> italiana<br />
forse <strong>più</strong> che in ogni altra <strong>sociologia</strong> nazio nale.<br />
Una teoria dell’attore possiede una precisa rilevanza anche sul piano epistemologico.<br />
Uno dei maggiori esiti dell’epistemologia del Novecento è consistito nel porre in luce<br />
le interrelazioni che sussistono tra osservatore e oggetto osservato. In base a tali esiti<br />
si conviene che non solo le osser vazioni dipendono dal sistema di coordinate dell’osservatore,<br />
ma la descri zione dell’oggetto osservato, sia esso un atomo, l’universo o<br />
qualsiasi og getto intermedio, riveste un senso solamente se è collegata in modo esplicito<br />
ad una descrizione dell’osservatore. Nell’analisi sociologica il proble ma si raddoppia.<br />
A fronte dei sistemi socioculturali in cui è inserito, il sog getto agente si pone<br />
come un osservatore, il quale dovrebbe dunque venire descritto al solo scopo di poter<br />
comprendere i sistemi che osserva. Tale de scrizione non può avere altra forma che<br />
una teoria dell’attore, un elemento portante <strong>della</strong> quale sono le rappresentazioni nella<br />
mente dell’attore dei si stemi sociali di cui fa parte o ai quali si riferisce.<br />
D’altra parte, a fronte del soggetto agente è il sociologo che si pone co me osservatore.<br />
Al fine di conferire un senso stabile alle proprie operazioni osservative, egli dovrebbe<br />
descrivere compiutamente se stesso, ma per far lo necessita di una teoria<br />
<strong>della</strong> costituzione dell’oggetto che specificamente osserva; oppure può affermare,<br />
sebbene con qualche rischio, di essere un osservatore allo stesso titolo in cui lo è<br />
l’attore che osserva. In ambedue i casi la mancanza d’una teoria locale del soggetto,<br />
che in ragione <strong>della</strong> sua localizzazione socioculturale conviene specificare come attore,<br />
porta l’a nalisi sociologica a ignorare questa doppia mediazione cognitiva, e a<br />
rica dere quindi sui sistemi oggetto come datità autonomamente costituite – illusione<br />
tipica del realismo ingenuo, benché talora avvolta in panni idea listici. […] Una teoria<br />
dell’azione risulta in genere vincolata all’am bito delle spiegazioni a posteriori <strong>degli</strong><br />
eventi osservati, poiché uno dei ca ratteri essenziali dell’azione umana consiste nel<br />
decidere caso per caso qual è il referente verso il quale si orienterà l’azione; ma per<br />
comprendere simi le processo di decisione è necessaria una teoria globale del soggetto<br />
agente, ovvero dell’attore. Le smentite, le sorprese alle quali sembra perennemente<br />
esposta la spiegazione sociologica sono dovute in notevole misura al non uso d’una<br />
teoria dell’attore.<br />
(Luciano Gallino, L’attore sociale, Einaudi, Torino 1987)<br />
[Luciano Gallino (1927) è uno dei <strong>più</strong> autorevoli sociologi italiani. Accanto alla teoria dell’attore sociale,<br />
ricordiamo i suoi studi nel campo del lavoro e dell’economia, con particolare riferimento alle conseguenze<br />
dello sviluppo delle nuove tecnologie, sia nel campo <strong>della</strong> produzione che <strong>della</strong> comunicazione.]<br />
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❱❱ 5. L’era di Frankenstein<br />
Nel suo romanzo Il mondo nuovo Aldous Huxley aveva profetizzato la fabbricazione<br />
in serie di esseri umani. In contenitori di laboratorio, gli embrioni si sarebbero sviluppati<br />
secondo la propria futura funzione nella scala sociale, dagli alfa destinati al<br />
comando fino agli epsilon prodotti per la servitù.<br />
Settanta anni dopo la biogenetica ci promette, come regalo del nascente millennio, una<br />
nuova razza umana. Cambiando il codice genetico delle generazioni future, la scienza<br />
produrrà esseri intelligenti, belli, sani, magari immortali, a seconda del prezzo che ogni<br />
famiglia potrà pagare. James Watson, premio Nobel, all’origine <strong>della</strong> struttura del DNA<br />
e capo del progetto genoma umano, ci predice l’avvento del dispotismo scientifico.<br />
Watson rifiuta qualsiasi limite alla manipolazione delle cellule riproduttrici umane:<br />
non ci deve essere «nessun limite né alla ricerca né al commercio». Ed aggiunge senza<br />
esitazioni «dobbiamo restare entro i limiti delle leggi e dei regolamenti esistenti».<br />
Gregory Pence, che tiene la cattedra di etica medica nell’università dell’Alabama,<br />
rivendica il diritto dei genitori a scegliersi quali figli avere, «nello stesso modo con<br />
cui gli allevatori realizzano incroci alla ricerca del cane <strong>più</strong> adatto per la famiglia».<br />
E l’economista Lester Thurow, del Massachusetts Institute of Technology, si chiede<br />
chi potrebbe rifiutarsi di programmare un figlio con elevato coefficente intellettuale.<br />
«Se non lo fa lei – avverte – lo faranno i suoi vicini, e suo figlio sarà il <strong>più</strong> stupido<br />
del quartiere».<br />
Se la fortuna ci accompagna, le maternità del futuro genereranno superbimbi uguali<br />
a questi geni. Il miglioramento <strong>della</strong> specie non richiederà <strong>più</strong> i forni a gas dove la<br />
Germania ha purificato la razza, né la chirurgia che gli Stati Uniti, la Svezia e altri<br />
paesi hanno applicato per evitare di riprodurre i prodotti umani di cattiva qualità. Il<br />
mondo fabbricherà persone geneticamente modificate, come già fabbrica alimenti<br />
geneticamente modificati.<br />
2001, odissea nello spazio: già siamo nel 2001 e già ci nutriamo di cibi chimici, come<br />
aveva annunciato oltre trent’anni fa il film di Stanley Kubrick. Oggi i giganti dell’industria<br />
chimica ci danno da mangiare. Questione di sigle: dopo il Ddt e il Pcb, che<br />
finalmente sono stati proibiti – da anni si sapeva che causavano <strong>più</strong> cancro che felicità<br />
– è arrivato il turno dei Gm, gli alimenti geneticamente modificati. Da Stati<br />
Uniti, Argentina e Canada i Gm invadono il mondo intero, e siamo tutti porcellini<br />
d’India in questo esperimento gastronomico dei grandi laboratori.<br />
In realtà, non sappiamo nemmeno cosa mangiamo. Tranne poche eccezioni, le etichette<br />
dei contenitori non ci avvertono se contengono ingredienti che hanno subito la<br />
manipolazione di uno o vari geni. Monsanto, il <strong>più</strong> grande fornitore in questo campo,<br />
non dà nessuna indicazione a proposito. Anche quando si tratta di latte che proviene<br />
da mucche che sono state trattate con <strong>degli</strong> ormoni transgenici <strong>della</strong> crescita.<br />
Secondo Lancet, giornale internazionale di servizi sulla salute, e secondo altre pubblicazioni<br />
scientifiche, questi ormoni favoriscono il cancro <strong>della</strong> prostata e del seno,<br />
ma la FDA (Food and Drug Administration) <strong>degli</strong> Stati Uniti ne <strong>autori</strong>zza la vendita<br />
senza nessuna menzione speciale sull’etichetta perché, in fin dei conti, questi ormoni<br />
accelerano la crescita, aumentano il rendimento e di conseguenza la redditività.<br />
Spazio alle priorità! E la prima è quella <strong>della</strong> salute sull’economia! In tutti i casi,<br />
quando Monsanto è obbligata a confessare quello che vende, come per esempio nel<br />
caso <strong>degli</strong> erbicidi, questo non cambia molto le cose. Qualche anno fa Monsanto ha<br />
dovuto pagare una multa per avere fatto 75 false dichiarazioni sulle etichette dei bidoni<br />
dell’erbicida Round-Up. 3000 dollari americani per ogni falsa etichetta.
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
Gli europei sono gli unici a difendersi, o almeno a cercare di difendersi. In Europa,<br />
l’importazione di prodotti di ingegneria genetica è proibita in certi casi e in altri sottomessa<br />
a controllo. Dal 1998 l’Unione europea esige delle etichette chiare per la soia<br />
geneticamente modificata ma è molto difficile mettere in pratica queste buone risoluzioni.<br />
La traccia si perde nelle manipolazioni successive: secondo Greenpeace, la soia<br />
OMG è presente già nel 60% di tutti gli alimenti messi in vendita nel mondo intero.<br />
Nelle manifestazioni ecologiste, un pesce gigante tiene un cartello con scritto: «Non<br />
toccate i miei geni», al suo fianco un pomodoro gigante chiede la stessa cosa. Nel<br />
mondo intero la protesta cresce. L’atteggiamento europeo è il risultato <strong>della</strong> pressione<br />
dell’opinione pubblica. Quando i contadini francesi distrussero dei campi di piante<br />
transgeniche a causa <strong>della</strong> nocività di questi prodotti per l’ecosistema, José Bové<br />
diventò un eroe nazionale e dichiarò: «Noi altri consumatori e contadini, nessuno ci<br />
ha mai consultato riguardo a questo. Mai!».<br />
Lo Stato francese, che l’aveva fatto arrestare, ritirò l’<strong>autori</strong>zzazione concessa per la<br />
coltivazione del mais inventato transgenico. Poco tempo dopo, l’impresa americana<br />
Kraft Foods dovette ritirare milioni di Tortillas di mais <strong>della</strong> marca Taco Bell in seguito<br />
alle denunce dei consumatori che erano stati vittime di allergie.<br />
Durante questo tempo, Madeleine Allbright, ex ministro <strong>degli</strong> affari esteri <strong>degli</strong> USA,<br />
diceva e ripeteva in Europa che non c’era nessuna prova che gli alimenti geneticamente<br />
modificati fossero nocivi alla salute o all’ambiente. Gli europei hanno anche<br />
altri motivi per non avere fiducia nelle piroette tecnocratiche sulla tavola da pranzo.<br />
Sono ancora scottati dalla loro recente esperienza con la mucca pazza. Mentre ruminavano<br />
foraggio e erba medica, durante migliaia di anni, le mucche si erano comportate<br />
con buon senso esemplare e avevano accettato rassegnate il proprio destino. E fu<br />
così, finché il folle sistema che ci dirige decise di obbligarle al cannibalismo. Le<br />
mucche mangiarono mucche, ingrassarono di <strong>più</strong>, garantirono all’umanità <strong>più</strong> carne<br />
e <strong>più</strong> latte, furono festeggiate dai padroni e applaudite dal mercato – e, di passaggio,<br />
impazzirono. Il fatto diede origine a parecchie battute di spirito, finché cominciò a<br />
morire la gente. Un morto, dieci, venti, cento...<br />
Nel 1996 il Ministero inglese <strong>della</strong> Sanità informava la popolazione che il sangue e<br />
le gelatine animali erano <strong>degli</strong> alimenti senza pericolo per il bestiame e inoffensivi<br />
per gli esseri umani.<br />
(Eduardo Galeano, «L’era di Frankenstein», il Manifesto, 10 gennaio 2001)<br />
[Eduardo Galeano (1940): scrittore e giornalista uruguaiano, si occupa di problemi sociali e politici legati<br />
alla globalizzazione e al neocolonialismo.]<br />
❱❱ 6. Avalutatività<br />
Si può dire che il concetto di avalutatività stia alla base <strong>della</strong> sua posizione, che si contrappone<br />
radicalmente alle altre tre con le quali Weber dissentiva. Dal punto di vista<br />
storicistico, lo studioso era talmen te radicato alla sua posizione culturale che la possibilità<br />
di trascenderla a favore di un nuovo livello di obbiettività era certamente problematica.<br />
Dal punto di vista marxista questo radicamento in un sistema sociocultu rale<br />
restava, ma era aggravato dall’impegno del movimento in favore del l’azione politica<br />
in nome dell’attuazione delle vedute dottrinali sull’ini quità del capitalismo e delle<br />
glorie future del socialismo. Il caso dell’uti litarismo è un po’ <strong>più</strong> complesso, ma non<br />
9
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
10<br />
veniva tracciata nessuna linea netta fra i fondamenti dell’obbiettività nel giudizio empirico<br />
da un lato è la difesa di determinate linee politiche dall’altro, perché quest’ultimo<br />
problema era ridotto completamente al livello delle preferenze puramente individuali.<br />
In contrasto con ciascuna di queste tre posizioni, quella di Weber si trova ad un livello<br />
di differenziazione molto <strong>più</strong> alto. Non è una pre tesa che lo scienziato sociale si<br />
astenga da qualsiasi impegno valutativo: ciò è messo perfettamente in chiaro dalla<br />
posizione presa in Wissenschaft als Beruf (La scienza come professione). La tesi è<br />
piuttosto che nel suo ruolo di scienziato lo studioso deve dare il primato ad un particolare<br />
sottosistema di valori nel quale i risul tati cercati del processo di indagine sono<br />
da un lato la chiarezza, coeren za e generalità dei concetti, e dall’altro la correttezza e<br />
verificabilità em piriche. Ma lo scienziato non è mai l’uomo totale e la comunità<br />
scientifica non è mai la società totale. È inconcepibile che una persona o una socie tà<br />
si esauriscano in questi termini e che debbano esserci un uomo o una società «totalmente»<br />
economici. In ruoli individuali diversi e in altri sottosistemi <strong>della</strong> società<br />
prevalgono naturalmente altre componenti di valore. Io interpreto dunque l’avalutatività<br />
come libertà di perseguire i valori <strong>della</strong> scienza entro i limiti rilevanti, senza che<br />
su questi si sovrap pongano valori contraddittori o irrilevanti rispetto a quelli dell’indagine<br />
scientifica. Questo comporta allo stesso tempo la rinuncia di qualsiasi pre tesa<br />
da parte dello scienziato a difendere, nella sua qualità di scienziato, delle posizioni di<br />
valore che abbiano una base di significato sociale e culturale <strong>più</strong> ampia di quella<br />
<strong>della</strong> sua scienza. Così dal punto di vista di Weber una espressione come «socialismo<br />
scientifico» è inaccettabile quanto lo sarebbe quella di «scienza cristiana» se il termine<br />
scienza vi fosse inteso nel senso empirico. Gli orientamenti di condotta dei movimenti<br />
politici non sono mai semplici applicazioni di conoscenza scientifica, ma implicano<br />
sempre delle componenti di valore che sono analiticamente indipendenti<br />
dalle scienze naturali o sociali. L’avalutatività implica inol tre per la scienza la possibilità<br />
di non essere vincolata ai valori di una qualunque cultura storica particolare.<br />
❱❱ 7. L’osservazione dei fatti sociali<br />
(Talcott Parsons, Teoria sociologica e società moderna,<br />
Etas Kompass, Milano 1971)<br />
La prima regola, quella fondamentale, è di «con siderare i fatti sociali come delle<br />
cose».<br />
Al momento nel quale diventa oggetto di scienza un nuovo ordine di fenomeni, questi<br />
si trovano già rappresentati nello spirito non soltanto mediante immagini sensibili,<br />
ma grazie a delle specie di concetti grossolanamente formati. Anteriormente ai<br />
primi rudi menti <strong>della</strong> fisica e <strong>della</strong> chimica, gli uomini avevano già – sui fenomeni<br />
fisico-chimici – delle nozioni che superavano la pura percezione; tali sono, per esempio,<br />
quelle che traviamo mescolate a tutte le religioni. Gli è che, effettivamente, la<br />
riflessione è anteriore alla scienza che non fa che servirsene con maggior metodo.<br />
L’uomo non può vivere in mezzo alle cose senza far sene delle idee in base alle quali<br />
regola il suo comportamento. Soltanto, poiché queste nozioni sono <strong>più</strong> vici ne a noi e<br />
<strong>più</strong> a nostra portata delle realtà alle quali corrispondono, tendiamo naturalmente a<br />
sostituirle a queste ultime ed a farne la materia stessa delle nostre speculazioni.<br />
Invece d’osservare le cose, di descriverle, di para gonarle, noi ci accontentiamo allora<br />
di prendere co scienza delle nostre idee, di analizzarle, di combinarle. […] Non è
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
dunque elaborandole, in qualsiasi maniera, che si arriverà a scoprire le leggi <strong>della</strong><br />
realtà. Queste sono, al contrario, come un velo che si interpone tra le cose stesse e<br />
noi, e che ce le maschera tanto meglio quanta <strong>più</strong> lo crediamo trasparente.<br />
Non soltanto una tale scienza non può essere che mutilata, ma ancora manca di materia<br />
che la possa ali mentare. Appena esiste, sparisce – per così dire – e si trasforma<br />
in arte. Infatti, queste nozioni sono sup poste contenere quanto v’è di essenziale nella<br />
realtà, dato che vengono confuse colla realtà stessa. […] Questo sconfinamento<br />
dell’arte sulla scienza, che impedisce a questa ultima di svilupparsi, è, d’altronde,<br />
facilitato dalle stesse circostanze che determinano il risveglio <strong>della</strong> riflessione scientifica.<br />
Perché, siccome questa non nasce che per soddisfare delle necessità vi tali, si<br />
trova naturalmente orientata verso la pratica. I bisogni che essa è chiamata a soddisfare<br />
sono sempre urgenti e, di conseguenza, la spingono a concludere; essi reclamano<br />
non delle spiegazioni, ma dei rimedi.<br />
Questa maniera di procedere è così conforme all’in clinazione naturale del nostro<br />
spirito, che la si ritrova persino all’origine delle scienze fisiche. È lei che diffe renzia<br />
l’alchimia dalla chimica, come l’astrologia dal l’astronomia. È per suo mezzo che<br />
Bacone caratterizza il metodo che seguivano i dotti del suo tempo e che egli combatte.<br />
Le nozioni delle quali abbiamo parlato sono quelle «notiones vulgares» o «praenotiones»<br />
che egli segnala alla base di tutte le scienze, dove prendano il posto dei<br />
fatti. Sono questi «idola», una specie di fantasmi che ci sfigurano il vero aspetto<br />
delle cose e che noi prendiamo tuttavia per le cose stesse. [...]<br />
Se questo è avvenuto colle scienze naturali, a mag gior ragione lo stesso doveva avvenire<br />
per la <strong>sociologia</strong>. Gli uomini non hanno atteso l’avvento <strong>della</strong> scienza sociale<br />
per farsi delle idee sul diritto, sulla morale, sulla famiglia, sullo Stato, sulla società<br />
stessa; perché non potevano farne a meno per vivere. Ora, è soprattutto in <strong>sociologia</strong><br />
che queste prenozioni – per riprendere l’espressione di Bacone – sono in condizioni<br />
di domi nare gli spiriti e di sostituirsi alle cose. Infatti, le cose sociali non si realizzano<br />
che per il tramite <strong>degli</strong> uomini; sono un prodotto dell’attività umana. Non sembrano<br />
quindi esser altro che la messa in opera di idee, innate o no, che noi partiamo<br />
dentro di noi; non altro che la loro applicazione alle differenti circostanze che accompagnano<br />
i rapporti <strong>degli</strong> uomini tra loro. L’organizza zione <strong>della</strong> famiglia, del contratto,<br />
<strong>della</strong> repressione, dello Stato, <strong>della</strong> Società appaiano perciò come un sem plice<br />
sviluppo delle idee che noi abbiamo <strong>della</strong> Società, dello Stato, <strong>della</strong> giustizia ecc. Di<br />
conseguenza, questi fatti ed altri loro analoghi sembrano non possedere una realtà<br />
che dentro e per le idee che ne sono il germe e che diventano, quindi, la materia propria<br />
<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />
Quello che finisce di fare completamente credito a questa maniera di vedere è il fatto<br />
che il particolare <strong>della</strong> vita sociale sconfina in tutti i sensi oltre i limiti <strong>della</strong> coscienza,<br />
e questa non ne ha una percezione sufficientemente netta per sentirne la realtà.<br />
Non aven do dentro di noi dei legami abbastanza solidi né abba stanza stretti, tutto<br />
questo ci fa, con sufficiente facilità, l’effetto di non avere una base e di galleggiare<br />
nel vuoto, materia semi-irreale e indefinitamente plastica. Ecco perché tanti uomini<br />
di pensiero non hanno veduto negli ordinamenti sociali che delle combinazioni artificiali<br />
e <strong>più</strong> o meno arbitrarie, Ma se il particolare, se le forme concrete e circostanziate<br />
ci sfuggono, almeno noi ci rappresentiamo all’ingrosso e approssimativamente<br />
gli aspetti <strong>più</strong> generali dell’esistenza collettiva, e sono pre cisamente queste rappresentazioni<br />
schematiche e som marie che costituiscono le prenozioni delle quali noi ci<br />
serviamo per gli usi correnti <strong>della</strong> vita. Non possiamo quindi immaginare di mettere<br />
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il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
12<br />
in dubbio la loro consistenza, poiché la percepiamo nello stesso tempo <strong>della</strong> nostra.<br />
Non soltanto esse sono in noi, ma, siccome sono un prodotto di esperienze ripetute,<br />
acquistano dalla ri petizione e dall’abitudine che ne risulta una specie d’ascendente e<br />
di <strong>autori</strong>tà. Le sentiamo resisterci quan do cerchiamo di liberarcene. Ora, noi non<br />
possiamo evitare di guardare come reale quello elle si oppone a noi. Tutto contribuisce<br />
quindi a farci vedere la vera realtà sociale.<br />
Effettivamente, fino ad oggi, la <strong>sociologia</strong> ha <strong>più</strong> o meno esclusivamente trattato non<br />
delle cose, ma dei concetti. Comte, è vero, ha proclamato che i fenomeni sociali sono<br />
dei fatti naturali, sottoposti alle leggi natu rali. Con questo ha implicitamente riconosciuto<br />
il loro carattere di cose. Perché non vi sono che delle cose nella natura. Ma<br />
quando, uscendo da queste generalità filosofiche, egli tenta d’applicare il principio e<br />
dedurre la scienza che vi era contenuta sono le idee che egli prende per oggetto di<br />
studio. Infatti, quello che forma soprattutto la materia principale <strong>della</strong> sua <strong>sociologia</strong>,<br />
è il progresso dell’umanità nel tempo. Parte dall’idea che si ha un’evoluzione continua<br />
del genere umano, consistente in una realizzazione sempre <strong>più</strong> completa <strong>della</strong> natura<br />
umana, ed il problema che egli tratta è la ricerca <strong>della</strong> legge di questa evoluzione.<br />
Ora, anche supponendo che questa evoluzione esi sta, la realtà sua non può essere<br />
stabilita che dopo la creazione <strong>della</strong> scienza. Non si può quindi farne l’oggetto stesso<br />
<strong>della</strong> ricerca se la si considera come una concezione dello spirito, non come una cosa.<br />
[…] Viceversa i fenomeni sociali sono delle cose e devono essere trattati come delle<br />
cose.<br />
❱❱ 8. Des esseintes a Parigi<br />
(Émile Durkheim, Le regole del metodo sociologico,<br />
Newton Compton, Roma 1971)<br />
Il suo disprezzo per l’umanità aumentò; si accorse che il mondo, per la maggior parte,<br />
è composto di sacripanti e di imbecilli. Non aveva <strong>più</strong> alcuna speranza di trovare<br />
in altri le sue stesse aspirazioni e ripugnanze, di incontrare un’intelligenza che, al pari<br />
<strong>della</strong> sua, si compiacesse in una studiosa decrepitezza, di unire uno spirito acuto e a<br />
tutto rilievo come il suo a quello di uno scrittore o di un letterato. […] Durante l’ultimo<br />
mese del suo soggiorno a Parigi, quando, deluso di tutto, abbattuto dall’ipocondria,<br />
schiacciato dallo spleen, era giunto a una tale sensibilità nervosa che la vista di<br />
un oggetto o di un essere spiacevole si imprimeva profondamente sul suo cervello e<br />
occorrevano parecchi giorni per cancellarne anche leggermente l’impronta, il volto<br />
umano appena intravisto per via era stato uno dei suoi <strong>più</strong> lancinanti supplizi.<br />
In realtà soffriva alla vista di certe fisionomie, considerava quasi come un insulto le<br />
espressioni pater ne o burbere di alcuni volti, sentiva una gran voglia di prendere a<br />
schiaffi quel tale che bighellonava chiudendo le palpebre con aria saputa, quell’altro<br />
che si dondolava sorridendo alla sua immagine davanti alle vetrine, quell’altro ancora<br />
che sembrava mettere sossopra un mondo di pensieri mentre divorava, con le sopracciglia<br />
contratte, tartine e fatti diversi di un giornale.<br />
Fiutava là sotto una così inveterata stupidaggine, una tale esecrazione per le sue proprie<br />
idee, un tal disprezzo per la letteratura, per l’arte, per tutto quello che lui adorava,<br />
bene impiantati in quegli stretti cervelli di bottegai, preoccupati solo di far birbanterie<br />
e di far soldi, accessibili solo a quella bassa distra zione <strong>degli</strong> spiriti mediocri che è la<br />
politica, che rientrava in casa pieno di rabbia e si chiudeva a chiave con i suoi libri.
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
Infine odiava con tutte le sue forze le nuove generazioni, figliate di ignobili tangheri<br />
che hanno il bisogno di parlare e di ridere forte nei ristoranti e nei caffè, che vi urtano<br />
senza domandarvi scusa sui marciapiedi, che vi gettano tra le gambe, senza il<br />
minimo cenno di scusa o di saluto, le ruote di una carrozzina da bambini.<br />
(Joris-Karl Huysmans, A ritroso, Rizzoli, Milano 1997)<br />
[Joris-Karl Huysmans (1848-1907). Scrittore francese, esponente del decadentismo.]<br />
❱❱ 9. il lavoro nel Medioevo<br />
Scomparso Carlo Magno, il centro culturale dell’Im pero non è <strong>più</strong> la corte. Scienza,<br />
arte, letteratura vengo no ormai dai conventi; nelle loro biblioteche, nei loro scriptoria<br />
e nelle loro officine si compie la parte <strong>più</strong> im portante <strong>della</strong> produzione intellettuale.<br />
Alla loro dili genza e alla loro ricchezza, l’arte dell’Occidente cristiano deve la sua<br />
prima fioritura. Moltiplicatisi i centri cultu rali per lo sviluppo dei conventi, le tendenze<br />
artistiche cominciano a differenziarsi nettamente. Non si deve cre dere che i monasteri<br />
fossero del tutto isolati; servivano a collegarli, se pur non molto strettamente, la<br />
comune dipendenza da Roma, l’influsso generale del monachesi mo irlandese e anglosassone<br />
e, <strong>più</strong> tardi, le congregazio ni di riforma <strong>degli</strong> ordini. Già il Bédier ha accennato<br />
ai loro contatti col mondo laico e alla loro funzione nei pellegrinaggi, in cui<br />
fungono da punti d’incontro fra pel legrini, mercanti e giullari. Ma nonostante questi<br />
rap porti con l’esterno, i conventi restano unità sostanzial mente autonome, raccolte in<br />
se stesse, e <strong>più</strong> tenacemente fedeli alle loro tradizioni di quel che non fosse prima la<br />
corte, sensibile al variare delle mode, o di quel che sarà, <strong>più</strong> tardi, la società borghese.<br />
La regola benedettina prescriveva il lavoro manuale come quello intellettuale, e metteva<br />
l’accento soprattut to sul primo. Come il feudo, così il convento cercava di sviluppare<br />
per quanto possibile un’economia autarchica, producendo tutto il necessario.<br />
L’attività dei monaci si estendeva dal lavoro nei campi e negli orti all’artigia nato. Fin<br />
dal principio i lavori <strong>più</strong> pesanti furono sbrigati in gran parte dai contadini liberi e<br />
dai servi e, <strong>più</strong> tardi, anche dai frati laici; ma l’artigianato, specie nei primi tempi, era<br />
esercitato soprattutto dai monaci; e proprio attraverso l’organizzazione del lavoro<br />
artigiano il monachesimo ha esercitato il <strong>più</strong> profondo influsso sullo sviluppo dell’arte<br />
e <strong>della</strong> cultura medievale. Se la produ zione artistica procede in forma <strong>più</strong> ordinata,<br />
con una certa divisione del lavoro, con metodi <strong>più</strong> o meno razio nali, e se anche elementi<br />
<strong>della</strong> classe superiore attendono al suo esercizio, è tutto merito <strong>degli</strong> ordini<br />
monastici. È noto che nei conventi dell’alto Medioevo prevalevano gli aristocratici;<br />
certi conventi erano quasi esclusivamente riservati a loro. Così persone che altrimenti<br />
non avreb bero mai preso in mano un pennello sporco, uno scal pello o una cazzuola,<br />
entrarono direttamente in contatto con le arti figurative. Certo, il disprezzo per il<br />
lavoro manuale è ancora molto diffuso nel Medioevo, e l’idea del «signore» resta a<br />
lungo inscindibile da quella <strong>della</strong> vita oziosa; ma non c’è dubbio che ora, contrariamente<br />
a quel che accadeva nell’antichità, accanto alla vita si gnorile, legata a un ozio<br />
illimitato, anche la vita labo riosa acquista un suo valore positivo, e questo nuovo<br />
atteggiamento verso il lavoro si ricollega, fra l’altro, alla popolarità <strong>della</strong> vita monastica.<br />
Ancora nel tardo Medio evo, nell’etica borghese del lavoro, quale si esprime, ad<br />
esempio, negli statuti delle corporazioni, riecheggia lo spirito <strong>della</strong> regola conventuale.<br />
Non si può dimenticare, d’altronde, che nei conventi il lavoro viene ancora<br />
13
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
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con siderato, in parte, come penitenza e punizione; e an che san Tommaso parla di<br />
viles artifices (Comm. in Polit., 3. I. 4). Di una nobilitazione <strong>della</strong> vita ad opera del<br />
lavoro non è ancora possibile parlare.<br />
Dai monaci l’Occidente ha appreso a lavorare con me todo; l’industria del Medioevo<br />
è in gran parte opera lo ro. Gli artigiani, ancora abbastanza numerosi nelle città come<br />
eredi dell’antica industria romana, lavorarono – fino alla rinascita dell’economia<br />
urbana – in limiti molto modesti, e diedero uno scarso contributo allo sviluppo delle<br />
tecniche industriali. Certo, artigiani specializzati erano attivi anche presso le corti<br />
palatine e nei maggiori feudi; ma essi appartenevano alla casa del re o alla ser vitù, e<br />
il loro lavoro conservava un carattere di attività domestica, ispirata alla tradizione<br />
piuttosto che a finalità razionali. Solo nei conventi l’artigianato si svincola dall’ambito<br />
domestico. È nei conventi che si apprende a far economia di tempo, a dividere e<br />
utilizzare razional mente la giornata, a misurare lo scorrere delle ore e ad annunciarle<br />
col tocco <strong>della</strong> campana. La divisione del lavoro diventa il principio fondamentale<br />
<strong>della</strong> produzio ne.<br />
[Arnold Hauser (1892-1978) storico dell’arte d’origine ungherese.]<br />
❱❱ 10. il tao <strong>della</strong> fisica<br />
(Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1955)<br />
Più si studiano i testi religiosi e filosofici <strong>degli</strong> Indù, dei Buddhisti e dei Taoisti, <strong>più</strong><br />
risulta evidente che in ognuno di essi il mondo è concepito in termini di movi mento,<br />
di flusso e di mutamento. Questa qualità dina mica <strong>della</strong> filosofia orientale sembra<br />
essere una delle sue caratteristiche <strong>più</strong> importanti. I mistici orientali vedono l’universo<br />
come una rete inestricabile, le cui intercon nessioni sono dinamiche e non statiche:<br />
Questa rete cosmica è viva: si muove, cresce e muta continuamente. Anche la fisica<br />
moderna è giunta a concepire l’universo come una siffatta rete di relazioni e, come il<br />
misticismo orientale, ha riconosciuto che questa rete è intrinseca mente dinamica. […]<br />
La fisica moderna, quindi, rappresenta la materia non come passiva e inerte, bensì in<br />
una danza e in uno stato di vibrazione continui, le cui figure ritmiche sono determinate<br />
dalle strutture molecolari, atomiche e nu cleari. Questo è anche il modo in cui i<br />
mistici orientali vedono il mondo materiale. Essi sottolineano tutti che l’universo deve<br />
essere afferrato nella sua dinamicità, mentre si muove, vibra e danza; che la natura<br />
non è in equilibrio statico ma dinamico. Per usare le parole di un testo taoista: «La<br />
quiete in quiete non è la vera quiete. Soltanto quando c’è quiete in movimento può<br />
apparire il ritmo spirituale che pervade cielo e terra».<br />
In fisica ci accorgiamo <strong>della</strong> natura dinamica dell’u niverso non soltanto quando<br />
scendiamo alle piccole dimensioni – al mondo <strong>degli</strong> atomi e dei nuclei – ma anche<br />
quando ci rivolgiamo alle dimensioni molto grandi, al mondo delle stelle e delle<br />
galassie. Mediante i nostri potenti telescopi osserviamo un universo in moto incessante:<br />
nubi di gas idrogeno in rotazione si contrag gono per formare stelle, riscaldandosi<br />
durante questo processo fino a diventare fuochi che ardono nel cielo. Quando<br />
hanno raggiunto quello stadio, esse continuano ancora a ruotare, ed alcune emettono<br />
nello spazio mate riali che si muovono a spirale verso l’esterno e si conden sano in<br />
pianeti, i quali ruotano a loro volta attorno alla stella. Infine, dopo milioni di anni,<br />
quando la stella ha consumato la maggior parte del suo combustibile, costi tuito da
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
idrogeno, essa si espande e poi si contrae nuo vamente nella fase finale dei collasso<br />
gravitazionale. Durante questa fase di forte contrazione possono avve nire esplosioni<br />
gigantesche e la stella può persino tra sformarsi in un buco nero. Tutte queste attività<br />
– la formazione di stelle dalle nubi di gas interstellari, la loro contrazione e successiva<br />
espansione e il loro collasso finale – possono essere osservate effettivamente in<br />
un qualche punto del cielo.<br />
Queste stelle che ruotano, che si contraggono, che si espandono o che esplodono sono<br />
raggruppate in galassie di forme svariate – dischi piatti, sfere, spirali, ecc. – che a loro<br />
volta non sono in quiete ma ruotano. La nostra galassia, la Via Lattea, è un immenso<br />
disco di stelle e gas che gira nello spazio come un’enorme ruota, cosicché tutte le sue<br />
stelle – compreso il Sole e i suoi pianeti – si muovono intorno al centro <strong>della</strong> galassia.<br />
In effetti, l’universo è pieno di galassie disseminate nell’intero spazio che riusciamo<br />
ad osservare, e tutte sono in rota zione come la nostra.<br />
Quando studiamo l’universo nel suo insieme, con i suoi milioni di galassie; raggiungiamo<br />
la massima scala di spazio e tempo; e ancora una volta, a quel livello cosmico,<br />
scopriamo che l’universo non è statico, bensì in espansione! Fu questa una delle <strong>più</strong><br />
importanti scoperte dell’astronomia moderna. Un’analisi precisa <strong>della</strong> luce, proveniente<br />
dalle galassie lontane ha rivelato che l’inte ro complesso delle galassie si<br />
espande e che lo fa seguen do uno schema preciso: la velocità di recessione di ogni<br />
galassia che osserviamo è proporzionale alla distanza <strong>della</strong> galassia stessa. Quanto<br />
<strong>più</strong> essa è distante, tanto <strong>più</strong> velocemente si allontana da noi; se si raddoppia la distanza,<br />
raddoppia anche la velocità di rècessione. Ciò è vero non solo per le distanze<br />
misurate a partire dalla nostra galassia, ma vale con qualsiasi punto di riferi mento. In<br />
qualunque galassia vi capitasse di trovarvi, osservereste le altre galassie allontanarsi<br />
velocemente da voi: le galassie <strong>più</strong> vicine si allontanerebbero alla velocità di alcune<br />
migliaia di chilometri al secondo, le <strong>più</strong> lontane a velocità superiori, e quelle lontanissime<br />
a velocità prossime a quella <strong>della</strong> luce. La luce delle galas sie che si trovano<br />
ancora <strong>più</strong> lontane non ci raggiungerà mai, in quanto esse si allontanano da noi <strong>più</strong><br />
velocemen te <strong>della</strong> velocità <strong>della</strong> luce. La loro luce è, secondo le parole di Sìr Arthur<br />
Eddington, «come un corridore su una pista in espansione con il traguardo che si<br />
allontana <strong>più</strong> rapidamente di quanto egli riesca a correre».<br />
Per formarci un’idea <strong>più</strong> precisa del modo in cui l’universo . si espande, dobbiamo<br />
ricordare che lo sche ma teorico adatto per studiarne le caratteristiche su larga scala è<br />
là teoria generale <strong>della</strong> relatività di Ein stein. Secondo questa teoria, lo spazio non è<br />
«piatto», ma «curvo», e il modo preciso in cui esso è incurvato è legato alla distribuzione<br />
di materia secondo le equazioni einsteiniane del campo. Queste equazioni<br />
possono esse re usate per determinare la struttura dell’universo nel suo insieme: esse<br />
sono il punto di partenza <strong>della</strong> cosmo logia moderna. […]. L’universo si espande [in<br />
questo] modo: qualunque sia la galassia nella quale un osservatore si trovi, tutte le<br />
altre galassie si allontaneranno da lui. Viene spontaneo porsi la seguente domanda a<br />
propo sito dell’universo in espansione: in quale modo ha avuto inizio tutto ciò? Dalla<br />
relazione tra la distanza di una galassia e la sua velocità di recessione – nota come<br />
legge di Hubble – si può calcolare il momento iniziale dell’e spansione, o, in altre<br />
parole, l’età dell’universo. Suppo nendo che non vi sia stata alcuna variazione nella<br />
veloci tà di espansione, il che non è affatto certo, si ottiene un’età dell’ordine di dieci<br />
miliardi di anni. Questa, quindi, è l’età dell’universo. Oggi, la maggior parte <strong>degli</strong><br />
studiosi di cosmologia crede che l’universo sia venuto in essere in un drammatico<br />
evento all’incirca dieci miliardi di anni fa, quando l’intera sua massa scaturì dall’esplo-<br />
15
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
16<br />
sione di una piccola sfera di fuoco pri mordiale. L’attuale espansione dell’universo è<br />
vista come la spinta residua di questa esplosione iniziale. Secondo tale modello del<br />
«big-bang» (grande esplo sione), l’istante in cui avvenne questa gigantesca esplo sione<br />
segnò l’inizio dell’universo e l’inizio dello spazio e del tempo. Se vogliamo sapere<br />
cosa c’era prima di quel momento, incontriamo nuovamente serie di difficoltà di<br />
pensiero e di linguaggio. Come dice Sir Bernard Lovell: «Qui raggiungiamo la grande<br />
barriera del pensiero, perché cominciamo a lottare con i concetti di spazio e tempo<br />
prima che essi esistessero così come noi li conosciamo in base alla nostra esperienza<br />
quotidiana. Mi sento come se fossi improvvisamente entrato in un grande<br />
banco di nebbia nel quale il mondo familiare è scomparso».<br />
Per quanto riguarda il futuro dell’universo in espan sione, le equazioni di Einstein non<br />
forniscono una rispo sta univoca, ma sono compatibili con parecchie soluzio ni che<br />
corrispondono a differenti modelli dell’universo.<br />
Alcuni modelli prevedono che l’espansione continuerà per sempre; secondo altri,<br />
l’espansione sta rallentando e alla fine diventerà una contrazione. Questi modelli descrivono<br />
un universo oscillante, che si espande per mi liardi di anni, poi si contrae fino<br />
a quando la sua massa totale è concentrata in una piccola sfera di materia, quindi si<br />
espande nuovamente e così via, in un processo senza fine.<br />
Questa idea di un universo che periodicamente si espande e si contrae, nella quale<br />
compare una scala di tempo e spazio di proporzioni enormi, è comparsa non solo<br />
nella cosmologia moderna, ma era già presente nell’antica mitologia indiana. Gli Indù,<br />
che percepiva no l’universo come un cosmo organico e in movimento ritmico, furono<br />
in grado di elaborare cosmologie evolu tive che si avvicinano molto ai nostri modelli<br />
scientifici moderni. Una di queste cosmologie è basata sul mito indù di lila – il gioco<br />
divino – nella quale Brahman si trasforma nel mondo. Lila è un gioco ritmico che<br />
conti nua in cicli senza fine, durante i quali l’Uno diviene i molti e i molti ritornano<br />
nell’Uno. Nella Bhagavad Gita, il dio Krsna descrive il gioco ritmico di creazione<br />
con le seguenti parole: «Tutti gli esseri... alla fine di un kalpa [o ciclo cosmi co] tornano<br />
alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo io li emetto.<br />
«Avvalendomi di quella realtà che è la mia propria, sempre di nuovo emetto tutta<br />
questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento che giace sotto il<br />
dispotismo <strong>della</strong> prakrti [o natura].<br />
«E tali atti non mi vincolano neppure, o possessore <strong>della</strong> ricchezza, poiché io sto a<br />
sedere come colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da attacca mento<br />
in questi atti.<br />
«Avendo me come guida, la natura dà origine all’in sieme delle cose mobili e delle<br />
immobili; con questo mezzo [per questa via]... il mondo si volge e di nuovo si volge».<br />
I saggi indù non ebbero timore di identificare questo ritmico gioco divino con l’evoluzione<br />
del cosmo nel suo insieme. Essi ritenevano che l’universo si espandesse e si<br />
contraesse periodicamente e diedero il nome di kalpa all’inimmaginabile intervallo<br />
di tempo che va dall’inizio alla fine di una creazione. La grandiosità di questo antico<br />
mito è in realtà impressionante: alla mente uma na sono occorsi <strong>più</strong> di duemila anni<br />
per arrivare di nuovo a un concetto simile.<br />
(Fritjof Capra, Il Tao <strong>della</strong> fisica, Adelphi, Milano 1982)<br />
[Fritjof Capra (1939). Fisico austriaco, studia le implicazioni filosofiche <strong>della</strong> scienza moderna mettendo in<br />
luce l’armonia tra la saggezza orientale e le concezioni <strong>più</strong> recenti <strong>della</strong> scienza occidentale, i temi ecologici<br />
dello sviluppo sostenibile e <strong>della</strong> complessità.]
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
❱❱ 11. La nascita del mercato mondiale<br />
A partire dal XVI secolo, si formò nell’area atlantica un grande cir cuito commerciale,<br />
noto come «commercio triangolare», imper niato sulla tratta <strong>degli</strong> schiavi africani.<br />
Il circuito comprendeva tre di stinti tratti, collegati l’uno all’al tro: tessili e altri manufatti<br />
(in ge nere di bassa qualità) venivano in viati dall’Europa all’Africa per es sere<br />
scambiati con schiavi; gli schiavi venivano inviati dall’Afri ca alle Americhe, dove<br />
erano ven duti per acquistare prodotti agricoli e metalli; tali prodotti, frutto del lavoro<br />
<strong>degli</strong> schiavi nelle pian tagioni e nelle miniere, venivano inviati dalle Americhe in<br />
Europa per essere venduti sui mercati na zionali.<br />
Chi gestiva quest’ultimo tratto del commercio triangolare realiz zava i profitti maggiori.<br />
Con lo sviluppo del circuito si formarono, però, compagnie mercantili che, a<br />
differenza dei singoli mercanti e delle compagnie minori, erano in grado di gestire<br />
tutti e tre i tratti del commercio triangolare.<br />
In Inghilterra, le cui sole impor tazioni di zucchero dalle Indie oc cidentali si quintuplicarono<br />
tra il 1720 e la fine del secolo, la famiglia Cunliffes di Liverpool allestì nel<br />
1753 quattro navi, che effettuava no due o tre viaggi all’anno lungo lo stesso circuito.<br />
Raggiunta l’A frica occidentale, le merci che era no a bordo venivano scambiate con<br />
schiavi. Quindi gli schiavi, in media 1210 per viaggio, erano tra sportati e venduti<br />
nelle Indie occi dentali e in Nord America. Infine, le navi rientravano a Liverpool cariche<br />
di zucchero e altri prodotti, acquistati col ricavato <strong>della</strong> vendi ta <strong>degli</strong> schiavi.<br />
Grazie al commer cio triangolare, il traffico registra to nel porto di Liverpool passò da<br />
circa 18mila tonnellate nel 1719 ad oltre 260mila nel 1792.<br />
Mercanti come i Cunliffes realiz zavano in tal modo profitti anche del 300%, che<br />
permettevano loro di accumulare colossali fortune. L’espressione «ricco come un<br />
West Indian» diventò di uso corrente per indicare chi si era arricchito con il commercio<br />
delle Indie occi dentali. I <strong>più</strong> facoltosi – come Samuel Fludyer, la cui fortuna<br />
venne valutata nel 1767 in circa 900mila sterline, e William Beckford, dive nuto nel<br />
1770 sindaco di Londra non lesinavano mezzi per acqui stare un seggio in parlamento.<br />
A causa delle forti rivalità da parte <strong>degli</strong> aristocratici, solo pochi (ap pena dodici<br />
nel 1761) riuscirono ad arrivarvi, ma essi rappresenta vano il gruppo politico che concentrava<br />
nelle proprie mani una crescente ricchezza, soprattutto sotto forma di denaro<br />
liquido.<br />
Il commercio triangolare creava così, in Inghilterra e in altri paesi europei, le condizioni<br />
di una profonda trasformazione economica, sociale e politica: la borghesia<br />
mercantile e bancaria (le cui radici affondavano nel Medioevo), avva lendosi <strong>della</strong><br />
crescente forza eco nomica che andava acquisendo con lo sviluppo del capitalismo<br />
mercantile, dava la scalata al pote re politico, in cui predominava l’a ristocrazia.<br />
Sempre a partire dal XVI secolo, il collegamento dell’area commercia le atlantica con<br />
quella asiatica, tra mite l’Europa, determinava la for mazione di una rete mercantile<br />
che copriva tutti i continenti e, quindi, la nascita di un mercato mondiale.<br />
La novità di tale mercato consi steva non tanto nella sua estensio ne: il commercio<br />
intercontinentale era stato praticato, pur in misura minore, sin dall’antichità. Essa<br />
con sisteva soprattutto nel fatto che, al la sua base, c’era lo sfruttamento coloniale<br />
delle risorse umane e ma teriali, esercitato dalle potenze eu ropee in America, Africa<br />
e Asia, praticamente su scala planetaria.<br />
Ciò rendeva possibile in Europa un nuovo tipo di accumulazione, sia da parte <strong>della</strong><br />
nobiltà che dete neva il potere politico, sia da parte <strong>della</strong> borghesia in fase di ascesa:<br />
la loro ricchezza, infatti, non pro veniva <strong>più</strong> solo dalla fonte tradi zionale – il lavoro<br />
17
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
18<br />
dei contadini e <strong>degli</strong> artigiani – ma, in misura crescente, dallo sfruttamento delle<br />
colonie d’oltremare e dal controllo delle principali rotte commerciali.<br />
Furono l’oro e l’argento delle Ame riche a determinare in Europa la pri ma grande<br />
trasformazione economi ca: essi si convertirono in domanda di beni di consumo e<br />
strumentali (tessili, derrate alimentari, armi, na vi) che stimolarono la produzione industriale.<br />
Lo sviluppo del commercio trian golare e la conseguente formazio ne di un mercato<br />
mondiale provocarono un radicale mutamento nella geografia economica euro pea: il<br />
baricentro si spostò dal Me diterraneo al Mare del Nord. Nel XV secolo, la regione<br />
mediterra nea era stata la <strong>più</strong> florida del mondo (con l’Italia centro-setten trionale come<br />
cardine) e nel XVI secolo aveva accresciuto la sua prosperità con le ricchezze affluite<br />
in Spagna e Portogallo dalle Ame riche. Nel XVII secolo, invece, essa fu emarginata<br />
dallo sviluppo <strong>della</strong> regione del Mare del Nord, dovuto al prevalere <strong>della</strong> potenza<br />
econo mica olandese e, successivamente, di quella inglese che le aveva strappato<br />
la supremazia.<br />
Allo stesso tempo, lo sviluppo del commercio triangolare e la for mazione del mercato<br />
mondiale crearono in Europa le condizioni per un ulteriore cambiamento: la trasformazione<br />
capitalistica del sistema produttivo attraverso l’indu strializzazione,<br />
successivamente denominata «rivoluzione industriale», che iniziò in Inghilterra attorno<br />
alla metà del XVIII secolo. Fu lo sfruttamento coloniale delle ri sorse umane e<br />
materiali dell’Ame rica, Africa e Asia, nel quadro del commercio triangolare e del<br />
na scente mercato mondiale, a creare la base economica (capitali, produ zioni, mercati)<br />
che, unitamente ad altri fattori (anzitutto le continue innovazioni tecnologiche sin<br />
dal Medioevo), determinò in Europa il passaggio dal capitalismo mercantile al capitalismo<br />
indu striale e il conseguente sviluppo del processo di industrializzazione. Le<br />
nuove colture (mais, patate, pomodori), portate in Europa dall’America meridionale,<br />
e l’introdu zione di nuove tecniche nella colti vazione e nell’allevamento fecero aumentare<br />
la produzione agricola, migliorando il regime alimentare e incrementando<br />
così la crescita de mografica. Nelle campagne ingle si venne a crearsi in tal modo, per<br />
effetto dell’accresciuta produttivi tà e dell’aumento <strong>della</strong> popolazio ne, un esubero di<br />
forza lavoro. Al lo stesso tempo, soprattutto dopo il 1760, molti villaggi furono pri vati<br />
delle terre comuni, a causa delle leggi sulle recinzioni appro vate dal parlamento.<br />
Crebbe di conseguenza la manodopera a buon mercato che cercava sbocco nelle<br />
miniere e nelle manifatture. Contemporaneamente, i lucrosi traffici del commercio<br />
triangolare e l’aumento di produttività nelle campagne generarono una forte accumulazione<br />
di capitale che venne investito in misura crescen te nella produzione mineraria<br />
e manifatturiera.<br />
Puntando sul carbon fossile e sul ferro, l’Inghilterra imboccò la via <strong>della</strong> rivoluzione<br />
industriale.<br />
Ad avviare tale processo fu lo sviluppo, a livello industriale, del la manifattura cotoniera.<br />
Intro dotta nel XVII secolo in Inghilterra, dove già era diffusa quella la niera col<br />
sistema <strong>della</strong> produzione a domicilio, essa ebbe forte impul so quando, nel 1701 e nel<br />
1720, vennero varate alcune leggi che proibivano l’importazione dall’In dia di un<br />
tessuto in cotone stampa to, detto calice.<br />
Nella fase iniziale, l’industria co toniera inglese si avvalse dei pro cedimenti manuali<br />
usati nella manifattura <strong>della</strong> lana e in quella del la seta, la quale, pur limitata dall’alto<br />
costo e dalla concorrenza continentale, si basava già su fab briche e macchine a energia<br />
idrau lica derivate da quelle italiane. Per questo i cotonifici furono costruiti per lo
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
<strong>più</strong> in vicinanza di corsi d’ac qua nelle zone rurali. L’industria cotoniera, la cui forza<br />
lavoro era costituita per la maggior parte da donne e bambini, si sviluppò rapi damente<br />
con il crescere <strong>della</strong> do manda di manufatti di cotone. Ciò stimolò le innovazioni<br />
tecnologi che, come la navetta volante inven tata nel 1733, il filatoio idraulico brevettato<br />
nel 1769 e quello a vapo re introdotto attorno al 1790. Si de terminò a questo<br />
punto il passag gio dallo stadio artigianale a quel lo industriale, che portò alla nasci ta<br />
di grandi fabbriche in città dove il carbon fossile era a buon merca to e la manodopera<br />
abbondante.<br />
Il cotone grezzo da lavorare fu importato in misura crescente (da 500 tonnellate annue<br />
agli inizi del Settecento a 2.500 nel 1770, a 25.000 alla fine del secolo) prima dall’India,<br />
quindi, attraverso il commercio triangolare, principal mente dalle colonie britanniche<br />
nei Caraibi e in Nord America, an che dopo che queste ultime si rese ro indipendenti.<br />
Fu lo stesso cir cuito a fornire all’industria coto niera inglese gli sbocchi di merca to<br />
soprattutto quando, saturata la domanda interna, essa entrò in cri si di stagnazione. I<br />
tessuti a scac chi di basso costo, fabbricati per la maggior parte con la materia pri ma<br />
prodotta nelle Americhe dagli schiavi africani, vennero espor tati per l’80% in Africa<br />
occidenta le, dove erano scambiati con schia vi, e per il 20% nelle Americhe, do ve servivano<br />
a vestire la crescente popolazione di schiavi africani al lavoro nelle piantagioni.<br />
(Manlio Dinucci, Il sistema globale, Zanichelli, Bologna 2004)<br />
[Manlio Dinucci è il maggior studioso italiano di geopolitica: giornalista e autore di testi in cui affronta i<br />
problemi <strong>della</strong> globalizzazione e del sistema economico che si è creato a seguito di questi processo.]<br />
❱❱ 12. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino<br />
Dal dualismo cartesiano all’idea di diritto naturale e <strong>più</strong> tardi all’ope ra di Kant, i<br />
secoli XVII e XVIII, malgrado la forza crescente del natu ralismo e dell’empirismo<br />
che preannunziano lo scientismo e il positivismo dell’Ottocento, restano fortemente<br />
segnati, sul piano intellet tuale, dalla secolarizzazione del pensiero cristiano, dalla<br />
trasformazio ne del soggetto divino in un soggetto umano, il quale è sempre meno<br />
assorbito nella contemplazione di un essere vie<strong>più</strong> nascosto, e diviene un attore, un<br />
lavoratore e una coscienza morale.<br />
Questo periodo si conclude con un grande testo: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo<br />
e del cittadino, votata dall’Assemblea nazionale il 26 agosto 1789. La sua influenza<br />
ha superato quella delle dichiarazio ni americane e il suo senso è ben diverso da<br />
quello del Bill of Rights inglese del 1689. Questo testo è grande, non solo perché<br />
proclama al cuni principi in contraddizione con quelli <strong>della</strong> monarchia assoluta (principi<br />
che, in questo senso, sono rivoluzionari), ma anche perché segna la conclusione<br />
di due secoli di polemiche e dà all’idea dei diritti del l’uomo un’espressione universale<br />
che contraddice l’idea rivoluziona ria. La dichiarazione francese dei diritti si situa<br />
alla congiunzione tra un periodo che fu dominato dal pensiero inglese e il periodo<br />
delle ri voluzioni che sarà dominato dal modello politico francese e dal pen siero tedesco.<br />
È l’ultimo testo che proclama sulla scena pubblica la du plice natura <strong>della</strong><br />
modernità, fatta al contempo di razionalizzazione e di soggettivazione, prima che per<br />
un lungo secolo trionfino lo stori cismo e il suo monismo.<br />
Questo testo è stato identificato così strettamente con i principi <strong>della</strong> democrazia e<br />
con il rovesciamento dell’Ancien Régime, in Francia e in molti altri paesi, che gli si<br />
19
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
20<br />
attribuisce, leggendolo con il rispetto che merita, un’unità che rende difficile la sua<br />
comprensione. Così come la volontà di Clemenceau, nel 1889, di difendere l’eredità<br />
<strong>della</strong> rivo luzione tutta intera, in blocco, rendeva difficile, o addirittura impos sibile,<br />
l’analisi dei dieci anni che, partendo dalla proclamazione <strong>della</strong> sovranità popolare, si<br />
conclusero con un colpo di stato militare. Si im pone, al contrario, l’intreccio di due<br />
temi contrapposti, quello dei di ritti individuali e quello <strong>della</strong> volontà generale, che si<br />
è soliti associare al nome di Locke il primo, di Rousseau il secondo, e con tanta forza<br />
che il problema centrale diventa quello di sapere cosa li unisca, cosa conferisca<br />
unità e coerenza a questa dichiarazione. Abbiamo citato qui questo testo storico perché<br />
esso appartiene <strong>più</strong> al pensiero individuali stico che al pensiero olista, per riprendere<br />
la contrapposizione formu lata da Louis Dumont, giacché esso è segnato <strong>più</strong><br />
dall’influenza <strong>degli</strong> inglesi e <strong>degli</strong> americani che da quella dei patrioti francesi –<br />
rappor to di forze e di influenza che presto sarà rovesciato e farà trionfare una rivoluzione<br />
sempre <strong>più</strong> estranea e ostile all’individualismo dei di ritti dell’uomo. In tal<br />
senso questa dichiarazione segna la fine del pe riodo prerivoluzionario, mentre invece<br />
la dichiarazione del 1793 si situerà già pienamente entro la logica rivoluzionaria. La<br />
preminenza del tema dei diritti individuali è chiaramente dimostrata dal preambolo<br />
che pone i «diritti naturali inalienabili e sacri dell’uomo» a monte del sistema politico<br />
i cui «atti» in ogni istante potrebbero essere confron tati al fine di ogni istituzione<br />
politica, e dunque non possono essere valutati in riferimento all’integrazione <strong>della</strong><br />
società, al bene comune o a ciò che oggi chiameremmo interesse nazionale. L’articolo<br />
II enu mera i principali diritti: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza al l’oppressione.<br />
Il diritto di proprietà è precisato nell’articolo XVII, al quale si sono arrestati i lavori<br />
dell’assemblea. L’articolo IV appartiene alla stessa logica individualistica. Ma, dinanzi<br />
all’uomo, si costruisce la figura del cittadino sin dal primo articolo, che afferma:<br />
«Le distin zioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune», e soprat tutto<br />
negli articoli III e VI, che pongono in primo piano le idee di na zione e di volontà<br />
generale. Queste due concezioni sono reciprocamente contrapposte, come osserva<br />
Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto: «Se si confonde lo Stato con la società<br />
civile e se lo si destina alla sicurezza e alla protezione <strong>della</strong> proprietà e <strong>della</strong> sicurezza<br />
personale, l’interesse <strong>degli</strong> individui in quanto tali è lo scopo supremo in vista del<br />
quale essi sono riuniti e ne risulta che essere membri di uno Stato è facoltativo. Ma<br />
il suo rapporto con l’individuo è ben altro se esso è lo spirito oggettivo; allora l’individuo<br />
stesso non ha oggettività, verità e moralità se non in quanto ne è un membro.<br />
L’associazione in quanto tale è essa stessa il vero contenuto e il vero scopo, e la destinazione<br />
<strong>degli</strong> individui consiste nel condurre una vita collettiva» [citato da Marcel<br />
Gauchet nel Dictionnai re critique de la Révolution française].<br />
La contrapposizione tra queste concezioni non si basa sull’antitesi tra un olismo<br />
tradizionale e un individualismo moderno; essa mette a confronto i due aspetti <strong>della</strong><br />
modernità. Da un lato, all’assolutismo <strong>della</strong> legge divina si sostituisce il principio<br />
dell’utilità sociale, l’uomo deve essere considerato un cittadino ed è tanto <strong>più</strong> virtuoso<br />
quanto <strong>più</strong> sacrifica i propri interessi egoistici alla salvezza e alla vittoria <strong>della</strong><br />
nazione; d’altro canto, gli individui e le categorie sociali difendono i propri interessi<br />
e i propri valori di fronte a un governo i cui appelli all’unità ostacolano le iniziative<br />
individuali e dunque la sua stessa <strong>rappresentativi</strong>tà.<br />
Questa contrapposizione non può essere superata con una migliore comprensione di<br />
cosa sia la nazione, che è non già lo Stato ma il po polo, e dunque la volontà generale,<br />
giacché questo riferimento appar tiene a una delle due concezioni che si tenta di
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
combinare, e l’espe rienza storica vieta assolutamente di identificare al bene comune<br />
e ai diritti dell’uomo l’unanimismo delle folle. La risposta fornita dalla di chiarazione<br />
del 1789 è diversa e <strong>più</strong> elaborata: ciò che concilia l’inte resse individuale e il bene<br />
comune è la legge, formula quasi ovvia alla fine di un secolo in cui il pensiero sociale<br />
si confonde con la filosofia del diritto oppure è dominato da essa. La legge è concepita<br />
come espres sione <strong>della</strong> volontà generale e come strumento dell’eguaglianza,<br />
ma ha anche il compito di difendere indirettamente le libertà individuali de finendo i<br />
«limiti» che rendono la libertà di ciascuno compatibile con il rispetto dei diritti altrui.<br />
Il che propone in poche parole una teoria <strong>della</strong> democrazia (parola che non compare<br />
nel testo). Questo regime non è forse quello che combina la pluralità <strong>degli</strong> interessi<br />
con l’unità <strong>della</strong> società, la libertà con la cittadinanza, grazie alla legge che non ha<br />
principi propri diversi da questa funzione di mediare e di combina re, in generale limitata<br />
e fragile, ma sempre indispensabile? Concezio ne <strong>della</strong> legge meno ambiziosa<br />
e soprattutto meno <strong>autori</strong>taria di quel la dei giuristi che hanno edificato lo Stato di<br />
diritto, spesso entro la cornice <strong>della</strong> monarchia assoluta, e che hanno fatto <strong>della</strong> legge<br />
lo stru mento <strong>della</strong> sottomissione dell’individuo a un bene comune ridefinito in<br />
termini di utilità collettiva. Qui, al contrario, la legge è subordinata ai diritti naturali<br />
dell’uomo; è incaricata dunque di combinare l’inte resse di ciascuno con l’interesse<br />
<strong>della</strong> società, il che fa uscire dall’uto pia alla Rousseau, giacché l’individuo può essere<br />
egoista o disonesto e la parola «società» può celare gli interessi particolari dei<br />
governi, <strong>della</strong> tecnocrazia o dei burocrati.<br />
La maggioranza <strong>degli</strong> articoli <strong>della</strong> dichiarazione, a partire dagli ar ticoli V e VI,<br />
precisano le condizioni di applicazione <strong>della</strong> legge, e in particolare il funzionamento<br />
<strong>della</strong> giustizia. Il che consente di ram mentare la priorità dei diritti dell’uomo, specialmente<br />
nell’articolo IX che introduce l’habeas corpus, e nell’articolo X con la sua<br />
strana for mulazione: «Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose»,<br />
che dà alla laicità la sua forma <strong>più</strong> lontana dallo spirito an tireligioso dei<br />
razionalisti dell’Ottocento, quella del rispetto delle li bertà fondamentali, e dunque<br />
<strong>della</strong> diversità culturale e politica in cui si incarnano i diritti dell’uomo. La dichiarazione<br />
si conclude non con l’articolo XVII, dedicato alla proprietà e già citato, ma in<br />
realtà con l’articolo XVI, dedicato a Montesquieu e la cui stessa formulazione – «Ogni<br />
società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri<br />
non è determinata non ha costituzione» – de cide risolutamente a favore dei diritti<br />
individuali contro l’integrazio ne politica, a favore <strong>della</strong> libertà contro l’ordine.<br />
Le rivoluzioni che eliminano la monarchia assoluta dall’Inghilterra e dalle ex colonie<br />
inglesi divenute Stati Uniti d’America, e dalla Francia, dunque sono state definite<br />
dalla sovrapposizione del pensiero dei lumi e del dualismo cristiano e cartesiano.<br />
L’individualismo borghese, che sopravviverà a lungo in questo periodo, ha combinato<br />
la coscien za del soggette personale con il trionfo <strong>della</strong> ragione strumentale, il<br />
pensiero morale con l’empirismo scientifico e con la creazione <strong>della</strong> scienza economica,<br />
in particolare in Adam Smith.<br />
La storia dei due secoli successivi consisterà nella vicenda <strong>della</strong> se parazione di questi<br />
due principi, così strettamente associati nel pen siero di Locke: la difesa dei diritti<br />
dell’uomo e la razionalità strumen tale. Più questa costruirà un mondo di tecniche e<br />
di potenza, e <strong>più</strong> il richiamo ai diritti dell’uomo si dissocerà, anzitutto nel movimento<br />
operaio, poi in altri movimenti sociali, dalla fiducia nella ragione stru mentale.<br />
L’umanità, trascinata dal progresso, si domanderà se non stia perdendo l’anima, se<br />
non la stia vendendo al diavolo in cambio del dominio sulla natura. Non è ancora così<br />
21
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
22<br />
durante il Settecento, tanto resta predominante la lotta contro le tradizioni e i privilegi<br />
dell’An cien Régime, prima che gli sconvolgimenti introdotti dalla Rivoluzio ne<br />
francese, dall’Impero napoleonico e dalla rivoluzione industriale giun ta dalla Gran<br />
Bretagna suscitino la crisi romantica che porrà fine alla proclamata identità tra l’esperienza<br />
interiore e la ragione strumentale. Ecco perché la dichiarazione dei diritti è<br />
borghese e giusnaturalista al tempo stesso; il suo individualismo è contemporaneamente<br />
affer mazione del capitalismo trionfante e resistenza <strong>della</strong> coscienza morale al<br />
potere del principe. Creazione suprema <strong>della</strong> filosofia politica mo derna, la dichiarazione<br />
dei diritti reca già in sé le contraddizioni che stanno per lacerare la società industriale.<br />
Il trionfo <strong>della</strong> libertà in Francia, come, qualche anno prima, negli Stati Uniti d’America<br />
affrancati dalla dipendenza coloniale, pone termine a un periodo di tre secoli, che<br />
costituisce ciò che gli storici hanno chia mato «l’età moderna».<br />
(Alain Touraine, Critica <strong>della</strong> modernità, Il Saggiatore, Milano 1992)<br />
[Alain Touraine (1925). Sociologo francese si interessa ai problemi del lavoro e <strong>della</strong> produzione industriale<br />
e dell’analisi politica dei movimenti sociali.]<br />
❱❱ 13. il divenire <strong>della</strong> città<br />
È convinzione diffusa che la città stia subendo da qualche tempo un cambiamento<br />
radicale.<br />
Si assiste, infatti, al superamento di alcuni modelli urbani tradizionali nel vecchio<br />
continente e alla formazione di nuove città nel Terzo mondo, allo smantellamento di<br />
grandi aree industriali nei Paesi <strong>più</strong> avanzati e all’implementazione di imponenti e<br />
grandiose strutture produttive nei Paesi in via di sviluppo (PVS), alla conservazione<br />
e riqualificazione di intere zone del tessuto cittadino <strong>della</strong> nuova Europa e al decollo<br />
di avveniristici centri direzionali in alcune aree geografiche dell’Asia e del continente<br />
africano.<br />
La formazione di città mondiali come Tokyo, New York, Los Angeles, Londra, Parigi,<br />
e la progressiva emigrazione dalla campagna verso le grandi città milionarie del<br />
Sud del mondo come Città del Messico, il Cairo, Seul, Bombay, costituiscono due<br />
dei principali fenomeni che caratterizzano la civiltà urbana contemporanea.<br />
Il modello urbano tradizionale del nucleo chiuso ha sempre rigidamente contrapposto<br />
la città alla campagna, fissando nella memoria collettiva l’immagine <strong>della</strong> città moderna<br />
con alta densità demografica, l’abitato continuo, concentrazione di potere,<br />
ricchezza e divertimenti. Insomma un’isola cittadina che emerge dal piatto e uniforme<br />
paesaggio rurale.<br />
Oggi si assiste, invece, a una inversione di tendenza per la quale l’isolamento urbano<br />
si è rotto e la nuova forma urbana occupa sempre <strong>più</strong> spazio, oltrepassa i suoi tradizionali<br />
confini e dilaga nella campagna, mescolando ormai aspetti rurali ad altri tipicamente<br />
urbani e suburbani.<br />
In questi ultimi decenni, la contrapposizione città-campagna si è notevolmente attenuata<br />
grazie a nuove forme e pratiche insediative extraurbane sostenute da una fitta<br />
rete di comunicazione e dai sempre <strong>più</strong> veloci mezzi di trasporto pubblico e privato,<br />
e dalla rivoluzione informatica, tutti elementi che hanno reso possibile il definitivo<br />
decentramento di molte attività industriali e di servizi. Quindi, quello <strong>della</strong> città po-
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
stindustriale è un territorio esploso, caratterizzato da nuovi insediamenti, ma soprattutto<br />
da autostrade telematiche che, creando una rete di istantanea adiacenza artificiale,<br />
rompono l’isolamento urbano: la città, in senso fisico e in senso virtuale, occupa<br />
sempre <strong>più</strong> spazio. […]<br />
Con la mondializzazione delle economie e delle culture, il nostro mondo tende sempre<br />
di <strong>più</strong> ad assumere le caratteristiche di un unico grande «villaggio globale» dove<br />
soggetti fra loro diversi e lontani fino a qualche decennio fa sono portati adesso a<br />
confrontarsi e a conoscersi direttamente. Infatti, bisogna ancora una volta sottolineare<br />
che il mondo sta attraversando due processi che sembrano fra loro contraddittori<br />
ma che, in realtà, lo sono solo apparentemente. Essi consistono, da una parte, nella<br />
globalizzazione delle economie – che tende a trasformare il nostro pianeta in una<br />
sorta di mercato unico – e, dall’altra, nel riemergere delle società locali, che, riaffermando<br />
il loro esserci ripropongono diverse identità, risorse e valori culturali di appartenenza<br />
[…]<br />
Nei paesi in via di sviluppo l’esplosione urbana ha provocato una forte speculazione<br />
fondiaria, e il tessuto urbano risulta diviso in frammenti che, tra loro, presentano<br />
grandissimi contrasti. I poveri, che rappresentano una parte molto consistente <strong>della</strong><br />
popolazione <strong>della</strong> città dei Paesi del Terzo mondo, non riescono a trovare alloggio e<br />
sono costretti a installarsi in vecchi edifici in rovina situati nei quartieri del centro,<br />
spesso sprovvisti dei servizi primari. Questi occupanti abusivi, che si insediano illegalmente<br />
in luoghi squallidi ai margini <strong>della</strong> città, danno origine nei vari Paesi del<br />
Terzo mondo alle favelas, alle bidonvilles, agli squatters, ai barrios, ai cosiddetti<br />
unauthorized settlements. Raramente si tratta di invasioni spontanee: in genere sono<br />
pianificate da dirigenti o da associazioni di abitanti che prendono subito il controllo<br />
amministrativo del quartiere; sorgono così nelle periferie forme precarie di lottizzazione<br />
a opera dei proprietari dei terreni, che tracciano strade e delimitano piccoli<br />
lotti privi di infrastrutture e servizi.<br />
Di conseguenza «rapidità di crescita e scarsità di risorse fanno sì che struttura e funzionamento<br />
<strong>della</strong> città del Terzo mondo siano completamente diversi da quella occidentale.<br />
Viceversa, Manila, Lagos o Caracas presentano molti tratti in comune, a tal<br />
punto che, se non riducibili a un unico modello, esse possono essere ricondotte a una<br />
medesima tipologia.<br />
Nella maggior parte dei Paesi del Terzo mondo, il processo di occupazione del suolo<br />
risulta illegale, ma negli ultimi anni questo fenomeno viene ampiamente tollerato<br />
dalle istituzioni. Infatti, di fronte al fenomeno <strong>della</strong> forte urbanizzazione e alla mancanza<br />
di politiche abitative popolari, i poteri pubblici sono passati spesso dalla repressione<br />
alla regolamentazione dell’occupazione del suolo, e si incaricano oramai<br />
di realizzare le principali infrastrutture e fornire alla comunità i servizi minimi. A<br />
questi quartieri illegali e molto poveri, si contrappongono in modo stridente quelli<br />
delle classi medie e ricche, che occupano spazi <strong>più</strong> ampi e gradevoli, caratterizzati<br />
da una bassa densità abitativa, risultato, anche, del crescente uso dei mezzi di trasporto<br />
privati, che ha comportato l’allargamento smisurato delle zone residenziali nei siti<br />
di maggior pregio. Inoltre, in alcune delle zone <strong>più</strong> agiate, a ridosso del centro, si<br />
trovano selve di grattacieli lussuosi occupati da grandi società multinazionali. E,<br />
infine, per dare un quadro <strong>più</strong> completo <strong>della</strong> frammentarietà <strong>della</strong> città terzomondiale,<br />
dobbiamo ricordare le cosiddette aree industriali, che, in maniera disordinata e<br />
disomogenea, si insediano nel territorio urbano con una moltitudine di aziende familiari<br />
e piccole fabbriche con poche probabilità di espansione.<br />
23
il contesto storico culturale nel quale nasce la <strong>sociologia</strong>: Rivoluzione industriale e scientifico-tecnologica<br />
24<br />
È ormai convinzione consolidata che, nel terzo millennio, la città industriale dalla<br />
struttura monocentrica si stia trasformando in un modello urbanistico polinucleare,<br />
composto da tanti grandi, medi e piccoli insediamenti abitativi, produttivi e funzionali,<br />
sparsi su un territorio sempre <strong>più</strong> vasto e di difficile demarcazione. La contrapposizione<br />
città-campagna si è attenuata grazie a nuove forme insediative extraurbane<br />
sostenute dai sempre <strong>più</strong> veloci mezzi di trasporto pubblico e privato, dalla rivoluzione<br />
informatica, dall’accessibilità e interdipendenza dei servizi, che hanno reso<br />
possibile il definitivo decentramento di molte attività industriali e di servizi. Un territorio<br />
esploso, quello <strong>della</strong> città nuova, che con le sue autostrade informatiche e i<br />
nuovi insediamenti produttivi segna una profonda ridefinizione del paesaggio con<br />
l’urbanizzazione <strong>della</strong> campagna.<br />
Il dilagare dell’urbanesimo nel paesaggio rurale prefigura oramai il divenire <strong>della</strong><br />
città basato su modelli urbanistici che danno vita talvolta alle grandi megalopoli come<br />
quelle americane o giapponesi, o a modelli che seguono la composizione di estese<br />
conurbazioni urbane, o la formazione di un’articolata rete di aree metropolitane caratterizzata<br />
da quella particolarità, tutta europea, di un sistema urbano diffuso. […]<br />
Le tradizionali formazioni delle città, messe in discussione dal sistema-mondo, fanno<br />
emergere in particolare nuove entità urbane che assomiglieranno sempre <strong>più</strong> a grandi<br />
snodi stradali dove andranno a incrociarsi flussi di lavoratori, scambi commerciali,<br />
conoscenze tecnologiche, operazioni finanziarie, riallocazione di capitali. Ci troviamo<br />
così di fronte a un’identità urbana sovranazionale e all’emergere di una nuova<br />
proiezione spaziale/virtuale ed economica <strong>della</strong> città che da un contesto localista si<br />
inserisce in un network mondiale.<br />
È il caso di New York, Londra e Tokyo, che svolgono la funzione di centri finanziari<br />
e dei servizi per l’intera economia internazionale. Queste grandi città mostrano alcuni<br />
tratti comuni, indipendenti dalla cultura in cui si sono originariamente sviluppate:<br />
presentano una peculiare stratificazione sociale (fatta soprattutto di ceti professionali<br />
emergenti e di lavoratori del terziario avanzato relativamente poveri), hanno stili<br />
di vita propri (che attraggono ampi strati sociali di tutto il pianeta), fanno un uso<br />
massiccio delle nuove tecnologie di comunicazione, di cui sono al tempo stesso vetrina<br />
e luogo di sperimentazione. Sono città capitali, ma non di singoli Stati. Sono<br />
capitali di una rete invisibile che avvolge l’intero pianeta. E come enormi pilastri che<br />
reggono questa rete urbana transnazionale, Tokyo, New York, Londra possono essere<br />
considerate vere e proprie global cities che, con i loro edifici-mondo sedi delle<br />
grandi corporations internazionali, si sfidano a tutto campo in un’arena mondiale<br />
dominata ormai dalle comunicazioni virtuali.<br />
Ma la nuova gerarchia urbana che sta prendendo forma proprio in questi anni, è<br />
tutt’altro che assestata: è e rimarrà, per molti aspetti, una gerarchia mobile. Infatti,<br />
parallelamente allo sviluppo di questa ragnatela urbana mondiale, sostenuta dalle<br />
cosiddette global cities, troviamo altri sistemi urbani mobili come quello delle conurbazioni<br />
europee che, partecipando attivamente alla ridefinizione del territorio, mirano<br />
anch’esse a inserirsi in questa rete di città che controllano ormai l’economia<br />
globale.<br />
(Nicolò Leotta, Photometropolis, Le vespe, Milano 2000)<br />
[Nicolò Leotta (1954) ha fondato con Guido Martinetti il Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università<br />
<strong>degli</strong> Studi di Milano-Bicocca. Si occupa dei problemi <strong>della</strong> comunicazione all’interno <strong>della</strong> metropoli con<br />
particolare riferimento all’arte urbana.]
Storia del pensiero sociologico<br />
❱❱ 1. Come sorge la <strong>sociologia</strong>?<br />
Come sorge la <strong>sociologia</strong>? A questo interrogativo si possono dare tre risposte. In<br />
primo luogo, si può sostenere che la <strong>sociologia</strong> esiste da sempre e che già la si ritrova,<br />
per esempio, negli <strong>autori</strong> classici greci e latini, per non menzionare quelli<br />
orientali. In secondo luogo si può sostenere che la <strong>sociologia</strong> nasce con il padre<br />
ufficiale di essa, Auguste Comte, coniatore del termine e quindi formalmente “inventore”<br />
<strong>della</strong> disciplina. In terzo luogo, è possibile dimostrare che la <strong>sociologia</strong><br />
nasce storicamente con l’avvento <strong>della</strong> società industriale moderna e con il concetto<br />
di “società civile”. È vero infatti che si ritrovano negli <strong>autori</strong> classici riflessioni<br />
e analisi di fenomeni sociali e politici importanti, ma solo occasionalmente tali riflessioni<br />
si pre sentano collegate con dati empirici di prova e avvertono l’esigenza<br />
d’una verifica, o di una falsifica, in senso proprio. D’altro canto la concezione <strong>della</strong><br />
<strong>sociologia</strong> che la vede legata all’insegnamento di Auguste Comte implica che una<br />
scienza possa sorgere all’improvviso compiuta e perfetta, quasi scaturisse ex capite<br />
Jovis, ad opera dei suoi <strong>autori</strong>, per così dire, ufficiali. La teoria che lega il sorgere<br />
<strong>della</strong> so ciologia all’avvento <strong>della</strong> società moderna è a nostro giudizio la <strong>più</strong> fondata<br />
in quanto non si dà <strong>sociologia</strong> senza società, e senza società di un certo tipo. La<br />
<strong>sociologia</strong> è lo strumento di auto-ascolto ed eventualmente di auto-regolazione<br />
fondamentale per le società che hanno abbandonato le “grandi tradizioni”, già statiche<br />
ed essenzial mente contadine, e che hanno deciso di imboccare la strada <strong>della</strong><br />
modernizzazione, sostituendo, come supremo criterio di legittimità per le decisioni<br />
rilevanti, il calcolo regionale all’<strong>autori</strong>tà dell’“eterno ieri”, cioè ai valori <strong>della</strong> tradizione.<br />
Non a caso, quindi, nel Sette cento ha inizio lo studio sociologico <strong>della</strong> società e si<br />
possono rin venire i primi elementi per una definizione <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> come analisi<br />
empirica, concettualmente orientata, delle strutture istituzio nali e dei comportamenti<br />
collettivi socialmente rilevanti così come non a caso già nel Settecento la <strong>sociologia</strong><br />
si presenta divisa in tre correnti ben distinte e consapevoli:<br />
a) un indirizzo psicologico, che tende a identificare i sentimenti e le passioni che<br />
influiscono sui rapporti sociali e rappresentano le forme generatrici delle forze<br />
sociali e delle loro modificazioni;<br />
b) un indirizzo economicistico, che tende a porre in luce, assai prima di Marx, se pure<br />
meno sistematicamente, il peso <strong>degli</strong> interessi e il significato sociale <strong>della</strong> proprietà<br />
e <strong>della</strong> sua distribuzione; in base ad esso per la prima volta il fenomeno dell’ineguaglianza<br />
umana non è considerato né come un dato naturale né come voluto da<br />
Dio, ma viene semplicemente collegato con altri fenomeni sociali;<br />
c) un indirizzo ecologico e geo-ambientale, che mette in rilievo l’importanza del<br />
fattore geografico e climatico-ambientale, con ri guardo alla conformazione <strong>della</strong><br />
società e sottolinea il rapporto uomo-risorse naturali.<br />
25
Storia del pensiero sociologico<br />
26<br />
Se poi la <strong>sociologia</strong> del Settecento trova in Inghilterra il suo ter reno <strong>più</strong> fertile, ciò si<br />
deve al fatto che l’evoluzione <strong>della</strong> società inglese precede quella di qualsiasi altro<br />
paese europeo. […]<br />
La concezione <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> come ricerca empirica, concettual mente orientata,<br />
aperta agli apporti inter-disciplinari, tesa ad integrare schema teorico e dato empirico,<br />
fortemente consapevole <strong>della</strong> di mensione storica e nel contempo legata al procedimento<br />
scientifi che si esprime nella triplice sequenza “problemi – ipotesi – veri fica”,<br />
rappresenta lo sbocco di un lungo e vario processo evolutivo le cui origini possono<br />
ragionevolmente collocarsi verso la metà del Settecento. Non v’è dubbio che un<br />
elemento probabilmente ineli minabile e di arbitrarietà si annida in qualsiasi tentativo<br />
di periodizzazione, specialmente quando si tratti di una disciplina relativa mente giovane,<br />
certamente <strong>più</strong> sciolta e spregiudicata ma anche meno sicuramente protetta da<br />
un’antica e collaudata tradizione accademica. Tenendo tuttavia presenti fondamentali<br />
caratteristiche sia di ordine analitico-metodologico che contenutistico-sostanziale,<br />
è dato distinguere, nello sviluppo <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> dalle origini ai nostri giorni, quattro<br />
grandi fasi:<br />
a) fase sistematica (1750-1880);<br />
b) fase <strong>della</strong> ricerca sociale circoscritta e <strong>della</strong> specificità (1890-1929);<br />
c) fase neo-sistematica (1929-1955);<br />
d) fase <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> critica (1955-...).<br />
(Franco Ferrarotti, Sociologia, Accademia, Milano 1977)<br />
[Franco Ferrarotti (1926) si è interessato dei problemi del mondo del lavoro e <strong>della</strong> società industriale e<br />
postindustriale, dei temi del potere e <strong>della</strong> sua gestione, <strong>della</strong> tematica dei giovani, <strong>della</strong> marginalità urbana<br />
e sociale, delle credenze religiose, delle migrazioni. Una particolare attenzione è stata dedicata nelle sue<br />
ricerche alla città di Roma. Il sociologo italiano ha sempre privilegiato un approccio interdisciplinare e insistito<br />
sull’importanza di uno stretto nesso tra impostazione teorica e ricerca sul campo.]<br />
❱❱ 2. i classici<br />
La maggior parte delle idee dei sociologi classici non si prestano facilmente a una<br />
precisa verifica. Sono idee di carattere interpretativo, che ci orientano sui diversi modi<br />
di guardare alle realtà sociali; tentativi di esprimere la direzione storica generale,<br />
l’indirizzo fondamentale <strong>della</strong> società moderna, ossia, per dirla con Ruth Glass, «lo<br />
Stato e il fato» delle collettività contemporanee. Sono tentativi di spiegare ciò che sta<br />
accadendo nel mondo e di por mente a ciò che potrà accadere nel prossimo futuro.<br />
I sociologi classici non conoscono l’inibizione dei limiti di competenza che è propria<br />
delle discipline e delle specializzazioni accademiche: nel loro lavoro quelle che vengono<br />
ora chiamate scienze politiche, psicologia sociale, economia, antropologia e<br />
<strong>sociologia</strong> sono tutte ugualmente adoperate e integrate in modo da fornire una visione<br />
panoramica <strong>della</strong> struttura sociale in tutti i suoi vari campi, dalla meccanica storica<br />
in tutte le sue diramazioni, e dalle funzioni <strong>degli</strong> individui in una grande varietà<br />
di sfumature psicologiche.<br />
Ma l’importante è che, anche quando le loro conclusioni risultano erronee o inadeguate<br />
– come per esempio nell’idea di Spencer sullo svolgimento <strong>della</strong> società militare<br />
in società industriale –, i sociologi classici riescono ugualmente col loro lavoro
Storia del pensiero sociologico<br />
e col loro metodo di lavoro a dirci molte cose sulla natura <strong>della</strong> società e le loro idee<br />
assumono una diretta rilevanza ai fini del nostro lavoro attuale.<br />
Ma come può darsi, si domanderà, che questi uomini si sbagliavano tanto spesso, pur<br />
restando tuttavia così grandi? La risposta va trovata, credo, in un dato caratteristico<br />
del loro lavoro: le loro «grandi idee» consistono in quelli che potremmo chiamare dei<br />
«modelli», contrapposti alle teorie specifiche o alle ipotesi particolari. Questi moduli<br />
di lavoro indicano: 1) i fattori a cui si deve prestare attenzione per comprendere un<br />
qualche particolare aspetto <strong>della</strong> società o anche una società nel suo insieme e la<br />
gamma delle relazioni possibili fra tali fattori. L’interazione di questi ultimi non è<br />
tuttavia considerata su un piano di vaga casualità: a torto o a ragione, questi fattori<br />
vengono organizzati secondo una stretta interconnessione, ognuno con una sua propria<br />
incidenza casuale: le connessioni e il peso di incidenza che si attribuiscono ai singoli<br />
fattori costituiscono appunto le teorie specifiche.<br />
In altri termini, i sociologi classici costruiscono dei modelli di società e se ne servono<br />
per sviluppare un certo numero di teorie. Il fatto importante è che né la validità,<br />
né l’inesattezza di alcune di queste teo rie specifiche necessariamente conferma o<br />
infirma la utilità o la pertinenza dei modelli. Questi ultimi possono essere usati per la<br />
costruzione di molte teorie: possono essere usati per correggere gli errori di teorie<br />
alla cui elaborazione essi stessi sono serviti; e sono schemi facilmente ampliabili, in<br />
quanto possono essere modificati sì da riuscire <strong>più</strong> utili come strumenti analitici ed<br />
empiricamente <strong>più</strong> aderenti al corso dei fatti.<br />
Sono questi modelli ad essere grandi, non soltanto in quanto contributi alla storia<br />
<strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> riflessione sociale, ma anche perché influiscono sul pensiero<br />
sociologico successivo: essi rappresentano, a mio avviso, il dato vivo <strong>della</strong> tradizione<br />
classica <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong> e credo pure che ad essi si debba il fatto che con tanta persistenza<br />
e in circostanze assolutamente diverse si siano avuti tanti «rilanci» dei pensatori<br />
qui presentati; questo è, in breve, il perché <strong>della</strong> «classicità» delle loro opere.<br />
❱❱ 3. una società è un organismo<br />
(C.Wright Mills, Immagini dell’uomo, Milano 1982)<br />
Quando diciamo che lo sviluppo è comune agli aggregati sociali e agli aggregati organici,<br />
non escludiamo però interamente ogni co munanza con gli aggregati inorganici:<br />
alcuni di questi, per esempio i cristalli, crescono in modo visibile; e tutti,<br />
nell’ipotesi dell’evoluzione, sono ritenuti sorti, in un certo tempo, per via d’integrazione.<br />
Tut tavia, in confronto alle cose che chiamiamo inanimate, i corpi viventi e le<br />
società presentano in modo così evidente l’aumento <strong>della</strong> massa, che esso si può<br />
considerare come caratteristico <strong>degli</strong> uni e delle altre. Molti organismi crescono durante<br />
tutta la vita; altri crescono durante una parte considerevole <strong>della</strong> loro vita. Lo<br />
sviluppo sociale suole continuare o fino al tempo, in cui le società si dividono, o fino<br />
al tempo, in cui sono schiacciate.<br />
E questo è il primo carattere, per il quale le società si connettono al mondo organico,<br />
e si distinguono sostanzialmente dal mondo inorganico.<br />
È pure un carattere dei corpi sociali, come pure dei corpi viventi, che, mentre crescono<br />
in dimensione, crescono anche in struttura. Un animale inferiore, o l’embrione<br />
d’un animale superiore, ha poche parti che si possano distinguere; ma mentre acquista<br />
una massa maggiore, le sue parti si moltiplicano, e simultaneamente si differen-<br />
27
Storia del pensiero sociologico<br />
28<br />
ziano. Lo stesso avviene di una società. Dapprima le diversità tra i suoi gruppi .<br />
d’unità sono poco notevoli quanto a numero e a grado, ma facendosi essa <strong>più</strong> popolosa,<br />
le divisioni e le suddivisioni diveng ono <strong>più</strong> numerose e spiccate. Inoltre, nell’organismo<br />
sociale, come in quello individuale, le differenziazioni cessano solo con<br />
quella perfezione del tipo, che segna la maturità e precede la decadenza.<br />
È vero che, anche in certi aggregati inorganici, come nell’intero sistema solare e in<br />
ciascuno dei suoi membri, le differenziazioni di struttura s’accompagnano alle integrazioni;<br />
ma sono relativamente così lente e semplici, che si può non tenerne conto.<br />
La moltiplicazione delle parti di natura diversa è così grande nei corpi politici e nei<br />
corpi viventi, che costituisce un altro carattere comune sostan ziale, che li distingue<br />
dai corpi inorganici.<br />
La comunanza sarà <strong>più</strong> completamente intesa, se si osserva che la progressiva differenziazione<br />
delle strutture è accompagnata dalla progressiva differenziazione delle<br />
funzioni.<br />
Le divisioni moltiplicantisi, primarie, secondarie e terziarie, che si verificano in un animale<br />
in sviluppo, non assumono senza scopo la maggiore o minore diversità, che intercorre<br />
fra loro. Insieme alle diversità nelle loro forme e nelle loro composizioni si hanno<br />
diversità delle azioni, che compiono; si sviluppano in organi dissimili, che hanno compiti<br />
dissimili. Il sistema alimentare nell’assumere tutta la funzione di assorbire il nutrimento<br />
mentre assume anche i suoi ca ratteri strutturali, diviene gradualmente distinto in<br />
parti nettamente diverse; ognuna di questa ha una funzione specifica, che fa parte <strong>della</strong><br />
funzione generale. Un membro, destinato alla locomozione o prensione, acquista divisioni<br />
e suddivisioni che hanno compiti principali e secondari in quest’ufficio. Lo stesso<br />
si verifica per le classi in cui si divide una società. Una classe dominante che sorga, non<br />
solo diventa distinta dal resto, ma si assume un governo sul resto; e quando questa classe<br />
si distingue in <strong>più</strong> o meno dominanti, questi cominciano pure a compiere singole<br />
funzioni di governo. Così pure avviene delle classi le cui azioni sono soggette a governo.<br />
I vari gruppi, nei quali si dividono, hanno varie occupazioni; e ognuno di questi gruppi,<br />
in se stesso, acquista minori differenze di parti con minori differenze di compiti.<br />
E qui si vede chiaramente come le due classi di cose, che stiamo confrontando, si<br />
distinguano dalle cose di altra natura; perché quelle differenze di struttura, che si<br />
producono lentamente negli aggregati inorganici, non sono accompagnate da quelle<br />
che possiamo dire differenze di funzioni.<br />
Passando all’ultimo e <strong>più</strong> spiccato carattere del corpo politico e del corpo vivente,<br />
vedremo perché in essi le azioni dissimili di parti di verse sono da considerare come<br />
funzioni, mentre non altrettanto possiamo dire delle azioni dissimili di parti dissimili<br />
in un corpo inorganico.<br />
L’evoluzione determina negli uni e negli altri non solo semplici differenze, ma differenze<br />
che stanno in rapporti definiti, differenze, di cui ognuna rende possibile le altre.<br />
Le parti di un aggregato inorganico sono in tale relazione, che l’una può subire un<br />
gran cambiamento senza modificare il resto in modo apprezzabile. Ma avviene altrimenti<br />
nelle parti di un aggregato organico, o di un aggregato sociale. In ambedue le<br />
trasformazioni delle parti si determi nano vicendevolmente, e le azioni mutue delle<br />
parti dipendono l’una dall’altra. In ambedue questa vicendevole dipendenza cresce<br />
col progredire dell’evoluzione. Il tipo infimo di animale è tutto stomaco, tutto superficie<br />
respiratoria, tutto arti. Lo sviluppo di un tipo fornito di appendici, con cui possa<br />
muoversi o impadronirsi del cibo, può avere luogo solo se queste appendici, perdendo<br />
la facoltà di assorbire direttamente il nutrimento dai corpi circostanti, sono forni-
Storia del pensiero sociologico<br />
te di nu trizione dalle parti, che conservano questa facoltà di assorbimento. Una superficie<br />
respiratoria, cui son condotti i fluidi circolanti per essere aerati, può formarsi<br />
solo a condizione che la perdita simulta nea delle attitudini a fornirsi di materiali<br />
per la respirazione e per la crescita, sia compensata dallo sviluppo di una struttura,<br />
che porti questi materiali. Lo stesso si verifica in una società. Ciò che noi chiamiamo<br />
con perfetta proprietà la sua organizzazione, presuppone un fatto <strong>della</strong> stessa natura.<br />
Finché è rudimentale, tutti sono guer rieri, cacciatori, costruttori di capanne, fabbricanti<br />
di utensili: ogni parte soddisfa da sé ai propri bisogni. Il progresso fino al punto<br />
di avere un esercito permanente può aver luogo solo quando sorgono ordinamenti<br />
tali per cui il resto possa fornire l’esercito di vettovaglie, di vestiti, di munizioni da<br />
guerra. Se qua la popolazione si occupa esclusivamente di agricoltura e là di miniere,<br />
se questi manifatturano i beni, mentre quelli li distribuiscono, ciò può avvenire a<br />
condizione che, in cambio d’un certo servizio reso da una parte alle altre, cia scuna di<br />
queste altre parti presti i propri servizi nelle debite pro porzioni.<br />
Tale divisione del lavoro, che fu dapprima osservata dagli econo misti come un fenomeno<br />
sociale, e quindi riconosciuta dai biologi come fenomeno dei corpi viventi e<br />
chiamata “divisione fisiologica del lavoro”, è quella che fa <strong>della</strong> società, come dell’animale,<br />
un corpo vivente. Non si può insistere abbastanza sulla verità che, rispetto a<br />
questo carattere fondamentale, l’organismo sociale e l’individuale sono del tutto simili.<br />
Quando si vede che in un mammifero, l’arre starsi dei polmoni produce l’immediato<br />
arresto del cuore; che, se lo stomaco non compie affatto il suo ufficio, tutte le<br />
altre cessano a poco a poco di agire; che la paralisi <strong>degli</strong> arti costringe tutto il corpo<br />
alla morte per mancanza di cibo e per non poter sfuggire ai pericoli; che persino la<br />
perdita di organi piccoli, come gli occhi, priva il ri manente di servizi assegnati alla<br />
sua conservazione, non possiamo non ammettere che la mutua dipendenza delle parti<br />
sia un carattere essenziale. E quando in una società vediamo che i lavoratori di ferro<br />
si fermano, se i minatori non forniscono i materiali; che i sarti non possono fare il loro<br />
mestiere, se mancano quelli che fabbricano filati e tessuti; che i produttori di manufatti<br />
non operano, se non operano i produttori e i distributori <strong>degli</strong> alimenti; che i<br />
poteri governativi, i pubblici ufficiali, i giudici, non possono mantener l’ordine, se le<br />
cose necessarie alla vita non sono loro fornite dai governati, siamo co stretti a dire che<br />
la mutua dipendenza delle parti è altrettanto rigo rosa. Per quanto i due generi di aggregati<br />
siano dissimili per altro aspetto, sono simili per questo carattere fondamentale.<br />
S’intende <strong>più</strong> chiaramente, come le azioni combinate delle parti reciprocamente dipendenti<br />
costituiscano la vita del tutto e come ne risulti un parallelismo tra la vita<br />
nazionale e l’individuale, se si os serva che la vita di ogni organismo visibile è costituita<br />
dalla vita di unità troppo piccole per esser viste a occhio nudo.<br />
(Herbert Spencer, Principi di Sociologia, UTET, Torino 1968)<br />
❱❱ 4. Rivoluzione industriale e classi sociali<br />
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.<br />
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi <strong>della</strong> gleba, membri delle corporazioni<br />
e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco<br />
contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni<br />
volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune<br />
rovina delle classi in lotta.<br />
29
Storia del pensiero sociologico<br />
30<br />
Nelle epoche passate <strong>della</strong> storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione<br />
<strong>della</strong> società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni<br />
sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori<br />
feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi <strong>della</strong> gleba, e, per<br />
di <strong>più</strong>, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.<br />
La società civile moderna, sorta dal tramonto <strong>della</strong> società feudale, non ha eliminato<br />
gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi,<br />
nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.<br />
La nostra epoca, l’epoca <strong>della</strong> borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato<br />
gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre <strong>più</strong> in due<br />
grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra:<br />
borghesia e proletariato.<br />
Dai servi <strong>della</strong> gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo<br />
popolo minuto si svilupparono i primi elementi <strong>della</strong> borghesia.<br />
La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa crearono alla sorgente<br />
borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e <strong>della</strong> Cina, la colonizzazione<br />
dell’America, gli scambi con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e<br />
delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio<br />
fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all’elemento<br />
rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.<br />
L’esercizio dell’industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava <strong>più</strong> al<br />
fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura.<br />
Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le<br />
diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina<br />
stessa.<br />
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura<br />
era <strong>più</strong> sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione<br />
industriale. All’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto<br />
medio industriale subentrarono i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali,<br />
i borghesi moderni.<br />
La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch’era stato preparato dalla<br />
scoperta dell’America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio,<br />
alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha<br />
reagito a sua volta sull’espansione dell’industria, e nella stessa misura in cui si estendevano<br />
industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha<br />
accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal<br />
medioevo.[...]<br />
Ogni società si è basata finora, come abbiamo visto, sul contrasto fra classi di oppressori<br />
e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate<br />
condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava.<br />
Il servo <strong>della</strong> gleba, lavorando nel suo stato di servo <strong>della</strong> gleba, ha potuto elevarsi a<br />
membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell’assolutismo<br />
feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l’operaio moderno, invece di elevarsi<br />
man mano che l’industria progredisce, scende sempre <strong>più</strong> al disotto delle condizioni<br />
<strong>della</strong> sua propria classe. L’operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa<br />
anche <strong>più</strong> rapidamente che la popolazione e la ricchezza.<br />
(Karl Marx, Il manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1962)
❱❱ 5. La borghesia classe rivoluzionaria<br />
Storia del pensiero sociologico<br />
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto<br />
il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali,<br />
idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo<br />
al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo<br />
interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo<br />
egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, <strong>della</strong> malinconia<br />
filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle<br />
innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di<br />
commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato,<br />
diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche.<br />
La borghesia ha spogliato <strong>della</strong> loro aureola tutte le attività che fino allora erano<br />
venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il<br />
poeta, l’uomo <strong>della</strong> scienza, in salariati ai suoi stipendi. [...]<br />
Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l’attività dell’uomo. Essa<br />
ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali<br />
gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli<br />
e le crociate.<br />
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di<br />
produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione<br />
di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l’immutato mantenimento<br />
del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento <strong>della</strong> produzione,<br />
l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento<br />
eterni contraddistinguono l’epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti.<br />
Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti<br />
antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi<br />
fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni<br />
cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato<br />
la propria posizione e i propri reciproci rapporti.<br />
Il bisogno di uno smercio sempre <strong>più</strong> esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia<br />
a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve<br />
costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.<br />
Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un’impronta cosmopolitica<br />
alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell’industria<br />
il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime<br />
industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno.<br />
Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita<br />
o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano <strong>più</strong> soltanto le<br />
materie prime del luogo, ma delle zone <strong>più</strong> remote, e i cui prodotti non vengono<br />
consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni,<br />
soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere<br />
soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi <strong>più</strong> lontani. All’antica autosufficienza<br />
e all’antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una<br />
interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così<br />
per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene<br />
comune. L’unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre <strong>più</strong> impossibili,<br />
e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.<br />
31
Storia del pensiero sociologico<br />
32<br />
Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni<br />
infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche<br />
le <strong>più</strong> barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con la quale<br />
spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la <strong>più</strong> tenace<br />
xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione<br />
<strong>della</strong> borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa<br />
loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un<br />
mondo a propria immagine e somiglianza.<br />
La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio <strong>della</strong> città. Ha creato città<br />
enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra <strong>della</strong> popolazione urbana in confronto<br />
di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole <strong>della</strong> popolazione all’idiotismo<br />
<strong>della</strong> vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla città, la borghesia<br />
ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini<br />
da quelli di borghesi, l’Oriente dall’Occidente.<br />
La borghesia elimina sempre <strong>più</strong> la dispersione dei mezzi di produzione, <strong>della</strong> proprietà<br />
e <strong>della</strong> popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi<br />
di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne è stata conseguenza<br />
necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da<br />
vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una<br />
sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di<br />
classe, entro una sola barriera doganale.<br />
Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive<br />
in massa molto maggiore e <strong>più</strong> colossali che non avessero mai fatto tutte insieme<br />
le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine,<br />
l’applicazione <strong>della</strong> chimica all’industria e all’agricoltura, la navigazione a vapore, le<br />
ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d’interi continenti, la navigabilità dei<br />
fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo – quale dei secoli antecedenti<br />
immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive?<br />
Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta<br />
costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un certo<br />
grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle<br />
quali la società feudale produceva e scambiava, l’organizzazione feudale dell’agricoltura<br />
e <strong>della</strong> manifattura, in una parola i rapporti feudali <strong>della</strong> proprietà, non corrisposero<br />
<strong>più</strong> alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione<br />
invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate<br />
e furono spezzate.<br />
Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica,<br />
con il dominio economico e politico <strong>della</strong> classe dei borghesi.<br />
(Karl Marx, Il manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1962)<br />
❱❱ 6. Che cosa è un fatto sociale<br />
Prima di cercare quale è il metodo <strong>più</strong> confacente allo studio dei fatti sociali, è necessario<br />
sapere quali sono i fatti che vengono così chiamati. Questa definizione è<br />
tanto <strong>più</strong> necessaria in quanto ci si serve di tale qualifica senza malta precisione. Essa<br />
s’impiega correntemente per designare presso a poco tutti i fe nomeni che si verificano<br />
nell’interno <strong>della</strong> società, per poco che essi presentino, grazie ad un determinato
Storia del pensiero sociologico<br />
ca rattere generale, qualche interesse sociale. Ma, a questa stregua, non v’è, si può<br />
dire, avvenimento umano che non possa esser qualificato sociale. Ogni individuo<br />
beve, dorme, mangia, ragiona e la società ha tutto l’interesse che queste funzioni si<br />
esercitino regolarmente. Se per tanto questi fatti fossero sociali, la <strong>sociologia</strong> non<br />
avreb be un oggetto che le fosse proprio ed il suo dominio si confonderebbe con quello<br />
<strong>della</strong> biologia e <strong>della</strong> psi cologia.<br />
Viceversa, in realtà, in ogni società esiste un grup po determinato di fenomeni che si<br />
distinguono, grazie a caratteri spiccatamente diversi, da quelli che studiano le altre<br />
scienze <strong>della</strong> natura.<br />
Quando assolvo il mio compito di fratello, di sposo o di cittadino; quando rispetto gli<br />
impegni che ho pre so, io compio dei doveri che sono ben definiti, al di fuori <strong>della</strong> mia<br />
persona e dei miei atti, secondo il dirit to e secondo i costumi. Anche quando tali<br />
doveri sono in armonia coi miei propri sentimenti e che ne sento interiormente la<br />
realtà, questa non cessa d’essere ob biettiva, poiché non sono io che li ho creati ma li<br />
ho ricevuti dall’educazione. Quante volte, d’altronde, ca pita che noi ignoriamo i<br />
particolari <strong>degli</strong> obblighi che ci incombono e che, per conoscerli, dobbiamo consultare<br />
il Codice ed i suoi interpreti <strong>autori</strong>zzati. Allo stesso modo, le credenze e le pratiche<br />
<strong>della</strong> sua vita religiosa, il fedele le ha trovate bell’e fatte quando è nato. Se esse<br />
esistevano prima di lui, ciò significa che esistono al di fuori di lui. Il sistema di segni<br />
dei quali mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema di monete che impiego<br />
per pagare i miei debiti, gli stru menti di credito che utilizzo nelle mie relazioni commerciali,<br />
le pratiche seguite nella mia professione ecc. funzionano indipendentemente<br />
dagli usi che ne faccio. Si prendano l’uno dopo l’altro tutti i membri dei quali è<br />
composta la società; quanto precede potrà esser ripe tuto per ciascuno di essi. Ecco<br />
dunque delle maniere d’agire, di pensare e di sentire che presentano questa rimarchevole<br />
proprietà: esse esistono al di fuori delle coscienze individuali.<br />
Non soltanto questi tipi di condotte o di pensiero sono esteriori all’individuo, ma sono<br />
datati d’una po tenza imperativa e coercitiva in virtù <strong>della</strong> quale s’impongono a lui,<br />
lo voglia o non lo voglia. Senza dubbio, quando io mi ci conformo di buon grado,<br />
questa coerci zione non si fa o si fa poco sentire, essendo inutile. Ma non è meno un<br />
carattere intrinseco di questi fatti e la prova ne è che essa si afferma appena io tento<br />
di resistere. Se provo a violare le regole del diritto, que ste reagiscono contro di me<br />
in maniera tale da impedire il mio atto, quando vi sia ancora tempo; oppure da annullarlo<br />
e da ristabilirlo sotto la sua forma normale se è compiuto e riparabile, o da<br />
farmelo espiare se non può esser riparato in altra maniera. Si tratta di massi me puramente<br />
morali? La coscienza pubblica tende ad impedire qualsiasi atto che le offenda,<br />
mediante la sorveglianza che essa esercita sulla condotta dei citta dini e le pene speciali<br />
delle quali dispone.<br />
In altri casi, la costrizione è meno violenta; non cessa però d’esistere. Se io non mi<br />
sottometto alle con venzioni del mondo; se, vestendomi, non tengo alcun conto <strong>degli</strong> usi<br />
correnti nel mio paese e nella mia classe sociale, le risate che provoco, l’ostracismo nel<br />
quale mi si tiene, producono, anche se in una maniera <strong>più</strong> atte nuata, gli stessi effetti<br />
d’una pena propriamente detta. In altri campi, la costrizione, pur non essendo che indiretta,<br />
non è meno efficace. Io non sono obbligato a parlare francese coi miei compatrioti,<br />
né d’impiegare le monete legali: ma è impossibile che io possa fare diversamente. Se<br />
cercassi di sfuggire a questa necessità, il mio tentativo fallirebbe miseramente.<br />
Industriale, nulla mi vieta di lavorare con dei pro cedimenti e dei metodi dell’altro<br />
secolo: ma se lo faces si, mi rovinerei certamente. Ed anche se effettivamente potessi<br />
33
Storia del pensiero sociologico<br />
34<br />
liberarmi da queste norme e violarle con succes so, ciò non avverrebbe mai senza che<br />
io fossi obbligato a lottare contro di esse. Quand’anche queste fossero fi nalmente<br />
vinte, mi farebbero sufficientemente sentire la loro potenza coattiva mediante la resistenza<br />
che op porrebbero. Non vi è innovatore, anche felice, le cui iniziative non<br />
vengano ad urtarsi contro opposizioni di questo genere.<br />
Ecco dunque un ordine di fatti che presentano dei caratteri molto specifici: consistono<br />
in modi di agire, di pensare e di sentire, esteriori all’individuo, e che dotati d’un<br />
potere di coercizione per virtù del quale gli si impongono. Ne consegue che non si<br />
possono confondere coi fenomeni organici, poiché consistano in rappresentazioni ed<br />
azioni; né coi fenomeni psi chici, che non hanno esistenza che nella coscienza individuale<br />
e per azione di questa. Costituiscono dunque una specie nuova ed è a loro che<br />
deve essere data e riservata la qualifica di «sociali».<br />
Questa si adatta loro, perché è chiaro che, non avendo l’individuo per substrato, non<br />
possono averne un altro all’infuori <strong>della</strong> società, sia essa la società politica nella sua<br />
integralità, sia uno qualunque dei gruppi parziali che essa racchiude, confessioni<br />
religiose, scuole politiche o letterarie, corporazioni professionali ecc. D’altra parte,<br />
è a questi solo che essa conviene; perché la parola «sociale» non ha un senso definito<br />
che a condizione di designare unicamente dei fenomeni che non entrano in alcuna<br />
delle categorie di fatti già costituiti e deno minati. Sono dunque il campo specifico<br />
<strong>della</strong> <strong>sociologia</strong>.<br />
È vero che la parola «costrizione», colla quale noi li definiamo, rischia di allarmare<br />
gli zelanti partigiani d’un individualismo assoluto. Siccome essi professano che l’individuo<br />
è perfettamente autonomo, sembra loro che lo si diminuisca tutte le volte che<br />
gli si fa sentire che egli non dipende soltanto da se stesso. Ma siccome oggi è incontestabile<br />
che la maggior parte delle nostre idee e delle nostre tendenze non sono<br />
elaborate da noi, ma ci vengano dall’esterno, queste idee e tendenze non possono<br />
penetrare in noi che imponendosi: è tutto quello che significa la nostra definizione.<br />
D’altronde è risaputo che ogni costrizione sociale non esclude neces sariamente l’intervento<br />
<strong>della</strong> personalità individuale.<br />
Però, siccome gli esempi che abbiamo citato (regole giuridiche, morali; dogmi religiosi;<br />
sistemi finanziari ecc.) consistono tutti in credenze e pratiche costituite, si<br />
potrebbe ritenere, da quanto precede, che non si abbia fatto sociale che dove si ha<br />
un’organizzazione definita. Viceversa, vi sono altri fatti che, senza pre sentare queste<br />
forme cristallizzate, hanno e la stessa obbiettività e lo stesso ascendente sull’individuo.<br />
Si tratta di quelle che si chiamano «le correnti sociali». Così, in una assemblea, i<br />
grandi movimenti d’entusia smo, d’indignazione, di pietà che si producono, non hanno<br />
per punto d’origine alcuna coscienza particolare. Vengono a ciascuno di noi<br />
dall’esterno e sono suscetti bili di trascinarci nastro malgrado.<br />
Senza dubbio può capitare che, abbandonandomi a loro senza riserva, io non senta la<br />
pressione che eserci tano su di me. Ma questa si rivela dal momento in cui io cerco di<br />
lottare contro di loro. Che un individuo tenti d’opporsi ad una di queste manifestazioni<br />
collet tive, ed i sentimenti che egli nega si rivoltano contro di lui. Ora, se tale potenza<br />
di coercizione esteriore si afferma con questa chiarezza nei casi di resistenza,<br />
vuol dire che esiste, anche se inconscia, nei casi inversi. Noi siamo allora ingannati<br />
da una illusione che ci fa credere che abbiamo elaborato noi stessi quello che ci viene<br />
im posto dall’esterno. Però, anche se la compiacenza alla quale ci lasciamo andare<br />
maschera l’impulso subito, non lo sopprime affatto. Allo stesso modo che l’aria non<br />
cessa d’essere pesante anche se noi non ne sentia mo <strong>più</strong> il peso. E così, mentre abbia-
Storia del pensiero sociologico<br />
mo spontaneamen te collaborato, da parte nostra, all’emozione comune, l’impressione<br />
che noi avremmo provata se fossimo stati soli sarebbe stata ben differente. Una volta,<br />
poi, che l’assemblea si è sciolta, che queste influenze sociali han no cessato d’agire<br />
sopra di noi e che ci ritroviamo soli con noi stessi, i sentimenti attraverso i quali siamo<br />
passati ci fanno l’effetto di qualche cosa d’estraneo, dove non ci riconosciamo <strong>più</strong>. Ci<br />
accorgiamo allora che li avevamo subiti molto di <strong>più</strong> che non li avessimo creati. Capita<br />
persino che ci facciano orrore, tanto era no contrari alla nostra natura.<br />
❱❱ 7. Le classi sociali<br />
(Émile Durkheim, Le regole del metodo sociologico,<br />
Newton Compton, Roma 1971)<br />
Ogni ordinamento giuridico (non soltanto quello «statale») agi sce direttamente, mediante<br />
la sua configurazione sulla distribuzione <strong>della</strong> potenza caratteristica di una<br />
comunità – e ciò non soltanto per la potenza economica, ma anche per qualsiasi altra<br />
potenza. Per «potenza» intendiamo qui in generale la possibilità, che un uomo o una<br />
pluralità di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comu nità<br />
anche contro la resistenza di altri soggetti partecipi di questo agire. Naturalmente la<br />
potenza «economicamente condizionata» non si iden tifica con la «potenza» in generale.<br />
Il sorgere di un potere economico può essere piuttosto, al contrario, la conseguenza<br />
di una potenza che sussiste per altri motivi. La potenza non viene da parte sua<br />
desiderata soltanto per scopi economici (di arricchimento); piuttosto la potenza, anche<br />
quella economica, può essere apprezzata «per se stessa», e molto sovente l’aspirazione<br />
verso di essa è condizionata anche dall’«onore» sociale che ne consegue. Ma non<br />
ogni potenza conferisce onore sociale. Il tipico boss americano e il tipico speculatore<br />
all’ingrosso vi rinunciano consapevolmente, e in generale è precisamente la potenza<br />
«semplice mente» economica e soprattutto la «nuda» forza del denaro che non<br />
costituisce un fondamento riconosciuto di «onore» sociale. D’altra parte non soltanto<br />
la potenza costituisce il fondamento dell’onore. Al contrario, l’onore sociale (prestigio)<br />
può costituire – e ha spesso co stituito – la base di una potenza anche di carattere<br />
economico. L’or dinamento giuridico può garantire l’onore al pari del potere. Ma<br />
esso non costituisce di regola la fonte primaria, ma anche qui costituisce un soprap<strong>più</strong><br />
che rafforza la possibilità del suo possessore, ma non lo può sempre garantire. Noi<br />
chiameremo «ordinamento sociale» il modo in cui l’«onore» sociale si distribuisce<br />
in una comunità tra gruppi tipici dei soggetti che ne partecipano. Naturalmente l’ordinamento<br />
sociale sta con l’«ordinamento giuridico» in un rapporto simile a quello<br />
in cui sta l’ordinamento economico. L’ordinamento sociale non si identifica con<br />
questo, dato che l’ordinamento economico rappresenta unicamente il modo di distribuzione<br />
e di impiego dei beni e delle prestazioni econo miche; però è in larga misura<br />
condizionato da esso, e a sua volta lo influenza.<br />
Le «classi», i «ceti» e i «partiti» costituiscono precisamente fenomeni di distribuzione<br />
<strong>della</strong> potenza all’interno di una comunità.<br />
Le «classi» non costituiscono delle comunità nel senso qui stabi lito, ma rappresentano<br />
soltanto fondamenti possibili (e ricorrenti) di un agire di comunità. Noi parleremo<br />
di «classe» quando a una pluralità di uomini è comune una specifica componente<br />
causale delle loro possibilità di vita, nella misura in cui questa componente è rappresentata<br />
semplicemente da interessi economici di possesso e di guadagno – nelle condi-<br />
35
Storia del pensiero sociologico<br />
36<br />
zioni del mercato dei beni o del lavoro («situazione di classe»). È un fatto economico<br />
tra i <strong>più</strong> elementari che il modo in cui la disposizione del possesso materiale è<br />
distribuita tra una pluralità di uomini che si incontrano e concorrono sul mercato a<br />
scopo di scambio crea di per sé specifiche possibilità di vita. Questa distribuzione, in<br />
base alla legge dell’utilità marginale <strong>della</strong> concorrenza, esclude i non possi denti da<br />
tutti i beni di maggior pregio, a favore dei possidenti, e di fatto monopolizza per essi<br />
il loro acquisto. Essa monopolizza – in circo stanze per il resto eguali – le possibilità<br />
di guadagni di scambio per tutti coloro che, provvisti di beni, non devono senz’altro<br />
dipendere dallo scambio, aumentando in generale la loro potenza nella lotta dei prezzi<br />
con coloro che, sprovvisti di possesso, non possono offrire niente altro che le loro<br />
prestazioni di lavoro, in natura o sotto forma di pro dotti del loro lavoro, e che devono<br />
assolutamente smerciarli per vivere. Essa monopolizza inoltre la possibilità di<br />
trasferire un possesso dalla sfera dell’utilizzazione come «patrimonio» alla sfera<br />
dell’impiego come «capitale», vale a dire la funzione imprenditoriale e tutte le possibilità<br />
di partecipazione diretta o indiretta al profitto capitalistico. […]<br />
Sono gli interessi economici univoci, e precisamente quelli legati all’esistenza del<br />
«mercato», che creano la «classe». Ciononostante il concetto di «interesse di classe»<br />
ha vari significati, e non è un concetto empirico univoco, appena con esso si intenda<br />
qualcosa d’altro rispetto all’effettivo orientamento <strong>degli</strong> interessi di una certa «media»<br />
<strong>degli</strong> individui sottoposti ad una situazione di classe, quale deriva con una certa probabilità<br />
dalla situazione stessa. A parità di situazione di classe e di altre circostanze,<br />
la direzione nella quale ad esempio il singolo lavoratore perseguirà con probabilità i<br />
suoi interessi può essere molto diversa, a seconda, ad esempio, che per una determinata<br />
prestazione egli venga qualificato – nella sua valutazione – ad un livello alto,<br />
medio o basso; e anche a seconda che dalla «situa zione di classe» sia sorto o meno<br />
un agire di comunità di una parte <strong>più</strong> o meno grande dei soggetti da essa interessati<br />
in comune, o addi rittura un’associazione tra essi (ad esempio un «sindacato»), dalla<br />
quale l’individuo si possa ripromettere determinati risultati. L’emergere di una associazione<br />
o anche di un agire di comunità da una situazione di classe non rappresenta<br />
affatto un fenomeno universale. Piuttosto, la sua in fluenza può esaurirsi in una reazione<br />
essenzialmente omogenea, e cioè (nella terminologia qui adottata) in un «agire<br />
di massa»; oppure non si produce nemmeno questa conseguenza. Spesso poi sorge<br />
soltanto un agire di comunità amorfo. Così, ad esempio, il «brontolio» dei lavo ratori,<br />
noto all’etica orientale antica, il quale esprimeva la disapprova zione morale dell’atteggiamento<br />
del padrone – disapprovazione che, nel suo significato pratico, si può<br />
presumere equivalesse a un fenomeno che diventa di nuovo sempre <strong>più</strong> tipico del<br />
recente sviluppo industriale, cioè alla tendenza a «frenare» (cioè all’intenzionale limitazione<br />
<strong>della</strong> prestazione lavorativa) da parte dei lavoratori, in virtù di un consenso<br />
tacito. Il grado in cui dall’«agire di massa» <strong>degli</strong> appartenenti alla clas se sorge un<br />
«agire di comunità» – e eventualmente anche delle asso ciazioni – è legato a condizioni<br />
generali di cultura, in modo particolare di natura intellettuale, e al grado dei<br />
contrasti che sono sorti, e special mente alla perspicuità <strong>della</strong> connessione tra le cause<br />
e gli effetti <strong>della</strong> «situazione di classe». […]<br />
«Situazioni di classe» esistettero in una forma così specificamente semplice e chiara<br />
nell’antichità e nel Me dioevo nei centri cittadini, specialmente quando venivano ammassati<br />
grandi patrimoni in virtù di un commercio, di fatto monopolizzato, di prodotti<br />
industriali <strong>della</strong> località in questione o di sostanze alimentari; altri esempi si possono<br />
trovare in certe circostanze nell’agricoltura delle epoche <strong>più</strong> diverse, con l’affer-
Storia del pensiero sociologico<br />
marsi dello sfruttamento economico ac quisitivo. L’esempio storico <strong>più</strong> importante<br />
<strong>della</strong> seconda categoria è dato dalla situazione di classe del «proletariato» moderno.<br />
Ogni classe può quindi essere portatrice di qualche «agire di classe» – di cui sono<br />
possibili innumerevoli forme – ma non lo è necessariamente: in ogni caso essa non<br />
costituisce una comunità, e considerarla concettualmente equivalente a una comunità<br />
è fonte di equi voci. È vero che di regola uomini posti in una stessa situazione di<br />
classe reagiscono a situazioni così concrete come quella economica con un agire di<br />
massa rivolto nella direzione <strong>più</strong> adeguata agli interessi <strong>della</strong> media, e questo è fatto<br />
in fondo semplice, ma importante per la com prensione <strong>degli</strong> avvenimenti storici.<br />
[…] Se le «classi» in sé non «sono» comunità, tuttavia le situazioni di classe sorgono<br />
soltanto sul terreno di una comunità. Soltanto che l’agire di comunità che dà loro vita<br />
non è in prevalenza un agire di comunità <strong>degli</strong> appartenenti alla medesima classe, ma<br />
è invece un agire tra appartenenti a classi differenti. Ad esempio, l’agire di comunità<br />
che determina immediatamente la situazione di classe dei lavoratori e <strong>degli</strong> imprenditori<br />
è costituito dal mercato del lavoro, dal mercato dei beni e dall’impresa capitalistica.<br />
Ma l’esistenza di una impresa capitalistica presuppone a sua volta quella di<br />
un agire di comunità di forma molto particolare, diretto a tutelare il possesso dei beni<br />
in quanto tale, e spe cialmente la disponibilità in linea di principio libera dei mezzi di<br />
pro duzione da parte <strong>degli</strong> individui; essa presuppone cioè un «ordina mento giuridico»,<br />
e di forma molto specifica. Ogni genere di situazione di classe, in quanto fondata<br />
soprattutto sulla potenza del possesso in quanto tale, si realizza nella forma <strong>più</strong> pura<br />
quando tutti gli altri motivi determinanti delle relazioni reciproche sono il <strong>più</strong> possibile<br />
assenti, in modo che la potenza del possesso sul mercato possa venir utilizzata<br />
nella forma <strong>più</strong> sovrana. […]. Oggi invece il punto cruciale è la determinazione dei<br />
salari. Il passaggio è costituito da quelle lotte per l’accesso al mercato e per la determinazione<br />
del prezzo dei pro dotti che ebbero luogo all’inizio dell’età moderna tra<br />
provveditori e artigiani domestici.<br />
Un fenomeno generale delle antitesi di classe con dizionate dalla situazione di mercato,<br />
che deve quindi essere ricordato, è il fatto che esse si agitano nelle forme <strong>più</strong> aspre<br />
tra i soggetti che sono realmente interessati in modo diretto come avversari nella lotta<br />
dei prezzi. L’astio dei lavoratori non colpisce il redditiere o l’azionista a il banchiere<br />
– anche se proprio nelle casse di questi affluisce un profitto in parte maggiore e in<br />
parte «<strong>più</strong> sprovvisto di lavoro» ri spetto a quello dell’industriale o del direttore dell’impresa;<br />
esso colpisce invece quasi esclusivamente questi ultimi, quali avversari diretti<br />
nella lotta dei prezzi. Questo semplice fatto è spesso stato decisivo per l’im portanza<br />
<strong>della</strong> situazione di classe nella formazione dei partiti politici. Esso ha per esempio reso<br />
possibili le diverse varietà del socialismo patrimoniale e i tentativi di alleanza – almeno<br />
un tempo frequenti – dei ceti minacciati con il proletariato, contro la «borghesia».<br />
❱❱ 8. La burocrazia<br />
Il modo specifico di funzionamento <strong>della</strong> burocrazia moderna si esprime nel modo<br />
seguente.<br />
I. Esiste il principio delle competenze di <strong>autori</strong>tà definite, disci plinate in modo generale<br />
mediante regole, cioè mediante leggi e regola menti amministrativi. Ciò comporta:<br />
1) una stabile suddivisione delle attività regolari richieste per gli scopi <strong>della</strong> formazione<br />
burocratica dominante – in forma di doveri di ufficio;<br />
37
Storia del pensiero sociologico<br />
38<br />
2) i poteri di comando necessari per l’adempimento di questi compiti sano pure<br />
suddivisi in modo stabile e limitati mediante regole nei mezzi coercitivi (fisici o<br />
sacrali o di altro tipo) loro attribuiti;<br />
3) all’adempimento regolare e continuativo dei campiti così sud divisi, e all’esercizio<br />
dei diritti corrispondenti, si provvede in modo sistematico con l’assunzione di<br />
persone fornite di una qualificazione regolata in via generale.<br />
Questi tre momenti rappresentano, nel potere di diritto pubblico, la sussistenza di un<br />
«organo di <strong>autori</strong>tà» burocratico e, nel potere eco nomico privato, quella di un’«impresa»<br />
burocratica. In questo senso tale istituzione si è sviluppata completamente per<br />
la prima volta nelle comunità politiche e religiose dello stato moderno, e nell’economia<br />
pri vata con le <strong>più</strong> avanzate formazioni capitalistiche. Anche in formazioni politiche<br />
molto vaste quali quelle dell’antico Oriente, e così pure nei regni di conquista<br />
germanici o mongolici e in molte formazioni statali feudali, gli organi permanenti di<br />
<strong>autori</strong>tà forniti di competenza stabile non sono la regola ma l’eccezione. In essi il<br />
detentore del potere affida i compiti <strong>più</strong> importanti a fiduciari personali, commensali<br />
o servitori di corte con incarichi e competenze non rigidamente delimitate, e create<br />
volta a volta per il singolo caso.<br />
II. Esiste il principio <strong>della</strong> gerarchia <strong>degli</strong> uffici e <strong>della</strong> serie delle istanze, cioè di un<br />
sistema rigidamente regolato di sovra-ordinazione e sub-ordinazione <strong>degli</strong> organi di<br />
<strong>autori</strong>tà con controllo dei superiori sugli inferiori – sistema che offre anche ai dominati<br />
una possibilità rigida mente regolata di appellarsi dall’istanza inferiore a quella<br />
superiore.<br />
Quando si abbia un completo sviluppo del tipo, questa gerarchia è orga nizzata in modo<br />
monocratico. Il principio <strong>della</strong> serie gerarchica delle istanze si trova tanto nelle formazioni<br />
statali ed ecclesiastiche quanto in tutte le altre formazioni burocratiche, come<br />
le grandi organizzazioni di partito e le grandi imprese private – qualora si vogliano<br />
chiamare «organi di <strong>autori</strong>tà» anche le istanze private. Con un completo svi luppo del<br />
principio di «competenza», però, la subordinazione gerar chica non vuol dire, almeno<br />
negli uffici pubblici, che l’istanza «supe riore» sia abilitata a richiamare a sé gli affari<br />
dell’istanza «inferiore». La regola è proprio l’opposto, e perciò nel caso del disbrigo<br />
di una partita da parte di un ufficio incaricato non può aversi alcuno sposta mento.<br />
III. La moderna condotta dell’ufficio si fonda su documenti (atti) che vengono conservati<br />
in originale o in copia, e su un apparato di funzionari subalterni e scritturali<br />
di ogni tipo. Il complesso dei funzionari attivi in un organo di <strong>autori</strong>tà, e l’apparato<br />
di mezzi e di atti ad esso corrispondente, costituisce un «ufficio» (nelle imprese private<br />
esso è spesso designato come «ufficio commerciale»). L’organizzazione moderna<br />
<strong>degli</strong> organi di <strong>autori</strong>tà separa completamente la sede dell’uf ficio dall’abitazione<br />
privata, e ciò in quanto distingue del tutto l’atti vità di ufficio come ambito isolato<br />
rispetto alla sfera <strong>della</strong> vita privata, e così pure distingue le finanze e i mezzi dell’ufficio<br />
dal possesso privato del funzionario. Questa situazione è il prodotto di un lungo<br />
sviluppo; oggi essa si trova sia nelle imprese economiche pubbliche che in quelle<br />
private, e in queste si estende anche all’imprenditore dirigente. Quanto <strong>più</strong> conseguentemente<br />
è realizzato il tipo moderno <strong>della</strong> gestione <strong>degli</strong> affari – e gli inizi si<br />
trovano già nel Medioevo – tanto <strong>più</strong> sono separate la contabilità di ufficio e l’amministrazione<br />
domestica, la cor rispondenza di affari e la corrispondenza privata, il patrimonio<br />
di affari e il patrimonio privato. Si può affermare che la peculiarità<br />
dell’impren ditore moderno consiste nel fatto che egli si considera come «primo funzionario»<br />
<strong>della</strong> sua impresa, nello stesso modo in cui il dominatore di uno stato
Storia del pensiero sociologico<br />
moderno specificamente burocratico si dice il «primo ser vitore» di esso. Che l’attività<br />
di un ufficio statale e quello di un’azienda economica privata siano qualcosa di<br />
essenzialmente differente da un punto di vista interno, è un’idea propria dell’Europa<br />
continentale – a cui gli americani sono completamente estranei.<br />
IV. Ogni attività di ufficio, e almeno ogni attività specializzata – cosa specificamente<br />
moderna –, presuppone normalmente una mi nuziosa preparazione specializzata. Ciò<br />
vale sempre <strong>più</strong> per i moderni dirigenti e impiegati di un’impresa, economica privata<br />
come per i fun zionari statali.<br />
V. L’attività di ufficio – quando questo sia completamente svi luppato – pretende<br />
tutta la capacità lavorativa del funzionario, pre scindendo dalla circostanza che il<br />
tempo del lavoro di ufficio sia stabilmente determinato. Ciò è di norma il prodotto di<br />
un lungo sviluppo negli uffici pubblici e privati: viceversa, una volta la norma era che<br />
gli impegni di ufficio fossero assolti come «professione secondaria»<br />
VI. La condotta dell’ufficio del funzionario segue regole generali che possono essere<br />
apprese, e che sono <strong>più</strong> o meno fisse ed esaurienti. La conoscenza di tali regole rappresenta<br />
perciò una tecnica particolare – a seconda dei casi, si tratta <strong>della</strong> giurisprudenza<br />
o <strong>della</strong> teoria dell’amministrazione o <strong>della</strong> ragioneria – che i funzionari posseggono.<br />
Il vincolo alle regole <strong>della</strong> moderna condotta dell’ufficio è tanto radicato che la moderna<br />
teoria scientifica ammette per esempio che una competenza attribuita ad un’<strong>autori</strong>tà<br />
per la disciplina di determinate materie, mediante regolamento, non la legittima<br />
ad una disciplina me diante comandi stabiliti caso per caso, ma soltanto alla<br />
regolamenta zione astratta. Ciò costituisce la <strong>più</strong> netta contrapposizione al tipo di<br />
regolamentazione dominante che, per esempio nel patrimonialismo, ricevono tutte le<br />
relazioni non determinate dalla tradizione sacra, e che vengono dispensate mediante<br />
privilegi individuali e incarichi di favore.<br />
(Max Weber, Economia e società, edizioni di Comunità, Milano 1961)<br />
❱❱ 9. Livello sociale e livello individuale<br />
Fra la massa e il singolo esiste una differenza di livello: la stessa che sorge (e può<br />
essere compresa) ogni volta che i modi e le qualità del «far massa» – quelli che assimilano<br />
l’individuo a una collet tività – vengono distinti da altri, tipici <strong>della</strong> sfera privata<br />
e tali da isolare una persona dal suo gruppo di ap partenenza. […] L’individuo<br />
può possedere le qualità <strong>più</strong> fini e evolute: ma ogni volta che ciò accade, diventa<br />
anche meno probabile la sua uguaglianza rispetto agli altri (os sia la formazione di<br />
unità), mentre le sue caratteristiche divengono sempre <strong>più</strong> incomparabili e, infine, si<br />
ridu cono quei margini di sensibilità primitive che lo accomunano agli altri, fino a dar<br />
vita ad una massa unitaria. Può allora accadere che il «popolo» sia erroneamente<br />
inteso come una «massa», senza che gli individui se ne sentano partecipi, anche perché,<br />
cosi facendo, di indi vidui non si parla affatto. L’individuo, se considerato come<br />
tale e come un tutto, possiede delle qualità supe riori rispetto a quelle che lo accomunano<br />
ad un collet tivo.<br />
Secondo le parole di Schiller: «Gli uomini, singo larmente presi, sono abbastanza<br />
arguti e intelligenti. Ma provate a metterli insieme e avrete di fronte una banda d’imbecilli».<br />
Heine, invece, dedica <strong>più</strong> attenzione al mo mento in cui, dall’incontro fra<br />
personalità diverse, emergono come tratti comuni gli elementi <strong>più</strong> infimi di ciascuna.<br />
39
Storia del pensiero sociologico<br />
40<br />
Scrive infatti: «Raramente mi avete capito e raramente io ho capito voi. Solo se ci<br />
trovassimo nel le tame potremmo capirci al meglio».<br />
Questa differenza di livello fra il soggetto individuo e il soggetto massa si estende a<br />
tutta la vita sociale ed è tal mente ricca di implicazioni da spingermi ad elencare qualche<br />
altro parere: soprattutto di quelle personalità che, trovandosi in una posizione<br />
particolare – ancorché diversa –, seppero accumulare una vasta esperienza in materia<br />
di relazioni pubbliche. Solone pare abbia detto che i suoi ateniesi erano tante volpi<br />
astute, ma una volta riuniti sul Pnyx si trasformavano in un gregge di pecore. Nelle<br />
sue memorie, descrivendo le sedute del parlamen to di Parigi all’epoca <strong>della</strong> fronda,<br />
il Cardinale di Retz osserva che molte corporazioni, pur contenendo anche <strong>degli</strong><br />
esponenti autorevoli e istruiti, in sede di consulta zione comune solevano comportarsi<br />
come la plebe e obbedivano ai suoi stessi istinti e alle medesime passioni. Come<br />
Solone, anche Federico il Grande dichiara che i suoi generali, se presi ad uno ad uno,<br />
sono le persone <strong>più</strong> razionali del mondo: ma una volta riuniti in un con siglio di guerra<br />
si comportano come tante pecore. Identico è il parere dello storico inglese Freeman,<br />
che osser va come la Camera Bassa – a giudicare dal rango dei suoi esponenti – sia<br />
una corporazione aristocratica: ma durante le sedute non ha nulla di diverso da<br />
un’accoz zaglia di democratici. Il massimo studioso delle corpo razioni inglesi rileva<br />
come nelle loro assemblee di massa si prendano delle decisioni tanto assurde e dannose<br />
da indurre la maggior parte delle Unions a rinunciarvi e a preferire le assemblee<br />
di delegati.<br />
Vediamo dunque come, da una varietà di osservazioni, emerga un parere concorde.<br />
Esse, d’altronde, a prescin dere dal contenuto, hanno una rilevanza sociologica non<br />
solo per la loro generalità, ma anche perché sim boleggiano delle situazioni e dei fenomeni<br />
di grande importanza storica. Il mangiare e il bere (ossia le funzioni <strong>più</strong> antiche,<br />
ma anche le meno elevate sul piano intellettuale) possono essere il trait d’union<br />
(spesse volte il solo) fra persone e gruppi del tutto eterogenei. Nei circoli per soli<br />
uomini, anche se culturalmente elevati, ci si abbandona spesso al racconto di storielle<br />
oscene. Nei gruppi giovanili, la gioia <strong>più</strong> scatenata e l’unione <strong>più</strong> stretta fra membro<br />
e membro si ottiene con dei giochi di società, il cui carattere è spesso dei <strong>più</strong><br />
triviali e pri mitivi. La necessità di appartenenza ad una grande massa (e di restarvi il<br />
<strong>più</strong> a lungo possibile) torna così a detri mento del carattere. Essa infatti spoglia il<br />
singolo <strong>della</strong> sua cultura individuale e lo costringe a scendere tanto in basso da potersi<br />
associare con chiunque. […] Le azioni <strong>della</strong> massa puntano dritto allo scopo e<br />
cercano di raggiungerlo per la via <strong>più</strong> breve: questo fa sì che, a dominarle, sia sempre<br />
una sola idea, la <strong>più</strong> semplice possibile. Capita assai di rado che, nelle loro coscienze,<br />
i membri di una grande massa ab biano un vasto campionario di idee in comune<br />
con gli altri. Inoltre, data la complessità <strong>della</strong> realtà contem poranea, ogni idea semplice<br />
deve anche essere la <strong>più</strong> ra dicale ed esclusiva. Ciò spiega il successo dei partiti<br />
ra dicali nei periodi di grandi turbolenze di massa e la de bolezza dei partiti moderati,<br />
nel loro sforzo di risolvere le vertenze con gli strumenti del diritto. […] La<br />
massa non mente né simula mai, anche perché, data la sua struttura psichica, le manca<br />
il benché minimo senso del la responsabilità.<br />
[…] In generale, chiunque abbia voluto agire sulla massa lo ha sempre fatto con un<br />
appello ai sentimenti e solo di rado si è servito di argomenti teorici. Questo vale<br />
principalmente per una massa che si trovi concen trata in un sol luogo. In tal caso<br />
assistiamo ad un fe nomeno che potremmo indicare come suscettibilità col lettiva.<br />
Tipica <strong>della</strong> grande massa è assai spesso una passione, un’eccentricità, un’irritabilità
Storia del pensiero sociologico<br />
che difficilmen te compare nei suoi membri singolarmente presi. Il fenomeno interessa<br />
anche gli animali che vivono aggregati: il battito d’ali <strong>più</strong> leggero, uno scatto anche<br />
minimo di qualcuno, possono scatenare nel branco una vera e propria forma di timor<br />
panico. L’effetto alle volte ab norme di sollecitazioni episodiche, l’alternarsi vertiginoso<br />
di impulsi d’odio e d’amore, la suscettibilità quasi incomprensibile <strong>della</strong> massa,<br />
che la spinge a un’azione dirompente e annulla ogni distanza individuale tutto questo,<br />
insomma, deriva dall’effetto congiunto di mol teplici effusioni del sentimento che,<br />
propagandosi fra gli individui, si sommano in un’eccitazione collettiva che il singolo<br />
non basta a spiegare. È questo uno dei fenomeni <strong>più</strong> istruttivi nel campo <strong>della</strong> <strong>sociologia</strong><br />
pura: l’individuo è posseduto dalla massa – e dal suo «stato d’animo» turbinoso<br />
– come da un po tere esterno, che lo oppone a se stesso e al suo volere. Ciò, nonostante<br />
il fatto che la massa consista solo di in dividui, delle loro forme di reciprocità,<br />
e sviluppi una dinamica che, date le dimensioni, appare come qualcosa di oggettivo,<br />
capace di nascondere a ciascuno il relativo apporto individuale. Di fatto, l’individuo<br />
ne è partecipe proprio perché trascinato nel suo stesso vortice. […] Innumerevoli<br />
esempi ci insegnano come sia proprio l’in telletto individuale a venir meno di fronte<br />
al crescere dell’emotività, quasi che il numero delle persone a con tatto fungesse da<br />
moltiplicatore per una potenza di sen timento che è l’individuo stesso a trasmettere.<br />
A teatro o nelle assemblee capita <strong>più</strong> volte di ridere per delle bat tute che, in privato,<br />
non si ascolterebbero nemmeno: le stesse di cui, con vergogna, ci informano i resoconti<br />
parlamentari, quando riportano un’espressione come: ilarità! In simili momenti<br />
di eccitazione collettiva, a soc combere non sono solo le istanze critiche dell’intelletto,<br />
ma anche quelle <strong>della</strong> moralità. Da ciò, infatti, traggo no spiegazione i cosiddetti<br />
crimini collettivi: quelli in cui ciascuno si proclama innocente con piena certezza<br />
soggettiva e buon diritto oggettivo, poiché, dilatandosi ol tremisura, le vibrazioni del<br />
sentimento assorbono anche la quota di energia psichica che provvede, di regola, a<br />
mantenere unita la personalità e a farne qualcosa di re sponsabile. Questo coinvolgimento<br />
nella massa, pur possedendo anche una dimensione etica – che si mani festa in<br />
un nobile fervore e nella <strong>più</strong> completa disponi bilità al sacrificio –, non può che apparirci<br />
abnorme e irrazionale: in sua presenza, l’individuo è spinto al di là delle norme<br />
valutative da cui, <strong>più</strong> o meno attivamente, aveva tratto impulso la sua coscienza.<br />
In base alle considerazioni fin qui svolte, la formazione di un livello sociale può essere<br />
espressa in questa for mula: quel che è comune a tutti, può solo appartenere a chi<br />
possiede di meno. […]<br />
È dunque illusorio credere che il livello di una comunità unitaria (o per lo meno tale<br />
da un punto di vista pratico) sia per davvero il livello «medio». Per calcolare questa<br />
«media» bisognerebbe sommare le posizioni di tutti gli individui e dividere il risultato<br />
per il loro numero. Ma ciò equivarrebbe ad elevare la posizione dei <strong>più</strong> umili,<br />
con un’operazione tanto irreale quanto improduttiva. La comunità, semmai, si trova<br />
tanto <strong>più</strong> vicina al loro livello, quanto <strong>più</strong> spesso accade che tutti i suoi membri siano<br />
accomunati da valori e attività uniformi. Per sua natura il comportamento collettivo<br />
tende a coincidere con quello delle persone <strong>più</strong> umili e, a meno di non confondermi<br />
a mia volta, penso sia esatto parlare di «mediocrità» quando si vuole intendere non<br />
il valore medio di una totalità di individui e prestazioni, ma in una qualità di gran<br />
lunga inferiore. […] Il livello sociale non si individua quasi mai con quello <strong>degli</strong><br />
individui <strong>più</strong> umili: tende a coincidervi, ma resta il <strong>più</strong> delle volte al di sopra. C’è<br />
infatti una forma di resistenza che, in diversa misura e da parte <strong>degli</strong> individui <strong>più</strong><br />
dotati, tende ad opporsi a questo abbassamento collettivo. La sua azione impedisce<br />
41
Storia del pensiero sociologico<br />
42<br />
che l’agire <strong>della</strong> comunità precipiti verso i livelli <strong>più</strong> bassi. […] l’uomo può regredire<br />
facilmente, ma progredisce con molta fatica.<br />
❱❱ 10. Lo spirito libero<br />
(Georg Simmel, Forme e giochi di società, Feltrinelli, Milano 1983)<br />
O sancta simplicitas! In quale strana semplificazione e fal sificazione vive l’uomo!<br />
Non si finisce mai di meravigliarsi quando si è assistito ad un tale prodigio! Come<br />
abbiamo reso chiaro e libero e facile e semplice tutto quanto ci circonda! Come abbiamo<br />
saputo dare a noi stessi un lascia-passare per tutto ciò che è superficiale e al<br />
nostro pensiero una divina avidità di salti spavaldi e di paralogismi! – come abbiamo<br />
imparato fin dall’inizio a conservarci la nostra ignoranza, per godere di una libertà,<br />
una sicurezza, una imprudenza, una riso lutezza, una serenità di vita appena concepibili,<br />
per godere <strong>della</strong> vita! E, solo su questo fondo di ignoranza ormai saldo e granitico<br />
ha potuto erigersi finora la scienza; la volontà di sapere sulla base di una volontà<br />
molto <strong>più</strong> potente, <strong>della</strong> vo lontà di non-sapere, di incertezza, di non-verità! Non<br />
come suo contrario, ma – come suo perfezionamento! […] Correte a nascondervi! E<br />
usate la vostra maschera e l’astuzia perché vi si confonda con altri! O vi si tema un<br />
poco! E non dimenticate il giar dino, il giardino dalle inferriate d’oro! E abbiate uomini<br />
in torno a voi che siano come un giardino, – o come musica sulle acque, quando<br />
è sera, e già il giorno diventa ricordo: – sce gliete la buona solitudine, la libera, coraggiosa,<br />
lieve solitu dine, che vi dà anche un diritto di restare ancora, in un certo<br />
senso, buoni! Come rende velenosi, astuti, cattivi questa lunga guerra, che non si<br />
lascia condurre con violenza e a viso aperto! Come rende personali una lunga paura!<br />
una lunga attenzione al nemico, a un nemico possibile! Questi respinti dalla società,<br />
eternamente perseguitati, istigati con perfidia, – compresi gli eremiti per forza, gli<br />
Spinoza e i Giordano Bruno – alla fine diventano sempre, e sia pure sotto la maschera<br />
<strong>più</strong> spirituale, e forse addirittura senza saperlo, dei raffinati ricercatori di vendetta<br />
e avvelenatori. […] Ogni persona eletta tende istintivamente al suo rifugio e alla sua<br />
intimità, dove poter essere libera dalla massa, dai molti, dai troppi, dove poter dimenticare<br />
la regola «uomo», in quanto sua eccezione: – escluso l’unico caso, che egli<br />
venga spinto da un istinto ancora <strong>più</strong> forte direttamente su questa regola, come uomo<br />
<strong>della</strong> conoscenza in senso sublime ed eccezionale. Chi nel rapporto con gli uomini<br />
non ha assunto, secondo le circostanze, tutti i colori <strong>della</strong> pena, verde e grigio di<br />
nausea, fastidio, pietà, tetraggine, abbandono, non è certo un uomo di gusto superiore;<br />
ma se egli non si assume volontariamente tutti questi pesi e questo fastidio, se li<br />
elude sempre e rimane, come si è detto, silenzioso e superbo, rinchiuso nella sua<br />
torre, allora una cosa è certa: egli non è fatto, non è predestinato alla conoscenza.<br />
Perché, se lo fosse, dovrebbe dirsi un giorno «al diavolo il mio buon gusto! la regola<br />
è <strong>più</strong> inte ressante dell’eccezione, – di me, che sono l’eccezione!» – e scenderebbe in<br />
basso, soprattutto «dentro». Lo studio dell’uo mo medio, lungo, severo che vuole<br />
molte simulazioni, superamenti di sé, fiducia, cattive compagnie – ogni compagnia è<br />
cattiva, eccetto quella dei propri pari –: costituisce una parte necessaria <strong>della</strong> biografia<br />
di ogni filosofo, forse la <strong>più</strong> sgrade vole, la <strong>più</strong> maleodorante, la <strong>più</strong> ricca di delusione.<br />
Ma se egli ha fortuna, come si addice a un beniamino <strong>della</strong> cono scenza, allora<br />
incontrerà chi gli abbrevierà e gli mitigherà il compito, – intendo i cosiddetti cinici,<br />
dunque quei tali che riconoscono semplicemente in sé la bestia, la volgarità, la «re-
Storia del pensiero sociologico<br />
gola» e che oltre a ciò possiedono tuttavia abbastanza spiri tualità e sensibilità per<br />
sentire la necessità di parlare di sé e dei propri simili dinnanzi a testimoni: – talvolta<br />
si roto lano persino nei libri come nei loro stessi escrementi. Il Ci nismo è l’unica<br />
forma nella quale anime volgari rasentano l’onestà – e di fronte al cinismo <strong>più</strong> rozzo<br />
o <strong>più</strong> raffinato l’uomo superiore deve aprire bene le orecchie e congratularsi ogni<br />
volta con sé stesso, se proprio di fronte a lui il pagliac cio sfrontato o il satiro <strong>della</strong><br />
scienza parlano a voce alta, Ci sono persino casi nei quali alla nausea si mescola<br />
l’incanto: lì, cioè, dove per un capriccio <strong>della</strong> natura, il genio è unito a un tale sfrontato<br />
caprone e a una scimmia, come nel caso del l’Abbé Galiani, l’uomo <strong>più</strong> profondo,<br />
il <strong>più</strong> acuto e forse anche il <strong>più</strong> sporco del suo secolo – fu molto <strong>più</strong> profondo di<br />
Voltai re e di conseguenza anche molto <strong>più</strong> silenzioso. È accaduto già molto spesso<br />
che, come si è accennato, si abbia una testa di scienziato su un corpo di scimmia, un<br />
intelletto eccezional mente fine in un’anima volgare – un caso per nulla raro, in particolare<br />
fra i medici e i fisiologi <strong>della</strong> morale. E ogni volta che si parla senza amarezza,<br />
anzi tranquillamente del l’uomo come di un ventre con due bisogni e di una testa<br />
che ne ha uno solo; dovunque si veda, si cerchi e si voglia ve dere sempre solo fame,<br />
libidine sessuale e presunzione, come se esse fossero gli unici e veri moventi delle<br />
azioni umane; in breve, dove si parli «male» dell’uomo – e neppure con cattiveria –,<br />
lì l’amante <strong>della</strong> conoscenza, dovrà ascoltare con acuta attenzione e con zelo dovrà<br />
tendere l’orecchio sopratutto quando si parla senza indignazione. Poiché l’uomo indignato,<br />
e colui che sempre si strazia e si sbrana con i propri denti (o in sostituzione<br />
di sé strazia il mondo, o Dio, o la società), può sì secondo la morale, essere superiore<br />
al satiro che ride; pago di sé, ma in ogni altro caso è il caso <strong>più</strong> comune, <strong>più</strong> insignificante,<br />
meno istruttivo. E nessuno mente quanto l’in dignato. […]<br />
Ciò che è balsamo e nutrimento per la specie <strong>più</strong> elevata <strong>degli</strong> uomini, deve essere<br />
quasi veleno per una specie assai diversa e infe riore. Le virtù dell’uomo comune<br />
avrebbero forse in un filosofo il significato di vizio e di debolezza; sarebbe possibile<br />
che un uomo di tipo superiore, posto che degenerasse e an dasse in rovina, giungesse<br />
solo in questo modo a possedere le qualità in virtù delle quali fosse sentita la necessità<br />
di ve nerarlo come un santo, nel mondo abietto nel quale è spro fondato. Esistono<br />
libri che hanno per l’anima e per la salute un valore opposto a seconda che se ne<br />
serva un’anima vol gare, un’inferiore forza vitale, oppure la <strong>più</strong> elevata e pos sente;<br />
nel primo caso quei libri sono pericolosi, stritolano e dissolvono, nell’altro sono i<br />
richiami dell’araldo che invitano i <strong>più</strong> prodi a dar prova del loro valore. I libri per<br />
tutti sono sempre libri maleodoranti: vi si attacca l’odore <strong>della</strong> piccola gente. Dove<br />
il popolo mangia e beve, persino dove adora, lì di solito c’è fetore. Non bisogna entrare<br />
in una chiesa, se si vuole respirare aria pura.<br />
(Friedrich Nietzsche, Al di là dei, bene e del male, Newton Compton,<br />
Roma 1977)<br />
❱❱ 11. La scienza <strong>della</strong> politica<br />
L’emergere e lo sparire dei problemi nel nostro orizzonte intellettuale sono governati<br />
da un principio di cui non siamo ancora pienamente consapevoli. La nascita e la<br />
scomparsa di interi sistemi gnoseologici possono conclusivamente essere riportati a<br />
certi fattori e divenire pertanto comprensibili. Ci sono già stati dei tentativi, nella<br />
storia dell’arte, volti a scoprire per quali ragioni e quando la scultura o altre espres-<br />
43
Storia del pensiero sociologico<br />
44<br />
sioni figurative diventano le forme d’arte dominanti di un’età. Allo stesso modo, la<br />
<strong>sociologia</strong> del sapere dovrebbe cercare di spiegare le condizioni per cui nascono e<br />
s’affermano certi problemi e discipline. A lungo andare, il sociologo dovrebbe essere<br />
in grado di non attribuire realtà e la soluzione delle varie questioni alla sola presenza<br />
e abilità <strong>degli</strong> individui. I complessi rapporti sussistenti tra i diversi problemi,<br />
in un dato tempo e luogo, vanno in ogni caso, considerati nel quadro generale <strong>della</strong><br />
società in cui si danno, anche se esso non può sempre fornirci un’idea esatta di tutti<br />
i particolari. È pur vero che il singolo ha talora l’impressione dell’assoluta autonomia<br />
delle sue convinzioni, <strong>della</strong> loro indipendenza dall’assetto sociale; non è davvero<br />
infrequente per uno che vive in un mondo provinciale e socialmente ristretto pensare<br />
alle proprie cose, come a fatti del tutto isolati e di cui lui solo è responsabile. La <strong>sociologia</strong><br />
non può, tuttavia, accontentarsi di questa prospettiva limitata ed immediata.<br />
I fatti che all’apparenza sono sle gati e isolati debbano venire intesi in quel dinamico<br />
e sempre nuovo piano di esperienza che costituisce la loro vera concretezza. Solo in<br />
un tale contesto essi acquistano significato. Se la <strong>sociologia</strong> <strong>della</strong> cono scienza dovesse<br />
conseguire un qualche successo in questo tipo d’analisi, molte questioni che sino<br />
ad ora sono rimaste oscure potrebbero essere chiarite. Un tale progresso ci consentirebbe<br />
infatti di capire perché la <strong>sociologia</strong> e l’economia sono di data recente, perché<br />
esse hanno progredi to in certi paesi e in altri sono state invece impedite e ostacolate<br />
ogni mezzo. Diverrebbe ugualmente possibile rispondere ad un problema, cui mai è<br />
stata data risposta, e cioè al fatto che noi non abbiamo ancora assistito ad alcun sviluppo<br />
<strong>della</strong> scienza politica. In un mondo pervaso da un ethos razionalistico come il<br />
nostro, ciò costituisce una notevole anomalia.<br />
Non esiste quasi sfera dell’esistenza di cui non s’abbia una qualche conoscenza scientifica<br />
e per cui non valgano efficaci metodi di insegna mento. Si deve allora pensare<br />
che proprio la parte dell’attività umana dal cui controllo dipende il nostro destino, sia<br />
ostica al punto che la scienza non riesca a violarne i segreti? Non si possano trascurare<br />
gli aspetti problematici <strong>della</strong> questione. Quel che resta da vedere è se essa rifletta<br />
semplicemente uno stato provvisorio che si può superare o se invece noi non abbiamo<br />
già raggiunto, in questa sfera, il massimo e definitivo grado di conoscenza.<br />
Si può osservare, in favore <strong>della</strong> prima possibilità, che le scienze sociali sono ancora<br />
nello stato d’infanzia. Sarebbe allora legittimo con cludere dall’immaturità delle <strong>più</strong><br />
fondamentali fra tali discipline anche l’arretratezza di questa scienza «applicata». Se<br />
così fosse, basterebbe soltanto attendere che questo ritardo venga meno, e certamente<br />
la suc cessiva ricerca sarebbe poi in grado di esercitare sulla società un con trollo<br />
paragonabile a quello che oggi operiamo sul mondo fisico.<br />
La tesi opposta si fonda invece nella vaga consapevolezza che la prassi politica costituisca<br />
qualcosa di qualitativamente diverso da ogni altro tipo di esperienza umana,<br />
e che di conseguenza la sua compren sione presenti ostacoli assai maggiori di quanto<br />
non avvenga per gli altri campi del sapere. Ne segue che tutti gli sforzi per sottomettere<br />
questi fenomeni all’analisi scientifica sono considerati condannati all’in successo<br />
a causa <strong>della</strong> loro particolare natura.<br />
Una corretta impostazione del problema sarebbe già un successo rimarchevole. Renderci<br />
conto <strong>della</strong> nostra ignoranza costituirebbe in vero un grande passo in avanti, in<br />
quanto ci spiegheremmo allora perché la conoscenza e la comunicazione non sono in<br />
questo caso possibili. Pertanto il nostro primo compito consiste in una rigorosa definizione<br />
del problema. Esso si pone in questo modo: che cosa s’intende allorché domandiamo:<br />
è possibile una scienza <strong>della</strong> politica?
Storia del pensiero sociologico<br />
Ci sono alcuni aspetti <strong>della</strong> politica che sano immediatamente com prensibili e comunicabili.<br />
Un esperto e navigato leader politico do vrebbe infatti conoscere la storia del<br />
proprio paese e quella delle nazioni vicine, le quali costituiscono il teatro delle sue<br />
iniziative; ne con segue che la conoscenza <strong>della</strong> storia e una rilevante informazione<br />
stati stica sono indispensabili per la sua attività. Inoltre, un capo politico dovrebbe<br />
sapere qualcosa anche delle istituzioni politiche di quei paesi a cui è interessato. È<br />
comunque indispensabile che la sua esperienza non sia solo giuridica, ma includa<br />
anche una conoscenza delle relazioni sociali che sano a base <strong>della</strong> struttura istituzionale<br />
e insieme ne assi curano il funzionamento. Del pari, egli non deve ignorare le<br />
idee poli tiche tradizionali del proprio paese, né può restare all’oscuro di quelle appartenenti<br />
ai suoi avversari. Ci sono ancora altri problemi, sebbene meno immediati,<br />
che sono venuti in discussione nel nostro tempo: intendiamo riferirci, ad esempio,<br />
alle tecniche con cui poter disporre delle folle, senza le quali è impossibile affermarsi<br />
in una democrazia di masse come l’attuale. La storia, la statistica e la teoria politica,<br />
la socio logia, la storia delle idee e la psicologia sociale rappresentano, tra le<br />
molte altre discipline, campi del sapere particolarmente importanti per il leader politico.<br />
Se noi volessimo tracciare un vero e proprio curricu lum <strong>della</strong> sua educazione,<br />
gli studi in questione dovrebbero esservi senza dubbio inclusi. Le discipline già menzionate<br />
non offrono, comunque, molto di <strong>più</strong> di una conoscenza pratica, utilizzabile<br />
appunto dal poli tico di professione. Ma esse, anche se prese nel loro complesso, non<br />
bastano a darci una scienza <strong>della</strong> politica e, al massimo, possono servire come sue<br />
discipline ausiliarie. Se per politica intendessimo la semplice gamma delle nozioni<br />
pratiche utili per la condotta del leader o dell’uomo di partito, nessun dubbio si potrebbe<br />
levare sull’esistenza di una tale scienza e sulla sua insegnabilità. L’unico<br />
problema pedagogico consi sterebbe, in questo caso, nel trascegliere dal numero<br />
pressoché infinito dei fatti quelli <strong>più</strong> rilevanti ai fini dell’azione politica.<br />
È tuttavia evidente che la questione «Quali condizioni richiede una scienza <strong>della</strong><br />
politica e come può essa venire insegnata?» non si riferisce all’insieme di notizie<br />
pratiche sopra menzionate. In che consiste allora il problema?<br />
Le discipline che abbiamo esaminato sono strutturalmente con nesse solo nella misura<br />
in cui si occupano <strong>della</strong> società e dello Stato come se fossero i prodotti finali <strong>della</strong><br />
storia passata. La prassi politica, invece, si interessa dell’assetto sociale e dello stato<br />
nel loro nascere e nel loro formarsi. Essa ha che fare con un processo nel quale ogni<br />
momento dà luogo a una situazione irripetibile e da cui si cerca di isolare qualcosa<br />
che abbia un valore permanente. Nasce allora la que stione: «C’è una scienza di questo<br />
divenire, una scienza dell’attività creatrice?».<br />
Il primo stadio nell’elaborazione del problema è così raggiunto. Qual è (nell’ambito<br />
<strong>della</strong> società) il significato di questo contrasto tra ciò che è stato e ciò che sta divenendo?<br />
[…]<br />
Per razionale che la nostra vita attuale possa sembrare, tutti i progressi che in tal<br />
senso si sono compiuti fino qui sono solamente parziali, in quanto i <strong>più</strong> importanti<br />
settori <strong>della</strong> vita sociale sono tuttora ancorati all’irrazionale. La nostra vita economica,<br />
sebbene assai sviluppata nel suo aspetto tecnico e prevedibile in taluni suoi rapporti,<br />
non presenta, nel suo insieme, un ordine assoluto. Malgrado tutte le tendenze<br />
verso il monopolio e l’organizzazione, la libera competizione gioca ancora un ruolo<br />
decisivo. La nostra struttura sociale si definisce in termini di classe; ciò significa che<br />
non sono tanto i fatti oggettivi, quanto le forze irrazionali <strong>della</strong> lotta sociale a decidere<br />
il posto e la funzione dell’indivi duo nella società. Non altrimenti, il potere nella<br />
45
Storia del pensiero sociologico<br />
46<br />
vita <strong>della</strong> singola na zione e del mondo si consegue con la lotta, che è di per sé irrazionale<br />
e in cui il caso ha non poca importanza. Queste forze irrazionali costitui scono<br />
quella sfera <strong>della</strong> vita sociale che non è ancora organizzata e nella quale il comportamento,<br />
nel senso che s’è accennato, e la politica diven gono necessari. Le due principali<br />
sorgenti dell’irrazionalismo nella strut tura sociale (ovvero la lotta incontrollata<br />
e il predominio <strong>della</strong> forza) sono alla base <strong>della</strong> società tuttora disorganizzata, per<br />
cui la politica si rende indispensabile. Attorno a questi due centri, si accumulano quegli<br />
altri profondi elementi irrazionali che noi di solito chiamiamo emo zioni. Dal<br />
punto di vista sociologico, esiste senza dubbio una connessione tra la parte <strong>della</strong><br />
società ove prevalgono la lotta e la forza e l’integra zione sociale delle reazioni emozionali.<br />
Il problema deve allora essere formulato così: Quale conoscenza possediamo o è<br />
possibile ottenere di questa parte <strong>della</strong> vita sociale e del tipo di comportamento che<br />
in essa si presenta? Esso ci si presenta nella forma <strong>più</strong> facile per essere chiarito. Una<br />
volta determinato dove comincia il regno <strong>della</strong> politica e dove il comportamento (nel<br />
senso che s’è detto) diviene effettivo, noi siamo in grado di indicare quali siano le<br />
difficoltà che si frappongano allo studio dei rapporti tra la teoria e la pratica.<br />
❱❱ 12. Le istituzioni totali<br />
(Karl Mannheim, Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna 1957)<br />
Le organizzazioni sociali – o istituzioni nel senso comu ne del termine – sono luoghi,<br />
locali o insiemi di locali, e difici, costruzioni, dove si svolge con regolarità una certa<br />
attività. In <strong>sociologia</strong> non esiste un modo particolare di classificarle. Alcune istituzioni,<br />
come la stazione centrale, sono accessibili a chiunque si comporti in modo<br />
decente; altre, come l’Union Club di New York, o i laboratori di Los Alamos sembrano<br />
<strong>più</strong> esclusive e rigorose circa il li vello dei loro partecipanti; altre ancora, come<br />
negozi o uf fici postali, sono costituite da alcuni membri fissi che vi svolgono un<br />
certo servizio, e da un continuo fluire di per sone che lo richiedono. Altre, come case<br />
e fabbriche, coin volgono un gruppo meno fluttuante di partecipanti. In al cune istituzioni<br />
si svolgono attività dalle quali viene sanci ta la condizione sociale di coloro che<br />
ne fanno parte, il che può essere <strong>più</strong> o meno gradito. Altre invece consentono il raggrupparsi<br />
di persone allo scopo di svolgere un tipo di attività ricreative da loro scelte,<br />
sfruttando il tempo rima sto libero da attività impegnative. In questo saggio viene<br />
isolata e riconosciuta come naturale e ricca di possibilità di indagine, un’altra categoria<br />
di istituzioni, i cui membri sembrano avere tanti elementi in comune con quelli<br />
delle altre che, per studiarne una, risulterebbe utile esaminarle tutte.<br />
Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e <strong>degli</strong> interessi di coloro che da<br />
essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che<br />
tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azio ne inglobante. Nella nostra<br />
società occidentale ci sono tipi diversi di istituzioni, alcune delle quali agiscono con<br />
un potere inglobante – seppur discontinuo – <strong>più</strong> penetrante di altre. Questo carattere<br />
inglobante o totale è simbolizza to nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita<br />
ver so il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche<br />
dell’istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d’acqua, foreste o<br />
brughie re. Questo tipo di istituzioni io lo chiamo «istituzioni to tali» ed è appunto il<br />
loro carattere generale che intendo qui analizzare.
Storia del pensiero sociologico<br />
Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate – grosso modo<br />
– in cinque categorie. Primo, le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi<br />
(isti tuti per ciechi, vecchi, orfani o indigenti). Secondo, luoghi istituiti a tutela di<br />
coloro che, incapaci di badare a se stes si, rappresentano un pericolo – anche se non<br />
intenziona le – per la comunità (sanatori per tubercolotici, ospedali psichiatrici e lebbrosari).<br />
Il terzo tipo di istituzioni totali serve a proteggere la società da ciò che si<br />
rivela come un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere<br />
delle persone segregate non risulta la finalità immediata dell’istituzione che li segrega<br />
(prigioni, peni tenziari, campi per prigionieri di guerra, campi di concen tramento).<br />
Quarto, le istituzioni create al solo scopo di svolgervi una certa attività, che trovano<br />
la loro giustifica zione sul piano strumentale (furerie militari, navi, collegi, campi di<br />
lavoro, piantagioni coloniali e grandi fattorie, queste ultime guardate naturalmente<br />
dalla parte di coloro che vivono nello spazio riservato ai servi). Infine vi sono le organizzazioni<br />
definite come «staccate dal mondo» che pe rò hanno anche la funzione<br />
di servire come luoghi di prepa razione per religiosi (abbazie, monasteri, conventi ed<br />
altri tipi di chiostri). Una suddivisione delle istituzioni totali così formulata non è né<br />
chiara, né esauriente, né può ser vire di base per uno studio analitico dell’argomento.<br />
Essa risulta tuttavia capace di darci una definizione significati va <strong>della</strong> categoria, come<br />
punto di partenza concreto. […] Nessuno <strong>degli</strong> elementi che descriverò sembra tipicamente<br />
peculiare delle istitu zioni totali, né può essere condiviso da tutte. Ciò che è<br />
ti pico nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo grado, molti<br />
elementi in comune in questo ti po di caratteristiche. […] Uno <strong>degli</strong> assetti sociali<br />
fondamentali nella società mo derna è che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a<br />
lavo rare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse <strong>autori</strong>tà o senza alcuno<br />
schema razionale di carattere glo bale. Caratteristica principale delle istituzioni<br />
totali può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abi tualmente separano<br />
queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti <strong>della</strong> vita si svolgono nello stesso luogo<br />
e sotto la stessa, unica <strong>autori</strong>tà. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si<br />
svolge a stretto contatto di un enorme grup po di persone, trattate tutte allo stesso modo<br />
e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere<br />
sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall’una<br />
all’altra, dato che il complesso di attività è imposto dall’alto da un siste ma di regole<br />
formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per ultimo, le varie<br />
attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, apposita mente<br />
designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione.<br />
Queste caratteristiche possono essere riscontrate, isola tamente, anche in luoghi che<br />
non hanno niente a che fare con le istituzioni totali. Ad esempio, le nostre grandi<br />
organizza zioni commerciali, industriali e culturali vanno sempre <strong>più</strong> fornendo luoghi<br />
di ristoro e svaghi ricreativi per il tempo libero dei loro dipendenti. Tuttavia il fatto<br />
di poter gode re di una <strong>più</strong> vasta gamma di possibilità, conserva – sotto molti aspetti<br />
– un carattere volontario e ci si preoccupa, anzi, di non far estendere il potere usuale<br />
dell’<strong>autori</strong>tà fi no a questo territorio. Analogamente le «casalinghe» o le famiglie che<br />
vivono nelle fattorie di campagna possono svolgere le loro attività vitali <strong>più</strong> importanti<br />
all’interno di una medesima area recintata, senza tuttavia essere irreggi mentate<br />
collettivamente, dato che non svolgono loro attività giornaliere a stretto contatto di<br />
gruppi di persone nelle loro medesime condizioni.<br />
Il fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il do ver «manipolare» molti bisogni<br />
umani per mezzo dell’or ganizzazione burocratica di intere masse di persone – sia che<br />
47
Storia del pensiero sociologico<br />
48<br />
si tratti di un fatto necessario o di mezzi efficaci cui l’organizzazione sociale ricorre<br />
in particolari circostanze. Ne conseguono alcune importanti implicazioni.<br />
Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da un personale<br />
la cui principale attività non risulta la guida o il controllo periodico (come può<br />
es sere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore), quanto piuttosto un tipo di<br />
sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla che ciascun membro faccia ciò<br />
che gli è stato chiesto di fare, in una situazione dove si tenderà a puntualizzare l’infrazione<br />
dell’uno contrapponendola all’evidente zelo dell’altro che, per questo, verrà<br />
costante mente messo in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a precedere<br />
il costituirsi del piccolo staff con trollore o viceversa, non è questo il problema; ciò<br />
che con ta è che l’uno è fatto per l’altro.<br />
Nelle istituzioni totali c’è una distinzione fondamentale fra un grande gruppo di persone<br />
controllate, chiamate op portunamente «internati», e un piccolo staff che controlla.<br />
Gli internati vivono generalmente nell’istituzione con limitati contatti con il<br />
mondo da cui sono separati, men tre lo staff presta un servizio giornaliero di otto ore<br />
ed è socialmente integrato nel mondo esterno. Ogni gruppo tende a farsi un’immagine<br />
dell’altro secondo stereotipi li mitati e ostili: lo staff spesso giudica gli internati<br />
malevo li, diffidenti e non degni di fiducia; mentre gli internati ri tengono spesso che<br />
il personale sì conceda dall’alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo staff tende a<br />
sentirsi superiore e a pensare di aver sempre ragione; mentre gli in ternati, almeno in<br />
parte, tendono a ritenersi inferiori, de boli, degni di biasimo e colpevoli. (Nelle situazioni<br />
in cui si richiede allo staff di vivere nell’istituzione, è presumibile che esso<br />
avverta di essere sottoposto ad una particolare privazione, oltre al fatto di essere<br />
soggetto ad una condizione di dipendenza che supera ogni aspettativa).<br />
(Erving Goffman, Asylums, Einaudi, Torino 1969)<br />
❱❱ 13. Scientificizzazione <strong>della</strong> politica e opinione pubblica<br />
La scientificizzazione <strong>della</strong> politica oggi non denota ancora un dato di fatto, ma indica<br />
pur sempre una tendenza, a dimo strazione <strong>della</strong> quale si possono citare dei dati:<br />
sono soprattutto l’ampiezza <strong>della</strong> ricerca eseguita su ordinazione statale e l’am montare<br />
di consulenza scientifica nei servizi pubblici che segnano tale sviluppo. Veramente<br />
fin dall’inizio lo Stato moderno, for matosi in connessione con il traffico mercantile<br />
di economie na zionali e territoriali emergenti, a partire dai bisogni di un’amministrazione<br />
finanziaria centrale, dovette ricorrere alla competenza di funzionari con<br />
formazione giuridica. Questi però disponevano di un sapere tecnico, che nel suo<br />
genere non si distingue sostan zialmente dalla competenza, per esempio, dei militari.<br />
Come que sti dovevano organizzare gli eserciti permanenti, così i giuristi dovevano<br />
organizzare l’amministrazione permanente; il loro com pito consisteva <strong>più</strong> nell’esercizio<br />
di un’arte che nell’applica zione di una scienza. Soltanto a partire da una generazione<br />
circa, anzi, in grande stile solo a partire dalla seconda Guerra mon diale, burocrati,<br />
militari e politici si orientano nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche in<br />
base a rigorose raccomandazioni scien tifiche. Così viene raggiunto un nuovo livello<br />
di quella «razio nalizzazione», alla luce <strong>della</strong> quale Max Weber ha interpretato il<br />
formarsi del dominio burocratizzato <strong>degli</strong> Stati moderni. Non che gli scienziati abbiano<br />
conquistato il potere nello Stato, però l’esercizio del dominio all’interno e<br />
l’affermazione <strong>della</strong> potenza contro nemici esterni non sono <strong>più</strong> razionalizzati sol-
Storia del pensiero sociologico<br />
tanto con la mediazione di un’attività amministrativa organizzata sulla base <strong>della</strong><br />
divisione del lavoro, regolata secondo competenze e vinco lata a norme stabilite.<br />
Piuttosto essi sono stati ancora una volta modificati nella loro struttura dalla normatività<br />
oggettiva di nuove tecnologie e strategie. […]<br />
L’opinione pubblica esterna alla scienza diventa già molto spesso, in presenza di una<br />
divisione del lavoro molto spinta, la via <strong>più</strong> breve per la comprensione interna tra gli<br />
specialisti estraniati gli uni agli altri. Ma di que sta costrizione a tradurre informazioni<br />
scientifiche, che deriva da bisogni <strong>della</strong> ricerca stessa, profitta anche la comunicazione<br />
pre caria tra gli scienziati e il vasto pubblico dell’opinione politica.<br />
Un’ulteriore tendenza che agisce anch’essa contro la paralisi <strong>della</strong> comunicazione tra<br />
i due ambiti, risulta dalla necessità in ternazionale <strong>della</strong> coesistenza pacifica di sistemi<br />
sociali concor renti. Le regole di segretezza militari, che bloccano il libero af flusso di<br />
informazioni scientifiche al pubblico, si accordano sem pre meno infatti con le condizioni<br />
di un controllo <strong>degli</strong> arma menti che sta diventando sempre <strong>più</strong> urgente. […]<br />
Nella misura in cui le scienze vengono effettivamente utilizzate per la prassi politica,<br />
cresce oggettiva mente per gli scienziati la necessità di riflettere, ora andando an che<br />
oltre le raccomandazioni tecniche da essi prodotte, sulle con seguenze pratiche che ne<br />
derivano. Ciò si è verificato in grande stile per la prima volta nel caso <strong>degli</strong> scienziati<br />
atomici occupati alla costruzione delle bombe atomiche e nucleari.<br />
In seguito si sono svolte discussioni, in cui scienziati autore voli hanno discusso le<br />
conseguenze politiche <strong>della</strong> loro prassi di ricerca; così per esempio sui danni provocati<br />
dal fall-out radioattivo per la salute presente <strong>della</strong> popolazione e per la sostanza<br />
genetica del genere umano. Ma gli esempi sono scarsi. Tuttavia, essi mostrano che<br />
scienziati responsabili, indipendentemente dalla loro competenza specifica, spezzano<br />
i limiti <strong>della</strong> loro opinione pubblica interna alla scienza e si rivolgono direttamente<br />
all’opi nione pubblica, quando vogliono o evitare conseguenze pratiche connesse alla<br />
scelta di certe tecnologie, oppure criticare determi nati investimenti per la ricerca<br />
sulla base dei loro effetti sociali. […] Da un lato non possiamo <strong>più</strong> contare su istituzioni<br />
garantite per una discussione pubblica nel vasto pubblico dei cittadini; dall’altro,<br />
un sistema di big science, basato sulla divisione del lavoro, e un apparato burocratico<br />
di dominio possono fin troppo bene accordarsi reciproca mente avendo escluso<br />
l’opinione pubblica politica. L’alternativa che ci interessa non consiste affatto nel<br />
preordinare da una parte un gruppo dirigente che sfrutta efficacemente un potenziale<br />
di sapere essenziale per la sopravvivenza al di sopra di una popola zione manipolata<br />
dai mezzi di comunicazione di massa, e dall’al tra un altro gruppo dirigente che, essendo<br />
isolato dall’afflusso di informazioni scientifiche, non può fare in modo che il<br />
sapere tecnico entri, se non scarsamente, nel processo di formazione <strong>della</strong> volontà<br />
politica. Si tratta piuttosto di vedere se un capitale di sapere carico di conseguenze<br />
debba venire incanalato soltanto nella disposizione di uomini manipolanti tecnicamente,<br />
oppure anche recuperato nel linguaggio posseduto da uomini comuni canti.<br />
Una società scientificizzata potrebbe costituirsi come ca pace di sé solo nella misura<br />
in cui scienza e tecnica fossero me diate con la prassi sociale attraverso le teste <strong>degli</strong><br />
uomini.<br />
(Jurgen Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza,<br />
Bari 1974)<br />
49
Storia del pensiero sociologico<br />
50<br />
❱❱ 14. Sorvegliare e punire<br />
Damiens era stato condannato, era il 2 marzo 1757, a «fare confessione pubblica<br />
davanti alla porta principale <strong>della</strong> Chiesa di Parigi», dove doveva essere «condotto e<br />
posto dentro una carretta a due ruote, nudo, in camicia, tenendo una torcia di cera<br />
ardente del peso di due libbre»; poi «nella detta carretta, alla piazza di Grêve, e su un<br />
patibolo che ivi sarà innalzato, tanagliato alle mammelle, braccia, cosce e grasso<br />
delle gambe, la mano destra tenente in essa il coltello con cui ha commesso il detto<br />
parricidio bruciata con fuoco di zolfo e sui posti dove sarà tanagliato, sarà gettato<br />
piombo fuso, olio bollente, pece bollente, cera e zolfo fusi insieme e in seguito il suo<br />
corpo tirato e smembrato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo consumati<br />
dal fuoco, ridotti in cenere e le sue ceneri gettate al vento».<br />
«Alla fine venne squartato, – racconta la ‘Gazzetta di Amsterdam’. – Quest’ultima<br />
operazione fu molto lunga, perché i cavalli di cui ci si serviva non erano abituati a<br />
tirare; di modo che al posto di quattro, bisognò metterne sei; e ciò non bastando ancora,<br />
si fu obbligati, per smembrare le cosce del disgraziato a tagliargli i nervi e a<br />
troncargli le giunture con la scure […]<br />
Tre quarti di secolo <strong>più</strong> tardi, ecco il regolamento redatto da Léon Faucher «per la<br />
Casa dei giovani detenuti a Parigi».<br />
«ART. 17. La giornata dei detenuti comincerà alle sei del mattino d’inverno, alle<br />
cinque d’estate. Il lavoro durerà nove ore al giorno in ogni stagione. Due ore al giorno<br />
saranno consacrate all’insegnamento. Il lavoro e la giornata termineranno alle nove<br />
d’inverno, alle otto d’estate.<br />
ART. 18. Sveglia. Al primo rullo del tamburo, i detenuti devono alzarsi e vestirsi in silenzio,<br />
mentre il sorvegliante apre la porta delle celle. Al secondo rullo essi devono essere<br />
in piedi e fare il loro letto. Al terzo, essi si mettono in fila per andare alla cappella<br />
dove si fa la preghiera del mattino. Ci sono cinque minuti d’intervallo fra ciascun rullo.<br />
ART. 19. La preghiera è fatta dal cappellano e seguita da una lettura morale o religiosa.<br />
Questo esercizio non deve durare <strong>più</strong> di mezz’ora.<br />
ART. 20. Lavoro. Alle sei meno un quarto d’estate, alle sette meno un quarto d’inverno,<br />
i detenuti scendono in cortile dove devono lavarsi le mani e la faccia e ricevere la<br />
prima distribuzione di pane. Immediatamente dopo si raggruppano secondo i laboratori<br />
e si recano al lavoro, che deve cominciare alle sei d’estate e alle sette d’inverno.<br />
ART. 21. Pasto. Alle dieci i detenuti lasciano il lavoro e si recano in refettorio; si<br />
lavano le mani nei cortili e si raggruppano per squadra. Dopo la colazione, ricreazione<br />
fino alle undici meno venti.<br />
ART. 22. Scuola. Alle undici meno venti, al rullo del tamburo, si formano le file, e si<br />
entra in scuola per squadre. L’insegnamento dura due ore, impiegate alternativamente<br />
nella lettura, nella scrittura, nel disegno lineare, nel calcolo.<br />
ART. 23. Alla una meno venti, i detenuti lasciano la scuola per squadre, e si recano<br />
nelle loro corti per la ricreazione. Alla una meno cinque, al rullo del tamburo, si riuniscono<br />
secondo i laboratori.<br />
ART. 24. Alla una i detenuti devono essere di nuovo nei laboratori: il lavoro dura fino<br />
alle quattro.<br />
ART. 25. Alle quattro si lasciano i laboratori per recarsi nei cortili dove i detenuti si<br />
lavano le mani e si riuniscono per squadre per il refettorio.<br />
ART. 26. Il pranzo e la ricreazione che segue durano fino alle cinque: in questo momento<br />
i detenuti rientrano nei laboratori.
Storia del pensiero sociologico<br />
ART. 27. Alle sette d’estate e alle otto d’inverno, il lavoro finisce; si fa un’ultima<br />
distribuzione di pane nei laboratori. Una lettura di un quarto d’ora avente per oggetto<br />
nozioni istruttive o qualche tratto commovente è fatta da un detenuto o da un<br />
sorvegliante e seguita dalla preghiera <strong>della</strong> sera.<br />
ART. 28. Alle sette e mezzo d’estate e alle otto e mezzo d’inverno, i detenuti devono<br />
essere riportati nelle loro celle, dopo il lavaggio delle mani e l’ispezione dei vestiti<br />
fatta nei cortili; al primo rullo del tamburo, svestirsi, al secondo mettersi a letto. Si<br />
chiudono le porte delle celle ed i sorveglianti fanno la ronda nei corridoi, per assicurarsi<br />
dell’ordine e del silenzio».<br />
Ecco dunque un supplizio e un impiego del tempo. Non sanzionano gli stessi crimini,<br />
non puniscono lo stesso genere di delinquenti. Ma ciascuno definisce bene un certo<br />
stile penale. Meno di un secolo li separa. È l’epoca in cui tutta l’economia del castigo<br />
viene ridistribuita, in Europa e negli Stati Uniti. Epoca di grandi «scandali» per la<br />
giustizia tradizionale, epoca di innumerevoli progetti di riforme; nuova teoria <strong>della</strong><br />
legge e del crimine, nuova giustificazione morale o politica del diritto di punire;<br />
abolizione delle antiche ordinanze, scomparsa del diritto consuetudinario; progetto o<br />
redazione di codici «moderni»: Russia, 1769; Prussia, 1780; Pennsylvania e Toscana,<br />
1786; Austria, 1788; Francia, 1791, anno Quarto, 1808 e 1810. Una nuova era, per la<br />
giustizia penale.<br />
Fra tante modificazioni, ne coglierò una: la sparizione dei supplizi. Oggi siamo un<br />
po’ portati a trascurarla: forse ai suoi tempi aveva dato luogo a troppa retorica; forse<br />
era stata, troppo facilmente e con troppa enfasi, attribuita ad una «umanizzazione»<br />
che <strong>autori</strong>zzava a non esaminarla. E, in ogni modo, quale è la sua importanza se la<br />
paragoniamo alle grandi trasformazioni istituzionali, coi loro codici espliciti e generali,<br />
le loro regole di procedura unificate; la giuria adottata quasi ovunque, la definizione<br />
del carattere essenzialmente correttivo <strong>della</strong> pena, e la tendenza, che non cessa<br />
di accentuarsi a partire dal secolo Diciannovesimo, ad adattare i castighi ai colpevoli?<br />
Punizioni meno immediatamente fisiche, una certa discrezione nell’arte di far<br />
soffrire, un gioco di dolori <strong>più</strong> sottili, <strong>più</strong> felpati, spogliati del loro fasto visibile,<br />
merita tutto questo un’attenzione particolare, quando senza dubbio non è niente di<br />
<strong>più</strong> che l’effetto di rivolgimenti <strong>più</strong> profondi? Tuttavia un fatto esiste: in pochi decenni<br />
il corpo suppliziato, squartato, amputato, simbolicamente marchiato sul viso o<br />
sulla spalla, esposto vivo o morto, dato in spettacolo, è scomparso. È scomparso il<br />
corpo come principale bersaglio <strong>della</strong> repressione penale. […]<br />
L’eliminazione del supplizio è una tendenza che si radica nella grande trasformazione<br />
<strong>degli</strong> anni 1760-1840, ma non giunge a compimento: possiamo dire che la pratica del<br />
supplizio ha ossessionato a lungo il nostro sistema penale e vi è tuttora presente. La<br />
ghigliottina, questa macchina di morte rapida e precisa, aveva iniziato in Francia una<br />
nuova etica <strong>della</strong> morte legale. Ma la Rivoluzione l’aveva subito rivestita di un grandioso<br />
rituale scenografico. Per anni fece spettacolo. È stato necessario spostarla fino<br />
alla barriera di Saint-Jacques, sostituire la carretta scoperta con una vettura chiusa, far<br />
passare rapidamente il condannato dal furgone al palco, organizzare le esecuzioni ad<br />
ore impossibili, e, da ultimo, sistemare la ghigliottina entro la cinta delle prigioni e<br />
renderla inaccessibile al pubblico (dopo la esecuzione capitale di Weidmann, nel 1939),<br />
sbarrare le strade che danno accesso alla prigione dove è nascosto il patibolo e dove<br />
l’esecuzione si svolge in segreto (esecuzione di Buffet e di Bontemps alla Santé, nel<br />
1972), processare i testimoni che raccontano la scena, perché l’esecuzione non sia <strong>più</strong><br />
uno spettacolo e rimanga uno strano segreto tra la giustizia e il suo condannato. Basta<br />
51
Storia del pensiero sociologico<br />
52<br />
evocare tutte queste precauzioni per comprendere come la morte penale resti ancora<br />
oggi, nella sua essenza, uno spettacolo che bisogna, giustamente, vietare.<br />
Quanto alla presa sul corpo, anch’essa, alla metà del secolo Diciannovesimo, non era<br />
stata del tutto eliminata. Senza dubbio la pena non è <strong>più</strong> centrata sul supplizio come<br />
tecnica per far soffrire, e ha preso come oggetto principale la perdita di un bene o di<br />
un diritto, ma un castigo come i lavori forzati o perfino come la prigione – pura privazione<br />
<strong>della</strong> libertà – non ha mai funzionato senza un certo supplemento di punizione<br />
che concerne proprio il corpo in se stesso: razionamento alimentare, privazione<br />
sessuale, percosse, celle di isolamento.<br />
Conseguenza non voluta, ma inevitabile, <strong>della</strong> carcerazione? In effetti la prigione, nei<br />
suoi dispositivi <strong>più</strong> espliciti, ha sempre comportato, in una certa misura, la sofferenza<br />
fisica. La critica spesso rivolta, nella prima metà del secolo Diciannovesimo, al<br />
sistema carcerario (la prigione non è sufficientemente punitiva: i detenuti hanno meno<br />
freddo, meno fame, minori privazioni, nel complesso, di molti poveri e perfino di<br />
molti operai) indica un postulato che non è mai stato chiaramente abbandonato: è<br />
giusto che un condannato soffra fisicamente <strong>più</strong> <strong>degli</strong> altri uomini. La pena ha difficoltà<br />
a dissociarsi da un supplemento di dolore fisico. Cosa sarebbe, un castigo incorporeo?<br />
Nei meccanismi moderni <strong>della</strong> giustizia penale, permane quindi un fondo «suppliziante»,<br />
un sottofondo non ancora completamente dominato, ma avvolto, in maniera<br />
sempre <strong>più</strong> ampia, da una penalità dell’incorporeo. L’attenuarsi <strong>della</strong> severità penale<br />
nel corso <strong>degli</strong> ultimi secoli è fenomeno ben noto agli storici del diritto. Ma, a lungo,<br />
è stato considerato in maniera globale, come un fenomeno quantitativo; meno crudeltà,<br />
meno sofferenza, maggior dolcezza, maggior rispetto, maggiore «umanità». In<br />
effetti queste modificazioni sono accompagnate da uno spostamento nell’oggetto<br />
stesso dell’operazione punitiva. Diminuzione d’intensità? Forse. Sicuramente, un<br />
cambiamento di obiettivo. […]<br />
❱❱ 15. il disagio <strong>della</strong> postmodernità<br />
(Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976)<br />
Nel 1929 comparve a Vienna Das Unbehagen in der Kultur, un saggio che inizialmente<br />
doveva essere intitolato Das Unglúck in der Kultur. Il suo autore era Sigmund<br />
Freud. In italiano l’opera è nota come Il disagio <strong>della</strong> civiltà. La stimolante e provocante<br />
lettura freudiana delle pratiche <strong>della</strong> modernità entrò nella co scienza collettiva<br />
e finì per strutturare profondamente il modo di valutare le conseguenze (intenzionali<br />
e non) dell’avventura moderna. [...]<br />
Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: questo<br />
era il messaggio di Freud. Come «cultura» o «civiltà», la modernità ha a che fare con<br />
la bellezza («questa cosa inutile che ci aspettiamo la civiltà stimi»), la pulizia («ogni<br />
genere di sporcizia ci sembra incompatibile con la civiltà») e l’ordine («ordine è una<br />
specie di coazione a ripetere che decide, grazie ad una norma stabilita una volta per<br />
tutte, quando, dove e come una cosa debba essere fatta, in modo da evitare esitazione<br />
e indugio in tutti i casi simili tra loro»). La bellezza (cioè tutto ciò che produce il<br />
piacere sublime dell’armonia e la perfezione <strong>della</strong> forma), la pulizia e l’ordine sono<br />
acqui sizioni non trascurabili a cui certamente non si rinuncia senza dispiacere, dolore,<br />
o rimorso. Ma neppure si possono ottenere senza pagare un prezzo elevato. Gli
Storia del pensiero sociologico<br />
esseri umani non hanno alcuna predisposizione «naturale» a ri cercare e preservare la<br />
bellezza, a fare le pulizie e ad osservare la routine dell’ordine. (Anche se in qualche<br />
oc casione sembrano mostrare un tale «impulso», si tratta sempre di una inclinazione<br />
inventata, acquisita e coltivata, il segno <strong>più</strong> evidente di un processo di incivilimento<br />
in atto.) Gli uomini devono essere costretti a rispettare e ad apprezzare l’armonia, la<br />
pulizia e l’ordine. La loro libertà di agire sulla base di impulsi deve essere limitata e<br />
sotto posta a restrizioni. I vincoli imposti sono dolorosi: offrono protezione alla sofferenza<br />
ma generano ulteriore tormento.<br />
«La civiltà è costruita su una restrizione delle pulsioni». In particolare, la civiltà<br />
(leggi modernità), «impone grandi sacrifici» alla sessualità e all’aggressività dell’uomo.<br />
«Il desiderio di libertà, perciò, si volge o contro forme e pretese particolari <strong>della</strong><br />
civiltà, o contro la civiltà tutta». E non può essere altrimenti. La vita civile, così dice<br />
Freud, propone in una unica soluzione, piaceri e sofferenze, soddisfazione e disagio,<br />
obbedienza e ribellione. La civiltà – l’ordine impo sto sul disordine naturale dell’umanità<br />
– è un compromes so, un contratto continuamente messo in discussione e da rinegoziare.<br />
Il principio di piacere è in questo caso ridotto in funzione del principio di<br />
realtà, mentre le norme definiscono chiaramente ciò che si deve intendere per «realtà».<br />
«L’uomo civile ha scambiato una parte delle sue possibilità di felicità per un po’<br />
di sicurezza». Per quanto realistici e plausibili possano essere i nostri tentativi di<br />
agire miglio rando le imperfezioni delle condizioni attuali, «forse è bene abituarsi a<br />
pensare che ci sono alcune difficoltà intrinseche alla natura <strong>della</strong> civiltà in grado di<br />
resistere a qualsiasi tentativo di intervento».<br />
Freud parlava dell’ordine, orgoglio <strong>della</strong> modernità e punto di partenza di ogni altra<br />
sua realizzazione (sia che si manifestasse sotto la stessa dimensione dell’ordine o si<br />
ce lasse sotto le categorie <strong>della</strong> bellezza e <strong>della</strong> pulizia), in termini di «coazione»,<br />
«regolazione», «soppressione» o «ri nuncia forzata». Il disagio, profondamente intrecciato<br />
alla modernità, nasceva da un «eccesso di ordine» e dalla sua inseparabile<br />
compagna: la morte <strong>della</strong> libertà. Esposta alla triplice minaccia <strong>della</strong> caducità del<br />
corpo, dell’incontrol labilità <strong>della</strong> natura selvaggia, e dell’aggressività del prossi mo,<br />
la condizione di sicurezza richiedeva il sacrificio <strong>della</strong> libertà: prima di tutto, <strong>della</strong><br />
libertà individuale di procurar si il piacere. Nella cornice di una civiltà ripiegata sulla<br />
sicurezza, maggiore libertà significava minore frustrazione. In una civiltà che sceglie<br />
di limitare la libertà in nome <strong>della</strong> sicurezza, l’incremento dell’ordine implica la<br />
crescita <strong>della</strong> frustrazione.<br />
Il nostro, però, è un tempo di deregulation. Il principio di realtà è chiamato a difendersi,<br />
oggi, di fronte ad un tribunale in cui il principio di piacere è il giudice che<br />
presiede la corte. «L’idea che ci siano difficoltà intrinseche alla natura <strong>della</strong> civilizzazione<br />
che resistono a qualsiasi tentati vo di intervento» sembra aver perduto la sua<br />
originaria inequivocabile evidenza. La coazione e la rinuncia forzata che un tempo<br />
erano irritanti necessità, combattono oggi la loro battaglia contro la libertà individuale<br />
senza avere ga ranzie di successo.<br />
Settant’anni dopo la stesura de Il disagio <strong>della</strong> civiltà, la libertà individuale regna<br />
sovrana; è il valore in base al quale ogni altro valore deve essere valutato e la misura<br />
con cui la saggezza di ogni norma e decisione sovra-individuale va confrontata. Ciò<br />
non significa, però, che gli ideali di bellez za, pulizia e ordine, che avevano accompagnato<br />
gli uomini e le donne nel loro viaggio dentro la modernità, siano stati abbandonati<br />
o che abbiano perso il loro lustro originale. Al contrario, essi oggi devono<br />
essere perseguiti – e realizzati – attraverso sforzi, percorsi e volontà individuali.<br />
53
Storia del pensiero sociologico<br />
54<br />
Nella sua attuale versione postmoderna, la modernità sembra avere trovato la pietra<br />
filosofale che Freud aveva congedato come fantasia ingenua e dannosa: essa si propone<br />
di fondere il prezioso metallo di un «ordine puro» e di una «pulizia meticolosa»<br />
estraendo direttamente la materia prima dalla umana (troppo umana) ricerca di piaceri,<br />
sempre <strong>più</strong> nume rosi e sempre <strong>più</strong> appaganti – una ricerca che un tempo era del<br />
tutto screditata e condannata come autodistruttiva. La«mano invisibile», uscita indenne,<br />
forse perfino rinvigorita, da due secoli di tentativi diretti a rinchiuderla nel<br />
guanto d’acciaio delle regole e del controllo razionali, ha rigua dagnato fiducia e<br />
successo. La libertà individuale, un tempo un peso e un problema (forse il problema)<br />
per tutti i costruttori dell’ordine, è diventata il vantaggio e la risorsa maggiore nel<br />
continuo processo di autocreazione dell’universo umano.<br />
Nello scambio, qualcosa si guadagna e qualcosa va irrimediabilmente perduto: la<br />
vecchia regola rimane vera oggi come un tempo. Solo che i guadagni e le perdite<br />
hanno invertito le loro posizioni: gli uomini e le donne postmoderni scambiano una<br />
parte delle loro possibilità di sicurezza per un po’ di felicità. II disagio <strong>della</strong> modernità<br />
nasceva da un tipo di sicurezza che assegnava alla libertà un ruolo troppo limi tato<br />
nella ricerca <strong>della</strong> felicità individuale. Il disagio <strong>della</strong> postmodernità nasce da un<br />
genere di libertà nella ricerca del piacere che assegna uno spazio troppo limitato alla<br />
sicurezza individuale.<br />
Ogni valore acquista rilevanza (come Georg Simmel osservava molto tempo fa) nella<br />
misura in cui, per poterlo ottenere, si devono abbandonare e sacrificare altri valori.<br />
D’altra parte, quanto meno un valore è disponibile e tanto <strong>più</strong> si fa intenso il suo<br />
bisogno. Il valore <strong>della</strong> libertà eserci ta il fascino maggiore quando deve essere sacrificata<br />
sull’al tare <strong>della</strong> sicurezza. Quando è la sicurezza a dover essere sacrificata nel<br />
tempio <strong>della</strong> libertà individuale, essa assorbe tutto lo splendore <strong>della</strong> sua precedente<br />
vittima. Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguo no la<br />
sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà. In entrambi<br />
i casi, la felicità va perduta. Ascoltiamo di nuovo Freud: «Noi siamo fatti in<br />
tal modo da essere in grado di ricavare un piacere intenso solo dal contrasto e molto<br />
poco dal normale stato delle cose». Perché? Perché «ciò che chiamiamo felicità [...]<br />
deriva dalla soddisfazione (di solito improvvisa) di bisogni che sono stati accuratamente<br />
repressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico». In<br />
questo modo, una condizione di libertà senza sicurezza non assicura una quan tità di<br />
felicità maggiore rispetto ad una sicurezza senza libertà. Un mutamento nella configurazione<br />
delle faccende umane non rappresenta sempre un passo avanti verso uno<br />
stato di felicità <strong>più</strong> intensa, anche se può sembrare tale nel momento in cui si compie.<br />
La rivalutazione di tutti i valori è un momento felice ed esaltante, ma i valori rivalutati<br />
non garantiscono necessariamente uno stato di beatitudine.<br />
Non ci sono guadagni senza perdite, ed è inutile sperare in una loro prodigiosa separazione:<br />
anzi, i guadagni e le perdite specifici di ogni accordo di convivenza umana<br />
vanno accuratamente conteggiati in modo da poter cercare l’equilibrio ottimale tra i<br />
due; anche se (o, piuttosto, poi ché) la sobrietà e la saggezza faticosamente acquisite<br />
pre servano noi, uomini e donne postmoderni, dall’abbando narci al sogno ad occhi<br />
aperti di un resoconto in cui compaia solo il consuntivo dei nostri crediti.<br />
L’ultima parola spetta alla libertà. Ogni gioco prevede vincitori e perdenti. Nel gioco<br />
<strong>della</strong> libertà, però, la differenza tra le due categorie tende ad essere sfumata, se non del<br />
tutto cancellata. Chi ha perso si consola con la speranza di vincere la prossima volta,<br />
mentre la gioia del vincitore è offuscata dal presentimento <strong>della</strong> perdita. Per entrambi,
Storia del pensiero sociologico<br />
la libertà significa che nulla è stabi lito in modo permanente e che la ruota <strong>della</strong> fortuna<br />
può ancora girare. I capricci <strong>della</strong> sorte rendono incerta la con dizione di entrambi. Ma<br />
l’incertezza è portatrice di messag gi differenti: ai perdenti dice che non tutto è ancora<br />
perdu to, mentre ai vincenti sussurra che ogni trionfo tende ad essere precario. Nel<br />
gioco <strong>della</strong> libertà, il perdente si ferma prima <strong>della</strong> disperazione e il vincitore si ferma<br />
prima di raggiungere l’assoluta certezza dei propri mezzi. Entrambi scommettono<br />
sulla libertà ed entrambi hanno motivo di lamentarsi. Nessuno accetterebbe chiaramente<br />
restrizioni alla libertà, ma nessuno è totalmente sordo al fascino <strong>della</strong> certezza, che<br />
in realtà si propone di curare i mali <strong>della</strong> libertà uccidendo il paziente.<br />
❱❱ 16. La fotografia<br />
(Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999)<br />
Si potrebbe dire <strong>della</strong> fotografia ciò che Hegel (Lineamenti di filosofia del diritto)<br />
diceva <strong>della</strong> filosofia: «Nessun’altra arte, nessun’altra scienza è esposta a così supremo<br />
disprezzo che chiunque presume di possederla d’un tratto». A differenza di attività<br />
culturali <strong>più</strong> esigenti, come il disegno, la pittura o la pratica di uno strumento<br />
musicale, a differenza perfino dalla frequenza ai musei o dall’ascolto ai concerti, la<br />
fotografia non presuppone né la cultura trasmessa dalla Scuola, né il tirocinio e il<br />
«mestiere» che conferiscono pregio ai consumi e alle pra tiche culturali comunemente<br />
ritenute <strong>più</strong> nobili, escluden done i non iniziati.<br />
Niente si oppone <strong>più</strong> direttamente all’immagine comune <strong>della</strong> creazione artistica come<br />
l’attività del fotografo ama tore; che spesso chiede all’apparecchio di compiere al suo<br />
posto il maggior numero possibile di operazioni, identifi cando il grado di perfezione<br />
<strong>della</strong> macchina che utilizza con il suo grado di automatismo. Tuttavia, sebbene la<br />
produ zione dell’immagine sia interamente devoluta all’automati smo dell’apparecchio,<br />
l’inquadratura rimane una scelta che impegna valori estetici ed etici: se, astrattamente,<br />
la natura e i progressi <strong>della</strong> tecnica fotografica tendono a rendere ogni cosa oggettivamente<br />
«fotografabile», ciò non toglie che di fatto, nell’infinità teorica delle fotografie<br />
tecnicamente pos sibili, ogni gruppo selezioni una gamma precisa e definita di<br />
soggetti, di generi e di composizioni. «L’artista – dice Nietzsche (La gaia scienza)<br />
– sceglie i suoi soggetti: è il suo modo di lodare». Poiché è una «scelta che loda»,<br />
poiché rappresenta l’inten zione di fissare, cioè solennizzare ed eternizzare, la fotografia<br />
non può essere esposta ai rischi <strong>della</strong> fantasia individuale e pertanto, con la<br />
mediazione dell’ethos, interiorizzazione delle regolarità oggettive e comuni, il . gruppo<br />
subordina questa pratica alla regola collettiva, in modo tale che la minima fotografia<br />
esprime, oltre le intenzioni esplicite di chi l’ha fatta, il sistema <strong>degli</strong> schemi<br />
percettivi, di pensiero e di valutazione comune a tutto un gruppo.<br />
In altri termini, l’area di tutto ciò che si propone a una determinata classe sociale<br />
come realmente fotografabile (cioè, il contingente di fotografie «fattibili» o «da fare»,<br />
in opposizione all’universo delle realtà oggettivamente foto grafabili, date le possibilità<br />
tecniche dell’apparecchio), ri sulta tracciata da modelli impliciti che si lasciano<br />
cogliere attraverso la pratica <strong>della</strong> fotografia e il suo prodotto, poi ché essi determinano<br />
oggettivamente il senso che un gruppo conferisce all’atto del fotografare come<br />
promozione ontolo gica di un oggetto percepito in oggetto degno di essere fotografato,<br />
cioè fissato, conservato, comunicato, esibito e ammirato. Le norme che organizzano<br />
la cattura fotografica del mondo secondo l’opposizione tra il fotografabile e il<br />
55
Storia del pensiero sociologico<br />
56<br />
non fotografabile, sono indissociabili dal sistema di valori impliciti propri di una<br />
classe, una professione o una scuola artistica, e di cui l’estetica fotografica costituisce<br />
sempre un aspetto malgrado la sua disperata protesta d’autonomia. Capire adeguatamente<br />
una fotografia, abbia essa per autore un contadino corso, un piccolo borghese<br />
di Bologna o un professionista parigino, non significa soltanto cogliere i significati<br />
che proclama, cioè in una certa misura le intenzioni esplicite dell’autore, ma soprattutto<br />
decifrare il sovrap<strong>più</strong> di significato che tradisce in quanto partecipe del simbolismo<br />
di un’epoca, d’una classe o d’un gruppo artistico. Considerato che, a differenza<br />
delle attività artistiche pienamente consacrate, come la pittura o la musica, la pratica<br />
<strong>della</strong> fotografia è ritenuta accessibile a tutti, dal punto di vista tecnico come da quello<br />
economico, e chi vi si dedica non si sente affatto legato a un sistema di norme<br />
esplicite e codificate che definiscano la pratica legittima nel suo og getto, le sue occasioni<br />
e la sua modalità, l’analisi del signi ficato soggettivo o oggettivo che i soggetti<br />
conferiscono alla. fotografia come pratica o come opera culturale, appare un mezzo<br />
privilegiato per cogliere nella loro espressione <strong>più</strong> autentica le estetiche (e le etiche)<br />
proprie ai differenti gruppi o classi e in particolare «l’estetica popolare» che vi si può<br />
eccezionalmente manifestare.<br />
In effetti, quando tutto farebbe credere che questa atti vità senza tradizioni e senza<br />
esigenze sia abbandonata all’anarchia dell’improvvisazione individuale, risulta invece<br />
che niente è <strong>più</strong> regolato e convenzionale <strong>della</strong> pratica <strong>della</strong> fotografia e delle fotografie<br />
d’amatore: le occasioni di foto grafare, come pure gli oggetti, i luoghi e i<br />
personaggi foto grafati o la composizione stessa delle immagini, tutto sem bra obbedire<br />
a norme implicite che s’impongono senza ecce zione e che gli amatori accorti o gli<br />
esteti riconoscono come tali, ma solo per denunciarle come difetti di gusto o impe rizia<br />
tecnica. […] Riconosciuta la fotografia come oggetto di studio sociolo gico, bisognava<br />
innanzitutto stabilire in che modo ogni gruppo o classe regoli e organizzi la pratica<br />
individuale, conferendole funzioni conformi ai propri interessi; non si potevano tuttavia<br />
assumere direttamente a oggetto gli indi vidui singoli e i rapporti che essi intrattengono<br />
con la foto grafia come pratica o come oggetto di consumo, senza rischiare di<br />
cadere nell’astrazione. Solo la decisione meto dologica di studiare in primo luogo i<br />
gruppi reali doveva poi far comprendere (o impedire di dimenticare) che il significato<br />
e la funzione conferiti alla fotografia sono diret tamente connessi alla struttura del<br />
gruppo, alla sua mag giore o minore differenziazione e soprattutto alla sua posi zione<br />
nella struttura sociale. Così, il rapporto che il contadino ha con la fotografia non è in<br />
ultima analisi altro che un aspetto del rapporto che egli intrattiene con la vita urbana,<br />
identificata con la vita moderna. […] Allo stesso modo che il contadino, respin gendo<br />
la pratica <strong>della</strong> fotografia esprime il suo rapporto con il sistema di vita urbano, rapporto<br />
entro e attraverso il quale egli sperimenta la particolarità <strong>della</strong> sua condizione,<br />
così il significato che i piccolo-borghesi conferiscono alla pratica <strong>della</strong> fotografia<br />
traduce o tradisce la relazione delle classi medie con la cultura, cioè con le classi superiori<br />
déten trici del privilegio delle pratiche culturali ritenute <strong>più</strong> no bili, e con le<br />
classi popolari da cui a tutti i costi cercano di distinguersi, manifestando nelle pratiche<br />
che sono loro accessibili la maggiore buona volontà culturale. Per questa ragione i<br />
membri dei fotoclub credono di nobilitarsi cultu ralmente tentando di nobilitare la<br />
fotografia, surrogato a loro misura e a loro portata delle arti nobili, e insieme di ritrovare<br />
nella disciplina del gruppo quel corpo di regole tecniche ed estetiche di cui si<br />
sono privati respingendo come volgari quelle che reggono la pratica popolare. Il rapporto<br />
esistente fra gli individui e la pratica <strong>della</strong> fotografia è per sua natura mediato,
Storia del pensiero sociologico<br />
poiché comporta sempre il riferimento al rapporto che i membri delle altre classi intrattengono<br />
con la fotografia, e da lì a tutta la struttura dei rapporti fra le classi.<br />
Cercare di superare le astrazioni di un oggettivismo falsa mente rigoroso al prezzo di<br />
uno sforzo per ristabilire i sistemi di relazioni adombrati dietro le totalità precostruite,<br />
significa tutt’altro che cedere alle seduzioni dell’intuizioni smo il quale, risvegliando<br />
le abbaglianti evidenze <strong>della</strong> falsa familiarità, non fa che trasfigurare, nel caso<br />
particolare, le banalità quotidiane sulla temporalità, l’erotismo, la morte in presunte<br />
analisi essenziali. Dal momento che la fotografia si presta poco, almeno in apparenza,<br />
a uno studio specifi camente sociologico, essa fornisce la sospirata occasione di sperimentare<br />
che il sociologo, dedito a decifrare ciò che è sempre soltanto senso comune,<br />
può occuparsi dell’immagine senza diventare visionario. Che cosa rispondere, a<br />
quelli che si aspettano che la <strong>sociologia</strong> procuri loro delle «vi sioni», se non, con le<br />
parole di Max Weber, «che vadano al cinema»?<br />
❱❱ 17. La società dello spettacolo<br />
(Pierre Bourdieu, La fotografia. Guaraldi, Rimini 1972)<br />
E senza dubbio il nostro tempo... preferisce l’im magine alla cosa, la copia all’originale,<br />
la rappre sentazione alla realtà, l’apparenza all’essere... Ciò che per esso è sacro<br />
non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità. Anzi il sacro s’ingiganti sce ai<br />
suoi occhi via via che diminuisce la verità e l’illusione aumenta, cosicché il colmo<br />
dell’illusio ne è anche per esso il colmo del sacro.<br />
(Feuerbach, Prefazione alla seconda edizione de L’Essenza del cristianesimo)<br />
1. Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione<br />
si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era<br />
direttamente vissuto si è allontanato in una rappre sentazione.<br />
2. Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto <strong>della</strong> vita si fondono in un<br />
corso comune, in cui l’unità di questa vita non può <strong>più</strong> essere ristabilita. La realtà<br />
considerata parzialmente si afferma nella sua propria unità generale in quanto pseudomondo<br />
a parte, oggetto <strong>della</strong> sola contemplazione. La specializzazione delle im magini<br />
del mondo si ritrova, compiuta, nel mondo autonomizzato dell’immagine, in cui il<br />
menzognero ha mentito a se stesso. Lo spettacolo in generale, come in versione concreta<br />
<strong>della</strong> vita, è il movimento autonomo del non-vivente.<br />
3. Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come una parte<br />
<strong>della</strong> società, e come stru mento di unificazione. In quanto parte <strong>della</strong> società, esso<br />
è espressamente il settore che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto<br />
stesso che questo settore è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il cen tro<br />
<strong>della</strong> falsa coscienza; e l’unificazione che esso com pie non è altro che un linguaggio<br />
ufficiale <strong>della</strong> separa zione generalizzata.<br />
4. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui,<br />
mediato dalle immagini.<br />
5. Lo spettacolo non può essere compreso come un abu so del mondo visivo, prodotto<br />
delle tecniche di diffu sione massiva delle immagini. Esso è invece una Weltanschauung<br />
divenuta effettiva, tradotta materialmen te. È una visione del mondo che si<br />
è oggettivata.<br />
57
Storia del pensiero sociologico<br />
58<br />
6. Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stes so tempo il risultato e il<br />
progetto del modo di produ zione esistente. Non è un supplemento del mondo rea le,<br />
la sua decorazione sovrapposta. È il cuore dell’ir realismo <strong>della</strong> società reale. In tutte<br />
le sue forme parti colari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto di<br />
distrazioni, lo spettacolo costitui sce il modello presente <strong>della</strong> vita socialmente<br />
dominan te. Esso è l’affermazione onnipresente <strong>della</strong> scelta già fatta nella produzione,<br />
e il suo consumo conseguente.<br />
Forma e contenuto dello spettacolo sono entrambe l’i dentica giustificazione totale<br />
delle condizioni e dei fini del sistema esistente. Lo spettacolo è anche la presenza<br />
permanente di questa giustificazione, in quanto occu pazione <strong>della</strong> parte principale<br />
del tempo vissuto al di fuori <strong>della</strong> produzione moderna.<br />
7. La separazione fa essa stessa parte dell’unità del mon do, <strong>della</strong> prassi sociale globale<br />
che si è scissa in realtà e in immagine. La pratica sociale, di fronte alla quale si<br />
pone lo spettacolo autonomo, è anche la totalità rea le che contiene lo spettacolo. Ma<br />
la scissione che è in questa totalità la mutila al punto da far apparire lo spettacolo come<br />
il suo scopo. Il linguaggio dello spettacolo è costituito da dei segni <strong>della</strong> produzione<br />
imperante, che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione.<br />
8. Non si può opporre astrattamente lo spettacolo e l’at tività sociale effettiva; questo<br />
sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente<br />
prodotto. Nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla<br />
contemplazione dello spet tacolo, e riproduce in se stessa l’ordine spettacolare portandogli<br />
un’adesione positiva. La realtà oggettiva è pre sente da entrambi i lati. Ogni<br />
nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio nell’opposto: la realtà<br />
sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale. Que sta alienazione reciproca è l’essenza<br />
e il sostegno <strong>della</strong> società esistente.<br />
9. Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momen to del falso.<br />
10. Il concetto di spettacolo unifica e spiega una grande diversità di fenomeni apparenti.<br />
Le loro diversità e i loro contrasti sono le apparenze di questa apparenza organizzata<br />
socialmente, che deve essere essa stessa ricono sciuta nella sua verità generale.<br />
Considerato secondo i suoi propri termini, lo spettacolo è l’affermazione dell’apparenza<br />
e l’affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come mera apparenza. Ma<br />
la critica che rag giunge la verità dello spettacolo lo scopre come la ne gazione visibile<br />
<strong>della</strong> vita; come una negazione <strong>della</strong> vita che è divenuta visibile.<br />
11. Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue funzioni, e le forze che<br />
tendono alla sua dissoluzione, bisogna distinguere artificialmente <strong>degli</strong> elementi inseparabili.<br />
Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso<br />
dello spettacolare, in quan to si passa sul terreno metodologico di questa società che<br />
si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è nient’altro che il senso <strong>della</strong> pratica<br />
totale di una for mazione economico-sociale, il suo impiego del tempo. È il momento<br />
storico che ci contiene.<br />
12. Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso<br />
non dice niente di <strong>più</strong> di questo, che «ciò che appare è buono, ciò che è buo no appare».<br />
L’attitudine che esso esige per principio è questa accettazione passiva, che ha di fatto già<br />
ottenu to con il suo modo di apparire senza repliche, con il suo monopolio dell’apparenza.<br />
13. Il carattere fondamentalmente tautologico dello spet tacolo deriva dal semplice<br />
fatto che i suoi mezzi sono al tempo stesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta<br />
mai sull’impero <strong>della</strong> passività moderna. Esso copre l’intera superficie del<br />
mondo e si bagna indefini tamente alla propria gloria.
Storia del pensiero sociologico<br />
14. La società che riposa sull’industria moderna non è fortuitamente o superficialmente<br />
spettacolare, è fonda mentalmente spettacolista. Nello spettacolo, immagine<br />
dell’economia imperante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non<br />
vuole riuscire a nient’altro che a se stesso.<br />
15. In quanto indispensabile ornamentazione <strong>degli</strong> oggetti attualmente prodotti, in<br />
quanto esposizione generale del la razionalità del sistema, e in quanto settore economico<br />
avanzato che foggia direttamente una moltitudine cre scente di oggetti immagine,<br />
lo spettacolo è la principa le produzione <strong>della</strong> società attuale.<br />
(Guy Debord, La società dello spettacolo<br />
in Commentari sulla società dello spettacolo, SugarCo, Milano 1990)<br />
❱❱ 18. nonluoghi. introduzione a un’antropologia <strong>della</strong> surmodernità<br />
[Nota del Traduttore: Il termine surmodernité è stato tradotto sempre con «surmodernità»<br />
ricorrendo ad un uso raro, ma già esistente in italiano, in cui il sur francese<br />
non si traduce con l’equivalente italiano «sovra». Un esempio classico è costituito<br />
dai termini «surreali smo» e «surrenale».<br />
[…] La ragione per la quale in italiano il termine non-lieux risulta «nonluoghi», senza<br />
il trattino, è che nella lingua italia na, al contrario di quella francese, verso le parole<br />
composte si nutre una certa resistenza semantica e di assimilazione nel lin guaggio.]<br />
Prima di prendere l’auto, Pierre Dupont [Come dire il signor Qualunque – N.d.T.]<br />
ritira del danaro al bancomat. L’apparecchio accetta la carta di credito <strong>autori</strong>zzandolo<br />
a ritirare milleotto cento franchi. Pierre Dupont schiaccia il pulsante 1.800. L’apparecchio<br />
chiede di avere un istante di pazienza, poi emette la somma stabilita<br />
ricordan dogli di non dimenticare la carta di credito. «Grazie <strong>della</strong> vostra visita» conclude,<br />
mentre Pierre Dupont sistema le banconote nel portafoglio.<br />
Il tragitto è facile: entrare a Parigi per l’autostrada A11 non pone problemi a quell’ora<br />
<strong>della</strong> domenica.<br />
Non deve fare file all’entrata, paga con la carte bleue al casello di Dourdan, circonvalla<br />
Parigi prendendo il raccordo anulare e raggiunge Roissy per l’A1.<br />
Parcheggia al secondo piano sotterraneo (zona J), lascia scivolare la ricevuta del<br />
parcheggio nel porta foglio, poi si affretta verso gli sportelli di imbarco dell’Air France.<br />
Si libera con sollievo <strong>della</strong> valigia (venti chili giusti), mostra il biglietto alla hostess<br />
chiedendole di poter avere un posto fumatore dal lato corridoio. Sorridente e silenziosa,<br />
la donna fa un cenno con la testa dopo aver verificato sul suo computer, poi gli<br />
dà biglietto e carta di imbarco. «Imbarco satellite B ore 18» [Nell’aeroporto parigino<br />
Satellite è il nome che viene dato alle aree di attesa da cui ci si imbarca – N.d.T.]<br />
precisa.<br />
Si presenta in anticipo al controllo di polizia per fare qualche acquisto al duty-free.<br />
Compra una bottiglia di cognac (un souvenir <strong>della</strong> Francia per i suoi clienti asiatici)<br />
e una scatola di sigari (per uso personale). Ha cura di conservare la fattura assie me<br />
alla carte bleue.<br />
Scorre rapidamente con lo sguardo le vetrine lus suose – gioielli, abiti, profumi –, si<br />
ferma alla libre ria, sfogliando qualche rivista prima di scegliere un libro poco impegnativo<br />
– viaggio, avventura, spio naggio –, poi riprende la sua passeggiata senza<br />
im pazienza.<br />
59
Storia del pensiero sociologico<br />
60<br />
L’uomo assapora la sensazione di libertà datagli sia dall’essersi sbarazzato del bagaglio<br />
sia, <strong>più</strong> inti mamente, dalla certezza di dover solo attendere il corso <strong>degli</strong> avvenimenti<br />
una volta «messosi in rego la» grazie al fatto di aver intascato la carta di<br />
imbar co e di aver declinato la propria identità. «A noi due Roissy!»: non è in questi<br />
luoghi sovrappopolati, dove si incrociano ignorandosi migliaia di itinerari indi viduali,<br />
che sussiste oggi qualcosa del fascino incer to dei terreni incolti, delle sodaglie e <strong>degli</strong><br />
scali, dei marciapiedi di stazione e delle sale d’attesa dove i passi si perdono, di tutti<br />
i luoghi dell’incontro for tuito dove si può provare fuggevolmente la possibi lità residua<br />
dell’avventura, la sensazione che c’è solo da «veder cosa succede»?<br />
L’imbarco avviene senza problemi. I passeggeri con la carta di imbarco segnata Z<br />
sono invitati a presentarsi per ultimi, facendoli così assistere un po’ divertiti al leggero<br />
e inutile pigia pigia delle lettere X e Y all’uscita del satellite.<br />
Attendendo il decollo e la distribuzione dei gior nali, sfoglia la rivista <strong>della</strong> compagnia<br />
aerea e immagina il possibile itinerario del viaggio percorren dolo col dito: Héraklion,<br />
Larnaca, Beirut, Dharan, Dubai, Bombay, Bangkok – <strong>più</strong> di novemila chilo metri in<br />
un batter d’occhio e qualche nome che di tanto in tanto ha fatto parlare di sé la cronaca.<br />
Dà uno sguardo alle tariffe di bordo esentasse (duty free price list), verifica che<br />
le carte di credito siano accettate anche sui voli a lunga percorrenza, legge con soddisfazione<br />
i vantaggi <strong>della</strong> «business class», di cui beneficia grazie alla intelligente<br />
generosità <strong>della</strong> sua ditta. […] Si decolla. Sfoglia <strong>più</strong> rapidamente il resto <strong>della</strong> rivista<br />
[…]. Una pubblicità <strong>della</strong> carta Visa riesce a rassicurarlo («Accettata a Dubai e<br />
ovunque voi viaggiate... Viaggiate con fiducia con la vostra carta Visa»). Poi getta<br />
uno sguardo distratto su alcune recensioni di libri e, per interesse professionale, si<br />
attarda un istante su quella che riassume un’opera intitolata Euromarketing: «L’omogeneizzazione<br />
dei bisogni e dei comportamenti di consumo fa parte delle ten denze<br />
forti che caratterizzano il nuovo ambito inter nazionale dell’impresa... A partire<br />
dall’esame dell’incidenza del fenomeno di globalizzazione sull’im presa europea,<br />
sulla validità e il contenuto di un eu romarketing e sull’evoluzione prevedibile del<br />
mar keting internazionale, vengono dibattute numero se questioni». Per finire, la recensione<br />
evoca «le con dizioni propizie allo sviluppo di un mix il <strong>più</strong> stan dardizzato<br />
possibile» e «l’architettura di una comu nicazione europea».<br />
Un po’ sognante, Pierre Dupont ripone la sua rivista. La scritta Fasten seat belt [«Allacciare<br />
le cinture», in inglese nel testo – N.d.T.] si spegne. Si aggiusta la cuffia,<br />
sceglie il canale 5 e si lascia invadere dall’adagio del concerto n.1 in do maggiore di<br />
Joseph Haydn. Per qualche ora (il tempo di sorvolare il Mediterraneo, il Mare Arabico<br />
e il golfo del Bengala) sarà solo.<br />
(Marc Augé, Nonluoghi: introduzione ad un’antropologia <strong>della</strong> surmodernità,<br />
Elèutera Editrice, Milano 1993)
Glossario<br />
a<br />
Glossario<br />
Abasia: incapacità di camminare. Simbolicamente rappresenta l’impossibilità, dopo aver rimosso un<br />
trauma psichico, di prenderne coscienza e di “andare avanti”.<br />
Abilità: competenza o capacità verificabile nello svolgere un’attività.<br />
Abitudine: acquisizione di un comportamento che, con il passar del tempo e con l’esperienza, diventa<br />
istintivo e automatico.<br />
Abulia: mancanza di atti volontari. Il soggetto abulico è incapace sia di intraprendere un’azione sia di<br />
continuarla.<br />
Accomodamento: capacità di modificare i propri schemi mentali, per acquisire nuove informazioni.<br />
Acculturazione: processo attraverso il quale un gruppo, interagendo con altre componenti <strong>della</strong> società,<br />
acquisisce, riformulandoli e adattandoli, i tratti costitutivi delle culture di queste ultime.<br />
Acrofobia: angoscia a causa delle vertigini che si manifestano nei soggetti che hanno paura di cadere da<br />
grandi altezze.<br />
Adattamento: capacità d’adeguamento alle esigenze del mondo esterno.<br />
Addestramento: acquisizione, attraverso un esercizio continuo, di abilità e di abitudini.<br />
Agenti socializzatori: istituzioni (famiglia, scuola, mass media e così via) attraverso le quali si realizza<br />
la socializzazione di un individuo.<br />
Agorafobia: paura di stare in pubblico, di attraversare le strade o le piazze. È un disturbo di natura<br />
nevrotica e produce un’ingiustificata fobia verso ogni luogo aperto e pubblico.<br />
Alienazione: estraniazione nei confronti <strong>della</strong> propria attività fisica e mentale; è un sentirsi estraneo<br />
economicamente, culturalmente e socialmente nei confronti <strong>della</strong> realtà in cui si vive.<br />
Altruismo: attenzione disinteressata verso il benessere e la felicità <strong>degli</strong> altri.<br />
Ambiente: insieme di persone e di oggetti che interagiscono, influenzandosi reciprocamente. Esso può<br />
essere geografico, culturale e sociale.<br />
Ambivalenza: atteggiamento che è rappresentato da stati emotivi contrapposti, ma diretti verso la stessa<br />
persona od oggetto.<br />
Analogia: relazione di somiglianza tra due o <strong>più</strong> oggetti.<br />
Anecumene: territorio disabitato o solo temporaneamente abitato.<br />
Angoscia: paura dell’indeterminato o dell’ignoto.<br />
Anomia: mancanza di norme e di regole.<br />
Anonimia: fenomeno che si ha quando una persona vive in strada o in un raggruppamento aperto. Si vive<br />
una situazione d’anonimia, perché il rapporto tra gli individui non è basato sulla conoscenza reciproca.<br />
Anoressia: forma di permanente inappetenza; è causata da un grave disturbo psichico che, se non curato,<br />
può avere gravi conseguenze fino alla morte.<br />
Anosmia: incapacità di percepire gli odori.<br />
Ansia: paura del determinato. Consiste in una preoccupazione eccessiva per eventi <strong>della</strong> vita quotidiana.<br />
Antropologia: scienza che studia l’uomo e le culture.<br />
61
Glossario<br />
Apatia: incapacità di reagire emotivamente alla presenza di stimoli, anche interessanti.<br />
Aprassia: disturbo motorio che comporta l’incapacità di eseguire correttamente i movimenti del corpo.<br />
Areogramma: grafico statistico.<br />
Ascritto: è un attributo di status o di ruolo che un individuo possiede dalla nascita (sesso, etnia e così<br />
via).<br />
Atteggiamento: insieme di convinzioni, credenze e sentimenti che possono predisporre un soggetto a<br />
reagire favorevolmente o sfavorevolmente verso qualcuno o verso un evento.<br />
Attendibilità: coerenza di un test, come strumento di misura, in rapporto all’oggetto <strong>della</strong> ricerca.<br />
Attenzione: processo che consiste nel percepire e selezionare soltanto determinati stimoli, ignorandone<br />
altri.<br />
Attitudine: capacità innata o acquisita ad apprendere e ad esercitare, con una certa abilità, un’attività.<br />
Attributo di ruolo: caratteristica esteriore o segno di riconoscimento di una posizione sociale.<br />
Autorità: particolare influenza di un soggetto sugli altri. Essa viene resa comprensibile con comandi,<br />
ordini, intimazioni e leggi. Chi la subisce, però, la ritiene anche legittima. Diversamente si trasforma<br />
in <strong>autori</strong>tarismo.<br />
B<br />
Bisogno: stato di tensione che si mette in moto per la presenza di una deprivazione.<br />
Borghesia: classe sociale che, secondo la teoria marxista, detiene i mezzi di produzione ed è, perciò,<br />
dominante.<br />
Bulimia: frequente necessità di mangiare; è causata dalla paura negli adolescenti di essere abbandonati<br />
affettivamente dalla madre.<br />
Burocrazia: apparato amministrativo di uno Stato.<br />
C<br />
Cambiamento sociale: qualsiasi mutamento <strong>della</strong> struttura sociale.<br />
Campione: in senso statistico, è una serie di valori estratti da un universo o popolazione.<br />
Campo di variazione: indice statistico di dispersione.<br />
Canale: via lungo la quale viaggia un messaggio per far in modo che dall’emittente arrivi al ricevente.<br />
Capitalismo: sistema economico che si fonda contemporaneamente sul mercato autoregolato e sulla<br />
proprietà privata dei mezzi di produzione.<br />
Capro espiatorio: forma d’aggressività spostata. Un soggetto frustrato attribuisce la causa <strong>della</strong> sua<br />
frustrazione ad una vittima innocente e indifesa.<br />
Carenza: termine che indica uno stato d’insufficienza.<br />
Carisma: potere eccezionale che si attribuisce a un soggetto.<br />
Caso: minima unità d’osservazione.<br />
Casta: gruppo di famiglie socialmente stratificato e rigidamente definito.<br />
Categoria: in filosofia, il termine indica i predicati generali o le forme a priori <strong>della</strong> conoscenza.<br />
Categoria sociale: insieme di persone che, pur non avendo valori e norme in comune, sono, tuttavia,<br />
legate da qualche caratteristica.<br />
Cellula nervosa: unità anatomica e funzionale del sistema nervoso.<br />
Cervello: parte del sistema nervoso che controlla sia l’attività psicologica sia fisiologica.<br />
Ceto sociale: gruppo di persone che hanno in comune interessi, attività e posizione sociale.<br />
Chiesa: organizzazione religiosa.<br />
Chiusura: in psicologia, tendenza percettiva a riempire vuoti o a chiudere parti separate.<br />
62
Glossario<br />
Cibernetica: studio dei meccanismi che regolano i sistemi di controllo nelle macchine e negli esseri<br />
umani.<br />
Classe sociale: insieme di persone consapevoli <strong>della</strong> propria condizione economica e sociale e, quindi,<br />
storicamente determinate.<br />
Codice: insieme di simboli e di regole in possesso sia dell’emittente sia del ricevente nella comunicazione.<br />
Codificazione: processo con il quale le informazioni vengono inserite nel sistema di memorizzazione.<br />
Coefficiente di correlazione: indice numerico utilizzato per esprimere il grado di correlazione tra due<br />
valori.<br />
Collettività: insieme di individui che hanno, in base ai valori e alle norme comuni, sentimenti di solidarietà.<br />
I membri <strong>della</strong> collettività, essendo numerosi, non riescono ad interagire e a comunicare in forma<br />
diretta.<br />
Comportamentismo: teoria psicologica che studia il comportamento.<br />
Comportamento: attività manifesta, osservabile e misurabile nell’organismo vivente.<br />
Comportamento deviante: comportamento o modo di agire che devia dalle norme.<br />
Comunicazione: azione che l’emittente compie per trasmettere un messaggio al ricevente.<br />
Comunicazione di massa: sistema di comunicazione sociale.<br />
Comunicazione interpersonale: trasmissione di messaggi, con modalità verbali, non verbali e paraverbali,<br />
tra due o <strong>più</strong> soggetti.<br />
Comunismo: sistema economico nel quale, eliminata la proprietà privata dei mezzi di produzione, la<br />
ricchezza è distribuita equamente.<br />
Comunità o Gemeinschaft: forma di collettività nella quale i rapporti tra gli individui sono fondati sulla<br />
solidarietà e sull’altruismo.<br />
Concettualizzazione: processo per raggruppare mentalmente cose, eventi e persone simili.<br />
Condizionamento: fattore che determina un apprendimento condizionato dalla realtà circostante.<br />
Conflitto: in psicologia, situazione in cui convivono due stimoli opposti; in <strong>sociologia</strong> è la simultanea<br />
presenza di gruppi con culture diverse.<br />
Conflitto di classe: lotta tra la classe sociale che non possiede i mezzi di produzione o dominata e quella<br />
che li possiede o dominante.<br />
Conflitto di ruolo: situazione di conflitto in un soggetto che svolge contemporaneamente <strong>più</strong> ruoli.<br />
Conformismo: adattamento alle regole imposte dal gruppo egemone.<br />
Connotativo: significato emotivo di una parola o di un simbolo.<br />
Considerazione sociale: misura <strong>della</strong> valutazione che qualcuno riceve per come occupa una certa posizione<br />
sociale.<br />
Consumo: modo con il quale l’utenza risponde alla commercializzazione dei prodotti.<br />
Contesto: situazione nella quale avvengono trasmissione e ricezione di messaggi.<br />
Controcultura: valori e norme che si contrappongono a quelli <strong>della</strong> cultura dominante.<br />
Controllo sociale: controllo che determina l’osservanza dei valori e delle norme da parte di un gruppo.<br />
Conurbazione: processo d’agglomerazione urbana. Tale processo tende, partendo dai centri minori e<br />
periferici di una città e progressivamente espandendosi, ad integrarsi pienamente con il centro urbano.<br />
Convention: riunione o incontro, promosso da un’azienda, per festeggiare una ricorrenza.<br />
Correlazione: indice statistico che stabilisce in che misura due eventi variano.<br />
Coscienza di classe: consapevolezza di appartenere, in base alla propria posizione sociale, ad una<br />
determinata classe.<br />
Costumi o mores: norme sociali alle quali gli uomini attribuiscono un forte significato etico.<br />
Crescita zero: fenomeno demografico d’equilibrio, in una società, tra la natalità e la mortalità.<br />
Cultura: in senso antropologico, è un insieme di valori, di norme e di concezioni.<br />
Cultura <strong>della</strong> povertà: forma di cultura che si sviluppa, nelle società industrialmente avanzate, tra gli<br />
emarginati.<br />
63
Glossario<br />
Curva di distribuzione: curva a campana, che descrive la distribuzione dei punteggi relativi ad un campione<br />
casuale.<br />
D<br />
Definizione: descrizione accurata di un concetto.<br />
Denotativo: significato primario di una parola o di un simbolo.<br />
Desocializzazione: perdita di valori, di norme e di concezioni dell’ambiente in cui si vive.<br />
Devianza: deviazione dai valori, dalle norme e dalle concezioni <strong>della</strong> cultura dominante.<br />
Deviazione standard dalla media: indice statistico di dispersione.<br />
Diade: legame interpersonale tra due soggetti.<br />
Disadattamento: stato di conflitto tra un soggetto e il suo ambiente.<br />
Discalculia: difficoltà nell’apprendimento dell’aritmetica.<br />
Discriminazione: processo che l’organismo, secondo Pavlov, mette in moto per rispondere in modo<br />
diverso a stimoli identici.<br />
Disgrafia: difficoltà ad acquisire la capacità <strong>della</strong> scrittura.<br />
Dislessia: difficoltà ad acquisire la capacità <strong>della</strong> lettura.<br />
Disprassia: forma d’alterazione dell’organizzazione e <strong>della</strong> coordinazione motoria.<br />
Dissonanza cognitiva: situazione in cui un soggetto percepisce una discrepanza tra due opinioni o<br />
atteggiamenti diversi.<br />
Disuguaglianza sociale: condizione di soggetti, gruppi o classi, che a causa delle loro caratteristiche,<br />
hanno differenti possibilità di accedere alle ricompense sociali.<br />
E<br />
Ecumene: territorio stabilmente abitato.<br />
Effetto alone: tendenza ad attribuire a qualcuno, in modo improprio e non rispecchiando la realtà, una<br />
valutazione falsata da altri aspetti relativi alla persona.<br />
Emancipazione: processo attraverso il quale alcuni gruppi, considerati immaturi ed ineguali, acquisiscono<br />
prima l’eguaglianza giuridica e in seguito quella sociale nei confronti dell’intera società.<br />
Emarginazione: fenomeno che si manifesta quando un gruppo di soggetti non riesce ad integrarsi nella<br />
società ed è costretto a vivere ai suoi margini.<br />
Empatia: compartecipazione al modo di essere altrui; è comprensione <strong>degli</strong> altri, mettendosi al loro posto<br />
in certe situazioni.<br />
Epistemologia genetica: scienza che, fondata da Piaget, studia il modo di formarsi e di organizzarsi <strong>degli</strong><br />
elementi cognitivi.<br />
Estinzione: progressivo indebolirsi dei comportamenti appresi.<br />
Etnocentrismo: mettere al centro <strong>della</strong> realtà la propria cultura, per manifestare l’appartenenza etnica.<br />
Etologia: scienza che studia i comportamenti <strong>degli</strong> animali.<br />
Evoluzione: processo attraverso il quale le forme di vita semplici producono forme sempre <strong>più</strong> complesse.<br />
F<br />
Famiglia: nucleo fondamentale di una società.<br />
Feedback: informazione di ritorno.<br />
Fissazione: incapacità, da parte di un soggetto, di cogliere, in un determinato problema, un punto di vista<br />
nuovo.<br />
64
Glossario<br />
Fobia: disturbo ansiogeno; paura irrazionale per una situazione o per un oggetto.<br />
Frequenza: numero di volte che si presenta un evento o un fenomeno in un certo ambito ed in un<br />
determinato tempo.<br />
Frustrazione: stato psicologico attraverso il quale a qualcuno viene impedito di raggiungere <strong>degli</strong> scopi<br />
o di soddisfare dei desideri.<br />
G<br />
Gene: unità di trasmissione ereditaria.<br />
Generalizzazione: tendenza ad estendere le stesse risposte anche a stimoli che hanno qualche aspetto in<br />
comune.<br />
Genetica: scienza che studia tutti i meccanismi di trasmissione ereditaria dei geni.<br />
Gregarismo: tendenza, presente soprattutto negli animali, a vivere insieme.<br />
Gruppo: insieme di persone che sono vicine fisicamente e psicologicamente.<br />
Gruppo d’appartenenza: gruppo sociale cui un individuo fa riferimento e appartiene, perché ne condivide<br />
i valori, le norme e il modo di pensare.<br />
Gruppo di pari: gruppo di coetanei (spesso adolescenti), regolato e strutturato da norme che sono vincolanti<br />
per tutti i membri.<br />
I<br />
Identificazione: processo attraverso il quale un bambino, secondo la psicoanalisi, acquisisce e interiorizza<br />
le caratteristiche del genitore del proprio sesso.<br />
Ideologia: l’ideologia è un termine coniato nel 1796 da Destutt de Tracy e significa “scienza delle idee”.<br />
Nell’accezione marxiana assume il significato di falsa coscienza, perché gli individui, essendo alienati,<br />
si rappresentano la realtà in maniera mistificata.<br />
Immagazzinamento: conservazione dei ricordi codificati nel tempo.<br />
Inchiesta: tecnica per compiere indagini sulla realtà.<br />
Inconscio: insieme di processi psichici di cui non si ha esperienza diretta.<br />
Indice statistico: valore statistico che fornisce allo studioso, in modo immediato, un’idea di come vanno<br />
le cose.<br />
Inferenza: procedimento razionale che consiste nel passare, per induzione, da conoscenze sicure a<br />
conclusioni nuove su realtà che s’ignoravano.<br />
Informazione: processo con il quale si assumono e si trasmettono conoscenze.<br />
Input: informazione in entrata.<br />
Integrazione sociale: capacità da parte di un soggetto di adattarsi e di integrarsi ad un’altra cultura.<br />
Intelligenza: capacità di adattarsi in modo attivo a situazioni diverse.<br />
Interazione sociale: processo di comunicazione tra due o <strong>più</strong> persone fisicamente vicine, che s’influenzano<br />
reciprocamente.<br />
Interazionismo simbolico: indirizzo di <strong>sociologia</strong> che si fonda sul presupposto che gli uomini si<br />
comportano nella società in base ai significati che, attraverso il processo d’interazione, attribuiscono<br />
alle cose e agli altri.<br />
Interesse: impulso che induce un soggetto ad agire per conseguire un risultato.<br />
Intervista: tecnica per eseguire indagini statistiche.<br />
Istinto: comportamento fisso e stereotipato.<br />
Istituzione: insieme di norme durevoli che sopravvivono agli individui; tali norme formano un sistema<br />
di regole, che si tramandano da una generazione ad un’altra.<br />
Istogramma: grafico per rappresentare dati statistici.<br />
65
Glossario<br />
L<br />
Leader: soggetto capace di svolgere un ruolo decisivo sia nel controllare sia nel gestire il potere e le<br />
informazioni che circolano in un gruppo.<br />
Leadership: posizione e relativo ruolo di un leader in un gruppo.<br />
Libido: energia con la quale si manifesta la pulsione sessuale.<br />
Lingua: insieme di regole grammaticali e lessicali con le quali gli uomini di una comunità comunicano.<br />
Linguaggio: insieme di simboli con i quali si comunicano dei messaggi. Il linguaggio si compone di<br />
strutture (suoni, parole e regole di combinazioni) e di significati (segni convenzionali).<br />
Linguistica: scienza che studia il sistema dei suoni (fonologia), la formazione delle parole (morfologia)<br />
e le regole per dare una struttura alle frasi (sintassi).<br />
Livello d’aspirazione: obiettivo che un individuo, convinto <strong>della</strong> riuscita, si prefigge.<br />
M<br />
Manipolazione: influenza che alcuni esercitano, in maniera subdola, su altri.<br />
Marcatura del territorio: tecnica che utilizzano gli animali per stabilire il possesso di un territorio;<br />
vengono segnati i confini in modo tale che gli estranei, venendone a conoscenza, li rispettino.<br />
Marketing: tecnica che, attraverso l’analisi delle motivazioni e <strong>degli</strong> atteggiamenti dei consumatori,<br />
studia il mercato e aiuta a predisporre l’organizzazione delle vendite.<br />
Massa: moltitudine di soggetti che si trova in condizione di passività nei confronti del potere.<br />
Maturazione: processo di crescita fisiologica dell’individuo, che si risolve nella graduale e regolare<br />
modificazione del comportamento.<br />
Megalomania: tendenza a sopravalutare le proprie capacità.<br />
Metodo: procedimento attraverso il quale, elaborando giudizi e risolvendo problemi, si raggiungono gli<br />
obiettivi prefissati.<br />
Misantropia: pulsione di un generico disprezzo o odio per il genere umano.<br />
Misoginia: pulsione di un generico disprezzo e di rifiuto nei confronti del sesso femminile. Per alcuni<br />
studiosi tale pulsione è considerata un disturbo nevrotico.<br />
Misurazione: processo attraverso il quale si assegna un numero ad un evento o ad un fenomeno, secondo<br />
regole matematiche.<br />
Mobilità sociale: possibilità <strong>degli</strong> uomini, che vivono in una società, di spostarsi in modo ascendente o<br />
discendente da un ceto sociale ad un altro.<br />
Mobilitazione sociale: processo attraverso il quale si produce la mobilità sociale.<br />
Moda: indice statistico di posizione centrale.<br />
Mo<strong>della</strong>mento: procedimento che fa, in maniera graduale, assumere un comportamento, che si conforma<br />
a quello desiderato.<br />
Modernizzazione: processo di trasformazione socio-culturale di una società.<br />
Motivazione: forza interiore che fornisce al comportamento l’energia necessaria per indirizzarlo verso<br />
uno scopo.<br />
Mutamento sociale: qualsiasi cambiamento <strong>della</strong> struttura sociale.<br />
N<br />
Nevrosi: disturbo psichico che determina comportamenti dannosi, giacché l’individuo che ne è affetto,<br />
pur essendone consapevole, non riesce ad uscire da tale stato.<br />
Norma sociale: aspettativa dalla quale dipende l’agire o il non agire sociale <strong>degli</strong> individui.<br />
66
O<br />
Glossario<br />
Omeostasi: livello ottimale delle funzioni organiche, che si mantiene attraverso un meccanismo automatico<br />
di regolazione.<br />
Ontogenesi: sviluppo di un organismo dall’embrione alla vita adulta.<br />
Operazione: in psicologia, azione mentale caratterizzata dalla reversibilità del pensiero.<br />
Opinione: forma di giudizio che comporta una predizione dei comportamenti <strong>degli</strong> individui e <strong>degli</strong><br />
eventi.<br />
Ordine politico: sistema, attraverso il quale alcuni soggetti esercitano, dopo averlo acquisito, il potere<br />
politico sulla collettività.<br />
Organizzazione: complesso apparato, materiale ed immateriale, utile per raggiungere fini istituzionali.<br />
Orientamento: insieme di conoscenze, messe in atto, per indirizzare un soggetto verso scelte motivate.<br />
Osservazione: constatazione di eventi che si presentono in natura o nella realtà sociale.<br />
Output: informazione in uscita.<br />
P<br />
Pacificazione: superamento di uno stato di conflitto tra gli individui o d’aggressività di un gruppo verso<br />
gli altri.<br />
Parametro: costanza di una funzione, utile per definire la forma di una curva.<br />
Paura: reazione emotiva alla realtà circostante.<br />
Permanenza dell’oggetto: consapevolezza da parte di un bambino di circa otto mesi che gli oggetti<br />
continuano ad esistere anche quando scompaiono o quando, ad esempio, vengono nascosti.<br />
Personalità: insieme di caratteristiche e di modalità individuali; è sintesi di maturazione e d’apprendimento.<br />
Pigmalione: forma di pregiudizio; l’effetto Pigmalione è rappresentato dalle aspettative che ha qualcuno<br />
nei confronti di un altro. Ad esempio, le aspettative dell’insegnante, positive o negative, nei confronti<br />
di un alunno. Quest’ultimo ha, infatti, un alto livello di aspirazioni e un buon rendimento scolastico,<br />
se è tale l’aspettativa dell’insegnante; un basso livello di aspirazioni e uno scarso rendimento, se,<br />
anche in questo caso, è tale l’aspettativa dell’insegnante.<br />
Placebo: sostanza inerte, ma che, somministrata al posto di un farmaco attivo, produce, per autosuggestione,<br />
effetti sostitutivi e benefici per un paziente.<br />
Pluralismo: situazione in cui il potere è distribuito, all’interno di una società, tra gruppi e interessi diversi.<br />
Posizione: posto che si occupa nella vita sociale.<br />
Potere: particolare condizione con la quale si realizza una pressione psicologica e sociale su una persona<br />
o su un gruppo.<br />
Pragmatica: parte <strong>della</strong> linguistica che studia come debba essere usato il linguaggio nella vita sociale.<br />
Pregiudizio: predisposizione ben radicata, negativa o positiva, su persone, su oggetti e su gruppi sociali.<br />
Pressione sociale: tendenza a far cambiare comportamento e opinioni a persone o a gruppi.<br />
Prestigio sociale: valutazione sociale che viene accordata ad una posizione, indipendentemente dalla<br />
persona che la occupa.<br />
Problem solving: espressione inglese che designa le fasi da percorrere per risolvere concretamente un<br />
problema.<br />
Processo: svolgimento sequenziale di fenomeni in rapporto tra loro.<br />
Profezia che si autoadempie: comportamento involontario secondo le aspettative di qualcuno che valuta<br />
o discrimina un altro.<br />
Psicoanalisi: studio dei meccanismi psicologici inconsci e profondi <strong>della</strong> personalità.<br />
Psicologia: scienza che studia la personalità come sintesi di maturazione e apprendimento.<br />
67
Glossario<br />
Psicosi: disturbo psicologico che denota perdita di contatto con la realtà.<br />
Psicoterapia: uso di tecniche psicologiche per curare le malattie mentali.<br />
Pulizia etnica: tentativo e, talvolta, anche realizzazione di sterminio di intere popolazioni o generazioni,<br />
ritenute de facto nemiche e inferiori.<br />
Pulsione: spinta che un bisogno, sottostante alla coscienza, fornisce al comportamento per realizzare una<br />
gratificazione.<br />
Q<br />
Questionario: tecnica per realizzare una ricerca.<br />
Quoziente intellettivo: indicatore del livello d’intelligenza. Si calcola mettendo in rapporto l’età mentale<br />
e quella cronologica e moltiplicando il quoziente per cento.<br />
R<br />
Raggruppamento: tendenza, secondo la psicologia <strong>della</strong> Gestalt, ad organizzare gli stimoli in strutture<br />
coerenti.<br />
Razionalizzazione: meccanismo di difesa dell’Io.<br />
Razzismo: insieme di pregiudizi negativi di un soggetto, appartenente ad una determinata razza, nei<br />
confronti di un altro soggetto di una razza diversa.<br />
Reato: attività delittuosa.<br />
Recettore: dispositivo dell’organismo, sensibile agli stimoli periferici.<br />
Reificazione: capacità di oggettivare un concetto astratto.<br />
Retina: superficie interna dell’occhio sensibile alla luce e sulla quale cadono le immagini <strong>degli</strong> oggetti<br />
percepiti.<br />
Riapprendimento: apprendere nuovamente le informazioni temporaneamente dimenticate.<br />
Richiamo: riprodurre integralmente un’informazione.<br />
Riconoscimento: capacità di individuare un’informazione già memorizzata in precedenza.<br />
Riflesso: risposta automatica e immediata di un soggetto alle stimolazioni esterne.<br />
Rimozione: meccanismo per respingere nell’inconscio i ricordi e gli impulsi che il Super-io non ritiene<br />
accettabili.<br />
Rinforzo: evento che tende a far aumentare la probabilità che una risposta possa ripetersi.<br />
Ripetizione: un continuo ripetere alcune informazioni per immetterle nella memoria a lungo termine.<br />
Risposta: reazione ad una stimolazione fisica o psicologica, che si manifesta attraverso un comportamento.<br />
Rivoluzione: cambiamento rapido e radicale dei valori, delle norme e del modo di pensare <strong>degli</strong> uomini<br />
che vivono in una società.<br />
Ruolo: aspettativa bilaterale (ciò che un soggetto rappresenta in una determinata posizione e nello stesso<br />
tempo il comportamento richiesto deve essere verificabile e consequenziale).<br />
S<br />
Sanzione: positiva quando si è ricompensati per aver adeguatamente osservato le norme; negativa quando<br />
viene applicata la legge per i trasgressori delle norme.<br />
Scala: insieme di valori statistici; serve per stabilire le posizioni e gli intervalli lungo una dimensione.<br />
Scarto semplice medio: indice statistico di dispersione.<br />
Schema: concetto che interpreta e organizza un’informazione.<br />
68
Glossario<br />
Schizofrenia: forma di psicosi, caratterizzata da disorganizzazione logica e da una percezione alterata<br />
<strong>della</strong> realtà.<br />
Sé: personalità individuale, percepita soggettivamente.<br />
Secolarizzazione: processo sociale e culturale, attraverso il quale si sottrae, introducendo valori e norme<br />
laici, un soggetto al controllo ideologico e religioso.<br />
Segregazione: impiego di luoghi separati da parte di gruppi sociali diversi ed emarginati.<br />
Selettività: risposta percettiva nei confronti soltanto di alcuni stimoli.<br />
Semantica: studio del significato che deriva dall’interpretazione dei morfemi, delle parole e delle frasi.<br />
Semiotica: studio <strong>della</strong> natura dei segni linguistici.<br />
Sensazione: processo per individuare e identificare gli stimoli.<br />
Set percettivo: predisposizione psicologica e mentale a percepire solo alcuni elementi e non altri.<br />
Significatività statistica: grado d’affidabilità che una misura statistica rappresenti la realtà.<br />
Simbolo: elemento rappresentativo di una cosa diversa da quella utilizzata.<br />
Simbolo di status: indicatore di posizione sociale.<br />
Simulazione: rappresentazione, messa in atto per facilitare uno studio, <strong>degli</strong> elementi fondamentali di<br />
un fenomeno.<br />
Sintassi: insieme di regole che sono alla base sia <strong>della</strong> formazione sia <strong>della</strong> comprensione di un linguaggio.<br />
Socializzazione: assunzione da parte di un individuo dei valori, delle norme e delle convinzioni<br />
dell’ambiente circostante.<br />
Società: insieme di organizzazioni, di istituzioni, di gruppi e di individui.<br />
Sociobiologia: studio dell’evoluzione del comportamento sociale <strong>degli</strong> uomini. Tale studio si basa sui<br />
principi <strong>della</strong> selezione naturale.<br />
Sociogramma: grafico che rende evidente le interazioni e le dinamiche dei membri di un gruppo.<br />
Sociometria: rappresentazione grafica delle interazioni sociali e dei rapporti di rifiuto o d’attrazione tra<br />
i membri di un gruppo.<br />
Sociologia: scienza che studia, spiega e descrive l’agire sociale <strong>degli</strong> individui.<br />
Solidarietà: sentimento che i membri di un gruppo o di una comunità hanno per un reciproco sostegno<br />
e per un aiuto nei confronti di chi ha bisogno.<br />
Sondaggio d’opinione: inchiesta su un campione di popolazione per conoscere opinioni su determinati<br />
argomenti.<br />
Statistica: scienza che rileva e rappresenta i fenomeni collettivi o di massa.<br />
Stato: apparato legislativo, amministrativo, giudiziario e militare di una società.<br />
Status: posizione che occupa un individuo nella società.<br />
Stereotipo: valutazione precostituita, semplicistica e generalizzata; riguarda un gruppo o una categoria<br />
di persone.<br />
Stimolo: elemento esterno ad un individuo che determina una risposta.<br />
Stratificazione sociale: strutturata disuguaglianza tra i ceti sociali o tra le categorie di individui in ordine<br />
gerarchico.<br />
Stress di ruolo: condizione in cui si trova chi, nei rapporti quotidiani, è costretto ad interpretare ruoli<br />
diversi e conflittuali.<br />
Struttura: disposizione delle parti che formano un tutto.<br />
Subcultura: insieme di valori, norme e concezioni di un gruppo, che, all’interno di una società, si distingue<br />
dalla cultura dominante.<br />
Svantaggio: difficoltà, relativa, in un gruppo o in una società, a soggetti appartenenti ai nuclei familiari<br />
disagiati ed emarginati.<br />
69
Glossario<br />
T<br />
Tabù: ciò che, in alcune culture, è rigorosamente proibito e spesso anche sancito con punizioni severe.<br />
Tabulazione: trasferimento dei dati di una ricerca, dopo averli raccolti, su tabelle.<br />
Tasso di mortalità: numero annuo, nella misurazione statistica, di casi di morte in una determinata<br />
popolazione.<br />
Tasso di natalità: numero annuo, nella misurazione statistica, di casi di nascite in una determinata<br />
popolazione.<br />
Tecnica: strumento per raggiungere <strong>degli</strong> obiettivi.<br />
Temperamento: tendenza a provare stati emotivi; esso è anche l’intensità delle risposte che caratterizzano<br />
un individuo.<br />
Tempo di reazione: metodo fondato da Donders; consiste nel tempo che passa tra uno stimolo e la relativa<br />
risposta.<br />
Teoria: insieme di principi logici che analizzano ed organizzano la realtà.<br />
Territorialità: insieme di comportamenti che tendono a definire e a stabilire i confini di un territorio.<br />
Test: prova cui può essere sottoposto un soggetto allo scopo di misurarne l’intelligenza, studiarne la<br />
personalità e valutarne le attitudini.<br />
Tipo ideale: astrazione che il sociologo compie nell’osservare casi reali.<br />
Tradizione: un tramandare valori, norme e concezioni, ritenuti positivi e diffusi all’interno di una<br />
popolazione.<br />
Transfert: processo che mette in moto in un paziente l’esigenza di trasferire sul terapeuta le emozioni,<br />
legate ad altre relazioni.<br />
U<br />
Umore: disposizione emotiva per la quale un soggetto dà tonalità sgradevole o gradevole ai suoi stati<br />
psicologici.<br />
Universo: in senso statistico, è la popolazione che è rappresentata da un campione.<br />
Usi o folksways: usanze comuni o convenzioni <strong>della</strong> vita quotidiana.<br />
V<br />
Validità: misura che stabilisce il grado d’attendibilità di ciò che si vuole misurare.<br />
Variabile: elemento che viene, in un esperimento, preso in esame.<br />
Varianza: indice statistico di dispersione.<br />
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