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GIRO DI VITE AL TRAFFICO NELLA ZTL IL ... - Teramani.info

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Relitti sull’aia - anni ‘60 -’70, particolare<br />

rito da rassegne di qualche rispetto, quali<br />

il Premio Michetti o il Premio Patini, o la<br />

collezione di arte contemporanea dell’Archivio<br />

di Arte Abruzzese di Nocciano, così come da<br />

osservatori non precisamente anonimi quali<br />

Venanzo Crocetti, Giuseppe Rosato, Mauro<br />

Leang, Giammario Sgattoni e simili. Ma per la<br />

sua figura, come per altre di simile notevolissima<br />

levatura artistica, questo non è bastato a<br />

sfondare il recinto dell’apprezzamento e della<br />

stima, ovvero a favorire operazioni non solo di<br />

commemorazione – francamente stucchevoli<br />

quanto inutili – ma di inserimento entro un circuito<br />

che dal locale prosegua verso il globale.<br />

E qui qualche riflessione di supporto non sarà<br />

superfluo aggiungerla: che cosa si intende,<br />

solitamente, quando si afferma che un artista è<br />

importante? Spesso questa espressione equivale<br />

al dire che un artista è “grande”, o, nella<br />

sua iperbole, “grandissimo”. Orbene, a cosa<br />

fa riferimento questo genere di “grandezza”,<br />

e in che termini si misura? Sulla base di valori<br />

oggettivi? Sulla base, ad esempio, della qualità<br />

dei risultati? Sulla base di questa o quella<br />

abilità in particolare? La risposta a queste domande<br />

è: no. I valori cosiddetti oggettivi in arte<br />

non esistono, e quando esistono si rivelano del<br />

tutto convenzionali. La tecnica, ad esempio,<br />

ogni possibile tecnica, è sempre un fatto<br />

personale e soggettivo nell’artista autentico. E<br />

Alteo, che di tecnica ne possedeva in misura<br />

impressionante, ne è un esempio evidentissimo.<br />

Non esiste, da Baumgarten, che già nel<br />

Settecento estendeva la “filosofia dell’arte”<br />

all’intera esperienza sensibile dell’uomo, a tutti<br />

i filosofi esteti dell’Otto e Novecento, un unico<br />

criterio per stabilire cosa è “bello” e cosa non<br />

lo è. Ma dunque, se nella sfera artistica ogni<br />

criterio va applicato caso per caso senza mai<br />

potersi esaurire in leggi di tipo universale e<br />

necessario, cosa significa “grande” quando ci<br />

si riferisce a un artista? A mio avviso non c’è<br />

dubbio: s’intende l’estensione spazio-temporale<br />

della sua notorietà tra il pubblico. Che è<br />

poi come dire la misura di una data visibilità,<br />

la quantità dei singoli individui che, per lo più<br />

senza conoscerne nulla, hanno appreso di<br />

preferenza il nome e la qualifica generica di<br />

un certo autore rispetto ad altri. Che essi lo<br />

adorino piuttosto che apprezzarlo, che ne<br />

abbiano interiorizzato l’essenza o solo sentito<br />

parlare qualche volta, è relativo. Dunque il<br />

valore artistico non esiste? Certo che sì, ma<br />

si tratta di un valore che non è oggettivo né<br />

misurabile, e che non dipende dal chiacchiericcio<br />

mondano o erudito che può conseguirne: e<br />

questo valore è l’eticità dell’artista. L’autenticità<br />

che è in lui, e di lui.<br />

La prima e più persistente delle difficoltà<br />

che si incontrano in casi come quello di<br />

Alteo è perciò la ridotta notorietà, lo status di<br />

pressoché totale estraneità alle logiche oggi<br />

imperanti della spettacolarità mediatica, del<br />

globalismo mass-mediologico, dell’incensamento<br />

mercatistico, delle leggi di domanda<br />

e offerta. Quanto questo genere di pruderie<br />

agisca potentemente in alcuni operatori delle<br />

migliori strutture espositive cittadine, ridotte di<br />

fatto a feudalesche riserve di caccia personali,<br />

mi è già capitato di rilevarlo altrove, ma credo<br />

giovi ripeterlo anche in questa occasione. È<br />

davvero un peccato che in un sistema museale<br />

quale è quello teramano, che ha tutte le<br />

prerogative per assurgere a configurarsi come<br />

una sorta di museo diffuso, permangano e<br />

perseverino certe incomprensibili resistenze.<br />

Oltre alla Pinacoteca civica, che ha ospitato un<br />

evento di notevole prestigio come la mostra<br />

della collezione Matricardi sulle ceramiche<br />

castellane, o il Museo archeologico, attentissimo<br />

al nostro patrimonio storico, artistico ed<br />

etno-antropologico, o le sale espositive del<br />

Comune, dell’Archivio di Stato e della nuova<br />

sede di Teramo Nostra, capita che in talaltri<br />

di questi spazi, dal nome biblico, raffinati e<br />

modernissimi, che si dicono aperti all’interscambio<br />

tra esperienze diverse, si alternano<br />

illustri anonimi per via amicale, degni di luoghi<br />

esclusivi quali la Casa natale di Raffaello a<br />

Urbino ma purtroppo senza la benché minima<br />

pertinenza con l’arte abruzzese passata e<br />

presente, oppure teramani capitati nell’occhio<br />

del ciclone mediatico, magari solo perché<br />

transitati su qualche palco nazionale al fianco<br />

di soloni della cinematografia corrente, ma con<br />

all’attivo qualche cortometraggio e poco altro.<br />

Più di recente nomi griffati della pop art come<br />

Mark Kostabi, visti e stravisti tanto al di fuori<br />

che entro l’Abruzzo, e per l’esattezza tra Palazzo<br />

Nanni a Campo di Giove e la galleria Trifoglio<br />

di Chieti, giusto quest’estate. Per questa nuova<br />

progenie di manager artistici la storia del<br />

territorio, con tutti i suoi più degni protagonisti,<br />

si misura sulla base del “basta che”: basta che<br />

se ne sappia qualcosa fuori delle mura cittadine,<br />

che qualche paginone patinato di rivista<br />

ne abbia già parlato, che Rai o Mediaset ne<br />

abbiano dato notizia, magari per qualche ora o<br />

per qualche minuto, che insomma si sia sicuri<br />

di fare “tendenza”, di inserirsi in una corrente<br />

dalla quale sia già possibile venire trascinati,<br />

risospinti, guidati. Ebbene, lungi dall’essere un<br />

modello valido ed efficace di promozione del<br />

territorio, questo è al contrario il più tipico e<br />

sterile dei provincialismi. Per promuovere la<br />

cultura di un territorio, e in un territorio, non<br />

c’è che un sistema,<br />

il più antico ed<br />

efficace ma – ahimé<br />

– laborioso tra tutti:<br />

c’è da studiare, da<br />

conoscere, da capire<br />

e approfondire. Per<br />

costoro la scoperta,<br />

il lungimirante<br />

lavoro svolto in ogni<br />

epoca da storici,<br />

galleristi e mecenati,<br />

o meglio il capire<br />

nel profondo l’opera<br />

d’arte e saperne<br />

Modella - 1965<br />

riconoscere la genuinità,semplicemente<br />

non ha senso. Ciò che conta sono i numeri,<br />

l’autorevolezza vera o presunta di quanti<br />

hanno già detto, avallato, stabilito per tale,<br />

incensato e celebrato.<br />

Non credo perciò, e lo dico con una certa<br />

amarezza, che per l’opera di Alteo le cose<br />

andranno diversamente, se non altro nel futuro<br />

più immediato. Capire artisti di questo genere,<br />

che hanno sempre lavorato in primis per loro<br />

stessi, in risposta a un’esigenza profonda e<br />

inestirpabile, con quella selvaggia urgenza<br />

poetica tipica di un’altra straordinaria artista<br />

spontanea attiva nel nostro territorio, forse in<br />

parte più fortunata, che è Annunziata Scipione,<br />

è notevolmente più difficoltoso. E tuttavia, se<br />

l’artista appare e disappare nel tempo come<br />

tutte le manifestazioni della natura, l’opera<br />

d’arte vive di percorsi suoi propri, simili a placide<br />

correnti carsiche che ora si inabissano e<br />

poi, quando più sembrano smarrite, riaffiorano<br />

e tornano a risplendere. La propria dimensione<br />

originaria è sempre viva, sempre in divenire,<br />

e, almeno sotto questo aspetto, non ha<br />

bisogno di intermediari tra sé e il mondo. n<br />

9<br />

n.81

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