supplemento articoli - Biblioteca civica di Rovereto
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Francesca da Rimini 20.11.2003<br />
Repliche: 22.11 - 23.11 - 25.11 -<br />
26.11 - 27.11 -29.11 - 30.11<br />
SUPPLEMENTO 2003<br />
Francesca Daniela Dessì / Amarilli Nizza<br />
Samaritana Patrizia Orciani / Maria Castelli<br />
Ostasio Alessandro Paliaga / Danilo Rigosa<br />
Gianciotto Alberto Mastromarino / Silvano Carroli<br />
Paolo Fabio Armiliato / Zwetan Michailov<br />
Malatestino Ludovit Ludha / Max René Cosotti<br />
Biancofiore Bernadette Lucarini / Paola Francesca Natale<br />
Garsenda Rossella Bevacqua / Mimì Park<br />
Altichiara Cristina Reale / Irene Bottaro<br />
Donella Michela Marconi / Sandra Pacheco<br />
Smarag<strong>di</strong> Giacinta Nicotra<br />
Ser Toldo Berardengo Mario Bolognesi<br />
Il Giullare Domenico Colaianni / Mario Bellanova<br />
Un Balestriere Luca Battagello / Aurelio Cicero / Giordano Massaro<br />
Un Torrigiano Angelo Nar<strong>di</strong>nocchi<br />
Maestro concertatore e <strong>di</strong>r. Donato Renzetti<br />
Maestro del coro Andrea Giorgi<br />
Regìa Alberto Fassini<br />
Scene Mauro Carosi<br />
Costumi Odette Nicoletti<br />
Coreografia Marta Ferri<br />
ELENCO ARTICOLI<br />
1. Corriere della sera 15-11-2003 Luigi Bellingar<strong>di</strong> “Francesca da Rimini fra Dante e D’Annunzio”<br />
2. Corriere della sera ?-11-2003 Luigi Bellingar<strong>di</strong> Alberto Fassini:”Francesca da Rimini” nel liberty <strong>di</strong><br />
D’Annunzio e Alma Tadema<br />
3. La Repubblica ?-11-2003 Landa Ketoff Francescada Rimini amore e tra<strong>di</strong>menti<br />
4. Il Tempo ?-11-2003 Paola Pariset “La mia Francesca è degna del Para<strong>di</strong>so”<br />
5. Il Messaggero 20-11-2003 Alfredo Gasponi All’'Opera la <strong>di</strong>vina trage<strong>di</strong>a<br />
6. Il Giornale 20-11-2003 Pietro Acquafredda La Francesca che il Vate snobbò<br />
7. Corriere della sera 20.11.2003 Luigi Bellingar<strong>di</strong> “Sono il dantesco Paolo il Bello”<br />
8. Il Tempo ?-11-2003 Gabriella Sassone L’amore conquista i vip del parterre<br />
9. Vivereroma ?-11-2003 Luca Del Fra I versi del Vate per la Francesca <strong>di</strong> Zandonai<br />
10. Cinematografo ?-11-2003 Toni Colotta La Francesca <strong>di</strong> Zandonai<br />
11.Il Messaggero 22-11-2003 Alfredo Gasponi Paolo e Francesca, un allestimnento da Purgatorio<br />
12. Il Tempo 22-11-2003 Enrico Cavallotti Francesca un problema <strong>di</strong> ormoni<br />
13.Corriere della sera 22-11-2003 Mya Tannenbaum La passionaria <strong>di</strong> Rimini (che voce!) vince il kitsch<br />
14.Il manifesto 22-11-2003 Arrigo Quattrocchi Una preraffaellita “Francesca da Rimini”<br />
15.La Repubblica 24-11-2003 Guido Barbieri Ma “Francesca da Rimini” non c’entra col liberty<br />
16.Il Giornale 22-11-2003 Pietro Acquafredda “Francesca da Rimini”: la tragica sinfonia <strong>di</strong> Zandonai<br />
17.Rinascita 25-11-2003 Franzina Ancona Per ar<strong>di</strong>te scale<br />
18.Città nuova ?-11-2003 Mario Dal Bello Volano le “colombe” <strong>di</strong> Zandonai<br />
19.L’Unità 27-11-2003 Adele Cambria Francesca da Rimini opera o cartoon?<br />
20.Il Giornale d’Italia 27-11-2003 // “Nuvole e notturni” al Teatro dell’Opera<br />
RASSEGNA STAMPA<br />
Il ritorno, da tutti ritenuto opportuno, <strong>di</strong> Francesca da Rimini sulle scene del massimo teatro romano<br />
ha suscitato sui giornali commenti generalmente concor<strong>di</strong> nel riconoscere all'opera <strong>di</strong> Zandonai<br />
un'indubbia importanza storica e un suo valore intrinseco.<br />
Per Paola Pariset del «Tempo» si tratta <strong>di</strong> un «vero gioiello, profondamente teatrale, in cui musica e<br />
parola... sono perfettamente fuse»; mentre secondo Landa Ketoff de «La Repubblica» «l'opera può<br />
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considerarsi un raro capolavoro liberty: un lavoro <strong>di</strong> transizione, dunque, a sé stante, ma importante<br />
nella storia dell'opera lirica italiana.»<br />
Nella sua analisi, Alfredo Gasponi del «Messaggero» riesuma le antiche riserve: «se certi momenti,<br />
come lo stentoreo second'atto, deludono, la musica prende quota nelle atmosfere estatiche del duetto<br />
d'amore»; «il melodramma... mostra comunque qualche ruga»; e se l'accoglienza romana non è stata<br />
entusiasmante «forse è perché le voci sono spesso costrette a forzare a causa delle tessiture impervie.»<br />
Sul «Tempo» Enrico Cavallotti, dopo essersi compiaciuto <strong>di</strong> sintetizzare il senso dell'immortale vicenda<br />
<strong>di</strong> amore e morte nell'immagine <strong>di</strong> «tosti ormoni in tumultuante sarabanda», rievoca il noto episo<strong>di</strong>o del<br />
rifiuto dannunziano <strong>di</strong> non assistere all'opera del maestro trentino interpretandolo come un «vibrante<br />
<strong>di</strong>sdegno per quel cimento [e] per quell'operista cui non intese mai porgere ascolto e che pur avrebbe<br />
dovuto ascoltare perché eloquente esempio della débâcle patita dall'opera italiana nel primo<br />
Novecento». Secondo il critico l'operazione zandonaiana va letta nel senso <strong>di</strong> una ricerca <strong>di</strong> «arduo<br />
equilibrio» tra «le enfiagioni e le ar<strong>di</strong>tezze dell'ugola» e «un gusto della strumentazione che reca alla<br />
partitura una sorta <strong>di</strong> filtro floreale: <strong>di</strong> creanzato unguento liberty.»<br />
Di <strong>di</strong>fficile sintesi mancata nella Francesca zandonaiana (definita «opera <strong>di</strong> serie B») argomenta Mya<br />
Tannenbaum sul «Corriere della sera», riferendosi però nello specifico alla qualità dell'allestimento,<br />
buono sul piano vocale e <strong>di</strong>scutibile su quello scenico, in quanto «nessuno è riuscito a dare le ali del<br />
movimento all'ottima compagnia <strong>di</strong> canto, bloccata nei sontuosi costumi <strong>di</strong> Odette Nicoletti, come in<br />
altrettante camicie <strong>di</strong> forza», sicché «le voci, il belcanto erano il punto <strong>di</strong> forza della messinscena. E il<br />
punto debole? L'eccessivo pudore grestuale... Nessuna leggerezza, se non nella qualità vocale». Non fa<br />
stupore dunque che «la partitura più rappresentata <strong>di</strong> Zandonai non sia riuscita, neppure a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />
ventotto anni dall'ultima messinscena romana, a trovarsi al passo con la cultura del nostro tempo.<br />
Colpa dell'eccesso <strong>di</strong> kitsch che invade l'assunto. Il gran kitsch salvato dalle voci.»<br />
Arrigo Quattrocchi sul «manifesto» legge nei quasi trent'anni <strong>di</strong> assenza <strong>di</strong> quest'opera dalle scene<br />
romane il segno «della attuale sfortuna critica non solo del compositore trentino, ma <strong>di</strong> tutta la stagione<br />
post-verista, <strong>di</strong> cui Zandonai fu uno degli esponenti più illustri», e riconosce all'opera <strong>di</strong> essere «la più<br />
riuscita» fra quante hanno attinto a testi dannunziani: «troviamo nella partitura uno sforzo <strong>di</strong><br />
aggiornamento rispetto alle principali correnti europee, dunque una piena assimilazione tanto <strong>di</strong><br />
Richard Strauss quanto <strong>di</strong> Debussy, con la definizione <strong>di</strong> atmosfere decadenti, rarefatte ed estetizzanti,<br />
grazie a una strumentazione sapientissima»; anche se poi «le scene più truculente stentano a staccarsi<br />
da soluzioni convenzionali, collocandosi spesso in quella scomoda zona grigia fra il drammatico e il<br />
retorico.» Apprezzato vi è l'«allestimento preraffaellita» <strong>di</strong> Alberto Fassini, la cui impostazione<br />
«aderisce al testo con ineccepibile professionalità, ma forse alla musica <strong>di</strong> Zandonai gioverebbe uno<br />
spettacolo meno <strong>di</strong>dascalico e più allusivo.»<br />
Toni Colotta su «Cinematografo» sostiene che questo «capolavoro purtroppo trascurato dagli enti lirici»<br />
ha i suoi punti <strong>di</strong> forza nella «tessitura orchestrale <strong>di</strong> grande respiro sinfonico» e nella «freschezza del<br />
canto in un impasto originale denso <strong>di</strong> richiami alla grande creazione <strong>di</strong> quel primoanteguerra».<br />
Riconosce poi che all'adattamento <strong>di</strong> Tito Ricor<strong>di</strong> «il musicista impresse una energia nervosa<br />
decisamente moderna, con pochi cali <strong>di</strong> stile.»<br />
Di eleganza parla Pietro Acquafredda sul «Giornale»: eleganza che è anzitutto della musica <strong>di</strong><br />
Zandonai, con «quella morbidezza <strong>di</strong> linee, quella ricchezza <strong>di</strong> tinte che fanno la particolarità e novità<br />
dell'opera» e che la realizzazione in oggetto ha recepito in ogni sua componente senica. Ciò rende «la<br />
passione... addomesticata, filtrata, e non fa che confermare la <strong>di</strong>mensione in cui tutta l'opera si muove,<br />
quasi che la musica non canti mai i sentimenti in presa <strong>di</strong>retta.» Infatti «a Zandonai non s'ad<strong>di</strong>ce il<br />
dramma... Nella Francesca <strong>di</strong> Zandonai c'è un solo caso in cui il dramma è buttato lì sotto i nostri occhi,<br />
senza decantazione e filtri: è la scena del tragico epilogo, con i due amanti trafitti dalla spada e riversi<br />
uno sull'altra, sulla quale cala il sipario, senza che nulla aggiungano cantanti ed orchestra».<br />
Più sbrigativa l'opinione <strong>di</strong> Guido Barbieri, che nel suo trafiletto su «Repubblica» nega alla Francesca lo<br />
status <strong>di</strong> capolavoro e qualsiasi precisa appartenenza culturale, rubricandola come «un'opera<br />
irrime<strong>di</strong>abilmente eclettica, datata, totalmente estranea alle "avanguar<strong>di</strong>e" europee, ivi compresi il<br />
liberty e l'art nouveau.»<br />
Assai più articolato il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Franzina Ancona su «Rinascita», che parla <strong>di</strong> «opera <strong>di</strong> atmosfere<br />
morbosamente sensuali, <strong>di</strong> momenti <strong>di</strong> tipo "eroico" ed altri sognanti dove la realtà ha il filtro del<br />
desiderio e della lussuria, come dell'o<strong>di</strong>o e della vendetta» e sottolinea la contrapposizione <strong>di</strong> «due<br />
mon<strong>di</strong> opposti: da un lato il gusto decadente e languido nel quale è tutta compiuta l'estetica<br />
dannunziana, dall'altro... una realtà <strong>di</strong> armi, <strong>di</strong> violenze e <strong>di</strong> intrighi turbata dalla presenza devastante<br />
<strong>di</strong> una donna giovane, bella, famelicamente desiderata, una "femme sans merci" destinata... a<br />
scatenare passioni mortali.» Tra i punti <strong>di</strong> forza dell'allestimento la notista rileva il «perfetto phisique<br />
du rôle» del tenore Fabio Armiliato e segnala la magia del suo primo apparire in scena «come un<br />
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miraggio su un bellissimo cavallo <strong>di</strong> bronzo che s'alza a mostrarlo in tutto il fulgore della sua armatura<br />
con il volto romanticamente incorniciato dai morbi<strong>di</strong> capelli». All'impostazione stilistica voluta dal<br />
regista si è adeguata Daniela Dessì «con una gestualità esasperata e neo-grecizzante», ma purtroppo,<br />
per un eccesso <strong>di</strong> assolutizzazione simbolica, si è sfiorato il ri<strong>di</strong>colo proprio nel momento topico del<br />
bacio, «che il regista Alberto Fassini ha fatto scoccare da due paia <strong>di</strong> labbra che sembrano né più né<br />
meno quelle <strong>di</strong> un cartone animato alla Jessica Rabbit, unici pezzi mobili <strong>di</strong> corpi lontani e quasi<br />
<strong>di</strong>stratti.»<br />
Al mondo dei cartoons, allargato però a tutta la vicenda melodrammatica, ricorre anche la nota <strong>di</strong><br />
costume <strong>di</strong> Adele Cambria su «L'Unità», laddove si chiede: «e se l'opera lirica otto-novecentesca... fosse,<br />
in realtà, l'invenzione anticipatrice del cartone animato alla Walt Disney? O invece è il genere "opera<br />
lirica" che è costretto, oggi, ad imitare i cartoons, per legittimarsi davanti a un pubblico instabile...?»<br />
La necessità <strong>di</strong> reinterpretare i testi storici alla luce <strong>di</strong> categorie critiche aggiornate al nostro tempo<br />
induce Mario Dal Bello («Città nuova») a riconoscere nella visione fassiniana <strong>di</strong> questa Francesca un<br />
certo «intreccio fra gusto floreale e un me<strong>di</strong>oevo barbarico» proprio del cinema hollywoo<strong>di</strong>ano «alla Cecil<br />
De Mille». Ciò arricchisce «l'atmosfera <strong>di</strong> [una] preziosità formale (linguistica, evocativa) cara a<br />
D'Annunzio, che forse sarebbe stato più che sod<strong>di</strong>sfatto dei costumi raffinati..., <strong>di</strong> molte scene alla<br />
Dante Gabriele Rossetti e della regia <strong>di</strong> Alberto Fassini», il quale «ha rivisitato post-modernamente – il<br />
busto <strong>di</strong> Dante nell'ultimo atto è il nostro occhio che guarda al passato – la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Paolo e<br />
Francesca.» Quanto alla partitura musicale, vi si rinvengono «timbri e colori "impressionisti" che, con<br />
matrice wagneriana, formano la sostanza <strong>di</strong> questo quasi "poema sinfonico per voci e orchestra":<br />
strumentazione scaltra e preziosa, senso del teatro sintetizzato in temi da "colonna sonora <strong>di</strong> film", voci<br />
drammaticamente nella tessitura acuta, <strong>di</strong> stampo "verista".» In conclusione, «una partitura che mostra<br />
delle rughe, ma che a Roma... si è riproposta nella sua originalità rispetto ai lavori dei più fortunati<br />
Mascagni e Puccini.» L'attuale operazione <strong>di</strong> recupero non sembra, come in altri casi, <strong>di</strong> segno<br />
meramente antiquariale, ché anzi lo spettacolo, «a parte il risultato assai notevole, suona come un atto<br />
d'amore per un "clima" che è ancora dentro <strong>di</strong> noi.»<br />
Molto spazio, in queste cronache, viene riservato alle parole <strong>di</strong> commento degli artisti intervistati, in<br />
particolare del regista Fassini e del soprano Dessì.<br />
Alberto Fassini, non nuovo alla regìa <strong>di</strong> quest'opera <strong>di</strong> Zandonai, chiarisce a «Repubblica« che «questa è<br />
un'opera tutta al femminile, con figure femminili gradevoli, mentre gli uomini, a parte Paolo, sono tutti<br />
"cattivi"» Sul suo tipo <strong>di</strong> approccio rivela al «Giornale» che «lavora con le idee piuttosto che con le<br />
trovate registiche facendo tesoro delle annotazioni che librettista e musicista <strong>di</strong>sseminano fra una<br />
scena e l'altra e delle <strong>di</strong>dascalie consegnate a registi "osservanti"». Al «Corriere della sera» specifica <strong>di</strong><br />
aver «ripensato l'intero spettacolo ambientandolo in quel clima <strong>di</strong> stampo decadentistico che era tanto<br />
caro a D'Annunzio.», dandogli così l'«impostazione... nettamente novecentesca [che] è nello spirito<br />
autentico del suo tempo, nell'originaria sua atmosfera espressiva.»<br />
Gli esiti registici non vengono del tutto apprezzati da Gasponi il quale riferisce <strong>di</strong> «uno spettacolone<br />
pieno <strong>di</strong> effetti, con Paolo che appare su un cavallone <strong>di</strong> bronzo, un po' Commendatore un po'<br />
Marc'Aurelio, e con una battaglia che fa pensare a Conan il barbaro...; dall'altro un'esercitazione sullo<br />
stile liberty che talvolta scivola nel caramelloso.»<br />
Per Colotta il compito del regista è stato quello <strong>di</strong> «me<strong>di</strong>are», dando «giusta esasperazione alla<br />
drammaticità della situazione scenica e agli stacchi langui<strong>di</strong> dell'abbandono amoroso. Il decadentismo<br />
originario ne è uscito addolcito in un liberty elegante», espresso sia nei costumi <strong>di</strong> Odette Nicoletti che<br />
nelle scene <strong>di</strong> Mauro Carosi «concentrate su pochi segni fortemente simbolici.»<br />
Dal canto suo, Daniela Dessì è pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> osservazioni interessanti e originali sulla natura del<br />
personaggio da lei interpretato. Al «Corriere della sera» l'artista confessa una sua particolare<br />
consentaneità per quest'opera «dove c'è l'impeto d'un "Tristano" ma con una passione che conosce mille<br />
sfaccettature». In virtù <strong>di</strong> questa affinità, si è accostata al ruolo in modo «personale, quasi viscerale»,<br />
rilevando nel testo «una certa modernità del sentimento perché Francesca è succube d'un raggiro<br />
politico: è vittima sin dall'inizio, si ribella nel suo intimo al sopruso patito. Un fiore can<strong>di</strong>do caduto, non<br />
per sua volontà, in un inferno.» L'interpretazione del personaggio è <strong>di</strong>fficile perché richiede profonda<br />
interiorizzazione e gioco <strong>di</strong> sfumature: «Non bisogna lasciarsi andare. Zandonai ha intarsiato atmosfere<br />
dell'epoca me<strong>di</strong>evale con una sensualità liberty, sempre filtrata però da immagini <strong>di</strong> purezza, nelle<br />
continue presenze delle damigelle.» E riguardo al rapporto con l'orchestra rileva che «un fremito ora<br />
lieve ora potente, in sintonia con il battito d'un cuore in tumulto, serpeggia nell'orchestra senza dar<br />
tregua», pur se «Zandonai aveva ben chari i <strong>di</strong>stinti ruoli dell'orchestra e dei cantanti».<br />
Per «Il Tempo» la cantante afferma: «Ritengo l'opera molto bella per la sua veste musicale, ma anche<br />
molto <strong>di</strong>fficile: in tutti e quattro gli atti è costante la tessitura acuta, frequenti sono i salti <strong>di</strong> ottava e<br />
soprattutto ci si richiede <strong>di</strong> tenere il legato, perché Zandonai usa la voce come uno strumento a corda.»<br />
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Alla domanda se ella ritenga Francesca una donna-vampiro sul tipo <strong>di</strong> Klimt e <strong>di</strong> Beardsey, lo esclude<br />
nel modo più assoluto: «Nel primo atto è una fanciulla che sogna il principe azzurro: dolcissimi sono i<br />
colloqui con le ancelle. Poi la drammaticità cresce anche musicalmente, ma se Francesca – che è stata<br />
già tra<strong>di</strong>ta dalla sorte – tra<strong>di</strong>sce a sua volta, non è per vendetta, è per amore. È lei che muore per<br />
prima, gettandosi fra Paolo e il marito.»<br />
Al «Messaggero» la Dessì rivela che questa <strong>di</strong> Zandonai «è opera d'impatto, che entusiasma. È strana e<br />
<strong>di</strong>ssonante ma resta impressa... Il carattere <strong>di</strong> Francesca è <strong>di</strong>viso tra impennate furiose e bei cantabili,<br />
momenti <strong>di</strong> malinconia e sensualità e scatti wagneriani. Il <strong>di</strong>fficile è trovare l'equilibrio tra la<br />
recitazione e questa vocalità esasperata.» Concorda con lei il tenore Armiliato quando afferma che «la<br />
parte <strong>di</strong> Paolo è acuta, solare, forse per togliersi dalla bassezza degli altri personaggi» ma precisa a<br />
Bellingar<strong>di</strong> che la sua parte «si stacca dalla poetica del verismo con una scrittura vocale elegante, a<br />
tratti quasi elegiaca. Il personaggio ha una singolare caratura femminea in taluni atteggiamenti, in<br />
una peculiare sensibilità. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Francesca, Paolo il Bello è sempre e soltanto un giovane<br />
innamorato, pur se nella battaglia del secondo atto è ar<strong>di</strong>mentoso. E il suo slancio nel quarto atto è<br />
l'amore come viene sentito da un giovane.»<br />
Quanto alla concertazione <strong>di</strong> Donato Renzetti, Gasponi osserva che il maestro «ha puntato sulla<br />
<strong>di</strong>mensione fonica dell'opera e qui i risultati sono stati buoni (anche per la valida prestazione<br />
dell'orchestra); mentre per Cavallotti «l'onesta <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Donato Renzetti è parsa calamitata dal<br />
<strong>di</strong>plomatico fine <strong>di</strong> portare a termine la trage<strong>di</strong>a senza aggiungerne d'altre.» E se per Barbieri il<br />
<strong>di</strong>rettore «si è dannato l'anima per estrarre dalla partitura colori trasparenti e voci sinuose», secondo<br />
Quattrocchi si è trattato <strong>di</strong> «una delle prove più convincenti <strong>di</strong> questo maestro, che sottolinea<br />
soprattutto i meriti della strumentazione <strong>di</strong> Zandonai.» Con parole simili si esprime Acquafredda, che<br />
vede in Renzetti un «musicista maturo e raffinato; ottiene dall'orchestra quella morbidezza <strong>di</strong> linee,<br />
quella ricchezza <strong>di</strong> tinte che fanno la particolarità e novità dell'opera <strong>di</strong> Zandonai.»<br />
Sembra <strong>di</strong> poter rilevare, per concludere, che il commentario critico a questa recente e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Francesca da Rimini<br />
s'intona a un modo <strong>di</strong>verso e più moderno d'interpretarne motivi, aspetti e significati. Meno accentuato che in passato<br />
risulta il risvolto della colpa, del peccato, e più evidente in compenso si fa l'aspetto sociale, politico, sì che il simbolo <strong>di</strong><br />
fondo Amore e Morte si converte in quello Amore e Guerra. Ciò che risalta ora è il valore assoluto <strong>di</strong> un amore in<br />
piena e pura de<strong>di</strong>zione che solo le macchinazioni <strong>di</strong> un brutale mondo maschile in armi contrastano e <strong>di</strong>struggono.<br />
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