Confidare | Beppe Aurilia Spettacoli costruiti con disabili, con ragazzi difficili, attori e nonattori di lingue e culture diverse. È più che una passione il teatro di Beppe Aurilia, creatore di “Poveri d’Arte”. Giovane, sorriso aperto, caratteristiche solari e mediterranee. Colpisce di più in lui la vivacità e la passione con cui si esprime quando parla del suo Teatro “Poveri d’Arte”. Dal 2001 Beppe Aurilia qui lavora, come direttore artistico. Scrive anche molti spettacoli, con rappresentazioni che coinvolgono un numero sempre maggiore di attori e non-attori. Il nome della compagnia è dovuto alla giovanissima età che aveva Aurilia quando la fondò. Si sentiva ‘povero d’arte’ in confronto al mondo teatrale. Oggi le esperienze si sono accumulate e ne è nata una vera rassegna. Il nome, però, è rimasto. Quando e perché hai deciso di fare l’attore, e poi il regista? “Ho iniziato un laboratorio teatrale nel ’95, a 15 anni, con il regista del Teatro delle Albe, Marco Martinelli. La notte sentivo un fuoco che non capivo, non riuscivo a dormire, era il desiderio di recitare. In seguito ho iniziato a fare il regista perché sentivo il bisogno di allarga- 44 | IN Magazine Il palco della Vita testo Anna De Lutiis - foto Massimo Fiorentini re la mia area d’interesse. Oggi ho all’attivo molti spettacoli scritti da me, e ho firmato molte regie”. Qual è lo spettacolo che, ad oggi, ti ha dato maggiori soddisfazioni? “Dal 2000 sono circa duecento i progetti che ho portato in scena come autore, attore e regista. Non saprei dire qual’è il più bello... Quelli che mi hanno dato maggiori soddisfazioni, però, li ricordo: il primo giorno che ho messo piede in una casa famiglia per fare teatro con ragazzi di sei culture diverse, oppure quando ho lavorato con i ragazzi di Scampia, o la prima volta che ho guardato in faccia un giovane disabile, creando insieme a lui uno spettacolo e donandogli le mie visioni, il mio credo teatrale. Queste sono soddisfazioni. Il teatro per me non è passione, è di più. Io lo definisco terapia mentale. In particolare è stato molto interessante unire circa cento attori tra immigrati, cittadini, disabili, giovani con disagio sociale: attraverso le loro differenze ho creato una drammaturgia teatrale che va in scena a <strong>Ravenna</strong> il 12 e 13 marzo all’Almagià”. E il tempo libero, se ne rimane? “Amo il gioco del calcio. Da piccolo sognavo di diventare calciatore e fare il regista nella mia squadra amatoriale: la corsa, lo scatto, il pallone fanno dimenticare la vita quotidiana. Amo anche la lettura e il cinema, ma la mia vita è il teatro”. Come vedi il tuo futuro e quello della tua compagnia teatrale? “Sono sempre andato avanti con miseri contributi da parte di enti pubblici e istituzioni. Il futuro della mia compagnia non esiste in Italia, se non ‘cambia faccia’ e comincia ad investire culturalmente sui giovani. Io, comunque, continuerò per la mia strada”. È importante la musica nella tua vita e nel tuo lavoro? “La musica apre la mente, nuovi orizzonti visionari. Grazie ad essa riesco a creare le scene più intense e coinvolgenti del mio teatro”. IN
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