ottobre 2011 - ANTO Brescia
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ca: guardando il paziente negli<br />
occhi, senza far trasparire impazienza<br />
o desiderio di abbreviare<br />
il colloquio, né svolgere contemporaneamente<br />
altre attività, utilizzando<br />
quindi con cortesia e intelligenza<br />
le eventuali telefonate<br />
o sms intercorrenti; usando consapevolmente<br />
ripetizioni, silenzi,<br />
sollecitazioni verbali,<br />
domande volte a verificare<br />
la comprensione<br />
dei concetti<br />
da parte del malato.<br />
Un errore comunicativo<br />
abbastanza frequente<br />
è, per esempio,<br />
dire al paziente<br />
“Lei non ha niente”<br />
dopo pochi minuti e,<br />
magari, senza avere<br />
ancora visitato il paziente,<br />
in modo tale<br />
che egli percepisca<br />
che non gli viene<br />
dedicato comunque<br />
tutto il tempo necessario,soprattutto<br />
quando i sintomi<br />
sono chiaramente<br />
di origine psicosomatica.<br />
Quando, invece,<br />
la diagnosi è impegnativa<br />
o la prognosi severa, una frase<br />
per confortare il paziente tipo<br />
“ Il percorso sarà difficile ma lo<br />
percorreremo insieme e lei potrà<br />
contare su di me, per aiutarla e<br />
sostenerla” può essere di grande<br />
efficacia. Certo, il ruolo e la figura<br />
del medico è molto cambiata<br />
nel tempo ma ora, come nel passato,<br />
che dottore è uno che non<br />
sa ascoltare i pazienti o non gli sa<br />
parlare? Si spera di non sentire più<br />
frasi killer come “Ha pochi mesi<br />
di vita” oppure “ Il medico sono<br />
io, lei faccia l’ammalato” oppure<br />
medici che usano ostentatamente<br />
il linguaggio “medichese” tecnico-specialistico<br />
o, comunque,<br />
non adeguato alle possibilità di<br />
comprensione degli interlocutori.<br />
Lo sappiamo, non è facile fare<br />
il dottore, è dura stare tutti i gior-<br />
ni in mezzo alla sofferenza ed al<br />
disagio fisico e psicologico, così<br />
come non è facile fare guardie,<br />
notti, reperibilità e disponibilità<br />
o, ultimamente, anche affrontare<br />
tante incombenze di tipo economicistico<br />
e burocratico. Ma,<br />
alla fine, la passione per il nostro<br />
lavoro deve prevalere su tutto e,<br />
spesso, ci si rende conto di ciò<br />
quando, durante un colloquio e<br />
la visita ad un malato, si percepisce<br />
che si sta veramente facendo<br />
del bene alla persona che sta<br />
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davanti e che aspetta una parola,<br />
un verdetto, che per lui vorrà dire<br />
gioia e sollievo, oppure angoscia<br />
e dolore, e perciò scruta ogni gesto<br />
ed ogni reazione del dottore.<br />
A volte i medici non si rendono<br />
più conto di questo aspetto fondamentale:<br />
forse occorrerebbe<br />
(ma certo non dovrebbe proprio<br />
essere necessario)<br />
essere stati almeno<br />
una volta nella vita<br />
seriamente malati ed<br />
essere quindi passati<br />
dall’altra parte della<br />
barricata, per capire<br />
l’importanza del nostro<br />
comportamento<br />
e della nostra capacità<br />
di comunicare<br />
a vari livelli possibili,<br />
verbali e non verbali,<br />
con il paziente. L’importante<br />
è ritrovare<br />
l’ispirazione che ci<br />
ha condotto a fare il<br />
mestiere di medico<br />
e che non è prerogativa<br />
solo di poeti<br />
o artisti, ma di tutti<br />
coloro che coscientemente<br />
scelgono<br />
un lavoro e lo svolgono con passione,<br />
fantasia e voglia di fare del<br />
bene e non perché fornisce privilegi<br />
o non è accessibile a tutti.<br />
Per poter ripensare ancora, come<br />
ai tempi dell’università, che il nostro<br />
è davvero il mestiere più bello<br />
al mondo.<br />
Dalla rivista “Civile”, quadrimestrale<br />
di informazione sanitaria<br />
edito dall’azienda ospedaliera<br />
Spedali Civili di <strong>Brescia</strong>, settembre<br />
<strong>2011</strong>.