amministrazione 28 Ieri...e oggi Sono stati profon<strong>di</strong> in questi ultimi decenni cambiamenti ambientali anche a <strong>Fornace</strong>. Con la preziosa collaborazione <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Algarotti, presentiamo da questo numero alcune immagini <strong>di</strong> <strong>Fornace</strong> com’era alcuni decenni fa e com’è oggi. Dal campanile della Chiesa, il castello com’era prima dei lavori <strong>di</strong> ristrutturazione e com’è oggi (foto C. Algarotti)
Il problema del bullismo Disagio giovanile e abbandono dei giovani Bullismo e vandalismo giovanili, quoti<strong>di</strong>anamente presenti nelle cronache giornalistiche, costringono ad un'urgente riflessione sui motivi che inducono i giovani a trascurare l'etica della giustizia e della responsabilità, al fine <strong>di</strong> abbracciare le nuove etiche emergenti: l'etica del Sé assoluto e del gruppo, le quali prevedono l'assolutizzazione del proprio Io (sopra a tutto e sopra a tutti) a scapito <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> equilibrata relazionalità (che renderebbe il proprio Sè relativo, ovvero situato all'interno <strong>di</strong> relazioni con altri Sè riconosciuti paritari e dunque degni <strong>di</strong> rispetto). Il nuovo "co<strong>di</strong>ce etico" si basa su un semplice (e pericoloso) criterio <strong>di</strong> base: "Agisci in modo che la tua azione sia compatibile con la possibilità <strong>di</strong> acquisire e rafforzare la tua identità all'interno del gruppo". La società del benessere e del carrierismo, ove ogni valore positivo (generosità, bontà, giustizia, reciprocità, sincerità, lealtà, rispetto) viene sacrificato all'onore e al denaro, riduce i più giovani a semplici e minuscoli ingranaggi <strong>di</strong> un meccanismo anonimizzante, nel quale non conta più l'essere, bensì l'emergere me<strong>di</strong>ante un'immagine forte del proprio Sè: solo così l'ingranaggio minuscolo può ricevere "degno" riconoscimento. I giovani, sempre più messi in <strong>di</strong>sparte e trascurati, in primis dalle famiglie, si sentono annullati, privi <strong>di</strong> identità. Da che cosa può derivare il <strong>di</strong>sagio giovanile, tremendamente <strong>di</strong>ffuso, se non dal non sentirsi riconosciuti nella propria essenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduo umano esistente, degno <strong>di</strong> rispetto, tutela e attenzione? Mentre <strong>di</strong>scutiamo <strong>di</strong> altri problemi, i giovani affogano nel mare della droga, dell'alcol, dell'illegalità e spesso, non trovando alcuna via <strong>di</strong> uscita alla società nullificante, del suici<strong>di</strong>o. Da ricondurre alla mancanza <strong>di</strong> riconoscimento è anche l'elevata tendenza o<strong>di</strong>erna alla trasgressione: i valori positivi non vengono ormai più colti nella loro essenza intrinseca (essi non sono imposizioni dall'alto, ma norme da rispettare per garantire la miglior convivenza possibile), ma come elementi esterni, semplicemente prescritti. L'uomo non può vivere all'insegna della prescrizione per la prescrizione: ha bisogno <strong>di</strong> comprendere che i valori garantiscono la propria ed altrui libertà, il proprio ed altrui rispetto. La conseguenza primaria e più imme<strong>di</strong>ata dell'abbandono dei giovani è la degenerazione delle relazioni interpersonali: la persona non viene rispettata in quanto tale, ma solo, eventualmente, in quanto parte del "gruppo". Solo il gruppo (o banda, o clan, che <strong>di</strong>r si voglia) decide chi è degno <strong>di</strong> riconoscimento e chi no. Il gruppo si costituisce come una mini società, nella quale i "soci" riconoscono altri in<strong>di</strong>vidui come soci solo se questi compiono azioni clamorose e visibili. Questa è l'etica della banda, unica a poter garantire il riconoscimento assoluto del proprio Sè. Attenzione: come ogni società, anche la banda ha bisogno <strong>di</strong> un curatore <strong>di</strong> riferimento, il cui Sè sia veramente assolutizzato. Il curatore del clan <strong>di</strong>venta tale solo dopo aver compiuto un'azione "rumorosa", tale da suscitare l'ammirazione altrui. Un esempio? La <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> un crocifisso in classe (fatto recentissimo), davanti a tanto <strong>di</strong> riprese "cinematografiche", che ti garantiscono <strong>di</strong> essere la star. E' così che nasce il bulletto leader, che <strong>di</strong>strugge le scuole, che si impone sui deboli (anche se invali<strong>di</strong>). I soci ammirano estasiati: hanno riconosciuto che è lui il capo, lui il punto <strong>di</strong> riferimento, lui che dà le giuste in<strong>di</strong>cazioni. Non si <strong>di</strong>a la colpa a una <strong>di</strong>ffusa stupi<strong>di</strong>tà giovanile! I giovani non sono stupi<strong>di</strong>: sanno ragionare, programmare, usare la tecnologia, insegnare (...). Ma l'etica che riconosce solo il soggetto emergente è terribile: devi fare qualcosa per elevarti dal nulla, e la strada più veloce per farlo non è la virtù, giacché questa è cosa faticosa, ma il cedere all'istinto della violenza, elemento forte e rumoroso me<strong>di</strong>ante il quale gli altri ci noteranno (per timore, per ammirazione, per quel che si voglia, ma lo faranno). E' questo l'unico modo per evitare il proprio annullamento nella società nullificante. Mauro Stenico comunità 29