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Arte Terapia nel rapporto individuale - E. Stone

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<strong>Arte</strong> <strong>Terapia</strong> <strong>nel</strong> <strong>rapporto</strong> <strong>individuale</strong><br />

Elizabeth <strong>Stone</strong><br />

"Tutta la nostra formazione è volta a individuare il percorso del paziente e<br />

a seguirlo, senza peraltro imporre le nostre idee su dove si stia dirigendo."<br />

Diana Siskind, The Child Patient and the Therapeutic Process, p.84<br />

Con questo capitolo intendo offrire al lettore alcune indicazioni di ordine concettuale per il<br />

lavoro in arte terapia con soggetti che vengono trattati in sedute individuali. L’argomento è<br />

così vasto che difficilmente un singolo capitolo potrebbe renderne giustizia, ho deciso<br />

dunque di individuarne i connotati essenziali inserendoli in un discorso che comprende il<br />

mio personale orientamento teorico. Prendendo le mosse dalla combinazione della teoria<br />

evolutiva delle relazioni d’oggetto e dell’arte terapia, porrò l’accento su come la teoria<br />

plasma le modalità della pratica terapeutica.<br />

Il Setting<br />

Molti arte terapeuti lavorano in setting istituzionali all’interno di un’équipe, sebbene alcuni<br />

di noi abbiano anche una formazione in psicoterapia e svolgano inoltre un’attività privata.<br />

In questo capitolo prenderò in esame il ruolo dell’arte terapeuta inserito in un’équipe,<br />

normalmente composta da un primario, solitamente uno psichiatra, uno psicologo, un<br />

assistente sociale, degli educatori, degli infermieri e alcuni operatori che conducono<br />

attività di arti terapie creative. Il ruolo del terapeuta delle arti espressive varia secondo il<br />

tipo di istituzione in cui opera e dei bisogni dell’utenza specifica.<br />

Poiché la maggior parte degli arte terapeuti lavora su mandato, occorre tenere presente gli<br />

obiettivi clinici stabiliti dall’équipe, affinché l’apporto dell’arte terapia si accordi con<br />

l’obiettivo psicoterapeutico, che si tratti di una psicoterapia orientata all’insight, di una<br />

terapia comportamentale o di una terapia volta all’alleviamento dei sintomi. Pur<br />

coordinando lo sforzo verso un obiettivo comune, i metodi seguiti dagli arte terapeuti<br />

possono ampiamente variare. Per esempio, l’immersione necessaria da parte del paziente<br />

nei materiali espressivi implica un approccio orientato al processo maggiore rispetto a<br />

quello che gli altri membri dell’équipe utilizzerebbero, e ciò può rappresentare ed essere<br />

considerato un arricchimento volto al raggiungimento dello scopo prefissato. Assistere al<br />

caos che viene a crearsi, alla lentezza e agli sforzi brancolanti di alcuni pazienti, senza<br />

comprendere l’intero processo creativo indispensabile <strong>nel</strong>l’arte terapia, può creare degli


equivoci e suscitare sospetto tra gli altri operatori non informati su quanto accade. Il lavoro<br />

è più efficace se si potenzia o si migliora la comprensione interdisciplinare tra i membri<br />

dell’équipe instaurando modalità di comunicazione sia orale sia scritta. A tal fine l’arte<br />

terapeuta partecipa alle riunioni in cui vengono presentati dei casi e fornisce anche dei<br />

resoconti scritti sull’andamento del paziente e sul trattamento terapeutico, in modo da<br />

contribuire, con le sue osservazioni cliniche, allo sforzo attuato dall’équipe per pianificare<br />

la continua evoluzione del progetto terapeutico.<br />

Nelle istituzioni la maggior parte dei pazienti viene inserita più spesso in gruppi di arte<br />

terapia che in sedute individuali, poiché la modalità gruppale tende ad essere<br />

complementare alla psicoterapia <strong>individuale</strong>, offre uno spazio per lo sviluppo delle<br />

capacità di socializzazione dell’individuo e rappresenta la modalità di trattamento<br />

terapeutico economicamente più efficiente. Tuttavia, in determinate circostanze i bisogni di<br />

alcuni pazienti non possono essere soddisfatti adeguatamente dalla modalità di gruppo e<br />

si preferisce proporre sedute individuali di arte terapia. Capire quando, in che modo e in<br />

quali condizioni sia opportuno inviare determinati pazienti in arte terapia <strong>individuale</strong> è il<br />

prossimo argomento che vorrei affrontare.<br />

<strong>Arte</strong> <strong>Terapia</strong> <strong>individuale</strong>: per chi?<br />

Le utenze che ricevono beneficio dall’arte terapia <strong>individuale</strong> rientrano tra quelle cui giova<br />

anche l’arte terapia di gruppo. E’ mia intenzione esaminare le esigenze specifiche che<br />

suggeriscono di inviare un paziente in arte terapia <strong>individuale</strong>, e le modalità con cui<br />

dovrebbe svolgersi questo lavoro. Per una rapida rassegna delle diverse utenze<br />

ricordiamo qui: i pazienti psichiatrici adulti e bambini ricoverati, gli utenti dei centri diurni o<br />

dei servizi ambulatoriali, i portatori di handicap mentale e fisico sottoposti a programmi di<br />

riabilitazione o ricoverati in reparti di lungo degenza, gli scolari segnalati dal corpo docente<br />

per problemi di carattere psicologico o cognitivo, i bambini che non sono stati ‘segnalati’<br />

ma i cui insegnanti e psicologi di riferimento concordano sull’opportunità di un intervento di<br />

prevenzione (con il consenso genitoriale), i bambini e gli adulti malati o convalescenti<br />

ricoverati in fase di riabilitazione o in fase acuta, le vittime di traumi e i rifugiati, i residenti<br />

in comunità terapeutiche inseriti in programmi di disintossicazione e recupero, gli anziani,<br />

le famiglie in difficoltà o in crisi ecc.<br />

In termini generali le sedute di arte terapia <strong>individuale</strong> possono essere positive per i<br />

pazienti che presentano bisogni intrapsichici tali da richiedere un clima terapeutico più<br />

facilmente realizzabile in una relazione uno a uno. Il termine ‘intrapsichico’ fa riferimento al


tipo di conflitti, affetti, relazioni d’oggetto interno, bisogni e così via che si manifestano<br />

all’interno della mente, e non tra il soggetto e il mondo esterno. Perciò, <strong>nel</strong> valutare i<br />

bisogni intrapsichici, si tenta di comprendere cosa succede all’interno della mente<br />

dell’individuo e non si osserva semplicemente ciò che avviene apertamente tra costui e le<br />

persone con le quali interagisce.<br />

Sebbene molti pazienti non siano in grado di esprimere i propri bisogni a livello verbale, o<br />

addirittura di riconoscerli, parte del nostro lavoro consiste <strong>nel</strong> ricercare indizi che<br />

evidenzino tali bisogni terapeutici, prestando attenzione alle manifestazioni di ansia e alla<br />

sfera dei legami oggettuali interni. L’osservazione di questi elementi può aiutarci a<br />

determinare i bisogni terapeutici per quanto riguarda l’opportunità di lavorare con un<br />

paziente in sedute di arte terapia <strong>individuale</strong> o di gruppo. Talvolta impariamo seguendo un<br />

vero e proprio processo di prova ed errore, per esempio quando le nostre osservazioni ci<br />

confermano che siamo incorsi in un errore terapeutico inserendo un paziente in un gruppo.<br />

Talvolta ce ne rendiamo conto quando un paziente si rifiuta categoricamente di venire alle<br />

sedute di gruppo di arte terapia. Ovviamente non tutti i pazienti che esprimono un rifiuto<br />

del genere sono idonei per un lavoro <strong>individuale</strong>, ma tale rifiuto ci suggerisce<br />

dell’esistenza di una difficoltà. Nella mia esperienza la maggior parte dei pazienti può<br />

effettivamente trarre un giovamento, almeno di breve periodo, se le sedute di arte terapia<br />

sono organizzate in modo da soddisfarne i bisogni, anche se non tutti sono dei candidati<br />

idonei per l’arte terapia.<br />

Ancora una volta, possiamo ravvisare gli indicatori importanti che motivano un invio in arte<br />

terapia <strong>individuale</strong> prestando particolare attenzione ai livelli e alle manifestazioni di ansia<br />

delle relazioni d’oggetto. Un tipo di candidato è il paziente che prova un disagio tale da<br />

impedirgli di sopportare la presenza degli altri in un gruppo, e manifesta il proprio<br />

malessere traducendolo in ansia eccessiva o in atteggiamenti di ripiegamento su di sé. Un<br />

altro è rappresentato dal paziente molto timido, in particolare se presenta anche qualche<br />

lieve tratto paranoide, che potrebbe essere sopraffatto dalla presenza del gruppo tanto da<br />

sentirsi incapace di partecipare. Oppure <strong>nel</strong> caso di pazienti ai quali il gruppo non fornisce<br />

un contenimento comportamentale o psichico adeguato, mentre in seduta <strong>individuale</strong><br />

verrebbero maggiormente contenuti. E’ preferibile seguire un paziente in sedute individuali<br />

se versa in uno stato di agitazione tale che richiede gran parte dell’attenzione dell’arte<br />

terapeuta per riuscire a funzionare <strong>nel</strong> gruppo e l’arte terapeuta si rende conto di ignorare<br />

continuamente gli altri partecipanti. Se alla fine si riesce, in un tempo ragionevole, a<br />

contenere ed integrare alcuni pazienti dirompenti in un setting gruppale, occorre


comunque valutare la propria capacità di seguire in modo adeguato gli altri membri del<br />

gruppo mentre si lavora per raggiungere questo obiettivo di più lungo termine e prendere<br />

anche in considerazione l’alternativa che il paziente in questione venga visto in sedute<br />

individuali per il bene di tutti i pazienti interessati. Un ‘ambiente di holding’ sicuro basato<br />

sulla funzione di holding della madre, per usare la terminologia di Winnicott (1971), è della<br />

massima importanza per tutti i pazienti. I partecipanti a un gruppo non si sentiranno<br />

sufficientemente ‘tenuti’ se uno di loro assurge sempre al ruolo di protagonista. Il paziente<br />

timido e introverso, al quale spesso mancano le parole per esprimere i sentimenti positivi<br />

derivanti dal contenimento terapeutico introiettato dell’ambiente di holding <strong>nel</strong>la relazione<br />

uno a uno, potrebbe essere in grado di utilizzare la comunicazione simbolica intrinseca<br />

all’espressione artistica per rivelarli.<br />

Alcuni pazienti, che hanno forse bisogno di un contatto con l’arte terapeuta più frequente<br />

di quello offerto <strong>nel</strong>la seduta di gruppo, potrebbero trarre giovamento dalle sedute<br />

individuali. Tuttavia occorre qui chiarire che alternare sedute di gruppo a sedute individuali<br />

può costituire un problema di per sé. Infatti per la maggior parte dei pazienti passare<br />

continuamente dalla modalità <strong>individuale</strong> a quella gruppale può essere un’esperienza<br />

troppo confusiva, poiché si troverebbero a vivere l’arte terapeuta interamente a loro<br />

disposizione e poi soltanto parzialmente disponibile. Se riteniamo che la relazione<br />

terapeutica rappresenti eminentemente la relazione d’oggetto, e concordiamo sul fatto che<br />

essa sia l’agente principale di cura <strong>nel</strong> processo terapeutico, possiamo sostenere che le<br />

relazioni d’oggetto stabili si sviluppano soltanto se il ruolo dell’arte terapeuta è coerente,<br />

prevedibile e costante. Quando il paziente deve considerare la figura dell’arte terapeuta<br />

oscillante come un pendolo, che passa dalla completa disponibilità ad una disponibilità di<br />

gran lunga inferiore poiché i bisogni degli altri hanno la precedenza, <strong>nel</strong> transfert può<br />

venirsi a creare una riproduzione dei precoci legami oggettuali inconsci incoerenti, che fa<br />

girare a vuoto gli ingranaggi terapeutici e impedisce qualsiasi accelerazione delle relazioni<br />

d’oggetto. Non soltanto le relazioni oggettuali, ma anche il clima che favorisce lo sviluppo<br />

delle rappresentazioni del Sé ne subisce gli effetti, sebbene molti pazienti non siano<br />

neppure consapevoli che un’organizzazione di questo genere li può influenzare, poiché a<br />

livello intrapsichico la situazione non si distingue da ciò che hanno sempre vissuto.<br />

Qualora non sia possibile trovare un gruppo di arte terapia appropriato per un determinato<br />

paziente, sulla base di considerazioni di ordine diagnostico o di altro genere, è meglio<br />

trattarlo in sedute individuali che non trattarlo per nulla, purché non vi siano evidenti<br />

controindicazioni. Tuttavia si tratta di una decisione che deve essere presa caso per caso.


Una paziente ambulatoriale adulta che incominciai a seguire in sedute individuali era stata<br />

inizialmente inviata in un gruppo di arte terapia rivolto a donne vittime di violenza<br />

domestica che avrei dovuto condurre in un centro di salute mentale dove lavoravo. La<br />

donna fu la prima e unica paziente inviata al gruppo, e per avviare il progetto era<br />

necessario averne altre. Trascorsero alcuni mesi senza altri invii e il responsabile decise<br />

che lavorassi individualmente con la paziente. Quando incominciammo il lavoro mi fu<br />

chiaro che nessun gruppo di arte terapia che conducevo avrebbe risposto adeguatamente<br />

ai suoi bisogni terapeutici e alla fine fu molto contenta di lavorare in sedute individuali.<br />

Inizialmente il suo livello di autostima era così ridotto che non avrebbe osato chiedere di<br />

essere seguita in terapia <strong>individuale</strong>, qualunque essa fosse. Anche se, in questo caso, fu<br />

presa una decisione fortuita per mancanza di altri invii, il processo terapeutico deve<br />

continuamente essere valutato per garantire che il progetto di trattamento sia il più<br />

consono possibile.<br />

Alcune possibili controindicazioni dell’<strong>Arte</strong> <strong>Terapia</strong> <strong>individuale</strong><br />

Quando un paziente è seguito in sedute individuali di arte terapia e di psicoterapia è<br />

prudente anticipare quelle circostanze che potrebbero ingenerare difficoltà, in particolare<br />

in ambito transferale. Se per esempio i processi di arte terapia e di psicoterapia sono<br />

troppo simili, i confini che li delimitano possono confondersi <strong>nel</strong>la mente del paziente. In<br />

questi casi occorre tracciare una chiara definizione di ciascuna modalità, per non incorrere<br />

<strong>nel</strong>l’altrimenti inevitabile risultato di scegliere soltanto una delle due terapie. In caso<br />

contrario ne verrebbe compromesso il potenziale terapeutico intrinseco di ciascuna di<br />

esse. Un’altra situazione ipotetica che presenta delle difficoltà si verifica quando il<br />

terapeuta di riferimento e l’arte terapeuta lavorano in modi molto diversi e comunicano un<br />

conflitto di orientamenti. Il paziente, seppur solo a livello inconscio, lo percepisce<br />

facilmente e può sentirlo come elemento ansiogeno. In tal caso si rende necessaria una<br />

nuova valutazione dei bisogni che porterà a introdurre le modifiche terapeutiche<br />

opportune, anche qualora tali modifiche implichino l’esclusione della modalità <strong>individuale</strong>,<br />

trattandosi della soluzione più appropriata. Poiché in questo contesto l’arte terapia è la<br />

terapia di sostegno, è più probabile che sarà essa a subire la modificazione necessaria.<br />

Stabilire una comunicazione aperta e considerare realisticamente i limiti intrinsechi a<br />

qualsiasi sforzo terapeutico ci aiuta a comprendere meglio ciò che accade, evitando alcuni<br />

di questi problemi. Per quanto desiderabile sia una soluzione efficace, non sempre è<br />

possibile raggiungerla, quando sussiste un conflitto tra orientamenti diversi. Quando<br />

invece l’arte terapia <strong>individuale</strong> e la psicoterapia <strong>individuale</strong> operano a fianco a fianco con<br />

buoni risultati, l’arte terapeuta, sulla base di una decisione consapevole, mantiene il<br />

processo terapeutico sul piano dell’esplorazione creativa e della metafora verbale,


lasciando allo psicoterapeuta ‘verbale’ gran parte della sfera introspettiva e interpretativa.<br />

A prescindere da quanto egli sia tentato di entrare <strong>nel</strong>l’area ‘orientata all’insight verbale’, è<br />

di massima importanza terapeutica conservare la coerenza delle due terapie distinte.<br />

Aiutare il paziente a sapere con chiarezza ‘chi è chi’ risulterà, in ultima istanza, in un<br />

maggior rafforzamento della coesione delle rappresentazioni oggettuali interne, mentre un<br />

processo di mancata distinzione non può che impoverire tale coesione. Non ritengo che in<br />

questo approccio l’arte terapeuta rivesta un ruolo di secondo piano, anzi in realtà lavora<br />

tacitamente e con attenzione per attenuare la scissione. L’introiezione dell’arte terapeuta<br />

come oggetto buono offre una possibilità di sviluppo terapeutico assai maggiore di quanto<br />

non forniscano interpretazioni ben intenzionate ma fuorvianti, oppure fatte al momento<br />

sbagliato. Incoraggiare il paziente a veicolare <strong>nel</strong>la psicoterapia alcune delle<br />

problematiche, <strong>nel</strong> momento in cui si manifestano, lo aiuterà a conservare una<br />

differenziazione tra i due ruoli. D’altra parte, in circostanze favorevoli alcuni pazienti<br />

traggono giovamento dall’arte terapia quando essa riveste il ruolo di terapia primaria, in<br />

particolare <strong>nel</strong> caso di pazienti con difficoltà di comunicazione verbale o con una capacità<br />

di insight seriamente limitata. Il fatto che l’arte terapeuta abbia una lunga esperienza, una<br />

formazione adeguata e sia seguito in supervisione, oltre ad avere contatti frequenti con<br />

l’équipe e incontri regolari con il medico di riferimento, sono tra i requisiti indispensabili per<br />

un compito del genere. Inoltre se viene prescritta una terapia psicofarmacologica, il<br />

paziente viene regolarmente visitato da uno psichiatra che esercita un’altra forma di<br />

monitoraggio terapeutico. Consideriamo ora brevemente il processo di invio per<br />

osservarne più da vicino le caratteristiche.<br />

L’invio<br />

L’invio in arte terapia <strong>individuale</strong>, e lo stesso vale per l’arte terapia di gruppo, può essere<br />

stabilito da diversi soggetti: direttamente dal medico curante; dall’équipe terapeutica che<br />

prende una decisione collettiva; su richiesta del paziente stesso, in accordo con l’équipe;<br />

in base alla valutazione dell’arte terapeuta che già lavora con il paziente in un gruppo o al<br />

quale è stato chiesto di valutare il paziente come candidato per l’arte terapia e di<br />

determinare la modalità più opportuna, in accordo con il resto dell’équipe.<br />

Talvolta l’invio in arte terapia è accompagnato dalla richiesta clinica che il paziente venga<br />

visto in sedute individuali, o di gruppo, in base alla modalità terapeutica considerata più<br />

utile per i suoi bisogni specifici. Una volta informato dell’invio, l’arte terapeuta compie una<br />

valutazione dei bisogni del soggetto, normalmente offrendogli la possibilità di partecipare a<br />

qualche seduta di prova per vedere come risponde. Alcuni arte terapeuti si avvalgono di<br />

procedimenti di valutazione formalizzati; altri, e includo me stessa tra questi, preferiscono<br />

un approccio strutturato in maniera più flessibile, che si articola in un colloquio iniziale e<br />

una o più sedute di prova. Le sedute dovrebbero tenersi a intervalli regolari, in un giorno e<br />

ad un orario prestabiliti, normalmente una volta, e in alcuni casi due volte, alla settimana.


Se i problemi di orario possono essere fonte di frustrazione sia per il paziente sia per il<br />

terapeuta, sedute meno frequenti di una volta alla settimana rendono l’arte terapia del tutto<br />

inefficace, per quanto riguarda la possibilità di permettere al paziente di entrare<br />

pienamente <strong>nel</strong> processo creativo e in quello terapeutico e di rappresentare un ambiente<br />

di holding genuino.<br />

Delineare un approccio<br />

Esaminando il modo in cui presentare l’arte terapia <strong>individuale</strong>, vorrei ora illustrare alcuni<br />

fondamenti teorici a cui si rifà il mio approccio personale, che può prontamente essere<br />

adattato sia al lavoro <strong>individuale</strong> sia a quello di gruppo. Le tecniche in arte terapia variano<br />

tanto quanto quelle in psicoterapia, a seconda dell’orientamento teorico dell’arte terapeuta<br />

e dell’utenza specifica a cui viene proposta l’attività. Qualsiasi discussione sulla pratica<br />

terapeutica deve necessariamente riflettere il punto di vista specifico dell’arte terapeuta, in<br />

modo che anche le ipotesi più comunemente sostenute assumeranno sfumature che<br />

trovano origine <strong>nel</strong> particolare approccio a cui si rifanno. In altri termini, ogni singolo tipo di<br />

intervento - dal modo in cui viene preparato l’atelier al tipo di relazione che si crea con il<br />

paziente, dal genere di interventi attuati alle modalità interpretative del lavoro artistico - si<br />

accorda con lo scopo, rimandando così a una prospettiva più generale. Un intervento di un<br />

arte terapeuta può avere una portata assai diversa se viene trasferito <strong>nel</strong>la modalità di<br />

lavoro di un collega. Perciò è importante avere una base teorica solida e coerente,<br />

qualunque sia l’approccio seguito. Non solo è necessaria un’aderenza intellettuale alla<br />

teoria, ma anche una coerenza interna dell’arte terapeuta che si accordi con il suo ruolo<br />

professionale esterno, in modo da raggiungere una congruenza tra l’esperienza personale<br />

e la formazione professionale. Una psicoterapia personale di orientamento conforme con<br />

la teoria di arte terapia appresa <strong>nel</strong> corso di formazione professionale rappresenta la via<br />

per raggiungere tale coerenza che, in ultima istanza, troverà risonanza <strong>nel</strong>l’interazione con<br />

i pazienti.<br />

In arte terapia il paziente fa uso dell’arte per organizzare sentimenti, pensieri, ricordi e<br />

conflitti, esprimendoli simbolicamente in una forma visiva concreta. I materiali artistici<br />

forniscono il canale di esternalizzazione del contenuto psichico interno, che trova poi una<br />

sua forma <strong>nel</strong>la struttura sicura e non minacciosa della seduta terapeutica. Grazie ai<br />

materiali artistici esso diventa comunicabile. Il lavoro artistico che ne risulta può essere la<br />

rappresentazione intenzionale, spontanea e conscia del mondo interno del paziente,<br />

oppure una rappresentazione assolutamente inconscia della sua vita psichica. Il più delle<br />

volte l’immagine o il prodotto artistico diventano il contenitore di un mascheramento a<br />

molteplici livelli, accessibile alla coscienza soltanto in termini vaghi. Nelle immagini di<br />

questo genere sono contenuti affetti, conflitti, identificazioni, segni del Sé e del mondo<br />

interno delle relazioni d’oggetto. “Plasmare” comporta la trasformazione del contenuto,<br />

mediante il filtro dell’Io, per diventare ciò che possiamo liberamente considerare


"l'immagine” o espressione artistica. L’immagine <strong>nel</strong>l’espressione artistica ha dunque una<br />

funzione simile a quella dell’immagine <strong>nel</strong> sogno, che mette in atto i meccanismi dello<br />

spostamento e della condensazione (Freud 1900) e fa appello alla rappresentazione<br />

sensoriale e simbolica e ai messaggi criptici per nascondere il contenuto latente, gravato<br />

da conflitti, traumi e altri affetti altrimenti intollerabili. Il sistema di filtraggio di cui l’Io si<br />

serve costituisce le cosiddette difese dell’Io, descritte da Anna Freud (1936) ed elaborate<br />

da molti altri autori. Esso riveste un ruolo essenziale <strong>nel</strong>la creazione e <strong>nel</strong>la lettura<br />

dell’immagine. Rispondendo secondo modalità terapeutiche all’espressione artistica del<br />

paziente, l’arte terapeuta interviene rimanendo spesso sul piano metaforico, rispettandone<br />

i molteplici significati e conservandone la funzione di contenitore terapeutico. Egli tende a<br />

costruire o ricostruire le difese dell’Io, che a loro volta rafforzano la struttura generale<br />

dell’Io mediante il processo di creazione in arte terapia, equipaggiando così il paziente<br />

affinché possa meglio gestire i conflitti, gli affetti difficili, quali la depressione, o i sentimenti<br />

negativi della sua vita.<br />

La seduta di arte terapia si distingue profondamente dalle sedute di psicoterapia dove<br />

talvolta si lavora anche con i materiali artistici. Non si tratta neppure di una “lezione di<br />

educazione artistica” dove si analizza, per così dire, l’arte. Semmai vogliamo sostenere la<br />

nozione che considera il paziente l’esperto del proprio lavoro, e il nostro ruolo è aiutarlo a<br />

trovare una voce autonoma e un significato personale. Anche se, come arte terapeuti,<br />

sviluppiamo una certa competenza per ciò che concerne la comprensione della<br />

comunicazione simbolica e delle immagini, ritengo sia nostro compito supportare il<br />

paziente affinché rintracci da solo una chiave di lettura e di comprensione propria. Egli può<br />

farlo con il nostro aiuto, ma non possiamo sostituirci a lui. Qualsiasi insight raggiunto<br />

assume significato soltanto se il paziente è pronto, e la capacità di essere pronto potrebbe<br />

risultare da un lungo processo che si articola a tappe, una alla volta. In caso contrario,<br />

creiamo una situazione di dipendenza interminabile, dipendenza che può incoraggiare la<br />

regressione in molti modi, alcuni dei quali potrebbero essere pericolosi invece di<br />

promuovere la crescita. Interpretazioni inopportune e premature in arte terapia vengono<br />

percepite come una sorta di ‘lettura del pensiero’, forma inquietante di assorbimento<br />

psicologico che spesso cancella il già fragile confine necessario tra il Sé e l’altro, tra il<br />

paziente e il terapeuta. La modalità con cui aiutare un paziente, affinché sia<br />

psicologicamente preparato a trovare un significato <strong>nel</strong> proprio lavoro artistico, funge da<br />

metafora e da preludio per cercare un significato <strong>nel</strong>la sua esistenza e capire come egli<br />

sia diventato quello che è.<br />

La signora R., una donna sulla quarantina divorziata dopo 17 anni di matrimonio, aveva<br />

una diagnosi di schizofrenia che ne aveva motivato il ricovero in due occasioni. Le era<br />

stata prescritta una terapia psicofarmacologica dallo psichiatra di riferimento che la<br />

visitava due volte al mese e le era stata proposta un’attività di arte terapia una volta alla<br />

settimana in cui si impegnò per oltre due anni. Il quadro sintomatologico si era


sufficientemente stabilizzato e la paziente riusciva a funzionare in modo adeguato, se pur<br />

limitato, entrando in relazione con pochissime persone. Viveva sola in una camera<br />

ammobiliata e aveva instaurato una relazione soddisfacente con uno dei due figli, ormai<br />

adulti, e una relazione marginale con l’altro.<br />

Inizialmente in arte terapia la signora R. era rigidamente trattenuta e mostrava un<br />

atteggiamento anaffettivo. Nel corso del trattamento incominciò a sentirsi a proprio agio,<br />

progressivamente stabilì una relazione migliore con l’arte terapeuta e incominciò ad<br />

essere addirittura affettuosa. Per almeno due anni la paziente eseguì delle sculture in<br />

creta traendo ispirazione da riproduzioni artistiche. Anche se generalmente negli ultimi<br />

minuti della seduta raccontava all’arte terapeuta i fatti significativi che le accadevano,<br />

diceva sempre che le sculture che realizzava non avevano alcun significato particolare.<br />

Questa scultura [ fig. 1] non è che un esempio della sua produzione. Malgrado il<br />

disconoscimento di significato, le era però chiaro che l’impegno <strong>nel</strong> processo settimanale<br />

di creazione artistica era rilevante.<br />

Fig.1<br />

Essendo la sua arte terapeuta, capivo quanto fosse importante far sì che il processo<br />

creativo e terapeutico si dispiegasse secondo i suoi tempi, senza spingerla più<br />

rapidamente di quanto sarebbe stato appropriato in una prospettiva terapeutica. Dopo<br />

oltre due anni, fu finalmente in grado di stabilire un collegamento personale con il proprio<br />

lavoro in questa disegno [fig. 2]. Copiò il ritratto della moglie Saskia eseguito da<br />

Rembrandt e disse che il suo disegno le ricordava di quando dormiva, bambina, <strong>nel</strong> letto<br />

insieme alla nonna in campagna. Ricordò con tenerezza le visite alla nonna in campagna,<br />

poiché era l’unico famigliare con cui la signora R. aveva avuto una relazione stretta<br />

<strong>nel</strong>l’infanzia.<br />

⁄<br />

Fig. 2<br />

¤


Il tempo <strong>nel</strong>la seduta <strong>individuale</strong><br />

In genere un’ora è più che sufficiente per una seduta <strong>individuale</strong> di arte terapia, anche se<br />

con alcune utenze una durata del genere può essere eccessiva. Persone con disabilità<br />

fisiche o anziani, portatori di handicap mentale o pazienti affetti da patologie mediche<br />

potrebbero non avere l’energia o la concentrazione necessarie per riuscire a lavorare<br />

un’intera ora. E’ importante proporre una quantità sufficiente di tempo, ma diventa<br />

altrettanto importante offrire una quantità ottimale di tempo terapeutico, vale a dire non più<br />

di quello che un paziente è in grado di gestire psichicamente. Se un paziente sembra aver<br />

bisogno di una quantità apparentemente infinita di aiuto <strong>nel</strong>la sua vita, l’esperienza di una<br />

seduta troppo lunga può essere soverchiante. Il tempo terapeutico si trova su un piano<br />

diverso dal tempo ordinario, in parte perché determinato dalla capacità del terapeuta di<br />

stabilire un <strong>rapporto</strong> empatico, dalle questioni transferali, dalle aspettative terapeutiche (da<br />

parte del paziente) e dagli affetti suscitati, siano essi espressi o inconsci. La seduta<br />

diventa quindi una modalità concentrata di vivere il tempo. Una seduta troppo lunga può<br />

suscitare eccessiva ansia, stimolando troppa intensità o, al contrario, una sensazione di<br />

vuoto <strong>nel</strong>la quale il paziente si sente posto di fronte al compito di riempire il tempo. In<br />

realtà possiamo soltanto approssimare quale sia, a nostro giudizio, una durata terapeutica<br />

ragionevolmente ottimale e il paziente vi adatterà il proprio ritmo. Alcuni pazienti, come<br />

quelli citati, hanno inizialmente difficoltà a sostenere l’intera seduta, ma se il terapeuta<br />

riesce a entrare in sintonia con i loro bisogni, essi gradualmente sviluppano la capacità di<br />

fare uso di tutta la durata, risultato che può rientrare tra gli obiettivi terapeutici stabiliti. Se<br />

normalmente una seduta di psicoterapia dura 45 o 50 minuti, <strong>nel</strong>la seduta di arte terapia è<br />

necessario dedicare parte del tempo per soddisfare le esigenze particolari del processo<br />

specifico, che si declina in una serie di fasi: entrare <strong>nel</strong> processo creativo ed esplorare i<br />

materiali, sviluppare le immagini personali, dedicare uno spazio sufficiente per condividere<br />

insieme all’arte terapeuta i pensieri e i sentimenti sul processo e/o sul contenuto, riporre i<br />

materiali e pulire l’atelier. Come ho già ricordato, il tempo funge da criterio importante <strong>nel</strong><br />

definire l’ambiente di holding e occorre rispettarlo senza apportarvi ulteriori modifiche, una<br />

volta compiuta la valutazione del caso.<br />

Lo spazio <strong>nel</strong>la seduta <strong>individuale</strong><br />

Lo spazio dovrebbe essere rappresentato da un locale dove poter utilizzare facilmente i<br />

materiali artistici, senza eccessive preoccupazioni per il disordine che si verrà a creare. E’<br />

molto importante che la seduta <strong>individuale</strong> si svolga in un atelier specificamente adibito<br />

all’arte terapia, poiché ciò consente al paziente molta più libertà di quanto non possa<br />

godere se lavora in una stanza utilizzata anche per altri scopi. La presenza di moquette<br />

costituisce un problema, è infatti difficile immergersi agevolmente <strong>nel</strong> processo creativo se<br />

si è preoccupati di fare delle macchie indelebili. Tranne <strong>nel</strong> caso in cui si possa coprire il<br />

pavimento con del linoleum o un foglio di plastica spessa, è più opportuno servirsi di un


locale arredato semplicemente e dotato di una buona fonte di luce potente, preferibilmente<br />

naturale. Un tavolo pulito e molto stabile, sul quale disporre soltanto i materiali artistici,<br />

viene utilizzato come piano di lavoro. Sarebbe inopportuno utilizzare l’angolo di un tavolo<br />

ingombro, che comunicherebbe un senso di costrizione, influenzando la libertà di<br />

autoespressione del paziente. E' auspicabile avere a disposizione un lavandino <strong>nel</strong>la<br />

stanza, in sua mancanza un secchio di acqua pulita può farne le veci, evitando al<br />

terapeuta di dover uscire durante la seduta. In ogni caso la fonte d’acqua non dovrebbe<br />

distare troppo dall’atelier. Come <strong>nel</strong>le sedute di gruppo, il locale dovrebbe trovarsi in una<br />

zona riservata e avere una porta che può venire chiusa, in modo che la seduta non venga<br />

disturbata da interruzioni esterne.<br />

I materiali<br />

I materiali più appropriati per l’arte terapia <strong>individuale</strong> sono gli stessi utilizzati per i gruppi e<br />

vengono offerti perché presentano un maggiore potenziale creativo per l’espressione<br />

personale: tempere, acquarelli, creta e tutta la gamma dei materiali grafici compresi<br />

gessetti, matite colorate, pastelli ad olio e pennarelli, fogli di carta di diverse dimensioni,<br />

utensili per lavorare la creta, pen<strong>nel</strong>li, spugne ecc. Questi materiali possono essere usati<br />

sia da pazienti con scarsa preparazione o addirittura senza alcuna esperienza artistica<br />

precedente, sia da pazienti che possiedono invece una lunga consuetudine artistica,<br />

perciò occorre che la preparazione artistica dell’arte terapeuta sia molto solida, per<br />

consentirgli di comprendere il tipo di difficoltà tecniche e comunicative che possono<br />

insorgere <strong>nel</strong>l’espressione visiva. Sebbene l’arte terapeuta ponga l’accento<br />

sull’acquisizione di autonomia del paziente, in senso generale, e si sforzi di aiutarlo perché<br />

trovi le proprie soluzioni, la sua competenza e le capacità accompagnate da un uso<br />

esperto dei materiali artistici costituiscono la base essenziale del suo armamentario<br />

terapeutico. Senza una conoscenza approfondita dell’arte e della creatività e la capacità di<br />

praticarla con perizia, l’arte terapeuta sarebbe sostanzialmente menomato. Non vi è<br />

psicoterapia che possa sostituire il nucleo artistico, anche se una psicoterapia affiancata<br />

da una formazione appropriata può contribuire a svilupparlo; analogamente un artista di<br />

talento, privo di capacità terapeutiche, sarebbe altrettanto impedito.<br />

L’alleanza terapeutica in arte terapia<br />

Si è appena accennato, senza averlo peraltro chiaramente spiegato, al ruolo dell’alleanza<br />

terapeutica quale caratteristica centrale, se non la caratteristica centrale, dell’arte terapia<br />

<strong>individuale</strong>. Non se ne può certo sottostimare la rilevanza <strong>nel</strong>l’arte terapia di gruppo, ma la<br />

sua importanza cardinale è ulteriormente pronunciata in quella <strong>individuale</strong>. L’alleanza<br />

terapeutica o alleanza di lavoro fa riferimento a un concetto di derivazione psicoanalitica,<br />

che bene può adattarsi alla situazione in arte terapia. È stato Greenson (1965a) a<br />

riconoscere che accanto al transfert, con cui l’analista viene a rappresentare una figura


importante del passato, esiste anche un <strong>rapporto</strong> reale e si sviluppa la capacità di lavorare<br />

per raggiungere un obiettivo comune, che in questo caso è lo sforzo terapeutico. Egli ha<br />

definito tutto ciò alleanza di lavoro o alleanza terapeutica, la cui portata è stata<br />

successivamente ampliata da altri teorici. Gertrude e Rubin Blanck hanno aggiunto che<br />

“(...) l’alleanza terapeutica diventa lo strumento per eccellenza per lavorare con le<br />

"resistenze" del paziente” (1979, p. 161). Con questa affermazione ci viene proposta una<br />

nozione assai diversa rispetto all’approccio psicoanalitico classico che affrontava più<br />

direttamente le resistenze, laddove con lo scoprire i fenomeni inconsci si intendeva<br />

rimuovere le resistenze. Prendendo le mosse da una prospettiva evolutiva, la terapia (e<br />

non l’analisi) viene orientata essenzialmente all’Io, attribuendo così un significato a questo<br />

diverso approccio analitico. Non si ritiene più che l’abbattimento delle difese contribuisca<br />

al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, mentre occorre concentrare gli sforzi, innanzi<br />

tutto, per instaurare l’alleanza terapeutica, o alleanza operativa, affinché il lavoro stesso<br />

possa procedere. Tale alleanza non si fonda "sull’essere amici" in alcun senso, poiché ciò<br />

non farebbe che aggirare il processo terapeutico.<br />

I Blanck hanno descritto un’ulteriore dimensione dell’alleanza terapeutica che può rivelarsi<br />

utilissima: “La natura dell’alleanza è, dopo tutto, una funzione della capacità di avere<br />

relazioni d’oggetto” (1979, p. 118). Se consideriamo l’alleanza terapeutica lo strumento<br />

principale con cui sviluppare la capacità di formare relazioni d’oggetto, come suggerito dai<br />

Blanck, la relazione terapeutica offre un habitat naturale per questo compito. L’arte<br />

terapia, in realtà, è idealmente adatta per lo sbocciare dell’alleanza terapeutica, che esiste<br />

parallelamente al tranfert, eppure è separata dal conflitto ad esso intrinseco. Il processo<br />

creativo/espressivo fornisce l’opportunità concreta per ciò che può essere considerato il<br />

lavoro ‘metaforico’, che costituisce la cornice dell’alleanza terapeutica, mentre la<br />

comprensione empatica dei bisogni e degli affetti del paziente ne diventa lo sfondo.<br />

Come abbiamo visto <strong>nel</strong> caso della signora R., l’arte terapia <strong>individuale</strong> agevola lo<br />

sviluppo delle relazioni d’oggetto. Ciò era emerso con evidenza sia <strong>nel</strong> contenuto sempre<br />

più personale delle sue immagini, sia <strong>nel</strong> collegamento affettivo che la paziente riuscì a<br />

stabilire con l’arte terapeuta, via via che il <strong>rapporto</strong> si consolidava e veniva gradualmente<br />

introiettato. Quando le relazioni d’oggetto si rafforzarono vi fu un “travaso” verso altre aree<br />

della sua vita, <strong>nel</strong>le quali ebbe giovamento grazie a un miglior funzionamento generale.<br />

Prendendo in considerazione l’alleanza terapeutica <strong>nel</strong>la psicoterapia infantile, Diana<br />

Siskind scrive: “Poniamo al centro dell’attenzione il rafforzamento dell’alleanza di lavoro,<br />

promuovendo la figura del terapeuta in quanto oggetto affidabile e oggetto transferale, al


fine di facilitare la graduale capacità (del paziente) di identificazione e quindi di<br />

introiezione di un oggetto attendibile, per far sì che la rappresentazione oggettuale<br />

assuma i caratteri della sicurezza e della prevedibilità” (1992, p. 102). Come mette in luce<br />

così eloquentemente Siskind, in questo caso l’elemento fondamentale è rappresentato dal<br />

processo d’introiezione, con il duplice scopo di sviluppare sane relazioni d’oggetto e<br />

rafforzare l’Io.<br />

Sandra, una bambina di 10 anni, fu inviata in arte terapia <strong>individuale</strong> in un centro<br />

ambulatoriale di salute mentale. Manifestava qualche segno di lieve depressione, era<br />

sovrappeso, ed era diventata disubbidiente a casa in seguito alle seconde nozze della<br />

madre con un uomo che la bambina mal tollerava. Sandra si sentiva rifiutata dalla madre<br />

che, <strong>nel</strong> vissuto della bambina, la rimproverava e la criticava in continuazione, mentre non<br />

vedeva il padre naturale da oltre due anni. Lavorò in arte terapia per tutto l’anno<br />

scolastico, periodo durante il quale gradualmente riuscì a comunicare con la madre. L’arte<br />

terapeuta incontrava periodicamente la signora M., che inizialmente aveva manifestato<br />

rabbia nei confronti dell’atteggiamento e del comportamento della figlia. Dopo sei mesi di<br />

arte terapia la signora M. confidò all’arte terapeuta: “Il problema è che Sandra mi ricorda<br />

veramente me stessa”. L’ambivalenza della signora M. faceva sì che Sandra si sentisse<br />

rifiutata e tenuta a una certa distanza.<br />

L’arte terapeuta si dedicò a instaurare un’alleanza di lavoro e si concentrò sul transfert<br />

positivo che Sandra era così desiderosa di vivere. Sentirsi solidamente ‘tenuta’ in una<br />

relazione affidabile di questo genere le consentì di sentirsi più forte e maggiormente in<br />

grado di affrontare i sentimenti suscitati dai rapporti famigliari difficili e mutevoli. Questo<br />

dipinto di una pianta di avocado [fig. 3], scelto tra un’ampia produzione di immagini della<br />

giovane paziente, esprime qualcosa sul processo che ebbe luogo. Sandra si sentiva vicina<br />

all’arte terapeuta e decise di rappresentare una bella e rigogliosa pianta di avocado<br />

<strong>nel</strong>l’atelier. La sua attenzione si concentrò sul vaso, grande e robusto, che conteneva la<br />

pianta, in realtà molto più piccolo di quanto sia stato qui rappresentato. Perciò una<br />

possibile interpretazione è considerare il vaso una forma simbolica di contenimento,<br />

espressione di come Sandra si sentiva ‘tenuta’ <strong>nel</strong>l’alleanza terapeutica grazie alla quale<br />

sentì di poter sbocciare. Ecco perché reputo questa rappresentazione una manifestazione<br />

del processo di introiezione in arte terapia, mediante il quale il paziente interiorizza un<br />

nuovo oggetto buono per mezzo dell’identificazione con l’arte terapeuta.<br />


Fig. 3<br />

Alcune considerazioni particolari sul ruolo dell’arte terapeuta<br />

Il piacere, intrinseco al processo artistico, distingue in modo fondamentale la seduta di arte<br />

terapia da quella di psicoterapia. Al centro della seduta di arte terapia si ha la presenza<br />

costante dei materiali artistici piacevoli ai sensi -la tempera spessa, la creta materica e<br />

tutta la varietà dei materiali grafici– a cui si aggiunge l’elemento essenziale del gioco che,<br />

a sua volta, offre un certo grado di piacere. Il gioco può essere considerato a due livelli:<br />

quello sensomotorio e quello intellettuale, dove si produce la creazione di illusione,<br />

<strong>nel</strong>l’accezione di Winnicott (1971), <strong>nel</strong>la formazione delle immagini mentali e artistiche.<br />

Non tutti i pazienti però si sentono psicologicamente a proprio agio per poter partecipare<br />

pienamente agli aspetti potenzialmente piacevoli dell’esplorazione e della creazione<br />

artistica. Qualunque sia il grado in cui il paziente può prendervi parte, egli prova una<br />

gratificazione iniziale che sostiene i suoi sforzi continui e scrupolosi, spesso accompagnati<br />

da giudizi severi e autocritica. L’arte terapeuta si concentra sugli interventi terapeutici che<br />

contribuiscono a promuovere lo sviluppo dell’Io, prestando particolare attenzione ai segni<br />

che ne ostacolano la crescita. Al tempo stesso, come alleato dell’Io, egli compie un’opera<br />

di mediazione nei confronti degli attacchi aggressivi di un Super-io intransigente. Servirsi<br />

dei materiali artistici per entrare in un processo esplorativo libera la creatività, attraverso la<br />

metafora del gioco, rendendo la vita affettiva un poco più accessibile e contribuendo in tal<br />

modo allo sviluppo di un senso del Sé coerente. Non si sottolinea mai abbastanza quanto<br />

lungo e spesso arduo sia questo processo.<br />

Molti arte terapeuti esordienti, ma in realtà anche coloro che lavorano ormai da molti anni,<br />

vorrebbero avere maggiori certezze sul grado di coinvolgimento, verbale e artistico, teso a<br />

promuovere il processo terapeutico. Usare i materiali artistici insieme al paziente,<br />

astenersi assolutamente dal farlo, o usarli secondo modalità interattive è una questione<br />

che continuamente si pone e deve essere prima affrontata a livello teorico e poi tradotta<br />

con coerenza <strong>nel</strong>la pratica. Il fatto che un coinvolgimento attivo inibisca il dispiegarsi del<br />

processo creativo del paziente, o interferisca con esso, è un problema centrale <strong>nel</strong><br />

processo terapeutico, in particolare <strong>nel</strong> caso dell’arte terapia <strong>individuale</strong>. L’arte terapeuta<br />

può affrontare tali questioni secondo modalità leggermente diverse in base ai bisogni del<br />

paziente, ma probabilmente si possono formulare alcuni assunti di base sul processo


d’intervento e il suo esito terapeutico. Certamente il problema si pone perché molti arte<br />

terapeuti provano disagio a ‘non fare niente’ mentre il paziente crea. Alcuni sentono<br />

l’urgenza di riempire il silenzio. Se possiamo interpretare questa reazione come una<br />

risposta di tipo transferale, è comunque opportuno affrontare una serie di domande<br />

attinenti al problema. Quale vicinanza e quale distanza stabilire, quanto sovente<br />

intervenire, in che modo comprendere e promuovere il funzionamento autonomo, come<br />

‘stare insieme’ <strong>nel</strong> silenzio, quanta verbalizzazione è ottimale. Poiché il nostro può essere<br />

un ruolo che ci sconcerta ma al tempo stesso ci richiede molto, suggerirei di esaminare<br />

meglio la questione.<br />

Forse se prendiamo le mosse dalla nozione di cosa realmente significhi ‘non fare niente’<br />

possiamo individuare alcuni degli aspetti problematici sopra ricordati ed esaminare dove<br />

ci conducono. Ho la sensazione che il dilemma terapeutico sia ravvisabile <strong>nel</strong> conflitto tra<br />

l’obiettivo di promuovere il funzionamento autonomo mediante l’atto creativo e il concetto<br />

di arte terapia fondata sullo scambio, sia esso verbale o di altro genere. Più<br />

semplicemente, se il terapeuta sostiene il funzionamento autonomo, intervenendo soltanto<br />

in risposta alle indicazioni da parte del paziente che suggeriscono una necessità di aiuto,<br />

sul piano tecnico o su quello psicologico, durante la creazione delle immagini, per cui si<br />

trascorre molto tempo in silenzio, il potenziale terapeutico della seduta soffre di una<br />

mancanza di interazione reale? Dal mio punto di vista separare questi due fili crea un<br />

dilemma artificiale, poiché <strong>nel</strong>la realtà essi sono complementari e interrelati all’interno<br />

dello stesso processo.<br />

Se vogliamo rafforzare la struttura dell’Io, far sì che il paziente stabilisca dei confini dell’Io<br />

più solidi e conquisti un senso di funzionamento autonomo, egli deve sentire di aver fatto<br />

un uso di sé e delle sue capacità personali al meglio delle proprie possibilità, per giungere<br />

a padroneggiare i materiali artistici e produrre un’immagine che veramente riflette il suo<br />

stato interiore. Avere la sensazione che: “Questo l’ho fatto io”, “Questo proviene da me”,<br />

“Questa immagine incarna il modo in cui mi sento”, può essere un passo importante per<br />

forgiare il senso del Sé. Ritraendosi e assumendo una posizione “in seconda fila”, il<br />

terapeuta lascia al paziente il ruolo da protagonista, analogamente alla madre che si ritira<br />

con grande delicatezza, rilasciando quasi casualmente la presa, eppure in attenta sintonia<br />

con i movimenti di ogni muscolo del figlio quando le gambe del bambino lo sostengono<br />

saldamente <strong>nel</strong>la posizione eretta per la prima volta. Nella gloria di quel momento a lungo<br />

atteso, il bambino diventa consapevole di dove incominci e finisca il suo corpo e dove<br />

l’aria del resto del mondo lo tocchi. Sua madre non è né troppo lontana, da suscitargli il


timore di cadere e non essere preso, né troppo vicina da impedire la motilità fisica del<br />

bambino <strong>nel</strong>l’atto di equilibrare il proprio peso.<br />

Seppur riconosciamo che paziente e bambino non sono equivalenti e che i terapeuti sono<br />

altro dalle madri, sappiamo che il nutrimento promuove la crescita, e terapeuti e genitori<br />

desiderano fornire il tipo di nutrimento che apporta il massimo beneficio. In senso lato,<br />

poiché in terapia accade a livello simbolico, il nutrimento deve essere bilanciato da vincoli<br />

dettati da ragioni terapeutiche troppo numerose per esser qui esaminate. Occorre tuttavia<br />

riconoscere una duplice forma di nutrimento <strong>nel</strong>l’arte terapia, laddove i materiali artistici<br />

esistono sia simbolicamente sia <strong>nel</strong>la loro realtà fisica. Molti pazienti, quando prendono i<br />

materiali artistici, spesso hanno la sensazione di vivere un’esperienza di nutrimento.<br />

Dobbiamo perciò riconoscere che utilizzare i materiali artistici <strong>nel</strong> contesto della seduta di<br />

arte terapia costituisce già un’esperienza terapeuticamente interattiva, poiché essi sono<br />

anche simbolicamente rappresentativi dell’arte terapeuta e del processo terapeutico. L’arte<br />

terapeuta non deve interagire continuamente, e neppure sovente, perché la sua presenza<br />

venga profondamente percepita dal paziente. Quando l’interazione verbale e non (in<br />

questo secondo caso includo qualsiasi interazione con i materiali in senso tecnico, oppure<br />

un’interazione in cui l’arte terapeuta s’impegna in prima persona) si realizza sulla base<br />

della sintonia terapeutica, mediante un’attenta individuazione dei bisogni del paziente,<br />

essa troverà una più vera risonanza poiché verrà introdotta <strong>nel</strong> momento opportuno.<br />

Il lucido commento di Fred Pine, fondato sul precetto di Freud in merito alla necessità di<br />

applicare "un’attenzione uniformemente sospesa” per dipanare i fili e i temi clinici<br />

importanti, fornisce i fondamenti per tradurre il sapere teorico <strong>nel</strong>la pratica. Pine dice: “Non<br />

‘applico’ nulla. Ascolto con un’attenzione uniformemente sospesa finché non sento di aver<br />

capito qualche cosa che abbia senso dire in quella particolare seduta” (1990, p.51). Inutile<br />

aggiungere che, sebbene egli suggerisca di fare un uso libero e creativo di se stesso, pur<br />

sempre in un regime di massima restrizione, il suo commento acquista significato perché<br />

si tratta di un eminente teorico, con un sapere così bene integrato <strong>nel</strong> pensiero che la<br />

comprensione del processo è frutto della disciplina e non si situa fuori di essa. Se<br />

facciamo nostra la premessa per cui "l’attenzione uniformemente sospesa” di Freud ha<br />

un’applicabilità importante in arte terapia, possiamo incominciare a esaminare il ruolo che<br />

rivestiamo durante il processo creativo, assumendo una posizione affine alla recettività<br />

passiva. Sebbene possa sembrare che l’arte terapeuta sia semplicemente presente, a<br />

disposizione e in uno stato ricettivo, mentre si dispiega il processo arte terapeutico, la


quantità degli interventi da parte sua viene modulata in base ai bisogni del paziente e varia<br />

moltissimo da caso a caso.<br />

Tollerare il silenzio può risultare difficile per alcuni arte terapeuti che potrebbero essere<br />

tentati di interromperlo, quasi a riaffermare la loro presenza. Un silenzio eccessivo viene<br />

vissuto da parte di molti di noi come elemento ansiogeno. Per numerose ragioni<br />

controtransferali, dal timore di essere superflui alla preoccupazione di non essere<br />

sufficientemente bravi come terapeuti, troppo spesso queste ansie vengono agite, invece<br />

di essere elaborate in termini controtransferali o portate in supervisione. Alcuni terapeuti<br />

considerano eccessivamente alla lettera il concetto di terapia come scambio e hanno<br />

bisogno di tradurlo in termini concreti, senza riuscire a riconoscere che esso avviene a<br />

livello simbolico e fantasmatico. Ovviamente un atteggiamento terapeutico insensibile o<br />

non sufficientemente comprensivo, <strong>nel</strong> quale il paziente si sente psichicamente<br />

abbandonato dal terapeuta che non mostra alcuna comprensione empatica, è tutt’altra<br />

faccenda.<br />

Alcuni problemi specifici di transfert e controtransfert<br />

E’ innegabile che <strong>nel</strong> lavoro <strong>individuale</strong> si abbia probabilmente un maggior coinvolgimento<br />

da parte del paziente e dell’arte terapeuta. Probabilmente il paziente trattato in sedute<br />

individuali sviluppa una relazione transferale in tempi più rapidi e in maniera più intensa.<br />

Questo investimento personale e professionale maggiore viene percepito da molti arte<br />

terapeuti, ma spesso non viene analizzato. Ho fatto prima accenno a un elemento<br />

ansiogeno per l’arte terapeuta, in particolare se è agli esordi della professione, che sorge<br />

in risposta al funzionamento più o meno autonomo del paziente durante il processo<br />

creativo. Alcuni provano un’ansia più intensa, poiché sentono una responsabilità<br />

maggiore, trovandosi in una posizione dove possono influenzare il risultato terapeutico in<br />

senso positivo o negativo. Talvolta, quando il paziente interrompe il suo lavoro, l’arte<br />

terapeuta ha la sensazione che gli venga richiesto qualcosa, forse di dare di più. Invece di<br />

servirsi di questi sentimenti per astenersi dall’agire e riflettere per poter elaborare un<br />

insight migliore su ciò che sta accadendo con il paziente, l’arte terapeuta sente l’urgenza<br />

di intervenire. Da un punto di vista controtransferale si tratta di un problema da tenere<br />

continuamente sotto controllo.<br />

La verbalizzazione<br />

Il “fare” che la creatività comporta richiede un impegno di tipo attivo e addirittura ludico.<br />

Anche nei casi in cui la verbalizzazione è minima, il paziente ha bisogno di sentire che il<br />

suo sforzo creativo viene riconosciuto e visto. Se spesso si ritiene che il processo<br />

creativo/terapeutico poggi su processi essenzialmente non verbali e certamente durante


l’atto di creazione il paziente deve potersi concentrare senza l’intrusione di eccessivi<br />

stimoli verbali, le parole scelte e utilizzate hanno sempre una risonanza rilevante.<br />

Altrettanto importante si rivela la riflessione sulle parole non pronunciate e sulle ragioni<br />

che ci portano a moderare possibili interventi. Quando l’arte terapeuta compie troppi<br />

interventi verbali il centro dell’attenzione terapeutica diventa rarefatto e il paziente ne può<br />

integrare soltanto in piccola parte. Se ricordiamo il commento di Pine sull’intervento<br />

terapeutico e ci concentriamo unicamente su ciò che ci sembra essenziale, le nostre<br />

parole fungeranno da vero e proprio contenitore terapeutico, come è nostra intenzione.<br />

La verbalizzazione costituisce una modalità importantissima per affermare e convalidare<br />

l’esperienza, che si tratti del processo creativo o dell’insight. La relazione, <strong>nel</strong>l’arte terapia<br />

<strong>individuale</strong>, si sposta inevitabilmente su una modalità in qualche modo non verbale e ciò<br />

comporta una formazione più solida da parte del terapeuta. Anche se egli si astiene dal<br />

tentativo di compiere il lavoro dello psicoterapeuta, è indispensabile una supervisione del<br />

lavoro <strong>individuale</strong> condotta da un arte terapeuta con una buona esperienza, almeno per<br />

sapere dove e in che modo inserire dei freni terapeutici. L’arte terapeuta deve imparare<br />

quali sono gli interventi verbali che più gioveranno al paziente al fine di agevolare il suo<br />

processo creativo/terapeutico.<br />

Nell’arte terapia <strong>individuale</strong> si può riscontrare un forte tendenza a compiere un lavoro<br />

interpretativo, poiché alcuni arte terapeuti sperano che, offrendo un insight al paziente, il<br />

trattamento della patologia subirà una svolta verso il miglioramento. Poiché le immagini<br />

sono fortemente evocative della vita affettiva e ricche di significati personali e il paziente<br />

normalmente nutre una grande fiducia <strong>nel</strong> terapeuta, che gli comunica un atteggiamento<br />

accogliente ed empatico desiderando genuinamente di aiutarlo, spesso può verificarsi un<br />

abuso non intenzionale <strong>nel</strong>l’abitudine interpretativa. Se tale tendenza non viene controllata<br />

può essere psicologicamente pericolosa per il paziente. Nel caso di un paziente<br />

disponibile, facilitare il suo processo di autocomprensione o la valutazione delle sue<br />

circostanze esistenziali mediante la metafora del processo artistico creativo può essere<br />

utile, ma soltanto se un insight del genere deriva dal paziente stesso. L’arte terapeuta<br />

deve continuamente e delicatamente “tastare il terreno” di questo stato di disponibilità,<br />

prima di avventurarsi oltre. L’importanza della cautela non si sottolinea mai abbastanza.<br />

Penetrare l’inconscio per mezzo dell’interpretazione è intrusivo, poiché vengono aggirate<br />

le difese dell’Io del paziente. Interpretazioni mal indirizzate e premature hanno un effetto<br />

destabilizzante e possono generare un’ulteriore regressione in una struttura psichica già<br />

fragile o vulnerabile. Non vogliamo escludere qualsiasi tipo di interpretazione, ma neanche<br />

aggirare l’Io e le sue difese. Ancora una volta è inestimabile il valore della supervisione in<br />

questo ambito.<br />

Consideriamo ora l’acuto commento di Diana Siskind in merito alla psicoterapia <strong>individuale</strong><br />

con i bambini, poiché la sua chiarezza offre agli arte terapeuti un’ampia possibilità<br />

applicativa. Così scrive: “La moderazione terapeutica è uno degli aspetti cruciali di un


tempismo avveduto. E’ importante riconoscere alcuni dei temi inconsci, poiché tale<br />

riconoscimento ci offre un’immagine vivace delle forze con le quali (il paziente) combatte a<br />

molti livelli, e questo tipo di esplorazione da parte nostra arricchisce il nostro lavoro. Ma<br />

dobbiamo in parte tacere questo insight, rischiando altrimenti di introdurre<br />

prematuramente del materiale che ingenera ansia nei nostri pazienti o li induce a credere<br />

che abbiamo delle idee molto bizzarre.” (1992, p. 206).<br />

Conclusioni<br />

In questo capitolo ho offerto una visione d’insieme dell’arte terapia condotta in sedute<br />

individuali da una prospettiva evolutiva delle relazioni d’oggetto. Riferendomi al lavoro<br />

clinico ho tentato di individuare alcuni dei requisiti indispensabili e i punti teorici intrinseci<br />

alla relazione terapeutica necessari per agevolare il processo arteterapeutico. Ho<br />

delineato il ruolo dell’arte terapeuta in relazione con gli altri membri dell’équipe e illustrato<br />

le indicazioni a favore dell’introduzione dell’arte terapia <strong>individuale</strong> e quelle contro tale<br />

modalità. Era mia intenzione fornire una prospettiva fondamentale di questo lavoro<br />

ponendo l’accento su alcune condizioni che trasformano l’atelier in uno spazio terapeutico,<br />

in particolare i concetti di tempo, di spazio, dei materiali artistici e il concetto di ambiente di<br />

holding. Inoltre l’alleanza terapeutica o alleanza di lavoro dà un senso prospettico al ruolo<br />

terapeutico e alla collocazione del transfert. Ho accennato alle questioni di transfert e<br />

controtransfert mettendo anche in luce le differenze che sorgono <strong>nel</strong> lavoro <strong>individuale</strong><br />

rispetto a quello di gruppo. Infine ho esplorato l’ambito degli interventi, verbali e non,<br />

dell’arte terapeuta partendo dalla prospettiva dello sviluppo dell’Io.<br />

In uno spazio contenuto ho cercato di offrire una visione comprensiva, per quanto<br />

possibile, dell’argomento, includendovi un po’ di teoria e presentando alcune delle sfide<br />

che continuamente ci troviamo ad affrontare <strong>nel</strong> nostro lavoro. Rivolgendomi sia agli arte<br />

terapeuti esordienti sia ai colleghi con maggiore esperienza ho tentato di compiere una<br />

selezione delle questioni che hanno finora presentato delle ambiguità. Tuttavia, continuare<br />

a esaminare le diverse problematiche e cercare di darne spiegazione contribuirà a capire<br />

sempre meglio il tipo di lavoro <strong>individuale</strong> tanto necessario <strong>nel</strong> campo della salute<br />

mentale.

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