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Il modello fenomenologico - A. Taverna

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<strong>Il</strong> <strong>modello</strong> <strong>fenomenologico</strong>Alberto <strong>Taverna</strong>IntroduzioneLe basi filosofiche e le applicazioni in psichiatria della fenomenologia sono già state trattate nelcapitolo “Arte e follia”. In questa parte sono approfondite le conseguenze cliniche rispetto alle artiterapie di questa impostazione, anche se viene dato ampio spazio all’analisi esistenziale diBinswanger, perché ha profondi legami con gli attuali sviluppi arteterapeutici. Occorre però fare unapremessa, poiché non si può propriamente parlare di un <strong>modello</strong> <strong>fenomenologico</strong>, che dia spazio aduna teoria e ad una pratica psicoterapeutica, anche se vi è una certa affinità con la psicologiaanalitica junghiana.Quest'aspetto, per altro cruciale, è sempre difficile da chiarire attraverso una spiegazione teorica,anche perché l’approccio <strong>fenomenologico</strong> è in un certo senso una visione a-teorica della praticaclinica. Pertanto cercherò di illustrare lo sguardo <strong>fenomenologico</strong> sulla terapia, attraverso delleimmagini che sono, coerentemente con il lavoro delle arti terapie, delle metafore della realtà.In Dresda vi è un museo, la Gemaldegallerie, dove sono conservati alcuni dei quadri più famosi dellastoria dell’arte, esposti in modo caotico, insieme ad altre centinaia di quadri. L’insieme èassolutamente stupefacente. Muri assiepati di opere, decine di quadri, di ritratti osservano chi entra,creando un senso di assoluto spaesamento. A chi si trovi a visitare la Gemaldegallerie, può capitare dipassare in una sala dove sono esposti decine di dipinti di scuola olandese. Sono quadri piccoli, messiuno sull’altro in una disposizione che sembra casuale. I soggetti sono molto simili tra loro, interni,vedute, navi. Tuttavia anche ad uno spettatore distratto non può mancare di sentirsi attirare lo sguardoverso un quadro in particolare, che esercita una forma di magnetismo poco appariscente. A primavista non è molto diverso dagli altri, una giovane donna, in una stanza, legge una lettera illuminatadalla luce della finestra. Prima ancora di ricordare che certo, è un quadro famoso, visto in chissàquante riproduzioni, ci si sente risucchiati in quella realtà. Sono molti gli aspetti che creano la magiadel dipinto. Innanzi tutta la cura dei particolari, le sfumature delle decorazioni del tappeto appoggiatosulla credenza, i dettagli del quadro appeso alla parete, la precisione con cui è descritto l’abito dellafanciulla. Poi la luce, particolare, che entra dalla finestra e che si spande a permeare tutto l’ambiente,come se non provenisse da nessun punto preciso, la sensazione che sia rappresentato persino ilpulviscolo dell’aria nei suoi vorticosi movimenti. Tuttavia se uno si sofferma, si rende conto che non èla scena descritta, ma il modo di guardarla che crea quest'effetto particolare. <strong>Il</strong> pittore, Vermeer,partecipa senza sovrapporsi, senza prendere posizione all’episodio. Nel quadro è come se siaffacciasse da una porta aperta, senza entrare nella stanza, osservando la ragazza senzasorprenderla, ma essendo presente. Gli stati d’animo sono descritti, non commentati, l’espressionedella ragazza non è misteriosa, né irraggiungibile come in certe opere del Rinascimento, ma allo


stesso tempo non c'è dato di capire quale preciso stato d’animo provi. La capacità del pittore èappunto quella di cogliere le sfumature tra uno stato d’animo e l’altro, inserendole perfettamente nellospazio fisico e sociale della ragazza che legge la lettera. La finestra aperta lascia entrare la luce dafuori, ma tutto l’interesse è concentrato nella descrizione di ciò che avviene sul viso, più che nell’animadella fanciulla.Probabilmente se lo stesso visitatore accendesse la radio e si trovasse ad ascoltare “Rendering” diLuciano Berio, si accorgerebbe forse di provare stati d’animo simili a quelli vissuti davanti al quadro diVermeer. Si tratta di una composizione del 1989, in cui Berio ricostruisce gli appunti della DecimaSinfonia di Schubert, componendo un’opera che appartiene a Schubert, ma anche di Berio. L’autore èpresente nella scrittura, ma anche assente, nell’adattarsi a seguire le pieghe dello stile del suopredecessore. Tra le parti della sinfonia, vi sono degli accostamenti fatti con la celesta che purseguendo il linguaggio contemporaneo si fondono meravigliosamente con lo stile romantico sinfonico,peraltro ricostruito da Berio con la sensibilità del tardo novecento.Questi esempi vogliono evidenziare l’aspetto tipico della fenomenologia, la presenza discreta, attentaalle manifestazioni dell’animo, che non si fa contaminare da idee o modelli teorici del soggettoosservante e la capacità di dialogare, d’essere-con qualcuno senza rinunciare alla propria identità, masenza neanche sovrapporsi a quella dell’altro. Per quanto riguarda l’aspetto clinico, avere unosguardo <strong>fenomenologico</strong> significa essenzialmente considerare che il modo in cui una persona dipinge,suona, danza, non è in sé diverso dal modo in cui quella persona comunica con gli altri alla fermatadel tram, sul lavoro, al ristorante. Infatti, tutti questi sono aspetti del suo specifico modo di essere nelmondo. Dipingere per anni lo stesso quadro, che rappresenta un paesaggio romantico da cartolina,non è necessariamente una difesa, ma può anche essere la manifestazione di una strutturadell’essere di quella persona, che si rifletterà in modo simile sia che danzi, sia che si rapporti con ilpartner.L’analisi esistenziale di Binswanger<strong>Il</strong> concetto di essere-nel-mondo consente, nell’analisi esistenziale di Binswanger, di comprenderetanto l’alienato quanto il sano come appartenenti allo stesso mondo: il malato di mente è colui il quale,nell’alienazione ha trovato l’unico modo per lui possibile di essere-nel-mondo. Da questo nuovoapproccio al malato discende anche la diversa impostazione nella conduzione delle attività di arteterapia. Scopo principale, infatti, non è più quello di far produrre materiale per l’analisi diagnostica eclinica, ma lo sviluppo e il sostegno dell’attività creativa del paziente, alla quale si attribuisce un valoreintrinsecamente terapeutico. L’individuo è visto come protagonista all’interno delle dinamichedell’attività stessa e dei suoi processi relazionali con gli altri e con il mondo. Le immagini che ilpaziente produce durante un incontro di arteterapia sono viste come manifestazioni del suo modo diessere-nel-mondo, come espressione di un individuo unico ed irripetibile e possono diventare unmezzo per accedere al suo Io individuale; in altre parole, le strutturazioni esistenziali del malato sonoviste in sé come significati, anche se appaiono difficilmente rapportabili a quelle “normali”. L’interesse


si sposta dal prodotto isolato al producente ed alla globalità del contesto generale, perché spostarel’accento sui problemi della comunicazione significa in definitiva rivolgere l’attenzione, anziché alsoggetto isolato, al soggetto nel contesto storico-sociale, cioè alle relazioni fra il paziente ed ilterapeuta, fra il paziente gli altri membri del gruppo di arte terapia, fra il paziente, le situazioni e lepersone esterne al gruppo, infine fra il paziente ed il mondo.Se la struttura costitutiva all’uomo è l’essere-nel-mondo, nel senso di essere con gli altri,l’atteggiamento di ascolto e la comunicazione con il malato mentale sono anche una via perautocomprendersi. Diventa fondamentale per il terapeuta confrontarsi con i vissuti del malato, calarsinel suo delirio, entrare in contatto dialogico con esso per recuperare la parte libera della personalitàdel paziente. Reciprocità, identificazione vicendevole, condivisione e creazione di simboli comuni sonoalla base dell’intervento terapeutico secondo l’ottica fenomenologica. Quest’atteggiamento neiconfronti del paziente risulta evidentemente in sintonia con l’approccio <strong>fenomenologico</strong> inaugurato daBinswanger che ha messo luce, come si è visto, le motivazioni esistenziali dello sforzo comunicativoche vanno tenute presenti accanto a quella medica e socio-economica. Nell’ambito diquest’orientamento, le arti terapie, in quanto creazione di situazioni di comunicazione particolarmenteindicate per coloro che necessitano di esprimersi attraverso modalità non verbali, rappresentano unaforma di terapia secondo il senso più ampio che questo termine ha assunto grazie alle scienzepsicologiche. Esso, infatti, va molto al di là dello stretto significato medico di somministrarepassivamente una medicina: “terapia significa instaurare un rapporto empatico, stabilire una relazioneapprofondita di confronto con la persona, avendo la capacità di accogliere, di assorbire e far evolvere”(Benassi, 1985). Esistono nel <strong>modello</strong> <strong>fenomenologico</strong> per altro alcune caratteristiche che influenzanodirettamente sia le tecniche di conduzione, sia il metodo di lavoro; in quanto il fine terapeutico è diricostruire all’interno della solitudine esperienziale e comunicativa della psicosi, la possibilità discoprire un “mondo comune” (Binswanger 1960), o in altre parole, il riconoscimentodell’Intersoggettività come base per ogni comune esperienza. Gasca (1991) ha osservato come lacostruzione di questo mondo comune sia ostacolata dalla difficoltà di accedere a un linguaggioverbale condiviso da parte di soggetti psicotici, in cui ogni singola frase apparentemente condivisa sicarica di messaggi o significati artistici minacciosi e allusivi. L’uso di immagini artistiche permette disuperare la rigidità del linguaggio verbale e di accedere a un mondo di significati che rimandano amolteplici significati. In questo modo è possibile un’esperienza comunicativa che si apre allamolteplicità dei piani dell’esperienza psicotica in maniera non riduttiva.Ne consegue sul piano della prassi che l’intervento <strong>fenomenologico</strong> presuppone un gruppo nongerarchico, nel quale i conduttori partecipano all’esperienza (disegnando, danzando, ecc…) allostesso modo dei pazienti non in quanto detentori di una verità di rivelare tramite l’interpretazione(pratica che reintroduce una lettura riduttiva delle immagini) ma semplici custodi del gruppo che,immergendosi nella sua realtà, permettono/favoriscono l’incontro dei vari mondi soggettivi in unmondo comune che prende forma nelle rappresentazioni estetiche proprie di ogni tecnica.Date queste considerazioni si può anche osservare come tale <strong>modello</strong> sia particolarmente efficace neiconfronti di soggetti psicotici, in un contesto (ad. es. in un Centro Diurno) che si proponga una


dimensione terapeutica e mantenga nei pazienti una relazione dinamica ed evolutiva con il mondoesterno. In questa prospettiva, !a specificità terapeutica di qualsiasi forma artistica consiste nelprocesso in cui quella comunicazione interpersonale che è andata parzialmente o totalmente distruttaattraverso il linguaggio normale è resa possibile grazie al linguaggio simbolico e anche attraversoquelle forme di comunicazione simbolica translinguistica come pittura, danza, ecc.Per Borgna (l995) “se l’esperienza psicotica si costituisce nel contesto di una relazione autisticadivorata da orizzonti di senso irreali e astratti, cosa significativa ai fini terapeutici non può non esserequella di aiutare i pazienti in questo confronto con problemi reali e concreti, anche con esperienze diarte terapia”. Queste osservazioni rimandano alla necessità di costruire come precondizione perqualsiasi terapia della schizofrenia, un mondo comune di significati, emotivi, prima che cognitivi, con ipazienti.Inoltre la condivisione di un’esperienza emotiva, che ha anche contenuti pratici, rappresenta i duemomenti attraverso i quali si orienta l’intervento terapeutico: un “essere con” il paziente che diventa un“fare con” lui, man mano che la relazione si struttura e si rafforza. Nel nostro caso il vantaggio delleterapie che usano l’immagine (non solo pittorica, ma anche musicale, corporea) come medium dellacomunicazione, rispetto a quella verbale, è la possibilità di utilizzare contemporaneamente più codici epiù contenuti, anche in contraddizione tra loro, rispecchiando, in questo modo alcuni aspetti tipici delmondo comunicativo psicotico. Le terapie espressive-analogiche, infatti, agiscono sulla struttura dibase della personalità, sulle aree sane, arginando e accettando le emergenze sintomatiche. Del restoil produrre forme artistiche e condividerle richiede la presenza di un io minimamente strutturato e ilrapporto terapeutico, mediato dall’opera, agisce nell’incontro tra i diversi sé dei conduttori e deipazienti.Le Arti Terapie devono comunque mantenere viva la possibilità di favorire la permanenza degli aspettioriginali della storia individuale della persona. L’insieme delle inclinazioni dei caratteri, unite alleesperienze fatte nella vita possono determinare un’inclinazione verso una determinata formaespressiva e di conseguenza l’efficacia dell’incontro tra una tecnica e una persona.Le difese dei soggetti psicotici sono molto fragili e sono spesso l’unica risorsa di relazione con ilmondo esterno. La non-intrusività è un atteggiamento di lento e paziente avvicinamento al sensodell’esperienza del paziente (Palazzi e <strong>Taverna</strong> 1998). Pertanto il terapeuta non si propone dipenetrare il mondo interno del paziente attraverso l’interpretazione diretta, verbale, o quella analogica,anche se dopo una lunga frequentazione ai gruppi ciò accade.Minkowski (1993) afferma: “nelle interpretazioni deliranti il campo dei significati è esteso oltre misura.<strong>Il</strong> pensiero procede per similitudini ed identità e scopre analogie e somiglianze cui solitamente nonprestiamo attenzione”. Può accadere dunque che l’uso del colore rosso, la scelta di una musica, ilgesto affrettato di un altro paziente, una risata, giungano a simbolizzare qualcosa, attraverso unacatena di nessi arbitrari e del tutto personali. <strong>Il</strong> lavoro con le Arti Terapie può aiutare a risignificarequell’apparente simbolo, arbitrariamente scoperto dal paziente, restituire a quella risata la sua valenzadi suono allegro e non denso di occulti significati.


Soprattutto per gli schizofrenici, il cui mondo si è ridotto a una serie di schemi semplici, pazienti cheper difesa hanno assunto comportamenti estremamente semplificati, è spesso una gioia potersinuovamente accostare alle immagini, ambigue e flessibili da loro prodotte, siano un suono, unmovimento o un disegno. Riscoprono così il piacere di simbolizzare, di immaginare, di progettare eprogettarsi sempre meno angosciati dalle molteplicità del possibile, insita nei simboli e nelle immagini.Questo approccio deriva dalla consapevolezza che in ciò che produce il soggetto nel trattamento nonci sono verità da svelare, ma solo modi di essere nel mondo che anelano a manifestarsi, prendereforma e, come tali, sono di uguale valore e significato.Le Arti Terapie sono, infatti, forme di terapie “deboli”, nel senso filogenetico del termine, non fanno inaltre parole riferimento su modelli psichiatrici forti, che diano una definizione certa sulle cause deidisturbi e sull’efficacia causale di alcuni trattamenti, ma tendono a valorizzare le emergenzeindividuali, che si manifestano nella produzione creativa. Quello che viene sottolineato sono i singolimondi espressivi, frutto delle storie personali, dei legami stabiliti con la realtà, le differenze insomma,assai più che analogie legate alla diagnosi (Palazzi e <strong>Taverna</strong>, 1997).ConclusionePur avendo chiarito che l’approccio <strong>fenomenologico</strong> non rappresenta un <strong>modello</strong> in senso stretto, sipuò considerare che presenta una maggiore utilità nel trattamento di patologie gravi, in particolarepsicotiche, in quanto in questi disturbi sono maggiormente compromesse le capacità di con-dividere leesperienze soggettive attraverso le forme comuni di comunicazione verbale e di attribuire un sensocomunemente condiviso a vissuti e situazioni. Per quanto riguarda le singole forme di arte, non ritengoche una forma di espressione sia più adatta di un’altra per una conduzione fenomenologica. <strong>Il</strong> puntocentrale è che attraverso l’approccio <strong>fenomenologico</strong> viene evidenziata la struttura costitutiva dellapersona, il suo specifico modo di essere nel rapporto con gli altri, sia che danzi, sia che dipinga, siaanche che prenda il treno. La peculiarità delle attività espressive è di permettere la manifestazione diquesto modo di essere all’interno di un’esperienza ludica e gratificante.In chiusura mi preme sottolineare che l’approccio <strong>fenomenologico</strong>, come già detto, è più uno sguardoparticolare nella relazione con il paziente, che non una specifica tecnica psicoterapeutica. In questosenso non è legato al mondo della psicoterapia, con il suo setting e le sue regole, ma appartieneanche all’ambito della risocializzazione e della riabilitazione. Infatti, condurre un laboratorio espressivoè un sistema valido quanto quello di una psicoterapia artistica per cogliere il particolare modo diesprimersi di un paziente e di entrare in contatto con lui; essere-con il paziente. Naturalmente questonon significa semplicemente stargli vicino o aiutarlo a realizzare il suo lavoro, ma condividererealmente con lui l’esperienza di partecipare alla creazione di un’immagine, facendo risuonare dentrodi sé i suoi stati emotivi. In tal modo l’assenza di un setting preciso può essere, per alcuni pazienti,una condizione preziosa per aiutarci a entrare nel loro mondo di immagini. In altre parole, svelato ilmodo di essere nel mondo e con gli altri di un paziente nei laboratori espressivi, che per la bassarichiesta di coinvolgimento emotivo facilitano un primo approccio in pazienti molto difesi, si può


passare a una psicoterapia anche artistica più incisiva, se opportuno e quando il paziente haraggiunto un sufficiente grado di fiducia.

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