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Borut <strong>Spacal</strong><br />
Un fiore nella notte<br />
Frammenti dalla vita<br />
di mio padre<br />
Da anni il pomeriggio della domenica era dedicato<br />
alle passeggiate. All'inizio erano molto lunghe.<br />
Tu ti appoggiavi al bastone con la mano destra e con<br />
la sinistra ti sostenevi al mio braccio. Da Piazza<br />
Venezia c'incamminavamo di solito lungo le rive, fino<br />
a raggiungere il campo Marzio e poi lungo il viale<br />
alberato di Sant'Andrea ad osservare quello che<br />
rimaneva dei cantieri navali. Sosta obbligata ai Campi<br />
Elisi, di fronte alla casa dove hai trascorso la tua adolescenza.<br />
C'incamminavamo poi in salita, dove un'altra<br />
sosta bisognava farla davanti all'ex prigione di Via<br />
Tigor, che un tempo ti ospitava. La passeggiata proseguiva<br />
per Via Cavana, fino a piazza dell'Unità; da<br />
qui sul molo Audace e ritorno per le rive fino a piazza<br />
Venezia.<br />
Ora siamo nel 2000, prossimo a compiere i novantatré<br />
anni, le tue forze sono scemate e le passeggiate si<br />
sono fate progressivamente piu corte, tanto che da<br />
qualche mese ci limitiamo ad attraversare le rive, raggiungere<br />
il mercato del pesce, il molo Venezia e<br />
ritornare al tuo appartamento di Piazza Venezia<br />
numero quattro. La tua debolezza, comunque, non ti<br />
fa desistere da questi impegni domenicali e nessuno<br />
può convincerti di rinunciare qualche volta alla<br />
passeggiata con tuo figlio. Stavo restituendoti, papà, il<br />
tempo che tu mi hai dedicato quando ragazzino mi<br />
trascinavi per i campi a cercare la mela d'oro.<br />
Durante la tua lunga vita non eri mai ammalato: non<br />
una frattura, non un'operazione seria, non una malattia<br />
che ti costringesse al ricovero in ospedale. Quelle<br />
rare volte che rimanevi bloccato con la tua schiena,<br />
non hai resistito più di qualche ora nel tuo letto, poi<br />
dovevo portarti a peso nel tuo studio, perché non<br />
riuscivi a separarti a lungo dai tuoi pennelli. Da un<br />
anno tutto è cambiato e una settimana si, una no,<br />
<strong>Lojze</strong> <strong>Spacal</strong><br />
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dobbiamo correre in ospedale: una volta il cuore, poi<br />
la flebite, poi un'emorragia digestiva. All ultimo<br />
ricovero ho cercato di capire dai medici di reparto,<br />
cos'altro dobbiamo ancora aspettarci. La risposta era<br />
chiara: "Caro collega, all'eta di novantatré anni non<br />
c'è organo del nostro corpo che rimanga intatto e la<br />
vita di tuo padre evolve inesorabilmente verso la<br />
fine."<br />
Era una domenica di aprile. Tu eri uscito da pochi<br />
giorni dal centro clinico di Lubiana, ma quando hai<br />
saputo che era domenica, non c'era verso di convincerti<br />
a rinunciare alla passeggiata.<br />
Preparativi interminabili per farti vestire e soprattutto<br />
mettere le scarpe, ma le scarpe non ci stanno in nessun<br />
modo sui tuoi piedi gonfi ed infine abbiamo<br />
deciso di uscire in ciabatte.<br />
Come sei diventato piccolo, papà, non mi arrivi nemmeno<br />
alle spalle e si che anni fa eri orgoglioso della<br />
tua statura atletica. Ti infiliamo un giubbotto, metti in<br />
testa un cappello che ti copre quei pochi capelli<br />
bianchi che ti sono rimasti, nella mano destra il bastone,<br />
con la sinistra ti appoggi al mio braccio, ma i<br />
tuoi piedi non vogliono in nessun modo staccarsi dal<br />
pavimento. Su, papà, alza i piedi e fai un passo<br />
deciso, uno, due, tre. I piedi rimangono incollati e tu<br />
li trascini in qualche modo facendo dei passetti microscopici.<br />
Ci vogliono dieci minuti soltanto per raggiungere<br />
l'ascensore e quindi la prima delle innumerevoli<br />
pause che dovremmo fare durante la nostra passeggiata.<br />
Sei sempre piu silenzioso. Certo non sei mai stato un<br />
chiacchierone, ma adesso sembra quasi che le parole<br />
non vogliano staccarsi dalle corde vocali, come i tuoi<br />
piedi dal pavimento.