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Dispensa, sitografia e allegati corso autismo - Direzione Didattica II ...

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La collaborazione fra professionisti e genitori<br />

Paola Visconti – neuropsichiatra infantile – responsabile Ambulatorio Autismo dell’Ospedale<br />

Maggiore di Bologna<br />

Tratto da:<br />

Autismo Oggi, Fondazione ARES, settembre 2001, pp.8-11,<br />

La storia del rapporto fra professionisti e genitori di bambini con Autismo o più genericamente con Disturbi<br />

della Comunicazione può essere annoverata nell’ambito di uno dei più dolorosi “misunderstanding” della<br />

psichiatria infantile, dove nel tentativo di comprendere le ragioni della patologia di questi bambini si sono<br />

per lungo tempo scambiate le cause per gli effetti. A tutt’oggi non si può definire completamente risolta, ma<br />

le ricerche dell’ultimo decennio, soprattutto in campo genetico, hanno ormai chiaramente delineato le origini<br />

neurobiologiche del disturbo, il suo essere inscritto nel patrimonio genetico dell’individuo fin da prima della<br />

nascita, la sua presenza con percentuali nettamente più elevate nei gemelli monozigoti, malgrado la<br />

penetranza e l’ereditarietà siano estremamente complesse e “il” o “i” meccanismi in causa (dismetabolici,<br />

strutturali, etc.) sfuggano ancora ad un preciso riconoscimento.<br />

Dopo la prima descrizione di Kanner nel 1943 che a tutt’oggi va ritenuta valida per molti aspetti, ci si muove<br />

per anni in un clima culturale che riteneva terapeutica la separazione di questi figli problematici dai genitori<br />

ritenuti, se non colpevoli, comunque in gran parte corresponsabili della patologia del figlio; quest’ultimo<br />

pertanto veniva per esempio allontanato e posto in un ambiente residenziale con l’intento di aiutarlo ad<br />

uscire faticosamente dalla sua chiusura e dal suo isolamento; l’obiettivo era la ricostruzione faticosa di quel<br />

Sé che i suoi genitori, la madre in particolare, non avevano saputo o potuto formare insieme a lui.<br />

Dobbiamo attendere i primi anni sessanta per cominciare ad<br />

intravedere i primi timidi segnali di dissenso da parte di due professionisti. Rimland, psichiatra e genitore<br />

egli stesso di un bambino autistico, pubblica il libro “Infantile Autism” nel 1964 dove comincia a prendere in<br />

esame le origini biologiche del Disturbo.<br />

Schopler, anch’egli psichiatra e ricercatore agli esordi, inizia a gettare le basi della Divisione TEACCH,<br />

dove assume una posizione radicalmente innovativa: i genitori vanno coinvolti nel trattamento dei loro figli.<br />

Infatti la terapia in uso allora (metà anni sessanta), nel luogo in cui lavorava Schopler, si basava sulla<br />

formazione di gruppi di bambini affetti da <strong>autismo</strong> ai quali era permessa una libera espressione del loro<br />

sentire, nell’intento di risvegliare le loro parti più compromesse. Il risultato, per quanto era possibile vedere,<br />

era una situazione caotica con livelli estremi di ansia sia nei bambini che nei terapeuti, con conseguente<br />

ingravescenza dello stato depressivo dei genitori.<br />

Schopler ipotizza allora che questi bambini possano essere messi in grado di funzionare meglio in una<br />

situazione educativa strutturata, che l’<strong>autismo</strong> possa essere causato da una anomalia cerebrale e soprattutto<br />

che i genitori possano essere coinvolti nel trattamento, agendo come “collaboratori”. E, per quella che poteva<br />

essere allora considerata una presa di posizione ai limiti del rivoluzionario, Schopler riceve l’appoggio<br />

dell’Istituto Nazionale di Igiene Mentale statunitense e sulla base delle prime positive sperimentazioni crea<br />

la Divisione TEACCH. La ricca e proficua collaborazione fra famiglie ed operatori prosegue tuttora,<br />

incentivata regolarmente dalle amministrazioni e dagli Istituti che presiedono al finanziamento della ricerca<br />

visti i costanti e considerevoli risultati raggiunti fino ad ora.<br />

In questo tipo di approccio, di stampo cognitivo-comportamentale, i genitori diventano coautori del progetto<br />

terapeutico-riabilitativo e viene loro data la possibilità di mettere in campo la loro esperienza e conoscenza<br />

sul figlio unitamente alle strategie che durante gli anni hanno riscontrato come più efficaci nella gestione dei<br />

comportamenti-problema.<br />

1


Gli elementi fondamentali di questa collaborazione comprendono le quattro seguenti modalità di<br />

Interazione Professionisti/Genitori:<br />

Rapporto tradizionale nel quale i professionisti/operatori rappresentano gli esperti nel campo per le<br />

conoscenze teoriche che possiedono, per la formazione che hanno sostenuto e per l’esperienza accumulata<br />

negli anni lavorando con altri bambini/adolescenti/adulti<br />

affetti da Autismo.<br />

I genitori rappresentano a loro volta i maggiori esperti per quanto riguarda loro figlio e possono pertanto<br />

suggerire tecniche e strategie che si sono rivelate utili in passato; essendo inoltre le persone a più stretto<br />

contatto con il bambino ed avendo tutte le motivazioni per vivere quanto più possibile in armonia hanno il<br />

diritto di delineare le priorità del progetto riabilitativo sia per quanto attiene al presente che in una<br />

prospettiva futura.<br />

Gli operatori ed i genitori possono reciprocamente offrirsi sostegno emotivo, considerata la cronicità del<br />

disturbo e quindi la lunghezza del per<strong>corso</strong> da compiere e gli inevitabili momenti di frustrazione o di<br />

scoraggiamento da ambo le parti. Anche se nella maggior parte dei casi sarà compito dell’operatore trovare<br />

una strategia più produttiva per quel tipo di comportamento-problema e sostenere il genitore nelle inevitabili<br />

tappe che accompagnano il lavoro di elaborazione sulla malattia del figlio (depressione, rabbia, ansietà,<br />

iperentusiasmi, etc.), talvolta sarà il genitore che potrà ricordare il per<strong>corso</strong> compiuto, il lavoro svolto<br />

insieme o che confermerà all’operatore la sua fiducia.<br />

Un impegno comune di fronte alla legislazione ed alle amministrazioni rispetto allo sviluppo di servizi sia<br />

per quanto attiene all’assistenza che alla ricerca, avendo ben presenti le necessità attuali e future di questi<br />

soggetti.<br />

Nella pratica quotidiana il primo momento di effettivo incontro è costituito dalla partecipazione dei genitori<br />

al processo diagnostico e valutativo più globalmente.<br />

I genitori dietro allo specchio unidirezionale assistono alla valutazione informale e formale (con test) del loro<br />

bambino ed insieme a loro è presente un operatore che raccoglie le loro impressioni, discute con loro i vari<br />

comportamenti del bambino, richiede la loro impressione sulla veridicità dell’atteggiamento del bambino<br />

(ovvero se risulta analogo a quanto da loro osservato in ambito famigliare); in sintesi vengono fatti partecipi<br />

del per<strong>corso</strong> diagnostico e delle abilità o degli insuccessi del bambino, in maniera tale che nel momento del<br />

giudizio diagnostico finale e dell’elaborazione del piano di intervento ci si possa confrontare su un “bambino<br />

comune” , un bambino che, al di là di quanto ha potuto “rendere” in quelle sedute, è “il bambino” che tutti<br />

(professionisti e genitori) abbiamo conosciuto.<br />

Altro momento di incontro è rappresentato dal colloquio di restituzione sia per la diagnosi che per il profilo<br />

funzionale.<br />

In questo caso l’attenzione dell’operatore dovrà essere massima: in primo luogo sapendo accogliere il dolore<br />

dei genitori e poi aiutandoli nel per<strong>corso</strong> di elaborazione che, se attuato, permette di investire energie sul<br />

fronte educativo-abilitativo.<br />

Va ricordato che per i genitori è estremamente utile una corretta informazione sulla diagnosi ed<br />

al contrario posticiparla o “annacquarla” con termini più vaghi o generici, se si hanno in mano elementi di<br />

comprovata validità, rende ancora più difficile la presa di coscienza del problema.<br />

Tuttavia la diagnosi non rappresenta che il primo passo. Con i genitori, di bambini piccoli in particolare, è<br />

necessario impostare fin da subito il progetto abilitativo per quanto scarno ed incompleto possa essere in<br />

questa fase. Ai genitori viene offerta una modalità per ”stare con i propri figli” ed al rapporto<br />

operatori/genitori viene data la prima “chance” per l’avvio di una proficua “alleanza terapeutica”. La<br />

valutazione<br />

funzionale, premessa indispensabile del progetto riabilitativo,<br />

2


va pertanto a costituire il secondo momento, dopo la diagnosi, di raffronto realmente operativo, anche perché<br />

permette la condivisione di quanto osservato insieme.<br />

Spesso i genitori appaiono disorientati rispetto all’età (quasi sempre bassa) di sviluppo funzionale che<br />

emerge dai vari test somministrati, in particolare il Profilo Psico-Educativo-R. Come viene ricordato questa<br />

non rappresenta un indicatore del livello intellettivo, bensì semplicemente il modo di “funzionare” di quel<br />

bambino in quella determinata situazione di esame; pertanto se il bambino ha dimostrato un certo numero di<br />

competenze, di “abilità acquisite” in una situazione difficile quale è quella di osservazione e di esame, a<br />

maggior ragione in un ambiente familiare (scuola, casa, centro) si potrà partire da un progetto basato su<br />

queste acquisizioni con l’intendimento che il bambino eseguirà compiti alla sua portata che, gratificandolo<br />

nella riuscita, lo aiuteranno a prendere un ritmo di lavoro, lo renderanno più sicuro e lo indirizzeranno ad una<br />

maggiore autonomia.<br />

Altra parte importante della restituzione, soprattutto in occasione della prima valutazione, è rappresentata da<br />

una chiara descrizione dei punti di forza e dei limiti emersi nel profilo ed in particolare di come si possano<br />

associare inaspettate abilità (per es. di tipo motorio o di integrazione oculo-manuale o di tipo visuo-spaziale)<br />

a scarse competenze in ambito comunicativo-cognitivo-sociale. Spesso le isole di abilità portano al<br />

misconoscimento, da parte dei genitori, delle reali difficoltà del bambino e forse più che l’intelligenza<br />

vengono sopravalutate le sue capacità di ricezione del messaggio (“se parla, comprende”) e soprattutto le sue<br />

abilità sociali. Il genitore può giustamente sentirsi autorizzato a pensare che, standogli vicino, parlandogli, il<br />

bambino possa “naturalmente” sentirsi meglio e che accondiscendendo alle sue richieste, anche anomale e<br />

contrastanti, il bambino possa sentirsi capito. I genitori hanno pertanto diritto ad una spiegazione, quanto più<br />

possibile con parole semplici e chiare, sulle caratteristiche del bambino autistico che possa sia aiutarli nella<br />

gestione quotidiana, sia, non sottovalutando la serietà del problema, non minare quella giusta dose di<br />

speranza e di ottimismo che permette di investire nell’aiuto al bambino.<br />

Lo stabilire appropriate aspettative rappresenta un’altra delle possibilità offerte da una chiara condivisione<br />

della valutazione del bambino, aspettative genitoriali che, secondo quanto detto sopra, non vanno disilluse, a<br />

meno che non interferiscano seriamente con il progetto psico-educativo proposto.<br />

L’atteggiamento dei professionisti rappresenta comunque un fattore critico affinché si instauri un efficace<br />

rapporto di collaborazione fra genitori ed operatori, ovvero affinché si attui la cosiddetta “alleanza<br />

terapeutica”.Nello specifico i fattori che più spesso vengono ricordati, anche dallo stesso Schopler, sono i<br />

seguenti:<br />

Evitare un atteggiamento di giudizio. Il clinico dovrebbe essere consapevole e rispettoso della storia<br />

familiare, delle abitudini, dei valori sociali, culturali e religiosi di quella famiglia soprattutto ai fini<br />

dell’individualizzazione del trattamento.<br />

Comprendere i problemi di gestione del bambino. I genitori si sentono spesso colpevoli o non sanno come<br />

reagire di fronte ai problemi di comportamento del figlio. Una gestione inefficace va analizzata nei termini di<br />

una difficoltà di risposta ai deficit sociali e comunicativi del bambino.<br />

I professionisti rappresentano guide, non gli unici esperti. E’ solo dalla combinazione del sapere dei<br />

professionisti con l’esperienza dei genitori che può uscire rafforzato l’aiuto dato al bambino.<br />

Considerare i bisogni globali della famiglia. Il clinico deve tenere nella dovuta considerazione non solo il<br />

bambino con i suoi bisogni, ma anche l’impatto che quel progetto riabilitativo può avere sugli altri fratelli,<br />

sulla coppia genitoriale, sulla situazione lavorativa e sociale nel quale tutta la famiglia si trova a vivere.<br />

3


Saper condividere. Una piena e ricca collaborazione dovrà comprendere, in una reale partnership, momenti<br />

di gioia rispetto ai successi e momenti di ripensamento o di rivalutazione rispetto agli insuccessi.<br />

Ed infine, ma fra le prime regole del nostro codice deontologico, va ricordato che il bambino appartiene ai<br />

suoi genitori, da cui discende e che l’investimento del professionista va correlato al ruolo che in quel<br />

momento gli viene assegnato dalla famiglia. Mentre l’intervento del professionista va a coincidere con una<br />

parte della vita del bambino, il genitore ha la responsabilità di pianificare e di pensare al ciclo di vita del<br />

bambino; pertanto l’operatore può aiutare a riflettere, offrendo quanto più possibile gli elementi a sua<br />

disposizione, ma sarà compito del genitore, dopo attenta riflessione, giungere alla decisione finale (si pensi<br />

per es. alla istituzionalizzazione).<br />

Per concludere rimane comunque doveroso segnalare che i genitori dei bambini con <strong>autismo</strong>, pur fra mille<br />

difficoltà, spesso ci mostrano come sia possibile intraprendere percorsi e scelte di vita che destano la nostra<br />

ammirazione per come si rilevano fonte di ricchezza e crescita individuale. Spesso sono depressi o arrabbiati<br />

o senza forze così come succede ad altri genitori di bambini con disabilità.<br />

Spesso si rivolgono a noi, che purtroppo non abbiamo ancora in mano “la cura” per guarire i loro bambini,<br />

solo per un aiuto nella condivisione del problema. Non sono diversi da tutti gli altri genitori, anche se<br />

diversamente da questi, “genitori di bambini senza o con minimi problemi”, hanno un’incognita grossissima<br />

di fronte a loro: il futuro. In questo, accomunati agli altri genitori di bambini con problemi di sviluppo, si<br />

sentono veramente soli; sta a noi cercare di andar loro incontro sia potenziando al massimo lo sviluppo dei<br />

loro bambini sia sostenendoli nella lotta per servizi ed infrastrutture specificatamente adeguati per tutto il<br />

ciclo di vita.<br />

4


Corso formazione<br />

Nova Milanese<br />

“L’accoglienza di un alunno con disturbo autistico nella scuola: premesse teoriche e pratiche operative ”<br />

a cura di Arnaldo Parrino<br />

01 ELENCO DOCUMENTI<br />

02 “Sono affetto da <strong>autismo</strong>” - Angel Riviere<br />

www.angsalombardia.com<br />

03 “Carta dei diritti delle persone autistiche” - Comitato Affari Sociali Parlamento Europeo -<br />

www.<strong>autismo</strong>italia.org<br />

04 “Relazione finale / Tavolo nazionale di lavoro sull’<strong>autismo</strong>” - Ministero della Salute*<br />

05 “Evoluzione del concetto di <strong>autismo</strong>” - Gionata Bernasconi<br />

www.fondazioneares.com<br />

06 “Una prospettiva diversa di vedere il mondo” - Claudio Cattaneo<br />

www.fondazioneares.com<br />

07 “Come riconoscere l’<strong>autismo</strong>”<br />

www.<strong>autismo</strong>triveneto.it<br />

08 “L’esperimento di Sally e Anna” - Cinzia Sigillo<br />

www.tesionline.it<br />

09 “Autismo e …senso comune” - A.M. Arpinati, D. Mariani Cerati<br />

www.angsaonlus.org<br />

10 “Autismo: qualità o quantità, deficit o disordine? Il radar starato!” - Piero Crispiani<br />

11 “Linee guida per l’<strong>autismo</strong>” - Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza<br />

www.sinpia.eu<br />

12 “Intervista a Baron Cohen su <strong>autismo</strong> e teoria della mente” - a cura di S. Dalla Zuanna, S. Cramerotti<br />

www.erickson.it<br />

13 “CHAT - Cecklist for autism in toddlers” - Centro per l’<strong>autismo</strong> AUSL / Reggio Emilia<br />

14 “CARS - Childhood Autism Rating Scale”<br />

15 “L’<strong>autismo</strong> nella prima infanzia” - F. Volkmar, K. Chawarska, A. Klin<br />

www.<strong>autismo</strong>italia.org<br />

16 “Introduzione al PEP-R” - Fondazione il Cireneo<br />

www.fondazioneilcireneo.it<br />

17 “Scuola e alunno con <strong>autismo</strong>” 1° parte - T. Gabrielli<br />

www.<strong>autismo</strong>italia.org<br />

18 “Scuola e alunno con <strong>autismo</strong>” 2° parte - T. Gabrielli<br />

19 “Integrazione e educazione: due diritti in contrasto?” - E. Micheli<br />

www.laboratoriopsicoeducativo.it


20 “La scelta dell’intervento terapeutico per l’<strong>autismo</strong> o altri Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: confusioni,<br />

differenze e linee guida - Enrico Micheli<br />

www.laboratoriopsicoeducativo.it<br />

21 “Semafori rossi e semafori verdi sulla via dell’indipendenza” - G. Bernasconi*<br />

www.fondazioneares.com<br />

22 “L’approccio all’<strong>autismo</strong> secondo il modello TEACCH - Eric Schopler<br />

www.angsaonlus.org<br />

23 “Il Programma TEACCH” - Donata Vivanti<br />

www.<strong>autismo</strong>.net<br />

24 “L’approccio psicoeducativo TEACCH: caratteristiche generali e specifici punti di forza utilizzabili in un<br />

ambito scolastico integrato” - Dario Ianes<br />

www.formare.erickson.it<br />

25 “Intervista a Eric Schopler”<br />

www.formare.erickson.it<br />

26 “Trattamenti per l’<strong>autismo</strong>: dalla scienza alla pseudoscienza all’antiscienza” - Eric Schopler<br />

www.angsalombardia.it<br />

27 “L’approccio TEACCH: esperienze ambulatoriali,,,,, domiciliari e scolastiche con un gruppo di bambini<br />

autistici” - Giuseppe M. Arduino e altri<br />

www.formare.erickson.it<br />

28 “Suggerimenti didattici per bambini ed adulti affetti da <strong>autismo</strong> - Temple Grandin<br />

www.docstoc.com<br />

29 “Integrazione ed educazione a scuola di alunni con disturbi dello spettro autistico – L’esperienza del Secondo<br />

Circolo Didattico di Quartu Sant’Elena” - Giuseppe Farci<br />

www.angsalombardia.it<br />

30 “Relazione sulla documentazione scolastica speciale – PEI – ICS VI<br />

www.angsaonlus.org<br />

31 “Il progetto educativo con i compagni di classe di un bambino autistico” - M. Antonucci<br />

www.angsaonlus.org<br />

32 “I primi passi del per<strong>corso</strong> verso la comunicazione” - Enrico Micheli Cesarina Xaiz<br />

www.fondazioneares.com<br />

33 “L’intervento educativo sui comportamenti problema nel ritardo mentale grave e nell’<strong>autismo</strong>” - Dario Ianes<br />

Sofia Cramerotti<br />

www.fondazioneares.com<br />

34 “Come accompagnare i genitori di un bambino affetto da <strong>autismo</strong> ed aiutarli a portare i bagagli” - Ghislain<br />

Magerotte*<br />

www.fondazioneares.com<br />

35 “La collaborazione fra professionisti e genitori” - Paola Visconti<br />

www.fondazioneares.com<br />

36 Bibliografia


CARTA DEI DIRITTI DELLE PERSONE AUTISTICHE<br />

Adottata come risoluzione formale del<br />

Comitato per gli Affari Sociali del Parlamento Europeo<br />

maggio 1996<br />

Le persone autistiche devono poter godere degli stessi diritti e privilegi della popolazione europea<br />

nella misura delle proprie possibilità e del proprio miglior interesse.<br />

La carta dei diritti delle persone autistiche è stata adottata come risoluzione formale del Comitato<br />

per gli affari sociali del Parlamento Europeo nel maggio 1996.<br />

Questi diritti devono essere valorizzati, protetti e applicati in ogni stato attraverso una legislazione<br />

appropriata. Dovrebbero essere tenute in considerazione le dichiarazione statunitensi sui Diritti dei<br />

Disabili Mentali (1971) e sui Diritti delle Persone Handicappate (1975), nonché le altre<br />

dichiarazione dei Diritti dell'Uomo; in particolare, per quanto le persone autistiche, si dovrebbe<br />

includere quanto segue:<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a una vita piena e indipendente nella misura delle proprie<br />

possibilità.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a una diagnosi e una valutazione clinica precisa,<br />

accessibile e imparziale.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche ad una educazione accessibile e appropriata.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche o i propri rappresentanti a partecipare a ogni decisione<br />

riguardo al proprio futuro e, per quanto possibile, al riconoscimento e al rispetto dei propri<br />

desideri.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche ad una abitazione accessibile e appropriata.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche alle attrezzature, all'aiuto e alla presa in carico necessaria<br />

a condurre una vita pienamente produttiva, dignitosa e indipendente.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche di un reddito o ad uno stipendio sufficiente a provvedere<br />

al proprio sostentamento.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a partecipare, per quanto possibile, allo sviluppo o alla<br />

gestione dei servizi realizzati per il loro benessere.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a consulenze e cure accessibili e appropriati per la propria<br />

salute mentale e fisica e per la propria vita spirituale, cioè a trattamenti e cure mediche<br />

accessibili, qualificati e somministrati soltanto a ragion veduta e con tutte le precauzioni del<br />

caso.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a una formazione corrispondente alle proprie aspirazioni<br />

e a un lavoro significativo senza discriminazione o pregiudizi; la formazione professionale e il<br />

lavoro dovrebbero tener conto delle capacità e delle inclinazioni individuali.


• IL DIRITTO per le persone autistiche a mezzi di trasporto accessibili e alla libertà di<br />

movimento.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche ad aver accesso ad attività culturali, ricreative e sportive e<br />

a goderne pienamente.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a godere e usufruire di tutte le risorse, i servizi e le<br />

attività a disposizione del resto della popolazione.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche ad avere relazioni sessuali, compreso il matrimonio,<br />

senza coercizione o sfruttamento.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche (o i propri rappresentanti) alla rappresentanza e<br />

all'assistenza giuridica e alla piena protezione dei propri diritti legali.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a non dover subire la paura o lo minaccia di un<br />

internamento ingiustificato in ospedale psichiatrico o in qualunque altro istituto di reclusione.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a non subire maltrattamenti fisici o abbandono<br />

terapeutico.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche a non ricevere trattamenti farmacologici inappropriati o<br />

eccessivi.<br />

• IL DIRITTO per le persone autistiche (o i propri rappresentanti) all'accesso ad ogni<br />

documentazione personale in campo medico, psicologico, psichiatrico o educativo.<br />

Documento reperibile sul sito: www.<strong>autismo</strong>italia.org


SONO AFFETTO DA AUTISMO… ECCO CHE COSA MI PIACEREBBE DIRTI<br />

Estratto della relazione di Angel Rivière<br />

Professore di Psicologia Evolutiva presso l’Università Autonoma di Madrid<br />

Ginevra 21 Novembre 1996<br />

1) Aiutami a capire, organizza il mio mondo ed aiutami ad anticipare quello che<br />

succederà.<br />

Dammi ordine, struttura, non il caos.<br />

2) Non ti angosciare per me, o mi angoscerò anch'io, rispetta i miei ritmi. Se<br />

capisci le mie necessità e la mia maniera così particolare di capire la realtà<br />

troverai sempre il modo di entrare in relazione con me. Non ti scoraggiare, è<br />

nell'ordine naturale delle cose che continui a fare progressi.<br />

3) Non mi parlare troppo, né troppo velocemente: le parole per me possono<br />

essere un carico molto pesante, non sono “aria” senza peso, come per te.<br />

Spesso non sono il modo migliore per comunicare con me.<br />

4) Come gli altri, bambini o adulti, ho bisogno di condividere il piacere e<br />

riuscire in ciò che faccio mi gratifica, anche se non sempre ci riesco. Fammi<br />

sapere in qualche modo se ho fatto bene e aiutami ad agire senza errori.<br />

Quando faccio troppi errori mi succede come a te, mi irrito e finisco per<br />

rifiutarmi di fare ciò che mi chiedi.<br />

5) Ho bisogno di più ordine di te, di capire in anticipo che cosa succederà.<br />

Dobbiamo patteggiare i miei rituali per convivere.<br />

6) Per me è difficile capire il senso di molte delle richieste che mi vengono<br />

rivolte. Aiutami tu a capire. Cerca di chiedermi cose che abbiano un senso<br />

concreto e comprensibile per me. Non permettere che mi annoi o che rimanga<br />

inattivo.<br />

7) Non essere troppo invadente. A volte voi persone “normali” siete troppo<br />

imprevedibili, troppo rumorose, troppo stimolanti. Rispetta le mie distanze, ne<br />

ho bisogno, ma non mi lasciare solo.<br />

8) Se mi arrabbio, mi faccio del male, distruggo o mi agito eccessivamente,<br />

quando ho difficoltà a capire o a fare quello che mi stai chiedendo, i miei atti<br />

non sono rivolti contro di te. Faccio già fatica a capire le intenzioni degli altri,<br />

non mi attribuire cattive intenzioni!<br />

9) Anche se è difficile da comprendere, il mio sviluppo non è assurdo, ha una<br />

sua logica: molti comportamenti che voi chiamate “alterati” sono il mio modo<br />

di affrontare il mondo dal mio modo speciale di essere e percepire.<br />

10) Voi siete troppo complicati. Per quanto possa sembrarti strano, il mio mondo<br />

non è né complesso né chiuso è talmente aperto, senza veli né bugie, così<br />

ingenuamente esposto agli altri che sembra difficile da capire. Io non abito in<br />

una “fortezza vuota” ma in una pianura così sconfinata da sembrare<br />

inaccessibile. Sono molto meno complicato di voi persone “normali”.


11) Non mi chiedere di fare sempre le stesse cose, non esigere sempre la stessa<br />

routine: l'autistico sono io, non tu.<br />

12) Non sono solo un autistico, sono un bambino, un adolescente, un adulto.<br />

Condivido molte delle cose dei bambini, degli adolescenti e degli adulti che<br />

voi chiamate “normali”. Mi piace giocare, divertirmi, voglio bene ai miei<br />

genitori, sono contento quando riesco a fare le cose bene. Ci sono molte più<br />

cose che ci possono unire di quante non ci dividano.<br />

13) E' bello vivere con me. Ti posso dare tante soddisfazioni, come le altre<br />

persone. Possono capitare momenti in cui io, autistico come sono, sia la tua<br />

migliore compagnia.<br />

14) Non mi aggredire con i farmaci. Se mi hanno prescritto medicinali, cerca di<br />

farmi controllare periodicamente da uno specialista.<br />

15) Né i miei genitori né io abbiamo colpa di quello che mi succede. Non ne<br />

hanno nemmeno i professionisti che mi aiutano. Non serve a niente incolparsi<br />

a vicenda. A volte le mie reazioni e i miei comportamenti possono essere<br />

difficili da capire e da affrontare, ma non è colpa di nessuno. L'idea di “colpa”<br />

produce solo sofferenza, ma non mi aiuta.<br />

16) Non mi chiedere prestazioni che non sono alla mia portata, chiedimi di fare<br />

ciò che mi riesce. Aiutami ad essere più autonomo, a capire meglio, a<br />

comunicare meglio, ma non mi dare un aiuto eccessivo.<br />

17) Non devi cambiare la tua vita completamente perché convivi con una persona<br />

autistica. A me non serve che tu ti senta giù, che ti chiuda in te stesso, che ti<br />

deprima. Ho bisogno di essere circondato dalla stabilità e dal benessere<br />

emotivo per sentirmi meglio.<br />

18) Aiutami con naturalezza, senza che diventi un'ossessione. Per potermi aiutare<br />

devi avere anche tu dei momenti di riposo, di svago, degli spazi tutti tuoi.<br />

Avvicinati a me, non te ne andare, ma non ti sentire costretto a reggere un<br />

peso insopportabile. Nella mia vita ho avuto momenti difficili, ma posso stare<br />

sempre meglio.<br />

19) Accettami così come sono, non a condizione che io non sia più autistico: lo<br />

sono. Sii ottimista, ma senza credere alle favole o ai miracoli. La mia<br />

situazione normalmente va migliorando, anche se per ora non esiste<br />

guarigione.<br />

20) Anche se per me è difficile comunicare e non posso capire le sfumature dei<br />

rapporti sociali, ho dei pregi rispetto a voi, che siete considerati “normali”. Mi<br />

è difficile comunicare, ma non inganno. Non capisco le sfumature sociali, ma<br />

non ho doppi fini né sentimenti pericolosi. La mia vita può essere<br />

soddisfacente se semplice e ordinata, tranquilla, se non mi chiedi<br />

continuamente di fare solo cose troppo difficili. Essere autistico è un modo di<br />

essere, anche se non è il modo normale, la mia vita può essere bella e felice<br />

quanto la tua. Le nostre vite si possono incontrare e condividere tante<br />

esperienze.


Documento reperibile sul sito: www.angsalombardia.com


Ministero della Salute<br />

Tavolo nazionale di lavoro sull’<strong>autismo</strong><br />

RELAZIONE FINALE<br />

Il Tavolo di lavoro sulle problematiche dell’<strong>autismo</strong>, istituito su indicazione del Ministro<br />

della Salute, composto da rappresentanti delle Associazioni maggiormente<br />

rappresentative nel territorio nazionale, da esperti, Tecnici delle Regioni, dell’Istituto<br />

Superiore di Sanità, delle società scientifiche e delle associazioni professionali della<br />

riabilitazione, ha condotto i propri lavori dal maggio 2007 al gennaio 2008, con<br />

incontri che si sono succeduti sia come riunioni plenarie che per gruppi di studio.<br />

I temi trattati hanno riguardato la diffusione dell’<strong>autismo</strong> e delle cause, i problemi<br />

relativi alla presa in carico, all’assetto dei servizi, all’efficacia dei trattamenti, alla<br />

formazione degli operatori, alle necessità di ricerca scientifica.<br />

La presente relazione rende conto dello sviluppo della discussione sui temi citati,<br />

riportando i contenuti unanimemente condivisi, i contenuti su cui non vi è stata<br />

convergenza, e delineando un insieme di proposte operative e di raccomandazioni<br />

finalizzate a migliorare la programmazione degli interventi sanitari e sociali in favore<br />

delle persone con <strong>autismo</strong> e delle loro famiglie.<br />

TEMI SU CUI SI E’ MANIFESTATA PIENA CONVERGENZA<br />

Nel <strong>corso</strong> delle attività del Tavolo si sono potuti identificare alcuni temi su cui si è<br />

manifestato un accordo espresso da tutti i diversi componenti del Gruppo di lavoro:<br />

• I programmi per la cura e tutela delle persone con disturbi di tipo autistico<br />

richiedono un cambiamento di paradigma nell’approccio alla disabilità<br />

imperniato sulla persona, i suoi diritti, le sue necessità e le sue potenzialità.<br />

Questo approccio comporta una politica generale dei servizi rispettosa della<br />

globalità della persona con <strong>autismo</strong>, dei suoi progetti di vita e di quelli della sua<br />

famiglia; questa politica complessiva deve svilupparsi su tutto l’arco della vita<br />

delle persone con <strong>autismo</strong> Inoltre la tutela della salute, l’accesso ai processi di<br />

abilitazione e di inclusione sociale devono essere garantiti ad ogni soggetto<br />

indipendentemente dalla natura e gravità della sua disabilità, o dalla sua età .


• L’<strong>autismo</strong> va inquadrato come un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (secondo gli<br />

ormai accreditati sistemi di classificazione internazionali, ICD 10 e DSM IV) e<br />

non più come “Psicosi”, essendo ormai superata l’interpretazione<br />

psicorelazionale dell’eziologia della patologia autistica. Secondo le indicazioni<br />

ormai consolidate della letteratura internazionale, è appropriato considerare<br />

l’<strong>autismo</strong> come una patologia precoce del sistema nervoso centrale che<br />

determina una disabilità complessa che colpisce pervasivamente la<br />

comunicazione, la socializzazione e il comportamento.<br />

• Va perseguita una azione che permetta la diffusione di processi diagnostici<br />

precoci, di una presa in carico globale che si sviluppi per tutto l’arco della vita. I<br />

trattamenti cognitivo comportamentali e psicoeducativi costituiscono<br />

attualmente il nucleo centrale e essenziale degli approcci abilitativi e terapeutici<br />

che vanno attivati il più precocemente possibile.<br />

• Vi è l’esigenza di una rete di servizi sanitari specialistici, di diagnosi e<br />

trattamento, accessibili e omogeneamente diffusi in tutti i territori regionali, per<br />

garantire il superamento della disomogeneità e della difformità di opportunità di<br />

cura e presa in carico attualmente segnalato da Famiglie , Istituzioni e Servizi.<br />

• La rete dei servizi sanitari, sia territoriali che ospedalieri, sia specialistici che di<br />

base, deve garantire un approccio multiprofessionale e interdisciplinare per<br />

poter affrontare con competenza e coesione la complessità e l’eterogeneità<br />

delle sindromi autistiche.<br />

• E’ essenziale il raccordo e coordinamento tra i vari settori sanitari coinvolti così<br />

come l’integrazione tra gli interventi sanitari e quelli scolastici, educativi e<br />

sociali, tra servizi pubblici e servizi del privato e del privato sociale, le famiglie e<br />

le loro Associazioni.<br />

• Occorre diffondere la consapevolezza che l’<strong>autismo</strong> è un problema che riguarda<br />

l’intero ciclo della vita. Più di una ricerca condotta in vari territori regionali<br />

segnala il crollo numerico delle diagnosi di <strong>autismo</strong> dopo i 18 anni. La situazione<br />

delle persone adulte affette da <strong>autismo</strong> è fortemente condizionata dalla carenza<br />

grave di servizi, di progettualità e programmazione per il futuro che produce<br />

troppo spesso un carico esorbitante per le famiglie con il rischio di perdita di<br />

autonomie e abilità faticosamente raggiunte, di abusi di interventi farmacologici<br />

per sopperire alla mancanza di idonei interventi psicoeducativi o di adeguata<br />

organizzazione dei contesti e degli spazi vitali, di istituzionalizzazioni fortemente<br />

segreganti in quanto puramente custodialistiche e restrittive. Vi è quindi<br />

l’esigenza di una presa in carico che si muova per tutto l’arco della vita delle<br />

persone con <strong>autismo</strong>, dall’infanzia all’età adulta e anziana.<br />

• E’ necessario assicurare non solo la quantità, ma anche una qualità dei servizi<br />

orientata non tanto o non solo a requisiti intrinseci al servizio, quanto ai risultati<br />

ottenuti a livello individuale e generale in termini di continuo miglioramento<br />

della qualità di vita della persona.<br />

• Va garantito il diritto degli interessati a conoscere, quando possibile, la diagnosi<br />

etiologica promuovendone la ricerca sia attraverso Istituzioni pubbliche che<br />

Fondazioni, Enti privati e del Privato sociali.


QUESTIONI CONTROVERSE<br />

Nel <strong>corso</strong> degli approfondimenti condotti, si sono manifestate divergenze, in<br />

particolare sull’interpretazione del fenomeno dell’aumento del numero delle diagnosi<br />

di <strong>autismo</strong> registrato in questi ultimi anni in vari Paesi e sulla teorizzazione di una<br />

causa “ambientale”, tossico-infettivo-alimentare delle sindromi autistiche.<br />

L’ipotesi di una vera e propria forma di “epidemia” di <strong>autismo</strong> viene contraddetta dalle<br />

considerazioni, riportate sia dalla letteratura internazionale che nazionale, che<br />

riconducono il pur evidente incremento del numero delle diagnosi di <strong>autismo</strong> non ad<br />

un loro aumento in assoluto ma “relativo” in rapporto a loro maggiore riconoscimento.<br />

Questo andamento è relativo:<br />

• alla modificazione dei criteri diagnostici e al forte ampliamento dei criteri di<br />

inclusione; attualmente vengono inclusi nella diagnosi di <strong>autismo</strong>, ad esempio,<br />

anche i soggetti con manifestazioni di ritardo mentale che nella primitiva<br />

definizione erano esclusi. Di fatto esiste ancora una certa confusione in merito<br />

all’<strong>autismo</strong>, sia a causa della rapida evoluzione dei riferimenti concettuali, sia<br />

per le difficoltà (o le resistenze) dei servizi, o dei gruppi operativi legati ad<br />

esperienze di tipo privatistico, ad adeguarsi all’utilizzo di criteri diagnostici<br />

unanimemente condivisi. La non applicazione di sistemi diagnostici uniformi<br />

rende il confronto tra i dati sulla prevalenza dell’<strong>autismo</strong> di fatto assai precario.<br />

L’utilizzo sistematico e continuativo dei sistemi diagnostici riconosciuti a livello<br />

internazionale (la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ICD<br />

10 o quella dell’Associazione Psichiatrica Americana DSM IV) è premessa<br />

essenziale per una corretta valutazione della reale entità del fenomeno. Ulteriori<br />

conferme al fatto che i dati di prevalenza ottenuti sono condizionati dai sistemi<br />

diagnostici utilizzati si hanno da studi che, sebbene condotti alcuni decenni fa,<br />

indicavano tassi di prevalenza delle patologie autistiche, studiate già allora con<br />

criteri di inclusione molto simili a quelli attuali, che risultano sovrapponibili a<br />

quelli delle più recenti stime.<br />

Questa interpretazione sull’aumento del numero delle diagnosi è inoltre sostenuta<br />

dalle seguenti considerazioni:<br />

• studi internazionali compiuti da servizi sanitari sulle diagnosi dei propri pazienti<br />

in carico, effettuate secondo sistemi classificatori omogenei, hanno confermato<br />

un sensibile aumento delle diagnosi riferite allo spettro autistico, ma che nel<br />

contempo hanno messo in evidenza una diminuzione di quelle riferite al ritardo<br />

mentale e ai disturbi dell’apprendimento. Questo fenomeno si è evidenziato<br />

anche in alcune esperienze regionali italiane.<br />

• l’andamento del numero delle “certificazioni”, per la frequenza scolastica dei<br />

minori in situazioni di disabilità previste dalla legge 104, non ha manifestato nel<br />

<strong>corso</strong> di questi anni un aumento così rilevante come si dovrebbe supporre se ci<br />

si trovasse di fronte ad uno stato di “epidemia”. Il dato sulle “certificazioni”, sia<br />

pure nella sua connotazione di riferimento generale, rappresenta un elemento<br />

di sicura significatività poiché sembra molto difficile che per bambini con<br />

patologie dello spettro autistico, che manifestano dunque quadri evidenti di<br />

disabilità nella socializzazione e nel comportamento, non siano stati richiesti,<br />

nella realtà attuale della scuola italiana, gli interventi di sostegno previsti dalla<br />

“certificazione”.


• il rapporto maschi/femmine che si ritrova nell’ambito delle sindromi autistiche si<br />

mantiene costante nel tempo. La maggiore frequenza di persone affette da<br />

<strong>autismo</strong> nel sesso maschile è un dato già evidenziato fin dai primi lavori di<br />

Kanner e di Asperger; questa maggiore prevalenza di patologie autistiche nei<br />

maschi si è mantenuta stabilmente ed è stata confermata nel <strong>corso</strong> dei<br />

numerosi rilevamenti condotti in questi ormai settanta anni. Il costante<br />

rapporto 4/1 di manifestazioni autistiche nel sesso maschile rispetto a quello<br />

femminile non sembrerebbe confermare un ipotesi epidemica in cui non ci si<br />

dovrebbe attendere una distribuzione della patologia nei due sessi così<br />

dissimile.<br />

In ogni caso la constatazione che i disturbi dello spettro autistico sono molto<br />

più frequenti di quanto ritenuto in passato, richiede un rapido e profondo<br />

processo di riorganizzazione dei servizi e in prima istanza di quelli sanitari,<br />

sia per quanto riguarda l’effettuazione della diagnosi tempestiva e la<br />

continuità tra diagnosi e inizio di un adeguato progetto terapeutico, integrato<br />

altrettanto precoce, sia per quanto riguarda l’esigenza di coprire il vuoto,<br />

anche diagnostico, degli interventi per l’età adulta.<br />

Nel <strong>corso</strong> dei lavori del Tavolo sono emersi altri temi che richiedono ulteriori<br />

approfondimenti ma che, data la loro complessità e specificità, non si è ritenuto<br />

possibile affrontare con la completezza necessaria.<br />

Ad esempio la segnalazione che i bambini affetti da sindromi autistiche<br />

manifesterebbero una maggiore presenza di disturbi gastrointestinali e una anomala<br />

permeabilità della parete intestinale o alterazioni dismetaboliche complesse. Sono<br />

state avanzate ipotesi di una relazione diretta tra <strong>autismo</strong> e anomalie gastrointestinali<br />

e si sono diffuse terapie basate su diete specifiche o sull’assunzione di integratori<br />

alimentari e vitamine. Il Tavolo ritiene che su questo tema in particolare sia<br />

necessario condurre approfondimenti e valutazioni di efficacia specifici, e compiere<br />

studi che si collochino in un ambito scientifico strutturato, e per i quali siano richiesti<br />

approcci metodologici formali e riconosciuti dalla comunità scientifica. Tali<br />

approfondimenti non possono esser considerati di pertinenza del Tavolo per l’<strong>autismo</strong><br />

e si è ritenuto che studi specifici debbano essere promossi e/o coordinati dall’Istituto<br />

Superiore di Sanità che può garantire adeguatamente sia il livello di scientificità<br />

necessario che la correttezza metodologica.<br />

LA PROPOSTA SCATURITA DAI LAVORI DEL TAVOLO AUTISMO<br />

La sindrome autistica, per la sua complessità diagnostica e gestionale, per le sue<br />

implicazioni teoriche e scientifiche, rappresenta un modello paradigmatico per la<br />

programmazione di un complessivo piano di intervento e per la sperimentazione di<br />

una “azione di sistema nazionale”, denominabile specificamente come “progetto<br />

nazionale <strong>autismo</strong>”, che sia in grado di:<br />

• elaborare da parte del Ministero della Salute, in collaborazione con le<br />

Amministrazioni Regionali, un piano di indirizzo operativo che fornisca<br />

indicazioni omogenee per la programmazione, attuazione e verifica dell’attività<br />

per i minori e adulti affetti da <strong>autismo</strong>, per migliorare le prestazioni della rete<br />

dei servizi, favorire il raccordo e coordinamento tra tutte le aree operative<br />

coinvolte;


• definire un modello organizzativo imperniato sulla rete complessiva dei servizi<br />

che preveda l'implementazione di funzioni operative specificatamente formate<br />

ed orientate alle problematiche dell'Autismo e l'individuazione, in ogni Regione,<br />

di centri di riferimento con consolidate competenze ed esperienze a supporto<br />

dell'attività svolta dai Servizi territoriali e in continuo raccordo con gli stessi e le<br />

famiglie, con i seguenti obiettivi:<br />

1. distribuire uniformemente a livello territoriale gli interventi di base per<br />

poter rispondere ai bisogni del bambino e dell’adulto con <strong>autismo</strong> e delle<br />

famiglie nel contesto naturale di vita;<br />

2. garantire le essenziali attività di supporto, sia diagnostiche che di<br />

trattamento e verifica dei risultati, attraverso l’attivazione o il<br />

potenziamento di specifiche unità operative che, inserite all’interno della<br />

rete dei servizi, possano fornire le necessarie competenze specialistiche<br />

operando per bacini territoriali più ampi di quelli delle singole Aziende<br />

sanitarie. Queste funzioni specialistiche debbono garantire le competenze<br />

necessarie in un contesto di stretto e continuo raccordo con i servizi di<br />

base e le famiglie alle quali deve essere fornita adeguata formazione per<br />

rispondere alle esigenze speciali del loro famigliare con <strong>autismo</strong>;<br />

3. favorire la crescita di percorsi di continuità, sia diagnostica che di presa<br />

in carico e trattamento, tra Servizi di Neuropsichiatria Infantile e quelli di<br />

Psichiatria degli Adulti accrescendo le competenze dei Dipartimenti di<br />

Salute Mentale potenziando gli ambiti comuni di lavoro;<br />

4. finalizzare i raccordi operativi con la rete pediatrica e con la medicina di<br />

base a rispondere anche ai bisogni di salute dei singoli pazienti;<br />

5. offrire una risposta concreta per l’intero ciclo della vita dei pazienti,<br />

orientando l’integrazione dei servizi sanitari, educativi e sociali nei loro<br />

rapporti reciproci e nelle loro connessioni con le iniziative delle<br />

Associazioni delle Famiglie, del Privato e del Privato Sociale.<br />

• definire standard qualitativi e quantitativi minimi per i servizi, differenziando i<br />

servizi per i minori e quelli per gli adulti, e introdurre nei LEA alcuni indicatori<br />

specifici;<br />

• favorire un coordinamento tra tutte le aree sanitarie coinvolte : le<br />

Neuropsichiatrie infantili, i Servizi di Psichiatria dei Dipartimenti di Salute<br />

Mentale, la rete complessiva della Pediatria (ospedaliera e di libera scelta)<br />

anche per programmi di screening precoci e la Medicina di Base;<br />

• sollecitare l’attivazione e la diffusione di modelli abilitativi e terapeutici integrati<br />

e multidisciplinari;<br />

• potenziare i raccordi tra le aree sanitarie e le istituzioni educative e il mondo<br />

della scuola (con particolare attenzione alla scuola dell’infanzia) per<br />

raggiungere, oltre al particolare impegno nei percorsi di inclusione scolastica dei<br />

bambini e adolescenti con sindromi autistiche, un solido ed efficace intervento<br />

educativo. Particolare attenzione va posta anche alle esigenze di adeguamento<br />

dei meccanismi di coordinamento tra reti sociosanitarie e scolastiche alle<br />

complesse problematicità insite in questi percorsi di inclusione;


• promuovere progetti specifici nel campo della ricerca, in particolare sulla qualità<br />

dei servizi che va indagata sulla base di indicatori di efficacia delle procedure<br />

abilitative; nel settore della formazione, con lo scopo di favorire la diffusione,<br />

attraverso piani formativi, interistituzionali e multidisciplinari, delle conoscenze<br />

nel mondo dei servizi e della scuola per una più ampia integrazione sociale delle<br />

persone con <strong>autismo</strong>.<br />

ALCUNE INDICAZIONI SPECIFICHE<br />

Indirizzi per l’organizzazione dei servizi<br />

I componenti del Tavolo Autismo, in questo riprendendo le più recenti linee guida<br />

internazionali e nazionali (SINPIA), indicano alcuni obiettivi, che risultano oggi<br />

prioritari, su cui fondare l’organizzazione dei Servizi:<br />

• anticipare i tempi della diagnosi nella fascia di età infantile e garantire processi<br />

diagnostici accurati ed adeguati per l’età adulta. Utilizzare per le diagnosi il<br />

sistema di codifica internazionale ICD 10 dell’Organizzazione Mondiale della<br />

Sanità;<br />

• dare continuità alla diagnosi e alla presa in carico con l’attivazione di interventi<br />

educativi e abilitativi multidisciplinari basati sulle evidenze e sulla valutazione<br />

funzionale individualizzata;<br />

• costruire una stretta rete di collaborazione e di raccordi tra operatori sanitari,<br />

sociali, educativi e famiglie avvalendosi di Accordi di Programma; in tale ottica<br />

vanno sperimentati modelli organizzativi che possano favorire continuità e<br />

efficacia alla collaborazione interprofessionale e l’attuazione compiuta di un<br />

intervento educativo che possa concretamente condurre all’inclusione scolastica<br />

e sociale;<br />

• accrescere e diffondere le competenze necessarie a favorire il per<strong>corso</strong> di<br />

crescita individuale delle persone con <strong>autismo</strong> nei processi di inclusione<br />

scolastica e sociale;<br />

• garantire la continuità della presa in carico al passaggio tra età infantile e età<br />

adulta con l’adeguamento alle attuali necessità che richiedono servizi per tutto<br />

l’arco della vita;<br />

• adottare nuovi sistemi di controllo della qualità dei servizi, o adeguare quelli<br />

esistenti, verso modelli di Total quality management, orientati al perseguimento<br />

continuo di una migliore qualità di vita e della soddisfazione degli utenti e delle<br />

loro famiglie , coerentemente con le raccomandazioni sulla qualità dei servizi<br />

adottate dal Gruppo di Alto Livello sulla Disabilità dei rappresentanti degli Stati<br />

membri dell’UE presso la Commissione Europea .<br />

• supportare le famiglie;<br />

• prevenire e contrastare il fenomeno dell’istituzionalizzazione e avviare processi<br />

di de-istituzionalizzazione.


L’intervento abilitativo e terapeutico integrato e multidisciplinare per<br />

bambini con <strong>autismo</strong><br />

La particolarità della situazione italiana vede attualmente:<br />

• tutti i bambini con disabilità frequentare la scuola pubblica in un contesto di<br />

inclusione nella naturale organizzazione scolastica;<br />

• la crescita di un modello di intervento riabilitativo per la disabilità infantile che,<br />

avendo posto particolare attenzione ai bisogni evolutivi dei bambini e alle loro<br />

necessità di vita famigliare, scolastica e sociale, si è caratterizzato fortemente<br />

nei suoi contorni teorici e pratici innovativi in questi anni, permettendo la<br />

crescita di un corpus culturale e scientifico specifico della riabilitazione infantile;<br />

• la centralità dei Servizi pubblici del Servizio Sanitario Nazionale e il loro<br />

collegamento con i Servizi del privato sociale.<br />

Va però considerato come vi siano ancora molte difficoltà a diffondere e consolidare<br />

l’applicazione di modalità organizzative e abilitative che rispettino la consapevolezza,<br />

ormai condivisa, che l’intervento psicoeducativo precoce e intensivo può essere<br />

grandemente efficace nella riduzione della disabilità. Si richiede perciò di attivare un<br />

intervento che, nell’ottica essenziale dell’inclusione, non si limiti a interventi<br />

frammentati e accessori, ma offra, coordinando efficacemente l’uso del tempo che il<br />

bambino vive nella scuola e nella famiglia, un competente ed individualizzato processo<br />

educativo.<br />

Tutto ciò richiede, anche per evitare gli errori del passato, di porre una particolare<br />

attenzione all’implementazione di interventi la cui efficacia sia sostenuta dall’evidenza<br />

scientifica, ma anche di evitare esasperazioni nell’applicazione di modelli terapeutici e<br />

abilitativi che si sono evoluti in contesti sociali, culturali e organizzativi diversi dal<br />

nostro, e che spesso sono già messi in discussione e superati da nuove e più flessibili<br />

modalità di intervento anche nella culture di origine.<br />

Per progetto terapeutico integrato si vuole intendere un piano operativo<br />

rappresentativo di un’organizzazione articolata degli interventi, organizzazione che<br />

eviti i rischi di supremazie di convinzioni personalistiche e autoreferenziali dei singoli<br />

operatori, che rafforzi la prospettiva del “lavoro di equipe” e di “collegialità di gruppo<br />

operativo” e che produca un approccio multiprofessionale e interdisciplinare in grado<br />

di individuare i bisogni prioritari del bambino e le strategie ritenute più idonee per<br />

affrontarli. Si intende dunque un’organizzazione in cui le scelte operative discendono<br />

dal confronto tra professionalità e tra competenze e non dai particolari orientamenti e<br />

convincimenti dei singoli professionisti, pubblici o privati.<br />

Ma i bisogni di integrazione non si rivolgono solo ad un modello organizzativo dei<br />

servizi in cui viene favorito l’apporto culturale e scientifico delle diverse<br />

professionalità, ma anche alla necessità di affrontare con una visione di insieme le<br />

conoscenze, ormai assai ampie, sugli interventi psicoeducativi e<br />

cognitivocomportamentali, rifuggendo da semplificazioni meccaniche riguardo al loro<br />

utilizzo, e anche da atteggiamenti riduttivi che esasperano le convinzioni in merito ai<br />

benefici di un metodo rispetto ad altri.<br />

Si è ormai consolidata la consapevolezza che, allo stato attuale delle conoscenze, gli<br />

interventi abilitativi e psicoeducativi di tipo cognitivo comportamentali costituiscono il<br />

trattamento elettivo per le patologie dello spettro autistico. La ricerca sugli esiti degli<br />

interventi ha dimostrato inoltre che queste metodologie sono quelle che più sono state<br />

supportate da studi di validazione, e disponiamo di sufficienti indicazioni che<br />

indirizzano verso i trattamenti di tipo evolutivo o che inducono a considerare “non


accomandabili” alcune altre tipologie di intervento. Va tenuto presente che fino ad<br />

oggi gli studi disponibili riguardano metodiche di trattamento messe a punto e<br />

realizzate in contesti culturali diversi da quello italiano poiché raramente prevedono la<br />

prassi dell’integrazione scolastica.<br />

Negli ultimi anni nel nostro paese sono state realizzate numerose esperienze che<br />

hanno utilizzato un approccio di tipo psicoeducativo e che hanno documentato esiti<br />

positivi, prevedendo in particolare la condivisione del progetto individualizzato tra<br />

famiglia, scuola e operatori socio-sanitari.<br />

All’interno di una generale considerazione di efficacia degli interventi psicoeducativi,<br />

dovrebbero essere attualmente abbandonate dichiarazioni di preminenza di uno<br />

specifico metodo su un altro; la competizione tra i diversi modelli abilitativi, che di<br />

fatto fanno capo tutti a un quadro di riferimento cognitivo comportamentale, è oggi<br />

ampiamente superata da una visione non categoriale ma dimensionale delle scelte da<br />

compiere nella progettazione di un intervento in funzione delle caratteristiche e<br />

necessità di ogni singolo bambino e singola famiglia.<br />

Oggi sappiamo che occorre farsi carico dei bambini, valutare il loro stile cognitivo e<br />

comunicativo, le loro abilità di base per impostare un programma individualizzato,<br />

disponendo di una vasta scelta di strumenti abilitativi, utilizzando sistemi assestati per<br />

valutare le strategie adeguate e i loro risultati.<br />

Sono necessari numerosi “luoghi” in cui si possano conoscere molti bambini,<br />

impostare programmi individualizzati e utilizzare al meglio diversi interventi. Solo<br />

“luoghi esperti e intelligenti”, radicati nei servizi sanitari pubblici e privati, possono<br />

affrontare efficacemente la complessità del problema e l’intervento multimodale che<br />

ne consegue. Sulla base delle esperienze condotte nel nostro paese e tenendo<br />

presente quanto emerso dalla ricerca internazionale, si ritiene opportuno l’utilizzo di<br />

specifiche componenti del trattamento all’interno di un progetto condiviso tra scuola,<br />

famiglia e operatori sociosanitari e non invece di programmi preconfezionati, codificati<br />

in contesti diversi da quello italiano.<br />

In una cornice epistemologica e filosofica coerentemente basata sul metodo<br />

scientifico, vanno quindi sottolineate la possibilità e la necessità di integrare interventi<br />

finalizzati allo sviluppo di abilità verbali e comunicative, al potenziamento di abilità<br />

cognitive e di autonomia individuale e sociale, ad una migliore gestione della<br />

percezione di sé nel tempo e nello spazio, il tutto all'interno di un quadro di<br />

collaborazione tra le tre agenzie principali che hanno in carico il bambino, la famiglia,<br />

la scuola e i servizi e quindi in un prioritario e stretto raccordo tra il mondo dei servizi<br />

sanitari e le istituzioni educative e scolastiche.<br />

RACCOMANDAZIONI<br />

Il Ministero della Salute ha accompagnato le attività del tavolo con iniziative di<br />

raccordo che hanno già portato a risultati molto positivi e che segnalano l’importanza<br />

della stabilizzazione di collegamenti in particolar modo in questa fase con il<br />

Coordinamento delle Regioni e con l’Istituto Superiore di Sanità.<br />

Per quanto riguarda il rapporto con le Amministrazioni Regionali si segnala<br />

innanzitutto il raccordo che è stato attivato con la richiesta inoltrata al Gruppo<br />

Interregionale sulla Salute Mentale e Assistenza Psichiatrica di partecipare con due<br />

loro rappresentanti ai lavori del Tavolo <strong>autismo</strong>. Si ricorda che il Gruppo Interregionale<br />

aveva indicato due Neuropsichiatri Infantili nominati dalla Regione Piemonte e dalla<br />

Regione Sicilia. Nel <strong>corso</strong> di questi mesi si è già tenuta una riunione del Gruppo<br />

Interregionale sul tema <strong>autismo</strong> in cui si è confermata l’utilità di proseguire nel<br />

raccordo ed è previsto un secondo incontro nel mese di febbraio.


Inoltre si sta operando al fine di inserire i bisogni di programmazione in tema di<br />

<strong>autismo</strong> nel Piano Strategico Salute Mentale che è in via di elaborazione, con un<br />

lavoro integrato tra Ministero e Gruppo Interregionale.<br />

Nel contesto di queste attività di raccordo e programmazione congiunta<br />

Ministero/Coordinamento Regioni andrebbe sostenuta l’esigenza che ogni Regione si<br />

doti di un piano operativo per l’<strong>autismo</strong> e che questi piani fossero inseriti in una<br />

visione di raccordo e di condivisione di alcuni principi programmatori di base. A questo<br />

scopo andrebbe dato un particolare significato alla diffusione e applicazione delle Linee<br />

Guida sull’Autismo elaborate dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e<br />

dell’Adolescenza SINPIA, che già alcune Regioni hanno recepito e utilizzato nei loro<br />

piani programmatori.<br />

Di grande significatività appaiono poi i raccordi con l’Istituto Superiore di Sanità che<br />

potrebbero portare a iniziative sia di indirizzo metodologico e valutativo per potenziare<br />

l’utilizzo di approcci basati sull’evidenza, che di ricerca e formazione per un<br />

miglioramento generale della qualità degli interventi. Le attività dell’Istituto<br />

potrebbero orientarsi verso:<br />

• il potenziamento e il coordinamento delle esperienze che garantiscono, o<br />

dovranno garantire, nelle diverse organizzazioni regionali, i percorsi di diagnosi,<br />

presa in cura e trattamento. Ciò al fine di individuare/stabilizzare diffusamente<br />

standard diagnostici e di trattamento adeguati alle ormai consolidate<br />

conoscenze internazionali ma anche per sostenere e mettere in rete i centri<br />

specialistici già costituiti o di prossima istituzione;<br />

• la promozione e il coordinamento delle attività di ricerca nei vari aspetti da<br />

quelli genetici e eziologici a quelli diagnostici e terapeutici più specificamente<br />

clinici, ma anche degli studi sui modelli organizzativi e sulla valutazione della<br />

qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. In questo contesto si<br />

ribadisce l’esigenza di uno specifico “Gruppo di studio” per la valutazione e<br />

validazione degli approcci e delle metodologie di trattamento che si rifanno a<br />

ipotesi eziologiche dell’<strong>autismo</strong> di tipo tossinfettivo o gastroalimentare o<br />

carenziale vitaminico;<br />

• la costruzione o il potenziamento di banche di materiale biologico di soggetti<br />

con sindromi autistiche o con gravi sindromi delle quali non si conoscono le<br />

cause;<br />

• il sostegno delle politiche di miglioramento della qualità degli interventi<br />

attraverso l’organizzazione e gestione di specifici percorsi di formazione;<br />

• l’allestimento di un Sito Internet interattivo che possa essere utilizzato come<br />

punto di riferimento e aggiornamento dai Servizi e dalle Famiglie<br />

Altri temi che esigono una particolare attenzione sono le questioni della ricerca e<br />

della formazione, cui il Tavolo ha dedicato specifici approfondimenti.<br />

Per quanto riguarda la ricerca si sottolinea che nel recentissimo Bando per la Ricerca<br />

Sanitaria finalizzata 2007, il Ministero ha inserito nelle aree tematiche dei Programmi<br />

Strategici un capitolo specifico sui “Disturbi mentali gravi nell’infanzia e adolescenza”,<br />

il quale evidentemente offre opportunità a proposte di ricerca sul tema dell’<strong>autismo</strong>.<br />

Al di là di queste considerazioni, il tema della ricerca scientifica è stato affrontato dal<br />

Tavolo come uno dei punti centrali per lo sviluppo delle politiche complessive di


intervento. Si è concordato sul fatto che la ricerca debba orientarsi verso ambiti di<br />

multidisciplinarietà che tenga conto di tutti gli aspetti del problema da quelli eziologici<br />

a quelli più applicativi e finalizzati. Richiamando l’aspetto della multidisciplinarietà si<br />

rinnova la segnalazione di una specifica linea di ricerca in relazione al rapporto tra<br />

<strong>autismo</strong> e patologie gastrointestinali. Particolare attenzione dovrebbe essere<br />

indirizzata anche verso gli aspetti sociali della malattia, così come è vissuta dalle<br />

persone affette e dalle loro famiglie. E’ quindi auspicabile che si potenzi ulteriormente<br />

il raccordo tra Ministero della Salute, Ministero dell’Università e della Ricerca e Istituto<br />

Superiore della Salute. Ma il bisogno di raccordo dovrebbe anche indirizzarsi ai<br />

Ministeri della Pubblica Istruzione e della Solidarietà Sociale oltreché alle Regioni e agli<br />

IRCCS<br />

Il tema della formazione, così come quello della ricerca, è ritenuto un altro aspetto<br />

fondamentale per un piano complessivo di intervento. Formazione essenziale per<br />

superare quella disomogeneità nella preparazione dei professionisti impegnati e per le<br />

carenza di competenze che rendono ancora accidentato il per<strong>corso</strong> della diagnosi,<br />

dell’impostazione dei piani di intervento psicoeducativo, della presa in carico delle<br />

persone con <strong>autismo</strong> al raggiungimento dell’età adulta. Sono pertanto necessari<br />

indirizzi formativi che coinvolgano in prima istanza specialisti come pediatri,<br />

neuropsichiatri infantili, psicologi e psichiatri e tutte le professionalità abilitative e<br />

riabilitative. Caratteristica essenziale di questi percorsi formativi dovrebbe essere<br />

quindi quello della multiprofessionalità, così come andrebbe garantito anche<br />

l’approccio multi-istituzionale; in questo contesto è prioritario sostenere percorsi<br />

formativi tra gli operatori dei servizi sanitari e il personale scolastico e educativo. Per<br />

ciò che riguarda nello specifico la formazione universitaria, sarebbe auspicabile un<br />

raccordo tra il Ministero della Salute e il Ministero dell’Università e della Ricerca al fine<br />

di ripensarne gli orientamenti (sia in termine di contenuti, sia di spazi dedicati) in<br />

funzione dei risultati scaturiti dai lavori del presente Tavolo, pur nel rispetto<br />

dell'autonomia delle Università.<br />

Oltre alla formazione vera e propria, sarebbe utile perseguire la strada<br />

dell'informazione in senso lato: fornire infatti una corretta informazione sul fenomeno<br />

<strong>autismo</strong> e sulle sue possibili sfaccettature e gradazioni, può infatti avere una ricaduta<br />

positiva per le prospettive di accettazione sociale del disturbo e le speranze di<br />

inclusione delle persone che ne sono colpite, oltre a consentirne più facilmente<br />

l'individuazione da parte di famiglia e scuola nei casi in cui la sintomatologia è meno<br />

evidente in età infantile.<br />

Anche per quanto riguarda l’aspetto formativo diviene estremamente importante un<br />

raccordo tra i Ministeri competenti e le Regioni.<br />

Altri temi a cui si raccomanda di dare continuità di attenzione e impegno:<br />

• raccordo con gli Assessorati alla Sanità Regionali per la definizione di un “Piano<br />

di intervento per l’<strong>autismo</strong>” in ogni regione. Definizione dei modelli organizzativi<br />

per il raggiungimento degli obiettivi generali. Coinvolgimento degli Assessorati<br />

alla Pubblica Istruzione;<br />

• raccordo con il Ministero della Pubblica Istruzione per gli interventi integrati<br />

sanità/educazione;<br />

• raccordo con pediatria di base e rete pediatrica nel suo complesso per<br />

l’attuazione di screening per la diagnosi precoce e per la tutela dei bisogni<br />

generali di salute;


• raccordo tra Servizi di Neuropsichiatria infantile, Dipartimenti Salute Mentale,<br />

Medicina di Base e Servizi Sociali per il raggiungimento di livelli adeguati ai<br />

bisogni delle persone con <strong>autismo</strong> di età adulta.<br />

CONSIDERAZIONI FINALI<br />

Si ritiene conclusa questa prima fase di attività del Tavolo, in quanto ormai si è<br />

definito nelle grandi linee il quadro dei bisogni e delle problematicità riferite a i<br />

bambini e agli adulti con patologie dello spettro autistico. E’ oggi necessario dare<br />

continuità al ruolo di promozione, di programmazione e verifica che ha condotto il<br />

Ministero a costituire il Tavolo ma che ora richiede il passaggio ad una fase operativa<br />

diretta e specifica sui vari aspetti evidenziati nel <strong>corso</strong> dei lavori. Si raccomanda di<br />

garantire a livello del Ministero un luogo di raccordo e coordinamento e quindi si<br />

propone che venga costituito un “Forum nazionale <strong>autismo</strong>” in grado di rappresentare<br />

anche la sede che supporti le attività di programmazione del Ministero e delle<br />

Amministrazioni Regionali ministeriali e quelle di verifica sui risultati delle iniziative<br />

intraprese. Si propone dunque la costituzione di questo “Forum nazionale per<br />

l’<strong>autismo</strong>” dove poter garantire un momento stabile di incontro tra Ministero,<br />

Amministrazioni Regionali, Servizi, Società Scientifiche e Associazioni delle Famiglie e<br />

del Privato Sociale.


Evoluzione del concetto di <strong>autismo</strong><br />

Gionata Bernasconi – Centro Documentazione ARES<br />

Tratto dalla Rivista AUTISMO OGGI, Fondazione ARES www.fondazioneares.com<br />

La storia dell’<strong>autismo</strong>, anche se relativamente breve, è stata oggetto di numerose ricerche che hanno dato il<br />

via ad una vasta letteratura su questo argomento. In poco più di cinquant’anni si sono trovate alcune risposte<br />

al perchè di questo disturbo dello sviluppo ma si è dato anche il via a numerosi miti che continuano a fondare<br />

le convinzioni di molti professionisti che si occupano di persone affette da <strong>autismo</strong>. Gli autori che si sono<br />

cimentati in descrizioni varie dell’<strong>autismo</strong>, con ipotesi e teorie più o meno serie, non si contano. Per evitare<br />

di dare delle interpretazioni anacronistiche dell’<strong>autismo</strong> bisogna quindi situare in un contesto storico<br />

l’evoluzione delle ricerche in questo settore.<br />

Nel 1943 un pedopsichiatra americano, Leo Kanner, pubblica un articolo nella rivista Nervous Child (1) dove<br />

descrive 11 bambini di età compresa tra i 2 e i 10 anni che presentano dei sintomi simili. Questo articolo è<br />

stato il primo tentativo di spiegare l’<strong>autismo</strong> da un punto di vista teorico ed è oggi il punto di riferimento per<br />

datare l’inizio delle ricerche su questo disturbo. Kanner aveva sottolineato come tutti i bambini da lui<br />

osservati manifestassero un’incapacità, presente dalla prima infanzia, di mettersi in contatto con gli altri.<br />

Nell’ambito di un’incapacità generalizzata di comunicare erano presenti in modo particolare turbe gravi del<br />

linguaggio e delle relazioni sociali. Kanner pensava che l’isolamento sociale costituisse la caratteristica<br />

principale che accomunava i bambini che aveva osservato al Harriet Home for Invalid Children della clinica<br />

Johns Hopkins di Baltimora.<br />

Un medico austriaco, Hans Asperger, pubblica durante la seconda guerra mondiale, nel 1944, la descrizione<br />

di un gruppo di persone che presentano un disturbo che definisce “una psicopatia autistica” (2) . L’isolamento<br />

sociale, le stereotipie e la resistenza ai cambiamenti di routine ricalcano in maniera sorprendente le<br />

caratteristiche degli 11 bambini descritti da Kanner. Mentre Kanner osserva che in 3 bambini c’è l’assenza<br />

totale della parola e nei rimanenti 8 vi è un linguaggio ecolalico o fortemente ritardato nel suo sviluppo,<br />

Hans Asperger riconosce che i casi da lui descritti non presentano particolari disturbi di linguaggio.<br />

Attualmente la sindrome di Asperger si differenzia dal disturbo autistico perchè non vi sono un ritardo nel<br />

linguaggio e nello sviluppo cognitivo. Il comportamento adattivo, tranne che nell’interazione sociale, é<br />

adeguato all’età.<br />

Ognuno dei due autori usa in modo totalmente indipendente il termine <strong>autismo</strong>. Sia Kanner che Asperger lo<br />

hanno, con ogni probabilità, preso a prestito dallo psichiatra svizzero Eugène Bleuler che si era servito di<br />

questo termine per parlare, agli inizi del 20° secolo, dell’isolamento sociale osservato in alcuni adulti<br />

schizofrenici. I due autori, a differenza di Bleuler, utilizzano il termine <strong>autismo</strong> (dal greco autòs = se stesso)<br />

senza associarlo alla schizofrenia. Benché le prime descrizioni sull’<strong>autismo</strong> vengano fatte risalire a Kanner e<br />

ad Asperger, delle osservazioni e degli aneddoti riguardanti persone, che oggi si potrebbero definire<br />

autistiche, erano già state redatte in precedenza. I casi più conosciuti sono quelli del ragazzo selvaggio<br />

dell’Aveyron (3) descritto da Itard nel 1801 e dei folli beati della vecchia Russia (4)


Tra gli 11 bambini descritti da Kanner 5 erano figli di psicologi o psichiatri e i restanti 6 avevano genitori<br />

universitari. Basandosi essenzialmente su questi dati, una delle prime ipotesi fatte negli anni cinquanta<br />

metteva in relazione il livello culturale e sociale della famiglia con la comparsa dell’<strong>autismo</strong>. Mentre lo<br />

stesso Kanner, inizialmente, aveva ipotizzato che il disturbo fosse innato, in seguito ad osservazioni<br />

effettuate su famiglie sue clienti, aveva dedotto nel 1955 (5) che genitori troppo impegnati in attività<br />

intellettuali, perfezionisti e con poco senso dell’umorismo, potevano essere all’origine dell’<strong>autismo</strong><br />

sviluppato dai loro figli. Kanner non aveva tenuto conto che la sua clientela era selezionata in base alla loro<br />

capacità di informarsi dell’esistenza di uno specialista in psichiatria infantile a cui rivolgersi. Ne risulta che il<br />

campione da lui osservato non era rappresentativo in quanto solo dei genitori appartenenti ad uno statuto<br />

sociale ed economico elevato potevano permettersi di consultare uno psichiatra importante come Leo<br />

Kanner.<br />

Tra gli autori che hanno seguito l’ipotesi avanzata da Kanner, sulle cause psicogene dell’<strong>autismo</strong>, Bettelheim<br />

fu senza dubbio uno di quelli che impostò il suo lavoro basandosi principalmente su questa interpretazione. I<br />

deficit della persona con <strong>autismo</strong>, per Bettelheim, non erano quindi organici ma venivano innescati come<br />

reazione alla mancanza di amore e di attenzione che i genitori portavano al figlio. Questi bambini si<br />

ritiravano allora in una forma di isolamento che li proteggeva dalle influenze esterne. Bettelheim ha molto<br />

influito nel promuovere questa teoria coniando il termine di “madri-frigorifero” per designare la freddezza e<br />

il distacco con cui le mamme di bambini autistici si occupavano dei loro figli.<br />

Nel 1967, anno in cui Bettelheim scrisse “La fortezza vuota” (6) , la mancanza di ricerche e di metodi<br />

scientifici per comprendere l’<strong>autismo</strong> avevano contribuito al diffondersi di numerosi libri farciti di<br />

interpretazioni un po’ ingenue e prive di fondamento. Già nel medioevo quando nasceva un bambino<br />

deforme o con evidenti problemi, la colpa veniva data alla donna che, secondo le credenze dell’epoca, aveva<br />

“peccato” prima della gravidanza. Bettelheim ed altri autori di quel tempo hanno in fondo riproposto una<br />

teoria che ricorda il modello medioevale. In una società prevalentemente maschilista era naturale che le<br />

cause di un disturbo dei figli venisse attribuito ad una interazione con la madre.<br />

Agli inizi degli anni sessanta in America e in Europa stavano comunque nascendo dei centri che si<br />

consacravano allo studio sistematico delle persone con <strong>autismo</strong>. Prima di allora, a questi bambini, venivano<br />

date etichette di diverso tipo e, vista la quantità di termini utilizzati, c’era l’esigenza di porre dei criteri<br />

diagnostici più precisi. Nel DSM-<strong>II</strong> (Manuale Diagnostico e Statistico dell’associazione psichiatrica<br />

americana) pubblicato nel 1968, l’<strong>autismo</strong> veniva classificato come una schizofrenia infantile ed i termini<br />

psicosi infantile e psicosi simbiotica venivano ancora utilizzati come sinonimi per definire questo disturbo.<br />

Nel 1969, anno in cui un uomo mise per la prima volta i piedi sulla luna, durante la prima assemblea della<br />

National Society for Autistic Children (oggi Autism Society of America) Leo Kanner assolve pubblicamente<br />

i genitori dall’essere causa dello sviluppo della sindrome autistica nei loro figli. Lo psichiatra americano, che<br />

nel frattempo aveva continuato ad occuparsi di bambini con <strong>autismo</strong>, era ritornato alla sua prima ipotesi che<br />

definiva l’<strong>autismo</strong> come un disturbo innato dello sviluppo.<br />

Nel 1970 è stata fondata un’importante rivista internazionale sull’<strong>autismo</strong>: The Journal of Autism and<br />

Childhood Schizophrenia (La rivista dell’<strong>autismo</strong> e schizofrenia infantile). In seguito fu denominata Journal<br />

of Autism and Developmental Disorders (Rivista dell’<strong>autismo</strong> e disturbi dello sviluppo) poiché sempre più<br />

ricercatori indirizzavano i loro studi sull’<strong>autismo</strong> nell’ambito dei disturbi dello sviluppo. Anche in Francia il<br />

bollettino scientifico dell’ARAPI modificò il nome da Association pour la Recherche sur l’Autisme et la<br />

Psychose Infantile nell’attuale Association pour la Recherche sur l’Autisme et la Prévention des<br />

Inadaptations.


Nel 1971, Leo Kanner ha ripreso le 11 osservazioni dei casi da lui descritti nel 1943 aggiungendovi gli<br />

elementi conosciuti sulla loro evoluzione fino a quell’anno (7) . Kanner riconosce che dopo 30 anni ancora<br />

nessuno é riuscito a trovare un metodo terapeutico che abbia apportato, agli 11 casi da lui osservati, dei<br />

risultati e dei miglioramenti duraturi. Lo psichiatra termina l’articolo scrivendo che alcune nuove ricerche<br />

aprono delle migliori prospettive per gli anni futuri.<br />

Nel 1972, negli Stati Uniti d’America, il programma TEACCH (The Treatment and Education of Autistic<br />

and related Communication Handicapped Childen) è stato riconosciuto ufficialmente come un programma di<br />

Stato nella Carolina del Nord. Questo programma, fondato da Eric Schopler, è costituito da un sistema di<br />

servizi che si occupano delle persone con <strong>autismo</strong> e delle loro famiglie da quando l’<strong>autismo</strong> viene<br />

diagnosticato fino all’età adulta. Uno dei cardini del programma TEACCH è la collaborazione tra le equipe<br />

educative, le famiglie e la formazione degli operatori che si occupano di persone con <strong>autismo</strong>.<br />

Nel 1978 (8) un articolo di Michael Rutter descrive i sintomi dell’<strong>autismo</strong> in modo preciso sottolineando<br />

come questi siano già presenti prima dei 3 anni. Nel 1979 (9) Lorna Wing scrive che l’<strong>autismo</strong> è un disturbo<br />

dello sviluppo nel quale le caratteristiche<br />

principali sono legate a problemi di socializzazione e di linguaggio nonché ad una mancanza di interessi e di<br />

immaginazione. Un anno dopo, nel 1980, nella terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei<br />

disturbi mentali (DSM-<strong>II</strong>I) (10) , il cambiamento di percezione dell’<strong>autismo</strong> si concretizza con l’introduzione<br />

del capitolo dedicato ai Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. L’<strong>autismo</strong> non è più considerato una psicosi<br />

ma viene inserito nel capitolo summenzionato.<br />

Sanua (11) in un articolo del 1987 ha potuto confutare la tesi del genitore-frigorifero grazie ad una metodologia<br />

statistica più corretta e oggettiva nella presa di informazioni concernenti le famiglie con figli autistici. Nel<br />

1987 appare la decima edizione del manuale diagnostico dei disturbi mentali (ICD-10) (12) , curato<br />

dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, come il DSM-<strong>II</strong>I classifica l’<strong>autismo</strong> sotto i Disturbi<br />

Generalizzati dello Sviluppo.<br />

Nel 1994 viene edito il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali nella sua quarta edizione<br />

aggiornata (DSM-IV) (13) che mantiene, come nell’edizione precedente, i criteri diagnostici dell’<strong>autismo</strong><br />

sotto il capitolo dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. La definizione dell’<strong>autismo</strong> secondo il DSM-IV è<br />

mondialmente riconosciuta e attualmente, assieme al ICD-10, rappresenta un consenso internazionale tra tutti<br />

gli specialisti che si occupano di questo handicap.<br />

Dall’articolo di Kanner ad oggi la descrizione delle caratteristiche della persona autistica sono rimaste<br />

sostanzialmente uguali. Un grande cambiamento è invece avvenuto per quanto riguarda la natura del<br />

disturbo. L’<strong>autismo</strong> è passato dallo statuto di “blocco” psicologico a quello di Disturbo Generalizzato dello<br />

Sviluppo sfatando l’idea della responsabilità dei genitori con l’origine del disturbo stesso.<br />

Come ricorda Enrico Micheli nel libro “Autismo: verso una migliore qualità di vita” (14) , attualmente il<br />

trattamento migliore per le persone con <strong>autismo</strong> è un insieme di interventi che poggiano sulla diagnosi<br />

precoce, sulla collaborazione ed il sostegno alle famiglie, sull’educazione della persona autistica (tenendo<br />

conto dei suoi deficit specifici), sul coordinamento tra i vari servizi che si occupano di <strong>autismo</strong> e che<br />

dovrebbero coprirne l’intero ciclo di vita.<br />

Questo tipo di intervento è risultato efficace a lungo termine diminuendo, laddove viene applicato, il numero<br />

di persone internate in istituzioni totali. Nessuna terapia individuale, dopo relativa verifica, si è invece<br />

rivelata efficace.


Malgrado dal 1980 l’<strong>autismo</strong> sia riconosciuto come un Disturbo dello sviluppo, ancora oggi assistiamo ad<br />

ingenti perdite di tempo e di denaro nel proporre delle terapie non funzionali a persone con questo disturbo,<br />

ed ai loro genitori; ad esempio quelle terapie che si basano sull’assunto psicogeno, oppure quelle che<br />

considerano la persona con <strong>autismo</strong> capace di “capire tutto” (e dunque le si parla normalmente) e che<br />

abbisogna dunque di stimoli per “uscire” dal suo volontario isolamento.<br />

Bibliografia<br />

(1) Kanner L., Autistic disturbances of affective contact, Nervous Child, v. 2, pp 217-50, 1943<br />

(2)Asperger H., Die Autistischen Psychopaten im Kindesalter, Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten, v. 117, 99. 76-136,<br />

1944<br />

(3)Lane H., The wild boy of Aveyron, Harvard University Press, Cambridge, Mass-Allen & Unwin, London, 1977<br />

(4) Challis N., Dewey H.W, The blessed fools of old Russia, in Jahrbücher für Geschichte Osteuropas, NS 22, ppl-11, 1974<br />

(5)Kanner L., Notes on the follow-up studies of autistic children, Psychopathology of childhood, 1955<br />

(6) Bettelheim B., The Empty Fortress. Infantile Autism and the Birth of the Self, Free Press, New York, 1967<br />

(7) Kanner L., Follow-up study of eleven autistic children originally reported in 1943, Journal of Autism and Childhood<br />

Schizophrenia, 1,2, 119-145, 1971<br />

(8)Rutter M., Diagnosis and definition of childhood autism, Journal of autism and Childhood Schizophrenia, 8,139-161, 1978<br />

(9) Wing L., Gould J., Severe impairments of social interaction and associated abnormalities in children: epidemiology and<br />

classification, Journal of Autism and Developmental Disorders, 9,11-30, 1979<br />

(10)American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 3 ed., Washington, DC, 1980<br />

(11)Sanua V.D., Infantile autism and parental socioeconomic status. Child psychiatry and Hum. Dev., Spring, 17,189-198, 1987<br />

(12)World Health Organization, Mental disorders: A glossary and guide to their classification in accordance with the 10th Revision<br />

of the International Classification of Diseases (ICD-10), Geneva, 1987<br />

(13)American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 4 ed., Washington, DC, 1994<br />

(traduzione in italiano edizioni Masson, 1995)<br />

(14)Micheli E., Autismo: verso una migliore qualità di vita, Laruffa Editore, Reggio Calabria, 1999


Una prospettiva diversa per vedere il mondo<br />

Cattaneo Claudio<br />

Responsabile del Segretariato Sociale della Fondazione ARES www.fondazioneares.com<br />

tratto dalla Rivista: Cure infermieristiche, n°1, 2002, SBK/ASI<br />

L’<strong>autismo</strong> o disturbo autistico è stato descritto su base clinica e denominato per la prima volta da<br />

Leo Kanner, della John Hopkins Children’s Psychiatric Clinic di Baltimora, nel 1943 in quello che<br />

è stato il suo lavoro fondamentale.<br />

Kanner osserva in 11 bambini alcune caratteristiche comuni e che gli sembravano rientrare in un<br />

medesimo gruppo. Tutti gli 11 bambini avevano in comune quattro caratteristiche: la preferenza per<br />

l’isolamento, la perseveranza in un comportamento, la predilezione per cerimoniali elaborati e<br />

alcune capacità (come ad esempio la memoria meccanica) che apparivano notevoli rispetto ad altri<br />

deficit.<br />

Nello stesso tempo, anche se in maniera totalmente indipendente, Hans Asperger, a Vienna nel<br />

1944, utilizza anche lui il termine “<strong>autismo</strong>” in riferimento ai tratti distintivi di questa patologia in<br />

un gruppo di bambini da lui osservati. Evidentemente l’<strong>autismo</strong> esisteva già prima di queste<br />

descrizioni; basti pensare alle caratteristiche descritte in riferimento all”enfant sauvage<br />

dell’Aveyron”. Sia Kanner che Asperger avevano ricavato questa terminologia dalla psichiatria<br />

dell’adulto, nella quale era stato impiegato per indicare la progressiva perdita di contatto con il<br />

mondo esterno, tipica delle persone schizofreniche.<br />

I bambini autistici descritti sembravano soffrire di questa perdita di contatto fin dai primi anni di<br />

vita.<br />

Il termine “<strong>autismo</strong>” è stato per anni, anzi per decenni, usato in maniera a volte impropria. In effetti,<br />

etimologicamente, la parola “<strong>autismo</strong>” deriva dal greco “autos” che significa “se stesso”. Quindi per<br />

molti anni si è pensato ai bambini autistici come a persone imprigionate sotto una campana di vetro<br />

e che potendo infrangere questa campana ne potesse uscire un bambino normale, finalmente<br />

liberato.<br />

Inoltre, per molti anni (e purtroppo ancora oggi e non in poche persone!) si è ritenuto che l’<strong>autismo</strong><br />

fosse una malattia puramente psicologica, senza alcuna base organica. Per questo motivo, per<br />

decenni sono state avanzate teorie secondo le quali il bambino autistico si trovasse in quella<br />

determinata “situazione” come conseguenza a esperienze traumatiche o minacciose da parte del<br />

mondo circostante. Le teorie espresse ad esempio da autori come Bettelheim, hanno corroborato per<br />

anni l’idea che la mancanza di legame con la madre o disastrose esperienze di rifiuto potevano<br />

portare il bambino a ritirarsi in un mondo fantastico interiore. Queste teorie non hanno alcun<br />

sostegno sperimentale, ed è molto poco probabile che ne trovino, visti gli innumerevoli esempi di<br />

rifiuto e deprivazione affettiva nell’infanzia che non hanno prodotto casi di <strong>autismo</strong>.<br />

Al contrario, una lunga serie di ricerche fisiologiche e psicologiche ha ormai ampiamente<br />

dimostrato che la persona affetta da <strong>autismo</strong> non vive affatto in un ricco mondo interiore ma è<br />

1


vittima di un difetto biologico che rende l’intelletto e la psiche capace di comprendere ed agire in<br />

modo molto diverso dagli individui non autistici.<br />

Per cercare di capire cosa sia l’<strong>autismo</strong> si potrebbe fare un paragone con la cecità. Si dovrebbe, in<br />

un certo senso, parlare di “cecità per avvenimenti psichici”. Ma se la cecità dipende sovente da<br />

difetti periferici del sistema nervoso, l’<strong>autismo</strong> nasce da un difetto del sistema nervoso centrale, al<br />

più alto livello di elaborazione cognitivo.<br />

L’<strong>autismo</strong> perdura per tutta la vita e chiunque affermi, al giorno d’oggi, che un bambino affetto da<br />

<strong>autismo</strong> potrà un giorno “uscirne” (si ripensi all’immagine della campana di vetro) commette un<br />

errore scientifico grossolano, ma inoltre sarà portato a basare il suo lavoro partendo da un punto di<br />

vista non corretto.<br />

Purtroppo, ancora oggi, terapie più o meno basate su certi concetti costringono molti genitori a<br />

sentirsi in colpa per i deficit presentati dai loro figli affetti da <strong>autismo</strong>.<br />

Per anni si sono confuse causa e conseguenza dell’agire di genitori altrettanto amorevoli di altri.<br />

L’indimostrabilità di un’origine psicologica dell’<strong>autismo</strong> ha portato molti ricercatori e studiosi a<br />

cercare una causa biologica. I risultati indicano che esiste una struttura cerebrale difettosa. Gli studi<br />

maggiormente significativi sono quelli che indicano una base genetica per l’<strong>autismo</strong>. Infatti è stato<br />

provato che è molto più probabile che due gemelli monozigoti siano entrambi autistici che non due<br />

gemelli eterozigoti. Inoltre la possibilità che l’<strong>autismo</strong> si manifesti due volte nella stessa famiglia è<br />

da 50 a100 volte superiore di quanto ci si potrebbe aspettare per fattori puramente casuali.<br />

L’incidenza dell’<strong>autismo</strong> è, secondo i criteri restrittivi applicati da Kanner, di 4 nati su 10'000; con i<br />

criteri usati nella pratica diagnostica attuale si arriva però ad un’incidenza di 1-2 casi ogni 1000<br />

nascite (paragonabile all’incidenza della sindrome di Down). I maschi sono colpiti circa 4 volte più<br />

che le femmine.<br />

Autismo ≠ psicosi<br />

Per anni il disturbo autistico è stato considerato alla stessa stregua di una psicosi infantile, con le<br />

relative conseguenze a livello di intervento. Per contro, dal 1980, nelle classificazioni<br />

internazionalmente riconosciute, esso viene considerato, a livello diagnostico, come un disturbo<br />

generalizzato dello sviluppo. Attualmente, sia il DSM-IV (ovvero il Manuale diagnostico e<br />

statistico dei disturbi mentali dell’Associazione psichiatrica americana) sia il ICD-10 (cioè la<br />

Classificazione Internazionale delle Malattie, capitolo V – Disturbi Mentali e Disturbi del<br />

Comportamento, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), che sono i due maggiori manuali<br />

diagnostici ai quali qualsiasi persona che si occupa di <strong>autismo</strong> dovrebbe riferirsi, considerano, con<br />

un consenso internazionale fra specialisti, l’<strong>autismo</strong> come un disturbo generalizzato (o pervasivo)<br />

dello sviluppo (i termini “pervasivo” e “generalizzato” sono usati come sinonimi).<br />

Il termine “pervasivo” significa che le compromissioni sono gravi e generalizzate a diverse aree<br />

dello sviluppo. Le difficoltà della persona con <strong>autismo</strong> si situano quindi nell’acquisizione di<br />

attitudini cognitive-linguistiche-motorie-sociali.<br />

Queste difficoltà sono di ordine “qualitativo” poiché non sono “unicamente” dovute ad un<br />

eventuale ritardo mentale o ad un deficit specifico dello sviluppo (sensoriale, motorio, .....).<br />

Il termine “generalizzato” implica che la persona abbia un disturbo che riguarda l’intero suo essere.<br />

Ciò che dà alla nostra vita un senso profondo è la comunicazione con gli altri, la comprensione dei<br />

comportamenti altrui ed il fatto di manipolare in modo creativo dei materiali, delle situazioni e le<br />

relazioni con le persone. E’ appunto in questi tre ambiti che la persona affetta da <strong>autismo</strong> incontra le<br />

maggiori difficoltà.<br />

Quindi le difficoltà presentate dalle persone affette da <strong>autismo</strong> vanno ben al di là del termine<br />

“<strong>autismo</strong>” se questo viene considerato solo come uguale a “chiuso su se stesso”.<br />

2


L’<strong>autismo</strong> è quindi un handicap e non una malattia mentale come invece lo è la psicosi. A livello<br />

di intervento questa distinzione è fondamentale; di fronte ad una malattia mentale posso<br />

prefigurarmi un intervento di ordine psicologico; di fronte ad un disturbo dello sviluppo che<br />

permane per tutta la vita sono invece obbligato a non pensare in termini terapeutici-curativi ma in<br />

termini educativi. Si pensi di nuovo alla cecità: con una persona non vedente non ci si porrà come<br />

obiettivo quello di farla “vedere” ma gli si potrà fornire una serie di strumenti affinché essa possa<br />

acquisire autonomia e indipendenze maggiori (ad esempio con la messa a disposizione di un caneguida<br />

o di un bastone insegnandole gli spostamenti in vari ambienti, insegnandole il braille per<br />

leggere, ecc.). Inoltre, visto che il disturbo è presente fin dai primi momenti di vita, e che quindi lo<br />

sviluppo del bambino è qualitativamente diverso fin dall’inizio, il termine spesso usato di<br />

“riabilitazione” potrebbe essere sostituito con quello di “abilitazione”. Nel primo caso è implicito<br />

che la persona ha perso delle abilità che in precedenza possedeva, mentre nel secondo caso è chiaro<br />

che il compito è di fornire abilità che non sono presenti nel bagaglio “genetico” della persona.<br />

La triade dei comportamenti<br />

I criteri diagnostici del disturbo autistico sono definiti tramite la descrizione di caratteristiche<br />

comportamentali che devono essere presenti in una certa misura, entro i primi 3 anni di età. Le<br />

difficoltà principali sono le seguenti:<br />

Compromissione qualitativa dell’interazione sociale<br />

Compromissione qualitativa della comunicazione<br />

Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.<br />

Per quanto concerne l’interazione sociale ci possono essere difficoltà importanti nell’utilizzo e<br />

nella comprensione di comportamenti non verbali (posture, mimica, sguardo, gesti) che regolano<br />

l’interazione sociale, difficoltà nello sviluppare relazioni adeguate all’età di sviluppo con dei<br />

coetanei, difficoltà nella condivisione di gioie, interessi ed obiettivi (per esempio il non attirare<br />

l’attenzione su oggetti di proprio interesse, non mostrare o portare un gioco per “commentarne” le<br />

caratteristiche, ecc.).<br />

Per l’ambito della comunicazione si riscontra un ritardo o totale mancanza dello sviluppo del<br />

linguaggio parlato, senza compensazione con modalità di comunicazione alternative (come gesti o<br />

mimica). In soggetti con linguaggio, permane la difficoltà ad iniziare e sostenere una conversazione,<br />

oppure un utilizzo ecolalico del linguaggio, oppure un linguaggio eccentrico (bizzarro, strano,<br />

apparentemente senza significato). Inoltre si nota pure come vi sia una mancanza di giochi di<br />

finzione (far finta di....) e di imitazione adeguati all’età di sviluppo del bambino.<br />

Infine i soggetti affetti da disturbo autistico possono dedicarsi incessantemente a pochi interessi<br />

ristretti e stereotipati anomali sia per intensità che per focalizzazione, avere abitudini e rituali<br />

specifici, stereotipie motorie, interesse per parti di oggetti.<br />

Funzionamento cognitivo<br />

Come appena visto i disturbi descritti sono di ordine qualitativo, cioè non dovuti ad un ritardo<br />

mentale (benchè nel 70-75 % dei casi si riscontra un ritardo più o meno importante e che possono<br />

essere presenti anche altre patologie cliniche) o ad un dato disturbo specifico dello sviluppo. Questo<br />

comporta un modo di funzionamento cognitivo che è QUALITATIVAMENTE diverso, ciò che<br />

non significa meno o più “intelligente”, ma differente. Occupandosi di persone autistiche,<br />

soprattutto quando si entra in contatto con quelle che hanno un linguaggio parlato, ci si rende conto<br />

chiaramente di questa diversa qualità di funzionamento. Basti pensare alla comprensione letterale<br />

che la persona con <strong>autismo</strong> ha delle frasi (chiedendo per esempio ad una persona autistica “mi puoi<br />

passare il sale ?” in un contesto di pranzo, questa risponderebbe “Sì”, senza però capire che ciò che<br />

3


le si chiede è di agire; per capire il suo punto di vista dobbiamo renderci conto che la sua risposta è<br />

corretta; infatti il senso letterale della nostra domanda è stato: “saresti in grado di passarmi il sale se<br />

te lo chiedessi ?), alla non comprensione di frasi metaforiche, di modi di dire (per esempio,<br />

l’affermazione “andiamo a fare quattro passi” può essere intesa nel suo senso letterale).<br />

Altre caratteristiche pregnanti del funzionamento cognitivo della persona autistica sono il non<br />

sapere mettersi nei panni di un’altra persona, la mancanza di empatia, il non capire che un’altra<br />

persona può avere credenze, conoscenze, informazioni, impressioni diverse dalle sue. Questa<br />

incapacità, teorizzata tramite alcune teorie cognitive come ad esempio la teoria della mente, ci fa<br />

capire perchè la persona con <strong>autismo</strong> ha grandi difficoltà, per esempio, nel chiedere<br />

un’informazione (se io, persona con <strong>autismo</strong>, non so una cosa, penso che anche l’altra persona non<br />

la sappia, quindi non le chiedo). La persona affetta da <strong>autismo</strong> si trova in difficoltà nel dare un<br />

senso alle esperienze quotidiane, a situazioni per noi facili e comunemente comprese, in una parola<br />

“alla vita di tutti i giorni”.<br />

Da molti studi ma anche da numerose testimonianze di persone affette da <strong>autismo</strong> (vedasi ad<br />

esempio gli scritti di Donna Williams, Temple Grandin, Gunilla Gerland, Thérèse Joliffe, Sean<br />

Barron, Jim Sinclair) che hanno descritto “dall’interno” cosa voglia dire vivere da persone affette da<br />

<strong>autismo</strong>, sul loro modo di essere, e quindi anche sulle difficoltà che esse incontrano nella vita di<br />

tutti i giorni, possiamo renderci conto che la persona con <strong>autismo</strong> è come se fosse un “pensatore<br />

visivo”. Il suo modo di comprendere il mondo circostante, sia esso fisico, relazionale, sociale, è<br />

legato ad una comprensione concreta (ciò che posso capire solo guardando è di più facile<br />

comprensione, per il resto incontro delle difficoltà maggiori).<br />

Ci rendiamo a questo punto subito conto che il mondo attorno a noi non è esclusivamente fatto di<br />

situazioni concretizzabili, ma al contrario è intriso di situazioni astratte, di regole (sociali e non) che<br />

non sono né scritte né dette ma implicite, di mezze frasi, di molti comportamenti non verbali, di<br />

concetti astratti e relativi.<br />

Si pensi per esempio ai concetti “grande” e “piccolo”: immaginiamoci due contesti. Nel primo<br />

abbiamo un bicchiere ed una bottiglia, nel secondo lo stesso bicchiere ed un cucchiaino. Nel primo<br />

il bicchiere è “piccolo” rispetto alla bottiglia, nel secondo esso diventa “grande” rispetto al<br />

cucchiaino. Per poter utilizzare due parole semplici come “grande” e “piccolo” è necessario<br />

considerarle nel contesto corrispondente. O ancora, le espressioni “è un topo grande” oppure “è un<br />

piccolo elefante” risultano essere praticamente assurde per qualcuno che si basi su criteri “letterali”<br />

di percezione e che incontri difficoltà nella comprensione della relatività del significato “grande” e<br />

“piccolo”. La persona affetta da <strong>autismo</strong> incontra anche difficoltà nella gestione del tempo,<br />

mancando sovente di strumenti di controllo che noi abbiamo invece imparato ad utilizzare (per es.<br />

orologi, agende, calendari). Quindi, espressioni come “puoi entrare nello studio del medico fra<br />

cinque minuti”, oppure “aspetta un attimo che poi ritorno”, o “ti farò la puntura fra poco”, ecc.<br />

possono non avere alcun valore significativo per la persona autistica, in quanto unità di misura non<br />

concretizzate visivamente. Se andiamo a rivedere le caratteristiche diagnostiche del disturbo<br />

autistico non possiamo non vedere che la persona con <strong>autismo</strong> incontra grandi difficoltà in<br />

innumerevoli aspetti della nostra esistenza.<br />

Quali interventi per la persona con <strong>autismo</strong><br />

In generale, non solo quindi per quanto concerne l’<strong>autismo</strong>, si può affermare che esiste oggi un<br />

“corpus” di conoscenze scientifiche e di tecniche elaborate, negli ambiti più svariati, che sono<br />

utilizzate per alleviare le conseguenze o per migliorare le condizioni quando si è in presenza di<br />

problematiche complesse, per le quali non esistono rimedi univoci.<br />

4


Molte di queste condizioni sono ad origine “multifattoriale”; spesso non se ne conosce la “causa”<br />

oppure quando essa è nota è impossibile annullarne gli effetti e quindi non vi è neanche il<br />

“rimedio”.<br />

Ciò non ci esime dal voler e dover continuare la ricerca; per fare questo l’uomo dispone di molti<br />

mezzi che diventano però utilizzabili proprio quando il problema viene affrontato, a livello<br />

cognitivo ed emotivo, in maniera realistica. Questo modo di vedere le cose viene chiamato spesso<br />

“approccio psicoeducativo” quando si applica al miglioramento della qualità di vita delle persone<br />

coinvolte. Questo termine significa che il problema sta nella relazione fra diversi fattori: le abilità<br />

delle persone colpite e di chi se ne occupa; l’ambiente (fisico, sociale) in cui esse vivono; le risorse<br />

(materiali, umane) cui possono attingere, l’organizzazione della rete di appoggi, aiuti e interventi<br />

tecnici diversi. Per ottenere il massimo d’efficacia di questi fattori possiamo avvalerci di uno<br />

strumento principe: l’educazione.<br />

Essa permette di aumentare abilità, capacità, padronanza, successo, stima di sé in tutte le persone<br />

coinvolte.<br />

All’educazione si aggiungono strumenti derivati dalla Psicologia: ad esempio strumenti di<br />

valutazione, tecniche comunicative, di autocontrollo, di appoggio e di sostegno.<br />

Perciò in assenza di un rimedio univoco, l’impegno è rivolto al miglioramento della qualità di<br />

vita.<br />

Lo stesso dis<strong>corso</strong> vale pure quando ci occupiamo del disturbo autistico, della persona che ne è<br />

affetta e di tutte le persone coinvolte. Non esiste un trattamento singolo che si possa ritenere<br />

efficace per l’<strong>autismo</strong>. Esiste però un insieme, un sistema di interventi che, dove è applicato da più<br />

di 20 anni, si è dimostrato il più efficace.<br />

Qui molti lettori penseranno che è stata trovata “la pillola miracolosa” e non lo sapevano? Niente di<br />

tutto ciò: il “sistema trattamento “ dimostratosi più efficace per l’<strong>autismo</strong> finora è il seguente:<br />

Una diagnosi precoce<br />

Precoce e chiara informazione alla famiglia<br />

Controllo, monitoraggio e supporto medico – farmacologico<br />

Educazione del bambino<br />

Aiuto pratico e psicologico alla famiglia<br />

Approntamento di servizi per l’intero ciclo di vita<br />

Coordinamento tra enti e servizi impegnati nel trattamento<br />

Laddove questo “sistema-trattamento” viene applicato si ha il minor numero di persone affette da<br />

<strong>autismo</strong> ricoverate in istituzioni totali nell’età adulta. E si vede che dove si ha il minor numero di<br />

persone adulte ricoverate in questo tipo di istituzioni, questo avviene perché esse hanno applicato<br />

un sistema di interventi collegati fra loro.<br />

A questo punto il lettore potrà chiedersi: “Ma allora cosa posso fare con la persona affetta da<br />

<strong>autismo</strong> ?” Si potrebbe rispondere “Qualsiasi cosa”. Se quanto detto finora rappresenta il<br />

“contenitore”, all’interno di questo si possono mettere infinite cose. I contenuti in sé possono essere<br />

relativi, non lo è però la finalità a cui si tende, cioè una migliore qualità di vita, tenendo<br />

evidentemente conto delle abilità che presenta il soggetto nei vari ambiti di sviluppo, del suo<br />

funzionamento cognitivo specifico in quanto persona affetta da <strong>autismo</strong>, del fatto che ogni persona<br />

è comunque unica, dei suoi interessi, delle priorità famigliari e/o istituzionali, ecc.. Questa finalità<br />

dovrà poi essere resa operativa tramite obiettivi osservabili e misurabili. Se nell’ambito di un<br />

qualsiasi tipo di intervento (sia esso terapeutico, educativo, curativo, psicologico,...), ci si<br />

prefiggesse di far uscire la persona affetta da <strong>autismo</strong> da quella famosa e per decenni mitizzata<br />

“campana di vetro”, si sarebbe obbiettivamente fuori strada. Qualsiasi attività proposta ha senso di<br />

5


esistere se la finalità ultima a cui si tende è una migliore qualità di vita. Questa finalità dovrà poi<br />

essere resa operativa tramite obiettivi osservabili e misurabili.<br />

Quando incontro una persona con <strong>autismo</strong><br />

Chiunque sia chiamato ad occuparsi di un bambino, di un giovane o di un adulto affetto da <strong>autismo</strong>,<br />

in qualsiasi ambito, avrà tendenza a “raffigurarsi” la persona che gli sta di fronte secondo sue<br />

concezioni personali nel campo, secondo i suoi vissuti personali diretti o indiretti, secondo i “sentito<br />

dire” al riguardo, secondo la sua formazione. Se per esempio l’operatore pensa che la persona<br />

autistica capisce tutto quello che le viene detto verbalmente, userà il linguaggio verbale di<br />

conseguenza; se invece l’operatore è cosciente delle difficoltà della persona autistica in questo<br />

ambito, eviterà per esempio di usare modi di dire, metafore, o frasi simboliche ed utilizzerà invece<br />

modalità comunicative più concrete, visive e spaziali. L’accoglienza di un bambino o adulto che<br />

presenta le caratteristiche specifiche del disturbo autistico, con l’espressione di tutta una serie di<br />

comportamenti che risultano magari incomprensibili, talmente “diversi” da quello che è<br />

comunemente definito dalla norma, ci interpella e ci richiede uno sforzo ed un’attenzione<br />

“particolari”. Pensare che la persona che ci sta di fronte non è unicamente in difficoltà per eventuali<br />

ritardi o disturbi specifici dello sviluppo, ma che ha un modo di funzionare fondamentalmente<br />

differente (a cui poi spesso si sovrappongono altri disturbi, complicandone il quadro clinico), fa sì<br />

che dobbiamo rimettere in discussione le nostre conoscenze, magari stereotipate o legate a miti sul<br />

disturbo autistico, per cercare di meglio capirla e quindi di meglio aiutarla. Prima ancora di potere<br />

fare questo dobbiamo evitare di giudicare un determinato comportamento perché siamo<br />

tendenzialmente abituati a paragonarlo alla norma. Come ha affermato Theo Peeters, nell’<strong>autismo</strong><br />

non bisogna dare niente per scontato.<br />

Visto e considerato la diversità delle espressioni di comportamento che ci forniscono le persone<br />

affette da <strong>autismo</strong>, non sarebbe fattibile, ma neanche corretto, aspettarsi indicazioni su “come devo<br />

comportarmi”, cercando delle ricette che funzionino in ogni situazione.<br />

In quanto professionisti della salute (nella sua accezione più ampia possibile), possiamo,<br />

indipendentemente dal ruolo e dalla funzione che ricopriamo, fare il possibile per instaurare un<br />

efficace rapporto di collaborazione fra noi, i famigliari e gli altri operatori chiamati ad occuparsi<br />

della persona con <strong>autismo</strong>. Per giungere a questo dobbiamo considerare i seguenti fattori:<br />

Evitare un atteggiamento di giudizio<br />

Comprendere i problemi di gestione del bambino (o adulto)<br />

I professionisti (ognuno nel suo settore specifico) rappresentano guide, non gli unici esperti, i<br />

famigliari sono esperti del loro figlio o figlia<br />

Considerare i bisogni globali della famiglia<br />

Saper condividere, sia gioie sia inquietudini.<br />

In quanto medici, infermieri, psicologi, educatori, ecc., è il nostro atteggiamento che può gettare le<br />

basi per una fruttuosa collaborazione con la famiglia pensando alla qualità di vita del bambino e del<br />

suo “entourage”. I famigliari sono detentori di una miriade di informazioni, di esperienze, di<br />

strategie che ci possono essere utili nel cammino che ci porti ad una migliore comprensione del loro<br />

figlio o figlia autistica. Queste conoscenze vanno combinate con il nostro “sapere” da professionisti.<br />

La raccolta obiettiva di questi dati è dunque di fondamentale importanza in qualsiasi processo<br />

d’intervento. L’integrazione della famiglia nel processo di costruzione di una “alleanza terapeutica”<br />

è subordinata alla nostra disponibilità ad accettarla, ad ascoltarla, a sostenerla ed a condividerne le<br />

preoccupazioni, i dubbi, lo scoramento e le inquietudini riguardo al futuro. La condivisione fra<br />

professionisti e famigliari di questi elementi deve costituire un pilastro su cui poggiare l’aiuto per il<br />

bene del bambino.<br />

6


Non bisogna inoltre mai dimenticare che l’infermiere o altri professionisti, a qualunque livello<br />

intervengano, rappresentano una “meteora” sull’arco dell’esistenza della persona affetta da <strong>autismo</strong>.<br />

Questi elementi vanno ad aggiungersi alle peculiarità della persona con <strong>autismo</strong>, unica nel suo<br />

essere “persona vera”.<br />

Una valutazione il più corretta ed approfondita possibile delle abilità e difficoltà del bambino o<br />

dell’adulto affetto da <strong>autismo</strong> va quindi di pari passo con quanto appena detto. La raccolta<br />

d’informazioni in questo senso coinvolge una équipe che deve essere multidisciplinare, ma dove<br />

ognuno deve considerare il bambino o l’adulto non solo per quello che è la sua disciplina medicopsicologica-pedagogica<br />

o sociale, ma condividere pienamente le sue osservazioni con le altre<br />

persone coinvolte, così da avere un’immagine la più completa possibile delle caratteristiche di<br />

“quella” persona affetta da <strong>autismo</strong>, e di formare un’immagine “comune” di quel bambino o adulto<br />

con i famigliari. Questo va fatto tenendo conto delle realtà che concernono l’<strong>autismo</strong> al giorno<br />

d’oggi, tramite un approccio obiettivo, e non veicolando, ancora e sempre, tutta quella serie di miti<br />

che si sono costruiti in decenni di false verità, ma che purtroppo resistono ancora ai nostri giorni.<br />

Solo dimenticando questi miti (un mito per definizione è una cosa non vera), e operando con<br />

conoscenza di causa si potrà migliorare la qualità di vita della persona affetta da <strong>autismo</strong> e di tutte le<br />

persone chiamate ad occuparsene.<br />

Attività svolte dalla Fondazione ARES – Autismo Ricerca E Sviluppo<br />

Via Zorzi 2 A<br />

CH-6512 Giubiasco<br />

Tel.: 091/850.15.80<br />

Fax: 091/850.15.82<br />

e-mail: info@fondazioneares.com<br />

www.fondazioneares.com<br />

Valutare le capacità e competenze di bambini e adulti affetti da <strong>autismo</strong> o altri disturbi<br />

generalizzati dello sviluppo (DGS)<br />

Sostenere e consigliare le famiglie confrontate con la presenza di una persona affetta da<br />

<strong>autismo</strong> o DGS nel nucleo famigliare<br />

Fornire indicazioni alla famiglia per migliorare la qualità di vita della persona affetta da<br />

<strong>autismo</strong> e dei famigliari stessi; come e cosa fare per adattare l’ambiente famigliare alla<br />

presenza di una persona con <strong>autismo</strong> o DGS<br />

Collaborare con vari enti di presa a carico presente sul territorio (scuole, istituti, foyer,<br />

laboratori protetti, ecc.) al fine di fornire alla persona con <strong>autismo</strong> degli interventi adeguati<br />

alle sue particolarità, tramite l’elaborazione di programmi educativi individualizzati<br />

Attivare e supervisionare gli interventi educativi effettuati all’interno delle strutture di presa a<br />

carico presenti sul territorio<br />

Tramite accompagnamenti educativi specifici, fornire alla persona affetta da <strong>autismo</strong> quelle<br />

competenze che possono esserle utili in vista di un inserimento o reinserimento in strutture di<br />

accompagnamento diurne o residenziali<br />

Fornire un’informazione aggiornata sulle tematiche concernenti l’<strong>autismo</strong> e altri DGS<br />

Fare attività di formazione<br />

Gestione, aggiornamento e prestito di documentazione aggiornata (Centro di Documentazione<br />

(ca. 600 libri – riviste specialistiche – articoli – video)<br />

Sensibilizzazione dell’opinione pubblica in genere<br />

7


Bibliografia al 2002<br />

Per una bibliografia costantemente aggiornata cft. www.fondazioneares.com nelle pagine Centro<br />

Documentazione<br />

Baron-Cohen S., L’<strong>autismo</strong> e la lettura della mente, Ed. Astrolabio, 1997<br />

Beyer J., Gammeltoft L., Autismo e gioco, Ed. Phoenix, 2001<br />

DSM-IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Ed. Masson, 1996<br />

Frith U., L’<strong>autismo</strong>. Spiegazione di un enigma, Ed. Laterza, 1991<br />

Gerland G., Una persona vera, Ed. Phoenix, 1999<br />

Grandin T., Penser en images, et autres témoignages sur l’autisme, Ed. Odile Jacob, 1997<br />

Grandin T., Ma vie d’autiste, Ed. Odile Jacob, 1994<br />

Ianes D., Autolesionismo, stereotipie, aggressività: intervento educativo nell’<strong>autismo</strong> e ritardo<br />

mentale grave, Ed. Erickson, 1992<br />

Milcent C., A tu per tu con l’<strong>autismo</strong>, Ed. Sansoni, 1993<br />

ICD-10, Ed. Masson, 1996<br />

Jordan R., Powell S., Autismo e intervento educativo, Ed. Erickson, 1997<br />

Micheli E., Autismo: verso una migliore qualità della vita, Ed. Laruffa, 1999<br />

Peeters T., Autisme: la forteresse éclatée, Ed. Pro Aid Autisme, 1994<br />

Peeters T., Autismo infantile. Orientamenti teorici e pratica educativa, Ed. Phoenix, 1998<br />

Schopler E., Lansing M, Waters L., Attività didattiche per autistici, Ed. Masson, 1995<br />

Schopler E., Reichler R. J., Lansing M., Strategie educative nell’<strong>autismo</strong>, Ed. Masson, 1991<br />

Schopler E., Mesibov G. B., Apprendimento e cognizione nell’<strong>autismo</strong>, Ed. Mc Graw-Hill, 1998<br />

Schopler E., Autismo in famiglia. Manuale di sopravvivenza per genitori, Ed. Erickson, 1998<br />

Schopler E., Lord C., Schaffer B., Watson L. R., La comunicazione spontanea nell’<strong>autismo</strong>, Ed.<br />

Erickson, 1997<br />

Xaiz C., Micheli E., Gioco e interazione sociale nell’<strong>autismo</strong>, Ed. Erickson, 2001<br />

Williams D., Nessuno in nessun luogo, Ed. Ugo Guanda, 1992<br />

Williams D., Il mio e loro <strong>autismo</strong>: itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera, Ed.<br />

Armando, 1998<br />

Wing L., I bambini autistici: una guida per i genitori, Ed. Armando, 1986<br />

8


L'esperimento di "Sally and Anne"<br />

Brano estratto dalla tesi “La comunicazione spontanea nell'<strong>autismo</strong>” di Emilia Sigillo<br />

Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara - 2004-05<br />

Le conferme sperimentali della Teoria metarappresentativa sono state ottenute soprattutto attraverso<br />

ricerche sull'attribuzione di credenze false. L'esperimento divenuto più famoso è quello chiamato "<br />

Sally and Anne": ai bambini veniva presentato uno scenario composto da due bambole di nome<br />

Sally e Anne, una scatola, un cesto ed una pallina.<br />

Veniva, dunque, raccontata ai bambini la seguente storia: "Sally mette la sua pallina nel cesto e poi<br />

esce. Mentre è fuori, Anne prende la pallina dal cesto e la mette nella scatola" Quindi Sally torna ed<br />

al bambino veniva chiesto: "Dove andrà Sally a cercare la pallina?".<br />

Il compito di false credenze è stato considerato cruciale per verificare se una persona è in grado di<br />

attribuire stati mentali, perché prendere in considerazione le credenze porta alla risposta corretta,<br />

mentre, considerare solo lo stato di fatto genera una risposta scorretta.<br />

Indicando il cesto, il bambino dimostra di tenere in considerazione la credenza falsa che Sally<br />

possiede sulla collocazione della pallina (Sally crede che la pallina sia nel cesto). Al contrario,<br />

l'indicazione della scatola rivela che egli basa la sua risposta solo sullo stato di fatto, ossia il luogo<br />

dove è la pallina al momento della domanda.<br />

I bambini appartenevano a tre gruppi: bambini autistici, bambini con sindrome di Down e bambini<br />

con sviluppo normale. I primi avevano in media undici anni e davano prestazioni quasi nella norma<br />

a vari test di intelligenza non verbale e moderatamente ritardate in test verbali. I secondi avevano<br />

all'incirca dieci anni e presentavano ritardo in entrambi i tipi di test. I bambini normali avevano in<br />

media quattro anni.<br />

La domanda critica dell'esperimento venne superata dalla maggioranza dei bambini normali e quelli<br />

con sindrome di Down, ma solo dal 20% dei bambini autistici. Questi ultimi mostrarono perciò<br />

prestazioni di gran lunga inferiori ai bambini di controllo , nonostante le loro prestazioni nei test di<br />

intelligenza fossero migliori di quelle dei bambini Down.<br />

Documento consultabile sul sito: www.tesionline.it


“Autismo e …senso comune”<br />

AnnaMaria Arpinati - Daniela Mariani Cerati<br />

Tratto da “Il Bollettino dell’Angsa” -Anno XIX n. 6 2004<br />

1) La persona con <strong>autismo</strong> è poco socievole, distaccata dal mondo che la circonda.<br />

Il senso comune ci dice di stimolarla, di esporla alla compagnia di tante persone, di fornire tante<br />

sollecitazioni. Il risultato è che l’individuo si agita, prova disagio, spesso mette in atto<br />

comportamenti intollerabili.<br />

Cosa ci dicono le ricerche di neurofisiologia?<br />

Che la persona con <strong>autismo</strong> ha un grave deficit delle funzioni elementari della mente, in particolare<br />

dell’attenzione e della percezione. E’ in un costante stato di ipereccitazione, non riesce a<br />

selezionare gli stimoli, non riesce a sopportare un suono, anche piacevole, nel sottofondo, è invaso<br />

dalla cacofonia ambientale, è distraibile per un nonnulla. Ne consegue che l’ambiente ideale perché<br />

non provi disagio e apprenda qualche abilità utile è un ambiente spoglio, privo di elementi<br />

distraesti. Ad esempio, quando si comincia un’attività nuova, bisogna nascondere il materiale che è<br />

servito all’attività precedente, in quanto la vista del materiale di prima impedisce la concentrazione<br />

sulla nuova attività. Ci deve essere il silenzio quasi assoluto.<br />

2) “La persona con <strong>autismo</strong> stenta ad essere sveglia e attenta, ma anche a rilassarsi”<br />

Il senso comune difficilmente intuisce questo disturbo, che comprende due aspetti che sembrano in<br />

antitesi fra loro.<br />

Bisogna favorire l’alternanza di momenti di impegno con altri di rilassamento. Bisogna cercare per<br />

ogni individuo cosa lo rilassa e concederglielo frequentemente, anche se si tratta di stereotipie o di<br />

movimenti ritmici, come i dondolamenti tipici della patologia.<br />

3) “La persona con <strong>autismo</strong> solitamente ha un aspetto fisico bello, ha uno sguardo<br />

apparentemente assorto in pensieri profondi.”<br />

Il senso comune (quello che ci fa ad esempio essere subito più disponibili verso una persona down),<br />

suggerisce in questo caso che l’individuo non voglia dare le prestazioni che solitamente danno i<br />

suoi coetanei. Sotto l’apparente normalità fisica, si cela il più disabilitante degli handicap. Si<br />

pretendono prestazioni impossibili per la persona disabile, credendo che non voglia fare, mentre in<br />

realtà lei non sa fare. Non sapendo comunicare il suo disagio, l’individuo si agita e mette in atto<br />

comportamenti intollerabili, come l’aggressività.<br />

Una valutazione accurata e esperta delle aree di forza e di debolezza è indispensabile per abbassare<br />

le richieste e adeguarle a livello giusto.<br />

4) “Il soggetto con <strong>autismo</strong> comunica poco e male.”<br />

Il senso comune suggerisce di parlargli molto, in continuazione.<br />

La ricerca ci dice che la comprensione del linguaggio è scarsa, anche in chi sa parlare<br />

apparentemente bene. La ricezione del linguaggio è inferiore alla produzione dello stesso, quando<br />

c’è. C’è inoltre una limitata capacità di ascolto e di pensiero astratto.E’ quindi opportuno parlare<br />

poco: frasi semplici, concrete, brevi, a c ui far seguire domande per verificare che l’individuo abbia<br />

capito e per tenere viva la sua labile attenzione.<br />

5) “L’<strong>autismo</strong> è caratterizzato dalla disarmonia dello sviluppo nelle diverse aree”.


Un individuo può avere un’età mentale di un anno in un settore, di 5 in un altro, di 10 in un altro.<br />

C’è ad esempio una buona memoria meccanica, tipo computer, buone abilità visuo-spaziali ma una<br />

pessima capacità di interazione sociale. Molti autistici riescono bene nel fare i puzzle, perché hanno<br />

abilità visive, disgiunte però dalla comprensione del significato dell’immagine, che per loro è o<br />

poco comprensibile o indifferente.<br />

Il senso comune ci induce a pensare che siano persone intelligenti (sanno comporre puzzle per noi<br />

difficili!) e che semplicemente non vogliono comunicare con noi, per vivere nella loro astrazione.<br />

La ricerca ci dice che è bene sfruttare le aree sviluppate del soggetto autistico, per fare progredire<br />

quelle più carenti. Ad esempio, se un bambino a fare un puzzle da cinquanta pezzi, non bisogna<br />

presentargli un puzzle da settanta, ma va sfruttata la sua abilità per migliorare la socializzazione.<br />

Ad esempio facciamolo giocare con un’altra persona e facciamogli imparare a rispettare i turni,<br />

cosa per lui molto difficile. Questo può essere fatto prima con uno, poi con due compagni, in una<br />

sorta di integrazione inversa.<br />

6) “Il soggetto autistico non sa socializzare”.<br />

Il senso comune dice che lo stare fisicamente in mezzo agli altri compagni lo renderà più socievole.<br />

La ricerca ha mostrato che questo non succede. La socializzazione deve essere insegnata<br />

appositamente, creando situazioni molto semplificate e poi via via più complesse. I compagni<br />

possono essere utili in questo, solo se ben istruiti e guidati da insegnanti competenti.<br />

7) “Il soggetto autistico è in una sorte di anarchia mentale; non sa organizzarsi, non ha<br />

fantasia”.<br />

Il senso comune spesso interpreta questa anarchia mentale come una “non disponibilità” a<br />

collaborare. La ricerca ci informa che il soggetto ha bisogno di una strutturazione estrema dello<br />

spazio e del tempo, di suggerimenti visivi che lo aiutino a organizzarsi e a maturare un minimo di<br />

autonomia.<br />

8) “Per i soggetti autistici le sorprese non sono una fonte di piacere (come per i normodotati);<br />

sono fonte di sofferenza”.<br />

Il senso comune non aiuta a capire questo aspetto. La ricerca ci dice che bisogna rendere<br />

prevedibile, in ogni particolare, il futuro immediato e lontano.<br />

9) “I soggetti autistici che parlano sembrano più autonomi e intelligenti”.<br />

Il senso comune ci induce a pensare che con questi ci sarà meno da faticare, per “recuperarli”. La<br />

ricerca e l’esperienza ci fanno capire che ripetono le stesse cose come dischi, senza comunicare.<br />

Scelgono argomenti che non interessano all’interlocutore e che talvolta sono anche sconvenienti.<br />

Un insegnamento molto utile potrebbe essere dargli una forma accettabile, magari anche<br />

stereotipata e convenzionale, di conversazione, che abbia un capo e una coda. Molto utili possono<br />

essere simulazioni con bambini normali che, se motivati e formati da insegnanti competenti,<br />

possono diventare ottimi tutor.<br />

Documento consultabile sul sito: www.angsaonlus.org


“Autismo: qualità o quantità, deficit o disordine? Il radar starato!”<br />

Piero Crispiani:<br />

Docente Università di Macerata, pedagogista clinico<br />

Presidente federazione italiana pedagogisti<br />

tratto da: “Il Bollettino dell’Angsa”<br />

Associazione nazionale genitori Soggetti autistici<br />

n.6 - 2004<br />

Benchè in molti casi la sindrome autistica si accompagni a ritardo mentale e ad altre<br />

minorazioni funzionali, il tratto caratteristico dell’<strong>autismo</strong> è la natura qualitativa del<br />

disturbo, quindi la diversità in luogo della minorazione.<br />

Non solo l’emergenza della tipologia dei soggetti autistici ad alta funzionalità, che<br />

hanno consegnato alla letteratura e al colloquio clinico il senso radicale dello stato<br />

cognitivo autistico, ma nondimeno l’analisi contestualizzata delle condotte più<br />

generali, accreditano oggi la categoria della diversità nei processi generali umani<br />

coordinati a livello centrale, quindi nei processi cognitivi. Questa considerazione, del<br />

resto, non è nuova, se rapportata alla breve storia teorica e clinica di questa patologia.<br />

Diverso è il modo di percepire la realtà, di organizzare in parallelo le percezioni<br />

(sinestesia), di coordinare la motricità e le prassie (disprassia), di decodificare i<br />

messaggi verbali e di articolarli, di comporre la sequenza dei suoni in una parola<br />

(cinema - cimena, spettacolo - skepatolo), di coordinare le strutture frastiche, di<br />

governare le emozioni e le motivazioni, di immaginare, simbolizzare, muoversi nel<br />

tempo e nello spazio ecc. Naturalmente per effetto di una condizione personale,<br />

talvolta iper-complessa, le funzioni possono esibire anche minorazione quantitativa,<br />

che si tende a indicare come ritardo o minorazione o deficit.<br />

L’<strong>autismo</strong> infatti, ovvero lo stato di Disturbo pervasivo dello sviluppo, in realtà gli<br />

autismi, può presentarsi in diversi stati.<br />

a) In cerebrolesioni: qui il ritardo mentale e le altre minorazioni funzionali sono<br />

di tipo quantitativo e misurabile con gli strumenti convenzionali (parziali<br />

comunque).<br />

b) In co-morbilità psichiche: associato a patologie neurologiche o psichiche, o a<br />

disfasia, disprassia ecc. gravi, in tal caso il ritardo mentale può essere presente,<br />

unitamente alle forme più svariate di diversità funzionale.<br />

c) In forma specifica, allorchè in assenza di altre patologie o minorazioni si<br />

evidenziano i tratti autistici essenziali. In questo caso il ritardo mentale non è<br />

condizione primaria, talvolta non c’è, altre volte esprime particolari abilità o<br />

attitudini (isole di abilità, in genere connesse a condotte rituali o al pensiero<br />

radicale). Altre volte ancora il ritardo mentale si struttura per effetto del<br />

disturbo funzionale, della deprivazione, del mancato esercizio e, soprattutto,<br />

della carente o assente comunicazione sociale. Ad ogni caso, l’<strong>autismo</strong>


specifico mostra diversità delle funzioni percettive, comunicative ed<br />

intellettive, per effetto del disturbo cognitivo (coordinativo).<br />

Sempre nel caso dell’<strong>autismo</strong> specifico, può darsi il caso di intellettività normodotata<br />

ma che, alla psicometria, risulta fortemente deficitaria per scarsa reattività, o<br />

rispondenza, del soggetto alle prove grafiche, verbali, iconiche ecc., ovvero alle<br />

strumentalità delle consegne come delle risposte.<br />

In altre parole, il ritardo mentale nel soggetto autistico può essere:<br />

- proprio della patologia primaria (quando i tratti autistici sono secondari);<br />

- congenito alla sindrome autistica;<br />

- derivato, nel tempo, dalla sindrome autistica;<br />

- assente;<br />

- falsa rilevazione di test psicometrici.<br />

E’ dunque un parametro di qualità a connotare lo stato autistico ed è meglio colto<br />

dalla prospettiva cognitivista (percezione/pensiero in caos, in dettagli, realismo<br />

verbale, strategie di sopravvivenza, deficit di teoria della mente, deficit di<br />

coordinamento centrale ecc.).<br />

Il soggetto autistico è anzitutto diverso, si presenta come specialmente speciale (T.<br />

Peeters) e la sua comparazione, o misurazione, risulta contraddittoria (Il significato<br />

dell’<strong>autismo</strong> è l’<strong>autismo</strong> stesso, T. Peeters).<br />

In linea più generale, va richiamato il fatto che i fenomeni qualitativi non sono<br />

misurabili, essi sono piuttosto descrivibili e narrabili, pertanto hanno poco senso le<br />

pratiche diagnostiche empirico-misurative dell’intelligenza nel soggetto autistico.<br />

L’autistico va descritto nel suo lavoro mentale, e narrato, ponendo in sinergia le<br />

prospettive diacronica e sincronica, da cui il possibile Profilo Dinamico Funzionale.<br />

Dal quantitativo al qualitativo cambiano una serie di paradigmi concettuali, tra i quali<br />

postazione principale occupano le etichette di deficit e disordine.<br />

-Ai disturbi quantitativi pertiene l’idea del deficit.<br />

-Ai disturbi qualitativi pertiene l’idea del disordine.<br />

-Il primo è (forse) quantificabile. Il secondo non lo è. Lo si può descrivere,<br />

narrare.<br />

L’atto diagnostico di descrivere una patologia mentale è ben più complesso e<br />

raffinato della pretesa di misurarla.<br />

La descrizione si ottiene mediante strumenti non psicometrici ma ad alta vocazione<br />

clinica: l’osservazione clinica, il colloquio clinico, il questionario, l’autobiografia, gli<br />

esami funzionali, le scale di livello, il Profilo Dinamico.<br />

Lo stato autistico specifico denota sempre disordine cognitivo (disordine, qualitativo,<br />

non misurabile), a volte anche deficit intellettivo (deficit, quantitativo, parzialmente<br />

misurabile): lo stesso deve dirsi della percezione, del linguaggio e dei coordinamenti<br />

in genere, che costringono tale individuo nella condizione di caos, confusione, mal<br />

destrezza, ansia e, in generale, grave disadattamento.<br />

C’è una metafora suggeritami da un genitore attento, che in molti casi di <strong>autismo</strong><br />

specifico o secondario ritengo calzante: il Radar starato. Come quel radar che<br />

percepisce gli elementi ma non li coordina al contesto, non li parametra nel tempo e


nello spazio, rimane in una condizione di scoordinata e confusa percezione, la mente<br />

del soggetto autistico lavora rispetto all’ambiente oggettivo e soggettivo.<br />

In modo “starato” egli legge i contesti, i messaggi verbali che ascolta, i visi e le loro<br />

espressioni, le dinamiche relazionali, le regole e le loro improvvise mutazioni ecc.<br />

La condizione di percezione/pensiero in caos non è esclusiva della sindrome autistica,<br />

ma anche di altre condizioni che con essa condividono forme di disorganizzazione<br />

cognitiva, come nel caso dei Disturbi di apprendimento specifici (dislessia, disgrafia,<br />

discalculia, disturbi NAS).<br />

Il rimando non è puramente casuale.


SOCIETA’ ITALIANA<br />

DI NEUROPSICHIATRIA DELL’INFANZIA<br />

E DELL’ADOLESCENZA<br />

LINEE GUIDA PER L’AUTISMO<br />

RACCOMANDAZIONI TECNICHE-OPERATIVE PER I SERVIZI DI<br />

NEUROPSICHIATRIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA<br />

COORDINATORE GABRIEL LEVI (ROMA)<br />

ESTENSORI: PAOLA BERNABEI (ROMA), , ALESSANDRO FROLLI (NAPOLI), SERENELLA GRITTANI (RIMINI),<br />

BRUNA MAZZONCINI (ROMA), ROBERTO MILITERNI (NAPOLI), FRANCO NARDOCCI (RIMINI).


INDICE<br />

Premessa pag. 3<br />

LINEE GUIDA PER LA DIAGNOSI E LA VALUTAZIONE pag. 9<br />

I. Criteri Diagnostici pag. 9<br />

I.1. Suggerimenti Clinici pag. 11<br />

I.2. Strumenti Diagnostici pag. 20<br />

<strong>II</strong>. La Valutazione Clinica Globale pag. 24<br />

<strong>II</strong>.1. Incontri dedicati ai genitori pag. 24<br />

<strong>II</strong>.2. Incontri dedicati al bambino pag. 27<br />

<strong>II</strong>I. Le Indagini Strumentali e di Laboratorio pag. 32<br />

IV. La Diagnosi Differenziale pag. 33<br />

V. La Restituzione pag. 36<br />

LINEE GUIDA PER LO SCREENING pag. 38<br />

I. Età di Esordio dell’Autismo pag. 38<br />

<strong>II</strong>. La Sorveglianza sullo Sviluppo pag. 39<br />

<strong>II</strong>I. Invio ai Servizi di NPI pag. 42<br />

LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO pag. 45<br />

I. Considerazioni Generali pag. 45<br />

<strong>II</strong>. Il Panorama Internazionale pag. 46<br />

<strong>II</strong>.1. Le Strategie di Intervento pag. 46<br />

<strong>II</strong>.2. I Modelli di Presa in Carico pag. 49<br />

<strong>II</strong>I. Suggerimenti Operativi per i Servizi di NPI pag. 52<br />

<strong>II</strong>I.1. Età Prescolare pag. 54<br />

<strong>II</strong>I.2. Età Scolare pag. 63<br />

<strong>II</strong>I.3. Età Adolescenziale pag. 69<br />

IV. Farmacoterapia pag. 70<br />

2


PREMESSA<br />

Le conoscenze in merito al disturbo autistico si sono modificate in modo drammatico nelle<br />

ultime due decadi: il dibattito scientifico e culturale in tema di <strong>autismo</strong> si è sviluppato molto<br />

sia in termini di nuove acquisizioni, che di collaborazione e confronto tra Università, Servizi,<br />

Istituzioni e Famiglie, che su questa grave patologia tendono a finalizzare le loro iniziative.<br />

Tuttavia, a 60 anni dalla sua individuazione da parte di Leo Kanner (1943), persistono ancora<br />

notevoli incertezze in termini di eziologia, elementi caratterizzanti il quadro clinico, confini<br />

nosografici con sindromi simili, diagnosi, presa in carico, evoluzione a lungo termine.<br />

In considerazione della complessità dell’argomento, per superare il disorientamento degli<br />

operatori coinvolti nella diagnosi e nella formulazione del progetto terapeutico ed evitare che<br />

ciò si ripercuota negativamente sui genitori e sulla tempestività ed efficacia del trattamento, è<br />

emersa negli ultimi tempi da parte della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e<br />

Adolescenziale l’esigenza di elaborare delle Linee Guida condivisibili sul territorio nazionale.<br />

Le Linee Guida, in generale, consistono in una serie d’indicazioni, raccomandazioni e/o<br />

suggerimenti, che si pongono come punti di riferimento per genitori e/od operatori di vario<br />

livello (Medici di famiglia, Pediatri di base, Neuropsichiatri Infantili, Psicologi, Terapisti,<br />

Educatori ecc.). Tali indicazioni, raccomandazioni e/o suggerimenti sono ricavati facendo<br />

riferimento alla letteratura internazionale e possono riguardare uno specifico aspetto di una<br />

situazione patologica o per contro aspetti più generali.<br />

Le Linee Guida rappresentano inoltre dei parametri di riferimento temporanei, destinati ad<br />

essere periodicamente modificati e aggiornati, sulla base dei progressi tecnologici e<br />

dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche disponibili sull’argomento.<br />

I parametri su cui si basa il presente lavoro sono rappresentati insieme da:<br />

♦ una revisione delle proposte internazionali in tema di Linee Guida per l'Autismo e<br />

una sintesi delle raccomandazioni da esse emerse;<br />

♦ una valutazione della letteratura nazionale e internazionale recente, rispetto alla<br />

quale sono stati presi in considerazione studi caratterizzati da un forte rigore<br />

metodologico;<br />

♦ una elaborazione dei contributi di professionisti che attualmente operano in Italia,<br />

limitatamente alle opinioni largamente condivise.<br />

Nel <strong>corso</strong> del presente Documento i “suggerimenti” che trovano maggior riscontro<br />

nell’esperienza internazionale, verranno segnalati con il seguente simbolo:<br />

Le “Raccomandazioni, viceversa, vengono segnalate con il seguente simbolo:<br />

DEFINIZIONE DEL DISTURBO<br />

L’Autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo<br />

biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente<br />

interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee<br />

e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri (Baird et al., 2003; Berney, 2000;<br />

Szatmari, 2003). L’Autismo, pertanto, si configura come una disabilità “permanente” che<br />

accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale<br />

assumono un’espressività variabile nel tempo.<br />

3<br />

Sx<br />

Rx


EPIDEMIOLOGIA<br />

L’<strong>autismo</strong> non presenta prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto in tutte<br />

le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale. Presenta, viceversa, una<br />

prevalenza di sesso, in quanto sembra colpire i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore<br />

rispetto alle femmine (Fombonne, 2003; Skuse, 2000; Yeargin-Allsopp et al., 2003).<br />

Sulla base dei dati attualmente disponibili una prevalenza di 10 casi per 10000 sembra la<br />

stima più attendibile (Fombonne, 2003; Volkmar et al., 2004). Tale dato confrontato con<br />

quelli riferiti in passato ha portato a concludere che attualmente l’<strong>autismo</strong> è 3-4 volte più<br />

frequente rispetto a 30 anni fa (Fombonne, 2003; Yeargin-Allsopp et al., 2003). Secondo la<br />

maggioranza degli Autori (Fombonne, 2001; Baird et al., 2003; Prior, 2003), questa<br />

discordanza nelle stime di prevalenza sarebbe dovuta più che ad un reale incremento dei casi<br />

di <strong>autismo</strong> ad una serie di fattori individuabili in:<br />

♦ maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi;<br />

♦ diffusione di procedure diagnostiche standardizzate;<br />

♦ maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale;<br />

♦ aumento dei Servizi (anche se ancora decisamente inadeguati alla richiesta, sia<br />

quantitativamente che qualitativamente).<br />

MECCANISMI EZIOPATOGENETICI<br />

Le cause dell’Autismo sono a tutt’oggi sconosciute. La natura del Disturbo, infatti,<br />

coinvolgendo i complessi rapporti mente-cervello, non rende possibile il riferimento al<br />

modello sequenziale etiopatogenetico, comunemente adottato nelle discipline mediche:<br />

etiologia --> anatomia patologica --> patogenesi --> sintomatologia (Rapin, 2004). Va,<br />

inoltre, considerato che l’<strong>autismo</strong>, quale sindrome definita in termini esclusivamente<br />

comportamentali, si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata<br />

natura e con diversa etiologia (Baird et al., 2003). Per rimanere nell’ambito di una<br />

terminologia “medica”, la etiologia, l’anatomia patologica e la patogenesi si pongono - per<br />

quel che riguarda l’<strong>autismo</strong> - come tre aree di ricerca ancora distinte, in quanto i rapporti<br />

causali fra di esse restano attualmente indefiniti.<br />

Per cercare di leggere l’innumerevole letteratura dedicata all’argomento è utile far riferimento<br />

a queste tre aree di ricerca, all’interno delle quali i vari studi possono essere collocati. Tale<br />

aree possono essere indicate nel modo seguente:<br />

1. i modelli interpretativi della clinica (= la patogenesi);<br />

2. le basi neurobiologiche ( l’anatomia patologica);<br />

3. i fattori causali (= l’etiologia).<br />

1. MODELLI INTERPRETATIVI DELLA CLINICA<br />

La prima area di ricerca è volta a definire le caratteristiche del funzionamento mentale di tipo<br />

autistico, da cui discendono i comportamenti che caratterizzano il quadro clinico.<br />

Nel <strong>corso</strong> di questi ultimi anni le ipotesi interpretative che sembrano riscuotere i maggiori<br />

consensi, rientrano nei seguenti modelli:<br />

Teoria Socio-Affettiva<br />

Teoria della Mente<br />

Coerenza Centrale<br />

Funzioni Esecutive<br />

Teoria Socio-Affettiva. La teoria socio-affettiva parte dal presupposto che l'essere umano<br />

nasce con una predisposizione innata ad interagire con l'altro (Hobson, 1993). Si tratta di un<br />

bisogno primario non inferito dalle esperienze, né condizionato o dettato da altri tipi di<br />

bisogni. E' un qualcosa che appartiene al corredo genetico del bambino, come patrimonio<br />

4


della specie, e che viene definito con diversi termini, quali empatia non inferenziale (Hobson,<br />

1989) o intersoggettività primaria (Trevarthen et al., 2001). Peraltro, il neonato anche se<br />

molto attento agli stimoli sensoriali sembra mostrare una particolare predilezione per quelli di<br />

natura sociale (Dawson et al., 1998). Secondo la teoria socio-affettiva, pertanto, esisterebbe<br />

nell'<strong>autismo</strong> un'innata incapacità, biologicamente determinata, di interagire emozionalmente<br />

con l'altro. Tale incapacità, secondo una reazione a cascata, porterebbe all'incapacità di<br />

imparare a riconoscere gli stati mentali degli altri, alla compromissione dei processi di<br />

simbolizzazione, al deficit del linguaggio, al deficit della cognizione sociale.<br />

Deficit della Teoria della Mente. Con il termine Teoria della Mente viene indicata la<br />

capacità di riflettere sulle emozioni, sui desideri e sulle credenze proprie ed altrui e di<br />

comprendere il comportamento degli altri in rapporto non solo a quello che ciascuno di noi<br />

sente, desidera o conosce, ma in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che l'altro sente,<br />

desidera o conosce (Baron-Cohen et al., 2000). Si tratta di un “modulo” cognitivo, che matura<br />

progressivamente nel tempo per realizzarsi intorno ai 4 anni. In particolare, nei primi anni di<br />

vita il bambino attraverso lo sguardo referenziale, l’attenzione condivisa e il gioco di finzione<br />

si approprierebbe della capacità di leggere progressivamente le emozioni, i desideri e le<br />

credenze, di sistematizzarli in un sistema di conoscenze e di giungere ad effettuare delle<br />

rappresentazioni delle rappresentazioni mentali degli altri ( = metarappresentazioni).<br />

Secondo questo tipo di approccio, l'<strong>autismo</strong> sarebbe legato ad un’incapacità del bambino di<br />

accedere ad una Teoria della Mente, rimanendo in una situazione di cecità mentale (Baron-<br />

Cohen, 1995). Il bambino autistico, cioè, sarebbe incapace di comprendere e riflettere sugli<br />

stati mentali propri ed altrui e, conseguentemente, di comprendere e prevedere il<br />

comportamento degli altri.<br />

Debolezza della Coerenza Centrale. Il profilo cognitivo del bambino autistico permette di<br />

rilevare una serie di elementi caratterizzanti, rappresentati da:<br />

- un’incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso;<br />

- un’elaborazione segmentata dell’esperienza;<br />

- una difficoltà di accedere dal particolare al generale;<br />

- una polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza.<br />

Tali elementi hanno indotto a formulare l’ipotesi di una Debolezza della Coerenza Centrale<br />

(Frith et al., 1994; Happé et al., 1996). La Coerenza Centrale va intesa come quella capacità di<br />

sintetizzare in un tutto coerente, o se si preferisce di sistematizzare in un sistema di<br />

conoscenza, le molteplici esperienze parcellari che investono i nostri sensi. Una “debolezza”<br />

in suddetta capacità porta il bambino autistico a rimanere ancorato a dati esperenziali<br />

parcellizzati, con incapacità di cogliere il significato dello stimolo nel suo complesso.<br />

Un tale modello suggerisce che il funzionamento mentale di tipo autistico si caratterizza come<br />

uno stile cognitivo che investe non solo l’elaborazione degli stimoli sociali, ma più in<br />

generale di tutti i dati esperenziali (Happé, 1999).<br />

Deficit delle Funzioni Esecutive. Con il termine di Funzioni Esecutive vengono indicate una<br />

serie di abilità che risultano determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dei<br />

comportamenti di risoluzione dei problemi (Pennington et al., 1996). Tali abilità sono<br />

rappresentate da:<br />

♦ la capacità di attivare e di mantenere attiva, a livello mentale, un’area di lavoro, una<br />

sorta di scrivania mentale, sulla quale disporre tutti gli elementi pertinenti al compito<br />

in esame;<br />

♦ la capacità di formulare mentalmente un piano di azione;<br />

♦ la capacità di non rimanere rigidamente ancorati, nella formulazione della risposta, ai<br />

dati percettivi che provengono dal contesto;<br />

♦ la capacità di inibire risposte “impulsive”;<br />

♦ la capacità di essere attenti alle informazioni di ritorno, per correggere in base ad esse<br />

il piano inizialmente formulato;<br />

5


♦ la capacità, infine, di spostare in modo flessibile l’attenzione sui vari aspetti del<br />

contesto.<br />

Molti dei comportamenti autistici sarebbero l’espressione di un deficit di tali abilità: per<br />

esempio, l’impulsività, per l’incapacità di inibire le risposte inappropriate; l’iperselettività, per<br />

l’incapacità di cogliere il tutto senza rimanere ancorato al particolare; la perseverazione, per<br />

l’incapacità di ridirezionare in maniera flessibile l’attenzione (Ozonoff, 1997; Pennington et<br />

al., 1996). Anche tale modello, così come quello della Coerenza Centrale, individua<br />

nell’Autismo un deficit cognitivo di natura “generale” e non limitato all’elaborazione degli<br />

stimoli sociali (come ipotizzato, viceversa, dal Deficit della Teoria della Mente).<br />

2. BASI NEUROBIOLOGICHE<br />

Si tratta dell’area di ricerca volta ad individuare eventuali strutture anatomiche e/o circuiti<br />

disfunzionali coinvolti nella genesi del quadro clinico-comportamentale.<br />

Strutture anatomiche. Gli studi morfologici del sistema nervoso centrale tramite tecniche di<br />

brain imaging non invasive, ottenute tramite TAC e RMN, hanno rilevato spesso anomalie in<br />

diverse strutture cerebrali, quali il cervelletto (Courchense, 1998; Kemper et al., 1998), il lobo<br />

frontale (Castelli et al., 2000; Schultz et al., 2003), il sistema limbico, con particolare<br />

riferimento all’amigdala e all’ippocampo (Baron-Cohen et al., 2000; Schultz et al., 2000;<br />

Courchense, 2001).<br />

Attualmente sono sempre più numerosi gli studi di neuroimaging funzionale (RM funzionale,<br />

PET, SPECT) effettuati durante lo svolgimento di compiti linguistici o di problem solving<br />

sociale, che hanno permesso di identificare nei soggetti normali le strutture encefaliche<br />

coinvolte nella realizzazione di obiettivi mentali specifici (Anderson et al., 2003; Castelli et<br />

al., 2000; Dawson et al., 1998; Schultz et al., 2003). Diverse ricerche hanno permesso di<br />

rilevare che tali aree cerebrali in individui con <strong>autismo</strong> presentano spesso una minore attività.<br />

Tali studi, peraltro, cominciano a fornire elementi a supporto dei vari modelli formulati,<br />

permettendo di individuare le strutture anatomiche che sottendono le funzioni ipotizzate<br />

(Adolphs, 1999; Dawson et al., 1998).<br />

Neurotrasmettitori. Si suppone, con una certa attendibilità, che anomalie quantitative o<br />

qualitative a livello recettoriale o nei neurotrasmettitori attivi nel sistema fronto-striatale, in<br />

particolare la serotonina, la dopamina, l’ossitocina e la vasopressina, possano essere coinvolte<br />

nel determinismo del disturbo autistico (Poustka et al., 1998; Volkmar et al., 2004).<br />

Benché suggestivi, questi dati sono preliminari e richiedono ulteriori studi.<br />

3. I FATTORI CAUSALI<br />

E’ l’area di ricerca che cerca di individuare i possibili fattori in grado di avviare la sequenza<br />

etiopatogenetica da cui in ultimo deriva il quadro comportamentale di tipo autistico.<br />

Gravidanza e periodo neonatale. Qualsiasi condizione che interferisca con lo sviluppo del<br />

cervello può avere teoricamente effetti a lungo termine sulle funzioni sensoriali, linguistiche,<br />

sociali e mentali di un bambino, sì da determinare una sintomatologia autistica. Sono state, di<br />

volta in volta, chiamate in causa diverse situazioni, quali affezioni mediche interessanti la<br />

madre durante la gravidanza, problemi legati al parto o altri fattori ambientali. Allo stato,<br />

tuttavia, non è stata dimostrata alcuna significativa associazione fra una di tali noxae patogene<br />

e l’<strong>autismo</strong> (Gillberg et al., 1992). Peraltro, gli studi che sembrano indicare una maggiore<br />

incidenza di patologie perinatali in popolazioni di soggetti autistici rispetto a gruppi di<br />

controllo rinforzano l’ipotesi secondo cui i soggetti con disordini geneticamente determinati<br />

presentano una ridotta competenza a nascere, che li predispone ad una sofferenza pre- perinatale<br />

(Gillberg, 1992).<br />

Ereditarietà e geni. Studi recenti sono fortemente suggestivi di una predisposizione genetica<br />

(per una review aggiornata vedi Volkmar et al., 2004).<br />

Molte indagini familiari confermano un ruolo importante svolto dall’ereditarietà nel<br />

determinismo del disturbo autistico:<br />

6


♦ i gemelli monozigoti hanno probabilità maggiori rispetto ai gemelli eterozigoti di<br />

essere entrambi affetti da <strong>autismo</strong>;<br />

♦ i genitori di un bambino autistico hanno un rischio di avere un altro bambino autistico<br />

(ricorrenza), che risulta da 50 a 100 volte maggiore rispetto al rischio per la<br />

popolazione generale (prevalenza);<br />

♦ alcuni membri della famiglia di soggetti con <strong>autismo</strong> presentano caratteristiche<br />

comportamentali simili, anche se più lievi;<br />

♦ alcune condizioni patologiche ereditate geneticamente, come la Sindrome da X Fragile<br />

e la Sclerosi Tuberosa, si presentano spesso in comorbidità con l'<strong>autismo</strong>. Dal 3 al<br />

25% di pazienti con Sindrome da X Fragile presenta anche <strong>autismo</strong>. La sindrome da X<br />

Fragile è stata trovata invece in sporadici casi nelle persone autistiche,<br />

prevalentemente negli individui di sesso maschile. Per quel che riguarda la Sclerosi<br />

Tuberosa, dal 17 al 60% di coloro che ne sono affetti sono anche autistici. Al<br />

contrario, gli individui con <strong>autismo</strong> presentano in una percentuale variabile fra lo 0,4 e<br />

il 3% anche Sclerosi Tuberosa; il tasso aumenta fino all’8-14% se è presente anche<br />

epilessia.<br />

I riscontri epidemiologici su accennati hanno spinto diversi gruppi di ricerca ad individuare i<br />

geni coinvolti nel determinismo dell’Autismo. L’evidenza più forte che è emersa da tali<br />

ricerche è che non esiste “il gene” dell’Autismo, ma esistono piuttosto una serie di geni che<br />

contribuiscono a conferire una vulnerabilità verso la comparsa del disturbo (Bailey et al.,<br />

1996; Szatmari et al., 1998; Folstein et al., 2001).<br />

I loci genici di maggiore interesse sono stati individuati sul cromosoma 7 (IMGSAC, 1998;<br />

CLSA, 1999; IMGSAC, 2001a), sul 2, sul 16 e sul 17 (IMGSAC, 2001b).<br />

Nella prospettiva già suggerita, in rapporto alla quale il quadro clinico dell’<strong>autismo</strong><br />

rappresenta la via finale comune di una serie di disordini neurobiologici di fondo (Baird et al.,<br />

2003; Rapin, 2004), è evidente che i geni implicati possono essere molteplici e di diversa<br />

natura. Va, pertanto, rivisto è il paradigma rigido di “un-gene-un-disturbo”. Normalmente,<br />

infatti, nel complesso progetto di sviluppo dell’encefalo si coordinano una serie di geni con<br />

funzioni diversificate (attivazione, modulazione, inibizione), dalla cui interazione si realizza<br />

la trama morfo-funzionale preposta all’utilizzazione dei dati esperenziali e alla loro<br />

organizzazione in sistemi di conoscenza e di relazione. Da tale prospettiva discendono due<br />

considerazioni fondamentali. La prima riguarda il fatto che se più geni con effetti diversi sono<br />

comunque inseriti in un unico processo, il deficit di uno qualsiasi di loro può condurre allo<br />

stesso risultato: la vulnerabilità all’<strong>autismo</strong>. La seconda considerazione attiene strettamente al<br />

concetto di vulnerabilità e riguarda il ruolo fondamentale dell’ambiente nell’attualizzazione di<br />

tale vulnerabilità. Il ruolo dell’ambiente va, infatti, considerato sia nella sua capacità di<br />

incidere “direttamente” sul genotipo, condizionando il complesso meccanismo di interazione<br />

genica, sia “indirettamente”, slatentizzando un assetto neurobiologico geneticamente<br />

inadeguato all’elaborazione e alla metabolizzazione degli stimoli normalmente afferenti al<br />

sistema nervoso centrale.<br />

Immunologia e Vaccini. Sebbene si sia da tempo sviluppato un certo interesse sulle relazioni<br />

tra <strong>autismo</strong> e malattie autoimmunitarie, al momento attuale non ci sono evidenze che<br />

meccanismi immunologici possano causare o contribuire all’emergenza delle anomalie<br />

organiche riscontrate nell’<strong>autismo</strong>.<br />

Recentemente è stata inoltre posta attenzione sull’ipotesi di una correlazione temporale stretta<br />

tra le vaccinazioni e la comparsa di alcuni comportamenti autistici (Wakefield et al., 1998).<br />

Allo stato attuale però non ci sono dati che indichino che un qualsiasi vaccino aumenti il<br />

rischio di sviluppare <strong>autismo</strong> o qualsiasi altro disturbo del comportamento (Parker et al.,<br />

2004).<br />

7


PROGNOSI<br />

Il bambino con diagnosi certa di <strong>autismo</strong> cresce con il suo disturbo anche se nuove<br />

competenze vengono acquisite con il tempo. Tali competenze, tuttavia, sono “modellate” da e<br />

sul disturbo nucleare ed avranno comunque una qualità “autistica”.<br />

La prognosi a qualunque età è fortemente condizionata dal grado di funzionamento cognitivo,<br />

che a tutt’oggi sembra rappresentare l’indicatore più forte rispetto allo sviluppo futuro.<br />

I bambini che sviluppano il linguaggio entro i 5 anni sembrano avere prognosi migliore, ma<br />

occorre ricordare che il linguaggio, sia in comprensione che in produzione, appare anche esso<br />

fortemente condizionato dal livello di funzionamento cognitivo.<br />

Studi di follow-up hanno evidenziato che un QI di 70 o più (almeno nei test non verbali), pur<br />

rappresentando un indicatore molto forte per un outcome positivo non protegge con certezza<br />

da uno scarso adattamento sociale in età adulta (Howlin et al., 2004).<br />

Nel complesso, la particolare pervasività della triade sintomatologica e l’andamento cronico<br />

del quadro patologico determinano abitualmente nell’età adulta condizioni di disabilità, con<br />

gravi limitazioni nelle autonomie e nella vita sociale.<br />

Al presente un’altissima percentuale (dal 60% al 90%) di bambini autistici divengono adulti<br />

non autosufficienti, e continuano ad aver bisogno di cure per tutta la vita.<br />

In alcuni casi adulti autistici possono continuare a vivere nella loro casa, avvalendosi di<br />

un’assistenza domiciliare o della supervisione da parte di operatori, che si occupano anche di<br />

programmi incentrati sul rinforzo di abilità.<br />

In alternativa c’è la possibilità di usufruire di strutture residenziali, che offrono non solo<br />

possibilità terapeutiche, ma anche opportunità dal punto di vista di organizzazione del tempo<br />

libero, attività ricreative, e addestramento a semplici forme di occupazione. Spesso però<br />

queste strutture contribuiscono ad isolare maggiormente gli ospiti, non favorendo un<br />

inserimento, seppur parziale, in contesti sociali.<br />

Un numero molto minore di soggetti autistici (15-20%) è in grado di vivere e lavorare<br />

all’interno della comunità, con vari gradi di indipendenza.<br />

Alcune persone con <strong>autismo</strong> possono arrivare a condurre una vita normale o quasi normale.<br />

8


LINEE GUIDA PER LA DIAGNOSI E LA VALUTAZIONE<br />

La diagnosi di Autismo prevede un processo molto articolato e complesso, finalizzato a<br />

stabilire se il quadro comportamentale presentato dal bambino in esame soddisfa i criteri<br />

diagnostici definiti a livello internazionale per una diagnosi di questo tipo.<br />

Le procedure suggerite per la formulazione della diagnosi di Autismo si inscrivono in una<br />

Valutazione Clinica Globale, la quale ha lo scopo di raccogliere le informazioni utili a<br />

“conoscere” il bambino nel suo complesso, la famiglia e l’intero contesto ambientale.<br />

Considerando la natura del problema e, conseguentemente, la complessità dell’iter<br />

diagnostico vengono puntualizzati a livello internazionale alcune raccomandazioni critiche.<br />

Nella raccolta dei dati necessari alla diagnosi e alla valutazione bisogna far<br />

R1<br />

riferimento a fonti di informazioni diversificate. Accanto, cioè, all’osservazione<br />

diretta del bambino, è particolarmente importante poter disporre di dati attendibili relativi al<br />

comportamento del bambino in svariati contesti (famiglia, scuola, attività del tempo libero).<br />

Il processo diagnostico deve prevedere più incontri, sia per rispettare i tempi<br />

R2<br />

necessari all’effettuazione delle varie fasi del processo, sia per consentire ai genitori<br />

e al bambino di “familiarizzare” con l’ambiente e le figure dell’équipe.<br />

R3<br />

La presa in carico diagnostica deve essere realizzata da una équipe, in cui siano<br />

rappresentate, oltre al neuropsichiatra infantile, le figure dello psicologo, del<br />

terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, del logopedista, dell’educatore.<br />

Il neuropsichiatra infantile e tutte le altre figure che completano l’équipe devono<br />

R4<br />

aver maturato specifiche esperienze nell’ambito dei disturbi pervasivi dello<br />

sviluppo. In particolare, il neuropsichiatra infantile che coordina l’équipe deve aver familiarità<br />

con i criteri diagnostici comunemente adottati a livello internazionale e con gli strumenti di<br />

valutazione che su tali criteri sono stati elaborati.<br />

I. CRITERI DIAGNOSTICI PER LA DIAGNOSI DI AUTISMO<br />

La diagnosi di Autismo viene attualmente formulata facendo riferimento ai criteri del<br />

Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR), redatto dall'American<br />

Psychiatric Association (APA, 2002).<br />

La Tabella allegata riporta i criteri diagnostici del DSM-IV-TR (Tab. I).<br />

Sulla base di tali criteri sono state elaborate una serie di Questionari, Interviste strutturate e<br />

Scale di valutazione standardizzate, ormai ampiamente utilizzate a livello internazionale con<br />

finalità diagnostiche.<br />

Vengono di seguito descritti:<br />

♦ I.1. i criteri diagnostici del DSM-IV-TR con alcuni suggerimenti operativi<br />

♦ I.2. gli strumenti diagnostici<br />

9


A. Un totale di 6 (o più) voci da (1), (2), e (3), con almeno 2 da (1), e uno ciascuno da (2) e (3):<br />

1) compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:<br />

a) marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo<br />

diretto, l'espressione mimica, le posture corporee e i gesti, che regolano l'interazione<br />

sociale<br />

b) incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo<br />

c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre<br />

persone (per es., non mostrare, portare, né richiamare l'attenzione su oggetti di proprio<br />

interesse)<br />

d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva;<br />

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:<br />

a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un<br />

tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o<br />

mimica)<br />

b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o<br />

sostenere una conversazione con altri<br />

c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico<br />

d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale<br />

adeguati al livello di sviluppo;<br />

3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come<br />

manifestato da almeno 1 dei seguenti:<br />

a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per<br />

intensità o per focalizzazione<br />

b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici<br />

c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi<br />

movimenti di tutto il corpo)<br />

d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;<br />

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3<br />

anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco<br />

simbolico o di immaginazione.<br />

C. L'anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della<br />

Fanciullezza.<br />

Tab. I - Criteri diagnostici del Disturbo Autistico (dal DSM-IV-TR).


I.1. SUGGERIMENTI CLINICI PER LA LETTURA DEI CRITERI<br />

DIAGNOSTICI DEL DSM-IV-TR<br />

CRITERIO A.1 = COMPROMISSIONE QUALITATIVA DELL’INTERAZIONE SOCIALE<br />

1) compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei<br />

seguenti:<br />

a) marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, come lo<br />

sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee e i gesti, che regolano<br />

l'interazione sociale<br />

b) incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo<br />

c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi<br />

con altre persone (per es., non mostrare, portare, né richiamare l'attenzione su<br />

oggetti di proprio interesse)<br />

d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva;<br />

L’interazione sociale si riferisce alla caratteristica propria del genere umano di<br />

condividere con l’altro - e più in generale con i membri della comunità -<br />

emozioni, interessi, attività e stili di comportamento propri del gruppo di<br />

appartenenza. Tale caratteristica, che assume la connotazione di un bisogno<br />

primario, si esprime con una serie di comportamenti “osservabili”, che, tuttavia,<br />

variano nel <strong>corso</strong> dello sviluppo. Si passa, infatti, da comportamenti molto<br />

elementari, quali lo sguardo o il sorriso (propri del lattante) a comportamenti<br />

progressivamente più strutturati ed espliciti di ricerca dell’altro per condividere<br />

esperienze, interessi ed attività. In accordo al DSM-IV-TR, nell’Autismo è<br />

seriamente compromesso tale bisogno e, conseguentemente, risultano atipici i<br />

comportamenti ad esso correlati.<br />

Anche se la compromissione qualitativa dell’interazione sociale<br />

S1<br />

accompagna il soggetto autistico nel <strong>corso</strong> di tutto il suo ciclo vitale, i<br />

comportamenti con cui essa si esprime variano necessariamente nel <strong>corso</strong> dello<br />

sviluppo.<br />

• Nel <strong>corso</strong> del primo anno di vita, i comportamenti atipici che abitualmente<br />

indicano una compromissione qualitativa dell’interazione sociale sono<br />

essenzialmente rappresentati da: sguardo sfuggente; assenza di sorriso sociale;<br />

mancanza di atteggiamenti anticipatori quando si cerca di prenderlo in braccio<br />

(tendere le braccia); atipie del dialogo tonico (difficoltà a tenerlo in braccio);<br />

inadeguatezza dell’attenzione congiunta (difficoltà di richiamare la sua attenzione<br />

su un oggetto o un evento interessante) (Mundy et al., 1990; Tommasello, 1995;<br />

Mundy, 2003).<br />

• Fra il secondo e il quinto anno di vita, la compromissione dell’interazione<br />

sociale si arricchisce di comportamenti sempre più espliciti e caratteristici. Il<br />

bambino “si aggira” fra gli altri come se non esistessero; tende ad isolarsi; quando<br />

chiamato “non risponde”; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue<br />

attività, né lo rende partecipe delle sue attività (richiamando, ad esempio,<br />

l’attenzione dell’altro su oggetti o eventi interessanti, ovvero portando o<br />

mostrando oggetti); utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento<br />

11


delle esigenze del momento (il bambino, ad esempio, senza guardarlo negli occhi<br />

prende il braccio dell’altro e lo indirizza verso una cosa, che lui da solo non riesce<br />

a prendere). Quest’ultimo aspetto induce a tener ben presente che il rapporto<br />

interpersonale non è mai - o quasi mai - completamente assente: esso tuttavia è<br />

limitato sempre - o quasi sempre - a richiedere (qualcosa o qualche azione) e non<br />

a condividere (interessi, bisogni, emozioni) (Mundy, 2003).<br />

• In epoche ancora successive (dal sesto anno di vita in poi), la compromissione<br />

dell’interazione sociale può continuare ad esprimersi con i comportamenti su<br />

accennati ovvero, in relazione al conseguimento di un adattamento formale<br />

all’ambiente, può assumere forme meno esplicite. In queste ultime situazioni,<br />

tuttavia, a fronte di un apparente adeguamento alle regole sociali, persiste uno<br />

scarso investimento della relazione con mancata individuazione dell’altro come<br />

figura privilegiata per condividere esperienze, interessi ed attività.<br />

Nel complesso, le diverse modalità con cui può esprimersi la<br />

S2<br />

compromissione dell’interazione sociale hanno portato ad individuare<br />

tre profili (Wing, 1979):<br />

a. bambini inaccessibili, che si “tirano fuori” da qualsiasi rapporto sociale;<br />

b. bambini passivi, che tendono ad isolarsi, ma sono in grado di interagire<br />

quando adeguatamente sollecitati;<br />

c. bambini attivi-ma-bizzarri, che sono capaci di prendere l’iniziativa<br />

nell’interazione sociale, ma lo fanno in maniera inopportuna, enfatica ed<br />

inappropriata. Si tratta di quei bambini autistici, ad esempio, che non solo<br />

non rifiutano il contatto fisico, ma anzi lo ricercano attivamente, ma con<br />

modalità inappropriate, e spesso dispensano baci a persone viste per la<br />

prima volta o ad estranei.<br />

I diversi profili segnalati - inaccessibile, passivo e attivo-ma-bizzarro -<br />

S3<br />

non variano solo da bambino a bambino, ma, in uno stesso bambino,<br />

possono alternarsi nel <strong>corso</strong> dello sviluppo (Wing, 1988). Ad esempio, un<br />

bambino completamente fuori della relazione può, nel <strong>corso</strong> dello sviluppo,<br />

adottare modalità di interazione di tipo pseudo-sociale; così come bambini che<br />

inizialmente sembrano collocarsi nella categoria dei passivi - capaci, cioè, di<br />

un’interazione quando adeguatamente stimolati -, possono in fasi successive dello<br />

sviluppo chiudersi completamente.<br />

I comportamenti segnalati dal DSM-IV-TR non vanno considerati di per<br />

R5<br />

se stessi, ma solo quali segnalatori di un disturbo sottostante: la<br />

compromissione qualitativa dell’interazione sociale.<br />

Peraltro, il termine “qualitativo”, vuole indicare la necessità di non limitarsi a<br />

considerare la semplice presenza/assenza di un comportamento, quanto piuttosto<br />

di tener conto del reale piacere da parte del soggetto di condividere con l’altro<br />

esperienze, affetti ed interessi. Per esempio, la presenza del sorriso o l’avvicinarsi<br />

all’altro e ricercare il contatto fisico non sono criteri sufficienti per definire una<br />

buona qualità dell’interazione sociale; per contro, lo sguardo sfuggente la<br />

presenza di condotte di evitamento non sono di per se stessi comportamenti<br />

sufficienti per definire una cattiva qualità dell’interazione sociale, almeno nel<br />

12


senso indicato dal DSM-IV-TR quale criterio diagnostico per il Disturbo<br />

Autistico.<br />

CRITERIO A.2 = COMPROMISSIONE QUALITATIVA DELLA COMUNICAZIONE<br />

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei<br />

seguenti:<br />

a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non<br />

accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di<br />

comunicazione come gesti o mimica)<br />

b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di<br />

iniziare o sostenere una conversazione con altri<br />

c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico<br />

d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione<br />

sociale adeguati al livello di sviluppo;<br />

Tale criterio, anche se fa esplicito riferimento alla “comunicazione”, di fatto si<br />

riferisce a due distinte aree funzionali:<br />

A. la capacità di “capire” (in ricezione) e di utilizzare (in espressione) quei<br />

codici comunicativi che permettono all’individuo di entrare in un<br />

interscambio con l’altro;<br />

B. la capacità di accedere a giochi di finzione; la capacità, cioè, di riproporre<br />

in chiave ludica situazioni sociali vissute e mentalmente rielaborate.<br />

A. Incapacità di padroneggiare i codici della comunicazione.<br />

La “voglia” di comunicare, intesa come il piacere di rendere partecipe l’altro di un<br />

proprio interesse o di un proprio stato d’animo - che per definizione è carente<br />

nell’Autismo - appartiene di fatto al primo criterio (“Compromissione qualitativa<br />

dell’interazione sociale”).<br />

La compromissione qualitativa della comunicazione espressa in questo secondo<br />

criterio fa piuttosto riferimento all’incapacità da parte del bambino autistico di<br />

appropriarsi di quei codici che servono per la comunicazione. Tali codici si<br />

riferiscono non solo al linguaggio verbale, ma anche alla componente posturocinetica<br />

(posture, sguardo, atteggiamenti mimici, gesti) e alla componente non<br />

verbale del linguaggio (intonazione, prosodia, pause): codici che normalmente<br />

assumono un’elevata valenza comunicativa, più ancora del significato veicolato<br />

dalla giustapposizione di parole in frase. Il deficit del padroneggiamento dei<br />

codici della comunicazione investe sia il versante ricettivo che quello espressivo:<br />

il bambino autistico non riesce a “capire” quello che gli altri vogliono<br />

comunicargli e, nello stesso tempo, non riesce a “farsi capire” (Prizant et al.,<br />

1987).<br />

Anche se la compromissione qualitativa della comunicazione<br />

S4<br />

accompagna il soggetto autistico nel <strong>corso</strong> di tutto il suo ciclo vitale, le<br />

modalità con cui essa si esprime variano necessariamente nel <strong>corso</strong> dello sviluppo.<br />

• Nel <strong>corso</strong> dei primi anni di vita, la compromissione della comunicazione si<br />

esprime con il mancato uso del linguaggio verbale e la “disattenzione” nei<br />

13


confronti del linguaggio verbale degli altri (“non ci chiama per nome”, “non si<br />

volta quando chiamato per nome”, “non usa le parole per chiedere o indicare”,<br />

“non sta a sentire quando gli si chiede di fare qualcosa”). Peraltro, questo<br />

disinvestimento del linguaggio verbale non è compensato da modalità alternative<br />

di comunicazione come gesti o mimica.<br />

• I bambini che già nei primi anni di vita cominciano ad accedere a produzioni<br />

“verbali”, mettono comunque in evidenza atipie espressive rappresentate da<br />

gergolalie, ecolalia immediata, ecolalia differita, inversioni pronominali,<br />

stereotipie verbali. Tali atipie, oltre a rendere poco funzionali queste primitive<br />

forme espressive, testimoniano l’incapacità del bambino di “capire” il significato<br />

del linguaggio (l’inversione pronominale, per esempio, rappresenta l’incapacità<br />

del bambino di differenziare i pronomi; così anche, la ripetizione di una domanda<br />

rappresenta spesso una forma di risposta ecolalica, in cui il bambino non riesce a<br />

cogliere la forma interrogativa).<br />

• Dopo il sesto anno di vita, il 50% dei casi riesce ad accedere al linguaggio<br />

verbale. Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta qualitativamente inadeguato.<br />

Nel complesso, l’aspetto caratterizzante la compromissione del linguaggio è<br />

rappresentato dal mancato riconoscimento dell’altro come partner<br />

conversazionale. In questo senso vanno interpretati anche altri disturbi, quale<br />

quello di parlare di argomenti a lui favoriti senza preoccuparsi se interessino<br />

l’interlocutore o se siano pertinenti al dis<strong>corso</strong>. Frequente è l’uso di frasi bizzarre,<br />

spesso associate in maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni idiosincratiche).<br />

Anche la perseverazione nel porre domande - a volte la stessa domanda - di cui<br />

conoscono perfettamente la risposta, denota la mancanza di interesse o del<br />

bisogno di condividere con chi ascolta un contesto più ampio di interazioni in cui<br />

entrambi, chi parla e chi ascolta, siano coinvolti in modo attivo. Per quel che<br />

riguarda, infatti, la componente non-verbale del linguaggio, raramente vengono<br />

usati quei gesti e quelle pantomime che solitamente accompagnano il messaggio<br />

verbale per arricchirne il significato. Sul piano del linguaggio di comprensione,<br />

vengono segnalati alcuni deficit molto particolari, quali l’incapacità di riconoscere<br />

i motti di spirito, i doppi sensi, le metafore e le locuzioni idiomatiche. Si tratta di<br />

difficoltà riconducibili al disturbo di una particolare area del linguaggio, la<br />

pragmatica, intesa come quell’area relativa alla capacità di definire le relazioni fra<br />

il linguaggio propriamente detto e chi lo usa, in rapporto agli scopi, ai bisogni,<br />

alle intenzioni e ai ruoli di chi partecipa alla conversazione. Ne deriva una<br />

comprensione cosiddetta letterale.<br />

B. Deficit della capacità di giochi di finzione.<br />

Il gioco di finzione, inteso come la capacità del bambino di riproporre in chiave<br />

ludica situazioni sociali vissute e rielaborate, rappresenta una tappa obbligata<br />

nello sviluppo del bambino. Un gran numero di ricerche ha ormai confermato,<br />

soprattutto nei primi anni di vita, l’incapacità del bambino autistico di effettuare<br />

giochi di finzione (Baron-Cohen et al., 1996; Charman et al., 1997; Rogers et al.,<br />

2003).<br />

Il gioco di finzione, anche normalmente, non segue un carattere del<br />

S5<br />

tutto-o-niente, ma presenta nel <strong>corso</strong> dello sviluppo una complessità<br />

progressivamente crescente (dal far finta di bere da una tazza vuota al far finta di<br />

14


essere un “dottore” o altro). Pertanto, anche nell’Autismo, il fatto che un bambino<br />

di 2 anni non faccia un gioco di finzione (per esempio, far finta di mangiare una<br />

pappa inesistente), non significa che a 5 anni non lo possa fare. E’ vero, tuttavia,<br />

che questa attività sarà sempre atipica, in quanto: ipostrutturata rispetto alla<br />

normalità; limitata a solo alcune azioni, riprodotte peraltro in maniera<br />

“meccanica” e ripetitiva; priva di un reale piacere di condivisione con l’altro<br />

(Rogers et al., 2003).<br />

In alcuni bambini autistici si rileva un’intensa attività immaginativa,<br />

S6 espressa dalla riproposizione di scene vissute o viste in TV, che vengono<br />

mimate in tutti i dettagli. Tali attività non possono essere interpretate come<br />

“giochi di simulazione” o “di imitazione sociale”, in quanto sono caratterizzate da<br />

ripetitività, perseverazione e “dedizione assorbente”. Peraltro, tale caratteristiche<br />

inducono ad inserire queste attività nel terzo elemento della triade sintomatologica<br />

dell’Autismo ( = Modalità di Comportamento, Interessi e Attività Ristretti,<br />

Ripetitivi e Stereotipati).<br />

CRITERIO A.3 = MODALITÀ DI COMPORTAMENTO, INTERESSI E ATTIVITÀ<br />

RISTRETTI, RIPETITIVI E STEREOTIPATI<br />

A.3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati,<br />

come manifestato da almeno 1 dei seguenti:<br />

a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o<br />

per intensità o per focalizzazione<br />

b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici<br />

c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o<br />

complessi movimenti di tutto il corpo)<br />

d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;<br />

Vengono inclusi in questo criterio tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle<br />

azioni che per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la<br />

caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri.<br />

I punti (a) e (d) sembrano esprimere un’atipia sottostante comune. Il<br />

S7<br />

bambino autistico, cioè, presenta un interesse assorbente e perseverante<br />

che può riguardare diversi aspetti della realtà. L’interesse assorbente e<br />

perseverante, cioè, può riguardare la raccolta di stimoli provenienti dal proprio<br />

corpo (per esempio, guardarsi le mani o assumere posture bizzarre per le<br />

sensazioni che queste gli rimandano), ovvero, l’osservazione di particolari oggetti<br />

ed eventi (per esempio, oggetti che rotolano o particolari configurazioni<br />

percettive), o anche l’esecuzione di determinate attività più o meno elaborate e<br />

mentalizzate (per esempio, mimare una scena di un film o “sapere” tutto dei<br />

dinosauri) . Viene, pertanto, a configurarsi una sorta di continuum, da interessi<br />

poco elaborati ad attività molto strutturate: quello che va sottolineato è che<br />

cambiano gli interessi, ma l’Interesse inteso come stato partecipativo e dedizione<br />

assorbente non cambia. La diversa scelta degli “interessi” è probabilmente legata<br />

15


ad una serie di fattori, quali: lo stile temperamentale; particolari caratteristiche<br />

dell’ambiente; l’età; l’entità della sintomatologia autistica; l’eventuale copresenza<br />

e la gravità di un ritardo mentale associato.<br />

Nel punto (b) rientra la ritualizzazione di alcune abituali routine<br />

S8<br />

quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi<br />

secondo sequenze rigide ed immutabili. Il bambino, ad esempio, al momento del<br />

pasto, può aver bisogno di mangiare sempre nella stessa stanza, nello stesso posto,<br />

con la stessa disposizione spaziale del piatto e delle posate; più spesso sono le<br />

caratteristiche del cibo che devono essere sempre le stesse, sia in termini di sapore<br />

che di aspetto (o sempre pastina o sempre formaggini o sempre surgelati di forma<br />

particolare). Questo bisogno di immutabilità - riferito dai genitori come<br />

espressione di un “carattere abitudinario” - si verifica anche nel gioco<br />

(disposizione di soldatini o di macchinine secondo un ordine che deve rimanere<br />

immodificato), nella disposizione degli oggetti nella sua stanza (che deve essere<br />

sempre la stessa), nei percorsi da seguire nelle uscite o nell’attaccamento<br />

esasperato ad oggetti insoliti. Nel complesso, due aspetti particolari caratterizzano<br />

questo tipo di comportamenti: l’abilità del bambino di cogliere anche minime<br />

variazioni del set percettivo (accorgersi, ad esempio, che la disposizione dei<br />

soldatini è stata alterata o che il cibo ha una consistenza lievemente diversa) e le<br />

reazioni di profondo disagio quando ciò avviene. In effetti, è proprio questo<br />

profondo disagio - che, peraltro, si traduce in vivaci reazioni comportamentali di<br />

rabbia ed aggressività auto o eterodiretta -, che conferisce a queste abitudini il<br />

carattere di un rituale ossessivo-compulsivo.<br />

S9<br />

Nel punto (c) rientrano i manierismi motori ripetitivi e sterotipati. Tali<br />

“comportamenti”, anche se molto caratteristici, non sono tuttavia<br />

patognomonici, in quanto si riscontrano in diverse altre situazioni<br />

psicopatologiche, non autistiche (Bailey et al., 1996).<br />

Anche se le atipie degli interessi e delle attività accompagnano il<br />

R6<br />

soggetto autistico nel <strong>corso</strong> di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con<br />

cui esse si esprimono variano necessariamente nel <strong>corso</strong> dello sviluppo.<br />

Ciò che va tenuto presente è che, considerati nel loro complesso, i comportamenti<br />

inclusi in questo terzo criterio della triade sintomatologica dell’Autismo sembrano<br />

configurare un particolare funzionamento mentale, i cui elementi caratterizzanti<br />

sono rappresentati da una povertà di contenuti ideativi, dalla ripetitività di quelli<br />

presenti e da una scarsa flessibilità degli schemi mentali che risultano pertanto<br />

rigidi, perseveranti e poco modificabili “dall’esterno”.<br />

CRITERIO B = ETÀ DI ESORDIO<br />

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima<br />

dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione<br />

sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.<br />

16


Il DSM-IV-TR inserisce fra i criteri diagnostici un esordio prima dei 3 anni di<br />

vita, che si esprime con ritardi o atipie nelle aree dell’interazione sociale e/o della<br />

comunicazione e/o del gioco simbolico (APA 2002).<br />

Per definizione, pertanto, il quadro clinico conclamato deve realizzarsi entro il 3<br />

anno di vita. La comparsa dei primi segni e i sintomi tuttavia è spesso subdola e<br />

mal definita.<br />

Anche se è impossibile datare con precisione l’ “inizio” dell’Autismo, è possibile<br />

però definire, con l’aiuto dei genitori, l’epoca in cui l’espressività dei vari sintomi<br />

assume una rilevanza tale da permettere un inquadramento diagnostico in accordo<br />

ai criteri del DSM-IV-TR: facendo riferimento ai resoconti anamnestici di genitori<br />

di bambini autistici risulta che in oltre l’80% dei casi il quadro clinico<br />

dell’Autismo si è realizza to entro il 20° mese di vita.<br />

I genitori sono le prime persone a rendersi conto, già nei primi mesi di<br />

S10<br />

vita, di un problema di sviluppo e, retrospettivamente, la maggioranza di<br />

essi ritiene che si sarebbe potuto fare una diagnosi di Autismo entro il 20° mese di<br />

vita. Tale rilievo, peraltro, è in linea con i dati comunemente riferiti in letteratura,<br />

in base ai quali il Disturbo Autistico è diagnosticabile all'età di 2 anni (Charman et<br />

al., 1997; Cox et al., 1999; Lord, 1995; Stone et al., 1999).<br />

CRITERIO C = DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON ALTRI DISTURBI PERVASIVI DELLO<br />

SVILUPPO<br />

C. L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo<br />

della Fanciullezza.<br />

Il DSM-IV-TR inserisce il Disturbo Autistico in un più ampio gruppo di disturbi, i<br />

Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Si tratta di altre categorie che pur condividendo<br />

con il Disturbo Autistico alcune caratteristiche, se ne differenziano per altre. Tali<br />

differenze riguardano una diversa espressività dei sintomi della triade ovvero<br />

alcune caratteristiche clinico-evolutive. In particolare, il DSM-IV-TR include nei<br />

Disturbi Pervasivi dello Sviluppo:<br />

♦ il Disturbo di Asperger<br />

♦ il Disturbo di Rett<br />

♦ il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza<br />

♦ il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato<br />

Disturbo di Asperger<br />

Il Disturbo di Asperger, o Sindrome di Asperger, presenta quali elementi clinici<br />

caratterizzanti, che lo portano ad essere incluso nei Disturbi Pervasivi dello<br />

Sviluppo:<br />

♦ una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, che il più delle<br />

volte si manifesta “attraverso un approccio sociale agli altri eccentrico ed<br />

unilaterale, piuttosto che attraverso l’indifferenza sociale ed emotiva”<br />

(APA, 2002);<br />

17


♦ la presenza di schemi di comportamento, interessi ed attività ristretti e<br />

ripetitivi, che si esprimono soprattutto con una “dedizione assorbente ad<br />

un argomento o ad un interesse circoscritto, sul quale il soggetto può<br />

raccogliere una gran quantità di fatti o di informazioni” (APA, 2002).<br />

Esso, pertanto, si differenzia dal Disturbo Autistico per:<br />

♦ l’assenza nell’anamnesi di un ritardo del linguaggio. Il linguaggio,<br />

peraltro, all’epoca della consultazione, risulta ben sviluppato anche se<br />

“insolito per la fissazione dell’individuo su certi argomenti o per la sua<br />

verbosità” (APA, 2002);<br />

♦ l’assenza nell’anamnesi di un ritardo dello sviluppo cognitivo. Il livello<br />

cognitivo, peraltro, all’epoca della consultazione risulta nella norma,<br />

anche se disomogeneo per una significativa prevalenza del Quoziente<br />

Intellettivo Verbale rispetto a quello di Performance;<br />

♦ le caratteristiche dell’interazione sociale, che prevedono la “presenza di<br />

una motivazione a rivolgersi all’altro anche se ciò viene fatto in modo<br />

estremamente eccentrico, unilaterale, verboso e insensibile” (APA, 2002);<br />

♦ le caratteristiche delle atipie nel repertorio di interessi ed attività. Mentre,<br />

infatti, nell’Autismo prevalgono i manierismi motori, l’attenzione<br />

circoscritta a parti di oggetti e il marcato disagio nei confronti del<br />

cambiamento, nel Disturbo di Asperger, in relazione anche al buon livello<br />

linguistico e cognitivo, prevale l’interesse nei confronti di argomenti sui<br />

quali l’individuo spende una gran quantità di tempo a raccogliere<br />

informazioni e fatti.<br />

Il dibattito scientifico che ha accompagnato, e tutt’ora accompagna<br />

S11<br />

questa sindrome, suggerisce qualche prudenza nell’uso indiscriminato di<br />

una diagnosi di questo tipo (Volkmar et al., 2004). In realtà i criteri diagnostici<br />

prima elencati, non sempre permettono nella pratica clinica una diagnosi<br />

differenziale tra Disturbo Autistico ad alto funzionamento, il Disturbo di Asperger<br />

e il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (Szatmari,<br />

2003; Walker et al., 2004).<br />

Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza<br />

Il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza (DDF), in fase di “stato” presenta le<br />

caratteristiche tipiche del Disturbo Autistico, da cui si differenzia esclusivamente<br />

per le modalità di esordio. Il DDF, infatti, è caratterizzato da uno sviluppo<br />

apparentemente normale nei primi due anni di vita. Successivamente a tale epoca<br />

si verifica una “perdita” di competenze socio-comunicative ed adattive<br />

precedentemente acquisite.<br />

Anche se nella maggioranza dei casi di Autismo, la ricostruzione<br />

S12<br />

anamnestica permette di rilevare fin dalle prime fasi dello sviluppo<br />

segni e sintomi riferibili ad un disturbo dell’interazione e della comunicazione<br />

sociale, esiste una percentuale di casi variabile dal 20% al 25%, in cui i genitori<br />

riferiscono uno sviluppo apparentemente normale fino all’età di 18-24 mesi:<br />

Autismo con regressione (Baird et al., 2003). Considerando che anche nel DDF<br />

esistono casi in cui lo sviluppo precedente la “disintegrazione” non è stato<br />

veramente “normale”, la distinzione tra Autismo con regressione e Disturbo<br />

18


Disintegrativo della Fanciullezza non è sempre netta, per la presenza di zone di<br />

sovrapposizione (Baird et al., 2003; Volkmar et al., 2004).<br />

Disturbo di Rett<br />

Il Disturbo di Rett, o Sindrome di Rett, è un disturbo neurodegenerativo con<br />

etiologia definita (mutazione nel gene MECP2). Colpisce quasi esclusivamente le<br />

femmine ed esordisce tra i 6 e i 18 mesi, dopo un periodo di sviluppo normale. Il<br />

quadro clinico è caratterizzato da: una decelerazione della crescita del capo (non<br />

costante); atassia; tremori; perdita delle competenze prassiche e della<br />

coordinazione motoria; perdita delle competenze comunicative verbali e non<br />

verbali; perdita delle competenze interattive. Abituale è la presenza di alterazioni<br />

elettroencefalografiche.<br />

A differenza dell’<strong>autismo</strong>:<br />

♦ le mani sono interessate da tipiche stereotipie<br />

♦ la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente<br />

♦ i disturbi dell’interazione sociale sono generalmente transitori<br />

♦ il quadro neurologico è più ricco e patognomonico<br />

Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato<br />

La categoria del DPS-NAS viene comunemente usata nei casi in cui, pur se<br />

presenti disturbi riferibili all’interazione sociale, alla comunicazione e/o al<br />

repertorio di interessi ed attività (stereotipati e ristretti), il quadro clinico non<br />

assume caratteristiche qualitativamente definite e quantitativamente sufficienti per<br />

una diagnosi di <strong>autismo</strong> o di altri DPS.<br />

Ne deriva una categoria residua, per la quale non sono stati ancora definiti i criteri<br />

diagnostici di inclusione (Buitelaar et al., 1998; Scheeringa, 2001; Tanguay, 2004;<br />

Volkmar et al., 2004; Walker et al, 2004).<br />

ALTRI SINTOMI CARATTERISTICI, NON INCLUSI NEL DSM-IV-TR.<br />

Molto spesso il quadro clinico mette in evidenza comportamenti molto<br />

caratteristici, che non vengono, tuttavia, inclusi fra i criteri diagnostici del DSM-<br />

IV-TR, in quanto non patognomonici.<br />

Abnorme risposta agli stimoli sensoriali. Molti bambini autistici, apparentemente<br />

“sordi” ai comuni suoni dell’ambiente, mostrano una particolare sensibilità nei<br />

confronti di alcuni stimoli uditivi (per esempio, sirene, cigolii, campanelli). Tali<br />

suoni scatenano nel bambino violente reazioni di panico, con tentativi di<br />

proteggersi (per esempio, coprirsi le orecchie con le mani). Risposte simili<br />

possono essere osservate anche nei confronti di particolari stimoli visivi (flash,<br />

luci intense, determinati oggetti) o di alcuni stimoli tattili. L’elemento<br />

caratterizzante questi vari comportamenti è quindi rappresentato sostanzialmente<br />

dalla tonalità emotiva di fondo che li accompagna, la crisi di panico. Essa è<br />

scatenata da stimoli di diversa natura, che, verosimilmente, per un disturbo<br />

percettivo assumono connotazioni emozionali aberranti.<br />

Condotte autolesive. Diversi bambini autistici presentano condotte autoaggressive,<br />

quali battere il capo contro la parete o colpirsi il capo con il pugno.<br />

19


Tali comportamenti richiedono spesso misure terapeutiche attive e eticamente<br />

accettabili, perchè possono portare a seri traumi o automutilazioni.<br />

Presenza di particolari abilità. Queste “isole di speciali competenze” possono<br />

riguardare la capacità di discriminare e riconoscere particolari stimoli visivi,<br />

un’eccezionale memoria per numeri o date, o un’inaspettata capacità di leggere e<br />

recitare interi brani.<br />

Ritardo Mentale. Circa il 75% dei pazienti autistici presenta Ritardo Mentale<br />

(Rapin, 1998). Recentemente, l’estendersi del concetto di Disturbo dello Spettro<br />

Autistico ha determinato stime sensibilmente differenti: in particolare, la<br />

percentuale di Ritardo Mentale in bambini con Disturbo dello Spettro Autistico si<br />

sarebbe ridotta al 50% (Volkmar et al., 2004).<br />

Epilessia. L’epilessia si verifica in circa il 30-40% dei casi. In un terzo dei casi<br />

l’epilessia insorge nei primi anni di vita, senza assumere caratteristiche particolari<br />

(Cohen et al., 2004). Nella maggioranza dei casi, le crisi insorgono in epoca<br />

adolescenziale ed assumono le caratteristiche delle crisi parziali complesse e<br />

tonico-cloniche generalizzate. Le forme di epilessia ad insorgenza nei primi anni<br />

di vita sollevano una serie di interrogativi circa la natura dei rapporti Autismo-<br />

Epilessia (Rapin, 1998). Per lo più, l’<strong>autismo</strong> e l’epilessia vengono considerati<br />

epifenomeni di un comune danno encefalico.<br />

I.2. STRUMENTI DIAGNOSTICI<br />

Poiché la diagnosi di Disturbo Autistico è basata su parametri esclusivamente<br />

comportamentali risulta indispensabile, da un lato, riferirsi a situazioni di<br />

osservazione standardizzate e, dall’altro, adottare scale di valutazione<br />

opportunamente elaborate per il “comportamento” autistico.<br />

Vengono di seguito riportati gli strumenti con significato diagnostico,<br />

maggiormente utilizzati a livello internazionale.<br />

Childhood Autism Rating Scale (CARS) – (Schopler et al., 1988)<br />

E’ una scala di valutazione del comportamento autistico che permette di esplorare,<br />

raccogliendo informazioni in contesti vari e da fonti multiple, 15 aree di sviluppo:<br />

relazioni interpersonali, imitazione, affettività, utilizzo del corpo, gioco ed utilizzo<br />

degli oggetti, livello di adattamento, responsività agli stimoli visivi, responsività<br />

agli stimoli uditivi, modalità sensoriali, reazioni d’ansia, comunicazione verbale,<br />

comunicazione extra-verbale, livello di attività, funzionamento cognitivo,<br />

impressioni generali dell’esaminatore.<br />

A ciascun’area viene assegnato un punteggio da 1 a 4 (1 = nella norma; 2 =<br />

lievemente anormale; 3 = moderatamente anormale; 4 = gravemente anormale per<br />

l’età). Per determinare il grado di anormalità nelle aree di sviluppo analizzate<br />

l’esaminatore deve considerare la peculiarità, la frequenza, l’intensità e la durata<br />

del comportamento considerato. La somma dei punteggi riportati in ciascun' area<br />

può variare da 15 a 60 ed esprime il livello di gravità dell’<strong>autismo</strong>. La<br />

20


maggioranza degli studi sembra fissare il cut-off a 30 per i bambini e a 27 per gli<br />

adolescenti (Mesibov et al., 1989).<br />

Possono essere utilizzate a partire dai 2 anni di età. Richiedono circa 30 minuti<br />

per la somministrazione. E’ importante un training per il loro utilizzo.<br />

Le CARS sono state oggetto di numerosi studi che ne hanno dimostrato la<br />

consistenza interna (Schopler et al., 1980; Garfin et al., 1988; Sturmey et al.,<br />

1992), l’attendibilità fra operatori (Schopler et al., 1980; Sevin et al., 1991) e la<br />

validità (Teal et al., 1986; Mesibov et al., 1989; Sponheim et al., 1996; DiLalla et<br />

al., 1994; Eaves et al., 1993; Van Bourgondien et al., 1992; Pilowsky et al., 1998).<br />

Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) (Lord et al., 2000)<br />

Si tratta di uno strumento ampiamente diffuso per la diagnosi di <strong>autismo</strong>,<br />

complementare all’intervista strutturata per genitori (ADI-R). Inizialmente creati<br />

come strumenti per la ricerca, sono stati adattati per l’uso sistematico nella pratica<br />

clinica. L’ADOS è basata sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino<br />

ed è strutturato in moduli che esplorano il comportamento sociale in contesti<br />

comunicativi naturali. I diversi moduli comprendono prove selezionate in base<br />

all’età e al livello linguistico.<br />

Permette diagnosi entro lo spettro autistico sulla base dei criteri DSM e ICD.<br />

Adatto all’utilizzo a partire dai 2 anni (anche per bambini non verbali), fino all’età<br />

adulta. La somministrazione richiede 30-45 minuti, ma richiede training e<br />

procedure di convalida specifiche.<br />

Autism Diagnostic Interview - Revised (ADI-R) (Lord et al, 1994)<br />

Si tratta di uno strumento diagnostico per la valutazione del disturbo autistico,<br />

complementare all’ADOS. Consiste in un’intervista semistrutturata destinata ai<br />

genitori, basata su domande relative ai comportamenti appartenenti alla triade<br />

sintomatologica e al tipo di gioco. Fornisce un punteggio che permette diagnosi<br />

entro lo spettro autistico secondo i criteri diagnostici DSM e ICD. La<br />

somministrazione necessita di circa 1 ora e mezza e richiede training specifici e<br />

successive procedure di convalida.<br />

Autism Behavior Checklist (ABC) (Krug, Arid, Almond, 1980)<br />

Scala di valutazione del comportamento che fa riferimento a 57 comportamenti<br />

"problema", divisi in 5 categorie: linguaggio, socializzazione, uso dell’oggetto,<br />

sensorialità e autonomia, in base ai quali fornisce un punteggio. Si utilizza per<br />

bambini a partire dai 18 mesi. E’ dotato di bassa sensibilità e non si mostra tanto<br />

utile come strumento diagnostico, quanto piuttosto come mezzo per la valutazione<br />

degli effetti dell’intervento terapeutico durante le verifiche periodiche.<br />

Gillian Autism Rating Scale (GARS) (Gilliam, 1995).<br />

La Gillian Autism Rating Scale (GARS) è una checklist per genitori basata sui<br />

criteri diagnostici del DSM IV e quindi gli items sono raggruppati in aree che<br />

valutano lo sviluppo sociale, la comunicazione e i comportamenti stereotipati. La<br />

GARS si è dimostrata uno strumento assai utile e di semplice applicabilità al fine<br />

di identificare il disturbo autistico, di focalizzare gli obiettivi degli interventi<br />

abilitativi ed educativi e di documentare i risultati degli interventi specifici<br />

attivati.<br />

21


La GARS si è dimostrata uno strumento valido per favorire la comunicazione con<br />

i genitori proprio per la sua capacità di rappresentare, nel suo insieme di quesiti, i<br />

problemi concreti, quotidiani del bambino e la capacità del loro riconoscimento<br />

da parte dei familiari. La GARS può essere applicata dai diversi professionisti<br />

coinvolti sia nel processo diagnostico sia di programmazione e valutazione degli<br />

interventi abilitativi e educativi. L’ampia fascia di età cui la GARS (dai 3 ai 22<br />

anni) è applicabile ne rafforza ulteriormente la sua utilizzabilità.<br />

*********************************<br />

In aggiunta agli strumenti appena citati, che hanno un significato “diagnostico”,<br />

vanno raccomandate altre due scale che si pongono come strumenti di<br />

“valutazione”, ormai ampiamente utilizzati: il Psycho-Educational Profile (PEP-<br />

R) e il Vineland-Adaptive Behavior Scales (VABS).<br />

Psycho-Educational Profile (PEP-R) (Schopler et al., 1989).<br />

Si tratta di una scala di valutazione per bambini di età mentale dai 6 mesi ai 7<br />

anni, che permette di ricavare indicazioni mirate all'ottenimento di un profilo di<br />

sviluppo dettagliato ed alla pianificazione di un programma di intervento specifico<br />

ed individualizzato. Occorrono 45-90 minuti per la somministrazione.<br />

Le funzioni ed i comportamenti indagati sono: imitazione, percezione, motricità<br />

fine e grossolana, coordinazione oculo-manuale, livello cognitivo, relazione ed<br />

affetti, gioco ed interesse per il materiale, risposte sensoriali e linguaggio. Molti<br />

dei vantaggi correlati all'utilizzo dello strumento sono intrinseci alla stessa scala,<br />

ossia la presenza di materiale strutturato concreto ed attraente per il bambino, la<br />

flessibilità nella somministrazione, l'assenza di tempi cronometrati, il fatto che la<br />

maggior parte degli item non richiede capacità verbali. I livelli di valutazione<br />

sono insuccesso - riuscita - emergenza. I programmi d'intervento che conseguono<br />

si basano sulle capacità emergenti: le probabilità di successo di un simile piano<br />

educativo sono alte poiché l'apprendimento inizia ad un livello appropriato al<br />

singolo soggetto in esame. Inoltre, il totale dei comportamenti inusuali o<br />

disfunzionali è quantificato ed indica la gravità delle difficoltà comportamentali.<br />

Vineland - Adaptive Behavior Scales (VABS) (Sparrow et al., 1984)<br />

Si tratta di un’intervista semi-strutturata, ritenuta in maniera unanime la migliore<br />

scala psicometrica che valuta il livello adattivo di un individuo, recentemente<br />

tradotta e tarata su una popolazione italiana. È somministrata da un operatore<br />

specificamente addestrato alla persona che meglio conosce il soggetto, applicabile<br />

dagli 0 ai 18 anni di età. Il comportamento adattivo (CA) indagato riguarda le<br />

attività che un soggetto deve compiere quotidianamente per essere<br />

sufficientemente autonomo e per svolgere in modo adeguato i compiti conseguenti<br />

al proprio ruolo sociale, così da soddisfare le attese dell'ambiente per un individuo<br />

di pari età e contesto culturale. Il livello adattivo è definito dalle performance<br />

tipiche e non dalle abilità: la VABS, dunque, misura le prestazioni e non le<br />

competenze. La premessa per il crescente interesse per il CA è la relativa<br />

incapacità di indici quali il QI di prevedere realisticamente la riuscita nella vita ed<br />

il grado di adattamento sociale degli individui in esame. Inoltre, il CA è un<br />

costrutto modificabile: un adeguato livello adattivo è l'obiettivo adeguato e da ciò<br />

22


l'interesse della scala a fini diagnostici, ma anche come strumento utile alla<br />

programmazione di un intervento ed alla verifica della sua efficacia.<br />

La scala è organizzata in 4 item: comunicazione (sub-item: linguaggio recettivo,<br />

espressivo, lettura/scrittura), socializzazione (sub-item: relazioni interpersonali,<br />

gioco e tempo libero, regole sociali), abilità di vita quotidiana (abilità personali,<br />

domestiche, di comunità), abilità motorie (fini e grossolane).<br />

La scala possiede dimostrate validità ed affidabilità.<br />

Recentemente è stato proposto una quantificazione del deficit sociale dei soggetti<br />

autistici attraverso il calcolo dell'ampiezza della discrepanza tra il punteggio<br />

standard della socializzazione alla VABS e l'età mentale. L'ipotesi di questi<br />

ricercatori è che le capacità adattive possano essere l'indice più predittivo di<br />

successo professionale e del livello di indipendenza raggiungibile da individui con<br />

<strong>autismo</strong>.<br />

23


<strong>II</strong>. LA VALUTAZIONE CLINICA GLOBALE<br />

La valutazione clinica globale si riferisce a quell’insieme di procedure finalizzate<br />

a raccogliere dati utili a completare la conoscenza del bambino e a definire<br />

l’inquadramento nosografico del “caso”. I dati che emergono, infatti, sono critici<br />

per:<br />

♦ effettuare una diagnosi differenziale con altri disturbi mentali<br />

♦ valutare la presenza in co-morbidità di altri disturbi mentali<br />

♦ definire l’inquadramento nell’ambito dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo<br />

♦ individuare eventuali cause<br />

♦ tracciare un profilo funzionale del bambino<br />

♦ accertare la presenza di condizioni mediche associate<br />

♦ approfondire le caratteristiche dell’ambiente<br />

Le fasi fondamentali del processo diagnostico si collocano in due principali aree:<br />

<strong>II</strong>.1. area degli incontri dedicati ai genitori<br />

1. per conoscerli e farsi conoscere<br />

2. per raccogliere i dati anamnestici<br />

3. per definire il quadro comportamentale attuale del bambino<br />

4. per definire il funzionamento adattivo attuale del bambino<br />

<strong>II</strong>.2. area degli incontri dedicati al bambino<br />

1. per l’esame obiettivo<br />

2. per l’esame neurologico<br />

3. per l’esame psichiatrico, con particolare riferimento a:<br />

1. ai comportamenti con significato diagnostico<br />

2. al livello cognitivo e linguistico<br />

3. allo sviluppo emotivo<br />

4. al profilo di sviluppo<br />

<strong>II</strong>.1. INCONTRI DEDICATI AI GENITORI<br />

<strong>II</strong>.1.1. LA “CONOSCENZA” RECIPROCA<br />

I colloqui con i genitori rappresentano un momento cruciale del processo<br />

diagnostico. Tali colloqui infatti, oltre a fornire informazioni critiche per la<br />

“conoscenza” del soggetto, permettono anche la “conoscenza” dei genitori, in<br />

termini di organizzazione dei ritmi familiari, atteggiamenti affettivo-pedagogici, e<br />

di strategie educative e terapeutiche messe in atto nei confronti dei disturbi del<br />

figlio<br />

Questo processo di conoscenza dei genitori deve essere finalizzato a valutare le<br />

risorse “personali” (capacità di fronteggiare il disagio connesso al disturbo del<br />

figlio), “familiari” (caratteristiche del nucleo familiare, stato socio-economico,<br />

qualità delle relazioni intra ed interfamiliari) ed “ambientali” (disponibilità dei<br />

servizi sul territorio di residenza, aspetti culturali dell’area di appartenenza), cui<br />

riferirsi per la formulazione del progetto terapeutico.<br />

Il processo diagnostico inteso come processo di conoscenza deve essere esteso<br />

alla coppia genitoriale e all'intero sistema famiglia. Ciò permette infatti di valutare<br />

la conoscenza che i genitori hanno del disturbo, il loro livello di consapevolezza<br />

sulla condizione del bambino e le risorse sia in termini emozionali che logistiche.<br />

24


Gli incontri con i genitori si pongono anche come un momento che permette loro<br />

di conoscere l’équipe. Risulta pertanto particolarmente importante garantire una<br />

situazione interattiva che permetta loro di individuare l’équipe come un punto di<br />

riferimento costante anche nelle successive fasi di formulazione e realizzazione<br />

del progetto terapeutico.<br />

<strong>II</strong>.1.2. L’ANAMNESI<br />

Nella raccolta dell’anamnesi risulta molto utile far riferimento a schemi di<br />

intervista opportunamente elaborati. E’ inoltre consigliabile usare uno schema di<br />

anamnesi il più possibile condivisibile con altri Centri.<br />

Per quel che riguarda il disturbo autistico, la ricostruzione anamnestica deve tener<br />

conto dei punti critici precedentemente riportati. In particolare:<br />

<strong>II</strong>.1.2.1. ANAMNESI FAMILIARE<br />

• Consanguineità.<br />

• Familiarità per disturbi di interesse neuropsichiatrico o altri disturbi che possono<br />

associarsi con una condizione di <strong>autismo</strong>:<br />

♦ presenza di <strong>autismo</strong>, difficoltà di interazione sociale o condizioni cliniche<br />

ad esso assimilabili. In merito a questo ultimo aspetto, particolare<br />

attenzione va riservata all’eventuale presenza nei fratelli e/o nei collaterali<br />

di stili comportamentali indicativi di uno scarso investimento della<br />

interazione e della comunicazione, o di interessi bizzarri per contenuto o<br />

ripetitività;<br />

♦ presenza di ritardi o disturbi di linguaggio, disturbi cognitivi, disturbi di<br />

apprendimento;<br />

♦ presenza di altri disturbi psichiatrici nosograficamente definiti, quali<br />

schizofrenia, disturbi ossessivo-compulsivi, sindrome di Tourette. Va in<br />

particolare approfondita la presenza di disturbi dell’umore, la cui<br />

associazione con l’<strong>autismo</strong> è stata più volte segnalata.<br />

• Presenza di malattie genetiche o condizioni mediche conosciute. L’associazione<br />

dell’<strong>autismo</strong> con situazioni cliniche, quali la sindrome dell’X-fragile, la sclerosi<br />

tuberosa, rappresenta un riscontro possibile. Risulta inoltre importante segnalare<br />

qualsiasi altra associazione, anche con malattie “rare”.<br />

<strong>II</strong>.1.2.2. GRAVIDANZA, PARTO E PERIODO NEONATALE<br />

Le patologie legate alla gravidanza, al parto e al periodo neonatale non sembrano<br />

porsi come fattori eziopatogenetici, in quanto non presentano significative<br />

associazioni con l’<strong>autismo</strong>. Ciò non di meno un’attenta ricostruzione anamnestica<br />

può permettere di valutare l’eventuale presenza di segni indicativi di una patologia<br />

“intrinseca” del feto, quali un ridotto accrescimento intrauterino, un basso peso<br />

alla nascita, difficoltà di adattamento nell’immediato post-partum. Tali segni,<br />

infatti, esprimendo una scarsa competenza del prodotto del concepimento a<br />

crescere e a nascere possono essere indicativi di una patologia genetica e/o<br />

malformativa.<br />

<strong>II</strong>.1.2.3. STORIA DELLO SVILUPPO<br />

La ricostruzione delle prime fasi dello sviluppo rappresenta una momento molto<br />

importante. Tale ricostruzione deve essere rivolta a definire non solo l’epoca e le<br />

modalità d’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo psicomotorio<br />

(sviluppo posturo-cinetico, sviluppo delle competenze cognitive, sviluppo<br />

25


comunicativo-linguistico, sviluppo sociale), ma anche le modalità di<br />

organizzazione delle principali funzioni di base (alimentazione, ritmo sonnoveglia,<br />

reattività/consolabilità) e la presenza di particolari caratteristiche del<br />

profilo temperamentale (molto attento/poco attento; irritabile/tollerante; molto<br />

“allegro”/poco “allegro; molto “curioso”/poco “curioso”).<br />

<strong>II</strong>.1.2.4. STORIA MEDICA<br />

Tale sezione dell’anamnesi è finalizzata a valutare se sono stati presenti segni e<br />

sintomi indicativi di una condizione medica conosciuta e/o di disturbi<br />

nosograficamente definiti.<br />

Particolare attenzione va posta nell’esplorare l’eventuale presenza di crisi,<br />

condizioni suggestive di encefalopatia. Risulta inoltre consigliabile verificare se<br />

sono state presenti manifestazioni di natura allergica.<br />

Nelle situazioni in cui il soggetto sia già stato preso in carico per situazioni<br />

morbose (diverse dal disturbo autistico), particolare attenzione andrà rivolta alla<br />

diagnosi formulata, all’esito delle indagini effettuate, agli interventi praticati e<br />

soprattutto ai risultati da essi conseguiti.<br />

<strong>II</strong>.1.2.5. ASPETTI RELATIVI AL DISORDINE ATTUALE<br />

Questa ultima parte dell’anamnesi riguarda la definizione dell’età e delle modalità<br />

di esordio dei segni e sintomi che hanno determinato la consapevolezza nei<br />

genitori di un “serio problema di sviluppo”. Nel caso in cui sia stato il pediatra a<br />

mettere in allarme i genitori segnalando comportamenti a cui loro non avevano<br />

dato eccessiva importanza, è necessario aiutare i genitori a ricostruire le modalità<br />

relazionali del bambino e i suoi stili di comunicazione, facendo riferimento ad<br />

esempi e a situazioni di vita quotidiana. Ciò rende i genitori maggiormente<br />

partecipi del processo diagnostico, consapevoli dell'eventuale irregolarità di<br />

determinati comportamenti e quindi disponibili ad un coinvolgimento "attivo" nel<br />

progetto terapeutico nel caso venga confermato il sospetto inizialmente formulato.<br />

La ricostruzione delle modalità di esordio del quadro deve prendere in<br />

considerazione non solo i sintomi precoci “specifici”, relativi, cioè, all’area<br />

dell’interazione e della comunicazione sociale, ma anche i sintomi “aspecifici”<br />

(difficoltà della suzione, ipereccitabilità, difficoltà dello svezzamento, disturbi del<br />

sonno) che nel loro insieme configurano un “disturbo della regolazione”, riferito<br />

con elevata frequenza nell’anamnesi del soggetto con disturbo autistico.<br />

Particolare attenzione dovrebbe infine essere posta alla eventuale presenza di<br />

regressione e ai possibili eventi “stressanti” connessi in relazione temporale con<br />

l’insorgenza dei disturbi (malattie, incidenti, ospedalizzazioni, morte di uno dei<br />

genitori, bruschi cambiamenti ambientali, etc.).<br />

<strong>II</strong>.1.3. DEFINIZIONE DEL QUADRO COMPORTAMENTALE ATTUALE DEL BAMBINO<br />

Per ricostruire il quadro comportamentale del bambino è necessario integrare le<br />

notizie che i genitori “spontaneamente” forniscono con alcune domande<br />

specifiche, relative al modo di interagire del bambino con loro genitori e più in<br />

generale con gli altri, sul modo in cui si rivolge loro per chiedere o comunicare,<br />

sull’aderenza alle loro richieste o alle loro proposte di interazione, sui suoi<br />

interessi e sulle modalità con cui organizza le sue attività ludiche.<br />

Per mettere in evidenza alcuni comportamenti “atipici” è necessario talvolta<br />

spiegare ai genitori le caratteristiche e il senso dei comportamenti che si cerca di<br />

approfondire, ricorrendo anche ad esempi.<br />

26


In questa parte dell’esame va inserita la somministrazione di<br />

S13<br />

un’intervista strutturata con finalità diagnostiche. L’intervista<br />

maggiormente utilizzata a livello internazionale è l’Autism Diagnostic Interview<br />

(ADI-R). Molto utile risulta anche la Gillian Autism Rating Scale (GARS). Le<br />

caratteristiche di entrambe le scale sono state precedentemente descritte.<br />

<strong>II</strong>.1.4. DEFINIZIONE DEL FUNZIONAMENTO ADATTIVO ATTUALE DEL BAMBINO<br />

Nella ricostruzione del quadro comportamentale del bambino vanno inoltre rivolte<br />

ai genitori domande specifiche che riguardano il livello adattivo, che si esprime<br />

attraverso le autonomie, le modalità di comunicare i suoi bisogni, la gestibilità nel<br />

quotidiano. Bisogna spesso aiutare i genitori a fornire dati attendibili, invitandoli,<br />

per esempio, a riferire una giornata-tipo e stimolandoli a riflettere su alcuni<br />

situazioni “significative”, quali il momento dei pasti, quello<br />

dell’addormentamento, gli incontri con altri bambini, le uscite, le visite a o da<br />

parte di amici o familiari.<br />

In questa parte dell’esame va inserita la somministrazione di<br />

S14<br />

un’intervista strutturata che permetta di tradurre le informazioni in dati<br />

“misurabili”. L’intervista maggiormente utilizzata è la Vineland Adaptive<br />

Behavior Scales (VABS), le cui caratteristiche sono state precedentemente<br />

descritte.<br />

<strong>II</strong>.2. INCONTRI DEDICATI AL BAMBINO<br />

<strong>II</strong>.2.1. ESAME OBIETTIVO<br />

L’esame obiettivo è finalizzato a ricercare l’eventuale presenza di segni e sintomi<br />

riferibili a condizioni mediche nosograficamente definite, con particolare<br />

riferimento a quelle più frequentemente segnalate in associazione con l’<strong>autismo</strong><br />

(sclerosi tuberosa, sindrome dell’X-Fragile, Ipomelanosi di Ito, etc.).<br />

Particolarmente importante è la misurazione di parametri auxologici, quali la<br />

statura, il peso e, soprattutto, il perimetro cranico (PC). Di riscontro frequente è<br />

un valore del perimetro cranico superiore al 90° percentile; questo dato può non<br />

essere presente alla nascita, ma evidenziarsi successivamente, con<br />

un’accelerazione del tasso di crescita tra i 2 e i 12 anni (Aylward et al., 2002).<br />

Circa il 25% dei bambini con disturbi dello spettro autistico presenta<br />

macrocefalia.<br />

<strong>II</strong>.2.2. ESAME NEUROLOGICO<br />

L’esame neurologico standard, finalizzato a valutare l’integrità delle strutture<br />

nervose centrali e periferiche dovrà tener conto non solo dei sintomi “maggiori”<br />

(spasticità, distonie, atassia, paralisi, etc;), ma anche dei segni “minori”<br />

(neurological soft signs). Nell’ambito di questo ultimo tipo di segni rientrano<br />

rilievi aspecifici e di incerta definizione nosografica, quali strabismo, sfumate<br />

asimmetrie di lato dei riflessi o del tono, lievi ipercinesie coreiformi, incertezze<br />

nella coordinazione dinamica generale. Tali segni, oltre a rappresentare una<br />

testimonianza di una possibile disfunzione neurobiologica di fondo, si pongono<br />

27


talvolta come utili elementi per una diagnosi differenziale (come nel caso della<br />

sindrome di Asperger, in cui la goffaggine motoria rappresenterebbe un sintomo<br />

considerato patognomonico o in quello della sindrome di Rett, in cui il disturbo<br />

della coordinazione dinamica generale e le manifestazioni parossistiche sono<br />

abituali).<br />

<strong>II</strong>.2.3. ESAME PSICHIATRICO<br />

L’Esame Psichiatrico rappresenta una fase fondamentale del processo diagnostico<br />

e, nel caso specifico, la più importante.<br />

La metodologia dell’esame è quella abitualmente adottata in<br />

S15<br />

Neuropsichiatria Infantile e prevede le seguenti procedure:<br />

l’osservazione, il colloquio e la somministrazione di reattivi mentali<br />

standardizzati. Vengono di seguito riportati alcuni suggerimenti operativi.<br />

1. L’osservazione. L’osservazione rappresenta la modalità privilegiata e spesso<br />

esclusiva nelle situazioni in cui il bambino è molto piccolo, non verbale e/o non<br />

disponibile ad un aggancio relazionale. Essa prevede due momenti: uno<br />

apparentemente non strutturato e l’altro strutturato (= seduta di gioco).<br />

L’osservazione non strutturata si riferisce al prestare particolare attenzione ai<br />

comportamenti del bambino e dei genitori dal momento in cui entrano nella sala<br />

da visita, fino a quello in cui si congedano. In effetti, la semplice osservazione,<br />

intesa nel senso di limitarsi a “guardare” il bambino, il suo modo di muoversi,<br />

di chiedere, di rispondere alle richieste dei genitori, di esprimere le sue<br />

emozioni, di rapportarsi all’altro e di rapportarsi all’oggetto, senza ricorrere a<br />

manovre direttive o invasive, permette di raccogliere la maggioranza delle<br />

informazioni utili per il “processo di conoscenza”.<br />

L’osservazione strutturata si riferisce, invece, all’organizzazione di uno spazio<br />

ludico, in cui vengono proposte situazioni-stimolo in grado di attivare<br />

comportamenti “misurabili”. Le situazioni-stimolo da proporre variano in<br />

rapporto all’età e al livello di sviluppo. Per i bambini più piccoli, non verbali<br />

e/o con basso livello di sviluppo possono essere proposti: giochi senso-motori<br />

(rincorrersi-prendersi-nascondersi); giochi con la palla, macchinine o<br />

costruzioni; attività espressive con l’uso di matite o plastilina; giochi di finzione<br />

con miniature di bicchieri, piatti o bambolotti. Per bambini più grandi, verbali<br />

e/o con livello di sviluppo relativamente adeguato possono essere proposte<br />

situazioni-stimolo maggiormente strutturate, quali giochi di finzione di<br />

maggiore complessità simbolica (riproposizione di scene di vita quotidiana e<br />

drammatizzazioni) o giochi con regole.<br />

Quanto più l’osservazione è apparentemente libera, in un contesto relazionale<br />

rassicurante, tanto maggiori saranno le possibilità espressive del bambino e,<br />

quindi, gli elementi che si riescono a cogliere. Il termine apparentemente viene<br />

sottolineato per indicare che, nell’organizzazione dell’osservazione, nulla è<br />

lasciato al caso o all’improvvisazione. In effetti l’esaminatore ha uno schema<br />

mentale ben preciso che lo guida. La stessa scelta di lasciare “libero” il bambino<br />

di agire e di interagire risponde ad uno specifico scopo, in accordo ad un<br />

protocollo predefinito.<br />

2. Il colloquio. Il colloquio rappresenta la naturale integrazione<br />

dell’osservazione quando il bambino è in grado di interagire verbalmente. Per<br />

gli adolescenti verbalmente competenti esso diventa la modalità di elezione per<br />

condurre l’esame.<br />

Il colloquio viene condotto in accordo ai suggerimenti comunemente adottati<br />

nell’esame neuropsichiatrico infantile, riassumibili nei seguenti punti:<br />

28


♦ organizzare adeguatamente gli spazi in cui deve avvenire il colloquio<br />

♦ favorire la libera espressione del soggetto, creando una dimensione<br />

relazionale in cui non si senta esaminato e, soprattutto, giudicato;<br />

♦ evitare l’adozione di atteggiamenti direttivi, forzando il colloquio su<br />

tematiche che interessano l’esaminatore, ma non il bambino, o nei<br />

confronti delle quali egli sembra mostrare delle resistenze<br />

♦ guidarlo ad esprimersi su alcune tematiche critiche, quali i rapporti con<br />

gli altri, i rapporti con i genitori, la scuola, la natura degli interessi e<br />

delle attività, le emozioni fondamentali (rabbia, felicità, tristezza, paura)<br />

e le situazioni in grado di attivarle.<br />

3. La somministrazione di reattivi mentali standardizzati. Si riferisce agli<br />

“strumenti” abitualmente utilizzati in Neuropsichiatria Infantile per integrare<br />

l’esame psichiatrico del bambino. Come è noto, tali “strumenti” sono costituiti<br />

da prove selezionate in base a studi di validazione su ampi campioni di<br />

popolazione per una valutazione standardizzata. Essi vanno scelti in rapporto<br />

alle aree che si intendono approfondire, all’età del bambino e al suo livello di<br />

sviluppo.<br />

<strong>II</strong>.2.3.1. VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO<br />

Questa parte dell’esame prevede la valutazione di quegli aspetti che caratterizzano<br />

il comportamento autistico, così come definito dai criteri diagnostici del DSM-IV-<br />

TR:<br />

♦ la compromissione qualitativa dell’interazione sociale;<br />

♦ la compromissione qualitativa della comunicazione verbale e non verbale;<br />

♦ le atipie del repertorio di interessi ed attività per contenuto o<br />

perseverazione.<br />

Per i bambini più piccoli e/o non verbali la tecnica di valutazione è<br />

fondamentalmente rappresentata dall’osservazione (seduta di gioco). Risulta<br />

particolarmente importante annotare aspetti, quali:<br />

♦ il modo in cui il bambino entra nella stanza, che può variare dal rifiuto<br />

manifesto, all’inibizione o alla completa disinibizione;<br />

♦ il modo in cui investe lo spazio, che può esprimersi con la ricerca di uno<br />

spazio privilegiato in cui resta “confinato” o, al contrario, con un’attività<br />

motoria frenetica che lo porta a spaziare per tutta la stanza;<br />

♦ il modo in cui esplora gli oggetti presenti nella stanza, che può variare da<br />

una completa indifferenza, ad una manipolazione afinalistica o ad un uso<br />

ritualizzato;<br />

♦ il modo in cui reagisce alla presenza dell’altro, che può essere<br />

caratterizzato da una completa indifferenza, da reazioni di evitamento o da<br />

una viscosità indiscriminata;<br />

♦ il modo in cui risponde alle richieste dell’esaminatore, che può variare da<br />

un’apparente disponibilità ad interagire, ad un’aderenza passiva o a un<br />

completo rifiuto;<br />

♦ le finalità preferenziali della comunicazione, che risulta generalmente di<br />

tipo richiestivo ( = rivolgersi all’altro per ottenere qualcosa) e mai - o<br />

quasi mai - di tipo dichiarativo ( = richiamare l’attenzione dell’altro per<br />

condividere un comune fuoco di interesse);<br />

♦ il modo in cui comunica i propri bisogni, che può variare da segnalatori<br />

poco differenziati (gridare, esprimere malessere, accentuare condotte<br />

29


stereotipate) a comportamenti più espliciti (prendere la mano dell’altro e<br />

dirigerla per), fino a gesti funzionali (indicare)<br />

♦ gli interessi e le attività prevalenti, che possono essere rappresentati da<br />

manierismi motori stereotipati e/o dedizione assorbente a particolari<br />

attività e/o interessi bizzarri.<br />

♦ il modo in cui reagisce al cambiamento, che può variare da<br />

un’accentuazione di manierismi motori stereotipati a manifestazioni<br />

esplicite di rabbia o a situazione di angoscia<br />

Per i bambini in grado di interagire verbalmente l’osservazione va integrata con il<br />

colloquio, nell’ambito del quale andranno in particolare valutati aspetti, quali:<br />

♦ l’iniziativa nello scambio verbale, che può essere assente o per contro<br />

“eccessiva”<br />

♦ la presenza di contenuti ideativi perseveranti, che possono esprimersi in<br />

rapporto al livello cognitivo e linguistico con espressioni verbali semplici<br />

o con periodi articolati e complessi incentrati su un’unica tematica;<br />

♦ la coerenza delle risposte, che può essere qualitativamente valida, ma<br />

quantitativamente limitata a risposte molto sintetiche, spesso<br />

monosillabiche. Per contro, può rivelarsi un’aderenza alle domande scarsa<br />

o nulla, con pseudo-risposte che ripropongono tematiche perseveranti<br />

♦ anomalie nell’alternanza dei turni, che sottende uno scarso riconoscimento<br />

dell’altro come partner conversazionale<br />

♦ la pragmatica, che può essere più o meno alterata, fino ad arrivare alla<br />

completa incapacità di padroneggiare le componenti non verbali del<br />

linguaggio<br />

♦ alterazioni della prosodia, dell’intonazione e/o del ritmo dell’eloquio<br />

♦ la presenza di stereotipie verbali<br />

Nessuno degli “aspetti” appena elencati è da solo sufficiente per<br />

R7<br />

formulare una diagnosi di <strong>autismo</strong>. Questo è uno dei motivi per cui<br />

viene raccomandato l’uso degli strumenti standardizzati con significato<br />

diagnostico precedentemente descritti: in particolare l’ADOS-G, le CARS e<br />

l’ABC. Tali strumenti, infatti, “combinano” i vari aspetti elencati per esprimere un<br />

punteggio su cui formulare il giudizio diagnostico.<br />

La diagnosi finale, comunque, non può essere formulata con il solo<br />

R8<br />

riferimento ad un punteggio, ma deve essere basata sul giudizio clinico<br />

di un neuropsichiatra infantile esperto, che sappia cioè integrare tale punteggio<br />

con tutti gli elementi che derivano dalla valutazione diagnostica generale.<br />

<strong>II</strong>.2.3.2. VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE COGNITIVE E LINGUISTICHE<br />

Si tratta di un’area importante, ma complessa, che va valutata in accordo alla<br />

metodologia prevista in Neuropsichiatria Infantile.<br />

Per quel che riguarda le competenze cognitive, la valutazione prevede non solo il<br />

calcolo del QI totale, ma più in generale la definizione del profilo cognitivo del<br />

soggetto. In particolare, oltre al livello cognitivo globale, andranno valutati i<br />

fattori che concorrono a determinarlo, quali attenzione, memoria, abilità visuopercettive-motorie<br />

e competenze prassiche. Particolarmente importante risulta<br />

30


anche la definizione delle modalità senso-percettive privilegiate e delle strategie<br />

preferenzialmente utilizzate per la risoluzione dei problemi.<br />

Per quel che riguarda le competenze linguistiche, è necessario procedere alla<br />

valutazione di tutte le componenti del linguaggio (fono-articolatoria,<br />

grammaticale, semantica, pragmatica), in espressione e in ricezione.<br />

Quando la disponibilità relazionale del soggetto lo permette, vanno utilizzati i<br />

reattivi mentali standardizzati comunemente usati in Neuropsichiatria Infantile,<br />

scelti sulla base dell’età cronologica e del livello di sviluppo del bambino.<br />

Nelle situazioni in cui è impossibile l’uso di tali scale per l’esistenza di una<br />

particolare compromissione delle funzioni adattive o per l’impossibilità di<br />

favorire momenti di interazione e scambio, l’osservazione apparentemente libera<br />

del soggetto può permettere di cogliere nel suo comportamento alcune strategie<br />

risolutive di problemi, indicative del livello di sviluppo (permanenza dell’oggetto,<br />

uso di mezzi per il raggiungimento di uno scopo, abilità prassico-costruttive,<br />

capacità rappresentative, etc.). Tali dati, unitamente ad altre domande rivolte ai<br />

genitori, possono essere comunque riportate su scale di valutazione che<br />

permettono di fornire un livello di sviluppo del bambino.<br />

La valutazione del livello cognitivo e linguistico risulta determinante per:<br />

♦ la diagnosi differenziale con gli altri disturbi pervasivi dello sviluppo (per<br />

esempio, nel Disturbo di Asperger il livello cognitivo e quello linguistico<br />

sono per definizione nella norma)<br />

♦ la diagnosi differenziale con altre disabilità evolutive (per esempio, con il<br />

Ritardo Mentale che può talvolta facilitare comportamenti che solo<br />

apparentemente sono ascrivibili ad un Disturbo Autistico, o con Disturbi<br />

Specifici del Linguaggio, che soprattutto nelle prime fasi di sviluppo<br />

possono tradursi in modalità relazionali atipiche);<br />

♦ la presenza in co-morbidità di un Disturbo Autistico e di Ritardo Mentale<br />

e/o di un Disturbo Specifico del Linguaggio;<br />

♦ la formulazione del progetto terapeutico (per esempio, nella scelta degli<br />

obiettivi dell’intervento e delle strategie utili per il loro conseguimento il<br />

livello cognitivo risulta determinante)<br />

♦ previsioni di carattere prognostico (per esempio, una serie di ricerche<br />

sembra indicare che un buon livello linguistico e, soprattutto, cognitivo è<br />

significativamente correlato con una migliore prognosi sociale)<br />

<strong>II</strong>.2.3.3. VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO EMOTIVO<br />

Questa area si riferisce alla valutazione della tonalità emotiva che si associa ai<br />

comportamenti del soggetto. Particolare attenzione andrà rivolta alla gamma delle<br />

emozioni presentate dal soggetto, alla capacità che egli ha di modularle e alla<br />

congruenza degli stati emotivi con la situazione.<br />

Per i bambini più piccoli e/o non verbali, tali aspetti andranno valutati mediante<br />

l’osservazione, facendo riferimento a:<br />

♦ espressioni mimiche<br />

♦ atteggiamenti posturali<br />

♦ livelli di attività motoria<br />

♦ comportamenti aggressivi auto- e/o etero-diretti<br />

♦ stereotipie<br />

31


In particolare andranno valutate le variazioni di tali segnalatori in condizioni di<br />

base e in situazioni emotivamente cariche, rappresentate, ad esempio, dal<br />

cambiamento o da frustrazioni reali o vissute come tali.<br />

Particolarmente importante risulta anche la valutazione del grado di consolabilità,<br />

intesa come la possibilità di calmare il bambino e di riportarlo a forme di<br />

comportamento maggiormente aderenti al contesto.<br />

Nei bambini in grado di interagire verbalmente, il colloquio dovrà prevedere<br />

domande relative alle emozioni di base e alle situazioni in grado di attivarle.<br />

Se l’età cronologica e il livello di maturità del soggetto lo consentono, andranno<br />

utilizzati gli usuali test proiettivi strutturati, tematici e grafici.<br />

La valutazione dello sviluppo emotivo risulta determinante per:<br />

♦ la diagnosi differenziale con quadri psicopatologici, in cui la scarsa<br />

modulazione degli stati emotivi si pone come l’elemento caratterizzante,<br />

mentre le difficoltà relazionali e comunicative sembrano “secondarie” (per<br />

esempio, il Disturbo Reattivo dell’Attaccamento);<br />

♦ la presenza in co-morbidità di un Disturbo Autistico e di altri quadri<br />

psicopatologici;<br />

♦ la formulazione del progetto terapeutico (per esempio, nella scelta degli<br />

obiettivi dell’intervento e delle strategie utili per il loro conseguimento lo<br />

sviluppo emotivo risulta determinante)<br />

♦ previsioni di carattere prognostico (per esempio, una persistente scarsa<br />

modulazione degli stati emotivi può rappresentare un fattore di rischio in<br />

epoca adolescenziale e, più in generale, sulle possibilità di adattamento<br />

all’ambiente)<br />

<strong>II</strong>.2.3.4. VALUTAZIONE DEL PROFILO FUNZIONALE<br />

In aggiunta ai dati forniti dai genitori risulta particolarmente importante valutare<br />

direttamente le aree di forza e le aree di debolezza del bambino in alcune attività<br />

della vita quotidiana. In effetti, questa valutazione risulta critica in fase di<br />

TRATTAMENTO, per costruire sul profilo rilevato un programma abilitativo<br />

personalizzato. Ciò non di meno, anche in fase diagnostica tale pratica risulta<br />

particolarmente utile, sia per completare la “conoscenza” del bambino, sia per<br />

disporre di dati utili di riferimento per valutare nei periodici controlli l’andamento<br />

generale del per<strong>corso</strong> di crescita del soggetto.<br />

In questa parte dell’esame va inserita la somministrazione di<br />

S16<br />

un’osservazione strutturata che permetta di tradurre le informazioni in<br />

dati “misurabili”. L’osservazione maggiormente utilizzata è il Psycho-Educational<br />

Profile (PEP-R), le cui caratteristiche sono state precedentemente descritte.<br />

<strong>II</strong>I. INDAGINI STRUMENTALI E DI LABORATORIO<br />

La diagnosi di <strong>autismo</strong> è basata su criteri esclusivamente comportamentali: non<br />

esistono pertanto indagini strumentali e/o di laboratorio con significato<br />

diagnostico, né un marker che identifichi il disturbo.<br />

Vanno tenute in considerazione le seguenti indicazioni:<br />

32


θ le indagini audiometriche (esame audiometrico comportamentale, potenziali<br />

evocati uditivi, ABR) vanno effettuate in tutti i casi (Filipek et al., 2000);<br />

θ le indagini genetiche (analisi del cariotipo ad alta risoluzione, analisi del<br />

DNA), vanno effettuate quando ricorre almeno una delle seguenti situazioni:<br />

♦ familiarità per definite condizioni genetiche;<br />

♦ presenza di un ritardo mentale ad eziopatogenesi sconosciuta;<br />

♦ presenza di tratti dismorfici e/o di malformazioni a carico di vari organi ed<br />

apparati;<br />

♦ necessità di una consulenza, allargata alla famiglia, in vista di una nuova<br />

gravidanza.<br />

θ le indagini metaboliche vanno effettuate quando ricorre almeno una delle<br />

seguenti situazioni:<br />

♦ familiarità per definite patologie metaboliche;<br />

♦ presenza nell'anamnesi personale di episodi di letargia, di vomito ciclico o<br />

di crisi epilettiche ad insorgenza precoce;<br />

♦ presenza di un ritardo mentale ad eziopatogenesi sconosciuta;<br />

♦ presenza di tratti atipici, dismorfici o altra evidenza di specifici difetti<br />

metabolici.<br />

θ l’EEG va richiesto quando ricorre una delle seguenti situazioni:<br />

♦ presenza di crisi epilettiche clinicamente manifeste;<br />

♦ presenza di episodi parossistici di dubbia natura;<br />

♦ presenza di una storia di "regressione" del linguaggio;<br />

θ le neuroimmagini (TC cranio, RM encefalo) non hanno indicazioni per una<br />

effettuazione routinaria, dal momento che non si è finora trovata alcuna<br />

associazione specifica a anomalie strutturali cerebrali e <strong>autismo</strong>. Anche in<br />

presenza di macrocefalia, non è indicato l’utilizzo di tecniche di neuroimaging, a<br />

meno che non siano presenti contemporaneamente tratti dismorfici o segni<br />

neurologici focali. Tecniche di neuroimaging funzionale (RM funzionale, PET,<br />

SPECT) sono attualmente utilizzate solo come strumenti di ricerca.<br />

θ indagini per le intolleranze alimentari vanno effettuate in presenza dei sintomi<br />

che possono suggerire una situazione di questo genere;<br />

θ altri tipi di indagini andranno programmate in rapporto ad indicazioni derivanti<br />

dall’Esame Clinico, suggestive di quadri patologici associati in comorbidità, per i<br />

quali le indagini rappresentano un elemento di conferma diagnostica. Andranno,<br />

inoltre, tenute in considerazione particolari notizie riferite dai genitori<br />

nell’Anamnesi relative a comportamenti di dubbia interpretazione: per esempio, in<br />

caso di PICA dovrebbe essere valutata la possibile presenza di un’intossicazione<br />

da piombo (Filipek et al., 2000).<br />

IV. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE<br />

La diagnosi di Autismo, in quanto basata su criteri esclusivamente<br />

comportamentali, può porre problemi di diagnosi differenziale con altre categorie<br />

nosografiche ugualmente basate su criteri comportamentali. In altri termini, capita<br />

spesso di confrontarsi con una serie di comportamenti “atipici” presenti oltre che<br />

33


nell’<strong>autismo</strong> anche in altre categorie nosografiche (per esempio, stereotipie,<br />

condotte di evitamento sociale, difficoltà linguistiche, manifestazioni ossessivocompulsive,<br />

etc.). Il problema che si pone in tali situazioni è definire se:<br />

1) i comportamenti atipici sono ascrivibili esclusivamente ad un Disturbo<br />

Autistico, che nel caso specifico può assumere un’espressività fenotipica diversa<br />

da quella comunemente rilevata;<br />

2) i comportamenti atipici sono meglio ascrivibili ad un’altra categoria<br />

nosografica e solo apparentemente simulano un quadro autistico;<br />

3) i comportamenti atipici sono indicativi della co-esistenza di un Disturbo<br />

Autistico e di un’altra categoria nosografica.<br />

I maggiori problemi si verificano abitualmente con le seguenti condizioni:<br />

Ritardo Mentale. La diagnosi differenziale fra Disturbo Autistico e Ritardo<br />

Mentale necessita di alcune considerazioni preliminari in relazione all’elevata<br />

frequenza con cui le due condizioni coesistono. Circa la metà delle persone con<br />

<strong>autismo</strong> presenta nei test intellettivi un punteggio di QI che li classifica nel ritardo<br />

mentale grave o gravissimo, il 30% nel ritardo mentale lieve e medio e il 20%<br />

presenta un funzionamento cognitivo di tipo borderline o nella norma. Se ne<br />

deduce che circa 3 bambini autistici su 4 presentano anche un ritardo mentale.<br />

Una frequenza così elevata di comorbidità ha da sempre sollevato notevoli<br />

discussioni circa i rapporti fra <strong>autismo</strong> e ritardo mentale.<br />

Facendo riferimento alla distribuzione del QI in una popolazione di soggetti con<br />

<strong>autismo</strong>, le maggiori incertezze diagnostiche riguardano gli estremi della curva.<br />

Ad un'estremità di questa distribuzione si collocano i casi in cui il ritardo mentale<br />

è grave. In tali situazioni risulta sempre molto difficile stabilire se alcuni<br />

comportamenti atipici siano riferibili “semplicemente” al basso livello intellettivo.<br />

Pertanto, vi è un unanime consenso circa la difficoltà di una diagnosi differenziale<br />

per livelli cognitivi inferiori ad un’età mentale di 2 anni (Lord et al., 1989) e,<br />

peraltro, alcuni gruppi di ricerca ritengono che la diagnosi di <strong>autismo</strong> dovrebbe<br />

essere limitata ai casi nei quali il quoziente intellettivo non sia inferiore a 30.<br />

All’altra estremità della curva di distribuzione del QI (verso i valori più alti) si<br />

collocano i casi abitualmente definiti come <strong>autismo</strong> ad alto funzionamento o<br />

sindrome di Asperger. La segnalazione di tali casi ai Servizi non avviene in<br />

genere prima dei 5-6 anni e raramente è determinata da “comportamenti autistici”,<br />

ma piuttosto da difficoltà di apprendimento collegate al disturbo neurocognitivo<br />

che fa parte integrante del quadro clinico. In queste situazioni, peraltro, la<br />

definizione dei rapporti fra Autismo e Ritardo Mentale è resa ancora più difficile<br />

dalla sovrapposizione di altre situazioni che richiedono una diagnosi differenziale<br />

(per esempio, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, organizzazione patologiche<br />

della personalità, etc.).<br />

E’ evidente, pertanto, che per queste situazioni “estreme” solo una valutazione<br />

clinica esaustiva permette, dopo una disanima ragionata dei dati rilevati, un<br />

orientamento diagnostico che risponda non solo alle esigenze nosografiche (in<br />

quale “categoria” collocare il caso), ma soprattutto alla necessità di formulare un<br />

piano di trattamento personalizzato.<br />

Anche se la natura dell’associazione <strong>autismo</strong>-ritardo mentale rappresenta un<br />

problema ancora aperto, sul piano clinico descrittivo il riferimento ad aspetti,<br />

quali la socievolezza, la disponibilità allo scambio relazionale, il piacere di essere<br />

34


e di partecipare (assenti nell’<strong>autismo</strong>, presenti nel ritardo mentale,<br />

indipendentemente dal grado di compromissione intellettiva) permettono di<br />

differenziare le due condizioni e, nel contempo, di valutarne l’eventuale<br />

coesistenza. In altri termini, nel ritardo mentale le abilità sociali e comunicative<br />

sono corrispondenti al livello di sviluppo globale del bambino.<br />

Ipoacusia. Soprattutto nelle prime fasi di sviluppo, problemi uditivi possono<br />

tradursi in modalità relazionali e stili comunicativi atipici che simulano un quadro<br />

autistico. Per tale motivo tutti i programmi di intervento precoce includono fra le<br />

varie “raccomandazioni” l’effettuazione di esami audiometrici specialistici.<br />

Considerando, infatti, la particolare fase di sviluppo (0-3 anni), l’audiometria<br />

obiettiva può permette di accertare un deficit uditivo. Va inoltre segnalato che la<br />

normalità di esami audiometrici praticati in epoca neonatale o nelle primissime<br />

fasi dello sviluppo, non esime dalla necessità di un approfondimento<br />

audiometrico, per la possibilità che il deficit uditivo possa essersi verificato<br />

successivamente (otiti). Peraltro, anche quando sono soddisfatti i criteri per una<br />

diagnosi di Disturbo Autistico, la definizione del profilo uditivo del soggetto<br />

risulta particolarmente importante per la formulazione del progetto terapeutico.<br />

Sindrome di Landau-Kleffner. Si tratta di una forma di epilessia caratterizzata<br />

da un’afasia acquisita. La regressione nel linguaggio che si osserva potrebbe<br />

creare dubbi diagnostici rispetto all’<strong>autismo</strong> regressivo. Il quadro<br />

elettroencefalografico e l’assenza dei comportamenti che caratterizzano la triade<br />

sintomatologia è dirimente.<br />

Disturbi Specifici del Linguaggio. I bambini con disturbo di linguaggio in cui la<br />

componente recettiva è fortemente compromessa possono presentare una<br />

mancanza di attenzione all’altro e al linguaggio, che, unitamente alla presenza di<br />

condotte di isolamento, determinano soprattutto nelle prime fasi di sviluppo (0-3<br />

anni) seri dubbi diagnostici. In alcuni casi, solo progressivamente, nel <strong>corso</strong> dello<br />

sviluppo, si definisce la reale natura del problema (Waterhouse, 1996). In tutte le<br />

fasi dello sviluppo, tuttavia, le abilità sociali sono meglio conservate (Rutter et al.,<br />

1992).<br />

Schizofrenia. Occasionalmente la Schizofrenia può insorgere verso i 13 anni<br />

(Early Onset Schizophrenia) e in casi rari anche prima (Very Early Onset<br />

Schizophrenia): in entrambi i casi, il quadro clinico risulta caratterizzato dalla<br />

presenza di sintomi produttivi (deliri ed allucinazioni) che permettono<br />

agevolmente una diagnosi differenziale (AACAP, 2001; Jacobsen et al., 1998;<br />

Nicholson et al., 2000). Va, tuttavia, sottolineato che una delle caratteristiche di<br />

tali forme precoci, rispetto alla schizofrenia “classica”, è rappresentata da una fase<br />

prodromica meno acuta e più insidiosa e da una maggiore incidenza di precedenti<br />

morbosi, in cui prevalgono difficoltà di inserimento nel gruppo, tendenza<br />

all’isolamento, disinvestimento del linguaggio e cadute prestazionali (Hollis,<br />

2003; McClellan et al., 1998; Schaeffer et al., 2002). Nella maggioranza dei casi,<br />

tuttavia, la storia naturale dei due disturbi è completamente differente: (a) la<br />

schizofrenia è preceduta da un periodo di sviluppo normale, mentre l’<strong>autismo</strong><br />

insorge per definizione nei primi anni di vita; (b) la schizofrenia infantile si<br />

35


complica precocemente con l’insorgenza di sintomi produttivi (deliri,<br />

allucinazioni), mentre l’<strong>autismo</strong>, per definizione, non presenta “sintomi” di questo<br />

tipo.<br />

Mutismo selettivo. Si tratta di un disturbo che, per definizione, è limitato ad<br />

alcuni contesti, nei quali, peraltro, risulta prevalentemente interessata la<br />

comunicazione, mentre la compromissione dell’interazione sociale e le atipie<br />

degli interessi non assumono mai connotazioni tali da soddisfare i criteri del<br />

Disturbo Autistico.<br />

Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Limitatamente ai casi con buon funzionamento<br />

cognitivo, alcuni bambini o ragazzi con <strong>autismo</strong> possono presentare caratteristiche<br />

relative ad interessi e comportamenti inusuali, oltre che la sottomissione a routine<br />

e rituali rigidi, che possono creare dubbi diagnostici rispetto al disturbo ossessivocompulsivo.<br />

Le abilità sociali in questo ultimo caso sono però di solito meglio<br />

conservate, le eventuali anomalie socio-comunicative sono diverse dall’<strong>autismo</strong>.<br />

Disturbo Reattivo dell’Attaccamento. Storie di violenza e abuso gravi, incuria<br />

grave e abbandono, possono originare in bambini nella prima infanzia sindromi da<br />

estrema deprivazione sociale e isolamento ambientale. I deficit sociali,<br />

comunicativi e le condotte di isolamento con comportamenti stereotipati<br />

solitamente associati, scompaiono in presenza di un ambiente più appropriato.<br />

Disturbo Schizoide di Personalità. In questo caso l’isolamento è relativo ad<br />

alcuni contesti, mentre la capacità di relazionarsi è conservata in altri.<br />

Disturbo Evitante di Personalità. I comportamenti di ritiro dalla relazione, fino<br />

all’isolamento, sono in questo caso scatenati dall’ansia nel contatto con l’altro in<br />

situazioni sociali.<br />

V. LA RESTITUZIONE<br />

La Restituzione è la fase che conclude il processo diagnostico e prevede la<br />

comunicazione ai genitori della diagnosi e delle relative indicazioni di<br />

trattamento. Si tratta, come è evidente, di un momento obbligato in qualsiasi<br />

per<strong>corso</strong> diagnostico, ma rappresenta un momento particolarmente delicato e<br />

assume per il disturbo autistico un significato particolare.<br />

La Restituzione deve essere preceduta da un incontro fra gli operatori che sono<br />

stati coinvolti nell’iter diagnostico. Tale incontro permette di:<br />

♦ scambiarsi informazioni circa il materiale raccolto;<br />

♦ formulare la diagnosi;<br />

♦ preparare l’incontro con i genitori.<br />

Le reazioni dei genitori di fronte alla diagnosi di <strong>autismo</strong> sono spesso<br />

drammatiche: sconforto all'idea che il bambino sia ammalato, preoccupazione per<br />

sviluppi ancora ignoti e nello stesso tempo speranza di una possibile guarigione<br />

spontanea o dovuta a cure mediche, illusione che la causa della malattia sia dovuta<br />

36


ad eccessiva ansietà dei genitore stesso, o scetticismo rispetto alla eccessiva<br />

sicurezza del sanitario.<br />

L’incontro con i genitori deve innanzitutto prevedere una formulazione chiara del<br />

tipo e della natura del disturbo presentato dal figlio, delle possibili evoluzioni a<br />

distanza, del panorama degli approcci terapeutici, delle risorse che offre il<br />

territorio di appartenenza, delle caratteristiche del per<strong>corso</strong> diagnosticoterapeutico<br />

abitualmente previsto nella fase successiva alla prima diagnosi.<br />

La mal definizione e la mancata conoscenza, nella maggioranza dei casi, degli<br />

aspetti eziopatogenetici del disturbo, rappresenta un elemento che rende difficile<br />

nei genitori la comprensibilità della diagnosi ed alimenta il loro disorientamento.<br />

In questa prospettiva risulta particolarmente utile illustrare ai genitori e<br />

commentare con essi la diagnosi, tenendo conto delle difficoltà di far<br />

comprendere una situazione clinica di per sé complessa.<br />

Successivamente vengono individuati con i genitori i punti critici su cui deve<br />

articolarsi il Progetto Terapeutico, le sue finalità e la programmazione dei<br />

periodici incontri di controllo.<br />

Sotto questo aspetto, la peculiarità del colloquio di Restituzione è riconoscibile<br />

nel fatto che esso non rappresenta un momento conclusivo, ma il momento di<br />

partenza per iniziare con i genitori un per<strong>corso</strong> da fare insieme.<br />

Nel comunicare la diagnosi bisogna soprattutto far percepire ai genitori la<br />

disponibilità del servizio a porsi come punto di riferimento per la realizzazione del<br />

progetto terapeutico.<br />

37


LINEE GUIDA PER LO SCREENING<br />

I. ETA’ DI ESORDIO DELL’AUTISMO<br />

Il DSM-IV-TR inserisce fra i criteri diagnostici un esordio prima dei 3 anni di<br />

vita, che si esprime con ritardi o atipie nelle aree dell’interazione sociale e/o della<br />

comunicazione e/o del gioco simbolico (APA, 2002).<br />

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con<br />

esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato<br />

nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.<br />

Pertanto, il quadro clinico conclamato si realizza progressivamente nel tempo<br />

(comunque entro il 3 anno di vita), con segni e sintomi che tuttavia sono spesso<br />

subdoli e mal definiti (Baird et al., 2001).<br />

I bambini autistici non seguono i modelli tipici dello sviluppo infantile, ma<br />

all’interno del gruppo le modalità con cui procede lo sviluppo possono essere<br />

differenti. Le descrizioni cliniche ad esempio confermano differenti modalità di<br />

esordio della sintomatologia:<br />

♦ solo in una minoranza di casi i genitori riferiscono la presenza, fin dai<br />

primi mesi di vita, di chiari sintomi autistici: i genitori rilevano che il<br />

bambino fin dalla nascita sembra "diverso", si accorgono precocemente<br />

dello sguardo sfuggente, dell’assenza del sorriso, del disinteresse per<br />

l’altro e per l’oggetto o viceversa dell’intensa attenzione su un oggetto, per<br />

lungo tempo;<br />

♦ nella maggioranza dei casi, tuttavia, i sintomi riferibili ad un disturbo<br />

dell’interazione sociale e della comunicazione cominciano a diventare<br />

particolarmente evidenti nel periodo compreso fra i 10 ed i 20 mesi: il<br />

bambino non cerca l’altro per condividere esperienze; chiamato, non<br />

risponde; non aderisce alle richieste dell’altro, né si diverte a “mettersi in<br />

mostra”; non usa alcuna parola; rifiuta di partecipare alle attività suggerite<br />

dall’altro, per dedicarsi invece a quelle scelte da lui, che peraltro risultano<br />

spesso atipiche;<br />

♦ in un certo numero di casi i genitori riferiscono di aver acquisito la<br />

consapevolezza di un serio problema di sviluppo solo dopo i 20 mesi, in<br />

relazione soprattutto alla mancata acquisizione del linguaggio e alla<br />

comparsa di comportamenti di ritiro e di isolamento, definiti come<br />

regressione. Un bambino affettuoso e "chiacchierone" diventa silenzioso,<br />

chiuso in se stesso, violento o autolesionista, rifiuta le persone, si<br />

comporta stranamente e perde il linguaggio e le abilità sociali che aveva<br />

già acquisito. I genitori spesso riferiscono uno sviluppo relativamente<br />

adeguato fino alla comparsa dei primi sintomi di <strong>autismo</strong>; in molti di<br />

questi casi, tuttavia, l’approfondimento anamnestico permette di rilevare<br />

che anche in epoche precedenti il piccolo presentava una certa atipia nei<br />

38


apporti sociali ed uno scarso interesse per gli oggetti o una tendenza ad un<br />

loro uso improprio.<br />

Studi di filmati familiari di bambini che successivamente hanno ricevuto una<br />

diagnosi di <strong>autismo</strong> hanno confermato l’attendibilità delle descrizioni dei genitori<br />

(Baranek, 1999; Brown et al., 1998; Osterling et al., 1998). In particolare, tali<br />

studi hanno evidenziato che:<br />

♦ Alcuni bambini presentano, fin dai primi mesi di vita, deficit delle<br />

competenze interattive e comunicative (forma ad espressività<br />

crescente).<br />

♦ Alcuni bambini evidenziano un apparente sviluppo normale sul<br />

versante comunicativo ed interattivo, ma nel secondo anno di vita<br />

presentano una perdita di tali competenze (<strong>autismo</strong> con regressione).<br />

♦ Alcuni bambini presentano un ritardo nelle competenze interattive e<br />

comunicative fin dai primi mesi di vita, seguito tuttavia nel secondo<br />

anno di vita da un arresto dello sviluppo e da una perdita delle poche<br />

competenze acquisite.<br />

<strong>II</strong>. LA SORVEGLIANZA SULLO SVILUPPO<br />

La maggioranza degli autori è concorde nell’affermare che è possibile formulare<br />

una diagnosi certa di <strong>autismo</strong> all’età di 2 anni (Charman et al., 2002; Cox et al.,<br />

1999; Lord, 1995; Stone et al., 1999).<br />

A fronte di questo dato va considerato che la diagnosi viene ancora oggi formulata<br />

ad un'età di circa 4-5 anni (con 2 o 3 anni di ritardo rispetto alle prime<br />

manifestazioni sintomatologiche). Sulla base di tali rilievi diverse Società<br />

Scientifiche Pediatriche hanno elaborato una serie di raccomandazioni per<br />

favorire la sensibilizzazione degli operatori di primo livello (pediatri di famiglia)<br />

nei confronti degli indicatori comunicativo-relazionali utili per un precoce<br />

orientamento diagnostico (AAP, 2001).<br />

I pediatri, infatti, hanno l’opportunità di essere i primi sanitari contattati da<br />

genitori preoccupati per lo sviluppo o il comportamento del loro bambino.<br />

R9<br />

Le preoccupazioni dei genitori non vanno mai sottovalutate.<br />

E’ stata in particolare “raccomadato” ai pediatri di essere più attenti alle eventuali<br />

preoccupazioni espresse dai genitori relative alla regolarità dello sviluppo emotivo<br />

e sociale del loro bambino. Esse si sono rivelate in vari studi come fonti di<br />

informazione molto attendibili, dotate di notevole sensibilità e specificità: i<br />

genitori andrebbero sempre ascoltati con attenzione quando parlano dello sviluppo<br />

del loro bambino e di eventuali difficoltà.<br />

In linea molto generale le preoccupazioni dei genitori cui il pediatra dovrebbe<br />

prestare particolare attenzione possono essere raggruppate in tre aree:<br />

39


Preoccupazioni legate allo sviluppo sociale:<br />

"Non sorride quando gli si sorride o quando si gioca con lui"<br />

"Evita o presenta scarso contatto di sguardo"<br />

"Sembra vivere in un suo mondo"<br />

"Si comporta come se non fosse consapevole della presenza e degli spostamenti degli<br />

altri"<br />

"Sembra escludere gli altri e gli avvenimenti esterni"<br />

"E' eccessivamente indipendente"<br />

"Non è interessato agli altri bambini"<br />

"Preferisce giocare da solo"<br />

"Tiene le cose per se stesso e non ama condividerle con gli altri"<br />

Preoccupazioni legate allo sviluppo della comunicazione non verbale e verbale:<br />

"Non dirige l'attenzione a qualcosa che gli viene indicato"<br />

"Non fa ciao-ciao"<br />

"A volte sembra sordo"<br />

"Qualche volta sembra ascoltare, altre volte no"<br />

"Non risponde quando lo si chiama per nome”<br />

"Il linguaggio è ritardato"<br />

"Non chiede ciò che vuole"<br />

"Prima diceva alcune parole, ma ora non lo fa più"<br />

Preoccupazioni legate al modo di comportarsi:<br />

"Non gioca con i giocattoli come gli altri bambini"<br />

"Odora o lecca i giocattoli"<br />

"Resta attaccato ad un'attività in maniera ripetitiva"<br />

"Presenta un attaccamento esagerato ad un oggetto"<br />

"Si fissa su alcuni particolari"<br />

"Mette in fila le cose"<br />

"Cammina sulle punte"<br />

"Presenta movimenti bizzarri come dondolarsi o agitare le mani"<br />

"E' ipersensibile nei confronti di alcuni suoni e/o altri stimoli"<br />

"Si mostra insensibile a ustioni o contusioni"<br />

"Ha delle esplosioni di ira senza apparente motivo"<br />

"E' iperattivo, poco collaborante o francamente oppositivo"<br />

Peraltro, nelle situazione in cui i genitori riportano preoccupazioni in una di<br />

queste tre aree, dovrebbero essere sistematicamente investigate le altre aree con<br />

domande specifiche.<br />

Anche quando i genitori non riferiscono alcuna preoccupazione, il<br />

R10<br />

pediatra dovrebbe comunque valutare sistematicamente, nell'ambito dei<br />

periodici bilanci di salute, la regolarità dello sviluppo globale e l'eventuale<br />

presenza di anomalie di sviluppo della interazione sociale e della comunicazione.<br />

Nell'ambito dei periodici controlli il pediatra di famiglia dovrebbe comunque<br />

rivolgere semplici domande ai genitori relative al comportamento del bambino.<br />

In particolare, possono essere suggerite per ciascuna area le seguenti domande:<br />

40


"Il vostro bambino…<br />

Socializzazione<br />

... vi abbraccia come gli altri bambini?"<br />

... vi guarda quando gli parlate o giocate con lui?"<br />

... sorride in risposta al vostro sorriso?"<br />

... partecipa a giochi di condivisione di attività?"<br />

... effettua giochi di semplice imitazione, quali batti-batti le<br />

manine o cucù- settete"?<br />

... mostra interesse per gli altri bambini?"<br />

... preferisce giocare da solo?”<br />

... agisce e si comporta come se fosse in un mondo tutto suo?”<br />

Comunicazione<br />

... fa cenni con il capo per dire si o no ?"<br />

... guida un adulto prendendolo per mano e la conduce verso la<br />

cosa che desidera?”<br />

... indica con il dito per mostrarvi qualcosa?"<br />

... cerca di attirare la vostra attenzione su un oggetto o un evento<br />

interessante?"<br />

... vi porge mai un oggetto semplicemente per mostrarvelo?”<br />

... tende a mostrare le cose agli altri?"<br />

... è capace di comunicare ciò che vuole?”<br />

... sembra ignorarvi quando viene chiamato per nome?"<br />

... sembra ignorare i comandi?"<br />

... presenta difficoltà nell'eseguire semplici consegne?”<br />

... utilizza il linguaggio con voi o con altri bambini?”<br />

... parla come i bambini della sua età?”<br />

... presenta qualcosa di bizzarro nel linguaggio?"<br />

... usa in maniera meccanica, ripetitiva o ecolalica il linguaggio?"<br />

... memorizza stringhe di parole che ripete in situazioni<br />

inappropriate?"<br />

Interessi ed attività<br />

... presenta movimenti ripetitivi, stereotipati o bizzarri?"<br />

... mostra una dedizione assorbente ad interessi ristretti?"<br />

... è maggiormente interessato solo a determinati dettagli di un<br />

giocattolo?"<br />

... tende ad utilizzare gli oggetti sempre nello stesso modo?"<br />

... mostra un attaccamento esagerato ad un oggetto insolito?"<br />

... è capace di utilizzare i giocattoli in maniera appropriata?”<br />

... imita le azioni delle altre persone?"<br />

... è in grado di effettuare giochi di finzione, quali far finta di bere<br />

o di dar da mangiare a un bambolotto (se di età superiore ai 2<br />

anni)?"<br />

Indicazioni assolute per una immediata valutazione più approfondita dello<br />

sviluppo ed in particolare degli aspetti socio-comunicativi e simbolici, derivano<br />

dal rilievo delle seguenti “irregolarità”:<br />

• assenza di lallazione dopo i 12 mesi,<br />

41


• assenza di gesti, quali indicare, mostrare, fare “ciao”, dopo i 12 mesi,<br />

• assenza di parole singole dopo i 16 mesi,<br />

• assenza di associazioni spontanee di due parole dopo i 24 mesi,<br />

• perdita di competenze già acquisite nelle aree della comunicazione, del<br />

linguaggio e/o della socialità, indipendentemente dall’età in cui essa si<br />

verifica.<br />

Nell’ambito dei periodici bilanci di salute, all’età di 18 mesi e all’età di<br />

R11<br />

24 mesi dovrebbe essere somministrato un test screening standardizzato<br />

per lo sviluppo comunicativo-sociale.<br />

Sotto questo aspetto una proposta che sembra aver raccolto il maggior numero di<br />

consensi è rappresentata dall'uso della Checklist for Autism in Toddlers<br />

(CHAT) (Baron-Cohen et al., 1992). Si tratta di un test screening elaborato in<br />

Gran Bretagna ed ampiamente utilizzato in diversi Paesi. Esso va somministrato a<br />

bambini di 18 mesi, da parte del pediatra, nell'ambito dei periodici bilanci di<br />

salute (0-3 anni). Prevede 9 domande da rivolgere ai genitori e l'osservazione<br />

diretta di 5 comportamenti. I 14 item misurano vari aspetti dell’imitazione, del<br />

gioco di finzione e dell’attenzione condivisa. La CHAT, è stata utilizzata su oltre<br />

16000 bambini ed ha mostrato un'alta specificità ed un'elevata predittività (Baird<br />

et al., 2000). Peraltro, sulla base delle esperienze effettuate sono stati individuati<br />

alcuni item-chiave, in rapporto ai quali il punteggio ottenuto permette di esprimere<br />

un orientamento per :<br />

♦ “Alto Rischio” di <strong>autismo</strong> (caduta in tutti gli item-chiave)<br />

♦ “Lieve Rischio” di <strong>autismo</strong> (caduta in definiti item-chiave)<br />

♦ Rischio per altri problemi di sviluppo (caduta in diversi item, ma non in<br />

quelli previsti per un rischio di <strong>autismo</strong>)<br />

♦ Nessun Rischio<br />

A differenza della specificità e della predittività, la sensibilità sembra<br />

insoddisfacente: ciò significa che bambini che all'età di 18 mesi sembrano<br />

presentare uno sviluppo "normale" possono poi mettere in evidenza, in epoche<br />

successive, comportamenti riferibili ad un Disturbo Autistico.<br />

Un altro test screening molto utilizzato è la Modified - Checklist for Autism in<br />

Toddlers (M-CHAT) (Robins et al., 2001). Si tratta, in pratica, della versione<br />

americana della CHAT, la quale prevede una lista di 23 comportamenti a cui i<br />

genitori rispondono con un SI/NO. Essa, pertanto, non prevede l’intervento del<br />

pediatra con domande specifiche nè l’osservazione “diretta” di determinati<br />

comportamenti. Va somministrata a 24 mesi e, a tale età, ha dimostrato una buona<br />

validità (Wong et al., 2004).<br />

<strong>II</strong>I. L’INVIO AI SERVIZI DI NPI<br />

Nei casi in cui il pediatra ritiene che il bambino presenti un quadro<br />

comportamentale riferibile ad un Disturbo Autistico, deve richiedere una visita<br />

specialistica (neuropsichiatra infantile) per l'eventuale conferma diagnostica.<br />

Nei casi dubbi, va tenuto conto delle preoccupazioni dei genitori. In particolare,<br />

possono essere previste le seguenti possibilità:<br />

42


POSSIBILITÀ PROVVEDIMENTO<br />

il pediatra ha un sospetto ed i genitori sono<br />

preoccupati<br />

il pediatra ha un sospetto, ma i genitori non<br />

riferiscono alcuna preoccupazione<br />

il pediatra non individua alcun segno<br />

sospetto, ma i genitori sono preoccupati<br />

43<br />

viene richiesta una visita specialistica<br />

il pediatra comunica ai genitori i suoi<br />

sospetti; fissa un controllo dopo 4<br />

settimane; invita i genitori nel frattempo ad<br />

osservare i comportanti che gli hanno<br />

creato dei dubbi. Se dopo 4 settimane<br />

persiste il sospetto, viene richiesta una<br />

visita specialistica.<br />

il pediatra prende atto delle preoccupazioni<br />

dei genitori e fissa un controllo dopo 4<br />

settimane. Se dopo 4 settimane non si<br />

registra un’evoluzione nei comportamenti<br />

segnalati, viene richiesta una visita<br />

specialistica.<br />

L’importanza di un’identificazione e un invio precoci sono ormai ampiamente<br />

documentate da una serie di ricerche.<br />

Formulare tempestivamente una diagnosi di <strong>autismo</strong> significa:<br />

♦ programmare un intervento precoce. Una serie di ricerche ha messo in<br />

evidenza che la possibilità di organizzare in maniera adeguata tempi, spazi<br />

ed attività del bambino nella fascia di età precoce (2-4 anni) riesce ad<br />

incidere significativamente, nell'immediato, sulle potenzialità del bambino<br />

e in prospettiva sulla qualità dei suoi comportamenti adattivi, da cui<br />

dipende la qualità di vita dell'intero sistema famiglia;<br />

♦ rispondere ad una serie di quesiti di natura epidemiologica. A fronte,<br />

infatti, delle iniziali stime che indicavano una prevalenza di 4-5/10000,<br />

recenti ricerche hanno messo in evidenza valori sensibilmente più elevati,<br />

valutati nell'ordine di 1-2/1000. L'<strong>autismo</strong> infantile, pertanto, potrebbe<br />

essere un disturbo molto più frequente di quanto ritenuto in passato;<br />

♦ prevenire quella situazione di generale malessere dell’intero sistema<br />

famiglia, legata al disorientamento dei genitori che sono solitamente i<br />

primi a notare comportamenti strani nel loro bambino, ma non riescono ad<br />

avere una spiegazione dei comportamenti atipici del bambino. Peraltro,<br />

quando essi insistono sull'opportunità di un approfondimento diagnostico,<br />

medici, amici, parenti forniscono spesso risposte evasive ("aspettiamo un<br />

altro po' di tempo, poi decidiamo", "forse sta attraversando un periodo un<br />

po’ difficile: sente ancora il trauma della nascita del fratellino"),<br />

pseudorassicuranti ("ogni bambino ha i suoi tempi di maturazione e i suoi<br />

stili comportamentali", "può parlare, solo non desidera farlo") o<br />

francamente colpevolizzanti ("siete voi genitori con la vostra ansia che<br />

spingete il bambino ad assumere questo tipo di comportamenti"); il<br />

pediatra deve pertanto essere sempre attento alle preoccupazioni che gli<br />

vengono riferite dai genitori circa lo sviluppo della comunicazione e della<br />

socializzazione.


♦ facilitare l’accesso ai familiari del bambino colpito a indagini genetiche<br />

per eventuali futuri figli e garantire un livello di attenzione e sorveglianza<br />

maggiore per i fratelli del bambino colpito (il rischio di ricorrenza del<br />

disturbo nella stessa famiglia è da 50 a 100 volte superiore alla prevalenza<br />

nella popolazione generale).<br />

I fratelli di bambini autistici dovrebbero essere monitorati con<br />

R12<br />

particolare attenzione rispetto all’emergenza e allo sviluppo di abilità<br />

sociali, comunicative e di gioco e alla presenza di comportamenti maladattivi.<br />

Considerando le nozioni sulla familiarità psichiatrica e neuropsicologica nel<br />

disturbo autistico, in questi bambini bisognerebbe porre inoltre particolare<br />

attenzione alla eventuale presenza di ritardi di linguaggio, difficoltà di<br />

apprendimento, problemi di interazione sociale, sintomi di ansia e depressione.<br />

44


LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO<br />

I. CONSIDERAZIONI GENERALI<br />

L’Autismo è un disordine dello sviluppo biologicamente determinato che si<br />

traduce in un funzionamento mentale atipico che accompagna il soggetto per tutto<br />

il suo ciclo vitale.<br />

La finalità a lungo termine del progetto terapeutico è quella di favorire<br />

R13<br />

l’adattamento del soggetto al suo ambiente, il migliore possibile in<br />

rapporto alle specifiche caratteristiche del suo essere autistico. Ciò, al fine di<br />

garantire una soddisfacente qualità di vita al soggetto e all’intero sistema famiglia.<br />

In questa prospettiva, l’intero arco dell’età evolutiva è il periodo durante il quale<br />

vengono messi in atto una serie di interventi finalizzati a:<br />

♦ correggere comportamenti disadattivi;<br />

♦ pilotare la spinta maturativa per facilitare l’emergenza di competenze<br />

(sociali, comunicativo-linguistiche, cognitive) che possano favorire il<br />

futuro adattamento del soggetto all’ambiente in cui vive;<br />

♦ favorire lo sviluppo di un soddisfacente adattamento emozionale (controllo<br />

degli impulsi, modulazione degli stati emotivi, immagine di sé).<br />

Il raggiungimento di tale finalità prevede la definizione di una serie di obiettivi<br />

intermedi, che si articolano lungo una sorta di per<strong>corso</strong> “evolutivo”: il per<strong>corso</strong><br />

terapeutico. Questa prospettiva diacronica, indica la necessità di aggiornare<br />

periodicamente gli obiettivi in rapporto ai cambiamenti che, comunque, si<br />

verificano durante lo sviluppo e che riguardano: l’espressività del quadro clinico;<br />

il bambino inteso come persona; la famiglia e l’intero contesto ambientale.<br />

La complessità del quadro clinico, implicitamente espressa dal termine<br />

“pervasivo”, comporta la necessità di individuare più obiettivi intermedi, ciascuno<br />

dei quali può prevedere più interventi per la sua realizzazione (per esempio, per<br />

un bambino di 6 anni, l’obiettivo di migliorare le capacità espressive (1°<br />

obiettivo) può comportare un intervento sulla facilitazione delle competenze<br />

comunicativo-linguistiche, un intervento sul sistema attentivo, un intervento sui<br />

comportamenti disadattivi, etc., e contemporaneamente l’obiettivo di favorire<br />

l’inserimento scolastico (2° obiettivo) può comportare un intervento sul bambino,<br />

un intervento sugli insegnanti, un intervento sui coetanei, etc.).<br />

La scelta degli obiettivi intermedi durante il per<strong>corso</strong> terapeutico - e quindi dei<br />

vari interventi necessari - deve essere legata al principio di farsi guidare da “ciò<br />

che è possibile” e da “ciò che è utile”. Ciò significa che in qualsiasi fase del<br />

per<strong>corso</strong> terapeutico è necessario partire sempre dalla definizione del profilo<br />

funzionale del soggetto che permette di individuare le aree di forza e le aree di<br />

debolezza su cui costruire il progetto (“ciò che è possibile”). Ma, in senso<br />

estensivo, la definizione del profilo funzionale significa anche valutare le aree di<br />

forza e le aree di debolezza in una dimensione contestuale, adattiva, in rapporto<br />

alla quale la “utilità” di un obiettivo non viene stabilita da un singolo attore<br />

(insegnante, educatore, logopedista, psicologo, madre o padre), ma viene<br />

individuata dall’équipe di concerto con i genitori (“ciò che è utile”).<br />

45


Dopo aver definito gli obiettivi specifici vanno quindi individuate le strategie più<br />

idonee per il loro conseguimento, facendosi guidare dalle indicazioni che derivano<br />

da esperienze internazionali. Tali strategie vanno tuttavia “filtrate” (in rapporto ad<br />

indicazioni di validità), “adattate” (in rapporto alle caratteristiche specifiche<br />

relative al soggetto, alla famiglia, al contesto socio-culturale), “verificate” (in<br />

rapporto a specifici indicatori di qualità) e quindi “riformulate”.<br />

R14<br />

Dalle considerazioni su esposte deriva che:<br />

♦ non esiste un intervento che va bene per tutti i bambini autistici;<br />

♦ non esiste un intervento che va bene per tutte le età;<br />

♦ non esiste un intervento che può rispondere a tutte le molteplici esigenze<br />

direttamente e indirettamente legate all’Autismo.<br />

Per contro, la continuità e la qualità del per<strong>corso</strong> terapeutico sono garantite<br />

attraverso:<br />

♦ il coinvolgimento dei genitori in tutto il per<strong>corso</strong>;<br />

♦ la scelta in itinere degli obiettivi intermedi da raggiungere e quindi degli<br />

interventi da attivare (prospettiva diacronica);<br />

♦ il coordinamento, in ogni fase dello sviluppo, dei vari interventi<br />

individuati per il conseguimento degli obiettivi (prospettica sincronica);<br />

♦ la verifica delle strategie messe in atto all’interno di ciascun intervento (le<br />

strategie, cioè, possono anche variare da Servizio a Servizio, ma vanno<br />

comunque periodicamente “controllate” in rapporto ad indicatori di qualità<br />

che devono essere comuni ai diversi Servizi).<br />

<strong>II</strong>. IL PANORAMA INTERNAZIONALE<br />

<strong>II</strong>.1. LE STRATEGIE DI INTERVENTO<br />

Come già ampiamente esposto, il Disturbo Autistico viene attualmente<br />

considerato una sindrome comportamentale. La diagnosi, cioè, si basa su una serie<br />

di manifestazioni “osservabili”, le quali rappresentano l’espressione di una<br />

compromissione funzionale in tre aree:<br />

• l’interazione sociale;<br />

• la comunicazione;<br />

• gli interessi e le attività.<br />

Ne deriva che il progetto terapeutico prevede l’attivazione di una serie di<br />

interventi finalizzati a:<br />

• migliorare l’interazione sociale;<br />

• arricchire la comunicazione;<br />

• favorire un ampliamento degli interessi ed una maggiore flessibilità degli<br />

schemi di azione.<br />

Questa precisazione, che può sembrare scontata, vuole sottolineare la necessità di<br />

una scelta di coerenza: se si adotta per la diagnosi un approccio clinico-<br />

46


descrittivo, la pianificazione dell’intervento deve essere ispirata ad una<br />

definizione altrettanto chiara degli obiettivi da perseguire, che sono<br />

necessariamente quelli scelti come criteri diagnostici.<br />

Le “strategie” si riferiscono alle procedure utilizzate per conseguire gli obiettivi<br />

individuati come prioritari.<br />

Le strategie comunemente suggerite ed adottate, anche se variabili in rapporto ad<br />

una serie di fattori, quali l’età o il grado di compromissione funzionale, possono<br />

essere fatte rientrare in due grandi categorie:<br />

♦ gli approcci comportamentali<br />

♦ gli approcci evolutivi<br />

GLI APPROCCI COMPORTAMENTALI<br />

Esiste nel merito una notevole confusione, che richiede preliminarmente un rapido<br />

exursus storico, con alcuni chiarimenti terminologici.<br />

L’analisi del comportamento (Behavior Analysis) è lo studio del comportamento,<br />

dei cambiamenti del comportamento e dei fattori che determinano tali<br />

cambiamenti. L’analisi del comportamento applicata (Applied Behavior Analysis<br />

= ABA) è l’area di ricerca finalizzata ad applicare i dati che derivano dall’analisi<br />

del comportamento per comprendere le relazioni che intercorrono fra determinati<br />

comportamenti e le condizioni esterne. In questa prospettiva l’ “analista<br />

comportamentale” utilizza i dati ricavati per formulare teorie relative al perché un<br />

determinato comportamento si verifica in un particolare contesto e,<br />

conseguentemente, mette in atto una serie di interventi finalizzati a modificare il<br />

comportamento e/o il contesto. Le informazioni ricavate dall’analisi del<br />

comportamento, pertanto, vengono utilizzate in maniera propositiva e sistematica<br />

per modificare il comportamento. L’ABA prende in considerazione i seguenti 4<br />

elementi:<br />

♦ gli antecedenti (tutto ciò che precede il comportamento in esame);<br />

♦ il comportamento in esame (che deve essere osservabile e misurabile);<br />

♦ le conseguenze (tutto ciò che deriva dal comportamento in esame);<br />

♦ il contesto (definito in termini di luogo, persone, materiali, attività o<br />

momento del giorno) in cui il comportamento si verifica.<br />

Il programma di intervento (= la modifica del comportamento) viene realizzato su<br />

dati che emergono dall’analisi, utilizzando le tecniche abituali della terapia del<br />

comportamento: la sollecitazione (prompting), la riduzione delle sollecitazioni<br />

(fading), il modellamento (modeling), l’adattamento (shaping) e il rinforzo.<br />

Interventi comportamentali “tradizionali”. Fin dalla fine degli anni 60 sono<br />

stati utilizzati per bambini autistici approcci basati sull’ABA, finalizzati ad<br />

insegnare specifiche competenze con lo scopo di migliorare la socializzazione, la<br />

comunicazione ed il comportamento adattivo. In particolare, Lovaas, che è stato<br />

fra i primi ad utilizzare tale approccio (Lovaas et al., 1979), ha progressivamente<br />

elaborato un protocollo di trattamento altamente strutturato: il Discrete Trial<br />

Training (Lovaas, 1981). Si tratta di un intervento che prevede una serie di sedute<br />

per un totale di 40 ore settimanali. Ciascuna seduta, a sua volta, prevede una serie<br />

di trial altamente strutturati. Il trial è un evento di apprendimento, in cui il<br />

bambino è stimolato a rispondere ad un specifico comando o “stimolo”.<br />

47


In linea con il Discrete Trial Training esistono diversi altri programmi,<br />

accomunati da due presupposti di fondo:<br />

♦ la necessità di un insegnamento altamente strutturato, con un rapporto 1:1,<br />

in un ambiente specificamente organizzato;<br />

♦ l’incapacità del bambino autistico di apprendere in un contesto “naturale”,<br />

che spesso funziona solo da “distrattore”.<br />

Su tali presupposti si è sviluppo il modello “The University of California at Los<br />

Angeles (UCLA) Young Autism Project” (NRC, 2001).<br />

Interventi neo-comportamentali. Nel <strong>corso</strong> di questi ultimi anni è stato<br />

progressivamente riconosciuto che un programma eccessivamente strutturato<br />

comporta notevoli problemi di “generalizzazione” delle competenze apprese al di<br />

fuori del setting di apprendimento. Peraltro, è stato riconosciuto che il bambino<br />

autistico può apprendere molto di più di quanto comunemente ritenuto in ambienti<br />

“naturali”, in maniera incidentale.<br />

Recentemente, pertanto, esiste una tendenza ad utilizzare il paradigma dell’ABA<br />

implementandolo negli ambienti che “naturalmente” il bambino frequenta<br />

(famiglia, scuola, attività del tempo libero). Ciò comporta, evidentemente, il<br />

coinvolgimento dei genitori, dei fratelli, degli insegnanti e dei coetanei, con<br />

opportuni training per l’implementazione dei programmi di intervento sul<br />

bambino. Tale tendenza, peraltro, traduce l’orientamento verso un tipo di<br />

intervento sempre più “centrato sul bambino”, sulla stimolazione della sua<br />

iniziativa e sulla facilitazione del suo sviluppo sociale (Prizant et al., 1998).<br />

Su tali presupposti si sono sviluppati il “Walden Early Childhood Programs at the<br />

Emery University School of Medicine”, il quale utilizza l’insegnamento<br />

incidentale (Incidental Learning) in classi integrate (bambini con <strong>autismo</strong> e<br />

bambini normali) e il “Learning Experiences, an Alternative Program for<br />

Preschoolers (LEAP) at the University of Colorado - School of Education”, che si<br />

focalizza sull’insegnamento ai pari del trattamento da fornire ai loro compagni di<br />

classe con <strong>autismo</strong> (NRC, 2001).<br />

GLI APPROCCI EVOLUTIVI (O INTERATTIVI)<br />

Gli approcci evolutivi (o interattivi) si muovono in una cornice concettuale<br />

completamente differente rispetto ai precedenti. Nella filosofia di questo tipo di<br />

programmi è implicita l'importanza della dimensione emozionale e relazionale in<br />

cui si realizza l’agire del bambino. Normalmente le diverse aree dell’emotività,<br />

delle funzioni cognitive , delle competenze comunicative e così via, evolvono e si<br />

influenzano reciprocamente definendo un sistema dinamico che non può essere<br />

considerato la semplice somma delle componenti che partecipano alla sua<br />

realizzazione. Si tratta, anche, di un sistema dinamico “aperto”, che in relazione<br />

all’apporto esperenziale si attesta su livelli funzionali progressivamente più<br />

evoluti, senza che sia possibile individuare quale delle modifiche dei singoli<br />

componenti sia maggiormente determinante. In questa prospettiva l’intervento si<br />

caratterizza come un intervento “centrato sul bambino” per favorire la sua libera<br />

espressione, la sua iniziativa, la sua partecipazione. In questa prospettiva,<br />

l’ambiente non è solo concepito come uno spazio fisico in cui implementare i<br />

programmi di intervento secondo i principi dell’ABA, ma assume di per se stesso<br />

una valenza “terapeutica”, in quanto luogo privilegiato di interazione, di scambio<br />

48


e di conoscenza. Un contesto naturale rappresenta la premessa indispensabile per<br />

attivare l’espressività, l’iniziativa e la partecipazione del bambino e favorire<br />

quindi una proficua utilizzazione dell’apporto esperenziale. Peraltro, in accordo a<br />

questi aspetti di inscindibilità fra cognitivo, emozionale, comunicativo e<br />

relazionale, il ruolo degli operatori preposti alla realizzazione del progetto diventa<br />

critico non solo per gli “esercizi” che possono somministrare, ma per il loro modo<br />

di porsi e di relazionarsi.<br />

I modelli, che fanno riferimento a tali approcci sono “Denver Model at the<br />

University of Colorado” (Rogers et al., 2000), il “Heath Sciences Center<br />

Developmental Intervention Model at The George Washington University School<br />

of Medicine” (Greenspan et al., 1999) e la “Thérapie d’Echange et de<br />

Développement (TED) de l’Université François Rabelais, CHU de Tours” (Lelord<br />

et al., 1978; Barthélèmy et al., 1995).<br />

La terapia della psicomotricità – abitualmente utilizzata in Italia – rientra<br />

nell’ambito di tali approcci. In particolare, essa rappresenta una proposta<br />

terapeutica che si propone i seguenti obiettivi:<br />

♦ favorire la comparsa di segnalatori sociali (contatto oculare, sguardo<br />

referenziale, sorriso, etc.);<br />

♦ aumentare i tempi di attenzione;<br />

♦ facilitare un uso più appropriato degli oggetti;<br />

♦ stimolare la comunicazione;<br />

♦ arricchire il vocabolario;<br />

♦ scoraggiare determinati comportamenti (iperattività, stereotipie motorie,<br />

condotte autolesive, etc.).<br />

La terapia della psicomotricità inoltre si configura come una prassi terapeutica<br />

che privilegia una modalità di approccio in grado di facilitare nel bambino:<br />

♦ la percezione e la "conoscenza" di Sé come persona;<br />

♦ la percezione e la "conoscenza" dell'Altro;<br />

♦ la percezione e la "conoscenza" delle emozioni che sottendono i vari<br />

comportamenti;<br />

♦ la percezione e la "conoscenza" delle "leggi" emozionali e sociali che<br />

regolano i rapporti interpersonali.<br />

<strong>II</strong>.2. I MODELLI DI PRESA IN CARICO<br />

Il panorama internazionale permette di individuare una serie di “modelli” di presa<br />

in carico, che hanno superato i confini geografici in cui sono stati ideati e vengono<br />

applicati in diverse parti del mondo.<br />

Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped<br />

Children (TEACCH) - University of North Carolina School of Medicine at<br />

Chapel Hill. Il programma TEACCH prevede un insegnamento strutturato basato<br />

sull'approfondita valutazione dei punti di forza e di debolezza di ciascun bambino<br />

e su alcuni principi di carattere generale: l’organizzazione dell'ambiente fisico, la<br />

scansione precisa delle attività, la valorizzazione degli ausili visivi e la<br />

partecipazione della famiglia al programma d'intervento. L'obiettivo è il<br />

49


potenziamento delle autonomie del soggetto e il miglioramento della sua qualità<br />

di vita personale, sociale e lavorativa. I genitori sono considerati la fonte più<br />

attendibile di informazioni sul proprio bambino e vengono coinvolti nel<br />

programma di trattamento, sia per consentire la generalizzazione delle<br />

competenze acquisite sia per garantire una coerenza di approccio in ogni attività<br />

di vita del soggetto (Schopler et al., 1980; Schopler et al., 1983). Il programma<br />

TEACCH, pur utilizzando tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di<br />

tipo strettamente comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a<br />

modificare il comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo o<br />

negativo, si preferisce modificare l'ambiente in modo che l'apprendimento sia reso<br />

più agevole (Marcus et al., 2000). Secondo i sostenitori del modello, adattare<br />

l'ambiente alla persona e presentargli progressivamente le difficoltà, significa<br />

rispettare la persona nella sua diversità.<br />

Un quadro temporo-spaziale molto strutturato, comprensibile e prevedibile,<br />

costituisce il primo passo per poter impostare un lavoro educativo con il bambino<br />

autistico. L'ambiente di lavoro organizzato in spazi chiaramente e visivamente<br />

delimitati, ognuno con delle funzioni specifiche chiaramente visualizzate,<br />

consente al bambino di sapere con precisione ciò che ci si aspetta da lui in ogni<br />

luogo e in ogni momento. Il passare del tempo è una nozione difficile da<br />

apprendere, perché si appoggia su dati non visibili. Per questo è importante<br />

strutturare la giornata attraverso un’organizzazione del tempo, che informi ad ogni<br />

momento il bambino su ciò che sta accadendo, ciò che è accaduto e che accadrà,<br />

aumentando in questo modo la prevedibilità e il controllo della situazione e<br />

diminuendo l'incertezza, fonte di ansia.<br />

Il coinvolgimento dei genitori, la strutturazione e la prevedibilità dell'ambiente,<br />

l'adeguatezza delle richieste, nonché la chiarezza, la concretezza e la stabilità dei<br />

messaggi sono, in sintesi, i principi basilari del modello.<br />

Learning Experiences, an Alternative Program for Preschoolers and their<br />

Parents (LEAP) at the University of Colorado School of Education.<br />

Il LEAP, ideato da Strain e Cordisco (Strain et al., 1994; 2000), parte dai principichiave<br />

che tutti i bambini traggono beneficio da un intervento integrato (che<br />

includa casa, scuola e comunità), che i soggetti con <strong>autismo</strong> possono apprendere<br />

dai coetanei con sviluppo tipico e che l’intervento deve essere pianificato,<br />

sistematico ed individualizzato. Il modello è strettamente influenzato da teorie di<br />

apprendimento comportamentale ed integra le tecniche proposte da Lovaas<br />

(prompt, fading, shaping e rinforzo) e la componente sociale dell’apprendimento,<br />

mantenendo l’obiettivo principale dello sviluppo delle abilità sociali del soggetto.<br />

Esso favorisce, infine, l’autonomia nell’organizzazione del gioco e<br />

nell’interazione sociale.<br />

The University of California at Los Angeles (UCLA) Young Autism Project.<br />

Ideato da Lovaas (Lovaas et al., 1979; 1981), si basa sul modello dell’Applied<br />

Behavior Analysis (ABA) e prevede sezioni intensive di apprendimento di compiti<br />

distinti tra loro (Discrete Trial Training, DTT). Il presupposto teorico è che ogni<br />

comportamento è scomponibile ed ha una causa (antecedente) ed una<br />

conseguenza, entrambe controllabili attraverso un'attenta analisi del<br />

comportamento ed un addestramento. Il metodo promuove l'utilizzo di rinforzi<br />

50


positivi come punto-chiave per il cambiamento ed il modellamento del<br />

comportamento. Secondo i sostenitori, il compito rinforzato positivamente<br />

continuerà, mentre quello ignorato o punito si fermerà. Il metodo prevede un<br />

grande coinvolgimento della famiglia ed un numero di ore di intervento<br />

settimanale variabile a seconda delle fasi (fino a 40 ore per settimana).<br />

Denver Model at the University of Colorado Health Sciences Center.<br />

Il modello sostenuto da Sally Rogers (Rogers et al., 2000) utilizza strategie che<br />

rientrano nell’”approccio evolutivo”. In particolare, viene enfatizzato il ruolo del<br />

gioco, inteso come modalità di apprendimento che può promuovere:<br />

♦ processi di assimilazione e generalizzazione di una serie di pattern<br />

cognitivi, comunicativi e linguistici;<br />

♦ potenziamento delle relazioni sociali attraverso l’adulto, che si fa<br />

promotore di relazioni e facilita quelle tra pari;<br />

♦ sviluppo di affetti positivi, che vengono stimolati nel bambino per renderlo<br />

più motivato all’interno delle attività psicopedagogiche;<br />

♦ sostegno della comunicazione, che viene elicitata e potenziata sia a livello<br />

verbale che non verbale;<br />

♦ sviluppo del pensiero simbolico attraverso attività di gioco;<br />

♦ ri<strong>corso</strong> a routine ed ambienti strutturati, che forniscano una sorta di<br />

regolazione esterna.<br />

In effetti, tale modello, nata nell’ambito di un’esperienza pilota in un’unità<br />

operativa specifica, è stato dal 1998 implementato nei contesti naturali della<br />

famiglia e della scuola.<br />

Developmental Intervention Model at the George Washington University School<br />

of Medicine.<br />

Il Developmental Intervention Model (Greenspan et al., 1999) è basato<br />

sull’identificazione del livello di sviluppo funzionale ed emotivo raggiunto dal<br />

bambino, le differenze individuali nelle modalità di processare le informazioni<br />

sensoriali e motorie, la tipologia di relazioni che il bambino stabilisce con le<br />

figure adulte di riferimento. Il cuore del trattamento (“floor time”) è lo sviluppo<br />

funzionale di modalità interattive che mirano a stabilire ed incrementare sempre di<br />

più circoli di comunicazione, capaci di espandere sia la gamma di stati emotivi,<br />

sia le competenze di comunicazione e di simbolizzazione del bambino, partendo<br />

dal presupposto che la “lezione emotiva” precede la “lezione cognitiva”.<br />

La Thérapie d’Echange et de Développment (TED) dell’Université François<br />

Rabelais, CHU de Tours.<br />

Il metodo di trattamento TED, ideato da Lelord (Lelord et al., 1978) e<br />

progressivamente rielaborato dal gruppo di Tours (Barthélèmy et al., 1995),<br />

consiste in un programma di stimolazione precoce, individualizzato, focalizzato<br />

su alcune funzioni, quali attenzione, percezione, motricità, imitazione,<br />

comunicazione, regolazione. E’ basato sui principi di tranquillità (la seduta<br />

avviene in una stanza con pochi arredi, priva di stimoli visivi per favorire<br />

l’attenzione del bambino e la decodifica dei messaggi), disponibilità<br />

dell’operatore e reciprocità (viene stimolata la comunicazione attraverso giochi e<br />

attività che comportino scambio di oggetti, gesti e vocalizzi o parole tra terapisti e<br />

51


ambini). Prevede, inoltre, un ambiente stabile, prevedibile e rassicurante, con<br />

precise sequenze temporali delle attività.<br />

<strong>II</strong>I. SUGGERIMENTI OPERATIVI PER I SERVIZI DI NPI<br />

L’età evolutiva va individuata come il periodo in cui vengono messi in atto una<br />

serie di interventi finalizzati a garantire la migliore qualità di vita possibile per<br />

l’adulto autistico.<br />

La continuità e la qualità del per<strong>corso</strong> terapeutico sono garantite dal Servizio<br />

territoriale di Neuropsichiatria Infantile attraverso:<br />

♦ il coinvolgimento dei genitori in tutto il per<strong>corso</strong>;<br />

♦ la scelta in itinere degli obiettivi intermedi da raggiungere e quindi degli<br />

interventi da attivare (prospettiva diacronica);<br />

♦ il coordinamento, in ogni fase dello sviluppo, dei vari interventi<br />

individuati per il conseguimento degli obiettivi (prospettica sincronica);<br />

♦ la verifica delle strategie messe in atto all’interno di ciascun intervento (le<br />

strategie, cioè, possono anche variare da Servizio a Servizio, ma vanno<br />

comunque periodicamente “controllate” in rapporto ad indicatori di qualità<br />

che devono essere comuni ai diversi Servizi).<br />

All’interno di ciascun intervento, facendo riferimento ai suggerimenti che<br />

derivano dalle esperienze internazionali, la scelta delle strategie è legata ad una<br />

serie di caratteristiche variabili da situazione a situazione.<br />

Tali caratteristiche si riferiscono in particolare a:<br />

• l’età;<br />

• l’entità della compromissione funzionale nell’ambito di ciascuna delle aree<br />

considerate per definizione patognomoniche;<br />

• il livello cognitivo.<br />

Al fine di fornire indicazioni di carattere operativo, la variabile che assume un<br />

significato determinante è l’età ( = l’età cronologica). Le esperienze ormai<br />

accumulate, infatti, cominciano a fornire dati utili per definire una Storia Naturale<br />

del Disturbo, all’interno della quale si inscrivono alcuni periodi particolarmente<br />

“critici”.<br />

Tali periodi coincidono con:<br />

1°. la formulazione di una “prima” diagnosi di Autismo, a cui segue un<br />

marcato disorientamento dei genitori legato alle difficoltà di<br />

“comprendere” una diagnosi di questo genere. Attualmente, questa<br />

“prima” diagnosi avviene in epoche sempre più precoci, comunque<br />

collocabile nella fascia 2-5 anni;<br />

2°. l’inserimento nel ciclo della scuola elementare. Tale passaggio fornisce<br />

nuovi elementi di confronto, stimola bilanci su tutto il lavoro<br />

precedentemente svolto, fornisce elementi per aumentare la<br />

consapevolezza delle reali difficoltà del bambino, destabilizza equilibri<br />

precari;<br />

3°. la “crisi” puberale, che non necessità di particolari delucidazioni;<br />

4°. l’accesso al mondo degli adulti.<br />

52


Tali periodi “critici” portano ad individuare 4 fasce di età, in cui le caratteristiche<br />

dell’intervento devono assumere connotazioni peculiari.<br />

Le 4 fasce di età corrispondono al:<br />

• periodo dai 2 ai 5 anni, che per evitare rigide limitazioni cronologiche sarà<br />

indicato come Periodo Pre-scolare;<br />

• periodo dai 6 agli 12 anni, Periodo Scolare;<br />

• periodo dai 13 ai 18 anni, Adolescenza;<br />

• l’età adulta, Età Adulta.<br />

Nel presente documento verranno prese in considerazione i primi 3 periodi. Il<br />

piano di intervento per soggetti adulti con Autismo sarà oggetto di uno specifico<br />

documento da elaborare in collaborazione con le Associazioni di Famiglie e con le<br />

altre Società Scientifiche che si occupano di età adulta.<br />

53


<strong>II</strong>I.1. INDICAZIONI DI TRATTAMENTO PER BAMBINI IN ETÀ PRE-<br />

SCOLARE<br />

Le caratteristiche che conferiscono a tale periodo una assoluta specificità sono<br />

rappresentate da una serie di aspetti riassumibili nel modo seguente:<br />

• è l’età in cui viene abitualmente formulata per la prima volta la diagnosi di<br />

Autismo; una diagnosi che ha un impatto emotivo fortissimo sui genitori.<br />

Essi peraltro non riescono ad avere una spiegazione sulle cause (“perché”),<br />

non riescono a comprenderne la natura (“che cosa è”), non riescono a<br />

prevederne l’evoluzione (“come sarà da grande”);<br />

• è l’età in cui il “fenotipo” comportamentale risulta abbastanza omogeneo.<br />

Il quadro clinico, infatti, è dominato dalla compromissione dell’interazione<br />

sociale e della comunicazione, che peraltro in questa età si traduce in<br />

comportamenti nel complesso sovrapponibili da bambino a bambino<br />

(l’aggancio relazionale è sempre molto difficile, spesso impossibile;<br />

l’aderenza alle proposte dell’altro è sempre molto scarsa, spesso assente;<br />

la percezione dell’altro è saltuaria e sempre strumentale, in quanto limitata<br />

alla richiesta di appagamento di bisogni personali: in una parola, “il<br />

bambino vive in un mondo tutto suo”). Nella maggioranza dei casi è solo<br />

progressivamente che si renderà evidente la specificità del profilo clinicoevolutivo<br />

proprio di ciascun bambino;<br />

• è l’età in cui i processi di maturazione e crescita del Sistema Nervoso<br />

Centrale sono particolarmente spinti e in cui non si è ancora verificata una<br />

definita differenziazione delle strutture encefaliche. Probabilmente, è<br />

proprio questo che determina la massima “pervasività” dei sintomi e,<br />

paradossalmente, la particolare omogeneità del fenotipo comportamentale;<br />

• è l’età in cui è praticamente impossibile individuare elementi con<br />

significato prognostico e prevedere anche in termini generici l’evoluzione<br />

a lungo termine.<br />

Gli aspetti appena esposti, recepiti ormai a livello internazionale, sono alla base di<br />

un orientamento generale, in rapporto al quale in questa fascia di età l’intervento<br />

deve essere precoce, intensivo, curriculare (NRC, 2001).<br />

L’intervento deve essere precoce. La precocità, infatti, permette una più adeguata<br />

sistematizzazione e riorganizzazione interna delle esperienze percettive che<br />

vengono facilitate, in quanto si ha la possibilità di “operare” in un periodo in cui<br />

le strutture encefaliche non hanno assunto una definita specializzazione funzionale<br />

e le funzioni mentali, pertanto, sono in fase di attiva maturazione e<br />

differenziazione (Guaralnick, 1998; Dawson et al., 2001).<br />

L’intervento deve essere intensivo. Il termine “intensivo” si riferisce alla<br />

necessità di attivare una nuova dimensione di vita, per il bambino e per la<br />

famiglia. Per quel che riguarda il bambino, si tratta di organizzare una serie di<br />

situazioni strutturate, nell’ambito delle quali egli possa confrontarsi con nuove<br />

esperienze, nuove attività e nuovi modelli di relazione. Ciò, soprattutto all’inizio,<br />

richiede “tempo”: tempo per conoscere il bambino, tempo per formulare un<br />

progetto personalizzato, tempo per verificare le sue risposte ed adattare su di esse<br />

54


il progetto. L’indicazione che deriva dall’esperienza internazionale fa riferimento<br />

ad un tempo non inferiore alle 18 ore settimanali (NRC, 2001). Per quel che<br />

riguarda la famiglia, bisogna ugualmente organizzare situazioni strutturate,<br />

nell’ambito delle quali è necessario lavorare sul disorientamento dei genitori per<br />

attivare le loro naturali risorse e coinvolgerli nel progetto terapeutico. Anche<br />

questo obiettivo, soprattutto all’inizio, richiede “tempo”: tempo per conoscere i<br />

genitori, tempo per aiutarli ad elaborare le angosce connesse al disturbo e alla<br />

scarsa prevedibilità del suo divenire, tempo per formulare insieme con loro le<br />

strategie per la realizzazione del progetto.<br />

Il termine “intensivo”, tuttavia, non è limitato ad una mera dimensione temporale,<br />

ma si riferisce anche all’esigenza di un’adeguata organizzazione dei tempi, degli<br />

spazi e delle attività del bambino nel <strong>corso</strong> di una sua giornata abituale. Ciò fa sì<br />

che le esperienze “quotidiane” possano assumere una valenza terapeutica. In<br />

questa prospettiva la “terapia” non è solo quella che si svolge nel servizio di<br />

riabilitazione, ma è piuttosto un progetto, che deve essere elaborato dall’équipe<br />

del Servizio di NPI. Tale progetto prevede obiettivi specifici realizzabili mediante<br />

programmi con caratteristiche conformi ai contesti in cui essi devono essere<br />

implementati (Famiglia-Servizio di Riabilitazione-Scuola).<br />

E’ evidente che affinché tali programmi possano rispondere alle finalità più<br />

generali del progetto, è necessario un collegamento funzionale fra le figure cui è<br />

demandata la responsabilità di implementarli (genitori-terapisti-insegnanti) (NRC,<br />

2001; Prizant et al., 2003).<br />

L’intervento deve essere curriculare. Il termine “curriculare” si riferisce ai<br />

contenuti che devono caratterizzare i diversi programmi previsti dal progetto. In<br />

termini di contenuti, si ritiene che ciò di cui il bambino necessita per uno sviluppo<br />

quanto più possibile “tipico” può essere “insegnato” facendo riferimento ad un<br />

ordine sequenziale di “tappe”, che sono quelle che normalmente compaiono nel<br />

<strong>corso</strong> dello sviluppo. Nel concetto di “curriculare” è implicito un altro aspetto<br />

critico per la formulazione del programma: vale a dire, la necessità di una<br />

definizione chiara degli obiettivi e di un monitoraggio sistematico del per<strong>corso</strong><br />

terapeutico. In particolare è necessario:<br />

• individuare, fra gli obiettivi possibili, quelli che si riferiscono a<br />

competenze osservabili e misurabili;<br />

• stabilire un punto di partenza e prefissare una serie di tappe sequenziali;<br />

• predisporre un sistema per la raccolta dei dati in itinere e la valutazione dei<br />

risultati in tempi prefissati.<br />

Su cosa bisogna agire ? (COSA)<br />

Le caratteristiche del periodo portano ad individuare alcuni Punti Critici comuni<br />

ai diversi bambini (Schema 1).<br />

Tali Punti Critici dettano gli Obiettivi Prioritari dell’intervento, che sono<br />

individuabili nei seguenti aspetti:<br />

1. il disorientamento dei genitori;<br />

2. il disturbo dell’interazione sociale e della comunicazione, espresso da una<br />

marcata difficoltà ( impossibilità) di aggancio relazionale e da una<br />

scarsa ( assente) disponibilità ad esperienze condivise;<br />

3. la scarsa modulazione degli stati emotivi.<br />

55


Individuare questi tre aspetti quali punti critici cui deve rivolgersi il progetto non<br />

significa naturalmente ignorare eventuali altri problemi che possono essere<br />

presenti. Va, tuttavia, considerato che molti di questi “altri” problemi sono spesso<br />

“secondari” in termini di sequenza causale. E’ evidente tuttavia che quando gli<br />

eventuali “altri” problemi sembrano assumere una valenza preminente nel<br />

caratterizzare il comportamento disadattivo, essi vanno specificamente presi in<br />

considerazione e trattati. Pertanto, i tre “punti” descritti vanno considerati quali<br />

obiettivi irrinunciabili (obiettivi di minima) di qualsivoglia programma si vada ad<br />

applicare in questa particolare fascia di età.<br />

Come si può agire su tali aspetti? (COME)<br />

1) Il disorientamento dei genitori. Lavorare sul disorientamento dei genitori non<br />

ha solo lo scopo di garantire la loro “serenità”, ma risponde al concetto più volte<br />

espresso di individuare la famiglia come luogo privilegiato per la crescita<br />

comunicativo-sociale del bambino e di coinvolgere i genitori quali protagonisti<br />

del progetto. Il raggiungimento di tale obiettivo riconosce una serie di obiettivi<br />

intermedi, riassumibili nel modo seguente:<br />

Il primo obiettivo è rappresentato dall'aiutare i genitori a raggiungere una<br />

soddisfacente conoscenza dell'Autismo, quale disabilità evolutiva.<br />

S17<br />

Gli elementi caratterizzanti questa fase della presa in carico (primo obiettivo)<br />

vanno individuati nei seguenti punti:<br />

♦ fornire ai genitori informazioni sul quadro clinico dell'<strong>autismo</strong>, sulle<br />

cause, sulle ricerche che vengono effettuate a livello internazionale, sulle<br />

possibili indagini "aggiuntive" che possono essere effettuate<br />

♦ metterli al corrente delle varie "terapie" proposte a livello internazionale<br />

♦ documentarli sulle risorse territoriali (territorio di appartenenza)<br />

♦ illustrare il per<strong>corso</strong> terapeutico che si prospetta a breve e medio termine<br />

E' evidente che tutte le "informazioni" necessarie per favorire la conoscenza dei<br />

genitori non possono essere trasmesse in un singolo incontro. Bisogna per contro<br />

prevedere, nella fase immediatamente successiva alla formulazione della diagnosi,<br />

una serie di incontri, nell'ambito dei quali si dà la possibilità ai genitori di<br />

ritornare eventualmente su argomenti già discussi. Ciò, al fine di favorire una<br />

graduale "metabolizzazione" delle spiegazioni che vengono loro fornite.<br />

Una metodologia di questo tipo permette di far nascere nei genitori la percezione<br />

del Servizio come un punto di riferimento in grado di ascoltarli e di affiancarli. Da<br />

tale consapevolezza nasce anche il bisogno di rivolgersi al Servizio per avere<br />

consigli nella gestione "quotidiana" del bambino. Quando ciò avviene significa<br />

che il primo obiettivo è stato raggiunto.<br />

Il raggiungimento del primo obiettivo si pone quale premessa per il<br />

conseguimento del secondo obiettivo: attivare le risorse genitoriali nella gestione<br />

del quotidiano.<br />

56


Va infatti sottolineato che i consigli psicoeducativi non possono essere impartiti<br />

come una lezione ai genitori, ma devono nascere come bisogno dei genitori di<br />

essere sostenuti nelle scelte pedagogiche. In effetti, anche quando i genitori in<br />

maniera "ingenua" richiedono suggerimenti immediati su come comportarsi,<br />

bisogna far capire loro che non esistono comportamenti esatti o sbagliati in<br />

assoluto: le scelte pedagogiche devono tener conto della specifica tipologia del<br />

padre, della specifica tipologia della madre, delle specifiche caratteristiche<br />

temperamentali del bambino e dell'assoluta originalità di ciascun sistema famiglia.<br />

S18<br />

Sintetizzando quanto esposto, gli elementi caratterizzanti questo secondo obiettivo<br />

sono i seguenti:<br />

♦ guidare i genitori alla conoscenza del bambino e delle modalità che<br />

caratterizzano i suoi comportamenti<br />

♦ fornire loro consigli su possibili atteggiamenti educativi “alternativi” a<br />

quelli abitualmente utilizzati<br />

♦ incoraggiare i genitori a scegliere in maniera autonoma strategie educative<br />

“alternative”<br />

♦ sostenerli nelle scelte effettuate (se valide !!!)<br />

♦ favorire una riorganizzazione del sistema famiglia<br />

♦ insistere sulla necessità di un’adeguata organizzazione delle attività del<br />

tempo libero<br />

Compito dell'operatore preposto a fornire suggerimenti psicoeducativi è<br />

innanzitutto quello di aiutare i genitori a scoprire le “caratteristiche” del proprio<br />

bambino e quindi di stimolarli ad individuare nel loro specifico le modalità<br />

educative più idonee.<br />

Quando infine nel <strong>corso</strong> degli incontri sono stati realizzati i primi due obiettivi si<br />

può passare al terzo obiettivo, che consiste nell'implementare in famiglia specifici<br />

programmi di intervento. Essi rappresentano il proseguimento e/o il<br />

completamento di quanto effettuato negli "altri spazi terapeutici" (Servizio e<br />

Scuola). Si tratta di programmi finalizzati a facilitare:<br />

♦ l'acquisizione di specifiche autonomie<br />

♦ la scomparsa di specifici comportamenti disadattivi<br />

con strategie concordate con gli operatori del Servizio.<br />

2) Il disturbo dell’interazione sociale e della comunicazione.<br />

Per individuare le strategie utili a migliorare l’interazione sociale e la<br />

comunicazione è necessario far riferimento a modelli interpretativi della clinica<br />

che possano porsi come rationale dell’intervento. In questa prospettiva, una serie<br />

di studi, replicati in diversi centri di ricerca internazionali, hanno messo in<br />

evidenza, quale “deficit” sottostante le atipie dell’interazione sociale e della<br />

comunicazione, un disturbo del processo di sviluppo della cognizione sociale<br />

(Prizant et al., 2003).<br />

57


In particolare, nella fascia di età considerata (Periodo Pre-scolare), i<br />

comportamenti atipici che rientrano nella compromissione dell’interazione sociale<br />

e della comunicazione sembrano riconducibili ad un deficit in due abilità<br />

sottostanti: un’inadeguatezza dell’attenzione congiunta ed una difficoltà<br />

nell’uso dei simboli (Baron-Cohen et al. 1992; Mundy, 2003).<br />

L’attenzione congiunta è la capacità di stabilire con l’Altro un comune fuoco di<br />

interesse. Essa nasce come un bisogno di richiamare l’attenzione dell’Altro su un<br />

proprio interesse e di rivolgere la propria attenzione a qualcosa che sembra<br />

interessare l’Altro. Ciò permette di leggere e comprendere, in ordine crescente:<br />

1°. le emozioni<br />

2°. i desideri,<br />

3°. le credenze.<br />

Una tale comprensione si pone, a sua volta, quale premessa per leggere e<br />

comprendere le intenzioni e le motivazioni dei comportamenti dell’Altro: è il<br />

processo di cognizione sociale.<br />

L’uso dei simboli si riferisce alla capacità del bambino di acquisire e<br />

padroneggiare i codici (sguardo, mimica, postura, gesti, suoni e parole) che gli<br />

permettono di entrare in uno scambio comunicativo con l’Altro: è il processo di<br />

simbolizzazione (Wetherby et al., 2000).<br />

In effetti, le due capacità evolvono in maniera strettamente interdipendente.<br />

L’attenzione congiunta, infatti, stimola, attraverso l’osservazione e l’imitazione,<br />

l’apprendimento di una serie di “comportamenti” che assumono progressivamente<br />

una complessità simbolica crescente:<br />

1°. guardare l’Altro;<br />

2°. alternare lo sguardo dall’Altro all’oggetto e viceversa;<br />

3°. tendere la mano verso l’oggetto e/o evento interessante e alternare lo<br />

sguardo con l’Altro;<br />

4°. indicare con il dito l’oggetto e/o evento interessante;<br />

5°. porgere e mostrare;<br />

6°. usare simboli verbali.<br />

D’altra parte, la capacità di padroneggiare con sempre maggiore competenza tali<br />

“comportamenti” con valore simbolico permette di realizzare le spinte connesse<br />

all’attenzione congiunta per conoscere sempre meglio se stesso e l’Altro<br />

(emozioni, intenzioni, desideri, credenze).<br />

Il razionale dell’intervento terapeutico pertanto viene ad identificarsi in un lavoro<br />

su queste abilità sottostanti (attenzione congiunta e uso dei simboli), seguendo lo<br />

stesso ordine sequenziale che lo sviluppo “normalmente” prevede.<br />

Vengono di seguito riportate, in maniera semplificata, alcune sollecitazioni mirate<br />

allo sviluppo dell’attenzione congiunta e del processo di simbolizzazione, con lo<br />

scopo più generale di favorire l’interazione sociale e la comunicazione.<br />

58


S19<br />

Esempi di sequenze di interazione attivabili<br />

1°. Agganciarsi ad attività effettuate dal bambino, anche in maniera non<br />

intenzionale, ripetendole, per cominciare ad avviare un processo di<br />

condivisione di attività;<br />

2°. Stabilire una condivisione di affetti (cercando il suo sguardo e<br />

sorridendogli);<br />

3°. Attivare sequenze di interazione sociale, mediante canali privilegiati (per<br />

esempio, contatto fisico fra bambino e terapista, coordinato con gesti e<br />

vocalizzazioni) (= relazione diadica, bambino-terapista, senza<br />

interposizione di oggetti);<br />

4°. Attirare l’attenzione a stimoli anticipatori di tali eventi piacevoli (quali,<br />

sguardo, mimica, postura e/o vocalizzazioni che vengono poi seguiti da<br />

esperienze che il bambino ha mostrato di gradire);<br />

5°. Stimolare l’imitazione di azioni semplici;<br />

6°. Utilizzare “spettacoli” interessanti (per esempio, palloncini gonfiabili o<br />

bolle di sapone) per “catturare” l’attenzione del bambino ed operare su<br />

tali “spettacoli” per stimolare il bambino a richiedere che l’altro faccia<br />

qualcosa per lui (= relazione triadica, bambino-oggetto-operatore, in cui<br />

l’oggetto è il fine e l’operatore lo strumento);<br />

7°. Arricchire, nel <strong>corso</strong> delle sequenze su accennate, il repertorio di<br />

comportamenti comunicativi, anche se inizialmente finalizzati al solo<br />

scopo di richiedere l’aiuto dell’altro (sguardo, gesti, vocalizzazione);<br />

8°. Attirare l’attenzione del bambino su eventi, spettacoli o oggetti a cui il<br />

terapista sembra prestare particolare interesse (= attenzione congiunta<br />

in risposta a sollecitazioni dell’operatore);<br />

9°. Rinforzare comportamenti proto-dichiarativi utilizzati dal bambino per<br />

dimostrare un suo interesse (= attenzione congiunta su iniziativa del<br />

bambino);<br />

10°. Arricchire, nel <strong>corso</strong> delle sequenze di attenzione congiunta, il<br />

repertorio di comportamenti comunicativi, che in questo caso assumono<br />

il significato di condividere con l’operatore un comune fuoco di<br />

interesse (dallo sguardo ai gesti e, infine, alla verbalizzazione);<br />

11°. Stimolare giochi di finzione di complessità progressivamente crescente;<br />

12°. Inserirsi progressivamente nel gioco di finzione (=relazione triadica,<br />

bambino-oggetto-operatore, in cui l’oggetto è lo strumento e l’operatore<br />

è il fine).<br />

59


3) Scarsa modulazione degli stati emotivi.<br />

In questa particolare fascia di età il quadro clinico presenta un altro aspetto<br />

caratteristico, rappresentato da una scarsa capacità di modulazione degli stati<br />

emotivi. Un possibile modello interpretativo di tale riscontro è rappresentato da<br />

un’incapacità relativa da parte del bambino di organizzare in un tutto coerente il<br />

carico esperienzale che in tale periodo raggiunge l’encefalo. In effetti, il bambino<br />

fin dalla nascita è immerso in un mondo di stimoli. All’inizio, tuttavia, egli è<br />

protetto da una sorta di barriera naturale (neuropsicologica), che dosa il carico<br />

esperenziale. A partire dai 12 mesi, le modifiche morfo-funzionali dell’encefalo,<br />

inscritte nel processo ontogenetico, determinano una sorta di apertura di una<br />

finestra sul mondo, con l’arrivo di un carico esperenziale, che il bambino autistico<br />

non riesce a sistematizzare in un tutto coerente. Ciò determina una situazione di<br />

disorientamento e di panico nei confronti di tutta una serie di stimoli “nuovi”<br />

(visivi, tattili, uditivi, sociali), che il bambino non riesce a sottoporre ad<br />

un’adeguata elaborazione cognitiva. In questa prospettiva molti dei<br />

comportamenti disadattivi (challenging behaviors) assumono un significato<br />

comunicativo e traducono la frustrazione del bambino derivante dalla incapacità<br />

di “ capire e farsi capire”.<br />

In questa prospettiva risulta particolarmente importante:<br />

• la “regolarità” e la prevedibilità del contesto all’interno del quale si vanno<br />

ad attivare le esperienze del bambino. Tale “regolarità” non si riferisce ad<br />

una rigida strutturazione degli spazi e delle attività in accordo a criteri<br />

predefiniti, ma prevede l’organizzazione di un ambiente necessariamente<br />

flessibile, ma sufficientemente prevedibile, in accordo ad indicazioni che<br />

ci fornisce il bambino stesso;<br />

• la coerenza, la stabilità e la continuità degli atteggiamenti delle figure che<br />

si rapportano al bambino. Si tratta, in altri termini, di un’altra forma di<br />

“regolarità” e prevedibilità, in questo caso estesa alla qualità dei rapporti<br />

interpersonali;<br />

• l’uso di approcci educativi di tipo strutturato (cognitivo-comportamentali),<br />

comunque inseriti nell’ambito di una dimensione relazionale che aiuti il<br />

bambino a cogliere il piacere dell’interazione e le sfumature che<br />

caratterizzano i rapporti interpersonali.<br />

Sulla base di quanto precedentemente accennato, anche il lavoro sull’attenzione<br />

congiunta e, soprattutto, quello sulla capacità di usare i simboli per la<br />

comunicazione forniscono un contributo determinante nel facilitare una più<br />

adeguata modulazione degli stati emotivi.<br />

Con quali modalità bisogna agire ? (CHI e DOVE)<br />

Sulla base di quanto precedentemente esposto, occorre prefigurarsi un programma<br />

che preveda l’attivazione di una serie di situazioni stimolo, organizzate in accordo<br />

agli obiettivi individuati.<br />

Il programma è elaborato dall’équipe del Servizio di NPI e, anche se unico, è<br />

composto da almeno tre moduli, quanti sono gli “spazi” prevedibili per la sua<br />

implementazione:<br />

60


♦ il servizio di NPI;<br />

♦ la scuola;<br />

♦ la famiglia.<br />

In altri termini, i moduli che costituiscono il programma, pur se finalizzati agli<br />

stessi obiettivi generali, assumono caratteristiche specifiche in rapporto a chi deve<br />

applicarli e al contesto in cui devono essere applicati.<br />

♦ Il Servizio di NPI<br />

Il Servizio di NPI interviene nella realizzazione del programma “direttamente” sul<br />

bambino e “indirettamente”, coordinando le attività a Scuola e in Famiglia.<br />

In particolare, il Servizio interviene “direttamente” sul bambino provvedendo alla<br />

realizzazione di quella parte del programma centrata sulla facilitazione delle<br />

competenze appartenenti all’attenzione congiunta, all’uso dei simboli, alla<br />

comunicazione preverbale e alla modulazione degli stati emotivi. Il lavoro viene<br />

svolto con sedute terapeutiche, in un rapporto 1:1, per un totale di almeno 10 ore<br />

settimanali.<br />

Circa le “caratteristiche” dell’operatore che deve essere direttamente impegnato<br />

nell’effettuazione del programma, la figura del Terapista della Neuro e<br />

Psicomotricità dell’Età Evolutiva, in accordo ai più recenti profili professionali,<br />

risulta la più idonea. E’ evidente, tuttavia, che, come per gli ambiti del “saper<br />

fare”, anche il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva che si<br />

dedichi alla realizzazione del programma deve aver maturato una formazione che<br />

gli permetta di uniformarsi alle indicazioni che derivano dalla comunità scientifica<br />

internazionale.<br />

♦ La Famiglia.<br />

La Famiglia, come accennato, si configura come uno spazio privilegiato per il<br />

conseguimento degli obiettivi considerati critici in questa particolare fascia di età.<br />

Con riferimento a tali obiettivi, la famiglia si pone, in una prima fase, come<br />

destinatario dell’intervento (= disorientamento dei genitori) e in una seconda fase<br />

come protagonista attivo nella realizzazione del progetto.<br />

Per quel che riguarda la prima fase, è necessario prevedere una serie di incontri<br />

con la famiglia, nell’ambito del Servizio, con un operatore che:<br />

abbia maturato specifiche competenze in tema di Autismo,<br />

sia aggiornato sui più recenti orientamenti internazionali,<br />

disponga di una formazione di base in grado di permettergli di gestire le<br />

complesse dinamiche emozionali che in questa fase investono l’intero<br />

sistema famiglia.<br />

Per quel che riguarda la seconda fase, un ruolo determinante nell'aiutare i genitori<br />

a implementare la parte del programma che loro compete è svolto dagli operatori<br />

impegnati “direttamente” nel trattamento del bambino presso il Servizio. Tali<br />

operatori, infatti, realizzando il progetto terapeutico e discutendolo con gli altri<br />

operatori dell'équipe, imparano a conoscere il bambino, le sue modalità reattive e<br />

le strategie più idonee per il conseguimento degli obiettivi fissati nel progetto.<br />

Pertanto, essi rappresentano le persone più idonee per rendere partecipi i genitori<br />

di dette strategie e per aiutarli a metterle in pratica a casa.<br />

Dovrebbero essere previste “visite domiciliari”, secondo un calendario variabile in<br />

accordo alle esigenze del caso.<br />

61


♦ La Scuola.<br />

Considerando l'età, il livello di sviluppo e la natura del problema, l' "ambiente<br />

scolastico" (Asilo Nido e Scuola Materna) rappresenta uno spazio particolarmente<br />

utile per “completare” il progetto. L’ “ambiente scolastico”, infatti, permette di<br />

trasferire, in un contesto di incontro e confronto con i coetanei, il lavoro<br />

programmato per l’attenzione congiunta, la capacità di usare simboli, la<br />

comunicazione e la modulazione degli stati emotivi. Affinché tale spazio possa<br />

assumere una valenza terapeutica è, tuttavia, necessario che gli operatori della<br />

scuola vengano coinvolti attivamente nel progetto. Si ripropone ancora una volta<br />

la necessità di definire, a monte dei contenuti dell'intervento, la strutturazione del<br />

contesto all'interno del quale tali contenuti vanno poi inseriti. Il coinvolgimento<br />

degli operatori dell'ambiente scolastico deve avvenire ad opera degli operatori del<br />

Servizio attraverso incontri periodici, nell'ambito dei quali vanno discussi una<br />

serie di aspetti generali che riguardano il bambino, le sue modalità relazionali, i<br />

suoi stili comunicativi e le caratteristiche del suo modo di rispondere alle<br />

sollecitazioni esterne. Nel mettere al corrente gli operatori scolastici degli obiettivi<br />

terapeutici individuati negli altri contesti (Servizio - Famiglia), si definiscono<br />

quelli realizzabili all'interno dell' "ambiente scolastico".<br />

Una risorsa che va particolarmente utilizzata è la presenza dei coetanei. Essi,<br />

infatti, con la spontaneità che li caratterizza, la “naturalezza” del loro modo di<br />

rapportarsi e la capacità di una sintonizzazione empatica, si pongono come figure<br />

particolarmente idonee per attivare sequenze di interazione in grado di facilitare la<br />

crescita sociale del bambino autistico. E’ evidente che questo ruolo che possono<br />

svolgere i coetanei è soprattutto potenziale. Si rende pertanto necessario un loro<br />

coinvolgimento “attivo”, attraverso la sensibilizzazione nei confronti di tematiche,<br />

che per la loro complessità, devono essere affrontate con modalità e strumenti<br />

adeguati al livello di sviluppo.<br />

62


<strong>II</strong>I.2. INDICAZIONI DI TRATTAMENTO PER BAMBINI IN ETÀ<br />

SCOLARE<br />

Come già accennato, l’età dei 6-7 anni segna un momento decisivo nella storia del<br />

bambino autistico. Quando con l’età di 6-7 anni si rende necessaria l’iscrizione<br />

alla scuola elementare, il passaggio da un ambiente meno strutturato e più<br />

flessibile (Scuola Materna) ad uno decisamente più strutturato ed organizzato<br />

secondo una logica curriculare (Scuola Elementare) comporta necessariamente<br />

una rivalutazione (da parte dei genitori e dello stesso tecnico) del quadro generale.<br />

La nuova realtà, infatti:<br />

♦ propone nuovi elementi di confronto,<br />

♦ stimola bilanci su tutto il lavoro precedentemente svolto,<br />

♦ fornisce elementi per aumentare la consapevolezza delle reali capacità del<br />

bambino,<br />

♦ destabilizza equilibri precari.<br />

A questa età, peraltro, si va caratterizzando in maniera sempre più definita il<br />

profilo proprio di ciascun bambino. Il bambino, cioè, sembra uscire da quella fase<br />

di globale disorientamento, che per molti aspetti conferiva un carattere di<br />

apparente omogeneità al quadro (“non vedo, non sento, non parlo”), e fornisce<br />

indicazioni più esplicite sul “suo” quadro neuropsichico, in termini di:<br />

• aspetti temperamentali;<br />

• grado di compromissione relazionale;<br />

• livello comunicativo;<br />

• competenze cognitive<br />

• eventuale presenza di problemi in co-morbidità.<br />

In altri termini, a questa età la “popolazione” di bambini autistici, pur se<br />

caratterizzata da “comportamenti” che soddisfano i criteri diagnostici per una<br />

collocazione nosografica all’interno di un’unica categoria (Disturbo Autistico),<br />

mette in evidenza per ciascun bambino una serie di caratteristiche del tutto<br />

“originali”, che rendono estremamente diversificato il comportamento adattivo.<br />

Relativamente al comportamento adattivo, si viene a definire una sorta di<br />

continuum, ai cui estremi si collocano, da un lato, gli autistici a basso<br />

funzionamento e, dall’altro, gli autistici ad alto funzionamento.<br />

Su cosa bisogna agire ? (COSA)<br />

Mentre nel periodo precedente (Età Prescolare) il carattere del progetto era<br />

prevalentemente “centrato sul bambino”, con una connotazione fortemente<br />

abilitativa (= far emergere le abilità), in questo seconda fase il carattere del<br />

progetto è sempre più “centrato sulla famiglia” e più in generale sul contesto<br />

ambientale, con finalità, comunque abilitative (= far emergere abilità), ma sempre<br />

più adattive (= utilizzazione delle abilità per favorire l’adattamento del soggetto<br />

all’ambiente in cui vive). Ne deriva che gli aspetti da prendere in considerazione<br />

per la formulazione del programma terapeutico riguardano:<br />

1. i genitori<br />

2. il bambino<br />

3. la scuola<br />

63


E’ evidente che anche in questo caso valgono le considerazioni esposte per il<br />

“periodo” precedente. E’ possibile, cioè, che in rapporto alla variabilità fenotipica<br />

del quadro possono venire a crearsi situazioni specifiche, che vanno<br />

opportunamente valutate e trattate.<br />

Come si può agire su tali aspetti ? (COME)<br />

1) I genitori.<br />

Il “come” agire è in relazione ad una serie di circostanze.<br />

[A] Nel caso in cui il bambino venga per la prima volta al Servizio in questa età,<br />

bisogna mettere in atto nei confronti dei genitori il per<strong>corso</strong> formativo già<br />

descritto nella prima fase (informazione suggerimenti psicoeducativi <br />

coinvolgimento attivo nel progetto).<br />

[B] Nel caso in cui i genitori siano già seguiti dalla fase precedente e dimostrino<br />

una buona aderenza al progetto, bisogna “rinforzare” le loro risorse e<br />

prospettare i nuovi scenari che la fase 6 – 12 anni comporta. E’ necessario, in<br />

particolare, ribadire la loro centralità nel progetto terapeutico, il quale deve<br />

prevedere<br />

♦ una diversificazioni delle attività del bambino,<br />

♦ un’adeguata organizzazione delle stesse in accordo alle esigenze di tutti i<br />

membri del sistema famiglia,<br />

♦ un costante lavoro sulle autonomie.<br />

Anche nelle situazioni più favorevoli, in cui sia garantita una soddisfacente<br />

rete dei servizi, la famiglia finisce inevitabilmente per essere il garante della<br />

continuità dei vari interventi nei diversi contesti in cui essi devono essere<br />

realizzati.<br />

[C] Nel caso in cui i genitori siano già seguiti dalla fase precedente, ma presentino<br />

segni di “scoraggiamento”, vanno messi in atto specifici provvedimento di<br />

sostegno.<br />

In tali situazioni la tonalità emotiva prevalente è improntata alla delusione per<br />

veder vanificate una serie di aspettative e di speranze. Molto spesso, infatti, in<br />

questa fase l’Autismo si realizza nella sua complessa drammaticità e riattiva<br />

nei genitori angosce sommariamente rimosse, comparse quando per la prima<br />

volta, nel periodo precedente, avevano sentito utilizzare il termine di<br />

“<strong>autismo</strong>” per descrivere i comportamenti del proprio bambino.<br />

E’ evidente che tali dinamiche possono comportare tre rischi:<br />

a) un malessere generale del sistema famiglia,<br />

b) un impoverimento delle naturali risorse educative genitoriali,<br />

c) una difficoltà di coinvolgere “produttivamente” i genitori nelle successive<br />

fasi del progetto terapeutico.<br />

L’intervento sui genitori in questa fase, realizzabile attraverso una serie di<br />

incontri, deve mirare al “chiarimento” dei seguenti aspetti:<br />

1) il successo del trattamento non sempre si identifica con una “guarigione”,<br />

ma piuttosto con la possibilità di garantire il migliore adattamento<br />

possibile del soggetto al suo ambiente, che peraltro permette una buona<br />

qualità di vita del soggetto e dell’intero sistema famiglia. In effetti, dopo il<br />

primo periodo (Età prescolare), in cui anche il “tecnico” deve mettere in<br />

bilancio che nel ventaglio delle possibilità evolutive esiste quella che il<br />

bambino esca dalla categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, a<br />

64


partire dai 6-7 anni tale possibilità diventa praticamente irrealizzabile.<br />

Bisogna, pertanto, lavorare nel favorire un’analisi della situazione in<br />

termini di realtà, prospettando comunque ai genitori che un soddisfacente<br />

adattamento sociale è un obiettivo realisticamente perseguibile;<br />

2) il persistere della sintomatologia autistica di intensità uguale o anche<br />

superiore a quella rilevata nel periodo precedente, non significa che il<br />

bambino sta “peggiorando”, ma indica che egli è ancora vulnerabile ed<br />

incapace di fronteggiare gli elementi di incostanza, instabilità e varianza<br />

che la nuova fase evolutiva comporta. Bisogna, pertanto, continuare a<br />

garantire una regolarità ed una prevedibilità delle esperienze, mediante<br />

atteggiamenti educativi non gravati da vissuti di disorientamento, sfiducia<br />

ed angoscia;<br />

3) non esistono soluzioni magiche del problema. Ciò in pratica comporta la<br />

necessità di chiarire due ulteriori punti:<br />

a. diffidare di interventi privi di evidenza scientifica che, peraltro, si<br />

pongono come soluzioni miracolistiche per tutti i bambini, per tutte<br />

le età e per qualsiasi problema;<br />

b. tener presente che la meta finale (un soddisfacente adattamento<br />

sociale) va realizzata attaverso un serie di traguardi intermedi, che<br />

se al momento possono sembrare scarsamente rilevanti<br />

rappresentano alla lunga le pietre miliari per l’articolazione del<br />

progetto.<br />

2) Il bambino.<br />

Anche per il bambino, il “come” agire è legato ad una serie di circostanze.<br />

In tutti i casi, sia che si tratti di un bambino che per la prima volta giunge al<br />

Servizio, sia che si tratti di una rivalutazione in rapporto alla nuova fase di<br />

sviluppo, il “come” agire dipende comunque dalla definizione del profilo<br />

funzionale (assessment), con un’analisi attenta delle sue aree di forza e delle sue<br />

aree di debolezza.<br />

AREA COMUNICATIVA E SOCIALE<br />

In linea generale:<br />

[A] la presenza di una sintomatologia autistica di intensità pari o superiore a<br />

quella rilevabile nel periodo precedente (Età Prescolare), che si traduca in<br />

marcate difficoltà di aggancio relazionale e in persistenti deficit della<br />

comunicazione verbale e non verbale, comporta la necessità di lavorare sulle<br />

aree già indicate dell’attenzione congiunta e della capacità di usare i simboli.<br />

In tali situazioni, peraltro, il livello cognitivo risulta abitualmente deficitario.<br />

Relativamente alle strategie di intervento, considerando l’età e l’entità della<br />

compromissione funzionale, il lavoro, svolto in accordo ad un programma<br />

“personalizzato”, comporta che gli operatori conoscano i principi generali di<br />

tecnica di modifica del comportamento. Il lavoro, infatti, deve prevedere<br />

l’adozione di tali tecniche, che vanno tuttavia inserite nell’ambito di una<br />

dimensione affettivo-relazionale che permetta un apprendimento<br />

comunicativo-sociale derivante non solo dagli esercizi di per se stessi, ma<br />

dall’intero contesto. In tali situazioni il programma deve, inoltre, avvalersi<br />

65


delle indicazioni derivanti dalla Comunicazione Aumentativa e Alternativa<br />

(AAC) 1 .<br />

Indipendentemente dalle strategie, gli obiettivi prioritari, in ordine<br />

curricolare, sono rappresentati da:<br />

1) guardare alla persona quando viene chiamato per nome,<br />

2) guardare un oggetto quando viene nominato,<br />

3) prestare attenzione a chi parla,<br />

4) usare il contatto oculare per mantenere l’interazione,<br />

5) imitare azioni semplici, suoni, parole,<br />

6) attirare l’attenzione di qualcuno,<br />

7) facilitare i comportamenti di richiesta,<br />

8) dire no o fare gesti di diniego,<br />

9) dire si o fare gesti di assenso,<br />

10) salutare gli altri,<br />

11) denominare le persone,<br />

12) denominare le cose,<br />

13) descrivere ciò che gli altri stanno facendo.<br />

E’ evidente che in tali situazioni, gli apprendimenti accademici (lettura,<br />

scrittura, calcolo), che comunque vanno sollecitati, assumono una valenza<br />

“abilitativa” non di per se stessi, ma per le facilitazioni di tutta una serie di<br />

funzioni ad essi associate (attenzione, percezione, controllo motorio, aderenza<br />

a specifiche richieste, rinforzo intrinseco).<br />

[B] nelle situazioni in cui il bambino mostri un soddisfacente livello<br />

comunicativo-linguistico, che nella maggioranza dei casi coincide con un<br />

livello cognitivo nei limiti o poco inferiore alla norma, la variabile critica nel<br />

definire le caratteristiche dell’intervento è rappresentata dalla disponibilità<br />

all’aggancio relazionale.<br />

[B.1.] Quando, infatti, la compromissione dell’interazione sociale risulti<br />

rilevante, il che si associa abitualmente con la presenza di comportamenti<br />

fortemente disadattivi (vedi dopo), il programma deve prevedere un’adeguata<br />

organizzazione delle attività; un’organizzazione che possa favorire la<br />

partecipazione del bambino e stimolare la sua iniziativa. In tale contesto<br />

emotivo-relazionale, vanno implementati sollecitazioni centrate sugli<br />

apprendimenti accademici, sul linguaggio e più in generale sulla<br />

comunicazione sociale.<br />

[B.2.] Quando la compromissione dell’interazione sociale risulti contenuta,<br />

va previsto un lavoro sulle competenze accademiche (lettura, scrittura e<br />

calcolo), integrato da programmi centrati sul linguaggio (strutture<br />

1 Uno dei più comuni sistemi di Comunicazione Alternativa è il Picture Exchange Communication<br />

System (PECS). Il PECS viene utilizzato con soggetti autistici per stimolare l’iniziativa nella<br />

comunicazione. Esso inizia con l’insegnare al bambino ad utilizzare la rappresentazione pittorica<br />

di un oggetto o di un evento per far comprendere all’altro ciò che gli interessa. Il metodo prevede<br />

progressivamente di insegnare al bambino la discriminazione di simboli e succesivamente la<br />

capacità di metterli insieme per formare delle “frasi” (Frost et al., 1994). Gli utilizzatori del<br />

metodo sostengono che esso non “blocca” l’emergenza del linguaggio verbale, ma anzi, quando<br />

questa sia una competenza possibile, la facilita (Carbone, 2000).<br />

66


grammaticali, componente narrativa del linguaggio e pragmatica) e più in<br />

generale sulla cognizione sociale. Si tratta, in pratica, di aiutare il bambino a<br />

“capire” e conoscere le regole che definiscono i rapporti interpersonali e più<br />

in generale le situazioni sociali.<br />

In termini curricolari gli obiettivi da perseguire sono i seguenti:<br />

♦ facilitare la consapevolezza delle intenzioni, delle preferenze e delle<br />

esperienze altrui;<br />

♦ facilitare la capacità di raccontare le proprie esperienze relative ad eventi<br />

passati e futuri, fornendo nel contempo informazioni sufficienti per<br />

l’ascoltatore;<br />

♦ sviluppare l’abilità di mantenere e di modificare il tema di conversazione<br />

secondo la prospettiva dell’ascoltatore (per es., stimolarlo a prendere<br />

coscienza delle preferenze, dello stato emotivo, delle conoscenze di base<br />

di chi ascolta);<br />

♦ sviluppare l’uso del linguaggio per mediare e risolvere conflitti e/o<br />

divergenze di opinioni<br />

♦ sviluppare l’uso del linguaggio per esprimere sentimenti ed empatia con<br />

gli altri;<br />

e per quel che riguarda gli aspetti linguistici:<br />

♦ facilitare l’uso di linguaggio più avanzato per esprimere le differenze di<br />

significato (per es., le congiunzioni e le proposizioni subordinate);<br />

♦ incoraggiare l’acquisizione di convenzioni verbali per iniziare le<br />

interazioni, per interagire a turno e per terminarle;<br />

♦ incoraggiare l’acquisizione dei segnali non verbali e paralinguistici per<br />

rinforzare le intenzioni sociali (per es., lo sguardo, la posizione del corpo,<br />

il volume della voce)<br />

♦ aumentare l’abilità di interpretare ed usare il linguaggio in modo flessibile<br />

secondo il contesto sociale e i segnali non verbali dell’interlocutore (per<br />

es., parole con significati molteplici, linguaggio figurativo, sarcasmo)<br />

AREA DEGLI INTERESSI E DELLE ATTIVITÀ<br />

In questa fascia di età i “sintomi” appartenenti al terzo elemento della triade<br />

dell’Autismo assumono particolare rilevanza e spesso interferiscono<br />

massivamente sul lavoro finalizzato a favorire l’emergenza di competenze nelle<br />

altre aree funzionali. Può trattarsi di stereotipie, dedizione assorbente ad interessi<br />

bizzarri, condotte auto- e/o eteroaggessive.<br />

Il “come” agire dipende ancora una volta dal livello di funzionamento generale<br />

del soggetto.<br />

[A] Nelle situazioni in cui persiste una marcata compromissione funzionale nelle<br />

aree della socialità, della comunicazione e delle funzioni cognitive, vanno<br />

considerate due possibilità.<br />

[A.1.] La prima possibilità prevede che molti dei comportamenti disadattivi<br />

rilevati sembrano assumere una funzione comunicativa: essi, cioè, esprimono<br />

una situazione di forte attivazione emotiva di segno negativo (disagio) o di<br />

segno positivo (euforia). É evidente che in questi casi il lavoro terapeutico è<br />

finalizzato ad “insegnare” al bambino forme espressive maggiormente<br />

67


congruenti ed esplicite, che possano peraltro aumentare in lui la<br />

consapevolezza “di capire e di farsi capire”. Considerando l’età e l’entità<br />

della compromissione funzionale, le strategie da prendere in considerazioni<br />

devono ispirarsi ai principi dell’ABA e della AAC.<br />

[A.2.] La seconda possibilità è rappresentata dalle situazioni in cui si realizza<br />

il carattere ripetitivo e perseverante tipico del funzionamento mentale di tipo<br />

autistico (= dedizione assorbente ad un interesse e/o ritualizzazione di<br />

un’attività). In tali situazioni il “come” agire non è individuabile in un<br />

intervento esclusivamente centrato sul comportamento in questione, ma più in<br />

generale in un’adeguata organizzazione del setting, che preveda<br />

l’introduzione di sollecitazioni alternative in grado di interrompere il circuito<br />

perseverante ed autosostenentesi, per ridirezionare l’attenzione sul nuovo<br />

stimolo. La scelta delle sollecitazioni alternative deve avvenire per “prova-ederrore”<br />

e quando individuato lo stimolo rispondente allo scopo devono essere<br />

create su di esso variazioni sul tema per mantenere una flessibilità degli<br />

schemi mentali.<br />

[B] Nelle situazioni in cui il livello comunicativo-linguistico risulti nel complesso<br />

soddisfacente, il terzo elemento della triade sintomatologica si realizza<br />

generalmente attraverso una dedizione adsorbente a particolari interessi o la<br />

ritualizzazione di particolari attività. Il livello di sviluppo comporta che tali<br />

atipie si configurino, in effetti, come contenuti ideativi perseveranti. Il<br />

“come” agire può in questi casi avvalersi del canale verbale per proporre al<br />

bambino contenuti ideativi diversificati o per favorire, quando possibile, una<br />

ristrutturazione del campo cognitivo.<br />

In tutti i casi, quando i comportamenti disadattivi assumono particolare rilevanza<br />

va presa in considerazione l’opportunità di un trattamento farmacologico secondo<br />

le indicazioni riportate nella specifica Sezione.<br />

3) La Scuola<br />

La scuola rappresenta uno spazio privilegiato nel progetto terapeutico, in quanto<br />

oltre a favorire gli apprendimenti accademici (lettura, scrittura, calcolo) permette<br />

di realizzare una parte di quel più generale programma finalizzato al<br />

miglioramento dell’interazione sociale, all’arricchimento della comunicazione<br />

funzionale ed alla diversificazione degli interessi e delle attività. Peraltro, la<br />

presenza dei coetanei rende l’ambiente scolastico il palcoscenico naturale, in cui il<br />

soggetto può generalizzare acquisizioni e competenze favoriti in setting strutturati<br />

in maniera terapeutica (terapia psicomotoria, logopedia, educazione strutturata in<br />

un rapporto uno a uno)<br />

[A] Nelle situazioni in cui persiste una marcata compromissione funzionale nelle<br />

aree della socialità, della comunicazione e delle funzioni cognitive,<br />

l’insegnante preposto alla presa in carico del soggetto deve “conoscere” le<br />

principali strategie di approccio (principi dell’ABA, dell’AAC, etc.) e, con<br />

l’aiuto degli operatori del Servizio, deve ad esse ispirarsi per la realizzazione<br />

degli obiettivi curriculari individuati in accordo alle esigenze del caso.<br />

[B] Nelle situazioni in cui il livello comunicativo-linguistico e cognitivo risultano<br />

nel complesso soddisfacenti la variabile critica sul “come” agire risulta<br />

determinata dalla disponibilità relazionale.<br />

68


[B.1.] Nelle situazioni di marcata compromissione di aggancio relazionale,<br />

abitualmente associate a comportamenti disadattivi, diventa determinante il<br />

ruolo degli operatori del Servizio. Essi, infatti, d’accordo con gli operatori<br />

scolastici devono definire un dispositivo spazio-temporale adeguato e<br />

individuare le modalità affettivo-relazionali più idonee per favorire il lavoro<br />

sugli apprendimenti accademici.<br />

[B.2.] Nel caso in cui il bambino presenti anche sul piano relazionale una<br />

soddisfacente possibilità di aggancio, il lavoro sugli apprendimenti<br />

accademici deve essere, comunque, integrato dalla valorizzazione dei<br />

momenti di interazione e scambio che la scuola solo può fornire per<br />

l’arricchimento della cognizione sociale. In questa prospettiva, risultano<br />

particolarmente utili gli incontri con gli operatori del Servizio nell’ambito dei<br />

quali essi possano illustrare agli insegnanti obiettivi prioritari del progetto.<br />

In termini curricolari gli obiettivi da perseguire sono quelli precedentemente<br />

indicati:<br />

♦ facilitare la consapevolezza delle intenzioni, delle preferenze e delle<br />

esperienze altrui;<br />

♦ facilitare la capacità di raccontare le proprie esperienze relative ad eventi<br />

passati e futuri, fornendo nel contempo informazioni sufficienti per<br />

l’ascoltatore;<br />

♦ sviluppare l’abilità di mantenere e di modificare il tema di conversazione<br />

secondo la prospettiva dell’ascoltatore (per es., stimolarlo a prendere<br />

coscienza delle preferenze, dello stato emotivo, delle conoscenze di base<br />

di chi ascolta);<br />

♦ sviluppare l’uso del linguaggio per mediare e risolvere conflitti e/o<br />

divergenze di opinioni<br />

♦ sviluppare l’uso del linguaggio per esprimere sentimenti ed empatia con<br />

gli altri;<br />

e per quel che riguarda gli aspetti linguistici:<br />

♦ facilitare l’uso di linguaggio più avanzato per esprimere le differenze di<br />

significato (per es., le congiunzioni e le proposizioni subordinate);<br />

♦ incoraggiare l’acquisizione di convenzioni verbali per iniziare le<br />

interazioni, per interagire a turno e per terminarle;<br />

♦ incoraggiare l’acquisizione dei segnali non verbali e paralinguistici per<br />

rinforzare le intenzioni sociali (per es., lo sguardo, la posizione del corpo,<br />

il volume della voce)<br />

♦ aumentare l’abilità di interpretare ed usare il linguaggio in modo flessibile<br />

secondo il contesto sociale e i segnali non verbali dell’interlocutore (per<br />

es., parole con significati molteplici, linguaggio figurativo, sarcasmo)<br />

<strong>II</strong>I.3. INDICAZIONI DI TRATTAMENTO PER L’ETA’ ADOLESCENZIALE<br />

Con l’adolescenza molti comportamenti possono subire un drastico<br />

miglioramento, mentre altri possono peggiorare notevolmente. Come per tutti gli<br />

adolescenti, anche i bambini con <strong>autismo</strong> crescendo fanno i conti con le difficoltà<br />

69


di adattamento al corpo che cambia, alla sessualità emergente, alle trasformazioni<br />

nei processi di pensiero e nelle capacità di osservazione e valutazione di sé e del<br />

mondo circostante. Le tensioni e il senso di confusione che accompagnano lo<br />

sviluppo puberale, possono determinare nell’adolescente autistico un incremento<br />

dell’isolamento, di comportamenti stereotipati o la comparsa di aggressività. Allo<br />

stesso tempo, per la maggiore sensibilità agli aspetti di confronto sociale che la<br />

fase di sviluppo comporta, l’adolescente con <strong>autismo</strong>, soprattutto se meno<br />

compromesso dal punto di vista cognitivo, può fare i conti per la prima volta con<br />

la consapevolezza delle proprie differenze rispetto ai coetanei (mancanza di amici,<br />

di interessi condivisibili, di progetti per il futuro). Questo aspetto può far<br />

emergere disturbi dell’umore, che necessitano spesso di un trattamento specifico.<br />

Va considerato che la variabilità espressiva di queste complesse dinamiche è tale<br />

che non possono essere fornite indicazioni prestabilite, ma bisogna<br />

necessariamente far ri<strong>corso</strong> a programmi personalizzati.<br />

IV. FARMACOTERAPIA<br />

Al momento la letteratura è concorde nell’affermare che non esistono farmaci<br />

specifici per la cura dell’<strong>autismo</strong> (attivi cioè sul disturbo dello sviluppo in sé).<br />

Pertanto, l’approccio farmacologico ha valenza sintomatica, nel senso che i<br />

farmaci possono essere usati su alcuni aspetti comportamentali associati con<br />

frequenza all’<strong>autismo</strong> (iperattività, inattenzione, compulsioni e rituali, alterazioni<br />

dell’umore, irritabilità, disturbi del sonno, auto- e etero-aggressività), oltre che nel<br />

caso di una sindrome epilettica.<br />

In linea generale gli obiettivi di un trattamento farmacologico devono essere:<br />

• il miglioramento della qualità della vita del bambino e della sua famiglia;<br />

• la facilitazione dell’accesso ai trattamenti non medici;<br />

• il potenziamento degli effetti dei trattamenti non medici;<br />

• la prevenzione di comportamenti auto e etero-aggressivi;<br />

• il trattamento di manifestazioni collaterali e associate in comorbidità.<br />

Non avendosi ancora dati sufficienti su trattamenti prolungati in età evolutiva,<br />

l'indicazione all'utilizzo del farmaco é quella di impiegarlo all’interno di cicli<br />

terapeutici definiti, con l’obiettivo di intervenire sulle fasi di acuzie o<br />

recrudescenza di sintomi particolarmente invalidanti, o con l’obiettivo di facilitare<br />

la mobilizzazione del quadro in alcune fasi critiche dello sviluppo del bambino,<br />

analogamente a quanto si fa per altri interventi terapeutici.<br />

La molteplicità fenomenica del disturbo autistico e le scarse conoscenze circa la<br />

patogenesi di tale disturbo giustificano i molteplici tentativi terapeutici con<br />

sostanze farmacologicamente anche molto diverse tra di loro, di cui si è cercato di<br />

volta in volta di sfruttare l'attività specifica su un sintomo. Le indicazioni del<br />

farmaco non devono però basarsi solo sui comportamenti o sintomi, ma devono<br />

prendere in considerazione i diversi nuclei psicopatologici. Il trattamento<br />

farmacologico deve quindi essere preceduto da una attenta analisi funzionale del<br />

disturbo, che evidenzi i nuclei bersaglio, che possono essere molto diversi nei vari<br />

soggetti anche con sintomatologia apparentemente sovrapponibile.<br />

70


Bisogna inoltre tener presente che le risposte ai farmaci sono molto differenziate<br />

nei singoli casi, e su queste influiscono anche l’età cronologica, il funzionamento<br />

cognitivo e eventuali componenti neurologiche conclamate.<br />

La scelta di un farmaco non deve mai essere l’unica opzione nel trattamento di<br />

questi disturbi: il farmaco deve essere inserito in un contesto terapeutico globale e<br />

le sue finalità, come anche gli eventuali effetti collaterali, devono essere<br />

chiaramente spiegate ai genitori (consenso informato). Occorre inoltre<br />

intensificare la frequenza dei controlli nel <strong>corso</strong> del trattamento farmacologico.<br />

E’ da ricordare l’inopportunità di basare il giudizio sulla efficacia di un farmaco<br />

su pochi casi o su una casistica di adulti.<br />

Al momento non c’è un farmaco che si sia dimostrato efficace in tutti i casi di<br />

<strong>autismo</strong> e resta ancora da provare la reale incidenza del trattamento farmacologico<br />

sulla storia naturale del disturbo autistico.<br />

Tra i più usati, e più ampiamente studiati, sono:<br />

Neurolettici (Aloperidolo, Clorpromazina, Risperidone, Pimozide) riducono<br />

l’agitazione, l’aggressività, i comportamenti ripetitivi e, conseguentemente,<br />

agiscono sulla chiusura relazionale. Tra i vecchi neurolettici l’Aloperidolo è il<br />

farmaco più studiato. La Pimozide produce un discreto effetto su manifestazioni<br />

comportamentali e condotte di ritiro. E' segnalata maggiore risposta nei soggetti<br />

con maggiore componente di apatia ed anergia. Sono necessari controlli<br />

cardiologici. I principali effetti collaterali dei neurolettici tradizionali sono:<br />

sedazione, irritabilità, manifestazioni distoniche o parkinsoniane, e, a più lungo<br />

termine, acatisia, comparsa di discinesie extrapiramidali, in particolare al<br />

momento della sospensione. Per tale motivo il loro impiego dovrebbe essere<br />

effettuato con cautela. Sono da usarsi come farmaci di seconda scelta, con uso<br />

limitato a condizioni di marcato eccitamento comportamentale, al dosaggio più<br />

basso efficace. E' opportuno inoltre valutare una loro sospensione al di fuori delle<br />

fasi acute.<br />

Sono in aumento le indicazioni all'utilizzo dei neurolettici atipici, sia nelle forme<br />

resistenti ai neurolettici tradizionali, sia come intervento di prima scelta. Hanno<br />

un’incidenza di effetti extrapiramidali molto inferiore e azione positiva nel ritiro<br />

relazionale, l'apatia e l'anergia. Tra i nuovi il Risperidone (antagonista sia<br />

serotoninergico che dopaminergico) è attualmente considerato tra i più efficaci,<br />

ma gli studi sono per ora poco numerosi. Sembra efficace sui disturbi del<br />

comportamento (aggressività, irritabilità, agitazione), sui comportamenti<br />

stereotipati e, in minor grado, sul deficit interattivo. Effetto collaterale importante<br />

è l’aumento di peso. L'Olanzapina presenta azione antagonista verso i recettori<br />

della serotonina e della dopamina. I pochi studi, ancora in <strong>corso</strong>, sul suo impiego,<br />

riferiscono miglioramenti nella regolarità del ritmo sonno-veglia e nel controllo<br />

dell'aggressività.<br />

Gli Inibitori Selettivi del Re-uptake della Serotonina (SSRI). Gli SSRI, quali<br />

la Fluoxetina, la Sertralina, la Paroxetina o la Fluvoxamina, incidono sui sintomi<br />

depressivi e ansiosi e sui comportamenti ossessivi e ritualistici presenti<br />

nell’<strong>autismo</strong>. Sono inoltre frequentemente utilizzati per contrastare l’isolamento,<br />

la chiusura relazionale, disinibire il comportamento, ridurre i disturbi<br />

comportamentali (autoaggressività - stereotipie), rendere il bambino più<br />

disponibile alle modificazioni ambientali o nelle routine quotidiane. La positività<br />

della risposta è spesso correlata con una familiarità per disturbo dell’umore. Sono<br />

71


inoltre indicati nelle forme depressive associate all’<strong>autismo</strong>. Effetti collaterali<br />

avversi, poco comuni, sono l’aumento dell’irritabilità, l’ansia, l’insonnia,<br />

l’agitazione. La Fluoxetina è la più studiata e utilizzata fin dall’età prescolare;<br />

contribuisce alla riduzione delle stereotipie e dei sintomi depressivi, migliorando<br />

l’umore e aumentando il livello di funzionamento; può indurre un aumento<br />

dell’ansia, dell’irritabilità e dei disturbi comportamentali, oltre alla riduzione<br />

dell’appetito.<br />

La Clorimipramina è indicata anche nel ridurre comportamenti ossessivi e<br />

ripetitivi, oltre che l’autoaggressività; è più adatta alla somministrazione in<br />

pazienti adulti, piuttosto che in bambini; può indurre convulsioni, oltre che<br />

incremento dell’ansia e irritabilità.<br />

La Clonidina, agonista dei recettori-2 adrenergici, si è dimostrato efficace nel<br />

controllo delle crisi di rabbia e attiva nei disturbi del sonno, ma andrebbe<br />

utilizzata nell'adolescente e a dosaggi non ipotensivi. Dopo qualche mese si<br />

sviluppa tolleranza al farmaco. La scarsa sperimentazione ne fa sconsigliare<br />

l'utilizzo come farmaco di prima scelta.<br />

Anche la Melatonina è usata nei disturbi del sonno associati all’<strong>autismo</strong>. La<br />

Melatonina ha contribuito in alcuni casi inoltre al miglioramento dell'umore, alla<br />

diminuzione delle stereotipie anche per periodi discretamente lunghi dopo la<br />

sospensione del farmaco, senza che si siano manifestati rilevanti effetti collaterali.<br />

Carbamazepina ed Acido Valproico, meno frequentemente il Litio, sono usati<br />

come stabilizzanti del tono dell’umore, indicati in presenza di comportamenti<br />

impulsivi, eteroaggressivi, grave iperattività, in quadri con sospetto di sindrome<br />

bipolare e/o familiarità per depressione o disturbo bipolare.<br />

Terapie vitaminiche ed altri supplementi nutrizionali. Si tratta di una serie di<br />

proposte che hanno avuto un grosso clamore negli anni passati. Il presupposto<br />

teorico è l'azione su un supposto disturbo metabolico nucleare, e la possibilità di<br />

stimolare l’attività cerebrale, dal momento che molte vitamine sono importanti<br />

coenzimi utilizzati all’interno delle cellule cerebrali. Sono state effettuate<br />

sperimentazioni relative al trattamento con vitamina B6, associata o meno a<br />

magnesio, e dimetilglicina e sono in <strong>corso</strong> lavori sulla secretina, peraltro non<br />

ancora sufficientemente validati. Attualmente l'efficacia terapeutica é molto<br />

criticata, anche per le carenze metodologiche di tali studi. Sono invece ben<br />

descritti i rischi tossici, quali neuropatie sensoriali, di trattamenti incongrui con<br />

iperdosaggi vitaminici.<br />

72


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L'<strong>autismo</strong> viene diagnosticato sulla base di alcune anomalie che possono essere sociali, di comunicazione e di tipo<br />

comportamentale, come le stereotipie.<br />

Intervista a Simon Baron-Cohen su <strong>autismo</strong> e teoria della mente<br />

Trento, 9-10 settembre 2000<br />

Perché l'<strong>autismo</strong> viene diagnosticato così tardivamente?<br />

Posso parlare per quella che è l'esperienza inglese, ma penso si possa generalizzare anche a quella italiana. Credo che una prima ragione<br />

sia che i medici di famiglia non hanno una formazione specifica e non riescono quindi a riconoscere precocemente l'<strong>autismo</strong>, ritenendola<br />

una patologia rara. In secondo luogo non esiste un metodo di screening specifico; ma la ragione principale è sicuramente che i sintomi a<br />

volte possono essere molto sfumati.<br />

Siamo convinti però che i problemi riconducibili all'<strong>autismo</strong> possano essere individuati verso i 18 mesi circa grazie al CHAT e può essere<br />

che in futuro avremo degli strumenti per individuarlo ancora prima.<br />

Cos'è il CHAT?<br />

Il CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) è un metodo di screening in grado di identificare precocemente i bambini affetti da <strong>autismo</strong>.<br />

Quando abbiamo proposto questo nuovo metodo qualcuno in Inghilterra ha obiettato che le probabilità di successo sarebbero state<br />

davvero molto basse. Il CHAT soddisfa i criteri che ogni metodo di screening deve garantire: deve essere economico in modo da poter<br />

essere usato su larga scala e facile da somministrare in modo che non imponga ulteriori disagi, stress, né al paziente né ai familiari;<br />

infine non deve essere doloroso. Il CHAT è un questionario suddiviso in due parti, la prima è composta da 9 domande che il medico<br />

generico pone ai genitori e una seconda parte, che riguarda più specificatamente il medico, dove viene osservato il bambino per<br />

confermare le risposte date dai genitori. Il questionario è stato sviluppato in modo tale da rendere impossibile, ad un bambino normale,<br />

di sbagliare le risposte; infatti tutti gli item rientrano pienamente nelle capacità di un bambino di 18 mesi di sviluppo normale. Il CHAT è<br />

un questionario molto veloce da compilare (5 minuti); inoltre abbiamo chiesto ai medici di non menzionare ai genitori il fatto che con<br />

questo questionario ci si propone di individuare eventuali disturbi correlati all'<strong>autismo</strong>.<br />

Quali sono gli item chiave del CHAT?<br />

Nella prima parte ci sono domande sul gioco di finzione e sul gioco dichiarativo: ad esempio "Il bambino finge mai di dare da mangiare al<br />

suo cucciolo?" oppure "Il bambino indica mai un oggetto per attirare l'attenzione?" La risposta alla domanda "Il bambino ha mai…." è<br />

sempre sì o no perché ciò che ci interessa individuare sono i casi più estremi.<br />

Nella seconda parte, che riguarda direttamente il medico, questi deve indicare qualcosa nella stanza e accertarsi se il bambino si gira per<br />

seguire il dito e vedere cosa viene indicato. Poi nel secondo item della parte B il medico invita il bambino a fare un gioco di finzione. Il<br />

terzo item prevede che il medico chieda "Dov'è la mamma?" per vedere se il bambino si gira verso la mamma.<br />

Il questionario è stato suddiviso in due parti (A e B) per avere un controllo vicendevole; infatti può accadere che i genitori riportino che il<br />

bambino non riesce a fare qualcosa, mentre il medico vede che è perfettamente in grado di farlo.<br />

Questo è un metodo per convalidare i risultati…<br />

Esattamente!<br />

Su quali basi può affermare che il CHAT è in grado di identificare bambini affetti da <strong>autismo</strong> già a 18 mesi?<br />

Tutti gli studi che abbiamo condotto hanno avvalorato le nostre ipotesi. Posso illustrarvi lo studio più significativo. Abbiamo somministrato<br />

il CHAT a 16.000 bambini all'età di 18 mesi e 2 anni dopo abbiamo ricontattato il maggior numero di questi bambini per valutare il loro<br />

sviluppo. Lo studio si è concluso con una terza fase in cui abbiamo rivalutato nuovamente i bambini (10000) con lo scopo di identificare i<br />

falsi negativi e i veri positivi.<br />

In questo studio abbiamo valutato 3 tipi di bambini: bambini ad alto rischio di sviluppo di <strong>autismo</strong> che sbagliavano tutti 5 gli item;<br />

bambini a rischio medio di sviluppo di <strong>autismo</strong> che sbagliavano gli item protodichiarativi ma avevano superato gli item chiave nel gioco di<br />

finzione; bambini che avevano superato tutti gli item chiave e quindi non c'era nessun rischio di <strong>autismo</strong>.<br />

Durante la prima somministrazione del CHAT sono stati identificati 38 bambini che hanno sbagliato tutti 5 gli item chiave, ma abbiamo<br />

ripetuto il CHAT entro 4 settimane e a questo punto solo dodici bambini hanno sbagliato nuovamente tutti 5 gli item.<br />

Nella seconda fase abbiamo rivalutato questi bambini e ne abbiamo trovati dieci affetti da <strong>autismo</strong>, uno con problemi di linguaggio e uno<br />

clinicamente normale.<br />

Abbiamo concluso che la mancanza dell'indicare dichiarativo e la mancanza di gioco di finzione ci portava ad avere dieci bambini su dodici<br />

cui si poteva fare una diagnosi precoce di <strong>autismo</strong>.<br />

Sbagliare tutti i 5 item chiave porta ad una probabilità di rischio di sviluppare l'<strong>autismo</strong> dell'80%.<br />

Per quanto riguarda il gruppo di bambini che sbagliavano gli item prodichiarativi ma che non manifestavano problemi nel gioco di finzione<br />

sono stati identificati 369 soggetti; anche in questo caso abbiamo ripetuto il CHAT dopo alcune settimane e solo 22 bambini rientravano<br />

in questo gruppo. Somministrando il CHAT per la terza volta due anni dopo, dieci bambini mostravano problemi riconducibili all'<strong>autismo</strong>.<br />

Altri 8 avevano semplicemente problemi di sviluppo generale di apprendimento.<br />

La diagnosi dei bambini ad alto e medio rischio valutati nuovamente a 42 mesi, cioè 2 anni dopo, rimane stabile, cioè la diagnosi fatta<br />

precocemente a 18 mesi non è cambiata. I bambini a basso rischio rimangono clinicamente normali.<br />

Il CHAT può essere considerato un metodo di diagnosi?<br />

No, il CHAT pur essendo un metodo di valutazione molto efficace, è un metodo di screening e non di diagnosi, perché può dare falsi<br />

negativi. In ogni caso se un bambino sbaglia tutti 5 gli item deve essere portato a fare una visita specialistica perché c'è un'altissima<br />

probabilità di sviluppo di <strong>autismo</strong>.<br />

Perché gli item chiave riguardano l'indicare dichiarativo e il gioco di finzione?<br />

Sono due comportamenti che anche in bambini autistici grandi sono assenti o molto ridotti; molti studi dimostrano che la mancanza di<br />

gioco di finzione e dell'indicare dichiarativo sono gli indicatori precoci di una probabile diagnosi di <strong>autismo</strong>. In una situazione normale un


ambino indica con l'indice senza parlare per comunicare, in particolare indica con due propositi: l'indicare imperativo per richiedere<br />

qualcosa e l'indicare dichiarativo per esprimere un commento su qualcosa. Ad esempio, un bambino può indicare un oggetto per dire<br />

"Prendimelo" o "Guarda". Questi due comportamenti sono molto diversi in quanto vogliono ottenere due risultati diversi. L'indicare<br />

dichiarativo è molto importante ai fini dell'<strong>autismo</strong> perché sappiamo che i bambini autistici più grandi indicano qualcosa sempre con<br />

l'intento di ottenerlo (indicare imperativo) e quasi mai per condividere il centro dell'attenzione (indicare dichiarativo).<br />

Perciò una delle domande che ci siamo posti era se il comportamento di bambini di età di 18 mesi che non indicavano per condividere un<br />

interesse o per esprimere un commento potesse essere indicativo di un futuro sviluppo dell'<strong>autismo</strong>. Normalmente i bambini usano<br />

l'indicare dichiarativo e imperativo già all'età di 14 mesi. Il secondo tipo di comportamento che abbiamo studiato è il gioco. Nei bambini<br />

normali abbiamo 3 livelli di gioco: sensomotorio, in cui il bambino esplora l'oggetto e il gioco per scoprirne le caratteristiche fisiche;<br />

funzionale, in cui il bambino organizza il gioco, usa l'oggetto per lo scopo per cui è stato costruito; di finzione, in cui il bambino introduce<br />

qualcosa di fantasioso, di suo.<br />

Ancora una volta, sulla base di studi condotti su bambini autistici grandi, sappiamo che essi sono in grado di svolgere i primi due livelli di<br />

gioco, ma nel terzo livello c'è una ridotta, se non completamente assente, capacità di introdurre elementi di fantasia.<br />

Abbiamo allora ipotizzato che nel caso di bambini non ancora diagnosticati come autistici, ma che avrebbero potuto sviluppare in seguito<br />

l'<strong>autismo</strong> avrebbero mostrato non solo l'assenza dell'indicare dichiarativo, ma anche l'assenza del terzo livello di gioco, cioè la finzione.<br />

Per dimostrare queste ipotesi abbiamo condotto uno studio che abbiamo definito del rischio elevato. La ragione per cui lo studio si<br />

chiama del rischio elevato è che, in questi bambini, cercavamo una maggiore componente genetica di sviluppare l'<strong>autismo</strong>.<br />

L'<strong>autismo</strong> quindi ha una base genetica?<br />

Sappiamo che l'<strong>autismo</strong> può avere una base genetica e lo sappiamo sulla base dello studio sui gemelli e per via del diverso rapporto tra i<br />

sessi. Per esempio sappiamo che due gemelli, di cui uno dei due è affetto da <strong>autismo</strong>, la possibilità che anche l'altro sia affetto da<br />

<strong>autismo</strong> arriva al 60%, mentre nel caso di due gemelli eterozigoti, se uno dei due è autistico, la probabilità che anche l'altro sia autistico<br />

scende al 2%. Lo studio sui gemelli suggerisce la possibile esistenza di fattori genetici. Per quanto riguarda il rapporto tra i sessi, esso<br />

risulta anomalo: ogni 4 bambini affetti da <strong>autismo</strong> ci sono 4 bambine affette da <strong>autismo</strong>, mentre abbiamo 10 bambini affetti da sindrome<br />

di Asperger per ogni bambina. Un'altra situazione che suggerisce un'implicazione genetica nella malattia è lo studio su fratelli e sorelle: se<br />

c'è un bambino autistico in famiglia c'è un maggior rischio che anche i fratelli o le sorelle possano esserlo. Vorrei illustrarvi brevemente lo<br />

studio del rischio elevato cui accennavo prima. Ci siamo concentrati su fratelli e sorelle di bambini autistici all'età di 18 mesi. Abbiamo<br />

suddiviso i bambini in due gruppi: il primo gruppo composto di bambini di 18 mesi scelti casualmente tra quelli che venivano portati dal<br />

medico per una visita normale di controllo; il secondo gruppo, a più alto rischio genetico, era composto da bambini di 18 mesi che<br />

avevano un fratello o una sorella più grandi a cui era già stato diagnosticato l'<strong>autismo</strong>. Tutti i bambini sono stati valutati con il CHAT. Lo<br />

studio è stato suddiviso in due parti: una valutazione dei bambini a 18 mesi e un anno dopo quando abbiamo contattato le famiglie per<br />

sapere se il bambino era stato portato dal medico per sintomi che potevano essere riconducibili all'<strong>autismo</strong> e avevamo previsto che in<br />

questo secondo gruppo avremmo travato 2 bambini affetti da <strong>autismo</strong>. Dai risultati è emerso che nel primo gruppo nessun bambino ha<br />

fallito nei 5 item chiave del CHAT e 1 anno dopo nessuno di questi bambini era stato portato dal medico per ritardi nello sviluppo. Nel<br />

secondo gruppo 4 bambini hanno fallito tutti 5 gli item chiave e 1 anno dopo tutti e 4 sono stati portati dal medico per ulteriori indagini e<br />

trovati autistici.<br />

Che cosa si intende per psicologia intuitiva e fisica intuitiva? Quali implicazioni hanno questi due concetti con l'<strong>autismo</strong>?<br />

La psicologia intuitiva, definita anche teoria della mente, si riferisce alla comprensione normale che si ha della gente. Quando utilizziamo<br />

la psicologia intuitiva facciamo riferimento a dei concetti intenzionali, a sensazioni, emozioni degli altri per capirne e prevederne i<br />

comportamenti. Al contrario la fisica intuitiva ci permette di spiegare il meccanismo e la causa degli eventi che ci circondano. Questi<br />

aspetti dell'intelligenza sono molto importanti e, al contempo, implicano però un diverso tipo di intelligenza. Da un lato abbiamo<br />

un'intelligenza sociale che richiede il riferimento a degli stati mentali e, dall'altra, abbiamo l'intelligenza fisica. Questi due aspetti sono<br />

molto importanti per lo sviluppo del bambino.<br />

Lo sviluppo della psicologia intuitiva e della fisica intuitiva avviene in modo indipendente, tanto da sviluppare differenti stili cognitivi: il<br />

primo è da ritrovarsi in quelle persone il cui sviluppo della psicologia intuitiva avviene alla stessa velocità della fisica intuitiva; in altre<br />

parole la comprensione delle persone e delle cose viaggia alla stessa velocità. Il secondo è quello di soggetti in cui la psicologia intuitiva<br />

si sviluppa a velocità superiore rispetto alla fisica intuitiva, in altre parole questi soggetti capiscono di più le persone di quanto non<br />

capiscano il mondo fisico che li circonda. Il terzo stile cognitivo che possiamo ipotizzare è al contrario quello di soggetti in cui la psicologia<br />

intuitiva si sviluppa ad una velocità inferiore rispetto alla fisica intuitiva, in altre parole queste persone capiscono meglio le cose, le<br />

macchine che non le persone. Siamo in grado di dimostrare che persone affette da una qualche forma di <strong>autismo</strong> hanno un particolare<br />

stile cognitivo. In queste persone la fisica intuitiva è intatta o a volte superiore, mentre la psicologia intuitiva o la teoria della mente è in<br />

qualche modo compromessa.<br />

Quali sono le diverse fasi dello sviluppo della psicologia intuitiva nei bambini affetti da <strong>autismo</strong>?<br />

Il primo aspetto che descrivo è quello dell'attenzione condivisa cioè un comportamento grazie al quale un bambino condivide un centro di<br />

attenzione con un'altra persona. Vediamo i primi segni di attenzione condivisa attorno ai 9/14 mesi. Un esempio di attenzione condivisa è<br />

il controllo dello sguardo: il bambino controlla lo sguardo dell'adulto e se l'adulto si gira da un'altra parte il bambino segue il suo sguardo.<br />

Si tratta di un riflesso sociale che si instaura a 9 mesi nei bambini di qualsiasi cultura; invece, sulla base di studi sistematici, sappiamo<br />

che soggetti autistici mostrano una ridotta, se non assente, capacità di controllare lo sguardo. Un secondo esempio di attenzione<br />

condivisa è l'indicare, cioè il bambino indica con l'indice per attirare l'attenzione dell'adulto e per condividere un'esperienza. Mentre in<br />

bambini di ogni cultura questo atteggiamento appare verso i 9 mesi, nei soggetti autistici si è notata una riduzione a livello quantitativo<br />

se non un'assenza totale dell'indicare dichiarativo. Con l'attenzione condivisa possiamo sostenere che il bambino mostra sensibilità per la<br />

mente di un'altra persona perché segue ciò che interessa ad un'altra persona oppure cerca di dirigere l'attenzione di un'altra persona<br />

verso ciò che interessa al bambino. Questo è un segno molto precoce della sensibilità del bambino nei confronti della prospettiva<br />

dell'altro. Mentre nei bambini autistici, quando cominciamo a vedere delle difficoltà in questo ambito dell'attenzione congiunta, allora<br />

possiamo pensare che ci siano delle difficoltà della psicologia intuitiva e quindi di ridotta sensibilità nei confronti della mente degli altri.<br />

Il secondo aspetto dello sviluppo della psicologia intuitiva è il gioco di finzione. I primi segni di gioco di finzione nei bambini normali si<br />

intravede verso i 14 mesi quando il bambino introduce degli aspetti fantasiosi in quello che fa o agli oggetti. Ad esempio, il bambino può<br />

utilizzare la penna come un missile e farlo volare nella stanza o come un cucchiaino e fare finta di mangiare, ma in ogni momento il<br />

bambino è ben consapevole della differenza che esiste tra la vera identità della penna come penna e la qualità di finzione che è quella del<br />

missile e del cucchiaino. Sulla base di studi condotti su bambini autistici sappiamo che c'è una ridotta capacità di fingere nel gioco, se non<br />

completamente assente. Il gioco di finzione è importantissimo per lo sviluppo della psicologia intuitiva perché quando il bambino gioca<br />

fingendo deve riflettere sul proprio stato mentale. Quando il bambino cerca di capire il gioco di finzione di un suo interlocutore deve in un<br />

certo senso mettersi nei panni dell'altra persona per capirne lo stato mentale. Se si esamina il contenuto dei discorsi di bambini al<br />

secondo anno di vita ci sono molte parole che si riferiscono alla mente degli altri, ai loro pensieri, alle loro sensazioni.<br />

Ci può fare un esempio?


Certo, questa è una frase di mia figlia quando aveva 3 anni: "Sai una cosa? La mamma credeva che io stessi dormendo, ma io facevo<br />

finta". E questa è una frase tipica di bambini di questa età in cui si fa riferimento ai pensieri e all'immaginazione dell'altro. Degli studi<br />

condotti a Boston sembrano indicare che in bambini affetti da <strong>autismo</strong>, quando cominciano a parlare, c'è un numero minore di parole che<br />

si riferiscono alla mente e agli stati mentali delle altre persone rispetto al numero di parole in bambini normali.<br />

Ritornando alle fasi di sviluppo della psicologia intuitiva intorno ai 3 anni il bambino è in grado di dimostrare che comprende e che vedere<br />

porta a conoscere. E' possibile valutare la comprensione del bambino raccontandogli una brevissima storia. Ci sono due bambole Sally e<br />

Anne. Sally tocca la scatola mentre Anne guarda dentro la scatola poi domandiamo al bambino quale delle due bambole sa cosa c'è<br />

dentro la scatola. Ci sono molti studi che dimostrano che già a 3 anni i bambini sanno rispondere che Anne sa cosa c'è dentro la scatola.<br />

E se si chiede perché Anne sa, il bambino dice che Anne sa perché ha guardato dentro la scatola. Se facciamo lo stesso test a bambini<br />

autistici anche più grandi, essi hanno grosse difficoltà e hanno la stessa probabilità di scegliere Sally o Anne.<br />

Questo aspetto della psicologia intuitiva del "vedere come conoscere" è un importante mattone per costruire la comprensione del<br />

bambino nei confronti delle altre persone nel riuscire a capire ciò che loro sanno. Questo è molto importante nella comunicazione perché<br />

quando comunichiamo solitamente vogliamo informare le persone di qualcosa di nuovo, ma per fare questo dobbiamo sapere ciò che gli<br />

altri già sanno o non sanno. Noi sappiamo che i bambini autistici raccontano all'interlocutore informazioni che già sa. E questo potrebbe<br />

suggerire che il bambino autistico non è in grado di tenere conto di ricordare quelli che sono i bisogni dell'interlocutore. Un'altra<br />

espressione di questa incapacità si può avere quando il bambino autistico dà troppe o troppo poche informazioni affinchè l'interlocutore<br />

possa seguirlo.<br />

L'ultima fase dello sviluppo della psicologia intuitiva del bambino è l'inganno, che ha molta pertinenza per quanto riguarda la<br />

comprensione della mente degli altri, perché quando il bambino inganna il suo scopo è quello di cambiare i pensieri dell'interlocutore e<br />

sappiamo che i bambini normali cominciano a mostrare interesse per l'inganno verso i 4 anni. Nell'inganno il bambino cerca di convincere<br />

il suo interlocutore che una cosa è vera quando invece non lo è. Questo è importantissimo perché dimostra che il bambino capisce<br />

benissimo che ci sono persone diverse con pensieri differenti e che è possibile manipolarne i pensieri. Invece studi sui bambini autistici<br />

hanno dimostrato che sono bambini molto sinceri, che non vedono la necessità di ingannare e inoltre hanno difficoltà a capire che<br />

qualcun altro li sta ingannando. L'inganno più sofisticato è forse sì un segno poco morale ma salutare perché la psicologia intuitiva del<br />

bambino si sta sviluppando bene. Una conseguenza pratica di ciò è che i bambini autistici possono essere vulnerabili alle<br />

strumentalizzazioni degli altri. Queste evidenze dimostrano che i bambini autistici hanno delle difficoltà o dei ritardi nella psicologia<br />

intuitiva.<br />

E' possibile valutare il grado di sviluppo della psicologia intuitiva e della fisica intuitiva?<br />

Abbiamo proposto un test per adulti per valutare il livello raggiunto nella psicologia intuitiva nel quale presentiamo alla persona 25<br />

fotografie e chiediamo quale parola descrive meglio il pensiero o l'emozione di ogni foto sulla base di poche informazioni che vengono<br />

date solo da una parte del viso, cioè gli occhi. Quando abbiamo somministrato questo test ad un gruppo di adulti normali questi<br />

pensavano di non essere in grado di dare risposte giuste, invece c'è stato un alto grado di accordo nelle risposte date. Gli uomini normali<br />

danno 18 risposte corrette su 25, mentre le donne danno 21 risposte corrette su 25, cioè i maschi danno un numero di risposte corrette<br />

inferiore alle femmine. Il gruppo di adulti affetti da <strong>autismo</strong> con intelligenza normale ottiene un punteggio significativamente più basso<br />

rispetto a quello degli adulti normali (16 risposte su 25). Il gruppo di controllo affetto dalla sindrome di Tourette che provoca difficoltà nel<br />

controllo delle proprie azioni e del linguaggio, ottiene invece risultati nella media. Questo suggerisce che anche adulti con <strong>autismo</strong> e<br />

intelligenza normale o superiore alla media possono avere difficoltà nella psicologia intuitiva.<br />

Per quanto riguarda lo sviluppo della fisica intuitiva abbiamo somministrato ai bambini un test di 20 domande di fisica intuitiva. Abbiamo<br />

confrontato bambini con sindrome di Asperger tra gli 8/12 anni d'età con un gruppo di soggetti normali tra 8/16 anni; i risultati del test<br />

dimostrano che il gruppo di bambini con sindrome di Asperger ha fatto meglio del gruppo di bambini normali: 16 risposte corrette su 20 i<br />

primi e solo 10 su 20 i secondi. Questi test dimostrano che le persone affette da una qualche forma di <strong>autismo</strong> hanno un particolare stile<br />

cognitivo, la fisica intuitiva è intatta o a volte superiore, mentre la psicologia intuitiva o teoria della mente è in qualche modo<br />

compromessa.<br />

Se l'<strong>autismo</strong> è una condizione biologia, qual è la parte del cervello maggiormente e direttamente coinvolta nello sviluppo<br />

o nell'assenza della psicologia intuitiva?<br />

Le aree del cervello che svolgono un ruolo nella psicologia intuitiva sono: la corteccia orbito frontale: usando un particolare tipo di<br />

tomografia è stato dimostrato che quando una persona pensa allo stato mentale o ai pensieri di un'altra persona, l'attività di quest'area<br />

aumenta. La regione medio frontale: attraverso la tomografia ad emissione di positroni è emerso che quando un soggetto normale legge<br />

una storia e deve capire uno stato mentale usa questa parte del cervello, invece in soggetti con <strong>autismo</strong> o sindrome di Asperger c'è una<br />

ridotta attività in questa area. Il lobo temporale e precisamente il solco superiore, una regione importante per il giudizio sociale. L'ultima<br />

area importante per lo sviluppo della psicologia intuitiva è l'amigdala, che si trova nel sistema limbico del cervello e secondo alcuni<br />

studiosi è il centro emotivo della persona; mostrando la stessa fotografia a soggetti normali e a soggetti affetti da sindrome di Asperger<br />

abbiamo visto, attraverso la risonanza magnetica, che quando un soggetto deve giudicare delle emozioni o uno stato d'animo della foto<br />

guardando gli occhi, c'era nei soggetti normali un aumento dell'attività dell'amigdala, mentre nei soggetti autistici o con sindrome di<br />

Asperger c'era una ridotta attività o addirittura un'assenza totale dell'attività dell'amigdala. Questa potrebbe essere la dimostrazione che<br />

c'è una rete complessa di aree del cervello che sono coinvolte nella psicologia intuitiva.<br />

La ringraziamo per la sua disponibilità e speriamo di poterLa avere nuovamente come nostro ospite in futuro.<br />

Grazie a voi….<br />

(Intervista a cura di Silvia Dalla Zuanna e Sofia Cramerotti)<br />

Documento consultabile sul sito: www.erickson.it


AZIENDA<br />

U N I T À<br />

SANITARIA<br />

LOCALE<br />

REGGIO<br />

EMILIA<br />

DIAPRTIMENTO SALUTE MENTALE<br />

S.O.C. di NEUROPSICHIATRIA INFANTILE<br />

CENTRO PER L’AUTISMO E I DPS<br />

Il Centro per l’Autismo e i DPS dell’AUSL di Reggio Emilia ha curato la traduzione della CHAT<br />

(Checklist for Autism in Toddlers), strumento di screening molto sensibile alla formulazione di un<br />

sospetto di <strong>autismo</strong> a 18 mesi di età, meno sensibile alla diagnosi degli altri disturbi dello spettro<br />

autistico. Tale traduzione è stata pubblicata negli Atti del Congresso Nazionale “L’Angelo ferito,<br />

il bambino autistico, la sua famiglia, la rete dei servizi”, Rimini, ottobre 2000 (in:<br />

http://www.<strong>autismo</strong>triveneto.inews.it/angelo.htm ).<br />

Il Centro Autismo ha utilizzato tale strumento per organizzare – già dal 1998 – un primo incontro<br />

informativo con i pediatri di famiglia sull’<strong>autismo</strong>, allo scopo di costruire insieme un per<strong>corso</strong><br />

operativo per la diagnosi precoce, uno degli obiettivi principali del modello organizzativo di Reggio<br />

Emilia.<br />

Esiste ormai una ricca letteratura internazionale che sottolinea l’importanza della precocità della<br />

diagnosi per attivare repentinamente un piano di trattamento educativo e abilitativo,<br />

evidenziando come un intervento precoce con settings educativi ottimali comporti un aumento<br />

delle capacità dei bambini autistici, sia in termini di sviluppo del linguaggio che delle<br />

performances intellettive, con il vantaggio di ottenere anche una significativa riduzione dello<br />

stress e dell’angoscia familiare.<br />

Con queste premesse siamo giunti all’organizzazione dello screening per l’<strong>autismo</strong>, in<br />

collaborazione tra FIMP e AUSL di Reggio, grazie all’inserimento dello strumento CHAT negli<br />

screening effettuati dai Pediatri di Libera Scelta.<br />

Caratteristiche e uso della CHAT (Checklist for Autism in Toddlers)<br />

L’<strong>autismo</strong> è chiaramente considerato come uno dei più severi disturbi neuropsichiatrici della<br />

popolazione infantile e d’altra parte normalmente viene diagnosticato relativamente tardi,<br />

raramente prima dei tre anni di età e questo a dispetto del fatto che esiste un consenso<br />

sull’opinione che esso si instauri nel periodo pre – perinatale.<br />

Gli Autori dello strumento CHAT sono Simon Baron-Cohen di Cambridge, Toni Cox, Gillian Baird,<br />

Auriol Drew, Kate Morgan e Natasha Nightingale del Guys Hospital; Tony Charman del London<br />

College University e John Swettenhan del Goldsmith; ne hanno effettuato la standardizzazione<br />

con la collaborazione di 300 Assistenti Sanitarie Visitatrici (A.S.V.) e 30 General Pratictioners<br />

(Pediatri di Libera Scelta anglosassoni) per la raccolta dati.<br />

Lo strumento, validato in Inghilterra su una popolazione di 16.000 bambini, è stato studiato per<br />

essere utilizzato da operatori di base (Pediatri di LS e Assistenti Sanitarie Visitatrici), con<br />

scarse possibilità di errore.<br />

A livello pratico è importante tener conto che la CHAT è uno strumento agile e veloce da<br />

somministrare, dall’età di 18 mesi, soprattutto in considerazione della poca disponibilità di tempo<br />

che hanno i PLS, nella loro pratica standard.<br />

La CHAT si compone di due sezioni distinte, una composta da domande da porre ai genitori e una<br />

da osservazioni dirette del Pediatra, relativamente ai vari aspetti dello sviluppo.


Procediamo esaminando per prima la sezione A ( domande per i genitori ):<br />

1) “Il vostro bambino trova piacevole essere cullato, gli piace ballare, saltare sulle vostre<br />

ginocchia?” Domanda relativa al piacere del gioco motorio e del gioco condiviso<br />

2) “Vostro figlio si interessa agli altri bambini?” Questo item indaga l’ambito della<br />

socializzazione ed è fondamentale, visto che proprio questa è gravemente compromessa<br />

nell’<strong>autismo</strong><br />

3) “Gli piace arrampicarsi sui mobili o sulle scale? indaga sullo sviluppo motorio<br />

4) “Si diverte a fare giochi tipo Cucù o nascondino?” Questo item indaga nell’ambito del gioco<br />

sociale ed è inserito in quanto predittivo, visto che i bambini autistici non sono in grado di<br />

rispondere a questo item e sono comunque sempre riluttanti ad iniziare un tipo di interazione<br />

sociale<br />

5) “Ogni tanto gioca a “far finta” di preparare la pappa o di mettere a nanna la bambola o<br />

altro ?” Si considerano le abilità acquisite del gioco simbolico. C’è una evidente anormalità in<br />

questo campo nell’<strong>autismo</strong> visto che i bambini autistici sono sempre in difficoltà ad impegnarsi<br />

in tutto ciò che ha attinenza col far finta, anche rispetto all’uso di oggetti ai quali si<br />

dovrebbero attribuire altre identità e/o proprietà<br />

6) “Ogni tanto usa il dito indicando per CHIEDERE qualcosa?” Questa domanda chiede di<br />

verificare se il bambino è in grado di indicare per chiedere (indicazione protorichiestiva).<br />

Questo è un importante gesto protoverbale di comunicazione, il bambino dovrebbe saper<br />

richiamare l’attenzione di una persona per ottenere qualcosa attraverso l’indicazione. Qualche<br />

bambino autistico può in effetti mostrare di possedere la capacità di indicare ma per un<br />

presupposto non legato all’interazione sociale.<br />

7) “Ogni tanto usa il dito per INDICARE INTERESSE per qualcosa?” Questa domanda invece<br />

indaga la capacità di indicare per interesse o per mostrare ( cioè se il bambino sa usare<br />

l’indicazione come gesto protodichiarativo), capacità che nell’<strong>autismo</strong> è carente. In effetti<br />

l’indicare per interesse è un importante gesto di attenzione congiunta che il bambino usa nel<br />

momento in cui fa asserzioni su un oggetto. In questo modo noi possiamo trovare che all’età di<br />

18 mesi può essere assente l’abilità di indicare per interesse ma salva la capacità di indicare<br />

per chiedere. La CHAT valuta per questo motivo tutte e due le forme dell’indicazione in<br />

quanto comunque predittive; per lo stesso motivo è utile la distinzione fra il gioco funzionale, il<br />

gioco del Cucù e il gioco del far finta.<br />

8) “E’ in grado di giocare in modo appropriato con giocattoli (es. macchinine o mattoncini)<br />

oltre che metterli in bocca o manipolarli o farli cadere?” Indaga le abilità del gioco<br />

funzionale.<br />

9) “Il vostro bambino ogni tanto vi porge oggetti per MOSTRARVI qualcosa?” Indaga<br />

l’attenzione congiunta e il gesto del mostrare, in genere assenti nell’<strong>autismo</strong>.


Questi items non sono normalmente presenti in altri screening di sviluppo, anche se il gioco<br />

simbolico, del far finta e l’interesse per il comportamento degli altri sono o dovrebbero essere<br />

universalmente presenti nella popolazione di 18 mesi di età.<br />

Gli Autori ritengono che l’assenza di questi comportamenti possa costituire in specifico un chiaro<br />

indicatore di <strong>autismo</strong> e di disordini correlati.<br />

Infine un dato significativo, in merito alla sezione A, è che si è avuto cura di sistemare la stesura<br />

della compilazione degli items, in modo che si possa rispondere in termini di Si/No, in maniera<br />

variata. In altre parole si è voluto evitare ai genitori di trovarsi di fronte ad una deprimente<br />

sequenza di risposte No.<br />

La sezione B è la sezione di osservazione di competenza dei Pediatri di LS.<br />

Il primo punto da rilevare è che alcuni degli items che la compongono corrispondono agli stessi<br />

della sezione A.<br />

Per esempio :<br />

• l’item B2 osserva la capacità di ottenere l’attenzione congiunta nel bambino, come l’item A<br />

9;<br />

• l’item B 3 è una domanda relativa al gioco di far finta , dove il Pediatra deve proporre un<br />

gioco al bambino in cui si fa finta di fare la pappa usando un servizio da tavola (giocattolo) o<br />

altri giochi; questa è quindi una proposta che ha corrispondenza con la domanda sul gioco<br />

del far finta presente nella sezione destinata ai genitori (A 5)<br />

• l’item B 4 indaga sulla capacità di produrre un gesto protodichiarativo (correlato ad A<br />

7).<br />

In questo modo (attraverso quindi la comparazione fra le due sezioni) siamo in grado di valutare<br />

se i genitori hanno sovra o sottostimato le performances dei loro figli.<br />

Anche nella sezione B, abbiamo poi una domanda relativa all’uso del contatto visivo, che sappiamo<br />

essere anormale nell’<strong>autismo</strong> (item B 1).<br />

E infine una indicazione di base sullo sviluppo del bambino attraverso la richiesta della<br />

costruzione di una torre di cubi (B 5).<br />

Nello studio epidemiologico gli items predittivi di rischio grave di <strong>autismo</strong> sono stati A 5 - B<br />

3 ( gioco del far finta ), A 7 - B 4 (indicazione protodichiarativa) e B 2 (monitoraggio dello<br />

sguardo). I bambini con questo profilo venivano fatti rientrare nel gruppo a rischio grave di<br />

<strong>autismo</strong>.<br />

Come per la maggior parte degli screening mirati alla sorveglianza sulla salute pubblica, un caso è<br />

stato definito positivo per il rischio di <strong>autismo</strong> se aveva fallito la CHAT iniziale ed una successiva<br />

somministrata circa 1 mese più tardi.<br />

Sono stati definiti a rischio moderato di <strong>autismo</strong> i bambini che avevano fallito gli item A7 e B4<br />

(indicazione protodichiarativa).<br />

I bambini con sospetto di ritardo del linguaggio o ritardo mentale e non di disturbo autistico sono<br />

stati quelli che hanno fallito più di 3 insuccessi in qualsiasi item.<br />

Il gruppo dei bambini normali ha superato tutti gli items significativi o hanno presentato meno di<br />

3 insuccessi in qualsiasi item.<br />

Una successiva valutazione clinica, a 3 anni di età, dei 12 bambini con sospetto di <strong>autismo</strong>,<br />

effettuata con gli strumenti diagnostici specifici, ha confermato la diagnosi di <strong>autismo</strong> per 10<br />

bambini, mentre gli altri 2 rientravano nello spettro autistico.


Gli studi più recenti hanno confermato la validità della CHAT per lo screening di <strong>autismo</strong>, in<br />

quanto ha mostrato un’alta specificità e una elevata predittività, mentre la sensibilità sembra<br />

insoddisfacente, per la presenza di una significativa percentuale di falsi negativi; continua la<br />

ricerca per l’individuazione di strumenti ancora più sensibili per l’<strong>autismo</strong>, i PDD-NOS, <strong>autismo</strong><br />

atipico e la Sindrome di Asperger.<br />

Il materiale da utilizzare in ambulatorio consiste in una scatola di cubetti di circa 2 cm di lato<br />

(per fare la torre) e in un servizio da pappa da bambole (piattini, cucchiaini, bicchieri) per far<br />

finta di far da mangiare; in alternativa può servire anche il gioco della fattoria degli animali con<br />

cui fare azioni varie per finta (correre , mangiare, metterli nella stalla) o la bambola (vestirla,<br />

metterla a dormire, darle la pappa) o infine il Didò e alcuni bastoncini con cui fare una torta con<br />

le candeline e far finta di festeggiare la festa di compleanno. La scelta viene lasciata al Pediatra.<br />

Su richiesta degli interessati possiamo organizzare la visione di un video, girato ad hoc con<br />

nostre collaboratrici e il figlio di 18 mesi di una di loro, con l’applicazione dal vero della CHAT,<br />

della durata di circa 15’.<br />

Di seguito si allega la CHAT con il nome e cognome del soggetto esaminato, da stampare su fronte<br />

e retro e i punteggi da assegnare.<br />

Legenda punteggi:<br />

• Rischio grave di <strong>autismo</strong>: insuccesso negli item A5 - B3 (gioco simbolico, del<br />

far finta), A7 - B4 (indicazione protodichiarativa), B2 (attenzione congiunta)<br />

• Rischio moderato di <strong>autismo</strong>: insuccesso solo negli item A7 - B4 (indicazione<br />

protodichiarativa)<br />

• Rischio per altri Disturbi dello Sviluppo: più di 3 insuccessi in qualsiasi item<br />

• Nei limiti della norma: meno di 3 insuccessi in qualsiasi item


AZIENDA<br />

U N I T À<br />

SANITARIA<br />

LOCALE<br />

REGGIO<br />

EMILIA<br />

DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE<br />

S.O.C. di NEUROPSICHIATRIA INFANTILE<br />

CENTRO PER L’AUTISMO E I DPS<br />

C.H.A.T.: CHECKLIST per i DISTURBI di SVILUPPO<br />

COGNOME _____________________ NOME _____________________ sesso M F<br />

Data di nascita_ _/_ _/_ _ I° somministrazione _ _/_ _/_ _<br />

Sezione A: DOMANDE AI GENITORI<br />

<strong>II</strong>°somministrazione _ _/_ _/_ _<br />

1. Al vostro bambino piace essere cullato, fatto saltellare sulle ginocchia? SI NO<br />

2. Vostro figlio si interessa agli altri bambini? SI NO<br />

3. Gli piace arrampicarsi sui mobili o sulle scale? SI NO<br />

4. Si diverte a fare giochi tipo “cucù o nascondino”? SI NO<br />

5. Ogni tanto gioca a “FAR FINTA” di preparare da mangiare o altro? SI NO<br />

6. Ogni tanto usa il dito indicando per CHIEDERE qualcosa? SI NO<br />

7. Ogni tanto usa il dito per indicare interesse per qualcosa,<br />

richiamando la vostra attenzione?<br />

8. E’ in grado di giocare in modo appropriato con giocattoli (es. macchinine o<br />

mattoncini), oltre che metterli in bocca o manipolarli o farli cadere?<br />

SI NO<br />

SI NO<br />

9. Il vostro bambino ogni tanto vi porge oggetti per MOSTRARVI qualcosa? SI NO


Sezione B: OSSERVAZIONE DIRETTA<br />

1. Durante la visita il bambino vi guarda negli occhi?<br />

2. E’ possibile ottenere l’attenzione del bambino, poi indicare con il dito<br />

un oggetto interessante dentro alla stanza, dite “Oh, guarda, c’è un…<br />

(nominare l’oggetto)”. Il bambino guarda ciò che voi state indicando?<br />

Per rispondere ‘SI’ assicurarsi che il bambino non solo guardi voi e la vostra<br />

mano, ma che effettivamente guardi verso l’oggetto indicato: si evidenzia un<br />

comportamento di attenzione congiunta<br />

3. E’ possibile ottenere l’attenzione del bambino e coinvolgerlo in un<br />

gioco di far finta ( ad esempio se con un cucchiaino e un piattino si fa<br />

finta di mescolare la pappa, di darla da mangiare al bimbo, fa finta<br />

anche lui di farlo o di mangiarla lui stesso, darla alla mamma, ecc.?)<br />

La risposta è positiva anche se riuscite ad attivare un altro gioco di far finta<br />

(festa di compleanno, gioco della fattoria con gli animali)<br />

4. Chiedendogli “Dov’è la luce?” o “Mostrami la luce” o ripetendo la<br />

domanda con altri oggetti conosciuti, il bambino INDICA verso la luce o<br />

l’oggetto e contemporaneamente vi guarda in faccia?<br />

Si evidenzia un comportamento di attenzione congiunta<br />

5. Il bambino riesce a fare una torre?<br />

Se sì, con quanti cubetti? _____<br />

PUNTEGGI (vedi legenda)<br />

I° somministrazione <strong>II</strong>° somministrazione<br />

l_l A5 – B3, A7 – B4, B2<br />

l_l A7 – B4<br />

l_l > di 3 insuccessi in qualsiasi item<br />

l_l < di 3 insuccessi in qualsiasi item<br />

SI NO<br />

SI NO<br />

SI NO<br />

SI NO<br />

SI NO<br />

l_l A5 – B3, A7 – B4, B2<br />

l_l A7 – B4<br />

l_l > di 3 insuccessi in qualsiasi item<br />

l_l < di 3 insuccessi in qualsiasi item


CHILDOOD AUTISM RATING SCALE ( C.A.R.S.)<br />

La CARS: per chi e per quali usi<br />

La CARS è risultata un valido strumento sia quando è stata applicata in contesti diversi, sia quando è<br />

stata utilizzata per fare uno screening da parte di una varietà di persone opportunamente istruite che<br />

non necessariamente erano psicodiagnosti. Le prove effettuate nell’ambito del programma TEACCH<br />

indicano che con l’aiuto di brevi istruzioni scritte e/o di videocassette è possibile insegnare a<br />

somministrare la CARS anche a coloro - medici, insegnanti di sostegno, psicologi scolastici,<br />

specialisti in disturbi del linguaggio o in audiologia - che hanno scarsa dimestichezza con l’<strong>autismo</strong> e<br />

solo una minima preparazione in merito.<br />

Nonostante siano varie le circostanze che permettono di compilare la CARS, per esempio un colloquio<br />

con i genitori, l’osservazione del bambino in classe o l’esame anamnestico, è importante tenere<br />

presente che questo strumento non fornisce una diagnosi complessiva. Infatti, occorre prendere in<br />

considerazione anche altri fattori (tra i quali i problemi di comportamento della persona, i sintomi<br />

medici e le caratteristiche peculiari del bambino) avvalendosi di ulteriori strumenti, come il PEP<br />

(Psychoeducational Profile, Schopler e Reichler, 1979) e di particolari metodi diagnostici. Si possono<br />

richiedere alla Division TEACCH cassette utili per la preparazione e la pratica del CARS e anche<br />

ulteriori informazioni sul programma TEACCH o sulle sue numerose risorse.<br />

Modalità di osservazione e di valutazione<br />

Per compiere le valutazioni previste dalla CARS ci si può basare su fonti di osservazione molto<br />

diverse come la somministrazione di un test psicologico, l’osservazione in classe, le relazioni fornite<br />

dai genitori e i dati anamnestici. Qualsiasi di queste fonti è utilizzabile a patto che contenga le<br />

informazioni richieste per compiere tutte le valutazioni della CARS.<br />

Mentre si ottengono i dati osservazionali che sono necessari, sarebbe opportuno prendere appunti<br />

anche sui comportamenti pertinenti, utilizzando l’apposito spazio nel modulo CARS.<br />

Non si devono compiere le vere e proprie valutazioni prima di aver terminato la raccolta dei dati.<br />

L’esaminatore, prima di iniziare ad osservare, dovrebbe avere una certa familiarità con le descrizioni<br />

di tutti i 15 aspetti del comportamento considerati dalla CARS e con i relativi criteri per assegnare il<br />

punteggio. Le informazioni sul modulo devono servire soltanto come spunto e non sostituiscono lo<br />

studio accurato delle descrizioni delle valutazioni da compiere e dei criteri per il punteggio, di cui si<br />

parlerà in seguito.<br />

Quando si osserva un bambino si deve comparare il suo comportamento con quello di un bambino<br />

normale della stessa età. Se si rilevano comportamenti che non sono normali per quella età, bisogna<br />

considerarne la peculiarità, la frequenza, l’intensità e la durata.<br />

Lo scopo della CARS è quello di dare una valutazione del comportamento senza ricorrere a<br />

spiegazioni causali. Dato che alcuni comportamenti che dipendono dall’<strong>autismo</strong> infantile somigliano a<br />

comportamenti causati da altri disturbi dell’infanzia, è importante limitarsi a valutare il grado di<br />

deviazione dalla norma del comportamento del bambino, senza dare giudizi sul fatto se esso sia<br />

spiegabile in base a disturbi come lesioni cerebrali o ritardo mentale. Saranno il punteggio finale e il<br />

pattern (tipo) delle menomazioni a distinguere un bambino autistico da altri bambini con disturbi dello<br />

sviluppo.<br />

Una volta terminato il periodo di osservazione, l’esaminatore dovrebbe servirsi dei suoi appunti per<br />

effettuare le valutazioni. Per queste ultime si utilizza l’apposita tabella. Prima di prendere decisioni sul<br />

punteggio da assegnare, sarà utile che l’esaminatore legga tutte le descrizioni del comportamento<br />

relative ad ogni item della scala.<br />

Per quanto riguarda il punteggio, ogni elemento può essere valutato da 1 a 4:<br />

1 indica che il comportamento rientra nei limiti della norma per un bambino di quell’età;<br />

2 indica che il comportamento del bambino è lievemente anormale rispetto a quello dei suoi coetanei;<br />

3 significa che il comportamento è moderatamente anormale per quell’età;<br />

4 significa che il comportamento è gravemente anormale per un bambino di quell’età.<br />

1


Oltre a questi quattro punteggi, sono utilizzabili anche 1,5 - 2,5 - 3,5 quando il comportamento sembra<br />

situarsi tra due categorie.<br />

Perciò per ogni item della scala vi sono sette valutazioni possibili:<br />

1,0 entro i limiti della norma per quell’età<br />

1,5 lievissimamente anormale per quell’età<br />

2,0 lievemente anormale per quell’età<br />

2,5 da lievemente a moderatamente anormale per quell’età<br />

3,0 moderatamente anormale per quell’età<br />

3,5 da moderatamente a gravemente anormale per quell’età<br />

4,0 gravemente anormale per quell’età<br />

Si ricordi che nel determinare il grado di anormalità, l’esaminatore deve prendere in considerazione<br />

non solo l’età cronologica del bambino ma, anche, la peculiarità, la frequenza, l’intensità e la durata<br />

del comportamento. Quanto più un bambino differisce rispetto a questi fattori da un bambino normale<br />

della stesa età, tanto più anormale sarà il suo comportamento e tanto più alto sarà il punteggio da<br />

assegnargli.<br />

Nella parte che segue si definiscono le 15 valutazioni da farsi e si descrive il tipo di comportamento da<br />

osservare e le circostanze che possono provocare una reazione nel bambino. Poi vengono elencate le<br />

quattro valutazioni possibili e per ciascuna di esse si dà una spiegazione in base alla quale decidere il<br />

valore da attribuire ai dati osservati.<br />

I. RAPPORTI CON LE PERSONE<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare come il bambino si comporta in varie situazioni che richiedono<br />

l’interazione con altre persone.<br />

Considerazioni<br />

Si considerino le situazioni, strutturate o non strutturate, nelle quali il bambino ha l’opportunità di<br />

interagire con un adulto, con un fratello o una sorella, o con un altro bambino. Si consideri anche<br />

come il bambino reagisce di fronte a vari modi di comportarsi che variano da tentare insistentemente<br />

ed energicamente di ottenere una risposta da lui, a concedergli piena libertà. In particolare, si noti<br />

quanto insistente ed energico deve essere l’adulto per conquistare l’attenzione del bambino. Si noti la<br />

reazione di quest’ultimo al contatto fisico, ai gesti che esprimono affetto (come abbracciare o<br />

accarezzare) a anche alle lodi, alle critiche e alle punizioni. Si consideri quanto il bambino si stringe ai<br />

genitori o ad altre persone. Si osservi se prende o no l’iniziativa nelle interazioni con gli altri. Si<br />

considerino anche la sua capacità di reazione, il distacco, la timidezza e la consapevolezza della<br />

presenza o assenza di estranei.<br />

Punteggio<br />

1.Non si rileva alcuna dificoltà o anormalità nel modo di rapportarsi agli altri.<br />

Il comportamento del bambino è adeguato alla sua età. Quando gli viene detto che cosa fare, si<br />

possono notare in lui una certa timidezza, agitazione o fastidio, che però non raggiungono mai livelli<br />

superiori a quelli tipici dei bambini della sua età.<br />

2.Rapporti lievemente anormali.<br />

E’ possibile che il bambino eviti di guardare l’adulto negli occhi, che lo sfugga oppure si agiti se<br />

costretto ad interagire con lui. Egli può essere eccessivamente timido, può non reagire agli adulti con<br />

la prontezza tipica dei bambini della sua età e può darsi che sui stringa ai suoi genitori un poco più<br />

spesso di quanto faccia la maggior parte dei suoi coetanei.<br />

3.Rapporti moderatamente anormali.<br />

Il bambino a volte si dimostra distaccato ( sembra non rendersi conto della presenza o assenza<br />

dell’adulto). A volte è necessario insistere con forza per riuscire ad ottenere l’attenzione del bambino.<br />

E’ raro che sia lui a prendere l’iniziativa e a stabilire un contatto con l’adulto; il contatto può avere un<br />

carattere impersonale.<br />

2


4.Rapporti gravemente anormali.<br />

Il bambino è costantemente distaccato o inconsapevole dell’attività dell’adulto. Non risponde quasi<br />

mai all’adulto né si assume l’iniziativa di stabilire un contatto con lui. Solo i più insistenti tentativi di<br />

ottenere l’attenzione del bambino hanno qualche effetto.<br />

<strong>II</strong>. IMITAZIONE<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare come il bambino imita sia gli atti verbali sia quelli non verbali. E’<br />

ovviamente necessario che il comportamento da imitare rientri nell’ambito delle capacità del bambino.<br />

Si ricordi che questa vuole essere una valutazione della capacità di imitare e non della capacità di<br />

eseguire spontaneamente particolari compiti o comportamenti. Spesso conviene richiedere al bambino<br />

di imitare comportamenti o abilità che ha già manifestato spontaneamente.<br />

Considerazioni<br />

Con imitazione verbale si intende, tra l’altro, la ripetizione di semplici suoni o di lunghe frasi.<br />

Con imitazione dei gesti si intende, per esempio, imitare i movimenti della mano o di tutto il corpo,<br />

tagliare con le forbici, copiare le figure con la matita o giocare con i balocchi. Ci si assicuri che il<br />

bambino capisca che il suo compito è quello di imitare, come in un gioco. Per esempio si faccia<br />

attenzione a come il bambino restituisce un cenno di saluto fatto con la mano, a come, nel gioco di<br />

battere le mani, copia ciò che fa il suo partner, o a come ripete filastrocche o canzoncine.<br />

Si noti come il bambino imita i suoni e i movimenti, sia semplici che complessi. Si cerchi di capire se<br />

il bambino non vuole imitare, o se non riesce a comprendere ciò che l’adulto pretende da lui (cioè che<br />

egli imiti), o se non è in grado di riprodurre il suono, di dire la parola, di compiere il movimento che<br />

sarebbero necessari per imitare l’adulto. Si cerchi di prendere nota di una grande varietà di situazioni<br />

nelle quali si richiede al bambino di imitare qualcosa. In particolare, si osservi se il bambino imita con<br />

prontezza o dopo molti indugi.<br />

Punteggio<br />

1.Imitazione appropriata.<br />

Il bambino è in grado di imitare suoni, parole e movimenti che rientrano nel raggio delle sue capacità<br />

2.Imitazione lievemente anormale.<br />

Il più delle volte il bambino imita comportamenti semplici, come battere le mani, o singoli suoni<br />

verbali. Di tanto in tanto egli compie l’imitazione solo dopo essere stato stimolato e con un certo<br />

ritardo<br />

3.Imitazione moderatamente anormale.<br />

Il bambino imita solo in alcuni momenti e solo se l’adulto è molto insistente nella sua richiesta e se lo<br />

aiuta molto. L’imitazione avviene spesso con un certo ritardo<br />

4.Imitazione gravemente anormale.<br />

Il bambino imita raramente, o non imita affatto, suoni, parole e movimenti, nonostante gli stimoli e<br />

l’aiuto dell’adulto.<br />

<strong>II</strong>I. RISPOSTA EMOTIVA<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare come il bambino reagisce alle situazioni piacevoli e a quelle spiacevoli.<br />

Deve inoltre stabilire se le emozioni o le sensazioni del bambino siano adeguate alla situazione. Qui<br />

occorre anche tenere conto di quanto siano adeguati il tipo e l’intensità della risposta.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri come il bambino risponde a stimoli piacevoli quali, per esempio, una manifestazione di<br />

affetto, un elogio, un poco di solletico, un giocattolo prediletto o il cibo preferito, il gioco della lotta.<br />

Si valuti anche la risposta del bambino agli stimoli spiacevoli, come i rimproveri o le critiche, al fatto<br />

che gli venga tolto il suo giocattolo prediletto o il cibo preferito, a richieste di eseguire compiti<br />

difficili, o a punizioni anche corporali.<br />

Il bambino può dare vari tipi di risposte inadeguate, per esempio può ridere mentre viene sculacciato,<br />

oppure può cambiare improvvisamente umore, senza una ragione evidente.<br />

3


Il bambino dà una risposta inadeguata nel grado di intensità quando, per esempio, non manifesta<br />

alcuna emozione in circostanze nelle quali i suoi coetanei avrebbero di certo presentato qualche forma<br />

di emozione, o quando reagisce esageratamente con accessi di collera, o si agita e si eccita per un<br />

evento poco rilevante.<br />

Punteggio<br />

1.Risposte emotive adeguate all’età e alla situazione.<br />

Il bambino presenta risposte emotive appropriate nel tipo e nel grado di intensità, come risulta dai suoi<br />

cambiamenti di espressione facciale, di posizione e di condotta.<br />

2.Risposte emotive lievemente anormali.<br />

Il bambino presenta a volte risposte emotive in qualche modo inadeguate nel tipo e nel grado di<br />

intensità. Talvolta le sue reazioni non dipendono dagli oggetti accanto a lui o dagli eventi che<br />

succedono intorno a lui.<br />

3.Risposte emotive moderatamente anormali.<br />

Il bambino presenta chiaramente risposte emotive inadeguate nel tipo e nel grado di intensità. Le sue<br />

reazioni possono essere assai inibite o assai esagerate e possono essere indipendenti dalla situazione.<br />

Anche se non sembrano sussistere oggetti o eventi che suscitino emozioni, il bambino può fare delle<br />

smorfie, ridere o irrigidirsi.<br />

4.Risposte emotive gravemente anormali.<br />

Le risposte sono raramente adeguate alla situazione; una volta che il bambino è di un certo umore, è<br />

molto difficile che lo cambi, anche se si muta l’attività in cui è impegnato. Oppure, al contrario, il<br />

bambino può manifestare emozioni assolutamente differenti in un breve periodo di tempo in cui nulla<br />

è cambiato.<br />

IV. USO DEL CORPO<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare sia la coordinazione sia la correttezza dei movimenti del corpo. Deve<br />

anche considerare le deviazioni dell’uso del corpo come assumere una postura, ruotare su se stessi,<br />

picchiettare qualcosa, dondolarsi, camminare in punta di piedi e dirigere verso se stessi l’aggressività.<br />

Considerazioni<br />

Oltre ai giochi che comportano una attività fisica, si considerino anche attività quali tagliare con le<br />

forbici, disegnare o compiere un rompicapo. Si valuti la frequenza e l’intensità degli usi bizzarri del<br />

corpo. Per determinare il grado di persistenza di questi comportamenti si osservi quali reazioni suscita<br />

il tantativo dell’esaminatore di proibire al bambino questi usi bizzarri del corpo.<br />

Punteggio<br />

1.Uso del corpo adeguato all’età.<br />

Il bambino si muove con la stessa disinvoltura, agilità e coordinazione di un bambino normale della<br />

sua età.<br />

2.Uso lievemente anormale del corpo.<br />

Possono presentarsi alcune peculiarità come una certa goffaggine, movimenti ripetitivi, scarsa<br />

coordinazione o, raramente, alcuni dei movimenti più insoliti descritti, sotto, al punto 3.<br />

3.Uso moderatamente anormale del corpo.<br />

Si notano comportamenti che sono decisamente strani o insoliti per un bambino di questa età. Ad<br />

esempio, egli compie strani movimenti con le dita, assume posture peculiari con le dita o con il corpo,<br />

guarda fissamente o scruta il proprio corpo, si gratta, dirige l’aggressività contro se stesso, dondola,<br />

gira su se stesso, muove velocemente le dita o cammina in punta di piedi.<br />

4.Uso gravemente anormale del corpo.<br />

Quando i movimenti del tipo descritto sopra al punto 3 diventano frequenti e molto intensi si può dire<br />

che l’uso del corpo è gravemente anormale. Questi comportamenti possono pedurare nonostante si<br />

tenti di scoraggiarli o di coinvolgere il bambino in altre attività.<br />

4


V. USO DEGLI OGGETTI<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare sia l’interesse del bambino per i giocattoli o per altri oggetti, sia i suoi<br />

modi di utilizzarli.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri come il bambino si comporta con i giocattoli e con altri oggetti, in particolare quando si<br />

trova nelle condizioni di poter agire liberamente e quando ha a disposizione molti materiali diversi.<br />

Questi materiali dovrebbero essere adeguati alle capacità e agli interessi del bambino. Si noti il grado<br />

di interesse che egli dimostra. Si presti particolare attenzione al modo in cui usa giocattoli con parti<br />

che dondolano o ruotano. Per esempio si noti se il bambinoè eccessivamente concentrato a far girare<br />

le ruote di un camioncino o di una macchinina invece di far correre il giocattolo sul pavimento.<br />

Si noti l’uso esageratamente ripetitivo di alcuni giocattoli, come i cubi per fare le costruzioni; per<br />

esempio il bambino allinea di continuo i cubi invece di adoperarli per costruire varie strutture o figure.<br />

Si consideri l’interesse eccessivo in cose che normalmente lasciano indifferenti i bambini con capacità<br />

analoghe. Per esempio il bambino trascorre troppo tempo a tirare e ritirare lo sciacquone in bagno o a<br />

guardare l’acqua che scorre dal rubinetto? Il bambino sembra interessarsi a oggetti come l’elenco del<br />

telefono che non contiene illustrazioni ma soltanto liste di nomi e di numeri?<br />

Infine si consideri se il bambino adopera più correttamente e più normalmente i giocattoli o gli oggetti<br />

dopo che qualcuno gli ha mostrato come fare.<br />

Punteggio<br />

1.Uso appropriato dei giocattoli e degli oggetti e interesse adeguato per essi.<br />

Il bambino mostra un interesse normale per i giocattoli e per altri oggetti che sono al suo livello di<br />

capacità e li adopera in un modo appropriato.<br />

2.Interesse lievemente inadeguato per i giocattoli e altri oggetti e uso lievemente inappropriato di essi.<br />

E’ possibile che il bambino si mostri meno interessato di un giocattolo di quanto sia normale per la<br />

sua età, oppure che abbia un modo infantile e inappropriato di giocare con esso ( per esempio lo sbatte<br />

e lo succhia), quando ha ormai superato l’età in cui questi comportamenti sono normali.<br />

3.Interesse moderatamente inadeguato per i giocattoli e altri oggetti e loro uso moderatamente<br />

inappropriato.<br />

Il bambino può mostrarsi molto poco interessato ai giocattoli e ad altri oggetti, oppure può essere<br />

particolarmente concentrato nell’adoperare in un modo strano un oggetto o un giocattolo. Egli può<br />

concentrare la sua attenzione su una parte insignificante del giocattolo, lasciarsi affascinare dal<br />

riflesso della luce provocato dall’oggetto, spostare ripetutamente alcune parti dell’oggetto, o giocare<br />

con un unico oggetto escludendo tutti gli altri. Questo suo comportamento può essere modificato,<br />

almeno in parte o per un certo tempo.<br />

4.Interesse gravemente inadeguato per i giocattoli e altri oggetti e loro uso gravemente inappropriato.<br />

Il bambino può presentare alcuni dei comportamenti descritti al punto 3, che ora diventano però più<br />

intensi e più frequenti. E’ assai arduo distogliere il bambino da queste attività inappropriate ed è<br />

estremamente difficile modificare il modo inappropriato del bambino di usare l’oggetto.<br />

VI. ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare le difficoltà che il bambino mostra nel cambiare abitudini consolidate o<br />

modalità di comportamento e nel passare da una attività ad un’altra. Queste difficoltà sono spesso in<br />

relazione con i comportamenti ripetitivi e stereotipati che sono già stati presi in considerazione.<br />

Considerazioni<br />

Si noti come il bambino reagisce al passaggio da una attività ad un’altra, soprattutto se svolgeva un<br />

ruolo attivo nella prima. Si osservi la reazione delbambino ai tentativi di modificare le sue risposte e i<br />

comportamenti stereotipati. Per esempio, se il bambino viene lasciato fare, egli può continuare a<br />

disporre sempre nello stesso modo i cubi per fare costruzioni. Si noti la reazione del bambino ai<br />

tentativi dell’adulto di modificare quella disposizione dei cubi.<br />

5


Si noti come il bambino reagisce ad un cambiamento nelle abitudini: per esempio, egli dà forse segni<br />

di sofferenza quando l’arrivo di ospiti inattesi provoca delle variazioni nelle abitudini, oppure quando<br />

si compie un tragitto diverso dal solito per accompagnarlo a scuola o quando viene cambiata la<br />

disposizione dei mobili, o quando in classe compare un supplente o un nuovo bambino? Il bambino<br />

stabilisce elaborati rituali in connessione ad alcune particolari attività come mangiare e andare a letto?<br />

Insiste a disporre certi oggetti esattamente nello stesso modo e a mangiare o a bere solo con<br />

determinate posate e stoviglie?<br />

Punteggio<br />

1.Reazione ai cambiamenti adeguata all’età.<br />

Il bambino può anche notare o commentare i cambiamenti nelle abitudini, ma li accetta senza soffrirne<br />

eccessivamente.<br />

2.Adattamento lievemente anormale ai cambiamenti.<br />

E’ facile che, se un adulto cerca di cambiare il compito che sta eseguendo il bambino, questi continui<br />

a svolgere la stessa attività o ad usare gli stessi materiali, maè semplice farlo desistere o indurlo a<br />

passare ad un’altra occupazione. Per esempio, se si conduce il bambino in una drogheria diversa dalla<br />

solita o se si compie un per<strong>corso</strong> differente per giungere a scuola, all’inizio il bambino può agitarsi,<br />

ma basta poco a tranquillizzarlo.<br />

3.Adattamento moderatamente anormale ai cambiamenti.<br />

Il bambino si oppone attivamente ai cambiamenti nelle abitudini. Quando si cerca di cambiare il tipo<br />

di attività, il bambino tenta di perseverare nella sua occupazione es è difficile farlo desistere. Per<br />

esempio, si può insistere a cercare di rimettere come erano prima i mobili che sono stati spostati.<br />

L’alterazione di una abitudine può renderlo rabbioso e infelice.<br />

4.Adattamento gravemente anormale ai cambiamenti.<br />

Quando avvengono cambiamenti il bambino presenta gravi reazioni difficilmente eliminabili. Se si<br />

impone un cambiamento al bambino, egli può arrabbiarsi moltissimo, smettere di cooperare e può<br />

anche reagire con accessi di collera.<br />

V<strong>II</strong>. RISPOSTE VISIVE<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare le forme insolite di attenzione visiva tipiche di molti bambini autistici.<br />

Deve inoltre valutare come il bambino risponde alla richiesta di guardare oggetti e materiali.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri se il bambino, quando guarda gli oggetti o quando interagisce con le persone, adopera gli<br />

occhi in modo normale. Per esempio, guarda solo con la coda dell’occhio? Quando il bambino è<br />

impegnato ad interagire con gli altri, guarda le persone negli occhi o evita di incontrare il loro<br />

sguardo? Quando sta svolgendo un compito, quanto spesso bosigna dirgli di guardare ciò che sta<br />

facendo? Per ottenere la sua attenzione, l’adulto deve girargli la testa?<br />

Per valutare l’insolita risposta visiva è anche necessario osservare i comportamenti peculiari del<br />

bambino, per esempio il suo modo di fissare le dita che si muovono velocemente, o di rimanere<br />

incantato a guardare i riflessi o i movimenti.<br />

Punteggio<br />

1.Risposta visiva adeguata all’età.<br />

Il bambino, per quanto concerne l’uso della vista, ha un comportamento normale e adeguato alla sua<br />

età. La vista è usata insieme con gli altri sensi, come l’udito o il tatto, come un modo per esplorare un<br />

nuovo oggetto.<br />

2.Risposta visiva lievemente anormale.<br />

Di tanto in tanto occorre ricordare al bambino di guardare gli oggetti. Egli può dimostrare un interesse<br />

superiore a quello della maggioranza dei suoi coetanei a guardare gli specchi o le luci e a volte può<br />

fissare nel vuoto. Il bambino può anche evitare di guardare le persone negli occhi.<br />

3.Risposta visiva moderatamente anormale.<br />

6


Spesso occorre ricordare al bambino di guardare ciò che sta facendo. Egli può fissare nel vuoto,<br />

evitare di guardare le persone negli occhi, non guardare in modo diretto gli oggetti o, benchè non<br />

abbia problemi di vista, tenerli molto vicino agli occhi.<br />

4.Risposta visiva gravemente anormale.<br />

Il bambino evita costantemente di guardare le persone o certi oggetti e può presentare altri modi<br />

peculiari di usare la vista ( come quelli descritti sopra ) che ora sono spinti all’estremo.<br />

V<strong>II</strong>I. RISPOSTA UDITIVA<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare i modi insoliti di ascoltare del bambino o le sue risposte insolite ai suoni.<br />

Inoltre deve considerare la reazione del bambino sia alle voci delle persone sia ad altri tipi di suono.<br />

Deve anche tenere conto dell’interesse del bambino per i vari suoni.<br />

Considerazioni<br />

Si considerino le insolite preferenze, o il terrore del bambino per certi suoni che si sentono tutti i<br />

giorni, come quelli prodotti dall’aspirapolvere, dalla lavatrice o dai camion che passano in strada.<br />

Si noti se il bambino reagisce inappropriatamente a suoni molto forti. Per esempio, può sembrare che<br />

il bambino non senta suoni molto forti come le sirene, ma poi reagisce a suoni molto deboli come ad<br />

un sussurro. Il bambino può anche avere una reazione eccessiva a suoni normali ( ai quali altri<br />

bambini non fanno neanche caso) e può sussultare o tapparsi le orecchie con le mani.<br />

Può sembrare che alcuni bambini sentano i suoni solo se sono inoperosi, mentre altri possono prestare<br />

attenzione a suoni estranei alla loro attività fino al punto di distrarsi da essa. Si ricordi di considerare<br />

l’interesse del bambino per i suoni e di assicurarsi che egli reagisca al suono e non alla vista<br />

dell’oggetto che lo ha prodotto.<br />

Punteggio<br />

1.Risposta uditiva adeguata all’età.<br />

Per quanto concerne l’udito, il bambino ha un comportamento normale e adeguato alla sua età.<br />

L’udito è adoperato insieme con altri sensi, quali la vista e il tatto.<br />

2.Risposta uditiva lievemente anormale.<br />

Determinati suoni possono non suscitare una risposta, oppure essa può essere lievemente esagerata. A<br />

volte la risposta ai suoni giunge con ritardo e di tanto in tanto occorre ripetere il suono per riuscire a<br />

catturare l'’ttenzione del bambino. A volte egli può essere distratto da suoni estranei alla sua attività.<br />

3.Risposta uditiva moderatamente anormale.<br />

La risposta del bambino ai suoni può essere spesso molto varia. Capita sovente che egli ignori un<br />

suono le prime volte che esso viene prodotto. Alcuni suoni del tutto inusuali possono farlo trasalire o<br />

indurlo a tapparsi le orecchie.<br />

4.Risposta uditiva gravemente anormale.<br />

Il bambino ha una reazione marcatamente eccessiva e/o insufficiente ai suoni, di qualsiasi tipo di<br />

suono si tratti.<br />

IX. RECETTORI DI PROSSIMITA’ – GUSTO – ODORATO - TATTO<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare come il bambino risponde alle stimolazioni dei sensi del gusto,<br />

dell’odorato e del tatto ( e anche del dolore ). Inoltre deve valutare se il bambino adoperi propriamente<br />

queste modalità sensoriali. Se prima si sono presi in esame i due sensi della “distanza” ( la vista e<br />

l’udito ), ora invece si considerano i sensi della “vicinanza”.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri se il bambino mostri una tendenza eccessiva a evitare o, al contrario, un interesse<br />

eccessivo per certi odori, cibi, sapori o tessuti. Il bambino mostra un interesse particolare per certe<br />

superfici, come il piano del tavolo, o per alcuni materiali, come la pelliccia, o per la carta vetrata?<br />

Il bambino annusa oggetti comuni come i cubi per le costruzioni o i pezzi del rompicapo? Cerca di<br />

mangiare cose non commestibili come lo sporco, le foglie o il legno?<br />

7


Si distingua il modo infantile di mettersi in bocca e di toccare di tanto in tanto gli oggetti per<br />

esplorarli, caratteristico di un bambino piccolo, da questo tipo di comportamento più frequente,<br />

peculiare ed intenso che pare non dipendere dagli oggetti specifici.<br />

Il bambino reagisce in modo insolito al dolore? Per osservare direttamente come egli reagisce al<br />

dolore può essere necessario dargli un pizzicotto.<br />

Punteggio<br />

1.Uso normale del gusto, dell’odorato e del tatto e risposta normale ai rispettivi stimoli.<br />

Il bambino esplora gli oggetti non familiari in un modo adeguato alla sua età: generalmente toccandoli<br />

e guardandoli. Il gusto e l’odorato sono usati quando è il caso, per esempio quando un oggetto ha<br />

l’aria di essere commestibile. Quando il bambino prova un lieve dolore, per esempio perché ha<br />

sbattuto contro qualcosa o è caduto per terra o per via di un pizzicotto, reagisce esprimendo la sua<br />

sofferenza, ma senza esagerare.<br />

2.Uso lievemente anormale del gusto, dell’odorato e del tatto e risposta moderatamente anormale ai<br />

rispettivi stimoli.<br />

Il bambino può continuare a mettersi in bocca gli oggetti anche quando la maggiorparte dei suoi<br />

coetanei non lo fa più. Ogni tanto annusa o assaggia cose non commestibili. Il bambino può ignorare o<br />

reagire in modo esagerato a un pizzicotto o a un lieve dolore che in un bambino normale<br />

provocherebbe qualche debole segno di sofferenza.<br />

3.Uso moderatamente anormale del gusto, dell’odorato e del tatto e risposta moderatamente anormale<br />

ai rispettivi stimoli.<br />

Il bambino può essere moderatamente interessato a toccare, annusare o assaggiare oggetti o persone.<br />

Egli può presentare una reazione moderatamente insolita al dolore: reagisce o troppo o troppo poco.<br />

4.Uso gravemente anormale del gusto, dell’odorato e del tatto e risposta gravemente anormale ai<br />

rispettivi stimoli.<br />

Il bambino è molto interessato ad annusare, assaggiare o sentire gli oggetti, più per la sensazione in sè<br />

che per esplorare o usare gli oggetti. E’ possibile che il bambino ignori completamente il dolore o<br />

reagisca molto energicamente a qualcosa che è solo lievemente spiacevole.<br />

X. PAURE O NERVOSISMO<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare le paure insolite o inspiegabili. Inoltre deve anche valutare l’assenza di<br />

paura in condizioni nelle quali un bambino normale, allo stesso livello di sviluppo, probabilmente<br />

mostrerebbe paura o si innervosirebbe.<br />

Considerazioni<br />

Si può esprimere paura comportandosi in vari modi, per esempio piangendo, urlando, nascondendosi o<br />

ridacchiando nervosamente. Quando si valuta questo aspetto del comportamento, si considerino la<br />

frequenza, la gravità e la durata della reazione del bambino.<br />

Le paure manifestate sembrano ragionevoli e sono comprensibili? Si consideri anche la pervasività<br />

della risposta. E’ limitata solo ad un certo tipo di situazione o è largamente diffusa a molte o<br />

addirittura a tutte le situazioni? I bambini normali della sua età reagirebbero nello stesso modo in<br />

situazioni simili?<br />

Si può valutare l’intensità della risposta del bambino in base alla maggiore o minore difficoltà che si<br />

incontra a calmarlo. Questo tipo di reazione può avvenire durante la separazione dai genitori o può<br />

essere suscitato dalla vicinanza fisica o da un gioco che comporti il contatto fisico, nel quale il<br />

bambino viene sollevato da terra. In particolare alcune cose, come la pioggia, una bambola, una<br />

marionetta, il pongo, possono suscitare reazioni insolite.<br />

Un altro tipo di reazione insolita è quello di non mostrare la giusta paura di fronte a situazioni quali un<br />

traffico intenso o dei cani sconosciuti che di solito fanno paura ai bambini. Si ricordi di considerare i<br />

nervosismi insoliti. Il bambino è particolarmente irritabile ed è facilmente impressionabile da suoni e<br />

movimenti?<br />

Punteggio<br />

1.Paura o nervosismo normali.<br />

8


Il comportamento del bambino è adeguato alla situazione e alla sua età.<br />

2.Paura o nervosismo lievemente anormali.<br />

Ogni tanto il bambino si mostra impaurito o innervosito in misura lievemente inadeguata ( eccessiva o<br />

insufficiente ) rispetto alla normale reazione di un suo coetaneo in una circostanza simile.<br />

3.Paura o nervosismo moderatamente anormali.<br />

Il bambino manifesta molta più o molta meno paura di quella che di solito mostra persino un bambino<br />

più piccolo di lui. Può essere difficile capire che cosa stia scatenando la sua reazione di paura ed è<br />

arduo rassicurarlo.<br />

4.Paura o nervosismo gravemente anormali.<br />

Il bambino continua ad avere paura anche dopo aver sperimentato più volte l’innocuità degli oggetti e<br />

degli eventi. E’ possibile che durante tutta la seduta di valutazione il bambino non riesca mai a<br />

superare la sua paura, senza una ragione evidente.. E’ estremamente difficile calmare o rassicurare il<br />

bambino. Al contrario, egli può mostrare di non tenere nella giusta considerazione i rischi, come, per<br />

esempio, cani sconosciuti o il traffico intenso, che vengono evitati dai suoi coetanei.<br />

XI. COMUNICAZIONE VERBALE<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare tutti gli aspetti del modo di parlare del bambino e del suo linguaggio, ma<br />

anche, se il bambino parla, la peculiarità, le bizzarrie o l’inadeguatezza di tutti gli elementi delle sue<br />

espressioni. Perciò se il bambino in qualche modo parla, occorre valutare il suo vocabolario, la<br />

struttura delle sue frasi, la qualità del suo tono di voce, il volume o l’altezza della sua voce, il ritmo<br />

delle sue espressioni e l’adeguatezza alla situazione del contenuto o significato di ciò che dice.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri la frequenza, l’intensità e la quantità delle espressioni peculiari, bizzarre o inappropriate.<br />

Si noti come il bambino parla, come risponde alle domande e come ripete parole o suoni se gli viene<br />

richiesto di farlo.<br />

Tra i problemi della comunicazione verbale vi sono: mutismo o mancanza di parola, ritardo<br />

nell’imparare a parlare, uso di alcuni modi di parlare caratteristici dei bambini piccoli o uso di parole<br />

in un modo peculiare o privo di significato.<br />

Sono da notare tre tipi specifici di peculiarità del linguaggio (se si osservano in un bambino che ha già<br />

superato l’età in cui sono normali), ovvero l’inversione dei pronomi, l’ecolalia e l’uso di un gergo. Il<br />

bambino compie un’inversione dei pronomi quando, per esempio dice: “Tu vuoi un biscotto”, mentre<br />

vuol dire “Io voglio un biscotto” oppure quando dice: “Io ho mangiato un biscotto” riferendosi al fatto<br />

che voi avete appena mangiato un biscotto.<br />

Ecolalia significa ripetizione, o echeggiamento, di ciò che è appena stato detto. Per esempio un<br />

bambino può ripetere le domande invece di rispondervi. Oppure può anche ripetere in momenti<br />

inopportuni frasi o parole sentite tempo prima. Questo fenomeno è detto ecolalia ritardata. Usare un<br />

gergo significa usare parole strane o prive di significato senza voler trasmettere un messaggio ad esse<br />

connesso.<br />

Con i bambini che parlano si ricordi di notare la qualità del tono, il ritmo, il volume o l’altezza della<br />

voce. E, se il bambino è troppo grande perché ciò sia considerato normale, si noti anche l’eccessiva<br />

ripetizione delle parole o delle frasi.<br />

Punteggio<br />

1.Comunicazione verbale normale e adeguata all’età e alla situazione<br />

2.Comunicazione verbale lievemente anormale.<br />

Si riscontra un ritardo generale nell’uso del linguaggio. Gran parte di ciò che il bambino dice hasenso,<br />

tuttavia a volte egli ripete ecolalicamente parole o frasi, o inverte i pronomi anche se ha superato l’età<br />

in cui ciò è normale. L’uso di parole strane o di un gergo particolare è molto sporadico.<br />

3.Comunicazione verbale moderatamente anormale.<br />

Il linguaggio può essere assente. Se invece il bambino parla, nelle sue comunicazioni verbali si<br />

possono trovare mescolati elementi di un linguaggio sensato ed elementi di un linguaggio peculiare<br />

come il gergo, l’ ecolalia e l’ inversione dei pronomi. Un tipo di linguaggio peculiare può essere, per<br />

9


esempio, un linguaggio in cui sono mescolate frasi tratte dalla pubblicità televisiva, dalle previsioni<br />

atmosferiche e dai risultati di partite sportive. Se il bambino parla in maniera sensata , le peculiarità<br />

possono consistere anche nel porre troppe domande e nella preoccupazione per particolari elementi.<br />

4.Comunicazione verbale gravemente anormale.<br />

Il bambino non parla in modo sensato, ma può emettere gridolini infantili, suoni strani o animaleschi o<br />

rumori articolati che si avvicinano alle parole. Il bambino può anche fare un uso bizzarro e persistente<br />

di alcune parole o frasi ben riconoscibili.<br />

X<strong>II</strong>. COMUNICAZIONE NON VERBALE<br />

Definizione<br />

L’ esaminatore deve valutare la comunicazione non verbale del bambino in base all’ uso che questi fa<br />

delle espressioni facciali, della postura, dei gesti e del movimento del corpo. Egli deve anche valutare<br />

la risposta del bambino alla comunicazione non verbale degli altri. Se il bambino è abile nella<br />

comunicazione verbale, può darsi che si serva meno di quella non verbale; comunque non è detto che i<br />

bambini che hanno difficoltà a comunicare verbalmente abbiano elaborato mezzi non verbali per<br />

comunicare.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri, in particolare, come il bambino usa la comunicazione non verbale quando deve<br />

comunicare un desiderio o una sua necessità.<br />

Si noti anche come il bambino risponde alla comunicazione non verbale degli altri. Il bambino usa i<br />

gesti o le espressioni facciali, per esempio, per indicare che cosa desidera mangiare o con quale<br />

oggetto vuole giocare, o cerca di adoperare la mano dell’adulto come un’estensione della propria? Il<br />

bambino compie dei gesti per indicare il posto dove desidera che una persona si rechi o cerca di tirare<br />

la persona e di guidarla verso quel posto?<br />

Punteggio<br />

1.Uso normale della comunicazione non verbale, la quale è adeguata all’età e alla situazione .<br />

2.Uso lievemente anormale della comunicazione non verbale. Il bambino usa la comunicazione non<br />

verbale in modo immaturo. Per esempio egli si limita a puntare vagamente con un dito o a prendere<br />

ciò che desidera in situazioni in cui un bambino normale della sua età avrebbe additato o gesticolato in<br />

modo più preciso per indicare ciò che desidera.<br />

3.Uso moderatamente anormale della comunicazione non verbale. In generale, il bambino è incapace<br />

di esprimere in modo non verbale i suoi desideri o le sue necessità e di comprendere la comunicazione<br />

non verbale degli altri. Può prendere la mano di un adulto per guidarlo verso un oggetto che desidera,<br />

ma non è in grado di indicare lo stesso oggetto con i gesti o puntando il dito.<br />

4.Uso gravemente anormale della comunicazione non verbale. Il bambino usa gesti bizzarri e<br />

peculiari che non hanno nessun significato evidente e mostra di non avere alcuna consapevolezza dei<br />

significati associati ai gesti o alle espressioni facciali degli altri.<br />

X<strong>II</strong>I. LIVELLO DI ATTIVITA’ ( motricità )<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare quanto il bambino si muova in situazioni con o senza restrizioni. Deve<br />

tener conto dell’eccessivo attivismo o, al contrario, dello stato letargico del bambino.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri sia quanto il bambino si muove in una situazione in cui è libero di giocare, sia come<br />

reagisce quando gli viene imposto di stare seduto. Si consideri quanto sia costante il livello di attività<br />

del bambino. Se è inerte (letargico), è possibile sollevarlo ad essere più attivo? Se è eccessivamente<br />

attivo, è possibile sollecitarlo o indurlo a calmarsi o a stare seduto?<br />

Nel compiere questa valutazione si dovrebbero tener presenti fattori quali l’età del bambino, la<br />

distanza che può aver per<strong>corso</strong> per raggiungere il luogo del test, la durata del test, la fatica e la noia. Si<br />

consideri anche l’effetto di medicine che possono aver influito sul livello di attività.<br />

Punteggio<br />

1.Livello di attività normale per l’età e le circostanze.<br />

10


Il bambino non è, né più né meno, attivo di un bambino normale della sua età in circostanze analoghe.<br />

2.Livello di attività lievemente anormale.<br />

A volte il bambino può essere leggermente irrequieto o un po’ pigro e lento nel muoversi. Il livello di<br />

attività ha solo un lieve effetto sulla sua prestazione. In generale, è possibile sollecitare il bambino a<br />

mantenere il giusto livello di attività.<br />

3.Livello di attività moderatamente anormale.<br />

Il bambino può essere molto attivo e può essere difficile tenerlo a freno. Vi può essere in lui una sorta<br />

di coazione ad agire. Può sembrare che il bambino disponga di un’energia illimitata ed è possibile che<br />

la sera non vada subito a letto. Oppure, al contrario, il bambino può essere molto apatico (letargico) e<br />

può essere necessaria una forte azione stimolatrice per ottenere che si muova. E’ possibile che non gli<br />

piacciano i giochi che comportano un’attività fisica e può essere ritenuto “estremamente pigro”.<br />

4.Livello di attività gravemente anormale.<br />

Il bambino è o estremamente attivo o estremamente inattivo e può anche passare da un estremo<br />

all’altro. Può essere molto difficile avere a che fare con il bambino e indurlo a compiere alcunchè.<br />

L’iperattività del bambino, quando è presente, riguarda praticamente ogni aspetto della sua vita e sé<br />

necessario un controllo quasi costante da parte dell’adulto. Se il bambino è letargico (apatico), è<br />

estremamente difficile risvegliare il suo impulso a compiere qualche attività e l’adulto deve stimolarlo<br />

perché inizi a seguire un compito o dia prova della sua capacità di apprendimento.<br />

XIV. LIVELLO E UNIFORMITA’ DEL FUNZIONAMENTO INTELLETTIVO<br />

Definizione<br />

L’esaminatore deve valutare sia il livello generale del funzionamento intellettivo, sia la costanza o<br />

uniformità del funzionamento nei vari tipi di abilità. In molti bambini, normali o disabili, si verificano<br />

alcune fluttuazioni del funzionamento mentale. In ogni caso, qui si vogliono individuare le abilità<br />

estremamente insolite o “abilità eccelse”, che sono caratteristiche della definizione di <strong>autismo</strong> data da<br />

Kanner.<br />

Considerazioni<br />

Si consideri non solo come il bambino usa e comprende il linguaggio, i numeri e i concetti, ma anche<br />

quanto si concorda di ciò che visto o sentito, come esplora il suo ambiente e come scopre il<br />

funzionamento delle cose. E’ opportuno prestare particolare attenzione nel valutare se il bambino<br />

dimostri un’abilità non comune in una o due delle aree relative al livello generale del funzionamento<br />

intellettivo. E’ particolarmente dotato, per esempio, nei calcoli, nella musica; oppure ha una memoria<br />

prodigiosa? Si noti se non è capace pensare in astratto e se tende a prendere le cose in senso letterale<br />

quando ha già superato l’età o il livello funzionale in cui ciò normale.<br />

Punteggio<br />

1.L’intelligenza è normale e si mantiene ragionevolmente costante in aree diverse.<br />

Il bambino è intelligente come lo sono i suoi coetanei e non ha alcuna abilità intellettuale fuori del<br />

comune né alcun problema.<br />

2.Funzionamento intellettivo lievemente anormale.<br />

Il bambino non è sveglio come i suoi coetanei e sembra presentare un leggero ritardo nello sviluppo di<br />

tutte le sue capacità intellettive.<br />

3.Funzionamento intellettivo moderatamente anormale.<br />

In generale, il bambino non è sveglio come i suoi coetanei; tuttavia il funzionamento di una o più delle<br />

aree intellettive può risultare quasi normale.<br />

4.Funzionamento intellettivo gravemente anormale.<br />

Mentre in genere il bambino non è sveglio come i suoi coetanei, in una o più aree dimostra capacità<br />

persino superiori alla norma. Può avere uno speciale talento artistico o musicale, o una particolare<br />

attitudine per i numeri e i calcoli.<br />

XV. IMPRESSIONI GENERALI<br />

Definizione<br />

11


Questa vuole essere una valutazione generale dell’<strong>autismo</strong> basato sulle impressioni soggettive<br />

dell’esaminatore sul grado di <strong>autismo</strong> del bambino, come è stato definito nelle precedenti voci. Nel<br />

compiere questa valutazione non si deve fare la media delle altre precedenti. Inoltre è necessario<br />

tenere presenti tutte le informazioni disponibili sul bambino, come quelle che provengono<br />

dall’anamnesi, dai colloqui con i genitori e dai documenti.<br />

Punteggio<br />

1.Il bambino non è autistico.<br />

Egli non presenta alcun sintomo caratteristico dell’<strong>autismo</strong>.<br />

2.Lieve <strong>autismo</strong>.<br />

Il bambino presenta solo alcuni sintomi o è affetto da una forma lieve di <strong>autismo</strong>.<br />

3.Autismo moderato.<br />

Il bambino mostra un numero di sintomi o un grado moderato di <strong>autismo</strong>.<br />

4.Autismo grave.<br />

Il bambino mostra molti sintomi o un estremo grado di <strong>autismo</strong>.<br />

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Punteggio della scala:<br />

Non autistico (15 – 29.5)<br />

Moderatante autistico (30 – 36.5)<br />

Gravemente autistico (37 – 60)<br />

12


Da: Annu. Rev. Psychol. 2005. 56:12.1–12.22<br />

L’AUTISMO NELLA PRIMA<br />

INFANZIA<br />

di Fred Volkmar, Kasia Chawarska e Ami Klin<br />

Child Study Center, Yale University School of Medicine<br />

Traduzione e adattamento di D. Vivanti<br />

L’AUTISMO NEL PRIMO ANNO DI VITA<br />

Età e modalità d’insorgenza<br />

‘S<br />

econdo i resoconti dei genitori, le età in<br />

cui si accorgono che qualcosa non va<br />

nello sviluppo del bambino sono<br />

diverse, ma circa il 90% ha cominciato a<br />

notare delle anomalie entro i 24 mesi (De Giacomo &<br />

Fombonne 1998). Le preoccupazioni più comuni<br />

riguardano il ritardo di linguaggio o l’udito, oppure il<br />

comportamento del bambino, che è “troppo buono” o<br />

molto irritabile (Stone & Lemanek 1990).<br />

Resta purtroppo poco chiara la specificità di questi<br />

problemi rispetto all’<strong>autismo</strong>. La maggior parte degli studi<br />

attendibili si basa sui resoconti dei genitori. Mancano dati<br />

prospettici, benchè l’interpretazione di tali dati sia<br />

complicata, data la velocità dei cambiamenti e la diversità<br />

del significato della presenza (o assenza) di un certo<br />

comportamento in un momento specifico (Lord & Risi<br />

2000). Per esempio, l’uso di gesti pre-intenzionali, come<br />

movimenti di raggiungere-e-afferrare inseguendo un<br />

oggetto, compare prima dei 9 mesi d'età, ma di solito si<br />

sincronizza ben presto con il contatto oculare e indica<br />

l’emergere della comunicazione intenzionale (Bates et al.<br />

1979). L’assenza di gesti convenzionali come annuire con<br />

la testa o indicare a dito sarebbe preoccupante dopo, ma<br />

non prima, dell’anno di età di sviluppo.<br />

A complicare il compito, i sintomi precoci cambiano nel<br />

tempo (Kanner 1968, Lord 1995). Infine, gli effetti della<br />

situazione, della novità, delle richieste, e modelli insoliti di<br />

responsività all’ambiente possono condizionare una<br />

considerevole variabilità nelle modalità con cui il bambino<br />

si presenta, specialmente nei primi anni di vita (Natl. Res.<br />

Counc. 2001).<br />

LA PAROLA AGLI ESPERTI<br />

11<br />

Katarzyna (Kasia) Chawarska,<br />

Assistant Professor di<br />

Psicologia, si è laureata presso<br />

la Jagiellonian University di<br />

Cracovia, in Polonia,<br />

specializzata in Psicologia dello<br />

Sviluppo presso l’Università di<br />

Yale nel 2000, e formata<br />

lavorando con Ami Klin, Fred<br />

Volkmar e Michael Powers<br />

presso il Child Study Center.<br />

Per rispondere alle crescenti necessità dei bambini<br />

piccoli con disabilità sociale, ha fondato, insieme a<br />

Klin e Volkmar, la Clinica per le Disabilità dello<br />

Sviluppo. Parallelamente all’attività clinica sta<br />

svolgendo studi di ricerca sui meccanismi sottostanti i<br />

deficit del funzionamento sociale nel’<strong>autismo</strong><br />

nell’ambito del progetto STAART (Studies to Advance<br />

Autism Research and Treatment), finanziato dal<br />

National Institute of Mental Health, e in particolare gli<br />

aspetti della sensibilità a sottili segnali sociali, come gli<br />

sguardi, in età precoce, e la loro relazione con la<br />

psicopatologia autistica. E’ anche responsabile di uno<br />

studio longitudinale su bambini di età inferiore a tre<br />

anni seguiti per una diagnosi differenziale di <strong>autismo</strong>,<br />

finanziato dal National Institute of Mental Health. Lo<br />

studio, al quale collabora anche Cathy Lord, University<br />

of Michigan, si focalizza sui sintomi precoci di <strong>autismo</strong><br />

predittori di esito. Sta inoltre collaborando con<br />

Deborah Fein, University of Connecticut, ad uno studio<br />

finanziato dal Maternal Child Health Bureau, finalizzato<br />

a progettare e a validare test di screening per bambini<br />

di età inferiore ai 2 anni. Infine ha recentemente<br />

ricevuto un finanziamento dalla Korczak Foundation<br />

per studiare gli indicatori precoci dell’<strong>autismo</strong> nel primo<br />

anno di vita.<br />

Un altro potenziale problema riguarda i resoconti del<br />

fenomeno della regressione. Diversi studi (Kobayashi &<br />

Murata 1998, Rogers & DiLalla 1990, Tuchman & Rapin<br />

1997, Volkmar et al. 1985) hanno documentato resoconti<br />

di regressione da parte dei genitori nel 20-40% dei casi.<br />

Purtroppo vengono usati termini diversi, in parte<br />

sovrapponibili, come <strong>autismo</strong> regressivo, <strong>autismo</strong><br />

ritardato e stagnazione dello sviluppo. Tutti questi termini<br />

comunque indicano effettivamente alcuni aspetti<br />

sottostanti al fenomeno, cioè che in alcuni bambini ci può<br />

essere una perdita graduale o più rapida di linguaggio e/o<br />

di capacità sociali (Kobayashi & Murata 1998, Rogers &<br />

DiLalla 1990, Tuchman & Rapin 1997). In altri casi, il<br />

problema sembra essere non tanto la perdita di capacità<br />

acquisite, quanto la mancanza di ulteriori progressi,<br />

sembra cioè che il bambino acquisisca la capacità di dire<br />

una o due parole, ma che poi il linguaggio non<br />

progredisca oltre (Sipersein & Volkmar 2004). Infine, in<br />

alcuni rari casi, il bambino progredisce normalmente<br />

nell’acquisizione di capacità cognitive, di autonomia<br />

personale e di linguaggio per alcuni anni (di solito tre o


quattro), per perdere poi gradualmente o bruscamente le<br />

abilità acquisite e cominciare a mostrare le caratteristiche<br />

più classiche dell’<strong>autismo</strong>. In quesi casi viene usato il<br />

termine disturbo disintegrativo della fanciullezza, e dati<br />

attendibili suggeriscono un esito peggiore dell’<strong>autismo</strong><br />

tipico (Volkmar & Rutter, 1995).<br />

Resta oggetto di controversia se esista una relazione tra<br />

questi diversi sottotipi di <strong>autismo</strong> e la loro validità come<br />

fenomeni clinici. Per esempio, Osterling et al. (2002)<br />

hanno trovato differenze minime fra l’<strong>autismo</strong> regressivo e<br />

l’<strong>autismo</strong> non regressivo, mentre Rogers & DiLalla (1990)<br />

hanno riscontrato esiti più sfavorevoli nel gruppo con<br />

regressione. Quest’ultimo può anche accompagnarsi più<br />

facilmente a dismorfie (Lainhart et al. 2002). Quindi,<br />

coerentemente con le impressioni originali di Kanner<br />

(1943), l’<strong>autismo</strong> sembra essere davvero un disturbo a<br />

insorgenza molto precoce, ma esiste un piccolo numero<br />

di casi in cui viene riportata una regressione. E’ possibile<br />

che questi casi rappresentino un sottotipo specifico o un<br />

gruppo diagnostico potenzialmente diverso, ma il<br />

problema rimane ad oggi irrisolto.<br />

Quadro Clinico nel Primo Anno di Vita<br />

La descrizione originale di Kanner (1943) sottolineava la<br />

singolarità dello sviluppo sociale. Successivamente la<br />

ricerca ha raffinato in vari modi la sua impressione<br />

iniziale, specificando che i bambini con <strong>autismo</strong> nel primo<br />

anno di vita possono avere contatti oculari limitati e<br />

diminuita responsività sociale globale (Maestro et al.<br />

2002, Sparling 1991). E’ anche probabile che presentino<br />

un’imitazione vocale o motoria meno interattiva, problemi<br />

nel livello di stimolazione e risposte sensoriali anomale<br />

(Dawson et al. 2000). La mancanza di dati normativi o<br />

comparativi rende difficile interpretare questi riscontri,<br />

sebbene esista uno studio su bambini in età prescolare<br />

(Klin et al. 1992) che ha rilevato l’assenza di<br />

comportamenti sociali attesi normalmente entro l’anno di<br />

età. Per esempio, i bambini con <strong>autismo</strong> non<br />

assumevano posture anticipatorie, non si protendevano<br />

verso figure familiari, non mostravano interesse per i<br />

coetanei e non giocavano a semplici giochi d’interazione<br />

sociale.<br />

Oltre ai resoconti dei genitori, l’analisi retrospettiva di<br />

filmati casalinghi o di videoregistrazioni rappresenta una<br />

ulteriore potenziale risorsa per la ricerca. Ricerche basate<br />

su questo tipo di analisi hanno generalmente confermato<br />

l’insorgenza precoce di differenze di sviluppo nei bambini<br />

12<br />

con <strong>autismo</strong> fin dal primo anno di vita (Adrien et al. 1992,<br />

Maestro et al. 1999, Osterling & Dawson 1994, Osterling<br />

et al. 2002). Per esempio, Maestro et al. (2002) hanno<br />

esaminato delle videoregistrazioni di bambini nel primo<br />

anno di vita, poi diagnosticati come affetti da <strong>autismo</strong>,<br />

paragonandole con coetanei con sviluppo tipico<br />

selezionati in base all’età: i bambini diagnosticati in<br />

seguito come autistici mostravano virtualmente una<br />

minore attenzione agli stimoli sociali, sorridevano più<br />

raramente, vocalizzavano meno e si dedicavano per<br />

meno tempo all’esplorazione di oggetti. Tuttavia nel primo<br />

anno di vita i bambini non mostravano differenze in<br />

termini di ripetitività di comportamento,<br />

In uno studio su bambini di età compresa fra 8 e 10 mesi,<br />

Werner et al.(2000) hanno riportato che quelli nei quali è<br />

stato diagnosticato in seguito l’<strong>autismo</strong> tendevano a<br />

rispondere meno al loro nome, similmente al risultato<br />

ottenuto da Osterling & Dawson (1994) nel loro studio su<br />

bambini di 12 mesi. L’uso di un gruppo di controllo<br />

costituito da bambini con sviluppo tipico limita in qualche<br />

modo questi riscontri, perché le differenze osservate<br />

potrebbero riflettere un generico ritardo di sviluppo<br />

piuttosto che gli effetti dell’<strong>autismo</strong> in sé.<br />

Un approccio più rigoroso comporta l’uso di gruppi di<br />

controllo con ritardo di sviluppo Osterling et al. (2002),<br />

paragonando una serie di comportamenti in bambini con<br />

<strong>autismo</strong> di 12 mesi con quelli di coetanei con ritardo<br />

mentale semplice, hanno trovato differenze significative<br />

nel voltarsi al suono del proprio nome, nell’uso dei gesti,<br />

nel guardare oggetti tenuti in mano da altri, e<br />

nell’eseguire azioni ripetitive. Sebbene questi dati<br />

presentino dei limiti sotto diversi aspetti, i segni precoci di<br />

<strong>autismo</strong> sembrano comprendere - come già enunciato da<br />

Kanner - una mancanza di interesse sociale nel primo<br />

mese di vita, con riduzione del livello di interazione<br />

sociale e degli scambi comunicativi-sociali; le differenze<br />

in aree diverse dall’area sociale sono molto meno<br />

evidenti.<br />

Da 6 a 12 mesi di età diventano più marcate le differenze<br />

nell’area della comunicazione, compresa una generale<br />

compromissione nell’orientarsi verso le verbalizzazioni in<br />

generale e in particolare verso il suono del proprio nome.<br />

I bambini con <strong>autismo</strong> nel primo anno di vita sono meno<br />

interessati alle persone in un periodo in cui la maggior<br />

parte dei bambini comincia ad integrare completamente<br />

l’esplorazione degli oggetti con l’interazione sociale, e<br />

diventa più chiaramente intenzionale (Bates et al. 1979).<br />

D’altra parte, alcuni dei comportamenti spesso riferiti dai<br />

genitori, come le difficoltà nella regolazione delle<br />

stimolazioni, nell’analisi delle videoregistrazioni non sono<br />

comparsi così chiaramente come aree di differenza.<br />

Questi problemi potrebbero essere meno specifici<br />

dell’<strong>autismo</strong>; oppure la mancanza di un riscontro di<br />

differenze in queste aree potebbe aver a che fare<br />

piuttosto con la natura del materiale videoregistrato<br />

disponibile.<br />

L’AUTISMO DA 1 A 3 ANNI DI ETA’<br />

La quantità e qualità delle ricerche disponibili aumenta<br />

nettamente in riferimento ai bambini di età compresa tra 1<br />

e 3 anni. Questo fenomento in parte riflette il fatto che è


all’incirca in questo periodo che i genitori con maggiore<br />

probabilità vanno alla ricerca di una valutazione (De<br />

Giacomo & Fombonne 1998). Oltre ad evidenti ritardi di<br />

sviluppo (come la mancata comparsa di linguaggio),<br />

possono destare preoccupazioni alcuni comportamenti<br />

inusuali, compresi iniziali manierismi motori stereotipati<br />

(come sbattere le mani) o l’uso idiosincrasico di materiali<br />

(come far oscillare gli oggetti) (W impory et al. 2000).<br />

I resoconti dei genitori sono stati utilizzati per paragonare<br />

i bambini con <strong>autismo</strong> con coetanei con sviluppo tipico.<br />

All’età di 30 mesi, le differenze sono chiare ed evidenti, e<br />

la devianza sociale, i problemi di comunicazione e le<br />

risposte inusuali all’ambiente sono eclatanti (Ornitzet al.<br />

1977). I dati derivati dali resoconti dei genitori hanno<br />

identificato vari comportamenti che differenziano i<br />

bambini piccoli con <strong>autismo</strong> dai coetanei con ritardo di<br />

sviluppo. Questi comportamenti comprendono<br />

comportamenti interpersonali (posture anticipatorie, fare a<br />

turno, intensità del contatto oculare) e comportamenti nei<br />

quali un oggetto è al centro dell’interesse congiunto<br />

(attenzione congiunta verso materiali, seguire<br />

l’indicazione a dito dell’altro, o dare oggetti) (Wimpory et<br />

al. 2000). Sono stati anche osservati una limitata<br />

interazione affettiva e comportamenti sensoriali insoliti<br />

(Hoshino et al. 1982).<br />

In questa fase dello sviluppo, diventa possibile usare<br />

contemporaneamente i resoconti dei genitori e<br />

l’osservazione diretta. Per esempio, in uno studio<br />

prospettico di questionari, Dahlgren & Gillberg (1989)<br />

riferivano che un certo numero di voci discriminava il<br />

gruppo dei bambini con <strong>autismo</strong> dai coetanei con sviluppo<br />

tipico o con ritardo di sviluppo. Erano state osservate<br />

difficoltà nell’area dello sviluppo sociale, anomalie nello<br />

sguardo e mancanza di responsività al linguaggio parlato.<br />

Cox et al. (1999) seguirono longitudinalmente nel tempo<br />

un gruppo di bambni di 20 mesi ad alto/medio/basso<br />

rischio di <strong>autismo</strong>, identificato attraverso la Checklist for<br />

Autism inToddlers (CHAT) (Baron-Cohen et al. 1992). A<br />

20 mesi, i comportamenti discriminanti comprendevano la<br />

varietà delle espressioni del viso, l’uso di gesti<br />

convenzionali e l’indicare a dito un oggetto di interesse.<br />

Nello studio di follow-up condotto a 42 mesi si notavano<br />

altre voci discriminanti, come il desiderio di condividere<br />

esperienze piacevoli, il gioco immaginativo, la risposta<br />

alla consolazione e l’annuire, mentre nessun<br />

comportamento ripetitivo o stereotipato differenziava i<br />

gruppi.<br />

Lord (1995) seguì nel tempo bambini di 2 anni valutati per<br />

una possibile diagnosi di <strong>autismo</strong> con un set di test<br />

diagnostici standard, fra cui l’Autism Diagnostic Interview<br />

(ADI) (Le Couteur et al. 1989), utilizzando prove<br />

specificamente selezionate per la loro rilevanza in<br />

bambini di età inferiore ai 2 anni. I bambini venivano<br />

rivalutati dopo 12 - 15 mesi usando le stesse misurazioni.<br />

Le voci che differenziavano i gruppi compendevano<br />

ancora una volta le attività sociali (cercare l’attenzione<br />

condivisa, reciprocità sociale, uso delle persone come<br />

attrezzi, interesse per gli altri bambini) e le prove di<br />

comunicazione (prestare attenzione alla voce, indicare a<br />

dito, uso e comprensione dei gesti). Due comportamenti,<br />

il dirigere l’attenzione e il prestare attenzione al linguaggio<br />

identificavano correttamente l’82% dei bambini. All’età di<br />

13<br />

3 anni i manierismi delle dita, l’attenzione al linguaggio,<br />

l’indicare a dito e l’uso del corpo di altre persone<br />

permettevano di classificare correttamente tutti i soggetti.<br />

Questi risultati suggeriscono che fra il secondo e il terzo<br />

anno di vita si verifichino cambiamenti significativi, con la<br />

comparsa di livelli più alti di comportamenti autistici<br />

“tipici”: viceversa, alcuni dei comportamenti suggestivi<br />

per l’<strong>autismo</strong> presenti a due anni diminuivano<br />

sostanzialmente entro i 3 annni di età nel gruppo di<br />

controllo con ritardo di sviluppo (Lord 1996, Lord &<br />

Pickles 1996).<br />

Questo corpus di ricerche in continuo aumento mostra<br />

importanti aree di convergenza dei risultati, ma presenta<br />

anche un certo numero di limiti. I dati disponibili<br />

suggeriscono che in molti bambini le differenze possono<br />

cominciare ad apparire evidenti nei primi mesi di vita, ma<br />

che queste differenze possono essere sottili, e i dati di cui<br />

disponiamo attualmente presentano notevoli limiti. Per<br />

esempio, in studi retrospettivi, si può riscontrare che i<br />

genitori riferiscono con maggiore accuratezza i sintomi<br />

negativi piuttosto che quelli positivi (Stone et al. 1994) e<br />

che più difficilmente notano i deficit nel gioco e<br />

nell’attenzione congiunta che sembrano più frequenti fra il<br />

secondo e il terzo anno di vita (Charman et al. 2001).<br />

Le videoregistrazioni presentano notevoli vantaggi, ma<br />

anche potenziali svantaggi intrinsechi alla selezione del<br />

materiale registrato, perché non evidenziano le aree di<br />

differenza che non rientrano nelle scene selezionate dai<br />

genitori per la videoregistrazione. Il paragone tra studi<br />

diversi può essere difficile a causa delle differenze di<br />

metodo, dei gruppi di controllo prescelti, dei criteri di<br />

selezione dei campioni e così via.<br />

PROBLEMI DIAGNOSTICI<br />

Un crescente corpus di studi ha sottlineato l’importanza<br />

dell’identificazione e dell’intervento precoce per migliorare<br />

gli esiti a lungo termine (Natl. Res. Counc. 2001).<br />

Sebbene in molti casi i primi sintomi di <strong>autismo</strong><br />

compaiano prima dei 12 mesi di età, la diagnosi entro il<br />

primo anno di vita è estremamente complessa. Per<br />

formularla sono stati usati diversi approcci (vedi Lord &<br />

Corsello 2004 e Volkmar et al. 2004b).<br />

Approcci Categoriali<br />

Gli approcci categoriali all’<strong>autismo</strong> sono esemplificati nei


sistemi come il manuale Diagnostico e Statistico (DSM;<br />

Am. Psychiatric Assoc. 1994) e la Classificazione<br />

Internazionale delle Malattie e dei Problemi di Salute<br />

Correlati (ICD;OMS 1992). Questi sistemi hanno il<br />

vantaggio di essere ufficialmente riconosciuti e una lunga<br />

storia di facilitazione del lavoro clinico e di ricerca; sotto<br />

molti aspetti servono anche come base concettuale degli<br />

approcci dimensionali (Volkmar et al. 2004b).<br />

Il sistema DSM-IV in <strong>corso</strong> (Am. Psychiatric Assoc. 1994)<br />

è stato sviluppato sulla base di uno studio internazionale<br />

compiuto in collaborazione con i responsabili della<br />

redazione dell’ICD-10: questi due sistemi attualmente<br />

sono essenzialmente equivalenti. La definizione attuale di<br />

<strong>autismo</strong> risulta da una continuità storica con il lavoro<br />

originale di Kanner e le successive modifiche di Rutter. In<br />

questo sistema l’<strong>autismo</strong> è definito sulla base dei<br />

problemi nelle aree dello sviluppo sociale, della<br />

comunicazione e del gioco, e degli interessi ristretti e<br />

stereotipati (con un peso lievemente maggiore attribuito ai<br />

fattori sociali); per definizione l’<strong>autismo</strong> deve insorgere<br />

entro i 3 anni di età. Questo sistema presenta un<br />

ragionevole tasso di sensibilità e specificità al di là della<br />

variabilità del QI (Volkmar et al. 1994). Oltre all’<strong>autismo</strong><br />

include un certo numero di disturbi definiti più<br />

specificamente, compreso il disturbo di Asperger, il<br />

disturbo di Rett, e il disturbo disintergrativo della<br />

fanciullezza, così come il “sottogruppo” PDDNOS<br />

(disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti<br />

specificato).<br />

I dati utilizzati per sviluppare questa definizione derivano<br />

da una sostanziosa popolazione di bambini di età<br />

compresa fra 3 e 5 anni, ma da una esigua popolazione<br />

di bambini di età inferiore ai 3 anni. Fra i 3 e i 5 anni la<br />

definizione sembra funzionare ragionevolmente bene,<br />

mentre nei bambini più piccoli i dati sulla sua sensibilità e<br />

specficità sono molto più limitati. Come suggeriscono i<br />

lavori sullo sviluppo precoce, due tipi di problemi sono più<br />

probabili. Alcuni bambini a due anni di età mostrano i<br />

problemi sociali, di comunicazione e di gioco tipici<br />

dell’<strong>autismo</strong>, ma non sono ancora comparsi movimenti<br />

stereotipati insoliti o altri disturbi compresi nella terza<br />

categoria di sintomi, e molti di questi bambini continuano<br />

a presentare questo quadro sintomatologico fino ai 3 anni<br />

di età. Meno frequentemente i bambini al di sotto dei 3<br />

anni di età possono presentare tutte le caratteristiche<br />

richieste per la diagnosi di <strong>autismo</strong>, per poi perderle con<br />

la maturazione (Lord 1995).<br />

Inoltre, Stone e colleghi (1999) notano che non tutti i<br />

criteri del DSM-IV sono chiaramente applicabili a bambini<br />

piccoli, in particolare i criteri che implicano capacità di<br />

relazione e conversazione con i coetanei. E’ stato fatto<br />

almeno un tentativo di produrre un sistema diagnostico<br />

categoriale alternativo per l’<strong>autismo</strong> e i disturbi correlati<br />

specifico per la prima infanzia (Natl. Cent. Clinical Infant<br />

Prog. 1994), ma anche questo sistema presenta un certo<br />

numero di problemi e manca di solide basi empiriche.<br />

L’Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R) (Lord et<br />

al.1994) e l’Autism Diagnostic Observation Schedule<br />

(ADOS) (Lord et al.2000), rispettivamente un’intervista<br />

semistrutturata per genitori e uno strumento di<br />

14<br />

osservazione diretta, si basano su un approccio un po’<br />

diverso al problema della diagnosi categoriale. Entrambi<br />

gli strumenti sono stati sviluppati in accordo con i criteri<br />

della diagnosi categoriale, e si sono rivelati gli strumenti<br />

diagnostici più usati ai fini di ricerca (vedi Lord & Corsello<br />

2004).<br />

L’ ADI-R funziona bene per bambini di più di 4 anni di età,<br />

ma meno bene per bambini più piccoli (Cox et al. 1999,<br />

Lord 1995, Stone et al. 1999). Lord (1995) ha constatato<br />

che l’ADI-R tende a sovrastimare le diagnosi nei bambini<br />

con disabilità intellettiva di età inferiore ai 2 anni, mentre<br />

tende a sottostimarle nei più dotati dal punto di vista<br />

intellettivo (con una sensibilità e specificità entrambe di<br />

circa 0.50). Cox e colleghi (1999) hanno riportato risultati<br />

sovrapponibili in uno studio su bambini di 20 mesi di età.<br />

Alcune modifiche nelle regole per attribuire il punteggio<br />

hanno aumentato la sensibilità dello strumento, ma resta<br />

il problema della bassa specificità. All’età di 42 mesi<br />

migliora la sensibilità, ma resta la tendenza a<br />

sovrastimare le diagnosi di <strong>autismo</strong> nei bambini con grave<br />

ritardo cognitivo (Cox et al. 1999).<br />

Contrariamente all’ADI-R, l’ADOS si basa<br />

sull’osservazione e sull’interazione con il bambino.<br />

DiLavore et al. (1995) hanno usato una versione<br />

precedente dell’ADOS per confrontare bambini con<br />

<strong>autismo</strong> di età compresa fra 38 e 51 mesi con bambini<br />

con ritardo di sviluppo di età compresa fra 2 e 3 anni, e<br />

hanno notato parecchie aree in cui i due gruppi si<br />

differenziano, come l’uso del sorriso sociale, la<br />

condivisione di eventi piacevoli, il contatto oculare, il dare<br />

agli altri, il rispondere, l’uso dei gesti, il distinguere i<br />

genitori dall’esaminatore e i livelli di comportamenti<br />

stereotipati. Risultati simili sono riportati da Stone et al.<br />

(1994).<br />

Approcci Dimensionali alla Diagnosi e Checklists<br />

Gli approcci diagnostici dimensionali presentano molti<br />

vantaggi potenziali, specialmente nei bambini piccoli e nel<br />

documentare i cambiamenti nel <strong>corso</strong> dello sviluppo, e<br />

non sono necessariamente incompatibili con gli approcci<br />

categoriali (vedi Lord & Corsello 2004). Questi strumenti<br />

presentano anche dei limiti intrinsechi. La loro<br />

focalizzazione sui comportamenti devianti crea alcuni<br />

problemi, ad esempio la difficoltà di sviluppare certe<br />

prove o la bassa frequenza di comportamenti significativi,<br />

o la difficoltà di quantificarli in modo affidabile.<br />

Altri problemi comprendono il modo (se esiste) di


affrontare la storia e i cambiamenti nel tempo, la natura<br />

della fonte di informazioni (genitori o insegnanti), e la<br />

forma dello strumento (intervista piuttosto che<br />

osservazione diretta). Comportamenti altamente<br />

significativi presenti con frequenza limitata possono<br />

sfuggire durante la valutazione diretta; d’altra parte, i<br />

resoconti di genitori o insegnanti presentano altri problemi<br />

in termini di affidabilità, potenziali effetti del livello di<br />

consapevolezza e accurateza di chi dà le informazioni, e<br />

così via. Una soluzione potrebbe essere di combinare più<br />

informazioni provenienti da diverse persone o da diverse<br />

fonti, ma anche questo può creare ulteriori difficoltà<br />

(Offord et al. 1996).<br />

Nell’ambito di singole voci o scale di valutazione possono<br />

esistere differenze quantitative relative all’assenza di<br />

capacità specifiche rispetto alla presenza di<br />

comportamenti altamente devianti. Per fare un esempio,<br />

le difficoltà di contatto oculare nell’interazione sociale<br />

precoce, ampiamente riconosciute da questi strumenti,<br />

sono inquadrate meglio come mancanza d’interazione<br />

sociale normale o come presenza di modelli di<br />

funzionamento decisamente anomali? In alcune<br />

voci/scale possono esserci strette correlazioni con l’età o<br />

con lo sviluppo cognitivo (Tadevosyan-Leyfer et al. 2003).<br />

Per complicare ulteriormente la situazione, la presenza di<br />

comportamenti devianti può correlarsi in modo variabile<br />

con l’assenza di comportamenti più appropriati al livello di<br />

sviluppo. E’ quindi necessario prestare attenzione sia alla<br />

devianza che al ritardo. Negli approcci basati<br />

sull’osservazione, l’assenza di uno specifico<br />

comportamento può essere molto più difficile da<br />

interpretare della sua presenza (Lord & Corsello 2004).<br />

Nonostante questi interrogativi, é stato sviluppato un<br />

certo numero di scale di valutazione e checklist<br />

dimensionali. Questi strumenti si differenziano per molti<br />

aspetti e per l’uso cui sono destinati, dalla diagnosi e<br />

valutazione diagnostica al depistaggio nella popolazione.<br />

Benchè questi approcci abbiano rivestito un ruolo<br />

significativo sia nella clinica che nella ricerca, le<br />

informazioni sul loro uso nei bambini piccoli - con qualche<br />

eccezione degna di nota per quanto riguarda in<br />

particolare il depistaggio - sono scarse.<br />

Per fare un esempio, la Childhood Autism Rating Scale<br />

(CARS) (Schopler et al. 1980), che è stata ampiamente<br />

usata nella valutazione di bambini più grandi, valuta il<br />

bambino attraverso una serie di dimensioni della gravità<br />

dell’<strong>autismo</strong>. Nello studio di Lord (1995), la CARS e l’<br />

ADI-R danno generalmente risultati coerenti fra di loro e<br />

con la diagnosi clinica. Tuttavia sia la CARS che l’ADI-R<br />

risultano meno accurati in bambini di due anni o di età<br />

inferiore, con una sovrastima delle diagnosi da parte della<br />

CARS.<br />

Un’altra serie di studi si è concentrata invece sullo<br />

sviluppo di brevi scale di misura/checklist da usare più<br />

per il depistaggio che per la diagnosi definitiva. Lo<br />

sviluppo di strumenti di questo genere riveste una<br />

particolare importanza per gli studi prospettici (per<br />

esempio, per i fratellini neonati a rischio di <strong>autismo</strong>) e per<br />

gli studi epidemiologici. Lo sviluppo di strumenti di<br />

screening implica un’altra serie di considerazioni relative<br />

alle problematiche e ai limiti che il loro uso presenta (vedi<br />

15<br />

Aylward et al. 1997, Coonrod & Stone 2004). Gli<br />

strumenti di screening di 1° livello, finalizzati a identificare<br />

i bambini a rischio per una più generica disabilità,<br />

vengono spesso usati nella pratica medica (pediatrica)<br />

generale allo scopo di identificare un ampio ventaglio di<br />

problemi dello sviluppo. Gli strumenti di screening di 2°<br />

livello invece si concentrano più specificamente sulla<br />

differenziazione dei bambini a rischio per l’<strong>autismo</strong> da<br />

quelli con altri tipi di difficoltà, come un ritardo cognitivo<br />

globale o disturbi del linguaggio, sono più dettagliati e<br />

mirati e vengono più frequentemente usati in ambiente<br />

specialistico.<br />

La Checklist for Autism in Toddlers, uno strumento di<br />

screening di 1° livello destinato a bambini di 18 m esi. che<br />

combina i resoconti dei genitori con l’osservazione<br />

(Baron-Cohen et al. 1992, 1996, 2000), contiene un<br />

numero esiguo di voci concepite per destare il sospetto di<br />

<strong>autismo</strong>. I risultati dello studio originale (dal quale erano<br />

stati esclusi i bambini con grave ritardo) suggerivano alti<br />

livelli di specificità ma bassa sensibilità. Successivamente<br />

vi sono state apportate alcune modifiche (Baird et al.<br />

2000, Scambler et al. 2001). Robins e colleghi (2001)<br />

hanno cercato di affrontare alcune delle problematiche<br />

insite nella CHAT originale con la CHAT modificata (M-<br />

CHAT), uno strumento costituito da 23 voci, progettato<br />

per bambini di due anni. Nel loro rapporto, lo strumento<br />

sembra possedere una sensibilità ed una specificità<br />

ragionevolmente buone. Le voci suggestive per l’<strong>autismo</strong><br />

comprendono l’attenzione congiunta, l’interazione sociale<br />

e la comunicazione, coerentemente con i sintomi tipici<br />

dell’<strong>autismo</strong> precedentemente decritti nei bambini di 2<br />

anni (Baron-Cohen et al.1996, Lord 1995). Questo<br />

strumento è ancora in fase di elaborazione: resta da<br />

determinare il tasso di false positività e negatività.<br />

Sono stati sviluppati anche strumenti di screening di<br />

secondo livello. Il Pervasive Developmental Disorders<br />

Screening Test (PDDST) è uno strumento di misurazione<br />

per bambini al di sotto dei 6 anni di età, basato sui<br />

resoconti dei genitori,disponibile in diverse versioni<br />

destinate a diversi livelli di screening<br />

(Siegel & Hayer 1999). I risultati preliminari sembrano<br />

promettenti, ma non sono ancora stati pubblicati su riviste<br />

scientifiche.<br />

Lo Screening Tool for Autism in Two-Year-Olds (STAT)<br />

(Stone et al. 2000) è progettato per bambini di età<br />

compresa fra 2 e 3 anni. Comprende 12 prove<br />

riuscite/fallite che esplorano aspetti della comunicazione,<br />

dell’interazione sociale e del gioco, da somministrare in<br />

ambiente di gioco, che richiedono circa 20 minuti.


I risultati preliminari sono incoraggianti, ma anche in<br />

questo caso lo strumento deve essere ancora valutato su<br />

campioni più ampi nella comunità.<br />

Altri due strumenti di screening di 2° livello sono l’Autism<br />

Behavior Checklist (ABC) (Krug et al. 1980) e la Gilliam<br />

Autism Rating Scale (GARS) (Gilliam 1995). L’ABC è una<br />

checklist di 57 voci, di peso diverso a seconda dell’<br />

associazione più o meno stretta con l’<strong>autismo</strong>, destinata<br />

ad un’ampia campionatura di soggetti (da 18 mesi a 35<br />

anni di età). Sebbene sia di veloce somministrazione e di<br />

uso comune, restano alcuni dubbi sulla qualità delle<br />

valutazioni e resta poco chiara la sua utilità nei bambini<br />

piccoli.<br />

La GARS, una checklist di 56 voci relative a<br />

comportamenti, concepita per identificare l’<strong>autismo</strong> in<br />

soggetti di età compresa fra i 2 e i 5 anni, può essere<br />

somministrata rapidamente e richiede una breve<br />

formazione, ma resta da stabilire la sua utilità nei bambini<br />

più piccoli, e restano alcuni dubbi sulla sua sensibilità nei<br />

bambini in età prescolare (South et al. 2002).<br />

Diagnosi Clinica<br />

Attualmente il metodo diagnostico più attendibile nei<br />

bambini piccoli resta l’esperienza clinica (Adrien et al.<br />

1992, Cox et al.1999, Lord 1995, Stone et al. 1999). La<br />

diagnosi clinica di <strong>autismo</strong> è altamente stabile, con una<br />

percentuale di casi che mantengono la diagnosi ai<br />

controlli successivi compresa fra il 72% e l’ 87% (vedi Klin<br />

et al. 2004). Il motivo è presumibilmente che i clinici<br />

esperti atttingono ad un bagaglio di conoscenze ben più<br />

ricco di quanto non sia quello incorporato in criteri o linee<br />

guida diagnostiche (Klin et al. 2000). Allo stato attuale la<br />

diagnosi clinica continua ad occupare il primo posto nella<br />

diagnosi dei bambini piccoli in età prescolare (Lord 1995,<br />

Stone et al. 1999). Lo sviluppo di migliori approcci<br />

(categoriali e dimensionali) specifici per i bambini piccoli<br />

rappresenta una priorità importante per la ricerca e per la<br />

comprensione dei confini che dividono l’<strong>autismo</strong> dalle<br />

condizioni dello spettro autistico allargato.<br />

CARATTERISTICHE EVOLUTIVE DELL’AUTISMO NEI<br />

PRIMI DUE ANNI DI VITA<br />

Funzionamento sociale<br />

Prese singolarmente le difficoltà sociali sono il predittore<br />

più valido della diagnosi in soggetti con <strong>autismo</strong> più<br />

grandi (Siegel et al. 1989, Volkmar et al. 1994), e<br />

probabilmente anche nei piccoli. I bambini con <strong>autismo</strong> in<br />

età prescolare raramente sono in grado di mostrare<br />

capacità sociali tipicamente presenti nei primi mesi di vita<br />

(Klin et al. 1992). Il contatto oculare è limitato, così<br />

come l’interazione e la responsività sociale (Dawson et al.<br />

2000, Sparling 1991). Le difficoltà nell’area<br />

dell’attenzione congiunta, cruciale per lo sviluppo di<br />

abilità comunicative e socio-cognitive (Tomasello 1995)<br />

sono eclatanti (Mundy et al. 1990, Sigman & Ruskin<br />

1999). Nei bambini con <strong>autismo</strong> sia l’iniziativa che la<br />

risposta alle consegne di attenzione congiunta<br />

aumentano con il tempo (Leekam et al. 2000), ma restano<br />

gravemente compromesse in contesti naturali (Klin et al.<br />

16<br />

2002), e il modello di acquisizione di queste capacità può<br />

essere atipico (Carpenter et al. 2002, Klin et al.2003).<br />

Nei bambini con sviluppo tipico, l’imitazione e il gioco<br />

sono importanti per lo sviluppo delle capacità simboliche<br />

(Piaget 1952a,b; Vygotsky 1990) e socio-cognitive<br />

(Trevarthen & Aitken 2001). Le difficoltà di imitazione<br />

presenti in modo consistente nei bambini con <strong>autismo</strong> più<br />

grandi (Hobson & Lee 1999, Loveland et al. 1994, Smith<br />

& Bryson 1994) sono già presenti a partire dal secondo<br />

anno di vita (Charman et al. 1997, Dawson et al. 1998,<br />

Roeyers et al. 1998). I livelli di imitazione si correlano<br />

positivamente con i livelli di linguaggio (Sigman &<br />

Ungerer 1984).<br />

Nel bambino con sviluppo tipico le attività di gioco<br />

progrediscono dalla semplice esplorazione degli oggetti<br />

all’uso funzionale degli oggetti e al gioco del “fare finta”.<br />

Sebbene le evidenze in proposito siano limitate, nei primi<br />

mesi di vita non si osservano grosse differenze fra i<br />

bambini con <strong>autismo</strong> e i loro coetanei con sviluppo tipico<br />

o con ritardo di sviluppo (Baranek 1999, Maestro et al.<br />

2002, Osterling et al. 2002), mentre le anomalie sono


evidenti fra i 9 e i 12 mesi di età (Baranek 1999) ed<br />

assumono progressivamente aspetti più devianti a causa<br />

degli alti livelli di perseverazione (Osterling et al. 2002).<br />

Benchè in età precoce si possano osservare routine di<br />

gioco funzionale (Charman & Baron-Cohen 1997), intorno<br />

ai 2 anni di età le differenze con i coetanei con sviluppo<br />

tipico sono eclatanti: il gioco diventa meno finalizzato,<br />

meno simbolico e meno complesso dal punto di vista<br />

evolutivo (McDonough et al. 1997, Mundy et al. 1986,<br />

Sigman & Ruskin 1999, Stone et al. 1990).<br />

Alla fine del primo anno di vita i bambini con sviluppo<br />

tipico hanno sviluppato forti modelli di attaccamento e<br />

comportamenti funzionali a mantenere la prossimità dell’<br />

adulto, facilitando allo stesso tempo l’esplorazione (Rutter<br />

1995). Pur sviluppando senza alcun dubbio legami di<br />

attaccamento con i genitori (Capps et al. 1994, Rogers et<br />

al. 1993, Shapiro et al. 1987, Sigman & Mundy 1989,<br />

Sigman & Ungerer 1984) e la capacità di rispondere in<br />

modo differenziato a persone familiari o estranee (Landry<br />

& Loveland 1989, Sigman & Ungerer 1984), i bambini con<br />

<strong>autismo</strong> possono presentare comportamenti di<br />

attaccamento insoliti (Rogers et al. 1993). Benchè non ne<br />

sia chiaro il significato, nei bambini con <strong>autismo</strong> è<br />

relativamente comune l’attaccamento a oggetti inusuali<br />

(Volkmar et al. 1994).<br />

Sviluppo della comunicazione<br />

Le preoccupazioni inerenti allo sviluppo del linguaggio e<br />

della comunicazione sono fra i disturbi più frequenti<br />

segnalati in uno stadio iniziale (De Giacommo &<br />

Fombonne 1998). Nei bambini con <strong>autismo</strong> i modelli di<br />

vocalizzazione presentano anomalie anche prima che<br />

inizi la produzione di linguaggio verbale (Wetherby et al.<br />

1989), come del resto la qualità della voce (Sheinkopf et<br />

al. 2000), probabilmente un segno precursore dei<br />

significativi deficit dell’intonazione e della qualità della<br />

voce che si manifestano più tardi (Shriberg et al. 2001).<br />

Nei bambini con sviluppo tipico lo sviluppo di abilità di<br />

comunicazione non verbale è intimamente collegato<br />

con lo sviluppo di abilità comunicative convenzionali, e<br />

contrassegna l’inizio della comunicazione intenzionale<br />

(Bates et al. 1979). I bambini piccoli con <strong>autismo</strong> invece<br />

17<br />

comunicano meno frequentemente a paragone dei<br />

bambini con ritardo di sviluppo (Stone et al. 1997,<br />

Wetherby et al. 1989), sono meno inclini a usare il<br />

contatto e i gesti convenzionali, mentre più facilmente<br />

usano gesti decisamente non convenzionali, come<br />

manipolare la mano del partner comunicativo per ottenere<br />

oggetti (Stone et al. 1997).<br />

I bambini con <strong>autismo</strong> presentano difficoltà sia con<br />

l’espressione che con la produzione di risposte affettive,<br />

e anomalie nel repertorio, nella frequenza e nell’inte-<br />

grazione delle manifestazioni affettive (Ricks & Wing<br />

1975, Snow et al. 1987, Yirmiya et al.1989), sono meno<br />

inclini a guardare un adulto che mostra un’espressione<br />

corrucciata (Sigman et al. 1992) e hanno difficoltà a<br />

imitare l’espressione facciale delle emozioni (Loveland et<br />

al. 1994).<br />

Sviluppo cognitivo<br />

A causa dei limitati strumenti disponibili e delle difficoltà<br />

insite nella valutazione dei piccoli, la valutazione dei<br />

bambini con <strong>autismo</strong> in età precoce presenta problemi<br />

particolari (Klin et al.2004). Dal momento che gli strumenti<br />

di valutazione testano un ampio ventaglio di capacità<br />

relative alle diverse età, man mano che il bambino cresce<br />

diventano tipicamente più evidenti i ritardi nei compiti che<br />

richiedono competenze di problem-solving basate sul<br />

linguaggio, pensiero simbolico o aspetti di interazione<br />

sociale, mentre le prove che richiedono meno<br />

competenze verbali, come gli accoppiamenti visivi,<br />

possono risultare più vicine ai livelli attesi (Klin et al.<br />

2004).<br />

Un’osservazione condivisa fatta per la prima volta da<br />

Kanner (1943) riguarda il riscontro di notevoli discrepanze<br />

fra le diverse aree di sviluppo. Questo decalage evolutivo<br />

ha origine nella prima infanzia (Sigman & Ungerer 1981),<br />

e non solo persiste nel tempo, ma diventa anche più<br />

eclatante (Ehlers et al.1997, Freeman et al.1988, Klin et<br />

al.1995). Benchè alcuni studi su bambini più grandi<br />

abbiano evidenziato difficoltà nelle funzioni esecutive<br />

(Pennington & Ozonoff 1996), gli studi sui piccoli<br />

(Dawson et al. 2002b, Griffith et al. 1999) non hanno<br />

rilevato nello sviluppo sensomotorio differenze<br />

specifiche della sindrome (Cox et al. 1999, Dawson et al.<br />

2002b, Morgan et al. 1989, Sigman & Ungerer 1984);<br />

anzi, in alcuni casi i bambini con <strong>autismo</strong> in età<br />

prescolare hanno in questi compiti prestazioni migliori dei


coetanei del gruppo di controllo con ritardo di sviluppo.<br />

Le anomalie dell’attenzione nei bambini con <strong>autismo</strong> più<br />

grandi sono ben documentate. Le problematiche presenti<br />

nell’<strong>autismo</strong> hanno a che fare con l’attenzione selettiva<br />

e con difficoltà a concentrarsi su molteplici aspetti degli<br />

stimoli, e in particolare sugli stimoli uditivi. (Burack et al.<br />

1997). I lattanti diagnosticati in seguito come affetti da<br />

<strong>autismo</strong> messi a confronto con controlli sia con sviluppo<br />

tipico che con ritardo, mostrano meno attenzione verso le<br />

persone che verso gli oggetti (Baranek 1999, Maestro et<br />

al. 2002, Osterling et al. 2002), e questa caratteristica si<br />

mantiene nel secondo anno di vita (Dawson et al. 1998).<br />

L’attenzione sociale selettiva è particolarmente<br />

compromessa, e a 20 mesi nei momenti di gioco libero i<br />

bambini con <strong>autismo</strong> guardano gli oggetti piuttosto che e<br />

persone con più probabilità dei coetanei con sviluppo<br />

tipico o ritardato (Swettenham et al. 1998). Secondo studi<br />

recenti sull’attenzione sociale selettiva che utilizzano<br />

nuovi approcci i bambini con <strong>autismo</strong> più grandi mostrano<br />

modelli fortemente devianti di attenzione verso le persone<br />

rispetto ai controlli, in particolare verso i volti (Klin et al.<br />

2002a,b). Riscontri del tutto simili emergono nei bambini<br />

piccoli con <strong>autismo</strong> (Klin et al. 2003).<br />

QuickTime e un<br />

decompressore TIFF (Non compresso)<br />

sono necessari per visualizzare quest'immagine.<br />

QuickTime e un<br />

decompressore TIFF (Non compresso)<br />

sono necessari per visualizzare quest'immagine.<br />

La figura mostra come un bambino con <strong>autismo</strong> guarda il<br />

filmato di un popolare programma televisivo: piuttosto che<br />

concentrare l’attenzione sul personaggio rosa o sui<br />

bambini, il suo sguardo si focalizza sugli spigoli dei mobili<br />

e sull’arcobaleno sullo sfondo.<br />

Sono stati fatti diversi tentativi di spiegare queste<br />

differenze precoci nell’attenzione sociale-visiva. Il<br />

problema potrebbe avere a che fare con l’evitamento di<br />

18<br />

stimoli visivi complessi come i volti (Swettenham et al.<br />

1998), o stimoli sociali variabili e imprevedibili (Dawson &<br />

Lewy 1989). Una terza ipotesi individua il problema di<br />

fondo in una mancanza di motivazione e di salienza<br />

sociale (Dawson et al. 2002a, Klin 1991). In uno studio<br />

sulla fissazione dell’attenzione automatica su movimenti<br />

oculari e sul movimenti non biologico, benchè l’attenzione<br />

di bambini di due anni con <strong>autismo</strong> potesse essere<br />

attirata da cambiamenti di direzione degli occhi, alcune<br />

differenze specifiche nella fissazione dello sguardo<br />

suggerivano l’impiego di strategie differenti (Chawarska et<br />

al. 2003). Raccogliere ulteriori dati per chiarire la natura<br />

di queste differenze rappresenta una priorità critica.<br />

VALUTAZIONE E INTERVENTO<br />

Gli aspetti dello sviluppo infantile da valutare sono<br />

molteplici, e richiedono di solito il coinvolgimento, il<br />

coordinamento e la collaborazione di diversi<br />

professionisti. Inoltre la diagnosi può presentare<br />

problematiche complesse, e talvolta può richiedere del<br />

tempo prima di essere definitivamente chiarita. La<br />

traduzione del processo di valutazione diagnostica in<br />

implicazioni pratiche per il trattamento riveste<br />

un’importanza critica, come pure il coinvolgimento di<br />

genitori.<br />

La valutazione del livello di sviluppo è un aspetto<br />

cruciale del processo (Klin et al. 2004); aiuta a inquadrare<br />

successive osservazioni e può fornire informazioni<br />

essenziali per le strategie d’intervento. Poiché ritardi e<br />

devianze nell’area delle capacità comunicative sono<br />

universalmente presenti nell’<strong>autismo</strong>, e rapprentano una<br />

delle aree centrali dell’intervento, anche la valutazione<br />

della comunicazione e del linguaggio è una componente<br />

fondamentale del processo diagnostico (Wetherby &<br />

Prizant 2000). Anche la valutazione delle capacità<br />

adattive riveste un’importanza critica: l’incapacità del<br />

bambino di trasferire nella vita reale quello che sa fare in<br />

una situazione strutturata di test è un problema universale<br />

e ha implicazioni importanti per il trattamento (Carter et al.<br />

1998, Sparrow et al. 1984). La tappa finale del processo<br />

diagnostico dovrebbe mirare all’integrazione delle<br />

informazioni disponibili, compresa la storia del bambino, i<br />

livelli attuali di sviluppo, i punti di forza del<br />

comportamento e le sue vulnerabilità. Attualmente è<br />

disponibile un crescente numero di strumenti di<br />

valutazione nel bambino (vedi Klin et al. 2004), dei quali,<br />

come si è detto, un certo numero è stato specificamente<br />

progettato per facilitare la diagnosi nei piccoli.<br />

Oggi disponiamo di un vasto corpus di evidenze a<br />

supporto dell’importanza di interventi educativi e<br />

comportamentali intensivi nei bambini con <strong>autismo</strong>. Il<br />

recente rapporto del National Research Council (2001) ha<br />

riassunto tutti i programmi esistenti negli USA che si sono<br />

dimostrati efficaci nel trattamento dei bambini con<br />

<strong>autismo</strong>. Malgrado alcune differenze, questi programmi<br />

presentano anche molte aree di similitudine. Le aree di<br />

diversità includono aspetti dell’orientamento teorico, il<br />

grado di partecipazione del bambino o dell’adulto nel<br />

mettere a punto il piano di apprendimento /insegnamento,<br />

e il grado in cui il programma è guidato dai principi dello<br />

sviluppo. Le aree su cui tutti concordano comprendono


l’uso di approcci all’insegnamento altamente strutturati,<br />

l’intensività del lavoro con il bambino e una focalizzazione<br />

generale sulle proclematiche dell’”imparare a imparare”,<br />

cioè sulle abilità di base per partecipare e trarre beneficio<br />

dall’educazione (Natl. Res. Counc. 2001).<br />

L’Applied Behavior Analysis (ABA) è il metodo di<br />

trattamento più ampiamente studiato, anche se<br />

l’orientamento attuale si indirizza sempre più verso<br />

modelli più eclettici derivati da una serie di metodi<br />

altretanto efficaci (Natl. Res. Counc. 2001, Smith 2000).<br />

Sono stati fatti alcuni tentativi di trattamenti incentrati sui<br />

presunti deficit “di base” (Kasari 2002), e in alcuni modelli<br />

neuropsicologici attuali della condizione sono state<br />

incluse le diversità di risposta al trattamento (Mundy<br />

2003). Recentemente sono stati pubblicati studi di verifica<br />

sui trattamenti di qualità ragionevolmente buona (Drew et<br />

al. 2002, Eikeseth et al. 2002). Tuttavia, anche nel caso di<br />

trattamenti affermati come l’ABA, i risultati di recenti studi<br />

randomizzati di controllo (Smith et al. 2000) non sono<br />

stati eclatanti come quelli inizialmente riportati (Lovass &<br />

Smith 1988), e per le famiglie può risultare difficile<br />

mantenere l’intensità raccomandata.<br />

Alcuni riscontri suggeriscono che l’età alla quale inizia il<br />

trattamento sia un fattore importante (Harris &<br />

Handleman 2000). Gli studi disponibili sui trattamenti si<br />

riferiscono generalmente a bambini in età prescolare e<br />

scolare, ma pochi si indirizzano direttamente alle<br />

problematiche dell’intervento sui più piccoli. Questo<br />

problema diventerà sempre più critico con il progredire<br />

della precocità della diagnosi (Volkmar et al.2004).<br />

Diversi fattori appaiono rivestire un’importanza<br />

fondamentale per il successo dei programmi di<br />

intervento (Howlin 2000). I bambini con forme di <strong>autismo</strong><br />

meno classiche possono rispondere meglio di quelli che<br />

pesentano un quadro di <strong>autismo</strong> più chiaramente definito,<br />

e i bambini con abilità cognitive migliori o con maggiori<br />

livelli di impegno possono reagire più positivamente (vedi<br />

Drew et al. 2002, Kasari et al.2001, Koegel et al. 1999,<br />

Rogers 2000, Siller & Sigman 2002, Volkmar et al.<br />

2004c, Whalen & Schreibman 2003, Wolery & Garfinkle<br />

2002). La generalizzazione delle capacità acquisite in<br />

diversi ambenti riveste un ruolo critico in tutti i trattamenti<br />

(Hwang & Hughes 2000, Strani & Hoyson 2000).<br />

Purtropo, anche se l’identificazione precoce e interventi<br />

intensivi hanno portato ad un generale miglioramento<br />

degli esiti, alcuni bambini non registrano progressi<br />

19<br />

nemmeno con trattamenti eccellenti; lo studio di questi<br />

bambini può contribuire a chiarire come costruire<br />

trattamenti più individualizzati. Sebbene ci sia un<br />

crescente interesse per approcci d’insegnamento delle<br />

capacità sociali, molta della letteratura in questo campo<br />

è imperniata su bambini più grandi. Inoltre molte<br />

informazioni sull’efficacia dei trattamenti derivano da<br />

progetti individuali su singoli casi. E’ assolutamente<br />

necessario che la ricerca indaghi i meccanismi del<br />

trattamento, le condizioni e le differenze individuali di<br />

responsività (Paul 2003).<br />

RIASSUNTO E ORIENTAMENTI PER LA RICERCA<br />

Sebbene l’<strong>autismo</strong> sia stato descritto 60 anni fa come un<br />

disturbo ad insorgenza precoce durante la prima infanzia,<br />

le nostre conoscenze nel primo anno di vita restano a<br />

tuttoggi limitate. Fino a poco tempo fa la maggior parte<br />

delle informazioni disponbili derivava da resoconti<br />

retrospettivi o da videoregistrazioni. Il riconoscimento<br />

della forte componente genetica alla base dell’<strong>autismo</strong>, la<br />

crescente attenzione dei media e del pubblico e la<br />

consapevolezza dell’importanza della diagnosi e del<br />

trattamento precoce hanno focalizzato sempre più<br />

l’attenzione sull’<strong>autismo</strong> nei primi mesi di vita.<br />

I risultati della ricerca attuale hanno confermato e<br />

raffinato l’ipotesi originale di Kanner (1943) sul ruolo<br />

fondamentale delle difficoltà sociali attraverso studi<br />

convergenti che mettono in luce i deficit precoci di<br />

attenzione congiunta, del contatto oculare e della<br />

fissazione dello sguardo, e dell’emergenza di interessi e<br />

routine sociali. Queste difficoltà sembrano avere<br />

implicazioni importanti per l’emergenza di capacità in altre<br />

aree.<br />

Fino ad oggi, il fatto che la ricerca si affidasse ad approcci<br />

retrospettivi ne ha costituito il limite maggiore. Lo sviluppo<br />

di metodi di screening migliori e lo studio dele popolazioni<br />

ad alto rischio, come i fratelli di bambini con <strong>autismo</strong>, ci<br />

offre attualmente l’opportunità di progettare studi<br />

prospettici. I risultati di questi studi ci aiuteranno a<br />

raffinare ulteriormente le attuali teorie sulle basi sia<br />

neurobiologiche che psicologiche dell’<strong>autismo</strong>, e ad<br />

affrontare le problematiche dello spettro allargato e dei<br />

disturbi correlati. I risultati avranno importanti implicazioni<br />

per comprendere il ruolo dei fattori sociali in altri aspetti<br />

dello sviluppo e il potenziale per permetterci di sviluppare<br />

approcci sempre migliori allo screening e alla diagnosi<br />

precoce basati sulle conoscenze aquisite in campo<br />

biologico e comportamentale. E’ assolutamente prioritario<br />

concentrarsi su processi specifici, come il modo in cui i<br />

deficit di attenzione congiunta si intrecciano con altri<br />

processi attenzionali, comunicativi e cognitivi (Volkmar et<br />

al. 2004c). I progressi nelle metodologie di valutazione<br />

possono contribuire ad estendere gli studi dai soggetti più<br />

grandi e più abili ai primi anni, o addirittura mesi, di vita. Il<br />

numero crescente di bambini a rischio identificati nella<br />

prima infanzia comporterà nuove importanti sfide per i<br />

servizi e la ricerca sull’intervento precoce.<br />

L’articolo originale integrale in lingua inglese è reperibile<br />

online su Annual Review of Psychology<br />

http://psych.annualreviews.org


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“Il profilo Psicoeducativo PEP”<br />

a cura della Fondazione IL CIRENEO Onlus per l'Autismo<br />

L'APPROCCIO EVOLUTIVO DELLA VALUTAZIONE<br />

Il profilo Psico-Educativo Revisionato offre un approccio evolutivo della valutazione dei bambini<br />

autistici o affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo. Le valutazioni ottenute con il PEP-R servono<br />

a concepire dei programmi educativi specifici ed individualizzati (PEI). Questo approccio evolutivo<br />

riveste un'importanza molto particolare per diverse ragioni.<br />

Prima di tutto, ci ricorda che un bambino, normale o no, cresce e cambia con l'età.<br />

Secondariamente, i risultati ottenuti con il PEP-R sono utilizzati per creare dei programmi educativi<br />

individualizzati. Quindi il livello attuale di sviluppo deve essere preso in considerazione nella scelta<br />

dei compiti per il programma educativo individualizzato. Un quadro evolutivo permette di<br />

descrivere e di comprendere i profili di sviluppo disuguali nelle varie funzioni, caratteristici di<br />

questi bambini.<br />

In effetti, nello stesso bambino tutt<br />

e le funzioni non raggiungono lo stesso livello. Di conseguenza le strategie educative più<br />

interessanti sono spesso quelle che utilizzano le tecniche corrispondenti al livello di sviluppo del<br />

bambino nella funzione considerata. Per esempio, se un bambino autistico di cinque anni presenta la<br />

motricità di un soggetto normale della sua età, ma ha una comprensione di linguaggio come un<br />

bambino di due anni, si potrà insegnare a questo bambino ad andare col triciclo, ma usando un<br />

vocabolario semplice, adatto all'età di due anni.<br />

Benché i bambini autistici non assomigliano a dei bambini normali più giovani, i loro problemi di<br />

apprendimento possono essere compresi paragonandoli ai bisogni correnti di bambini più giovani.<br />

Descrizione del PEP-R<br />

Il PEP-R è un inventario di comportamenti e di conoscenze creato per identificare i profili di<br />

apprendimento disuguali e caratteristici delle persone artistiche. Il test è particolarmente adatto per<br />

bambini di livello prescolastico e di età cronologica compresa tra sei mese e sette anni, il PEP-R<br />

può fornire utili informazioni anche se il bambino ha più di sette anni e meno di dodici.<br />

Dopo i dodici anni è raccomandata una nuova valutazione: Adolescent and Adult<br />

Psychoeducational Profile (AAPEP) (Mesibov, Schopler, Schaffer e Landrus 1988).<br />

Come strumento di valutazione, il PEP-R fornisce delle informazioni legate al livello di sviluppo<br />

nelle seguenti funzioni<br />

* Imitazione<br />

* Percezione<br />

* Motricità fine<br />

* Motricità globale<br />

* Coordinazione oculo-manuale<br />

* Aspetto cognitivo<br />

* Aspetto cognitivo verbale<br />

Come strumento di diagnosi il PEP-R serve ad identificare il grado di anormalità del<br />

comportamento nei seguenti campi:<br />

* Relazioni e affetti<br />

* Gioco ed interesse per il materiale<br />

* Risposte sensoriali<br />

* Linguaggio<br />

Il PEP-R comprende dei giocattoli e del materiale didattico proposti al bambino da un esaminatore<br />

nell'ambito di attività di gioco strutturate. Egli, contemporaneamente, osserva, valuta e registra le<br />

reazioni del bambino.


Alla fine del test, i risultati ottenuti sono riportati su sette funzioni per l'area dello sviluppo e su<br />

quattro funzioni per l'area del comportamento. Il profilo che ne risulta mostra i punti deboli e i punti<br />

relativamente forti del bambino nei differenti campi dello sviluppo e del comportamento.<br />

La maggior parte dei test hanno solo due livelli di valutazione: 'insuccesso' o 'successo'; il PEP-R<br />

prende in considerazione un terzo livello chiamato 'emergenza'.<br />

Una risposta sarà 'emergenza' se dimostra che il bambino ha una certa conoscenza di ciò che deve<br />

fare per eseguire l'attività richiesta, ma non raggiunge la comprensione completa o la capacità di<br />

portarla a termine.<br />

La valutazione 'emergente' sarà attribuita al soggetto che dimostra di possedere qualche idea di ciò<br />

che gli è stato richiesto, se può realizzare il compito in parte, anche eseguendolo in modo inesatto o<br />

incompleto.<br />

L'<strong>autismo</strong> comporta, oltre a un ritardo nello sviluppo, anche dei comportamenti atipici. La<br />

particolarità del PEP-R è proprio quella di prendere in considerazione entrambi gli aspetti. La scala<br />

permette di valutare il livello del bambino rispetto ai suoi coetanei.<br />

Gli items della scala comportamentale hanno lo scopo di identificare le risposte ai comportamenti<br />

compatibili con la diagnosi di <strong>autismo</strong>. Queste categorie e misure sono basate sul CARS (Childhood<br />

Autism Rating Scale, Schopler e al. 1988) programmato per diagnosticare l'<strong>autismo</strong>.<br />

Il totale dei comportamenti inusuali o disfunzionali è quantificato e qualificato e indica la gravità<br />

delle difficoltà comportamentali del bambino. I comportamenti sono valutati:<br />

* adeguato<br />

* leggero<br />

* grave<br />

Gli items della scala del comportamento non sono paragonabili alla norma come quelli della scala<br />

dello sviluppo. I comportamenti particolari, nella loro forma leggera o grave, sono anormali per i<br />

bambini normodotati di ogni età. I risultati ottenuti nella scala del comportamento possono essere<br />

utili per seguire l'evoluzione del comportamento di un bambino nel tempo e anche per aiutare nel<br />

decidere come raggruppare i bambini in una classe. Il PEP-R differisce dalla maggior parte dei tests<br />

psicologici in quanto è uno strumento che serve per la pianificazione di programmi educativi<br />

speciali individualizzati.<br />

Caratteristica della popolazione presa in esame<br />

I bambini autistici sono stati considerati 'intestabili', poiché a differenza dei bambini normali essi<br />

non rispondono bene a un test standardizzato conducendo a conclusioni errate per quanto riguarda<br />

le loro capacità ed i loro potenziali intellettivi. Nel passato erano considerati con un potenziale di<br />

normale intelligenza ma con poca motivazione.<br />

Nell'università del Nord Carolina Child Research Project e poi nella Division TEACCH, l'evidenza<br />

clinica ha dimostrato che le loro capacità possono essere correttamente valutate se si scelgono le<br />

attività per il test che corrispondono ad un livello di sviluppo adatto a loro come ha indicato Alpern<br />

(1967).<br />

Il punto principale del PEP-R è che gli items del test sono suddivisi in sette grandi aree di sviluppo<br />

con differenti livelli di difficoltà.<br />

L'esperienza ha dimostrato che se la difficoltà di un lavoro non è adattata al livello di un bambino,<br />

la frequenza dei comportamenti anomali aumenta. Compiti non appropriati possono essere la causa<br />

più comune di problemi di comportamento nei bambini con disturbi generalizzati di sviluppo.<br />

Tenendo presente il fatto che compiti inadeguati possono provocare comportamenti problematici, il<br />

PEP-R permette all'esaminatore di adeguare la presentazione degli items in modo da poter ottenere<br />

il massimo delle prestazioni dal bambino esaminato. Grazie a ciò l'esaminatore può mettere in<br />

evidenza anche le capacità 'emergenti' che sono il punto di partenza per la costruzione di un<br />

intervento educativo efficace.<br />

Per evitare i problemi che potrebbe presentare la situazione di un test classico con bambini autistici,<br />

gli items del PEP-R non sono in ordine predeterminato ed è possibile svolgerlo con una certa<br />

flessibilità.


Poiché le difficoltà di linguaggio sono caratteristiche dei bambini autistici e con disturbi<br />

generalizzati dello sviluppo il PEP-R riduce al minimo il linguaggio verbale necessario per la<br />

comprensione delle consegne e non richiede molte risposte verbali.<br />

Il PEP-R include pure dei nuovi items destinati a valutare le possibilità dei bambini più piccoli.<br />

Questo arricchimento ed estensione verso il basso permette di esaminare e progettare un piano<br />

educativo per bambini piccolissimi e di livello prescolastico.<br />

PEP-R e test di intelligenza<br />

La maggior parte dei test di intelligenza sono stati concepiti per produrre un insieme di prove che<br />

diano un quoziente intellettivo.<br />

Non ci soffermiamo ora sulla controversia di cosa queste valutazioni significhino per i bambini<br />

autistici, basti sapere che queste valutazioni presentano limiti per la realizzazione di un piano<br />

educativo. Il PEP-R è primariamente destinato a pianificare un progetto educativo individualizzato.<br />

Per bambini che presentano molte irregolarità nelle abilità, è più utile conoscere le loro possibilità<br />

individuali nelle diverse aree dello sviluppo.<br />

Il profilo ottenuto dal PEP-R permette di visualizzare in un grafico le abilità e le debolezze<br />

prendendo come base un'età approssimativa determinata partendo da un campione di referenze. Le<br />

capacità del bambino in ogni area di sviluppo possono essere paragonate tra di loro ed il livello<br />

globale delle capacità può essere ottenuto dal quoziente di sviluppo determinato dal totale dei<br />

risultati di sviluppo.<br />

Strategie educative destinate a genitori, educatori e insegnanti<br />

Tradizionalmente i genitori erano considerati la causa prima dello sviluppo autistico dei loro<br />

bambini; ora i nostri studi e l'esperienza hanno dimostrato che questa interpretazione è sbagliata<br />

(Schopler e Loftin 1969, Schopler 1971), ed un gruppo considerevole di persone dimostra che era<br />

solo una falsa credenza (Cantwell e Baker 1984).<br />

Fin dall'inizio il Child Research Project e la Division TEACCH hanno inglobato i genitori nel<br />

modello coterapeutico (Schopler, Mesibov, Shigley e Bashford 1984).<br />

I genitori hanno la possibilità di concepire e mettere in pratica dei programmi educativi specifici;<br />

programmi seguiti a casa e contemporaneamente nell'ambito dello stesso piano educativo anche in<br />

classe.<br />

'Strategie educative nell'<strong>autismo</strong> (Schopler et al. 1980)' e 'Attività didattiche nell'<strong>autismo</strong> (Schopler<br />

et al. 1983)' spiegano quali strategie educative e programmi si possono costruire partendo dalle<br />

informazioni del PEP-R.<br />

Queste guide per genitori e educatori mostrano compiti, metodi e materiale per raggiungere gli<br />

obiettivi. Questi programmi si appoggiano in particolare sulle risposte emergenti e che<br />

corrispondono alle attività che il bambino ha tentato di eseguire ma che non ha completamente<br />

portato a termine.<br />

Basare i programmi pedagogici su delle capacità emergenti permette di realizzare diversi obiettivi<br />

educativi.<br />

1. Il programma educativo si basa su quelle attività che sono eseguite in modo non ancora del tutto<br />

acquisito.<br />

2. Le possibilità di riuscita aumentano poiché l'apprendimento inizia ad un livello appropriato. I<br />

compiti scelti non sono né troppo facili né troppo difficili per i bambini.<br />

3. Esiste una maggiore possibilità di stabilire una piacevole relazione tra il bambino e l'educatore<br />

poiché le frustrazioni per il bambino, l'educatore ed i genitori sono ridotte al minimo.<br />

Per concludere, il profilo emergenze al PEP-R rappresenta un modo funzionale per la creazione di<br />

un programma iniziale da parte di genitori ed educatori.<br />

Solo dopo un certo periodo di tempo, l'educatore potrà portare modifiche ed espansioni al<br />

programma partendo dalle conoscenze che ha acquisito lavorando col bambino, tenendo sempre<br />

presenti le priorità dei genitori.


Scuola e Alunno con<br />

Autismo<br />

di Patrizia & Tiziano Gabrielli<br />

Genitori in Prima Linea 0461706500 – Autismo Italia<br />

genitori.inprimalinea@cr-surfing.net<br />

Come un ritornello assai poco gioioso eccoci in autunno<br />

con il problema “scuola e <strong>autismo</strong>”.<br />

Si sentono e si leggono articoli riguardanti nomine,<br />

insegnati di sostegno, cattedre, certificazioni, ecc., in<br />

realtà dovremmo occuparci di Marco, Alessia, Simone, a<br />

scuola e non in generale di leggi, di bambini con <strong>autismo</strong><br />

o di pedagogia, psicopedagogia, ecc.<br />

Alcune riflessioni a proposito meritano perciò attenzione e<br />

dibattito.<br />

C’è fra tutti noi cittadini e soprattutto noi genitori di<br />

bambini con <strong>autismo</strong>, una forte apprensione e contemporaneamente<br />

speranza e grandi attese relativamente<br />

alla qualità della vita e alle prospettive educative che i<br />

bambini e i ragazzi autistici sperimenteranno all’interno di<br />

un contesto altamente specifico come è la scuola.<br />

La scuola, seconda soltanto alla famiglia come luogo di<br />

vita, non solo in senso temporale, è certamente un<br />

momento fondamentale per il ragazzo, la famiglia e la<br />

società.<br />

La scuola è anche per ora la sola realtà “istituzionale”<br />

che, nel bene e nel male, si è fatta carico del problema<br />

“<strong>autismo</strong>”, ed inoltre, è anche quella che quotidianamente<br />

impatta, in modo diretto e continuato, con le difficoltà vere<br />

del singolo bambino certificato, investendo attenzione e<br />

risorse nella gestione di un processo, quello della<br />

integrazione, mai troppo chiarito, i cui traguardi e le cui<br />

metodologie sono state dalla scuola stessa più inventate<br />

che apprese e applicate.<br />

Al suo interno, la scuola ha consentito, ad insegnanti,<br />

alunni e bambini con disabilità, una esperienza reciproca<br />

e spesso, a tale istituzione, è stato attribuito e<br />

ingiustamente richiesto, un impegno eccedente finalità e<br />

possibilità intrinseche.<br />

Spesso si è confuso il suo ruolo pedagogico e sociale,<br />

con il per<strong>corso</strong> riabilitativo vero e proprio di molte<br />

disabilità.<br />

Molti insegnati si sono distinti in questa sfida con<br />

stupefacenti adattamenti e ottimi risultati ma molti sono<br />

anche gli errori, molti i silenzi, le ingiustizie, le<br />

intolleranze, le discriminazioni, i muri di gomma...<br />

6<br />

SCUOLA E INTEGRAZIONE<br />

La scuola è un diritto e un dovere<br />

La scuola è la vita, la vita di ogni uomo nella collettività, al<br />

di là della sua condizione, del suo stato di salute, della<br />

sua specificità, della sua eventuale non abilità, o<br />

disabilità. Il soggetto è nella scuola come “individuo”, non<br />

come “normo-dotato” o “autistico”, o “audioleso”, ecc.<br />

La scuola mette in relazione persone differenti che si<br />

scambiano informazioni, su di sé, sugli altri e sulle cose e<br />

nessuna etichetta, nessuna caratteristica, peculiarità,<br />

origine, religione, diagnosi, dovrebbe modificare in senso<br />

negativo o deprivativo tale scambio.<br />

In questa ottica la legge 104 del 1992 prevede la<br />

scolarizzazione di tutti i minori in situazione di handicap,<br />

bambini con <strong>autismo</strong> compresi. Altre norme ancora sono<br />

state emanate per assicurare questo diritto e sarebbe<br />

bene conoscerle per potersi sorprendere nel vedere come<br />

questo obiettivo risulti tuttavia così difficoltoso.<br />

Scolarizzare non significa semplicemente “accesso”.<br />

La scolarizzazione non si riduce all’accesso, all’inserimento<br />

in una classe ma produce, quale elemento nobile<br />

e qualificante, integrazione, come per<strong>corso</strong> che dalla<br />

aspecificità delle finalità di gruppo e delle formule di<br />

principio, mediante un insieme di adattamenti reciproci,<br />

guidati dai docenti, giunga all’individualità degli alunni,<br />

consentendo loro delle esperienze significative, sia<br />

nell’apprendere che nel socializzare.<br />

Cosa assolutamente dobbiamo pretendere dalla<br />

scuola?<br />

E noi in particolare, genitori di soggetti con <strong>autismo</strong>,<br />

stabilito “cosa possiamo pretendere”, potremo anche<br />

chiedere “Realizza la scuola ciò che è corretto<br />

pretendere?”, ed eventualmente “Perché non lo può<br />

fare?”<br />

Dimensioni del problema<br />

Per legittimare simili quesiti sarebbe importante<br />

dimensionare a livello nazionale il fenomeno <strong>autismo</strong> e<br />

sindromi correlate, comprendendo all’interno di questo<br />

eterogeneo gruppo, a causa delle diverse classificazioni<br />

utilizzate dai vari professionisti relativamente a tali<br />

diagnosi, anche i casi di psicosi infantile.<br />

Le dimensioni del problema ci potrebbero far capire<br />

meglio come ci dobbiamo organizzare per pretendere<br />

risposte sempre più qualificate e specifiche.<br />

I bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole<br />

pubbliche d’Italia, in base ai dati dei provveditorati agli<br />

studi (oggi C.S.A.), dati ricavati dalle diagnosi ufficiali<br />

rilasciate dai Servizi Sanitari,. relativi all’anno 2001-2002,<br />

cioè nell’anno scolastico passato, riferiscono un numero<br />

di casi complessivo di circa 8062 alunni così certificati, e<br />

cioè 140 casi circa per milione di abitanti; 64/milione con<br />

<strong>autismo</strong>, 75/milione con diagnosi di psicosi infantile .<br />

Attenzione: questi sono i dati relativi agli alunni disabili<br />

certificati rispettivamente, autistici o psicotici, presenti


nelle scuole in Italia in un preciso periodo di tempo e non i<br />

dati riferiti alla totalità dei casi presenti sul territorio<br />

nazionale.<br />

Come potete vedere i valori numerici rispettivi, autistici,<br />

psicotici, sono pressochè sovrapponibili, paritetici in<br />

partenza (scuole materne), divengono disomogenei<br />

successivamente a causa dei ritiri, poiché, con il passare<br />

degli anni, i bambini autistici scolarizzati diminuiscono in<br />

modo significativo. Fortunatamente i bambini con<br />

diagnosi di psicosi mantengono una forte presenza anche<br />

nella scuola secondaria. Questo dato ci dice però che le<br />

cose vanno particolarmente male per i soggetti con<br />

<strong>autismo</strong>. Non è infatti il migliorare della diagnosi che li fa<br />

scomparire dalle aule ma piuttosto oggettive difficoltà<br />

nell’integrazione.<br />

E’ solamente l’andamento della sindrome autistica che<br />

può giustificare la negatività di questi riscontri?<br />

Noi genitori non lo crediamo.<br />

I dati mostrano che per l’<strong>autismo</strong> la scolarizzazione è<br />

meno precoce o che forse le diagnosi arrivano un po’ più<br />

tardi, o entrambe le cose, rispetto alle psicosi (lieve<br />

aumento dei casi nelle scuole elementari).<br />

Altre elaborazioni dei dati forniti dal CSA evidenziano<br />

anno dopo anno, un incremento costante dei casi, per<br />

ambedue le diagnosi, anche se di poche unità per<br />

milione, e tale andamento mostra un aumento maggiore a<br />

favore delle certificazioni di <strong>autismo</strong> rispetto a quelle di<br />

psicosi infantile in un rapporto pressochè doppio.<br />

Questo starebbe per un aggiustamento dei criteri<br />

diagnostici e per una sempre maggior conoscenza<br />

dell’<strong>autismo</strong>, più che per una diminuizione reale della<br />

patologia psicotica.<br />

Appare veritiero però che questa fotografia scolastica del<br />

problema, pur significativa, offra valori decisamente<br />

sottostimati rispetto ai quadri patologici in questione nella<br />

loro interezza. Da una parte perché questi dati non<br />

comprendono i casi, con PDD e altre patologie,<br />

borderline, quelli non ancora certificati, e dall’altra perché<br />

il provveditorato non rileva tutti i possibili pazienti o i loro<br />

spostamenti e, non ultimo, perchè manca nel conto il<br />

numero di chi è istituzionalizzato al di fuori della scuola<br />

(orfani o a tutela sospesa), oppure c’era ed è uscito e di<br />

chi si aggiungerà a costoro nell’anno appena iniziato.<br />

Questi sono i dati da cui noi dobbiamo partire per capire<br />

quanta voce in capitolo abbiamo rispetto ai circa 50.000<br />

insegnati di sostegno operanti in Italia e per impegnarci a<br />

non rinunciare in alcun modo e per nessuna ragione al<br />

profondo valore di scolarizzare.<br />

Integrazione<br />

Esiste anche una profonda differenza tra inserimento e<br />

INTEGRAZIONE.<br />

Il presupposto di base, quando si parla di AUTISMO, è<br />

comprendere che siamo di fronte ad un disturbo<br />

complesso e le risposte possibili saranno dunque<br />

complesse. Le situazioni sono molteplici e vanno<br />

affrontate, di volta in volta, come problematiche differenti,<br />

in un ottica di specificità. I riduzionismi non aiutano a<br />

capire la realtà delle persone, perché ne prendono una<br />

piccola parte e la fanno diventare il tutto.<br />

Consapevoli delle difficoltà insite nella specificità è bene<br />

ribadire che noi genitori di alunni diversamente abili<br />

sappiamo bene, e lo vogliamo ribadire, che la scuola non<br />

è il luogo deputato alla terapia propriamente detta per i<br />

disturbi dei nostri figli.<br />

Noi semplicemente vogliamo realizzare ciò che è previsto<br />

dalla legge: integrazione.<br />

Vogliamo per i nostri figli esperienze significative,<br />

socializzazione, ampliamento delle capacità comunicative<br />

e relazionali, apprendimenti seppur minimi, mirati a<br />

favorire l’autonomia attraverso competenze e abilità<br />

essenziali, dando qualità alla loro esistenza.<br />

Sappiamo anche che, nell’ambito di questo progetto<br />

complesso e difficile, tutte le esperienze sono importanti<br />

ma questo non significa che tutte siano valide e, secondo<br />

il principio della rete, in un’ottica si scambio delle<br />

informazioni tra scuole, si dovrebbero socializzare le<br />

esperienze prestando ascolto a quelle riconosciute come<br />

esemplari e che possano essere utili e a disposizione di<br />

tutti.<br />

Non serve compartecipare soluzioni del problema solo se<br />

“esaustive o radicali” ma aiutare gli operatori a non<br />

sentirsi isolati all’interno della propria azione didattica “in<br />

divenire”, aprendo loro un orizzonte di riferimento più<br />

vasto.<br />

L’integrazione è qualità di vita in comune ed è un<br />

fenomeno sicuramente complesso, i cui obiettivi vanno<br />

perseguiti non separatamente tra loro ma sperimentati in<br />

un’ottica di globalità. L’integrazione si realizza attraverso<br />

una esperienza comune o allargata, quando cioè tutti,<br />

operando insieme, si aiutano reciprocamente a migliorare<br />

la competenza culturale, relazionale e comunicazionale<br />

dei singoli nel gruppo.<br />

Non da soli dunque si deve affrontare l’integrazione, tanto<br />

meno l’<strong>autismo</strong>.<br />

Le condizioni essenziali per l’integrazione sono:<br />

1. Tutti divengano interpreti di uno stesso progetto, tutti<br />

debbono essere coinvolti, non solo l’insegnante di<br />

sostegno, ma tutti: il docente e il dirigente, i<br />

collaboratori scolastici, la famiglia, i medici, i<br />

paramedici, gli alunni, tutti….<br />

2. Si deve operare in modo sinergico.<br />

3. Ciascuno deve impegnarsi per quanto gli compete, in<br />

una connessione stretta e continua con gli altri per<br />

fare un lavoro comune. Ciascuno faccia la sua parte<br />

7


e ciascuno si nutra e si rafforzi dell’esperienza<br />

integrativa.di tutti gli altri del gruppo e di coloro che<br />

sono altrove .<br />

4. Integrazione significa anche “responsabilità”.<br />

Ciascuno ha la propria.<br />

Sappiamo tutti che per consentire l’integrazione vera,<br />

non formale, specialmente dell’alunno con <strong>autismo</strong><br />

nella scuola e nella società , se vogliamo realmente<br />

farci carico di questo, risulta fondamentale ripristinare<br />

concetti squisitamente etici, un po’ desueti in questa<br />

civiltà patinata ed egocentrica, quello della responsabilità<br />

personale, di responsabilità attiva,<br />

dell’impegno individuale e di gruppo, del dovere<br />

morale. Non è affatto vero che noi esistiamo perché<br />

qualcuno ci ha generato, la nostra umanità esite<br />

perchè un adulto ci ha adottato, cioè si è fatto carico,<br />

s’è preso cura, responsabilità, di ciascuno di noi.<br />

Dimenticare questo è dimenticare il senso della<br />

nostra vita.<br />

“Approccio positivo”<br />

Dal punto di vista psicopedagogico educativo, l’unico<br />

approccio corretto per promuovere l’integrazione dei<br />

bambini autistici è un “approccio positivo”.<br />

Positività non significa semplicemente che non si<br />

debbano più usare modelli di tipo disfunzionale, cioè<br />

quelli che partono dal proporre e ricostruire ciò che non<br />

funziona bene, ma anche e soprattutto che con questi<br />

bambini si deve procedere e costruire a partire dalla loro<br />

positività, dai loro interessi, da ciò che loro propongono e<br />

manifestano, facendo spazio alla spontaneità nella<br />

congruità e rafforzando ciò che è adeguato, spendibile,<br />

equiparato all’età, prestando attenzione a gratificare ciò<br />

che è armonioso e coerente con la situazione e gli intenti<br />

comuni del gruppo, in un cammino di piacere nel fare le<br />

cose, di rinforzo dei comportamenti produttvi e funzionali.<br />

Positività significa non lasciarli senza proposte, significa<br />

che con questi bambini non si può utilizzare il “no” fine a<br />

se stesso, il “no” e basta, il “no” senza soluzioni<br />

sostitutive.<br />

A questi bambini va insegnata l’alternativa alla negazione,<br />

al divieto, a ciò che non è permesso, alla frustrazione di<br />

vedersi negato qualcosa. Questi bambini non possono<br />

essere obbligati a un comportamento, a una risposta, né<br />

a una socializzazione, né si possono enfatizzare in loro<br />

soluzioni abilitative eccessivamente specializzate<br />

rinunciando o addirittura soffocando una globalità<br />

indispensabile di interventi volti ad un recupero<br />

complessivo e ad una non formale integrazione.<br />

La coercizione non aiuta il bambino autistico.<br />

Servono altre strategie, serve formazione, pazienza,<br />

tranquillità, disponibilità, anticipazione. Vie che privilegino<br />

la positività esistente in loro nelle diverse situazioni, che<br />

sfruttino i punti forti presenti nella realtà dell’altro, che<br />

richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare<br />

un progetto partecipato di vera qualità della vita.<br />

Linee guida fondamentali per avviare l’integrazione<br />

dei bambini autistici.<br />

Alla scuola si dovrebbe giungere con requisiti minimi<br />

indispensabili già acquisiti dall’alunno certificato:<br />

l’attentività, l’attenzione condivisa, la capacità di scambio<br />

e la reciprocità nelle intenzioni, la motricità fine, la<br />

comprensione del linguaggio, alcune autonomie di base.<br />

Questo non sempre avviene, anzi raramente il bambino<br />

autistico è così opportunamente attrezzato, e uno dei<br />

8<br />

primi compiti della scuola, ai vari livelli, è quello di<br />

valutare l’esistenza di questi prerequisiti, individuarli,<br />

quantificarli e, se assenti o carenti, assicurarsi il<br />

permanere in percorsi atti a fornire l’alunno con <strong>autismo</strong><br />

di queste competenze essenziali.<br />

L’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire:<br />

• l’acquisizione di un linguaggio (in qualunque<br />

forma possibile privilegiando quello verbale, non<br />

verbale, corporeo, scritto, ecc.).<br />

• lo sviluppo delle capacità percettive e di<br />

esplorazione dell’ambiente.<br />

• la promozione di competenze strumentali di base<br />

• la partecipazione attiva alla vita del gruppo<br />

classe<br />

• l’avvio alla socializzazione nel gruppo e<br />

all’esterno della scuola.<br />

Il successo degli interventi educativi è invece in relazione<br />

all’affermarsi delle seguenti variabili:<br />

1. Precocità di avvio alla scolarizzazione, (favorire<br />

l’inserimento educativo precoce dei bambini autistici<br />

già negli asili nido, nelle scuole materne), sempre e<br />

solo se gli interventi erogati sono adeguati.<br />

2. Competenza di tutti operatori, tutti quelli coinvolti,<br />

non solo scolastitci, tutti, dalla sanità, scuola, società,<br />

servizi, tutti quelli coinvolti.<br />

L’integrazione si realizza realizzando cultura.<br />

Servono persone molto preparate, sotto il profilo<br />

medico, pedagogico, sociale, ecc. Se ci si riferisce ad<br />

un soggetto autistico si ha bisogno di insegnanti di<br />

sostegno che conoscano benissimo i capisaldi della<br />

pedagogia (per esempio le metodiche di Schopler,<br />

alcuni metodi di condizionamento operante, metodi di<br />

comunicazione aumentativa e alternativa, ecc).<br />

Insegnamenti fondamentali.che devono far parte del<br />

bagaglio professionale di chi si avvicina all’handicap<br />

cognitivo-relazionale e che poi saranno utilizzati e<br />

adattati in modo conforme al caso specifico.<br />

3. Disponibilità affettivo-comunicativa degli insegnanti,<br />

che è specifica e di cui bisogna se ne<br />

assumano personale e piena responsabilità,<br />

4. Fiducia nell’ottenimento degli obiettivi che pertanto<br />

debbono essere realistici. Ottimismo nella verità, non<br />

piaggeria o entusiasmo da ciarlatani.<br />

5. Coinvolgimento forte dei genitori e familiari, che<br />

debbono realizzare una continuità di obiettivi e<br />

strategie anche in casa.<br />

6. Lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione<br />

degli interventi per mezzo di alleanze positive tra i<br />

vari operatori, tra servizi diversi, tra assistenti sociali,<br />

medici e insegnanti, tra dirigenti scolastici e<br />

responsabili dei servizi socio sanitari.<br />

Mettersi insieme per dare risposte utili. I genitori da<br />

soli, la scuola da sola, i medici da soli, possono fare<br />

assai poco. L’ottica essenziale è quella delle sinergie<br />

tra dimensione clinica, familiare e con<br />

l’organizzazione interna della scuola.<br />

L’istituzione scolastica, con l’avvento dell’autonomia<br />

didattica, non è più vincolata a un modello permanente di<br />

funzionamento e può, di volta in volta, decidere secondo i<br />

bisogni degli allievi, quali forme organizzativo-didattiche<br />

siano le più funzionali rispetto all’intervento scelto; non c’è<br />

più un vincolo, un modello definito da seguire.<br />

L’avvio della devolution inoltre ridurrà sempre più le<br />

competenze del ministero della sanità e della pubblica<br />

istruzione facendo emergere nuovi interlocutori per il


mondo della scuola: regioni, province, comuni, enti locali,<br />

ecc.<br />

La relazione medica deve essere informazione<br />

utilizzabile per gli insegnanti e dire loro cosa riconoscere<br />

e cosa è meglio fare ed evitare ma soprattutto deve<br />

legittimare la forma di intervento pedagogico che verrà<br />

poi proposta. L’altro, il bambino autistico non è un<br />

esempio di patologia, l’altro, è una persona da conoscere<br />

nella sua totalità, nella sua qualità di essere umano e<br />

come tale non ha dì per sé obblighi di trasformazione in<br />

qualcosa di meglio.<br />

E’ necessario partecipare come genitori, insieme agli altri<br />

operatori coinvolti, alla stesura del progetto educativopedagogico<br />

dei nostri figli, un progetto individualizzato,<br />

realistico, effettivo, e che la legge recita come condiviso.<br />

Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso, esplicito<br />

ed intenzionale, senza tempi morti, flessibile ed utile nel<br />

metodo e nei tempi. Dovrà avvalersi di un uso proprio dei<br />

materiali e di un uso corretto degli spazi, valutando<br />

sistematicamente i risultati per correggere gli errori o<br />

potenziare i progressi.<br />

Il successo dell’inserimento è correlato alla personalizzazione,<br />

non l’<strong>autismo</strong>, ma Michele, Alessia, il bambino e<br />

la sua specificità.<br />

Il successo formativo, non dipende solo dall’insegnate o<br />

solo dalle capacità dell’alunno, ma è una co-costruzione<br />

che si realizza attraverso l’elaborazione di obiettivi<br />

semplici, limitati, graduali, progressivi, attraverso tentativi<br />

e aggiustamenti continui degli apprendimenti.<br />

E’ essenziale passare in fretta da una logica individuale,<br />

quella che vede tutto il possibile in una sola figura<br />

professionale, ad una visione allargata, all’obiettivo<br />

comune nello sforzo di tutti.<br />

E’ sbagliato pertanto pensare che simile progetto dipenda<br />

esclusivamente dall’insegnante di sostegno.<br />

Anni di graduatorie ‘non’ di merito hanno mandato al<br />

massacro persone innocenti in entrambe le trincee. E’<br />

ormai fondamentale il passaggio concettuale che<br />

sostituisca l’insegnante di sostegno, con i “sostegni”,<br />

come insieme di strumenti, operatori ed energie,<br />

coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai veri<br />

operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà<br />

specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare<br />

l’integrazione dei nostri figli.<br />

Sono sostegni la comunità, il gruppo sociale e scolastico,<br />

il gruppo-classe, il tutoring, i materiali necessari e<br />

specifici; sono un sostegno l’uso specifico e alternativo e<br />

l’organizzazione degli spazi, la documentazione e i corsi<br />

di formazione, gli incontri tra operatori coinvolti, con i<br />

medici, con i genitori, i video con valutazioni collettive,<br />

periodiche, ecc.<br />

I sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre<br />

realtà, anche altri enti, altre istituzioni che ad esempio<br />

debbono preoccuparsi di fornire la scuola dei materiali<br />

indispensabili alla realizzazione di un per<strong>corso</strong> integrati<br />

9


“Integrazione: Scuola e alunno con Autismo - Riflessione sul modello italiano”<br />

T. Gabrielli<br />

Tratto da: “Inform<strong>autismo</strong> - Periodico quadrimestrale di Autismo Italia ONLUS<br />

n. 9 - 2004<br />

….Nelle classi dove è presente il bambino autistico è indispensabile:<br />

1) Conoscere bene il bambino, le sue caratteristiche, le difficoltà che produce. La<br />

disabilità deve essere conosciuta senza pregiudizi, per poterla accogliere nel<br />

gruppo, dal latino cum prendere, cioè "prendere con sé".<br />

2) Conoscere le strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili in<br />

generale. Le conoscenze cliniche e pedagogico didattiche specifiche sono oggi<br />

così stimolanti ed accessibili che non è più possibile accettare<br />

l'improvvisazione o l'ignoranza in questa direzione. <strong>II</strong> problema della<br />

pedagogia dell'<strong>autismo</strong> non è diverso da una regione all'altra, da una scuola<br />

all'altra, è un intervento terapeutico internazionale. È una pedagogia mondiale.<br />

3) Formulare e condividere con tutto il gruppo operativo il piano d'intervento e il<br />

progetto educativo elaborato per quel bambino.<br />

4) Conoscerne i dettagli dell'intervento e strutturare la sua realizzazione<br />

mantenendo un ampia disponibilità alla necessaria flessibilità.<br />

5) Agire nella quiete. Armarsi tutti di disponibilità, calma e tranquillità.<br />

6) Preparare prima l'accoglienza, il lavoro da effettuare, strutturando spazi, tempi,<br />

materiali.<br />

7) Anticipare le attività da svolgere (calendario attività) o la proposta<br />

(simbolicamente). Parlare in modo chiaro, semplificato e fare un parco uso<br />

delle parole come se fossero preziose chiavi per capire il mondo. Assicurarsi di<br />

essere comprensibili e soprattutto di essere compresi. Non usare<br />

esemplificazioni verbali, sinonimi, metafore ma essere sempre diretti, espliciti,<br />

univoci, coerenti, contestuali, supportando la parola con gesti, immagini,<br />

modelli...<br />

8) Partire con attività gradite o che suscitino interesse. Inframmezzare le difficoltà<br />

con i piaceri.<br />

9) Controllare e fornire adeguati stimoli senso-percettivi utilizzando un solo<br />

canale sensoriale per volta, in modo graduale, concreto, intensivo e ripetuto<br />

con assiduità, rettificandone l'utilizzo ogni volta che non funziona<br />

perfettamente.<br />

10) Introdurre stimolazioni ed esercizi senso-percettivi utilizzando<br />

progressivamente più canali sensoriali, in modo graduale e ripetibile, adattando<br />

i compiti alla qualità risultati.<br />

11) Proporre stimoli in quantità limitata (si può lavorare un minuto solamente su<br />

un'attività, e spesso è già un successo che quel minuto non sia andato sprecato)<br />

ma che siano di alta significatività (è bene interrompere una attività quando c'è


il massimo successo in modo da renderla appetibile per una nuova proposta,<br />

appena un attimo più lunga, il giorno dopo).<br />

12) Preparare moltissime attività per una singola competenza (rischiare nuovi<br />

apprendimenti). Non tediare ma mantenere alto l'interesse con il successo e il<br />

piacere.<br />

13) Organizzare attività con il gruppo; dapprima utilizzando proposte conosciute e<br />

praticate nell'uno a uno (bambino-adulto) sostituendo l'istruttore adulto con un<br />

coetaneo, e successivamente aprire vistosamente ai coetanei. Favorire<br />

liberamente la partecipazione spontanea all'attività del gruppo-classe, nel modo<br />

più fiducioso, coinvolgendo in reciprocità gli interlocutori.<br />

14) L'impostazione metodologica deve essere giustificata, legittimata, validata,<br />

chiara e soprattutto documentata con registrazioni e video affinchè possa essere<br />

valutata nel suo divenire e nella sua efficacia dal punto di vista educativo.<br />

Sono i particolari di un intervento che lo trasformano qualitativamente.<br />

Vi sono ostacoli e tanti possono essere interni all'alunno con <strong>autismo</strong>... ma<br />

troppo spesso sono esterni.<br />

E' certo che da una scuola priva di aule, dove mancano banchi o insegnanti (cosa<br />

non così inverosimile in certe zone del nostro paese), non è possibile pretendere<br />

l'ottimizzazione di un per<strong>corso</strong> educativo. Nella stragrande maggioranza dei casi<br />

però le risposte adeguate dovrebbero essere possibili.<br />

Due o tre cose su cui non si può più transigere.<br />

Per le specifiche caratteristiche neurobiologiche, gli interventi educativi negli alunni<br />

autistici, devono svolgersi in un setting che preveda stabilità psicologico-ambientale<br />

e questo è risaputo nel mondo intero. Non si può più tollerare che l'esperienza della<br />

scolarizzazione dei nostri figli si trasformi in un sicuro meccanismo di regressione,<br />

di dolore, di confusione assoluta. Su questa elemento di stabilità spaziale e<br />

strutturale fondamentale, si fonda il progetto di integrazione del bambino con<br />

<strong>autismo</strong> nella scuola.<br />

Va fatta una battaglia durissima, giusta e necessaria, da parte di noi genitori,<br />

assieme agli insegnanti che sulla loro pelle l'hanno capito e con i medici che lo<br />

prescrivono. Ci sono delle precise responsabilità di legge dei comuni, proprietari<br />

delle scuole dell'obbligo, e delle province, proprietarie delle scuole superiori,<br />

quando gli spazi in cui dovrebbero integrarsi i nostri figli non sono previsti, non<br />

sono sufficientemente individuati, non sono sufficientemente ampi o bene<br />

illuminati. L'amministrazione centrale e locale deve inoltre comprendere in modo<br />

definitivo non solo questo ma anche il principio di continuità ancora continuamente<br />

calpestato dalle logiche occupazionali e con giustificazioni non pedagogiche ma<br />

spesso rivoltanti nella loro imperscrutabilità.<br />

Erogare interventi educativo pedagogici adeguati.


Quando si può parlare di interventi adeguati? Quando l'intervento erogato rispetta<br />

un codice che riguarda specificamente il soggetto autistico. Setting, continuità,<br />

preparazione, formazione, progettualità, condivisione, collegamento con il gruppo,<br />

tutela, disponibilità, tranquillità, verifiche, ecc.<br />

Quindi la scuola che cosa fa?<br />

Al momento fa quello che è in condizione di fare, in alcuni casi meglio, in altri<br />

peggio, in generale ancora troppo poco se parliamo proprio di <strong>autismo</strong> e di<br />

scolarizzazione. Mi pare fondamentale se non altro in prospettiva futura affermare<br />

che il ruolo della scuola deve essere migliorato.<br />

Ci vuole cultura. Ci vuole formazione. Si deve passare sempre da una formazione<br />

privata, costosa, elitaria, ad una formazione obbligata, sistematica e pubblica<br />

indirizzata e aperta a tutti (anche per coloro che già presenziano nelle strutture del<br />

territorio). L’università si deve impegnare a fornire formazione specialistica continua<br />

sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori. La provincia e i<br />

provveditorati dovrebbero attivarsi per la formazione. L’associazionismo dei genitori<br />

dovrebbe tornare garante di un primato del pubblico per i servizi necessari e<br />

fondamentali, lavorando nell'interesse esclusivo dei minori chiamati a vivere la<br />

qualità dell’integrazione, non preoccupandosi esclusivamente dell'affermazione delle<br />

proposte del proprio specialista o dell'insegnante di Marco o Matteo…


Integrazione e educazione: due diritti in contrasto?<br />

di Enrico Micheli<br />

(Estratto da AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 2, n. 2 maggio 2204<br />

Edizioni Erickson Trento, che ringraziamo per la gentile concessione)<br />

Indice<br />

- sommario<br />

- introduzione<br />

- Conoscenze scientifiche sull'<strong>autismo</strong> e sul trattamento: una responsabilità<br />

- L'intervento educativo nella sfera scolastica<br />

- La valutazione delle abilità del soggetto autistico<br />

- La programmazione delle attività educative<br />

- Organizzazione al servizio degli aspetti tecnici<br />

- Il problema dell'integrazione<br />

- Integrazione: aspetti tecnici<br />

-<br />

- Bibliografia<br />

Sommario<br />

Conclusioni: verso una riforma<br />

Le conoscenze sull'<strong>autismo</strong> sono aumentate e oggi possiamo riferirci a linee guida che<br />

enfatizzano il ruolo dell'educazione e che indicano alcuni «standard».<br />

Nel nostro Paese, il bambino con <strong>autismo</strong> è affidato per questa essenziale parte del trattamento<br />

alla scuola. L'educazione, quindi, dovrebbe svolgersi in un ambiente non segregato, e<br />

l'integrazione dovrebbe essere un valore da perseguire con l'azione educativa e l'adattamento<br />

dell'ambiente. Purtroppo l'organizzazione di questo intervento nella scuola è tale da impedire lo<br />

svolgimento di una attività educativa difficile e ciò rende vana la speranza di poter educare il<br />

bambino con <strong>autismo</strong> a quelle abilità necessarie per integrarsi con i compagni. Una riforma di<br />

questa organizzazione è quindi necessaria per trasformare in realtà il diritto dei bambini autistici<br />

a un'educazione all'interno della scuola di tutti.<br />

Introduzione<br />

Anni di esperienza nel campo del trattamento delle difficoltà dello spettro autistico impongono di<br />

considerare con attenzione la situazione allarmante di un Paese che, pur facendo molti progressi<br />

nel campo, affida quello che è considerato il principale trattamento dell'<strong>autismo</strong>, l'educazione, a<br />

una organizzazione che rende l'educazione stessa aleatoria. Ho la convinzione dell'urgente<br />

necessità che tutte le persone coinvolte a vario titolo in questa impresa, finalizzata a migliorare la<br />

qualità della vita di bambini che crescono con le difficoltà dell'<strong>autismo</strong>, esprimano chiaramente<br />

la necessità di un cambiamento. Perciò la lettura di un recente editoriale di «Psichiatria<br />

dell'infanzia dell'adolescenza» (Levi, 2003), che ancora nasconde la testa sotto la sabbia senza<br />

indicare con chiarezza i reali punti deboli del sistema attuale, mi spinge intervenire con questo<br />

lavoro di riflessione. Che intende:<br />

1. presentare alcune conoscenze scientifiche, che ormai possediamo, sul trattamento e<br />

l'educazione del bambino con <strong>autismo</strong>;<br />

2. sostenere che l'attuale organizzazione dell'integrazione scolastica impedisce la completa<br />

applicazione di queste possibilità;<br />

3. riflettere su quali siano i cambiamenti necessari nell'organizzazione per avvicinare la<br />

realtà attuale ai livelli di qualità possibili e quindi necessari;<br />

4. mostrare come questi cambiamenti risolverebbero il falso dilemma di valori tra<br />

educazione e integrazione, rendendo quindi più realistica la possibilità di perseguire con<br />

successo anche il valore dell'integrazione.


Conoscenze scientifiche sull'<strong>autismo</strong> e sul trattamento: una responsabilità<br />

Oggi non si può più sopportare il ritornello: «Dell'<strong>autismo</strong> non si sa nulla, non sappiamo come<br />

fare, è una cosa controversa, è un problema misterioso ... ». L'<strong>autismo</strong> è uno dei disturbi più<br />

conosciuti, all'interno dei disturbi l'età evolutiva. Ed è quello per cui è più chiaro oggi cosa si può<br />

fare e cosa è opportuno fare. Questo non vuol dire affatto che sappiamo perfettamente cosa<br />

bisogna fare per migliorare la qualità della vita di questi individui. Sappiamo che «<strong>autismo</strong>» è un<br />

termine che indica la presenza di diverse menomazioni, in campo sociale, comunicativo e<br />

cognitivo; che queste menomazioni creano disabilità; che questa disabilità produce un handicap.<br />

Sappiamo che, in numerosissimi casi, alle disabilità derivate dalle menomazioni tipiche<br />

dell'<strong>autismo</strong> si aggiungono altre disabilità legate a menomazioni associate: ritardo mentale,<br />

iperattività, e altro. L'importanza dell'educazione per il trattamento delle disabilità dell'<strong>autismo</strong> e<br />

delle menomazioni associate, così come l'importanza dell'educazione per il trattamento delle<br />

disabilità in generale, è indiscussa. Inoltre sappiamo che per questi problemi esiste un corpus<br />

scientifico e metodologico di conoscenze, sul trattamento, e sull'educazione delle disabilità per le<br />

riduzioni dell'handicap, che non può essere ignorato, e che offre concrete possibilità di<br />

miglioramento ampiamente documentate. Sanità, scuola e servizi sociali, predisposti e dotati di<br />

risorse per svolgere questa funzione, non possono permettersi di ignorare e di tralasciare queste<br />

conoscenze; sarebbe come se chi lavora in una organizzazione ospedaliera ignorasse che bisogna<br />

lavarsi le -mani prima di operare.<br />

Nel campo dei disturbi dello spettro autistico c'è un altro fattore che aumenta la nostra<br />

responsabilità nel caso in cui rinunciamo a esercitare ciò che è in nostro potere per migliorare la<br />

qualità della vita dei soggetti autistici: la presenza di abilità intatte o non fortemente<br />

compromesse, che non possono essere messe a frutto per una esistenza di qualità a causa del<br />

disturbo. Non intervenire precocemente e efficacemente per ridurre i comportamenti di ansia e di<br />

aggressività, per aumentare abilità di relazione o di comunicazione significa causare sofferenze<br />

evitabili e un handicap maggiore.<br />

L'intervento educativo nella sfera scolastica<br />

Le conoscenze sul trattamento dei bambini autistici portano all'affermazione che il trattamento di<br />

elezione è l'educazione. Dato che nella maggioranza dei casi non c'è una malattia da curare, ma<br />

occorre costruire specifiche abilità, bisogna insegnare al bambino le abilità (in campo motorio,<br />

cognitivo, comunicativo, linguistico, ecc.) che possono compensare le sue difficoltà; bisogna<br />

insegnare al bambino abilità sociali (dalla prossimità e dal contatto con altri alla soluzione dei<br />

problemi interpersonali, passando attraverso la riduzione dei comportamenti disturbanti); bisogna<br />

insegnare al bambino a usare nell'ambiente reale le abilità apprese. Inoltre, sappiamo che questa<br />

educazione del bambino ha una notevole efficacia se l'insegnamento è precoce e intensivo, se il<br />

per<strong>corso</strong> educativo é attentamente strutturato, se l'ambiente e i modi di insegnare sono adattati<br />

alle caratteristiche di funzionamento delle persone con <strong>autismo</strong>, e se i genitori sono<br />

adeguatamente coinvolti, informati e formati (Schreibmann, 2000).<br />

Qualche commento a queste che sono vere e proprie linee guida cui occorre conformare i nostri<br />

interventi. Innanzitutto sappiamo che più sono le ore di veglia del bambino dedicate a un'attenta<br />

e intelligente quantità di ore di apprendimento e di attività utili, più il bambino migliorerà.<br />

Sappiamo che l'intervento deve essere intensivo: il bambino non può perdere tempo. Sappiamo<br />

che un'ora persa sarà un peso in più nella sua età adulta. Tutto il suo tempo deve essere<br />

significativamente occupato, esattamente come accade per gli altri bambini. Cosa penseremmo<br />

se, all'inizio dell'anno scolastico, i nostri figli tornassero a casa da scuola dicendo che il<br />

programma non è iniziato e che, per vari motivi, incomincerà a gennaio? Che la maestra ha<br />

bisogno di alcuni mesi per conoscere la classe prima di sapere cosa fare? Sappiamo anche che è<br />

indispensabile che gli insegnanti che si occupano dei bambini autistici sappiano cosa stanno<br />

insegnando e organizzino tutte le attività in modo che siano utili per quello che vogliono<br />

insegnare. Questo vuol dire che devono metterli a tavolino per tutte le ore? No, l'insegnamento


attentamente strutturato comprende anche il gioco, la relazione sociale, l'attività motoria, il<br />

riposo, il rilassamento, il cibo, le passeggiate. Per quanto riguarda poi la necessità di adattare alle<br />

caratteristiche dell'<strong>autismo</strong> il contenuto e le modalità dei nostri insegnamenti, sappiamo che le<br />

istruzioni dell'insegnamento vanno comunicate in modo che possano essere raccolte e processate<br />

dagli allievi, e quindi occorrono strategie per organizzare l'ambiente e la struttura delle attività in<br />

modo che siano agevolmente processate da chi ha deficit di linguaggio, di teoria della mente, di<br />

funzione esecutiva, di coerenza centrale (Schopler, 1997; Micheli, 1999; Micheli e Zacchini<br />

2001).<br />

Il ruolo attivo di genitori coinvolti, informati e formati<br />

Anche il dato che ci dice che genitori coinvolti, informati e formati portano a migliori risultati<br />

dell'intervento comporta delle conseguenze sul nostro operato. I genitori vanno riconosciuti nel<br />

loro diritto, nei confronti della scuola, della sanità, del servizio sociale, di essere partner<br />

informati e collaboranti del processo di intervento. I genitori sono esperti del loro bambino, la<br />

loro visione conta nel definire le priorità dell'intervento, per partecipare attivamente occorre che<br />

si possano riconoscere in una serie di necessità del bambino su cui si lavora in modo condiviso.<br />

Informazione accurata, parent training individuale e di gruppo sono le azioni necessarie per avere<br />

genitori formati e informati. Il contatto tra operatori dell'educazione e genitori e tra genitori e<br />

genitori deve essere specifico sui problemi condivisi. Occorrono quindi incontri di genitori che<br />

condividono lo stesso problema.<br />

Sul piano operativo si ravvisano molteplici difficoltà. Le ore di terapia, quando finalmente si<br />

riesce a offrirle, sono al massimo (e molto raramente) 4 alla settimana. Il bambino che frequenta<br />

la scuola di solito non frequenta il tempo pieno. Del tempo che il bambino frequenta la scuola<br />

solo una piccola parte può essere definita intervento consapevole e intensivo. Passano giorni se<br />

non mesi prima che il bambino, all'inizio dell'anno scolastico, sia messo al lavoro in modo<br />

razionale. L'insegnante non struttura interventi precisi per un bambino perché: non è preparato<br />

per interventi educativi per abilitare un bambino disabile; è difficile conciliare gli orari delle<br />

varie figure coinvolte; la struttura dell'intervento speciale è confusa dalla necessità di essere<br />

paralleli alla classe. L'ambiente in cui il bambino dovrebbe imparare è per gran parte del tempo<br />

una classe in cui i bambini fanno cose che lui non capisce o che non gli interessano: e non<br />

soltanto le attività di studio, ma anche il gioco e le relazioni spontanee sono spesso al di là della<br />

sua comprensione o della sua motivazione. Questo ambiente non è organizzato per facilitare il<br />

lavoro, la comunicazione, le relazioni sociali di un bambino autistico e, quindi, non previene i<br />

comportamenti problema. Le risposte dell'ambiente ai comportamenti problema spesso li<br />

consolidano invece di estinguerli. I genitori quasi sempre vorrebbero esser informati e guidati in<br />

precisi interventi a casa, e spesso hanno dalla sanità la risposta: «Fate i genitori», e dalla scuola il<br />

contatto con persone che dichiarano apertamente la loro impreparazione e l'invito a incontri con<br />

un numero soverchiante di genitori di bambini normodotati che non li aiutano a trovare soluzioni<br />

per i loro particolari problemi.<br />

La valutazione delle abilità del soggetto autistico<br />

Per strutturare adeguatamente il programma di intervento per un bambino autistico, per prima<br />

cosa bisogna valutare quali sono le abilità di partenza di questo bambino, e bisogna farlo<br />

abbastanza rapidamente, in modo da organizzare velocemente un progetto completo, e<br />

individuare le attività utili a raggiungere gli obiettivi. Se questo non viene fatto, il bambino non<br />

potrà ricevere l'insegnamento cui ha diritto; se viene fatto in tempi lunghi, l'intervento non sarà<br />

né intensivo (perché molto tempo sarà tras<strong>corso</strong> senza attività mirate) né precoce. Il bambino<br />

potrebbe ricevere questa valutazione prima de l'ingresso a scuola, o almeno nei primi giorni di<br />

scuola. È ovvio, quindi, che le persone a cui il bambino è affidato per l'intervento educativo<br />

dovranno conoscere e saper usare strumenti formali di valutazione delle abilità (Schopler et al.,<br />

1990; Mesibov et al., 1988; Sanford e Zelman, 1984; Kiernan e Jones, 1984; Ianes, 1984).<br />

Dovranno disporre anche di strumenti per valutare le abilità scolastiche; strumenti per valutare le


abilità di relazione e le abilità sociali (Xaiz e Micheli, 2001; McGinnis et al., 1986). Inoltre<br />

avranno l'«occhio» per capire, quando sottopongono un compito a un determinato bambino, se<br />

quel bambino ha le capacità per farlo, se le ha emergenti oppure addirittura non le ha e quindi<br />

bisogna proporre compiti più semplici, più facili, più alla sua portata. Dovranno quindi avere<br />

capacità e pratica nella costante «valutazione informale» delle abilità necessarie per svolgere un<br />

compito a determinate condizioni. La relazione tra una adeguata e realistica valutazione delle<br />

abilità e il controllo dei comportamenti dannosi e disturbanti è ben nota; così come è ben nota la<br />

relazione diretta tra adeguatezza delle difficoltà e complessità del compito e la possibilità di una<br />

buona relazione tra il bambino autistico e gli altri.<br />

Nella realtà empirica emergono molte problematiche. Nei casi migliori i primi mesi dell'anno<br />

scolastico passano senza che l'insegnante abbia un quadro preciso e utilizzabile delle abilità del<br />

bambino, nei casi peggiori tutto il suo per<strong>corso</strong> scolastico. Il bambino è di solito sopravvalutato,<br />

e le attività a lui proposte sono spesso al di là delle sue capacità, con un processo da parte<br />

dell'insegnante che procede per tentativi e errori e che è frustrante sia per il bambino che per<br />

l'insegnante, e che sarebbe in gran parte evitabile con l'uso di strumenti di valutazione.<br />

Raramente l'insegnante cui è affidato un bambino ha le conoscenze, la capacità e l'esperienza per<br />

effettuare valide valutazioni.<br />

La programmazione delle attività educative<br />

Quindi il primo aspetto tecnico importante è la valutazione. Da una rigorosa ed esperta<br />

valutazione può derivare un'appropriata programmazione delle attività educative. Il programma<br />

avrà queste caratteristiche (Schopler, Reichler e Lansing, 1991):<br />

• ampie possibilità organizzate di esercizio delle abilità possedute;<br />

• scelta di mete rilevanti per la persona e realistiche;<br />

• individuazione di obiettivi raggiungibili;<br />

• costante verifica e monitoraggio, con continui aggiustamenti;<br />

• attività strutturate in modo da proporre solo un passo alla volta, una difficoltà alla volta.<br />

La programmazione per l'educazione dei bambini disabili deve essere rilevante per loro, per i<br />

loro bisogni, e non deve essere affatto una semplificazione ed un adattamento del curriculum<br />

scolastico. Solo alcuni individui, ben identificati con l'attività di valutazione accurata di cui<br />

abbiamo parlato, con una accurata valutazione clinica, potranno derivare le loro mete rilevanti<br />

dal curriculum scolastico. Molti di questi li troveremo proprio tra i bambini con disturbi dello<br />

spettro autistico perché molti, una ragguardevole minoranza, potrebbero non avere reali difficoltà<br />

a svolgere parti del normale curriculum scolastico. Qui occorre attenzione perché anche questi<br />

bambini con <strong>autismo</strong> hanno comunque handicap in campo sociale, comunicativo, motivazionale,<br />

e quindi anche per loro è fondamentale, come per la maggioranza dei bambini con difficoltà, uno<br />

specifico curriculum di riabilitazione. L'educazione dei bambini disabili nella scuola si baserà su<br />

uno speciale curriculum, perché i bambini normodotati hanno già appreso o sviluppato le abilità<br />

di questo speciale curriculum precedentemente all'ingresso della scuola. Per esempio: i bambini<br />

autistici anche grandicelli hanno ancora necessità di apprendere semplici comportamenti di<br />

intersoggettività; questi comportamenti saranno quindi obiettivi rilevanti del loro curriculum. I<br />

bambini normodotati raggiungono questi comportamenti prima dei diciotto mesi! Potete<br />

immaginare come già in una classe della scuola materna ci sia un divario che non può che essere<br />

notato e considerato rilevante per progettare un diverso curriculum.<br />

Per concludere va rivelato che i bambini che passano ore di lavoro su obiettivi adeguati<br />

imparano, migliorano le loro abilità, diminuiscono i problemi di comportamento. Le ore che i<br />

bambini autistici a sano ad assistere ad attività della classe per loro prive di significato, o a<br />

svolgere adattamenti del programma svolto dagli altri senza che sia esplicitamente un loro<br />

obiettivo, sono ore perse e fonte di gravi problemi. La programmazione delle attività non si basa<br />

abitualmente su precise valutazioni ed è parte di un balletto formale di carte tra le diverse<br />

componenti del processo di interazione scolastica (Sanità e Scuola), che richiede un tempo


lunghissimo, è frequentemente un semplice adattamento delle aree di curriculum della classe,<br />

non ha alcuna caratteristica che lo definisca un appropriato programma di educazione di tipo<br />

riabilitativo.<br />

Organizzazione al servizio degli aspetti tecnici<br />

L'educazione speciale, l'impresa di educare, bambini in difficoltà alle abilità necessarie per<br />

ridurre le loro difficoltà e affrontare una vita di qualità richiede un'organizzazione adeguata.<br />

Tempi, ambienti, materiali, personale, tutto deve essere organizzato e scelto in modo da<br />

rispondere allo scopo.<br />

Tempi adeguati non significa affatto tempi più ridotti! Il problema non è che i bambini con<br />

problemi si stancano di più e che quindi devono lavorare meno, avere un tempo scuola minore;<br />

in realtà è vero il contrario: hanno bisogno di lavorare con l'educatore di più di un bambino<br />

normodotato, ma con un'organizzazione delle attività e dei tempi diversa. E con diversi bisogni<br />

relazionali e motivazionali. Se per esempio un bambino a sviluppo regolare può fare un'ora di<br />

matematica, probabilmente un ragazzino con <strong>autismo</strong> potrebbe richiedere in quell'ora di fare<br />

quattro diverse attività, e un altro bambino ancora, in quelle quattro diverse attività, dovrà fare,<br />

per ognuna, venti diversi giochi o esercizi. I tempi dell'insegnamento vanno quindi organizzati in<br />

modo individualizzato. Gli spazi andranno attrezzati appositamente: è indispensabile che<br />

l'ambiente che ha il compito di educare questi bambini allestisca spazi specificamente pensati per<br />

loro e adatti alle diverse attività da svolgere, con l'attenzione a facilitare con l'organizzazione<br />

degli spazi l'apprendimento e a rendere meno probabili problemi di comportamento (ad esempio<br />

spazi silenziosi, privi di stimoli distraenti, lontani da te o vie di fuga, ecc.). E anche il personale<br />

deve essere esperto. Bambini che hanno bisogno di uno specifico, preciso e raffinato intervento<br />

vanno affidati a persone che siano in grado di compiere precisi, specifici, raffinati interventi. A<br />

questo punto ci possiamo chiedere con chiarezza quanto del personale dei servizi sanitari,<br />

scolastici, e sociali, sia personale esperto per fare queste cose. Se lo è, non si capisce come mai le<br />

cose funzionino così male; se non lo è, dobbiamo porci il problema di come darci da fare per<br />

renderlo tale. Le abilità educative si imparano, non solo dai corsi di formazione, ma anche<br />

confrontandosi con un maestro, un maestro che si vede mentre lavora. Una persona diventa<br />

esperta se può seguire e imparare da un'altra persona esperta. Non basta imparare quello che si<br />

sa, bisogna imparare come si fa. Questo è un problema enorme, dobbiamo riconoscere che le<br />

possibilità di diventare esperti per gli insegnanti cui affidiamo i bambini autistici sono scarse.<br />

Infatti una buona organizzazione richiederebbe che un gruppo di bambini con problemi simili<br />

venga affidato a un team di insegnanti in cui venga appositamente messo a capo un insegnante<br />

già preparato, che ha già avuto buoni risultati con bambini simili; e che gli altri, meno esperti,<br />

siano messi in condizione di imparare da chi è più esperto.<br />

Di fatto occorre sottolineare negativamente che l'insegnante di sostegno che dovrà lavorare con<br />

un bambino autistico non riceve un'istruzione specifica sulle abilità necessarie per insegnare a<br />

persone autistiche. Il bambino passa giorni se non mesi con insegnanti precari, che non hanno<br />

ancora un posto definitivo. Frequentemente l'insegnante cambia ogni anno, quindi non può<br />

maturare un'esperienza specifica; spesso non ha una esperienza con la disabilità, ma se ce l'ha è<br />

sempre con tipi di disabilità diverse. Il tempo di lavoro segue i ritmi della classe normale, anche<br />

se il bambino fa attività diverse. Gli insegnanti non hanno riferimento a persone esperte che<br />

possano insegnargli a lavorare con bambini autistici. L'affidare bambini a insegnanti segue<br />

regole che non dipendono affatto dall'esperienza dell'insegnante o dal tipo di difficoltà del<br />

bambino. Quando c'è una persona esperta, non ha cuna possibilità di indirizzare e guidare i<br />

colleghi.<br />

Il problema dell'integrazione<br />

Abbiamo delineato alcuni elementi necessari per far sì che i nostri bambini ricevano una<br />

adeguata educazione, cosa che, oltre a essere l'intervento di elezione, è un loro diritto.<br />

Ricordiamo però, a questo punto, che è importante anche permettere a questo bambino, che noi


stiamo cercando di educare a svolgere delle attività con gli altri bambini, di essere educato<br />

all'interno della scuola degli altri bambini e con gli altri bambini. Essere educato essere senza<br />

essere segregato. Quanto detto sopra ci pone una grande responsabilità nella scelta del contesto<br />

sociale in cui praticare l'intervento educativo. Così come va attentamente studiato il per<strong>corso</strong><br />

educativo alle abilità, va studiato il per<strong>corso</strong> sociale. Questo vale specialmente per i bambini<br />

autistici, che per definizione hanno:<br />

• difficoltà di relazione sociale;<br />

• difficoltà di comunicazione;<br />

• rigidità e ristrettezza degli interessi e, quindi, difficoltà di motivazione.<br />

Fare cose con altri è proprio quello che gli individui autistici trovano difficile. Fare cose con altri<br />

richiede attenzione congiunta, intenzione ed emozione congiunta, abilità di imitazione e di<br />

scambio di turni. Richiede abilità di comunicazione, di invio e ricezione di messaggi con mezzi<br />

verbali non verbali. Richiede la condivisione di interessi e la presenza di comuni motivazioni.<br />

Pensiamo a una partita di pallone: c'è un gruppo che si identifica in un «noi»: è la squadra. C'è<br />

una motivazione che si costruisce in ambito puramente sociale, simbolico, ed è vincere o giocare<br />

bene. C'è il grido «passa»! da un compagno all'altro... tutto ciò è probabilmente difficile anche<br />

per un bambino autistico intelligente o con maestria eccezionale nel maneggio della palla. Anche<br />

la rigidità e ristrettezza degli interessi impediscono integrazione. I bambini hanno interessi vasti,<br />

attività differenziate, per cui un bambino che non li ha trova difficile l'interazione con gli altri.<br />

Tutte queste difficoltà determinano una condizione tale per cui un inserimento sociale non<br />

adeguato può facilmente essere di tale disturbo da creare gravi problemi di comportamento e<br />

interferire con l'apprendimento.<br />

L'esposizione a contesti sociali non appropriati, non scelti e non controllati dall'educatore non<br />

solo porta a perdere tempo, ma può portare, oltre alle gravi conseguenze sopra accennate, a<br />

diminuire la probabilità per il bambino di arrivare a una capacità di interazioni sociali più<br />

mature.<br />

Un ventaglio di opportunità<br />

Occorre quindi disporre di un «ventaglio» di opportunità, e scegliere bambino per bambino,<br />

attività per attività, a seconda del punto di partenza del bambino, attentamente valutato, e della<br />

sua evoluzione, attentamente monitorata.<br />

Un estremo di questo ventaglio è che il bambino riceva solo un intervento individuale, in cui non<br />

svolge nulla in comune con gli altri bambini (estremo più teorico che reale, perché sappiamo che<br />

è possibile già da subito un qualche contatto sociale, con opportune attenzioni); quindi c'è la<br />

possibilità di creare classi appositamente attrezzate per un gruppo di bambini autistici. Poi<br />

possiamo pensare a gruppi attrezzati per diverse disabilità che includono uno o più bambini con<br />

<strong>autismo</strong>, e abbiamo qui la possibilità di integrare diversi tipi di disabilità in modo produttivo,<br />

utilizzando i punti di forza degli uni a favore degli altri, e viceversa. E poi la possibilità di avere<br />

classi normali, che includono uno o più bambini con <strong>autismo</strong>. Spero sia chiaro che dobbiamo<br />

cominciare a immaginare queste possibilità organizzative ricordando sempre che non è una scelta<br />

tra bianco o nero, ma è l'uso variato e oculato, dipendente da una valutazione razionale, delle<br />

diverse opportunità, per diversi momenti o per diverse attività. Per esempio: nelle attività<br />

didattiche sulle autonomie personali si fa un lavoro in un gruppo di ragazzini con <strong>autismo</strong>, per le<br />

attività di ginnastica si fa un lavoro in palestra con altri bambini, ecc., realizzando in tal modo<br />

forme di inclusione diverse e articolate, decise con appropriata valutazione. Credo che oggi<br />

possa essere detto con tranquillità che si può immaginare un ventaglio di opportunità di<br />

inclusione e che occorre abolire il modo di pensare che passa dall'estremo «non può stare in<br />

classe» all'estremo «deve stare in classe». La posizione sull'integrazione pubblicata sul sito<br />

Internet della Division TEACCH è chiara e precisa, utilizzabilissima anche nel nostro contesto.<br />

Questa posizione trova fondamento anche nell'estrema eterogeneità della popolazione che ha<br />

ricevuto l'etichetta «<strong>autismo</strong>» per definire i suoi problemi di sviluppo. Per l'<strong>autismo</strong> non può


essere data un'uguale risposta sul problema dell'integrazione, perché non esiste una persona con<br />

<strong>autismo</strong> uguale all'altra. Abbiamo un continuum di problemi, sia nella gravità della disabilità<br />

complessiva, sia nella gravità della presenza di fattori autistici: anche sulle caratteristiche tipiche<br />

dell'<strong>autismo</strong> abbiamo un continuum tra <strong>autismo</strong> lieve e <strong>autismo</strong> profondo. Possiamo avere un<br />

<strong>autismo</strong> lieve che poi, per altri problemi, risulta in una grave disabilità, e tante altre possibilità<br />

combinazioni. In questa estrema eterogeneità gioca anche l'intreccio tra <strong>autismo</strong> e ritardo<br />

mentale. Assistiamo a forti differenze nella comunicazione, e a differenze nella gravità e<br />

presenza di problemi di comportamento. Quest'ultimo è uno dei motivi che rendono difficile<br />

praticare un inserimento efficace e un'integrazione efficace in attività con altri.<br />

Frequentemente il bambino viene immesso nella classe con gli altri bambini senza una<br />

precedente valutazione delle sue abilità sociali. È costretto ad avere contatto con parecchi<br />

bambini, con una situazione per lui confusa, rumorosa e non trasparente. Anche se il nostro<br />

scopo finale può essere quello di portarlo ad avere interazioni con i bambini normodotati, il<br />

modo in cui si organizzano i primi contatti fa sì che il bambino spesso emetta comportamenti che<br />

lo isolano e che portano di frequente alla sua esclusione dalla classe. Non esistono collocazioni<br />

pensate e organizzate per bambini di diverse abilità o diverso livello: a seconda delle<br />

disponibilità di ore di sostegno o di assistenza, per affrontare i problemi, cambia semplicemente<br />

la quantità di tempo che passa in classe o nell'aula di sostegno. Invece di effettuare una<br />

programmazione di un ambiente sociale adatto, si finisce nell'isolamento.<br />

Integrazione: aspetti tecnici<br />

Così come abbiamo attentamente valutato le abilità del bambino per costruire il suo programma<br />

individuale, valuteremo anche le abilità di entrare in contatto sociale con adulti e bambini. Così<br />

individueremo quale prossimità sociale tollera, se gioca in modo parallelo o cooperativo, se<br />

risponde a stimoli sociali, se ha iniziativa sociale, se ha comportamenti che interferiscono con le<br />

sue possibilità di fare esperienze con altri (Olley, 1986). Una volta valutate, avremo un'idea di<br />

quali abilità il ragazzo possiede e quali sono emergenti e possono essere insegnate. La prima<br />

attenzione necessaria si collega agli aspetti organizzativi prima trattati: la precisa strutturazione<br />

di spazi, tempi, materiali, compiti, può facilitare i contatti e la condivisione di attività tra diversi<br />

ragazzi autistici e tra ragazzi autistici e coetanei normodotati. Un altro strumento è poi quello di<br />

costruire training individuali o di gruppo per insegnare le abilità sociali emergenti. Ricordiamo<br />

che anche le attività sociali necessarie per l'integrazione fanno parte di un per<strong>corso</strong> e, quindi,<br />

possono essere oggetto della costruzione di un curriculum. Esattamente come si può costruire un<br />

curriculum per quanto riguarda la matematica si può costruire un curriculum di abilità sociali,<br />

necessarie all'integrazione, utilizzabile per bambini con disabilità di tipo autistico. Ecco alcuni<br />

passi per esemplificare un possibile curriculum:<br />

1. L'insegnamento dell'attenzione congiunta, dell'emozione congiunta,<br />

dell'intenzione congiunta; cioè l'insegnamento dei primordi della relazione sociale<br />

(Xaiz e Micheli, 2001). Inserire in una classe un bambino per il quale non<br />

abbiamo neanche tentato di far passi in questo per<strong>corso</strong>, probabilmente, sarà<br />

inutile e darà solo problemi di comportamento.<br />

2. La prossimità sociale, il tollerare di essere vicini l'uno all'altro, il tollerare di fare<br />

delle cose insieme.<br />

3. La creazione di un ambiente sicuro, in cui svolgere interazioni significative<br />

protette con altri.<br />

4. Costruire l'abilità di svolgere semplici attività in una situazione sociale semplice,<br />

uno a uno.<br />

5. L'abilità di fare qualcosa insieme con altri più numerosi.<br />

6. Avere interazioni significative all'interno di una classe. Questo può essere il punto<br />

di arrivo del per<strong>corso</strong>.<br />

7. Un'altra strategia utile per raggiungere, per lo meno parzialmente, il nostro scopo<br />

di far imparare al nostro bambino a stare con gli altri è programmare


un'integrazione alla rovescia, chiedere ai bambini a sviluppo regolare di svolgere<br />

attività significative, per loro e per il bambino, in modo che il bambino affetto da<br />

<strong>autismo</strong> possa acquisire nuove abilità. Una variante simile di questa strategia è<br />

nota anche con il nome di tutoring e anche su questo esistono utilissimi manuali.<br />

La necessità di una programmazione razionale e attenta dell'integrazione tra bambini autistici e<br />

coetanei normodotati è resa ancora più importante dalla conferma scientifica della sua utilità nel<br />

settore delle abilità sociali. Infatti recenti rassegne sull'argomento (Rogers, 2000) hanno messo in<br />

evidenza che, tra i fattori che permettono il successo di training di abilità sociali, c'è proprio la<br />

possibilità di svolgere questo training utilizzando il contatto, pensato e strutturato, con coetanei a<br />

sviluppo normale.<br />

Conclusioni: verso una riforma<br />

Avere idee sui valori da raggiungere o salvaguardare non richiede la creazione di una ideologia.<br />

È chiaro che noi cittadini italiani abbiamo maturato i valori dell'integrazione, che siamo contrari<br />

alla segregazione di bambini e adulti in scuole speciali o in istituti totali. Il rischio è che queste<br />

idee e questi valori diventino non una guida concreta per l'azione, ma diventino una ideologia<br />

fine a se stessa. Quando da noi dominava l'ideologia della segregazione questa rendeva<br />

impossibile ragionare caso per caso, situazione per situazione: il diverso andava segregato, per il<br />

suo bene e per quello della società. Pensiamo che in molti Paesi anche vicini a noi, per esempio<br />

la Francia, è normale che un bambino autistico in età scolare venga ricoverato in un istituto<br />

medico psicopedagogico, che somiglia molto a un ospedale psichiatrico, con lo scopo di svolgere<br />

gli interventi cui ha diritto, e per proteggere il diritto a un'adeguata educazione del soggetto<br />

disabile e dei suoi coetanei normodotati; possiamo quindi dire che l'ideologia della segregazione<br />

pone il diritto all'educazione contro il diritto all'integrazione.<br />

E' giunto il momento di chiederci se nel nostro Paese non rischiamo di usare il diritto<br />

all'integrazione come negazione al diritto all'educazione. E così anche l'integrazione diventa una<br />

ideologia; in nome di un'idea vengono danneggiati gli interessi vitali di un bambino. Ecco un<br />

esempio in cui un diritto viene usato a scapito dell'altro. Sei in una scuola e osservi che, mentre<br />

l'intera classe lavora, una bambina autistica gira su se stessa in mezzo all'aula, viene naturale<br />

chiedersi: «Perché deve stare lì?». Quando poni la domanda, la risposta è: «Deve stare in classe<br />

perché deve essere integrata». L'ideologia quindi ci impedisce di accorgerci che così la bambina<br />

perde tempo prezioso per la sua educazione e in più impara un comportamento problema. L'idea<br />

dell'interazione ci serve inoltre per coprire un'inadeguatezza organizzativa; visto che non<br />

riusciamo a organizzare le cose in modo da raggiungere nostri scopi, scegliamo un'ideologia, che<br />

copre e giustifica le nostre mancanze o limiti. Inoltre, l'ideologia ci copre gli occhi e non<br />

riusciamo più a vedere, e ad analizzare la realtà con occhi e mani «scientifici», e non siamo<br />

quindi più in grado di modificare gli ambienti o le situazioni che sarebbero da cambiare, ma<br />

vengono giustificati da queste motivazioni puramente ideologiche. Liberarsi dall'«ideologia<br />

dell'integrazione» significa tornare a dare concreta importanza al «valore integrazione». Occorre<br />

una sintesi che unifichi il valore dell'educazione con il valore dell'integrazione. Io formulo questa<br />

sintesi come «diritto all'educazione all'interno della scuola di tutti». I due principi sono insieme<br />

ma distinti. Il diritto a un'educazione efficace, secondo aggiornate conoscenze e con appropriate<br />

organizzazioni e capacità operative, all'interno della scuola di tutti, può essere una buona guida<br />

per il nostro lavoro.<br />

Quello che non si può più accettare<br />

• Un sistema che porta a individuare il problema del bambino troppo tardi.<br />

• Un per<strong>corso</strong> di valutazione delle abilità e di programmazione educativa troppo lungo.<br />

• Le enormi perdite di tempo derivate da burocrazia, incompetenza, cattiva organizzazione.<br />

• Il costante cambiamento degli insegnanti.<br />

• L'esposizione dei bambini e dei genitori a situazioni stressanti e dolorose.


• Lo «scaricabarile» ai genitori, in termini di orari, di competenza, di responsabilità.<br />

• L'affidare i nostri bambini a chi dichiara di essere incompetente.<br />

• Lo spreco continuo di risorse.<br />

Non possiamo più far finta che queste disfunzioni non esistano. Bisogna essere capaci di<br />

accettarle come problema, accettarle come qualcosa che va cambiato, accettarle come qualcosa<br />

che esiste. Dichiarare e riconoscere il problema senza trincerarsi dietro lo stereotipo «Tutti<br />

all'estero ci invidiano l'integrazione». Non possiamo più perdere tempo. Troppi genitori hanno<br />

sentito l'affermazione «Non so cosa fare con questo bambino» in bocca alle persone che hanno il<br />

compito di aiutare loro e il loro bambino. Questo vuol dire anche che troppi operatori sono stati<br />

costretti dall'attuale sistema a mettersi in una condizione di sofferenza tale da arrivare a dire<br />

questo a un genitore. Sarà un gigantesco passo in avanti quando i responsabili del sistema<br />

sanitario, sociale e educativo che ha il compito dell'educazione degli individui disabili nella<br />

scuola di tutti, invece che trincerarsi dietro l'ideologia dell'integrazione, riusciranno a dire: «Ci<br />

spiace, siamo ancora lontanissimi dagli standard, ma stiamo lavorando per fare alcuni passi nella<br />

direzione giusta. Abbiamo ottenuto per esempio la creazione di un gruppo appositamente<br />

specializzato per l'<strong>autismo</strong>, in una scuola della provincia». Questo è l'atteggiamento necessario.<br />

Scopo di una riforma<br />

Occorre dare concrete possibilità di affermarsi al diritto all'educazione nella scuola di tutti, con<br />

una organizzazione delle risorse in grado di mettere in pratica gli obiettivi concreti che ne<br />

derivano.<br />

È giunto il momento in cui gli esperti, chi ha studiato, ha lavorato e ha maturato conoscenze in<br />

merito, e tutte le persone che hanno responsabilità nella costruzione della conoscenza nell'ambito<br />

di questo problema, dichiarino la necessità di una riforma. Occorre lavorare attivamente per una<br />

riforma. La riforma ha lo scopo di dare concrete possibilità di affermarsi al diritto all'educazione<br />

nella scuola di tutti. E la riforma è una riforma dell'organizzazione dell'integrazione scolastica<br />

come è regolata oggi dalla legge. Ci vuole un'organizzazione delle risorse in grado di mettere in<br />

pratica gli obiettivi concreti che derivano dal diritto all'educazione nella scuola di tutti. Se questo<br />

è l'obiettivo che il Paese si pone, l'organizzazione deve essere tale da poterlo raggiungere.<br />

L'attuale organizzazione non riesce a raggiungere questi obiettivi e, quindi, una riforma è<br />

necessaria. Sono convinto che il punto principale da cambiare non è il numero degli insegnanti di<br />

sostegno o il modo per determinare l'individuazione al diritto all'insegnante di sostegno. La<br />

riforma principale è nell'organizzazione delle risorse. Stiamo cercando di perseguire i nostri<br />

scopi con forme e mezzi che non sono adeguati per raggiungerli.<br />

Modalità per rendere concreto il diritto all'educazione nella scuola di tutti per i bambini<br />

autistici<br />

- I servizi sanitari e scolastici si organizzano per prevedere in anticipo, anno per<br />

anno, i bambini con disturbi dello spettro autistico che entreranno nelle scuole.<br />

- Questi bambini saranno indirizzati in scuole appositamente attrezzate.<br />

- Queste scuole attrezzate avranno insegnanti specializzati per l'educazione dei<br />

bambini con <strong>autismo</strong>, e insegnanti curricolari informati, e aggiornati e formati sul<br />

problema e sulle tecniche di integrazione.<br />

- Verranno definiti i responsabili educativi dei diversi gruppi di bambini, stabili nel<br />

tempo, e con responsabilità di guida nei confronti di collaboratori più giovani,<br />

meno esperti o precari.<br />

- La scuola e gli insegnanti specializzati organizzano spazi appositamente attrezzati<br />

per il lavoro educativo con bambini autistici e portano avanti il curriculum<br />

educativo per la riabilitazione.<br />

- La valutazione delle abilità e delle caratteristiche dei bambini, possibile in molti<br />

casi anche prima dell'ingresso a scuola, e in ogni caso svolta nella prima<br />

settimana di lavoro, porta a definire per ogni bambino i tempi e le attività in


comune con i coetanei normodotati, dal 100% allo 0%, con una programmazione<br />

dinamica.<br />

- I genitori dei bambini autistici troveranno opportune attività di incontro,<br />

informazione, formazione, e contribuiranno all'individuazione delle priorità<br />

dell'intervento, al monitoraggio e al lavoro educativo in ambito familiare.<br />

Quello che può essere organizzato oggi, in attesa di una riforma<br />

Anche se esistono in altri Paesi numerosi modelli di organizzazione dell'intervento educativo su<br />

questi principi (per esempio GAUTENA nei Paesi Baschi, Spagna, e TEACCH nel North<br />

Carolina, USA), sappiamo che numerosi e gravi sono i fattori che nel nostro Paese rendono<br />

molto difficile una riforma come quella descritta. Anzi, è fondato il timore di essere costretti ad<br />

assistere a una controriforma: la semplice e concreta impossibilità di avere il rispetto dei diritti<br />

dei soggetti disabili, la diminuzione delle opportunità di ricevere educazione e la riduzione delle<br />

opportunità di integrazione. Forse è già troppo tardi... sono convinto che muoversi molto<br />

rapidamente, operatori, genitori, insegnanti, nella direzione da me proposta potrebbe essere un<br />

modo per scongiurare una probabile controriforma che si avvicina. Contemporaneamente<br />

possiamo dare maggior spazio e visibilità ai molti colleghi e insegnanti che lavorano e hanno<br />

ottenuto «spezzoni» di riforma. Esistono, formalmente riconosciute o semplicemente messe in<br />

pratica da operatori di buona volontà e di buona esperienza. Personalmente in Lombardia ho<br />

contribuito a diversi tentativi in questa direzione, alcuni dei quali hanno avuto riconoscimenti<br />

formali e buoni risultati; so che altri tentativi esistono in molte parti d'Italia.<br />

Un indicatore significativo di risultato è il primo giorno di scuola di un bambino autistico. Una<br />

misura della vischiosità ai cambiamenti dell'organizzazione esistente è per esempio il fatto che a<br />

Milano, lavorando con un'intensità fortissima, ci abbiamo messo circa quindici anni per arrivare<br />

alla presenza di una scuola elementare nella quale per ogni bambino che arrivava era già pronto<br />

un lavoro significativo il primo giorno di scuola, esisteva un gruppo di insegnanti qualificate e<br />

stabili, la insegnati curricolari erano informate e partecipavano all'iniziativa con le loro classi, il<br />

lavoro era organizzato in modo tale che, ogni volta che cambiava un insegnante, chi restava<br />

poteva continuare il lavoro che procedeva senza interruzione in quanto preparato e strutturato.<br />

Diritto all'educazione quindi, e diritto a non essere segregati. Non ce ne accorgiamo, ma in realtà<br />

stiamo giocando questi diritti l'uno contro l'altro: la nostra intenzione di integrare si scontra<br />

spesso con le azioni necessarie per educare. Il nostro attuale sistema non può che produrre<br />

bambini malamente educati e malamente integrati. Certamente alcune nostre rare<br />

sperimentazioni e organizzazioni in altri Paesi producono risultati migliori.<br />

So che in molte parti del Paese numerose persone impegnate e preparate cercano con tutte le loro<br />

forze di avvicinarsi alla qualità di intervento necessaria e possibile. So anche che la mia penna<br />

non è stata capace in questo articolo di rappresentare adeguatamente la drammaticità delle<br />

situazioni - e sono la maggioranza -, in cui le persone coinvolte in questo devastante disturbo<br />

sono affidate a operatori e a organizzazioni non preparati ad accoglierle.


La scelta dell'intervento terapeutico per l'<strong>autismo</strong> o altri Disturbi Pervasivi dello<br />

Sviluppo: confusioni, differenze e linee guida<br />

Enrico Micheli<br />

Indice<br />

1. La prima confusione:le differenze epistemologiche<br />

2. Confusioni all'interno del gruppo degli interventi psicoeducativi<br />

3. Differenze di "scuola" all'interno degli approcci psicoeducativi<br />

4. L'intervento psicoeducativo moderno<br />

5.La realtà dell'intervento psicoeducativo oggi in Italia<br />

6.Conclusioni<br />

7. Bibliografia<br />

1. La prima confusione: le differenze epistemologiche<br />

Diversi trattamenti nascono da diversi modi di concepire la conoscenza. L'intreccio controllato tra<br />

esperienza clinica e dati della ricerca scientifica, l'accettazione di un sapere condiviso sul problema<br />

basato sul rispetto comune del metodo scientifico portano a una conoscenza dell'Autismo che è alla<br />

base dei trattamenti di tipo Psicoeducativo. E' utile evitare la confusione tra questo modello e<br />

modelli diversi, tradizionali o nuovi, che nascono da un diverso modo di costruire la conoscenza, e<br />

che hanno dell'<strong>autismo</strong> visioni diverse e oggi scarsamente condivise.<br />

E' utile chiarire la possibile confusione anche perché il cambiamento di egemonia, nel campo<br />

<strong>autismo</strong>, da una visione psicodinamica a una visione di psicopatologia dello sviluppo su base<br />

organica, comporta oggi la presenza di tentativi di conciliazione, di eclettismo tra diverse<br />

epistemologie che aumentano la possibile confusione. Proviamo, un po' artificiosamente, a dividere<br />

i trattamenti in tre gruppi:<br />

- il gruppo psicodinamico<br />

- il gruppo psicoeducativo<br />

- il gruppo "new age".<br />

Un intervento psicoeducativo è oggi ritenuto il Trattamento di Elezione dalla maggior parte di<br />

esperti del campo, è raccomandato da autorevoli organizzazioni di studiosi e di genitori.(Cohen e<br />

Volkmar, 1997) Questo significa che si raccomanda esplicitamente questo tipo di intervento come il<br />

più efficace. E' profondamente legato, per la sua natura, alle attuali conoscenze scientifiche<br />

sull'<strong>autismo</strong>. L'<strong>autismo</strong> è un Disturbo dello Sviluppo, legato a un diverso funzionamento del<br />

Sistema nervoso centrale, ha menomazioni sociali, emotive, cognitive; sicuramente provoca<br />

emozioni ma non è causato da emozioni, rende difficili le relazioni ma non è causato da relazioni.<br />

L'apprendimento di abilità, nella persona colpita e nel suo ambiente, rende migliore la qualità della<br />

vita e può, se precoce, compensare le menomazioni e rendere possibili la remissione, la<br />

diminuzione, l'attenuazione del disturbo.<br />

L'intervento psicoeducativo è legato agli strumenti scientifici della psicologia e della riabilitazione;<br />

anche se dà grande importanza alle abilità, all' "arte", di chi insegna e alle emozioni e ai pensieri di<br />

chi vive e lavora con questo disturbo; anche se ritiene suo scopo fondamentale il benessere e<br />

l'integrazione sociale considera necessario confrontarsi costantemente con il vincolo del<br />

comportamento osservabile, unica misura del punto di partenza e del cambiamento. L'enfasi sempre<br />

crescente sugli aspetti cognitivo-emotivi sia del disturbo sia della sua riabilitazione non significa<br />

l'abbandono del paradigma comportamentale come guida per la conoscenza. Da qui l'uso di<br />

strumenti di osservazione, di misura, test, questionari, umili e imperfetti strumenti ma saldamente<br />

inseriti in una visione scientifica della conoscenza, con i suoi limiti e la sua grandezza. Gli<br />

interventi di questo gruppo sono in continua interazione sia con il mondo "soft" della ricerca<br />

psicologica, sia con quello "hard" della ricerca neurologica, biochimica, farmacologica. Dato il<br />

comune punto di vista epistemologico, il modello psicoeducativo si può combinare efficacemente<br />

1


con l'uso di farmaci, seguendo attentamente regole e linee guida basate sulle evidenze scientifiche<br />

di cui oggi disponiamo, che indicano l'uso di farmaci non per guarire o migliorare l'<strong>autismo</strong>, ma per<br />

diminuire sintomi comportamentali o devastanti o interferenti con l'intervento psicoeducativo<br />

stesso.<br />

Certo, questo gruppo di interventi, a causa del modello sottostante di tipo scientifico, entusiasma<br />

per i suoi indubbi risultati, permette e stimola continui miglioramenti, ma ha dei punti deboli nella<br />

comunicazione con il mondo esterno: è controllato nelle dichiarazioni, non spara successi, vede<br />

sempre i limiti piuttosto che i punti di forza, continua a confrontare gli effetti degli interventi, delle<br />

diverse componenti di un singolo intervento, scatena una competizione nella ricerca delle prove di<br />

efficacia … ogni articolo che presenta una rassegna sull'efficacia degli interventi di questo gruppo,<br />

nonostante gli indubbi successi e la presenza di ricerche pubblicate, data la sua epistemologia<br />

spesso si conclude con l'affermazione: "risultati incoraggianti, ma ricerca ancora insufficiente".<br />

Il gruppo Psicodinamico, che ha dominato il campo della teoria e della pratica sull'<strong>autismo</strong> per due<br />

decenni (in Italia per almeno quattro), ha invece fatto il suo tempo. Una vera e propria rivoluzione<br />

di paradigma ha cambiato negli anni 70 il modo di vedere questo disturbo, lasciando la visione<br />

psicodinamica ai paesi dove la psicologia e la psichiatria sono meno legate alla scienza e di più alle<br />

lettere e alla filosofia (Italia, Francia, America Latina). Ricordiamo che la visione psicodinamica è<br />

in crisi grave da anni non solo per l'<strong>autismo</strong>, ma per tutti i disturbi psichiatrici; il modello della<br />

dinamica intrapsichica come spiegazione dei disturbi mentali, dei disturbi dello sviluppo, dei<br />

disturbi comportamentali si è rivelato poco utile e poco euristico, ed è stato soppiantato da altri più<br />

aggiornati modelli. In Italia, la presenza di una disciplina, Neuropsichiatria infantile, i cui esponenti<br />

storici, possessori di cattedre, sono cresciuti nel clima psicoanalitico, fa si che ancora qualcuno, pur<br />

essendo molto diminuita la pratica della psicoterapia di tipo analitico con bambini e ragazzi<br />

autistici, continua ad avere questo modello per l'intervento. Il cambiamento non accade per<br />

apprendimento di abilità, ma per esperienze emotive che "sbloccano" quelle dinamiche affettive che<br />

sole permettono al bambino di accedere alla relazione con l'altro e quindi ad apprendere. Prima si<br />

credeva che questa esperienza avesse il suo cardine nel transfert con lo psicoterapeuta, oggi può<br />

essere affidata a esperienze ludiche, alla relazione con lo psicomotricista, all'integrazione scolastica,<br />

al rapporto cioè con i compagni normali.<br />

Molti operatori dei servizi sanitari pubblici sono cresciuti con questo imprinting, e anche se si<br />

aprono ad aspetti del nuovo paradigma, il loro atteggiamento finalizzato allo "sblocco" di<br />

competenze presenti ma da "liberare" fa perdere tempo ai bambini e alle famiglie, e rischia spesso<br />

di essere all'origine della "perdita del treno" dello sviluppo dell'autonomia, del controllo del<br />

comportamento, della comunicazione, treno che invece si riesce spesso a prendere se si insegnano ai<br />

bambini le abilità che non hanno in modo razionale, precoce, intensivo.<br />

Il gruppo new age? Comunicazione Facilitata, Delacato, Auditory Training, Musicoterapia,<br />

Delfinoterapia, diete, secretina, ecc. L'ho chiamato "new age", perdonatemi questo termine un po'<br />

superficiale per un gruppo molto variegato, perché vi ho immesso interventi che non fanno<br />

riferimento a un unico modello teorico. Questo gruppo aumenta la confusione. Guardando<br />

superficialmente l'insieme degli interventi che ho qui raccolto potrebbe sembrare un cocktail che<br />

mescola gli ingredienti dei due primi gruppi. Fiducia nel fatto che il bambino ha, nascoste, le stesse<br />

abilità dei bambini a sviluppo tipico; rifiuto della valutazioni, dei numeri, dei test che potrebbero al<br />

contrario valutarne le vere abilità possedute, oltre ai limiti e alle difficoltà; l'attribuzione di effetti<br />

taumaturgici a componenti non misurabili né controllabili (nella CF per esempio, la fiducia tra<br />

facilitato e facilitatore che permette l'espressione di capacità cognitive ed espressive "nascoste"<br />

sotto la crosta dell'handicap); il linguaggio "scientifico", inteso come parlare di biochimica,<br />

neurologia, infezioni, vaccini, medicine, senza considerazione per le regole della conoscenza<br />

scientifica; come se il parlare di argomenti biologici o chimici fosse di per se qualcosa di<br />

scientifico, anche se in realtà si dà fiato a intuizioni, voci, teorie, ecc, che non hanno la benché<br />

2


minima conferma con l' umile ma necessario metodo scientifico. E così compare la "aprassia" della<br />

Comunicazione Facilitata, la "lesione" del metodo Delacato, i problemi gastrointestinali della<br />

secretina, i problemi uditivi dell'auditory training, tutte cose che potrebbero caratterizzare molti<br />

singoli bambini, ma certamente non tutti. Internet e il tam tam tra genitori è il canale di<br />

comunicazione preferito da questo filone, è rapido nell'annunciare successi, nella sua<br />

comunicazione fa appello a componenti emotive, a speranze, a illusioni, a legittimi desideri di por<br />

fine a gravi sofferenze. Gli insuccessi e i limiti sono dovuti a congiure della scienza ufficiale, agli<br />

scarsi soldi investiti nella ricerca, al tentativo da parte di non bene identificati baroni di coprire la<br />

verità. E di nuovo, come con la psicanalisi, il bambino vero, quello che è indispensabile conoscere e<br />

rispettare, viene oscurato da un bambino immaginato, e di nuovo si "perdono i treni".<br />

Credo che sia necessario sostenere la necessità, l'opportunità, l'utilità di una scelta tra questi modelli<br />

di fondo e il pericolo e il danno derivato da scelte non chiare o confusioni. Non sempre la necessità<br />

di una scelta è chiara; per esempio, molti operatori legati al modello psicodinamico vedono la<br />

necessità e l'efficacia di interventi educativi, ma non si decidono a fare una scelta chiara perché,<br />

giustamente interessati alla relazione con il bambino e alla sua crescita emotiva oltre che cognitiva<br />

o pratica, pensano che l'unico modello che contempli attenzione a queste variabili sia quello<br />

psicodinamico. Questo purtroppo è frutto di una scarsa diffusione dell'importanza attribuita alle<br />

emozioni, alle relazioni, al benessere personale dal modello di riferimento degli interventi<br />

psicoeducativi, e che oggi non c'è più bisogno di psicanalisi per occuparsi di questi aspetti<br />

fondamentali. Una volta fatta questa scelta, buona parte della confusione scompare, e ci si può<br />

finalmente dedicare a ricavare il massimo possibile, per l'interesse del bambino e dei suoi<br />

famigliari, dalle pratiche di intervento coerenti con questa scelta, e a scartare come rumore e<br />

confusione inutile e dannosa i continui tentativi di "inquinare" la scelta con proposte che fanno capo<br />

a un gruppo che ha modelli di fondo differenti.<br />

Il modello psicoeducativo è quello da me scelto. Naturalmente altri potrebbero fare altre scelte;<br />

possono buttarsi con fede nel mondo dei segreti e misteri della natura con occhi prescientifici;<br />

l'importante è che questa scelta, se fatta, sia fatta da chi è in grado e ha il compito di discriminare,<br />

ed è consapevole di aver fatto una scelta, di averla fatta sulla base di valide informazioni. La<br />

confusione viene dalla non chiara discriminazione, e il danno che ne deriva è l'oscillazione tra i due<br />

mondi: quello delle conoscenze derivate dall'osservazione e del severo controllo e quello dei<br />

"miracoli" delle cure alternative. Il danno si ha quando un intervento che da risultati lenti ma<br />

probabilmente destinati a continuare nel tempo viene abbandonato per l'ultima moda di trattamento<br />

alternativo, alterando in questo modo il sicuro cammino, che è uno dei requisiti per una efficacia del<br />

trattamento con le persone autistiche. Il danno è la sfiducia che ne deriva per ogni intervento. Altro<br />

danno della confusione è l'alto prezzo che le illusioni chiedono di pagare, a volte in termini di soldi,<br />

ma spesso anche solo in termini di sconvolgimento di un sistema di vita che già è faticoso: pensate<br />

alle diete, che in vista di risultati mai sostanzialmente documentati chiedono di contrastare<br />

continuamente i desideri alimentari del bambino, sconvolgono le abitudini alimentari di una<br />

famiglia e a volte sono dannose in quanto tolgono sostanze nutritive fondamentali.<br />

Rispettando le scelte e le credenze diverse dalle mie, io non posso che dichiarare che il mio sforzo è<br />

quello di sostenere la fiducia, la fatica, di persone fortemente provate, aiutarli a tener duro, a<br />

continuare, a modificare gli interventi con gradualità e attento studio. In scienza e coscienza, questo<br />

è il lavoro da fare, dato che le evidenze scientifiche sostengono questo atteggiamento. E' compito<br />

degli psichiatri, degli psicologi, dei clinici, riflettere seriamente su questa scelta, e svolgere in modo<br />

più assertivo la loro funzione di guida e informazione per le persone che a loro si rivolgono, senza<br />

quei timori che spesso lasciano aperta la porta alla confusione.<br />

2. Confusioni all'interno del gruppo degli interventi psicoeducativi<br />

3


Purtroppo la confusione non si risolve del tutto con una scelta epistemologica. Infatti gli operatori e<br />

i genitori hanno difficoltà ad orientarsi anche davanti alle diverse proposte che condividono una<br />

scelta scientifica.<br />

L'ingresso nel nostro paese di informazioni sugli interventi per l'Autismo di tipo Psicoeducativo,<br />

derivati dalle nuove conoscenze sviluppate soprattutto in ambiente anglosassone, ha portato a un<br />

fraintendimento foriero di gravi conseguenze: l'idea che le varie facce e i vari aspetti dell'intervento<br />

psicoeducativo fossero in realtà metodi di cura contrapposti; e che quindi ognuno di questi metodi<br />

fosse adatto a diverse esigenze, a diverse età, a diversi problemi. Per esempio: "Teacch" per le<br />

autonomie e il "cognitivo", TED per lo scambio sociale, CAA per la comunicazione, ABA per i<br />

bambini piccoli, ecc.<br />

Questa confusione ha come principale effetto la difficoltà di creare operatori in grado di affrontare<br />

la complessità del disturbo dello sviluppo di tipo autistico con interventi complessi. Mantiene<br />

l'illusione che attività settoriali, che possono essere parte importante di un intervento<br />

psicoeducativo, possano avere lo statuto di Terapie. Senza la consapevolezza che l'intervento<br />

psicoeducativo può avere diverse facce e che può contenere modalità di lavoro da applicare ad<br />

aspetti specifici, si può facilmente dimenticare che l'intervento ha da essere generale, unitario, e<br />

rivolto ai numerosi diversi aspetti della vita e dello sviluppo del bambino.<br />

Voglio mettere in evidenza un altro tipo di confusione, presente anche all'interno del campo<br />

psicoeducativo, che spesso non aiuta genitori ed operatori a orientarsi con chiarezza nelle scelte di<br />

intervento: la confusione che deriva da una disattenzione, da una dimenticanza. Spesso<br />

dimentichiamo che i numerosi concetti con cui definiamo ciò che conosciamo sono organizzati<br />

secondo livelli logici gerarchici, e disinvoltamente li mescoliamo.<br />

Non distinguiamo né utilizziamo con ordine filosofia (e con essa epistemologie e metodologie),<br />

organizzazioni, strategie, tecniche, strumenti.<br />

Tab.1: la gerarchia dei livelli logici<br />

Filosofie<br />

(epistemologie, scelte di priorità, scopi, valori, approcci di fondo)<br />

Organizzazioni<br />

Metodologie<br />

Curricula<br />

Strategie<br />

Tecniche<br />

Strumenti<br />

Questi diversi "oggetti" contribuiscono potentemente a migliorare e rendere efficace l'azione solo se<br />

sono ordinati e coerenti; invece con estrema facilità diamo loro diversa dignità logica a seconda di<br />

quello che viene comodo.<br />

Con questa confusione si finisce per affidare i bambini, i genitori, le famiglie, a persone che magari<br />

conoscono uno strumento, o alcune strategie, o un "metodo" anche aggiornato e pertinente; ma che<br />

non hanno una visione generale aggiornata e coerente del problema <strong>autismo</strong>. Rischiamo di<br />

introdurre, proporre, propagandare, insieme con strumenti o tecniche, anche filosofie o teorie<br />

sull'<strong>autismo</strong>, o valori e scopi dell'intervento, che invece meriterebbero scelte al livello logico<br />

superiore. O, al contrario, rischiamo a volte di far credere che l'uso di uno strumento diverso da<br />

quello che utilizza un collega comporti automaticamente una contrapposizione al livello dei valori o<br />

degli scopi o delle filosofie, mentre strumenti diversi potrebbero essere tranquillamente usati da chi<br />

ha filosofie perfettamente concordanti.<br />

Facciamo degli esempi: se cerco di intervenire seguendo le linee dell'organizzazione TEACCH<br />

(Schopler, 1997), ho una filosofia, ho una metodologia (es. coinvolgimento dei genitori, diagnosi<br />

DSMIV, valutazione individuale, pianificazione di curriculum secondo priorità di sviluppo o<br />

funzionali a seconda dell'età, e condivise con la famiglia); dispongo di varie strategie per favorire la<br />

4


collaborazione, l'interesse, la riduzione dei comportamenti problema, l'apprendimento, conosciute<br />

come strategie di educazione strutturata; uso tecniche (costruzione di lavori indipendenti, tecniche<br />

di analisi del compito, prompt, fading del prompt, token economy, rinforzo, prevenzione dei<br />

comportamenti disturbanti); e ho strumenti (PEP, AAPEP, e tutti i mezzi concreti che uso per<br />

applicare le strategie che ho scelto). Osservando l'applicazione di un qualsiasi altro modello di<br />

intervento psicoeducativo, per es. l' ABA, o il Denver Model, o il modello da me costruito,<br />

insegnato, praticato prima a Milano e poi ad Agordo (Micheli, 1997; Xaiz e Micheli, 2001) si<br />

potranno notare, in ognuno di questi livelli gerarchici, alcune differenze e anche molte somiglianze,<br />

come vedremo meglio più avanti. Anche se questi diversi modelli di intervento psicoeducativo<br />

condividono la stessa filosofia di fondo, possono essere tra loro confrontati in termini di<br />

somiglianze o differenze, e posso cercare di valutare in modo comparativo la loro efficacia, perché<br />

la parità di livello logico mi autorizza a considerarli confrontabili tra di loro. Al contrario se dico<br />

per esempio "non faccio il Teacch, faccio il Portage", faccio una confusione di livelli logici:<br />

contrappongo una linea generale di intervento a uno strumento, aggiungendo il paradosso che<br />

seguendo la linea generale Teacch posso molto bene e utilmente usare il Portage; se uso il Portage,<br />

che non è altro che uno strumento, che linea generale sto seguendo?<br />

Un altro esempio: se usi le strategie di educazione strutturata sei contro l'integrazione dei bambini<br />

autistici con i normali, se usi la psicomotricità di gruppo sei favorevole all'integrazione. No! La<br />

scelta tra integrazione e non integrazione si pone al livello degli scopi e dei valori, e va fatta a quel<br />

livello; una volta fatta la scelta, potrò trovare utili per raggiungere lo scopo diversissimi strumenti.<br />

Una accurata informazione su questo è responsabilità nostra, di chi costruisce cultura in questo<br />

campo. Occorre evidenziare la chiara gerarchia dei livelli logici delle cose di cui stiamo parlando.<br />

Un'altra conseguenza della confusione nella gerarchia dei livelli logici è il fatto che senza volerlo<br />

incoraggiamo lo sviluppo di "operatori specialisti in <strong>autismo</strong>" che in realtà hanno appreso solo<br />

alcune strategie, o hanno appreso l'uso di alcune tecniche, o conoscono strumenti, certamente<br />

aggiornati e validi. Dato che nel nostro paese le forme dominanti di "presa in carico" generale del<br />

problema di un bambino non sono di tipo psicoeducativo, ecco che l'uso di queste strategie o<br />

strumenti, venduti come "metodo", viene contrapposto alla presa in carico generale. Questo è un<br />

errore: alla presa in carico generale di tipo psicodinamico non vanno contrapposti aspetti parziali,<br />

ma una forma di " presa in carico" generale di tipo psicoeducativo. L'efficacia della "presa in<br />

carico" generale di tipo psicoeducativo andrà confrontata con altre modalità di "presa in carico".<br />

Una volta fatta una scelta di campo a questo livello gerarchico, vedremo che gli oggetti posti a<br />

livelli inferiori saranno tranquillamente tutti compatibili, e quindi validamente confrontabili tra di<br />

loro per efficacia, efficienza, costi, benefici, ecc.<br />

3. Differenze di "scuola" all'interno degli approcci psicoeducativi<br />

Le interessanti e utili differenze di "scuola" all'interno degli approcci psicoeducativi sono oggi<br />

componibili in una nuova sintesi. Mentre le confusioni e le contrapposizioni che ignorano la<br />

gerarchia dei livelli logici producono o rivelano patologia nel sistema, e quindi ritardano lo sviluppo<br />

di servizi e interventi efficaci per i bambini autistici, all'interno del campo degli interventi<br />

psicoeducativi esistono reali differenze. All'interno della comune, generale filosofia sopra descritta,<br />

sono stati costruiti, sperimentati, descritti, diversi modelli di intervento. Queste differenze sono<br />

euristiche, nel senso che hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo di sempre migliori<br />

risposte. Hanno portato a una nuova sintesi di livello più alto che nasce dai dati prodotti dalla<br />

sperimentazione di questi diversi modi di lavorare.<br />

Queste differenze esistono, all'interno di una filosofia psicoeducativa comune, a tutti i livelli<br />

gerarchici. Scelgo di provare a illustrare queste differenze presentando alcune dimensioni lungo le<br />

quali si possono riscontrare queste differenze.<br />

Particolarità/generalità<br />

5


Alcuni aspetti del complesso intervento psicoeducativo possono essere dotati di una finalità<br />

specifica, particolare, sono cioè pensati o indirizzati per risolvere uno specifico problema, per<br />

insegnare abilità all'interno di una area specifica; spesso questi aspetti sono specifici per l'area cui si<br />

indirizzano ma aspecifici per quanto riguarda il tipo di patologia delle persone nel cui vantaggio<br />

possono essere applicati; per esempio le strategie, le tecniche e gli strumenti di Comunicazione<br />

Aumentativa si indirizzano all'area Comunicazione per persone colpite da diversissime patologie,<br />

così come la Tecnica di Azrin e Foxx per il toilet training (Foxx, 1996). Chi si applica per studiare e<br />

migliorare aspetti specifici del lavoro psicoeducativo svolge un utilissimo servizio, dando efficaci<br />

metodi, strategie, tecniche e strumenti a chi si occupa dell'approccio generale; al contrario, solo una<br />

visione generale del problema Autismo di un bambino rende utili gli strumenti e le tecniche<br />

elaborate all'interno di un singolo aspetto. Strategie, tecniche e strumenti di Comunicazione<br />

aumentativa; strategie, tecniche e strumenti per aiutare lo sviluppo e la comparsa di interazioni<br />

sociali reciproche; strategie, tecniche e strumenti per l'attivazione emotiva; strategie, tecniche e<br />

strumenti per lo sviluppo del linguaggio e per lo sviluppo cognitivo o sociocognitivo sono esempi<br />

dello sviluppo di un'area di insegnamento (Jordan e Powell, 1997; Xaiz e Micheli, 2001; Micheli e<br />

Zacchini, 2001; Watson e al., 1997). All'altro polo, ci sono gli specialisti degli interventi<br />

"comprehensive", che si occupano di tutte le aree (autonomia, abilità sociali, linguaggio,<br />

comunicazione, tempo libero, comportamenti problema, ecc), affrontate con un progetto generale<br />

sul singolo. E' evidente che un intervento non può che essere un prendersi cura di tutto il bambino,<br />

con scelte di priorità; un intelligente per<strong>corso</strong> probabilmente attingerà ai contributi settoriali per le<br />

aree rilevanti. Schopler e colleghi, per esempio, propongono da sempre l'uso di strategie, tecniche e<br />

strumenti di Comunicazione aumentativa nei casi in cui il linguaggio parlato non compare o<br />

compare in misura insufficiente a una comunicazione di successo. (Watson e al., 1997).<br />

Enfasi sullo sviluppo / enfasi sull'insegnamento di abilità funzionali<br />

Quali abilità insegno? Con quale progressione? Con una progressione di abilità che io decido essere<br />

utile per ridurre le difficoltà del bambino e per aiutarlo a comportarsi in modo più autonomo, più<br />

socievole, più comunicativo, o con una progressione di abilità che in qualche modo ripercorre le<br />

tappe dello sviluppo normale? Per cominciare a lavorare, devo o no capire a che punto dello<br />

sviluppo si trova il bambino? Per esempio, molti operatori che si riferiscono all' "Applied Behavior<br />

Analysis" (ABA), privilegiano una scelta funzionale, proponendo curricula indipendenti dalle tappe<br />

di sviluppo normale; gli operatori della Division Teacch propugnano una linea di sviluppo per i<br />

bambini e funzionale per adolescenti e adulti. Naturalmente poi ogni singolo operatore con ogni<br />

singolo bambino sceglierà un per<strong>corso</strong> unico e individuale, che sarà una sintesi delle due linee (per<br />

esempio, potrò scegliere un curriculum di sviluppo per insegnare abilità cognitive, e un curriculum<br />

funzionale per insegnare l'uso autonomo del gabinetto).<br />

Normalizzazione/rispetto particolarità e differenze<br />

Un'altra dimensione su cui si riscontrano differenze di stile, di enfasi, di comportamento, tra<br />

operatori di diverse "scuole" psicoeducative è quella tra "obiettivo normalità" e "obiettivo qualità<br />

della vita". Il normalizzatore estremista, per capirci, potrebbe dedicare tutti i suoi sforzi ad<br />

insegnare comportamenti normalizzanti, anche se questo comporta lunghi anni di pessima qualità<br />

della vita, e il raggiungimento del comportamento normale non è garantito; l'estremista della qualità<br />

della vita potrebbe al contrario dedicare tutti i suoi sforzi a modificare l'ambiente perché la persona<br />

con le sue differenze possa viver in esso in modo soddisfacente. In realtà, ogni scuola<br />

psicoeducativa si porrà in qualche punto intermedio tra questi estremi teorici, anche se Lovaas per<br />

esempio (1990) è molto vicino all'idea di normalizzazione, Schopler e collaboratori (1997), al<br />

rispetto delle particolarità e del diverso modo di funzionare delle persone con Autismo.<br />

Direttivo/interattivo<br />

Nell'educazione con modalità direttive, la decisione dei contenuti e dei modi delle attività è<br />

totalmente dell'operatore che dirige il lavoro, senza indulgere a richieste o interessi della persona<br />

6


con cui lavora, se non nella ricerca di ricompense che possano funzionare da rinforzo. Ogni<br />

interesse mostrato dal bambino per cose diverse dall'oggetto di quel singolo insegnamento va<br />

estinto, non incoraggiato né seguito. Gli interessi del bambino non hanno rilevanza neanche per la<br />

scelta delle priorità o delle attività. Altre "scuole" psicoeducative invece considerano importante<br />

l'attenzione verso gli interessi del bambino, considerano importante svolgere anche attività che pur<br />

essendo utili per lo sviluppo e l'apprendimento, usano oggetti o compiono azioni che vengono scelte<br />

dal bambino. Questa attenzione per gli interessi e le scelte del bambino può portare a una maggiore<br />

generalizzazione e maggiore mantenimento; così come l'uso del gioco spontaneo, della<br />

comunicazione spontanea, il seguire le richieste e le mosse del bambino da usare poi per insegnare<br />

le abilità che possono nascere dal contesto che ne deriva. Xaiz e Micheli hanno proposto (2001), per<br />

l'insegnamento delle abilità di interazione sociale reciproca, un modo di insegnare che rappresenta<br />

una sintesi tra i due estremi che valorizza molto gli aspetti interattivi.<br />

Stimoli e conseguenze artificiali/stimoli e conseguenze naturali<br />

Da una parte, si punta al completo controllo della situazione di apprendimento, privilegiando quindi<br />

situazioni che si avvicinano al laboratorio per chiarezza e struttura. La modalità di educazione<br />

chiamata "Discrete Trials Format" (Lovaas, 1997) privilegia quindi tempi, luoghi, situazioni<br />

stimolo, ricompense artificiali; pensando poi alla generalizzazione dopo che gli apprendimenti sono<br />

stati acquisiti in situazioni artificiali, con il trasferimento e il nuovo apprendimento in situazioni<br />

naturali. Un esempio è il lavoro sul linguaggio dominato dalla richiesta di dire nomi di oggetti o<br />

azioni visti in figure. L'altro versante privilegia al contrario, pur continuando ad avere un sufficiente<br />

controllo della situazione di apprendimento, luoghi, stimoli, ricompense naturali. (Koegel e al.,<br />

1987) Per esempio, per la comunicazione si preferisce organizzare situazioni naturali che<br />

permettano al bambino di emettere atti comunicativi che saranno ricompensati dal successo<br />

comunicativo stesso. (Watson e al. 1997).<br />

Uso di avversivi/prevenzione dei problemi di comportamento<br />

Da un lato abbiamo l'identificazione di comportamenti bersaglio in ogni comportamento un po'<br />

anormale, anche se non pericoloso e non particolarmente interferente; si sceglie di confrontarsi con<br />

i manierismi motori o stereotipie da subito in modo deciso, usando ampiamente strategie avversive,<br />

anche se normalmente scelte in modo da non violare eccessivamente i diritti delle persone; dall'altro<br />

lato c'è la convinzione che i comportamenti problema rivestano una funzione comunicativa<br />

(Carr,1998), e rivelino comunque deficit e difficoltà a vivere in un mondo difficile da comprendere<br />

e da "leggere" (Schopler, 1998). Questo porta a un atteggiamento che, per la riduzione dei<br />

comportamenti problema, preferisce facilitare la vita alla persona autistica con apposita<br />

strutturazione degli ambienti, degli spazi, dei tempi. E con l' identificazione accurata delle capacità<br />

possedute e richieste proporzionate alle capacità. In questo modo i comportamenti problema<br />

diventano meno probabili, quindi è possibile insegnare quelle abilità che poi li renderanno meno<br />

necessari, e renderanno possibile una minor strutturazione dell'ambiente. (Schopler, <strong>autismo</strong> in<br />

famiglia).<br />

Cambiamento del comportamento del bambino/ organizzazione dell'ambiente<br />

Da una parte si privilegia e si mette enfasi sull'apprendimento di comportamenti nuovi e<br />

sull'estinzione dei comportamenti bersaglio mediante la gestione delle conseguenze; dall'altra al<br />

primo posto c'è lo studio delle caratteristiche di funzionamento del bambino, in modo da<br />

organizzare quegli antecedenti (l'organizzazione dello spazio, del tempo, dei compiti, i modi in cui<br />

vengono fatte le richieste) che facilitano la comparsa dei comportamenti richiesti, e che permettano<br />

l'emergere di comportamenti atti all'apprendimento spontaneo, con conseguenze naturali tra cui il<br />

successo.<br />

7


Adattamento dei bisogni della famiglia alla terapia/ adattamento della terapia ai bisogni della<br />

famiglia<br />

La convinzione della normalizzazione, la preferenza per percorsi artificiali, la necessità quindi, per<br />

ottenere significativi cambiamenti del comportamento in situazione naturale, di un intensivo<br />

programma di insegnamento; la preferenza per un curriculum deciso dal terapista secondo percorsi<br />

di analisi del compito piuttosto che di valutazione dello sviluppo e della priorità di un singolo<br />

individuo, fanno si che l'"arruolamento" dei genitori in qualità di coterapisti avvenga in modo<br />

unidirezionale, con il terapista che trasmette ai genitori cosa e come fare, e poi chiede alla famiglia<br />

un intervento di lunghe ore giornaliere, con elevato sacrificio economico o di tempo. La<br />

convinzione al contrario dell'esistenza di modalità di trattamento più basate sull'espansione delle<br />

abilità già possedute, la possibilità di raggiungere obiettivi significativi per la persona con modi e<br />

strategie diverse, porta all'altro estremo a un atteggiamento di ascolto delle caratteristiche, bisogni,<br />

aspettative della famiglia e a una programmazione flessibile dell'intervento (Helm e Kozloff, 1986,<br />

Marcus e al., 1997).<br />

Curriculum determinato dal metodo di lavoro/ curriculum determinato dalla valutazione<br />

dell'individuo e dalle priorità dell'ambiente in cui vive<br />

Abbiamo anche differenze nell'individuazione del cosa insegnare: una posizione porta a considerare<br />

importante soprattutto la scelta di obiettivi basati su una analisi del compito adeguata, e quindi<br />

possa portare a concatenamenti di abilità, acquisite per condizionamento operante, in catene<br />

significative: definiti obiettivi adeguati, anche se oggi molto lontani, l'importante è insegnare oggi il<br />

pezzo che gerarchicamente permette poi di insegnare il secondo pezzo e così via; un'altra posizione<br />

ritiene invece essenziale scoprire, sia nella programmazione funzionale sia in quella basata sullo<br />

sviluppo, quali abilità sono padroneggiate dalla persona e quali siano emergenti, cioè posseduti in<br />

modo parziale, con elevata possibilità di apprendimento. Le scelte di programma privilegeranno<br />

quindi l'esercizio di abilità possedute nel modo più largo possibile, e l'insegnamento di abilità<br />

emergenti. Nel frattempo, si porta la persona a una vita e attività autonoma compensando le abilità<br />

non possedute con protesi o facilitazioni.<br />

Ogni intervento psicoeducativo quindi si posizionerà in un suo modo peculiare in queste<br />

dimensioni, acquisendo così un particolare stile; ogni intervento quindi finirà con essere soprattutto<br />

efficace con un tipo di bambino piuttosto che un altro, e nell'affrontare alcuni problemi piuttosto<br />

che altri.<br />

E' chiaro che la scelta delle posizioni da assumere su queste dimensioni dipenderà da diversi fattori:<br />

la formazione, lo stile, il carattere, le risorse, dell'organizzazione e degli operatori che ne fanno<br />

parte. E sotto molti aspetti, avremo risultati molto buoni da ognuna di queste "scuole".<br />

La novità degli anni 2000 è la possibilità di chiedere agli operatori di andare oltre alla dichiarazione<br />

"faccio così perché questo è il mio metodo". Intanto oggi sappiamo bene che, date le enormi<br />

differenze tra bambino e bambino, non esiste un metodo di cura valido per tutti.<br />

Un operatore ha quindi il compito di adattare il suo modo di fare alle necessità del bambino che ha<br />

davanti. Oggi le nostre conoscenze sono maggiori di venti o trenta anni fa, quando le varie "scuole"<br />

sono nate e si sono sviluppate. Abbiamo conoscenze che ci indicano quali fattori rendono efficace<br />

l'intervento psicoeducativo. L'individuazione di questi fattori porta ad alcune raccomandazioni (vedi<br />

tab.2), che vanno a comporre una "nuova sintesi".<br />

Tab. 2<br />

Ciò che sappiamo sull'intervento psicoeducativo (adattato da Schreibmann, 2000)<br />

L'intervento intensivo e precoce può essere estremamente efficace<br />

E' necessario un insegnamento attentamente strutturato<br />

Generalizzazione e mantenimento vanno attivamente ricercati con il coinvolgimento degli ambienti<br />

di vita e con lo sfruttamento degli interessi propri del bambino<br />

8


L'educazione deve essere adattata al peculiare funzionamento del bambino autistico<br />

I genitori vanno coinvolti, informati, formati<br />

Estrema variabilità nell'outcome: molti migliorano, ma alcuni migliorano poco o non migliorano<br />

Anche recenti rassegne sulle abilità sociali, sulla comunicazione, e altre pubblicate sulle riviste<br />

scientifiche del settore negli ultimi 4 anni (Schreibmann, 2000; Koegel L.K, 2000, Rogers, 2000;<br />

Dawson e Watling, 2000; McConnel, 2002, Horner e al, 2002, Goldstein 2002) indicano che le<br />

nostre conoscenze sono progredite, che ognuno dei filoni più radicali comparsi all'interno<br />

dell'approccio psicoeducativo si è trovato, rispettando il vincolo del metodo scientifico, a criticare<br />

alcuni aspetti che si sono dimostrati sbagliati o non particolarmente produttivi, e ha accolto al<br />

contrario le strategie, le tecniche, gli strumenti dimostratisi validi ed efficaci creati da altri. Alcune<br />

affermazioni troppo ottimiste sono state smussate, alcune scoperte sono state ridimensionate. Oggi<br />

abbiamo una nuova serie di standard con cui valutare la qualità del nostro intervento<br />

psicoeducativo.<br />

4. L'intervento psicoeducativo moderno<br />

L'intervento educativo inizierà prima possibile, quando abbiamo prove della presenza di un PDD in<br />

un bambino piccolo, ancora prima di poter definire la diagnosi categoriale precisa, e ancora prima<br />

di aver terminato tutti gli esami medici o clinici necessari e utili. Immediatamente inizierà anche<br />

l'informazione, la formazione, il coinvolgimento dei genitori. L' intervento sarà intensivo: occorre<br />

lavorare attivamente per prevenire gli effetti a cascata sul comportamento delle difficoltà<br />

dell'<strong>autismo</strong> in un bambino e nella sua famiglia. La ricerca ha dimostrato l'efficacia di un intervento<br />

che dura molte ore al giorno, ma ha contraddetto la convinzione che è il tempo della terapia, almeno<br />

40 ore alla settimana, a renderla efficace; Ozonoff e Catchart (1998) hanno dimostrato che un<br />

intervento a carattere flessibile, legato all'organizzazione dell'ambiente naturale di vita della<br />

famiglia, con 20 ore alla settimana poteva dare risultati migliori di un intervento con una durata<br />

doppia in termini di tempo, basato su principi di normalizzazione, curriculum e strumenti artificiali.<br />

Certamente la probabilità di miglioramenti aumenta con un intervento che influenza<br />

l'organizzazione dell'intera giornata del bambino; e diminuisce drasticamente se l'intervento è<br />

limitato a qualche sporadica ora di terapia.<br />

Relazione sociale reciproca e comunicazione, oltre all'uso degli oggetti, sono al centro del<br />

curriculum per un bambino piccolo. E' necessaria una valutazione di sviluppo, e l'intervento iniziale<br />

cercherà di seguire le tappe dello sviluppo.<br />

Adattando l'ambiente e il modo di insegnare alle caratteristiche del bambino (visualizzazione delle<br />

sequenza, organizzazione visiva degli spazi, studio per rendere chiari i compiti), si cominciano ad<br />

insegnare comportamenti cardine (Koegel e al., 1987): stare seduto, guardare, imitare, fare su<br />

richiesta, ricevere e inviare messaggi comunicativi. Anche la riduzione dei comportamenti<br />

problema diventa oggetto di lavoro, con la strategia ritenuta più efficace per quel bambino e per<br />

quel problema, con l'uso di tecniche comportamentali, con l'attenzione alla funzione comunicativa<br />

del comportamento, con mezzi atti a prevenirlo. In tutto questo, l'uso delle motivazioni e interessi<br />

del bambino, l'uso di conseguenze e attività naturali, il coinvolgimento dei famigliari, tutto ciò<br />

aumenterà la probabilità del mantenimento e della generalizzazione; il gioco è parte del curriculum,<br />

e in questo una certa dose di modalità interattive è probabilmente utile. Successive valutazioni<br />

accompagneranno il processo, con attenzione a modi oggettivi per la raccolta dei dati. Le modalità<br />

di insegnamento non cambieranno, il curriculum procederà verso attività funzionali (autonomia<br />

personale, spostamenti, tempo libero), verso un aumento della comunicazione, dove si punterà alla<br />

comunicazione prima che al linguaggio, si utilizzeranno dove necessario strategie, tecniche e<br />

strumenti di comunicazione aumentativa, si ingegnerà poi, dove possibile, il linguaggio verbale<br />

(Wetherby e al, 1997.; Watson e al., 1997), incrementandolo con insegnamenti strutturati da<br />

applicare poi nella situazione naturale, con conseguenze naturali.<br />

9


Abilità sociali verranno poi insegnate sia con mezzi diretti (istruzioni dirette e insegnamento di<br />

abilità), sia indiretti (organizzazione di situazioni sociali facilitate), con mete adatte all'età e alle<br />

situazioni sociali vissute dal bambino; le abilità di lavoro, le abilità scolastiche entreranno nel<br />

curriculum.<br />

Abilità socio cognitive come decentramento, punto di vista degli altri, lettura della mente, problem<br />

solving e autocontrollo. Servizi e strutture per lavoro, il tempo libero, la vita residenziale<br />

utilizzeranno le modalità di controllo del comportamento sia di tipo comportamentale sia basate<br />

sull'organizzazione facilitante dell'ambiente in modo da offrire spazi di qualità per la vita delle<br />

persone che manterranno un certo grado di dipendenza, mentre un supporto psicologico e/o una rete<br />

permanente di aiuto sarà utile per chi riuscirà ad avere autonomia ma incontrerà difficoltà e tensioni<br />

che richiederanno aiuto e sostegno.<br />

Ecco alcuni requisiti necessari per poter effettuare questo trattamento:<br />

conoscenza e pratica dello sviluppo normale<br />

conoscenza dei disturbi pervasivi dello sviluppo<br />

conoscenza degli studi sul trattamento e delle esperienze significative nel campo<br />

formazione nelle metodologie, strategie, tecniche comportamentali<br />

abilità di interazione con i bambini e i bambini autistici in particolare<br />

abilità di fare squadra con i genitori<br />

abilità e strumenti per la valutazione delle abilità, formale e informale<br />

abilità nell'analisi del compito e nella scrittura di mete e obiettivi individualizzati<br />

abilità nell'escogitare attività didattiche atte a insegnare le abilità programmate<br />

abilità di strutturare ambienti, spazi, tempi, compiti in modo da facilitare la<br />

comprensione e l'autonomia delle persone con <strong>autismo</strong>.<br />

Con questi requisiti credo che qualsiasi interpretazione dell'intervento psicoeducativo potrà<br />

produrre i migliori effetti possibili per il trattamento di un bambino, adolescente o adulto con<br />

<strong>autismo</strong>. Aggiungo un importante requisito: flessibilità per adattare al bambino e alla famiglia con<br />

cui si lavora le metodologie di intervento che abbiamo appreso, e capacità di attingere a un parallelo<br />

filone psicoeducativo diverso da quello prediletto quando il bambino con cui lavoriamo ne ha<br />

bisogno.<br />

Cosa significa questo? Facciamo un esempio: nel campo della comunicazione l'operatore è stato<br />

formato soprattutto nelle tecniche per modellare l'uso del linguaggio verbale; una valutazione dice<br />

che il bambino non ha questo nel suo potenziale di sviluppo prossimale; l'operatore è in grado di<br />

rivolgersi a strategie di comunicazione aumentativa per insegnargli abilità di comunicazione utili<br />

per scambiare messaggi nel suo ambiente.<br />

Molti bambini con queste modalità fanno notevoli passi avanti, altri migliorano poco e altri non<br />

migliorano. Questa è una spinta a esplorare strade nuove e nuove combinazioni tra componenti già<br />

note. Certo non significa seguire qualunque nuova proposta.<br />

La ricerca del nuovo è parte integrante della filosofia psicoeducativa; questa ricerca si giova se<br />

seguiamo alcune regole chiare: utilizzare strategie, tecniche e strumenti per l'educazione del<br />

bambino che si sono rivelati validi con l'esperienza e la ricerca; imparare a combinarle in modo<br />

creativo e ad adattarle alle caratteristiche individuali della persona; cercare e studiare il nuovo,<br />

sperimentarlo con attenzione e rispetto delle persone, e quindi introdurlo e applicarlo solo quando si<br />

è rivelato valido, integrandolo con, non sostituendo, gli strumenti validi di cui già disponevo.<br />

L'intervento psicoeducativo posssiede ormai una ricchezza metodologica tale da adattarsi ai<br />

bambini, non ha bisogno di pretendere che i bambini si adattino all'approccio.<br />

5. La realtà dell'intervento psicoeducativo oggi in Italia<br />

Quanto sopra scritto vuole dimostrare l'inutilità e l'arretratezza delle discussioni su quale è il miglior<br />

approccio, se la scelta è tra diversi aspetti, diversi filoni di intervento psicoeducativo. Queste<br />

10


discussioni, queste mode sono solo il frutto di scarsa informazione che nel nostro paese è<br />

particolarmente forte per quanto riguarda l'educazione e la psicologia di orientamento pragmatico,<br />

scientifico. Attenzione! La diffusione di informazioni che propagandano diversi filoni<br />

psicoeducativi in contrasto uno contro gli altri, ha un effetto devastante nel ritardare, bloccare,<br />

inibire lo sviluppo di risorse competenti e aggiornate, e l'organizzazione di servizi, siano essi privati<br />

o pubblici, che possano arrivare a fornire un intervento psicoeducativo moderno a un vasto numero<br />

di bambini, con sicurezza, padronanza, flessibilità, accumulando esperienza ed elaborando creative<br />

variazioni. Non appena una organizzazione comincia a cercare di formare il suo personale<br />

nell'intervento psicoeducativo, finirà probabilmente per sceglierne una interpretazione, che si porrà<br />

in qualche punto delle scelte nelle varie dimensioni sopra illustrate: si orienterà più verso Schopler,<br />

o più verso Lovaas, o più verso un approccio interattivo, o prediligerà un modello evolutivocomportamentale.<br />

Sappiamo quanto nel nostro paese questo è ancora costoso, e quanto questa<br />

organizzazione avrà bisogno, in questa fase, di sostegno, di dialogo costruttivo, di confronto leale.<br />

Immancabilmente cominceranno ad arrivare voci che questo o quest'altro è "superato", richieste di<br />

praticare altri metodi, fughe in direzione di nuove aspettative. Il risultato è che mai nessuna<br />

organizzazione arriva a un livello adeguato di esperienza, competenza, flessibilità, tale da poter<br />

verificare risultati, riscontrare punti di forza e di debolezza nel suo intervento, discriminare per<br />

quale tipo di bambino ha risultati e per quali no. E divenire quindi pronta ad introdurre nuovi<br />

elementi, di solito mutuati da colleghi che, pur all'interno dell'approccio psicoeducativo, hanno<br />

per<strong>corso</strong> e sperimentato altre strade.<br />

Questa è una vera tragedia, se aggiungiamo a questo quadro altri tre fattori:<br />

la permanenza in vastissimi, maggioritari settori dei servizi sociosanitari ed educativi di convinzioni<br />

e "incompetenze" legate a modelli obsoleti dell'educazione, della terapia e delle conoscenze<br />

sull'<strong>autismo</strong>; la fatica a crescere delle organizzazioni psicoeducative ne convalida la permanenza, ne<br />

legittima l'esistenza. In concreto questo significa che la maggioranza dei bambini autistici del paese<br />

non trovano riferimenti aggiornati nei servizi; perdono tempo, e le famiglie si riverseranno sul<br />

mercato in cerca di soluzioni, già deluse, e quindi facilmente disorientate<br />

La crescita di approcci fantasiosi e "new age" o "fai da te", risposta ancora arretrata alla<br />

disperazione indotta dal quadro sopra descritto<br />

Il paradosso psicoeducativo: i bambini, adolescenti autistici frequentano per un elevatissimo<br />

numero di ore, sufficiente per definire intensivo un intervento, una costosa struttura educativa: la<br />

scuola! C'è personale specializzato, classi, materiale, occasioni uniche per esercitare abilità<br />

acquisite e per imparare in ambiente naturale, con coetanei normali! Tutto sprecato da una<br />

organizzazione assurda, insegnanti che cambiano continuamente, bambini costretti a svolgere<br />

attività a livelli non collegati neanche lontanamente alle loro reali abilità, confusione, nessun<br />

adattamento alle caratteristiche dell'<strong>autismo</strong>… una situazione in cui è difficile discernere quanto<br />

bene e quanto danno venga prodotto… la mancata crescita di competenze psicoeducative sicure ed<br />

efficaci impedisce la possibilità che questa organizzazione in crisi possa trovare una sponda<br />

culturale di riferimento per avere una spinta verso un cambiamento, che, se non avverrà,<br />

significherà la fine del modello italiano.<br />

6. Conclusioni<br />

Il chiarimento delle confusioni, la decisa scelta da parte degli operatori del campo, delle autorità<br />

sociali sanitarie ed educative di un approccio scientifico al trattamento dell'<strong>autismo</strong> potrebbe<br />

favorire nel nostro paese lo sviluppo di organizzazioni, pubbliche e private, in grado di offrire<br />

servizi di trattamento psicoeducativo alla maggioranza dei bambini autistici, un servizio precoce e<br />

intensivo per i bambini e opportunità di trattamento e di aiuto in tutte le fasi del ciclo di vita e di<br />

ottenere l'agganciamento serio delle strutture scolastiche al progetto psicoeducativo, con<br />

cambiamenti in primo luogo dell'organizzazione della scuola, cambiamenti che rendano possibile<br />

l'educazione di bambini autistici nella scuola di tutti.<br />

11


In attesa di queste mete, che oggi ci sembrano utopiche, potrebbe essere possibile intanto<br />

potenziare, rafforzare i centri, pubblici e privati, che hanno fatto la scelta psicoeducativa, ampliare<br />

la formazione e la corretta informazione, permettere ai centri di fare esperienza, di elaborare le loro<br />

modalità di intervento, nel rispetto delle caratteristiche note che rendono l'intervento efficace, in un<br />

confronto leale che permetta lo scambio e l' elaborazione di modalità comuni tra i centri,<br />

differenziate a seconda del tipo di necessità e del tipo di bambino. Potrebbe essere possibile<br />

estendere una rete di sperimentazioni che coinvolgano le scuole e che creino gruppi di insegnanti<br />

formati e motivati, che possano lavorare nel settore per più anni continuativi, che possano creare<br />

sperimentazioni anche di nuove forme organizzative dell'educazione dei bambini autistici nella<br />

scuola di tutti, evitando la continua dispersione di energie e di risorse.<br />

Dove ciò non sarà possibile, occorre cercare soluzioni individuali: cercare un Neuropsichiatria<br />

Infantile, o uno Psicologo che faccia correttamente la diagnosi, valuti il bambino e indirizzi il<br />

lavoro, effettuato da un terapista, dai genitori, da insegnanti volonterosi, sulla traccia di uno<br />

qualsiasi dei filoni di intervento psicoeducativo. Seguire questa traccia in modo coerente, rigoroso<br />

ma flessibile, facendo i conti con le caratteristiche del bambino e con la formazione e lo stile degli<br />

operatori coinvolti. Chiedere alla scuola che usi il tempo, almeno in parte, per insegnare al bambino<br />

abilità utili alla portata del bambino. Cercare di selezionare assistenti, educatori, terapisti privati,<br />

che seguano i filoni psicoeducativi, cercando di mediare e di evitare che si creino conflitti.<br />

Mantenere i nervi saldi e continuare ad aggiornare le conoscenze, per evitare che l'insoddisfazione<br />

per la cattiva organizzazione, che produrrà risultati scarsi, o per i tempi lunghi di miglioramento del<br />

bambino producano, anziché un sostegno per migliorare e affinare gli strumenti conosciuti come<br />

efficaci, il continuo passaggio da un approccio all'altro, o il tentativo di affidarsi all'ultima novità<br />

non ancora validata o consolidata.<br />

12


Semafori rossi e semafori verdi sulla via dell’indipendenza<br />

Gionata Bernasconi, Centro Documentazione e Biblioteca ARES (Autismo Ricerca E sviluppo)<br />

tratto dal Bollettino ATGABBES, primavera 2008<br />

“ E’ come se nel loro cervello e nelle altre parti del corpo si creasse un cortocircuito, una sorta di<br />

grosso ingorgo di stimoli. E’ come se tutti i loro neuroni si attivassero contemporaneamente nello<br />

stesso momento. Come se tutte le parti del corpo fossero travolte e sconvolte da questa valanga di<br />

stimoli incontrollati e incontrollabili. Provate per un attimo ad immaginare, che tutte le auto di<br />

Milano e Provincia decidano improvvisamente di partire nello stesso momento e disordinatamente,<br />

e vadano contemporaneamente nella stessa direzione e per la stessa strada a folle velocità. La<br />

strada è stretta e tutte quelle automobili non ci stanno, tutte non riescono a passare nello stesso<br />

luogo e nello stesso tempo. Vanno troppo veloci e senza ordine e le macchine che stanno davanti<br />

vengono travolte da quelle che arrivano da dietro, tamponandole e distruggendole. Ecco in quei<br />

momenti di crisi sembra che le persone autistiche siano travolte da tutti quegli stimoli confusi e<br />

disordinati. Ma tu operatore sai che non puoi fare niente in quel momento. In quel momento puoi<br />

solo accendere il semaforo rosso e impedire che altre macchine arrivino da dietro creando un<br />

ulteriore ingorgo. Ma tu operatore sai anche che quello è solamente un palliativo e ti illudi che<br />

quella terapia risolva magicamente il problema ma sai che non è vero perchè la risoluzione è da<br />

un’altra parte” 1 .<br />

Per molte mamme e per molti papà le parole di Lucio Moderato risuonano famigliari. Per quanti<br />

figli e per quante figlie è necessario accendere continuamente il semaforo rosso? Ma, soprattutto,<br />

quante volte si è acceso il semaforo, cioè si ferma il “sintomo” di un comportamento problematico<br />

(ad esempio con un intervento farmacologico) credendo che quella è ormai l’unica soluzione<br />

possibile? Soluzione magari giustificata dalla disperazione e dal fatto che quella persona con<br />

<strong>autismo</strong> è ingestibile, il personale non è sufficiente, la persona è pericolosa per gli altri o fa del male<br />

a sé stessa. Ma queste giustificazioni, per quanto comprensibili, non fanno altro che confermare che<br />

il semaforo rosso, nell’<strong>autismo</strong>, è solo un palliativo e non può essere accettato come la soluzione<br />

principale. In altre parole; il semaforo agisce sul comportamento, ferma il traffico, ma è utilizzato<br />

male se dopo il rosso non si sa come accendere il verde per ripartire su nuove vie. La risposta a<br />

medio/lungo termine, consiste nel creare per tempo una segnaletica (anche culturale) che permetta<br />

di evitare gli ingorghi. La soluzione, anche economicamente, è quindi la prevenzione del caos e non<br />

la risposta ad esso. Questo lo si può fare solo se si hanno dei progetti educativi che tengano conto<br />

dei bisogni e delle peculiarità proprie dell’<strong>autismo</strong>. Ad esempio sarà possibile organizzare quelle<br />

vie, nella mente delle persone con <strong>autismo</strong>, che gli permettano di capire meglio come è organizzato<br />

lo spazio che le circonda e che gli permettano di gestire il tempo che passa. Ogni attività educativa<br />

potrà allora nascere in un ambiente più tranquillo e favorevole per quegli apprendimenti quotidiani<br />

utili a far acquisire maggiori autonomie e maggiore autostima nel chi li compie. Gli interventi<br />

palliativi, il semaforo rosso dunque, quelle rare volte che è indispensabile sarà integrato quale<br />

1 Tratto dall’intervento del Dr. Lucio Moderato all’inaugurazione della villa Sacro Cuore (dicembre 2006)<br />

1


minimo supporto a questa nuova segnaletica, che regola e facilita la comprensione. Senza questa<br />

pianificazione, senza questo tipo di progetti educativi, i semafori, i medicamenti, fermeranno solo il<br />

traffico, lo rallenteranno fino ad inibirlo, ma non lo faranno ripartire. Alla luce delle attuali<br />

conoscenze sul disturbo autistico, ad esempio, è eticamente scorretto sedare un comportamento<br />

problematico agendo solo sul sintomo, senza tentare un’analisi funzionale dello stesso. Non<br />

investire nella pianificazione e progettazione di questa “speciale segnaletica per l’<strong>autismo</strong>” è un<br />

grave atto di omissione di soc<strong>corso</strong>, in quanto precluderebbe in partenza molte opportunità di<br />

apprendimento. Creare dell’indipendenza in persone dipendenti; ecco una sfida interessante. In<br />

questo caso, per poterlo fare, è necessario lasciare verdi tutti quei semafori della nostra mente che ci<br />

permettano di accedere alle migliori strade/conoscenze possibili.<br />

Dalla diagnosi all’intervento<br />

Alcune ricerche dimostrano che, attualmente, da quando il genitore si accorge che il/la proprio/a<br />

figlio/a ha un problema nello sviluppo, a quando ottiene una diagnosi di <strong>autismo</strong>, passano in media<br />

due-tre anni. Un tempo lunghissimo durante il quale i famigliari e il bambino stanno fermi al<br />

semaforo, con il motore acceso ma senza realmente avanzare, con tanto tempo per interrogarsi su di<br />

un futuro che li sta sorpassando. Restare “fermi”, soprattutto in età evolutiva e consci<br />

dell’importanza di un intervento precoce per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, equivale a ritardare<br />

in partenza quelle scelte e quelle strategie educative che permetterebbero alla persona con <strong>autismo</strong><br />

di raggiungere delle maggiori autonomie in età adulta. La tardiva concretizzazione delle prime<br />

preoccupazioni famigliari va ad aumentare quella percentuale di bambini con <strong>autismo</strong> che viene<br />

diagnosticata oltre i 5-6 anni, nonostante le indicazioni dell’ ICD-10 2 e del DSM-IV-TR 3 pongano il<br />

limite per una diagnosi di <strong>autismo</strong> entro i tre anni. Pur non avendo dati certi, il Ticino dovrebbe<br />

inserirsi in questa tendenza che mostra un aumento delle diagnosi attorno ai 5-6 anni, età nella quale<br />

si è per forza confrontati con l’obbligo scolastico e quindi non è più possibile, (a parte forse per la<br />

Sindrome di Asperger e per gli autistici ad alto funzionamento), rimandare ancora il confronto con<br />

la diagnosi. Negli ultimi anni si respira una maggiore consapevolezza tra i professionisti che si<br />

occupano di diagnosi (basti pensare al recente convegno per pediatri e psichiatri organizzato a<br />

Rivera in novembre 2007) e, grazie agli attuali strumenti diagnostici e di depistaggio precoce,<br />

sempre più utilizzati (CHAT e M-CHAT 4 , CARS 5 , GARS 6 , ADOS, 7 e ADI-R 8 , ecc…), in breve<br />

tempo si dovrebbe abbassare di molto questa soglia. In particolare dovrebbe essere limato quel<br />

tempo terribile di attesa che accompagna i genitori prima che gli venga spiegato chiaramente cos’ha<br />

il proprio figlio. Val forse la pena ricordare che l’<strong>autismo</strong> è un disturbo tutt’altro che raro e che, se<br />

si sommano ad esso anche gli altri Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, abbiamo circa 10 casi ogni<br />

mille bambini che equivale, in Ticino, a circa 30 nuovi bambini all’anno, con netta prevalenza<br />

(circa ¾) nei soggetti di sesso maschile.<br />

Ma la diagnosi precoce ha una reale utilità, è dunque il primo semaforo verde, solo se questa è<br />

accompagnata da una valutazione funzionale che permetta a famigliari e professionisti di rispondere<br />

subito ai bisogni specifici del bambino. Se la diagnosi rimane fine a sé stessa (o se è espressa ai<br />

genitori secondo concezioni anacronistiche del disturbo), senza portare ad una tangibile<br />

conseguenza educativa e collaborazione con i famigliari, per quanto corretta, diventerà un ulteriore<br />

semaforo rosso.<br />

2<br />

ICD-10 , Classificazione delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, OMS (WHO), Masson, edizione<br />

italiana, 1996<br />

3<br />

DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, 2001<br />

4<br />

CHAT (Checklist for Autism in Toddlers, 2000) e M- CHAT (Modified Checklist for Autism in Toddlers, 2003)<br />

5<br />

CARS (Childhood Autism Rating Scale 1980, 1988)<br />

6<br />

GARS (Gilliam Autism Rating Scale, 2003 per l’edizione italiana)<br />

7 ADOS (Autism Diagnostic Observation Schedule, 1989)<br />

8 ADI-R (Autism Diagnostic Interview- Revised, 1989, 1994)<br />

2


La storia dell’<strong>autismo</strong>, a 65 anni di distanza dal primo articolo di Kanner, dimostra che non esiste<br />

attualmente una “vera” terapia con esito statisticamente significativo della prognosi a lungo<br />

termine. Nonostante questo dato, esistono purtroppo ancora molti semafori rossi camuffati da<br />

semafori verdi; sono quelli che perseverano su idee e/o terapie che, da sole, non hanno mostrato<br />

alcun tipo di efficacia ma che, spesso per interesse, continuano ad essere posati ai lati delle strade,<br />

rallentando il cammino che porta alle vie dell’indipendenza. Investire tempo e denaro, pianificando<br />

il viaggio immettendosi in queste strade a senso unico, eleggendole ad unica via (ad esempio<br />

psicoterapia, Comunicazione Facilitata, da non confondersi con la comunicazione aumentativa,<br />

diete varie, ecc…), non porta da nessuna parte se non si è creato tutta una rete di vie parallele che<br />

tendono verso la stessa meta. Poiché in <strong>autismo</strong> non esiste attualmente una singola terapia che<br />

funziona, non esiste la Strada Maestra, l’unico per<strong>corso</strong> possibile, per non cadere in questi vicoli<br />

ciechi, è seguire quelle linee guida che fino ad ora hanno dimostrato di essere l’unico tipo di<br />

intervento in grado di influire oggettivamente sulla qualità di vita di famigliari e persone con<br />

<strong>autismo</strong>. O meglio, una serie di interventi coordinati tra loro; vediamoli.<br />

1. Come già anticipato il per<strong>corso</strong> parte da una diagnosi precoce e dalle conseguenti valutazioni<br />

funzionali. Fortunatamente si è sempre più consapevoli che il processo di valutazione è il primo<br />

passo sulla strada dell’intervento educativo e di apprendimento. Attualmente sono stati tradotti<br />

in italiano alcuni test standardizzati concepiti specificatamente per l’<strong>autismo</strong> (l’ultimo, ad<br />

esempio è il PEP-3, edito da Vannini nel 2007, che è la versione ampliata e aggiornata del PEP-<br />

R 9 ). A differenza della diagnosi, che ha lo scopo di classificare i bambini con difficoltà dello<br />

sviluppo secondo categorie riconoscibili, la valutazione funzionale ha lo scopo di differenziare<br />

questi bambini, tenendo conto delle competenze specifiche di ognuno e quindi orientare il<br />

famigliare e il professionista per un intervento individualizzato. Questo processo di valutazione,<br />

per tornare alla metafora iniziale, più che ad un semaforo, assomiglia ad una rotonda dalla quale<br />

partono differenti vie. Se si vuole andare avanti, l’intervento educativo non può prescindere<br />

dall’immettersi in questa rotonda prima di scegliere la strada da percorrere. Ai bisogni specifici<br />

dell’<strong>autismo</strong> si deve dunque rispondere solo con delle valutazioni specifiche che indicheranno,<br />

con maggiore oggettività, quale vie si potranno percorrere. L’utilizzo di strumenti standardizzati<br />

di valutazione permette inoltre di monitorare i progressi tramite follow-up regolari, in modo da<br />

osservare se il bambino ha effettuato un’evoluzione o meno.<br />

2. La formazione specifica e continua del personale che si occupa dei Disturbi Pervasivi dello<br />

Sviluppo, indipendentemente dalla formazione di base ricevuta, è un’altra importante strada da<br />

percorrere in quanto, per lavorare con persone che “funzionano” differentemente, bisogna<br />

tentare di comprendere empaticamente come queste percepiscono la società che le circonda. La<br />

formazione specifica dell’équipe deve avere una buona base di conoscenza “generalista”<br />

aggiornata sul disturbo ma, secondo il ruolo occupato dai vari professionisti, deve perfezionarsi<br />

nell’utilizzo di strumenti di intervento specifici (ad esempio per le valutazioni e la diagnosi) o di<br />

tecniche mirate (ad esempio per gestire gruppi di abilità sociali, pianificare incontri di parenttraining,<br />

svolgere un’analisi funzionale per i comportamenti-problema, ecc…).<br />

3. Un’altra via da percorrere è la collaborazione tra professionisti e famigliari. L’ottimizzazione<br />

di questo ambito dovrebbe permettere ai professionisti, esperti di un disturbo specifico, di<br />

trasmettere ai familiari le loro conoscenze sull’<strong>autismo</strong> in genere. Contemporaneamente questa<br />

collaborazione permette ai genitori di comunicare al professionista la loro conoscenza<br />

quotidiana del figlio. Infatti, a prescindere dal disturbo diagnosticato, ogni figlio è un bambino<br />

unico e speciale, per il quale i migliori esperti sono i genitori. Scegliere di imboccare questa via<br />

9 Schopler e Altri, Profilo Psico Educativo Revisato<br />

3


significa guidare assieme ai famigliari, considerandoli delle importanti risorse. Capita che (in<br />

particolare tra noi professionisti), aldilà dei buoni propositi cari a tutti, si tende a posare qualche<br />

semaforo rosso di troppo nei confronti dei genitori, non coinvolgendoli a sufficienza mentre<br />

percorriamo le nostre strade. Se non stiamo attenti, queste possono essere divergenti da quelle<br />

imboccate dai famigliari con il rischio, ovviamente maggiore quando si viaggia in direzioni<br />

opposte, di arrivare a degli scontri frontali. In questi casi, tra le vittime, si contano sia i<br />

conducenti che gli ignari passeggeri che forse, tra tutti, sono le vittime più innocenti.<br />

4. Un’altra strada da segnarsi sulla mappa consiste nell’incrementare l’autonomia attraverso<br />

l’insegnamento e l’adattamento dell’ambiente di vita, tenendo conto delle peculiarità del<br />

disturbo. In particolare l’insegnamento strutturato, secondo un approccio cognitivocomportamentale,<br />

fa parte di quella segnaletica citata all’inizio, che permette di prevenire i<br />

problemi di comportamento piuttosto che curarne i sintomi con interventi palliativi. Per<br />

ottimizzare il processo di apprendimento è necessario dunque sviluppare delle strategie basate<br />

sui punti di forza delle persone con Disturbi Pervasivi dello Sviluppo che, in genere, si situano<br />

(a vari livelli), nelle abilità visuo-spaziali percettive. La strutturazione dello spazio fisico,<br />

l’introduzione di programmi di giornata, la scomposizione delle attività in passi<br />

comportamentali (come procedura di apprendimento ed esecuzione di nuovi compiti),<br />

l’insegnamento strutturato di regole sociali implicite e di problem-solving, l’utilizzo di altre<br />

forme comunicative a sostegno di quella verbale, ecc… sono individuati dalle valutazioni<br />

funzionali e individualizzati (che non significa che occorre per forza un rapporto 1 a 1)<br />

secondo i punti di forza e i bisogni specifici della persona.<br />

5. L’istituzione di servizi per l’intero ciclo di vita, coordinati tra loro ed inseriti in un progetto<br />

globale di presa a carico delle persone con <strong>autismo</strong>, è la strada più lunga e complessa da<br />

imboccare poiché necessita di un programma di Politica Sociale mirato a questo particolare<br />

disturbo. In Ticino, bisogna riconoscerlo, non siamo messi troppo male perchè sono state create<br />

molte strade, alcune rotonde, diversi semafori verdi, e ci sono attualmente molte persone in<br />

varie Istituzioni che operano bene e seriamente. Ci sono purtroppo anche diversi semafori rossi<br />

e alcune Grandi Vie che non tentano (o non sentono il bisogno) di incrociarsi con altre,<br />

puntando dritte e solitarie verso il loro orizzonte, senza creare una rete di connessioni utili per<br />

pianificare una vera politica sociale mirata a questo particolare disturbo.<br />

Vari progetti regionali (in Belgio, Nord Carolina, Lombardia, ecc…) hanno dato l’esempio e<br />

creato importante documentazione sui vantaggi che, una concezione di questo genere,<br />

porterebbe in termine di benefici. Queste coraggiose realtà sono sostenute da Associazioni<br />

Familiari e da professionsiti che guidano nella medesima direzione. Questi progetti, oltre che<br />

precursori, vantano ormai molta esperienza e sono dunque degli esempi da imitare. Una regione<br />

relativamente poco popolata come il Ticino, se saprà fare tesoro di queste esperienze (e, con un<br />

po’ di malizia, “copiare” da chi ha già battuto queste strade), potrebbe forse vantarsi, in futuro,<br />

di aver imboccato la medesima via e diventare per l’<strong>autismo</strong>, a sua volta, un Esempio da imitare<br />

per altre regioni.<br />

4


Le indicazioni date in queste poche righe sono racchiuse, in modo molto più esaustivo, in una<br />

bibliografia consigliata (al febbraio 2008) che, per quanto non tenti di vendere miracoli, può<br />

contribuire ad accendere nuovi semafori verso le vie dell’indipendenza.<br />

Linee Guida per l’<strong>autismo</strong><br />

• SINPIA, Linee guida per l’<strong>autismo</strong>, Erickson, 2005<br />

• Cumine V. Leach J., Stevenson G., Bambini autistici a scuola, una guida operativa, Junior, 2005<br />

• Lomascolo T., Vaccaro A., Villa S., Autismo: modelli applicativi nei servizi, Vannini, 2003<br />

• Autisme Europe, Construisons l’Europe ensemble, Autisme Europe, 1999<br />

• AAVV, Manuale di buone pratiche (per la prevenzione della violenza e degli abusi nei confronti delle persone<br />

con <strong>autismo</strong>), Autisme Europe, 1998<br />

• Visconti P., Ruta L., Peroni E., e Altri, Strategie di intervento per l’<strong>autismo</strong> infantile – guida pratica per le<br />

famiglie, Università di Catania, 2004<br />

Autismo: definizione e interventi<br />

• Freeman S., Dake L., Il linguaggio verbale nell’<strong>autismo</strong>, Erickson, 2007<br />

• Visconti P., Peroni M., Ciceri F., Immagini per parlare, Vannini, 2007<br />

• Quill K.A., Comunicazione e reciprocità sociale nell’<strong>autismo</strong>, Erickson, 2007<br />

• Salvitti C., L’alunno autistico va a scuola : proposte di intervento didattico, Pellegrini Editore, 2007<br />

• Charman T., Stone W., Social & Communication Development in Autism Spectrum Disorders, Guilford, 2006<br />

• (DVD) – Autisme et éducation adaptée, Autisme France, 2006<br />

• Micheli E., Zacchini M, Anch’io gioco, Erickson, 2006<br />

• Smith C., Storie sociali per l’<strong>autismo</strong>, Erickson, 2006<br />

• Cavagnola R, Moderato P., Leoni M., Autismo: Che fare ?, Vannini, 2005<br />

• Gutsein S.E., Sheely R.K., Sviluppare le relazioni nei disturbi autistici (vol.1 e 2), Erikson, 2005<br />

• (CD-R) Pinelli M., Santelli E., Autismo e competenze cognitivo-emotive, Erickson, 2005<br />

• Berthoz A., Andres C., Barthélémy C., Massion J., Rogé B., L’autisme (de la recherche à la pratique), Odile<br />

Jacob, 2005<br />

• Surian L., L’<strong>autismo</strong>, Il Mulino, 2005<br />

• Choen D.J., Volkmar F., Autismo e disturbi generalizzati dello sviluppo, (Vol.1 e 2), Vannini, 2004<br />

• Lambiase M., Autismo e lobi frontali, Vannini, 2004<br />

• Vianello R., Mariotti M., Serra M, Ritardo mentale e <strong>autismo</strong>, Junior, 2004<br />

• Vio C., Autismo (dalla diagnosi all’intervento), Vannini 2005<br />

• Vermeulen P., Comment pense une personne autiste, Dunod, 2005<br />

• Morgan H., Adulti con Autismo, Erickson, 2003<br />

• Gillberg C., Coleman M., La biologia delle sindromi autistiche, Cuzzolin, 2003<br />

• Ferretti F., La mente degli altri – prospettive teoriche sull’<strong>autismo</strong>, Editori Riuniti, 2003<br />

• (DVD) – Convegno : L’autisme en Europe, Autisme France, 2003<br />

• Cottini L., Che cos’è l’<strong>autismo</strong> infantile, Carocci, 2002<br />

• Cottini L., Educazione e riabilitazione del bambino autistico, Carocci, 2002<br />

• Cottini L., L’integrazione scolastica del bambino autistico, Carocci, 2002<br />

• Surian L., Autismo. Indagini sullo sviluppo mentale, Laterza, 2002<br />

• Micheli E., Elia M., Visconti P., e Altri, Autismo e integrazione sociale, Laruffa, 2002<br />

• Xaiz C., Micheli E., Gioco e interazione sociale nell’<strong>autismo</strong>, Erickson, 2001<br />

• Micheli E, Zacchini M., Verso l’autonomia, Vannini, 2001<br />

• Micheli E., Autismo, verso una migliore qualità di vita, Laruffa, 1999<br />

• Howlin P., Baron-Choen S., Hadwin J., Teoria della mente e <strong>autismo</strong>, Erickson, 1999<br />

• Schopler E., Mesibov G., Apprendimento e cognizione nell’<strong>autismo</strong>, Mc Graw-Hill, 1998<br />

• Schopler E., Autismo in famiglia, manuale di sopravvivenza per genitori, Erickson, 1998<br />

• Peeters T., Autismo Infantile – orientamenti teorici e pratica educativa, Phoenix, 1998<br />

• Lord C., Schaffer B., Schopler E., Watson L.R., La comunicazione spontanea nell’<strong>autismo</strong>, Erickson, 1997<br />

• Mesibov G.B., Autisme : Le défi du programme TEACCH, Pro Aid Autisme, 1995<br />

• Barthélémy C., L’autisme de l’enfant, la thérapie d’échange et développement, ESF, 1995<br />

• Frith U., L’<strong>autismo</strong>, spiegazione di un enigma, Larterza, 1991<br />

5


Comportamenti problema<br />

• Hodgdon L.A., Strategie visive e comportamenti problematici, Vannini, 2006<br />

• Ianes D., Cramerotti S., Comportamenti problema e alleanze psicoeducative, Erickson, 2002<br />

• Laxer G., Tréhin P., Disturbi del comportamento (nell’<strong>autismo</strong> e in altre forme di handicap psichico), Phoenix,<br />

2002<br />

Asperger e Autismo HF<br />

• Jackson L., Excentrique, Phénomène & Sindrome d’Asperger, 2007<br />

• T. Grandin. La macchina degli abbracci, Adelphi, 2007<br />

• Fontani S., La Sindrome di Asperger : aspetti teorici, diagnostici e psicopedagogici, ETS, 2007<br />

• Atwood T., Guida alla Sindrome di Asperger, Erickson, 2006<br />

• (DVD) – 1° Congresso Nazionale Sindrome di Asperger, Gruppo Asperger Onlus, 2006<br />

• Henault I., Sexualité et Syndrome d’Asperger, De Boeck, 2006<br />

• Cornaglia Ferraris P., Io sento diverso, Erickson, 2006<br />

• (DVD) – Etabeta Speciale, Spedizione nel cervello (1a e 2a puntata), documentario RTSI, 2006<br />

• Gruppo Asperger, Uno di loro, Fratelli Frilli, 2005<br />

• Lawson W., Sesso e sessualità nei disturbi autistici, Erickson, 2005<br />

• Jacobs B., Attraente, originale, emotivamente pericoloso, Erickson, 2004<br />

• Tréhin G., Urville, Carnot, 2004<br />

• Haddon M., Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Einaudi, 2003<br />

• Borellini F. (A cura di), Una scuola per me, Fratelli Frilli, 2003<br />

• Imbimbo L., Cornaglia F. P., Costa B., ASP..ASPER…Asperger, Fratelli Frilli, 2002<br />

• Schopler E., Mesibov G.B., Kunce L.J. Sindrome di Asperger e Autismo HI, Erickson, 2001<br />

• De Meo T., Vio C., Maschietto D., Intervento cognitivo nei disturbi autistici e di Asperger, Erickson, 2001<br />

• Grandin T., Pensare in immagini, Erickson, 2001<br />

• Gerland G., Una persona Vera, Phoenix, 1999<br />

• Williams D., Il mio e il loro <strong>autismo</strong>, Armando Editore, 1998<br />

• Segar M., Faire face (guide de survie à l’intention des autistes), Autisme Alsace, 1998<br />

• Williams D., Nessuno in nessun luogo, Guanda, 1992<br />

Libri scritti da famigliari, testimonianze<br />

• De Clercq H., Il labirinto dei dettagli, Erickson, 2006<br />

• Artuso D., Autisme : l’aide au très jeune enfant atteint d’autisme, AFD, 2006<br />

• Vitale G., Il silenzio intorno, Ananke, 2006<br />

• Vivanti G., Disabili, famiglie e operatori: chi è il paziente difficile ?, Vanini, 2006<br />

• Collins P. Nè giusto, nè sbagliato, Adelphi, 2005<br />

• Coupechoux P., Mon enfant autiste (le comprendre, l’aider), Seuil, 2004<br />

• (DVD) – Un bambino vero, AGSAS, 2004<br />

• Moor C., George e Sam., Corbaccio, 2004<br />

• Hanau C., Mariani Cerati D., Il nostro <strong>autismo</strong> quotidiano, Erickson, 2003<br />

• Pollak R., Bruno Bettelheim (ou la fabrication d’un mythe), AFD, 2003<br />

• Vitale G., Io e Gabriele, Luigi Pellegrini, 2002<br />

• Préfaud J-M., Maman, pas l’hôpital, 1997<br />

• Milcent C., A tu per tu con l’<strong>autismo</strong>, Sansoni Editore, 1993<br />

Libri e/o Video per bambini (fratelli e sorelle, compagni)<br />

• Jaoui S., Je veux changer de sœur, Casterman, 2003<br />

• Bernasconi G., Il Re del mercato, ESG (Edizioni Svizzere per la Gioventù), 2002<br />

• Gorrod L., Mio fratello è diverso (brochure italiana a cura della Fondazione Clara Fabietti), The NAS, 1997<br />

• (VHS) Jan Gisberg, Pippo e Paola, LEDHA, 1984<br />

Libri di interesse correlato<br />

• Dessibourg C-A., Lambert J-L., Traitements Médicaux et personnes déficientes intellectuelles, Ed. M&H, 2007<br />

• Hunter K., Sindrome di Rett, Vannini, 2005<br />

• (CD-R) – Un amico come guida, il tutor per la Sindrome di X-Fragile, Associazione Sindrome X-Fragile, 2005<br />

• Sala M., A.L. Bonati, Ritardo mentale e psicofarmaci, Vannini, 2004<br />

6


• Saunders S., La Sindrome di X.-Fragile, una guida operativa, Junior, 2000<br />

• O. Brien G., Yule W., Caratteristiche comportamentali delle malattie genetiche, McGraw-Hill, 2000<br />

E’ possibile richiedere una bibliografia più esaustiva presso il Centro Documentazione e Biblioteca<br />

ARES (Autismo ricerca e Sviluppo) oppure consultando il Sito: www.fondazioneares.com nelle<br />

pagine Centro Documentazione.<br />

7


L'approccio all'<strong>autismo</strong> secondo il modello TEACCH<br />

Dott. Eric Schopler<br />

fondatore e condirettore Division TEACCH, Università di Chapell Hill, North Carolina, USA<br />

Convegno "Autismo ed educazione: il ruolo della scuola"<br />

Bologna 18 novembre 2005<br />

(Presentazione e traduzione: Dott.ssa Daniela Mariani Cerati)<br />

Nel gennaio 2005 abbiamo avuto la possibilità, grazie al supporto della Fondazione Augusta Pini<br />

e Ospizi marini ONLUS, di programmare una serie di importanti azioni per l’<strong>autismo</strong>.<br />

Abbiamo pensato al presente e al futuro. Per il futuro abbiamo coinvolto i tre gruppi clinici e di<br />

ricerca biologica impegnati da tempo nelle strutture dell’Università e del SSN della città di<br />

Bologna a potenziare le ricerche già in atto sul tema.<br />

Per migliorare la situazione già sin da ora abbiamo programmato una serie di eventi volti ad<br />

ottimizzare l’educazione e l’integrazione nella scuola, luogo privilegiato e istituzionalmente<br />

preposto ad una educazione che, allo stato attuale delle conoscenze, è anche la forma più efficace<br />

di trattamento e abilitazione.<br />

Il primo evento, rivolto primariamente ai dirigenti scolastici, è stato il Convegno dal tema<br />

“Autismo ed educazione: il ruolo della scuola” tenuto a Bologna il 18 novembre 2005.<br />

Avendo individuato quale modello di buona prassi a livello mondiale quanto si fa nello stato<br />

della Carolina del Nord sotto la guida della Division TEACCH dell’Università di Chapel Hill,<br />

abbiamo invitato al Convegno il suo fondatore, Eric Schopler, che ha accettato l’invito con<br />

entusiasmo, ma non ha poi potuto partecipare per motivi di salute facendosi sostituire da Kerry<br />

Hogan. Nel frattempo ci ha inviato la relazione che abbiamo tradotto e pubblicato con alcune<br />

immagini tratte dalle diapositive presentate al Convegno.<br />

Ho iniziato il mio per<strong>corso</strong> di ricerca sull’<strong>autismo</strong> con Bruno Bettelheim, il quale, di fronte<br />

all’enigma della malattia mentale chiamata <strong>autismo</strong>, disse che il problema derivava dal rifiuto del<br />

bambino da parte dei genitori e dalla loro ostilità nei suoi confronti. Da questa premessa derivava<br />

una logica soluzione: l’allontanamento del bambino dai genitori e l’inserimento nella sua scuola<br />

residenziale a cui diede il nome di “Scuola Ortogenetica”.<br />

Nell’area gioco della scuola c’era una scultura orribile che rappresentava la “madre pietra”.<br />

L’insegnamento che Bettelheim ci impartiva era che l’<strong>autismo</strong> era un disturbo emotivo causato<br />

da ostilità e rifiuto da parte dei genitori nei confronti del bambino il quale, per reazione,<br />

presentava un ritiro sociale nei loro confronti.<br />

Il contatto con la realtà mi convinse della falsità di questa teoria. Bettelheim diventò per me un<br />

esempio negativo da non imitare.<br />

Mi convinsi che l’<strong>autismo</strong> era esattamente il contrario: un disturbo dello sviluppo causato da<br />

anomalie organiche cerebrali da cui dipendeva il mancato sviluppo delle abilità sociali.<br />

Bettelheim predicava che i genitori imponevano stress estremi ai loro figli e io sempre più mi<br />

convincevo che i genitori erano la loro principale fonte di aiuto.<br />

Bettelheim proponeva quale terapia la separazione dai genitori e l’inserimento in ospedale<br />

psichiatrico e io sempre più mi convincevo che l’unica vera terapia poteva essere un’educazione<br />

speciale nell’ambiente naturale del bambino che doveva essere lasciato nella sua famiglia e nella<br />

sua comunità.


Bettelheim proponeva un trattamento impartito da superspecialisti in un ambiente creato<br />

artificialmente per la terapia , mentre io sviluppavo sempre più l’idea di un modello generalista,<br />

in cui i naturali educatori: genitori, parenti ed insegnanti potevano diventare ottimi terapeuti se<br />

correttamente formati e consigliati da professionisti esperti.<br />

Con queste premesse ho cominciato a compiere le mie ricerche sui bambini e sui genitori.<br />

Sui bambini ho studiato le preferenze in merito ai canali percettivi (vista, udito, tatto) e gli effetti<br />

della strutturazione. Sui genitori ho studiato la percezione che avevano dello sviluppo dei loro<br />

figli e in generale le loro idee in merito ai loro problemi.<br />

Queste ricerche mi hanno portato ad un cambiamento radicale nella comprensione e nella terapia<br />

dell’<strong>autismo</strong>.<br />

Dalla preesistente enfasi su una presunta genesi emotiva sono passato alla rilevazione di<br />

un’alterazione nel modo di percepire e comprendere la realtà. Insieme ad un gruppo di lavoro<br />

sempre più numeroso abbiamo cercato e trovato strumenti specifici capaci di misurare in modo<br />

oggettivo le peculiarità nella percezione e nella cognizione dei bambini con <strong>autismo</strong>.<br />

Abbiamo scoperto che le anomalie della percezione avevano precisi effetti sulle abilità sociali e<br />

che c’era bisogno di ambienti strutturati per ottimizzare il funzionamento nei diversi ambiti del<br />

comportamento.<br />

Per quanto riguarda i genitori i nostri studi hanno dimostrato che:<br />

• i genitori sono fonti attendibili di informazioni clinicamente utili riguardo ai loro figli<br />

• se correttamente informati e formati, possono diventare coterapeuti e collaboratori<br />

insostituibili nel processo di trattamento<br />

• non è vero ciò che dicevano Kanner e Bettelheim sulla presunta appartenenza dei genitori<br />

a classi privilegiate, ma, al contrario, essi appartengono ad ogni categoria economica e<br />

sociale<br />

• l’entusiasmo e l’interesse dei genitori sono essenziali per il miglioramento dei figli<br />

• i genitori sono collaboratori preziosi per lo sviluppo dei servizi e sono essenziali per la<br />

difesa dei diritti dei loro figli in tutti gli aspetti: assistenza, educazione, ricerca.<br />

Grazie ad una lungo ed intenso lavoro coi bambini e con le famiglie e agli studi sistematici<br />

compiuti abbiamo formulato i sette principi TEACCH:<br />

• Principio TEACCH Numero 1:<br />

Per insegnare nuove abilità bisogna adeguare l’ambiente alle difficoltà dell’individuo.<br />

• Principio TEACCH Numero 2:<br />

La collaborazione tra genitori e professionisti è condizione indispensabile per il<br />

trattamento a tutte le età: in età prescolare con i pediatri e i logopedisti.<br />

In età scolare con gli insegnanti e i dirigenti scolastici; in età adolescenziale e adulta con le<br />

aziende attraverso la mediazione di educatori esperti capaci di trovare il lavoro adatto e di<br />

favorire l’acquisizione delle necessarie competenze.<br />

• Principio TEACCH Numero 3:<br />

Perché l’intervento sia efficace bisogna porre grande enfasi sui punti di forza del<br />

bambino e iniziare da questi per porsi obiettivi realistici e raggiungibili. I punti di<br />

debolezza vanno riconosciuti e accettati.<br />

• Principio TEACCH Numero 4:


La cornice teorica entro la quale la prassi educativa del TEACCH si muove è quella<br />

cognitivo-comportamentale.<br />

In questo ambito i comportamenti problema vengono interpretati con la metafora dell’iceberg<br />

e una delle aree più importanti di insegnamento è un curriculum comunicativo, in quanto<br />

l’osservazione ha evidenziato che l’incapacità a comunicare e i comportamenti intollerabili<br />

sono intimamente connessi. Dando al bambino strumenti efficaci per comunicare, i<br />

comportamenti problema diminuiscono.<br />

Vediamo più da vicino la METAFORA DELL’ICEBERG<br />

Il comportamento visibile è l’aggressività. Il bambino dà spintoni, picchia, sputa, morde, lancia<br />

oggetti per aria. Quali sono i deficit sottostanti che favoriscono l’aggressività? Il bambino ha<br />

carenza di recettori sociali, cioè non avverte il fatto che gli altri disapprovano questo<br />

comportamento e che questo comportamento avrà conseguenze negative per lui.<br />

Non ha la consapevolezza né dei propri sentimenti né di quelli degli altri, ha delle percezioni<br />

sensoriali alterate, prova frustrazione in quanto non riesce a comunicare e l’aggressività diventa<br />

il suo modo di comunicare. Dare al bambino dei mezzi alternativi e accettabili per comunicare<br />

diventa pertanto un mezzo efficace per ridurne l’aggressività.<br />

• Principio TEACCH Numero 5:<br />

Diagnosi funzionale e valutazione delle singole aree dello sviluppo<br />

La nostra esperienza ci ha mostrato l’importanza di una valutazione precisa delle diverse aree<br />

di sviluppo. Per questo abbiamo messo a punto alcune scale di valutazione specifiche per le<br />

persone affette da <strong>autismo</strong> che sono:<br />

• Scala per la valutazione della gravità dei sintomi specifici dell’<strong>autismo</strong> (CARS)<br />

• Profilo Psicoeducativo (PEP-3)<br />

• Profilo di valutazione per la transizione al lavoro (TTAP).<br />

• Principio TEACCH Numero 6:<br />

Insegnamento strutturato con supporti visivi.<br />

Abbiamo constatato quanto la strutturazione dell’ambiente aiuta il bambino a calmarsi e ad<br />

apprendere. La mente del bambino autistico è caotica e l’ambiente ordinato e strutturato deve<br />

aiutarlo a mettere ordine, così come una protesi aiuta a supplire alla mancanza di una<br />

struttura anatomica.<br />

Analogamente allo spazio, anche il tempo va strutturato, va reso prevedibile mediante un<br />

programma chiaro, che deve essere visualizzato con i mezzi che sono comprensibili al<br />

bambino: parole scritte, disegni o oggetti veri quando la capacità di simbolizzazione del<br />

bambino è così carente che anche il linguaggio delle figure risulterebbe inintelligibile.<br />

Il lavoro o lo studio da proporre può essere fonte di interesse e di apprendimento solo quando<br />

è proporzionato al livello e agli interessi del bambino. Se al programma educativo non si fa<br />

precedere una accurata valutazione, si rischia di proporre compiti o troppo difficili che<br />

producono frustrazione o troppo facili, che producono noia.Il compito va organizzato in<br />

modo tale da favorire l’autonomia e ridurre al minimo il bisogno di aiuto da parte<br />

dell’educatore.<br />

La disposizione del tavolo di lavoro va programmata a seconda delle diverse fasi<br />

dell’insegnamento: uno a uno con due sedie poste ai due lati del tavolo per l’insegnamento di<br />

nuove abilità, di fronte ad un muro con il calendario delle attività per favorire l’acquisizione<br />

di autonomie in compiti in cui si esercitano abilità acquisite, in piccoli tavoli rotondi per fare<br />

lavori in piccoli gruppi.<br />

L’insegnamento deve procedere a piccolissimi passi senza dare mai per scontata<br />

l’acquisizione di abilità. Uno degli esercizi di base è l’accoppiamento di parole a immagini.<br />

Un altro è l’accoppiamento per lettera e per colore. Ancora: impilare, suddividere,<br />

impacchettare, sempre dopo avere strutturato visivamente l’attività, in modo da renderla


comprensibile attraverso la modalità sensoriale meglio sviluppata, o comunque meno<br />

compromessa, che è il canale visivo.<br />

• Principio TEACCH Numero 7: Formazione Multidisciplinare e Modello Generalista<br />

Il punto di partenza per tutti gli educatori, siano essi genitori o professionisti, è la<br />

conoscenza delle caratteristiche peculiari dell’<strong>autismo</strong>. Per ogni bambino, oltre alla<br />

diagnosi categoriale, va fatta una diagnosi funzionale formale ed informale.<br />

L’insegnamento dev’essere strutturato. La collaborazione genitori-professionisti è<br />

indispensabile.<br />

Le aree prioritarie dell’insegnamento devono essere quelle in cui il bambino è più<br />

deficitario: la comunicazione, le abilità sociali e per il tempo libero, l’autonomia nel<br />

lavoro e la gestione dei comportamenti problema.<br />

--------------------------------------------------------------------------------------------<br />

Dal lato organizzativo il TEACCH che, in quanto programma di Stato, eroga un servizio<br />

gratuito a tutti i cittadini della Carolina del Nord affetti da disturbi dello spettro autistico<br />

senza limiti di età, si è ramificato in 9 Centri disseminati nel territorio della Nord Carolina.<br />

Ognuno di questi centri eroga le seguenti prestazioni:<br />

• Diagnosi e valutazione<br />

• Programmi educativi individualizzati<br />

• Consigli e supporto ai genitori<br />

• Formazione di gruppi per il training alle abilità sociali<br />

• Formazione e consulenza agli insegnanti<br />

Inserimento scolastico<br />

La scelta compiuta dal TEACCH è stata quella di formare piccole classi di bambini con <strong>autismo</strong><br />

all’interno delle scuole pubbliche e di integrare nelle classi normali quei bambini con buone<br />

prestazioni intellettive, per i quali la valutazione avesse dimostrato che un loro inserimento in<br />

una classe normale poteva essere fattibile e utile.<br />

Partendo da una prima sperimentazione di 10 classi siamo ora arrivato a 300 classi sparse per<br />

tutto lo stato della Carolina del Nord.<br />

La classe è composta di 6-8 bambini con un insegnante e un assistente, che è un tirocinante che<br />

fa apprendistato per diventare a sua volta insegnante dopo un congruo periodo di compresenza<br />

con l’insegnante esperto. In queste classi la strutturazione dello spazio e la prevedibilità dei<br />

tempi facilitano l’apprendimento e prevengono in buona parte i comportamenti problema. Per la<br />

formazione degli insegnanti abbiamo messo a punto corsi intensivi di cinque giorni. Per la<br />

qualità del servizio è essenziale la collaborazione costante tra genitori e operatori che hanno<br />

formato gruppi strutturati in ogni regione e anche in ogni scuola, che a loro volta fanno parte<br />

delle grandi associazioni nazionali e federali (Autism Society of North Carolina e Autism<br />

Society of America). Questa collaborazione ha dimostrato di essere utile per l’allocazione<br />

ottimale delle risorse erogate dallo Stato.<br />

A differenza di quando ci si occupa di problemi specifici dell’apprendimento, in cui ci si<br />

interessa di questi e delle modalità per superarli, quando si parla di <strong>autismo</strong>, sono ugualmente<br />

importanti i programmi di educazione alle abilità della vita quotidiana quanto le abilità nelle<br />

attività ricreative, compromesse al pari delle altre e che necessitano di un training specifico in<br />

vista di una vita infantile e adulta di qualità.


Abbiamo pertanto formato gruppi per le abilità sociali, soggiorni estivi e programmi respiro,<br />

intesi come brevi soggiorni dei bambini lontano dalle famiglie, che in tal modo vengono<br />

sollevate dall’accudimento dei bambini. Durante questi soggiorni fuori casa si cerca di fare<br />

acquisire ai bambini abilità utili per lo svago come attività ginniche e sportive.<br />

I gruppi per le abilità sociali si riuniscono con la guida di educatori esperti per esercitarsi in<br />

conversazioni accettabili per la scelta degli argomenti e perché la conversazione abbia uno<br />

svolgimento che si avvicini alla normalità e non venga lasciato alla spontaneità dell’autistico che<br />

tende a scegliere argomenti ossessivi, ripetitivi, che non tengono minimamente conto<br />

dell’interesse degli ascoltatori e a cambiare argomento in modo imprevedibile e bizzarro.<br />

Vengono organizzate uscite nel quartiere, eventi sportivi e, in generale, occasioni che siano fonte<br />

di divertimento in rapporto alle capacità e agli interessi delle persone assistite.<br />

Anche in età adulta la modalità di intervento è la stessa.<br />

Ogni programma di vita viene formulato dopo una accurata valutazione. Quando da questa<br />

risulta che è fattibile un inserimento lavorativo in ambiente normale, cerchiamo per ogni<br />

individuo il tipo di lavoro e di ambiente adatto e gli diamo sempre un grosso aiuto iniziale per<br />

l’inserimento e in seguito un supporto proporzionato alla gravità del caso: da uno a uno nei casi<br />

più gravi fino a uno a quindici nei casi meno gravi. Il supporto persiste sempre, magari solo al<br />

bisogno per le crisi comportamentali, ma allo stato attuale la mancata disponibilità di aiuto in<br />

caso di crisi significherebbe la certezza della perdita del lavoro.<br />

Per i casi più gravi abbiamo delle strutture residenziali agricole in cui si fanno coltivazioni di<br />

prodotti biologici, manutenzione del verde e si danno opportunità per il mantenimento delle<br />

abilità acquisite e per l’apprendimento di nuove abilità.<br />

Aggiornato al 06/08/2010 Webmaster al.bo. Inizio pagina


Associazione “Un Futuro per l’<strong>autismo</strong>” – Onlus<br />

• Che cos’è il programma TEACCH?<br />

IL PROGRAMMA TEACCH<br />

di Donata Vivanti<br />

Presidente AUTISMO ITALIA & AUTISM EUROPE<br />

1. INTRODUZIONE<br />

Il programma TEACCH, acronimo di Treatment and Education of Autistic and<br />

Communication Handicaped Children, non è un metodo di intervento, come generalmente si<br />

intende, ma un programma innanzi tutto politico. Con il termine "Programma TEACCH" si intende<br />

indicare l’ organizzazione dei servizi per persone autistiche realizzato nella Carolina del Nord, che<br />

prevede una presa in carico globale in senso sia "orizzontale" che "verticale", cioè in ogni momento<br />

della giornata, in ogni periodo dell’anno e della vita e per tutto l’arco dell’esistenza, insomma un<br />

intervento “pervasivo" per un disturbo pervasivo.<br />

Ideato e progettato da Eric Schopler negli anni ‘60, venne sperimentato nella Carolina del Nord per<br />

un periodo di 5 anni con l’aiuto dell’Ufficio all’Educazione e dell’Istituto Nazionale della Sanità;<br />

dati i risultati estremamente positivi raggiunti, dagli anni ‘70 il programma TEACCH è<br />

ufficialmente adottato e finanziato dallo Stato.<br />

L’organizzazione dei servizi prevede 6 centri di diagnosi, 6 centri di aiuto a domicilio, numerose<br />

classi speciali presso le scuole, e posti di lavoro per adulti; tutti i servizi sono collegati fra di loro<br />

per garantire la globalità e la continuità dell’intervento: in questo modo si è creata una continuità di<br />

intervento sia "orizzontale", cioè in tutti gli ambienti di vita, che "verticale", cioè per tutto l’arco<br />

dell’esistenza, delle persone affette da <strong>autismo</strong>.<br />

Un programma TEACCH non si può quindi comprare o applicare singolarmente; al massimo si<br />

potranno organizzare programmi educativi strutturati secondo il modello del programma TEACCH.<br />

1


In Europa la maggior parte delle scuole o delle classi specializzate per bambini autistici e dei centri<br />

di inserimento al lavoro o residenziali per adulti sono attualmente organizzati su modello del<br />

programma TEACCH.<br />

L’Olanda e i paesi scandinavi hanno realizzato strutture di presa in carico globale e continuativa sul<br />

modello dalla Carolina del Nord.<br />

• Qual’è la finalità del programma TEACCH?<br />

Il programma ha come fine lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita<br />

personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona<br />

autistica.<br />

• Su quali presupposti si basa il programma TEACCH?<br />

I presupposti su cui il TEACCH si basa per stabilire i criteri di intervento, erano, almeno agli inizi<br />

degli anni ‘60, del tutto innovativi: smentita da ricerche di Rutter e dello stesso Schopler una<br />

qualunque responsabilità della famiglia nella genesi dell’Autismo, non solo i genitori sono<br />

considerati la fonte più attendibile di informazioni sul proprio bambino, ma vengono anche<br />

coinvolti nel programma di trattamento con il ruolo di partner dei professionisti.<br />

Inoltre il programma TEACCH è concepito in funzione della definizione di Autismo come disturbo<br />

generalizzato dello sviluppo caratterizzato dalla triade sintomatologica descritta nel DSM<br />

(Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Associazione Psichiatrica Americana) <strong>II</strong>I e<br />

IV, e nell’ICD (International Classification of Diseases and Disorders, Organizzazione Mondiale<br />

della Sanità) 10: la diagnosi di Autismo si deve quindi basare su test appropriati che evidenzino un<br />

disturbo nell’area della comunicazione e della socializzazione, e la presenza di interessi limitati e<br />

ripetitivi.<br />

Poiché l’educazione è essenzialmente comunicazione, in presenza di un disturbo della<br />

comunicazione, un’attività educativa non potrà non avvalersi di strategie specifiche.<br />

Inoltre, se l'integrazione nella società non può avvenire spontaneamente nel bambino normale, tanto<br />

più il bambino autistico, portatore di un disturbo congenito della capacità di comprensione sociale,<br />

dovrà poter usufruire di strategie educative appropriate.<br />

• Su quali principi si basa il programma TEACCH?<br />

I principi di base del TEACCH sono del tutto innovativi rispetto alla concezione psicogenetica del<br />

disturbo autistico, e comportano di conseguenza caratteristiche di approccio altrettanto innovative.<br />

Se non si crede più ad una responsabilità della famiglia nella genesi del disturbo, una collaborazione<br />

attiva nell’intervento da parte dei familiari ne sarà la logica conseguenza, per consentire la<br />

generalizzazione delle competenze acquisite e per garantire una coerenza di approccio in ogni<br />

attività di vita della persona autistica; il coinvolgimento dei familiari in qualità di partners incide<br />

secondo Schopler per il 50% sulle possibilità di successo del programma.<br />

Inoltre l’estrema variabilità delle manifestazioni e dei livelli di sviluppo nell’ambito della sindrome<br />

autistica, come viene definita dal DSM <strong>II</strong>I e IV e dall’ICD 10, rendono indispensabile la<br />

2


testimonianza dei genitori per una corretta valutazione delle capacità del soggetto, delle sue<br />

potenzialità e del suo livello di sviluppo.<br />

Se l’<strong>autismo</strong> non viene più considerato una malattia mentale, ma un handicap della comunicazione,<br />

della socializzazione e della immaginazione, il bambino autistico non potrà più essere visto come<br />

un soggetto normodotato o superdotato che rifiuta di collaborare, ma come una persona<br />

svantaggiata, disorientata in un mondo incomprensibile, frustrata dagli insuccessi: come tale dovrà<br />

essere aiutata a sviluppare le sue capacità sfruttando i suoi punti di forza, le sue predisposizioni e le<br />

sue potenzialità.<br />

Sarà quindi molto importante che durante l’apprendimento il bambino possa essere gratificato da<br />

frequenti successi: una volta valutate le sue capacità, i compiti proposti saranno quindi scelti non fra<br />

le attività in cui fallisce, ma fra le abilità "emergenti", cioè fra le prestazioni che il bambino riesce a<br />

portare a termine con l’aiuto dell’adulto.<br />

Per lo stesso motivo le capacità visuo-spaziali , generalmente buone nelle persone autistiche, sono<br />

alla base della scelta di utilizzare strategie comunicative e strutturazione di tipo visivo. tuttavia il<br />

principio della scelta della forma di comunicazione più adatta a supporto della comunicazione<br />

verbale dipende dalla valutazione individuale del canale percettivo meglio utilizzabile dal singolo<br />

individuo.<br />

La variabilità estrema della sintomatologia e del livello di sviluppo nell’ambito della sindrome<br />

autistica richiedono una elaborazione strettamente individuale del programma educativo, con<br />

continue e frequenti rivalutazioni e aggiustamenti: se il bambino dispone di un buon programma,<br />

apprende in un tempo ragionevole; se l’apprendimento non avviene a breve termine, è il programma<br />

che non funziona e che deve essere rivisto.<br />

Per formulare un buon programma educativo è necessario disporre di:<br />

1) una diagnosi corretta:si basa sulla osservazione clinica guidata da test diagnostici specifici non<br />

meno che sulle informazioni fornite dai genitori, che hanno del proprio figlio una conoscenza<br />

insostituibile. Fra i i test diagnostici per l’Autismo possiamo qui ricordare il CARS (Childhood<br />

Autism Rating Scale) di Schopler o il CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) di Rutter<br />

2) la valutazione del livello di sviluppo, attraverso un test appropriato (PEP, profilo psicoeducativo)<br />

che registra le capacità nelle differenti aree, come imitazione, motricità fine e globale,<br />

coordinazione oculo-manuale, capacità cognitive, comunicazione, percezione.<br />

Il profilo di sviluppo ottenuto sarà il punto di partenza per costruire il programma educativo, cioè<br />

per determinare i tipi di attività da proporre attraverso l'individuazione delle "emergenze".<br />

Le aree in cui si riscontra il maggior numero di emergenze sono da preferire nella scelta dei compiti<br />

da proporre.<br />

3) un programma educativo individualizzato, che tenga conto non solo di questi elementi, ma<br />

anche delle priorità della famiglia e dell’ambiente di lavoro, in modo da affrontare innanzi tutto ciò<br />

che appare più urgente, e delle predisposizioni del bambino, in modo da aumentare la motivazione e<br />

rendere l’apprendimento più gradevole possibile.<br />

3


2. STRATEGIE DI INTERVENTO<br />

Abbiamo visto come lo scopo del programma educativo TEACCH sia di favorire lo sviluppo<br />

dell'individuo, la sua integrazione sociale e l'autonomia, tenendo conto dei deficit specifici che il<br />

disturbo autistico comporta.<br />

Uno degli obiettivi essenziali è che nell'età adulta la persona autistica possa vivere con gli altri<br />

membri della società in un contesto meno segregante possibile, e di permettergli di gestire al meglio<br />

la propria vita quotidiana.<br />

Prima di addentrarsi nello specifico delle strategie di intervento, è opportuno ricordare che<br />

l’approccio di tipo TEACCH, pur utilizzando tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di<br />

tipo strettamente comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a modificare il<br />

comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo (o negativo), si preferisce modificare<br />

l’ambiente in modo che l’apprendimento sia reso più agevole.<br />

Adattare l'ambiente alla persona, e presentargli progressivamente le difficoltà, significa rispettare la<br />

persona nella sua diversità : non dimentichiamo che le testimonianze di molte persone autistiche<br />

dotate della capacità di raccontare le proprie esperienze parlano di un mondo senza senso, di un<br />

"caos senza capo né coda".<br />

• La strutturazione<br />

In passato si pensava che i bambini autistici soffrissero per rifiuto di sentimenti e desideri, e si dava<br />

loro di conseguenza la possibilità di libera espressione in un quadro non strutturato sperando che<br />

potessero trovare una via per liberare le proprie potenzialità inibite.<br />

Nulla di più sbagliato: l'esperienza di molti anni ci ha insegnato che in questo modo si produce<br />

l'effetto contrario, aumentando l'angoscia e i problemi comportamentali.<br />

Si sa ora che la persona autistica, a causa del deficit di comunicazione e della "cecità sociale" (come<br />

la definisce Barhon-Cohen) alla base del disturbo autistico, ha bisogno di una strutturazione<br />

dell'ambiente per orientarsi e per rassicurarsi, e che l'ansia diminuisce quando sa esattamente che<br />

cosa ci si aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito,<br />

come, dove e con chi.<br />

Del resto, come ci spiega Theo Peeters, chiunque di noi si recasse in un paese straniero, di cui non<br />

conosce la lingua, per tenere una conferenza, vorrebbe avere informazioni su dove la conferenza<br />

sarà organizzata, quando dovrà parlare e per quanto tempo, come dovrà esprimersi, e si aspetterà<br />

che il paese ospite abbia la cortesia di dargli queste notizie in modo comprensibile.<br />

Un quadro temporale-spaziale molto strutturato, nel quale i punti di riferimento siano visibili e<br />

concreti, in altre parole comprensibile e prevedibile, costituisce il primo passo per poter impostare<br />

un lavoro educativo con il bambino autistico.<br />

La strutturazione tuttavia non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in<br />

funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino e soggetta a modifiche in ogni<br />

momento; né deve essere fine a se stessa, ma rappresentare un mezzo per aiutare una persona in<br />

difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare.<br />

4


La strutturazione infatti non ha lo scopo si creare un rituale, anzi, è una forma di comunicazione<br />

verso il bambino che dovrebbe proprio ottenere di liberarlo da quei rituali che gli danno sicurezza e<br />

prevedibilità.<br />

• Strutturazione dello spazio.<br />

Strutturare lo spazio significa rispondere alla domanda "Dove?".<br />

L’ambiente di lavoro organizzato in spazi chiaramente e visivamente delimitati, ognuno con delle<br />

funzioni specifiche chiaramente visualizzate, consente al bambino di sapere con precisione ciò che<br />

ci si aspetta da lui in ogni luogo e in ogni momento.<br />

Così, in una classe, ci sarà uno spazio di lavoro individuale, uno spazio di riposo, uno spazio di<br />

attività di gruppo e uno spazio dedicato al tempo libero, ognuno chiaramente delimitato e<br />

contrassegnato da opportuni simboli di identificazione.<br />

L’angolo di lavoro per esempio è di solito organizzato con un banco affiancato da due scaffali<br />

disposti perpendicolarmente, su cui disporre il materiale di lavoro da eseguire (nello scaffale di<br />

sinistra) o riporre i compiti già eseguiti (a destra).<br />

E’ importante che ogni spazio sia dedicato ad una singola attività: in questo modo sarà molto facile<br />

per il bambino orientarsi da solo e raggiungere presto una autonomia di movimento che sarà per lui<br />

molto gratificante.<br />

• Strutturazione del tempo<br />

Strutturare il tempo significa rispondere alla domanda "Quando? Per quanto tempo?"<br />

Il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere, perché si appoggia su dati non visibili.<br />

Per questo è importante strutturare la giornata attraverso una organizzazione del tempo, che<br />

informi ad ogni momento il bambino su ciò che sta accadendo, ciò che è accaduto e che accadrà,<br />

aumentando in questo modo la prevedibilità e il controllo della situazione, e diminuendo<br />

l'incertezza fonte di ansia.<br />

In pratica ogni bambino disporrà di una sua "agenda" giornaliera, costituita da una sequenza di<br />

oggetti, di immagini o di parole scritte, a seconda delle sue abilità, ordinati dall’alto verso il basso .<br />

Al termine di ogni attività ogni relativo simbolo verrà spostato dal bambino in un altro apposito<br />

spazio che registra il tempo tras<strong>corso</strong>: in questo modo gli sarà possibile sapere in ogni momento<br />

quanto tempo è passato e quanto ne manca prima di tornare a casa.<br />

• Strutturazione del materiale di lavoro<br />

Strutturare il materiale di lavoro significa rispondere in modo chiaro e concreto alla domanda "Che<br />

cosa?"<br />

Oltre all’agenda giornaliera delle attività, il bambino disporrà di uno schema di lavoro posizionato<br />

presso il tavolo di lavoro, costituito ad esempio da lettere dell’alfabeto o numeri, ognuna delle quali<br />

è riportata su una scatola di lavoro.<br />

5


Il lavoro da svolgere sarà presentato in modo chiaro: ogni compito è contenuto in una scatola sullo<br />

scaffale di sinistra, ogni scatola contrassegnata da un simbolo (lettera o numero), a seconda del<br />

livello di sviluppo e delle capacità del bambino).<br />

Oppure, se per il bambino è ancora troppo difficile gestire uno schema di lavoro costituito da<br />

simboli, il numero delle scatole sullo scaffale di sinistra indicherà quanti sono i compiti da svolgere.<br />

Ogni scatola di lavoro contiene le diverse componenti, che saranno a loro volta contrassegnate da<br />

un simbolo: ad esempio un colore, o una forma, presenti anche sul piano del banco, in modo che il<br />

bambino le possa disporre nell’ordine esatto ed eseguire il lavoro da solo.<br />

E’ importante che, una volta disposto secondo le indicazioni visive, il compito sia "autoesplicativo",<br />

cioè comprensibile senza bisogno di spiegazioni: incastri , puzzle o lavori di montaggio sono<br />

esempi semplici di questo genere, ma con un po’ di fantasia qualunque compito può essere<br />

presentato in modo che si spieghi da se.<br />

Se per il bambino è ancora troppo difficile organizzarsi il lavoro attraverso l’accoppiamento di<br />

simboli, ogni scatola sarà suddivisa in scomparti contenenti le parti del lavoro da fare in modo che il<br />

compito sia comprensibile senza troppe spiegazioni verbali, che lo metterebbero in difficoltà.<br />

Quando il compito è terminato verrà riposto nella relativa scatola sullo scaffale di destra, in modo<br />

che in ogni momento sia chiaro quanto lavoro è stato eseguito e quanto ne resta da eseguire.<br />

Il lavoro viene eseguito da sinistra verso destra perché questa è l’organizzazione tipica della cultura<br />

occidentale.<br />

Naturalmente all’inizio in bambino dovrà essere aiutato dall’educatore, ma in questo modo si<br />

raggiunge ben presto l’autonomia; inoltre la possibilità di avere sempre informazioni chiare<br />

attraverso oggetti-simbolo, immagini o parole scritte aggira la difficoltà di comprensione del<br />

linguaggio parlato tipica della sindrome autistica, consentendo al bambino di concentrarsi<br />

unicamente sul compito da svolgere.<br />

L’importante non è mirare presto al grado di comunicazione più difficile, ma raggiungere la<br />

capacità di utilizzare autonomamente il proprio codice di lavoro.<br />

Quello che è importante sottolineare è che la struttura di tempo e spazio non è fine a se stessa, né un<br />

obiettivo da raggiungere, bensì uno strumento evolutivo, un mezzo per aiutare la persona autistica a<br />

raggiungere una migliore padronanza del proprio ambiente e della propria vita; come tale deve<br />

essere considerata come una impalcatura che sorregge un edificio in costruzione, e che viene tolta<br />

gradualmente man mano che la costruzione acquista stabilità; allo stesso modo la rigidità della<br />

strutturazione spazio-temporale va diminuita man mano che ci si rende conto che la persona può<br />

farne a meno.<br />

• Il rinforzo<br />

Il rinforzo risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "Perchè?"<br />

Infatti può essere difficile per il bambino all’inizio di un programma educativo comprendere per<br />

quale motivo deva eseguire dei compiti.<br />

6


Anche il bambino "normale" incontra questa difficoltà, ma può essere motivato dalla volontà di<br />

accontentare la mamma o l’insegnante, di fare " bella figura".<br />

Queste motivazioni possono inizialmente essere troppo astratte per il bambino autistico; sarà allora<br />

necessario dargli delle motivazioni concrete, strettamente collegate nel tempo all’esecuzione del<br />

compito.<br />

Una ricompensa alimentare è il rinforzo più semplice; spesso tuttavia si può ben presto sostituire<br />

con il rinforzo sociale, costituito da lodi e complimenti.<br />

E’ importante comunque individuare un rinforzo adatto alle preferenze del singolo bambino: sarà<br />

ovviamente controproducente abbracciare o accarezzare un bambino che presenti, come può<br />

succedere, difficoltà ad accettare la vicinanza fisica; o offrire un rinforzo alimentare a bambini che<br />

rifiutano il cibo.<br />

Anche il permesso di dedicarsi ad una attività preferita, non importa se stereotipata, può costituire<br />

un rinforzo adeguato.<br />

Spesso comunque la soddisfazione di riuscire da solo nel compito proposto è già di per se un ottimo<br />

rinforzo.<br />

• L’aiuto<br />

L’aiuto risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "come?".<br />

Se infatti non possiamo utilizzare efficacemente le istruzioni verbali per spiegare il compito, un<br />

aiuto fisico o visuale costituirà il modo più semplice per illustrare al bambino autistico come dovrà<br />

eseguire il suo compito.<br />

Il grado maggiore di aiuto è costituito dall’aiuto fisico: l’educatore cioè accompagna con la sua la<br />

mano del bambino nell’esecuzione del compito.<br />

In questo caso è importante che il gesto sia dosato in modo da comunicare un incoraggiamento e<br />

che abbia una valenza esplicativa che il bambino è perfettamente in grado di capire; non deve<br />

costituire una costrizione.<br />

Un altro tipo di aiuto può essere di tipo visuale: è un aiuto di questo tipo indicare con il dito, o<br />

anche, ad esempio, spostare un oggetto dal posto sbagliato al posto giusto, o ancora una<br />

dimostrazione pratica di come eseguire il compito, purché naturalmente da parte del bambino ci sia<br />

la necessaria attenzione.<br />

Anche l’aiuto verbale naturalmente può essere utilizzato; in questo caso è utile usare parole<br />

semplici, essenziali e sempre uguali per una stessa spiegazione, evitando i sinonimi o un linguaggio<br />

troppo figurato.<br />

Anche nel caso dell’aiuto è importante valutare la forma più efficace per ogni singolo caso<br />

La rappresentazione del compito attraverso una serie di immagini che ne illustrano le varie tappe,<br />

disposte da destra a sinistra, costituisce il tipo di aiuto più conciliabile con l’autonomia di lavoro.<br />

7


• La generalizzazione del compito<br />

Bisogna infine ricordare che il bambino autistico tende ad associare l’apprendimento con una data<br />

situazione o ad un ambiente, mentre ha difficoltà a generalizzare il suo comportamento.<br />

Sarà quindi necessario sviluppare dei programmi di generalizzazione attiva delle acquisizioni :<br />

l’apprendimento in ambiente scolastico è solo l’inizio del programma educativo, perché è altrettanto<br />

importante estendere le competenze acquisite all’ambiente familiare o in altre situazioni.<br />

Naturalmente anche per questo è importante servirsi della collaborazione dei genitori: nel caso<br />

dell’<strong>autismo</strong> i rapporti di collaborazione fra genitori e insegnanti non sono una questione di buona<br />

educazione, ma un requisito indispensabile del processo educativo.<br />

La difficoltà di generalizzazione comporta anche la necessità di provvedere in anticipo a dotare il<br />

bambino delle competenze che gli serviranno da adulto per un inserimento lavorativo.<br />

La continuità educativa e la coordinazione dei servizi per l’età infantile e per l’età adulta,<br />

sebbene appaiano estremamente difficili da realizzare concretamente, rappresentano dei requisiti<br />

fondamentali per un inserimento sociale e lavorativo efficace.<br />

3. I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO<br />

Tutti noi presentiamo problemi di comportamento di tanto in tanto: può capitare a chiunque di<br />

perdere il controllo, di manifestare aggressività, di scaricare le proprie emozioni in modo<br />

incontrollato attraverso il pianto o il riso, o di scaricare la tensione attraverso tic nervosi o altri<br />

comportamenti inadeguati.<br />

Per fortuna si tratta generalmente di episodi passeggeri, di cui siamo successivamente in grado di<br />

scusarci.<br />

Quando una persona manifesta un comportamento diverso dal solito, comprendiamo che lo stress<br />

oltrepassa i suoi limiti: il comportamento è un indice di adattamento del soggetto al suo ambiente.<br />

Sappiamo inoltre che il comportamento di qualunque persona è influenzato dai disturbi organici:<br />

dolore, fatica, ingestione di farmaci, fame, stanchezza possono contribuire a modificare il<br />

comportamento abituale.<br />

Chi soffre di un disturbo organico cercherà probabilmente di alleviarlo con i propri mezzi o<br />

cercando aiuto (ad es. del medico).<br />

• Perché le persone autistiche presentano problemi di comportamento?<br />

Le persone autistiche non sono evidentemente immuni da tutte le circostanze che possono<br />

influenzare il comportamento: sono sottoposte allo stress quotidiano come e più delle altre persone,<br />

e la affezioni organiche le colpiscono in maniera uguale, se non più grave, a causa di una sensibilità<br />

più acuta della nostra e della difficoltà di decifrare le proprie sensazioni.<br />

E tuttavia non possono reagire né cercare aiuto come noi, a causa dei problemi di comunicazione:<br />

non possono comunicare il proprio stato e non sanno che cosa ci si aspetta da loro, e questa<br />

incertezza aumenta lo stress.<br />

8


Come spiega Schopler, problemi di comportamento della persona autistica non sono che la punta<br />

dell’iceberg sommerso delle sue difficoltà: un sistema di comunicazione insufficiente la conduce a<br />

esprimere le proprie necessità in una forma diversa dal linguaggio, attraverso atti distruttivi,<br />

aggressivi, autoaggressivi o inappropriati.<br />

Anche una persona autistica dotata, con un vasto vocabolario, una pronuncia e una capacità<br />

sintattica corretta, può non essere in grado di capire le nostre aspettative nei suoi confronti, o quale<br />

messaggio sia chiaro per noi: per interpretare un messaggio infatti è necessario comprendere non<br />

solo le parole o la frase, ma anche il suo contesto passato e presente.<br />

• Perché i problemi di comportamento sono così frequenti nelle persone autistiche?<br />

I problemi di comportamento non fanno parte della " personalità autistica", né sono un requisito<br />

fondamentale per la diagnosi di <strong>autismo</strong>.<br />

Poiché le persone autistiche hanno molte difficoltà a comprendere il nostro mondo, e i nostri codici<br />

sociali sono per loro estranei e incomprensibili, le manifestazioni di comportamento inappropriate e<br />

problematiche possono costituire l’unica espressione possibile del loro disagio e delle loro<br />

difficoltà.<br />

Quando la comunicazione è deficitaria, e alla necessità si aggiunge le stress dell’impossibilità di<br />

farsi capire, vengono facilmente superati i limiti della persona.<br />

• Come intervenire sui problemi di comportamento?<br />

Come abbiamo visto, poiché nella persona autistica l’espressione dei bisogni passa attraverso i<br />

problemi di comportamento, sarebbe assurdo intervenire direttamente per modificarlo.<br />

La strutturazione e la prevedibilità dell’ambiente e l’adeguatezza delle richieste, nonché la<br />

chiarezza, la concretezza e la stabilità dei messaggi sono la prima condizione per evitare una<br />

situazione di stress permanente.<br />

Sarà inoltre necessario potenziare la capacità di comunicazione e eventualmente utilizzare forme<br />

di comunicazione più adatte alla persona autistica, come le immagini o, in qualche caso, i gesti: la<br />

riduzione dei problemi di comportamento è il miglior test per capire se la persona è stata<br />

correttamente valutata e se il programma individuale è davvero adatto alle sue potenzialità e ai suoi<br />

bisogni.<br />

Tuttavia, anche quando si sia provveduto ad adattare l’ambiente e a mettere in atto un programma<br />

individuale adeguato, e a instaurare una forma di comunicazione efficace, possono residuare<br />

comunque, come per tutti noi, occasioni di disagio o di malessere che si manifestano con problemi<br />

di comportamento.<br />

Se desideriamo aiutare la persona autistica, tocca a noi decodificare i suoi messaggi: osservarne il<br />

comportamento nel contesto ce ne darà la chiave: analizzare e comprendere i problemi è il primo<br />

passo per individuare una strategia di intervento adeguata, che sarà sempre tesa a valorizzare la<br />

persona e a permetterle di superare le proprie difficoltà. Non esistono purtroppo ricette<br />

prefabbricate applicabili ad ogni problema: ogni situazione dovrà essere vagliata , non prima di aver<br />

provveduto ad adattare l’ambiente e lo stile comunicativo alla diversità della persona autistica.<br />

9


L’APPROCCIO PSICOEDUCATIVO TEACCH: CARATTERISTICHE GENERALI E<br />

SPECIFICI PUNTI DI FORZA UTILIZZABILI IN UN AMBITO SCOLASTICO<br />

INTEGRATO<br />

di Dario Ianes (Centro Studi Erickson e Università di Trento)<br />

Il compito dell’educazione, nell’<strong>autismo</strong> come in altre situazioni, è quello di incoraggiare il<br />

bambino a sviluppare sempre nuove abilità per vivere e conoscere il mondo, per migliorare il suo<br />

grado di «attività personali» e di «partecipazione sociale» (ICF – International Classification of<br />

Functioning, Disability and Health, OMS, Erickson, 2002).<br />

Si può quindi parlare, nel trattamento dell’<strong>autismo</strong>, di «approccio psicoeducativo». La conoscenza e<br />

l’accurata valutazione delle risorse e dei deficit di una persona e delle caratteristiche del suo<br />

ambiente di vita forniscono la base necessaria a un trattamento che fa leva da una parte sulle sue<br />

possibilità di apprendere nuove abilità, dall’altra sulle possibilità dell’ambiente di modificarsi per<br />

adattarsi alle caratteristiche della persona.<br />

Così, ogni intervento nei confronti del bambino autistico è in realtà educazione: incremento di<br />

abilità del bambino, educazione dei genitori a utilizzarle e promuoverle, apprendimento da parte<br />

degli esperti dei nuovi dati generali derivati dall’esperienza con questo singolo bambino,<br />

educazione della scuola o del centro diurno a vivere con il bambino.<br />

L’approccio che viene comunemente definito TEACCH, creato, ormai trent’anni fa, come<br />

strutturazione globale dei servizi per l’<strong>autismo</strong> da Eric Schopler nella Carolina del Nord, si basa su<br />

alcune caratteristiche generali.<br />

Globalità, durata e individualizzazione dell’intervento: i deficit interpersonali, comunicativi e<br />

cognitivi del bambino richiedono un intervento che offra i significati che da solo il bambino non è<br />

in grado di organizzare; il fatto che il disturbo, pur migliorando, duri tutta la vita, richiede<br />

un’offerta di servizi per l’intero ciclo di vita e di educare il bambino di oggi alle necessità<br />

dell’uomo di domani; il fatto che ogni persona con <strong>autismo</strong> sia diversa dall’altra come<br />

caratteristiche e punti di forza impone un’estrema individualizzazione dell’intervento.<br />

Collaborazione con le famiglie: secondo Schopler, i genitori sono i migliori esperti del loro<br />

bambino (Schopler E., Autismo in famiglia, Erickson, 1998); essi sono capaci di individuare per lui<br />

le priorità e scoprire forme di educazione efficaci. Gli operatori professionali e gli insegnanti,<br />

d’altro canto, sono esperti di bambini in generale, di <strong>autismo</strong> e di trattamenti educativi. I migliori<br />

risultati quindi provengono da un’efficace collaborazione tra i due tipi di esperti. La collaborazione<br />

tra genitori e operatori è inoltre fonte di reciproco sostegno, necessario quando il lavoro e la vita<br />

hanno caratteristiche di impegno gravoso, come nell’<strong>autismo</strong>, e quando serve esercitare un’adeguata<br />

pressione presso le amministrazioni per ottenere servizi migliori.<br />

Obiettivo generale è lo sviluppo di abilità: nel bambino, nel genitore, ma anche nelle persone che<br />

costituiscono l’ambiente di quel bambino e di quella famiglia, e nell’operatore che ha il compito di<br />

aiutarli. L’incremento di abilità, così inteso, porta al miglioramento della qualità della vita, permette<br />

il miglior adattamento possibile, da un lato insegnando al bambino abilità adattive, e dall’altro<br />

adattando l’ambiente alle necessità del bambino.<br />

Personalizzazione. L’approccio TEACCH non ci impone un per<strong>corso</strong> rigido da applicare tappa per<br />

tappa a tutti i bambini con <strong>autismo</strong>. Ci mostra modi e strumenti per individuare priorità, obiettivi,<br />

punti di forza e stili di apprendimento tipici di un singolo bambino, così come priorità e punti di<br />

forza di una singola famiglia; modi e strumenti per insegnare a quel specifico bambino aggirando le<br />

sue difficoltà.


Flessibilità. Questi modi e strumenti non sono definiti una volta per tutte, ma si modificano in base<br />

all’esperienza, ai risultati della ricerca, alle buone idee formulate da operatori e genitori. Le<br />

modalità tecniche vanno messe al servizio del progetto, che è il miglioramento della qualità della<br />

vita.<br />

Principio di autonomia e uso spontaneo delle abilità. Il punto di equilibrio tra l’incremento delle<br />

abilità del bambino e il cambiamento necessario dell’ambiente è l’esercizio indipendente e<br />

spontaneo, cioè senza guida o aiuto, delle abilità possedute. Tale punto di equilibrio è la base per<br />

successivi passi in avanti. Gli sforzi di educatori, terapisti e genitori non sono quindi limitati<br />

all’insegnamento di nuove abilità, ma concentrati anche sulla facilitazione dell’uso indipendente,<br />

utile, significativo, il più possibile flessibile e spontaneo delle abilità possedute.<br />

Valutazione continua delle capacità del bambino. È necessaria una valutazione sistematica delle<br />

abilità del bambino, attraverso la quale si definisce il suo profilo di sviluppo in aree essenziali:<br />

imitazione, percezione, motricità globale, motricità fine, coordinazione occhio-mano, performance<br />

cognitiva, performance cognitivo-verbale; e la valutazione formale dei comportamenti autistici, in<br />

cui si valuta la presenza di comportamenti devianti nelle aree: sensoriale, affettivo-relazionale, uso<br />

degli oggetti e del materiale, linguaggio.<br />

Programmazione concreta. Gli obiettivi che si sono definiti sulla base delle valutazioni non saranno<br />

finalità astratte di sviluppo ma abilità che saranno concretamente utili al bambino nel suo ambiente<br />

e che saranno utili alla vita dell’uomo autistico di domani; abilità cioè che la persona potrà<br />

esercitare in modo indipendente. Compiti semplici, necessari, utili, nelle aree fondamentali<br />

dell’autonomia, della comunicazione, del lavoro, del tempo libero. Concentrarsi su obiettivi in aree<br />

tradizionali dello sviluppo infantile è utile solo se questo può contribuire all’uso indipendente di<br />

un’abilità con significato e rilevanza funzionale, cioè concretamente utile nell’ambiente di vita della<br />

persona. Per esempio: prima di dedicarsi all’abilità emergente «Copiare le lettere maiuscole»,<br />

conviene dedicarsi all’apprendimento dell’abilità emergente «Chiedere aiuto con un gesto», data la<br />

maggiore rilevanza funzionale del secondo obiettivo in molti contesti di vita del bambino. È<br />

importante qui tener conto delle priorità dei genitori, condividere con loro le scelte di programma.<br />

Strutturazione degli interventi. Insegnare abilità al bambino autistico è un’attività che si svolge<br />

secondo i criteri comuni dell’insegnamento: presentazione del compito, aiuti, rinforzo e<br />

motivazione, esercizio. Le caratteristiche della patologia autistica ci obbligano però a offrire al<br />

bambino un aiuto che aggiri o compensi le sue tipiche difficoltà ad apprendere.<br />

La difficoltà fondamentale per l’autistico è quella di ricavare e riconoscere un significato<br />

socialmente condiviso nelle varie attività: è questo significato che spesso funziona da «molla» per<br />

l’apprendimento dei bambini a sviluppo normale. La sua assenza o la difficoltà della sua<br />

costruzione ci costringe a progettare attentamente la struttura del nostro insegnamento per<br />

permettere al bambino autistico di utilizzare, per apprendere, le sue caratteristiche di memoria<br />

meccanica, ripetitività, adesione a routine, oltre alla buona motricità fine e globale, capacità<br />

percettive spesso fuori del comune, abilità visive che compensano quelle uditive spesso carenti.<br />

Lo spazio fisico deve essere quindi progettato per aiutare il bambino a capire dove si svolgono<br />

determinate attività; uno schema della giornata va definito e comunicato adeguatamente al bambino<br />

con mezzi adatti alla sua comprensione. Questi mezzi sono spesso visivi, come sequenze di<br />

fotografie o disegni, spesso visivo-tattili, come sequenze di oggetti; a volte parole scritte o agende, a<br />

seconda delle necessità del bambino. Egli può dunque comprendere quando è il momento di<br />

svolgere determinate attività, e quindi, una volta terminate, cosa fare dopo. Per ogni bambino viene<br />

quindi approntato uno schema di lavoro che con mezzi di facilitazione gli permetta di imparare a<br />

lavorare in modo indipendente. Ogni compito su cui il bambino dovrà esercitarsi per raggiungerne<br />

la padronanza potrà essere organizzato per presentargli con chiarezza i suoi aspetti rilevanti, in


modo da permettergli di svolgerlo in modo del tutto indipendente, sganciato dai suggerimenti<br />

dell’insegnante, che nel caso del bambino autistico possono diventare una trappola, distraendolo<br />

dalle variabili del compito. È bene quindi che i compiti «parlino da soli», suggerendo al bambino<br />

cosa fare e come. Lo schema di lavoro permetterà al bambino una chiara visualizzazione anche<br />

della quantità di lavoro da svolgere: per esempio i materiali di lavoro possono essere preparati in<br />

una vaschetta posta a sinistra del bambino, e messi in una vaschetta a destra quando sono stati<br />

completati: in questo modo il bambino ha rapidamente l’idea di quanto tempo avrà da lavorare. La<br />

difficoltà (e la sfida) per l’insegnante è in questo caso quella di fornire al bambino il minimo di<br />

suggerimenti visivi o tattili sufficiente perché possa lavorare in modo indipendente, per permettergli<br />

di organizzarsi progressivamente il lavoro con maggiore completezza (pur sapendo che forse un<br />

certo grado di dipendenza da un’organizzazione del lavoro di tipo protesico sarà necessaria per tutta<br />

la vita); e inoltre quella di organizzare lavori che si modifichino continuamente fornendo difficoltà<br />

graduate superabili dal bambino, in modo da permettergli di svolgere il compito senza annoiarsi ma<br />

anche senza incontrare difficoltà per lui insormontabili (Micheli E., Introduzione a La<br />

comunicazione spontanea nell’<strong>autismo</strong> di Schopler E. et al., Erickson, 1998).<br />

Il lavoro educativo nelle aree dell’intersoggettività (riconoscere l’esistenza dell’altro e di sé come<br />

soggetti in interazione), della comunicazione (inviare e ricevere messaggi) e delle abilità<br />

interpersonali (saper vivere in relazione alle diverse situazioni sociali) ovviamente non potrà<br />

svolgersi come lavoro indipendente, richiedendo l’interazione tra più soggetti; ma tener conto della<br />

necessità di inserire la pratica degli obiettivi scelti in queste aree all’interno di una chiara struttura,<br />

organizzando con chiarezza spazi, tempi, suggerimenti visivi o tattili, permetterà al bambino<br />

autistico di imparare qualcosa anche in queste che sono per lui le aree più difficili. Il principio<br />

generale quindi è che l’organizzazione di una chiara struttura e l’utilizzo di modalità visive o tattili<br />

per comunicare al bambino compiti o momenti della giornata, o sequenze di azioni, sono da<br />

considerare strumenti di facilitazione che permettono al bambino autistico di compiere quelle<br />

esperienze che a lui, come a tutti i bambini, sono necessarie per apprendere.<br />

Intervento educativo sui comportamenti problema. La presenza nel bambino autistico di<br />

comportamenti che disturbano o preoccupano le persone intorno a lui è cosa purtroppo ben nota:<br />

aggressività, comportamenti pericolosi, fughe, problemi dell’alimentazione e del sonno, stereotipie<br />

motorie e routine ossessive fanno tutte parte delle comuni descrizioni della patologia. È interessante<br />

il fatto che buona parte di questi problemi nascono dalla confusione che l’ambiente presenta per il<br />

bambino autistico, dalla eccessiva difficoltà delle richieste che gli vengono rivolte e dalla mancanza<br />

di abilità comunicative e interpersonali che gli impediscono di tener conto degli interessi delle altre<br />

persone.<br />

Buona parte dei problemi di comportamento sono quindi ridotti quando il bambino incontra<br />

un ambiente organizzato secondo i principi dell’educazione strutturata. Quando incontriamo<br />

comportamenti problema, è necessario chiederci prioritariamente quali abilità sostitutive bisogna<br />

insegnare al bambino, e quali accorgimenti sono necessari nell’ambiente perché esso risulti al<br />

bambino più leggibile. In aggiunta a questo principio, quello della prevenzione, possiamo ricorrere,<br />

per sconfiggere o ridurre il disturbo derivato da determinati comportamenti, alle tecniche<br />

psicoeducative neocomportamentali: l’analisi funzionale, il rinforzo differenziale di forme<br />

alternative di comunicazione, l’estinzione, il timeout, ecc. (Ianes D., Autolesionismo, stereotipie,<br />

aggressività, Erickson, 1995).<br />

Specifici punti di forza dell’approccio TEACCH utilizzabili in un contesto scolastico integrato<br />

1. Strutturazione dello spazio<br />

L’alunno autistico, per le sue caratteristiche nell’elaborazione dell’informazione, ha bisogno di una<br />

forte e chiara strutturazione dello spazio in cui vive e svolge le attività: gli accorgimenti utili a<br />

questo proposito sono estendibili, a vari gradi, anche alla generalità degli altri alunni.


a. Definizione chiara e riconoscibile delle funzioni di un certo ambiente o parti di esso e di<br />

cosa si fa in quel contesto.<br />

Gli ambienti devono essere suddivisi chiaramente per funzioni (tempo libero-riposo; lavoroapprendimento;<br />

mensa; WC-igiene; ecc.) e ciò che si fa in questi ambienti va segnalato con<br />

chiarezza attraverso segnali evidenti, stabiliti, appresi e costanti (oggetti tipici dello<br />

svolgimento di quell’attività, oppure immagini, oppure qualcosa di scelto dall’alunno).<br />

b. La definizione e le marcature degli spazi devono rimanere costanti nel tempo.<br />

c. Un ambiente o una parte di esso deve avere solo una funzione specifica.<br />

d. All’interno di uno spazio va definito il posto esclusivo per l’alunno, che rimanga sempre<br />

quello e che sia immediatamente riconoscibile.<br />

e. In generale, la ricchezza di stimoli e la varietà sono distraenti e disorganizzanti e va scelta<br />

anche in base a questo la collocazione nei banchi.<br />

2. Strutturazione del tempo<br />

a. Le attività vanno scandite in modo prevedibile, costante e regolare. Le novità e le<br />

improvvisazioni possono creare difficoltà e disorganizzazione. Dovrebbero essere<br />

create delle routine il più possibile regolari a dimensione giornaliera e settimanale.<br />

b. È fondamentale costruire e usare sistematicamente uno strumento di gestione dei<br />

passaggi da un’attività a quella successiva.<br />

Le forme che può assumere questa «Agenda», possono essere molte (con fotografie,<br />

stimoli, oggetti concreti tratti dalle varie attività, ecc.), ma la gestione dell’agenda<br />

dovrà comunque prevedere alcune tappe precise che l’alunno fa in sequenza:<br />

1. va all’agenda e prende il simbolo della prossima attività;<br />

2. va al luogo dell’attività;<br />

3. la svolge fino al termine;<br />

4. riporta il simbolo dell’attività all’agenda ricollocandolo nello spazio delle «cose<br />

fatte»;<br />

5. prende il simbolo della prossima attività e così via, nei modi più diversi.<br />

c. È importante rispettare con accuratezza i tempi di inizio e fine di un’attività, per<br />

costruire il senso di routine regolari e prevedibili anche nella loro durata.<br />

3. Strutturazione delle attività<br />

Le attività giornaliere dovrebbero configurarsi come una miscela armonica di interventi in aree<br />

diverse e con modalità diverse (individuali e di gruppo).<br />

1. All’interno della sequenza dell’attività, inserire spesso periodi di «riposo», anche tra un’attività e<br />

l’altra. Non è necessario che siano particolarmente lunghi, l’importante è la regolarità e la<br />

prevedibilità.<br />

2. Alternare regolarmente attività individuali ad attività integrate con il gruppo degli alunni.<br />

2.1 Attività individuali, da definire, per quanto riguarda gli obiettivi e i livelli di difficoltà,<br />

sulla base delle valutazioni iniziali nel Piano Educativo Individualizzato. In questa parte di<br />

attività, si dovrebbe dare priorità alle seguenti aree di sviluppo:<br />

• Autonomia personale – autonomia sociale<br />

• Abilità cognitive<br />

• Comunicazione<br />

2.2 Attività integrate con la classe.<br />

Per quanto riguarda questa parte dell’attività, in cui si lavora con l’alunno integrato con gli<br />

altri alunni del gruppo classe, ci si può muovere su due strategie, che possono essere seguite<br />

in modo consequenziale o contemporaneo, in funzione delle risposte dell’alunno e della<br />

classe.


a. Strategia dei «piccoli gruppi»<br />

– Si parte dalle attività individuali, nelle quali si inseriscono 1 o 2 alunni del gruppo classe,<br />

quelli che più hanno capito la logica di questo tipo di attività e i bisogni e le caratteristiche<br />

del loro compagno autistico.<br />

– Questo piccolo gruppo lavora per un periodo in uno spazio specifico, finché ha raggiunto<br />

dei buoni livelli di stabilità e di collaborazione.<br />

– Il piccolo gruppo si trasferisce in aula, a contatto con gli altri alunni, in un nuovo spazio<br />

dedicato a questo gruppo per tale attività.<br />

– Si differenziano progressivamente e in modo graduale le attività del piccolo gruppo,<br />

introducendone di nuove, sempre più vicine a quelle che svolge la classe nel suo insieme.<br />

– Si differenzia progressivamente e in modo graduale la composizione del piccolo gruppo,<br />

cambiando qualche alunno.<br />

Questa strategia si armonizza particolarmente bene con attività didattiche della classe<br />

organizzate secondo la metodologia dell’«apprendimento cooperativo» in gruppi di 3/4<br />

alunni.<br />

b. Strategia dei «tutor»<br />

– Si parte dalle attività che normalmente svolge l’intera classe, integrando l’alunno autistico<br />

nel pieno delle attività:<br />

• scegliendo quelle attività più «compatibili» con le caratteristiche di quell’alunno;<br />

• adattando qualche aspetto dell’attività sulle caratteristiche dell’alunno (utilizzando anche le<br />

modalità della strutturazione dello spazio e del tempo);<br />

• affiancando sistematicamente all’alunno autistico uno o due tutor, alunni che siano in<br />

grado di aiutarlo con regolarità e costanza, ad agire nel contesto dell’attività integrata.<br />

Questi alunni tutor dovranno essere scelti accuratamente, più sulla base delle loro capacità di porsi<br />

in una corretta relazione di aiuto che non sulla competenza scolastica, nel senso del rendimento.<br />

4. Gestione della comunicazione e del comportamento<br />

a. Il linguaggio verbale che utilizziamo, sia nelle comunicazioni informali, sia in quelle più<br />

formali, legate alle attività, dovrà essere il più possibile semplice e ridondante, quasi fino<br />

alla ripetitività.<br />

b. Il linguaggio verbale può essere affiancato da un sistema di segni e simboli chiaro e<br />

costante: oggetti, immagini, fotografie, gestualità.<br />

c. È estremamente utile definire in modo individualizzato e peculiare un sistema di<br />

gratificazioni e di premi da utilizzare in modo costante e ritualizzato, per valorizzare<br />

l’impegno, la costanza nel lavoro e l’apprendimento. In alcuni casi può essere utile usare<br />

come gratificazione anche il lasciar fare all’alunno autistico un po’ dei suoi comportamenti<br />

stereotipati e ripetitivi.<br />

d. I comportamenti problematici, se vi sono, vanno gestiti come «crisi» che ogni tanto<br />

accadono e che, quando avvengono, devono essere gestite alla meno peggio, limitando i<br />

danni, ricorrendo, se possibile, all’opera dei compagni tutor. Alla classe andrebbe spiegato<br />

che queste «crisi» di comportamento strano (aggressivo, autolesivo, distruttivo, ecc.)<br />

possono avere dei significati: possono essere dei modi di comunicare qualche bisogno,<br />

desiderio o stato emotivo negativo, come paura o disagio per qualcosa. Oppure possono<br />

essere forme di gioco autostimolatorio particolarmente forte, che non ha funzione<br />

comunicativa. In questo modo si stimola la classe a cercare di «leggere» i significati di<br />

questi comportamenti, al di là dello spiegarli in modo semplicistico attribuendoli<br />

all’«<strong>autismo</strong>».<br />

5. Acquisizione e mantenimento delle abilità


Le caratteristiche cognitive dell’alunno autistico gli rendono difficile estendere le nuove<br />

acquisizioni a materiali, contesti, pensare a situazioni nuove. La sua rigidità lo porta ad agganciarsi<br />

rigidamente alle situazioni in cui ha lavorato. Per questo si dovrà cercare, con gradualità e cautela,<br />

di introdurre nelle situazioni delle varianti, dapprima deboli e poi via via più forti, in modo che le<br />

capacità si estendano ad un numero sempre maggiore di variabili della situazione, aumentando<br />

l’autonomia reale e, in prospettiva, il mantenimento della capacità acquisita.<br />

LA PAROLA AI GENITORI<br />

Presenteremo qui di seguito alcuni brevi stralci tratti dalle interviste ai genitori dei bambini autistici<br />

che hanno vissuto un’esperienza didattico-educativa all’interno della ex Sezione Speciale<br />

“Buricchi”. Le parole dei genitori sono riferite ai momenti di difficoltà, ai problemi che ancora<br />

persistono ma anche agli obiettivi raggiunti, ai timori vissuti nei momenti di cambiamento e a delle<br />

riflessioni sull’approccio TEACCH.<br />

(In riferimento al TEACCH) “Una convincente base teorica ci ha dato conferma di molte situazioni<br />

comportamentali che riscontriamo in O., aiutandoci a interpretarle. Non ultimo il messaggio della<br />

necessità di una presa in carico globale propugnata chiaramente all’approccio TEACCH, ci ha<br />

motivato a essere da stimolo alla collaborazione con le istituzioni e reso consapevoli della necessità<br />

di adeguarci alle scelte di intervento più diffuse e accreditate. Ormai O. è grande, gli anni sono<br />

passati. Ricordo il primo anno di regressione violenta, in qualche modo prevista, poi superata e i<br />

nostri interrogativi: Andrà volentieri a scuola o è un rituale a cui si è uniformata? Sicuramente O. è<br />

“cresciuta” anche indipendentemente dagli interventi, ha sperimentato contatti umani, rapporti<br />

diversificati e significativi con altre persone, ma forse avremmo potuto fare molto di più. Le sue<br />

“emergenze” sembrano essere molte anche se fino ad oggi non è stato possibile riuscire a<br />

svilupparne molte, malgrado l’impegno degli operatori. L’ambiente scolastico “vissuto” come luogo<br />

di attività e di crescita, e quello familiare come momento di riposo e di applicazione, continuano a<br />

sembrarci l’obiettivo da raggiungere”.<br />

Genitore di O.<br />

“Oggi si ha l’impressione che il TEACCH sia servito per controllare le crisi degli utenti, riportare<br />

l’ordine, ma non so fino a che punto e con quali precisi obiettivi si lavori ogni giorno… Secondo<br />

me tutto è troppo ordinato e i ragazzi hanno pochi stimoli… La scuola è importante non per<br />

assistere o per proteggere, ma per potenziare l’autonomia… In questi anni non ho visto risultati…<br />

naturalmente una madre non può sapere se ciò dipende dal proprio figlio o dai pochi stimoli. Ecco<br />

la necessità delle verifiche frequenti”.<br />

Genitore di T.<br />

“Alle elementari V. era “parcheggiato” in una stanza… Non aveva contatti con i bambini normali.<br />

Si è provato prima a portare lui per pochi minuti nella classe e poi a portare gli altri bambini nella<br />

stanza a lui assegnata. I tentativi sono falliti perché V. diventava aggressivo verso tutto e tutti e<br />

aveva crisi autolesionistiche… Ora, nella nuova scuola, con l’applicazione del TEACCH, V. è più<br />

tranquillo ed è migliorato; sta seduto a tavola anche a casa e non fa più confusione… E’ importante<br />

che la nostra scuola continui ad esistere”.<br />

Genitore di V.<br />

“Il nostro impatto con questa scuola è stato molto positivo e le nostre aspettative sono state<br />

rispettate, quindi anche le paure e le riserve iniziali sono scomparse… Mio figlio è molto cambiato;<br />

è più calmo, più coordinato nel fare le cose abituali di tutti i giorni. Noi speriamo che questa sezione<br />

continui a svolgere e anche a migliorare il lavoro fatto”.<br />

Genitore di F.


“Il primo impatto con la sezione speciale è stato positivo, vedendo che tipo di lavoro potevano<br />

svolgere per aiutare L. in direzioni mirate a migliorargli la vita. Il TEACCH gli è sicuramente<br />

giovato, aiutandolo a migliorare un po’ in tutto… Mi auguro che tutto questo possa andare avanti<br />

nell’interesse di L. e degli altri ragazzi, non vanificando il lavoro fatto dalle insegnanti che li<br />

seguono”.<br />

Genitore di L.<br />

“Durante il quarto anno della scuola elementare la permanenza di M. nella classe era diventata<br />

pressoché impossibile. L’insegnante di sostegno era costretta a “trasferirsi” con M. sempre più<br />

spesso nella Sezione speciale. E meno male, altrimenti l’alternativa erano i corridoi. E’ stata<br />

comunque un’esperienza molto bella sia per il rapporto che i bambini avevano con M. sia per<br />

l’impegno di tutte le insegnanti che hanno dimostrato sensibilità e senso del dovere… Il TEACCH è<br />

stata una bella esperienza, poiché ci ha aiutato a chiarire e risolvere tanti aspetti del<br />

“comportamento autistico”… Per il futuro ci aspettiamo che la Sezione speciale continui ad<br />

esistere… Questa tipologia di handicap non può essere integrata per decreto. Solo una Sezione<br />

speciale può dare delle risposte giuste ai ragazzi e alle famiglie. Se qualche momento di<br />

integrazione si deve creare perché le normative lo impongono, facciamolo pure, ma non sappiamo e<br />

non sapremo mai se nostro figlio le gradisce”.<br />

Genitore di M.<br />

“Noi abbiamo accolto con molto entusiasmo l’idea della Sezione speciale di creare un programma<br />

specifico, mirato al loro tipo di handicap, in un ambiente che permette di fare integrazione con le<br />

classi normali nei modi e nei tempi consentiti a seconda delle possibilità e/o disponibilità dei<br />

ragazzi. Nel caso di nostro figlio il TEACCH non ha risolto del tutto il problema<br />

dell’autolesionismo, ma nonostante ciò ci sembra più sereno e meno angosciato. Riguardo al futuro<br />

per noi è fondamentale che questo progetto continui, vada avanti e si evolva in meglio. L’idea di<br />

dover inserire nuovamente nostro figlio in una classe normale ci terrorizza. Verrebbe<br />

semplicemente “parcheggiato” senza apportare nessun miglioramento né da un punto di vista<br />

didattico, né relazionale; sarebbe terribile sia per noi ma soprattutto per lui”.<br />

Genitore di F. M.<br />

“Qualunque soluzione possa attuarsi deve rappresentare una risposta a bisogni specifici e può avere<br />

significato solo se riesce ad attuarsi una rete di responsabilità e di collaborazione fra gli enti<br />

coinvolti, compresa la famiglia, offrendo risorse umane che abbiano adeguata formazione e<br />

motivazione. Per quanto riguarda il futuro, mi immagino una scuola che pur portando avanti la<br />

didattica, offra la possibilità ai ragazzi normali di vivere come arricchimento il contatto con persone<br />

diverse, con altri codici, altri valori, altri bisogni”.<br />

Genitore di O.<br />

Fonte: Ianes D. (2002), L’approccio psicoeducativo TEACCH, «L’educatore», Anno XLIX, n. 23, pp. 32-37.


Seminario tecnico Erickson: L’approccio TEACCH al ritardo mentale e all’<strong>autismo</strong><br />

Trento, 1-2 dicembre 2001<br />

INTERVISTA A ERIC SCHOPLER<br />

Founder and Co-Director Division TEACCH – University of North Carolina<br />

Come fondatore del TEACCH, il programma per il trattamento e l’educazione dei bambini<br />

autistici e con problemi di comunicazione, lei è testimone dell’evoluzione che questo approccio<br />

ha subito in oltre tren’anni. Quali sono i principi più importanti e i metodi di insegnamento<br />

che meglio di altri hanno resistito nel tempo?<br />

L’<strong>autismo</strong> è un disturbo dello sviluppo che solitamente ha bisogno di speciali considerazioni<br />

durante tutto l’arco di vita di un individuo. Al momento attuale noi non abbiamo una “cura”, ma<br />

molte persone stanno lavorando e facendo ricerche per trovarla. Ho imparato che il modo in cui i<br />

genitori vedono e vivono l’<strong>autismo</strong> è il singolo fattore più importante che continua a modellare e a<br />

fornire informazioni al nostro programma di trattamento e alla nostra ricerca. Questo sta a<br />

significare che noi abbiamo una modalità relazionale di lavoro basata sulla collaborazione, dove i<br />

professionisti possono imparare dai genitori, usare l’esperienza unica che i genitori posseggono<br />

rispetto ai loro bambini e dove, allo stesso modo, noi come professionisti possiamo offrire ai<br />

genitori le nostre conoscenze e la nostra esperienza che abbiamo maturato negli anni, lavorando con<br />

molti bambini autistici. Noi abbiamo genitori che ci aiutano nel definire quelle che sono le priorità<br />

all’interno del programma. Assieme ci focalizziamo sullo sviluppo del programma scolastico da<br />

seguire, sui campi estivi, sulle comunità alloggio, sui programmi prescolari e di sostegno<br />

occupazionale.<br />

La prospettiva dei genitori fornisce quindi utili informazioni al nostro training multidisciplinare<br />

proprio del modello globale. Questo significa che noi ci aspettiamo dai nostri operatori, sia che essi<br />

siano operatori sociali, educatori, psicologi, terapisti del linguaggio o psichiatri, di avere una<br />

conoscenza operativa dei problemi connessi all’<strong>autismo</strong> e non solamente uno speciale punto di vista<br />

che essi hanno potuto acquisire nel loro per<strong>corso</strong> scolastico-professionale.<br />

La maggior parte della nostra ricerca è volta a risolvere problemi connessi proprio alla prospettiva<br />

genitoriale. E’ vero che ci sono alcuni genitori che credono di avere potere decisionale in questioni<br />

legate ai servizi, alla ricerca, alle priorità nel trattamento senza la necessità di una collaborazione<br />

con i professionisti, ma io credo che questo atteggiamento non faccia altro che rendere il loro sforzo<br />

ancora più difficile e in salita di quanto già non lo sia se c’è una buona collaborazione con i<br />

professionisti.<br />

Che cosa non è resistito al trascorrere del tempo?<br />

Fin dall’inizio ho imparato che la ricerca di speciali tecniche di trattamento e di possibili cure era al<br />

centro dell’interesse da parte di molti professionisti e ricercatori e questo era certamente un<br />

qualcosa di desiderabile sia da parte nostra, sia da parte dei genitori. Tuttavia ho imparato che<br />

troppo spesso quelle ricerche si basavano più sugli aspetti relativi alla loro “commercializzazione”<br />

piuttosto che sui risultati effettivi. I risultati promessi da giornalisti o altri promotori non erano


supportati da un’effettiva esperienza. Le innumerevoli tecniche specifiche che sono nate durante<br />

questi trent’anni, hanno in comune le seguenti caratteristiche:<br />

1. Solitamente sono basate su un’idea altisonante.<br />

2. Vengono solitamente riportati un paio di casi aneddotici, come esempio di cure efficaci e<br />

miracolose (gli entusiasmi degli studi pilota iniziali) senza però presentare gli aspetti<br />

negativi e i costi<br />

3. Nessuna di queste tecniche è stata efficace con tutti i bambini autistici.<br />

Ad esempio l’impiego di Fenilfluramine venne inizialmente portato all’attenzione pubblica con un<br />

caso pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, poiché si riteneva che l’impiego di tale<br />

farmaco avesse raddoppiato il Q.I. del bambino: ma questo risultato non venne più replicato. La<br />

comunicazione facilitata è stata ampiamente presentata come un importante passo avanti nella<br />

comunicazione. Non era però stata presa in considerazione quella parte di ricerca che mostrava<br />

come la maggior parte della comunicazione è prodotta dal facilitatore, non dal bambino. Allo stesso<br />

modo non hanno trovato fondamento le dichiarazioni di abuso sessuale mosse contro genitori e<br />

operatori da parte di molti sostenitori della comunicazione facilitata.<br />

Ci sono altri principi e metodi di insegnamento che hanno resistito nel tempo?<br />

Ci sono altri sei principi che hanno guidato il nostro approccio TEACCH sia nell’ambito della<br />

ricerca che dei servizi offerti. Questi sono:<br />

1) L’<strong>autismo</strong> di solito comporta un duro impegno nell’intero arco di vita. Il nostro obiettivo è quello<br />

di migliorare l’adattamento dell’individuo i due modi: primo, potenziando le abilità adattive con le<br />

migliori tecniche disponibili e, secondo, quando ci si trova di fronte a un deficit particolarmente<br />

grave, adeguando l’ambiente a tale limitazione. Il nostro approccio promuove entrambi questi<br />

impegni, assieme a:<br />

2) Un assessment individualizzato di ogni paziente, sia formale – i migliori e più appropriati test<br />

disponibili – sia informale – cioè la più accurata osservazione da parte di insegnanti, genitori e<br />

chiunque altro abbia regolari contatti con il bambino. In altre parole, è necessaria una comprensione<br />

ottimale dei problemi e dei punti di forza di ogni soggetto per identificare il migliore trattamento<br />

individualizzato possibile.<br />

3) Per la maggior parte dei soggetti colpiti da <strong>autismo</strong> o disturbo generalizzato dello sviluppo,<br />

potenzire gli strumenti in grado di mettere a frutto le loro capacità nell’elaborazione visiva per<br />

superare difficoltà in quella uditiva, nelle capacità organizzative e di memoria. Queste si sono<br />

rivelate le più indicate nell’insegnare ad apprendere autonomamente e a prevenire problemi di<br />

comportamento. Tali strumenti possono essere utilizzati a scuola, a casa e nell’ambiente lavorativo;<br />

inoltre, possono essere attenuate a seconda delle esigenze.<br />

4) I più efficaci approcci all’insegnamento consistono nel potenziamento delle abilità dei bambini e<br />

nel riconoscimento e accettazione dei loro limiti. Tale priorità è particolarmente importante per i<br />

bambini, oltre che per gli adulti, per i genitori, per l’équipe curante e per tutti gli altri.<br />

5) Gli interventi più validi si basano sulle teorie cognitivo-comportamentali. Tengono in<br />

considerazione le differenze evolutive e permettono di lavorare su motivazione, comunicazione<br />

spontanea e interazioni sociali.<br />

6) Formazione di esperti su di un modello globale, indicando con ciò la capacità di affrontare<br />

l’intera gamma di problemi legati all’<strong>autismo</strong>, indipendentemente dalla preparazione specifica. Ciò<br />

permette a ognuno di occuparsi responsabilmente di un bambino nella sua globalità, a prescindere<br />

dalla competenza professionale. Dà la possibilità di consultare specialisti quando necessario. E,


soprattutto, favorisce l’assunzione del punto di vista dei genitori, dato che da loro ci si aspetta una<br />

tipologia di azione “globale”, sia che il loro figlio necessiti o meno di bisogni speciali.<br />

Per questo, la miglior proposta di trattamento sta nella selezione di possibilità terapeutiche<br />

personalizzate, combinando la decisione genitoriale con una buona collaborazione professionale.<br />

Spesso i genitori si trovano di fronte a una miriade di trattamenti e proposte educative tra i<br />

quali bisogna scegliere per i propri figli programmi e terapie spesso in netto contrasto tra<br />

loro. Quale consiglio si sente di dare ai genitori per aiutarli a vagliare le scelte più indicate per<br />

i propri figli?<br />

Il miglior consiglio a lungo termine è quello di entrare a fare parte di un sistema di supporto<br />

comunitario che sia praticabile ed efficiente anche in termini di costi, sulla traccia della nostra<br />

esperienza in North Carolina. In questo contesto, tuttavia, è necessario continuare a cercare e a<br />

mettere alla prova le nuove tecniche di trattamento, valutandole in base alla ricerca di tipo empirico<br />

e a un’osservazione razionale. Bisogna rendere queste valutazioni e questi studi accessibili ai<br />

genitori quanto prima. Ciò permetterà loro di inserire nella gerarchia delle priorità esistenti una<br />

nuova tecnica di trattamento o di decidere se, invece, incorporarla al programma già seguito dal<br />

figlio.<br />

Sulla scia dei sostanziali cambiamenti avvenuti recentemente e che continuamente avverranno<br />

in relazione al trattamento dell’<strong>autismo</strong> (ad esempio il TIA - Training per l’Integrazione<br />

Uditiva, la CF - Comunicazione Facilitata, ecc.), quali cambiamenti prevede per il futuro?<br />

Attualmente c’è un numero crescente di progetti di ricerca e di giovani che si avvicinano a questo<br />

campo di studi. Questa è una svolta formidabile che porterà a una migliore comprensione e<br />

trattamento dell’<strong>autismo</strong>. Allo stesso tempo però si apre spazio a uno sviluppo senza controllo, in<br />

cui potenziali metodologie sono complicate o sostituite da ideologie politiche. Credo che ciò stia<br />

avvenendo nella CF e in altri metodi diffusi ben oltre quanto ragionevolmente sostenibile in base ai<br />

dati sulla loro efficacia. Questa politicizzazione di certe tecniche ipersemplifica il problema,<br />

ostacola la scelta da parte dei genitori, beneficia pochi promotori ed è potenzialmente dannosa per i<br />

clienti, le loro famiglie e l’intera comunità.<br />

Riprendendo la domanda precedente, crede che il TIA e la CF saranno mai incorporati al<br />

programma TEACCH?<br />

Come ho detto poco prima, nuove ricerche pilota sono certamente incoraggiate nel programma<br />

TEACCH, e le famiglie con cui lavoriamo hanno partecipato a programmi sperimentali come il<br />

TIA, la CF e molti altri. Tuttavia, finché non saranno pratiche consolidate, le consideriamo<br />

programmi sperimentali e cerchiamo di non far prendere loro il posto dell’approccio educativo<br />

basato sul senso di comunità che sappiamo essere efficace.<br />

La controversia riguardo la CF è cresciuta continuamente, soprattutto dopo alcune<br />

trasmissioni televisive. Qual è il suo punto di vista sulla validità di questa tecnica?<br />

La CF è stata divulgata in maniera davvero irresponsabile, con pretese di alti livelli di<br />

comunicazione che, in realtà, partono dall’agente facilitante piuttosto che dal soggetto; è stata<br />

addirittura usata per accuse di abuso sessuale. Alcuni fautori della CF hanno dichiarato che “più del<br />

100%” dei bambini in situazione di handicap subiscono abusi sessuali entro il diciottesimo anno di


età. Affermano che a questi bambini non serve guardare la lavagna per comunicare perché sono<br />

telepatici. Sono molte le conseguenze distruttive di un simile atteggiamento, non ultima la<br />

negazione o l’ipersemplificazione della natura del deficit, che impedisce il reperimento del miglior<br />

sistema di comunicazione aumentativa per i bambini in grado di usarla e, in alcuni casi, rovinando<br />

famiglie accusate di abuso da questo processo irrazionale senza alcuna prova valida.<br />

Può spiegarci il sistema di valutazione CARS e come è nato questo strumento diagnostico?<br />

Ai tempi in cui entrai nel campo, la diagnosi di <strong>autismo</strong> poteva essere fatta esclusivamente da uno<br />

psichiatra altamente specializzato che, nella maggior parte dei casi era anche uno psicoanalista di<br />

scuola freudiana. La diagnosi era soggettiva e costosissima per i genitori. Spesso si basava su<br />

presupposti psicoanalitici sbagliati e inadeguati. Abbiamo sviluppato la Childhood Autism Rating<br />

Scale (CARS) nei primi anni ’70, per stabilire un sistema diagnostico basato sul comportamento<br />

osservato anziché sulle supposizioni; uno strumento che potesse essere utilizzato in modo affidabile<br />

dai professionisti e in cui la diagnosi fosse trasparente e riscontrabile.<br />

La CARS usa 15 scale compilabili in base all’osservazione diretta, ai colloqui con i genitori, a<br />

valutazioni e alla cartella clinica. È stata sottoposta a verifica in molti studi pubblicati e ho il piacere<br />

di riferirvi che le sue proprietà psicometriche sono state diffusamente comprovate come più<br />

affidabili e valide rispetto a ogni altra scala attualmente disponibile.<br />

Come vede questo attuale e crescente interesse per l’integrazione?<br />

I termini integrazione e inclusione, sono utilizzati in modo diverso dalle persone. Generalmente<br />

questi e altri termini si riferiscono alla partecipazione alla vita normale della comunità non disabile.<br />

Credo che l’inserimento nella comunità sia stato fin dall’inizio la base dell’approccio TEACCH e<br />

un aspetto fondamentale di ogni nostro obiettivo di trattamento e di ogni nostra prassi.<br />

L’integrazione funziona meglio quando deriva dalla collaborazione genitori-scuola.<br />

La Autism Society of North Carolina ha una notevole rete di programmi ausiliari e di servizi<br />

per genitori, professionisti e per la popolazione autistica. Nell’imminente futuro è in<br />

previsione anche l’apertura di un nuovo campo estivo, e la società gode di sussidi statali e<br />

federali che non hanno paragone nel panorama americano. Come si è sviluppato un tale<br />

network?<br />

Ho lavorato strettamente con l’Autism Society of America (ASA) sin da quando è stata fondata con il<br />

nome National Society for Autistic Children (NSAC). Probabilmente sono stato l’unico<br />

professionista ad aver presieduto la PPA (Panel of Professional Advisors) in due distinte occasioni.<br />

Durante la mia lunga collaborazione con l’ASA ho imparato cosa era utile e cosa no. Molta di<br />

questa esperienza è risultata importante quando ho aiutato le nostre famiglie a costituire l’ANSC<br />

(Autism Society of North Carolina), la nostra associazione statale. Questo ci ha portato ai più<br />

importanti traguardi. Il successo tanto dell’ASNC quanto del TEACCH deriva dalla continua<br />

collaborazione genitore-professionista cui si aggiungono l’Università del North Carolina e la sfera<br />

legislativa. Abbiamo lavorato assieme allo sviluppo dei servizi migliori, delle ricerche più<br />

importanti e nella formazione multidisciplinare secondo il modello globale. Ciò ha costantemente<br />

catturato l’interesse di genitori, esperti e accademici di talento che hanno promosso la prospettiva di<br />

scambio famiglia-operatore con interesse genuino e grande competenza. I risultati sono programmi<br />

efficaci a costi ridotti, relativamente pochi guai legali, e un continuo sostegno da parte di Università


e Stato. Qualcuno ha considerato tale sviluppo esclusivo del North Carolina; tuttavia, noi lo<br />

vediamo replicato sempre più spesso in altri Stati e Paesi.<br />

A livello personale, sta lavorando a qualche nuovo progetto? Le capita mai di collaborare con<br />

sua moglie Margaret Lansing, che è una specialista dell’educazione?<br />

Mia moglie Margaret è stata coautrice assieme a me di una serie di pubblicazioni ed è stata il mio<br />

modello maggiormente presente di “operatore globale”. I nostri lavori hanno riguardato l’aiuto alle<br />

famiglie con problemi di <strong>autismo</strong>, lo sviluppo del programma TEACCH, lo scrivere insieme libri<br />

sulle strategie di insegnamento, il far crescere cinque figli e nove nipotini, la gestione di una piccola<br />

fattoria, l’allevamento di pesci-gatto e lo sviluppo di una piccola comunità agricola.<br />

Ora che i nostri colleghi più giovani si sono presi il carico di portare avanti il programma TEACCH,<br />

noi stiamo concentrando il nostro tempo e i nostri interessi più sullo scrivere e sul far conoscere il<br />

nostro approccio in altri Paesi.<br />

Questa intervista è tratta da http://www.teacch.com


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L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

RICERCA ITALIANA<br />

L’approccio TEACCH:<br />

esperienze ambulatoriali, domiciliari<br />

e scolastiche con un gruppo di bambini autistici<br />

GIUSEPPE M. ARDUINO<br />

NADIA AVAGNINA<br />

Psicologi, ASL 16 Mondovì-Ceva<br />

ELENA DANNA<br />

LUCIANO DESTEFANIS<br />

Logopedisti, ASL 16 Mondovì-Ceva<br />

ELISABETTA GONELLA<br />

SIMONA PEIRONE<br />

Psicologhe, ASL 16 Mondovì-Ceva<br />

CLEA TERZUOLO<br />

Educatore professionale,<br />

ASL 16 Mondovì-Ceva<br />

S OMMARIO<br />

Viene presentata un’esperienza svolta con sei bambini e adolescenti<br />

autistici, in cui l’approccio TEACCH è stato utilizzato,<br />

insieme ad altre metodologie, all’interno di un progetto<br />

abilitativo e educativo concordato tra operatori sanitari,<br />

scuola e famiglia. Le strategie di intervento utilizzate vengono<br />

esemplificate attraverso la presentazione di alcune delle<br />

modalità concrete messe in atto nei sei casi, nei contesti del<br />

Centro Riabilitativo, della scuola e presso il domicilio della<br />

famiglia.<br />

L’<strong>autismo</strong> viene oggi considerato, nelle principali classificazioni internazionali<br />

(DSM-IV e ICD-10), un disturbo dello sviluppo psicologico, di probabile natura<br />

biologica, che si manifesta con compromissione dell’interazione sociale e della comunicazione<br />

e con comportamenti ripetitivi e stereotipati. A questa triade sintomatologica si<br />

affiancano alterazioni in diverse funzioni cognitive (soprattutto attenzione e percezione),<br />

difficoltà nel gioco simbolico e nell’apprendimento . 1<br />

Numerosi sono stati gli approcci clinici, abilitativi e educativi proposti per affrontare<br />

l’<strong>autismo</strong>: sino a oggi, non è però disponibile alcuna cura, anche perché l’eziologia<br />

di questo disturbo non è ancora conosciuta. Si ritiene tuttavia che i disturbi pervasivi<br />

dello sviluppo (categoria più generale che comprende i vari autismi) 2 rappresentino<br />

un’ampia categoria di disabilità che possono essere secondarie a malattie diverse e<br />

possono manifestarsi in modi differenziati, pur condividendo la triade sintomatologica<br />

citata in precedenza.<br />

Difficoltà di apprendimento<br />

Vol. 8, n. 1, ottobre 2002 (pp. 85-102)<br />

Edizioni Erickson Trento<br />

ISSN 1123-928X<br />

ISSN 0393–8859xxxx<br />

85


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

L’eterogeneità con cui si manifestano questi disturbi implica che non si possa<br />

applicare a tutti i bambini autistici lo stesso tipo di trattamento o programma abilitativo.<br />

È infatti riconosciuta la necessità di programmi abilitativi individualizzati che tengano<br />

conto delle potenzialità del bambino senza dimenticare le peculiarità del disturbo;<br />

inoltre, il programma abilitativo dovrebbe essere costruito e condiviso con la famiglia e<br />

la scuola e avere tra i suoi principali scopi l’integrazione del bambino nei suoi sistemi<br />

di vita.<br />

Tra gli approcci che, negli ultimi trent’anni, si sono posti l’obiettivo di rispondere<br />

ai bisogni dei soggetti autistici e delle loro famiglie, quello che si è distinto maggiormente<br />

per il rigore metodologico e l’efficacia è sicuramente il Programma TEACCH (Treatment<br />

and Education of Autistic and related Communication handicapped Children).<br />

Il programma TEACCH nasce nella Carolina del Nord ad opera di Eric Schopler e<br />

della sua équipe 3 e rappresenta una modalità di presa in carico globale della persona<br />

autistica o con disturbo pervasivo dello sviluppo: consiste infatti in un sistema di servizi<br />

che comprende scuole, centri riabilitativi, strutture e case-famiglia per adulti.<br />

All’interno del Programma TEACCH sono state messe a punto metodologie<br />

educative e strategie abilitative, il cui impiego si è da tempo diffuso anche in Italia . 4<br />

Da alcuni anni l’approccio rappresenta uno dei principali riferimenti metodologici<br />

dell’Ambulatorio per l’Autismo in cui operiamo, presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria<br />

Infantile dell’ASL 16 Mondovì-Ceva, in Piemonte. Ben presto, nella nostra<br />

esperienza, ci siamo trovati di fronte alla difficoltà di contestualizzare, nella nostra<br />

realtà, metodologie nate all’interno di un programma nordamericano di servizi per<br />

l’<strong>autismo</strong>. I punti critici sono stati soprattutto: come utilizzare, ai fini dell’integrazione<br />

scolastica, le strategie proposte dall’approccio TEACCH? come mettere in atto, in<br />

modo concreto, il principio della condivisione del programma educativo-abilitativo tra<br />

servizio sanitario, scuola e famiglia?<br />

Per rispondere a questi quesiti abbiamo avviato, nel 1998, un progetto sperimentale<br />

dal titolo «Il bambino che scende dalla luna: <strong>autismo</strong> e interventi territoriali»,<br />

finanziato dalla Regione Piemonte, che ha previsto una stretta collaborazione con le<br />

famiglie e gli insegnanti anche attraverso interventi di operatori sanitari (educatore<br />

professionale e psicologhe borsiste) a domicilio e a scuola. Questa esperienza, che non<br />

possiamo descrivere nei particolari in questa sede, 5 ci ha consentito di mettere in atto,<br />

con la collaborazione di genitori e insegnanti, alcune strategie proposte dall’approccio<br />

TEACCH.<br />

Nelle pagine che seguono, descriveremo le modalità attraverso cui sono stati<br />

realizzati due aspetti portanti dell’approccio TEACCH: la strutturazione del tempo e<br />

dello spazio e le strategie per sviluppare la comunicazione ricettiva ed espressiva. Le<br />

esemplificazioni che porteremo riguardano 6 bambini e ragazzi seguiti a livello ambulatoriale,<br />

a scuola e a domicilio.<br />

86


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

Precisiamo ancora che l’approccio TEACCH viene utilizzato dall’ambulatorio in<br />

sinergia con altre metodologie, quali l’AERC di Zappella, 6 la comunicazione aumentativa<br />

e alternativa, 7 il Metodo Portage 8 e interventi psicomotori e logopedici. Ciò avviene<br />

tenendo conto delle caratteristiche del bambino e della realtà scolastica e familiare,<br />

all’interno di un’ottica di tipo sistemico e di rete, che vede nell’interazione e collaborazione<br />

tra i vari sistemi coinvolti il fulcro dell’intervento. 9<br />

Alcuni principi guida del TEACCH<br />

Il TEACCH, come già abbiamo sottolineato, non è un metodo di trattamento<br />

dell’<strong>autismo</strong>, ma una globalità di servizi e insieme una particolare modalità di intervento:<br />

potremmo, in questo senso, parlare di «filosofia TEACCH» fondata su alcuni<br />

fondamentali principi guida, che esponiamo di seguito. 10<br />

1. Collaborazione con la famiglia: se gli operatori professionali sono esperti di<br />

bambini, di <strong>autismo</strong> e di trattamenti educativi speciali, i genitori sono, dal canto<br />

loro, i migliori esperti del proprio bambino; da un’efficace collaborazione si<br />

possono quindi ottenere i risultati migliori.<br />

2. Personalizzazione dell’intervento: ogni bambino autistico è unico, e per questo<br />

l’approccio TEACCH non propone un per<strong>corso</strong> rigido da applicare passo per<br />

passo a tutti i bambini, ma fornisce linee e strumenti per individuare i punti di<br />

forza, gli stili di apprendimento, le difficoltà, gli obiettivi e le priorità di ciascuno.<br />

3. Diagnosi e valutazione precisa: una diagnosi corretta (secondo i criteri del DSM-<br />

IV 11 o dell’ICD-10) 12 è essenziale ai fini dell’intervento, così come esso non può<br />

prescindere da una precisa conoscenza delle abilità del bambino in aree<br />

essenziali: imitazione, percezione, motricità fine, motricità globale, coordinazione<br />

occhio-mano, capacità cognitive e capacità verbali; si valutano inoltre le<br />

modalità di interazione sociale e di comunicazione. Nell’esperienza che presentiamo,<br />

tutti i bambini sono stati diagnosticati secondo le codifiche ICD-10, su<br />

cinque assi; la valutazione funzionale è stata invece fatta attraverso la somministrazione<br />

del test PEP-R, 13 ripetuta a distanza di un anno, e tramite la<br />

checklist del Metodo Portage.<br />

4. Programmazione: il lavoro educativo con il bambino autistico si svolge in tutti<br />

i suoi ambienti di vita: non solo, quindi, in ambulatorio, ma anche e soprattutto<br />

a casa e a scuola. Coinvolge tutte le aree indagate in fase di valutazione<br />

privilegiando quelli che sono i punti di forza del bambino piuttosto che le sue<br />

carenze: si promuove l’uso indipendente di quelle capacità che il bambino ha<br />

mostrato di possedere e lo sviluppo di quelle apparse come «emergenti», ovvero<br />

in fase di acquisizione.<br />

87


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

Gli obiettivi educativi — a lungo, medio e breve termine — vengono individuati<br />

nelle aree funzionali dell’autonomia, della socializzazione, della comunicazione,<br />

dell’apprendimento e del tempo libero.<br />

5. Strutturazione: nell’insegnare al bambino autistico occorre venire incontro alle<br />

peculiari modalità di essere e di agire proprie della persona con <strong>autismo</strong>:<br />

occorre progettare e organizzare lo spazio fisico e lo scorrere del tempo per<br />

aiutarlo a comprendere cosa ci si aspetta da lui in un dato momento, dove dovrà<br />

impegnarsi, per quanto tempo, cosa succederà dopo. I mezzi utilizzati, che<br />

tengono conto delle «aree forti», sono solitamente di tipo visivo: fotografie,<br />

disegni, oggetti o etichette scritte. È bene, inoltre, eliminare o ridurre stimoli<br />

potenzialmente in grado di distrarre il bambino e preparare compiti che «parlino<br />

da soli», suggerendogli cosa fare e come.<br />

Nei prossimi paragrafi ci soffermeremo su aspetti metodologici — come la strutturazione<br />

del tempo e dello spazio — e su uno degli ambiti a nostro parere più importanti<br />

su cui centrare l’intervento abilitativo, quello della comunicazione. Porteremo poi delle<br />

esemplificazioni, tratte dalla nostra esperienza, per ciascuno di questi temi.<br />

La strutturazione del tempo e dello spazio<br />

I soggetti affetti da <strong>autismo</strong> incontrano generalmente notevoli difficoltà nel comprendere<br />

le richieste fatte da altri; una difficoltà fondamentale è inoltre quella di<br />

riconoscere alle diverse attività un significato socialmente condiviso, significato che<br />

normalmente costituisce la molla dell’apprendimento. 14<br />

L’adattamento dell’ambiente, attraverso la chiarificazione e strutturazione dello<br />

spazio e del tempo, permette una maggiore leggibilità e prevedibilità delle situazioni e<br />

riduce pertanto le difficoltà di comprensione. 15<br />

La strutturazione dello spazio ha lo scopo di rendere chiaro al bambino dove si<br />

intende proporgli un’attività. Lo spazio — in qualunque luogo si trovi: casa, scuola,<br />

centro riabilitativo — deve sempre essere ben organizzato in modo da ridurre ambiguità<br />

e imprevisti: il bambino autistico, infatti, comprende meglio ed è più collaborativo se lo<br />

spazio di lavoro è ben definito, sempre lo stesso e non presenta stimoli che possano<br />

distrarlo. Il soggetto dovrà quindi riconoscere chiaramente, nei diversi ambienti di vita,<br />

lo spazio in cui sedersi per lavorare a tavolino, quello in cui giocare nel tempo libero,<br />

dove mangiare, ecc. trovandolo fisicamente definito con l’aiuto di sedie, tavolini,<br />

divisori, etichette personalizzate, tappeti e altro.<br />

L’organizzazione attenta della struttura favorisce anche l’emergere di comportamenti<br />

sociali: mediante l’aiuto dei compagni di scuola, degli insegnanti e di altri<br />

operatori scolastici da una parte, della famiglia e degli amici dall’altra, è possibile<br />

88


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

insegnare ai bambini autistici a condividere un gioco, a rispettare l’attesa durante<br />

un’attività e a rispettare le regole.<br />

La strutturazione temporale chiarisce al bambino quando fare una determinata<br />

cosa, con quale sequenza e per quanto tempo.<br />

Lo scopo è quello di aiutarlo a comprendere cosa abbiamo intenzione di proporgli<br />

in un dato momento, che tipo di attività si troverà di fronte, per quanto tempo dovrà<br />

svolgerla e cosa vogliamo che lui faccia successivamente. Si tratta, cioè, di rendere<br />

visibile il susseguirsi delle attività durante lo scorrere della giornata, cercando a priori<br />

di limitare al massimo gli imprevisti. Così facendo si aumenta la collaborazione da parte<br />

di un bambino non più in balia degli eventi, ma in grado di capire cosa gli succederà in<br />

un determinato arco della giornata.<br />

Strategie per sviluppare la comunicazione<br />

La capacità di comunicare nell’<strong>autismo</strong> è, per definizione, qualitativamente alterata<br />

(DSM-IV). Il linguaggio può essere completamente assente e, se presente, scarsamente<br />

utilizzato a scopo comunicativo. Presenta comunque sempre alterazioni: ecolalie,<br />

inversioni pronominali, alterazione della prosodia. Esiste un deficit specifico nella<br />

pragmatica della comunicazione e, anche nei soggetti verbali, spesso la comprensione<br />

è scarsa. I bambini autistici presentano quindi difficoltà sia sul versante ricettivo (della<br />

comprensione) sia su quello espressivo.<br />

La compromissione delle funzioni comunicative non è però la stessa in tutti i<br />

bambini, e la definizione di un progetto individualizzato richiede una valutazione<br />

specifica di questa area. Gli strumenti da noi precedentemente citati (PEP-R e checklist<br />

del Metodo Portage) danno alcune indicazioni a questo riguardo; altre valutazioni più<br />

specifiche sono possibili utilizzando griglie di osservazione costruite all’interno dell’approccio<br />

TEACCH 16 e altri strumenti.<br />

Alcuni approcci, tra cui il TEACCH 17 e la comunicazione aumentativa e alternativa,<br />

18 propongono l’uso di mezzi, anche diversi dal linguaggio, quali fotografie, oggetti,<br />

disegni, parole scritte, per incrementare le abilità comunicative. Tali strumenti possono<br />

essere utilizzati dal bambino e dalle persone del suo contesto, ai fini sia della comprensione<br />

che dell’espressione. Essi si basano sull’uso delle capacità visive del soggetto con<br />

<strong>autismo</strong> e prevedono il coinvolgimento della famiglia e della scuola e la creazione di un<br />

contesto di comunicazione naturale motivante. L’opportunità di usare tali strategie<br />

andrà valutata di volta in volta, partendo dalle abilità comunicative mostrate dal<br />

bambino, senza trascurare l’area verbale. Va detto che anche la strutturazione del tempo<br />

e dello spazio, di cui abbiamo parlato in precedenza, rappresentano strategie che<br />

favoriscono la comprensione.<br />

89


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

Esempi di casi<br />

Vediamo di seguito alcuni esempi relativi a bambini autistici il cui progetto<br />

abilitativo e educativo individualizzato è stato condotto, in collaborazione con la famiglia<br />

e gli insegnanti, seguendo i principi esposti sopra.<br />

Caso 1: Mariano<br />

Mariano ha 6 anni e una diagnosi di sindrome da alterazione globale dello sviluppo<br />

psicologico NAS (F 84.8 ICD-10). Mostra scarsa comprensione verbale; il linguaggio è<br />

ben sviluppato sotto l’aspetto fonologico, ma utilizzato in modo ecolalico. Presenta un<br />

ritardo cognitivo medio. Frequenta la scuola materna.<br />

La strutturazione del tempo è stata realizzata in primo luogo all’interno della scuola<br />

materna frequentata dal bambino. All’inizio è stata costruita un’«agenda giornaliera» 19<br />

relativa alle diverse attività svolte nella scuola, tramite fotografie degli ambienti e/o<br />

delle attività stesse attaccate al muro dell’aula e ordinate in senso cronologico dall’alto<br />

al basso (salone del gioco libero, attività a tavolino in sezione, gioco in sezione, pranzo<br />

alla mensa, gioco libero in salone, brandina del riposo pomeridiano, giochi in giardino,<br />

pulmino col quale Mariano ritorna a casa).<br />

All’ingresso nella scuola, il bambino trovava sul proprio armadietto un cubetto<br />

rosso che lo rimandava all’agenda, dove prelevava la prima delle fotografie ordinate di<br />

giorno in giorno dall’insegnante di sostegno e, recatosi dove questa lo inviava, la posava<br />

in un luogo prefissato e contrassegnato. Inizialmente il cubetto gli veniva consegnato,<br />

all’ingresso, dalla madre e, nel <strong>corso</strong> della giornata, dall’insegnante, che accompagnava<br />

poi il bambino all’agenda. Gradualmente il bambino ha iniziato a gestirsi in modo più<br />

autonomo prelevando, sulla base di «indizi ambientali» (per esempio il battimani<br />

dell’insegnante per richiamare i bambini) o su richiesta verbale, la fotografia che<br />

segnalava l’attività terminata, e, recatosi all’agenda, la posava nella scatola apposita e<br />

prelevava la foto successiva. In quest’ultimo anno inoltre, in modo graduale, le fotografie<br />

sono state sostituite da pittogrammi simbolici (PCS – Picture Communication Symbols di<br />

Mayer e Johnson) con la relativa scritta.<br />

Relativamente alla strutturazione dello spazio, segnaliamo l’uso di fotografie (ora<br />

sostituite da PCS) sulla porta dei bagni e dell’aula di pittura, e l’uso di contrassegni sulla<br />

sedia del bambino in sezione, in mensa e sul muro accanto al lettino nella stanza dove<br />

si svolge il riposo pomeridiano. Il contrassegno utilizzato è lo stesso che Mariano, come<br />

tutti i compagni, trova sul proprio armadietto, sul gancio dell’asciugamano, sulla sua<br />

scatola di pennarelli, ecc.<br />

La strutturazione dello spazio ha riguardato anche la sezione, in cui i bambini<br />

svolgono attività a tavolino e di gioco, così come gli altri ambienti della scuola materna.<br />

90


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

Ogni spazio, contrassegnato da una foto diversa, è destinato a uno specifico uso: al<br />

tavolino vengono fatte attività di apprendimento, un angolo della sezione è destinato al<br />

gioco libero, mentre il salone è dedicato alle attività motorie. Anche il suo banco in<br />

sezione prevede una strutturazione spaziale delle attività: i compiti da svolgere vengono<br />

posti alla sua sinistra e riposti, una volta terminati, alla sua destra.<br />

Queste strategie hanno consentito al bambino una maggiore collaborazione con<br />

l’insegnante e con i compagni e hanno ridotto i problemi di comportamento, in massima<br />

parte determinati da difficoltà di comprendere le consegne verbali.<br />

In sede di valutazione si è verificata la capacità del bambino di capire il significato<br />

delle immagini, che sono quindi state utilizzate come strumento di comunicazione,<br />

inizialmente sul piano della comprensione. Nei due principali ambienti di vita di Mariano,<br />

casa e asilo, sono state scattate fotografie relative alle principali attività che lo coinvolgono<br />

e utilizzate per rafforzare la sua comprensione accompagnandole alle richieste verbali.<br />

All’asilo sono state fatte fotografie del salone dei giochi, della sezione, della mensa,<br />

dei bagni; alcune sono poi state ordinate nell’agenda della giornata, altre lasciate a<br />

disposizione per comunicazioni più estemporanee (per esempio la proposta di andare al<br />

bagno). A casa sono state scattate fotografie della tavola apparecchiata, dei giochi, del<br />

bagno, di spazzolino e dentifricio, dell’automobile e altre. Fin dall’inizio si è osservata<br />

una maggiore comprensione da parte del bambino, che ha portato a una diminuzione<br />

delle crisi di pianto e rabbia, e una maggiore tranquillità e collaborazione alle varie<br />

proposte. Gradualmente, le fotografie sono state sostituite dai PCS, aventi una maggiore<br />

valenza simbolica.<br />

In successive sedute di valutazione, in un setting organizzato ad hoc, è stata<br />

verificata la possibilità, da parte di Mariano, di utilizzare le immagini per fare delle<br />

richieste; pertanto, sia nell’ambiente scolastico che in famiglia, ci si è organizzati in<br />

modo da favorire il loro utilizzo, ai fini non solo della comprensione ma anche della<br />

produzione. All’asilo, prima dei pasti, vengono dati a Mariano dei PCS raffiguranti i<br />

piatti del giorno, e il bambino, con l’aiuto dell’insegnante, li mostra alla cuoca per fare<br />

le sue richieste; anche i compagni sono coinvolti in questo «gioco». La stessa procedura<br />

viene seguita per i pasti a casa; qui, inoltre, etichette di vari cibi sono state attaccate sul<br />

frigo e sui mobili della cucina in modo che Mariano possa indicarle quando desidera<br />

qualcosa. I suoi giochi sono stati collocati su una mensola a un’altezza non raggiungibile<br />

dal bambino, al di sotto della quale sono stati incollati i corrispondenti PCS: per avere<br />

i giochi, Mariano deve indicare la figura corrispondente. In tutte queste situazioni,<br />

l’adulto di riferimento rinforza la comunicazione prodotta da Mariano indicando a sua<br />

volta la figura e pronunciando il termine corrispondente.<br />

Da alcuni mesi Mariano ha iniziato a usare i PCS per comporre delle semplici frasi<br />

del tipo: «Io voglio…», «Io gioco…», mostrando di saperle generalizzare in diversi<br />

contesti. A scuola li utilizza anche per comunicare e giocare con i suoi compagni; per<br />

91


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

esempio, chiede le tessere che gli servono per completare il tabellone della tombola, o,<br />

al contrario, le consegna lui stesso quando i compagni gliele chiedono con questa<br />

modalità. A casa usa frasi composte con i PCS soprattutto per fare richieste di giochi o<br />

dei cibi preferiti.<br />

In seguito all’introduzione di questa modalità comunicativa, Mariano ha incominciato<br />

a esprimere verbalmente molte richieste, utilizzando frasi articolate anche in<br />

assenza del supporto visivo.<br />

Caso 2: Rino<br />

Rino ha 15 anni e una diagnosi di <strong>autismo</strong> infantile (F84.0) associato a ritardo<br />

mentale grave; il linguaggio verbale è assente e la comprensione limitata a situazioni di<br />

routine. Frequenta la terza media. Per questo caso, caratterizzato da una notevole<br />

gravità, la strutturazione sia del tempo che dello spazio, in particolare nell’ambiente<br />

scolastico, è stata piuttosto rigida.<br />

La strutturazione dello spazio è stata realizzata, a scuola, individuando tre «ambienti»<br />

ben precisi nell’aula dove si svolgono le attività individualizzate (altre aule sono<br />

destinate ad attività svolte con i compagni di classe). Si è preparato un tavolo di lavoro<br />

composto da un banco centrale e, perpendicolari ad esso, due tavolini a sinistra e a<br />

destra dove porre rispettivamente i lavori da svolgere e i lavori terminati. Nell’angolo<br />

opposto della stanza si trova un lettino con accanto una panca sulla quale sono posti il<br />

registratore e alcuni giornali: è l’angolo del tempo libero e del riposo. Al centro dell’aula<br />

vi è poi un altro tavolino con due sedie poste frontalmente: si tratta del tavolo dove Rino<br />

consuma la sua merenda durante l’intervallo.<br />

A casa la strutturazione dello spazio è più flessibile ed è basata sulle esigenze del<br />

ragazzo e della comunità familiare che lo ha in affido. A tavola, siede sempre allo stesso<br />

posto individuato dal suo bicchiere giallo, consuma sempre la merenda a un tavolino in<br />

cucina; per il tempo libero Rino ha «scelto» tre posti ben precisi: il suo letto, dove riposa<br />

dopo pranzo; una poltrona in sala vicino allo stereo e al portariviste; il balcone o il<br />

giardino dove può liberamente correre. Inoltre, durante l’intervento a domicilio, è stato<br />

individuato sul tavolo, al lato opposto rispetto a quello dei pasti, uno spazio destinato ai<br />

giochi (chiodini e Lego).<br />

Relativamente alla strutturazione del tempo, anche per Rino è stata costruita a<br />

scuola una piccola agenda relativa alle attività della mattinata, costituita principalmente<br />

da oggetti, «simboli» per lui più comprensibili rispetto alle immagini: un cubetto per<br />

le attività a tavolino, un parallelepipedo in legno su cui è incollato il disegno di una<br />

musicassetta per il tempo libero, le scarpe da ginnastica per la palestra, un rotolo di<br />

carta igienica, dei cartoncini col disegno di cracker e acqua per l’intervallo. Gli oggetti<br />

sono collocati in ordine temporale su mensole disposte dall’alto verso il basso e<br />

92


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

prelevati, utilizzati e posati dal ragazzo con l’aiuto dell’insegnante che va gradualmente<br />

riducendosi (dall’uso combinato di guida fisica, gestuale e verbale si sta gradualmente<br />

eliminando la guida fisica e, in parte, quella gestuale).<br />

Anche a casa è stata realizzata un’agenda analoga a quella in uso a scuola con<br />

oggetti e alcuni disegni che simboleggiano i momenti e le attività di routine: il disegno<br />

di un pulmino per le uscite di vario genere; un cucchiaio per i pasti; una musicassetta,<br />

un chiodino o un pezzo di Lego per i giochi a tavolino; un cartoncino col disegno di<br />

biscotti, cracker, pane e succo di frutta per la merenda; un pannolone che indica il<br />

momento di coricarsi la sera.<br />

Questa strutturazione molto rigida sia del tempo che dello spazio ha portato come<br />

primo risultato una maggiore tranquillità e collaborazione da parte di Rino, rilevabile in<br />

particolare dalla riduzione dei tempi di risposta di fronte a una richiesta e, a scuola, da<br />

una maggiore velocità nelle attività a tavolino, sempre seguite da un momento di relax.<br />

Va anche detto che in situazioni meno strutturate e più caotiche si verificano con<br />

più facilità episodi di autolesionismo.<br />

I primi mesi di intervento con Rino sono stati dedicati, tra l’altro, a verificare la sua<br />

capacità di comprendere le immagini, che è risultata minima e discontinua. Per incrementare<br />

le sue possibilità comunicative si è pertanto privilegiato l’uso di oggetti, pur<br />

senza abbandonare completamente le immagini.<br />

Gli oggetti o le immagini scelti sono quelli che simboleggiano le attività di routine<br />

della giornata di Rino (un cucchiaio per i pasti, un cubetto per il lavoro scolastico,<br />

l’immagine del pulmino per le uscite, ecc.) e altre attività o cibi preferiti (un’audiocassetta<br />

per il tempo libero, immagini di biscotti, cracker, pane, succo di frutta), utilizzati<br />

sia per la comprensione che per la produzione. Infatti il ragazzo, a casa e più raramente<br />

a scuola, porge talvolta all’adulto di riferimento la cassetta per chiedere di accendergli<br />

lo stereo, o porta in cucina alla madre affidataria un cartoncino disegnato con vari tipi<br />

di merenda per richiedere appunto quest’ultima.<br />

Alcune immagini delle sue merende preferite (cracker, biscotti, succo, ecc.) sono<br />

state attaccate sui corrispondenti armadietti: ogni volta che Rino, come sua abitudine,<br />

indica l’armadietto, l’adulto presente dirige la sua attenzione sulla figura toccandola,<br />

guidandolo a toccarla e pronunciando il termine corrispondente.<br />

Caso 3: Bice<br />

Bice ha 17 anni e una diagnosi di <strong>autismo</strong> atipico (F 84.1) associato a ritardo<br />

cognitivo medio-grave. Comprende il linguaggio verbale e lo utilizza per comunicare con<br />

frasi brevi di due-tre parole. Frequenta il primo anno di scuola superiore.<br />

Nel caso di Bice si è data molta importanza alla strutturazione del tempo, in quanto<br />

la ragazza ha mostrato, tra l’altro, notevoli difficoltà nella memoria sequenziale; ciò ha<br />

93


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

portato a pensare che l’avere a disposizione immagini, ordinate in senso temporale,<br />

relative alle diverse esperienze e attività di routine della giornata, potesse aiutare la<br />

ragazza a ovviare a questo suo limite, rendendola maggiormente autonoma nella gestione<br />

del tempo.<br />

A scuola, visto che l’orario di Bice è predefinito ma diverso ogni giorno, è stata<br />

realizzata una piccola agenda formato quaderno: in una copertina ad anelli sono stati<br />

inseriti 6 fogli, uno per ciascun giorno della settimana, e su di essi è rappresentato, tramite<br />

disegni e scritte, l’orario della giornata. Tutte le mattine l’agenda viene commentata da<br />

Bice con l’aiuto dell’insegnante di sostegno e utilizzata per segnalare i cambi d’ora.<br />

Anche a casa è stata costruita un’agenda murale relativa alle attività del pomeriggio<br />

e della sera: piscina, rientro a scuola, compiti, laboratorio di musica, uscite con le<br />

amiche, messa, cinema, spesa coi genitori.<br />

Le diverse attività sono simboleggiate da PCS con la relativa etichetta verbale e<br />

collocate in una scatoletta in cucina accanto a una striscia di cartoncino che rappresenta<br />

l’agenda. Tutte le mattine, con l’aiuto della madre, Bice appende ordinatamente i<br />

cartoncini relativi al programma della giornata, che poi resta a sua disposizione per<br />

essere consultato.<br />

La strutturazione dello spazio è invece stata minima, non essendo questo un<br />

bisogno specifico di Bice. A scuola, comunque, in un angolo dell’aula per le attività<br />

individualizzate, è stato approntato un tavolo di lavoro individuale con un banco posto<br />

contro il muro e, perpendicolarmente ad esso a sinistra e a destra, due tavolini sui quali<br />

collocare rispettivamente il lavoro da svolgere e il lavoro completato. Questo tipo di<br />

strutturazione dello spazio ha aiutato Bice a lavorare in modo completamente autonomo<br />

per 15 minuti circa, impegnandosi in attività che, di fatto, è capace di svolgere da sola,<br />

ma per le quali, in un «banco normale», tende sempre ad appoggiarsi all’insegnante.<br />

A queste attività individualizzate si affiancano momenti in cui la ragazza sta con i<br />

compagni, sia in classe, durante il normale lavoro didattico, sia in situazioni meno<br />

strutturate come l’intervallo. Per quanto riguarda questi momenti, così come per tutte le<br />

occasioni di socializzazione con i coetanei anche al di fuori dell’ambiente scolastico,<br />

non è stata utilizzata alcuna forma particolare di strutturazione, non essendo questo un<br />

bisogno specifico della ragazza.<br />

Bice comunica attraverso il linguaggio verbale, che comprende abbastanza bene e<br />

utilizza costruendo semplici frasi di tipo telegrafico, di due o tre parole. Mostra difficoltà<br />

nell’eseguire istruzioni che comportano l’esecuzione di più azioni in sequenza. In questi<br />

casi è sempre dipendente dai suggerimenti verbali dell’adulto. Si è allora pensato di<br />

aumentare il suo livello di autonomia sostituendo l’aiuto verbale, che implica sempre il<br />

sostegno di un’altra persona, con un «promemoria» fatto di immagini (Bice non è capace<br />

di leggere e scrivere). Il primo passo è stato quello di aiutarla a familiarizzare con le<br />

immagini, essendo lei abituata a comunicare verbalmente: sia a casa che a scuola è stata<br />

94


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

così realizzata l’agenda della giornata, che comporta appunto l’uso di immagini in<br />

sequenza. Sono state inoltre sperimentate altre modalità di utilizzo di questa particolare<br />

forma di comunicazione: etichette di vari prodotti da supermercato con cui realizzare<br />

una speciale lista della spesa e disegni in sequenza di oggetti e/o attività necessarie per<br />

lavori domestici: preparare il tavolo, eseguire in autonomia le azioni necessarie per<br />

prepararsi ad andare a letto, fare il tè, ecc. Bice ha dimostrato di saper utilizzare questa<br />

modalità di comunicazione incrementando così la sua autonomia.<br />

Caso 4: Denise<br />

Denise ha 16 anni e una diagnosi di <strong>autismo</strong> infantile (F 84.0) associato a ritardo<br />

mentale grave. Non utilizza il linguaggio verbale e lo comprende in modo minimo.<br />

Frequenta la seconda media.<br />

L’intervento, per Denise, è stato realizzato solo nella scuola, in quanto la comunità<br />

familiare che la ospita abita al momento in un alloggio provvisorio.<br />

Per quanto riguarda la strutturazione del tempo, anche per Denise è stata costruita<br />

un’agenda relativa al programma della giornata utilizzando delle fotografie dei diversi<br />

ambienti scolastici (in sede di valutazione la ragazza aveva dimostrato di comprendere<br />

bene le immagini): la classe, l’aula dove svolge le attività individualizzate, la palestra,<br />

l’aula del computer, i giardini della scuola. L’agenda è collocata nel corridoio della<br />

scuola e un cartoncino azzurro le segnala di recarvisi.<br />

Nel <strong>corso</strong> dell’anno scolastico la ragazza ha mostrato di saper accoppiare parole<br />

uguali, pertanto, al di sotto di ciascuna fotografia, è stata incollata l’etichetta verbale<br />

corrispondente e un’altra, identica, è stata collocata sulle porte degli ambienti rappresentati<br />

nelle fotografie. In una successiva seduta di valutazione Denise ha mostrato di<br />

comprendere i simboli PCS: il prossimo passo sarà quindi sostituire questi ultimi alle<br />

foto.<br />

La strutturazione dello spazio è stata invece decisamente più ridotta: in classe il<br />

banco è chiaramente identificabile perché, perpendicolarmente ad esso, è situato il<br />

tavolino dell’insegnante di sostegno; nell’aula per l’attività individualizzata, al centro<br />

della stanza, vi è un ampio tavolo di lavoro ed è stato predisposto un materassino da<br />

palestra col quale, assieme ad altro materiale, organizzare un angolo per il riposo e il<br />

tempo libero. In classe e in corridoio, l’attaccapanni dove Denise appende la sua giacca<br />

è contrassegnato dal suo nome.<br />

Nel caso di Denise, il lavoro sulla comunicazione è in gran parte coinciso con<br />

quello indicato sopra relativamente alla strutturazione del tempo e dello spazio. Va<br />

comunque detto che, in fase di valutazione, presso l’ambulatorio, è stato osservato come<br />

la ragazza fosse in grado di fare richieste intenzionali (di cibo, di attività) porgendo<br />

un’immagine PCS. Non è stato però possibile introdurre questa modalità nel contesto<br />

95


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

familiare sia per difficoltà organizzative dovute a una situazione abitativa provvisoria,<br />

sia perché non veniva avvertita come esigenza dalla famiglia affidataria, che riusciva a<br />

comprendere la ragazza in modo soddisfacente.<br />

Caso 5: Flavio<br />

Flavio ha 14 anni e una diagnosi di <strong>autismo</strong> infantile (F 84.0) con ritardo mentale<br />

medio. Mostra una buona comprensione verbale, e il linguaggio è presente anche se<br />

persistono ecolalie e ripetizioni. Frequenta la terza media.<br />

Per quanto riguarda la strutturazione del tempo, questa è stata realizzata sia a casa<br />

che a scuola. Sono state costruite due agende giornaliere, una a casa e una a scuola, con<br />

appesi cartoncini provvisti di velcro, contenenti la parola che si riferisce all’attività che<br />

Flavio dovrà svolgere e ordinati in senso cronologico dall’alto in basso, con il riferimento<br />

alle ore della giornata indicate di fianco al cartoncino dell’attività. Appena entrato in<br />

classe, Flavio va verso l’agenda preparata prima dall’insegnante, prende il primo<br />

cartoncino, in modo autonomo, spesso ripete ad alta voce ciò che ha letto, quindi va al<br />

suo banco o nell’ambiente appropriato e inizia l’attività. Anche in camera sua, Flavio ha<br />

appesa al muro un’agenda, preparata di giorno in giorno dalla madre, da cui il ragazzo<br />

preleva il cartoncino per poter poi svolgere l’attività proposta. Una volta terminata, posa<br />

il cartoncino in un cestino posto in basso all’agenda e prende quello successivo.<br />

Attraverso l’uso di agende visive, Flavio ha imparato a svolgere in autonomia alcuni<br />

compiti come prepararsi lo zaino per la scuola, fare il caffè e altri.<br />

Se da un lato la strutturazione ha aiutato Flavio a diventare più autonomo, dall’altro<br />

lato ha contribuito ad accentuare alcune sue rigidità comportamentali. Flavio, infatti,<br />

tende spesso a non accettare eventuali cambiamenti di programma durante la giornata,<br />

fissando a priori delle precise attività per ogni ora di ciascun giorno della settimana. Per<br />

rimediare a questo inconveniente, ultimamente nella sua agenda è stata aggiunta una<br />

nuova voce, chiamata «imprevisti», dove la madre e l’insegnante introducono cartoncini<br />

con la parola indicante i cambiamenti dell’ultimo minuto. Si sta cercando gradualmente<br />

di introdurre un’agenda portatile, che il ragazzo possa tenere con sé ogni volta che<br />

compie uno spostamento. Questa soluzione è ben accettata da lui, e sembra renderlo più<br />

sicuro e indipendente.<br />

Relativamente alla strutturazione dello spazio, Flavio possiede già buone capacità<br />

di adattamento e conosce gli ambienti, le persone e gli oggetti che lo circondano.<br />

Tuttavia, molto spesso è importante definire esattamente lo spazio, sia nel tempo libero<br />

sia durante le attività di lavoro, per contenere e ridurre l’ansia (a volte l’angoscia) che il<br />

ragazzo mostra. Ad esempio, per aiutarlo a partecipare al gioco della pallavolo con i<br />

compagni, superando l’ansia che il grande gruppo gli crea, si è pensato di definire la sua<br />

posizione in campo con il disegno di un cerchio sul pavimento della palestra. Sempre in<br />

96


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

palestra sono stati proposti percorsi motori con vari punti di riferimento sul pavimento:<br />

inizialmente il bambino necessitava della guida di un compagno, ma poi ha iniziato a<br />

seguire queste attività in modo più autonomo.<br />

Dal punto di vista della comprensione del linguaggio, Flavio mostra una competenza<br />

sufficiente, purché la richiesta sia formulata in modo chiaro, breve e senza ambiguità.<br />

Ultimamente, dal punto di vista della produzione, sta usando molto il computer e sembra<br />

prediligere la comunicazione scritta.<br />

Sono state proposte, a livello ambulatoriale, attività finalizzate allo sviluppo della<br />

«teoria della mente» 20 per favorire la comprensione e la verbalizzazione degli stati<br />

d’animo e, più in generale, per aiutarlo a dare un senso alla comunicazione e all’interazione<br />

sociale.<br />

Negli ultimi tempi Flavio ha mostrato un vocabolario più ricco e una maggiore<br />

comunicazione spontanea. Dal momento però che non sempre è in grado di formulare<br />

richieste, è stato introdotto l’uso di alcuni cartoncini, con sopra scritto: «Per favore mi dai<br />

...» e «Per favore mi porti ...». In un primo tempo sono stati utilizzati presso l’ambulatorio:<br />

abbiamo diviso in due la stanza, e da una parte l’operatore rappresentava una negoziante<br />

di frutta e verdura, dall’altra Flavio doveva fare le sue richieste distinguendo i due<br />

cartoncini che teneva in mano. Questo lavoro si è poi esteso ad altri contesti e ora Flavio<br />

è in grado, ad esempio, di chiedere i gessetti al bidello della scuola o il pane al panettiere.<br />

Un’altra difficoltà di Flavio consiste nel non riuscire a esprimere verbalmente<br />

malesseri o altre situazioni di disagio: in queste occasioni, anziché usare il linguaggio,<br />

tende a mettere in atto comportamenti come urlare, correre o saltare, spesso accompagnati<br />

da crisi di angoscia. Per affrontare questo problema si è lavorato su come esprimere<br />

verbalmente disagio o bisogni in varie situazioni sociali (per esempio «Cosa dire<br />

all’insegnante quando non ti senti bene o quando hai bisogno di andare in bagno»). La<br />

strategia proposta è stata quella di individuare delle frasi da usare in queste situazioni,<br />

visualizzandole attraverso l’uso di cartelli scritti e fumetti, e quindi provare a utilizzarle<br />

e generalizzarle ai vari contesti.<br />

Caso 6: Sergio<br />

Sergio ha 7 anni e una diagnosi di <strong>autismo</strong> infantile (F84.0) con ritardo mentale<br />

lieve. A fronte di una scarsa comprensione verbale, mostra ottime abilità sul versante<br />

visuomotorio. Il linguaggio è comparso da alcuni mesi.<br />

Nel caso di Sergio, la strutturazione spaziale ha permesso di avviare con lui una<br />

collaborazione, inizialmente problematica. All’età di 3 anni, infatti, Sergio era estremamente<br />

evitante, usava giochi e oggetti in modo ripetitivo e isolato e mostrava scarsa<br />

capacità sul versante dell’intersoggettività. Spesso, se si cercava di proporgli un’attività<br />

diversa da quella che stava svolgendo, mostrava forti crisi di collera. Durante le sedute<br />

97


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

con l’educatrice tendeva a passare da un’attività all’altra e collaborava raramente alle<br />

proposte dell’adulto.<br />

Lo spazio è stato inizialmente strutturato nella stanza di lavoro dell’educatrice<br />

professionale: il bambino aveva a disposizione due spazi, utilizzati in sequenza, dove<br />

venivano svolte attività diverse: in un angolo della stanza erano collocati due tavolini,<br />

uno su cui l’educatrice proponeva un compito per volta e l’altro (posto alle spalle del<br />

bambino) su cui venivano poste le cose da fare. Le attività venivano proposte inizialmente<br />

una alla volta per facilitare la concentrazione del bambino sul singolo compito. In un<br />

altro angolo della stanza era presente un materassino arrotolato, che veniva steso solo<br />

nel momento in cui l’attività a tavolino era terminata e si passava a giochi di attivazione<br />

emotiva e reciprocità corporea 21 e di alternanza finalizzati a sviluppare le abilità sul<br />

versante dell’intersoggettività. 22<br />

Questa modalità iniziale di strutturare l’attività educativa si è evoluta nel <strong>corso</strong><br />

degli anni. Attualmente, gli spazi definiti sono tre: di lavoro, di gioco, di tempo libero.<br />

Lo spazio di lavoro è costituito da un banco centrale al quale sono affiancati due tavolini,<br />

a sinistra e a destra, utili per la chiarificazione del lavoro da svolgere (posto sul tavolino<br />

a sinistra) che, una volta terminato, viene posto sul tavolino di destra. In questo spazio<br />

il bambino è in grado oggi di lavorare autonomamente anche senza la presenza dell’educatrice.<br />

Gli spazi di gioco e di tempo libero, che in passato erano nettamente distinti,<br />

sono oggi in parte intercambiabili: sono infatti costituiti da un tappeto dove vengono<br />

svolte attività psicomotorie, di lettura di favole, di gioco simbolico, e dalla «Pallestra»,<br />

la vasca di palline colorate, dove il bambino può scegliere di passare il tempo libero o<br />

di svolgere altri giochi (di scambio, di reciprocità, ecc.) proposti dall’educatrice. Gli<br />

spazi di gioco e di tempo libero sono separati da quelli di lavoro da un divisorio che rende<br />

ancora più esplicita la strutturazione spaziale.<br />

La strutturazione spaziale è stata introdotta anche a casa e a scuola, secondo le<br />

esigenze di questi contesti. A casa, per esempio, la strutturazione dello spazio è stata<br />

realizzata creando uno scaffale dove vengono posti oggetti-simbolo e fotografie utilizzati<br />

per fare richieste al bambino. Ogni volta che viene proposta un’attività al bambino lo si<br />

porta presso questo scaffale e qui gli viene mostrato un certo oggetto-simbolo. Un altro<br />

esempio di strutturazione dello spazio, sempre nel contesto di casa, riguarda la costruzione<br />

di percorsi, chiaramente delimitati sul pavimento con blocchi di plastica o altri<br />

segnali, che il bambino svolge, nel tempo libero, insieme ai fratelli. Questi percorsi sono<br />

stati utilizzati anche a scuola, favorendo l’integrazione del bambino che poteva seguire,<br />

con alcuni suoi compagni, attività motorie strutturate con l’uso di palle, cerchi e altri<br />

materiali. Il bambino, infatti, che precedentemente aveva difficoltà a rispettare i turni e<br />

a fermarsi con gli altri compagni, grazie a una più attenta strutturazione dello spazio<br />

riesce ora a seguire percorsi motori, aspettando il proprio turno e collaborando, in uno<br />

spazio ben delimitato, con un gruppetto di 2-3 compagni.<br />

98


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

Con questo bambino alla strutturazione dello spazio si è successivamente aggiunta<br />

una più precisa strutturazione temporale.<br />

Attualmente Sergio ha 7 anni ed è in grado di usare un’agenda fatta di immagini in<br />

sequenza (tavolo, palla, pennello, computer), che gli indicano di volta in volte le attività<br />

da svolgere. Questa agenda viene usata presso il centro riabilitativo e a scuola: in<br />

quest’ultimo contesto, essa è stata usata accanto alla strutturazione dello spazio di<br />

lavoro, all’interno della sezione, rendendo possibile la partecipazione di Sergio a tutte<br />

le attività didattiche (che spesso vengono adattate per rendere visive e concrete le<br />

consegne che i compagni ricevono verbalmente). I compagni talora intervengono spontaneamente<br />

per aiutare Sergio nell’uso dell’agenda.<br />

L’assenza di linguaggio e la contemporanea incapacità di comprendere ciò che gli<br />

viene detto ci hanno portato a privilegiare canali di comunicazione alternativi.<br />

Inizialmente, il bambino mostrava di comprendere il significato di oggetti concreti,<br />

che sembrano «dirgli» qualcosa su ciò che sta per accadere: per esempio, comprende<br />

che si sta per uscire quando vede comparire il suo cappotto o le sue scarpe, e capisce che<br />

è ora di cena quando vede che la madre apparecchia la tavola. Queste osservazioni,<br />

apparentemente banali, consentono di mettere a punto una sorta di «vocabolario» fatto<br />

di oggetti, grazie al quale si potrà comunicare con il bambino attraverso un codice che<br />

egli è in grado di comprendere. Viene quindi realizzato, inizialmente a casa, uno scaffale<br />

dove vengono posti alcuni oggetti-simbolo, che i genitori propongono regolarmente<br />

prima di fare una certa attività. L’uso di questi oggetti facilita ulteriormente la comprensione<br />

dell’ambiente da parte del bambino, che a volte anticipa una certa attività,<br />

prendendo uno degli oggetti-simbolo: per esempio, va a prendere il bicchiere posto sullo<br />

scaffale per richiedere da bere.<br />

Questa modalità molto concreta di comunicare viene sostituita dopo alcuni mesi<br />

dall’uso di immagini; inizialmente sono fotografie degli stessi oggetti, ai quali per un<br />

certo periodo sono state affiancate (per esempio, la foto delle scarpe viene affiancata per<br />

un po’ di tempo alle scarpe stesse, che poi scompaiono dallo scaffale per lasciare spazio<br />

solo all’immagine). Successivamente le foto aumentano e vengono utilizzate per «dire»<br />

al bambino che si deve andare a fare una certa cosa: vedendo la foto corrispondente,<br />

comprende che si va a scuola, dall’educatrice o dai nonni; si dirige verso il bagno su<br />

richiesta dell’adulto dopo che gli è stata mostrata la foto dello spazzolino; capisce che è<br />

ora di tornare a casa quando gli viene proposta la foto del genitore o dell’auto, e così via.<br />

L’introduzione delle foto riduce ulteriormente l’oppositività del bambino che, avendo<br />

chiaro dove lo si vuole condurre, si mostra più tranquillo e collaborativo.<br />

Fino a questo momento il lavoro con il bambino è stato incentrato soprattutto sulla<br />

comprensione; successivamente a questa fase si inizia un lavoro finalizzato a migliorare<br />

la produzione comunicativa, fino a quel momento limitata a modalità di tipo motorio<br />

(prendere per mano per chiedere). Vengono introdotti i simboli PCS, che il bambino<br />

99


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

inizia a utilizzare prima al centro riabilitativo e quindi a casa, per richiedere cibi o<br />

giochi. All’inizio il bambino scambia il simbolo PCS con la cosa desiderata e successivamente<br />

i vari simboli vengono disposti su una tabella, attaccati con il velcro. Per<br />

chiedere una cosa, Sergio stacca il simbolo e lo porta al genitore.<br />

Il linguaggio verbale tuttavia non viene trascurato: Sergio viene seguito dalla<br />

logopedista anche con attività di stimolazione del canale uditivo-verbale che si affiancano<br />

all’uso di immagini e simboli contenenti parole scritte, per le quali il bambino<br />

sembra nutrire uno spiccato interesse. In questo modo si creano situazioni molto<br />

motivanti, in cui gli scambi comunicativi avvengono sempre con il supporto di fotografie<br />

e PCS, associate alla scrittura. Infatti, riprendendo, verbalizzando e rappresentando con<br />

la modalità visiva canzoni, racconti, giochi e cibi preferiti, Sergio ha iniziato a ripetere<br />

alcune parole, benché inizialmente in contesti non sempre adeguati. Successivamente,<br />

la parola, che era all’inizio priva di significato per il bambino (probabilmente vissuta<br />

solo come un divertente gioco di combinazione di suoni), ha iniziato ad avere una precisa<br />

corrispondenza con la realtà. Sergio è passato quindi dalla ripetizione alla produzione<br />

verbale contestualizzata, anche se il canale verbale resta quello meno utilizzato a scopo<br />

comunicativo.<br />

Da circa un mese Sergio canta qualche parola di alcune canzoni per ottenere<br />

dall’adulto il CD-ROM in cui sono contenute, dice: «Pronti... via!» per poter utilizzare<br />

un altro gioco, «Ba» per «Basta» e utilizza altre espressioni verbali per fare richieste non<br />

solo in ambulatorio ma anche a casa.<br />

Contemporaneamente, avendo sempre utilizzato il supporto della scrittura sia alle<br />

immagini sia alla produzione verbale, Sergio associa adeguatamente e autonomamente<br />

tali scritte a oggetti e foto per lui altamente motivanti.<br />

Conclusioni<br />

L’esperienza che abbiamo presentato ha consentito di sperimentare, in diversi<br />

contesti, alcune delle metodiche utilizzate dal programma TEACCH. A nostro parere è<br />

stato particolarmente utile e stimolante il dover adattare metodologie e programmi<br />

abilitativi a contesti tra loro diversi come l’ambulatorio, la scuola e la famiglia. Come si<br />

sarà notato, i casi presentati hanno età, caratteristiche e bisogni diversi: lo sforzo è stato<br />

quello di non appiattire queste differenze proponendo per tutti gli stessi strumenti<br />

metodologici. La prima guida nella messa a punto dei progetti abilitativi sono stati<br />

proprio i bambini, con le loro personali abilità, difficoltà e interessi; allo stesso tempo,<br />

anche le necessità espresse dai genitori e dagli insegnanti hanno orientato la scelta degli<br />

obiettivi. In alcuni casi, sono stati esclusi obiettivi ritenuti importanti solo dagli operatori<br />

sanitari, ma non dalla famiglia e dalla scuola.<br />

100


L’APPROCCIO TEACCH: ESPERIENZE CON UN GRUPPO DI BAMBINI AUTISTICI<br />

In altre parole, riteniamo che l’elemento qualificante di questa esperienza sia<br />

quello che a noi piace definire il primato del contesto su quello delle metodologie:<br />

crediamo che l’applicazione rigida di una metodologia (sia essa TEACCH o altro) a<br />

qualsiasi situazione, a prescindere dal contesto, sia inefficace. A nostro parere è<br />

importante non solo individualizzare un progetto abilitativo sulla base della valutazione<br />

del bambino, ma anche avere una visione d’insieme di quelle che sono le risorse, i<br />

vincoli e i bisogni dei contesti in cui il bambino è inserito (primi tra tutti, famiglia e<br />

scuola). Ciò implica che le metodologie dovranno adattarsi al contesto e non viceversa.<br />

Operare seguendo il primato del contesto è forse meno semplice e rassicurante<br />

rispetto all’applicazione di un metodo «preconfezionato». Non sempre è scontato che<br />

una certa modalità di lavoro (per esempio una strategia di comunicazione alternativa)<br />

utilizzata con successo in ambulatorio, venga poi facilmente contestualizzata in famiglia<br />

e a scuola. «La collaborazione», sottolinea Micheli, «è qualcosa che si costruisce nel<br />

rispetto reciproco, e nel rispetto anche delle difficoltà, lentezze, resistenze reciproche».<br />

23<br />

Affermare il primato del contesto non deve tuttavia esimerci dal conoscere in modo<br />

approfondito le metodologie che sono state messe a punto e validate nel campo dell’<strong>autismo</strong>.<br />

La competenza tecnica e metodologica è essenziale: tuttavia, essa va calibrata e<br />

dosata tenendo conto del contesto, poiché è solo all’interno di questo che può assumere<br />

significato. Ed è solo con la costruzione condivisa di un progetto (che è anche condivisione<br />

di significati), che può essere perseguito l’obiettivo di una possibile integrazione<br />

del soggetto autistico nei suoi sistemi di vita.<br />

Bibliografia<br />

1 Schopler E. e Mesibov G. (a cura di) (1997),<br />

Apprendimento e cognizione nell’<strong>autismo</strong>, Milano,<br />

Mc Graw-Hill.<br />

2 La classificazione ICD-10 utilizza anche la<br />

definizione di sindromi da alterazione globale<br />

dello sviluppo psicologico, il DSM-IV quella di<br />

disturbo generalizzato dello sviluppo.<br />

3 Schopler E., Reichler R.J. e Lansing M.<br />

(1990), Strategie educative nell’<strong>autismo</strong>, Milano,<br />

Masson.<br />

4 Una delle più chiare presentazioni dell’esperienza<br />

italiana si trova in Micheli E.<br />

(1999), Autismo: verso una migliore qualità<br />

della vita, Reggio Calabria, Laruffa.<br />

5 Il progetto «Il bambino che scende dalla<br />

luna», promosso dall’Unità Operativa Autonoma<br />

di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL<br />

16 Mondovì-Ceva, prevedeva, accanto alla<br />

sperimentazione descritta, la realizzazione<br />

di materiali informativi e un’indagine sui<br />

bisogni delle famiglie: quest’ultima parte del<br />

progetto è stata condotta in collaborazione<br />

con la Città di Torino (Divisioni Servizi Socio-Assistenziali<br />

e Servizi Educativi), l’ASL<br />

4 di Torino e la sezione piemontese dell’AN-<br />

GSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti<br />

Autistici).<br />

Altre informazioni sono reperibili al sito Internet<br />

www.alihandicap.org/ali.<br />

101


DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 1, OTTOBRE 2002<br />

6 Zappella M. (1996), Autismo infantile: Studi<br />

sull’affettività e le emozioni, Roma, NIS.<br />

7 Cafiero J.M. (1998), Communication power<br />

for individuals with autism, «Focus on Autism<br />

and Developmental Disabilities», estate.<br />

Cafiero J.M. (1998), Comunicazione aumentativa<br />

e <strong>autismo</strong>, http://www.leonardoausili.com/<br />

archivio3.htm.<br />

8 Zappella M. (a cura di) (1990), Il Metodo<br />

Portage, Torino, Omega.<br />

9 Sull’approccio utilizzato dall’Ambulatorio<br />

si veda anche Zappella M., Arduino G., Bertolino<br />

R., Bo C., Briano M. e Mellano N. (2001),<br />

In classe con un allievo con <strong>autismo</strong>. In C.<br />

Ricci (a cura di), Manuale per l’integrazione<br />

scolastica, Milano, Fabbri.<br />

10 Micheli E. (1997), Introduzione all’edizione<br />

italiana. In Watson L.R., Lord C., Schaffer B.<br />

e Schopler E., La comunicazione spontanea<br />

nell’<strong>autismo</strong> (secondo il metodo Teacch), Trento,<br />

Erickson, pp. 13-18.<br />

11 American Psychiatric Association (1994),<br />

DSM-IV Manuale diagnostico e statistico dei<br />

disturbi mentali, Milano, Masson.<br />

12 Organizzazione Mondiale della Sanità<br />

(1997), Classificazione multiassiale dei disturbi<br />

psichiatrici del bambino e dell’adolescente,<br />

edizione italiana a cura di A. Guareschi Cazzullo,<br />

Milano, Masson.<br />

102<br />

13 Schopler E., Reichler R., Bashford A.,<br />

Lansing M. e Marcus L.M. (1995), Profilo psicoeducativo<br />

revisato (PEP-R), Luzern, Edizioni<br />

SZH/SPC.<br />

14 Micheli E. (1997), op. cit.<br />

15 Una chiara esposizione di questi principi<br />

si trova in Peeters T. (1998), Autismo infantile:<br />

Orientamenti teorici e pratica educativa, Roma,<br />

Phoenix.<br />

16 Watson L.R., Lord C., Schaffer B. e Schopler<br />

E. (1997), La comunicazione spontanea<br />

nell’<strong>autismo</strong> (secondo il metodo Teacch), Trento,<br />

Erickson.<br />

17 Watson L.R., Lord C., Schaffer B. e Schopler<br />

E. (1997), op.cit.<br />

18 Cafiero J.M, (1998), op.cit.<br />

19 Downing J.E. e Peckham-Hardin K.D.<br />

(2001), L’«agenda del giorno» per organizzare<br />

le attività scolastiche, «Difficoltà di Apprendimento»,<br />

vol. 7, n.1, pp.121-131.<br />

20 Baron-Cohen S., Howlin P. e Hadwin J.<br />

(1999), Teoria della mente e <strong>autismo</strong>, Trento,<br />

Erickson.<br />

21 Zappella M. (1996), op. cit.<br />

22 Xaiz C. e Micheli E. (2001), Gioco e interazione<br />

sociale nell’<strong>autismo</strong>, Trento, Erickson.<br />

23 Micheli E. (1999), op. cit., p. 97.


Suggerimenti didattici per bambini ed adulti affetti da <strong>autismo</strong><br />

Temple Grandin, Ph.D.<br />

Assistant Professor, Colorado State University<br />

Fort Collins, CO 80523, USA<br />

(Ultima revisione: Dicembre 2002)<br />

(Traduzione di Alessandra Torriani - torrianitrad@yahoo.it)<br />

I buoni maestri mi hanno aiutata a raggiungere il successo: se sono stata in grado di<br />

vincere l’<strong>autismo</strong>, lo devo alla presenza di buoni maestri. All’età di 2 anni e mezzo<br />

sono stata iscritta ad un asilo strutturato, con maestri esperti, dove fin da piccola mi<br />

sono state insegnate le buone maniere ed a comportarmi bene a tavola. I bambini<br />

autistici necessitano di avere una giornata strutturata, ed insegnanti che sanno come<br />

essere tenaci, ma gentili.<br />

Tra i 2 anni e mezzo ed i 5 anni la mia giornata è stata strutturata, e non mi è stato<br />

permesso di ribellarmi. Avevo 45 minuti di logoterapia individuale cinque giorni la<br />

settimana, e mia madre aveva assunto una baby sitter che trascorreva da tre a quattro<br />

ore al giorno a giocare con me e mia sorella. Ci insegnava a 'fare a turno' durante le<br />

attività ludiche: quando facevamo un pupazzo di neve, mi faceva rotolare la palla di<br />

sotto, e poi mia sorella doveva fare il pezzo dopo. All’ora di pranzo si mangiava tutti<br />

insieme, e non mi era permesso fare capricci. L’unica volta che mi era permesso di<br />

tornare al comportamento autistico era durante il sonnellino di un’ora, dopo pranzo.<br />

La combinazione di asilo, logopedia, attività ludiche e pranzi per imparare le buone<br />

maniere raggiungeva le 40 ore a settimana, durante le quali il mio cervello veniva<br />

mantenuto collegato al mondo.<br />

1.) Tanti autistici sono pensatori visivi. Io penso per immagini, e non usando il<br />

linguaggio: tutti i miei pensieri sono come videocassette che scorrono nella mia<br />

immaginazione. Le immagini rappresentano la mia prima lingua, e le parole sono la<br />

mia seconda lingua. I sostantivi sono stati le parole più facili da apprendere, perché<br />

potevo crearmi nella mente un’immagine della parola. Per apprendere termini come<br />

"su" o "giù," l’insegnante doveva dimostrarli al bambino: per esempio, prendere un<br />

aeroplanino giocattolo e dire "su" mentre fa decollare l’aeroplano dalla scrivania.<br />

Alcuni bambini imparano meglio se si utilizzano delle carte con i termini "su" e "giù"<br />

attaccate all’aeroplanino giocattolo. La carta "su" viene attaccata quando l’aereo<br />

decolla, e la carta "giù" viene attaccata quando atterra.<br />

2.) Evitate le lunghe serie di istruzioni verbali: le persone autistiche hanno dei problemi<br />

a ricordare le sequenze. Se un bambino sa leggere, scrivete le istruzioni su un pezzo di<br />

carta. Io non sono in grado di ricordare le sequenze: se chiedo la strada ad un<br />

benzinaio, posso ricordare solamente tre punti; le indicazioni stradali con più di tre<br />

punti devono essere scritte. Ho anche difficoltà a ricordare i numeri di telefono, perché<br />

non ne posso creare un’immagine nella mente.<br />

3.) Tanti bambini autistici sono bravi nel disegno, nell’arte e nella programmazione<br />

informatica; questi talenti dovrebbero essere incoraggiati. Io penso che si debba<br />

enfatizzare molto di più lo sviluppo dei talenti del bambino, perché i talenti si possono<br />

trasformare in abilità che possono essere utilizzate per future attività lavorative.<br />

4.) Tanti bambini autistici si fissano su un soggetto, come i treni o le cartine. La<br />

maniera migliore per gestire queste fissazioni è di utilizzarle per motivare il lavoro<br />

scolastico. Se al bambino piacciono i treni, allora utilizzate i treni per insegnare la<br />

lettura e la matematica. Leggete un libro che parla di un treno, e svolgete problemi di<br />

- pag. 1 di 5 -


matematica che parlano di treni: per esempio, chiedete di calcolare quanto ci mette un<br />

treno ad andare da New York a Washington.<br />

5.) Utilizzate dei metodi visivi concreti per insegnare i numeri. I miei genitori mi hanno<br />

regalato un giocattolo matematico che mi ha aiutato ad imparare i numeri: consisteva<br />

in una serie di blocchetti dalla lunghezza e dai colori differenti per i numeri da uno a<br />

dieci. Con quei blocchetti ho imparato a fare le addizioni e le sottrazioni. Per imparare<br />

le frazioni, la mia insegnante aveva una mela di legno tagliata in quattro pezzi ed una<br />

pera di legno che era tagliata a metà: da esse ho appreso i concetti di quarti e metà.<br />

6.) Avevo la calligrafia peggiore della classe. Tanti bambini autistici hanno problemi<br />

con il controllo motorio delle mani. A volte una bella calligrafia è molto difficile, e<br />

questo può frustrare totalmente il bambino. Per ridurre la frustrazione ed aiutare il<br />

bambino a divertirsi a scrivere, permettetegli di scrivere a computer: spesso, scrivere a<br />

computer è molto più facile.<br />

7.) Qualche bambino autistico imparerà a leggere molto più facilmente con un metodo<br />

di insegnamento basato sulla fonetica, ed altri impareranno meglio memorizzando<br />

parole intere. Io ho imparato con la fonetica. Mia madre mi insegnava le regole della<br />

fonetica, e poi mi faceva ripetere le parole sotto forma fonetica. I bambini con forte<br />

ecolalia spesso apprenderanno meglio con l’utilizzo di schede di un abbecedario e libri<br />

illustrati, in modo da associare le parole intere alle immagini. E’ importante avere<br />

l’immagine e la parola stampata sullo stesso lato della carta. Quando si insegnano i<br />

sostantivi, il bambino deve sentirvi pronunciare la parola e vedere l’immagine e la<br />

parola stampata simultaneamente. Un esempio di insegnamento di un verbo potrebbe<br />

essere di tenere una carta che dice "salta," e saltare su e giù mentre si dice "salta."<br />

8.) Quando ero bambina, i suoni forti come la campanella della scuola mi facevano<br />

male alle orecchie come un trapano del dentista che colpisce un nervo. I bambini affetti<br />

da <strong>autismo</strong> devono essere protetti dai suoni che feriscono le orecchie. I suoni che<br />

causeranno più problemi sono le campanelle della scuola, i sistemi di interfono, i<br />

segnalatori acustici sul tabellone dei punti in palestra, e il suono delle sedie che<br />

strisciano sul pavimento. In parecchi casi il bambino sarà in grado di sopportare la<br />

campanella o il segnalatore acustico, se questo viene leggermente attenuato<br />

avvolgendolo di tessuto o scotch. Le sedie che strisciano possono essere ridotte al<br />

silenzio mettendo delle palline da tennis tagliate sotto ai piedi delle sedie stesse, o<br />

mettendo un tappeto sul pavimento. Un bambino potrebbe aver paura di una certa<br />

stanza perché ha paura di sentire improvvisamente lo stridere di un microfono del<br />

sistema di interfono. La paura di un suono temuto può causare un cattivo<br />

comportamento: se un bambino si copre le orecchie, è un indicatore del fatto che un<br />

certo suono gli ferisce le orecchie. A volte la sensibilità ad un particolare suono, come<br />

l’allarme antincendio, può essere desensibilizzata registrando il suono su un<br />

registratore; ciò permetterà al bambino di far iniziare il suono ed aumentarne<br />

gradualmente il volume. Il bambino deve avere il controllo della ripetizione del suono.<br />

9.) Alcuni autistici sono infastiditi da distrazioni visive e lampadine a fluorescenza,<br />

perché sono in grado di vedere il tremolio dell’elettricità a 60-cicli. Per evitare questo<br />

problema, mettete il banco del bambino vicino alla finestra, o cercate di evitare<br />

l’utilizzo di luci fluorescenti. Se ciò non può essere evitato, utilizzate le lampadine più<br />

recenti che si riescono a trovare: quelle più recenti infatti tremolano di meno. Il<br />

tremolio delle lampadine fluorescenti può essere ridotto anche mettendo vicino al<br />

banco del bambino una lampada con una vecchia lampadina ad incandescenza.<br />

10.) Alcuni bambini autistici ed iperattivi, che sono sempre irrequieti, spesso saranno<br />

più calmi se gli si dà da indossare un grembiule appesantito ed imbottito. La pressione<br />

- pag. 2 di 5 -


di questo indumento aiuta a calmare il sistema nervoso: questa pressione mi ha aiutata<br />

tantissimo a calmarmi. Per ottenere risultati migliori, il grembiule deve essere<br />

indossato per venti minuti, e quindi tolto per qualche minuto: ciò impedisce al sistema<br />

nervoso di adattarvisi.<br />

11.) Alcuni individui affetti da <strong>autismo</strong> risponderanno meglio e miglioreranno nel<br />

contatto visivo e nel linguaggio se l’insegnante interagisce con loro mentre si<br />

dondolano su una sedia a dondolo o sono arrotolati in un tappetino. Le informazioni<br />

sensoriali del dondolio o la pressione del tappetino a volte aiutano a migliorare il<br />

linguaggio. Il dondolio deve essere sempre effettuato come gioco divertente, e non<br />

deve MAI essere forzato.<br />

12.) Alcuni bambini ed adulti sono in grado di cantare meglio di quanto non riescano a<br />

parlare, quindi potrebbero rispondere meglio se le parole e le frasi vengono cantate<br />

loro. Alcuni bambini con un’estrema sensibilità ai suoni risponderanno meglio se<br />

l’insegnante parla loro in bassi mormorii.<br />

13.) Alcuni bambini ed adulti non verbali non sono in grado di elaborare<br />

contemporaneamente gli stimoli visivi ed auditivi. Sono persone monocanale, e non<br />

sono in grado di vedere e sentire allo stesso momento. Non gli si deve richiedere di<br />

guardare ed ascoltare allo stesso momento: si dovrebbe assegnare loro o un compito<br />

visivo, od uno uditivo. Il loro sistema nervoso immaturo non è in grado di elaborare<br />

simultaneamente gli stimoli visivi ed uditivi insieme.<br />

14.) Nei bambini non verbali più grandicelli e negli adulti non verbali il tocco spesso<br />

rappresenta il senso più affidabile: spesso, per loro è più facile affidarsi al tocco. Le<br />

lettere possono essere insegnate facendo toccare loro delle lettere di plastica. Possono<br />

imparare il programma settimanale toccando gli oggetti per qualche minuto prima di<br />

un’attività pianificata. Per esempio, un quarto d’ora prima di pranzo date alla persona<br />

un cucchiaino da tenere in mano; lasciate toccare loro una macchinina giocattolo<br />

qualche minuto prima di salire in macchina.<br />

15.) Alcuni bambini ed adulti affetti da <strong>autismo</strong> apprenderanno più facilmente se la<br />

tastiera del computer viene posta vicino allo schermo: ciò permette loro di vedere<br />

contemporaneamente sia la tastiera che lo schermo. Alcune persone hanno difficoltà a<br />

ricordare, se devono guardare lo schermo dopo che hanno schiacciato un tasto sulla<br />

tastiera.<br />

16.) I bambini e gli adulti non verbali troveranno più semplice associare le parole ai<br />

disegni, se vedono la parola stampata associata ad un disegno sulla scheda di un<br />

abbecedario. Alcuni individui non comprendono i disegni, quindi si raccomanda di<br />

lavorare dapprima con oggetti reali e fotografie. La fotografia e la parola devono<br />

essere sullo stesso lato della carta.<br />

17.) Alcuni individui autistici non sanno che il linguaggio viene utilizzato per la<br />

comunicazione. L’apprendimento del linguaggio può risultare facilitato se gli esercizi<br />

di linguaggio promuovono la comunicazione. Se il bambino chiede una tazza, dategli la<br />

tazza; se il bambino chiede un piatto, quando vuole una tazza, dategli un piatto.<br />

L’individuo deve apprendere che quando pronuncia delle parole, avvengono delle cose<br />

concrete. E’ più facile per un individuo affetto da <strong>autismo</strong> apprendere che le loro<br />

parole sono sbagliate, se il termine errato ha causato la comparsa di un oggetto errato.<br />

18.) Parecchi individui affetti da <strong>autismo</strong> hanno difficoltà ad utilizzare il mouse del<br />

computer: provate ad utilizzare un puntatore a trackball con un pulsante separato per<br />

- pag. 3 di 5 -


cliccare. Gli autistici affetti da problemi di coordinazione motoria alle mani trovano<br />

molto difficile tenere il mouse mentre cliccano.<br />

19.) I bambini che hanno difficoltà a comprendere il linguaggio fanno molta fatica a<br />

differenziare tra i suoni consonantici duri come la 'D' di dado e la 'L' di lago. La mia<br />

logopedista mi ha aiutata ad apprendere a sentire questi suoni allungandoli ed<br />

enunciando suoni dalle consonanti dure. Perfino quando il bambino ha superato un<br />

test auditivo sui suoni nitidi potrebbe aver difficoltà a sentire le consonanti dure. I<br />

bambini che parlano in suoni vocalici non sentono le consonanti.<br />

20.) Parecchi genitori mi hanno informata che l’utilizzo dei sottotitoli in televisione ha<br />

aiutato i loro bambini ad imparare a leggere: il bambino è stato in grado di leggere il<br />

sottotitolo ed abbinare le parole stampate con il parlato. La registrazione su cassetta di<br />

un programma preferito con i sottotitoli potrebbe essere di aiuto, perché la cassetta<br />

può essere fermata e rivista più volte.<br />

21.) Alcuni individui autistici non comprendono che il mouse del computer fa muovere<br />

la freccia sullo schermo: possono imparare più facilmente se al mouse viene<br />

appiccicata una freccia di carta dall’aspetto ESATTAMENTE identico alla freccia sullo<br />

schermo.<br />

22.) I bambini e gli adulti affetti da problemi di elaborazione visiva possono vedere lo<br />

sfarfallìo sui monitor di computer del tipo televisivo. A volte sono in grado di vedere<br />

meglio sui laptop e sui display ultrapiatti, che hanno meno sfarfallìo.<br />

23.) I bambini e gli adulti che hanno paura delle scale mobili spesso sono affetti da<br />

problemi di elaborazione visiva: temono la scala mobile perché non sono in grado di<br />

determinare quando salire o scendere. Tali individui potrebbero anche non essere in<br />

grado di sopportare le lampade a fluorescenza: i vetri colorati Irlen possono esser loro<br />

d’aiuto.<br />

24.) Gli individui affetti da problemi di elaborazione visiva spesso trovano più facile<br />

leggere se i caratteri a stampa in nero vengono stampati su carta colorata, in modo da<br />

ridurre il contrasto. Provate ad utilizzare della carta marrone chiaro, azzurro, grigio o<br />

verde chiaro, e sperimentate con colori diversi. Evitate il giallo brillante: può far male<br />

agli occhi della persona. Anche i vetri colorati Irlen possono rendere più facile la<br />

lettura. (Cliccate qui per visitare il sito web dell’istituto Irlen: http://www.irlen.com.)<br />

25.) Per i bambini affetti da <strong>autismo</strong> spesso imparare a generalizzare rappresenta un<br />

problema. Per insegnare ad un bambino a generalizzare il principio di non correre<br />

attraverso la strada, bisogna insegnarglielo in parecchie località diverse. Se gli viene<br />

insegnato in un unico luogo, il bambino penserà che la regola vale solamente per quel<br />

specifico.<br />

26.) Un problema comune è che un bambino potrebbe essere in grado di usare il wc<br />

correttamente a casa, ma che si rifiuti di usarlo a scuola: ciò potrebbe essere dovuto al<br />

fatto che il bambino non riconosce il wc. La belga Hilde de Clereq ha scoperto che un<br />

bambino autistico può utilizzare un piccolo dettaglio irrilevante per riconoscere un<br />

oggetto come il wc, e bisogna indagare a fondo per scoprire qual è quel dettaglio. In<br />

un caso, un bambino utilizzava solamente il wc di casa, che aveva il sedile nero. I suoi<br />

genitori e il suo insegnante sono riusciti a fargli usare il wc a scuola coprendo il sedile<br />

bianco con dello scotch nero. Lo scotch è poi stato gradualmente rimosso, ed a quel<br />

punto i wc dal sedile bianco sono stati riconosciuti come tali.<br />

- pag. 4 di 5 -


27.) L’ordinamento in sequenza è molto difficile per gli individui affetti da <strong>autismo</strong><br />

grave. A volte, quando un compito viene presentato come una serie di passi, essi non li<br />

comprendono. Un terapista occupazionale ha insegnato con successo ad un bambino<br />

autistico non verbale ad usare lo scivolo di un campo giochi trasportandolo fisicamente<br />

prima lungo la scala e poi giù dallo scivolo. Le sequenze devono essere insegnate per<br />

mezzo del tatto e del movimento, piuttosto che mostrando visivamente il compito.<br />

Mettere le scarpe può essere insegnato alla stessa maniera. L’insegnante deve mettere<br />

le proprie mani su quelle del bambino e muovere le mani del bambino sui suoi piedi, in<br />

modo che senta e comprenda la forma del piede. Il passo seguente è sentire la parte<br />

interna e quella esterna di una scarpa facile da infilare. Per mettere la scarpa,<br />

l’insegnante guida le mani del bambino alla scarpa e, utilizzando il metodo delle mani<br />

sopra le mani, infila la scarpa sul piede del bambino. Ciò permette al bambino di<br />

sentire tutto il compito necessario a mettersi le scarpe.<br />

28.) L’essere schizzinosi verso certi cibi è un problema comune; in alcuni casi, il<br />

bambino potrebbe essersi fissato su un dettaglio che identifica un certo cibo. Hilde de<br />

Clerq ha scoperto che un bambino mangiava solamente banane Chiquita perché si era<br />

fissato sulle etichette; altri frutti, come le mele e le arance, sono stati accettati<br />

facilmente quando su di essi sono state poste delle etichette Chiquita. Bisogna cercare<br />

di porre cibi diversi, ma simili, nella scatola dei cereali o nella scatola di un cibo<br />

preferito. Un’altra mamma è riuscita a far mangiare il proprio figlio mettendo un<br />

hamburger fatto in casa con una focaccina senza grano in un pacchetto di McDonald’s.<br />

Dicembre 2002<br />

----------<br />

Traduzione di Alessandra Torriani<br />

torrianitrad@yahoo.it<br />

- pag. 5 di 5 -


ERICKSON<br />

RIVISTA<br />

AUTISMO<br />

e disturbi dello sviluppo<br />

vol. 6 – n. 1 – gennaio 2008<br />

GIUSEPPE FARCI<br />

SECONDO CIRCOLO DIDATTICO QUARTU SANT’ELENA<br />

INTEGRAZIONE ED EDUCAZIONE A SCUOLA<br />

DI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO<br />

L’esperienza del secondo Circolo<br />

Didattico di Quartu Sant’Elena<br />

L’esperienza che viene sinteticamente presentata non si riferisce a quella di una scuola speciale, e<br />

neanche di classi speciali nella “scuola di tutti” (Cottini, 2002b). È un’esperienza di una tipica scuola<br />

statale che, molto semplicemente, ha scelto e perseguito un per<strong>corso</strong> di specializzazione dell’intervento<br />

educativo a favore dei propri alunni con Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) (Cohen e Volkmar,<br />

2004 a).<br />

La presentazione di questa esperienza nasce dalla constatazione che un piano di intervento,<br />

inizialmente progettato allo scopo di migliorare le condizioni di integrazione ed educazione degli<br />

alunni frequentanti il circolo interessati da DSA, abbia in pochi anni mostrato il gradimento e<br />

l’apprezzamento dei diversi soggetti interessati, a cominciare dalle famiglie.<br />

Infatti, siamo passati da un numero di alunni con DSA di 6, nell’anno scolastico 2002\03, anno nel<br />

quale il progetto di sperimentazione, che verrà più avanti presentato, è stato inserito nel Piano<br />

dell’Offerta Formativa (POF) della scuola, a dovere ospitare nelle classi delle scuole dell’infanzia e<br />

primarie del circolo 22 alunni portatori di questa patologia.<br />

Non nascondiamo che una risposta di tale portata non era assolutamente nelle nostre previsioni e nelle<br />

nostre iniziali intenzioni, per la ragione, che svilupperemo meglio presentando la nostra esperienza, che<br />

riteniamo di non effettuare nulla di eccezionale, né di particolarmente impegnativo. È un’esperienza<br />

che non ha richiesto e non richiede risorse particolare, né tanto meno dispendiose, sia sul versante dei<br />

costi finanziari sia per quanto concerne le risorse professionali.<br />

Pertanto, l’unico obiettivo che ci riproponiamo nel presentarla è quella di dimostrare la sua accessibile<br />

replicabilità, anche perché la nostra esperienza si inquadra comunque in un contesto, quello della<br />

scuola italiana, che mostra limiti e debolezze derivanti da una strutturazione dell’integrazione<br />

scolastica degli alunni con disabilità che andrebbe ripensata, a cominciare da una poco e mal definita<br />

competenza e ruolo degli insegnanti di sostegno (Micheli, 2004; Farci, 2005; Arpinati et al., 2006).


IL CONTESTO<br />

Il secondo Circolo Didattico è una scuola statale composta da 3 plessi di scuola dell’infanzia e 3 plessi<br />

di scuola primaria, con una popolazione complessiva che si aggira attorno al migliaio di alunni. Il<br />

Circolo insiste su un territorio che fa riferimento al quartiere storicamente popolare di Quartu<br />

Sant’Elena, che è, per numero di abitanti, la terza città della Sardegna.<br />

Il circolo opera, quindi, in un contesto difficile che lo ha reso nel tempo particolarmente sensibile nella<br />

cura delle “integrazioni” di tutti gli alunni con difficoltà scolastiche, a cominciare da quelli con<br />

disabilità e con difficoltà di apprendimento (è in <strong>corso</strong> una sperimentazione relativa al trattamento in<br />

ambito scolastico degli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento). Fulcro di tutte le iniziative di<br />

sperimentazione e intervento a favore degli alunni con difficoltà è il servizio psicopedagogico,<br />

composto da due operatori psicopedagogici, figure individuate all’interno del collegio dei docenti.<br />

IL PROGETTO<br />

Come già detto, lo scopo per il quale si è dato avvio al progetto, inizialmente sperimentale, ma oramai<br />

parte integrante e significativa del POF della scuola, era quello di affinare i livelli di educazione e di<br />

integrazione degli alunni con DSA presenti nel circolo.<br />

Gli obiettivi originari erano essenzialmente quelli di formare sia gli insegnanti di sostegno che quelli<br />

curricolari sulle caratteristiche dei DSA e di evitare la dispersione delle competenze e delle esperienze<br />

acquisite dagli insegnanti di sostegno in questo ambito. Infatti, uno dei punti che abbisognerebbe di una<br />

riforma immediata è la distribuzione degli insegnanti di sostegno, attualmente collocati sulla base del<br />

criterio delle “graduatorie”, criterio assolutamente inadeguato a garantire i diritti allo studio dei soggetti<br />

interessati da disabilità.<br />

Di seguito viene riportato integralmente il progetto, parte integrante, come già detto, del Piano<br />

dell’Offerta Formativa del Circolo, nella sua ultima versione. Il progetto è inserito nel capitolo dedicato<br />

alle azioni della scuola finalizzate all’integrazione degli alunni con disabilità, che prevede diverse<br />

iniziative sperimentali, tra le quali segnaliamo l’uso dell’ICF nella predisposizione del Progetto<br />

Educativo Individualizzato.<br />

Progetto di integrazione scolastica per gli alunni affetti da <strong>autismo</strong> e da disturbi pervasivi dello<br />

sviluppo<br />

Il progetto si promette di attivare processi di inclusione, attraverso l’attuazione di una serie di<br />

procedure che vadano incontro alle esigenze speciali di questi alunni.<br />

Ben 22 dei 42 alunni diversamente abili, che frequenteranno durante il corrente anno scolastico le<br />

classi di scuola primaria e le sezioni di scuola dell’infanzia, sono affetti da disturbi dello spettro<br />

autistico.<br />

Si ritiene importante proseguire il per<strong>corso</strong> intrapreso da alcuni anni, di sperimentazione e di<br />

realizzazione di interventi riferiti a programmi che hanno dimostrato, sulla base di evidenze<br />

scientifiche, un rilevante livello di efficacia, al fine di migliorare non solo una generica integrazione<br />

dell’alunno con <strong>autismo</strong> a scuola, ma di considerare i bisogni davvero speciali di cui questi bambini<br />

sono portatori.


Per questa ragione gli interventi saranno direttamente finalizzati a incidere positivamente sulla<br />

“triade” sintomatologica:<br />

• potenziando e affinando le competenze comunicative dell’alunno anche attraverso l’utilizzo di<br />

forme di comunicazione accrescitiva o sostitutiva del linguaggio;<br />

• insegnando gradualmente (senza pericolose forzature gruppali) le abilità sociali che permettano al<br />

bambino l’acquisizione di un’efficace interazione con gli altri;<br />

• migliorando le abilità di rappresentazione della realtà (non solo concreta) e ampliando la gamma<br />

degli interessi.<br />

Ai genitori verrà riconosciuta la funzione orientativa sul per<strong>corso</strong> formativo complessivo,<br />

essendo loro i veri “esperti” del bambino. Saranno, quindi, direttamente coinvolti in tutte le fasi della<br />

progettazione operativa.<br />

Verrà curato il raccordo con gli interventi attuati in ambito extrascolastico, con i servizi riabilitativi e<br />

col Centro Regionale per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Con i servizi socio-sanitari si<br />

confronteranno, nell’autonomia reciproca, tecniche e modalità operative.<br />

L’approfondimento sulle diverse strategie psicoeducative sarà perseguito, come già avvenuto nel<br />

recente passato, anche attraverso specifici momenti di formazione rivolta non solo agli insegnanti di<br />

sostegno ma a tutti i docenti del Circolo.<br />

L’intervento educativo-didattico sarà costruito sulla base di una accurata valutazione, definita<br />

attraverso apposite tabelle di registrazione e check list, dei livelli di abilità.<br />

L’intervento educativo-didattico farà riferimento alle modalità cognitivo-comportamentali e alle<br />

indicazioni sull’insegnamento strutturato del programma TEACCH (Treatment and Education of<br />

Autistic and Communication Handicap Children – trattamento e educazione del bambino autistico e<br />

con handicap della comunicazione), che mirano al riconoscimento, al rispetto e all’uso efficace delle<br />

originali e differenti modalità di funzionamento cognitivo dei bambini autistici.<br />

Le diverse azioni educative e didattiche si attueranno sotto la supervisione e il coordinamento<br />

dell’operatore psicopedagogico, attraverso:<br />

• la predisposizione dello spazio fisico (interno ed esterno alla classe) e delle attività, perché esse<br />

divengano prevedibili, facilmente riconoscibili e, di conseguenza, motivanti;<br />

• la determinazione dell’approccio o degli approcci che meglio si adattano alle esigenze di ogni<br />

singolo bambino;<br />

• il monitoraggio continuo sia delle difficoltà, che delle potenzialità individuali;


• il monitoraggio sul per<strong>corso</strong> formativo;<br />

• il coordinamento del raccordo con gli altri soggetti coinvolti.<br />

Ci si doterà, quindi, di attrezzature e strategie operative che facciano riferimento a schemi visivi,<br />

agende visive degli impegni scolastici, e a tutte le peculiari modalità che permettano al bambino con<br />

<strong>autismo</strong> o con disturbo pervasivo dello sviluppo di riconoscere e prevedere spazi, tempi e attività.<br />

Si precisa, infine, che l’esperienza acquisita dagli operatori scolastici del circolo, sarà diffusa e<br />

socializzata in convegni e corsi, ai quali siamo stati e saremo invitati, considerato che l’approccio<br />

organizzativo, strategico e metodologico attuato in rete con le famiglie e gli altri operatori dimostra<br />

un’apprezzabile efficacia. Ne è prova indiretta l’inusuale numero di alunni con questa patologia che<br />

frequenta le nostre scuole.<br />

Come si può vedere, l’attuazione del progetto non prevede l’utilizzo di risorse differenti dall’ordinario;<br />

cerca solo di dare struttura alle risorse presenti in ogni scuola (fatta eccezione per la figura<br />

dell’operatore psicopedagogico, figura che sta progressivamente scomparendo dalle nostre scuole).<br />

LA SITUAZIONE ATTUALE<br />

È stato sufficiente preventivare e predisporre una organizzazione specifica, perché questo attirasse<br />

l’attenzione e la richiesta delle famiglie, facendo lievitare il numero degli alunni con DSA, ma anche<br />

degli alunni portatori di altre disabilità (complessivamente il numero degli alunni con disabilità<br />

frequentanti nell’anno scolastico in <strong>corso</strong> è di 16 nelle scuole dell’infanzia, su 14 classi, e di 34 nelle<br />

scuole primarie, su 35 classi).<br />

Ecco una tabella riassuntiva degli alunni con DSA (APA, 2000) presenti nel circolo.<br />

DIAGNOSI SCUOLA<br />

SCUOLA TOTALE<br />

DELL’INFANZIA<br />

PRIMARIA<br />

Disturbo autistico 5 6 11<br />

Disturbo di Rett 1 1<br />

Disturbo di Asperger 3 3<br />

Disturbo pervasivo dello sviluppo NAS 2 4 6<br />

TOTALE 22<br />

Crediamo che il segno dell’apprezzamento del servizio che offriamo sia desumibile, oltre che dal<br />

numero davvero inusuale per una singola scuola di alunni con DSA, dal fatto che ben 9 alunni<br />

provengono da altri comuni (6 comuni dell’area urbana di Cagliari) e che negli ultimi due anni<br />

scolastici siamo stati costretti, per ragioni di opportunità organizzativa, di tutela della qualità del<br />

servizio e di evitamento di trasformare, anche in maniera parziale, la nostra in una scuola speciale, a<br />

non accogliere tutte le richieste di iscrizione.<br />

Si è dovuto inoltre constatare che l’alto numero di alunni con disabiltà presente nelle nostre classi,<br />

invece di diventare una complicazione ulteriore da governare, è divenuta un patrimonio di tutta la<br />

comunità scolastica, docenti, personale ATA, e, soprattutto, le famiglie di tutti gli alunni. Come<br />

ipotizziamo infatti da diverso tempo, dedicare risorse ed energie alle indicazioni della pedagogia e<br />

della didattica speciale (Farci e Orrù, 2007), arricchisce ed affina gli strumenti educativi generali.<br />

Quindi, il progetto non solo ha offerto un servizio originale per gli alunni interessati da DSA, ma ha


anche migliorato il servizio complessivo del Circolo, favorendo la crescita numerica della popolazione<br />

scolastica. Questo è senz’altro merito dell’organizzazione complessiva del Circolo, ma in modo<br />

particolare della disponibilità e della sensibilità dimostrata dagli insegnanti di sostegno e dal collegio<br />

dei docenti nel suo complesso. Dopo alcune iniziali perplessità, infatti, il collegio dei docenti nella sua<br />

interezza ha condiviso e fatto proprie le finalità del progetto.<br />

PUNTI FONDANTI IL PROGETTO<br />

Abbiamo utilizzato tutti gli strumenti che la normativa e la filosofia operativa dell’autonomia scolastica<br />

mette a disposizione, dalle microsperimentazioni all’utilizzo funzionale delle risorse attribuite al<br />

Circolo, dalla progettualità creativa (e coraggiosa) alla volontà di confrontarsi con l’innovazione.<br />

È questo il quadro all’interno del quale l’iniziativa ha preso avvio e si è mossa.<br />

Il punto di forza principale, prioritario, è stato la formazione del personale docente. Una formazione<br />

che noi definiamo “ricorsiva”, perché è stata e continua ad essere riproposta, con ulteriori<br />

aggiornamenti, nel tempo. La formazione è rivolta tutti i docenti, non solo a quelli di sostegno, e fa<br />

riferimento:<br />

• alle indicazioni metodologiche che hanno ricevuto validazione scientifica sulla base dei risultati<br />

ottenuti (Truzoli e Zybell, 2005; SINPIA, 2005);<br />

• all’uso di programmi di intervento educativo che curino gli aspetti deficitari nei DSA:<br />

comunicazione, gioco, abilità socio-relazionali, flessibilità cognitiva (Cohen e Volkmar, 2004<br />

b);<br />

• alla predisposizione e all’utilizzo del materiale “protesico” consigliato per i soggetti con DSA<br />

(Arpinati et al., 2006).<br />

L’esperienza accumulata ci ha consentito negli ultimi anni di promuovere attività di formazione aperte<br />

alla partecipazione di insegnanti proveniente da ogni ordine di scuola e di operatori socio-educativi.<br />

In sintesi presentiamo gli altri punti che riteniamo dimostrare l’efficacia del progetto:<br />

• Coinvolgimento dei genitori. I genitori sono considerati “i migliori esperti del bambino”<br />

secondo la lezione di E. Schopler (1998); l’esperienza ci ha infatti insegnato che, piuttosto che<br />

essere interlocutori inutili e talvolta fastidiosi, i genitori, oltre a fornire tutte le informazioni<br />

assolutamente necessarie a determinare necessità ed esigenze educative del bambino, divengono<br />

dei preziosi co-programmatori dell’intervento scolastico complessivo, dimostrandosi capaci di<br />

fornire indicazioni operative pertinenti e originali. Vengono periodicamente tenuti degli incontri<br />

rivolti a tutti i genitori degli alunni con disabilità del Circolo. Gli incontri, a cui partecipano<br />

quasi esclusivamente i genitori degli alunni con DSA, si situano a metà strada tra parent<br />

training, vista la costante presenza dell’operatore psicopedagogico, e l’auto-aiuto, sono<br />

finalizzati allo scambio e al confronto tra genitori delle esperienze e delle difficoltà nell’azione<br />

educativa da loro incontrate.<br />

• Coordinamento dell’operatore psicopedagogico. Il progetto ha una sua complessità che<br />

necessita di un coordinamento diffuso e nello stesso tempo forte; disporre di questa figura<br />

sicuramente facilita e ottimizza il perseguimento degli obiettivi.<br />

• Raccordo puntuale con gli altri servizi coinvolti. Una sollecitazione specialissima<br />

all’implementazione del nostro progetto è venuto del Centro per i Disturbi Pervasivi dello<br />

Sviluppo dell’Azienda Ospedaliera Brotzu (la più importante struttura ospedaliera della


Sardegna), per le sue modalità di coinvolgimento e di co-costruzione del programma di<br />

intervento che vede la diffusione delle responsabilità operative a più livelli (operatori del<br />

Centro, famiglia, terapisti, educatori domiciliari, insegnanti, ecc.), ma anche per le continue<br />

iniziative di formazione e di ricerca nel campo specifico dei trattamenti psicoeducativi, di cui il<br />

Centro è promotore.<br />

L’INTERVENTO SCOLASTICO<br />

L’intervento che implementiamo cerca di coniugare l’educazione e l’integrazione, perché si creino tra<br />

queste due azioni sinergie e intrecci produttivi, invece che contrasti, talvolta insanabili (Micheli, 2004).<br />

Questo è possibile grazie alla flessibilità dell’intervento complessivo, che vede alternarsi, in dimensioni<br />

dettate dalle caratteristiche del livello di funzionamento di ogni singolo bambino, momenti di<br />

insegnamento individualizzato, fortemente strutturato, a momenti di insegnamento in piccolo gruppo o<br />

all’interno del gruppo classe (Harris et al., 2004; Cottini, 2005; Arpinati et al., 2006). La scelta di quali<br />

modalità privilegiare è definito nella pianificazione dell’intervento stesso, usando pragmaticamente e in<br />

un modo che ci pare assolutamente intelligente e funzionale, le diverse opportunità educative e<br />

didattiche che una scuola può offrire, senza sterili e dannosi operazioni di inserimento di facciata<br />

(Micheli, 2004).<br />

La convinzione dataci dall’esperienza è che l’intervento educativo in ambito scolastico a favore di<br />

alunni con DSA debba essere stabilito sulla base si scelte intenzionali riferite al cosa e al come<br />

insegnare a questi bambini.<br />

I contenuti dell’insegnamento vengono determinati dopo una fase di valutazione delle esigenze<br />

educative del singolo alunno con DSA. La valutazione si avvale di strumenti agevolmente utilizzabili<br />

in ambito scolastico (LAP, PEP-R e PEP-3), in un continuo riferimento a forme di valutazione<br />

funzionale. Per funzionale intendiamo l’individuazione e la definizione dello stile di apprendimento,<br />

delle caratteristiche motivazionali e dei punti di forza del singolo bambino. La valutazione formale è<br />

supportata dagli esami periodici effettuati presso il Centro per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo<br />

dell’Azienda Ospedaliera Brotzu (VABS, Leiter-R).<br />

Alla fase di valutazione segue la fase di programmazione, la quale prevede, oltre alla stesura annuale<br />

del Piano Educativo Individualizzato, le verifiche e i naturali aggiustamenti, definiti negli incontri<br />

periodici di rete ad essa finalizzata.<br />

Rispetto al “cosa insegnare” ci pare opportuno ribadire ciò che è esplicitato già all’interno del progetto,<br />

e cioè, che sia necessario avere come obiettivi prioritari quelli relativi alla riduzione delle<br />

compromissioni caratteristiche dei DSA (Watson, et al., 1998; De Meo et al., 2000; Hodgon, 2004;<br />

Xaiz, 2004; Smith, 2006; Vivanti et al., 2006). L’acquisizione delle abilità curricolari viene perseguita,<br />

come è giusto che sia per una scuola, quando si ritiene che la padronanza di comportamenti adattivi<br />

abbia migliorato le generali condizioni di vita del bambino.<br />

Le modalità dell’insegnamento fanno riferimento ad approcci metodologici indicati dalla comunità<br />

scientifica (Lovaas, 1981; Jordan e Jones, 1999; SINPIA, 2005; Cottini, 2002; Olley e Reeve, 2004).<br />

Riteniamo che in ambito scolastico i riferimenti metodologici più facilmente spendibili al fine di<br />

aggredire i deficit specifici e di apprendimento dei soggetti con DSA siano quelli derivanti dall’ABA<br />

(Applied Behavioral Analysis) e dal TEACCH (Treatment and Education of Autistic and<br />

Communication Handicap Children), che nella nostra esperienza facciamo efficacemente convivere (e<br />

senza particolare fatica).<br />

Le indicazione tratte dalla teoria dell’apprendimento sviluppate dall’ABA ci consentono di strutturare,<br />

sia nei contesti individualizzati che in quelli più naturali, l’insegnamento di abilità che necessitano per<br />

essere apprese di tutti gli “accorgimenti” di aiuto e di rinforzo che l’educazione di stampo<br />

compartementista (Meazzini e Fedeli, 2004; Bregman e Gerdtz, 2004) permette di effettuare. Inoltre, ci<br />

permette di modificare e di sostituire la comparsa di eventuali comportamenti problema attraverso l’uso


dell’analisi della funzione del comportamento stesso (Luiselli, 1996; 1999, Larson e Maag, 1999; Ianes<br />

e Cramerotti, 2002).<br />

Nella realtà cerchiamo di prevenire l’insorgenza dei comportamenti problema attuando la<br />

“protesizzazione” facilitante dell’ambiente, cioè del suo adattamento ai fini educativi, secondo i<br />

suggerimenti originati dal programma TEACCH (Schopler et al., 1991; Mesibov, 1997; Schopler,<br />

2004), di cui questi soggetti hanno bisogno, oltreché diritto (Peeters, 1998; Peeters e Gillberg, 1999).<br />

Pertanto cerchiamo di utilizzare tutti i supporti visivi e gli adattamenti che migliorano le condizioni di<br />

interazione con l’ambiente didattico di questi soggetti per conseguire le principali finalità educative<br />

necessari e utili a soggetti con DSA: aumentare gradualmente e progressivamente i livelli di autonomia<br />

personale, promuovere l’apprendimento delle abilità funzionali e scolastiche, costruire sollecitazioni<br />

per lo sviluppo di interazioni sociali e relazionali significative.<br />

Tutto questo, comunque, avviene all’interno di un intervento che considera nella loro specificità gli<br />

aspetti ecologici e relazionali di tipo olistico, attraverso la cura di una relazione educativa capace di<br />

stimolare intersoggettività (Xaiz e Micheli, 2001; Zappella, 2005; Legerstee, 2007; Lavelli, 2007), e nel<br />

rispetto delle caratteristiche di personalità del singolo bambino, rispetto che precede sempre il<br />

“metodo” di insegnamento prescelto dal docente.<br />

PUNTI DI CRITICITA’ E DA SVILUPPARE<br />

Non vogliamo apparire, semplicemente perché riteniamo di non esserlo, i “primi della classe”. La<br />

nostra esperienza è naturalmente costellata anche di punti di criticità che necessitano di essere<br />

migliorati. Non sempre riusciamo a rispondere alle legittime aspettative delle famiglie sia in ordine al<br />

livello degli apprendimenti sia per ciò che concerne una sintonia di obiettivi. Non sempre i nostri<br />

alunni raggiungono gli obiettivi attesi di riduzione dei deficit e relativi agli apprendimenti curricolari<br />

programmati.<br />

Inoltre, appare ancora troppo debole il processo valutativo. Seppure ci si riferisca a strumenti di<br />

valutazione validi (LAP e PEP), spesso si perde l’importanza della registrazione sistematica e del<br />

riferimento continuo a dati certi nell’implementazione del processo di insegnamento e apprendimento.<br />

È ancora agli esordi la sperimentazione di percorsi finalizzati al conseguimento di più efficaci<br />

competenze sociali negli alunni con DSA. Si tratta di un utilizzo strategico e intenzionale della “risorsa<br />

compagni” (Cottini, 2002b; Tsung-Ren Yang, 2003). La scuola di tutti infatti consente di insegnare ai<br />

bambini con DSA ad interagire con gli altri, attraverso modalità che, come le storie sociali e i videomodeling,<br />

prevedano attività, soprattutto ludiche in piccolo gruppo, all’interno delle quali, grazie<br />

all’azione di tutoring dei compagni, questi bambini apprendano prima e sperimentino poi quei<br />

comportamenti sociali e relazionali di cui, per ragioni che sempre meglio comprendiamo (Vivanti et al.,<br />

2006), sono drammaticamente sprovvisti.<br />

Sicuramente ci ripromettiamo di sviluppare, anche grazie alla collaborazione con il Centro per i<br />

Disturbi Pervasivi dello Sviluppo dell’Azienda Ospedaliera Brotzu e con il Dipartimento di Psicologia<br />

dell’Università agli studi di Cagliari, una valutazione sul nostro operato e sulle strategie organizzative<br />

ed educative utilizzate.<br />

CONSIDERAZIONI E INFORMAZIONI CONCLUSIVE<br />

La nostra esperienza sembra dimostrare che l’integrazione nella scuola di tutti e il diritto ad<br />

un’educazione personalizzata e mirata di soggetti affetti da <strong>autismo</strong> e da disturbi pervasivi dello<br />

sviluppo sia possibile. Anzi, il progetto, come già detto, ha migliorato nel complesso il servizio<br />

scolastico a favore di tutti gli alunni, quelli con sviluppo tipico e quelli disabili. Lo affermiamo con


umiltà, ma anche con la convinzione che rappresenti una prassi che può essere intrapresa da chi<br />

intenzionalmente intenda sceglierla.<br />

Più che di una “buona prassi” la nostra vuole essere una sollecitazione alla ricerca di strade non tanto<br />

nuove, ma più funzionali ai bisogni educativi davvero specialissimi di cui questi alunni sono portatori.<br />

Non crediamo infatti a prassi buone, ma confinate in contesti particolari, come “isole felici”.<br />

Crediamo invece nella facile replicabilità e, perché no, nel miglioramento della nostra esperienza.<br />

Riteniamo, infatti, sempre più necessario determinare protocolli di interventi educativi (Colombi et al.,<br />

2007) che escano dall’improvvisazione e da gabbie ideologiche, che tanto limitano la pur originale e<br />

produttiva esperienza italiana di integrazione nella scuola di tutti degli alunni con disabilità.<br />

Chi fosse interessato ad avere maggiori informazioni può visitare il sito www .secondocircoloquartu.it<br />

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Relazione sulla documentazione scolastica SPECIALE<br />

dell’alunno ****


La presenza di un alunno autistico all’interno di un Istituto scolastico impone<br />

la necessità di ripensare qualsiasi parte dell’azione didattica in funzione delle<br />

sue necessità.<br />

Oltre ad aver personalizzato gli spazi di lavoro di ** e tutta l’attività didattica, è<br />

stato necessario, da parte del Consiglio di classe, creare anche una<br />

modulistica “su misura” per il lavoro svolto con *.<br />

Per prima cosa si è lavorato sul Piano Educativo Individualizzato,<br />

costruendolo non solo come uno strumento di lavoro ma come una<br />

documentazione dettagliata e completa, più chiara possibile, per tutti coloro<br />

che lavorano e lavoreranno con ****.<br />

La difficoltà che spesso si incontra, nel passaggio dell’alunno da un ordine di<br />

scuola all’altro o a seguito dell’alternarsi di diversi insegnanti di sostegno nel<br />

<strong>corso</strong> degli anni o, addirittura dello stesso anno scolastico, è quella del<br />

reperimento dei dati, della ricostruzione del lavoro svolto, del livello di<br />

competenza raggiunto dall’alunno.<br />

In mancanza di una documentazione unitaria, le informazioni vanno spesso<br />

faticosamente ricostruite, con inutile perdita di tempo anche per la famiglia<br />

dell’alunno (che si trova a dover rispondere sempre alle stesse<br />

domande).L’alternativa è quella di ricominciare il lavoro con l’alunno da un<br />

livello più basso, con inutile spreco di tempo, energie e, soprattutto,<br />

frustrazione da parte dell’allievo.<br />

Il P.E.I. da noi pensato per * è uno strumento flessibile, aperto, in continua<br />

evoluzione nel <strong>corso</strong> dell’anno scolastico. Alla fine di questo primo anno di<br />

<strong>corso</strong> di *, avremo prodotto un documento “parlante” ( grazie anche alle foto,<br />

simboli ed agli <strong>allegati</strong>) per chiunque abbia bisogno di leggerlo (docenti,<br />

operatori, familiari…)su cosa è stato fatto con * ed in che modo, su quali<br />

siano gli strumenti da usare con *, i metodi, le tecnologie, gli obiettivi raggiunti<br />

e da raggiungere.<br />

2


All’interno del P.E.I. si sono specificate anche le modalità di valutazione del<br />

lavoro di * e si sono <strong>allegati</strong> i modelli delle schede di valutazione differenziate.<br />

Le due schede di valutazione nel nostro Istituto sono due:<br />

- Interquadrimestrale (consegnata a Novembre e ad Aprile)<br />

- Quadrimestrale<br />

Per quanto riguarda la prima, abbiamo, con l’aiuto della famiglia, pensato ad<br />

una scheda, uguale nell’impostazione a quella di tutti gli altri alunni, ma che<br />

fosse personalizzata per * mettendo al posto delle discipline scolastiche i<br />

simboli usati per le diverse aree di attività da lui svolte quotidianamente ed al<br />

posto del giudizio sintetico adottato per gli altri alunni (Sufficiente, Buono…)<br />

delle faccine con tre diverse espressioni.<br />

La seconda scheda, quella di valutazione di fine Quadrimestre, è stata<br />

pensata partendo dalle aree di lavoro di * (che nel suo caso sostituiscono le<br />

materie di studio) e dagli obiettivi che ci si era prefissati.<br />

La scheda aggiorna sul livello di competenza raggiunto da A. in relazione al<br />

singolo obiettivo, riportato ed evidenziato in rosso nella scheda.<br />

Di seguito la documentazione, priva dei dati sensibili, di cui detto sopra.<br />

3


Istituto Comprensivo Statale “********” (VI)<br />

SCUOLA MEDIA<br />

anno scolastico 2005/2006<br />

PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZATO<br />

Alunno : ******<br />

Classe: 1° sez.***<br />

Insegnanti di sostegno:<br />

Prof.sse *********<br />

4


Parte prima: dati generali<br />

5


Alunno: ********<br />

Nato a : ******<br />

Residente a ******<br />

Tel.*******<br />

Classe frequentata : 1° sez.****<br />

Istituto Comprensivo Statale “*********” (VI)<br />

SCUOLA MEDIA<br />

anno scolastico 2005/2006<br />

Tempo scuola della classe: bilinguismo<br />

Tempo scuola dell’alunno:bilinguismo<br />

6


Parte seconda: diagnosi clinica e funzionale<br />

7


DIAGNOSI CLINICA<br />

Diagnosi principale: Autismo infantile (ICD-10; F 84.0).<br />

Conseguenze funzionali:Disturbo della comunicazione, del<br />

comportamento e compromissione dell’interazione sociale.<br />

Previsione dell’evoluzione:Ipotizzabili continui progressi se<br />

sostenuto e supportato anche in ambito scolastico da una<br />

adeguata programmazione e strutturazione ambientale per un<br />

lavoro quotidiano individualizzato.<br />

8


DIAGNOSI FUNZIONALE<br />

Autismo infantile<br />

Sono gravemente inadeguati per la sua età i<br />

seguenti comportamenti:iniziare una interazione<br />

sociale, il livello di attenzione, movimenti e<br />

manierismi.<br />

Sono lievemente inadeguati per la sua età: il<br />

contatto oculare, le relazioni affettive, la<br />

motivazione all’elogio sociale, il comportamento<br />

nel gioco solitario, la motivazione per una<br />

ricompensa intrinseca.<br />

Assente il linguaggio<br />

9


Parte terza: progetto educativo<br />

* vive con la sua famiglia composta, oltre<br />

Introduzione<br />

ai genitori, di una sorella maggiore ed un<br />

fratello minore.Ha un disturbo autistico<br />

diagnosticato secondo i criteri dell’ ICD-<br />

10 E F-84.0.Viene seguito con metodo<br />

T.E.A.C.C.H dal Dott.****, Psicologo.<br />

Autismo infantile In linea generale, si riportano di seguito<br />

10


alcune informazioni sull’<strong>autismo</strong>.<br />

Esso è un disturbo cerebrale che colpisce<br />

le abilità sociali e comunicative.<br />

Le caratteristiche dell’<strong>autismo</strong> sono, in<br />

estrema sintesi, riassumibili nei<br />

sottoindicati tre sintomi:<br />

Difficoltà ad instaurare relazioni<br />

sociali<br />

Difficoltà nella comunicazione<br />

verbale e non-verbale<br />

Difficoltà nello sviluppo del gioco<br />

e dell’immaginazione.<br />

11


La situazione : ieri ed oggi<br />

Gli operatori coinvolti nella<br />

programmazione<br />

I primi tre anni di vita-La famiglia<br />

riferisce che*, fino all’età di 2 anni,<br />

non mostrava alcun tipo di<br />

disabilità.Successivamente sono<br />

comparsi i primi sintomi (calo<br />

verbale, atteggiamento abulico….)<br />

che hanno fatto ipotizzare un<br />

esordio dell’<strong>autismo</strong>.<br />

Scuola materna-*** ha frequentato<br />

la scuola materna per 4 anni.Era<br />

difficlmente gestibile: urlava di<br />

continuo, non svolgeva alcuna<br />

attività. Ha iniziato a seguire il<br />

metodo T.E.A.C.C.H. nel <strong>corso</strong> del<br />

quarto anno di scula materna<br />

Scuola elementare: * ha continuato<br />

a seguire un progetto educativo<br />

ispirato al programma<br />

T.E.A.C.C.H. sotto la guida del<br />

Dott.*.Nel dicembre 2003 la<br />

famiglia si è rivolta alla<br />

Fondazione “BAMBINI ED<br />

AUTISMO” di Pordenone per<br />

un’analisi delle capacità di * ed<br />

ottenere una programmazione di<br />

attività calibrate sulle sue<br />

potenzialità.<br />

Oggi * frequenta il primo anno di<br />

scuola media. Non ha dimostrato<br />

grandi difficoltà nell’adattarsi a<br />

tutti i cambiamenti che il passaggio<br />

al nuovo grado di scuola comporta<br />

(per tutti gli alunni): nuovi e più<br />

numerosi insegnanti, nuovo<br />

edificio, diversa strutturazione dei<br />

tempi di frequenza scolastica. La<br />

sua capacità di adattamento ai<br />

cambiamenti è in continuo<br />

miglioramento.<br />

La programmazione di *si basa su<br />

un Progetto Educativo Didattico<br />

coordinato dal Dott *. Persone<br />

coinvolte nel programma sono: la<br />

famiglia di*, i compagni di classe,<br />

12


il Consiglio di classe, l’assistente<br />

A.S.L. Sig.ra**, la psicologa<br />

dell’A.S.L. dott.ssa ***e tutto il<br />

personale della scuola media.<br />

Le aree di lavoro individuate per *<br />

sono:<br />

-Area del linguaggio<br />

-area della comunicazione<br />

-area cognitiva<br />

-area della motricità<br />

-area dell’imitazione<br />

-area della percezione<br />

-area delle autonomie<br />

-area affettivo-relazionale<br />

L’approccio T.E.A.C.C.H. E’ un approccio psicoeducativo e<br />

rappresenta uno dei più aggiornati esempi<br />

di approccio di tipo compensativo.Esso<br />

utilizza le scoperte scientifiche in campo<br />

cognitivo per poter superare il disturbo e<br />

rendere possibile l’apprendimento.<br />

Prevede l’adattamento dell’ambiente al<br />

disturbo della persona ed un<br />

insegnamento strutturato per poter creare<br />

un contatto fra il “nostro” mondo e quello<br />

dell’<strong>autismo</strong>.<br />

Orario delle lezioni<br />

ORARIO SETTIMANALE<br />

ORARIO Lunedì Martedì Mercoledì<br />

Giovedì Venerdì Sabato<br />

1° MUSICA FRANCESE MATEM. ITALIANO STORIA ED.TECN.<br />

2° FRANCESE MATEM. MATEM. ITALIANO RELIG. INGL.<br />

3° ITALIANO ED.FISICA ITALIANO INGLESE ITALIANO FRANCESE<br />

4° MATEM. ED.FISICA GEOGRAF. MATEM. ITALIANO MATEM.<br />

5° STORIA ITALIANO ED.ART MUSICA ED.ART. GEOGR.<br />

13


MENSA<br />

6° LABORAORIO<br />

7° LABORATORIO<br />

8° INGLESE<br />

ORARIO SETTIMANALE<br />

Insegnanti di sostegno ed operatrice<br />

(Copertura per un totale di 33 ore settimanali)<br />

ORARIO Lunedì Martedì Mercoledì<br />

1°<br />

2°<br />

3°<br />

4°<br />

5°<br />

MENSA<br />

6°<br />

7°<br />

8°<br />

GLI INSEGNANTI<br />

Insegnanti di sostegno: Prof.sse *(18 h) *(5 h)<br />

Insegnanti curricolari:<br />

Italiano : Prof.ssa *<br />

Ed.matematica, scienze e tecnologia : Prof.ssa *<br />

Inglese : Prof.ssa *<br />

L2 Francese : Prof.ssa *<br />

Storia/Geografia Prof.ssa *<br />

Giovedì Venerdì Sabato<br />

14


Tecnologia : Prof. *<br />

Arte e immagine : Prof.ssa *<br />

Musica : Prof.ssa *<br />

Scienze motorie e sportive : Prof. *<br />

Religione : Prof.ssa *<br />

Operatrice A.S.L. Sig.ra- *(12 h)<br />

Personale A.T.A Scuola Media di *****<br />

15


.<br />

Ambienti strutturati: l’aula dedicata<br />

16


L’aula dedicata<br />

Area di lavoro<br />

Area manualità/disegno<br />

Area gioco<br />

Area ascolto/musica<br />

E’ stata strutturata per * un’aula solo per<br />

lui, con diverse aree di lavoro delimitate<br />

da pannelli di legno chiaro dove svolge<br />

parte delle sue attività.<br />

E’ uno spazio destinato all’attività<br />

cognitiva.Ci sono un grande tavolo<br />

bianco, una sedia e due scaffali.Su uno di<br />

essi * trova le scatole da assemblare e<br />

sull’altro le ripone, una volta<br />

assemblate.Tali scatole presentano attività<br />

cognitive, strutturate dagli insegnanti, con<br />

riferimento a diversi obiettivi specifici:<br />

discriminare secondo forma,<br />

colore, grandezza<br />

riconoscere parole, numeri,<br />

lettere, ecc.<br />

Un ampio tavolo è attrezzato con tutti gli<br />

strumenti di lavoro: colori di vario tipo<br />

(tempere, pennarelli, pastelli, ecc.), pasta<br />

per attività manuali, album, cartoncini<br />

colorato, colla, forbici, disegni da<br />

colorare, ecc.Alle pareti sono appesi i<br />

lavori più recenti fatti da*.<br />

E’ uno spazio con due larghi tappetoni e<br />

dadi morbidi su cui * può stendersi,<br />

sedersi, giocare.Una cesta ospita i suoi<br />

giochi preferiti (incastri, semplici puzzle,<br />

pupazzi, una palla, palloncini…) ed una<br />

coperta.<br />

E’ uno spazio attrezzato con un banco su<br />

cui si poggia il registratore/lettore cd ed<br />

una sedia. * usa questo spazio per<br />

ascoltare le sue audio cassette<br />

preferite.Due altri banchi alla sinistra di *<br />

ospitano strumenti musicali vari. Alle<br />

pareti sono appese sequenze.Tali<br />

materiali sono utilizzati per le attività<br />

prettamente musicali (riconoscimento<br />

suoni, ascolto di brani di musica<br />

classica….) che * svolge il sabato.<br />

Ogni ambiente frequentato da * deve essere contrassegnato da un cartellino di<br />

riconoscimento (classe, palestra mensa, ecc.)<br />

17


Un talloncino di velcro permette ad * di apporre sul cartellino attaccato alla porta,<br />

quello che egli reca con sé di volta in volta e che gli serve per riconoscimento<br />

dell’ambiente e di orientamento<br />

18


Altri ambienti<br />

19


Bagno<br />

Palestra<br />

E’ lo stesso che usano i suoi<br />

compagni.All’esterno è stato<br />

contrassegnato col cartellino “Bagno” e<br />

sul lavabo ci sono due foto che gli<br />

ricordano di prendere il sapone e chiudere<br />

il rubinetto dell’acqua.Alla porta anche un<br />

“memo”: apri / chiudi.<br />

Anche questo ambiente è stato<br />

contrassegnato con cartellino. * vi svolge<br />

attività assieme ai compagni.<br />

Aula Il cartellino sulla porta indica ad * che<br />

quella è l’aula della sua classe.Il suo<br />

banco è personalizzato con il suo nome e<br />

la sua foto.Alle sue spalle, due banchi<br />

ospitano, di volta in volta, le scatole o le<br />

attività che * deve svolgere da solo, con i<br />

compagni, con gli insegnanti…Alla<br />

parete il calendario mensile e quello delle<br />

attività della giornata.All’interno della<br />

porta dell’aula è affisso un altro<br />

calendario mensile dal quale*, giorno per<br />

giorno, cancella la giornata appena<br />

trascorsa.Sull’attaccapanni ha il suo<br />

spazio riservato con nome e cognome e<br />

un “memo” per il cappotto: attacca<br />

/prendi.Alla parete accanto alla cattedra le<br />

foto di tutti i compagni che servono per<br />

l’appello.<br />

Laboratori di Inglese, Artistica,<br />

Informatica, Scienze<br />

Giardino<br />

Mensa<br />

Per tutti è previsto uno specifico<br />

cartellino.Sulle porte di ciascun<br />

laboratorio è stato attaccato il relativo<br />

cartellino in modo che * possa orientarsi<br />

con facilità.Nei laboratori * non ha un<br />

“suo” posto: si siede dove capita con i<br />

suoi compagni.<br />

Qui gli alunni fanno ricreazione.Anche il<br />

giardino è contrassegnato da un cartellino<br />

che * attacca sulla vetrata, uscendo. Fa<br />

ricreazione con i compagni.Non ha un<br />

“suo” posto particolare.<br />

Anche la mensa ha un cartellino di<br />

riconoscimento.* mangia vicino ai<br />

compagni. Non ha un posto fisso.<br />

20


Cucina<br />

Uscite/Visite guidate<br />

Si è preparato un cartellino apposito in<br />

vista di attività da svolgersi, anche con la<br />

classe, in questo luogo.* vi si recherà per<br />

apprendimenti legati all’area delle<br />

autonomie.<br />

Si preparerà *alle uscite con il resto della<br />

classe ma anche da solo, assieme<br />

all’insegnante, in luoghi vicini alla scuola<br />

(bar, cartoleria,ecc.) per apprendimenti<br />

legati alle autonomie (fare piccoli<br />

acquisti)<br />

21


PROGRAMMAZIONE ANNUALE DELLE ATTIVITA’<br />

DI SOSTEGNO<br />

L’attività didattica perseguirà i seguenti obiettivi:<br />

Sviluppo dell’area cognitiva<br />

Imitazione/riconoscimento di suoni<br />

Ampliamento del vocabolario relativo a termini di uso quotidiano<br />

Associazione parola/immagine<br />

Associazione parola/oggetto<br />

Associare, classificare, seriare oggetti e figure per forma colore, grandezza<br />

Ordinare i numeri dallo 0 al 10<br />

Eseguire esercizi di coordinazione grosso e fine motoria<br />

Acquisire il concetto di “uguale/diverso”<br />

Promuovere l’autonomia domestica e personale<br />

Realizzare disegni<br />

Favorire la socializzazione ed il benessere a scuola<br />

Aumentare la comprensione verbale<br />

Migliorare la capacità di categorizzazione<br />

22


I MATERIALI<br />

Per lavorare con * sulle sue abilità emergenti si utilizzeranno i seguenti materiali:<br />

Materiale di facile consumo (cartone, cartoncino, colla, forbici, graffette,<br />

elastici, scatole, pongo, colori di tutti i tipi, corda, nastri, ….)<br />

Perline, lettere e numeri magnetici, porta rullini, pongo, bottoni, …<br />

Computer e softwer specifici (Impara la matematica -ARS, divisione Fabanet.<br />

Impara le parole-ARS, Didacare)<br />

Registratore<br />

Strumenti musicali<br />

Giochi da tavolo, puzzle, carte…<br />

Riviste, libri illustrati<br />

Per la realizzazione dei cartellini da usare con Andrea : BOARDMAKER della<br />

Mayer-Johnson, inc. nella versione italiana della Auxilia<br />

Suggerimenti per la realizzazione di attività da svolgere cona Andrea da testi<br />

quali: Verso l’autonomia:la metodologia T.E.A.C.C.H. del lavoro indipendente<br />

al servizio degli operatori dell’ahandicap di E. Micheli, M.Zacchini<br />

ed.Vannini (Collana psicologica Apprendimento e disabilità)<br />

MODALITA’ DI INTERVENTO E STRATEGIE<br />

L’intervento educativo individualizzato privilegerà le seguenti modalità:<br />

Visualizzazione dell’informazione<br />

Comunicazione con strategie visive<br />

Aspettare sempre che Andrea rielabori le informazioni ricevute e attendere<br />

sempre un po’ prima di ripetere una consegna<br />

Osservare in modo partecipato ogni tentativo di comunicazione<br />

Strutturare l’ambiente di lavoro<br />

Definire un programma di lavoro giornaliero in modo chiaro<br />

Ricercare strategie per favorire l’incontro con i coetanei<br />

VERIFICA E VALUTAZIONE<br />

Le valutazioni interquadrimestrale e quadrimestrale terranno conto del<br />

livello di partenza, delle osservazioni sistematiche e del processo di<br />

apprendimento.La valutazione sarà espressa in schede appositamente<br />

predisposte dal Consiglio di Classe, secondo i modelli <strong>allegati</strong> al presente<br />

PEI, che integrano la scheda di valutazione e ne costituiscono parte<br />

integrante.<br />

Le verifiche saranno informali e quotidiane<br />

23


Istituto Comprensivo Statale<br />

“*****”<br />

Scuola Media<br />

Scheda di valutazione<br />

Alunno:***<br />

Classe: 1° sez.*<br />

anno scolastico 2005/2006<br />

Situazione di partenza<br />

Area del linguagio<br />

Area della comunicazione<br />

Area cognitiva<br />

Area della motricità<br />

Area dell’imitazione<br />

Area della percezione<br />

Area delle autonomie<br />

Area affettivo relazionale<br />

Comportamenti problema<br />

Giudizio complessivo<br />

Il Coordinatore Il Genitore<br />

Il Preside<br />

******, Il Consiglio di classe<br />

24


Allegati<br />

25


Alunno: Classe: Sez.:<br />

SCHEDA INTERMEDIA DI VALUTAZIONE<br />

Aree Novembre 2005 Aprile 2006<br />

MUSICA<br />

MANUALITÁ<br />

COLORARE<br />

LAVORO<br />

26


CLASSE<br />

Per presa visione Il Coordinatore di Classe Il Coordinatore di classe<br />

___________________ ____________________<br />

Il Genitore Il Genitore<br />

____________________ _____________________<br />

Non sufficiente Positivo Sufficiente<br />

27


ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE<br />

“************* (VI)”<br />

SCUOLA MEDIA<br />

SCHEDA DI VALUTAZIONE<br />

I° Quadrimestre<br />

Alunno : *********<br />

Classe: 1° sez.****<br />

Anno scolastico 2005/2006<br />

28


Situazione di partenza<br />

Dopo un primo periodo di ambientazione, * si è inserito<br />

positivamente nel nuovo Istituto scolastico grazie ad una<br />

progressiva e sempre più precisa strutturazione e<br />

personalizzazione di spazi, tempi di lavoro ed attività da svolgere.<br />

In breve tempo, * ha mostrato di aver interiorizzato i tempi scolastici<br />

(orario di inizio e fine lezione, intervallo…) ed è stato capace di<br />

muoversi, con sicurezza ed autonomia, all’interno dei vari locali<br />

dell’Istituto (aula, mensa, laboratori…)<br />

Area del linguaggio<br />

Obiettivi:<br />

1-Ampliamento del vocabolario relativo ai termini d’uso quotidiano<br />

2-Associazione parola-immagine<br />

3-Associazione parola-oggetto<br />

* ha cominciato a lavorare al raggiungimento di questi obiettivi che,<br />

come tutti quelli programmati, si intendono estesi a tutto il <strong>corso</strong> del<br />

triennio di scuola media. Ad oggi, * è in grado di associare, con<br />

aiuto, il nome all’immagine di alcuni oggetti di uso comune.<br />

Area della comunicazione<br />

Obiettivi:<br />

1-Aumentare la comprensione verbale<br />

* comprende bene ogni comunicazione contestuale specie se<br />

supportata da una mimica essenziale e precisa. Rispetto all’inizio<br />

dell’anno scolastico, * mostra di comprendere correttamente un<br />

29


maggior numero di messaggi sia iconici sia verbali ed è in grado di<br />

comprendere alcuni messaggi verbali contestuali anche se non<br />

accompagnati da gesto o cartellino. Si sta lavorando alla<br />

generalizzazione dei diversi vocaboli, ancora carente.<br />

Area cognitiva<br />

Obiettivi:<br />

1-Migliorare la capacità di categorizzazione<br />

2-Acquisire il concetto di uguale-diverso<br />

3-Ordinare i numeri dall’1 al 10<br />

4-Associare, classificare, seriare oggetti e figure per forma, colore,<br />

grandezza<br />

* riconosce foto di oggetti uguali e forme uguali. Maggiori difficoltà<br />

nell’acquisizione del concetto di diverso. Buona la capacità di<br />

categorizzazione, associazione, classificazione. Non sempre sicura<br />

e generalizzata la capacità di ordinare i numeri dall’1 al 10.<br />

Area della motricità<br />

Obiettivi:<br />

1-Eseguire esercizi di coordinazione grosso e fine motoria<br />

2-Realizzare disegni<br />

* attende con gioia le lezioni di Scienze motorie. Svolge gli esercizi<br />

con poca coordinazione e agilità ma con impegno. Nell’uso degli<br />

strumenti di scrittura, disegno e lavoro (forbici, penna, pennello…) *<br />

ha ancora tratto pesante e atteggiamento frettoloso. Per migliorare<br />

la motricità fine e la coordinazione oculo-manuale, lo si impegna in<br />

30


specifici esercizi (es. unire i puntini, colorare nei bordi, scrivere<br />

negli spazi, realizzare disegni da modello) attraverso i quali *<br />

mostra di aver fatto piccoli progressi. Con gli strumenti musicali sa<br />

eseguire una sequenza guidata con lo xilofono e l’uso del battente.<br />

Impugna correttamente le maracas, coordinando il suono al<br />

movimento.<br />

Area dell’imitazione<br />

Obiettivi:<br />

1-Imitazione di suoni<br />

* è in grado di imitare semplici gesti–suono proposti dall’insegnante.<br />

Ripete su richiesta suoni onomatopeici (PA-BA…). Imita la<br />

percussione del tamburo e del bongo con le varie tecniche<br />

proposte, alternando mano destra/sinistra, strofinando,<br />

tamburellando con le dita, “graffiando” con le unghie.<br />

Area della percezione<br />

Obiettivi:<br />

1-Riconoscimento di suoni<br />

* sta lavorando dall’inizio dell’anno scolastico all’associazione<br />

rumore-oggetto, suono-strumento musicale, verso-animale, suono<br />

lontano-vicino. Non sembra particolarmente infastidito dal rumore<br />

(vocio dei compagni, confusione durante il momento della<br />

ricreazione…).Gradisce molto l’ascolto di cassette di musica<br />

(classica) e di fiabe.<br />

31


Area delle autonomie<br />

Obiettivi:<br />

1-Promuovere l’autonomia domestica e personale<br />

* è in grado anche a scuola di recarsi autonomamente ai servizi, di<br />

riporre i propri indumenti e materiale scolastico in aula al giusto<br />

posto. Sa, su sollecitazione dell’insegnante, preparare e riporre il<br />

materiale didattico. In <strong>corso</strong> di acquisizione abilità quali la<br />

preparazione autonome di the, aranciata, panino, oppure stendere il<br />

bucato, chiudere un sacchetto. Sa chiudere i bottoni a pressione e<br />

la zip. Frettoloso ma autonomo nel consumo del pasto in mensa e<br />

della merenda. Buona l’autonomia nello svolgimento del lavoro<br />

(“scatole”) sia in classe sia in aula dedicata. Sa chiedere aiuto per<br />

la risoluzione di piccoli problemi (avvio computer, avvio registratore,<br />

ecc.) sia all’insegnante di sostegno ma anche, episodicamente, a<br />

docenti supplenti o al personale non docente.<br />

Area affettivo relazionale<br />

Obiettivi:<br />

1-Favorire la socializzazione ed il benessere a scuola<br />

* mostra di gradire maggiormente la permanenza in classe; a volte<br />

è lui stesso a chiedere di recarvisi dall’aula dedicata. Accetta la<br />

presenza dei compagni sia in classe sia durante la ricreazione. Lo<br />

si sta introducendo al gioco da tavolo (domino) da svolgersi con i<br />

compagni, in classe, nel rispetto dei turni.<br />

32


Comportamenti problema<br />

Nessuno da segnalare.<br />

Giudizio complessivo<br />

L’inserimento di * nel nuovo contesto scolastico può dirsi avvenuto<br />

positivamente. Positiva anche questa prima parte dell’anno<br />

scolastico. * è a suo agio a scuola; lavora secondo la routine<br />

giornaliera programmata e si sta cercando di introdurlo<br />

gradualmente alla compilazione autonoma del proprio programma<br />

giornaliero. L’esperienza del rientro pomeridiano del martedì è<br />

positiva e sembra essere molto gradita all’alunno.<br />

********,………………..<br />

Il Coordinatore Il Genitore<br />

Il Dirigente Scolastico<br />

33


Tratto da: “Il Bollettino dell’Angsa”<br />

Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici<br />

n. 6 - 2004<br />

“Il progetto educativo con i compagni di classe di un bambino autistico”<br />

M. Antonucci<br />

Molto spesso, pur muovendoci nella prospettiva dell’integrazione, finiamo per dimenticare i<br />

compagni di classe del bambino disabile o per considerarli in una logica puramente strumentale. I<br />

compagni, però, se opportunamente coinvolti come partner del progetto possono diventare i veri<br />

protagonisti del processo di integrazione. E’ necessario, però, predisporre un per<strong>corso</strong> che parta<br />

dalla conoscenza reciproca e arrivi al fare insieme. Il racconto di un’esperienza permetterà, forse, di<br />

evidenziare alcuni passaggi del per<strong>corso</strong>.<br />

Lavorare insieme: costruire ponti<br />

Penso che l’immagine del costruire ponti sia quella più vicina per rendere l’idea del lavoro per<br />

l’integrazione: si lavora sui due versanti, si fa crescere la costruzione verso il centro, dove alla fine i<br />

due versanti s’incontreranno. Tramite il ponte sarà possibile comunicare e poi fare qualcosa<br />

insieme, magari solo un gioco.<br />

Un giorno Andrea C. , in una comunicazione informale, raccontava di un episodio che mi ha<br />

colpito. Andrea si stava facendo accompagnare in taxi verso casa e il tragitto era piuttosto lungo.<br />

Chiacchierando del più e del meno il tassista arriva a parlare con fastidio degli handicappati. Andrea<br />

per non polemizzare lascia correre. Dopo, il tassista, per ingannare il tempo, mette dei nastri<br />

musicali e Andrea scopre che usa quei nastri durante l’accompagnamento di alcuni bambini<br />

handicappati a scuola. nei confronti di questi bambini, però, il tassista usa toni molto diversi;<br />

inoltre, il fatto stesso di avere dei nastri musicali per rendere piacevole il loro viaggio era segno di<br />

una premurosa preoccupazione. Andrea chiede come mai parli quasi con affetto di questi bambini,<br />

dato che prima invece esprimeva fastidio verso gli handicappati. La risposta del tassista è semplice,<br />

ma sorprendente al tempo stesso: “Certo, quei bambini li conosco!”.<br />

La conoscenza reciproca, quindi, è il primo pilastro su cui poggiare il ponte, un pilastro da tirar su<br />

in ognuno dei due versanti.<br />

La presentazione e la metafora utile<br />

Suona la campana del primo giorno di scuola. Tutti sono un po’ eccitati: è il primo giorno di scuola<br />

media. Al momento dell’appello, viene registrato un assente: Amadeus. Sul momento nessuno ci fa<br />

caso, nessuno lo conosce. Qualcuno probabilmente ha pensato: però che nome bizzarro! Ironia della<br />

sorte, un bambino così radicalmente diverso ha anche un nome stravagante…<br />

Lo aspetto giù nel piazzale, dove arriva con qualche minuto di ritardo. Scende dalla macchina senza<br />

scarpe, le toglie sempre appena può. La madre corre a portargliele. Amadeus fa una specie di corsa<br />

sul posto e si morde il dorso della mano. Mi avvicino, saluto la madre. Amadeus, continua a<br />

saltellare e a mordersi la mano, mi guarda e poi mi prende per mano. Ha ristabilito il contatto.<br />

Saliamo per le scale, so che ci vuole qualche tempo perché Amadeus si rilassi, così entriamo<br />

nell’aula di sostegno. Non voglio che i compagni lo vedano così! Ascolta qualche canzoncina di un<br />

suo vecchio nastro, rimanendo sdraiato sul materasso.<br />

Dopo un po’ si rilassa e decido di entrare in classe. Mi scuso per il ritardo e lo attribuisco al fatto<br />

che Amadeus non sta tanto bene. Amadeus non ama la rottura della routine e iniziare la scuola<br />

altera le sue abitudini domestiche. Per di più questa è una scuola nuova, con compagni e insegnanti<br />

nuovi: ci sono solo io, il suo educatore da più di tre anni, a fare da tenue filo di continuità con le<br />

scuole elementari.


Chiedo di leggere un breve testo di presentazione di Amadeus:<br />

“ Mi chiamo Amadeus, Amadeus si avete capito bene, è un nome un po’ particolare, lo stesso di<br />

Mozart, il musicista. Questo forse perchè mio padre si interessa di musica. Sono nato da queste<br />

parti il 24 febbraio e, così, sono del segno dei pesci. Come i pesci, io non parlo (si dice, infatti,<br />

muto come un pesce giusto?), per questo con i miei educatori e la mia insegnante di sostegno,<br />

proverò a imparare una forma di comunicazione con gli oggetti. Vedrete quindi tra un po’ un<br />

cartellone, all’entrata della classe, con degli oggetti attaccati a dei cartoncini. Quando, ad<br />

esempio, andremo in refettorio per il pranzo, prenderò una forchetta attaccata a un cartoncino dal<br />

cartellone, la porterò poi con me fino al refettorio dove la sistemerò in un apposito spazio. Alla fine<br />

del pranzo, riprenderò il cartoncino con la forchetta e lo metterò via in un’apposita tasca del<br />

cartellone. prenderò quindi il cartoncino con lo spazzolino da denti, per andare a lavarmi i denti, e<br />

così via…Insomma, con il cartellone potrò capire quali sono le attività della giornata, una specie di<br />

calendario. Da raccontare forse è più difficile che da fare! Dicevo…ah si! Sono del segno dei pesci<br />

e come i pesci mi piace nuotare, fare i tuffi, immergermi in apnea. Amo molto andare in piscina,<br />

anche se d’inverno temo il freddo e non resisto per molto tempo se l’acqua è fredda. Sono, quindi,<br />

una specie di bambino-pesce tropicale che ama l’acqua calda. Per le vacanze però mi accontento<br />

del mare e delle spiagge dell’Adriatico, dove mi piace molto giocare con la sabbia, che faccio<br />

passare da una mano all’altra!<br />

Con le persone e, in particolare con gli altri ragazzi, mi sento spesso come un pesce fuor d’acqua:<br />

non capisco bene le loro parole, i loro giochi. Chi vuole conoscermi meglio ogni tanto può venire<br />

con me nell’auletta, dove proveremo a fare dei giochi che conosco. A proposito, in classe starò solo<br />

in certi momenti, perché non riesco a stare tanto tempo seduto e dopo un po’ ha bisogno di<br />

muovermi. Quando sono molto agitato e faccio cose un po’ strane come mordermi la mano, ho<br />

bisogno di rilassarmi, stendermi su un materasso e ascoltare della musica. Mi piace molto<br />

ascoltare la musica, in particolare delle canzoncine, ma non i rumori troppo forti, perché in fondo<br />

al mare non siamo abituati ai rumori troppo forti. Ciao a tutti”.<br />

Abitare lo spazio comune<br />

Nonostante gli sforzi, l’integrazione nella nuova realtà scolastica di Amadeus risulta problematica.<br />

Le manifestazioni di disagio sono state principalmente tre:<br />

- insonnia a casa e profonda sonnolenza a scuola;<br />

- momenti di forte eccitazione sessuale;<br />

- manifestazioni di comportamenti problematici che, pur essendo tipici del repertorio di Amadeus (il<br />

mordersi il dorso della mano accompagnato da urla soffocate, euforia e iperattività) si presentano<br />

con una frequenza e intensità insoliti.<br />

Proviamo, così, a impostare il lavoro educativo in modo da minimizzare l’impatto della novità e<br />

delle situazioni stressanti, privilegiando lo svolgimento di attività piacevoli nell’aula di sostegno. In<br />

classe, al principio, i tempi di permanenza sono molto brevi e finalizzati allo svolgimento di<br />

semplici attività, come puzzle da 5-6 pezzi, ben conosciute da Amadeus.<br />

Esiste un primo livello d’integrazione che può essere chiamata coesistenza parallela. non c’è<br />

interazione con i compagni e il docente, perché è troppa la differenza di abilità, ma si abita lo stesso<br />

spazio, ci si abitua alla presenza dell’altro e si crea uno spazio mentale dove l’altro in qualche modo<br />

è presente. Può sembrare poco, ma in situazioni gravi come quella di Amadeus riuscire a stare in<br />

classe 1-2 ore su 5 è già un grande risultato, un risultato a cui siamo gradualmente arrivati nel <strong>corso</strong><br />

del secondo quadrimestre. La permanenza in classe è stata organizzata in modo da impegnare<br />

Amadeus in un numero crescente di attività a tavolino, attività già sperimentate nell’aula di<br />

sostegno e risultate piacevoli (puzzle, classificazione di oggetti per colore, accoppiamenti di figure<br />

uguali…).


La metafora diventa racconto<br />

Andiamo ora sull’altro versante del ponte. Dopo la presentazione ai compagni, che ha introdotto la<br />

metafora del bambino-pesce, permettendo di conoscere alcune caratteristiche di Amadeus<br />

(mutismo, fastidio per i rumori, iperattività, il sentirsi estraneo “come un pesce fuor d’acqua”), ho<br />

concordato con l’insegnante di italiano un lavoro di scrittura. Ai ragazzi è stato proposto l’incipit di<br />

un racconto contenente la metafora del bambino-pesce, con la consegna di completare il testo<br />

scegliendo fra diverse opzioni.<br />

“Fluò, il pesciolino tropicale.<br />

Avete presente quei pesciolini colorati, con una forma che ricorda un triangolo, una coda grande e<br />

una moltitudine di colori che vanno dal rosso al blu? bene Fluò era uno di questi pesciolini che,<br />

senza sapere come, si ritrovò dentro un acquario di un negozio di pesci. Nuotava, nuotava, ma<br />

inevitabilmente finiva per sbattere il muso contro una superficie che non riusciva a vedere. Certo,<br />

era il vetro dell’acquario! Così, certe volte finiva per innervosirsi e iniziava a muoversi<br />

velocemente, cambiando spesso direzione, a destra e a sinistra, con scatti nervosi. Non aveva<br />

compagni nel suo acquario, quando un giorno…”<br />

Continua la storia, scegliendo tra:<br />

- entrò dentro il negozio di pesci un ragazzo che rimase affascinato dai colori di Fluò e …<br />

- lo raggiunse dentro l’acquario un pesciolino …<br />

- continua liberamente.<br />

I ragazzi hanno scelto le soluzioni narrative più diverse e poi ne è scaturita una discussione che ha<br />

toccato via via i temi della diversità, della comunicazione, per poi concentrarsi sul finale del<br />

racconto scelto da molti: Il ritorno a mare aperto.<br />

Questo finale in uno dei racconti, anziché colorarsi della gioia della liberazione, diventava la<br />

premessa per un triste epilogo: l’essere divorati da pesci più grandi. Una soluzione inquietante, ma<br />

realistica. Così, non ho aggirato l’ostacolo, ma ho rilanciato con una domanda: raggiungere il mare<br />

aperto può essere una conquista ma rappresentare anche una sfida troppo grande; il vetro<br />

dell’acquario allora è un limite o una protezione?<br />

La discussione che ne è seguita aveva molto a che fare con le paure di ciascuno: la paura di<br />

crescere, quella di abbandonare il noto per l’ignoto …grazie ad Amadeus, così, è nato un momento<br />

di riflessione sui propri vissuti, legati almeno in parte all’inizio della scuola media.<br />

Esperimenti nell’aula di sostegno<br />

Raccogliendo l’invito fatto fin dalla presentazione, alcuni compagni hanno iniziato a bussare alla<br />

porta dell’aula di sostegno, credendo di entrare: “avanti, benvenuti!”, ma poi, dopo i primi sguardi<br />

e, magari, la ricerca di un contatto fisico, cosa fare? Amadeus, si limita a guardare fuggevolmente i<br />

compagni ma poi si gira, si ripiega nel suo mondo, ascolta le canzoncine per bimbi piccoli. E’ molto<br />

difficile improvvisare qualcosa, l’incontro va preparato.<br />

Provo a organizzare diversi giochi: una pista per farci correre sopra delle automobiline, il lancio<br />

della palla in un canestro giocattolo, una specie di bowling con il lancio di palle morbide che<br />

fungono da birilli. Il gioco del bowling funziona abbastanza bene, ma solo con un ragazzino per<br />

volta, un ragazzino che riproduce una sequenza di azioni già collaudata. Io da vicino, consiglio,<br />

incoraggio.<br />

Il momento in cui capisco che si sta verificando un salto di qualità nei rapporti tra Amadeus e i<br />

compagni, è quando vedo Amadeus rispondere al saluto di un compagno: “dai, Amadeus, dammi un<br />

5!”. Vedo le due mani incontrarsi nel classico gesto di incoraggiamento usato nella pallacanestro e<br />

per me è come assistere a un piccolo miracolo. Mi stupisco, perché non abbiamo svolto un<br />

programma di attività per imparare questo tipo di saluto … Forse glielo ha insegnato un compagno,<br />

così, un po’ per scherzo.


E’ come se nei lavori per la costruzione di un ponte ad arco, procedendo su ciascun versante, si<br />

fosse arrivati alla chiave di volta, l’elemento che unisce le due parti. Il gesto del “5”, è stato come<br />

assistere alla posa della chiave di volta. Il ponte mette in comunicazione due mondi, rendendo<br />

possibile passare da uno all’altro, il fare insieme.<br />

Fare insieme: il per<strong>corso</strong> in palestra<br />

Amadeus ha sempre esibito un comportamento, a tratti, particolarmente problematico: il lancio di<br />

oggetti. Un momento di disattenzione nei suoi confronti, magari per parlare con qualcuno, la<br />

frustrazione per una richiesta non compresa, un tempo di attesa troppo lungo, o, a volte, solo per<br />

gioco, ed ecco volare in aria un oggetto, magari giù dalla finestra. Dallo stare insieme,<br />

dall’osservare e interrogarsi, gradualmente ha preso forma una strategia educativa, mirante a creare<br />

un contesto dove il lancio non fosse trasgressione, ma norma.<br />

Abbiamo iniziato sulle rive del fiume, con il lancio delle pietre sull’acqua: unica regola, l’alternanza<br />

dei turni. Abbiamo, poi, proseguito a scuola, quando ancora frequentava le elementari,<br />

sperimentando dei tiri a canestro e anche dei percorsi che si concludevano con un tiro a canestro.<br />

Nel primo quadrimestre di prima media, grazie a una maggiore disponibilità della palestra della<br />

scuola e alla collaborazione dell’insegnante di sostegno, è stato possibile organizzare un per<strong>corso</strong><br />

psicomotorio con quattro attività:<br />

attività di tiro a canestro.<br />

Materiali: 8 cerchi e 8 palle da basket;procedimento:8 cerchi vengono disposti a semicerchio<br />

intorno al canestro e dentro ogni cerchio c’è una palla; Amadeus inizia a tirare dal primo cerchio e<br />

quando fa canestro si sposta nel secondo, dove prende la seconda palla e tira …e così fino al<br />

termine;<br />

attività di palleggio con le palle da basket.<br />

Materiali: 2 carrelli da supermarket, palle da basket, coni da segnaletica stradale; procedimento: si<br />

traccia con i coni un per<strong>corso</strong>, dove all’inizio c’è un carrello pieno di palloni e al termine uno<br />

vuoto; Amadeus deve prendere un pallone per volta, far rimbalzare la palla per tutto il per<strong>corso</strong> e<br />

poi depositarla nel carrello vuoto, fino ad esaurire la scorta di palloni del primo carrello;<br />

attività di passaggio con le palle da basket.<br />

Materiali: 2 carrelli da supermarket, palle da basket, 2 cerchi; procedimento: si sistemano i due<br />

cerchi a distanza di 4-5 metri uno di fronte all’altro, in uno sta Amadeus e nell’altro l’educatore;<br />

l’educatore tiene al suo fianco il carrello pieno di palloni e Amadeus il carrello vuoto; l’educatore<br />

inizia a passare le palle da basket ad Amadeus fino a svuotare il proprio carrello; poi si invertono i<br />

ruoli;<br />

attività con le spalliere svedesi.<br />

Materiali: 8 cerchi, 8 palle da volley, spalliera svedese; procedimento: sotto ogni spalliera viene<br />

sistemato un cerchio e dentro una palla; Amadeus deve prendere la palla, salire sulla spalliera e<br />

collocare la palla sulla sommità della spalliera, così per le 8 palle; al termine deve prenderle e<br />

rimetterle dentro il cerchio.<br />

Nella seconda parte dell’anno, queste quattro attività sono state organizzate in modo da formare un<br />

grande per<strong>corso</strong> a stazioni. Per rendere più comprensibile la successione delle attività, inoltre,<br />

abbiamo pensato di fornire ad Amadeus dei supporti visivi, organizzati in modo simile al calendario<br />

visivo. Al posto delle carte oggetto, però, abbiamo usato figure geometriche ben conosciute da<br />

Amadeus, perché da tempo le utilizzava per fare giochi di accoppiamento.<br />

Questa organizzazione dell’attività, ha permesso ad Amadeus di orientarsi meglio nello spazio e nel<br />

tempo, svolgendo le diverse attività con successo. Una volta collaudato il per<strong>corso</strong>, durante l’ora di<br />

educazione fisica, ho chiesto a un compagno per volta, di svolgere il mio ruolo come pater del gioco<br />

e, in certi momenti, come tutor che guida e incoraggia. L’esperimento ha funzionato e i compagni si<br />

sono divertiti al punto di chiedere spesso di ripetere il per<strong>corso</strong>.


Integrazione come interazione?<br />

Da un punto di vista estraneo, che non conosce da vicino Amadeus, si potrebbe pensare: “Ma come,<br />

questo bambino passa più tempo nell’aula di sostegno che in classe; questa non è integrazione…”.<br />

Probabilmente questo punto di vista potrebbe incontrare facilmente il pregiudizio nei confronti del<br />

programma TEACCH: “E’ un programma che non favorisce l’integrazione…”. Questi giudizi<br />

sommari costano poco e spesso evitano la fatica del confrontarsi davvero con le persone e con<br />

nuove metodologie di intervento.<br />

Il problema, però, non è mettere insieme, inserire, ma come preparare l’incontro. Bisogna pensare<br />

ad un per<strong>corso</strong> di avvicinamento progressivo (la costruzione del ponte). Questo processo, in un caso<br />

come quello di Amadeus, si può avviare da una parte chiedendo gradualmente al bambino autistico<br />

di abitare correttamente uno spazio comune, dall’altra fornendo informazioni ai suoi compagni. Ci<br />

può essere anche una prima conoscenza diretta, fatta di qualche sguardo, una mano sulla mano o<br />

addirittura un saluto come quello del “5”.<br />

Il fare insieme viene dopo e bisogna preparare le condizioni. Anche il gioco più semplice, infatti, si<br />

basa su regole minime come l’alternarsi dei turni: se non si è in grado ci comprendere questa regola<br />

minima, non si può giocare insieme. Ma l’abilità del comprendere “prima io, poi tu”, però, non è<br />

scontata per un bambino come Amadeus. E allora non resta che provare ad esercitare questa abilità<br />

in un contesto a parte. E’ come creare un codice in base al quale l’altro sa cosa rispondere quando tu<br />

hai fatto una certa cosa; un sistema codificato di attese, senza il quale non può esservi interazione .<br />

Comunque sia, non esistono le ricette pronte.<br />

Bisogna stare nelle situazioni, spesso soffrirne, evitando sia la frustrazione dell’impotenza, sia il<br />

delirio di onnipotenza.<br />

Noi possiamo fare qualcosa; molto di più se riusciamo a rendere partner del nostro progetto anche il<br />

gruppo dei pari.


I primi passi del per<strong>corso</strong> verso la comunicazione:<br />

insegnare le abilità di relazione sociale<br />

Cesarina Xaiz, Psicomotricista e terapista della famiglia, Laboratorio Psicoeducativo, La Valle<br />

Agordina (BL), Italia<br />

Enrico Micheli, Psicologo , Servizio Età Evolutiva Distretto di Agordo (BL), Italia<br />

Tratto dalla Rivista AUTISMO OGGI, Fondazione ARES www.fondazioneares.com<br />

I genitori dei bambini con <strong>autismo</strong> che abbiamo incontrato ci hanno detto che il “non comunicare”,<br />

il “non riuscire a entrare in contatto”, il “non avere uno scambio con il bambino su quello che gli<br />

piace, o su quello che c’è intorno”, il “non riuscire a passargli niente di quello che vorrei fargli<br />

conoscere o sapere”, è forse la difficoltà maggiore che essi sperimentano nella vita con il bambino.<br />

Questo anche in situazioni piene di fatica fisica e stress : bambini che scappano in strada, che si<br />

picchiano, che urlano tutta la notte. Incontrare queste dichiarazioni ogni volta che conosciamo una<br />

nuova famiglia continua a colpirci, anche se non ci stupisce più. Dimostra che i genitori hanno una<br />

chiara percezione della comunicazione come componente essenziale dell’umana qualità della vita .<br />

Essi intravedono per via intuitiva, anche senza avere mezzi per trarne conseguenze operative,<br />

l’attuale conoscenza sull’intreccio tra comunicazione e problemi di comportamento (Carr) e<br />

apprendimento culturale (Bruner) e ci dicono: intervenire sulle abilità comunicative è importante e<br />

senza perdere tempo.<br />

Comunicazione e <strong>autismo</strong><br />

L’eterogeneità, la variabilità in caratteristiche e in gravità sono tipiche dell’<strong>autismo</strong>: Anche le<br />

difficoltà in quest’area quindi, si presentano diversissime tra individuo e individuo. Dire <strong>autismo</strong><br />

quindi non significa proprio nulla se quello che cerchiamo è una guida all’intervento sulla<br />

comunicazione. Moltissimi bambini non parlano; altri passano dall’uso di singole parole o frasi<br />

ecolaliche all’uso vario e articolato di un linguaggio verbale che conserva difficoltà che arrivano ad<br />

assomigliare ai Disturbi Specifici del Linguaggio, fino ad avere difficoltà solo nell’uso del<br />

linguaggio come mezzo per un fluente scambio reciproco di conversazione. Non c’è quindi alcun<br />

tratto comune a tutte le persone con spettro autistico, per quanto riguarda l’area comunicazione?<br />

Alcuni tratti comuni sembrano esistere:<br />

• la limitatezza delle funzioni spontaneamente servite dalla comunicazione: la funzione del<br />

controllo e influenza sull’ambiente per ottenere ciò di cui si ha bisogno o si desidera<br />

(richiesta, rifiuto) prevale sulle altre funzioni di affiliazione e di condivisione di esperienze.<br />

• l’intreccio tra le difficoltà di comunicazione e le difficoltà sociali. Difficoltà nello sviluppo<br />

dell’ attenzione congiunta si trovano in tutti i bambini dello spettro autistico.<br />

• difficoltà a riconoscere e padroneggiare il meccanismo di fondo della comunicazione: l’idea<br />

stessa dello scambio di messaggi.<br />

In questi tratti comuni si nota l’intreccio, la connessione sistemica tra la menomazione dello<br />

sviluppo della comunicazione e la menomazione nello sviluppo della relazione sociale reciproca.<br />

Infatti anche nei bambini che parlano, a volte con un linguaggio ricco, con frasi di molte parole e<br />

vocabolario appropriato, vediamo che il parlare risponde non a una comunicazione efficace, inviata<br />

e monitorata allo scopo di raggiungere uno scopo sociale, ma all’esplicarsi di una attività che in


assenza di un preciso riferimento funzionale sembra fine a se stessa. La mancanza di una spontanea,<br />

innata e flessibile capacità di entrare in contatto con gli altri da una parte e dall’altra di usare i mezzi<br />

di cui disponiamo per inviare messaggi , non comporta affatto una parallela difficoltà di<br />

apprendimento. Anzi, ciò che viene a mancare nel bagaglio predisposto in modo innato, viene<br />

compensato da funzioni e abilità apprese. Nella maggioranza delle persone con <strong>autismo</strong>, possiamo<br />

vedere come spesso il bambino apprende modi per svolgere la necessaria funzione di regolazione<br />

dell’ambiente: sono modi di comunicazione molto poco convenzionali, effettuata con forme<br />

(motorie, o indifferenziati segnali di disagio) che nello sviluppo normale di solito precedono il<br />

prorompere dello sviluppo della comunicazione convenzionale (mimica, gesti, parole, frasi). Oppure<br />

utilizzano spezzoni di linguaggio parlato appresi (ecolalia), non riconosciuti agevolmente da noi<br />

come invio di messaggi, nel tentativo di raggiungere uno scopo, come chiedere o rifiutare.<br />

L’apprendimento della comunicazione è un fenomeno di natura transazionale. Ciò significa che il<br />

comportamento del bambino provoca una risposta nell’ambiente che a sua volta influenza lo<br />

sviluppo delle abilità nel bambino.<br />

Non ci stupiamo quindi se le inabilità comunicative del bambino, che provocano risposte<br />

nell’ambiente, finiscono con trasformarsi in mezzi per ottenere ciò che si vuole: l’ecolalia, le<br />

stereotipie motorie, l’urlare, lo sbattere la testa, il lanciare oggetti, che provocano nell’ambiente una<br />

risposta di assistenza e intervento. Nello stesso tempo questo ci indica una via molto chiara:<br />

insegnare abilità di relazione sociale e la funzione dei messaggi intenzionali.<br />

L’insegnamento della comunicazione e le sue difficoltà<br />

In un bambino con paralisi cerebrale notiamo difficoltà nello sviluppo del movimento di tipo<br />

quantitativo e qualitativo, e il deficit motorio si intreccia con altre difficoltà e problemi. La risposta<br />

dell’ambiente alle difficoltà del bambino influenza la possibilità e le forme dell’apprendimento in<br />

questo campo. Anche qui occorre tecnica, conoscenze, tenacia.<br />

Un elemento però facilita l’impresa: la visibilità, la fisicità della topografia del movimento degli arti<br />

aiuta il terapista a programmare piccoli passi , piccole approssimazioni verso una meta, che può<br />

essere condivisa tra terapista e bambino, portando a un “circolo virtuoso”. Il terapista avvertito è in<br />

grado di considerare abbastanza agevolmente la costruzione lenta di sempre migliori e nuove abilità<br />

partendo da ciò che c’è nel bambino; l’intreccio di questo lavoro con l’uso esplicito di protesi per<br />

facilitare l’esercizio della funzione cui il movimento del bambino ancora non è in grado di servire<br />

efficacemente, come lo stare in piedi o lo spostarsi; le approssimazioni verso la meta vengono<br />

rinforzate e mantenute. Nella Comunicazione con il bambino autistico ci comportiamo o come chi<br />

non chiede al bambino con PCI alcuno sforzo di movimento, sostituendosi a lui nell’esercizio delle<br />

funzioni, o come chi chiedesse al bambino con PCI di sforzarsi una buona volta e di saltare.<br />

Mentre nel campo del movimento possiamo immaginarci i piccoli passi e per esperienze personali<br />

immedesimarci nella difficoltà di compiere azioni , e pensare di essere nei panni di chi ha bisogno<br />

di lenta riabilitazione, nella comunicazione non siamo in grado di pensare in termini di piccoli passi.<br />

Non riusciamo a vedere il rapporto tra il singolo passo e la meta .A volte non riusciamo ad<br />

immaginare che bambini così abili e sensibili abbiano bisogno di una lunga strada per imparare<br />

semplici componenti della comunicazione.<br />

Bene, non abbiamo altra strada: raccogliere tutto quello che si è conosciuto e studiato su relazioni<br />

sociali e comunicazione nello sviluppo normale e tutto quello che si è studiato e saputo sui mezzi<br />

per ottenere cambiamenti nelle persone con <strong>autismo</strong> per avere, nei confronti della riabilitazione in<br />

comunicazione di un bambino con <strong>autismo</strong>, un atteggiamento analogamente attento e produttivo:<br />

individuare priorità, definire mete, scomporle in passi, escogitare esercizi.<br />

Un per<strong>corso</strong>: Oggi possiamo contare su consolidati principi dell’insegnamento della<br />

Comunicazione<br />

• Il centro degli sforzi per l’incremento della comunicazione deve essere lo sviluppo di abilità di<br />

comunicazione utili nell’ambiente in cui il bambino vive.


• lo sviluppo della comunicazione implica continuità tra abilità di relazione sociale reciproca<br />

(intersoggettività), comunicazione preverbale e comunicazione verbale; va data quindi<br />

appropriata e individualizzata enfasi nel curriculum al tentativo di sviluppare abilità preverbali<br />

sociali e comunicative.<br />

• un comunicatore competente è il prodotto dell’interazione nello sviluppo di capacità cognitive,<br />

socioaffettive, linguistiche; le decisioni da prendere nel progetto dell’incremento della<br />

comunicazione si basano quindi su un accurato profilo di sviluppo dell’individuo in tutte queste<br />

aree.<br />

• l’enfasi su interazioni di successo in contesti naturali influenza ogni aspetto del programma,<br />

dall’individuazione delle mete alla progettazione dell’intervento.<br />

• anche il partner nella comunicazione, se vuole favorirne l’incremento, ha abilità da imparare:<br />

creare opportunità per la comunicazione , attendere l’iniziativa comunicativa, leggere i tentativi<br />

di comunicazione, e rispondere in modo da sostenerli.<br />

Come applicare questi principi? Cominciando subito un intervento intensivo, appena il bambino con<br />

problemi di tipo autistico è portato alla valutazione e alla diagnosi, anche prima che la parola fine<br />

sia stata posta al per<strong>corso</strong> diagnostico. Sappiamo che le difficoltà sociali e comunicative del<br />

bambino autistico possono avere alla base difficoltà ancora più di base, come l’attenzione e la<br />

modulazione dell’arousal. Questo da un lato ci obbliga a prestare attenzione nell’individualizzare il<br />

per<strong>corso</strong>, dall’altro ci può tranquillizzare perché molti aspetti della vita quotidiana, se ben giocati,<br />

possono far parte del curriculum, nella misura in cui vengono incontro agli interessi del bambino, ne<br />

facilitino l’attenzione e ne rinforzino l’attivazione. Possiamo insomma contare su un circolo<br />

virtuoso. Ma addentriamoci un po’ nel potenziale curriculum , per intenderci, “pre-comunicativo”:<br />

la prima cosa da fare è , “tentare di immettere il bambino piccolo nel mondo sociale”: aiutarlo a<br />

prestare attenzione al volto umano, ai segnali sociali, tollerare la prossimità, godere dello scambio e<br />

del contatto.<br />

L’incremento di abilità di interazione sociale : attenzione congiunta, emozione congiunta, scambio<br />

di oggetti e di turni, uso flessibile dello sguardo, è quindi la prima tappa di un per<strong>corso</strong> verso<br />

l’incremento della comunicazione. Un’accurata valutazione di abilità, punti di forza, possibilità in<br />

questa area è quindi fondamentale. E’ quindi possibile dedicarsi all’insegnamento di abilità in<br />

quest’area. Essa, pur con le difficoltà del bambino con <strong>autismo</strong>, finirà per mescolarsi naturalmente a<br />

modalità di comunicazione preverbale.<br />

Il bambino che ha appreso abilità di interazione sociale reciproca infatti potrà per esempio guardare<br />

di più in faccia il papà, quando spingerà la mano verso un giocattolo per chiederlo; oppure sorriderà<br />

di più quando lo otterrà; presterà più attenzione ai messaggi dell’altro, come gesti o altre indicazioni<br />

non verbali.<br />

Papà, mamma , operatori troveranno quindi nel raggiungimento delle mete in quest’area un contatto<br />

sociale con il bambino che prepara un buon terreno per curare quegli aspetti di natura transazionale<br />

che possono preparare un circolo virtuoso per lo sviluppo di abilità comunicative.<br />

Per questo è importante lo studio dei suoi interessi ed emozioni, le sue passioni, quello a cui presta<br />

spontanea attenzione; lo studio dei suoi gusti e dei suoi bisogni.<br />

Questo complesso profilo sarà indispensabile per comprendere quale sarà per il bambino l’oggetto<br />

della relazione sociale e dei messaggi che impareremo a scambiarci che sarà adatto a lui.<br />

E’ inutile pretendere di comunicare su oggetti di scarso o nullo interesse per il bambino; non esiste<br />

livello basso, esiste il livello del bambino: cibo, giochi ripetitivi, acqua, movimenti, luci e colori<br />

possono essere nobilissimi oggetti su cui comunicare.<br />

E’ importante non trovarsi su un piano di comunicazione totalmente diverso : credere per esempio<br />

possibile una comunicazione su un piano simbolico, con significati di empatia mentre in realtà il<br />

bambino risponde al concreto del contesto. Altra componente fondamentale del curriculum:<br />

l’imitazione. Si può camminare contemporaneamente su tre binari: quello dell’imitazione<br />

spontanea, quello dell’insegnamento dell’imitazione all’interno di attività spontanee di gioco (<br />

modellare ad esempio l’imitazione del gesto di battere su un tamburo) , quello di veri e propri


training strutturati di imitazione . Imitazione di movimenti e suoni, impostata solamente allo scopo<br />

di ottenere l’attenzione del bambino al tuo gesto e al tuo suono, e la replica via via più adeguata del<br />

gesto e del suono. Si può seguire in questa attività una progressione dal più facile al più difficile,<br />

presente in molti repertori di sviluppo, ma da adattare a ciascun bambino. Poi, secondo il principio<br />

ben noto del procedere per piccoli salti verticali e ampi tratti orizzontali, inserire le nuove abilità<br />

imitative del bambino dentro attività ludiche e piacevoli: imitare i gesti di canzoni mimate, imitare<br />

il gesto che serve per produrre uno spettacolo emozionante, imitare il suono di una filastrocca per<br />

ottenerne la conclusione.<br />

Giocare insomma con i gesti e con i suoni e giocare a ripeterli. Se nel frattempo non troviamo nulla<br />

di strano nei tentativi di migliorare la motricità fine del bambino, infilando perle, facendo puzzle,<br />

ecc., perché non ricordarci di promuover miglioramenti nelle abilità fini motorie del sistema<br />

fonatorio del bambino? Soffiare piume e spingere palline da pingpong, spegnere candele, fare bolle<br />

di sapone, masticare chewing gum, leccare nutella spalmata intorno alla bocca, fare facce allo<br />

specchio…fare suoni strani, ecc..<br />

Altra parte cui dare importanza, proporsi di passare dall’imitazione al gioco simbolico; dapprima<br />

semplice e imitativo, poi più complesso. Collegare il piacere che il bambino ha imparato a trarre dai<br />

giochi di scambio sociale, di imitazione, di contatto, con il piacere di svolgere queste attività in<br />

modo simbolico, e con oggetti e personaggi sempre più mentalizzati. Mentre gran parte del tempo<br />

sarà quindi impegnato nel gioco per l’interazione sociale, nell’imitazione, nell’esercizio di abilità<br />

fonatorie, ma anche nella vita quotidiana del mangiare, del lavarsi, del passeggiare, del dormire, ecc,<br />

nell’insegnamento di abilità motorie fini e grosse e nell’uso di tutto questo per vivere una bella vita<br />

da bambino, sarà automatico inserire nel programma mete specificamente di comunicazione. A<br />

questo punto del per<strong>corso</strong>, per individuare le mete, occorre studiare le diverse dimensioni della<br />

comunicazione. Non affrettarsi a correre a insegnare forme più avanzate a bambini che ancora non<br />

hanno apprezzato la funzione.<br />

L’insegnamento degli scopi della comunicazione e della meravigliosa capacità della comunicazione<br />

di influenzare l’ambiente e di rispondere quindi ai miei bisogni ( facilmente scoperta dal bambino a<br />

sviluppo normale), precede l’insegnamento di forme convenzionali e richiede lo studio,<br />

l’accettazione, la promozione di forme più primitive o più spontanee.<br />

Watson , Schaffer, Lord e Schopler (1997) con il loro “ Curriculum” per l’insegnamento della<br />

comunicazione spontanea, una guida alla valutazione, programmazione e intervento che aiuta<br />

nell’intervento con il bambino reale, nel suo contesto di vita, in stretta collaborazione tra terapisti e<br />

genitori, ci danno sull’insegnamento della comunicazione indicazioni fondamentali.<br />

E oltre? Che fare se e quando un bambino parla?<br />

Un gran numero di bambini autistici sviluppa il linguaggio parlato, anche se con particolarità , dette<br />

sopra, che rendono difficile e poco efficace la comunicazione. Attenzione perché questo può<br />

accadere a un bambino anche molto piccolo; oppure a un bambino più grande che arriva al<br />

linguaggio parlato in ritardo. La continuazione, adattata alle fasi dell’intervento e dello sviluppo, di<br />

un intervento sulla socialità , oltre che sulla comunicazione, può essere essenziale per superare<br />

particolarità quali:<br />

• ecolalia<br />

• difficoltà nell’uso conversazionale del linguaggio<br />

• difficoltà nella reciprocità<br />

• difficoltà linguistiche simildisfasiche<br />

• bizzarrie nell’uso di vocaboli, intonazione meccanica , comparsa sporadica di ecolalie e<br />

inversione pronominale<br />

L’intervento continuerà, qualora questi difetti incidano sulla qualità della vita, con:<br />

• intervento di tipo logopedico per insegnare un linguaggio più ricco e flessibile<br />

• intervento di abilità sociali per promuovere routine socialmente accettabili e scambi<br />

• intervento socio affettivo e di rilassamento per rassicurare


• esperienze di vita e di apprendimento, adattate al modo di funzionare nell’<strong>autismo</strong>, che<br />

permettono lo sviluppo di un contenuto mentale meno rigido e più condivisibile.<br />

Modalità di insegnamento e organizzazione<br />

Per facilitare l’atto e l’esperienza del comunicare occorre individuare e conoscere bene il livello,<br />

il tipo degli atti comunicativi da richiedere, che siano realmente basati sulle abilità possedute e sugli<br />

interessi autentici della persona. Organizzare l’ambiente e la relazione sociale in modo che, in luogo<br />

di essere fonte di tensione, confusione, agitazione, sconcerto e frustrazione, siano strada maestra per<br />

l’espressione, in una forma possibile e conosciuta, di messaggi con scopi comunicativi<br />

padroneggiati.<br />

I nuovi dati di cui disponiamo, secondo i quali un intervento intensivo e precoce, con forte enfasi su<br />

training strutturati, ha portato il numero dei bambini autistici che parlano dal 50 al 75%, sono molto<br />

incoraggianti ma rischiano di accentuare, in lettori non accorti, una serie di errori nella metodologia<br />

e nell’organizzazione dell’insegnamento della comunicazione.<br />

Si dimenticano due fattori essenziali:<br />

• L’assoluta necessità che le interazioni comunicative richieste al bambino siano seguite dal<br />

successo comunicativo. Troppo spesso si confonde la necessaria enfasi su un intervento<br />

strutturato, intensivo e direttivo per insegnare abilità emergenti con richieste del tipo “Dimmelo<br />

bene se no non te lo do”, forzature e frustrazioni, che sono l’esatto opposto di ciò che è<br />

necessario<br />

• L’inserimento di socialità e comunicazione all’interno di una logica di sviluppo ( è inutile, anzi<br />

dannoso, tentare di insegnare abilità che normalmente non sono presenti nei bambini normali di<br />

quell’età ) e di una conoscenza del possibile contenuto mentale del singolo bambino che<br />

abbiamo davanti (è inutile, anzi dannoso, chiedere al bambino di significarmi con parole o gesti<br />

o altro ciò che non ha in mente, e nemmeno nel cuore)<br />

La fretta e la confusione con cui si cerca di insegnare forme di comunicazione convenzionali a un<br />

bambino che ancora è in grado di comunicare solo in modo limitatissimo nell’ambito di pochissime<br />

e ristrette richieste o rifiuti è una delle cause più frequenti di frustrazioni e fallimenti. Attenzione!<br />

Parliamo di fretta e confusione, non di appropriata programmazione e insegnamento. Credo che<br />

oggi si può fare una sintesi tra Schopler, Lovaas, Koegel. Lovaas ci ricorda l’assoluta necessità di<br />

training intensivi finalizzati a permettere al bambino di apprendere con condizionamento operante;<br />

Koegel ci ricorda l’importanza di scegliere accuratamente i comportamenti da rendere oggetto di<br />

training, in modo che questa costosa operazione porti a vantaggi generalizzati al di là del singolo<br />

comportamento insegnato ( e qui sono stati indicati i comportamenti intersoggettivi e l’imitazione<br />

come ”pivotal behaviors”); Schopler, oltre all’adattamento dell’ambiente in funzione di punti di<br />

forza, ci suggerisce il metodo dell’organizzazione della situazione per produrre l’atto comunicativo.<br />

Gli aspetti organizzativi non sono di poca importanza. Un bimbo piccolo è visto e valutato e, in<br />

poco tempo, abbiamo la certezza che di Spettro autistico si tratti. Subito! Cominciare subito! Va<br />

creata subito l’alleanza genitori- terapista- maestra- bambino, che lavorino sugli stessi principi in<br />

stretto accordo. Evitiamo di fare affermazioni assurde come “ non si può fare logopedia” o “occorre<br />

psicomotricità”. Occorre un immediato intervento psicoeducativo intensivo, su tutte le aree della<br />

vita del bambino; occorrono terapisti esperti e formati per l’intervento con il bambino piccolo, che<br />

facciano in modo generalista ciò che serve per unire l’arco della vita del bambino. Se poi occorre un<br />

esperto di linguaggio sentiremo il parere del logopedista o dello psicomotricista. E’ necessario<br />

superare queste idiote barriere. Perché ciò che occorre è un ambiente chiaro, organizzato, ben<br />

evidenziato intorno a precisi nuclei di attività o interessi; un adulto che non si sostituisce al<br />

bambino, confondendolo, ma sa chiedergli azioni che il bambino può svolgere con successo,<br />

rimanendo un chiaro punto di riferimento che sa anche togliersi di mezzo e aspettare e<br />

contemporaneamente essere un facilitatore che risolve problemi o suggerisce modi per arrivare al<br />

successo; tutto ciò va creato a scuola e a casa, ed è il substrato necessario dell’avanzamento in


comunicazione. La sfida che abbiamo di fronte, ora che abbiamo imparato tutto questo e abbiamo<br />

cominciato ad applicarlo, è quella di trasformare questi concetti in un concreto servizio di<br />

trattamento intensivo per tutti i bambini autistici.<br />

Bibliografia<br />

Dawson G., A Psychobiological perspective on the early socio-emotional development of children<br />

with Autism In: Cicchetti e Toth (eds), Rochester Symposium on Developmental<br />

Psychopathology, Vol.3., University of Rochester Press, Rochester, NY, 1991<br />

Micheli E., Autismo. Verso una migliore qualità della vita, Laruffa, Reggio Calabria, 1999<br />

Schopler E., Implementation of TEACCH philosophy In: Cohen D.J., Volkmar F.R. (eds),<br />

Handbook of Autism and Pervasive Developmental Disorders, second edition, John Wiley &<br />

Sons, New York, 1997<br />

Schopler E., Mesibov G., L’educazione strutturata In: Schopler E., Mesibov G. (eds),<br />

Apprendimento e Cognizione nell’Autismo, Mc Graw-Hill, Milano, 1998<br />

Watson L.R., Lord C., Schaffer B., Schopler E., La comunicazione spontanea nell’Autismo,<br />

Erikson, Trento, 1997<br />

Xaiz C., Micheli E., Gioco e interazione sociale nell’<strong>autismo</strong>, Erickson, Trento, 2000<br />

Wetherby A., Schuler A.L., Prizant B.M., Enhancing language and communication development:<br />

theoretical foundations In: Cohen D.J., Volkmar F.R. (eds), Handbook of Autism and Pervasive<br />

Developmental Disorders, second edition, John Wiley & Sons, New York, 1997


L’intervento educativo sui comportamenti problema nel ritardo<br />

mentale grave e nell’<strong>autismo</strong><br />

Dario Ianes, psicologo - Centro Studi Erickson, Università di Trento, Bolzano e Padova<br />

Sofia Cramerotti, psicologa - Centro Studi Erickson, Trento<br />

Tratto dalla Rivista AUTISMO OGGI, Fondazione ARES www.fondazioneares.com<br />

Nell’intervento educativo speciale purtroppo siamo costretti a rivolgerci anche ai cosiddetti<br />

comportamenti problematici. I comportamenti problematici sono tutti quelli che, per una ragione o<br />

per l’altra, creano problemi e difficoltà alla persona stessa o nella relazione tra lui e il suo ambiente.<br />

Non si può affrontare l’argomento del “come trattare i comportamenti problema” dando per<br />

scontato e condiviso tra tutti il significato preciso di “comportamento problema”, anche se,<br />

intuitivamente, perfino chi è stato in relazione con persone con ritardo mentale solo per poche ore<br />

può ritenere di conoscere a fondo questi aspetti del loro comportamento.<br />

I comportamenti problema possono assumere le forme più disparate e strane, anche se ne esistono di<br />

tipiche e ricorrenti. Alla base della definizione di “comportamento problema” c’è un vissuto di<br />

disagio, preoccupazione, difficoltà o paura da parte dell’educatore o del genitore, dovuto a qualcosa<br />

che fa la persona disabile. Quest’ultimo emette dei comportamenti strani, diversi da quelli che ci<br />

aspettiamo, comportamenti che viviamo, appunto, con disagio. Possono essere comportamenti<br />

problema estremi, come gli atti autolesionistici, che provocano danni e lesioni alla persona stessa:<br />

mordersi le mani, le braccia, picchiarsi, battere contro i mobili, strapparsi i capelli, oppure forme<br />

come ad esempio l’iperventilazione o crisi di apnea, ecc.<br />

Un tipo di comportamento-problema molto diffuso, è la stereotipia, e cioè l’emettere<br />

ripetitivamente, per lunghi periodi di tempo, dei comportamenti irrilevanti, come agitare le mani,<br />

dondolarsi ritmicamente, ciondolare il capo, girare su se stessi, manipolare oggetti e pezzetti di<br />

carta o plastica, e tanti altri comportamenti simili. In questi casi, il comportamento in sé non crea<br />

danni o lesioni accertabili alla persona stessa o ad altri individui o cose, ma in genere lo si ritiene<br />

ugualmente problematico.<br />

Si ritiene generalmente che le stereotipie siano un comportamento problema per il fatto che esse<br />

producono alla persona un ostacolo, anche grave, allo sviluppo, all’apprendimento e alla<br />

socializzazione. Le persone rischiano di essere assorbite all’interno di una serie di giochi<br />

autostimolatori, piacevoli e nell’immediato molto gratificanti, che le distolgono dallo sforzarsi a<br />

ricevere stimoli dall’ambiente e dall’eseguire altri tipi di risposte. La considerazione di questo ruolo<br />

ostacolante e di interferenza nei confronti dello sviluppo non è però sempre ben chiara e soprattutto<br />

non è condivisa da tutti, operatori e familiari, che in qualche caso possono interpretare le stereotipie<br />

come un gioco innocente oppure come una consolazione innocua. Vari altri comportamenti si<br />

possono considerare ostacoli per lo sviluppo della persona; pensiamo ad esempio all’opposizione<br />

sistematica e al rifiuto delle richieste dell’adulto, alla rigidità di certe abitudini e rituali e al fatto di<br />

non accettare nessun cambiamento nei programmi stabiliti. In questa categoria potrebbero essere<br />

inserite anche le reazioni emozionali eccessive di paura, ansia (ad esempio le fobie per l’acqua, per<br />

alcuni animali) e di collera e rabbia anche a lievi frustrazioni, che possono dare origine a<br />

lunghissimi episodi di pianto, chiusura in sé e rifiuto delle attività.<br />

Come risulta evidente, la categoria dei comportamenti strani che diventano un “problema”, perché<br />

costituiscono oggettivamente un ostacolo alla persona stessa, è amplissima. Per quanto riguarda i<br />

1


comportamenti verbali, si pensi all’ecolalia non comunicativa, alle verbalizzazioni bizzarre, agli<br />

insulti, parolacce e bestemmie.<br />

Il rapporto interpersonale è un altro ambito in cui si verificano frequentemente comportamenti<br />

problema: come comportamenti sociali “appiccicosi” e invadenti, l’appropriarsi delle cose altrui, e<br />

tanti altri, anche nella sfera sessuale. Quest’ultimo ambito, nel caso del ritardo mentale grave e<br />

<strong>autismo</strong>, è purtroppo ricco di implicazioni problematiche: da comportamenti eccessivi di<br />

masturbazione ad aggressioni sessuali più o meno consapevoli oppure a deviazioni, in senso<br />

aggressivo e distruttivo, di energie sessuali frustrate nel loro <strong>corso</strong> naturale.<br />

Esistono però dei comportamenti strani che percepiamo come problematici, eppure non producono<br />

alla persona né danno né ostacoli rilevanti al suo sviluppo o socializzazione.<br />

Sono particolari bizzarrie, come ad esempio il dover assolutamente chiudere sempre tutte le porte di<br />

casa, oppure camminare per la città parlando con maghi e folletti immaginari e facendo magie e<br />

incantesimi, oppure toccare molto frequentemente il naso della madre, e così via.<br />

La descrizione operazionale dei comportamenti problema e la decisione di problematicità<br />

Abbiamo visto che la tipologia dei comportamenti problema è molto varia e sono diversi i motivi<br />

per cui si ritiene che un comportamento sia problematico. Nell’intervento educativo le prime due<br />

operazioni che si dovrebbero eseguire riguardano appunto la chiarificazione oggettiva della<br />

situazione comportamentale della persona e la valutazione della reale problematicità dei suoi<br />

comportamenti che riteniamo inizialmente strani.<br />

Tutte le persone che, a vario titolo, interagiscono con una certa regolarità con la persona<br />

(insegnanti, educatori, familiari, terapisti, ecc.) dovrebbero collaborare nella stesura della<br />

descrizione operazionale dei comportamenti problema, che consiste nel dettagliare in modo preciso<br />

tutte le forme specifiche di comportamento che, per i motivi più vari, creano disagio e<br />

preoccupazione e che si vorrebbero conseguentemente sostituire attraverso un intervento educativo.<br />

Tra queste persone vi può essere un accordo generico sulla necessità di porre sotto controllo la<br />

“tendenza all’autostimolazione” di una persona, ma è necessario che ognuno specifichi, per iscritto<br />

e riferendosi solo a una descrizione di comportamenti osservabili (senza tentare per il momento<br />

nessuna interpretazione, anche se può essere evidente la dinamica causale che spiega quel<br />

comportamento), cosa si intenda in quel caso per “autostimolazione”. In genere ne nasce un<br />

confronto interessante, dal momento che alcune persone possono ritenere alcuni comportamenti<br />

come tendenti all’autostimolazione e altre essere invece di opinione del tutto opposta. Alla fine di<br />

questa fase collettiva di chiarificazione dell’effettiva e attuale realtà comportamentale della persona,<br />

dovrebbe essere disponibile un elenco di comportamenti ritenuti problematici dalle varie persone,<br />

espressi e descritti chiaramente, in modo condiviso e inequivocabile.<br />

Questo livello di precisione è importante per vari motivi, anche se può sembrare pedante. Innanzi<br />

tutto è un primo momento di ricerca comune di un punto di accordo da parte del gruppo di persone<br />

che poi dovranno allearsi nel progetto di intervento educativo. In questo caso l’accordo viene<br />

trovato con sufficiente facilità: descrivere obiettivamente ciò che succede è qualcosa di<br />

relativamente “neutro”, non si mette ancora in discussione il “perché” avvengono quei<br />

comportamenti. Come è ovvio, le divergenze e i conflitti tra le persone saranno assai più probabili<br />

quando si cercherà di capire perché quella persona manifesti così frequentemente quei<br />

comportamenti problema. Questa prima fase è importante anche perché fornisce una base chiara e<br />

oggettiva da cui partire per prendere le decisioni su quali saranno gli obiettivi prioritari<br />

dell’intervento e perché serve a costruire un sistema di osservazione sistematica e di registrazione<br />

dei comportamenti realmente adeguato e definito su misura per le peculiarità di quella situazione.<br />

Dal punto di vista generale della metodologia dell’intervento educativo, è fondamentale orientarsi<br />

dapprima alla “descrizione non interpretativa del fenomeno”, per rimanere ancorati saldamente ai<br />

dati oggettivi, senza lasciarsi trascinare da ipotesi interpretative prima ancora di aver ben chiaro<br />

quale sarà (e se sarà) l’oggetto della nostra indagine.<br />

2


Come noto, la prima fase del processo di problem-solving ci impone di rispondere alla domanda:<br />

“Qual è esattamente il problema?” e solo successivamente potremo immaginarci varie ipotesi di<br />

azione e soluzione del problema stesso.<br />

A questo punto il gruppo di persone che condivide la responsabilità educativa su quella persona<br />

dovrà passare alla seconda fase di questa analisi preliminare, che potremo definire decisione di<br />

reale problematicità.<br />

Alcune persone riterranno qualche comportamento problema poco significativo, oppure lo<br />

considereranno normale se non addirittura da incoraggiare. Altri invece proveranno molto disagio e<br />

preoccupazione per lo stesso comportamento e si sentiranno spinti e legittimati a intervenire in<br />

senso educativo al massimo delle loro capacità. Quasi sempre in queste valutazioni vengono<br />

mescolati in modo inestricabile fattori soggettivi con fattori oggettivi, questi ultimi riferiti al<br />

benessere e allo sviluppo della persona disabile. Chi deve decidere se un comportamento strano è<br />

realmente un “comportamento problema” compie infatti questa valutazione attraverso parametri di<br />

giudizio che sono costituiti, per la parte soggettiva, delle sue idee e convinzioni su ciò che è<br />

normale, utile e positivo e su ciò che invece non lo è.<br />

Ognuno di noi ha idee del tutto proprie su questo, e purtroppo tali idee tendono a variare anche per<br />

motivi abbastanza futili, quali lo stato di umore, il livello di soddisfazione lavorativa e simili.<br />

Fattori soggettivi ben più importanti, quali i principi e le convinzioni morali e pedagogiche,<br />

possono determinare in un senso o nell’altro la decisione di problematicità.<br />

Nel prendere la decisione di problematicità di un comportamento strano dovremmo essere ben<br />

consapevoli di questo: se decidiamo infatti che quel comportamento è un problema vero, allora<br />

dovremo trarne tutte le logiche conclusioni e cioè sentirci impegnati con tutte le nostre forze, per<br />

deontologia professionale e senso etico, a intervenire in tutti i modi possibili e leciti. Questo non è<br />

un impegno da poco, anche perché in molti casi ci dovremo opporre alla volontà della persona,<br />

dovremo “combattere” con lui, contrastare (pacificamente fin che si vuole) i suoi comportamentiproblema<br />

e cercare di eliminarli dal suo repertorio di “abilità” e modi di espressione. Questa<br />

decisione coinvolge profondamente il rispetto dell’identità e della libertà di espressione della<br />

persona, che ha il diritto intoccabile di non essere “modificato” nei suoi comportamenti solo perché<br />

essi creano disagio o fastidio all’insegnante o al genitore. Questo valore di libertà e di primato<br />

dell’identità e unicità (anche se bizzarra) della persona, si deve però mettere in relazione con il<br />

dovere che hanno l’operatore e il genitore di garantire il massimo sviluppo possibile della persona<br />

in difficoltà, liberandola dai vincoli che essa stessa si può procurare con i suoi problemi di<br />

comportamento. Quest’ultima considerazione è stata definita, dal punto di vista della persona in<br />

situazione di handicap, come il “diritto a usufruire del trattamento più efficace attualmente<br />

disponibile”. Coloro che hanno la responsabilità educativa nei confronti della persona si troveranno<br />

dunque a dover decidere se un certo comportamento strano “è un problema o no”, e dovranno farlo<br />

tenendo ben presente e chiaro il vantaggio e il benessere psicologico e sociale della parte più debole<br />

del sistema, in questo caso la persona con ritardo mentale o <strong>autismo</strong>. Si possono esaminare i vari<br />

comportamenti inizialmente segnalati come problematici nella prima analisi, chiedendosi se essi<br />

producono un danno alla persona stessa oppure ad altri individui o cose. Se la risposta che è<br />

possibile dare, e sulla quale si dovrebbe raggiungere un accordo significativamente solido, è<br />

affermativa, allora non dovrebbero esserci dubbi: il comportamento è realmente problematico.<br />

Questo è tipicamente il caso dell’autolesionismo, del vomito ripetuto, delle aggressioni ad altre<br />

persone, della distruzione di materiali e simili.<br />

Spesso però si incontrano dei comportamenti che non danneggiano, in senso fisico, la persona o<br />

altri: si pensi in primo luogo alle stereotipie, ma anche ad esempio allo spogliarsi in pubblico,<br />

all’ecolalia, alle abitudini rigide e ai rituali, ecc. In questi casi si può considerare quel<br />

comportamento realmente problematico, ed essere così legittimati e “costretti” a un intervento<br />

educativo, se esso costituisce un “ostacolo”, reale e documentabile in modo oggettivo, allo sviluppo<br />

intellettivo, affettivo, interpersonale o fisico della persona. È facilmente dimostrabile che se una<br />

persona passa più di metà del suo tempo di veglia dondolandosi sul corpo, roteando la testa, con<br />

versi gutturali, e in questi lunghi periodi è quasi inaccessibile alle proposte di stimolo che noi gli<br />

3


forniamo, questi suoi comportamenti gli sono di notevole ostacolo a varie dimensioni del suo<br />

sviluppo e come tali andrebbero rimossi.<br />

Naturalmente, dimostrare che un comportamento è un ostacolo per la persona, e concordare su<br />

questo dato, può non essere una cosa semplice. A questo punto, infatti, si può verificare un<br />

fraintendimento abbastanza chiaro, ma da eliminare subito. Alcuni pensano infatti che la persona sia<br />

in un certo senso “giustificata” per i motivi più vari nella sua emissione di comportamentiproblema:<br />

manca di modalità espressive e comunicative normali, l’ambiente relazionale è negativo,<br />

punitivo e insensibile oppure le attività proposte non gli interessano, ecc.<br />

Queste considerazioni sono preziose perché possono aiutare a comprendere “perché” la persona si<br />

comporta in quel modo, ma non devono portarci a considerare il suo comportamento come<br />

tollerabile o addirittura positivo. Anche se quel comportamento problema fosse il frutto di una<br />

maligna cospirazione ai suoi danni (e dunque non il frutto della sua “cattiveria”) noi dovremmo<br />

considerarlo problematico e come tale da modificare, proprio per liberare la persona da un vincolo<br />

al suo sviluppo, di cui egli ovviamente non ha alcuna colpa o responsabilità.<br />

La seconda domanda a cui siamo tenuti a rispondere con un accordo educativo sarà dunque: “Quel<br />

comportamento strano, anche se non è dannoso, è però un ostacolo al suo sviluppo e benessere?”. In<br />

caso affermativo, dovremo decidere che quel comportamento è realmente problematico.<br />

Esistono però dei comportamenti, come si è già ricordato, che nella situazione attuale non<br />

danneggiano né ostacolano la persona in modo chiaro e osservabile. A questo punto il gruppo degli<br />

operatori, assieme ai familiari, dovrebbe decidere sulla reale problematicità di alcuni<br />

comportamenti, tenendo presenti i meccanismi di stigmatizzazione sociale e conseguente<br />

emarginazione della persona disabile.<br />

E’ giusto essere estremamente cauti nell’utilizzo del criterio dello “stigma sociale” per decidere che<br />

alcuni comportamenti sono indesiderabili e di conseguenza da modificare. È comunque importante<br />

che in questa fase pre-intervento tutti gli educatori e i familiari escano allo scoperto con le loro<br />

convinzioni, principi e preoccupazioni, proprio per confrontarle a fondo, nella prospettiva di<br />

raggiungere un accordo su una serie di obiettivi e di tecniche di intervento.<br />

Se questo accordo verrà raggiunto, si saranno gettate delle solide fondamenta all’intervento,<br />

garantendo coerenza e omogeneità di approccio tra le persone e moltiplicando in questo modo gli<br />

effetti degli interventi. La persona in situazione di handicap potrà sperimentare allora, forse per la<br />

prima volta, un “fronte unito” di persone che condividono decisioni, obiettivi e metodi.<br />

L’analisi funzionale e l’ipotesi comunicativa dei comportamenti problema<br />

L’analisi funzionale di un comportamento non si limita a osservare il comportamento problema ma<br />

allarga l’osservazione anche alla relazione con gli stimoli antecedenti e con le conseguenze.<br />

In questo tipo di analisi risulta particolarmente utile una scheda di osservazione organizzata su tre<br />

colonne, dove la colonna centrale riporta la risposta, ossia il comportamento messo in atto dalla<br />

persona, quella di sinistra gli stimoli antecedenti e quella di destra le conseguenze. Questo tipo di<br />

struttura permette di scoprire una certa regolarità nei comportamenti problema. Lo scopo<br />

dell’analisi funzionale è quindi quello di cercare di capire il “significato” di un comportamento, la<br />

sua possibile funzione. E’ solo dopo aver capito questo che noi possiamo sperare di cambiare le<br />

cose. Risulta evidente allora che la cosa che più ci interessa non è l’ ”aspetto” del comportamento,<br />

ma la “funzione” che esso svolge per quella persona.<br />

Un’ipotesi interpretativa che può forse rivelarsi di una certa utilità, nel caso di disturbi del<br />

comportamento, è la cosiddetta ipotesi comunicativa, secondo la quale molti comportamenti<br />

problema sono dei messaggi. Possiamo quindi contrapporre due funzioni legate all’emissione dei<br />

comportamenti problema: da un lato una loro funzione comunicativa e dall’altro una semplice<br />

funzione autostimolatoria. Di solito, questa tipologia di comportamenti problema è più frequente in<br />

soggetti molto carenti nelle abilità comunicative; pensiamo ad esempio a comportamenti gravi come<br />

l’autolesionismo e le stereotipie, che sono quasi esclusivamente presenti in soggetti che non hanno<br />

l’uso del linguaggio (ad esempio in certe forme di <strong>autismo</strong>).<br />

4


Spostandoci sul versante della funzione comunicativa, questo modo di procedere prevede di<br />

formulare delle possibili ipotesi sul perché un determinato comportamento viene messo in atto<br />

(ipotesi comunicativa). Infatti, secondo questa impostazione, si parte dall’assunto che anche in<br />

questi comportamenti problematici vi sia, da parte della persona, l’intento di comunicare qualcosa<br />

agli altri, un significato latente che indica una qualche difficoltà o disagio. I comportamenti<br />

problema sarebbero quindi dei precisi atti di comunicazione, “messaggi” non sempre facili da<br />

interpretare, ma il cui senso è spesso empiricamente verificabile. Se il comportamento problema è<br />

comunicazione, lo dovrà essere anche il suo trattamento: esso perciò non può limitarsi al tentativo<br />

di ridurre o eliminare il comportamento in questione, ma deve puntare a identificare la funzione e<br />

insegnare forme alternative e più efficaci di comunicazione.<br />

L’operatore e l’insegnante possono verificare le proprie ipotesi funzionali in diversi modi: in genere<br />

l’ipotesi sulla funzione che svolge un certo comportamento per una persona nasce dalla conoscenza<br />

che già si possiede, o si può raccogliere da altre fonti, sulla persona e sulle sue abitudini. Si possono<br />

allora formulare ipotesi sul suo diverso “utilizzo” del comportamento problema. Questa ipotesi<br />

iniziale si dovrà verificare con una serie ripetuta di osservazioni della persona mentre emette il<br />

comportamento problema. Queste osservazioni, come già si ricordava, dovrebbero confermare o<br />

meno l’ipotesi di partenza attraverso la documentazione di “regolarità” di interazione tra i tre<br />

elementi base della situazione: gli eventi “antecedenti” al comportamento problema (il contesto di<br />

partenza: ad esempio, scarsa stimolazione, richieste di attività che provocano paura, oppure<br />

frustrazione di un desiderio, ecc.), il comportamento problema e gli eventi “conseguenti” (ciò che<br />

accade dopo: ad esempio, tutti accorrono per trattenere e bloccare la persona, l’operatore smette di<br />

proporgli attività didattiche, egli riesce finalmente a uscire in giardino, ecc.).<br />

Se queste osservazioni ripetute nel tempo riescono a evidenziare un qualche tipo di regolarità, di<br />

schema tipico di interazione, ci si potrà avvicinare alla comprensione delle cause di quel<br />

comportamento.<br />

Nella realtà psicologica e relazionale delle persone con ritardo mentale grave o <strong>autismo</strong>, le cose<br />

però non sono mai così semplici, e può sembrare, in qualche caso, che non vi sia nessuna regolarità<br />

significativa.<br />

Sembra infatti che la persona usi quel comportamento per i più svariati motivi: qualche volta per<br />

avvicinare l’adulto, altre volte per allontanarlo, altre ancora per autostimolarsi. In questo caso si può<br />

ricorrere al metodo dell’osservazione della persona in “situazioni analoghe” appositamente<br />

costruite.<br />

Si cerca di mettere la persona per alcune volte in una situazione che si ha modo di ritenere collegata<br />

al suo comportamento problema: ad esempio si può frustrare con delle proibizioni la sua tendenza a<br />

prendere vari oggetti, e si osserva se durante queste “provocazioni” appare con regolarità<br />

significativa il suo comportamento-problema. In questo caso si possono forzare un po’ le situazioni<br />

per raccogliere più in fretta dati osservativi che altrimenti potrebbe essere più difficile ottenere in<br />

tempi contenuti.<br />

Concludendo, dobbiamo comunque ricordare che l’analisi funzionale dovrebbe fornirci indicazioni<br />

sulle dinamiche che attualmente mantengono attivo quel determinato comportamento problema e<br />

precisamente:<br />

1. Che funzione svolge? (Comunicativa verso altre persone oppure autostimolatoria?)<br />

2. In quali occasioni è più frequente?<br />

3. Quali comportamenti alternativi positivi potrebbero essere usati dalla persona per svolgere le<br />

stesse funzioni?<br />

Bibliografia<br />

Carr E.G. (a cura di) (1998), Il problema di comportamento è un messaggio. Interventi basati sulla<br />

comunicazione per l’handicap grave e l’<strong>autismo</strong>, Trento, Erickson<br />

Ianes D. (a cura di) (1992), Autolesionismo, stereotipie, aggressività, Trento, Erickson<br />

Ianes D. e Celi F. (2001), Il Piano educativo individualizzato. Guida 2001-2003, Trento, Erickson<br />

5


Come accompagnare i genitori di un bambino affetto da <strong>autismo</strong> ed<br />

aiutarli a “portare i bagagli”<br />

Ghislain Magerotte, Dipartimento d’Ortopedagogia, Servizio Universitario Specializzato per<br />

persone con Autismo (SUSA), Università di Mons-Hainaut (Mons, Belgio)<br />

Tratto dalla Rivista AUTISMO OGGI, Fondazione ARES www.fondazioneares.com<br />

“Aiutatemi a portare le mie valigie”, questo è il messaggio che una mamma ci indirizza nel suo<br />

libro “Ma victoire sur l’autisme” (Morar, 2004). Questo messaggio coincide con l’idea di diverse<br />

madri, che ci hanno reso partecipi, ancora recentemente, delle loro difficoltà e dei loro percorsi, per<br />

esempio, le opere di Donville, “Vaincre l’autisme” (2006), di Herbaudière – in particolare il suo<br />

ultimo libro – “Cati ou les fruits de l’éducation” (2000), di Préfaut, “Mamam, pas l’hôpital” (1997).<br />

Quali risposte d’accompagnamento possiamo proporre, in quanto professionisti, a questi genitori?<br />

Dobbiamo innanzitutto domandarci: cosa significa, al giorno d’oggi, essere genitori di un bambino<br />

affetto da <strong>autismo</strong>?<br />

Essere genitori di un bambino affetto da <strong>autismo</strong>, oggi<br />

Secondo i testi delle madri che hanno alimentato la nostra riflessione e la nostra pratica, i genitori di<br />

un bambino con <strong>autismo</strong> devono riempire quattro funzioni. Innanzitutto, i genitori hanno una<br />

“funzione economica”: la famiglia deve poter “vivere” grazie alle entrate finanziarie apportate, per<br />

la maggior parte, dal padre. A questo proposito, i genitori di un bambino con <strong>autismo</strong> sono<br />

confrontati a spese aggiuntive date dalla necessità di avere esami medici e psicologici<br />

supplementari. Inoltre, l’handicap del bambino, soprattutto se piccolo, porta spesso un membro<br />

della coppia, generalmente la madre, ad abbandonare il proprio lavoro, così da ridurre<br />

considerevolmente le entrate della famiglia. Se il riconoscimento sociale dell’handicap sbocca nella<br />

maggior parte dei casi ad un aiuto finanziario alla famiglia, rimane difficile valutare l’adeguatezza<br />

del montante rispetto ai bisogni supplementari di ogni famiglia.<br />

Poi, i genitori hanno il ruolo essenziale di favorire lo sviluppo del bambino, in seno alla famiglia: in<br />

altre parole, di educarlo. Sebbene si tratti di una missione comune a tutte le famiglie, è vero che le<br />

difficoltà date dall’<strong>autismo</strong>, sovente incomprensibili per molti genitori e che implicano bisogni<br />

molteplici e su di un lungo periodo, “pervadono” i genitori e gli richiedono nuove conoscenze alle<br />

quali non sono state fin là confrontate. Questo a maggior ragione in seguito ai lavori di Lovaas<br />

(1987) che hanno messo in evidenza l’interesse di un intervento precoce basato sul modello A.B.A.<br />

(Magerotte, 2002, e Magerotte e Rogé, 2004).<br />

Queste difficoltà educative portano spesso i genitori a restringere i loro contatti naturali (famigliari,<br />

di vicinato o di amicizie), quando al contrario sarebbe proprio nel mantenimento e nello sviluppo di<br />

tali relazioni che i genitori troverebbero una parte dell’aiuto necessario.<br />

D’altra parte, i genitori devono assicurare il benessere di ogni membro della famiglia e favorirne lo<br />

sviluppo in seno al gruppo famigliare. Si tratta della “funzione di sviluppo”, nei confronti di ognuno<br />

dei suoi membri. Sono coinvolti in prima battuta la “famiglia allargata” (in particolare nonni, zii,<br />

zie, nipoti) e i fratelli e sorelle, con la necessità di rispettare e favorire l’evoluzione di ogni


ambino, senza focalizzare le attività famigliari solo sul bambino con <strong>autismo</strong>. I due genitori<br />

devono pure trovare il loro posto, non solamente in termini di equilibrio tra la professione (nella<br />

quale alcuni padri si rifugiano), la vita famigliare con le implicazioni supplementari derivanti<br />

dall’handicap, e il benessere personale (in termini di hobby, d’implicazione sociale, di realizzazione<br />

personale), ma anche in termini di condivisione di compiti ed attività fra il padre e la madre.<br />

Infine, il gruppo famigliare deve potersi integrare nella vita sociale, la vita del quartiere, della città,<br />

del comune. E’ la “funzione sociale”. La famiglia dovrà imparare a sopportare lo sguardo degli altri,<br />

in particolare dei vicini, e a non esitare nel richiedere aiuto. Esistono infatti numerose “risorse<br />

invisibili” che bisogna essere capaci a “risvegliare”. Per quanto concerne l’accoglienza nel sistema<br />

di servizi, la famiglia è confrontata ad un’importante sfida: quella d’identificare i servizi di qualità<br />

che rispondano ai bisogni del/della loro figlio/a, fra la moltitudine di proposte, e a volte di<br />

contribuire alla loro creazione.<br />

Quale accompagnamento proporre ai genitori?<br />

Se i genitori, e con essi tutta la famiglia, evolvono con il passare del tempo, a partire dalla<br />

costruzione della coppia, fino alla vecchiaia ed alla morte, riprendiamo qui qualche modalità<br />

concreta d’accompagnamento di fronte alle sfide che incontrano questi genitori. Le presenteremo<br />

tenendo conto della nostra pratica, e porteranno principalmente sulla funzione educativa dei genitori<br />

e sull’identificazione e la collaborazione con dei servizi di qualità. Concluderemo con qualche<br />

proposta tesa a migliorare il sistema di servizi.<br />

Un accompagnamento per facilitare lo sviluppo del bambino<br />

La prima sfida dei genitori riguarda l’ottenimento di una diagnosi, e conosciamo, ad esempio, non<br />

solamente le difficoltà legate alla diagnosi precoce dell’<strong>autismo</strong>, ma anche quelle legate<br />

all’annuncio dell’handicap. Inoltre, i genitori sono confrontati a professionisti che hanno approcci<br />

diversi: approccio psicoanalitico, approccio prevalentemente organico, o approccio che tiene conto<br />

prioritariamente della dimensione educativa e di sviluppo. Comprendiamo subito che la tendenza<br />

dei genitori allo “shopping” – d’altronde molto costoso – che caratterizza i primi anni di vita del<br />

bambino, sia rafforzato da tali divergenze.<br />

Se la diagnosi permette di identificare le difficoltà del bambino, essa non deve negare le sue<br />

possibilità evolutive, e deve dunque mettere anche l’accento su ciò che è possibile e fattibile ora.<br />

Per facilitare questo processo d’accompagnamento dei genitori, proponiamo qualche strumento<br />

pratico innanzitutto per quanto concerne la valutazione del bambino.<br />

Da un lato, i genitori sono invitati a partecipare alla valutazione del bambino, dietro uno specchio<br />

unidirezionale o tramite registrazione video. Questa strategia permette ai genitori ed ai<br />

professionisti di paragonare le loro osservazioni e di confrontarsi sulle osservazioni e sulle pratiche<br />

in maniera concreta e positiva. In più, durante queste sessioni, l’accento è messo in particolare sulla<br />

nozione di “emergenza”, cioè quei comportamenti non ancora del tutto acquisiti, ma che possono<br />

essere realizzati grazie a degli aiuti – nozione essenziale tanto per fissare delle priorità educative<br />

quanto per identificare le strategie da utilizzare con il bambino (cf. ad esempio, il PEP-R di<br />

Schopler e al., 1994).<br />

Oltre ad una restituzione orale delle conclusioni, eventualmente in più incontri, i genitori ricevono<br />

anche un rapporto scritto della valutazione, in due esemplari (uno per loro e uno per il servizio che<br />

verrà coinvolto), menzionante il professionista di riferimento (soprattutto se i genitori sono stati<br />

confrontati ad un’équipe pluridisciplinare), precisando la o le domande alle quali la valutazione è


portata a rispondere, presentando gli strumenti utilizzati e il loro limite d’interpretazione, fornendo<br />

anche i risultati “in cifre” accompagnati da una interpretazione dettagliata e positiva.<br />

Una seconda strategia concerne la formazione dei genitori all’educazione del/della loro figlio/a. In<br />

effetti, l’<strong>autismo</strong> “pervade” la famiglia e perturba fondamentalmente l’equilibrio famigliare, a volte<br />

addirittura prima di avere una diagnosi. Di fatto, è indispensabile proporre una formazione a questi<br />

genitori. Dal 1984, la nostra esperienza porta sulla messa in atto di una settimana di formazione<br />

residenziale centrata sulla presentazione dell’<strong>autismo</strong>, della strutturazione visiva così come delle<br />

strategie di sviluppo della comunicazione, l’autonomia, la prevenzione dei disturbi del<br />

comportamento, le relazioni sociali e il tempo libero, ed anche sul progetto individualizzato e sulla<br />

collaborazione fra le varie parti in causa.<br />

Questa strategia di formazione dei genitori ha preso una piega del tutto particolare in questi ultimi<br />

anni, a seguito dello sviluppo di programmi d’intervento precoce intensivi basati sull’Applied<br />

Behavior Analysis (A.B.A.). Questi programmi, che fanno dei genitori dei partner irrinunciabili,<br />

ripongono un po’ diversamente la questione della formazione dei genitori, considerando il lavoro<br />

quotidiano realizzato con loro e con i diversi intervenenti in famiglia, in particolare a ragione dei<br />

costi di questo intervento precoce, che necessitano l’impiego di studenti quali persone che<br />

intervengono a domicilio.<br />

Ottenere dei servizi di qualità<br />

Si pone rapidamente la sfida di ottenere, come per ogni bambino, dei servizi di qualità (i servizi prescolastici<br />

come gli asili nico, i servizi di baby-sitting, una scuola adatta ai suoi bisogni particolari,<br />

dei servizi per adulti), per il bambino ma anche per la famiglia (Magerotte, 2000; Magerotte e<br />

Willaye, 2001).<br />

Se l’intervento precoce è affrontato da parecchi anni, tramite la creazione di servizi d’intervento<br />

precoce negli anni 70 e all’inizio degli anni 80, si è dovuto attendere la ricerca di Lovaas del 1987<br />

per evidenziarne l’efficacia. Nel quadro di una collaborazione con l’Università di Tolosa Le Mirail,<br />

siamo ingaggiati in un progetto “Auti-qol”. Realizzato dal Servizio Universitario Specializzato per<br />

persone con Autismo (SUSA), coinvolge 6 bambini, con un intervento di 10 ore la settimana da<br />

parte di un professionista e di 10 ore la settimana da parte di uno studente (Magerotte, 2002;<br />

Magerotte e Rogé, 2004). Malgrado i risultati siano in <strong>corso</strong> d’analisi, si possono evidenziare<br />

l’investimento variabile dei genitori e la necessità di una collaborazione con i servizi pre-scolastici<br />

come asili nido e scuole materne – cosa che pone la problematica della formazione di questi<br />

professionisti (Magerotte, 2006).<br />

L’inizio della scuola costituisce una tappa importante, cruciale, poiché è spesso a questo momento<br />

che la sanzione sociale dell’handicap appare in modo evidente: è la scuola che determina se il<br />

bambino ha lo stesso statuto dei suoi compagni di pari età! (Magerotte, 1998). Quando il bambino è<br />

accettato a scuola, bisogna ancora che i genitori possano partecipare alla messa in atto del suo<br />

progetto individualizzato. Bisogna inoltre assicurarsi che questo compito sia ben svolto, e che non si<br />

tratti solo di una partecipazione formale. A questo proposito, gli studi realizzati sui progetti<br />

individualizzati nei paesi anglosassoni mostrano sufficientemente che non si tratta di una cosa<br />

semplice.<br />

D’altra parte, la scuola è oggetto di controversie attualmente nella regione francofona del Belgio, in<br />

particolare per quanto riguarda l’integrazione scolastica: questa è effettivamente proposta dalla<br />

Lega dei Diritti del Bambino, ponendo dunque la questione in termini di diritto. Se l’inclusione, che<br />

implica dapprima un cambiamento importante delle strutture scolastiche attuali, è e resterà ancora a<br />

lungo un soggetto di preoccupazione per alcuni genitori e una richiesta per altri, rileviamo che essa


è uno strumento – il migliore! – per cambiare la società di domani, poiché avrà permesso a bambini<br />

“ordinari” di incontrare quotidianamente dei bambini “stra-ordinari” e d’imparare con loro<br />

(Magerotte, 2004)!<br />

L’adolescenza porta anch’essa la sua dose di perturbazioni. Non solamente i cambiamenti<br />

fisiologici sono mal capiti e gestibili, con conseguente grande incertezza da parte della persona<br />

stessa e del suo ambiente, ma essi risvegliano nei genitori delle preoccupazioni sopite durante il<br />

periodo scolastico, riguardo il futuro della persona, evidentemente sul piano della sessualità, ma<br />

anche sul suo futuro ruolo sociale o professionale. L’adolescenza marca la fine dell’età scolastica,<br />

periodo protetto per eccellenza.<br />

L’età adulta conduce i genitori, divenuti più anziani, alla separazione, e molti di essi si rendono<br />

conto della difficoltà della separazione, poiché considerano che l’handicap del proprio figlio o della<br />

propria figlia non gli/le permette di vivere altrove che in famiglia.<br />

Il problema più importante, a questo momento della vita, è senza dubbio l’assenza o l’insufficienza<br />

quantitativa e a volte anche qualitativa, di strutture d’accoglienza, sia residenziali, sia lavorative o<br />

di attività diurne, e per il tempo libero. A tal punto che numerosi genitori devono consacrare una<br />

parte importante delle loro energie a creare tali strutture. Ma quali servizi? Consideriamo solamente<br />

i mezzi per assicurare un “a casa propria” per ogni persona adulta con <strong>autismo</strong>. Se il “vivere fra di<br />

noi” è preconizzato da molti anni, ci si orienta in modo prioritario verso strutture maggiormente<br />

integrate, che sembrano a molti genitori meno “protettive”, dove l’accento è messo sul sostegno alla<br />

persona (Magerotte e Willaye, 2001). Nell’ambito del progetto “Condorcet”, preconizziamo la<br />

realizzazione di case o di appartamenti “ordinari” che accolgano al massimo 4-5 persone, ripartiti<br />

nei quartieri. La sfida maggiore in questo progetto concerne le equipe di accompagnamento, che<br />

saranno necessariamente più piccole e dunque più autonome.<br />

Se la preoccupazione di avere servizi di qualità concerne tutti i servizi, proponiamo due elementi di<br />

soluzione (per una presentazione più completa, vedi Goode e al., 2000). Da una parte, assistiamo da<br />

diversi anni ad una crescita d’interesse per identificare ciò che chiamiamo le “evidence-based<br />

practices”, cioè pratiche validate dalla ricerca e che i professionisti sul campo chiamano “le buone<br />

pratiche” (Magerotte, 2005; Magerotte e al., in stampa). Dall’altra, certi gruppi, come l’associazione<br />

Tash o delle equipe di ricerca (in particolare la nostra all’UMH sotto la direzione di Haelewych), si<br />

sforzano di rivedere le modalità di sovvenzionamento dei servizi. Se, attualmente, nel Belgio<br />

francofono, i servizi ricevono direttamente la sovvenzione dall’amministrazione, la situazione<br />

sarebbe certamente diversa se la sovvenzione figurasse in un “budget personalizzato” che serva a<br />

pagare i servizi rispondenti ai bisogni della persona così come stabiliti dal suo progetto<br />

individualizzato. Questa modalità permetterebbe alla persona con <strong>autismo</strong> e/o ai suoi genitori di<br />

scegliere i servizi più adatti ai suoi bisogni.<br />

Menzioniamo infine l’interesse a proporre dei servizi focalizzati non prioritariamente sul bambino<br />

ma sulla famiglia, dovendo contribuire alla sua qualità di vita: si tratta principalmente dei gruppi di<br />

fratelli-sorelle, così come i servizi detti di “corto soggiorno” o di “respiro-dépannage”.<br />

Conclusioni<br />

Se le strategie d’accompagnamento presentate in questo testo e fondate sulla nostra esperienza<br />

implicano il cambiamento del sistema dei servizi, esse necessitano, comunque e di conseguenza, di<br />

orientare i valori della società verso la presa in considerazione della differenza! Ciò può essere fatto<br />

solo attraverso un lavoro dei genitori riuniti in associazioni in collaborazione con i professionisti.<br />

Noi, i professionisti, abbiamo bisogno di voi: per migliorare il nostro sistema di sostegno alla


persona con <strong>autismo</strong> ed alla sua famiglia, e la qualità di vita di tutti, la persona con <strong>autismo</strong>, la sua<br />

famiglia, i professionisti e tutta la comunità.<br />

Bibliografia<br />

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-Florance C. L. – Figlio del silenzio, Sperling, 2007<br />

-Moore C. – George e Sam, Corbaccio, 2004<br />

Periodici<br />

-Bollettino dell’ANGSA - bimestrale dell’ANGSA Onlus - associazione Nazionale<br />

Genitori Soggetti Autistici - Editore ANGSA<br />

-INFORMAUTISMO - quadrimestrale di Autismo Italia Onlus<br />

-Autismo oggi - rivista specialistica d’informazione sull’<strong>autismo</strong> e altri disturbi<br />

generalizzati dello sviluppo - Segretariato ARES (<strong>autismo</strong> ricerca e sviluppo)

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