il libro completo - Terradossola.It
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i Lions ossolani<br />
alla propria Terra
Hanno collaborato per i testi:<br />
Tullio Bertamini, Gianfranco Bianchetti, Paolo Bologna, Paola Caretti, Marco Cattin, Umberto Chiaramonte, Cesarina Masini<br />
Chieu, Caterina Bensi Chiovenda, Galeazzo Maria Conti, Paolo Crosa Lenz, Alberto De Giuli, Raffaele Fattalini, Germana<br />
Fizzotti, Carmine Gaudiano, Sergio Lucchini, Enrico Margaroli, Cesare Melchiorri, Renzo Mortarotti, Rosario Mosello, G<strong>il</strong>berto<br />
Oneto, Anna Pagani, Angela Travostino Preioni, Mauro Proverbio, Ettore Radici, Pier Antonio Ragozza, Aldo Roggiani, Enrico<br />
Rizzi, Franca Paglino Sgarella, Giacomo Zerbini.<br />
Comitato di redazione:<br />
Antonio Pagani - Coordinatore generale<br />
Paola Caretti - Raffaele Frassetti - Alessandro Grossi - Sergio Lucchini - Giampaolo Prola<br />
Consulenti: Tullio Bertamini<br />
Fotografie: Carlo Pessina -Agenzia Pessina, Domodossola<br />
Copertina: Giampaolo Prola<br />
Il Lions Club Domodossola desidera esprimere la propria gratitudine a tutti coloro che, collaborando o<br />
contribuendo, hanno reso possib<strong>il</strong>e la realizzazione di quest’opera<br />
© Lions Club Domodossola - 2005<br />
Tutti i diritti riservati. Riproduzione anche parziale vietata.<br />
Il volume è stato curato dalla Edizioni Grossi - Domodossola<br />
Stampato dalla Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli s.n.c. - Ornavasso (VB)
Sommario<br />
pag. 15 La Storia<br />
” 17 Dalla preistoria al traforo del Sempione<br />
Tullio Bertamini<br />
” 57 La “repubblica” dell’Ossola<br />
Paolo Bologna<br />
” 69 L’archeologia<br />
Alberto De Giuli<br />
” 75 Ambiente e natura<br />
” 77 Un paesaggio verticale<br />
Renzo Mortarotti<br />
” 87 L’acqua e la pietra<br />
Aldo G. Roggiani e Marco Cattin<br />
” 103 Acque termali e acque minerali<br />
Pier Antonio Ragozza<br />
” 109 Il clima<br />
Tullio Bertamini e Rosario Mosello<br />
” 119 La flora<br />
Cesarina Masini Chieu<br />
” 135 La fauna<br />
Franca Paglino Sgarella<br />
” 149 I parchi e le riserve naturali<br />
Paolo Crosa Lenz<br />
” 155 La cultura<br />
” 157 Ossolani <strong>il</strong>lustri<br />
Angela Travostino Preioni<br />
” 195 Antonio Rosmini<br />
Anna Pagani<br />
” 203 I monumenti e i segni d’arte<br />
Gian Franco Bianchetti<br />
” 231 I letterati ossolani<br />
Enrico Margaroli<br />
7
8<br />
pag. 239 “Walser”: gli uomini dell’alta montagna<br />
Enrico Rizzi<br />
” 241 L’Ossola e <strong>il</strong> Sempione nei diari di viaggio<br />
Raffaele Fattalini<br />
” 245 Tradizione, folclore e leggende<br />
Germana Fizzotti<br />
” 259 Storia dei costumi<br />
Caterina Bensi Chiovenda<br />
” 265 Attività umane e tempo libero<br />
” 267 Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />
Umberto Chiaramonte e Sergio Lucchini<br />
” 297 L’agricoltura, l’allevamento e i prodotti tipici<br />
Giacomo Zerbini<br />
” 305 L’artigianato e <strong>il</strong> commercio<br />
Paola Caretti<br />
” 313 L’energia idroelettrica<br />
Ettore Radici<br />
” 319 L’attività estrattiva<br />
Mauro Proverbio<br />
” 333 L’architettura tradizionale<br />
Galeazzo Maria Conti e G<strong>il</strong>berto Oneto<br />
” 341 Il turismo<br />
Carmine Gaudiano e Paola Caretti<br />
” 353 Lo sport<br />
Cesare Melchiorri
Terra d’Ossola. Una terra abbracciata dai monti, una terra di acqua e di vento, ora aspra e rustica, ora dolce e<br />
sontuosa. S<strong>il</strong>enziosa sotto la coltre di neve, o esuberante quando <strong>il</strong> verde intenso colora i suoi boschi, la nostra<br />
Terra d’Ossola ci riserva ogni giorno un angolo nuovo, inedito. E noi, che come alberi affondiamo le radici in que-<br />
sto spaccato di mondo e assorbiamo di giorno in giorno da questo terreno la nostra linfa vitale, abbiamo <strong>il</strong> dovere di<br />
scoprire, di conoscere e tramandare i m<strong>il</strong>le tesori che secoli di storia ossolana ci hanno regalato. Per queste ragioni <strong>il</strong><br />
Lions Club Domodossola, in occasione del Quarantennale della sua Fondazione, ha voluto raccogliere in un’unica<br />
opera, completa ed aggiornata, <strong>il</strong> pensiero di studiosi che all’Ossola hanno dedicato approfondite ricerche. Sulla scia<br />
del successo ottenuto nelle due precedenti edizioni, questo terzo volume di “Terra d’Ossola” intende divenire uno<br />
strumento di fac<strong>il</strong>e consultazione, soprattutto per gli studenti, che avranno a loro disposizione anche la versione in-<br />
formatizzata raccolta in un CD e un DVD. Il volume, che si legge come un lungo racconto della storia antica e mo-<br />
derna delle nostre genti di montagna, è dedicato proprio ai giovani. Attraverso la parola scritta, intesa come valore<br />
storico da non disperdere come foglie al vento, ci auguriamo che i giovani possano trovare <strong>il</strong> giusto sentiero che uni-<br />
sce passato e futuro, e infondere uno spirito nuovo alla loro terra. Determinante per la realizzazione del <strong>libro</strong> sono<br />
stati i generosi contributi offerti dalla Provincia del Verbano Cusio Ossola e dalla Banca Popolare di Intra, ai qua-<br />
li vanno i nostri particolari ringraziamenti. Degno di nota è l’interesse manifestato dai numerosi sostenitori e spon-<br />
sor, così come lodevole è l’entusiasmo con cui hanno lavorato i soci del Lions Club che, accogliendo <strong>il</strong> mio invito, si<br />
sono prodigati per la buona riuscita dell’iniziativa. Naturalmente un grazie agli autori, che hanno confermato, con<br />
la volontà e <strong>il</strong> valore dei loro saggi, l’efficacia dell’agire comune per esaltare le virtù della nostra “Terra d’Ossola”.<br />
Gian Luigi Caretti<br />
Presidente del Lions Club Domodossola<br />
9
Auguro a questa edizione di “Terra d’Ossola”, la terza, la stessa fortuna e successo delle due che l’hanno preceduta,<br />
quella del 1984, da tempo esaurita, e la seconda, del 1994, diventata ut<strong>il</strong>e e ag<strong>il</strong>e strumento per studiosi<br />
e studenti di storia ossolana.<br />
Il mio augurio, più che esprimere una speranza, esprime una certezza, che deriva dall’alta qualità dei testi redatti da<br />
firme note del panorama letterario locale.<br />
Ad incrementare le opportunità di successo sicuramente contribuirà la novità proposta, a corredo della carta stampata,<br />
di un CD multimediale ut<strong>il</strong>e come software per gli studenti e un supporto DVD. Mi pare la strada giusta per<br />
rendere moderna e all’avanguardia un’opera che ricostruisce e riassume secoli di storia, di arte e di attività umane<br />
che tanto hanno contribuito a valorizzare <strong>il</strong> territorio.<br />
“Terra d’Ossola” rappresenta dunque un mezzo importante per conservare le tradizioni locali, anche in funzione didattica<br />
e, in generale, per tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza del territorio. Altro augurio che mi<br />
sento di esprimere, di fronte ad opere di pregio come questa, è che rappresentino anche un momento di riflessione<br />
per consolidare le basi su cui poggia <strong>il</strong> futuro della nostra terra. In altre parole, spero che la comprensib<strong>il</strong>e e giusta<br />
tensione verso la salvaguardia delle tradizioni locali non sia ster<strong>il</strong>e sguardo rivolto al passato, ma anche preludio di<br />
un nuovo modo di vivere “l’ossolanità”, aprendola al confronto con le altre zone della nostra Provincia.<br />
Credo che “Terra d’Ossola” debba essere letto coniugando al futuro quanto si racconta nelle sue pagine. Oggi come<br />
non mai l’Ossola deve guardare avanti, i suoi abitanti devono diventare sempre più artefici delle proprie sorti in un<br />
positivo e coeso rapporto con quanto vi è oltre i confini ossolani, in primis Verbano e Cusio.<br />
Spero che i giovani, a cui l’opera è rivolta in modo particolare, possano più di altri guardare lontano, raccogliendo<br />
<strong>il</strong> testimone degli studiosi e scrittori locali e così trovare nel <strong>libro</strong> nuovi stimoli per approfondire gli argomenti trattati<br />
e continuare <strong>il</strong> prezioso lavoro di ricerca fin qui compiuto.<br />
10<br />
Paolo Ravaioli<br />
Presidente Provincia del Verbano-Cusio-Ossola
a quasi novant’anni, Banca Popolare di Intra è presente in Ossola. L’apertura della sede di Domodossola e<br />
D della f<strong>il</strong>iale di V<strong>il</strong>ladossola risale infatti al 1919. Pochi anni dopo, nel 1921, è stata invece la volta di Ornavasso,<br />
cui sono seguite negli anni successivi Malesco, Pieve Vergonte, Trontano, Domodossola Agenzia di Città, Baceno,<br />
Druogno e, nel 1998, Varzo.<br />
In questo lungo arco di tempo, Banca Popolare di Intra si è posta un obiettivo prioritario: favorire la crescita e lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo del territorio ossolano.<br />
Nei suoi 132 anni di storia, Popolare di Intra ha mantenuto e valorizzato la sua identità di Banca che fa dell’attenzione<br />
al territorio, del rapporto personale con i clienti, della capacità di ascolto e della capacità di proporre con tempismo<br />
prodotti e servizi innovativi i punti forti della sua azione.<br />
Detto altrimenti, ha saputo conservare immutata la propria identità, riuscendo, contemporaneamente, a tenersi al<br />
passo con i tempi e a raccogliere le sollecitazioni del mercato mettendone a frutto mutamenti e trasformazioni.<br />
Alla luce di tutto questo appare naturale <strong>il</strong> nostro sostegno alla realizzazione della nuova edizione di Terra d’Ossola<br />
che <strong>il</strong> Lions Club Domodossola pubblica per celebrare <strong>il</strong> quarantennale della sua fondazione, nella convinzione che<br />
la “salvaguardia delle tradizioni abbia senso e valore solo in quanto diventa apertura verso nuove conquiste di valori<br />
civ<strong>il</strong>i”.<br />
Il <strong>libro</strong>, che vanta già due edizioni, viene ora aggiornato nei contenuti e nello st<strong>il</strong>e e arricchito con un cd multimediale<br />
di carattere didattico e un supporto visivo in dvd con l’obiettivo prioritario di <strong>il</strong>lustrare agli studenti locali la<br />
storia, la cultura e le tradizioni ossolane.<br />
E’ anche attraverso la partecipazione alla realizzazione di iniziative editoriali come queste che passa la capacità della<br />
Banca Popolare di Intra di essere ciò che è: un vero punto di riferimento per tutto <strong>il</strong> territorio. Territorio rispetto al<br />
quale la “Intra” costituisce un motore di crescita e di sv<strong>il</strong>uppo, non solo economico.<br />
Sandro Saini<br />
Presidente Banca Popolare di Intra<br />
11
Sponsor ufficiali dell’opera:<br />
12<br />
Provincia del Verbano Cusio Ossola<br />
Banca Popolare di Intra<br />
Hanno contribuito alla realizzazione:<br />
Antigorio s.n.c. - Graniti, Serizzi, Beole<br />
Assocave VCO<br />
Assograniti VCO<br />
Autoservizi Comazzi s.r.l.<br />
Gigliola e Giorgio Brizio<br />
Davide Campari - M<strong>il</strong>ano S.p.A. - Stab<strong>il</strong>imento di Crodo<br />
Gianluigi Caretti<br />
Comunità Montana Antigorio Divedro Formazza<br />
Comunità Montana Valle Antrona<br />
Comunità Montana Monte Rosa<br />
Comunità Montana Valle Ossola<br />
Comunità Montana Valle Vigezzo<br />
Distretto Turistico dei Laghi<br />
Fornaroli dott. Giovanni<br />
Fratelli Poscio S.p.A.<br />
Frua Cav. Mario S.p.A.<br />
Immob<strong>il</strong>iare Lepontina s.r.l.<br />
Impred<strong>il</strong> s.r.l. - Costruzioni Ed<strong>il</strong>i<br />
Ingeoart s.r.l.<br />
International Chips s.r.l.<br />
Libreria Grossi<br />
Manifattura di Domodossola<br />
Marini Quarries Group s.r.l.<br />
Niccioli Ercole<br />
Ing. Antonio Pagani<br />
Studio Pavan s.r.l.<br />
Riserva Naturale Speciale Sacro Monte Calvario di Domodossola<br />
Sciovie Lusentino Moncucco s.r.l.<br />
Siena Gianluigi - Agenzia RAS - Domodossola<br />
Società Subalpina Imprese Ferroviarie S.p.A.<br />
Parco Nazionale Val Grande<br />
Parco Naturale Veglia Devero<br />
VCO Azzurra TV
“Pro memoria Ossolano”. Pittura su tela cm 100x100, 1979 di Giuliano Crivelli.<br />
Propr. Comunità Montana Valle Ossola.
La Storia
Domodossola, Torretta delle antiche mura (sec. XIV).
Dalla Preistoria al traforo del Sempione<br />
Tullio Bertamini<br />
II breve schizzo storico qui proposto vuole offrire solo<br />
qualche indicazione cronologica e qualche riferimento<br />
più specificatamente ossolano, quasi un disegno in r<strong>il</strong>ievo,<br />
sulla storia delle regioni più vicine e più vaste come<br />
la Lombardia, <strong>il</strong> Piemonte e l’<strong>It</strong>alia settentrionale, storia<br />
che dobbiamo in gran parte supporre a tutti nota o comunque<br />
fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>e. Saranno anche trascurati<br />
molti fatti di interesse troppo locale, puntando invece<br />
su quelli che coinvolgono l’intiera regione ossolana.<br />
Dalla preistoria alla fine dell’Impero Romano d’Occidente<br />
(sec. V)<br />
L’archeologia ci dice che l’Ossola fu abitata dagli uomini<br />
fin da epoca immemorab<strong>il</strong>e. I ritrovamenti di utens<strong>il</strong>i,<br />
armi e suppellett<strong>il</strong>i di pietra, di bronzo, di ferro e di<br />
ceramica ci informano che insediamenti umani dovettero<br />
essere già presenti almeno nel Neolitico e successivamente<br />
nell’età del bronzo e sempre più intensivamente<br />
nell’età del ferro, cioè almeno dal terzo m<strong>il</strong>lennio prima<br />
di Cristo. Cacciatori e raccoglitori di frutti prima e,<br />
poi, pastori, agricoltori e ricercatori di minerali, contribuirono<br />
a conoscere la regione, dissodarne i campi ed i<br />
prati e bonificare le zone di pascolo oltre <strong>il</strong> limite della<br />
vegetazione arborea. Furono naturalmente scelti per<br />
primi i luoghi più sicuri ed a solatio sui pendii delle valli,<br />
ricchi di terreno fert<strong>il</strong>e, prossimi alle sorgenti e sicuri<br />
dalle fiere e dagli altri nemici.<br />
Gli storiografi che accennano all’Ossola sono molto tardivi.<br />
Il primo che ce ne dà una indicazione è <strong>il</strong> geografo<br />
Tolomeo (II sec. d.C.) <strong>il</strong> quale ricorda confusamente<br />
una Oscella Lepontiorum, cioè una regione abitata da<br />
un popolo chiamato dei Leponzi e, probab<strong>il</strong>mente, la<br />
sua capitale (Domodossola). I Leponzi abitavano tutta<br />
l’Ossola e le regioni vicine del Canton Ticino ed erano<br />
affratellati con un altro gruppo detto più propriamente<br />
Uberi che abitavano nell’altro versante delle Alpi oltre <strong>il</strong><br />
Gottardo. Diffic<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>ire quale fosse l’origine dei Leponzi.<br />
Alla loro formazione probab<strong>il</strong>mente contribuirono<br />
sia i discendenti dei popoli che nel Neolitico si<br />
erano insediati in queste regioni e successivamente altri<br />
provenienti dalla pianura padana (Liguri) e dalle regioni<br />
transalpine (Celti). Pare che un profondo amalgama<br />
di popoli sia avvenuto in questa regione nel VI secolo<br />
avanti Cristo quando i Galli calarono in <strong>It</strong>alia e si scontrarono<br />
con gli Etruschi e poi con i Romani. I Leponzi<br />
ebbero certamente una propria cultura ed un proprio<br />
linguaggio, ma subirono l’influenza degli Etruschi loro<br />
confinanti a sud, da cui ebbero l’alfabeto. I pochi documenti<br />
scritti in lingua lepontica (non ancora perfettamente<br />
decifrati) sono stati formulati con quell’alfabeto.<br />
Solo dopo la conquista romana adotteranno l’alfabeto<br />
latino. I ritrovamenti tombali ci informano che i Leponzi<br />
erano soprattutto agricoltori e pastori, ma capaci<br />
anche di fondere <strong>il</strong> bronzo e lavorare i metalli. Armi<br />
ed arnesi di lavoro ci parlano di un popolo forte e tenace<br />
nella coltivazione dei campi e nella difesa della propria<br />
libertà. Furono infatti fieri, come tutti i popoli alpini,<br />
della loro indipendenza e perciò si opposero anche<br />
ai Romani che, dopo aver superato gli Etruschi, si<br />
affacciavano alla pianura padana. Perciò dopo la prima<br />
guerra punica ci fu uno scontro durissimo fra i Romani<br />
ed i popoli della Gallia Cisalpina, Leponzi compresi.<br />
I Romani, vittoriosi, con la disfatta degli Insubri e la<br />
conquista di M<strong>il</strong>ano loro capitale (222 a.C.), imposero<br />
le colonie m<strong>il</strong>itari di Cremona e Piacenza. Quando poi<br />
Annibale attraversò le Alpi (218 a.C.), i Leponzi si unirono<br />
a lui e parteciparono alla battaglia del Ticino che,<br />
vinta da Annibale, costrinse i Romani a ripassare <strong>il</strong> Po.<br />
Ma dopo la battaglia di Zama i Romani ritornarono ad<br />
occupare la pianura padana, spingendosi probab<strong>il</strong>men-<br />
17
te fino al lago Maggiore ed al fiume Sesia (187 a.C.).<br />
Negli anni seguenti le relazioni fra i Romani ed i Leponzi<br />
migliorarono. I popoli alpini si avvantaggiarono<br />
soprattutto dai commerci che avvenivano attraverso le<br />
Alpi dei cui passi essi erano i padroni. Ne è segno anche<br />
in Ossola la frequente monetazione romana repubblicana.<br />
Molti prodotti italici cominciarono ad apparire anche<br />
nell’Ossola, come attestano i ritrovamenti tombali<br />
di Ornavasso, Gravellona ecc.<br />
Ma le Alpi, dopo la spericolata traversata di Annibale,<br />
non erano più un baluardo insuperab<strong>il</strong>e alle orde barbariche<br />
che cercavano in <strong>It</strong>alia migliori sedi. I Romani,<br />
già padroni della Provenza e del Norico, vig<strong>il</strong>avano affinché<br />
questo non avvenisse. Ma i Cimbri ed i Teutoni,<br />
popoli provenienti dal Nord, dopo aver chiesto invano<br />
a Roma di entrare in <strong>It</strong>alia ed avere scorazzato per<br />
mezza Europa, ed aver vinto anche alcuni eserciti romani,<br />
ritentarono l’impresa. Essi trovarono in Provenza un<br />
potente esercito romano comandato da Mario. Allora<br />
si divisero in due corpi: i Teutoni cercarono un passaggio<br />
nelle Alpi Marittime ma furono completamente distrutti<br />
da Caio Mario alle Aquae Sextiae, i Cimbri risalirono<br />
<strong>il</strong> Rodano affrontando probab<strong>il</strong>mente i passi alpini<br />
ossolani. Frattanto un esercito romano al comando<br />
di Lutazio Catulo si era attestato nel versante opposto<br />
costruendo un doppio campo fortificato congiunto<br />
da un ponte a cavallo del fiume Toce, che lo storico<br />
Plutarco chiama Atosis, probab<strong>il</strong>mente proprio fuori di<br />
Domodossola nel luogo che prese <strong>il</strong> nome di Castellazzo.<br />
Ma i Cimbri, costruita una grossa diga alle forre di<br />
Pontemalio, produssero una piena artificiale che mise<br />
in gran pericolo <strong>il</strong> ponte romano e tutto <strong>il</strong> sistema difensivo.<br />
Il console Lutazio Catulo credette allora opportuno<br />
mettersi in testa ai suoi soldati in fuga e riparare<br />
nella pianura padana. Poco dopo però, ai Campi Raudii<br />
presso Vercelli, le forze romane di Caio Mario distrussero<br />
completamente le orde dei Cimbri (101 a.C.).<br />
Le relazioni fra i Romani ed i Leponzi si guastarono alla<br />
fine del I secolo a.C. quando, pare, le comunicazioni fra<br />
i due versanti alpini divennero insicure a causa dei continui<br />
ladroneggi. Roma intraprese una guerra in piena<br />
regola e tutti i popoli alpini furono assoggettati al suo<br />
imperio (14 a.C.). Questo successo fu esaltato con un<br />
monumento a La Turbie (in Francia) su cui una lun-<br />
18<br />
ga iscrizione, riportataci anche da Plinio <strong>il</strong> Vecchio, ricorda<br />
tutti i popoli alpini sottomessi e pacificati; fra essi<br />
anche i Leponzi.<br />
La pace augustea che ne seguì ebbe felici conseguenze<br />
anche nell’Ossola, dove aumentò <strong>il</strong> benessere economico<br />
e prese avvio la cultura. Oscella fu probab<strong>il</strong>mente<br />
elevata al grado di municipio e, secondo <strong>il</strong> De Vit,<br />
fu sede del procuratore romano preposto alla provincia<br />
delle Alpi Atrezziane, provincia che durò fino all’epoca<br />
dell’imperatore Diocleziano (284-305) che l’ascrisse<br />
definitivamente all’<strong>It</strong>alia. Tracce di questo benessere si<br />
riscontrano abbondantemente nei reperti tombali. Furono<br />
anche potenziate le vie di comunicazione, in cui<br />
i Romani erano maestri. Oscella era collegata non solo<br />
con Novara e M<strong>il</strong>ano, ma anche con Seduno (Sion) e<br />
Octoduro lungo quella che poi fu l’asse sempioniana,<br />
ma che in quell’epoca ut<strong>il</strong>izzava probab<strong>il</strong>mente con più<br />
frequenza i passi della valle Antigorio, della val Bognanco<br />
e della valle Antrona. Un lungo tratto di strada romana<br />
esiste ancora sulla sponda sinistra del Toce, da<br />
Cosasca a Mergozzo, ricordata anche dalla famosa iscrizione<br />
su roccia di Vogogna che la fa risalire all’intervento<br />
di un procuratore delle Alpi Atrezziane al tempo di<br />
Settimio Severo (196 d.C.).<br />
La romanizzazione si riflette puntualmente anche nei<br />
nomi di persona e nei cognomi, alcuni dei quali come<br />
quello attestatoci dalla ricca tomba di Claro Fuenno a<br />
Domodossola sono in parte romani e in parte ancora<br />
leponzi. Analogamente avviene per la religione. Assieme<br />
al culto tradizionale delle divinità lepontiche, come<br />
le Matrone, compare quello delle divinità importate,<br />
come S<strong>il</strong>vano, Giove e Iside (ara trovata a Candoglia).<br />
Un tempietto scoperto a Roldo di Montecrestese e risalente<br />
ai primi anni dell’era moderna è tutto ciò che ci<br />
resta degli edifici sacri di quel tempo. Ma nel IV secolo<br />
la religione pagana subisce una crisi mortale con l’avvento<br />
del Cristianesimo che lentamente, ma inesorab<strong>il</strong>mente,<br />
sostituisce l’antica religione pagana nelle città e<br />
poi anche nelle province più lontane dell’Impero. Con<br />
Costantino ebbe <strong>il</strong> diritto all’esistenza e con Teodosio <strong>il</strong><br />
Cristianesimo divenne religione di Stato (385). In Ossola<br />
<strong>il</strong> Cristianesimo si affermò abbastanza presto, ut<strong>il</strong>izzando<br />
anche gli edifici religiosi pagani esistenti e riconvertendoli<br />
al nuovo culto. Grande fu in questo tem-
po l’opera di evangelizzazione guidata dal Vescovo Ambrogio<br />
di M<strong>il</strong>ano che spedì missionari e vescovi in tutta<br />
la Gallia.<br />
Forse anche Oscella ebbe inizialmente <strong>il</strong> suo vescovo,<br />
ma certamente ebbe un presbiterio o gruppo di sacerdoti<br />
che cominciarono a interessarsi a questa regione.<br />
Il documento più antico che ci parla della presenza del<br />
Cristianesimo in Ossola è una lapide mortuaria rinvenuta<br />
sul colle di Mattarella, dove probab<strong>il</strong>mente una<br />
chiesa dedicata alla B.V. Maria ricalca un tempio dedicato<br />
alle Matrone, e che risale all’inizio del VI secolo.<br />
Ma anche sul Montorfano di Mergozzo, all’interno della<br />
chiesa di S. Giovanni, è stato ritrovato un fonte battesimale<br />
che può risalire alla stessa epoca.<br />
Le vicende dei secoli seguenti nell’Ossola si possono riassumere<br />
nella situazione generale creatasi nell’<strong>It</strong>alia settentrionale<br />
e specialmente a Novara e M<strong>il</strong>ano fino alla<br />
caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.).<br />
Dall’età barbarica al M<strong>il</strong>le<br />
L’indebolimento dell’Impero romano permise a molti<br />
popoli barbari di superare i confini e penetrare in un<br />
territorio coltivato e ricco di prede.<br />
Cedono le difese della Germania e della Pannonia permettendo<br />
ai Goti di Alarico di raggiungere e saccheggiare<br />
Roma (410). Nel contempo (443) i Burgundi<br />
prendono stab<strong>il</strong>e dimora lungo la Soana ed <strong>il</strong> Rodano<br />
a ridosso dell’arco alpino ossolano. È poi la volta degli<br />
Ostrogoti di Teodorico <strong>il</strong> quale vince Odoacre che era<br />
stato proclamato re (476) da truppe mercenarie germaniche<br />
al servizio dell’Impero, e fa di Ravenna la sua capitale.<br />
La guerra degli Ostrogoti sotto la guida di Teodorico,<br />
iniziata nel 493, coinvolge anche l’<strong>It</strong>alia occidentale<br />
e quindi l’Ossola che fu sottoposta alle scorrerie<br />
dei Burgundi, chiamati forse da Bisanzio in aiuto di<br />
Odoacre. Le scorrerie dei Burgundi causarono la distruzione<br />
ed <strong>il</strong> saccheggio di molte città e paesi, dai quali<br />
furono portati via e condotti in schiavitù molti abitanti.<br />
Una iscrizione su una roccia, letta dallo storico ossolano<br />
Giovanni Capis, in località Mizzoccola presso Cosasca,<br />
accennerebbe al passaggio per l’Ossola di un corpo<br />
di spedizione di Burgundi al comando del loro re<br />
Gundobaldo.<br />
Cominciò dunque in quell’epoca <strong>il</strong> decadimento di<br />
Oscella che vide distrutti i suoi palazzi e deserte le sue<br />
case dalle quali furono dedotti schiavi gli abitanti. I<br />
municipi che subirono maggiori danni furono M<strong>il</strong>ano,<br />
Novara e Vercelli. Ennodio, scrittore di quell’epoca, ci<br />
dice però che i vescovi cominciarono a esercitare una<br />
grande influenza anche nel mondo civ<strong>il</strong>e, facendo valere<br />
<strong>il</strong> prestigio del loro potere religioso al servizio dei popoli.<br />
S. Lorenzo vescovo di M<strong>il</strong>ano, Epifanio vescovo di<br />
Pavia, si recarono infatti alla corte del re Gundobaldo<br />
ottenendo da lui e dal fratello Godisc<strong>il</strong>o che risiedeva a<br />
Ginevra, la liberazione dei prigionieri che pensiamo siano<br />
ritornati attraverso i passi alpini ossolani.<br />
Il regno di Teodorico (493-526) fu di relativa stab<strong>il</strong>ità<br />
e prosperità in <strong>It</strong>alia, sebbene le popolazioni rurali<br />
fossero state ridotte ad un forte impoverimento, dovuto<br />
ad una redistribuzione dei beni ed a tasse in favore<br />
dei barbari occupanti. La successiva guerra, iniziata<br />
nel 535 e protrattasi per 18 anni, che permise ai generali<br />
bizantini Belisario e Narsete di cacciare i Goti e restaurare<br />
<strong>il</strong> dominio dell’Impero non fece che aumentare<br />
le distruzioni ed i disagi dei popoli. Fu probab<strong>il</strong>mente<br />
sotto <strong>il</strong> dominio di Teodorico o, al più tardi, sotto quello<br />
di Narsete che non solo fu fortificato ulteriormente<br />
<strong>il</strong> Castellazzo di Oscella (dove un tempo furono le fortificazioni<br />
romane) contro i Burgundi, ma fu anche costruito<br />
ex novo <strong>il</strong> potente castello di Mattarella, dove<br />
tuttavia si hanno tracce di costruzioni più antiche, di<br />
epoca romana e tracce di insediamenti preistorici.<br />
Ma <strong>il</strong> grande colpo che ridusse l’<strong>It</strong>alia settentrionale allo<br />
stremo e la imbarbarì per parecchi secoli fu quello dovuto<br />
all’invasione dei Longobardi sotto la guida di Alboino,<br />
penetrati nel Friuli, e che successivamente conquistarono<br />
M<strong>il</strong>ano e Pavia nel 572, dove posero la loro<br />
capitale.<br />
La prima parte del dominio longobardo fu durissima,<br />
segnata da violenze, espropri, saccheggi, incendi, spogliazioni<br />
di ogni genere, specialmente del clero e delle<br />
chiese, contro le quali i Longobardi, ariani, si accanirono<br />
particolarmente. Ciò fu causa di un rapido e drastico<br />
regresso della civ<strong>il</strong>tà. La popolazione, già decimata<br />
dalla fame e dalla peste, si ridusse notevolmente. Le<br />
lettere e le arti decaddero quasi completamente. I Longobardi<br />
pretendevano di vivere di razzia prelevando i<br />
beni prodotti dai popoli soggetti, ma, condotti a mi-<br />
19
glior consiglio dagli insuccessi m<strong>il</strong>itari, dovettero anch’essi<br />
adattarsi al lavoro e divenire agricoltori come i<br />
popoli soggetti.<br />
Dopo un periodo di anarchia, sotto re Autari (584-590)<br />
che sposò la cattolica Teodolinda, figlia del duca di Baviera,<br />
le cose mutarono. Con <strong>il</strong> successore Ag<strong>il</strong>ulfo, secondo<br />
sposo di Teodolinda, e con <strong>il</strong> concorso del papa<br />
S. Gregorio Magno, inizia la conversione al cattolicesimo<br />
dei Longobardi, <strong>il</strong> che favorisce l’amalgama con<br />
i popoli soggetti. Tuttavia mentre questi mantengono<br />
la legge romana, i Longobardi con l’Editto di Rotari<br />
(636-652) codificano la loro tradizione vivendo con<br />
leggi proprie. Il regno longobardo è in continua espansione<br />
nel secolo VII con la creazione di nuovi ducati,<br />
ma presenta anche forti sintomi di debolezza dovuti alla<br />
disunione dei duchi. L’Ossola è inclusa nel ducato di S.<br />
Giulio d’Orta, sulla cui omonima isola probab<strong>il</strong>mente<br />
<strong>il</strong> duca si era costruito per maggior sicurezza un castello.<br />
Oscella perde le caratteristiche di capitale dell’Ossola<br />
perché la sede del potere civ<strong>il</strong>e e m<strong>il</strong>itare longobardo<br />
è nel castello di Mattarella da cui dipendeva <strong>il</strong> territorio<br />
sotto forma, probab<strong>il</strong>mente, di giudicaria, retta da<br />
uno sculdascio. Quando, sotto <strong>il</strong> re Ag<strong>il</strong>ulfo irrompono<br />
i Franchi dai passi alpini ossolani e ticinesi <strong>il</strong> duca Mainulfo<br />
di S. Giulio d’Orta tradisce <strong>il</strong> suo re e lascia libero<br />
passo ai Franchi. Ma, cacciati questi, Ag<strong>il</strong>ulfo si vendica<br />
facendo tagliare la testa al duca fellone e riducendo<br />
sotto <strong>il</strong> suo diretto dominio <strong>il</strong> ducato. L’Ossola quindi<br />
dipenderà direttamente dalla Corte di Pavia. In questo<br />
tempo grandi territori sono concessi ai m<strong>il</strong>ites ed alle<br />
fare arimanniche longobarde nelle Alpi che essi dovevano<br />
difendere dalle invasioni nemiche. Gli uomini liberi<br />
sono ancora numerosi, ma molti sono anche i servi e<br />
gli aldioni sem<strong>il</strong>iberi e molto sv<strong>il</strong>uppata è la servitù della<br />
gleba in una economia che è solo agricolo-pastorale.<br />
Questa situazione non cambia neppure dopo che Carlo<br />
Magno, con la vittoria sull’ultimo re longobardo Desiderio<br />
(774), instaura <strong>il</strong> dominio franco in <strong>It</strong>alia. L’Ossola<br />
diventa una contea dipendente dal regno italico; <strong>il</strong><br />
suo centro amministrativo e m<strong>il</strong>itare è sempre <strong>il</strong> castello<br />
di Mattarella (Corte di Mattarella). Ma con la venuta<br />
dei Franchi continua quel processo di feudalizzazione<br />
che sottrae praticamente al diretto dominio del re alcuni<br />
territori che vengono dati in feudo a signori laici<br />
20<br />
ed ecclesiastici per loro particolari benemerenze, i quali<br />
vi esercitano <strong>il</strong> dominio teoricamente alle dipendenze<br />
del re a cui giurano fedeltà, ma di fatto valendosene<br />
con molta libertà. Vassalli maggiori e minori si legano<br />
in una instricab<strong>il</strong>e società che è spesso fortemente suddivisa<br />
dagli interessi famigliari ed individuali a spese del<br />
popolo minuto, dei servi della gleba e coloni costretti<br />
ad un duro lavoro nei campi e nei boschi ed alla costruzione<br />
dei numerosi castelli che sorgono come funghi<br />
un po’ dappertutto.<br />
A questo processo di feudalizzazione è soggetta anche<br />
l’Ossola, dove alcuni signori hanno vasti territori<br />
e partecipa anche <strong>il</strong> vescovo di Novara che costruisce a<br />
Oscella, presso la chiesa dei S.S. Gervasio e Protasio <strong>il</strong><br />
suo castello (castrum novum, ricordato nel 1001). Ma <strong>il</strong><br />
dominio del vescovo si estende soprattutto sulla città di<br />
Novara, attorno al lago d’Orta ed in moltissime altre località,<br />
dove le chiese possiedono beni immob<strong>il</strong>i. L’Ossola<br />
intanto è governata da un conte palatino, ma <strong>il</strong> territorio<br />
si è andato restringendo a causa della crescita dei<br />
feudi donati dal re ai signori, tanto che viene definita<br />
comitatulo quella parte che ancora dipende dalla corte<br />
di Mattarella, dopo le riduzioni subite a causa della feudalizzazione.<br />
Ma in Ossola hanno i loro beni monasteri<br />
come quello di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, fondato<br />
dal re longobardo Liutprando, e chiese anche di diocesi<br />
diverse da quella di Novara.<br />
I vescovi di Novara continuando con qualche fortuna<br />
l’opera di accrescimento del dominio temporale della<br />
Chiesa iniziatosi con la immunità concessa da Ludovico<br />
<strong>il</strong> Pio (814-840) e progredito con le donazioni e conferme<br />
di Lotario I, di Carlomanno e di Berengario I (901),<br />
si trovarono tuttavia a dover scegliere fra i vari pretendenti<br />
alla corona d’<strong>It</strong>alia ed a quella imperiale. Così Berengario<br />
II sottrasse alla Chiesa novarese la Riviera di S.<br />
Giulio e perseguitò <strong>il</strong> vescovo che non appoggiava la sua<br />
candidatura alla corona imperiale. Ma Ottone I di Germania,<br />
sconfitto Berengario, restituì al vescovo di Novara<br />
(962) la Riviera, l’isola di S. Giulio e la giurisdizione<br />
su Novara e dintorni. Da questo momento i vescovi<br />
di Novara appoggeranno pressoché costantemente i re e<br />
gli imperatori di Germania, i quali, per questa fedeltà,<br />
saranno generosi di riconoscimenti e di nuove donazioni.<br />
L’occasione più propizia fu colta nella lotta che op-
pose Arduino marchese d’Ivrea, pretendente alla corona<br />
d’<strong>It</strong>alia, ed <strong>il</strong> re germanico Enrico II. Il vescovo Pietro<br />
di Novara, schieratosi al momento opportuno con<br />
Enrico II, fu perseguitato da Arduino, per cui dovette<br />
fuggire e subire notevoli danni nei suoi possedimenti.<br />
Sconfitto Arduino, <strong>il</strong> vescovo Pietro, recatosi alla corte<br />
dell’imperatore Enrico, ebbe in dono, per la sua fedeltà<br />
e in risarcimento dei danni subiti, <strong>il</strong> comitatulo ossolano<br />
cioè la pars publica dell’antica contea dipendente dal<br />
castello di Mattarella. Il solenne diploma concesso alla<br />
Chiesa Novarese nel 1014 segna dunque l’inizio del dominio<br />
feudale della medesima nell’Ossola, dominio che<br />
durerà circa tre secoli.<br />
Cronache dei secoli XI e XII<br />
La società ed <strong>il</strong> sistema politico feudale sono al massimo<br />
sv<strong>il</strong>uppo nel secolo XI, ma contemporaneamente si<br />
intravvedono i segni di una grave crisi. Il tentativo da<br />
parte degli imperatori di riaffermare <strong>il</strong> proprio potere su<br />
una società disgregata e pullulante di m<strong>il</strong>le contraddizioni<br />
politiche cozza con quello dei signori laici ed ecclesiastici.<br />
L’imperatore poi ha uno scontro diretto con<br />
la Chiesa a causa delle investiture ecclesiastiche collegate<br />
con i feudi da esse dipendenti.<br />
Nella lotta che ebbe per protagonisti <strong>il</strong> papa Gregorio<br />
VII ed <strong>il</strong> re Enrico IV i vescovi di Novara si mantennero<br />
dalla parte dell’imperatore e molti di essi ricevettero<br />
da lui l’investitura senza essere riconosciuti dal Papa<br />
e quindi sono spesso ricordati come «invasori della cattedra<br />
di S. Gaudenzio». Grande era anche la decadenza<br />
dei costumi del popolo e del clero, dovuta al fatto<br />
che gli ecclesiastici erano più impegnati negli affari<br />
politici ed economici che non nel ministero pastorale.<br />
Il clero era poi spesso viziato dalla eresia dei Nicolaiti<br />
per cui, contravvenendo alla disciplina della Chiesa<br />
cattolica latina, molti preti prendevano moglie. Anche<br />
su questo punto dobbiamo notare che i vescovi di<br />
Novara sono fra quelli che, come <strong>il</strong> vescovo di Vercelli e<br />
l’arcivescovo di M<strong>il</strong>ano, si oppongono alla riforma del<br />
clero, ostacolando quel movimento popolare detto dei<br />
Patàri, sorto a M<strong>il</strong>ano, che riuniva tutti gli uomini desiderosi<br />
di eliminare tale piaga. In questo tempo subisce<br />
<strong>il</strong> martirio <strong>il</strong> diacono Arialdo di M<strong>il</strong>ano, capo della<br />
Patarìa, che viene ucciso nell’isola Madre del lago Mag-<br />
giore da due preti nicolaitici su ordine di Oliva, nipote<br />
dell’arcivescovo Guido di Velate. Il mondo cristiano<br />
è frattanto sollecitato a muoversi per opporsi all’avanzata<br />
dell’Islamismo divenuto padrone della Palestina<br />
e pronto ad estendere <strong>il</strong> suo dominio in Africa ed in<br />
Europa. Dopo vari tentativi andati a vuoto, finalmente<br />
una Crociata organizzata dai principi cristiani riesce<br />
a riconquistare Gerusalemme e la Palestina, dando origine<br />
ad un regno cristiano (1099), <strong>il</strong> cui primo re fu <strong>il</strong><br />
glorioso Goffredo di Buglione.<br />
Tutti questi eventi produssero effetti sociali importanti.<br />
Il popolo cominciò a partecipare attivamente alle vicende<br />
politiche e religiose, al movimento della Patarìa<br />
ed alle Crociate, organizzandosi in varie corporazioni<br />
nelle città e liberandosi dalla servitù della gleba nelle<br />
campagne. A M<strong>il</strong>ano nasce <strong>il</strong> Comune con i suoi consoli<br />
e magistrature nuove. La nob<strong>il</strong>tà è costretta a inurbarsi<br />
e riconoscere l’autorità del Comune. Il movimento<br />
comunale si estenderà lentamente alle campagne fino<br />
a coinvolgere anche i centri più piccoli.<br />
Frattanto in Ossola e nel Novarese i signori laici, già<br />
aderenti a re Arduino, cercano di riprendersi quei beni<br />
che gli imperatori Enrico II e Corrado II avevano assegnato<br />
alla Chiesa novarese. I signori di Pombia, poi denominati<br />
Conti di Biandrate, i Conti di Castello, i conti<br />
di Crusinallo estendono i loro possessi nel Novarese,<br />
nel Vercellese, attorno al lago Maggiore e nell’Ossola.<br />
I vescovi novaresi tengono a mala pena <strong>il</strong> castello<br />
e le terre dipendenti dalla Corte di Mattarella in Ossola,<br />
ma anche questo feudo viene qua e là occupato da<br />
quei signori.<br />
Fortunatamente dopo una serie troppo lunga di vescovi<br />
intrusi, risolta almeno in parte la questione delle investiture,<br />
sulla sede di S. Gaudenzio di Novara salgono<br />
vescovi legittimi, cominciando da Riccardo e seguito da<br />
Litifredo (1124-1151) con i quali si ha un deciso miglioramento<br />
religioso e civ<strong>il</strong>e. Le lotte precedenti in cui<br />
<strong>il</strong> clero fu parte attiva avevano infatti molto diminuito<br />
<strong>il</strong> fervore cristiano del popolo che i preti nicolaitici<br />
non avevano provveduto a istruire e guidare. Ecco perché,<br />
dopo le mirab<strong>il</strong>i chiese con cui si chiude <strong>il</strong> secolo<br />
X, come S. Bartolomeo di V<strong>il</strong>la e S. Maria di Trontano,<br />
non sorgono nuovi edifici religiosi se non nel secolo XII<br />
come S. Martino di Masera, S. Maria Maggiore in val<br />
21
Vigezzo, S. Maria di Montecrestese, S. Stefano di Crodo<br />
ecc. Il vescovo Litifredo ottenne dal papa Innocenzo<br />
II, nel 1133, una Bolla dalla quale sappiamo che in Ossola<br />
vi sono solo tre pievi o parrocchie: la pieve di Domodossola,<br />
la pieve di Vergonte e la pieve di Mergozzo.<br />
Da ognuna di queste pievi dipendevano le chiese sussidiarie<br />
costruite da tempo in tutte le valli. Con <strong>il</strong> vescovo<br />
Litifredo si avvia, crediamo, <strong>il</strong> processo di separazione<br />
delle varie parrocchie dalla pieve-madre che, secondo la<br />
necessità e le circostanze, condurrà alla situazione presente.<br />
Sono prime a separarsi le parrocchie vallive di val<br />
Vigezzo con S. Maria Maggiore, di val Antigorio con S.<br />
Stefano di Crodo, di val Divedro con S. Maria di Crevola,<br />
di valle Antrona con S. Bartolomeo di V<strong>il</strong>la, seguite<br />
da altre. Domodossola riprende intanto <strong>il</strong> suo ruolo<br />
di capitale dell’Ossola superiore, non solo per <strong>il</strong> mercato<br />
settimanale del sabato che vi si faceva da epoca immemorab<strong>il</strong>e,<br />
ma soprattutto perché centro della vita religiosa<br />
della pieve.<br />
La sua chiesa pievana o Duomo sostituirà l’antico nome<br />
di Oscella e sarà Duomo di Oscella o Domodossola. All’inizio<br />
del secolo XII prende anche <strong>il</strong> nome di Borgo.<br />
Infatti numerosi signori vi hanno le loro abitazioni ed <strong>il</strong><br />
vescovo pone alcuni funzionari e uffici nel suo palazzo<br />
in servizio della comunità.<br />
L’Ossola inferiore, parte della valle Vigezzo, della val<br />
Formazza, della val Divedro ed alcuni luoghi attorno<br />
a Domo, come Vagna, Montecrestese, Caddo e Masera<br />
sono di proprietà almeno parziale dei Conti di Castello,<br />
di Biandrate e di altri signori.<br />
Morto <strong>il</strong> vescovo Litifredo nel 1151 gli successe Guglielmo<br />
Tornielli. Nel 1154 scende in <strong>It</strong>alia l’imperatore<br />
Federico, duca di Svevia, detto <strong>il</strong> Barbarossa, allo scopo<br />
di sottomettere all’autorità imperiale quei comuni che,<br />
come M<strong>il</strong>ano, si stavano apertamente emancipando. Il<br />
vescovo Tornielli, essendo l’imperatore a Casale, ottenne<br />
un diploma di conferma di tutti i beni e diritti feudali<br />
concessi dai re ed imperatori precedenti.<br />
In questo diploma datato 3 gennaio 1155 è esplicitamente<br />
ricordato <strong>il</strong> castello di Mattarella con tutte le sue<br />
pertinenze (castrum Mattarellae cum omnibus pertinentiis<br />
suis). Ma lo stesso imperatore aveva nel 1152 confermato<br />
i feudi dei conti di Biandrate fra cui <strong>il</strong> castello<br />
di Megolo con tutto <strong>il</strong> comitato dell’Ossola. Eviden-<br />
22<br />
temente non poteva essere intenzione dell’imperatore<br />
di dare lo stesso territorio in feudo a due enti diversi.<br />
Si deve quindi ammettere che, data la complessa situazione<br />
giurisdizionale del territorio, <strong>il</strong> comitato ossolano<br />
confermato ai conti di Biandrate fosse altra cosa dal comitatulo<br />
ossolano dipendente dalla Corte di Mattarella<br />
e dal vescovo.<br />
Il Comune di Novara, <strong>il</strong> suo vescovo ed i potenti signori<br />
di Biandrate e di Castello continuarono a mantenersi<br />
fedeli all’imperatore anche in occasione della sua seconda<br />
discesa in <strong>It</strong>alia nel 1158, e dopo la scomunica che<br />
contro i partigiani di Federico Barbarossa aveva lanciato<br />
<strong>il</strong> legato del papa Alessandro III nel 1160.<br />
Anzi i Novaresi, e con essi gli Ossolani, parteciparono<br />
alla presa di M<strong>il</strong>ano ed alla sua distruzione nel 1162.<br />
Tornato in <strong>It</strong>alia <strong>il</strong> Barbarossa nel 1166 trovò però i popoli<br />
molto malcontenti del governo imperiale. Molte<br />
città si distaccano dall’imperatore e fanno lega con M<strong>il</strong>ano.<br />
Anche <strong>il</strong> Comune di Novara ed <strong>il</strong> nuovo vescovo<br />
Guglielmo Falletto aderiscono <strong>il</strong> 15 marzo 1158 alla<br />
Lega. I Conti di Biandrate, i Conti di Castello ed altri<br />
signori si mantengono invece fedeli all’imperatore.<br />
Quando <strong>il</strong> Barbarossa seppe che Novaresi e Vercellesi<br />
avevano aderito alla Lega Lombarda fu fortemente irritato<br />
contro Vercelli e Novara, ma intanto le m<strong>il</strong>izie<br />
di questi due comuni distruggevano <strong>il</strong> castello di Biandrate<br />
giurando poi di impedirne sempre la ricostruzione.<br />
La Lega si perfezionò e ingrandì negli anni seguenti<br />
con l’adesione di altri comuni come Pavia. Lo scontro<br />
fra le m<strong>il</strong>izie della Lega Lombarda e quelle imperiali<br />
si ebbe nella memorab<strong>il</strong>e giornata del 29 maggio 1176<br />
a Legnano in cui <strong>il</strong> Barbarossa fu vinto ed a stento poté<br />
salvare la vita.<br />
Egli dovette poi concedere ai Comuni <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di<br />
Costanza <strong>il</strong> 23 giugno 1183, con cui questi ebbero una<br />
certa autonomia. I Comuni avrebbero eletto liberamente<br />
i consoli ed altri magistrati e l’imperatore avrebbe<br />
dato ad essi l’investitura. Sulla falsariga dei comuni<br />
maggiori si organizzarono in seguito tutte le comunità,<br />
fatto che riscontriamo puntualmente anche in tutta<br />
l’Ossola.<br />
Cronache del secolo XIII<br />
II Comune di Novara nel secolo XIII è proteso a sotto-
porre tutto <strong>il</strong> territorio della diocesi di Novara. È quindi<br />
naturale che in questo disegno dovessero essere eliminati<br />
tutti i signori feudali che possedevano beni in<br />
quel territorio, compreso <strong>il</strong> vescovo. I Novaresi tentano<br />
anzitutto di ridurre i Conti di Biandrate e di Castello<br />
a riconoscere l’autorità del Comune. Il 19 agosto 1218<br />
Guido fu Raineri Conte di Biandrate fu anzi costretto a<br />
vendere al Comune di Novara tutti i suoi beni e castelli<br />
dell’Ossola e specialmente quello di Megolo e Medoletto,<br />
mantenendo la giurisdizione sui luoghi che però<br />
era esercitata in nome del Comune di Novara. Anche i<br />
Conti di Castello dovettero cedere le loro terre ed i castelli<br />
dell’Ossola e della valle Intrasca e sottoporsi al Comune<br />
di Novara. Ma i popoli soggetti non furono affatto<br />
contenti di questo cambio di autorità, né tanto meno<br />
<strong>il</strong> vescovo che vedeva lesi molti dei suoi diritti su terre di<br />
sua proprietà che venivano arbitrariamente sottoposte<br />
ai consoli del Comune di Novara. Anche con <strong>il</strong> vescovo<br />
la lotta si fece aspra e fu diffic<strong>il</strong>e al vescovo impedire<br />
che i podestà del Comune di Novara esercitassero la<br />
loro giurisdizione anche nelle valli ossolane dipendenti<br />
dalla Corte di Mattarella. La situazione era molto ingarbugliata<br />
giacché si ritrova che nella stessa comunità<br />
esistevano uomini che dipendevano dal vescovo ed altri<br />
che, essendo stati soggetti ai Conti di Biandrate o di<br />
Castello, dovevano sottoporsi alla giurisdizione del Comune<br />
di Novara. L’Ossola è come la pelle di un leopardo<br />
dove vescovo e comune hanno piccoli territori sparsi<br />
e disuniti fra loro.<br />
Dopo l’ultima guerra in cui i Conti di Biandrate e di<br />
Castello si appoggiarono ai Vercellesi per liberarsi dalle<br />
pretese del Comune di Novara, alla quale parteciparono<br />
anche gli Ossolani ad essi sottoposti, e che si concluse<br />
con la presa e distruzione di Pallanza da parte dei Novaresi<br />
nel 1223, tutta l’Ossola inferiore cadde nel dominio<br />
del Comune di Novara, <strong>il</strong> quale pose i suoi podestà<br />
nel borgo di Vergonte. In questo tempo i Novaresi costruirono<br />
anche <strong>il</strong> borgo di Intra ed elevarono Mergozzo<br />
al grado di borgo. Questi borghi tendono a chiudersi<br />
con una cinta muraria. Nel 1233 <strong>il</strong> Comune di Novara<br />
ed <strong>il</strong> vescovo Oldeberto eleggono dei rappresentanti per<br />
fare un accurato censimento degli uomini e dei beni appartenenti<br />
alle due giurisdizioni, fissando anche la rigorosa<br />
proibizione che uomini e beni passassero in alcun<br />
modo da una giurisdizione all’altra. Un secondo censimento<br />
fu necessario all’epoca del vescovo Sigebaldo fra<br />
<strong>il</strong> 1260 ed <strong>il</strong> 1267.<br />
Nell’Ossola Superiore intanto si verifica un fatto notevole.<br />
In occasione della discesa in <strong>It</strong>alia dell’imperatore<br />
Ottone IV, <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Guido de Rodis, padrone di molti<br />
possessi in val Antigorio e in val Formazza, ne ottiene<br />
l’investitura con atto solenne del 25 apr<strong>il</strong>e 1210, costituendosi<br />
valvassore dell’Impero e quindi indipendente<br />
dalla Corte di Mattarella. In Formazza, a Salecchio,<br />
ad Agaro i discendenti di Guido de Rodis, con le varie<br />
denominazioni (de Baceno, de Cristo ecc.) sv<strong>il</strong>upparono<br />
lo sfruttamento degli alpeggi con notevoli vantaggi<br />
economici. In questi luoghi essi avevano probab<strong>il</strong>mente<br />
alcuni servi della gleba a cui si aggiunsero con un contratto<br />
enfiteutico numerosi nuclei famigliari di origine<br />
walser provenienti dalla vicina Svizzera. Anche i possessi<br />
dei Conti di Castello e di Biandrate nelle parti più<br />
alte delle valli Anzasca (Macugnaga) e Divedro (Gondo,<br />
Sempione) furono sfruttati con questo sistema degli<br />
insediamenti walser. Un gruppo di essi anzi venne<br />
ad abitare anche ad Ornavasso ed a Migiandone invitati<br />
dai signori locali.<br />
Nacquero nell’Ossola, sulla falsariga di quello che avveniva<br />
a Novara ed a M<strong>il</strong>ano, i partiti Guelfi e Ghibellini<br />
qui detti degli Spelorci e dei Ferrari rispettivamente.<br />
Queste fazioni si combatterono aspramente fino alla<br />
fine del secolo XVI.<br />
Il vescovo per mantenere <strong>il</strong> proprio potere era costretto<br />
ad appoggiarsi ai signori locali, i De Rodis, i Baceno, i<br />
S<strong>il</strong>va, i Campieno ecc. verso i quali fu generoso di elargizioni<br />
e favori, concedendo investiture di decime ecclesiastiche<br />
spettanti alla mensa episcopale.<br />
Ma tutte le vicende politiche che mutano governo a<br />
M<strong>il</strong>ano ed a Novara si riflettono puntualmente anche<br />
nell’Ossola. Emergono a M<strong>il</strong>ano le potenti famiglie dei<br />
Della Torre o Torriani e loro consorteria ed allora vediamo<br />
che membri di questa famiglia assumono la podesteria<br />
non solo del Comune di Novara, ma anche della<br />
Corte di Mattarella. La caduta dei Torriani ed <strong>il</strong> prevalere<br />
dei Visconti, per opera soprattutto del vescovo Ottone<br />
Visconti, costringe anche <strong>il</strong> vescovo di Novara a<br />
valersi di questi signori per mantenere <strong>il</strong> suo potere.<br />
Molto ut<strong>il</strong>e all’Ossola fu la permanenza sulla sede di S.<br />
23
Gaudenzio del vescovo Papiniano della Rovere, dotato<br />
di eminenti qualità politiche ed ecclesiastiche. Egli diede<br />
coraggiosamente inizio ad una riforma civ<strong>il</strong>e e religiosa<br />
della diocesi e dei suoi domini temporali con un<br />
Sinodo (1298) di cui rimangono i canoni promulgati.<br />
Provvide anche a difendere <strong>il</strong> dominio episcopale impedendo<br />
trapassi di giurisdizione.<br />
Meritano anche un cenno alcuni avvenimenti dell’Ossola<br />
Inferiore. Il borgo di Pieve Vergonte subì una distruzione<br />
quasi completa per opera del torrente Marmazza.<br />
Fu quindi necessario costruire un altro borgo in<br />
vicinanza e prese <strong>il</strong> nome di Pietrasanta, dove risiedeva<br />
<strong>il</strong> Podestà dell’Ossola dipendente dal Comune di Novara.<br />
Ma anche questo borgo durò poco giacché subì ripetute<br />
devastazioni da parte del fiume Anza e nel 1328 fu<br />
necessario abbandonarlo. Prese allora <strong>il</strong> titolo e la funzione<br />
di borgo l’abitato di Vogogna.<br />
Cronache del secolo XIV<br />
Nella lotta fra i partiti guelfo e ghibellino anche l’Ossola<br />
ebbe la sua parte nel secolo XIV. Durante la vacanza<br />
della sede episcopale novarese <strong>il</strong> vescovo di Sion Bonifacio<br />
di Challant, ghibellino, scese in Ossola per <strong>il</strong> passo<br />
del Sempione nel 1301 e devastò <strong>il</strong> paese saccheggiando<br />
<strong>il</strong> borgo di Domodossola. Non era la prima volta che<br />
Quadro votivo. Domesi in processione contro le piene del Bogna (1690).<br />
24<br />
l’Ossola subiva dai vicini Vallesani questo trattamento<br />
poco amichevole. Ai borghigiani domesi parve necessario<br />
difendersi meglio cingendo l’abitato di una solida<br />
cerchia muraria. L’idea venne condivisa anche dal nuovo<br />
vescovo Bartolomeo Quirino (1302-1304) <strong>il</strong> quale,<br />
venuto a Domo, diede inizio al lavoro con la posa della<br />
prima pietra. Anche <strong>il</strong> successore Uguccione dei Borromei<br />
parve sulle prime propenso alla realizzazione di<br />
questa importante difesa, ma successivamente, indotto<br />
nel sospetto che con l’erezione delle mura i Domesi<br />
si sarebbero ribellati al vescovo conte per erigersi in comune<br />
autonomo, cercò di far fallire <strong>il</strong> progetto in parte<br />
già realizzato. Per tranqu<strong>il</strong>lizzare i Domesi fece un<br />
accordo con <strong>il</strong> vescovo di Sion (1306) che incontrò al<br />
Sempione e <strong>il</strong> 24 marzo 1307 ordinò esplicitamente la<br />
sospensione dei lavori. Dubitando poi della fedeltà degli<br />
Ossolani <strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e seguente convocò nella chiesa<br />
plebana di Domo una Credenza Generale e tutti i rappresentanti<br />
delle comunità ossolane dipendenti dalla<br />
Corte di Mattarella gli giurarono fedeltà come signore<br />
temporale. Il sospetto del vescovo Uguccione era fondato.<br />
Il partito che anelava e tramava l’indipendenza organizzò<br />
una fiera opposizione al vescovo valendosi anche<br />
di uomini rissosi e violenti. Nell’estate del 1307, mentre<br />
<strong>il</strong> vescovo Uguccione dei Borromei era a Domodos-
sola, un gruppo di armati guidato dal signor Guglielmo<br />
di Pallanzeno, detto <strong>il</strong> Petrazzano, sorprese in casa <strong>il</strong> vicario<br />
o giudice del castellano di Mattarella, assieme al<br />
notaio, <strong>il</strong> giurisperito Bernando de’ Mars<strong>il</strong>i di Parma,<br />
Enrico di Olevelo ed <strong>il</strong> sergente Guglielmo di Cortona<br />
e li uccise. Assalì poi la casa del vescovo, cioè <strong>il</strong> palazzo<br />
episcopale, ed Uguccione fu costretto a fuggire nel vicino<br />
campan<strong>il</strong>e della chiesa dei SS. Gervasio e Protasio,<br />
dove restò assediato per tre giorni senza che alcuno gli<br />
recasse aiuto. Nel contempo <strong>il</strong> Petrazzano riuscì anche<br />
con uno stratagemma a penetrare nel castello di Mattarella<br />
e saccheggiarlo.<br />
Liberato finalmente dalla sua incomoda abitazione, <strong>il</strong><br />
vescovo Uguccione, <strong>il</strong> 21 luglio 1307, lanciò l’interdetto<br />
sul borgo di Domo e scomunicò i suoi assalitori, allontanandosi<br />
dall’Ossola per cinque anni. Contro i Domesi<br />
ribelli fu mandato anche un piccolo esercito comandato<br />
da Ottobono Visconti, ma l’esito fu negativo.<br />
Nel 1310 con la venuta a Novara dell’imperatore<br />
Enrico VII si ebbe una generale pacificazione dei partiti<br />
guelfi e ghibellini ed <strong>il</strong> vescovo Uguccione ottenne<br />
nell’apr<strong>il</strong>e del 1311 un diploma di conferma di tutti i<br />
suoi diritti feudali. Nell’estate seguente un corpo m<strong>il</strong>itare<br />
di 400 uomini guidato da Pietro di Monteformoso,<br />
castellano di Mattarella, assalì Domodossola, ma i Domesi<br />
con l’aiuto del Petrazzano e della sua banda di facinorosi<br />
respinsero l’attacco. In questa piccola guerra soffrirono<br />
anche i paesi vicini che avevano accettato di legarsi<br />
ai Domesi ribelli; V<strong>il</strong>la fu saccheggiata e subì l’incendio<br />
di 150 case. Ma anche <strong>il</strong> castellano Pietro da<br />
Monteformoso fu respinto verso <strong>il</strong> Toce dove perdette<br />
ben 200 uomini. Nel 1312 Uguccione ritornò in Ossola.<br />
Gli animi erano evidentemente cambiati, giacché<br />
<strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e, nel palazzo episcopale posto nel castello di<br />
Mattarella davanti a lui compare <strong>il</strong> Petrazzano che chiede<br />
perdono dei suoi misfatti. Il vescovo gli confiscò tutti<br />
i beni posti nel territorio della sua giurisdizione temporale<br />
e lo mandò a domic<strong>il</strong>io coatto a Porto Val Travaglia.<br />
Le relazioni con i Domesi migliorarono negli anni<br />
seguenti tanto che questi nell’autunno del 1314 si sottomisero<br />
al vescovo chiedendo di essere liberati dall’interdetto.<br />
Ma <strong>il</strong> Petrazzano che aveva frattanto ottenuto<br />
<strong>il</strong> permesso di mutare <strong>il</strong> domic<strong>il</strong>io coatto fissandolo<br />
a Trontano, riuniti nel 1315 i compagni della sua ban-<br />
da, si vendicò delle requisizioni fatte dal vescovo e saccheggiò<br />
molti dei beni episcopali specialmente a V<strong>il</strong>la.<br />
Anche i capi ribelli domesi ripresero le armi e la costruzione<br />
delle mura del borgo rimasta sospesa; perciò <strong>il</strong> vescovo<br />
<strong>il</strong> 24 marzo 1317 rinnovò <strong>il</strong> precetto di sospendere<br />
la costruzione. Ma i Domesi si appellarono all’arcivescovo<br />
di M<strong>il</strong>ano come metropolita ottenendo una sentenza<br />
favorevole. Il vescovo Uguccione fu allora costretto<br />
ad appellarsi al Papa che in quell’epoca risiedeva ad<br />
Avignone. Il processo davanti agli uditori pontifici ebbe<br />
inizio <strong>il</strong> 28 ottobre 1318 e si concluse con un compromesso<br />
negli arbitri Tebaldo Brusati prevosto di Novara<br />
e Guglielmo Revelli decano di Burlazio della diocesi di<br />
Castro, uditore apostolico, <strong>il</strong> 27 agosto 1321.<br />
La sentenza, dell’11 dicembre successivo, riconobbe i<br />
diritti del vescovo e impose ai Domesi l’abbattimento<br />
delle mura, la multa di 1600 fiorini e la piena sottomissione<br />
al loro signore temporale. Ma Uguccione fu magnanimo<br />
con i Domesi, permettendo che le mura rimanessero<br />
e facendo piena pace con essi. Durante questo<br />
periodo di discordie molti furono tuttavia i dispetti,<br />
le violenze e i disordini che avvelenarono l’animo degli<br />
Ossolani. Nel 1331 divenne vescovo di Novara Giovanni<br />
Visconti, uomo potente ed astuto, <strong>il</strong> quale nell’anno<br />
seguente, con uno stratagemma rimasto famoso, si fece<br />
riconoscere signore generale di Novara. La strapotenza<br />
dei Visconti costrinse gli Ossolani alla calma. Dal 1342<br />
al 1354 Giovanni Visconti tenne poi la sede arcivescov<strong>il</strong>e<br />
di M<strong>il</strong>ano, ma mantenne la signoria del Novarese.<br />
È questo <strong>il</strong> tempo in cui furono completate le difese di<br />
Vogogna con la costruzione del castello, della rocca e<br />
del Pretorio. Sulla sede di S. Gaudenzio fu posto invece<br />
Guglielmo Amidano <strong>il</strong> quale era uomo di molta religione<br />
e capacità di governo. Egli cercò di sopire le rivalità<br />
fra i partiti e le famiglie nob<strong>il</strong>i ossolane. Ma le fazioni<br />
rispuntarono immediatamente con <strong>il</strong> successore Oldrado<br />
(1357-1388) di carattere completamente opposto.<br />
Spelorci e Ferrari si azzuffarono in continuità, favoriti<br />
dagli avvenimenti succedutisi nella seconda metà<br />
del secolo XIV.<br />
Con la morte dell’arcivescovo Giovanni Visconti di M<strong>il</strong>ano<br />
(1354) i nipoti Barnabò e Galeazzo si divisero <strong>il</strong><br />
vasto dominio. A Galeazzo toccò <strong>il</strong> Novarese e quindi<br />
anche l’Ossola Inferiore. Ma essendo sorta una lega<br />
25
contro i Visconti, costituita dagli Estensi, dai Gonzaga<br />
e dal Marchese di Monferrato, <strong>il</strong> Novarese fu invaso<br />
e saccheggiato dalle m<strong>il</strong>izie mercenarie al soldo della<br />
lega, mentre <strong>il</strong> marchese di Monferrato, per <strong>il</strong> quale<br />
parteggiava <strong>il</strong> partito ossolano degli Spelorci, occupava<br />
l’Ossola inferiore e Vogogna. Con la pace dell’8 giugno<br />
1358 Galeazzo Visconti tornò in possesso del Novarese<br />
ed anche dell’Ossola inferiore, dopo un periodo nefasto<br />
di lotte e rapine fra i partiti opposti. Vista la assoluta impotenza<br />
del vescovo conte a tenere a freno i suoi sudditi,<br />
gli Ossolani della Corte di Mattarella pensarono di<br />
sottomettersi ai Visconti con alcune condizioni: che pagando<br />
1000 fiorini annui fossero liberi da ogni altra tassazione<br />
e che fossero rimesse tutte le condanne per i delitti<br />
commessi nella precedente guerra, restituendo tuttavia<br />
ai castellani i loro stipendi e tutte le cose rubate.<br />
L’atto fu firmato <strong>il</strong> 26 agosto 1358. Pare che <strong>il</strong> vescovo<br />
Oldrado non abbia fatto alcuna opposizione a questo<br />
atto di dedizione degli Ossolani ai Visconti.<br />
Nel 1361 riprende la guerra fra i Visconti ed <strong>il</strong> marchese<br />
di Monferrato con tutte le conseguenze luttuose che<br />
accompagnano sim<strong>il</strong>i eventi. Ci furono distruzioni vastissime,<br />
una gravissima carestia e poi la peste, portata<br />
dalle famigerate m<strong>il</strong>izie mercenarie inglesi. A Novara<br />
per la peste morirono due terzi della popolazione,<br />
77000 persone a M<strong>il</strong>ano ed un numero enorme nelle<br />
campagne e centri minori. Ad aggiungersi venne nel<br />
1364 <strong>il</strong> flagello delle cavallette che in forma di grandi<br />
nubi di insetti scendevano sui campi, sui prati e sui boschi<br />
per divorare ogni cosa verde. Fu in questo tempo<br />
che, a seguito dei voti dei montanari furono costruite<br />
molte cappelle ed oratori dedicati a S. Bernardo di Aosta,<br />
protettore dalle infestazioni demoniache e tale pareva<br />
quella delle cavallette divoratrici.<br />
Intanto contro i Visconti si muove anche <strong>il</strong> papa Gregorio<br />
XI che contro di essi bandisce una crociata e li scomunica.<br />
Si costituisce contro i Visconti una nuova lega<br />
a cui partecipa anche <strong>il</strong> conte Amedeo VI di Savoia.<br />
Tutti i popoli sottomessi vengono dal Papa invitati a ribellarsi.<br />
Gli Ossolani che per due secoli erano stati governati<br />
dai vescovi di Novara avevano frattanto, nei pochi<br />
anni in cui erano sottoposti ai Visconti, provato la<br />
durezza del nuovo regime e quindi rinacque in essi <strong>il</strong><br />
desiderio, appena sopito, dell’indipendenza. Per otte-<br />
26<br />
nerla essi avrebbero anche seguito l’invito del Papa alla<br />
ribellione ed a questo scopo inviarono ambasciatori segreti<br />
alla Corte di Avignone. Ma pare che <strong>il</strong> Papa non<br />
approvasse <strong>il</strong> progetto dell’indipendenza che avrebbe<br />
sottratto alla Chiesa novarese <strong>il</strong> feudo da essa posseduto.<br />
Il Papa spedì molte lettere ai personaggi più in vista<br />
dell’Ossola affinché la ribellione fosse realizzata al più<br />
presto. Al medesimo scopo inviò frate Valentino Moriggia,<br />
già guardiano del convento dei Frati Minori di<br />
Domo, per legare insieme i nob<strong>il</strong>i e capi delle varie fazioni<br />
e spingerli alla rivolta armata. Capitano fu scelto<br />
<strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Garbellino di Semonzio di Crevola, la cui famiglia<br />
prenderà successivamente <strong>il</strong> nome dei Dal Ponte,<br />
dopo che, distrutte le sue case nelle lotte di questi tempi,<br />
<strong>il</strong> figlio Lorenzo costruì <strong>il</strong> suo palazzo presso <strong>il</strong> ponte<br />
sulla Diveria a Crevola. Sollecitati dal Papa gli Ossolani<br />
di parte Spelorcia si ribellarono ai Visconti, occupando<br />
<strong>il</strong> borgo di Domo, <strong>il</strong> castello di Mattarella ed altri<br />
luoghi, ma la parte ferraria non si mosse e fece fiera<br />
opposizione. Anzi, una compagnia di m<strong>il</strong>izie spelorcie<br />
che tentava di giungere a Vercelli per dare aiuto al<br />
nunzio papale nell’assedio di quella città, fu distrutta<br />
dalla parte ferraria presso Anzola nel 1374. Ma la parte<br />
spelorcia si rivalse saccheggiando ed occupando momentaneamente<br />
Vogogna. Vista la incapacità del vescovo<br />
Oldrado di attendere ai suoi obblighi e la sua completa<br />
sottomissione ai Visconti, <strong>il</strong> Papa lo sospese, mandando<br />
in Ossola come vicari due canonici di Sion ed un<br />
nuovo capitano nella persona di Merino de Ulmo, bergamasco,<br />
per nuove e più vaste operazioni m<strong>il</strong>itari. La<br />
lotta infatti era degenerata nel brigantaggio. Venuta finalmente<br />
la pace, firmata a Samoggia <strong>il</strong> 19 luglio 1375,<br />
<strong>il</strong> Novarese ritornò in mano di Galeazzo Visconti.<br />
Gli Ossolani, abbandonati a se stessi, continuarono la<br />
guerra in proprio con ogni sorta di violenza pubblica<br />
e privata. Alla fine ne furono stanchi e nauseati e non<br />
trovarono di meglio che ritornare a sottomettersi ai Visconti.<br />
Lo fecero comunque con quella dignità e saggezza<br />
che permise loro di sentirsi più liberi. L’atto di<br />
dedizione fu firmato nel refettorio dei Frati Minori di<br />
Domo <strong>il</strong> 19 marzo 1381 da rappresentanti di Gian Galeazzo<br />
Visconti, conte di Virtù, i signori Andrea dei Pepoli<br />
e Pietro di Muralto, ed i procuratori delle Comunità<br />
dell’Ossola superiore. La convenzione del 1381 dava
agli Ossolani una certa autonomia amministrativa, li liberava<br />
mediante lo sborso annuo di 750 fiorini da ogni<br />
tassazione, permetteva ad essi <strong>il</strong> libero commercio delle<br />
granaglie ed altri beni di consumo sui mercati della<br />
Lombardia e del Novarese, otteneva la reintegrazione<br />
nei beni di quelli che avevano subito confische durante<br />
<strong>il</strong> periodo bellico. Il vescovo di Novara Oldrado ancora<br />
una volta non si oppose, e solo qualche tentativo<br />
fu fatto più tardi dai suoi successori per tornare in possesso<br />
della Corte di Mattarella e del suo territorio. Analogamente,<br />
con atto dell’11 apr<strong>il</strong>e 1381, anche l’Ossola<br />
inferiore di parte ferraria si accordò con Gian Galeazzo<br />
Visconti.<br />
I Visconti già nel 1379 erano venuti in possesso per<br />
compera della terra di Ornavasso che apparteneva ai<br />
Conti di Crusinallo ed era passata nel secolo XIII in<br />
mano dei Conti di Castello. Su questa terra avanzava<br />
pretese anche <strong>il</strong> vescovo di Sion per certi legami con la<br />
famiglia detentrice del feudo che aveva residenza anche<br />
nel Vallese. Così tutta l’Ossola, eccettuato <strong>il</strong> piccolo<br />
feudo dei De Rodis-Baceno di Formazza, Agaro e Salecchio,<br />
entrò nel dominio visconteo.<br />
Fu mantenuta in Ossola la divisione fra le due giurisdizioni<br />
con sedi rispettivamente a Vogogna ed a Domodossola,<br />
ognuna vivendo secondo le proprie leggi e statuti.<br />
In questo periodo però i Visconti giustamente promossero<br />
riforme statutarie al fine di uniformare le leggi<br />
su tutto <strong>il</strong> territorio e favorirne l’unità amministrativa<br />
e civ<strong>il</strong>e. Sotto Gian Galeazzo Visconti furono riformati<br />
gli antichi statuti della Corte di Mattarella e fatti<br />
molti altri.<br />
Prima di chiudere la cronaca del secolo XIV, ricordiamo<br />
che <strong>il</strong> vescovo Pietro F<strong>il</strong>argo, poi divenuto papa col<br />
nome di Alessandro V, rivendicò formalmente <strong>il</strong> possesso<br />
della Corte di Mattarella e del suo territorio con<br />
un diploma che egli ottenne dall’imperatore Venceslao,<br />
assieme al titolo di duca per Gian Galeazzo Visconti<br />
(1395) di cui era grande amico e favoreggiatore. Si presume<br />
però che a questo atto formale non seguisse alcun<br />
che. Probab<strong>il</strong>mente Gian Galeazzo Visconti provvide a<br />
tacitare <strong>il</strong> vescovo di Novara assegnando alla sua mensa<br />
alcune sicure entrate delle quali si riscontrano le tracce<br />
nei secoli seguenti, come i diritti sulle miniere di ferro,<br />
di laugera ed altri.<br />
Cronache del secolo XV<br />
Alla morte di Gian Galeazzo Visconti si creò nel ducato<br />
di M<strong>il</strong>ano una situazione politica incerta e nell’Ossola<br />
le fazioni degli Spelorci e dei Ferrari ripresero a<br />
combattersi assoldando spesso anche bande di facinorosi.<br />
Dalla parte spelorcia è ricordata una vittoria riportata<br />
sulla parte avversa nel 1406 (21 marzo) che diede<br />
origine ad un voto a S. Benedetto.<br />
In questa incerta situazione politica <strong>il</strong> vescovo di Novara<br />
Capogallo si intromise per pacificare gli Ossolani.<br />
Nel 1404 ottenne dal duca di M<strong>il</strong>ano a questo scopo la<br />
reintegrazione nel dominio temporale dell’Ossola superiore.<br />
Riuscì nel 1404 a mettere pace in valle Antigorio<br />
la quale però esigette <strong>il</strong> riconoscimento di una certa<br />
indipendenza ed una parziale separazione dalla Corte<br />
di Mattarella con l’erezione di una nuova vicaria che<br />
ebbe la sua sede a Crodo e che durerà fino al 1861.<br />
Il 10 luglio 1406 anche la valle Vigezzo elegge i suoi<br />
procuratori per una pacificazione seguita dal perdono<br />
generale dato dal vescovo Capogallo <strong>il</strong> 13 dicembre del<br />
medesimo anno. Si era nel contempo guastata anche la<br />
pace con gli Svizzeri confinanti. Nel 1407 la parte spelorcia<br />
si riappacificò anche con essi, cioè con i Vallesani<br />
ed <strong>il</strong> vescovo di Sion. Si trattò però di una pace puramente<br />
interlocutoria. I Cantoni svizzeri infatti premevano<br />
per accedere al versante sud delle Alpi, verso<br />
la Lombardia, che in quell’epoca era una delle regioni<br />
più ricche d’Europa. Esportatori di m<strong>il</strong>izie mercenarie,<br />
gli Svizzeri, tenevano in gran conto ogni piccolo sgarbo<br />
per giustificare la loro presenza in Ossola. Prendendo<br />
dunque motivazione da alcuni sequestri di bestiame<br />
fatti dai Formazzini a danno dei Leventinesi, in quel<br />
tempo dominati dai Cantoni svizzeri di Uri e Unterwald,<br />
oltre 300 Svizzeri scesero in Ossola venendo dal<br />
Gottardo e dal Sempione, occuparono Domodossola<br />
esigendo dagli Ossolani <strong>il</strong> giuramento di fedeltà, del<br />
cui valore si può dubitare. Lasciato un presidio in Ossola<br />
se ne andarono. Ma poco dopo questo fu cacciato.<br />
Tornarono in maggior numero gli Svizzeri l’anno seguente,<br />
rioccupando Domo e spingendosi fino a Vogogna.<br />
Gli Ossolani chiesero segretamente aiuto al conte<br />
Amedeo VIII di Savoia che inviò attraverso <strong>il</strong> Sempione<br />
un robusto corpo di armati sotto la guida del capitano<br />
Pietro di Chivron, costringendo verso la fine di<br />
27
maggio del 1411, gli Svizzeri a ritirarsi. Anche Amedeo<br />
VIII di Savoia ottenne <strong>il</strong> giuramento di fedeltà dagli<br />
Ossolani di parte spelorcia.<br />
Nel 1415 gli Svizzeri discesero nuovamente in Ossola<br />
sorprendendo le scarse m<strong>il</strong>izie savoiarde poste alla difesa<br />
dell’Ossola. Occuparono Domodossola ed <strong>il</strong> castello<br />
di Mattarella e per tutelarsi ulteriormente inviarono<br />
numerose squadre di Ossolani a distruggerlo, lasciandovi<br />
un gran cumulo di rovine. Rinforzi mandati<br />
dal Duca di Savoia ottennero <strong>il</strong> ritiro degli Svizzeri dall’Ossola<br />
fino al febbraio del 1417, quando un numeroso<br />
gruppo di essi scese dal Gottardo lungo <strong>il</strong> lago Maggiore<br />
e risalì l’Ossola da Sud. Le m<strong>il</strong>izie savoiarde furono<br />
imbottigliate in val Divedro e in gran parte massacrate.<br />
Con questa spedizione gli Svizzeri occuparono<br />
tutta la regione sulla sponda destra del Toce, da V<strong>il</strong>la in<br />
su fino a Pontemaglio e tutta la valle Antigorio e Formazza,<br />
ponendo numerosi presidi armati per circa cinque<br />
anni. Il vescovo di Novara tentò ancora una volta<br />
di recuperare <strong>il</strong> dominio temporale in Ossola promuovendo<br />
un processo contro gli Svizzeri occupanti davanti<br />
al Papa. Il processo fu fatto e concluso con la sentenza<br />
del 16 dicembre 1420 in cui essi vennero scomunicati<br />
e condannati, ma l’Ossola rimase nelle loro mani fino<br />
al 1422, quando m<strong>il</strong>izie scelte ducali, al comando del<br />
famoso capitano Conte di Carmagnola, inflissero agli<br />
Svizzeri la tremenda sconfitta di Arbedo presso Bellinzona<br />
(30 giugno 1422), costringendoli allo sgombero<br />
di tutti i territori occupati. Tre anni dopo, nel 1425, gli<br />
Svizzeri approfittando del fatto che <strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano<br />
F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti doveva tener testa ad una coalizione<br />
che comprendeva Venezia, Firenze ed <strong>il</strong> Duca di<br />
Savoia, ritentarono la conquista dell’Ossola con un piccolo<br />
esercito di 500 armati al comando di Peterman Risigh<br />
di Switt che scelse la via del Gottardo e del Gries,<br />
mentre forti gruppi di Vallesani penetravano attraverso<br />
i passi del Sempione, della val Bognanco ed Antrona.<br />
I capitani ducali viscontei dovettero ritirarsi nella bassa<br />
Ossola, dove si riorganizzarono e si raccolsero sotto <strong>il</strong><br />
comando del capitano Piccinino, <strong>il</strong> quale era giunto in<br />
Ossola con un buon gruppo di m<strong>il</strong>izie ducali. Gli Svizzeri,<br />
vista la situazione, si ritirarono non solo dall’Ossola,<br />
ma anche dalla valle Leventina e da Bellinzona.<br />
Alcuni storici svizzeri affermano che tale ritirata non fu<br />
28<br />
dovuta al timore delle armi viscontee, quanto piuttosto<br />
al denaro sborsato dagli emissari ducali ai capitani svizzeri<br />
(1426).<br />
Le continue invasioni svizzere favorirono nel secolo XV<br />
in Ossola non solo le lotte fra i partiti dei Ferrari, generalmente<br />
fedeli al Duca di M<strong>il</strong>ano, e degli Spelorci, più<br />
propensi all’indipendenza, ma anche la nascita di un<br />
consistente partito f<strong>il</strong>osvizzero, rendendo la difesa dell’Ossola<br />
ancora più problematica. La pressione svizzera<br />
infatti continuò, favorita anche dalla litigiosità degli<br />
Ossolani sugli alpeggi confinanti, da ruberie di bestiame,<br />
da angherie, incendi e omicidi in val Antrona, in<br />
val Bognanco, in val Divedro ed in valle Antigorio. Tuttavia<br />
<strong>il</strong> 1° apr<strong>il</strong>e 1448 fu firmato un compromesso fra <strong>il</strong><br />
Vallese e l’Ossola superiore allo scopo di evitare <strong>il</strong> peggioramento<br />
della situazione ed un’altra guerra.<br />
Morto <strong>il</strong> duca F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti (1447), subentrò<br />
per poco tempo la così detta Repubblica ambrosiana,<br />
ma <strong>il</strong> Ducato di M<strong>il</strong>ano cadde quasi subito nelle mani<br />
del capitano Francesco Sforza dal quale gli Ossolani ottennero<br />
<strong>il</strong> 26 marzo 1450 la conferma dei loro priv<strong>il</strong>egi.<br />
Con Francesco Sforza si apre un periodo di relativa<br />
tranqu<strong>il</strong>lità in Ossola dove vengono anche rinnovati<br />
tutti gli Statuti delle Comunità e si tenta di dare più<br />
unità e conformità ai medesimi. La necessità tuttavia di<br />
ottenere fondi sufficienti per le continue guerre in atto<br />
costringe i Duchi di M<strong>il</strong>ano a cedere in feudo poco alla<br />
volta gran parte dell’Ossola, nonostante le rimostranze<br />
degli Ossolani che vantavano <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di essere completamente<br />
esenti da queste infeudazioni. Già <strong>il</strong> duca<br />
F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti aveva dato Ornavasso in feudo<br />
ai fratelli Ermes e Lanc<strong>il</strong>lotto Visconti, feudo che fu<br />
eretto in baronia nel 1413. Era un modo di gratificare<br />
personaggi meritevoli per <strong>il</strong> Ducato.<br />
In valle Vigezzo già alla fine del 1300 la giustizia era<br />
amministrata da un vicario sia per la parte dipendente<br />
dalla Corte di Mattarella che per quella dipendente da<br />
Vogogna; ma nel 1430 <strong>il</strong> distacco è definitivo. Nel 1431<br />
Mergozzo fu unito a Vogogna. Nel 1446 <strong>il</strong> duca F<strong>il</strong>ippo<br />
Maria Visconti diede in feudo a Vitaliano Borromeo<br />
tutta l’Ossola inferiore da Mergozzo a Masera, da Migiandone<br />
a Pallanzeno e tutta la valle Anzasca, imponendo<br />
<strong>il</strong> giuramento di fedeltà al feudatario. Si verificarono<br />
forti resistenze all’infeudazione, specie in valle Anzasca,
esistenze che vennero superate con accordi stab<strong>il</strong>iti <strong>il</strong> 3<br />
agosto 1449 e con l’approvazione degli Statuti presentati<br />
dalle comunità soggette. Vogogna fu la capitale del<br />
feudo dei Borromei. Poco dopo, 5 maggio 1450, anche<br />
l’intera valle Vigezzo venne da Francesco Sforza data in<br />
feudo al conte Vitaliano Borromeo. Una costituzione<br />
particolare fu scelta per le comunità di Trontano, Masera,<br />
Beura e Cardezza che in seno al dominio feudale dei<br />
Borromeo ebbero una propria vicaria che fu detta delle<br />
Quattro Terre. Il dominio feudale dei Borromei estendentesi<br />
anche nelle zone limitrofe della valle Cannobina<br />
e sul lago Maggiore cesserà alla fine del secolo XVIII<br />
con l’abolizione generale dei feudi seguita alla occupazione<br />
francese dell’<strong>It</strong>alia.<br />
Il 1487 è un anno memorab<strong>il</strong>e per l’Ossola. Gli Svizzeri<br />
rinnovano infatti <strong>il</strong> tentativo di occupare l’Ossola.<br />
I motivi o, meglio, i pretesti per mascherare <strong>il</strong> loro disegno<br />
antico di arrivare sulle sponde dei laghi subalpini<br />
erano naturalmente sempre gli stessi, del tutto insignificanti,<br />
sebbene raccolti con molta cura. Gli Sviz-<br />
Domodossola, Colle di Mattarella, torre d’angolo del castello (sec. XI - XIV).<br />
zeri avevano fama di soldati imbattib<strong>il</strong>i e la loro tracotanza<br />
diceva che ne erano molto convinti. L’anima di<br />
queste spedizioni era <strong>il</strong> vescovo di Sion, Jost von S<strong>il</strong>linen<br />
(1482-1494). Già nel 1484, avvisato dal podestà di<br />
Vogogna Bertolino Albasino dei preparativi che si stavano<br />
facendo al di là delle Alpi, Lodovico <strong>il</strong> Moro che<br />
reggeva <strong>il</strong> ducato di M<strong>il</strong>ano per <strong>il</strong> duca Giovanni Galeazzo<br />
Maria Visconti, rinforzò i corpi m<strong>il</strong>itari di guardia<br />
e difesa dell’Ossola, mandandovi come comandante<br />
<strong>il</strong> celebre capitano conte Gian Pietro Bergamino. Il<br />
28 ottobre 1484 <strong>il</strong> vescovo di Sion dichiara la guerra al<br />
duca di M<strong>il</strong>ano ed invia immediatamente un esercito,<br />
comandato dal fratello Albino, attraverso <strong>il</strong> Sempione.<br />
Occupata momentaneamente la valle Divedro, appena<br />
questi si accorge di aver di fronte un grosso contingente<br />
di armati ducali pronti al combattimento, riporta in<br />
fretta i suoi oltre le Alpi, con grave disappunto del vescovo<br />
Jost. Nel 1487, col pretesto di vendicare delle offese<br />
fatte ai Vallesani in val Divedro, <strong>il</strong> vescovo Jost invia<br />
un altro esercito più numeroso ed agguerrito in Os-<br />
29
sola, sempre al comando del fratello. Prima del 18 apr<strong>il</strong>e,<br />
giorno in cui fu dichiarata la guerra, già un buon numero<br />
di armati era stato concentrato dal conte G<strong>il</strong>berto<br />
Borromeo a Vogogna, sebbene non riuscisse a convincere<br />
gli uomini dell’Ossola Superiore ad unirsi con<br />
lui per difendere la val Divedro, forse per l’antico antagonismo<br />
di parte. Fortunatamente <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e un altro<br />
contingente di truppe al comando del capitano Zenone<br />
de Cropello, con 500 fanti e 50 schioppettieri, giunse a<br />
rinforzare la difesa del borgo di Domo. Si aspettava anche<br />
l’arrivo in Ossola con le sue genti armate del condottiero<br />
ducale Renato Trivulzio, fratello del più famoso<br />
Gian Giacomo. La mattina del 20 apr<strong>il</strong>e dalla gola<br />
di Crevola si affacciarono i 6000 Vallesani a cui si erano<br />
aggiunte altre bande di Lucernesi. Questi, dopo aver<br />
mandato ad occupare e presidiare la val Antigorio, puntarono<br />
sul borgo di Domo. Convinti dalle artiglierie del<br />
capitano Zenone e da quelle di Gian Antenore Traversa,<br />
che in quel tempo comandava <strong>il</strong> presidio di Domo,<br />
girarono al largo e si accamparono sul colle di Mattarella<br />
fra i ruderi del castello, non senza aver devastato i<br />
luoghi circostanti.<br />
Il giorno dopo, <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e, eccoli a incendiare ed a razziare<br />
da Calice fino a V<strong>il</strong>la. Il conte G<strong>il</strong>berto Borromeo<br />
in una lettera del 20 apr<strong>il</strong>e al Duca, informa che prima<br />
ancora di accamparsi a Mattarella questi thodeschi hanno<br />
corso li a cerchio fin appresso a V<strong>il</strong>la mettendo a focho<br />
e fiama ogni cosa et amazando fin a li puti picoli, per non<br />
poterli obviarli non havendo altra gente che paesani, quali<br />
sono voluti restare a casa loro per guardia de le sue cose.<br />
Tornarono gli Svizzeri <strong>il</strong> giorno seguente (22 apr<strong>il</strong>e) in<br />
numero di circa 400 per assaltare V<strong>il</strong>la, ma vi trovarono<br />
una resistenza accanita da parte della gente del luogo<br />
in cui aiuto erano accorsi i robusti montanari della val<br />
Anzasca. I predatori svizzeri, tornarono a mani vuote,<br />
dopo essersi vendicati bruciando qualche casolare.<br />
In quel medesimo giorno giunse in Ossola <strong>il</strong> Trivulzio<br />
col suo esercito e si fece un piano di guerra. Ma gli uomini<br />
della valle Anzasca e della valle Antrona che avevano<br />
fatto buona resistenza a V<strong>il</strong>la, o per timore o per<br />
calcolo, dubitando forse che qualche gruppo di Vallesani<br />
giungesse alle loro spalle, come altre volte, attraverso<br />
i passi del Monscera, di Saas e del monte Moro, non<br />
vollero partecipare alla battaglia, cercando di mettere<br />
30<br />
in salvo le loro robe e dando così appiglio all’accusa di<br />
essersi segretamente intesi coi Vallesani. I timori degli<br />
Antronesi erano giustificati. Giovan Battista del Ponte<br />
scrive <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e al Duca di M<strong>il</strong>ano: qu<strong>il</strong>li (todeschi)<br />
quali sono venuti per la valle di Antigorio sono secundo se<br />
dice gente de la Liga del Bo, et ho inteso che bruxano et<br />
hano bruxato case et quelle gente che trovino de detta valle,<br />
menano tutty per ly terri. De hora in hora aspectamo un<br />
altro assalto per la valle de Bugnanco da qu<strong>il</strong>li frieri (fr<strong>il</strong>li)<br />
quali erano nel campo di Saluzo... Aviso V. Excellentia<br />
como domatina Deo danti me porto da qui et vado in la<br />
valle Antrona et con li homeni de dicta valle che sono a numero<br />
di circha 600 homini et valenthomini et con certi altri<br />
homini de questa vostra jurisdictione farò tuto <strong>il</strong> podere<br />
mio per andare a bruxare a disfare una valle del Vescovo<br />
de Valese nominato Valzosia (Saas) quale confinia con<br />
dicta valle de Antrona et de tutto quello che se farà, ne avisarò<br />
V. Excellentia. Non pare che <strong>il</strong> disegno del capitano<br />
Del Ponte sia stato condotto a termine, ma gli uomini<br />
di Antrona fecero buona guardia alla loro Valle.<br />
Non ci furono scontri importanti fino al giorno 27 apr<strong>il</strong>e,<br />
tanto che la notte del 25 apr<strong>il</strong>e 2000 Vallesani salirono<br />
in val Vigezzo a far bottino. Giungevano frattanto in<br />
Ossola altri rinforzi ai ducali ed in special modo <strong>il</strong> conte<br />
Gian Pietro Bergamino con 2000 fanti; così che i ducali<br />
potevano schierare in campo circa 3500 uomini.<br />
Il 27 apr<strong>il</strong>e Renato Trivulzio volendo saggiare la consistenza<br />
del nemico avanzò da Vogogna verso Beura con<br />
50 balestrieri. La piccola schiera fu avvistata dagli Svizzeri<br />
dal castello di Mattarella e 500 di essi calarono sul<br />
piano di Calice. Un gruppetto di ducali guidati dal capitano<br />
Jacopo dal Corte non esitò ad attraversare <strong>il</strong> Toce<br />
ed attaccare duramente i Vallesani che lasciarono sul<br />
terreno 50 morti e dovettero fuggire.<br />
Questo assaggio era stato parecchio amaro per gli Svizzeri<br />
ed <strong>il</strong> loro comandante Albino di S<strong>il</strong>lenen ne trasse<br />
cattivi auspici. Mandò in fretta a richiamare dalla val<br />
Vigezzo quelli che erano saliti a bottinare perché si affrettassero<br />
verso <strong>il</strong> ponte di Crevola dove anch’egli si<br />
diresse coi suoi, lentamente, per guadagnare l’imbocco<br />
della val Divedro e non vedersi tagliata la via dai ducali.<br />
Mossisi gli Svizzeri da Mattarella verso Preglia, i capitani<br />
Zenone e Traversa che erano in Domo ne mandarono<br />
avviso a Vogogna dove <strong>il</strong> Trivulzio ed <strong>il</strong> Bergami-
no stavano concertando un piano di guerra. Il capitano<br />
Jacopo dal Corte raggiunge Domo e coi suoi balestrieri<br />
sorprende gli Svizzeri a Preglia. Giunti anche Zenone<br />
e Traversa vengono attaccate le retroguardie svizzere<br />
e costrette a impegnarsi. Sopraggiunge anche <strong>il</strong> Trivulzio<br />
che manda immediatamente un corpo di fanti scelto<br />
per <strong>il</strong> ripido sentiero che da Preglia porta in val Divedro<br />
ad occupare <strong>il</strong> ponte dell’Orco sulla Diveria, nel<br />
punto cioè in cui la strada del Sempione salendo da<br />
Crevola passa sulla sponda destra del Diveria, poco prima<br />
della frazione S. Giovanni, tagliando così la ritirata<br />
agli Svizzeri. La battaglia si accende quindi nel piano<br />
fra Preglia e Crevola e nei pressi del ponte. Gli Svizzeri<br />
si ritirano lentamente aspettando di congiungersi con<br />
<strong>il</strong> gruppo dei bottinatori saliti in val Vigezzo. Appena<br />
questi furono visti scendere dai colli di Trontano con <strong>il</strong><br />
frutto delle loro razzìe, Jacopo dal Corte con un gruppo<br />
di balestrieri a cavallo lascia Preglia e, passato <strong>il</strong> Toce, si<br />
fa loro incontro. Gli Svizzeri si fermano e si chiudono<br />
in difesa, ma pur essendo forniti di molte armi e anche<br />
di schioppi ebbero notevoli danni dai balestrieri ducali.<br />
Ma poiché, nonostante i danni subiti si mantenevano<br />
chiusi in difesa, Jacopo dal Corte simulando una fuga,<br />
riuscì a sparpagliarli sul terreno, caricandoli poi duramente<br />
così che ne restarono uccisi un migliaio, abbandonando<br />
<strong>il</strong> bottino ed ogni cosa. Pochi riuscirono<br />
a ricongiungersi coi loro, mentre la maggior parte degli<br />
scampati fu braccata e trucidata dai montanari di Trontano<br />
e Masera.<br />
La notizia di questo scontro e del risultato, giunta a<br />
Crevola, portò <strong>il</strong> morale dei ducali alle stelle. Sopraggiunti<br />
anche <strong>il</strong> Bergamino ed <strong>il</strong> Borromeo con gli uomini<br />
di armatura pesante, si schierò l’esercito e fu dato<br />
l’attacco al ponte di Crevola. La battaglia fu durissima e<br />
combattuta con valore da ambo le parti. La sorte per gli<br />
Svizzeri volse in sfavore quando un gruppo di cavalleria<br />
ducale riuscì a passare la Diveria e prenderli alle spalle,<br />
cosa che fece anche Jacopo dal Corte giungendo in quel<br />
frattempo da Masera per la piana di Montecrestese. Gli<br />
Svizzeri cominciarono a cedere, lasciando <strong>il</strong> ponte sotto<br />
<strong>il</strong> quale a centinaia si ammucchiavano i cadaveri ad<br />
arrossare le acque del fiume e cercarono la difesa nelle<br />
vicine case tentando contemporaneamente di guadagnare<br />
la strada della salvezza. Ma questa era sbarrata al<br />
ponte dell’Orco. Lungo l’angusta strada che si inerpica<br />
sul monte furono fac<strong>il</strong>e bersaglio delle balestre puntate<br />
su di loro e dei grossi massi rotolati dall’alto. Quelli che<br />
non precipitarono nel fiume furono circondati e uccisi<br />
o braccati dai paesani che non mancarono di incrudelire<br />
su di loro per vendicarsi di tante violenze passate.<br />
Si dice che almeno 2000 Svizzeri morissero in questa<br />
che fu una delle più gravi sconfitte subite da essi. Gli<br />
Ossolani in ringraziamento dell’ottenuta vittoria, proprio<br />
sul luogo della battaglia al ponte di Crevola, costruirono<br />
un oratorio dedicato a S. Vitale, padre dei<br />
Santi soldati Gervasio e Protasio, facendo anche voto di<br />
visitarlo nel giorno della festa.<br />
Dopo questa battaglia Ludovico <strong>il</strong> Moro venne in Ossola,<br />
pagò i soldati, visitò la valle ordinando gli opportuni<br />
restauri al castello di Mattarella ed alle altre torri<br />
di difesa ossolane e gli sbarramenti al Passo di Premia<br />
ed al Passo di Croveo contro possib<strong>il</strong>i invasioni svizzere.<br />
Venne anche riorganizzato <strong>il</strong> sistema di rapide informazioni<br />
per mezzo di una rete di segnali che dalle valli<br />
estreme erano rimandati da torre in torre fino a M<strong>il</strong>ano.<br />
La pace fu firmata <strong>il</strong> 23 maggio 1487 a Domodossola<br />
e completata con altra firmata a M<strong>il</strong>ano <strong>il</strong> 9 gennaio<br />
1495. Con questa <strong>il</strong> vescovo di Sion rinunciava ad ogni<br />
pretesa sull’Ossola; tuttavia <strong>il</strong> ducato di M<strong>il</strong>ano e quindi<br />
anche l’Ossola perdette definitivamente tutta la zona<br />
che da Gondo, dove passa l’attuale confine italo-svizzero,<br />
giunge a Lattinasca, ossia all’attuale Gabi, comprendente<br />
la val Vaira, detta attualmente Schwitzbergental.<br />
La pesante lezione della battaglia di Crevola non era<br />
però stata sufficiente agli Svizzeri. Il vescovo Jost, sollecitato<br />
da Carlo VIII di Francia, rinnova l’attacco al ducato<br />
di M<strong>il</strong>ano cercando di rendersi padrone dell’Ossola.<br />
Il 23 marzo 1495, mentre un gruppo di Svizzeri al<br />
comando del famoso capitano Giorgio Supersaxo, che<br />
tuttavia si era opposto in sede di consiglio a questa spedizione,<br />
evitando Domodossola, scendeva ad occupare<br />
V<strong>il</strong>la e Piedimulera, <strong>il</strong> vescovo Jost con un altro gruppo<br />
puntò su Domodossola sotto le cui mura però fu battuto<br />
e dovette riguadagnare <strong>il</strong> Sempione.<br />
La val Formazza, stanca del dominio feudale dei De Rodis-Baceno<br />
chiese a Lodovico <strong>il</strong> Moro di esserne finalmente<br />
liberata e di dipendere direttamente dal Ducato<br />
di M<strong>il</strong>ano. Dopo lunghe insistenze, paventando forse<br />
31
che i Formazzini di origine walser decidessero di darsi<br />
ai vicini Svizzeri, <strong>il</strong> Duca tolse <strong>il</strong> feudo ai De Rodis-Baceno,<br />
né valse una causa da essi fatta contro tal provvedimento<br />
a recuperarlo. Restò comunque ad essi Salecchio<br />
ed Agaro che passò in feudo ai Marini di Crodo e<br />
successivamente fu comperato dal conte Giulio Monti<br />
di Valsassina.<br />
Gli Ossolani rinnovarono anche la richiesta di conferma<br />
degli antichi priv<strong>il</strong>egi ed <strong>il</strong> duca Ludovico <strong>il</strong> Moro<br />
la concesse <strong>il</strong> 28 febbraio 1495.<br />
Un cenno deve essere fatto anche di due avvenimenti<br />
che commossero la devozione degli Ossolani. Nel 1492<br />
un dipinto della Madonna nella chiesa di Cravegna si<br />
rigò di sudore e di lacrime. Nel 1494 è l’immagine della<br />
Beata Vergine dipinta sulla facciata della chiesa di Re<br />
che, percossa dalla sacr<strong>il</strong>ega sassata di Giovanni Zuccone<br />
di Londrago, emana ripetutamente ed alla presenza<br />
di persone eminenti del clero, dei magistrati locali ed<br />
anche di molto popolo, un fiotto di sangue dalla fronte<br />
colpita. Ambedue questi fatti furono sottoposti a immediata<br />
ed attentissima indagine con processi che ne testimoniano<br />
l’oggettività e storicità, in documenti originali<br />
ancora esistenti negli archivi e registrati.<br />
Cronache del secolo XVI<br />
Ludovico <strong>il</strong> Moro con la sua politica ambiziosa non<br />
mancò di attirarsi le odiosità dei sudditi e le gelosie<br />
dei principi che vantavano qualche diritto sul ducato<br />
di M<strong>il</strong>ano. Primo fra tutti <strong>il</strong> nuovo re di Francia Luigi<br />
XII, succeduto a Carlo VIII, la cui venuta in <strong>It</strong>alia aveva<br />
scombussolato l’intera penisola. Vantava <strong>il</strong> re francese la<br />
discendenza da Valentina Visconti data in sposa da Gian<br />
Galeazzo nel 1389 a Ludovico duca di Turenna, fratello<br />
di Carlo VI e figlio di Carlo V re di Francia. Tutto questo<br />
era noto e non mancarono di sorgere numerosi partigiani<br />
per <strong>il</strong> dominio francese in <strong>It</strong>alia e sul ducato m<strong>il</strong>anese<br />
in particolare, indirettamente favoriti dalla politica<br />
di Ludovico <strong>il</strong> Moro che si era creato attorno molte<br />
inimicizie. Gian Giacomo Trivulzio non esitò a porsi<br />
al servizio del re di Francia e a capitanare un esercito<br />
francese che, sceso in <strong>It</strong>alia nel 1499, costrinse Ludovico<br />
<strong>il</strong> Moro a rifugiarsi in Tirolo mentre <strong>il</strong> re francese<br />
Luigi XII, <strong>il</strong> 23 settembre entrava trionfalmente in M<strong>il</strong>ano,<br />
ritornando però subito in Francia portando seco<br />
32<br />
<strong>il</strong> conte Francesco Sforza ancora fanciullo.<br />
Incominciarono così tutte le traversie del Ducato M<strong>il</strong>anese<br />
conteso entro la fine del 1400 e la metà del 1500<br />
fra gli Sforza, i Francesi e gli Spagnoli.<br />
Tutti questi avvenimenti in rapida successione si riflettono<br />
puntualmente anche nell’Ossola dove prendono<br />
nuovamente forza i partiti locali. Tramontati apparentemente<br />
<strong>il</strong> guelfismo e ghibellinismo, ossia i partiti degli<br />
Spelorci e dei Ferrari, si parteggia per <strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano<br />
o per <strong>il</strong> re di Francia oppure addirittura per la Lega<br />
Svizzera dei 12 Cantoni.<br />
I capi delle fazioni sono sempre quei nob<strong>il</strong>i che avevano<br />
scelto di conservare e crescere le loro fortune m<strong>il</strong>itando<br />
sotto le bandiere ducali o francesi, reclutando anche<br />
in Ossola quelle m<strong>il</strong>izie di cui avevano bisogno, ed<br />
alle quali assegnavano talvolta gli stipendi impegnando<br />
i propri beni. Favorevoli al Duca di M<strong>il</strong>ano sono i Ponteschi,<br />
facenti capo alla famiglia del Ponte discendente<br />
da quel capitano Garbellino di Semonzio di Crevola,<br />
<strong>il</strong> cui figlio aveva abbandonato le sue case in Semonzio<br />
perché distrutte nelle guerre del secolo XIV per costruirsi<br />
una abitazione presso <strong>il</strong> ponte di Crevola, donde<br />
<strong>il</strong> nome.<br />
D’altra parte, favorevoli al re di Francia sono i Brenneschi,<br />
un ramo dei De Rodis-Baceno ai quali si erano<br />
uniti i Della S<strong>il</strong>va e De Rido di Crevola.<br />
Tutte le altre famiglie nob<strong>il</strong>i o particolarmente fornite<br />
di censo erano costrette ad entrare nell’una o nell’altra<br />
delle due consorterie; ma anche i piccoli proprietari<br />
o fittavoli che tenevano da questi signori gran parte<br />
dei loro beni in enfiteusi o avevano verso di essi obblighi<br />
particolari erano necessitati a seguirli. I partiti ed i<br />
loro aderenti amavano distinguersi anche esternamente<br />
non solo dai colori delle proprie bandiere, ma anche<br />
nei vestiti, nelle decorazioni degli ambienti e perfino<br />
scegliendo posti separati nelle chiese e valendosi di<br />
porte diverse.<br />
Impadronitisi i Francesi del Ducato M<strong>il</strong>anese, furono<br />
mandati commissari anche nell’Ossola ed <strong>il</strong> 17 ottobre<br />
1499 troviamo a Domo in questa funzione <strong>il</strong> signor<br />
Giovanni Domenico dei Rizzi luogotenente di Manfredo<br />
Tornielli governatore dell’Ossola per <strong>il</strong> re di Francia.<br />
Il 18 novembre seguente <strong>il</strong> suo posto è preso dal capitano<br />
Bernardino de Baceno luogotenente del capitano
conte Giovanni di Neufchatell.<br />
Frattanto una sollevazione di popolo, causata dalla sfrenata<br />
licenza e tracotanza dei soldati francesi, restituisce<br />
momentaneamente M<strong>il</strong>ano a Ludovico <strong>il</strong> Moro che nel<br />
febbraio del 1500 rientra a M<strong>il</strong>ano. In aiuto del Duca<br />
erano scesi 6000 Svizzeri fra cui molti del Vallese <strong>il</strong> cui<br />
vescovo Matteo Schinner parteggiava apertamente per<br />
<strong>il</strong> Moro. Queste truppe scendendo dal Sempione costrinsero<br />
i Francesi ad abbandonare Domo. Infatti <strong>il</strong><br />
19 febbraio 1500 riprende <strong>il</strong> suo posto nella Curia di<br />
Mattarella <strong>il</strong> commissario ducale Giovanni Luchino dei<br />
Crivelli di M<strong>il</strong>ano che già possedeva questo ufficio prima<br />
dell’arrivo dei Francesi.<br />
Ludovico <strong>il</strong> Moro non riuscì però a riconquistare <strong>il</strong> Ducato.<br />
Il 3 apr<strong>il</strong>e 1500, fatto prigioniero dai Francesi all’assedio<br />
di Novara, fu mandato a morire in Francia.<br />
Pochi giorni dopo i Francesi sono nuovamente in Ossola,<br />
dove ritorna <strong>il</strong> governatore e capitano Giovanni di<br />
Neufchatell.<br />
Gli Ossolani devono ora prestare <strong>il</strong> giuramento di fedeltà<br />
al re di Francia. Il 13 apr<strong>il</strong>e 1500 c’è una procura<br />
da parte del notaio Giovanni Muzzeti (i Muzzeti<br />
sono un ramo dei De Rodis-Baceno) nei signori Bartelino<br />
degli Albasini di Vogogna, Simone degli Albertazzi<br />
di Vogogna, F<strong>il</strong>ippo di Pontemaglio di Domo e Giovanni<br />
Giacomo della Porta di Domo e Antonio de Baceno<br />
di Domo, tutti notai per giurare fedeltà al cristianissimo<br />
re dei Francesi. Questa procura, fatta al Ponte<br />
di V<strong>il</strong>la dovette essere <strong>il</strong> primo atto di sottomissione al<br />
re francese.<br />
In questo periodo deve essere avvenuto anche un fatto<br />
che è riportato dal Bascapè. Antonio Ch<strong>il</strong>ino creato dal<br />
duca Ludovico <strong>il</strong> Moro castellano di Mattarella, mentre<br />
si recava in Ossola per entrare nell’ufficio assegnatogli,<br />
fu spogliato dei suoi bagagli dai soldati del Conte Borromeo<br />
e consegnò poi al Neufchatell <strong>il</strong> borgo ed <strong>il</strong> castello<br />
di Domo colla condizione di riavere <strong>il</strong> suo bagaglio<br />
e di andar libero.<br />
Il pontefice Giulio II non sopportava che nell’<strong>It</strong>alia predominassero<br />
i Francesi e fece ogni sforzo per togliere ad<br />
essi <strong>il</strong> Ducato di M<strong>il</strong>ano e darlo al duca Massim<strong>il</strong>iano<br />
Sforza figlio di Ludovico <strong>il</strong> Moro. A questo scopo, col-<br />
Tipo del Sacro Monte Calvario di Domodossola eseguito dall’arch. Pier Maria Perini nel 1772.<br />
34<br />
l’aiuto dell’imperatore Massim<strong>il</strong>iano e della Repubblica<br />
di Venezia, costituisce la Lega Santa (5 ottobre 1511)<br />
che al grido di fuori i barbari dovrebbe cacciare i Francesi<br />
dall’<strong>It</strong>alia. Per realizzare i suoi disegni <strong>il</strong> Papa si valse<br />
di Matteo Schinner vescovo di Sion, uomo della taglia<br />
mentale e del coraggio di Giulio II, ab<strong>il</strong>e diplomatico e<br />
capace di guidare, se fosse stato necessario, un esercito<br />
in battaglia. Lo Schinner fu da Giulio II creato amministratore<br />
perpetuo della diocesi di Novara, dopo la deposizione<br />
del cardinale Sanseverino che si era compromesso<br />
intervenendo al Conc<strong>il</strong>iabolo di Pisa. Ciò avvenne <strong>il</strong><br />
9 febbraio 1511, secondo <strong>il</strong> Bascapè. Il 10 marzo 1511<br />
fu fatto cardinale e con bolla papale del 9 gennaio 1512<br />
nunzio apostolico speciale nell’<strong>It</strong>alia Superiore, in Germania<br />
e presso i Confederati Svizzeri. Il nuovo vescovo<br />
di Novara si affrettò con atto del 1° febbraio 1512 ad<br />
accaparrarsi le simpatie degli Ossolani concedendo, su<br />
preghiera del conte Lanc<strong>il</strong>lotto Borromeo, alle popolazioni<br />
delle valli Vigezzo, Anzasca e Strona <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio<br />
dell’uso dei latticini durante la Quaresima, Settimana<br />
Santa esclusa, priv<strong>il</strong>egio che fu poi esteso a tutta l’Ossola.<br />
Riuscì allo Schinner di convincere i Confederati<br />
Svizzeri a scendere in <strong>It</strong>alia per cacciare i Francesci, ed<br />
assoldato un forte esercito di mercenari nel giugno del<br />
1512 costrinse i Francesi a lasciare M<strong>il</strong>ano rimettendo<br />
nel Ducato Massim<strong>il</strong>iano Sforza <strong>il</strong> quale, <strong>il</strong> 29 dicembre<br />
1512, fece <strong>il</strong> suo ingresso solenne in M<strong>il</strong>ano.<br />
I Francesi tennero però i castelli dell’Ossola Superiore<br />
ed <strong>il</strong> borgo di Domo fino all’agosto del 1512. In quell’epoca<br />
un grosso contingente di armati svizzeri della<br />
Lega di Urania o del Bue vennero per loro conto e col<br />
benestare di molti Ossolani specialmente di quelli che<br />
parteggiavano per i Francesi a prendere in consegna i<br />
castelli ed <strong>il</strong> borgo di Domo. Anche questi si fecero giurare<br />
fedeltà degli Ossolani. Il 10 agosto 1512 giurarono<br />
quelli di V<strong>il</strong>la e della valle Antrona. Il 15 agosto i Francesi<br />
fecero la consegna dei castelli e del borgo e attraverso<br />
<strong>il</strong> Sempione ripassarono le Alpi.<br />
Sebbene alleati del Duca di M<strong>il</strong>ano, gli Svizzeri tennero<br />
l’Ossola in proprio e non vollero cederla al Duca di M<strong>il</strong>ano,<br />
Antonio Zich di Urania era <strong>il</strong> commissario e capitano<br />
della Curia di Mattarella per la Lega dei XII Can-
toni, ma talvolta vi troviamo suoi luogotenenti quelli<br />
stessi che lo avevano aiutato ad entrare nel borgo e che<br />
si opponevano alla consegna al Duca di M<strong>il</strong>ano. Voglio<br />
dire <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va rimasto nell’Ossola<br />
e che <strong>il</strong> 5 settembre 1512 è commissario e capitano<br />
della Corte di Mattarella. Comincia in questo periodo<br />
a prendere forza un partito favorevole agli Svizzeri<br />
e che, dimentico delle antiche e recenti offese, vorrebbe<br />
l’Ossola confederata con i Cantoni Svizzeri. Il comportamento<br />
degli Ossolani dell’Ossola Superiore irritò<br />
specialmente i conti Borromeo i quali, dopo essere stati<br />
partigiani dei Francesi, erano tornati all’ubbidienza del<br />
Duca di M<strong>il</strong>ano. Lanc<strong>il</strong>lotto Borromeo tentò di prendere<br />
<strong>il</strong> borgo di Domo, ma fu battuto dagli Ossolani collegati<br />
cogli Svizzeri. Si vendicò <strong>il</strong> Borromeo impedendo<br />
la libera circolazione delle merci, imponendo gravi dazi<br />
sulle importazioni del grano dal Novarese e M<strong>il</strong>anese,<br />
angariando i mercanti ed impedendo in tutti i modi le<br />
comunicazioni fra le due Ossole. Alle rimostranze degli<br />
Ossolani rispondeva <strong>il</strong> Borromeo: «avete voluto stare<br />
cogli Svizzeri piuttosto che con noi? Andate ora da essi<br />
perché vi diano <strong>il</strong> grano e le vettovaglie! Per conto nostro<br />
vogliamo assolutamente farvi morire di fame». Fu<br />
una dura carestia che fece soffrire soprattutto i più poveri<br />
e che provocò la peste, sempre pronta a comparire<br />
in queste occasioni. Il flagello, scoppiato nel 1513, durò<br />
da luglio a dicembre e mieté molte vittime.<br />
Il seguente anno, 1514, gli uomini dell’Ossola Superiore<br />
sotto la guida del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, che aveva<br />
sempre mantenuto vicino a Domo un buon gruppo<br />
di fedeli armati, coll’aiuto anche di un piccolo corpo<br />
di Svizzeri, fecero un’azione di forza puntando direttamente<br />
su Vogogna. Il borgo cadde subito nelle mani<br />
di questi armati esasperati i quali si diedero al saccheggio,<br />
distrussero i caselli del dazio e si fecero giurare con<br />
atto pubblico che per l’avvenire ogni dazio sarebbe stato<br />
abolito (17 luglio 1514). I poveri abitanti di Vogogna<br />
si salvarono in parte rifugiandosi in val Anzasca. Poco<br />
dopo (27 luglio) analoga spedizione fu fatta a Mergozzo,<br />
Omegna e Pallanza dove ugualmente si volle <strong>il</strong> giuramento<br />
di esenzione da ogni dazio. Gli invasori si ritirarono<br />
poi da Vogogna non senza prima aver diroccato<br />
<strong>il</strong> castello, ma mantennero alcune fortezze che occuparono<br />
a titolo cautelativo. Ne nacque fra <strong>il</strong> conte Borro-<br />
meo e l’Ossola Superiore una lite che fu portata davanti<br />
ai capi della Lega dei XII Cantoni. La sentenza costrinse<br />
gli uomini dell’Ossola Superiore a restituire le fortezze<br />
e i territori occupati, ma fece obbligo ai Borromeo di<br />
lasciare libero <strong>il</strong> passaggio ai grani e vettovaglie. Il laudo<br />
fu pubblicato a Domo <strong>il</strong> 3 gennaio 1515 da Ulderico<br />
Flauder di Lucerna allora commissario della Corte<br />
di Mattarella.<br />
Morto Luigi XII senza eredi legittimi, sul trono di Francia<br />
salì Francesco I, anch’egli discendente da Valentina<br />
Visconti, e quindi aspirante al dominio del ducato di<br />
M<strong>il</strong>ano. Massim<strong>il</strong>iano Sforza gli oppose un esercito di<br />
mercenari svizzeri, ma non riuscì ad impedire al re francese<br />
di scendere in Lombardia. La battaglia decisiva del<br />
14 settembre a Marignano, in cui perirono 15000 svizzeri<br />
e 6000 francesi permise a Francesco I di entrare da<br />
signore in M<strong>il</strong>ano e impadronirsi del Ducato, mentre<br />
<strong>il</strong> duca Massim<strong>il</strong>iano, costretto ad abdicare, era spedito<br />
prigioniero in Francia.<br />
Dopo questi avvenimenti i capitani della Lega non si<br />
sentirono più sicuri in Ossola. Oltre tutto sei squadre o<br />
bandiere di Svizzeri, che tornavano dalla sfortunata battaglia<br />
di Marignano alla loro patria attraverso l’Ossola,<br />
rubarono e saccheggiarono quando poterono senza<br />
risparmiare nulla e nessuno. Ne soffrì soprattutto V<strong>il</strong>la<br />
come ricorda <strong>il</strong> Capis ed i poveri paesani, già provati<br />
dalle precedenti calamità dovettero subire ancora una<br />
volta i saccheggi, gli incendi e le um<strong>il</strong>iazioni di queste<br />
orde scatenate che non risparmiarono neppure le chiese.<br />
Gli Svizzeri si ritirarono dall’Ossola e per un certo tempo<br />
questa regione fu terra di nessuno, tanto che <strong>il</strong> 23<br />
settembre gli Ossolani dell’Ossola Superiore, ritenendosi<br />
ancora legati alla Lega Svizzera, scrissero condolendosi<br />
della sconfitta di Marignano e chiedendo aiuto e<br />
consigli. A sostituire <strong>il</strong> capitano e commissario svizzero<br />
Ulderico Flauder di Lucerna, allontanatosi dall’Ossola<br />
<strong>il</strong> 25 giugno 1515, fu mandato Giovanni Stolez di Bas<strong>il</strong>ea<br />
del quale trova luogotenente nella Curia di Mattarella<br />
<strong>il</strong> signor Pietro di Breno, dottore in diritto, fino<br />
al 29 settembre 1515. Un esercito francese intanto entrava<br />
nell’Ossola, mentre i pochi svizzeri rimasti tornavano<br />
in patria e l’8 ottobre, se si deve credere al Capis,<br />
un corpo di 500 uomini al comando del capitano Lautrec<br />
occupa Domo, dove i Francesi si abbandonarono<br />
35
ad ogni dissolutezza e violenza. Fortunatamente <strong>il</strong> capitano<br />
Lautrec e la sua compagnia, dietro le lamentele fatte<br />
giungere dagli Ossolani direttamente al re di Francia,<br />
furono sostituiti e la piazza di Domo fu tenuta dal capitano<br />
Predemelges che si fece onore tenendo in disciplina<br />
la sua compagnia.<br />
Un altro atto distensivo del re di Francia fu quello con<br />
cui <strong>il</strong> 10 marzo 1516 tolse all’Ossola Superiore <strong>il</strong> contributo<br />
di 600 lire imperiali dovute alla camera ducale,<br />
condonando anche i debiti contratti con la stessa dall’epoca<br />
di Luigi XII.<br />
Col ritorno della pace si stab<strong>il</strong>isce un modus vivendi<br />
anche fra i partiti ossolani. Probab<strong>il</strong>mente anzi ci fu un<br />
atto di pacificazione giacché vediamo ritornare in Ossola<br />
i fratelli Francesco e Benedetto del Ponte che erano<br />
stati messi al bando da Luigi XII. Il 26 ottobre 1515<br />
anzi troviamo Francesco del Ponte per un po’ di tempo<br />
luogotenente del commissario della Corte di Mattarella.<br />
Ma <strong>il</strong> personaggio più in vista con la vittoria delle<br />
armi francesi è <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che aveva<br />
posto la sua spada e la sua compagnia al servizio del re<br />
francese dal quale era tenuto in grande considerazione.<br />
36<br />
Egli spese gran parte delle sue ricchezze nel dare lustro<br />
e decoro all’Ossola dove chiamò architetti ed artisti ad<br />
abbellire <strong>il</strong> palazzo che andava costruendo a Domo e le<br />
chiese di Crevola e Domodossola.<br />
Colla salita di Carlo V al trono di Spagna <strong>il</strong> dominio<br />
del Ducato di M<strong>il</strong>ano viene rimesso in discussione. Il<br />
nuovo imperatore ed <strong>il</strong> Papa appoggiavano Francesco II<br />
Sforza, fratello di Massim<strong>il</strong>iano, <strong>il</strong> quale poté assoldare<br />
un esercito di mercenari svizzeri e tedeschi e con questi<br />
<strong>il</strong> 19 novembre 1521 riprese M<strong>il</strong>ano costringendo i<br />
Francesi a tornare in patria. Nell’Ossola, Benedetto del<br />
Ponte, capitano di m<strong>il</strong>izie ducali, costrinse i Francesi a<br />
lasciare <strong>il</strong> borgo di Domo, cosa che avvenne verso la fine<br />
di giugno 1522. L’8 luglio seguente i deputati ossolani<br />
si recarono a M<strong>il</strong>ano per giurar fedeltà al Duca. Il seguente<br />
anno gli Ossolani inviano al Duca una supplica<br />
per ottenere la pacificazione generale ed <strong>il</strong> perdono per<br />
tutti quelli che nelle guerre passate avevano parteggiato<br />
per la Francia, in particolare per <strong>il</strong> capitano Paolo della<br />
S<strong>il</strong>va e suoi luogotenenti banderali, nonché <strong>il</strong> riconoscimento<br />
degli antichi priv<strong>il</strong>egi. Il 16 giugno 1523 si ebbe<br />
notizia che la supplica era stata accolta.
Ma la partita non era ancora finita. Francesco I di Francia<br />
nel settembre del 1523 invia un forte esercito in <strong>It</strong>alia<br />
al comando dell’ammiraglio Bonnivet. Ripresero le<br />
speranze i fautori della Francia in Ossola, sollecitati dal<br />
capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, <strong>il</strong> quale anzi cercò di ottenere<br />
subito l’adesione da parte delle comunità ossolane,<br />
mandando perfino un suo rappresentante nel borgo<br />
di Domo per chiedere <strong>il</strong> giuramento di fedeltà. Il commissario<br />
ducale Tommaso Morone ed <strong>il</strong> capitano Benedetto<br />
del Ponte si meravigliarono di questa richiesta del<br />
Della S<strong>il</strong>va; anzi uno dei presenti, un certo prete Pietro<br />
Viscardi di Trontano, non trovò altra risposta che quella<br />
di dare un tremendo colpo di spada sulla testa del povero<br />
ambasciatore che morì all’istante. Saputo di questo<br />
trattamento, <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che aveva<br />
con sé un buon contingente di armati raccolti sul posto,<br />
pose l’assedio a Domo, impedendo l’entrata delle vettovaglie<br />
e deviando la roggia dei Borghesi. In una scaramuccia<br />
del 14 ottobre 1523 morì Francesco del Ponte,<br />
fratello di Benedetto e suo luogotenente. L’assedio continuò<br />
fino al maggio 1524.<br />
Tutti questi sconvolgimenti politici avevano ridotto i<br />
paesani ossolani a non saper più a chi credere e a chi<br />
affidarsi, giacché tutto si rivolgeva a loro danno. Perciò<br />
vediamo che a V<strong>il</strong>la non si ha mai difficoltà a giurare<br />
a questo o a quello a seconda delle circostanze, purché<br />
si potesse sopravvivere a tanto sconquasso. A titoli<br />
di esempio valga <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> 21 marzo 1524 al Ponte<br />
di V<strong>il</strong>la si riunisce una vicinanza in cui i consoli od i vicini<br />
eleggono Antonio del Gaggio e Giovanni di Basaluxia<br />
come procuratori della comunità a giurare fedeltà<br />
al duca Francesco Sforza di M<strong>il</strong>ano e far da esso approvare<br />
certi capitoli. Il giorno seguente (22 marzo) al<br />
Sasso di S. Maurizio <strong>il</strong> console di V<strong>il</strong>la Antonio Cassoli<br />
a nome suo e dell’altro console Antonio Toxelli e con<br />
essi i due deputati del precedente strumento, prestano<br />
<strong>il</strong> giuramento nelle mani del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va<br />
che lo riceve a nome del re di Francia. Tanto erano confuse<br />
le situazioni in quei tempi!<br />
Poco dopo le truppe francesi che erano state battute a<br />
Robecco ritornarono lentamente in patria attraverso <strong>il</strong><br />
Sempione sotto la protezione del capitano Della S<strong>il</strong>va.<br />
Nell’autunno del 1524 Francesco I di Francia con un<br />
esercito di 36000 uomini attraversò le Alpi ed occu-<br />
pò M<strong>il</strong>ano. Il capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che si era subito<br />
portato al campo del re francese mandò immediatamente<br />
in Ossola dei rappresentanti per far giurare fedeltà<br />
al nuovo padrone.<br />
Paolo della S<strong>il</strong>va tornò poi in Ossola e vi raccolse una<br />
banda di alcune migliaia di armati e si portò a Pavia<br />
dove <strong>il</strong> re Francesco I stava assediando la città. Questa<br />
banda di Ossolani che <strong>il</strong> Della S<strong>il</strong>va pagava coi suoi denari,<br />
combatté nella sfortunata battaglia di Pavia (24<br />
febbraio 1525), in seguito alla quale Carlo V costrinse<br />
<strong>il</strong> re di Francia a rinunciare definitivamente al Ducato<br />
di M<strong>il</strong>ano. Sfasciatosi l’esercito francese, Paolo della<br />
S<strong>il</strong>va tornò coi compatrioti superstiti a Domo dove<br />
giunse poco dopo anche <strong>il</strong> capitano Benedetto del Ponte<br />
a chiedere agli Ossolani <strong>il</strong> giuramento di fedeltà al<br />
duca Francesco Sforza. Gli uomini di V<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> 18 marzo<br />
1525, deputarono F<strong>il</strong>ippo F<strong>il</strong>ippi e Giacomo Baldana a<br />
fare tale giuramento di fedeltà nelle mani di Giacomo<br />
Morone commissario ducale della Curia di Mattarella.<br />
Il giuramento ebbe luogo <strong>il</strong> 20 marzo seguente.<br />
Poco dopo <strong>il</strong> castello di Domo fu tenuto da capitani e<br />
soldati spagnoli, resisi subito famosi per la loro crudeltà<br />
ed ingordigia, così da far rimpiangere i francesi. Ci fu<br />
anche una congiura per ammazzare <strong>il</strong> castellano Francesco<br />
Alarçon ed una sollevazione, che questo domò facendo<br />
sparare le artiglierie del castello contro <strong>il</strong> borgo.<br />
Poco dopo però <strong>il</strong> famigerato castellano finì la vita colpito<br />
da una archibugiata sparata da uno sconosciuto.<br />
Di questa situazione approfittò <strong>il</strong> capitano Giovan Pietro<br />
del Ponte che venne a Domo con 500 soldati ducali<br />
e ottenne per <strong>il</strong> duca <strong>il</strong> giuramento di fedeltà degli Ossolani<br />
(1527).<br />
Frattanto Don Antonio de Leyva generale di Carlo<br />
V sollecitava ripetutamente gli Ossolani ad abbandonare<br />
<strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano e a riconoscere l’autorità dell’imperatore<br />
Carlo V. Domodossola, difesa dal capitano<br />
Giovan Pietro del Ponte, resistette fino al gennaio<br />
del 1529, all’assedio fatto dal capitano Pietro Gonzales,<br />
dal conte Ludovico Belgioioso e dal capitano Pietro<br />
Maria del Maino a nome di Gian Giacomo Medici<br />
marchese di Musso, alle dipendenze di Don Antonio<br />
de Leyva. Le capitolazioni del 29 gennaio 1529 liberarono<br />
Domo dall’assedio mentre <strong>il</strong> Del Ponte passò al<br />
servizio del marchese di Musso, con uno stipendio di<br />
37
100 scudi annui (3 gennaio 1530). Nel 1531 Francesco<br />
Sforza recupera <strong>il</strong> Ducato, ma è completamente in balia<br />
di Carlo V.<br />
L’8 luglio 1531 gli Ossolani ottengono la conferma dei<br />
loro priv<strong>il</strong>egi. Morto <strong>il</strong> duca Francesco Sforza senza prole<br />
(1535), Don Antonio de Leyva generale di Carlo V,<br />
inviava nuovamente in Ossola <strong>il</strong> capitano Giovan Pietro<br />
del Ponte per esigere <strong>il</strong> giuramento di fedeltà. Il borgo<br />
di Domo lo presta <strong>il</strong> 26 dicembre 1535 e nei giorni<br />
seguenti lo fanno gli altri comuni ossolani.<br />
Le guerre che quasi ininterrottamente si erano succedute<br />
nell’Ossola, <strong>il</strong> passaggio di tanti eserciti e di gruppi di<br />
sbandati dediti alle rapine ed al saccheggio avevano frattanto<br />
influito gravemente rovinando l’economia ed anche<br />
la vita pubblica di questi montanari costretti a subire<br />
le violenze e quindi portati essi stessi all’esasperazione<br />
della violenza. Le case diventarono dei fort<strong>il</strong>izi e tutti<br />
andavano in giro armati contro ladri e briganti che dettavano<br />
legge. I partiti legati alle potenti famiglie in lotta<br />
fra loro avevano influito a rendere paurosamente abituale<br />
la violenza ed <strong>il</strong> sopruso, le cui lezioni erano impartite<br />
dai capipartito e dai signori che amavano mantenere<br />
un gruppo di armati al proprio servizio, e della<br />
peggiore risma, dai quali erano sempre accompagnati<br />
anche quando si recavano in chiesa o nelle pubbliche<br />
adunanze. Il banditismo diventa dalla metà del 1500<br />
fino alla metà del 1600 una piaga dell’Ossola, contro<br />
la quale <strong>il</strong> governo spagnolo si limita spesso a lanciare<br />
le sue gride e la cui estirpazione sarà occasione di enormi<br />
spese da parte delle comunità obbligate a restituire<br />
quanto i mercanti in transito o chiunque perdevano,<br />
essendo esse obbligate a mantenere sicure a proprie spese<br />
le strade nei propri territori. Spesso a nulla valevano<br />
gli allarmi dati con la campana a martello e l’accorrere<br />
della gente; questi banditi armati di fuc<strong>il</strong>i a ruota tenevano<br />
fac<strong>il</strong>mente testa alla gente inerme o armata solo di<br />
lance e di falcetti. Antonio Pizzoletto di Crevola, Giovanni<br />
Trivelli di Varzo, Antonio Gelminetto detto Sirigon,<br />
Giovanni Ruffino, Matteo Allena, Giovanni del<br />
Gatto ed altri si resero famosi in val d’Ossola colle loro<br />
rapine, omicidi e violenze. Contro di essi tuonarono le<br />
gride del governatore dello Stato di M<strong>il</strong>ano. Ogni tanto<br />
qualcuno era preso e impiccato sul gabbio delle forche<br />
di Domo, all’entrata di porta Castello, per incutere<br />
38<br />
un salutare timore a tutti i delinquenti. Molti altri finivano<br />
sotto <strong>il</strong> piombo dei birri incaricati del loro sterminio<br />
o, presi, erano condannati alle galere.<br />
Gravissimi fatti erano accaduti in Ossola per odio di<br />
parte. Famoso fra tutti l’uccisione dei due fratelli Gaspare<br />
e Baldassarre de Baceno, figli del capitano Bernardino<br />
e cognati del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, perpetrata,<br />
forse, da sicari del capitano Giovan Pietro del<br />
Ponte.<br />
Anche contro le fazioni intervennero i governatori spagnoli.<br />
Alcune gride proibivano perfino di parlare di fazioni<br />
sotto pena della vita e confiscazione dei beni. Perdura<br />
comunque una grave insicurezza ed un’atmosfera di<br />
continuo pericolo. Un’ordinanza del 29 luglio 1595 disponeva<br />
che i muri fiancheggianti le strade fossero più<br />
alti di 2 metri o rasi al suolo perché non fossero fac<strong>il</strong>e ricetto<br />
di banditi ed assassini; così anche i boschi in vicinanza<br />
delle strade dovevano essere tagliati e molte case<br />
abbattute o chiuse in modo da non servire da ricettacolo<br />
o rifugio di banditi. Si ha notizia di alcuni paesi o frazioni<br />
sia della valle Antigorio che della val Vigezzo dove<br />
tutti o quasi tutti gli abitanti non disdegnavano l’esercizio<br />
del brigantaggio come quello di una professione.<br />
Il ricordo delle loro gesta è ancora vivo nelle tradizioni<br />
popolari locali.<br />
Si cercò un rimedio a questo stato di cose mediante un<br />
tentativo di pacificazione generale che eliminasse le radici<br />
di tante e sì testarde discordie. Il governatore dello<br />
Stato di M<strong>il</strong>ano Don Pietro Pad<strong>il</strong>lo incaricò di ciò <strong>il</strong><br />
conte Renato Borromeo dandogli ampi poteri per convocare<br />
i capi partito, i faziosi e perfino i briganti famosi<br />
dell’Ossola.<br />
Riuscì al conte dopo molti tentativi di fissare i termini<br />
di una generale conc<strong>il</strong>iazione che venne solennemente<br />
giurata <strong>il</strong> 15 agosto 1595 ad Arona davanti alle porte<br />
della chiesa parrocchiale, ma <strong>il</strong> fenomeno delle fazioni<br />
e del brigantaggio, se momentaneamente parve arrestarsi,<br />
riprese poi con rinnovata violenza.<br />
Altra piaga sopravvenne nel settembre del 1598 fino<br />
al gennaio 1599. Dieci compagnie di soldati spagnoli<br />
vennero a stanziarsi in Ossola e, naturalmente a spese<br />
degli Ossolani, gettando le popolazioni nella costernazione,<br />
nella paura e nella miseria per le loro brutalità,<br />
ruberie ed estorsioni. Antonio Giavinelli prevosto
Il borgo di Domodossola chiuso a pentagono dalle mura in una stampa del secolo XIX.<br />
di Pieve Vergonte e poi parroco di Seppiana, testimone<br />
oculare, così ricorda: Tutte le parti dell’Ossola Inferiore et<br />
Superiore... sono rimase con grandissimo danno, et spavento,<br />
ma più la superiore per essersi affermati tanto, che appena<br />
si ritrovava vittovaglia per pascerli; et li padroni erano,<br />
chi battuti, chi spaventati, chi fuggiti, et chi diventati<br />
miserab<strong>il</strong>i. Le ova non si ritrovavano a comperare ne anco<br />
a duoi soldi l’uno, perché s’avevano ammazzate et mangiate<br />
le galline; pure bisognava trovar robba per forza. In fine<br />
si misero a far delli assassinamenti per le strade con pigliar<br />
li danari et robba a li poveri viandanti.<br />
Cronache del secolo XVII<br />
Durante <strong>il</strong> periodo di dominazione spagnola che va dal<br />
1536 al 1713, 1’Ossola avrebbe potuto godere di un felicissimo<br />
tempo di pace e di benessere, dopo un secolo<br />
di disastrose invasioni, di lotte e cambiamenti di governo.<br />
Invece non fu così.<br />
Dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento, per opera di alcuni vescovi<br />
zelanti, anche la diocesi di Novara e l’Ossola ebbero<br />
slanci e fervori nuovi di fede che produssero un notevole<br />
rinnovamento della vita religiosa e civ<strong>il</strong>e. Il vescovo<br />
Carlo Bascapè nella sua permanenza sulla cattedra di<br />
S. Gaudenzio (1593-1615), diede un grande impulso<br />
alla riforma dei costumi del clero e del popolo, visitando<br />
ripetutamente e minuziosamente la diocesi, informandosi<br />
di ogni cosa e disponendo secondo le necessità.<br />
Il suo <strong>libro</strong> Novaria, stampato nel 1612, oltre che <strong>il</strong><br />
primo tentativo di una storia della diocesi di Novara, è<br />
anche una preziosa miniera di notizie, storielle, artistiche<br />
e geografiche dell’Ossola, di cui egli può con pieno<br />
titolo essere considerato <strong>il</strong> primo studioso. Il giureconsulto<br />
Giovanni Capis se ne valse con somma ammirazione<br />
per l’autore nella comp<strong>il</strong>azione della prima opera<br />
storica di carattere prettamente ossolano Memorie della<br />
Corte di Mattarella, ossia del Borgo di Domodossola e sua<br />
39
giurisdizione che egli scrisse nei primi decenni del 1600,<br />
ma che vedrà la luce per le stampe solo nel 1673 a cura<br />
del figlio Giovanni Matteo Capis. Dopo <strong>il</strong> Bascapè merita<br />
di essere ricordato <strong>il</strong> vescovo cardinal Taverna, a lui<br />
immediatamente successo, al quale risalgono molte iniziative<br />
in campo religioso e morale, ma anche in quello<br />
della organizzazione e amministrazione delle parrocchie,<br />
delle chiese e dei benefici. Egli vagheggiò perfino<br />
<strong>il</strong> disegno di istituire un seminario a Domo per meglio<br />
avviare ed istruire <strong>il</strong> clero locale; ma non poté realizzarlo.<br />
Il rinnovamento religioso fu cospicuo in questo periodo,<br />
ma non si può dire altrettanto di quello politico, civ<strong>il</strong>e<br />
e amministrativo. Mancò al governo spagnolo una<br />
vera politica sociale ed economica che si traducesse in<br />
un progresso autentico. Lo squ<strong>il</strong>ibrio fra i ricchi ed i<br />
poveri andò aumentando fino ad apparire non solo ingiusto,<br />
ma insultante. Pochi nob<strong>il</strong>i, ricchi e insensib<strong>il</strong>i<br />
alle miserie del popolo, si preoccupavano di ostentare la<br />
loro opulenza e spesso <strong>il</strong> disprezzo per i diritti sacrosanti<br />
dei coloni e dei meno abbienti. Anche in Ossola sono<br />
essi che costruiscono i loro nuovi pretenziosi palazzotti<br />
dove ogni tanto, al passaggio di qualche personaggio<br />
importante, danno ampia ospitalità e fastose imbadigioni,<br />
e vivono serviti da uno stuolo di servi e di armati.<br />
Essi amavano farsi beffe della legge, esimersi da ogni<br />
gravezza, mentre i poveri erano alla mercé del Fisco.<br />
La giurisdizione di Domodossola comprendeva tutta<br />
l’Ossola Superiore con esclusione della val Vigezzo, delle<br />
Quattro Terre (Trontano, Masera, Beura e Cardezza)<br />
e della valle Antigorio. Questa giurisdizione aveva<br />
i suoi Reggenti generali ed <strong>il</strong> suo Consiglio generale in<br />
cui i rappresentanti dei comuni si riunivano alla presenza<br />
del pretore di Domo, per ogni decisione importante.<br />
In casi di necessità tutta l’Ossola Superiore si riuniva<br />
a consiglio per eleggere alcuni deputati onde far valere i<br />
propri diritti e interessi presso <strong>il</strong> Governo.<br />
Le misere condizioni degli Ossolani in questo tempo<br />
sono per lo più attribuite alla notoria ster<strong>il</strong>ità delle<br />
terre, a calamità naturali ricorrenti, al clima particolarmente<br />
avverso i cui eccessi distruggevano i già scarsi<br />
raccolti. Tuttavia <strong>il</strong> maggiore colpevole di tanta miseria<br />
fu <strong>il</strong> Governo spagnolo che con una fiscalità metodica<br />
ed esasperante, ricorrendo a tutti i mezzi afflisse<br />
40<br />
le popolazioni ossolane con una martellante pressione.<br />
Egli si valeva anche di investigatori e delatori autorizzati<br />
i quali con occhi di Argo ricercavano ogni possib<strong>il</strong>ità<br />
di cavar denaro per <strong>il</strong> Fisco. La squallida figura di questi<br />
solerti burocrati, dediti a tale odioso mestiere, ci appare<br />
dalle infinite querele che gli Ossolani dovettero sostenere<br />
con <strong>il</strong> Fisco. Nei primi decenni del 1600 si rese<br />
tristemente famoso in Ossola un certo Francesco Bossi<br />
con <strong>il</strong> titolo ufficiale di Delatore, <strong>il</strong> quale purtroppo<br />
non mancò di imitatori.<br />
Un’ordinanza del 9 luglio 1601 da parte del Magistrato<br />
del reddito ordinario dello Stato imponeva alle comunità<br />
ossolane <strong>il</strong> pagamento entro tre mesi del mensuale<br />
o estimo delle merci per <strong>il</strong> periodo 1559-1601. La<br />
somma non era grande, 398 lire e 12 soldi, ma erano<br />
intanto violati quei priv<strong>il</strong>egi, accordati agli Ossolani dai<br />
Visconti e successivamente riconosciuti anche da Carlo<br />
V, per i quali essi erano esenti da ogni imposizione. Fu<br />
quindi necessario che i rappresentanti dell’Ossola sostenessero<br />
le loro ragioni a M<strong>il</strong>ano, ragioni che furono riconosciute<br />
con sentenza del 23 apr<strong>il</strong>e 1602.<br />
Poco dopo, su delazione del sopra ricordato Francesco<br />
Bossi, l’Ossola è accusata di non aver pagato e non pagare<br />
<strong>il</strong> dazio per la Notaria civ<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> dazio del pane, vino,<br />
carni ed imbottato, la tassa per la stadera comunale ecc.<br />
I procuratori dell’Ossola, Olderico S<strong>il</strong>vetti e Giacomo<br />
Trivelli, sono nuovamente a M<strong>il</strong>ano a sostenere l’esenzione,<br />
sempre fondandosi sui famosi priv<strong>il</strong>egi. Il Magistrato<br />
ordinario, con sentenza del 11 agosto 1605, assolve<br />
gli Ossolani. Intanto però queste cause procuravano<br />
ingenti spese alla Comunità che si andava aggravando<br />
paurosamente di debiti ed era costretta a prendere<br />
denaro a prestito con pesanti interessi.<br />
La scarsa produttività delle terre ossolane, la pressione<br />
esorbitante del Fisco spagnolo, alcune calamità naturali<br />
ed una certa imprevidenza amministrativa concorsero<br />
ad aumentare la povertà fino a giungere al livello della<br />
vera carestia. Mancavano nei primi decenni del 1600<br />
non solo <strong>il</strong> denaro, ma anche i beni di consumo più<br />
necessari. Il Giavinelli che era prevosto a Seppiana, da<br />
buon testimonio oculare così ci presenta la situazione:<br />
L’anno 1628 fu una grandissima carestia et si vendeva a<br />
Domo et Vogogna la segla lire due <strong>il</strong> staro; et li poveri hanno<br />
patito molta fame et l’anno 1629 perseverò la carestia,
che non si trovava denari et ne morirono molti di fame.<br />
L’anno 1629 poi fu talmente carestia che li poveri facevano<br />
macinar <strong>il</strong> colmo et la paglia et le giande de’ fayci per<br />
far farina; et ne morse molti che avevano patito; ed doppo<br />
venne certi febri che morse molte persone da dette febri.<br />
Il medemo anno venne la neve sopra l’arbori la notte doppo<br />
Santo Michele et alli dieci di Ottobre neve sino a qua a<br />
Seppiana con de’ d<strong>il</strong>uvi d’acqua. L’anno 1629 si è venduta<br />
la farina del colmo et paglia fino a lire 4.<br />
Sarebbe stato abbastanza fac<strong>il</strong>e prevedere che su organismi<br />
così denutriti e provati in questi anni di carestia, oltre<br />
le solite malattie intestinali ricorrenti, potesse prendere<br />
<strong>il</strong> sopravvento la terrib<strong>il</strong>e peste bubbonica. E infatti<br />
fu così. La peste già mieteva vittime nel vicino Vallese,<br />
ma a causa della stretta sorveglianza ai passi alpini<br />
non fu di qui che <strong>il</strong> morbo venne importato in Ossola.<br />
Venne infatti dal M<strong>il</strong>anese a Mergozzo e a Domo per<br />
opera di alcuni mercanti. Citiamo ancora <strong>il</strong> Giavinelli<br />
che <strong>il</strong> giorno 14 agosto 1630 così annota nelle sue Memorie:<br />
L’anno 1630 circa <strong>il</strong> principio del mese di giugno si<br />
scoperse la peste in Duomo d’Ossola et in Cresto della valle<br />
Antrona, al Piaggio di V<strong>il</strong>a, a Rovescha d’Antrona et di S.<br />
Pietro (Schieranco) passavano per la strada d’Ovago per<br />
non poter passar per Riviera, Viganella et Cresto, quando<br />
hanno d’andare a pigliar provisione alla Lanca di Pallanzeno,<br />
dove si provvede di guardia continua; et ivi mandiamo<br />
a pigliar provisione quando si può avere; et circha li<br />
dieci di agosto si serrò Vogogna per esser morti alcuni ivi<br />
in casa del signor Battista Lossetti, et hora stentiamo haver<br />
provisione. Circa al principio d’agosto si è scoperta la<br />
peste alle Selve (Montescheno), et quelli del Croppo già<br />
alla fine di luglio erano fuori in Quarantena, et a me non<br />
manca fastidio in chiesa et fuora per la ministrazione dei<br />
Sacramenti. Circa <strong>il</strong> 17 et 20 agosto si scoperse la peste al<br />
Boschetto, a Daroncio, La Noga, al Gagio, talché a V<strong>il</strong>a<br />
stanno tutte le terre sempre in terrore et retirate più che si<br />
può; et la maggior parte si sono retirati nell’Ovago a far<br />
quarantena. Et <strong>il</strong> mese di settembre si è scoperta a Zoncha,<br />
a Valleggia, a Progno (Montescheno).<br />
Il Capis ricorda che nella valle Antrona morirono di peste<br />
circa 400 persone et ne morsero 100 nel termine di un<br />
mese solamente nella terra di Cresto. Ora si sa che nel<br />
1613 V<strong>il</strong>la aveva circa 200 famiglie e fuochi, mentre<br />
dall’inventario della chiesa parrocchiale fatto <strong>il</strong> 31 gen-<br />
naio 1647 dal parroco Giovanni Bianchetti i fuochi<br />
sono solo 80. Si può dunque pensare che anche a V<strong>il</strong>la<br />
la popolazione sia stata ridotta alla metà; così come a<br />
Domo, a Vagna ed altrove dove la peste fece <strong>il</strong> maggior<br />
numero di vittime.<br />
Furono purgate le case con suffumigi di polvere da sparo,<br />
pece, salnitro, zolfo, incenso e bacche di ginepro; i<br />
panni appestati erano inceneriti, gli altri lasciati lungo<br />
tempo all’aria, in acqua o sotto terra. Il Capis osserva<br />
che questi metodi di disinfestazione erano efficaci sebbene<br />
alcuni fossero di diversa opinione, segno che anche<br />
in Ossola non mancavano i don Ferrante di manzoniana<br />
memoria.<br />
Il secolo XVII fu per l’Ossola uno dei più disastrosi anche<br />
per le catastrofi naturali verificatesi in quel periodo.<br />
Prime fra tutte le alluvioni, già iniziate nel secolo XVI.<br />
Il fiume Bogna che nel secolo XIV era stato portato a<br />
scorrere a nord del borgo di Domo, rotti gli argini venne<br />
nel 1519 a scorrere fra <strong>il</strong> colle di Mattarella e l’abitato.<br />
Nel secolo XVII cominciò a spingersi direttamente<br />
contro le mura del borgo, riempiendo i fossati ed accumulando<br />
molto materiale contro la cinta di difesa fino<br />
a seppellirne quasi le torri e, talvolta, penetrando anche<br />
nel borgo. I tentativi di impedire la sommersione costrinsero<br />
anche le comunità della giurisdizione a contribuire<br />
alle ingenti spese, dando origine a numerosi processi<br />
e liti. Il pericolo fu solo scongiurato dopo la grande<br />
alluvione del 1642 che decise finalmente <strong>il</strong> Governo<br />
a dare fondi sufficienti per riportare <strong>il</strong> Bogna a nord del<br />
borgo. Nella alluvione del 1640 avevano sofferto quasi<br />
tutte le comunità ossolane ed in particolare V<strong>il</strong>la e la<br />
valle Antrona dove <strong>il</strong> fiume Ovesca distrusse la chiesa<br />
parrocchiale di S. Pietro di Schieranco e portò via tutti<br />
i ponti. Una grave sventura si abbatté su Antronapiana<br />
all’alba del 27 luglio 1642 quando la grande frana del<br />
monte Pozzoli sbarrò la valle del Troncone formando <strong>il</strong><br />
lago di Antrona, seppellendo parte del paese ancora nel<br />
sonno e causando la morte di oltre 100 persone.<br />
Ma gli Ossolani nonostante tutte queste ed altre vicende<br />
dolorose vollero esprimersi in atti solenni e generosi<br />
di pietà proponendosi la costruzione del grande complesso<br />
monumentale dedicato alla passione di Cristo<br />
che è <strong>il</strong> Sacro Monte Calvario posto sul colle di Mattarella<br />
fino a quel momento occupato dalle rovine del ca-<br />
41
stello. Iniziata nel 1658, con l’approvazione del vescovo,<br />
quest’opera voluta dalla comunità ossolana intiera,<br />
crebbe rapidamente sotto la direzione di Giovanni Matteo<br />
Capis; attorno al 1680 era in gran parte realizzata<br />
con la costruzione della chiesa-santuario, della strada<br />
sacra e di alcune cappelle nelle quali <strong>il</strong> plastificatore m<strong>il</strong>anese<br />
Dionisio Bussola pose in opera alcuni dei principali<br />
misteri della Via Crucis. L’opera sarà però finita<br />
nei secoli seguenti. Contemporaneamente la comunità<br />
dell’Ossola che aveva provvisto già nel 1616 i Cappuccini<br />
di un piccolo convento alla Cappuccina, dovette<br />
costruire un altro convento per i medesimi Padri sulle<br />
pendici del colle di Mattarella al fine di sottrarli alla<br />
furia del Bogna (1661-1681). Anche per questa ed altre<br />
opere di interesse generale fu dato incarico al giureconsulto<br />
Giovanni Matteo Capis che fu l’uomo politico<br />
più importante del secolo XVIII.<br />
II governatore di M<strong>il</strong>ano e capitano generale marchese<br />
di Hinojosa, con ordinanza del 6 febbraio 1614, stab<strong>il</strong>ì<br />
che si formassero in questo Stato (di M<strong>il</strong>ano) una m<strong>il</strong>izia<br />
de’ i soldati di esso per servitio di Sua Maestà et beneficio<br />
e sicurezza loro. Si diedero anche disposizioni affinché<br />
tale m<strong>il</strong>izia avesse necessaria istruzione, disciplina<br />
ed armamento. Il tutto era naturalmente a carico degli<br />
uomini scelti per tale servizio in numero proporzionato<br />
alla consistenza della comunità. Ma per lo più l’armamento<br />
era a spese della comunità. In cambio gli ufficiali<br />
erano esenti dall’obbligo di alloggiare nelle proprie<br />
case i soldati a piedi od a cavallo mandati a stazionare<br />
sul luogo. Il motivo di questo provvedimento va<br />
ricercato nella necessità che aveva <strong>il</strong> Governo spagnolo<br />
di non lasciare sguarnito <strong>il</strong> proprio territorio; mentre<br />
le sue truppe erano concentrate ed impegnate nella<br />
guerra del Monferrato contro i Francesi e Piemontesi.<br />
Questa specie di guardia civica o popolare, istituita<br />
in tutta l’Ossola, mantenne a lungo la sua funzione anche<br />
dopo gli avvenimenti bellici che furono causa della<br />
sua istituzione e perdette decisamente la sua importanza<br />
solo dopo la restaurazione del dominio piemontese<br />
in Ossola seguita alla caduta di Napoleone, ma resiste<br />
con un apparato che possiamo ormai dire folkloristico<br />
in alcuni luoghi come a Bannio e Calasca in valle<br />
Anzasca. Al suo sorgere fu però ostacolata dalle popolazioni,<br />
che si vedevano aggravate da nuove spese e pa-<br />
42<br />
ventavano di dover marciare fuori dei confini dell’Ossola,<br />
la sola patria che avesse per esse un significato autentico.<br />
Il loro avvento fu tuttavia ut<strong>il</strong>e all’Ossola, non<br />
perché rinfocolò l’antico e tradizionale spirito guerresco,<br />
quanto piuttosto perché la presenza di m<strong>il</strong>izie organizzate<br />
rese più sicure le valli contro i briganti e facinorosi<br />
e favorì una maggiore coscienza unitaria fra gruppi<br />
spesso antagonisti e disuniti da faide paesane e da antipatie<br />
campan<strong>il</strong>istiche.<br />
La istituzione delle m<strong>il</strong>izie popolari non fu dunque inut<strong>il</strong>e.<br />
Se ne ebbe immediato saggio allorché fu necessario<br />
difendere i passi alpini da eventuali inf<strong>il</strong>trazioni nemiche.<br />
Il loro apporto alla guerra degli Spagnoli contro i<br />
Francesi e Savoiardi deve essere stato molto limitato. Se<br />
si eccettua la difesa di Arona nel 1636 e qualche puntata<br />
fino a Vercelli, non si ricordano fatti d’arme importanti.<br />
Era una m<strong>il</strong>izia dotata di armamento molto leggero:<br />
archibugio a ruota, spade e lance. In valle Antrona<br />
esistevano due diversi distretti su cui erano scelti gli<br />
uomini addetti a questa m<strong>il</strong>izia. Il primo era quello di<br />
Antronapiana che metteva in assetto un numero limitato<br />
di soldati, ma con l’incombenza specifica di difendere<br />
gli alti passi della valle, uomini dunque ben adatti<br />
al loro compito e perfetti conoscitori del luogo. Il secondo<br />
comprendeva tutto <strong>il</strong> resto della valle Antrona e<br />
V<strong>il</strong>la. Analogamente avveniva in tutte le altre valli ossolane.<br />
In ognuna delle comunità della valle era eletto dagli<br />
stessi soldati un reggente o capitano, un luogotenente,<br />
un alfiere, un sergente ed alcuni caporali. I singoli reggenti<br />
o capitani locali avevano poi funzioni subordinate<br />
al comando del capitano della valle che era da essi eletto<br />
fra i reggenti locali. La nuova compagnia a sua volta<br />
era alle dipendenze e sotto <strong>il</strong> comando di un maestro di<br />
campo o capitano generale la cui giurisdizione si estendeva<br />
su tutti i distretti dell’Ossola e spesso comprendeva<br />
anche la zona del Lago Maggiore. Il primo capitano<br />
generale in Ossola fu <strong>il</strong> signor Ottavio Verone di Crevola<br />
che aveva già avuto compiti organizzativi di difesa.<br />
Successivamente ebbe <strong>il</strong> comando generale di queste<br />
m<strong>il</strong>izie popolari <strong>il</strong> marchese Giovanni Battista Lossetti<br />
di Vogogna e poi i conti Borromeo.<br />
Il capitano di una m<strong>il</strong>izia di tal fatta doveva essere persona<br />
accetta a tutti e stimata per la sua prudenza e ca-
Vogogna, litografia di James Pattison Cockburn, 1822.<br />
pacità di amalgamare elementi che non erano tenuti insieme<br />
da una vera disciplina m<strong>il</strong>itare; non erano infatti<br />
soldati di professione.<br />
Cronache del secolo XVIII<br />
Con la morte di re Carlo II di Spagna (anno 1700), si<br />
ebbero immediati contrasti fra i pretendenti al trono.<br />
F<strong>il</strong>ippo d’Angiò, chiamato dal testamento del defunto<br />
re a cingere la corona di Spagna, si portò subito a Madrid<br />
e fu riconosciuto nei domini spagnoli, prendendo<br />
<strong>il</strong> nome di F<strong>il</strong>ippo V. L’imperatore d’Austria Leopoldo<br />
I contestava però questa nomina, pretendendo <strong>il</strong> trono<br />
di Spagna per <strong>il</strong> proprio secondogenito Carlo, come<br />
discendente in linea diretta da Ferdinando I, fratello di<br />
Carlo V imperatore.<br />
Ne nacque una guerra che allineò da una parte l’Austria,<br />
l’Ingh<strong>il</strong>terra e l’Olanda e dall’altra la Spagna, la<br />
Francia e la Baviera. Vittorio Amedeo II di Savoia si<br />
unì inizialmente alla Francia ed alla Spagna. La guer-<br />
ra fu combattuta in Lombardia con alterne vicende che<br />
indussero però Vittorio Amedeo II a staccarsi dai suoi<br />
alleati per aderire all’Austria. Questo cambiamento di<br />
rotta della politica sabauda irritò gli ex alleati. Gli eserciti<br />
franco spagnoli occuparono la Savoia e parecchie<br />
importanti città del Piemonte, stringendo Torino con<br />
un potente assedio. Il principe Eugenio di Savoia, comandante<br />
di m<strong>il</strong>izie imperiali, non poteva portare alcun<br />
aiuto a Vittorio Amedeo, trovandosi sbarrato <strong>il</strong> passo<br />
dalle truppe del generale francese Vendôme, attestate<br />
sulle rive dell’Adige. In aiuto delle truppe sabaude venne<br />
un distaccamento di soldati tedeschi al comando del<br />
maresciallo Staremberg per <strong>il</strong> Sempione <strong>il</strong> quale, senza<br />
entrare in Domo, dove <strong>il</strong> castello era ancora presidiato<br />
da truppe spagnole, si portò verso <strong>il</strong> lago Maggiore, ma<br />
non poté collegarsi con le truppe piemontesi, essendo<br />
tutto <strong>il</strong> Novarese e M<strong>il</strong>anese in mano ai Francesi. Gli<br />
Ossolani però dovettero fornire vettovaglie a queste m<strong>il</strong>izie<br />
tedesche acquartierate ed inviare anche le m<strong>il</strong>izie<br />
43
locali per difendere i castelli di Angera e Arona. Queste<br />
gravi spese furono ripartite sia sull’Ossola Superiore<br />
che Inferiore. Il 19 marzo 1704 <strong>il</strong> Consiglio Generale<br />
dell’Ossola è convocato per provvedere alla distribuzione<br />
delle spese, per attrezzare <strong>il</strong> castello di Domo alla<br />
difesa, per eleggere un Reggente Generale e provvedere<br />
alla salvaguardia dei priv<strong>il</strong>egi ossolani. Il 7 gennaio<br />
1705 sono convocati nuovamente tutti i rappresentanti<br />
delle comunità ed i Reggenti dell’Ossola Superiore per<br />
far sì che tutte le comunità concorrano al pagamento<br />
delle spese straordinarie imposte dalla circostanza. Gli<br />
Ossolani, almeno quelli dell’Ossola Superiore, pare non<br />
si dichiarino in favore di nessuno dei contendenti, tuttavia<br />
le imposizioni m<strong>il</strong>itari bisognava pagarle. Nel castello<br />
c’era sempre un presidio spagnolo al comando del<br />
capitano don Giovanni de Soto e la cosa pubblica era<br />
diretta dal pretore don Francesco de Miranette Velasco<br />
pure spagnolo.<br />
II duca di Vendôme, lasciato <strong>il</strong> comando delle truppe<br />
francesi in Lombardia per assumere quello delle truppe<br />
stanziate in Fiandra, non trovò alcuna difficoltà a transitare<br />
per l’Ossola per venire al Sempione, <strong>il</strong> 14-15 luglio<br />
1706, con un seguito di 150 cavalli, segno che questa<br />
regione non intendeva reagire con proprie iniziative<br />
alla situazione. Ma allorché <strong>il</strong> principe Eugenio di Savoia<br />
riuscì a portarsi con <strong>il</strong> suo esercito sotto le mura di<br />
Torino assediata e raggiungere <strong>il</strong> duca Vittorio Amedeo,<br />
riuscendo a sconfiggere i Francesi nella celebre giornata<br />
del 7 settembre 1706, a Domo si fu del parere di predisporre<br />
una resa. Era allora sindaco o procuratore del<br />
borgo di Domo <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Marco Antonio S<strong>il</strong>va, ex reggente<br />
della Giurisdizione, <strong>il</strong> quale aveva fama di essere<br />
partigiano di Francia. Visto come la guerra si era risolta,<br />
egli prese l’iniziativa di far passare l’Ossola all’obbedienza<br />
dell’Austria, non sappiamo se per opportunismo<br />
politico o semplicemente per ambizione. Il capitano<br />
spagnolo ed i borghigiani domesi furono da lui convinti<br />
a sottomettersi e chiedere protezione agli Austriaci,<br />
invitandoli a venire a Domo. Le iniziative di Marco<br />
Antonio della S<strong>il</strong>va furono accette al generale Zumiunghen<br />
che era venuto ad occupare Arona e la zona<br />
del lago Maggiore, ma irritarono gli altri Ossolani ed in<br />
particolare i Reggenti generali della Giurisdizione Antonio<br />
Grazioli, Andrea Taddei e Carlo Francesco Pellia,<br />
44<br />
i quali si vedevano esautorati. Sebbene anch’essi fossero<br />
del parere di sottomettersi agli Austriaci, non mancarono<br />
con lettera dell’11 ottobre 1706 di avvisare tutte<br />
le comunità della Giurisdizione dell’arbitrio del S<strong>il</strong>va<br />
che pretendeva una rappresentanza che nessuno gli aveva<br />
mai data, dichiarando che si sarebbero subito recati<br />
a incontrare <strong>il</strong> Zumiunghen per <strong>il</strong> bene della comunità<br />
ossolana. Essi poterono di fatto presentarsi al generale,<br />
mercé i buoni uffici del conte Borromeo, ed <strong>il</strong> 14 ottobre<br />
1706 gli Austriaci entrarono in Domo al comando<br />
del capitano barone M<strong>il</strong>ben, mentre <strong>il</strong> piccolo presidio<br />
spagnolo con tutti gli onori m<strong>il</strong>itari abbandonava <strong>il</strong> castello.<br />
Così l’Oossola entrava a far parte dei domini dell’Austria<br />
sotto l’imperatore Giuseppe I, <strong>il</strong> quale, grato a<br />
Vittorio Amedeo II di Savoia dell’aiuto prestato, gli cedeva<br />
<strong>il</strong> Monferrato, la Lomellina, Alessandria, Valenza e<br />
la Valsesia. Morto però l’imperatore di vaiolo nel 1711,<br />
l’arciduca Carlo che come pretendente al trono di Spagna<br />
aveva assunto <strong>il</strong> nome di Carlo III (di Spagna) ebbe<br />
<strong>il</strong> trono del fratello con <strong>il</strong> titolo di Carlo VI imperatore.<br />
Ma con la pace di Utrecht, in cui i domini spagnoli furono<br />
spartiti, lo Stato di M<strong>il</strong>ano e l’Ossola entrarono a<br />
far parte dei domini imperiali dell’Austria (1713).<br />
Scrivendo di questo periodo <strong>il</strong> giureconsulto don Paolo<br />
della S<strong>il</strong>va afferma che gli Ossolani sotto l’Impero Austriaco,<br />
deposte le armi si sono rivolti ai traffici ed ai litiggi;<br />
e quanto giovano i primi per arricchirli, altrettanto servono<br />
i secondi per impoverirli.<br />
Anzitutto fu dibattuta una lunga, ed astiosa e soprattutto<br />
dispendiosa lite fra <strong>il</strong> sopra ricordato Marco Antonio<br />
della S<strong>il</strong>va ed i Reggenti generali della giurisdizione,<br />
che durò fino al 1713 ed ebbe come unico risultato,<br />
dissensi, odi e spese.<br />
Una grida del 26 agosto 1711, emessa dal Governo al<br />
fine di danneggiare la Francia, stab<strong>il</strong>iva che tutte le merci<br />
dirette o provenienti da quello stato fossero soggette a<br />
dazio al passaggio per Domodossola. I gabellieri, incaricati<br />
della riscossione, estesero però arbitrariamente l’ordinanza<br />
fino ad includere anche quelle merci che erano<br />
prodotte o consumate in Ossola. Di qui un vibrato ricorso<br />
degli Ossolani richiamandosi agli antichi priv<strong>il</strong>egi.<br />
Frattanto si era fatto vivo l’impresario del tabacco che<br />
pretendeva l’appartenenza dell’Ossola al suo appalto<br />
e quindi la privativa della vendita. Altro ricorso per <strong>il</strong>
iconoscimento della esenzione. Ma in questo ricorso<br />
gli Ossolani ebbero cura di presentare al re Carlo III,<br />
ossia all’imperatore Carlo VI, una formale richiesta di<br />
approvazione o riconoscimento degli antichi priv<strong>il</strong>egi<br />
contenuti nei famosi capitoli del 1381. Si riuscì di fatto<br />
ad ottenere un rescritto del 3 gennaio 1710, dato da<br />
Barcellona, ma, come afferma don Paolo della S<strong>il</strong>va, essendosi<br />
nel 1711 presentato questo diploma al Senato per<br />
la di lui interinazione, l’implacab<strong>il</strong>e Fisco M<strong>il</strong>anese prese<br />
motivo di muovere al Paese altra ben longa e dispendiosa<br />
lite. Non solo furono riprese le antiche e recenti pretese<br />
del fisco, ma si riparlò della carta da bollo, dei dazi, ecc.<br />
Finalmente <strong>il</strong> 26 gennaio 1712 si ebbe la Dichiarazione<br />
Magistrale con cui l’Ossola era riconosciuta nel possesso<br />
degli antichi priv<strong>il</strong>egi, notificata poi ai pretori dell’Ossola<br />
con lettera del 25 febbraio 1712. Non si creda<br />
però che tutto questo sia avvenuto per pura magnanimità<br />
o senso di giustizia da parte del Governo. Le comunità<br />
ossolane dovettero sborsare al fisco per spontaneo<br />
sussidio da essi offerto all’Illustrissimo Magistrato Ordinario<br />
di questo Stato di M<strong>il</strong>ano, per beneficio di Sua<br />
Cattolica e Cesarea Maestà, lo sa Iddio con quale spontaneità,<br />
la bella somma di 21.000 lire imperiali, di cui<br />
10.212 lire e 4 soldi furono a carico della giurisdizione<br />
di Domo. Leggendo gli atti di queste liti ed i ricorsi degli<br />
Ossolani si sente tutta l’amarezza del popolo di queste<br />
montagne per essere sistematicamente beffato dai<br />
propri governanti e, fra le righe, proprio dove si attesta<br />
tanto sviscerato ossequio per <strong>il</strong> padrone, c’è una fredda<br />
ed impressionante ironia: Riconoscendo la scarsezza in<br />
cui si trova la Real Mensa in tempo di tanto bisogno per la<br />
difesa dell’Adoratissimo Monarca, e che tutte queste novità<br />
vengono suggerite dalle necessità de mezzi, non già perché<br />
la chiara ragione di quel paese temi di comparir nuda, e<br />
dubiti di non essere accolta da un tribunale, così retto, che<br />
con viscere di padre riguarda la conservazione de’ sudditi<br />
di Sua Maestà commessi alla di lui tutela, ma per anco in<br />
quest’occasione palese alla Maestà Sua, et alle SS. VV. Illustrissime<br />
<strong>il</strong> sviscerato zelo che nodriscono per li vantaggi<br />
del Padrone e per la causa pubblica, non ricusa con spontaneo<br />
sagrificio di quel di forze che ancora dura in quell’ormai<br />
esangue Corpo, tributar servitio alla Regia Camera<br />
per una volta tanto, (oltre le grandi somme in così pochi<br />
anni pagate) di altre lire sei m<strong>il</strong>a, ecc. Poi... da seimi-<br />
la si dovrà giungere a 21.000 regolarmente quietanzate<br />
<strong>il</strong> 1° febbraio 1712.<br />
L’imperatore d’Austria Carlo VI nel 1718 incaricò una<br />
speciale Commissione o Giunta di fare un nuovo e generale<br />
censimento che potesse poi servire come base di<br />
calcolo alle imposte. E poiché l’imposta veniva elevata<br />
sui fondi, sulle persone e sulle merci, <strong>il</strong> censimento,<br />
assieme a dati statistici riguardanti la popolazione ed <strong>il</strong><br />
commercio, esigeva una misura precisa delle proprietà<br />
fondiarie e relative rendite. Si cercò di assoggettare anche<br />
l’Ossola a questo generale censimento che sparse<br />
dappertutto misuratori e loro aiutanti.<br />
Ma gli agrimensori trovarono non poche difficoltà in<br />
Ossola dove i fondi, a causa della estrema suddivisione,<br />
sono piccoli, irregolari e numerosissimi. Si dovette allora<br />
ripiegare dividendo semplicemente i territori comunali<br />
in corpi di ugual superficie, segnando in essi i vari<br />
proprietari, ma rinunciando alla definizione più precisa<br />
dei fondi appartenenti ai singoli proprietari. Naturalmente<br />
le notifiche si estendevano anche alle abitazioni,<br />
cascine, mulini, ecc. ed i notai vennero obbligati alla<br />
denuncia dei contratti di compravendita degli immob<strong>il</strong>i,<br />
specificando misure e nomi dei contraenti. Nel 1725<br />
si tentò anche una stima del valore della proprietà. Ciò<br />
significava che si era in procinto di estendere anche all’Ossola<br />
un nuovo sistema fiscale che avrebbe spazzato<br />
via tutti i priv<strong>il</strong>egi ed esenzioni a cui fino allora si era<br />
guardato come alla salvaguardia della possib<strong>il</strong>ità di sussistenza.<br />
Perciò i rappresentanti dell’Ossola fecero subito<br />
ricorso perché l’Ossola fosse esentata dal censimento.<br />
Il voto del fisco del 7 ottobre 1727 fu favorevole all’Ossola<br />
Superiore, ma doveva essere approvato dall’imperatore.<br />
Per sostenerne la causa a Vienna gli Ossolani si<br />
erano inizialmente affidati ai buoni uffici del vigezzino<br />
Pietro Andreoli, <strong>il</strong> quale però nel 1729 se ne volle esimere.<br />
E poiché la cosa stava molto a cuore agli Ossolani,<br />
su proposta dei sindaco generale della Giurisdizione<br />
dottor Carlo Ruga S<strong>il</strong>va, <strong>il</strong> 13 novembre 1729, venne<br />
affidata al giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va <strong>il</strong> quale condusse<br />
felicemente l’affare in porto ottenendo dall’imperatore<br />
con diploma del 22 agosto 1731, intimato alla<br />
Giunta per <strong>il</strong> censimento, la bramata esenzione.<br />
La guerra per la successione al trono di Polonia (1733-<br />
1738) ebbe notevoli conseguenze anche in Ossola. Es-<br />
45
sendosi Carlo Emanuele III, re di Sardegna, alleato con<br />
la Francia con <strong>il</strong> trattato del 26 settembre 1733, gli eserciti<br />
franco-sardi invasero la Lombardia, occupando M<strong>il</strong>ano<br />
nell’ottobre del 1733. Frattanto in Ossola insorsero<br />
gravi perturbazioni. Il capitano del castello di Domo,<br />
Giovanni Antonio Zunica, pretese rifornimenti di<br />
vettovaglie a spese dell’OssoIa. Si opponevano gli Ossolani<br />
invocando i soliti priv<strong>il</strong>egi, ma <strong>il</strong> capitano Zunica<br />
continuava a fare richieste e minacce. Si riuscì anche ad<br />
ottenere dalla Giunta di Governo lasciata dal conte di<br />
Daun, governatore di M<strong>il</strong>ano, in sua vece, un’ordinanza<br />
che proibiva espressamente al castellano di Domo di<br />
esigere alcunché dagli Ossolani. Questi però non si acquietò,<br />
anzi si fece sempre più ost<strong>il</strong>e, rivoltando contro<br />
<strong>il</strong> Borgo le artiglierie del castello e facendo sparare alcuni<br />
colpi intimidatori contro le case di alcuni borghesi. I<br />
Domesi sentendosi prigionieri nel borgo che <strong>il</strong> Zunica<br />
aveva fatto chiudere, fecero suonar le campane a martello.<br />
Il segnale richiamò dalle valli le m<strong>il</strong>izie locali che<br />
giunte a Domo si limitarono però solamente a riaprire<br />
<strong>il</strong> borgo, costringendo i soldati del presidio a ritirarsi<br />
nel castello. Riferisce <strong>il</strong> giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va<br />
che <strong>il</strong> castello era tenuto sotto sorveglianza dai borghigiani,<br />
che un soldato fu ucciso da un colpo di fuc<strong>il</strong>e<br />
sparato da una guardia appostata sul campan<strong>il</strong>e della<br />
chiesa di S. Francesco e che lo stesso castellano corse<br />
<strong>il</strong> pericolo di finire allo stesso modo. Una nota dell’arciprete<br />
di Domo dice che la sera del 14 novembre<br />
1733, alcuni soldati del castello fecero una sortita nel<br />
borgo sparando alcuni colpi contro i borghigiani armati;<br />
questi risposero uccidendo un soldato di nome Raimondo<br />
Bellandel. Il giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va, su<br />
invito del re di Sardegna e del Senato di M<strong>il</strong>ano, venne<br />
a Domo a parlamentare con <strong>il</strong> castellano. Questi avendo<br />
saputo che ormai tutte le città dello Stato di M<strong>il</strong>ano<br />
erano in mano dei Franco-Sardi si dichiarò pronto<br />
alla capitolazione, e le ost<strong>il</strong>ità furono sospese. Venuto in<br />
Ossola a nome del Re di Sardegna <strong>il</strong> cavaliere gerosolimitano<br />
Antonio Grisella, fu sottoscritta la capitolazione;<br />
la resa fu fatta con tutti gli onori m<strong>il</strong>itari. Il Zunica<br />
con la sua guarnigione spagnola se ne andò, lasciando<br />
<strong>il</strong> castello al cavaliere Grisella che lo occupò con pochi<br />
soldati sardi.<br />
Con la susseguente pace di Vienna del 1738, <strong>il</strong> regno<br />
46<br />
di Sardegna si estese a Tortona e Novara. Con <strong>il</strong> ritorno<br />
del M<strong>il</strong>anese all’imperatore Carlo VI, <strong>il</strong> castello di<br />
Domo fu rioccupato da m<strong>il</strong>izie austriache e per qualche<br />
anno si ebbe un po’ di pace.<br />
Morto nel 1740 l’imperatore Carlo VI si riaccese nuovamente<br />
la guerra per la successione al trono austriaco. In<br />
virtù della così detta Prammatica Sanzione su quel trono<br />
era salita l’arciduchessa Maria Teresa che era osteggiata<br />
da Francia, Spagna, Prussia, Sassonia, Baviera ed<br />
anche dal re di Sardegna. Questi però si staccò dagli alleati<br />
quando si accorse che non erano disposti a cedergli<br />
la Lombardia a cui aspirava. Alleatosi con l’Austria con<br />
<strong>il</strong> trattato di Worms (13 settembre 1743), Carlo Emanuele<br />
III, rinunciò al M<strong>il</strong>anese, ma in compenso dei<br />
suoi aiuti all’Austria ottenne <strong>il</strong> Vigevanese, l’Alto Novarese,<br />
l’Oltre Po pavese e la città e territorio di Piacenza<br />
fino al Nure. La notifica alle comunità cedute fu data<br />
con <strong>il</strong> manifesto del 25 gennaio 1744 dal principe di<br />
Koblovitz ed <strong>il</strong> giorno seguente <strong>il</strong> re di Sardegna ne prese<br />
formalmente possesso. Negli anni 1742-1743 <strong>il</strong> castello<br />
di Domo era per lo più presidiato dalle m<strong>il</strong>izie locali<br />
a cui era affidata anche la difesa del Borgo.<br />
Unitamente alle vicende di cui abbiamo parlato l’Ossola<br />
in questo secolo soffrì di nuove e gravi difficoltà.<br />
La prima fu quella ricorrente di un’alta mortalità specialmente<br />
infant<strong>il</strong>e dovuta ad epidemie che infierirono<br />
in alcuni anni: la difterite, l’influenza, ed <strong>il</strong> vaiolo.<br />
Scorrendo i libri dei morti si rinvengono lunghi elenchi<br />
di bambini rapidamente mietuti dal morbo. Per parecchie<br />
settimane, ogni giorno numerose culle di bambini<br />
attendevano nelle chiese la sepoltura. Le attestazioni<br />
che ci sono rimaste sono toccanti. Di tutti <strong>il</strong> più terrib<strong>il</strong>e<br />
era <strong>il</strong> vaiolo che serpeggiava in continuità ricomparendo<br />
improvviso e letale nelle valli ossolane.<br />
Il notaio Cosimo Grossetti di Montescheno annota:<br />
Din di l’anno 1746 fu una gran mortalità di bestie nel<br />
Piemonte, Novarese e M<strong>il</strong>anese, Pavese e Umelina. Basta<br />
solo dire che nelle terre dove erano m<strong>il</strong>le bestie bovine ne<br />
restano solo circa quattro o cinque ed un par di bovi avanzati<br />
dal detto male si prezavano cento doppie, cento zecchini<br />
e cose sim<strong>il</strong>i. Nel qual anno 1746 fu ancora una tal<br />
strepitosa per non dir rabbiosa guerra nello Stato di M<strong>il</strong>ano<br />
che <strong>il</strong> Novarese, Vercellese e parte del Piemonte patì<br />
un gran danno, chiamato quasi la sua somma rovina, non
Strada del Sempione, ponte di Crevola. Da una stampa di Lorry.<br />
potendosi veder altro di peggio, salvo la peste. Per la qual<br />
guerra patì qualche spavento e danno ancor l’Ossola facendosi<br />
delle scorrerie in detta Ossola almeno fino a Vogogna<br />
nel mese di marzo or delli Todeschi or del nostro re parti<br />
avversarie. Pretendevano sottomissione or l’una or l’altra,<br />
mettendo in grande affano li habitanti perché se aderivano<br />
o mostravano accoglienza ad una parte come erano sforzi a<br />
dimostrare anche senza genio, gl’era minacciato <strong>il</strong> saccheggio<br />
dall’altra. Basta dire che uno di Vogogna per aver dato<br />
alloggio ad un oficiale spagnolo fu bastonato severamente<br />
ed andò a rischio d’esser impiccato; altri per aver detto<br />
Viva a una parte furon bastonati e multati dall’altra; sì<br />
che si può immaginare in qual intrico si trovava la povera<br />
gente. Di più <strong>il</strong> detto anno 1746 per essersi i Spagnoli impadroniti<br />
di Pavia e di tutto <strong>il</strong> M<strong>il</strong>anese ed Umelina, impedirono<br />
<strong>il</strong> corso del sale che veniva nel Ossola ed in tutto<br />
<strong>il</strong> Novarese e Vercellese, sì che tali paesi dovettero patir penuria<br />
di sale, per <strong>il</strong> che molti s’ammalavano, massime nella<br />
Valsesia e Valanzasca, ma nella val Antrona stettero ben<br />
alcuni poveri qualche tempo senza, ma essendosi messi alcuni<br />
mercati di Vigezzo ed anche di Pallanzeno, ne facevano<br />
venire dalla parte della Svizzera.<br />
La epizoozia del bestiame bovino era stata importata in<br />
<strong>It</strong>alia da buoi ungheresi venuti in Lombardia per <strong>il</strong> rifornimento<br />
delle armate austriache nel 1711 e si sparse<br />
in tutta l’Europa. Infestò la Francia, la Germania negli<br />
anni 1742-43, poi l’<strong>It</strong>alia fino al 1747 giungendo anche<br />
nell’Ossola, dove causò danni gravissimi al patrimonio<br />
zootecnico, riapparendo nel 1795. Si calcola che in Europa<br />
dal 1711 al 1776 siano andati perduti per questa<br />
pest<strong>il</strong>enza più di sei m<strong>il</strong>ioni di bovini. In Ossola molte<br />
famiglie che perdettero quasi tutto <strong>il</strong> bestiame e non<br />
poterono rinnovarlo, perché troppo povere, dovettero<br />
emigrare. Alla metà del 1700 un buon terzo dei contadini<br />
allevatori di bestiame cambiò mestiere.<br />
E poi le intemperie. Ricordiamo <strong>il</strong> 1740: anno freddissimo,<br />
in cui non poterono maturare non solo le uve,<br />
ma neppure le castagne; <strong>il</strong> 1743, particolarmente sicci-<br />
47
toso, in cui si poté raccogliere solo poca segale e scarso<br />
vino; <strong>il</strong> 1744 in cui alla Madonna del Rosario (7 ottobre)<br />
venne una tal innondatione d’acqua che tra Vogogna<br />
e la Pieve (di Vergonte) non si vedeva più terra ma bensì<br />
v’era un lago. La Toce a Vogogna andò nelle cantine e lasciò<br />
raso fino su le topie. Alla Pieve un riale essendo saltato fuori<br />
dal suo canale portò via alcune case con la gente senza<br />
lasciar segno ove eran piante, con danno di molte migliaia<br />
di lire alle campagne. Lo Strona portò via <strong>il</strong> così bel ponte<br />
di Gravalona ove andò l’acqua nelle case, portò fuor molta<br />
robba, perfino credenze con dentro pane, formaggio ed altri<br />
cibi, bestie ancor attaccate alla presepe. E poi la grande<br />
e generale alluvione del 14 e 15 ottobre 1755 che devastò<br />
tutta l’Ossola.<br />
Il re Carlo Emanuele III, nel tentativo di promuovere<br />
una migliore e moderna amministrazione dello Stato<br />
promulgò nuove costituzioni e leggi, entrate in vigore <strong>il</strong><br />
16 maggio 1770. All’Ossola ne fu data comunicazione<br />
<strong>il</strong> 30 apr<strong>il</strong>e 1770, dichiarando l’ut<strong>il</strong>ità di leggi uniformi<br />
per tutto lo Stato. Gli Ossolani però insistettero presso<br />
<strong>il</strong> Governo per ottenere delle deroghe su alcuni punti.<br />
Queste vennero concesse dal Senato di Torino con decreto<br />
del 27 luglio 1771, estendendole sia all’Ossola Inferiore<br />
che Superiore ed alla val Formazza.<br />
Con le nuove costituzioni scomparve tutto <strong>il</strong> vecchio<br />
ordinamento civ<strong>il</strong>e e criminale.<br />
L’amministrazione della comunità era affidata al consiglio,<br />
<strong>il</strong> quale poteva riunirsi solo con la partecipazione<br />
del pretore, di un suo delegato o di persona di fiducia,<br />
detta «castellano».<br />
Il pretore di Domo con le R. Patenti dell’11 luglio 1771<br />
ebbe autorità di «intendente». L’intendente, capo della<br />
giurisdizione o pretore, poteva annullare ogni delibera<br />
del consiglio, contraria agli interessi del Comune o non<br />
conforme alle leggi. Consiglieri potevano essere eletti<br />
tutti i capifamiglia, sebbene fossero in numero limitato;<br />
ma era ufficio che non si poteva rifiutare.<br />
Il consiglio a sua volta eleggeva <strong>il</strong> sindaco nella persona<br />
del consigliere più anziano, <strong>il</strong> quale durava in carica sei<br />
mesi od un anno secondo che <strong>il</strong> numero dei consiglieri<br />
era di almeno quattro o almeno due. Le spese comunali<br />
erano espressamente controllate e in taluni casi vietate<br />
dalla superiore autorità. Ogni consiglio doveva avere<br />
anche un segretario approvato dall’intendente.<br />
48<br />
Questa prima riforma dell’amministrazione comunale<br />
fece cadere antiche consuetudini, però indusse nei comuni<br />
ossolani istituzioni più moderne ed omogenee.<br />
Non si segnalano importanti avvenimenti nella seconda<br />
metà del secolo XVIII in Ossola fino a quando non<br />
giunsero anche in questa regione le scint<strong>il</strong>le del fuoco<br />
innovatore e distruttore della rivoluzione francese che<br />
nel 1793 rovesciò la monarchia per istituire la repubblica,<br />
scatenando una reazione a catena di rivoluzioni e<br />
guerre in tutta l’Europa.<br />
Il re Vittorio Amedeo III, unitosi ad altre potenze europee,<br />
partecipò alla prima coalizione contro la Repubblica<br />
francese. Lo Stato Sardo si armava in previsione di<br />
un periodo di guerra che non si sarebbe potuto evitare.<br />
L’editto dell’arruolamento del 1793 colpì naturalmente<br />
anche l’Ossola. Questo obbligava ciascuno dei tre dipartimenti<br />
dell’Ossola, Domodossola, Vogogna e val<br />
Vigezzo, a fornire ed armare un contingente di soldati.<br />
Il 20 gennaio 1793 sì riunì a Domo <strong>il</strong> Consiglio provinciale,<br />
<strong>il</strong> quale, prendendo atto della situazione, con un<br />
certo slancio patriottico deliberò di difendere colla maggior<br />
forza questa provincia da ogni invasione che derivar<br />
potesse da parte dei Francesi senza ricever verun stipendio<br />
dalle Regie Finanze, ma a spese di questa Provincia, e ciò<br />
in conferma della dichiarazione già fatta nell’antecedente<br />
Consiglio del 31 ora scorso dicembre (1792), accettando<br />
la graziosa offerta fatta da S.M. delle armi, munizioni<br />
ed attrezzi m<strong>il</strong>itari.<br />
Il Consiglio decise di fornire quattro compagnie, corrispondendo<br />
a ciascun soldato la paga di 30 once di pane.<br />
Capo ed ispettore delle m<strong>il</strong>izie ossolane fu eletto l’avvocato<br />
Giuseppe Maria Facini. Il ministro della guerra<br />
Di Gravanzana con lettera del 30 gennaio 1793 approvò<br />
queste delibere.<br />
Ci fu in quel momento un notevole senso civ<strong>il</strong>e e patriottico,<br />
dovuto in parte alle notizie allarmanti provenienti<br />
dalla Francia circa i disordini che accompagnavano<br />
la rivoluzione in atto.<br />
Si ebbero iniziative particolari a Montecrestese ed in<br />
valle Antigorio per formare corpi speciali per la difesa<br />
dei confini dell’Ossola. Purtroppo <strong>il</strong> Facini, divenuto<br />
per la sua prepotenza e scarsa sensib<strong>il</strong>ità, odioso al popolo,<br />
fu osteggiato da gran parte delle m<strong>il</strong>izie ossolane,<br />
i cui rappresentanti, riunitisi al ponte di Crevola <strong>il</strong> 15
giugno 1795, st<strong>il</strong>arono un vibrato ricorso al Re per esonerarlo<br />
dalla carica di comandante m<strong>il</strong>itare e reggente.<br />
A questa riunione mancarono i rappresentanti di alcune<br />
comunità, fra cui quelli di Domo, di V<strong>il</strong>la e della<br />
valle Antrona. Rispose <strong>il</strong> Re da Moncalieri <strong>il</strong> 4 agosto<br />
1795, delegando <strong>il</strong> prefetto di Pallanza Bellini, secondo<br />
la richiesta, a presiedere i consigli provinciali. Di ciò<br />
informato, <strong>il</strong> Facini, l’8 agosto annunciava la riunione<br />
del consiglio provinciale per <strong>il</strong> giorno 16 seguente e la<br />
sua rinuncia alla carica di reggente e di comandante delle<br />
m<strong>il</strong>izie. Ma i rappresentanti protestatari la disertarono<br />
ed <strong>il</strong> 30 agosto, sotto la presidenza del prefetto Bellini,<br />
si riunirono autonomamente e, dopo aver riprovato<br />
<strong>il</strong> comportamento del Facini e sottopostolo al giudizio<br />
di una commissione amministrativa, elessero un nuovo<br />
reggente e capitano.<br />
Con tutto questo non si deve credere che in Ossola i<br />
principi della rivoluzione francese e le idealità che l’avevano<br />
provocata fossero sconosciuti. La circolazione degli<br />
uomini e delle idee era sempre stata ampia e favorita<br />
dalle emigrazioni stagionali o semipermanenti di una<br />
elevata percentuale degli uomini più attivi ed intraprendenti.<br />
Fra strati di patente conservatorismo f<strong>il</strong>travano<br />
e si muovevano, prima nascostamente, ma poi sempre<br />
più palesemente idee riformistiche, impulsi decisamente<br />
rivoluzionari e idee politiche repubblicane. I successi<br />
dei Francesi, legati alle fortune dell’astro napoleonico,<br />
erano paventati dai conservatori e aspettati ed esaltati<br />
dai repubblicani. La Repubblica Cisalpina, voluta<br />
da Napoleone, favoriva la penetrazione delle idee rivoluzionarie<br />
e fomentava impulsi eversivi anche nell’Ossola.<br />
Un tentativo rivoluzionario fu organizzato a Pallanza<br />
da Giuseppe Antonio Azari. Scoperto <strong>il</strong> complotto,<br />
l’Azari fu condannato a morte per impiccagione <strong>il</strong><br />
29 novembre 1796; <strong>il</strong> suo corpo fu bruciato e le ceneri<br />
sparse al vento. Altre congiure e associazioni rivoluzionarie<br />
pullulavano in quel periodo negli stati del re di<br />
Sardegna, fomentate dalla Francia che tentava di provocare<br />
<strong>il</strong> rovesciamento del trono, tenuto allora da Carlo<br />
Emanuele IV succeduto nel 1796 a Vittorio Amedeo<br />
III, e l’adesione alla Repubblica Cisalpina o addirittura<br />
alla Francia.<br />
Alcuni fuoriusciti piemontesi e patrioti cisalpini ed altri<br />
elementi rivoluzionari internazionali, allo scopo di<br />
accelerare i tempi, con la protezione e l’appoggio della<br />
Repubblica Cisalpina che fornì armi e direttive, si riunirono<br />
in numero di 800 uomini a Varese e fra <strong>il</strong> 13 e <strong>il</strong><br />
14 apr<strong>il</strong>e 1798, da Laveno attraverso <strong>il</strong> lago Maggiore,<br />
giunsero a Intra-Pallanza. Fu prima loro preoccupazione<br />
di imporre la rivoluzione, piantando l’albero della libertà,<br />
stab<strong>il</strong>endo una nuova amministrazione e taglieggiando<br />
i ricchi e nob<strong>il</strong>i locali. Comandava questi così<br />
detti patrioti <strong>il</strong> francese Giovanni Battista Leotaud e i<br />
suoi luogotenenti erano <strong>il</strong> francese Lions ed <strong>il</strong> savoiardo<br />
Seras. Da Pallanza vennero ad Ornavasso, dove posero<br />
<strong>il</strong> campo, cercando di suscitare e ottenere l’adesione<br />
delle popolazioni ossolane. Queste però non si mostrarono<br />
entusiaste, anche perché le contribuzioni m<strong>il</strong>itari<br />
immediatamente imposte risultavano estremamente<br />
sgradite. Un nucleo di partigiani per i Francesi esisteva<br />
in verità a Vogogna dove <strong>il</strong> popolo, sollecitato dall’avvocato<br />
F<strong>il</strong>ippo Grolli, da Giuseppe Antonio Cadorna,<br />
Giulio Albertazzi e Angelo Zaretti, accettò la novità<br />
e ballò la carmagnola attorno all’albero della libertà.<br />
Poi un gruppo di armati, guidati dal capitano Angelo<br />
Zaretti, riuscì a penetrare nel borgo di Domo <strong>il</strong> 20<br />
apr<strong>il</strong>e seguente ed a farsi consegnare <strong>il</strong> castello. Anche<br />
a Domo si cercò di sollecitare adesioni che furono tuttavia<br />
piuttosto scarse. Intanto l’Albertazzi si recava con<br />
alcuni armati ad incontrare <strong>il</strong> comandante Fontana che<br />
con una schiera di sessanta dragoni risaliva la valle Cannobina<br />
per raggiungere la valle Vigezzo. Riunitisi a Santa<br />
Maria Maggiore anche lì si imposero le solite cerimonie<br />
che istituivano la repubblica e la municipalità. Ma<br />
<strong>il</strong> popolo, sebben chiamato dagli insoliti tocchi di campana,<br />
non si mostrò entusiasta. Del resto giunsero subito<br />
notizie allarmanti che consigliavano molta prudenza.<br />
Quattrom<strong>il</strong>a soldati dei reggimenti di Savoia, della Marina,<br />
di Pever Im-Off, di Zimmerman e di Bachman<br />
stavano concentrandosi a Gravellona, inviati dal Re, per<br />
puntare verso Ornavasso dove <strong>il</strong> Leotaud cercò di organizzare<br />
la difesa.<br />
Nell’imminenza della battaglia ben pochi degli Ossolani<br />
che avevano fatto l’atto di adesione accorsero ad Ornavasso.<br />
Il 21 apr<strong>il</strong>e 1798 le prime m<strong>il</strong>izie regie avevano<br />
già raggiunto Gravellona ed <strong>il</strong> giorno seguente erano<br />
pronte alla battaglia.<br />
Lo scontro avvenne a sud di Ornavasso ed ebbe inizio<br />
49
verso le dieci di mattina. Fu una battaglia in piena regola<br />
che ebbe alterne vicende, dove alla fine la netta superiorità<br />
numerica e tattica dei regi ebbe la meglio sui<br />
repubblicani. Appena infatti un corpo di sei compagnie<br />
di granatieri di Savoia e della Marina riuscirono a passare<br />
<strong>il</strong> Toce e prendere alle spalle l’esercizio del Leotaud,<br />
la sorte della battaglia fu definita.<br />
Nonostante <strong>il</strong> valore dei repubblicani, 150 morirono<br />
con le armi in pugno, 400 furono fatti prigionieri<br />
ed <strong>il</strong> resto, completamente sbandato, cercò la salvezza<br />
sui monti di Premosello e Vogogna, tentando di guadagnare<br />
luoghi più sicuri. Alcuni morirono di freddo e<br />
di stenti nel tentativo di raggiungere la valle Vigezzo, e<br />
quelli che vi riuscirono furono fatti prigionieri dalle m<strong>il</strong>izie<br />
locali e tradotti nelle carceri di Domodossola. Anche<br />
i capi furono presi. A Domodossola un consiglio<br />
di guerra pronunciò sentenza capitale contro i rivoltosi.<br />
I giorni 28, 29 e 30 apr<strong>il</strong>e ne furono fuc<strong>il</strong>ati 64. Altri<br />
furono poi tradotti a Casale per subire la stessa sorte.<br />
Dei capi lo Zaretti era stato già proditoriamente colpito<br />
a morte in val Vigezzo <strong>il</strong> 24 apr<strong>il</strong>e a S. Maria Maggiore<br />
quando presumeva di essere ormai salvo. Giulio<br />
Albertazzi fu fuc<strong>il</strong>ato a Pallanza <strong>il</strong> 19 maggio. L’avvocato<br />
Grolli, riportato da Casale a Vogogna, fu giustiziato<br />
sulla piazza del Pretorio <strong>il</strong> 30 maggio. Unico si salvò<br />
dei comandanti ossolani <strong>il</strong> vogognese Giuseppe Antonio<br />
Cadorna che, per merito della coraggiosa moglie,<br />
ottenne la grazia dal Re. Il Leotaud, fatto prigioniero<br />
con <strong>il</strong> Lions fu fuc<strong>il</strong>ato a Casale. Le stragi degli infelici<br />
prigionieri sarebbero continuate se le proteste della<br />
Francia non avessero costretto <strong>il</strong> Re a sospendere le esecuzioni<br />
ed a concedere una amnistia per tutti <strong>il</strong> 20 giugno<br />
di quell’anno 1798.<br />
Il re Carlo Emmanuele IV che con le R. Patenti del 7<br />
marzo e l’Editto del luglio 1797 aveva abolito <strong>il</strong> sistema<br />
feudale con tutte le sue implicazioni, dovette riconfermare<br />
tali leggi con la Patente del 2 marzo 1799 (2<br />
ventoso, anno VII della Repubblica Francese secondo <strong>il</strong><br />
nuovo calendario).<br />
L’8 dicembre seguente Carlo Emmanuele IV fu costretto<br />
a dimettersi e venne proclamato <strong>il</strong> Governo repubblicano.<br />
Fu istituito <strong>il</strong> Dipartimento del Novarese ed istituita<br />
la municipalità nelle città e grossi borghi. In Ossola<br />
fu inviato <strong>il</strong> commissario Giacomo Zuffinetti per<br />
50<br />
la necessaria organizzazione. La municipalità di Domodossola<br />
comprese tutta l’antica giurisdizione e quindi<br />
anche V<strong>il</strong>la e la valle Antrona. La municipalità era diretta<br />
da un presidente, un commissario nazionale e quattro<br />
amministratori i quali rispondevano direttamente<br />
all’Amministrazione centrale di Vercelli.<br />
All’inizio del 1799 fu organizzato un plebiscito allo scopo<br />
di ottenere la bramata unione con la Francia, in verità<br />
bramata solo da pochi fanatici, ma decisa dal Governo<br />
provvisorio. Con ab<strong>il</strong>e propaganda si ottenne l’effetto<br />
desiderato. Anche nell’Ossola molte furono le adesioni.<br />
Ricordiamo a questo proposito che anche a V<strong>il</strong>la<br />
e in valle Antrona non mancarono i fautori della unione<br />
con la Francia. Questo ci sembra almeno dedurre dal<br />
fatto che un certo Cassoletti di V<strong>il</strong>la è l’autore di un Discorso<br />
tipografico in occasione della generale adesione ossolana<br />
all’unione francese, stampato a Torino nel 1799.<br />
Ma l’orizzonte politico era tutt’altro che chiaro. Continuava<br />
con alterne vicende la lotta contro la Francia da<br />
parte delle potenze coalizzate. In una seconda coalizione<br />
si unì anche la Russia ed un esercito austro-russo comandato<br />
dal generale Suwarow venne in <strong>It</strong>alia. M<strong>il</strong>ano<br />
fu presa dagli austro-russi <strong>il</strong> 28 apr<strong>il</strong>e, Novara <strong>il</strong> 3<br />
maggio e Torino <strong>il</strong> 27 maggio 1799. In Ossola si sfaldò<br />
la municipalità stab<strong>il</strong>ita dai repubblicani, si ritornò al<br />
vecchio ordinamento, e si ripeterono le adesioni questa<br />
volta al generale Suwarow, grati di essere stati «liberati».<br />
E naturalmente si rinnovarono le imposizioni di forniture<br />
di bestiame e servizi, le requisizioni e le angherie.<br />
In Ossola, per guardare i passi alpini fu mandato un<br />
corpo di austriaci comandati dal principe Vittorio de<br />
Rohan, con <strong>il</strong> compito di impedire inf<strong>il</strong>trazioni attraverso<br />
<strong>il</strong> Sempione. Le truppe dei generali Laudon<br />
e Wuckassovich stazionavano invece presso Arona; di<br />
queste un distaccamento russo al comando del colonnello<br />
Rosales e seim<strong>il</strong>a austriaci del generale Nob<strong>il</strong>e vennero<br />
a stare in Ossola. Si comprende che con tutta questa<br />
massa di soldati da sfamare gli Ossolani si sentissero<br />
letteralmente in guerra per la sopravvivenza.<br />
Intanto per aprirsi la via a scendere in <strong>It</strong>alia dalla Svizzera,<br />
<strong>il</strong> generale Massena al comando di una armata francese,<br />
inviava verso <strong>il</strong> Vallese ed <strong>il</strong> Sempione <strong>il</strong> generale<br />
Giacobini con 4.500 uomini. Questi non trovarono<br />
molta difficoltà a sloggiare le truppe del Rohan, <strong>il</strong> qua-
le ai primi di settembre, pensando di non poter opporre<br />
sufficiente argine all’avanzata nemica, si ritirò a Vogogna<br />
e poi a Ornavasso, dove organizzò la resistenza. I<br />
Francesi attorno al 20 settembre raggiunsero Piedimulera,<br />
ma avendo ricevuto l’ordine di retrocedere, si limitarono,<br />
pare, a scopo tattico e intimidatorio ad agganciare<br />
gli Austriaci impegnandoli in una scaramuccia a<br />
Migiandone e Gravellona (29 settembre 1799) per ritirarsi<br />
poi al dì là del Sempione. Con <strong>il</strong> ritorno delle truppe<br />
austriache del Rohan che passarono in Ossola tutto<br />
l’inverno si accrebbero i tormenti delle requisizioni di<br />
bestiame, foraggio, viveri, legname e soprattutto di lavoro<br />
coatto per la costruzione di una linea di trincee difensive<br />
fra la punta di Migiandone e Bettola, e relativo<br />
campo trincerato.<br />
Negli ultimi due anni gli Ossolani avevano più volte<br />
piantato, strappato e ripiantato <strong>il</strong> famoso albero della<br />
libertà e giurata obbedienza ripetutamente a questo e<br />
a quello, ai Sardi, agli Austriaci, ai Francesi, ai Cisalpini<br />
ecc., cercando di salvarsi dalle prepotenze di questo<br />
o quel «liberatore», ma la conclusione più ovvia fu<br />
la miseria non solo della povera gente, ma di tutti. Ridotte<br />
a zero le finanze locali, <strong>il</strong> patrimonio zootecnico,<br />
ricostruito con infiniti sforzi, non esisteva più; si fu costretti<br />
a vendere le suppellett<strong>il</strong>i d’oro o d’argento delle<br />
chiese per pagare i contributi imposti dagli occupanti di<br />
turno. Questo stato di cose fu una chiara beffa per tutti,<br />
sia conservatori che rivoluzionari; e furono ben pochi i<br />
fanatici che non se ne accorsero.<br />
Cronache del secolo XIX<br />
Nella primavera del 1800 Napoleone prende l’iniziativa<br />
di tornare alla riconquista dell’<strong>It</strong>alia scendendo attraverso<br />
le Alpi in Piemonte ed in Lombardia. Il 9 maggio<br />
è a Ginevra e punta verso <strong>il</strong> passo del Gran San Bernardo<br />
ancora innevato. Gli eserciti austriaci, comandati<br />
dal generale Melas, tentano invano di impedire l’impresa.<br />
Napoleone riesce, superando difficoltà inimmaginab<strong>il</strong>i,<br />
a raggiungere <strong>il</strong> passo fra <strong>il</strong> 15 ed <strong>il</strong> 21 maggio<br />
e poco dopo si presenta nella pianura piemontese.<br />
Intanto un distaccamento francese, forte di 1000<br />
uomini comandati dal generale Béthencourt, tenta <strong>il</strong><br />
non meno diffic<strong>il</strong>e passo del Sempione ed <strong>il</strong> 26 maggio,<br />
sotto l’incombente pericolo di valanghe, le trup-<br />
pe francesi vengono a contatto a Gondo con quelle austriache<br />
del generale Laudon. Queste però, dopo aver<br />
tagliato o fatto saltare i ponti della diffic<strong>il</strong>e strada fra<br />
Gondo ed Iselle, si ritirano dalla val Divedro lasciando<br />
praticamente libera l’avanzata dei Francesi.<br />
Il principe di Rohan, appena si rende conto di correre<br />
<strong>il</strong> pericolo di essere intrappolato nell’Ossola Superiore,<br />
ordina l’abbandono di Domo e concentra le sue truppe<br />
oltre i trinceramenti di Migiandone e Bettola; anzi,<br />
poco dopo, non sentendosi sicuro neppure in quella<br />
posizione, si ritira completamente dall’Ossola. Infatti<br />
giunge notizia che un grosso contingente di soldati,<br />
quasi tutti italiani, al comando del generale Lecchi, è<br />
prontamente passato dalla val d’Aosta ad Alagna in Valsesia<br />
e sta per giungere sul lago d’Orta da Varallo. Così<br />
<strong>il</strong> 31 maggio l’Ossola è interamente sgombra dagli Austriaci<br />
e m<strong>il</strong>itarmente occupata dai Francesi. Si ricostituisce<br />
la municipalità, si fanno epurazioni e controepurazioni,<br />
si bruciano i documenti compromettenti.<br />
Il 14 giugno Napoleone vince la grande e decisiva battaglia<br />
di Marengo. Il 20 luglio si ricostituisce la Guarda<br />
nazionale. Il 15 ottobre viene ricostituita la Repubblica<br />
Cisalpina che nel 1802 prende <strong>il</strong> nome di Repubblica<br />
d’<strong>It</strong>alia.<br />
Un decreto del 13 ottobre 1800, ma datato dal 7 settembre<br />
precedente, annette alla Repubblica Cisalpina<br />
tutta la regione fra la Sesia ed <strong>il</strong> Ticino, comprendente<br />
anche <strong>il</strong> Novarese e l’Ossola.<br />
Il decreto sopra citato conteneva anche un grosso particolare<br />
che interessava l’Ossola direttamente. Si stab<strong>il</strong>iva<br />
infatti l’immediata apertura di una nuova strada m<strong>il</strong>itare<br />
fra <strong>il</strong> lago Maggiore ed <strong>il</strong> Vallese attraverso l’Ossola ed<br />
<strong>il</strong> Sempione. Era un progetto già espresso da Napoleone<br />
nel 1798 e nelle intenzioni del generale aveva soprattutto<br />
funzione m<strong>il</strong>itare. Doveva infatti essere una strada<br />
capace di sopportare <strong>il</strong> traino pesante delle artiglierie e<br />
dei carriaggi m<strong>il</strong>itari permettendo agli eserciti francesi e<br />
dei loro alleati un rapido spostamento attraverso le tanto<br />
temute Alpi. Le spese, che sarebbero state sostenute<br />
dalla Repubblica Cisalpina e da quella Francese, erano<br />
preventivate in 50.000 franchi al mese fino a lavoro<br />
finito. Il decreto stab<strong>il</strong>iva anche <strong>il</strong> dislocamento in Ossola<br />
di un battaglione di 500 uomini agli ordini del generale<br />
Turreau, incaricato della esecuzione del proget-<br />
51
to. A M<strong>il</strong>ano questo progetto tanto dispendioso non<br />
fu certo visto di buon occhio, ma una volta tanto, sebbene<br />
concepito in funzione puramente m<strong>il</strong>itare, sarebbe<br />
stato proficuo sia per la Lombardia che per l’Ossola.<br />
Il progetto fu messo immediatamente in esecuzione e<br />
portato avanti con incredib<strong>il</strong>e vigoria. Fu naturalmente<br />
requisito molto lavoro sul luogo e gli Ossolani ebbero<br />
da sopportare notevoli angherie non solo per <strong>il</strong> lavoro,<br />
ma anche per le provvigioni di bestiame, foraggi e alloggi<br />
agli operai ed alle truppe. La parte italiana fu completata<br />
nel 1805 ed una iscrizione scolpita sulla viva roccia<br />
della galleria di Gondo presso <strong>il</strong> confine, ricorda quest’opera<br />
voluta dal genio di Napoleone, ma fatta a spese<br />
degli <strong>It</strong>aliani: AERE ITALO. 1805. NAP. IMP.<br />
A titolo informativo giova qui dare alcune notizie su<br />
quest’opera che ai suoi tempi fece enorme impressione.<br />
Vi furono impiegati per la costruzione fino a 3.000<br />
operai al giorno; le rocce furono attaccate con le mine,<br />
consumando oltre 160.000 quintali di polvere da sparo.<br />
La costruzione costò un enorme capitale e molte vite<br />
umane.<br />
La coscrizione m<strong>il</strong>itare obbligatoria, introdotta nel<br />
1802, fu molto mal sopportata dalle popolazioni ossolane<br />
che si sentivano scarsamente invogliate ad accettare<br />
che i giovani diventassero carne da cannone nell’armata<br />
italiana al servizio dell’ambizione di Napoleone.<br />
La Repubblica non ebbe lunga durata. Infatti nel 1805,<br />
Napoleone, divenuto imperatore di Francia, cinse anche<br />
la corona del regno d’<strong>It</strong>alia (23 maggio) dove pose a<br />
governare <strong>il</strong> viceré Eugenio Beauharnais.<br />
L’Ossola durante questo periodo amministrativamente<br />
dipende dal Dipartimento dell’Agogna, <strong>il</strong> quale fu diviso<br />
inizialmente (decreto del 2 novembre 1800) in 17<br />
distretti, fra cui quelli di Domodossola e di Vogogna, e<br />
successivamente (decreto del 13 maggio 1801) in cinque<br />
distretti fra cui quello di Domodossola che si estendeva<br />
a tutta l’Ossola, suddiviso poi (decreto dell’8 giugno<br />
1805) in due cantoni (Domo e Vogogna). Domo<br />
fu quindi sede di sottoprefettura. Nel 1806 fu pubblicato<br />
<strong>il</strong> Codice Napoleonico ed esteso anche al Regno<br />
d’<strong>It</strong>alia con decreto del 22 marzo 1806.<br />
Con decreto del 26 maggio 1807 furono abolite le società<br />
religiose i cui beni furono confiscati dallo Stato;<br />
seguì <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e 1810 un altro decreto che abolì tutte<br />
52<br />
quelle poche che erano riuscite in qualche modo a sopravvivere<br />
al decreto precedente. Questa ondata di giacobinismo<br />
ebbe in Ossola i suoi fanatici e provocò notevoli<br />
fermenti nel popolo che era molto attaccato alla<br />
religione ed alle sue istituzioni. Fu in questo periodo<br />
che in Ossola, come del resto in molte parti d’<strong>It</strong>alia, <strong>il</strong><br />
fanatismo anti-religioso produsse enormi danni culturali<br />
al patrimonio artistico. A titolo di esempio ricordiamo<br />
per l’Ossola la distruzione della chiesa duecentesca<br />
dei Francescani di Domo, con relativo campan<strong>il</strong>e,<br />
la trasformazione del convento dei Cappuccini del<br />
Sacro Monte Calvario in caserma, la sconsacrazione di<br />
chiese e cappelle a Vogogna e la dispersione di arredi sacri,<br />
libri, archivi ed opere d’arte che hanno impoverito<br />
l’Ossola.<br />
Queste ed altre angherie crearono nel popolo ossolano<br />
profonde basi di antipatia per le m<strong>il</strong>izie francesi onnipresenti,<br />
in cui troppi erano costretti a marciare per andare<br />
a morire nella disastrosa campagna di Russia. Furono<br />
molti in questo tempo coloro che disertarono o si<br />
diedero alla macchia, aspettando tempi migliori. Dopo<br />
la ritirata di Russia ed <strong>il</strong> decisivo tramonto della stella<br />
napoleonica (1813) con la battaglia di Lipsia (16-18<br />
ottobre) anche <strong>il</strong> territorio ossolano visse nella incertezza<br />
e si può dire nell’ascolto degli avvenimenti, le cui notizie<br />
erano riportate in patria dai rari sopravvissuti. Proprio<br />
nei primi giorni del 1814 numerose compagnie di<br />
soldati italiani e francesi stanno rientrando attraverso<br />
<strong>il</strong> Sempione in <strong>It</strong>alia, stanchi ed abbattuti, sospinti da<br />
contingenti austriaci e russi che occupano <strong>il</strong> Vallese.<br />
A Domodossola in quell’epoca comandava la piazza <strong>il</strong><br />
generale Bertoletti e questi fece qualche tentativo di difendere<br />
<strong>il</strong> passo del Sempione, ma le truppe non erano<br />
sufficienti. Ci fu qualche scontro di assaggio a Iselle ed<br />
a Gondo, ma non una vera battaglia. Il 1° marzo tuttavia<br />
una colonna al comando del colonnello Ponti riuscì<br />
ad occupare <strong>il</strong> valico del Sempione ed <strong>il</strong> giorno dopo<br />
tentò di scendere fino a Briga. Il Ponti però, credendo<br />
forse di avere dalla sua parte le popolazioni vallesane,<br />
imprudentemente si lasciò circondare dagli Austriaci<br />
forti di 200 cacciatori tirolesi affiancati da almeno<br />
100 Vallesani, e fu fatto prigioniero con la sua truppa.<br />
Gli Austriaci si portarono immediatamente attraverso<br />
la val Divedro a Crevola verso Domo. Il presidio di vo-
lontari abbandonò <strong>il</strong> castello di Domo ritirandosi nella<br />
Bassa Ossola. Il 9 marzo 1814 un piccolo esercito<br />
di 600 uomini, per metà tedeschi e bavaresi e per l’altra<br />
metà disertori italiani e vallesani, come si ha da una<br />
relazione al Ministro della guerra italiano, occupò senza<br />
colpo ferire Domodossola e l’Ossola Superiore fino a<br />
V<strong>il</strong>la e Vogogna. Il 12 marzo a nome del colonnello barone<br />
Seimcheim <strong>il</strong> capo dei cacciatori vallesani lanciò<br />
un proclama roboante alle popolazioni ossolane, che, se<br />
sotto alcuni aspetti pare ridicolo, sotto altri ci <strong>il</strong>lumina<br />
sulla vera situazione, toccando soprattutto gli equivoci<br />
di certe libertà proclamate e la realtà patente delle molte<br />
angherie a cui gli Ossolani erano stati sottoposti, prima<br />
fra tutte la coscrizione obbligatoria.<br />
Il generale Mazzucchelli a cui era stato affidato l’incarico<br />
della difesa dell’Ossola, manteneva la linea di difesa<br />
a Gravellona, ed un posto avanzato ad Ornavasso. Nell’Ossola<br />
Superiore era invece <strong>il</strong> generale Luxen che aveva<br />
<strong>il</strong> comando delle truppe austriache, ma pare che non<br />
avesse precise intenzioni di oltrepassare la linea V<strong>il</strong>la-<br />
Vogogna.<br />
Il 25 marzo 1814 <strong>il</strong> generale Mazzucchelli, avendo ottenuto<br />
<strong>il</strong> rinforzo di un distaccamento di 215 uomini<br />
di fanteria francese ed un altro di dragoni di Napoleone,<br />
affrontò gli Austriaci al ponte della Masone dove ci<br />
fu una piccola battaglia. Ritiratisi da quel luogo gli Austriaci<br />
si concentrarono al ponte di V<strong>il</strong>ladossola dove<br />
pure ci fu uno scontro di fuc<strong>il</strong>eria e di artiglieria. Temendo<br />
però di essere presi alle spalle da un contingente<br />
inviato dal Mazzucchelli verso Beura e Domo dal ponte<br />
della Masone, gli Austriaci si ritirarono ordinatamente<br />
in vai Divedro. In quel medesimo giorno ritornò a Domodossola<br />
<strong>il</strong> Viceprefetto e fu ricostruita la vecchia amministrazione.<br />
Prendeva intanto <strong>il</strong> comando delle truppe dell’Ossola<br />
<strong>il</strong> generale Saint Paul <strong>il</strong> quale però, come appare dalle<br />
sue relazioni inviate al Ministro della guerra, non poté<br />
contrastare <strong>il</strong> fenomeno dei molti disertori che si rifugiavano<br />
nelle valli e che non riusciva a intercettare, soprattutto<br />
per la protezione e l’omertà delle popolazioni<br />
locali e perfino delle autorità ormai stanche di tutte<br />
queste traversie.<br />
In questo periodo i molti scontenti, sbandati, disertori<br />
e insofferenti dell’autorità costituita che si erano ri-<br />
fugiati in Ossola e che provenivano in parte dalle vicine<br />
regioni del lago Maggiore ed Orta, scesero in aperta<br />
ribellione contro lo Stato. Riunitisi in bande, assaltarono<br />
parecchie case municipali dei comuni del lago<br />
Maggiore e circonvicini distruggendo soprattutto le liste<br />
di coscrizione m<strong>il</strong>itare, ma spesso mettendo a fuoco<br />
interi archivi.<br />
L’11 apr<strong>il</strong>e 1814 Napoleone abdicò e poco dopo (23<br />
apr<strong>il</strong>e) anche <strong>il</strong> viceré Eugenio Beauharnais cedette <strong>il</strong><br />
regno. Gli Austriaci rioccuparono la Lombardia.<br />
Eliminato con gli editti del 25 apr<strong>il</strong>e ed 11 maggio<br />
1814 <strong>il</strong> Dipartimento dell’Agogna, l’Ossola ed <strong>il</strong> Novarese<br />
cessarono di essere uniti a M<strong>il</strong>ano e si ricongiunsero<br />
agli Stadi Sardi. Il 20 maggio 1814 <strong>il</strong> re Vittorio<br />
Emanuele I è nuovamente, dalla Sardegna, di ritorno in<br />
Piemonte per riprendere i suoi domini.<br />
La caduta di Napoleone per molti Ossolani significava<br />
anche <strong>il</strong> ritorno all’antico ordinamento. Ci si preoccupava<br />
ancora della salvaguardia di quei famosi priv<strong>il</strong>egi<br />
per i quali erano stato fatte tante lotte e la cui conservazione<br />
era considerata necessaria per la stessa sopravvivenza<br />
del popolo.<br />
La rigida restaurazione voluta dalle potenze vincitrici<br />
pareva propizia per questa richiesta ossolana che infatti<br />
fu accettata. Il 17 marzo 1815 con decreto camerale gli<br />
Ossolani ottennero la conferma dei loro priv<strong>il</strong>egi.<br />
Dal 3 giugno alla fine di luglio l’Ossola è continuamente<br />
attraversata da numerosi corpi di m<strong>il</strong>itari con cariaggi<br />
e cannoni. Sono ben 75.000 uomini, 10.000 cavalli,<br />
2.000 carri, 1.300 buoi, 180 cannoni e 6.000 aus<strong>il</strong>iari<br />
dell’esercito austriaco. Questo attraversamento non fu<br />
senza le contribuzioni e le solite requisizioni di fieno,<br />
bestiame, cibarie ed alloggi a spese degli Ossolani, nonostante<br />
i famosi priv<strong>il</strong>egi tornati in funzione. Fu questa<br />
però l’ultima loro approvazione. II Regio Biglietto<br />
del 23 giugno diede un colpo a tutta la struttura civ<strong>il</strong>e<br />
dei comuni ossolani togliendo l’antica distinzione tra<br />
i vicini e non vicini o appoggiati. Anche questo decreto<br />
non incontrò <strong>il</strong> favore degli Ossolani i quali in qualche<br />
caso si mostrarono renitenti alla sua osservanza, ma<br />
le richieste dei non vicini furono tali che dovette essere<br />
applicato integralmente. E bisogna riconoscere che, nonostante<br />
tutto, era una non piccola riforma ed un passo<br />
notevole in avanti sulla via dell’ammodernamento<br />
53
dell’Ossola.<br />
Con <strong>il</strong> Regio Editto del 10 novembre 1818 l’Ossola Superiore<br />
fu costituita in provincia suddivisa nei mandamenti<br />
di Crodo, S. Maria Maggiore, Bannio e Domodossola.<br />
Al mandamento di Domo furono aggiunte le<br />
Quattro Terre (Masera, Trontano, Beura e Cardezza) e<br />
Pallanzeno. Il Regio Editto del 28 settembre 1822 istituiva<br />
a Domodossola <strong>il</strong> tribunale prefetturale.<br />
Le Regie Patenti del 10 ottobre 1836 vennero a sopprimere<br />
la provincia dell’Ossola che fu aggregata a quella<br />
di Pallanza. Fu però ristab<strong>il</strong>ita con <strong>il</strong> decreto del re Carlo<br />
Alberto (15 nov. 1844). Nel 1861 nasce la provincia<br />
di Novara e l’Ossola si riduce a sottoprefettura che dura<br />
fino al 1927. I priv<strong>il</strong>egi ossolani restarono almeno formalmente<br />
in vigore fino al 1848, allorché con la proclamazione<br />
dello Statuto furono abolite non solo le Costituzioni<br />
del 1770, richiamate in vigore al ritorno in Piemonte<br />
di Vittorio Emanuele I, ma anche tutte le leggi<br />
particolari concesse nel periodo anteriore. Essi caddero<br />
uno dopo l’altro negli anni seguenti senza alcun compenso<br />
per gli Ossolani. I progetti per collegare la Lombardia<br />
ed <strong>il</strong> Piemonte con <strong>il</strong> Vallese ed i paesi transalpini<br />
nacquero abbastanza presto, cioè già nel 1856; tuttavia<br />
passeranno ancora cinquant’anni prima che divengano<br />
realtà con <strong>il</strong> grande traforo del Sempione.<br />
Premeva intanto alla regione ossolana un rapido collegamento<br />
con <strong>il</strong> resto delle regioni subalpine per toglierla<br />
dall’isolamento. Anche le d<strong>il</strong>igenze con i cavalli, tanto<br />
gloriose con l’apertura della strada napoleonica del<br />
Sempione, erano ormai sorpassate. La nuova civ<strong>il</strong>tà industriale<br />
era all’insegna del vapore e della locomotiva.<br />
Nel 1857 <strong>il</strong> Parlamento Subalpino con legge del 12 giugno<br />
concesse alla società Lavallette la costruzione, senza<br />
concorso di spese da parte dello Stato, di una ferrovia<br />
da Arona a Domodossola che prevedeva poi <strong>il</strong> raccordo<br />
con le linee svizzere nel Vallese.<br />
La società Lavallette costruì effettivamente da Domodossola<br />
fino ad Ornavasso un tratto di massicciata con<br />
relative opere murarie, ponti ecc. per sistemare <strong>il</strong> binario<br />
della progettata linea: in tutto 14 km. A V<strong>il</strong>ladossola<br />
erano stati a questo scopo rinforzati gli argini dell’Ovesca<br />
e poste anche le teste del ponte della ferrovia. Ma<br />
nel 1865 la società Lavallette fallì e la costruzione fu sospesa.<br />
Della massicciata se ne impadronirono i rovi.<br />
54<br />
Il 10 febbraio 1877 <strong>il</strong> Municipio di Domodossola presentò<br />
un memoriale al Ministero dei Lavori Pubblici, a<br />
seguito del quale <strong>il</strong> Governo tolse la concessione alla società<br />
fallita, avocando a sé l’impegno di portare avanti<br />
<strong>il</strong> progetto, inserendolo però nel nuovo disegno che<br />
prevedeva <strong>il</strong> collegamento Domodossola-Gozzano per<br />
Gravellona, Omegna ed <strong>il</strong> lago d’Orta. Tuttavia anche<br />
la realizzazione di questo progetto andava molto a r<strong>il</strong>ento<br />
e pareva che non dovesse mai tradursi in realtà. Il<br />
29 luglio 1881 i comuni dell’Alta e Bassa Ossola inviano<br />
una «Petizione al Ministro dei Lavori Pubblici» per <strong>il</strong><br />
sollecito compimento della linea di accesso al Sempione,<br />
congiungente Gozzano con Domodossola. Ci si lamenta<br />
anzitutto che dal 1848 in poi siano stati ad uno<br />
ad uno annullati quei priv<strong>il</strong>egi ossolani che erano giustificati<br />
dalla sfortunata situazione geografica della regione.<br />
Mercé le enumerate esenzioni che aveva acquistate<br />
a peso d’oro, l’Ossola fioriva per agiatezza dei suoi abitanti,<br />
i quali gradatamente vennero spogliati di tutti i benefici,<br />
assoggettati a tutte le tasse erariali senza <strong>il</strong> più lieve<br />
compenso, ed oggi corrisponde allo Stato per imposte di diversa<br />
natura oltre un m<strong>il</strong>ione e mezzo di lire, che, pei sedici<br />
anni trascorsi, dal 1865 epoca in cui cessò l’ultima esenzione<br />
al corrente 1881, sono oltre 24 m<strong>il</strong>ioni di lire versate<br />
nelle casse erariali; ed è fuori di dubbio che conquistò<br />
<strong>il</strong> diritto di reclamare la sua parte di concorso ai benefici<br />
che lo Stato con larga mano sparge a migliorare le condizioni<br />
economiche delle popolazioni; ma non ostante questi<br />
suoi titoli più volte messi in evidenza a chi per lo passato<br />
resse <strong>il</strong> supremo potere della cosa pubblica, fu lasciata in<br />
tale isolamento ed abbandono che ora le popolazioni devono<br />
in maggiori proporzioni emigrare e cercare all’esterno <strong>il</strong><br />
pane loro tolto dalle eccezionali gravezze e dalla decadenza<br />
del commercio un dì fiorentissimo e spostato dal ritrovato<br />
dei rapidi mezzi di comunicazione e di trasporto...<br />
L’Eccellenza vostra rammenti quanto l’Ossola perdetta rassegnata<br />
per <strong>il</strong> benessere generale della nazione; rammenti<br />
la necessità imperiosa che le industrie dell’Ossola provano<br />
di poter usufruire dei mezzi economici di trasporto mercé<br />
i quali potranno ampliarsi, e raddoppiare la loro produzione<br />
con beneficio generale, mentre tantissime altre troveranno<br />
potente convenienza d’impiantarsi usufruendo della<br />
forza motrice che scorre potente ed inoperosa nei fiumi<br />
confluenti del Toce.
Piazza del Mercato a Domodossola (Samuel Prout, 1839).<br />
Il tratto di ferrovia che collega Novara con Gozzano era<br />
<strong>il</strong> più fac<strong>il</strong>e e fu completato nel 1864. Per raggiungere<br />
Orta furono necessari altri 20 anni. Il 30 apr<strong>il</strong>e 1887 fu<br />
aperto <strong>il</strong> tratto Orta-Gravellona.<br />
A Domodossola la ferrovia arrivò solo l’8 settembre<br />
1888 passando per Ornavasso, Cuzzago, Premosello,<br />
Vogogna, Piedimuiera, Pallanzeno e V<strong>il</strong>ladossola. Questa<br />
ferrovia fu <strong>il</strong> primo asse vitale che diede impulso e<br />
vigore all’economia ed alle molteplici attività industriali<br />
e commerciali dell’Ossola. V<strong>il</strong>la ne ebbe grandi vantaggi;<br />
alla fine del secolo ferveva l’industria siderurgica e ci<br />
si avviava allo sfruttamento della nuova fonte di energia<br />
che in Ossola sarà tanto importante. È infatti del 1898<br />
l’entrata in servizio della prima centrale elettrica dell’Ossola<br />
che la ditta Pietro Maria Ceretti costruì in valle<br />
Antrona, alla quale fecero seguito impianti sempre<br />
più grandiosi, talmente che nel secolo seguente l’Ossola<br />
poté fornire una enorme quantità di energia elettrica<br />
non solo alle proprie industrie, ma anche a quelle della<br />
pianura lombarda.<br />
Tempi moderni<br />
All’inizio del secolo XX l’Ossola è tutta un cantiere operoso<br />
e risonante di rumori e di insolite favelle.<br />
Si lavorava alla costruzione della linea ferroviaria Domodossola-Arona<br />
ed al tratto Domodossola-Iselle. Si<br />
sta scavando la galleria del Sempione.<br />
È questo un capitolo di storia ossolana ed internazionale<br />
che merita una trattazione a parte per la sua importanza<br />
e per le enormi conseguenze di cui è stata matrice.<br />
Ci limitiamo ad accennarne appena, rimandando a<br />
pubblicazioni numerose ed esaurienti riguardanti sia <strong>il</strong><br />
lato tecnico che storico della grande impresa.<br />
Se ne parlava già da mezzo secolo. Molti i progetti, gli<br />
studi preliminari, gli approcci ed i trattati fra gli Stati<br />
interessati.<br />
Giunse anche, finalmente, <strong>il</strong> tempo della realizzazione.<br />
Il 1° agosto 1898 a Briga sul versante svizzero si affronta<br />
la dura roccia alpina e si dà inizio alla titanica impresa.<br />
È una grande ed ordinata battaglia guidata da ingegneri<br />
e tecnici e combattuta da schiere di operai che<br />
55
conquistavano <strong>il</strong> cuore della montagna a colpi di mina.<br />
Il 16 agosto si sferra <strong>il</strong> primo attacco anche sul versante<br />
italiano a Iselle. Il lavoro è assunto dall’Impresa Brand-<br />
Brandau che impiega parecchie migliaia di operai, per<br />
la maggior parte italiani, e dispone di nuove e potenti<br />
perforatrici idrauliche. Ogni ch<strong>il</strong>ometro di avanzamento<br />
è una vittoria della scienza, della tecnica e della civ<strong>il</strong>tà,<br />
ma è largamente pagata dalle fatiche degli uomini e<br />
dalle loro stesse vite.<br />
Il 24 febbraio 1905, dopo anni di lavoro ostinato e dispendioso,<br />
le due gallerie di avanzamento si abboccano<br />
nel cuore della montagna ed <strong>il</strong> 2 apr<strong>il</strong>e 1905 due convogli<br />
imbandierati inaugurano <strong>il</strong> percorso incontrandosi<br />
festosamente a metà della galleria, dove mons. Abbet<br />
vescovo di Sion, benedice <strong>il</strong> traforo. La galleria misura<br />
19.803,1 metri. Il 19 maggio 1906 <strong>il</strong> re Vittorio Emanuele<br />
III venne in visita nell’Ossola con i rappresentanti<br />
del governo e, unitamente al Presidente della Confederazione<br />
Elvetica, inaugurò <strong>il</strong> traforo del Sempione.<br />
Anche le linee di accesso erano state completate. Il 15<br />
gennaio 1905 era stata ufficialmente aperta la linea Domodossola-Iselle.<br />
Attraverso l’Ossola cominciava così a<br />
scorrere una delle più importanti correnti del traffico<br />
internazionale europeo.<br />
56<br />
Per la realizzazione del traforo del Sempione vennero in<br />
Ossola molti operai da altre regioni italiane; alcuni di<br />
essi, a lavoro finito, fissarono in questa regione la loro<br />
residenza, inserendosi come elementi attivi nel contesto<br />
ossolano. In occasione dei lavori del traforo del Sempione<br />
sorsero nuove industrie, mentre altre sv<strong>il</strong>upparono la<br />
loro attività, portandosi ad una efficienza competitiva.<br />
Con l’apertura della linea del Sempione, l’Ossola entrò<br />
vivacemente nella storia economica, sociale e politica<br />
d’<strong>It</strong>alia. Crebbero le industrie, vennero sfruttate le sorgenti<br />
di energia idraulica per la produzione di elettricità,<br />
si avviò un processo di industrializzazione che richiamò<br />
lavoratori da ogni parte d’<strong>It</strong>alia, ma specialmente<br />
veneti, romagnoli e calabresi. Anche l’Ossola subì tuttavia<br />
i sacrifici della grande guerra mondiale (1915-1918)<br />
con un forte contributo di vite umane e visse la crisi<br />
post bellica che condusse all’avvento del fascismo e della<br />
successiva guerra disastrosa a fianco della Germania<br />
(1940-1945). Anche nell’Ossola ci furono movimenti<br />
di liberazione in opposizione alle m<strong>il</strong>izie fasciste e tedesche<br />
che condussero alla effimera «repubblica» dell’Ossola;<br />
quindi la liberazione dell’<strong>It</strong>alia per opera degli<br />
Americani e dei loro alleati, ci portò alle soglie dei tempi<br />
più recenti.
La “repubblica” dell’Ossola<br />
Paolo Bologna<br />
La “repubblica” dell’Ossola è certamente la più nota e<br />
prestigiosa delle 18 “zone libere” partigiane che ebbero<br />
vita tra estate e autunno 1944 in piena occupazione<br />
tedesca 1 . L’esperienza ossolana prese l’avvio con la resa<br />
dei presidi nazifascisti 2 alle forze partigiane, conclusa<br />
nel tardo pomeriggio del 9 settembre 1944 al Croppo<br />
di Trontano all’immediata periferia di Domodossola.<br />
La trattativa tra ufficiali partigiani (delle formazioni<br />
“Valdossola” e “Valtoce”), tedeschi e della M<strong>il</strong>izia fascista,<br />
fu ab<strong>il</strong>mente mediata dai parroci di Masera, don<br />
Severino Baldoni, e di Domodossola don Luigi Pellanda.<br />
Questi seppero ben rappresentare alla delegazione<br />
tedesco-fascista la convenienza di venire a un rapido accordo<br />
con le due formazioni “autonome”, considerate<br />
moderate, approfittando dell’assenza dei più temib<strong>il</strong>i<br />
“garibaldini”. Tali argomenti e una voluta esagerazione<br />
del potenziale in uomini e armi dei partigiani risultarono<br />
convincenti evitando così la contrapposizione armata<br />
tra gli opposti schieramenti, prospettiva che non entusiasmava<br />
nessuno.<br />
Così la delegazione partigiana consentì sbrigativamente<br />
che gli ufficiali tedeschi conservassero l’arma individuale,<br />
che la loro truppa si tenesse anche le armi di<br />
accompagnamento di fabbricazione germanica purché<br />
tutti abbandonassero la zona. In mano partigiana, garibaldini<br />
esclusi, cadde comunque un prezioso quantitativo<br />
di armi e munizioni.<br />
Le condizioni della resa vennero poi criticate dagli irritati<br />
garibaldini e successivamente anche dal colonnello<br />
Giuseppe Curreno della Maddalena (Delle Torri) del<br />
“Comando Unico zona Ossola” in una sua relazione al<br />
C.V.L. 3 .<br />
La liberazione del settembre coronava un periodo di<br />
particolare vivacità e combattività delle forze partigiane<br />
della zona, malgrado che nel giugno precedente un<br />
pesante rastrellamento condotto da numerose truppe<br />
tedesche e fasciste nel comprensorio montano della Val<br />
Grande avesse inferto un duro colpo alle formazioni ivi<br />
insediate, la “Valdossola” di Dionigi Superti e le meno<br />
numerose “Giovane <strong>It</strong>alia” e “Cesare Battisti”. Su poco<br />
meno di 500 partigiani impegnati dagli attaccanti, quasi<br />
300 erano caduti in combattimento o nelle allucinanti<br />
fuc<strong>il</strong>azioni (quasi sempre precedute, in questa e in altre<br />
occasioni, da sevizie inferte ai prigionieri) seguite al<br />
rastrellamento. In dieci giorni, dal 17 al 27 giugno e in<br />
nove località diverse i fuc<strong>il</strong>ati furono circa un centinaio<br />
tra cui, <strong>il</strong> giorno 20, le quarantadue vittime di Fondotoce.<br />
Un 43° prigioniero compreso fra i morituri, <strong>il</strong> diciottenne<br />
Carlo Suzzi di Busto Arsizio riuscì a salvarsi<br />
benché ferito, uscendo nottetempo dall’ammasso dei<br />
cadaveri dei compagni.<br />
Contrariamente alle previsioni dei nazifascisti, dopo<br />
quel sanguinoso rastrellamento le forze partigiane avevano<br />
ripreso vigore. La ricostituita “Valdossola”, con<br />
circa 150 uomini, si era insediata sulle alture sovrastanti<br />
Premosello e controllava la sinistra orografica del Toce<br />
da Beura sino a Mergozzo. Nell’Intrese operavano i garibaldini<br />
della 85 a Brigata “Valgrande martire” (nata da<br />
una scissione con la formazione di Superti) comandata<br />
da Mario Muneghina. Tra Intra e Cannero e la retrostante<br />
Valle Cannobina agivano la “Cesare Battisti”<br />
di Armando Calzavara (Arca) con circa 80 uomini e la<br />
“Generale Perotti” 4 di F<strong>il</strong>ippo Frassati (Pippo) con circa<br />
60. Dall’unione operativa di queste due formazioni<br />
nacque nell’agosto la Brigata “Piave”. Sulla destra del<br />
Toce era presente la “Valtoce” di Alfredo Di Dio che<br />
aveva le sue basi operative sopra Ornavasso.<br />
Verso <strong>il</strong> Cusio era tradizionalmente insediata la “F<strong>il</strong>ippo<br />
Beltrami” al comando di Bruno Rutto, che aveva<br />
raccolto l’eredità dell’omegnese capitano Beltrami,<br />
57
caduto a Mégolo nel febbraio precedente. I garibaldini<br />
dal canto loro tenevano da tempo i passi alpini di Baranca<br />
e del Turlo che dalla Valle Anzasca mettevano in<br />
comunicazione con la Val Sesia dove era <strong>il</strong> comando di<br />
tali formazioni, tenuto da Eraldo Gastone (Ciro) e da<br />
Vincenzo Moscatelli (Cino). Dalla Val Sesia i loro reparti<br />
si erano spinti per l’Anzasca nelle Valli di Antrona,<br />
di Bognanco, di Antigorio e assorbiranno poi <strong>il</strong> battaglione<br />
autonomo “Fabbri” organizzato dai fratelli Ugo e<br />
Ottavio Scrittori di V<strong>il</strong>ladossola dando vita alla 83 a Brigata<br />
garibaldina “Comolli”.Con l’aumento degli organici<br />
poco prima della liberazione dell’Ossola, venne costituita<br />
la 2 a Divisione Garibaldi “Redi” 5 .<br />
Tra l’alta Valle Isorno e le valli Antigorio e Vigezzo era<br />
infine presente un’altra formazione autonoma di Pietro<br />
Carlo Viglio; diventerà poi la “Brigata Matteotti”.<br />
In totale le forze partigiane alla vig<strong>il</strong>ia della liberazione<br />
dell’Ossola assommavano a 1500 uomini o poco più,<br />
non tutti armati.<br />
Nell’agosto si intensificò la pressione dei partigiani sui<br />
presidi nazifascisti, sempre più in difficoltà nel contrastare<br />
gli antagonisti delle varie formazioni, che compivano<br />
frequenti colpi di mano, controllavano con improvvisi<br />
blocchi le strade delle valli e la nazionale del<br />
Sempione, interrompevano le comunicazioni ferroviarie<br />
e spesso l’erogazione di energia elettrica prodotta<br />
nell’Ossola e diretta alle industrie. Occupanti e fascisti<br />
si sentirono sempre più isolati, scollegati dai comandi,<br />
costretti a rinchiudersi a difesa nei loro alloggiamenti.<br />
I tedeschi incorporavano oltre a un contingente di efficiente<br />
polizia m<strong>il</strong>itare, parecchi uomini con notevole<br />
anzianità di servizio (la Germania era in guerra da 5<br />
anni) di truppa confinaria-doganale, addirittura alcuni<br />
reparti di ex prigionieri di guerra dei Paesi dell’Est. La<br />
truppa fascista era composta da un coacervo di M<strong>il</strong>izia<br />
Confinaria e ordinaria raggruppate nella G.N.R. 6 , dalla<br />
neonata “Brigata Nera” istituita in luglio, da coscritti<br />
dell’esercito regolare con compiti aus<strong>il</strong>iari. In complesso,<br />
un campionario m<strong>il</strong>itare che proprio sul finire di<br />
quella calda estate accusò rese e diserzioni, individuali e<br />
di gruppo, ma ancora capace di pericolose reazioni, che<br />
purtroppo si verificarono.<br />
Il 26 agosto un picchetto tedesco passò per le armi nel<br />
carcere di Domodossola tre giovani che vi erano stati<br />
58<br />
rinchiusi dalla M<strong>il</strong>izia; l’esecuzione venne messa in relazione<br />
col recente ferimento del comandante del presidio<br />
germanico. Ancora, in quegli ultimi convulsi giorni,<br />
un operaio padre di tre figli venne colpito a morte<br />
da due giovanissimi m<strong>il</strong>iti in una via della città, un partigiano<br />
vigezzino tratto di prigione e ucciso. Il suo corpo<br />
massacrato (frequente <strong>il</strong> ricorso, da parte dei m<strong>il</strong>iti<br />
fascisti, all’orrendo v<strong>il</strong>ipendio dei cadaveri) venne abbandonato<br />
sulle rive del Toce. Infine a Premosello l’ultimo<br />
sanguinoso colpo di coda di fine agosto. Il 29, in<br />
risposta alla cattura di un loro motociclista, numerosi<br />
tedeschi giunsero in paese e uccisero a fuc<strong>il</strong>ate e pugnalate<br />
un partigiano e quattro innocenti anziani (di<br />
cui due donne), incendiarono alcune case e prelevarono<br />
una cinquantina di ostaggi.<br />
Ma nei giorni successivi dal 2 all’8 settembre in rapide<br />
sequenze si strinse infine <strong>il</strong> cerchio attorno a Domodossola.<br />
Alcune fortunate azioni forzarono le chiavi di volta<br />
della difesa nazifascista ponendo così le premesse per<br />
la resa, benchè in città si fosse concentrata una ancor rispettab<strong>il</strong>e<br />
forza di almeno 600 uomini, costretti dunque<br />
ad alzare bandiera bianca. II 2 settembre la “Piave”<br />
riuscì a liberare Cannobio sul Lago Maggiore mentre<br />
i garibaldini della “Valgrande Martire” impegnavano a<br />
scopo diversivo <strong>il</strong> munito presidio di Intra, poi <strong>il</strong> nemico<br />
dovette evacuare Oggebbio e quindi tutta la fascia<br />
rivierasca dal confine di Piaggio Valmara sino alle porte<br />
di Intra. Ancora la “Piave” dalla Cannobina per <strong>il</strong> Passo<br />
di Finero e per la Valle Vigezzo scese nell’Ossola liberando<br />
Malesco, raggiungendo da qui <strong>il</strong> valico di Ponte<br />
Ribellasca da un lato, Santa Maria Maggiore e Druogno<br />
dall’altro e assediando <strong>il</strong> giorno successivo Masera<br />
dove impegnò combattimento.<br />
L’8 i garibaldini, che avevano già sloggiato tedeschi e<br />
m<strong>il</strong>izia dalle altre valli entrarono a Varzo (i tedeschi del<br />
presidio ebbero via libera per la vicina Svizzera) e a Crevoladossola,<br />
mentre “Valtoce” e “Valdossola” attaccarono<br />
e dispersero <strong>il</strong> presidio di Piedimulera forte di oltre<br />
100 uomini fra tedeschi (che alle prime avvisaglie abbandonarono<br />
<strong>il</strong> campo) e fascisti, che sostennero <strong>il</strong> peso<br />
dell’attacco lasciando sul terreno alcuni morti.<br />
Il capoluogo ossolano fu così completamente isolato e<br />
si giunse alla resa del Croppo mentre i partigiani persero<br />
Cannobio sul lago Maggiore, rioccupata agevolmen-
te da un forte contingente di fascisti (paracadutisti dell’Aeronautica<br />
e allievi ufficiali della G.N.R.) appoggiati<br />
da tedeschi e da artiglieria. Dovette quindi venire arretrato<br />
al ponte di Falmenta a circa metà della stretta Valle<br />
Cannobina <strong>il</strong> confine della zona libera; e non riuscì<br />
poi <strong>il</strong> tentativo di allargarla sino all’importante e strategico<br />
crocevia di Gravellona Toce, obiettivo di un azzardato<br />
attacco, dopo che <strong>il</strong> 12 settembre “Garibaldi” e<br />
“Beltrami” erano riuscite a occupare temporaneamente<br />
Omegna. Nei furiosi combattimenti protrattisi per due<br />
giorni i partigiani subirono perdite dolorose e dovettero<br />
infine desistere. Come Cannobio, anche Gravellona<br />
rimase così in mano fascista.<br />
Il territorio della zona liberata comprendeva tutta la<br />
vallata dell’Ossola, con l’appendice della Cannobina<br />
gravitante sul Lago Maggiore. I centri principali della<br />
regione in mano partigiana oltre alla stessa Domodossola<br />
erano V<strong>il</strong>ladossola, Ornavasso e Mergozzo. In<br />
mano nemica restava <strong>il</strong> lato inferiore del grosso triangolo<br />
che configura l’Ossola cioè la fascia rivierasca del<br />
Lago Maggiore dal confine italo-svizzero di Piaggio Valmara<br />
sino a Verbania-Fondotoce e al nodo stradale di<br />
Gravellona Toce.<br />
Domodossola, settembre 1944, durante i funerali dei fratelli Vigorelli e di altri caduti partigiani.<br />
La liberazione dell’Ossola costituì in pratica <strong>il</strong> coronamento<br />
di un progetto abbozzato e discusso nei mesi<br />
precedenti tra <strong>il</strong> capo della Missione inglese a Lugano<br />
(Special Operation’s Service), Mc Caffery ed esponenti<br />
del C.L.N.A.I. 7 che ipotizzava lo sgombero del territorio<br />
ossolano per trasformarlo in una testa di ponte, capace<br />
di ricevere anche aviosbarchi alleati, per un attacco<br />
alla pianura padana. L’iniziativa era caldeggiata dallo<br />
stesso Ettore Tibaldi, noto antifascista e primario dell’ospedale<br />
di Domodossola che dopo l’insurrezione di<br />
V<strong>il</strong>ladossola dell’8 novembre 1943 si era rifugiato a Lugano.<br />
Dal canto suo <strong>il</strong> comandante garibaldino Ciro<br />
(Gastone) aveva proposto l’istituzione di un comando<br />
unico per tutte le formazioni partigiane della fascia alpina<br />
del Biellese, Valsesia, Ossola e Verbano, come passaggio<br />
operativo necessario per giungere alla liberazione<br />
delle suddette vallate. Se <strong>il</strong> progetto alleato non venne<br />
ulteriormente approfondito i garibaldini dalla Val Sesia<br />
spinsero però la loro penetrazione nelle valli dell’Ossola.<br />
A Domodossola la nascita ufficiale della “repubblica” 8<br />
fu annunciata <strong>il</strong> 10 settembre da un manifesto, che ordinava<br />
la costituzione di una Giunta provvisoria amministrativa<br />
per la città di Domodossola e territori circostan-<br />
59
Cippo a ricordo del confine della “Repubblica dell’Ossola”.<br />
ti. Capo indiscusso della Giunta fu <strong>il</strong> socialista Tibaldi<br />
che all’atto di lasciare Lugano per rientrare in Ossola<br />
si preoccupò di intrattenere gli Alleati sollecitandone<br />
l’aiuto. Affiancavano <strong>il</strong> Tibaldi <strong>il</strong> sacerdote Luigi Zoppetti,<br />
<strong>il</strong> comunista Giacomo Roberti (nei giorni successivi<br />
vennero sostituiti rispettivamente da don Gaudenzio<br />
Cabalà e da “Oreste F<strong>il</strong>opanti”, <strong>il</strong> ferroviere Em<strong>il</strong>io<br />
Colombo), l’indipendente ing. Giorgio Ballarini e <strong>il</strong> dr.<br />
Alberto Nob<strong>il</strong>i, liberale.<br />
La Giunta rifletteva nella sua composizione le diverse<br />
forze politiche impegnate nella lotta di liberazione. Nei<br />
giorni successivi, anche su suggerimento del C.L.N.A.I.<br />
che desiderava una maggiore articolazione e rappresentatività<br />
dei Partiti, vennero cooptati altri commissari:<br />
<strong>il</strong> socialista prof. Mario Bonfantini, l’azionista ing. Severino<br />
Cristofoli, <strong>il</strong> democristiano avv. Natale Menotti<br />
e la comunista Gisella Floreanini. In aiuto al segretario<br />
avv. Oreste Barbieri, un funzionario a riposo del Comune<br />
di Domodossola, venne nominato un “aggiunto”<br />
nella persona di Umberto Terracini.<br />
Ogni membro si occupava di diversi settori della vita<br />
amministrativa, dalle finanze ai trasporti, dal lavoro all’istruzione<br />
sino ai collegamenti col C.L.N. e con l’autorità<br />
m<strong>il</strong>itare di occupazione (sic), cioè le formazioni<br />
60<br />
partigiane. Fra le attribuzioni del Presidente c’era anche<br />
quella dei rapporti con l’Estero e ciò provocò una pronta<br />
lagnanza della delegazione luganese del C.L.N.A.I.<br />
che ritenne inammissib<strong>il</strong>e un ministero degli Esteri così<br />
come censurò l’ordine di costituzione emanato dal Superti<br />
dichiarandolo nullo e privo di effetto perché di<br />
competenza del C.L.N. e non dei comandanti m<strong>il</strong>itari<br />
del C.V.L.<br />
Gli scogli furono superati (abbiamo provveduto a mettere<br />
le cose a posto scriveva la delegazione luganese del<br />
C.L.N.A.I. <strong>il</strong> 18 settembre) con buon senso ma nel rispetto<br />
della legalità. La nomina della Giunta venne ratificata<br />
non appena <strong>il</strong> verbale di costituzione e di insediamento<br />
dell’11 settembre giunse a Lugano, mentre per<br />
i contatti con l’estero (in pratica con la Svizzera) <strong>il</strong> conflitto<br />
venne composto con la nomina di un rappresentante<br />
della Giunta nella persona dell’on. Cipriano Facchinetti<br />
residente a Lugano. Tramite la Legazione d’<strong>It</strong>alia<br />
a Berna la Giunta prese contatto col legittimo governo<br />
nazionale di Roma ricevendone un entusiastico telegramma<br />
a firma di Bonomi (un secondo messaggio<br />
venne inviato al comando partigiano) con assicurazioni<br />
e promesse che poi <strong>il</strong> precipitare degli avvenimenti vanificò<br />
completamente.<br />
Intanto in città si ricostituiva <strong>il</strong> C.L.N., composto dal<br />
liberale avv. Tito Chiovenda, dal socialista avv. Ugo<br />
Porzio Giovanola, dall’azionista prof. Gianfranco Contini,<br />
dal comunista Giuseppe Marchioni e dal sacerdote<br />
prof. Luigi Zoppetti per la D.C. Si formava la Giunta<br />
comunale con cinque membri (sindaco <strong>il</strong> socialista<br />
geom. Carlo Lightowler) e anche negli altri comuni della<br />
zona nascevano i C.L.N. e si nominavano sindaci in<br />
sostituzione dei destituiti podestà.<br />
A breve distanza dall’entrata dei partigiani nel capoluogo<br />
gli organismi civ<strong>il</strong>i si dettero così una struttura operativa.<br />
Nel clima di entusiasmo che aveva pervaso gli ossolani<br />
si organizzarono <strong>il</strong> Fronte della Gioventù a Domodossola,<br />
V<strong>il</strong>ladossola e Varzo, l’Unione Donne <strong>It</strong>aliane<br />
col Gruppo difesa Donne, le Camere del Lavoro<br />
a Domodossola e a V<strong>il</strong>ladossola. Si elessero commissioni<br />
interne di fabbrica destituendo quelle nominate durante<br />
<strong>il</strong> fascismo. Risorsero i sindacati liberi che chiesero,<br />
come prima rivendicazione, un miglioramento salariale<br />
di 3 lire giornaliere e aumenti di stipendi per i di-
pendenti del pubblico impiego. Furono tenuti vari comizi<br />
e la stampa ebbe un eccezionale sv<strong>il</strong>uppo. A cura<br />
della Giunta uscirono quattro numeri del settimanale<br />
Liberazione e parecchi numeri del Bollettino di informazione.<br />
I garibaldini pubblicarono Unità e libertà. L’Unità<br />
e L’Avanti! uscirono con un numero speciale, la formazione<br />
di Di Dio dette alle stampe Valtoce e la “Matteotti”<br />
di recente costituzione pubblicò un numero de<br />
Il Patriota. L’installazione di una emittente radiofonica<br />
(se ne erano occupati l’ing. Bruno Zamproni di Domodossola<br />
e <strong>il</strong> radiotecnico Benvenuto Trischetti) dovette<br />
arrestarsi alle prove tecniche per la sopravvenuta rioccupazione<br />
nazifascista della zona.<br />
Nelle dodici sedute tenute nel capoluogo ossolano e nella<br />
13 a ed ultima a Premia quando Domodossola era già<br />
stata evacuata, la Giunta deliberò in materia di economia<br />
e di finanza, sociale e assistenziale, valutaria, in merito<br />
all’approvvigionamento dei viveri necessari alla popolazione<br />
civ<strong>il</strong>e e ai reparti armati; si occupò della toponomastica<br />
cittadina per <strong>il</strong> cambiamento di denomina-<br />
M<strong>il</strong>itari svizzeri e partigiani ossolani alla frontiera Iselle - Gondo.<br />
zione di vie e piazze dedicate a personaggi o avvenimenti<br />
fascisti, approvò la stampigliatura dei francobolli correnti<br />
istruendo regolare pratica con l’U.P.U. (Unione<br />
Postale Universale) di Ginevra. Vennero anche istituite<br />
la commissione di epurazione per esaminare la posizione<br />
di iscritti al P.R.F. 9 , m<strong>il</strong>iti fascisti, collaborazionisti<br />
ecc. rimasti in zona e rinchiusi nelle carceri cittadine,<br />
poi, rivelatesi queste insufficienti, nel teatro “Galletti”<br />
e infine trasferiti nel più ampio campo di concentramento<br />
istituito a Druogno nella “colonia estiva” della<br />
località. La sorveglianza dei detenuti, <strong>il</strong> cui numero<br />
salì in pochi giorni a più di 250, era affidata alla “Guardia<br />
Nazionale”, un organismo di polizia costituito nella<br />
seduta del 14 settembre, che raggruppava gli elementi<br />
già appartenenti a Carabinieri, Finanza, Pubblica Sicurezza,<br />
Forestale oltre a volontari locali. Il nuovo Corpo<br />
era agli ordini del colonnello Att<strong>il</strong>io Moneta e doveva,<br />
tra l’altro, evitare interferenze e iniziative delle varie<br />
polizie m<strong>il</strong>itari delle singole formazioni, che in quei<br />
giorni agirono senza coordinamento, causando lagnan-<br />
61
ze che la Giunta fece proprie e cui cercò di porre rimedio.<br />
L’amministrazione della giustizia fu affidata all’avvocato<br />
m<strong>il</strong>anese Ezio Vigorelli, socialista, con l’incarico<br />
di consulente legale e giudice straordinario. Vigorelli,<br />
i cui due giovani figli Bruno e Adolfo nel giugno precedente<br />
erano morti nel rastrellamento della Val Grande,<br />
dette prova di serena prudenza giuridica e di onestà<br />
personale. I reggitori della “repubblica” non consentirono<br />
vendette né ordinarono alcuna esecuzione, anche se<br />
nell’arco temporale della liberazione ossolana i tribunali<br />
delle formazioni partigiane (sottratti alla giurisdizione<br />
del giudice straordinario) eseguirono alcune fuc<strong>il</strong>azioni.<br />
Vigorelli non fu <strong>il</strong> solo consulente esterno cui la Giunta<br />
si rivolse nel suo esperimento di libero governo: in altri<br />
campi dettero la loro collaborazione oltre al già citato<br />
Facchinetti, Luigi (Gigino) Battisti, figlio dell’eroe<br />
trentino, che curava i rapporti economici con la Svizzera<br />
e che tentò inut<strong>il</strong>mente di ottenere dal governo elvetico<br />
una partita di armi, i commercialisti Mario Malvestiti<br />
e Luigi Padoin per l’amministrazione della Giunta<br />
e la formazione del b<strong>il</strong>ancio, <strong>il</strong> prof. Carlo Calcaterra<br />
e <strong>il</strong> direttore didattico locale Alcide Bara che collabo-<br />
62<br />
rarono con <strong>il</strong> commissario all’istruzione alla stesura di<br />
un progetto di riforma della scuola. L’ordinamento proposto<br />
prevedeva una scuola unica di tre anni, detta ginnasio<br />
inferiore, valida per l’ammissione a tutte le scuole<br />
medio - superiori (ginnasio superiore di 2 anni, liceo di<br />
3, istituto magistrale di 4). Le scuole professionali dovevano<br />
essere strutturate su corsi biennali di avviamento,<br />
su una scuola triennale di avviamento professionale<br />
industriale, sull’avviamento professionale commerciale<br />
di tre anni e sulla scuola tecnica industriale di due anni.<br />
La commissione proponeva anche l’abolizione dei libri<br />
di testo improntati allo spirito del passato regime e poneva<br />
le basi per impedire che la scuola fosse esclusivamente<br />
classica o aristocratica.<br />
A cura di Mario Bonfantini si iniziarono anche i corsi<br />
di una “università popolare” sulla storia dell’Europa<br />
moderna. Dirigenti e operai delle industrie locali dettero<br />
entusiasticamente la loro opera progettando e approntando<br />
rudimentali bombe a mano, un carro blindato,<br />
alcuni lanciafiamme e <strong>il</strong> carburante occorrente all’autoparco<br />
civ<strong>il</strong>e e m<strong>il</strong>itare con ingredienti disponib<strong>il</strong>i<br />
in loco.<br />
Il grave problema dell’approvvigionamento alimentare<br />
della popolazione civ<strong>il</strong>e e delle formazioni partigiane<br />
venne affrontato mediante accordi commerciali con<br />
la Svizzera, avviati da Gigino Battisti. Si ottenne subito<br />
una cessione di 20 tonn. giornaliere di patate attraverso<br />
la Croce Rossa Svizzera e si concordò con <strong>il</strong> governo<br />
di Berna un sistema di compensazioni per ottenere<br />
dal Paese confinante forniture alimentari contro prodotti<br />
industriali degli stab<strong>il</strong>imenti ossolani che avevano<br />
in giacenza partite interessanti l’economia elvetica quali<br />
pirite, acido solforico, abrasivi, cloro liquido, eccetera.<br />
Il crollo della “repubblica” anche in questo caso impedì<br />
<strong>il</strong> perfezionamento delle trattative.<br />
Le cure della Giunta provvisoria dovettero anche rivolgersi<br />
alle questioni m<strong>il</strong>itari connesse alla difesa del territorio.<br />
Il 18 settembre si decise di dare vita a un comando<br />
m<strong>il</strong>itare unico con compiti di coordinamento fra<br />
le varie formazioni. La responsab<strong>il</strong>ità di tale comando<br />
venne affidata al colonnello Federici (avv. Giov. Battista<br />
Stucchi di Monza). Alla costituzione formale si giunse<br />
solo dopo diverse trattative che videro spesso posizioni<br />
di netto contrasto fra i capi partigiani, gelosi delle pro-
prie prerogative e condizionati dalle differenti collocazioni<br />
politiche. Anche se <strong>il</strong> comando unico non riuscì a<br />
svolgere i compiti che si era prefisso, tanto che lo stesso<br />
Federici lo definì una barca che fa acqua da tutte le parti,<br />
costituì comunque un momento di unità politicamente<br />
interessante e la formula verrà ripresa e migliorata all’inizio<br />
del 1945, negli ultimi mesi di lotta.<br />
Già nei primi giorni di ottobre si era saputo che i nazifascisti<br />
stavano organizzando la riconquista dell’Ossola<br />
convogliando a ridosso del “confine” truppe e armamenti.<br />
La notizia dell’attacco che si stava delineando<br />
servì quanto meno a smussare attriti e rivalità tra i<br />
comandanti partigiani che ritrovarono univoca volontà<br />
di reazione che si trasmise ai reparti dove i motivi di sfiducia<br />
non mancavano. Fonte di rammarico e di critica<br />
fu soprattutto l’atteggiamento degli Alleati, che non sostennero<br />
i difensori dell’Ossola, dove erano stati predisposti<br />
due campi per i lanci di materiale bellico, uno a<br />
S. Maria Maggiore in Valle Vigezzo e l’altro alla periferia<br />
di Domodossola.<br />
Gli Alleati effettuarono due unici lanci di armi alla sola<br />
“Valtoce”. La loro aviazione leggera era anche interve-<br />
Frontiera Iselle - Gondo.<br />
nuta verso fine settembre nel Verbano affondando, e<br />
provocando vittime, tre battelli in navigazione: <strong>il</strong> “Torino”,<br />
<strong>il</strong> “M<strong>il</strong>ano”, carico di truppa fascista e <strong>il</strong> “Genova”,<br />
con truppa e passeggeri civ<strong>il</strong>i. Questa azione servì,<br />
nei giorni successivi, a intimorire i giovani m<strong>il</strong>itari dei<br />
Corpi neofascisti impegnati nella riconquista dell’Ossola,<br />
che avanzarono con la costante preoccupazione di<br />
venire attaccati dall’aviazione alleata, cosa che non avvenne.<br />
I comandanti avevano intanto consolidato lo schieramento<br />
che le formazioni avevano assunto sin dai primi<br />
giorni della liberazione mantenendo in pratica <strong>il</strong><br />
controllo delle zone del vecchio insediamento precedente<br />
alla resa. Alla difesa erano interessate anche la<br />
“Beltrami” sul Cusio e la l a e 2 a “Garibaldi”, quest’ultima<br />
prevalentemente in riserva a disposizione del Comando<br />
unico.<br />
La riconquista fascista dell’Ossola fu affidata, dal generale<br />
tedesco W<strong>il</strong>ly Tensfeld che da Monza dirigeva<br />
le operazioni contro i ribelli nel settore “Oberitalien-West”,<br />
al ten. col. Ludwig Buch comandante del<br />
15° SS-Polizei-Regiment <strong>il</strong> cui piano aveva l’obiettivo<br />
63
Domodossola, Comizio del comandante Garibaldino Cino Moscatelli in Piazza Mercato.<br />
di stroncare la resistenza con pronto impiego di tutte le<br />
armi e di impossessarsi delle centrali elettriche e della<br />
linea internazionale del Sempione. Il corpo di spedizione,<br />
con una forza complessiva valutab<strong>il</strong>e in circa 5.000<br />
armati era articolato in 5 gruppi d’attacco, ognuno con<br />
compiti e itinerari ben precisi e tutti guidati da ufficiali<br />
tedeschi. La truppa era composta di tedeschi (in prevalenza<br />
della polizia m<strong>il</strong>itare SS) e di italiani di diversi<br />
Corpi: SS italiane, paracadutisti dell’Aeronautica e della<br />
G.N.R., X Mas, M<strong>il</strong>izia “Venezia Giulia” e altri reparti.<br />
Le armi di accompagnamento erano numerose: cannoni<br />
di vario ca<strong>libro</strong>, mitragliere pesanti; le fanterie erano<br />
inoltre appoggiate da carri armati medi, da autoblinde,<br />
da un treno blindato in retrovia e da (scarsa, ma temib<strong>il</strong>e)<br />
aviazione.<br />
L’attacco iniziò <strong>il</strong> 9 ottobre e fu accompagnato sino alla<br />
sua conclusione da una gelida pioggia autunnale che<br />
mise in evidenza la sommarietà dell’equipaggiamento<br />
dei partigiani, alcuni completamente sprovvisti di indumenti<br />
pesanti. La pressione nemica aumentò grada-<br />
64<br />
tamente di intensità su tre direttrici: verso la Valle Cannobina,<br />
difesa dalla “Piave”, la Valle Strona (“Beltrami”)<br />
e infine lungo l’asse principale della valle del Toce,<br />
tenuto dalla “Valdossola” e dalla ”Valtoce” con qualche<br />
reparto garibaldino.<br />
L’attacco nazifascista riuscì ad avere ben presto ragione<br />
della “Piave”. Il giorno 12 alla galleria di Finero caddero<br />
sotto <strong>il</strong> fuoco delle avanguardie avversarie due prestigiosi<br />
capi partigiani: i comandanti della “Valtoce” Alfredo<br />
Di Dio, e della “Guardia nazionale” Att<strong>il</strong>io Moneta.<br />
L’affacciarsi della colonna nemica al Passo di Finero<br />
mise in crisi tutto <strong>il</strong> dispositivo di difesa, scardinato nel<br />
suo fianco sinistro. Lo schieramento della bassa Ossola<br />
a cavallo della linea Mergozzo-Ornavasso cedette verso<br />
<strong>il</strong> tramonto del giorno 13, anche per lo scarso munizionamento<br />
dei reparti partigiani che peraltro opposero<br />
fiera resistenza, rinunciando poi ad attestarsi su una<br />
linea arretrata di difesa fra Anzola e Vogogna. Il sabato<br />
14 gli ultimi difensori abbandonarono Domodossola<br />
che venne rioccupata nel pomeriggio di quel giorno
dalle avanguardie avversarie (SS tedesche e italiane, paracadutisti<br />
della G.N.R. e m<strong>il</strong>iti del “Venezia Giulia”)<br />
tutti al comando dell’Hauptmann Fritz Noweck.<br />
Per i partigiani, sfuggiti alla “tenaglia” prevista dal piano<br />
tedesco, non restava che cercare la salvezza nella vicina<br />
Svizzera. Con loro anche i membri del governo attraverso<br />
<strong>il</strong> Passo di San Giacomo abbondantemente innevato<br />
<strong>il</strong> 22 ottobre ripararono nel Ticino preceduti da<br />
una cinquantina di prigionieri fascisti e da una ventina<br />
di m<strong>il</strong>iti del “Folgore”, tra cui una donna, catturati dalle<br />
retroguardie partigiane negli ultimi disperati combattimenti<br />
di qualche giorno prima.<br />
Un buon numero di garibaldini (tra essi Gisella Floreanini<br />
che aveva fatto parte della Giunta di governo),<br />
meno provati dalla battaglia di sfondamento perché tenuti<br />
prevalentemente di riserva, e alcune squadre della<br />
“Valtoce”, rifiutarono di espatriare e con una lunga<br />
marcia per erti passi alpini si portarono penosamente<br />
verso <strong>il</strong> Cusio e la bassa Val Sesia, dove vennero riorganizzati.<br />
Oltre ai partigiani e alla Giunta una vera folla di<br />
abitanti dell’Ossola cercò scampo oltre confine. Alcuni<br />
avevano preso parte in diverso modo alle vicende della<br />
“repubblica”, altri avevano congiunti tra i partigiani,<br />
altri infine fuggivano semplicemente davanti alla rioccupazione<br />
fascista e al timore di rappresaglie che <strong>il</strong> prefetto<br />
di Novara Enrico Vezzalini aveva preannunciato e<br />
che si conobbero in Ossola.<br />
Numerosi treni speciali delle due linee internazionali<br />
— Sempione e Centovalli — portarono in salvo gli<br />
esuli preceduti dai numerosi feriti che trovarono assistenza<br />
negli ospedali d’oltre confine e da circa 2500<br />
bambini ospitati dalla Croce Rossa svizzera presso famiglie<br />
elvetiche. Quell’esodo impressionante (una fonte<br />
svizzera ufficiosa valuta, addirittura, in circa 30.000<br />
gli ingressi di quei giorni, tra combattenti e civ<strong>il</strong>i) svuotò<br />
la zona presentando al prefetto, che volle entrare tra i<br />
primi in Domodossola nel tardo pomeriggio del 14 ottobre,<br />
una città deserta.<br />
I fascisti furono così costretti a tenere un atteggiamento<br />
prudente, rinunciando a rappresaglie, anche se non<br />
mancarono di sfogare <strong>il</strong> loro livore nei confronti dell’antico<br />
Ginnasio-Liceo tenuto dai Padri Rosminiani. Il<br />
23 ottobre, mentre era in corso la cerimonia di apertura<br />
dell’anno scolastico, lo stesso Vezzalini la interruppe<br />
bruscamente annunciando la soppressione dell’Istituto<br />
e la contemporanea apertura di corsi statali. Una settimana<br />
dopo <strong>il</strong> superiore generale dei Rosminiani, sacerdote<br />
Giuseppe Bozzetti, venne incarcerato a Novara e<br />
ivi trattenuto pretestuosamente sino al Natale.<br />
Mentre le colonne di rastrellamento rioccupavano le<br />
vallate laterali, spesso impegnate in scontri a fuoco con<br />
le retroguardie partigiane (a Bagni di Craveggia, a Goglio,<br />
a Cimamulera, Ceppomorelli e Macugnaga), che<br />
causarono altre numerose vittime, si concludeva la breve<br />
esistenza della “repubblica” ossolana.<br />
L’esigenza di costituire e difendere un vero e proprio<br />
“fronte” convertendo mentalità e modi di impiego di<br />
combattenti abituati alla guerriglia, per di più con armamento<br />
inadeguato, portò inevitab<strong>il</strong>mente all’impossib<strong>il</strong>ità<br />
di conservare con operazioni m<strong>il</strong>itari <strong>il</strong> territorio<br />
liberato. Come si è visto, mancò l’aiuto degli Alleati che<br />
avrebbero potuto forse mutare le sorti della “repubblica”<br />
sia pure a prezzo di una costosa e rischiosa operazione<br />
basata su costanti e cospicui rifornimenti aerei. Ma<br />
ciò non era più evidentemente nei propositi dei loro<br />
Comandi, la cui attenzione era rivolta ad altre operazioni<br />
sullo scacchiere europeo, né vi era concordanza tra<br />
Inglesi e Americani sul ruolo della Resistenza italiana.<br />
L’esperienza ossolana fu una battaglia decisamente persa<br />
per <strong>il</strong> governo di Salò e la sua immagine, fu e resta<br />
altamente apprezzab<strong>il</strong>e per la sua specificità che le<br />
venne riconosciuta subito, grazie alla vicinanza con la<br />
Svizzera che servì a proiettarne positivamente l’immagine<br />
nel mondo libero. I “quaranta giorni della repubblica<br />
di Domodossola” vennero seguiti dalla stampa d’oltre<br />
confine, specialmente del Ticino più vicino alle cose<br />
italiane per lingua e tradizioni, che si mob<strong>il</strong>itò a favore<br />
dell’Ossola, per cui la vicenda assunse un valore altamente<br />
significativo per la democrazia ancora soffocata,<br />
in quell’autunno 1944, da nazismo e fascismo.<br />
Pure fra gli inevitab<strong>il</strong>i dissensi e contrasti ideologici,<br />
la Giunta operò in modo tale da costituire un positivo<br />
esempio di governo democratico. Ognuno si sforzò<br />
di compiere <strong>il</strong> proprio lavoro al meglio e con notevole<br />
apertura. Per la prima volta nella storia recente del nostro<br />
Paese una donna (la Floreanini) ebbe su piano paritario<br />
responsab<strong>il</strong>ità di governo. I membri del governo,<br />
oltre al normale e gravoso lavoro amministrativo sep-<br />
65
pero dibattere e risolvere, anche se talvolta solo in parte,<br />
argomenti di grande incisività politica che servirono<br />
a coinvolgere la popolazione particolarmente attenta e<br />
quanto si andava svolgendo sotto i propri occhi.<br />
Ovviamente non mancarono attriti, polemiche, prese<br />
di posizione. Come i garibaldini, e quindi i dirigenti<br />
comunisti, lamentarono di essere stati ignorati all’atto<br />
della resa tedesca, anche i democristiani si sentirono<br />
penalizzati nella composizione iniziale della GPG, tanto<br />
che a rappresentare <strong>il</strong> loro partito solo in un secondo<br />
tempo entrò al governo un loro esponente (l’avvocato<br />
Menotti). Così vi furono contrasti tra i comandanti<br />
m<strong>il</strong>itari, pronti a criticare e contestare di volta in volta i<br />
colleghi stessi, <strong>il</strong> governo e la Guardia Nazionale e a ritardare<br />
in definitiva la costituzione del Comando uni-<br />
Note<br />
1 Le “zone libere” che ebbero vita nel 1944 oltre all’Ossola furono,<br />
cronologicamente: Val Ceno (alto Parmense) dal 10-6 all’11-7; Valsesia<br />
da 11-6 a 10-7; Val d’Enza e Val Parma, giugno e luglio; Val<br />
Taro (fra Parma e La Spezia) dal 15-6 al 24-7; Montefiorino (Modena)<br />
dal 17-6 all’1-8; Val Maira e Val Varaita (CN), fine giugno -<br />
21.8; Valli di Lanzo, dal 25-6 a fine settembre; Friuli Orientale, 30-<br />
6 - fine settembre; Bobbio (Piacenza) dal 7-7 al 27-8; Torriglia (Liguria)<br />
primi di luglio - fine agosto; Carnia metà luglio-metà ottobre;<br />
Cansiglio (Belluno) luglio - settembre; Imperia, fine agosto -<br />
metà ottobre; Alba, dal 10 ottobre al 2 novembre; Alto Monferrato,<br />
settembre - 2-12; Varzi fine settembre - 29-11; Alto Tortonese, settembre<br />
- dicembre.<br />
2 Col termine “nazifascisti” si intendono comunemente e complessivamente<br />
le truppe tedesche e italiane, queste organizzate dalla Repubblica<br />
sociale (fascista) vissuta tra <strong>il</strong> settembre 1943 e <strong>il</strong> 25-4-<br />
1945. Tanto la Germania di Hitler quanto la Repubblica di Mussolini,<br />
rette con un sistema totalitario, ammettevano un partito politico<br />
unico: <strong>il</strong> nazionalsocialista in Germania, abbreviato in “nazismo”<br />
e quello fascista in <strong>It</strong>alia. Da qui, riduttivamente, la voce “nazifascista”<br />
per indicare organismi o truppe, operanti congiuntamente,<br />
dei due Stati.<br />
3 Corpo (dei) Volontari (della) Libertà, cioè l’insieme delle Bande o<br />
formazioni partigiane che agivano bellicosamente nel territorio occupato<br />
dai tedeschi e sottoposto all’autorità della Repubblica sociale<br />
italiana di Mussolini. Gli appartenenti (“patrioti” o più comunemente<br />
“partigiani”) non erano tutelati dalla Convenzione di Ginevra<br />
come i m<strong>il</strong>itari degli eserciti regolari belligeranti, essendo considerati<br />
“franchi tiratori”.<br />
4 II generale di Brigata del Genio Giuseppe Perotti (Torino 1895, ivi<br />
1944) componente del primo “comitato m<strong>il</strong>itare” della Resistenza<br />
66<br />
co. Ciò nondimeno, anche per la personalità dei membri<br />
del Governo, segnatamente del presidente Tibaldi<br />
e del segretario Terracini, i dissidi restarono contenuti.<br />
Ognuno fece <strong>il</strong> suo dovere e “<strong>il</strong> banco di prova” dell’esperienza<br />
ossolana resse all’avversa fortuna e al tempo.<br />
In proposito, giova riportare <strong>il</strong> lucido sintetico giudizio<br />
che, a distanza di anni (1989) ne dette <strong>il</strong> nostro<br />
massimo f<strong>il</strong>ologo e critico letterario, <strong>il</strong> domese Gianfranco<br />
Contini: La Resistenza Ossolana è stata un movimento<br />
di popolo, sia nei momenti della clandestinità, sia<br />
in quello palese della collaborazione al Governo provvisorio.<br />
La misura della partecipazione pubblica, in cui ognuno<br />
ebbe qualcosa da pagare o da perdere (e poi da non reclamare),<br />
fu un fatto civ<strong>il</strong>e di rara e non abbastanza sottolineata<br />
r<strong>il</strong>evanza.<br />
piemontese venne catturato a Torino <strong>il</strong> 30-3-1944 e dopo un sommario<br />
processo fuc<strong>il</strong>ato con altri membri del Comitato, <strong>il</strong> 5 apr<strong>il</strong>e<br />
successivo al poligono di tiro del Martinetto.<br />
5 Redi era <strong>il</strong> nome di battaglia, o di copertura, dell’avv. Gianni Citterio<br />
(Monza, 1908, Pieve Vergonte 1944), caduto a Megolo di Pieve<br />
Vergonte col capitano F<strong>il</strong>ippo Beltrami e altri partigiani <strong>il</strong> 13-2-<br />
1944, nel corso di un combattimento sostenuto contro forze tedesche<br />
e di m<strong>il</strong>izia fascista.<br />
6 G.N.R. La “Guardia nazionale repubblicana” istituita dalla Repubblica<br />
sociale italiana di Mussolini raggruppava le forze di polizia,<br />
i carabinieri e le varie “M<strong>il</strong>izie”: confinaria, forestale, ferroviaria<br />
ecc.<br />
7 C.L.N. (A.I.) Comitato di Liberazione Nazionale (Alta <strong>It</strong>alia) costituito<br />
a Roma dai partiti antifascisti all’indomani dell’armistizio<br />
dell’8-9-1943, fu in pratica l’ente di collegamento fra <strong>il</strong> governo legittimo<br />
rimasto nell’<strong>It</strong>alia meridionale, non toccato, per l’andamento<br />
delle operazioni belliche degli Alleati, dall’occupazione tedesca e<br />
i territori dell’<strong>It</strong>alia settentrionale. Il C.L.N. assunse anche autorità<br />
e rappresentatività ufficiale nelle province italiane del Nord man<br />
mano liberate dall’avanzata alleata.<br />
8 Ma più propriamente “territorio liberato” dell’Ossola cioè considerato<br />
come facente parte dello Stato italiano <strong>il</strong> cui governo legittimo<br />
era a Roma, anche se forzatamente con soluzione di continuità<br />
territoriale. In pratica una situazione sim<strong>il</strong>e all’enclave di Campione,<br />
comune italiano a tutti gli effetti anche se completamente inserito<br />
in territorio svizzero.<br />
9 Partito Repubblicano Fascista, che sostituiva <strong>il</strong> P.N.F. (Partito Nazionale<br />
Fascista) cessato <strong>il</strong> 25-7-1943. La nascita del nuovo P.R.F.,<br />
la cui direzione venne assunta da Mussolini, fu da questi annunciata<br />
da Radio Monaco (Germania) <strong>il</strong> 18-9-1943.
Cenni biografici<br />
ANIASI ALDO, Iso. Palmanova (UD) 1921. Comandante della 2 a Garibaldi<br />
«Redi» subentrando a Muneghina. Poi sindaco di M<strong>il</strong>ano, parlamentare,<br />
ministro, presidente F.I.A.P. (Federazione <strong>It</strong>aliana Associazioni<br />
Partigiane). Vive a M<strong>il</strong>ano.<br />
CALZAVARA ARMANDO, Arca, Istrana (TV) 1919 – Roma 2000. Ufficiale<br />
dei Bersaglieri, comandante della «Battisti». Laurea in lingue<br />
estere.<br />
CEFIS EUGENIO, Alberto, Cividale del Friuli 1921 – M<strong>il</strong>ano 2004. Ufficiale<br />
dei Granatieri in s.p.e., comandante della «Valtoce» alla morte<br />
di Di Dio. Laurea in legge, cav. del lavoro, imprenditore.<br />
CURRENO DELLA SANTA MADDALENA GIUSEPPE, colonnello Delle Torri.<br />
Carrù (Cn) 1894 - Torino 1964. Colonnello di Cavalleria in s.p.e.<br />
(poi generale), laurea in legge. Capo di stato maggiore del «Comando<br />
unico di zona Ossola». Un suo giovanissimo figlio, Giacomino<br />
di 16 anni, partigiano nelle Langhe venne catturato e fuc<strong>il</strong>ato dai fascisti<br />
nel marzo 1945.<br />
DI DIO ALFREDO EMMA, Marco, Palermo 1920 - Malesco 1944. Ufficiale<br />
dei Carristi in s.p.e., comandante della «Valtoce», morto al<br />
Sasso di Finero (Malesco) <strong>il</strong> 12-10-44. Il fratello ANTONIO (Palermo<br />
1922 - Pieve Vergonte 1944) era caduto assieme al capitano Beltrami<br />
nel febbraio precedente a Megolo. La tomba di famiglia del Beltrami<br />
a Cireggio di Omegna conserva anche le spoglie dei due sfortunati<br />
fratelli.<br />
FLOREANINI GISELLA, M<strong>il</strong>ano 1906 - ivi 1993. Col nome di copertura<br />
di Amelia Valli partecipò nell’autunno 1944 al governo dell’Ossola<br />
quale commissario all’assistenza, in rappresentanza del Partito<br />
comunista cui aveva aderito nel 1941 dopo una prima giovan<strong>il</strong>e<br />
m<strong>il</strong>itanza nel Partito socialista clandestino. Alla caduta della «repubblica»<br />
ossolana seguì i garibaldini in Val Sesia. Nel dopoguerra venne<br />
nominata presidente del C.L.N. di Novara liberata, poi consigliere<br />
comunale a Domodossola e successivamente a M<strong>il</strong>ano, infine<br />
eletta al Parlamento nelle due prime legislature repubblicane. Rivestì<br />
poi ancora numerose cariche di prestigio sino alla morte. Per suo<br />
espresso desiderio, è sepolta a Domodossola, la città che La fece ricordare<br />
come la prima “donna-ministro” nella storia d’<strong>It</strong>alia.<br />
FRASSATI FILIPPO, Pippo. Pistoia 1920 - ivi 1992. Ufficiale di Fanteria<br />
in s.p.e., comandante della brigata «Perotti». Nel dopoguerra eletto<br />
al consiglio comunale di Verbania, docente di storia m<strong>il</strong>itare all’Università<br />
di Pisa. Per suo espresso desiderio è sepolto a Cannobio,<br />
la città che lo vide protagonista di significativi fatti d’arme nel<br />
periodo della Resistenza.<br />
GASTONE ERALDO, Ciro. Torino 1913 - Novara 1986. Ufficiale di<br />
Aviazione in s.p.e., comandante del Raggruppamento Divisioni<br />
«Garibaldi» del Biellese, Valsesia, Alto Novarese. Poi deputato<br />
al Parlamento, senatore e presidente dell’Istituto storico della Resistenza<br />
di Novara.<br />
MONETA ATTILIO, Malesco 1893 - ivi 1944. Colonnello di Cavalleria<br />
in s.p.e., comandante della «Guardia nazionale». Morto al Sasso di<br />
Finero (Malesco) <strong>il</strong> 12 ottobre.<br />
MOSCATELLI VINCENZO, Cino. Novara 1908 - Borgosesia 1981. Commissario<br />
politico delle formazioni «Garibaldi». Poi sindaco di Novara,<br />
deputato al Parlamento, senatore e infine presidente dell’Istituto<br />
storico della Resistenza di Borgosesia.<br />
MUNEGHINA MARIO, capitano Mario. Cuneo 1900 - Verbania 1987.<br />
Impiegato tecnico. Comandante della «Valgrande martire», poi della<br />
2 a Divis. Garibaldi «Redi» che lasciò entrando con la sua Brigata<br />
nella divisione «Flaim» che operava nell’Intrese.<br />
RUTTO BRUNO, Omegna 1921 - ivi 1986. Impiegato tecnico. Ufficiale<br />
degli Alpini, comandante della divisione alpina «F. Beltrami».<br />
SCRITTORI UGO, Mirko. Lusigny (Francia) 1912 – V<strong>il</strong>ladossola 1996.<br />
Operaio. Soldato del Corpo Automob<strong>il</strong>istico, comandante del Btg.<br />
autonomo “Fabbri” trasformatosi poi nella 83 a Brig. garibaldina<br />
«Comolli».<br />
SUPERTI DIONIGI. Napoli 1902 - Madrid 1968. Comandante della<br />
«Valdossola». Le sue spoglie nel 1988 vennero traslate da Madrid al<br />
cimitero di Premosello Chiovenda, località di origine della formazione<br />
da lui comandata.<br />
STUCCHI GIOV. BATTISTA, colonnello Federici, Monza 1899 - ivi 1980. Ufficiale<br />
degli Alpini, avvocato. Resse <strong>il</strong> «Comando Unico zona Ossola».<br />
VIGLIO PIETRO CARLO, Novara 1919 - M<strong>il</strong>ano 1995. Laurea in scienze<br />
economiche. Comandante brig. «Matteotti».<br />
TIBALDI ETTORE, Bornasco (PV) 1887 - Certosa (PV) 1968. Volontario<br />
nella 1 a guerra mondiale, medico. Nel 1926 abbandona Pavia<br />
per attività antifascista evitando <strong>il</strong> «confino» grazie alla ferita<br />
di guerra. Prende servizio all’Ospedale di Domodossola divenendone<br />
primario medico. Profugo in Svizzera verso la fine del 1943. Presidente<br />
della Giunta provvisoria di governo dell’Ossola libera. Poi<br />
primo sindaco eletto di Domodossola (1946); eletto al Senato nel<br />
1953 e riconfermato nelle legislature successive.<br />
VEZZALINI ENRICO, Ceneselli (RO) 1904 - Novara 1945. Avvocato,<br />
prefetto di Novara dal 22.7.1944 al 15.1.1945, condannato dalla<br />
Corte straordinaria delle Assisi di Novara alla pena capitale mediante<br />
fuc<strong>il</strong>azione alla schiena, eseguita <strong>il</strong> 23.9.1945.<br />
Bibliografia<br />
Anita Azzari “L’Ossola nella Resistenza italiana”, 2 a ed., Ornavasso<br />
2004.<br />
Hubertus Bergwitz. “Una libera Repubblica nell’Ossola partigiana”,<br />
M<strong>il</strong>ano 1979.<br />
Mario Giarda e Guido Maggia. “Il governo dell’Ossola”, 2 a ed., S.<br />
Pietro Mosezzo 1989.<br />
Guido Maggia (a cura di). “I giornali dell’Ossola libera”, Novara<br />
1974.<br />
Ettore Tibaldi. “L’opera della Giunta Provvisoria di Governo nell’Ossola<br />
liberata dall’8 settembre al 22 ottobre 1944”, Domodossola 1945.<br />
67
Archeologia<br />
Alberto De Giuli<br />
Le tracce del passato<br />
L’Ossola, situata nel gruppo delle Alpi Lepontine, con<br />
le sue sette valli laterali è una delle maggiori vallate a<br />
sud dell’arco alpino. Essa è stata interessata da tutte le<br />
glaciazioni, che l’hanno sagomata nella tipica forma ad<br />
U delle valli glaciali, spianando terrazzi, levigando pietre<br />
e ghiaie, cancellando però le eventuali tracce della<br />
presenza umana nel paleolitico.<br />
Dopo l’ultima glaciazione, con la modifica del clima, la<br />
valle si è ricoperta di vegetazione, determinandosi così<br />
l’ambiente che ha favorito la comparsa degli animali<br />
provenienti dalla pianura e, conseguentemente, sulle<br />
loro tracce, la presenza di gruppi di cacciatori durante<br />
le stagioni favorevoli alla caccia; a partire presumib<strong>il</strong>mente<br />
dal neolitico, come è documentato anche per altre<br />
vallate a sud e nord delle Alpi, l’uomo vi si insediò<br />
stab<strong>il</strong>mente.<br />
I primi abitanti della Val d’Ossola provenivano, con<br />
ogni probab<strong>il</strong>ità, dalla vicina pianura Padana che, come<br />
dice Rittatore, fu un crogiolo di popoli antichi. Un sostrato<br />
mesolitico fu gradualmente modificato da influssi<br />
culturali neolitici, che portarono innovazioni decisamente<br />
determinanti, pur restando molto importante<br />
l’economia venatoria.<br />
Con l’avvento dell’età dei metalli, nell’arco alpino e<br />
sensib<strong>il</strong>mente anche nell’Ossola, si avverte un notevole<br />
cambiamento, segnato in particolare, oltre che dalla<br />
importante innovazione tecnologica della metallurgia,<br />
anche dall’introduzione dell’aratro, del carro trainato<br />
da animali e, per quanto riguarda l’industria litica, dalla<br />
presenza di asce a martello e di pietre da lancio.<br />
Tali novità furono portate probab<strong>il</strong>mente da popolazioni<br />
di stirpe ligure e quindi originarie del vicino oriente.<br />
Montecrestese, frazione Roldo: tempietto lepontico (sec. I d.C.) sopraelevato in torre.<br />
Le grandi migrazioni di popoli da oriente a occidente,<br />
avvenute all’inizio dell’età del rame, trovano una suggestiva<br />
eco nei miti greci di Cadmo, Eracle, Giasone e gli<br />
Argonauti e dei loro grandi itinerari alla ricerca del prezioso<br />
metallo.<br />
Rare citazioni di autori di epoca greco-romana tramandano<br />
per la prima volta <strong>il</strong> nome dei Leponzi quali abitanti<br />
della Valle Ossola in età repubblicana, senza però<br />
fornire altre notizie sulla loro entità etnico-politica.<br />
Va ricordato che l’età del ferro fu <strong>il</strong> periodo delle invasioni<br />
galliche, quindi un momento di ulteriore mescolamento<br />
di popoli e culture; è forse in questa epoca che<br />
avvennero le maggiori inf<strong>il</strong>trazioni nelle vallate a quote<br />
più elevate da parte di coloro che cercavano riparo dalle<br />
scorrerie celtiche.<br />
Un dato certo sulla presenza dei Leponzi nella nostra<br />
terra è quello riportato dal trofeo delle Alpi di La Turbie,<br />
fatto innalzare nel 7-6 a.C. dal senato e dal popolo romano<br />
per celebrare la vittoria di Augusto sui popoli alpini<br />
e <strong>il</strong> cui testo è stato riportato per intero da Plinio <strong>il</strong><br />
Vecchio: in esso i Leponzi sono ufficialmente nominati<br />
fra le ...gentes alpinae devictae, cioè tutte le popolazioni<br />
alpine sottomesse dagli eserciti dell’imperatore, elencate<br />
da est a ovest.<br />
Altri autori accennano seppure scarsamente ai Leponzi:<br />
Polibio poco chiaramente; Cesare, nel suo De bello gallico,<br />
colloca <strong>il</strong> loro territorio alle sorgenti del Reno; S<strong>il</strong>io<br />
<strong>It</strong>alico, nel suo poema epico Punica, cita un leponzio<br />
che combatte a fianco di Annibale disceso dalle Alpi<br />
contro i Romani; Tolomeo poi, nel II secolo d.C. indicherà<br />
in Oscela Lepontiorum, l’odierna Domodossola,<br />
la capitale di questo popolo e della provincia romana<br />
delle Alpi Atrezziane, ricordata poi ancora dall’Ano-<br />
69
Ara dedicata a Giove, ritrovata a Candoglia.<br />
nimo ravennate con altre città dell’<strong>It</strong>alia settentrionale,<br />
come Ox<strong>il</strong>ia, e con grafia lievemente diversa da Guidone:<br />
Oss<strong>il</strong>la.<br />
Per sapere di più dobbiamo quindi affidarci ai ritrovamenti<br />
archeologici che da poco più di un secolo a questa<br />
parte sono stati effettuati grazie ad appassionati studiosi<br />
locali, i quali hanno contribuito e contribuiscono<br />
alla scoperta, al recupero o alla segnalazione delle testimonianze<br />
venute alla luce, testimonianze riferib<strong>il</strong>i nella<br />
maggior parte a corredi tombali, forse perché i più fac<strong>il</strong>i<br />
a individuarsi, e datab<strong>il</strong>i per la quasi totalità all’epoca<br />
romana.<br />
Più recenti sono state le scoperte di materiali attribuib<strong>il</strong>i<br />
al mesolitico, al neolitico, all’eneolitico, all’età del<br />
bronzo e alla prima età del ferro e l’individuazione di<br />
incisioni rupestri, costituite per lo più, ad eccezione degli<br />
aff<strong>il</strong>atoi sul colle di Mattarella, della pietra del Merleri<br />
e della roccia della fecondità in Valle Antrona, da<br />
coppelle che, mancando di un preciso contesto archeologico,<br />
non permettono di esprimere per ora dei sicuri<br />
giudizi né sull’epoca, né sui motivi della loro esecuzione.<br />
Del 1986 è la scoperta fatta all’ Alpe Veglia, in comune<br />
di Varzo, di manufatti litici rivelanti stanziamenti<br />
stagionali di cacciatori dell’epipaleolitico (IX-VI m<strong>il</strong>lennio<br />
a.C.), tuttavia tracce di insediamenti preistorici<br />
più o meno antichi sono documentate un po’ dovunque<br />
nella Valle Ossola. Reperti molto interessanti sono<br />
quelli provenienti da Mergozzo; si tratta di ceramica ad<br />
impasto grossolano non lavorata al tornio e di manufatti<br />
litici in selce e, in minor quantità, in quarzo: geometrici,<br />
denticolati, grattatoi, raschiatoi, becchi, lame, pugnali,<br />
cuspidi di freccia e molte altre tipologie di attrezzi,<br />
nonché molti scarti di lavorazione, a testimoniare <strong>il</strong><br />
fatto che la lavorazione della pietra avveniva sul posto.<br />
Si sono pure rinvenute un’ascia in pietra levigata ed una<br />
con foro passante per l’immanicatura, del tipo di quella<br />
proveniente dall’alpe Pontigei, in comune di Baceno.<br />
Tutto questo materiale si può far risalire ad un periodo<br />
che va dal neolitico all’età del bronzo.<br />
Altri manufatti in selce rinvenuti a Gravellona Toce, a<br />
Pedemonte ed a Montecrestese risalgono perlomeno all’età<br />
del bronzo, mentre attribuib<strong>il</strong>i al bronzo medio<br />
sono <strong>il</strong> pugnale e l’ascia a paletta in bronzo rinvenuti rispettivamente<br />
sull’ Arbola ed a Folsogno in VaI Vigezzo.<br />
Della prima età del ferro sono alcuni frammenti fitt<strong>il</strong>i<br />
rinvenuti in località Motto a Gravellona Toce, come<br />
pure alcune tombe della necropoli di Pedemonte e una<br />
sepoltura venuta alla luce a Montecrestese che contenevano<br />
ceramica della fase finale della cultura di Golasecca,<br />
detta Golasecca IIIA (V-IV sec. a.C.).<br />
Lo sv<strong>il</strong>uppo maggiore della zona ossolana avvenne in<br />
età gallo-romana, tra la fine dell’epoca repubblicana ed<br />
<strong>il</strong> primo secolo dell’impero.<br />
Con la romanizzazione si verificò una uniformità culturale<br />
e linguistica che prima non esisteva e che andò aumentando<br />
sempre più in epoca imperiale; ciò è testimoniato<br />
da ritrovamenti, quasi esclusivamente provenienti<br />
da necropoli o da contesti tombali, che vanno da quelli<br />
copiosi di Ornavasso, Gravellona Toce, Mergozzo, Bannio<br />
Anzino, Masera, Malesco, ad altri meno abbondanti,<br />
ma comunque significativi come quelli di Baceno e<br />
Rivera, al punto da poter affermare, osservando sulla<br />
carta topografica la loro distribuzione, che gli abitati attuali<br />
erano già quasi tutti esistenti duem<strong>il</strong>a anni fa.<br />
71
Importanti sono anche alcuni ritrovamenti relativi all’epoca<br />
tardo-romana e paleocristiana: in particolare,<br />
a Candoglia, nel sagrato dell’oratorio romanico di<br />
San Graziano, oltre ad un’ara dedicata a Giove, vennero<br />
messe in luce diverse sepolture ed un edificio a pianta<br />
rettangolare, distrutto nel IV secolo d. C., mentre a<br />
San Giovanni in Montorfano furono reperiti un battistero<br />
paleocristiano (V-VI d.C.) e le fondamenta di una<br />
chiesa triabsidata di epoca carolingia.<br />
Storia dei ritrovamenti e degli scavi in Ossola<br />
L’interesse per le testimonianze del mondo antico in<br />
Ossola si può far risalire almeno al 1600. Sono di quell’epoca<br />
infatti le prime segnalazioni di documenti epigrafici,<br />
considerab<strong>il</strong>i come reperti archeologici: si tratta<br />
dell’epigrafe del ponte dell’Orco di Crevoladossola, citata<br />
dal Morigia e dal Bescapè e di quella del ponte alla<br />
Masone di Vogogna, citata dal Borri.<br />
A partire dall’Ottocento, si ebbero le prime segnalazioni<br />
di ritrovamenti archeologici, per la maggior parte oggetti<br />
riferib<strong>il</strong>i a corredi tombali, segnalazioni generalmente<br />
riportate in studi monografici su paesi, come ad<br />
esempio, quelle relative a Malesco, riportate dal Pollini<br />
nel 1896, riferite a sepolture rinvenute tra <strong>il</strong> 1829 e<br />
<strong>il</strong> 1881. Tra <strong>il</strong> 1800 e <strong>il</strong> 1900, in diverse località ossolane<br />
furono segnalati ritrovamenti, che andarono sempre<br />
aumentando, fino a rappresentare, in una mappa territoriale,<br />
quasi tutti gli attuali centri abitativi; tutti i ritrovamenti<br />
fino al 1993 sono stati riuniti in un volume da<br />
Pierangelo Caramella e Alberto De Giuli.<br />
72<br />
Nell’Ottocento, emergono per importanza le scoperte<br />
archeologiche di Masera, dovute ai cavalieri Francesco<br />
e Felice Mellerio, relative agli anni dal 1853 al 1893 e<br />
già segnalate dal Bazetta e dal Pollini. Nel Novecento si<br />
segnalano come importanti ritrovamenti casuali la scoperta<br />
della necropoli di Bannio Anzino, segnalata nel<br />
1937 e fatta oggetto di ulteriori indagini tra <strong>il</strong> 1953 e <strong>il</strong><br />
1956, da Michele Bionda, contenente materiali datab<strong>il</strong>i<br />
tra la prima metà del I sec. a. C. e la prima metà del I<br />
d. C. e la scoperta, avvenuta nel 1966 da parte di Dario<br />
Zani, del pugnale dell’Arbola, in alta Val Formazza,<br />
attribuib<strong>il</strong>e all’età del bronzo medio.<br />
Solo con Enrico Bianchetti, alla fine del 1800, avvenne<br />
<strong>il</strong> primo scavo sistematico, condotto con metodologie<br />
che si possono considerare scientifiche per quei tempi:<br />
si tratta delle note necropoli di Ornavasso, denominate<br />
di “San Bernardo” e “In Persona”, attribuib<strong>il</strong>i al periodo<br />
dal II sec. a. C. alla prima età imperiale, di cui furono<br />
individuati dal Bianchetti 165 nuclei tombali ciascuna.<br />
La necropoli di S. Bernardo fu oggetto, nel 1941<br />
e nel 1952, di ulteriori indagini di scavo da parte della<br />
Sovrintendenza; gli archeologi Carducci e Lo Porto<br />
riportarono in luce rispettivamente 7 e 9 sepolture. Il<br />
materiale è conservato presso <strong>il</strong> Museo del Paesaggio di<br />
Verbania. Sempre alla fine dell’Ottocento, a Mergozzo,<br />
Egisto Galloni scavava la necropoli de “La Cappella”,<br />
portando alla luce 32 tombe. Seguirono i ritrovamenti<br />
casuali nel 1934 e nel 1968 di altre tre tombe, mentre<br />
nel 1970 <strong>il</strong> Gruppo Archeologico Mergozzo (G.A.M.),<br />
diretto da Alberto De Giuli, completò lo scavo della<br />
Vasellame in vetro dalle necropoli di Mergozzo (I-II secolo d. C.). Olpi di terracotta da corredo funerario.
zona orientale della necropoli, con <strong>il</strong> ritrovamento di<br />
ulteriori 5 sepolture, per un totale di 40; si ipotizza uno<br />
sv<strong>il</strong>uppo della necropoli in un terreno sito ad occidente.<br />
I ritrovamenti fino ad ora reperiti sono datab<strong>il</strong>i ai primi<br />
due secoli dell’era volgare. Ancora a Mergozzo, negli<br />
anni 1939 - 1940, Giovanni Braganti riportò alla luce<br />
49 nuclei tombali appartenenti ad una più vasta necropoli,<br />
denominata di “Praviaccio”, datab<strong>il</strong>e al periodo<br />
compreso tra <strong>il</strong> I e <strong>il</strong> III sec. d. C. Nel 1969, <strong>il</strong> G.A.M.<br />
scavò ulteriori 7 nuclei tombali. Parte del materiale delle<br />
necropoli di Mergozzo è conservato presso l’Antiquarium,<br />
<strong>il</strong> Civico Museo Archeologico di Mergozzo.<br />
Negli anni dal 1954 al 1959, a Gravellona Toce, furono<br />
rinvenuti una necropoli di complessivi 128 nuclei tombali<br />
datab<strong>il</strong>i dal V sec. a. C. al IV d. C. e le fondamenta<br />
di vari edifici di epoca romana imperiale. Il ritrovamento<br />
è da attribuirsi a Felice Pattaroni, che ricevette dalla<br />
Sovrintendenza l’incarico di seguire e coordinare le attività<br />
di scavo. Il materiale è conservato presso la Sovrintendenza<br />
ai Beni Archeologici di Torino; recentemente<br />
una parte ha trovato esposizione presso <strong>il</strong> Museo Archeologico<br />
di Torino. Nell’anno 1967, Alberto De Giuli<br />
scoprì in località Rubianco di Mergozzo i resti di una<br />
fornace per laterizi di epoca romana imperiale; lo scavo<br />
sistematico, che durò fino al 1972, fu condotto dal<br />
G.A.M. su autorizzazione della Sovrintendenza. Presso<br />
la chiesa di San Graziano a Candoglia, furono rinvenuti<br />
in anni diversi tra <strong>il</strong> 1903 e <strong>il</strong> 1965, alcuni importanti<br />
reperti fra i quali primeggia un’ara dedicata a Giove,<br />
di epoca romana imperiale, recante l’iscrizione IS DEI<br />
IOVI AEDEM, scoperta da don Gamallero nel 1964.<br />
Nel 1968, fu eseguito, nel sagrato della medesima chiesa,<br />
uno scavo che mise in luce un edificio a pianta rettangolare<br />
dalle dimensioni interne di metri 20 x 11, diviso<br />
in vari ambienti, distrutto da un incendio non più<br />
tardi della prima metà del IV sec. d.C. L’edificio, di cui<br />
furono eseguiti i r<strong>il</strong>ievi, non è più visib<strong>il</strong>e; i materiali ed<br />
i disegni relativi allo scavo sono conservati presso l’Antiquarium<br />
di Mergozzo.<br />
Nel 1970 <strong>il</strong> G.A.M. promosse <strong>il</strong> restauro della Chiesa di<br />
San Giovanni in Montorfano; nel corso dei lavori furono<br />
effettuati dei sondaggi che permisero di individuare,<br />
nel 1972, all’esterno i resti di una precedente chiesa<br />
triabsidata di epoca preromanica, all’interno un bat-<br />
Chiesa romanica di San Giovanni in Montorfano.<br />
tistero paleocristiano. Gli scavi vennero continuati dal<br />
G.A.M. a partire dal 1980 e ultimati nel 1983 dalla Sovrintendenza<br />
ai Beni Archeologici del Piemonte. Il resti<br />
delle murature del battistero e della chiesa preromanica<br />
sono tuttora visib<strong>il</strong>i. In occasione di lavori di scavo<br />
o di sterro che, per ragioni diverse e in varie località, furono<br />
effettuati nel territorio di Mergozzo, si verificarono<br />
frequenti ritrovamenti casuali e sporadici di elementi<br />
in selce, che indussero Alberto De Giuli ad ipotizzare<br />
un insediamento umano stab<strong>il</strong>e in epoca preistorica.<br />
Il sito ideale venne individuato in località Ronco, per la<br />
sua priv<strong>il</strong>egiata posizione in luogo soleggiato ed ameno<br />
poco discosto dal lago.<br />
Qui <strong>il</strong> De Giuli eseguì sopralluoghi frequenti e sistematici,<br />
fino a ritrovare, nell’inverno del 1972 alcuni manufatti<br />
litici e frammenti di ceramica ad impasto grossolano.<br />
Con l’autorizzazione della Sovrintendenza, <strong>il</strong><br />
G.A.M. nel 1973, eseguì un sondaggio che confermò<br />
73
la possib<strong>il</strong>ità di un insediamento datab<strong>il</strong>e a partire dal<br />
Neolitico. I numerosi manufatti litici reperiti sono conservati<br />
ed esposti presso l’Antiquarium di Mergozzo.<br />
A Craveggia, dove già nell’Ottocento erano stati rinvenuti<br />
reperti di epoca romana imperiale, negli anni 1980<br />
e seguenti, la Soprintendenza eseguì in diverse riprese<br />
scavi sistematici in località Marlé, dove nel 1978 erano<br />
venuti alla luce casualmente alcune sepolture delimitate<br />
da lastre di pietra, ma prive di corredo. I ritrovamenti<br />
di Craveggia consistono in una discreta necropoli di<br />
epoca romana imperiale, protrattasi sino al VI e VII sec.<br />
d.C. All’Alpe Veglia, in comune di Varzo, sono stati effettuati<br />
degli scavi condotti dal prof. Ghiretti dell’Università<br />
di Ferrara che hanno riportato in luce un’ampia<br />
Vogogna: la Rocca Superiore (sec. XIV).<br />
74<br />
gamma di manufatti litici, tali da rivelare la presenza di<br />
uno stanziamento stagionale di cacciatori che frequentarono<br />
la zona nell’ultimo periodo glaciale, vale a dire<br />
nel Mesolitico (IX- VI m<strong>il</strong>lennio a. C.).<br />
Ulteriori sondaggi sono stati effettuati in altre zone dell’Alpe,<br />
precisamente al Balm della Vardaiola, che hanno<br />
rivelato presenze umane anche dell’età del ferro.<br />
Bibliografia<br />
Caramella P.- De Giuli A., Archeologia dell’Alto Novarese, Mergozzo,<br />
1993.<br />
Copiatti F., De Giuli A., Priuli A., Incisioni rupestri e megalitismo nel<br />
Verbano Cusio Ossola, Domodossola, 2003
Ambiente e Natura
Un paesaggio verticale<br />
Renzo Mortarotti<br />
L’Ossola è un’unità geografica<br />
L’Ossola è una regione tipicamente montana; le sue catene<br />
di monti, emerse dal mare in epoche remote, ne<br />
formano interamente lo scheletro, possente e solidissimo.<br />
Tra catena e catena si aprono le valli laterali strette e<br />
tortuose, che confluiscono tutte nell’ampio e basso fondovalle<br />
ossolano, percorso dal Toce e dove si addensa la<br />
maggior parte della popolazione. L’Ossola ha confini<br />
ben tracciati, che seguono quasi ovunque i crinali e le<br />
cime dei monti, e che perciò la delimitano in modo preciso<br />
e rigoroso. Essa occupa una posizione molto importante<br />
nella regione alpina; nell’Ossola infatti, e precisamente<br />
al Passo del Sempione, la muraglia gigantesca<br />
e quasi invalicab<strong>il</strong>e delle Alpi Pennine si incontra con<br />
la catena delle Alpi Lepontine, più bassa e meno ardita<br />
e perciò ricca di fac<strong>il</strong>i valichi: Passi del Sempione (m<br />
2096), dell’Arbola (m 2409), del Gries (m 2463), di S.<br />
Giacomo (m 2313).<br />
Aperta a sud verso la dolce regione dei laghi, l’Ossola è<br />
percorsa da importanti vie di comunicazione che, attraverso<br />
le sue valli laterali, conducono nella vicina Svizzera<br />
e che perciò hanno sempre avuto una grande importanza<br />
nella storia secolare della nostra regione, sia in<br />
campo economico quanto sul piano politico e m<strong>il</strong>itare.<br />
La sua forma vagamente triangolare ha suscitato nelle<br />
fantasie le immagini più diverse: di un cuneo piantato<br />
verso nord in territorio svizzero; di una foglia d’edera<br />
con sette nervature, che formano le valli laterali; di un<br />
albero col ceppo nel Monte Orfano, all’imbocco dell’Ossola,<br />
e col tronco che stende i suoi rami più verso<br />
occidente che verso oriente, e poi si assottiglia fino a<br />
terminare con la punta nel Passo del Gries.<br />
La linea di confine dell’Ossola è piatta e comoda soltanto<br />
a sud verso <strong>il</strong> Verbano e <strong>il</strong> Cusio; per <strong>il</strong> resto corre<br />
quasi sempre alta e impervia sui crinali che la separano<br />
dalle regioni confinanti: la Val Strona e poi la Val Sesia<br />
dal Monte Massone fino al Monte Rosa; <strong>il</strong> Canton Vallese<br />
dal Monte Rosa al Passo del Gries; <strong>il</strong> Canton Ticino<br />
dal Passo del Gries alle rocce del Gridone (Vigezzo);<br />
da ultimo la selvaggia Val Grande, separata dall’Ossola<br />
da un’aspra catena che dal Monte Laurasca, in territorio<br />
di Malesco, corre fino al Monte Faié, in territorio di<br />
Mergozzo. L’Ossola forma così una meravigliosa unità e<br />
un tutto organico, pur nella sua estrema varietà di terreni,<br />
di rocce, di climi e di piante.<br />
Un paesaggio verticale<br />
Se si eccettua <strong>il</strong> tratto pianeggiante da Crevoladossola a<br />
Mergozzo, <strong>il</strong> paesaggio dell’Ossola è tipicamente alpestre:<br />
esso si arrampica ripidamente, con qualche breve<br />
sosta su ripiani e terrazzi, e ci porta in breve tratto dal<br />
piatto fondovalle ossolano alle altezze vertiginose della<br />
grande catena alpina. Quanto erta sia questa arrampicata<br />
lo si può capire se si considera che Domodossola,<br />
a soli 272 metri sul mare, non dista più di 17 km dai<br />
4023 metri della Weissmies e che Piedimulera a 247<br />
metri di altezza è a circa 25 km dalla vetta del Monte<br />
Rosa (m 4637).<br />
In questo paesaggio, movendoci dall’alto verso <strong>il</strong> basso,<br />
distinguiamo tre fasce. La prima, priva di vegetazione e<br />
dai caratteri aspri dell’alta montagna, è <strong>il</strong> dominio delle<br />
nevi eterne, di ghiacci, delle pietraie, dei dirupi precipitosi,<br />
delle piccole e azzurre conche lacustri. La seconda<br />
fascia è quella rivestita di pascoli e boschi: gli alti pascoli<br />
alpini danno <strong>il</strong> loro prodotto di erbe aromatiche<br />
e saporite senza che oggi l’uomo vi impieghi più <strong>il</strong> suo<br />
lavoro di bonifica da sassi e sterpaglie. Anche i boschi,<br />
che succedono ai pascoli, crescono per lo più da sé, quasi<br />
abbandonati alla forza della natura: fino ai 1500 metri<br />
prevalgono le latifoglie (roveri, aceri, betulle e faggi);<br />
77
poi succedono le aghifoglie (abeti e larici), che si spingono<br />
fino ai 2000 metri. La terza fascia, quella dei prati<br />
e dei campi, è la più ridotta in estensione, ma anche<br />
la più redditizia e la più curata dalla mano dell’uomo,<br />
soprattutto nei tempi passati, quando produceva tutto<br />
quanto serviva alla povera alimentazione del montanaro<br />
ossolano.<br />
E quale immenso e faticosissimo lavoro ha fatto l’uomo<br />
per rendere coltivab<strong>il</strong>i i pendii delle nostre montagne!<br />
Osservate un po’ come esse sono intagliate a gradini,<br />
con muretti di pietra che sostengono tanti terrazzetti<br />
artificiali, messi uno sopra l’altro fino ad altezze incredib<strong>il</strong>i.<br />
Ebbene, queste gradinate le hanno fatte i nostri<br />
antenati, che hanno riplasmato la montagna per ricavarne<br />
praticelli e campetti, dove coltivare la vigna e la<br />
segale. Oggi queste terrazzature sono in gran parte brulle<br />
o coperte di boscaglie, che hanno preso <strong>il</strong> sopravvento<br />
sull’opera dell’uomo.<br />
I monti più alti delle valli ossolane sono <strong>il</strong> Blinnenhorn<br />
(m 3375) in Formazza, l’Arbola (m 3235) in Val Devero,<br />
<strong>il</strong> Monte Leone (m 3552) in Val Divedro, lo Straciugo<br />
(m 2712) in Val Bognanco, l’Andolla (m 3656) in<br />
Val Antrona, <strong>il</strong> Monte Rosa (m 4637) in Val Anzasca, la<br />
Scheggia (m 2466) in Val Vigezzo, <strong>il</strong> Pizzo del Lago Gelato<br />
(m 2614) nella spopolata valle dell’Isorno.<br />
Gli insediamenti umani<br />
Un tempo la gente dell’Ossola viveva raggruppata in<br />
piccoli centri abitati, che soprattutto nelle vallate, dove<br />
più intensa ferveva la vita agricola e pastorale, erano di<br />
norma piccoli o piccolissimi; magari solo un pugno di<br />
case. Rarissime le abitazioni isolate. Questi insediamenti<br />
sono sorti dove minore era <strong>il</strong> danno al terreno produttivo:<br />
le case stavano addossate le une alle altre e talora<br />
spuntavano dalla roccia, proprio per risparmiare <strong>il</strong><br />
più possib<strong>il</strong>e la scarsa quantità di terreno agricolo.<br />
La maggior parte di questi v<strong>il</strong>laggi li vediamo ancor<br />
oggi punteggiare di bianco i pendii delle nostre montagne.<br />
Altri sono costruiti nei fondovalle pianeggianti,<br />
come la lunga serie dei v<strong>il</strong>laggi formazzini oppure la<br />
successione dei grossi paesi distesi sull’altopiano vigezzino:<br />
Malesco, Santa Maria Maggiore, Druogno. Nella<br />
Val d’Ossola i paesi più importanti invece sorgono<br />
allo sbocco delle valli laterali, là dove i torrenti scarica-<br />
78<br />
no nel piano i loro detriti formando ammassi di materiale,<br />
che per la loro forma prendono <strong>il</strong> nome di coni di<br />
deiezione. Così Ornavasso, costruito sul cono di deiezione<br />
del torrente S. Carlo, così Pieve Vergonte su quello<br />
del Marmazza, così Domo su quello del Bogna, così<br />
Premosello su quello del Riale, così V<strong>il</strong>la che dalle frazioni<br />
primitive addossate alla montagna è venuta via via<br />
occupando tutto <strong>il</strong> cono di deiezione dell’Ovesca con<br />
officine e case di abitazione. E l’elenco potrebbe continuare,<br />
comprendendo anche Crodo in Val Antigorio,<br />
disteso sul cono dell’Alfenza.<br />
Tutte le vecchie dimore ossolane, comprese le baite di<br />
montagna, sono costruite in pietra. Nell’Ossola la materia<br />
prima, con cui l’uomo ha ricreato l’ambiente su<br />
sua misura, è la pietra. Di pietra sono i muri delle case<br />
e delle chiese, i tetti di grigie piode, le scale, i balconi, i<br />
campan<strong>il</strong>i, i selciati e i lastricati delle case, i muretti di<br />
confine, gli abbeveratoi per <strong>il</strong> bestiame, le fontane, i lavatoi<br />
ecc. La vecchia Ossola è tutta di pietra, eccetto le<br />
case dei Walser di Macugnaga e di Formazza, che dal<br />
natio Vallese hanno portato con sé la tecnica del legno.<br />
Coll’arrivo delle strade e delle ferrovie arriveranno anche<br />
i mattoni, le tegole in cotto e <strong>il</strong> cemento, che pian<br />
piano trasformeranno <strong>il</strong> vecchio paesaggio ossolano.<br />
Le acque sono la fortuna e <strong>il</strong> castigo dell’Ossola<br />
II fiume che attraversa 1’Ossola nel suo bel mezzo prende<br />
<strong>il</strong> nome di Toce a Riale di Formazza, dove confluiscono<br />
i suoi rami sorgentiferi: i torrenti Hohsand, Gries<br />
e Roni. È lungo circa 80 km e a Candoglia registra una<br />
portata media di 68 m 3 al secondo, una massima di m 3<br />
1400 e una minima invernale di m 3 13. Il primo tratto,<br />
che va dalla sorgente alla forra di Pontemaglio, è spesso<br />
incassato in gole profonde e ha carattere torrentizio, con<br />
una pendenza media del 5,6%. Il secondo tratto, che va<br />
da Pontemaglio a Vogogna, con una pendenza media<br />
dello 0,50%, non ha più l’irruenza del torrente montano,<br />
ma neppure la tranqu<strong>il</strong>lità del fiume di pianura.<br />
In questo tratto, modestamente inclinato, scaricano le<br />
loro acque nel Toce i suoi principali affluenti: sulla destra<br />
la Diveria, <strong>il</strong> Bogna, l’Ovesca e l’Anza; sulla sinistra<br />
l’Isorno e <strong>il</strong> Melezzo. Tutti questi corsi di acqua durante<br />
le piene si avventano con grande furia nel piano<br />
dell’Ossola, trascinando una massa enorme di materia-
Monte Rosa, <strong>il</strong> ghiacciaio del Belvedere.<br />
le solido (sassi e ciottoli), che ha inghiaiato e sopraelevato<br />
questo tratto di valle; guardando dall’alto si ha l’impressione<br />
che <strong>il</strong> piano dell’Ossola Superiore sia <strong>completo</strong><br />
dominio dei torrenti. Il terzo e ultimo tratto del<br />
Toce si sv<strong>il</strong>uppa da Vogogna al Lago Maggiore, con una<br />
pendenza media del solo 0,12%; qui <strong>il</strong> Toce è un vero<br />
fiume che serpeggia nella pianura dell’Ossola Inferiore,<br />
scorrendo in un letto abbastanza regolare di ghiaie minute<br />
e di sabbie.<br />
Ma le acque non sono solo una maledizione per l’Ossola<br />
durante le terrib<strong>il</strong>i alluvioni: esse servono per irrigare<br />
i campi; imbottigliate a Crodo e a Bognanco, per <strong>il</strong> loro<br />
ottimo grado di mineralizzazione, compaiono su tutte<br />
le mense italiane; incanalate nelle condotte forzate degli<br />
impianti idroelettrici muovono le turbine di poderose<br />
centrali, che forniscono grande quantità di energia.<br />
Ricordiamo infine che nel passato <strong>il</strong> Toce era navigab<strong>il</strong>e<br />
fino a Beura e che, in mancanza di strade efficienti e<br />
79
sicure, è stato per secoli la principale via di comunicazione<br />
per l’Ossola.<br />
L’Ossola a volo d’uccello<br />
Ed ora compiamo un veloce viaggio nelle valli ossolane,<br />
partendo dal Monteorfano, quell’isola granitica che<br />
sembra sbarrare l’ingresso dell’Ossola, là dove la bassa<br />
valle si spalanca sul Verbano e sul Cusio. Sulla sinistra<br />
del Toce <strong>il</strong> primo paese ossolano a darci <strong>il</strong> saluto è Mergozzo,<br />
a specchio del suo bel lago ovale. Seguono Cuzzago<br />
e Premosello, poi Vogogna, già capitale dell’Ossola<br />
Inferiore (la rocca e <strong>il</strong> castello viscontei sono lì per ricordarcelo),<br />
infine Beura, <strong>il</strong> centro più importante della<br />
lavorazione della pietra chiamata beola dal nome del<br />
paese. Sulla destra del Toce ci viene incontro per primo<br />
l’industre Ornavasso, vecchio paese di origine tedesca;<br />
poi Anzola d’Ossola e <strong>il</strong> vecchio centro chimico di Pieve<br />
Vergonte; seguono Piedimulera allo sbocco della val<br />
Anzasca, poi Pallanzeno e V<strong>il</strong>ladossola, dove sono accentrate<br />
le più grosse industrie della regione.<br />
Il fondovalle ossolano, che abbiamo percorso in questa<br />
prima parte del viaggio, mette capo in un’ampia conca<br />
quasi circolare, dove confluisce un ventaglio di valli. All’intorno,<br />
disposte per lo più sulle ultime pendici di un<br />
vasto cerchio di montagne, occhieggiano le numerose<br />
frazioni di Trontano, Masera, Montecrestese, Cisore e<br />
Vagna. Al centro del bacino siede Domodossola, capitale<br />
dell’Ossola, che, da piccolo borgo tranqu<strong>il</strong>lo con non<br />
più di m<strong>il</strong>le abitanti sulla fine del Settecento, è diventata<br />
ora un centro pulsante di vita, dove si accentra gran<br />
parte della popolazione ossolana (circa 19.000 abitanti).<br />
Di notevole: <strong>il</strong> Monte Calvario, <strong>il</strong> Collegio Rosmini,<br />
<strong>il</strong> Palazzo S<strong>il</strong>va, l’ex chiesa di S. Francesco, la Collegiata,<br />
piazza Mercato e la torretta delle mura trecentesche.<br />
Ad oriente di Domo si apre la Val Vigezzo, una valle trasversale<br />
che si snoda per 25 km fino al confine italosvizzero<br />
della Ribellasca. La parte centrale della valle somiglia<br />
ad un lungo altopiano, costellato di paesi così fitti<br />
e lindi che la fanno sembrare una città-giardino. Craveggia,<br />
Toceno, Buttogno stanno al limitare del bosco<br />
su un ridente terrazzo pieno di sole, che domina dall’alto<br />
<strong>il</strong> verde fondovalle dove spiccano le macchie biancogrigie<br />
di Malesco, Santa Maria Maggiore e Druogno.<br />
80<br />
Verso <strong>il</strong> confine svizzero si incontra Re col suo monumentale<br />
santuario dedicato alla Madonna del Sangue.<br />
A Pontemaglio comincia un’altra lunga valle percorsa<br />
dal Toce, che nella prima parte prende <strong>il</strong> nome di Antigorio<br />
e assume poi quello di Formazza a Foppiano sotto<br />
l’alto gradino delle Casse. Percorrendola, incontriamo<br />
per primo Crodo, celebre per le sue acque, poi Baceno,<br />
dominato da quel monumento d’arte che è la sua<br />
ricchissima chiesa, quindi Premia, sparsa in tante piccole<br />
ridenti frazioni, infine la tedesca Formazza, ricca di<br />
pascoli, di fiori multicolori, di laghetti alpini, di centrali<br />
e di impianti idroelettrici.<br />
Da Crevola, attraverso una magnifica forra scavalcata<br />
da un ponte arditissimo, ci inf<strong>il</strong>iamo nella Val Divedro,<br />
in compagnia della ferrovia internazionale del Sempione<br />
e della grande strada costruita per volere di Napoleone<br />
tra l’<strong>It</strong>alia e la Svizzera attraverso <strong>il</strong> colle del Sempione.<br />
Prima di arrivare alla sbarra di confine a Gondo troviamo<br />
sul percorso <strong>il</strong> grosso paese di Varzo allo sbocco<br />
della valle che scende dalla splendida Alpe Veglia, e poi<br />
Iselle, la stazione di confine dove <strong>il</strong> treno entra in galleria<br />
(m 19.803).<br />
A Domodossola sbocca la più breve delle valli ossolane,<br />
la Val Bognanco, che una volta aveva un’intensissima<br />
vita agricola e pastorale. Ora tutti la conoscono perché<br />
Bognanco Fonti ospita un complesso termale con alberghi<br />
e pensioni. La più appartata e tranqu<strong>il</strong>la tra le valli<br />
ossolane, ma non per questo meno bella delle altre, è la<br />
Val Antrona, che sbocca nel piano presso V<strong>il</strong>ladossola.<br />
Già famosa per le miniere di oro e di ferro, ora lo è per<br />
le sue bellezze naturali e i suoi bacini idroelettrici, tra i<br />
quali ricordiamo <strong>il</strong> Lago di Antrona, formato da un’antica<br />
frana che seppellì un intero v<strong>il</strong>laggio e, sbarrando le<br />
acque del torrente Troncone, diede origine al lago.<br />
La più meridionale delle valli ossolane è anche la più rinomata,<br />
perché alla sua testata si dispiega in tutta la sua<br />
grandiosità l’anfiteatro del Monte Rosa, un massiccio di<br />
ghiacci e di rocce, secondo solo al Monte Bianco in Europa:<br />
la Val Anzasca. Dal suo sbocco a Piedimulera fino<br />
a Macugnaga la valle si sv<strong>il</strong>uppa stretta e tortuosa, ma<br />
punteggiata di paesi puliti e ridenti: Castiglione, sparso<br />
in molte frazioni alpestri; Calasca con la sua splendida<br />
chiesa definita la «Cattedrale fra i boschi»; Bannio<br />
l’antica capitale della valle e sede di una necropoli celti-
Alpe Veglia, lago delle Streghe.<br />
ca; Vanzone con San Carlo, noto per le acque arsenicali;<br />
Ceppomorelli e infine Macugnaga, la regina del Rosa<br />
e sede di una colonia tedesca che va spegnendosi.<br />
Comunicazioni e trasporti nell’antichità<br />
Una volta l’Ossola era priva di grandi vie di comunicazione.<br />
I v<strong>il</strong>laggi alpini erano allacciati tra loro e coi<br />
centri più importanti del fondovalle da una fitta rete<br />
di mulattiere e di sentieri, quelli che oggi frequentiamo<br />
ancora come «scorciatoie» durante le nostre gite. I trasporti<br />
erano fatti a spalla con la scivera (gerla) e con la<br />
caula per la legna. Pochissimi gli asini e i muli, perché<br />
i poveri montanari non potevano mantenere bestie da<br />
soma, e tutto <strong>il</strong> foraggio era destinato agli animali più<br />
ut<strong>il</strong>i: bovini, ovini, caprini.<br />
Le principali vie di comunicazione attraverso le valli<br />
portavano ai valichi alpini, aperti tra l’Ossola da una<br />
parte e <strong>il</strong> Vallese e <strong>il</strong> Ticino dall’altra. Il passo più meridionale<br />
è quello del Monte Moro (m 2868) che si apre<br />
ad est del Monte Rosa e mette in comunicazione Macugnaga<br />
con la valle tedesco-vallesana di Saas. Sull’itinerario<br />
del Moro si vedono ancora i resti di un’antica strada<br />
lastricata, segno evidente che in passato <strong>il</strong> colle era<br />
frequentato e adattato al passaggio dei muli e del bestiame.<br />
Nel secolo XIII attraverso <strong>il</strong> Moro trasmigrarono<br />
le popolazioni walser che fondarono la maggior parte<br />
delle colonie tedesche attorno al massiccio del Monte<br />
Rosa, prima fra tutte Macugnaga.<br />
Un po’ più a nord del Passo del Moro si apre <strong>il</strong> Passo di<br />
Antrona (m 2839). Questi due valichi superano in altezza<br />
tutti gli altri passi dell’Ossola, onde risulta chiaro<br />
che attraverso essi non potevano esistere traffico e transito<br />
regolari, poiché erano percorsi soltanto durante i<br />
pochi mesi della stagione estiva. La vecchia mulattiera<br />
partendo da Antronapiana s’arrampica con cammino<br />
difficoltoso fino al colle per scendere poi ad Almagell<br />
nella Valle di Saas, dove si congiunge con quella del<br />
Moro e prosegue per Visp. Rimangono ancora oggi i resti<br />
lastricati dell’antica mulattiera, che ricordano i tempi<br />
della sua floridezza.<br />
Abbiamo visto come i valichi del Monte Moro e di Antrona<br />
si aprono nelle Alpi Pennine ad altissima quota<br />
e perciò sono diffic<strong>il</strong>mente praticab<strong>il</strong>i ad un traffico di<br />
ampie proporzioni. Ma, là dove terminano le Pennine e<br />
cominciano le meno elevate Alpi Lepontine, la grande<br />
catena alpina s’assottiglia e si abbassa in una larga e comoda<br />
sella, che fa da cerniera tra queste due sezioni delle<br />
Alpi: è <strong>il</strong> Passo del Sempione (m 2006), la principale<br />
porta di comunicazione tra l’Ossola e <strong>il</strong> Vallese. In età<br />
romana e specialmente nell’Alto Medioevo abbiamo testimonianze<br />
che non depongono a favore d’una strada<br />
di grande transito sul nostro colle. Prospettive d’importanza<br />
europea per <strong>il</strong> Passo del Sempione si aprirono soltanto<br />
a partire dal secolo XII, dal tempo cioè delle Crociate.<br />
Il Sempione diventò allora una strada mercant<strong>il</strong>e<br />
di primo ordine e un passaggio obbligato tra le città italiane<br />
e le piazze commerciali dell’Europa occidentale.<br />
Furono aperte al transito le gole di Gondo, fino a quel<br />
tempo impraticab<strong>il</strong>i, mentre le grandi società commerciali<br />
lombarde concludevano trattati col Vallese per <strong>il</strong> libero<br />
passaggio delle merci e, coi pedaggi, contribuivano<br />
in modo determinante al mantenimento della strada,<br />
dei ponti e delle soste, dove tenevano depositi e ma-<br />
81
gazzini per le mercanzie. Lunghe f<strong>il</strong>e di muli, carichi di<br />
fardelli, percorrevano la strada e davano lavoro ai conducenti<br />
ossolani e vallesani. Più tardi, in seguito alle lotte<br />
tra <strong>il</strong> Vallese e l’Ossola, <strong>il</strong> Sempione venne quasi del<br />
tutto abbandonato dai mercanti, finché verso <strong>il</strong> 1630<br />
riacquistò la sua importanza internazionale di strada<br />
commerciale per merito del gran signore vallesano Kaspar<br />
Iodok von Stockalper. La morte dello Stockalper<br />
(1691) segnò la decadenza del Sempione come via di<br />
transito internazionale, sebbene gli interessi congiunti<br />
di Ginevra e di M<strong>il</strong>ano non permisero <strong>il</strong> totale abbandono<br />
di questa via.<br />
Nel 1800 <strong>il</strong> Sempione doveva risorgere a nuova vita. In<br />
quell’anno infatti Napoleone emanava l’ordine di dare<br />
immediata esecuzione alla costruzione d’una grande<br />
strada carrozzab<strong>il</strong>e che doveva avere tutte le qualità per<br />
rispondere alle esigenze m<strong>il</strong>itari del tempo, anzitutto di<br />
rendere possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> passaggio delle artiglierie. Due erano<br />
le condizioni vantaggiose che avevano fatto cadere la<br />
scelta sul Sempione in confronto ad altri valichi alpini:<br />
la maggior brevità del percorso tra M<strong>il</strong>ano e Parigi e la<br />
relativa bassezza del colle. Il 25 settembre 1805 la nuova<br />
strada era transitab<strong>il</strong>e. Sul percorso di 62 km tra Briga<br />
e Domo erano stati eretti in totale 64 ponti tra grandi<br />
e piccoli e scavate sette gallerie per una lunghezza totale<br />
di 525 metri con 250 tonnellate d’esplosivo. Il costo<br />
complessivo di questa arditissima opera ammontò,<br />
tra Ginevra ed Arona, a circa 18 m<strong>il</strong>ioni di franchi, in<br />
gran parte pagati con denaro italiano.<br />
Ad oriente del Sempione, tra le opposte valli di Binn<br />
e del Devero si apre <strong>il</strong> Passo d’Arbola (m 2409), l’Albrunpass<br />
dei Vallesani. A Baceno la mulattiera si dirama<br />
dalla strada di Formazza, tocca <strong>il</strong> valico, discende a<br />
Binn senza grossi ostacoli e sbocca nella valle dell’alto<br />
Rodano a Grengiols.<br />
Questa strada, che conserva ancor oggi qualche tratto<br />
lastricato, pare non sia servita gran che al grosso traffico<br />
commerciale, ma fu sempre ut<strong>il</strong>izzata da Ossolani e<br />
Vallesani per lo scambio dei loro prodotti, nonchè per<br />
operazioni di guerra, fino all’apertura della carrozzab<strong>il</strong>e<br />
del Sempione. Che fosse già anticamente frequentata<br />
ne è prova la colonizzazione dell’Alta Val Devero (Agaro,<br />
Ausone) da parte di pastori vallesani, venuti da Binn<br />
nella seconda metà del secolo XIII.<br />
82<br />
L’ultimo valico, che dall’Ossola porta nell’Alto Vallese,<br />
è quello del Gries (m 2463), senza dubbio <strong>il</strong> più importante<br />
dopo <strong>il</strong> Sempione. Da Formazza la mulattiera,<br />
superando tre successivi gradini, raggiunge <strong>il</strong> passo<br />
e scende poi nella valle del Rodano a Ulrichen; di qui<br />
si dirama la strada che raggiunge <strong>il</strong> Passo del Grimsel<br />
(m 2164), aperto sulla regione di Berna. La strada del<br />
Gries non avrebbe di per sé che un’importanza locale,<br />
ma <strong>il</strong> suo prolungamento attraverso <strong>il</strong> Grimsel ne fa un<br />
itinerario di notevole valore commerciale. L’uso di questo<br />
valico si perde nella notte dei tempi. Il primo passaggio<br />
che storicamente conosciamo, però, è quello delle<br />
popolazioni vallesane che nei primissimi anni del secolo<br />
XIII fondarono la colonia tedesca di Formazza. La<br />
costruzione della ferrovia del Gottardo nel 1882 assestò<br />
a questo passo, già calato d’importanza dopo l’apertura<br />
della strada del Sempione, <strong>il</strong> colpo mortale.<br />
Un altro valico meritevole di menzione è <strong>il</strong> Passo di S.<br />
Giacomo (m 2313), ad oriente del Gries. Esso, è vero,<br />
non porta a nord delle Alpi, ma mette in comunicazione<br />
la Formazza con Airolo nell’Alto Ticino, là dove comincia<br />
la salita del passo importantissimo del S. Gottardo;<br />
ma appunto attraverso quest’ultimo valico dall’Ossola<br />
si potevano raggiungere, al di là del grande spartiacque<br />
alpino, le alte valli del Reuss e del Reno e così<br />
entrare nella rete stradale della Svizzera centro-occidentale.<br />
L’ultima strada, collegante anch’essa l’Ossola con <strong>il</strong><br />
Canton Ticino, attraversa la Val Vigezzo e le successive<br />
Centovalli, portando al Lago Maggiore e a Locarno.<br />
Le vie di comunicazione nei tempi moderni<br />
La prima grande strada carrozzab<strong>il</strong>e, che tolse l’Ossola<br />
dal suo secolare isolamento, fu portata a termine,<br />
come abbiamo detto, nel 1805 per volontà di Napoleone:<br />
essa doveva unire M<strong>il</strong>ano a Parigi e prese <strong>il</strong> nome di<br />
strada del Sempione dal valico che mette in comunicazione<br />
l’Ossola con la Svizzera.<br />
In seguito all’apertura della strada del Sempione le valli<br />
ossolane, una dopo l’altra, provvidero con gravissime<br />
spese ad allacciarsi per mezzo di strade, costruite di sana<br />
pianta, all’arteria principale, che diventò così la spina<br />
dorsale della rete stradale dell’Ossola. Con le nuove vie<br />
i trasporti a spalla sulle lunghe distanze cedettero <strong>il</strong> posto<br />
ai trasporti su carro con gran sollievo dei montanari
e notevole riduzione dei prezzi: le merci circolarono più<br />
fac<strong>il</strong>mente; i prodotti locali, soprattutto i boschi, trovarono<br />
più fac<strong>il</strong>e smercio; <strong>il</strong> servizio postale diventò più<br />
regolare e più veloce; i viaggiatori stranieri e i primi turisti<br />
cominciarono a visitare l’Ossola e sorsero alberghi e<br />
locande. Era un gran passo avanti certamente.<br />
Ma intanto erano già state costruite in Piemonte molte<br />
ferrovie e l’Ossola ne era rimasta priva. Tutti gli Ossolani<br />
ne sentivano la mancanza. Finalmente nel 1888 venne<br />
portata a termine la ferrovia di Novara e l’Ossola fu<br />
così allacciata alla rete ferroviaria italiana. Nel 1905 cadeva<br />
anche l’ultimo diaframma di roccia al traforo del<br />
Sempione e l’anno dopo i treni internazionali correvano<br />
sulla nuova linea ferroviaria che collega M<strong>il</strong>ano a Ginevra<br />
e Parigi.<br />
Alla costruzione del traforo del Sempione furono particolarmente<br />
interessate la Svizzera, l’Ossola e le città<br />
di M<strong>il</strong>ano e di Genova, mentre <strong>il</strong> Governo italiano<br />
non mostrò grande sollecitudine per quest’opera. Quasi<br />
unica sua preoccupazione fu che la galleria avesse <strong>il</strong> suo<br />
sbocco meridionale in territorio italiano, a parecchi ch<strong>il</strong>ometri<br />
di distanza dal confine italo-svizzero. Gli ostacoli<br />
finanziari vennero al fine superati dalla Compagnia<br />
concessionaria, la Jura-Simplon, proprietaria di circa un<br />
terzo delle linee ferroviarie svizzere e grandemente interessata<br />
alla pronta esecuzione del traforo. Appoggiata<br />
da potentissime banche germaniche, essa ebbe l’onore,<br />
dopo tanti sforzi, di portare finalmente a compimento<br />
la grande opera.<br />
Nei quarant’anni di preparazione i progetti s’erano susseguiti<br />
numerosi e multiformi, per incarico di cinque<br />
diverse Società concessionarie e tutti erano caduti per<br />
una ragione o per l’altra. Questi vari progetti, 32 complessivamente,<br />
si possono dividere in tre gruppi, secondo<br />
l’altitudine del punto culminante del tunnel: gallerie<br />
di base, gallerie a medio livello e gallerie di sommità.<br />
Prevalse alfine <strong>il</strong> progetto, preparato dall’ingegnere Dumur,<br />
di una galleria di base della lunghezza di 19.770<br />
metri, molto costosa e tecnicamente diffic<strong>il</strong>e, ma rapidamente<br />
percorrib<strong>il</strong>e e perciò più adatta di altre ad un<br />
intenso traffico internazionale. L’impresa appaltatrice,<br />
la ditta germanica Brandt-Brandau, diede inizio ai lavori<br />
nel 1898 e li portò a compimento nel 1905, mentre<br />
la cerimonia inaugurale si svolse con grandi festeg-<br />
giamenti <strong>il</strong> 19 maggio 1906. Se, come abbiamo detto<br />
gli ingenti mezzi finanziari (78 m<strong>il</strong>ioni di franchi svizzeri)<br />
provennero da oltralpe, i lavoratori addetti a quest’opera<br />
colossale, che superò tutte le precedenti per arditezza<br />
e grandiosità di concezione, furono esclusivamente<br />
italiani.<br />
Provenivano da tutte le regioni d’<strong>It</strong>alia e per sette anni<br />
alloggiarono alla bell’e meglio nelle vicinanze dei due<br />
imbocchi del traforo, presso Briga da un lato e presso<br />
Iselle dall’altro. Come tutte le grandi opere anche<br />
<strong>il</strong> traforo del Sempione ebbe le sue vittime. Ed in proporzione<br />
alla grandiosità dell’opera e ai mezzi d’allora<br />
furono poche, sebbene la morte tendesse agguati di<br />
ogni genere; mine esplose anzi tempo, massi franati dalla<br />
volta delle gallerie, schegge proiettate di fianco, carri<br />
usciti dai binari, membra schiacciate dai propulsori<br />
o tagliate dalle ruote, scoppi di tubazioni, schizzi di acqua<br />
compressa, gas velenosi ed asfissianti. Sessanta vittime,<br />
una ogni 333 metri di galleria, tutte italiane, dal<br />
figlio di Pizzo di Calabria, «robusto come un orso e bello<br />
come un bambino», al minatore piemontese, veterano<br />
dei trafori del Cenisio e del Gottardo.<br />
L’Ossola, e in particolare <strong>il</strong> suo capoluogo, trasse vantaggi<br />
enormi dall’entrata in esercizio della ferrovia del<br />
Sempione, che costituisce, per così dire, l’atto di nascita<br />
della Domodossola moderna. Il vecchio borgo ottocentesco,<br />
pigro e sonnacchioso, divenne un enorme cantiere<br />
di lavoro.<br />
La città s’ingrandì in pochi anni come mai s’era ingrandita<br />
nella sua storia secolare e divenne prosperosa di industrie<br />
e di commerci. Altro passo avanti fece l’Ossola<br />
nel 1923, allorché fu inaugurata la ferrovia vigezzina<br />
tra Domodossola e Locarno, che metteva in diretta comunicazione<br />
i cantoni occidentali della Confederazione<br />
Elvetica col Canton Ticino e toglieva la Val Vigezzo<br />
dal suo isolamento.<br />
Nel corso degli anni Ottanta la stazione ferroviaria internazionale<br />
di Domodossola è stata dotata, a Beura<br />
Cardezza, di un’ampia struttura (Domodue), che ancora<br />
non riesce a decollare per vari motivi, nonostante<br />
i cospicui investimenti effettuati. Vi è poi la superstrada<br />
di scorrimento veloce, che abbrevia le comunicazioni<br />
tra l’Ossola e <strong>il</strong> Lago Maggiore, a rinforzo della ormai<br />
vecchia strada del Sempione.<br />
83
Baceno: la nevicata evidenzia i terrazzamenti ricavati sulle pendici del monte.<br />
Gli uomini abbandonano la montagna<br />
e s’addensano nei fondovalle<br />
Nelle nostre escursioni in montagna avremo trovato tante<br />
vecchie case in rovina e tanti piccoli centri montani<br />
quasi o del tutto abbandonati. Cosa vuol dire? Vuol dire<br />
che nell’Ossola una volta la montagna era molto popolata,<br />
più popolata degli stessi fondovalle, dove adesso<br />
vediamo concentrata quasi tutta la popolazione. I montanari<br />
allevavano molto bestiame e coltivavano innumerevoli<br />
piccoli campi, oggi ingoiati dal bosco, e perciò<br />
vivevano sparsi sulla montagna per meglio accudire<br />
al loro lavoro. Ma già nel secolo scorso, e più ancora<br />
nel Novecento, una serie di cause obbligò molti montanari<br />
a lasciare i loro casolari e ad emigrare all’estero oppure<br />
a trasferirsi nei centri di fondovalle. Quali furono<br />
queste cause? La perdita di antichi priv<strong>il</strong>egi, l’aumento<br />
generale delle tasse, le condizioni diffic<strong>il</strong>issime di vita,<br />
<strong>il</strong> basso reddito soprattutto, inferiore a quello di qualunque<br />
salariato. Mentre la montagna si spopolava, <strong>il</strong><br />
fondovalle dell’Ossola si industrializzava e registrava un<br />
84<br />
continuo aumento della popolazione. Un solo esempio:<br />
V<strong>il</strong>la contava 1035 abitanti nel 1848, nel 1995 ne contava<br />
7469. Anche la popolazione dell’Ossola andò crescendo<br />
di censimento in censimento, dopo essere rimasta<br />
quasi costante per tanti secoli. Dai 47.632 abitanti<br />
nel 1848 era salita a 56.013 nel 1921; nel 1995 gli Ossolani<br />
erano in totale poco meno di 70.000.<br />
La densità non è omogenea. Ci sono veri vuoti umani<br />
nelle zone di alta montagna, regno di ghiacci, nevi e rocce,<br />
dove la vita è impossib<strong>il</strong>e. La popolazione vive sulle<br />
più basse pendici dei monti e nel fondo delle valli, ma<br />
soprattutto nella valle del Toce da Crevola a Mergozzo.<br />
L’ambiente naturale si trasforma e si degrada<br />
II prezzo che l’Ossola ha dovuto pagare al progresso e<br />
al miglioramento delle condizioni di vita è salatissimo.<br />
Oggi godiamo di un benessere che i nostri antenati non<br />
conoscevano, ma viviamo in un ambiente degradato e<br />
inquinato. Anche nei secoli passati sono avvenute delle<br />
trasformazioni nel paesaggio: basti pensare al lonta-
no disboscamento delle foreste primitive, da cui l’uomo<br />
ha ricavato prati e campi, oppure al terrazzamento delle<br />
montagne, del quale abbiamo parlato poc’anzi.<br />
Ma questi interventi umani rimanevano sempre in un<br />
ordine «naturale»: in altre parole l’uomo modificava, sì,<br />
la natura ma senza farle violenza; se mai l’assecondava<br />
e, per così dire, la perfezionava con interventi sapienti e<br />
rispettosi dell’ordine naturale preesistente. Infatti i materiali<br />
usati per gran parte di queste trasformazioni erano<br />
quelli stessi che la natura offriva: la pietra e <strong>il</strong> legno.<br />
Con l’industrializzazione l’uomo ha trasformato <strong>il</strong> paesaggio<br />
naturale in un paesaggio che potremmo definire<br />
«tecnico», perché costruito dall’uomo spesso in disaccordo<br />
stridente con la natura. L’ambiente così è stato<br />
degradato ed inquinato e noi uomini ne siamo le prime<br />
vittime. Facciamo solo qualche esempio per intenderci.<br />
Una volta <strong>il</strong> cielo dell’Ossola era quello terso e purissimo<br />
di montagna; oggi spesso è ricoperto da un velo<br />
di fumo e di esalazioni gassose provenienti dagli stab<strong>il</strong>imenti<br />
industriali. Un tempo le montagne ossolane erano<br />
ricche di acque limpidissime scorrenti in superficie;<br />
ora la maggior parte dei nostri ruscelli e torrenti sono<br />
ridotti a squallide sassaie, mentre si sono inaridite molte<br />
sorgenti, perché l’acqua viene presa e condotta in canali<br />
di derivazione che alimentano le centrali. Ogni vena<br />
di acqua è stata così catturata, sconvolgendo l’equ<strong>il</strong>ibrio<br />
idrico naturale delle nostre vallate. La stessa Cascata del<br />
Toce è oggi regolab<strong>il</strong>e col contagocce. Dighe enormi<br />
hanno sopraelevato di decine di metri <strong>il</strong> livello di vecchi<br />
bellissimi laghi (es. Codelago) o hanno trasformato in<br />
bacini artificiali magnifici pianori alpini (es. Morasco),<br />
col risultato che le rive di questi serbatoi per molti mesi<br />
all’anno altro non sono che depositi di fanghiglia.<br />
Alcune valli, in seguito allo sfruttamento turistico, sono<br />
state invase dal cemento a tal segno che non si riconoscono<br />
più. Le cave, che si aprono sempre più numerose,<br />
danno lavoro, è vero, ma sbriciolano le montagne e vi<br />
producono squarci e ferite che non si potranno più rimarginare.<br />
Molte specie di mammiferi e di uccelli sono<br />
scomparse o in via d’estinzione per l’inquinamento dell’atmosfera,<br />
dell’acqua e del suolo. E l’elenco potrebbe<br />
continuare.<br />
85
L’acqua e la pietra<br />
Aldo G. Roggiani e Marco Cattin<br />
“..Sai tu Giovannino, dove si trova la più grande cascata<br />
delle Alpi?...precisamente in <strong>It</strong>alia”. ”Possib<strong>il</strong>e!” esclamo’<br />
Giovannino. ”Di qual cascata intendi parlare? ”<br />
”Oh bella! della italianissima cascata della Toce.<br />
Essa mi richiama uno dei più deliziosi viaggetti alpini ch’io<br />
m’abbia mai fatti; e se volete che ve ne intrattenga... ”<br />
”Si, si”; dissero in coro gli astanti, ed anche Giovannino si<br />
pose in s<strong>il</strong>enzio ad ascoltare. (A. Stoppani,1914)<br />
L’acqua e la pietra rappresentano un binomio indissolub<strong>il</strong>e<br />
per <strong>il</strong> territorio ossolano, elementi costitutivi del<br />
paesaggio, da cui <strong>il</strong> naturalista trae spunti di riflessione<br />
e che rappresentano allo stesso tempo risorse sfruttab<strong>il</strong>i<br />
per gli abitanti.<br />
Diffic<strong>il</strong>e dire quale sia la più importante ed a quale di<br />
esse si debba la progenitura dell’impronta ossolana dato<br />
che in tempi geologici l’una ha prevalso sull’altra con<br />
alterne vicende.<br />
L’acqua che costituiva <strong>il</strong> magma originario poi cristallizzato<br />
in granito e successivamente divenuto gneiss 1 oppure<br />
la roccia che i ghiacciai modellarono nel Quaternario?<br />
Cerchiamo insieme, guardandoci attorno, i segni dell’acqua<br />
e della pietra descritti minuziosamente da attenti<br />
osservatori quali Stoppani.<br />
La preoccupazione del nostro era di sublimare la scienza<br />
e farla apparire di pari bellezza della poesia; ciò d’altro<br />
canto traspare da queste righe: “...Un <strong>libro</strong> che abbia<br />
per oggetto la cognizione del mondo fisico non caverà<br />
una lagrima, non farà perdere un minuto di sonno.<br />
Tutti gli incanti della natura non valgono un affetto;<br />
tutta la scienza non vale un atto generoso. Una Lucia<br />
inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre<br />
Formazza: Cascata della Toce.<br />
che accomoda colle stesse sue mani sul carro degli appestati<br />
<strong>il</strong> corpo della figlioletta, faranno sempre maggiore<br />
impressione di tutte le più belle descrizioni dell’Universo.”<br />
L’ambiente ossolano è laboratorio naturale dove le rocce<br />
che affiorano sono prevalentemente gneiss 2 meglio conosciute<br />
come beole 3 e serizzi 4 : le prime sono disposte<br />
in strati verticalizzati e le seconde in strati variamente<br />
inclinati 5 ; meno diffusi sul territorio sono i marmi 6 ed<br />
i graniti 7 , rocce pregiate ut<strong>il</strong>izzate per edifici di interesse<br />
storico artistico.<br />
Le rocce appartengono alle falde di ricoprimento 8 , pieghe<br />
a grande scala 9 , formatesi nel corso dell’orogenesi alpina<br />
10 che hanno influenzato la morfologia delle valli 11 .<br />
L’altro elemento caratterizzante <strong>il</strong> nostro territorio,<br />
l’acqua, allo stato solido mediante i ghiacciai ha scavato<br />
la roccia sino a metterne in luce gli strati più antichi<br />
e precedenti all’orogenesi alpina. 12 L’erosione ha inciso<br />
sul fondo vallivo salti morfologici con notevoli dislivelli<br />
che percepiamo se solo percorriamo la val Devero<br />
13 e la val Formazza 14 ; ciò a testimonianza delle soste<br />
che si sono susseguite alle fasi di ritiro dei ghiacciai,<br />
e mirab<strong>il</strong>mente sottolineato dalle cascate, fra tutte<br />
quella del Toce così ben descritta nel racconto seguente<br />
15 : “La scena ha qualche cosa di solenne. Un immenso<br />
anfiteatro di rupi nere si spiega davanti all’attonito sguardo.<br />
Le pareti ignude di granito nero ond’è formato, sparse<br />
di vaste chiazze di gialliccio e di bianco, sono sormontate<br />
a destra e a sinistra da due montagne ignude ugualmente<br />
e nere, ma rotte, irte, dentate. L’arena di quell’anfiteatro,<br />
coperta d’un gran tappeto verde, è sparsa di migliaia<br />
di massi, di rupi prismatiche, a spigoli vivi, strappate dai<br />
87
secoli alle montagne d’intorno, e buttate a giacere alla rinfusa.<br />
Il circo di fronte presenta, in coincidenza colla cascata,<br />
quasi una specie di grande scollatura, per cui l’occhio<br />
s’inoltra liberamente verso lo sfondo della valle. Ove quello<br />
sfondo si apre, una serie di rupi a dorso di montone s’avanza<br />
per gradi sulla destra della valle, a modo di scena, e si<br />
arresta a breve distanza della sinistra. Qui un’altra rupe,<br />
ugualmente arrotondata, le fa riscontro. Al suo piede sorge<br />
l’albergo, edificato sull’orlo dell’abisso. Un vano, un’intaccatura,<br />
quasi un canale aperto da umano scalpello, in<br />
seno a quella barriera di rupi, apre l’unica via alla Toce,<br />
che giunta d’un tratto sull’abisso, vi si precipita senza freno,<br />
orrib<strong>il</strong>mente muggendo, con un salto di 142 metri,<br />
formando una nappa della larghezza di 26 metri, e chi sa<br />
quanto larga nelle piene maggiori. La rupe, da cui si precipita<br />
<strong>il</strong> torrente, non è propriamente a picco, ma forma una<br />
parete un pò inclinata, e ripartita in molti scaglioni, quasi<br />
ciclopica scalea, sui fianchi della quale cresce qualche scarso<br />
f<strong>il</strong>are di abeti. Il torrente, già diviso in più cascate dove<br />
<strong>il</strong> salto incomincia, si suddivide, scendendo, in m<strong>il</strong>le svariatissime<br />
cascatelle. Quale batte la rupe in forma di bianco<br />
fiocco e rimbalza, divisa in un nembo di spruzzi; quale<br />
si lascia sdrucciolare giù giù, lieve lieve, sulla roccia levigata,<br />
come un f<strong>il</strong>o di bambagia, o come nastro ondeggiante<br />
di seta bianca; quale si sparpaglia, disegnando una rete<br />
a maglie d’argento, o cento tessuti diversi che di continuo<br />
si scompongono e si rifanno. Grado grado scendendo, spinte<br />
ora a destra ora a sinistra, s’incontrano, si azzuffano, si<br />
accapigliano. Ma la cascata è una; e a vederla svolgersi, e<br />
rimutarsi sul fondo nero o bigio di quella fantastica scalea,<br />
la non si potrebbe paragonare che a una gran chioma<br />
bianca, disciolta e agitata dal vento. Una nebbia leggiera,<br />
a guisa di aureola perenne, si leva sull’abisso; e quando <strong>il</strong><br />
sole dardeggia, l’iride vi si posa tranqu<strong>il</strong>la, immob<strong>il</strong>e, vero<br />
simbolo di pace in tanta guerra.”<br />
L’erosione ha anche prodotto valli trasversali che si diramano<br />
dal fondo vallivo del Toce in direzione Est Ovest,<br />
dove dalle spianate e dai più dolci pendii degli ampi<br />
bacini superiori esse vanno restringendosi sempre più<br />
verso <strong>il</strong> basso facendosi via via anguste. Il risultato sono<br />
salti morfologici che conferiscono <strong>il</strong> tipico prof<strong>il</strong>o, trasversale<br />
alla valle, a cannocchiale, che ha favorito la successiva<br />
deposizione di morene. In conseguenza a ciò si è<br />
88<br />
avuta la formazione di zone di terrazzi panoramici con<br />
gli insediamenti popolosi 16 o ameni alpeggi frequentati<br />
nel periodo estivo 17 .<br />
Analoghi aspetti e fenomeni morfologici risultato di<br />
azioni erosive, caratterizzano le valli degli affluenti minori,<br />
alcune di queste sono sospese rispetto alla principale,<br />
dove è avvenuta una più intensa attività erosiva:<br />
infatti nelle zone di confluenza tra valle principale e secondaria<br />
si ergono ripidi gradini lungo i quali spumeggiano<br />
pittoresche cascate. 18<br />
L’erosione del ghiaccio a scala minore ha prodotto inoltre<br />
le rocce montonate, gobbe rocciose sagomate secondo<br />
la direzione del movimento glaciale, arrotondate<br />
sopra e sul lato rivolto a monte, scabre sul lato a valle<br />
19 dove spesso l’operazione di levigatura pone in r<strong>il</strong>ievo<br />
minerali di dimensione pluricentimetrica sulla massa<br />
rocciosa più erodib<strong>il</strong>e.<br />
Le valli ossolane scavate dai ghiacciai hanno notoriamente<br />
<strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o trasversale ad U, dovuto all’erosione<br />
lungo tutta la sezione del ghiacciaio, avente forma semicircolare<br />
determinata dal minore attrito durante lo<br />
scorrimento della massa di ghiaccio 20 .<br />
La successiva erosione fluviale ha ulteriormente scavato<br />
valli strette ed incise dette forre 21 , spesso favorite dalla<br />
presenza di fratture, zone di alternanza di strettoie 22 e di<br />
larghe valli a U.<br />
L’associazione di acqua e ciottoli, lungo i corsi d’acqua,<br />
in vorticosi mulinelli ha invece modellato fori di varia<br />
grandezza, circolari o a sezione ellittica ricavati nella<br />
roccia viva sino ad una profondità di 10 metri ed anche<br />
più laddove sono presenti rocce erodib<strong>il</strong>i o fratturate, si<br />
tratta delle marmitte dei giganti. 23<br />
Sim<strong>il</strong>i a marmitte ma di origine mista glaciofluviale<br />
sono i celeberrimi orridi di Uriezzo formatisi in un<br />
settore vallivo dove copiosamente si raccoglievano le acque<br />
di scioglimento dei ghiacci che si distribuivano sull’imponente<br />
salto morfologico tra Premia e Verampio.<br />
L’acqua, oltre a scavare la roccia, svolge anche un’azione<br />
solub<strong>il</strong>e sulle rocce carbonatiche 24 , sia in superficie 25
che in profondità 26 determinando i fenomeni carsici. 27<br />
Tali formazioni sono pressoché sconosciute, sia perché<br />
sul territorio ossolano sono presenti prevalentemente<br />
rocce s<strong>il</strong>icatiche, sia perché localizzate in zone diffic<strong>il</strong>mente<br />
accessib<strong>il</strong>i; sono comunque ampiamente studiate<br />
da alcuni gruppi speleologici 28 .<br />
Consideriamo ancora che in Ossola abbondano i depositi<br />
morenici, risultato della deposizione finale di masse<br />
glaciali ancora attive 29 , che hanno subito arretramenti<br />
consistenti negli ultimi quarant’anni. Flussi e riflussi<br />
come veniva osservato un tempo: “I ghiacciai del Monte<br />
Bianco e del Monte Rosa, i quali verso <strong>il</strong> 1811, si erano<br />
ritirati in angusti confini, progredirono rapidamente<br />
fra <strong>il</strong> 1812 ed <strong>il</strong> 1818. Un sensib<strong>il</strong>e regresso si manifestò<br />
nel 1824, seguito da una fase in cui rimasero stazionari,<br />
poi da un movimento in senso inverso nel 1836 e nel<br />
1837. Un nuovo regresso fu segnalato dal 1839 al 1842;<br />
poi avanzamento irregolare fino al 1854, che corrisponde<br />
al massimo sv<strong>il</strong>uppo raggiunto da tali ghiacciai. D’allora<br />
in poi vi fu una generale retrocessione, la quale durò fin<br />
verso <strong>il</strong> 1878, per accentuarsi negli anni successivi. Siffatte<br />
variazioni non si verificarono simultaneamente in ciascuno,<br />
ma a breve intervallo. Certo è che nel 1890 ben 55<br />
ghiacciai della Svizzera e tutti quelli del Monte Bianco e<br />
del Monte Rosa erano in aumento.” 30<br />
“Quattro le glaciazioni che si sono succedute nei tempi più<br />
recenti (Era Quaternaria); l’ultima (Wurm, della durata<br />
di 90.000 anni ed intervenuta 560.000 anni or sono) lascia<br />
<strong>il</strong> passo alle potenti fiumane che, deposta allo sbocco<br />
delle valli la violenza propria del corso montano, si adagiano<br />
nel piano dando inizio alla pianura alluvionale costruita<br />
dalla Toce e dai suoi affluenti e che si estende piatta<br />
ed uniforme sino al bacino del lago Maggiore. Con la<br />
scomparsa graduale dei ghiacciai si attiva in particolare la<br />
costruzione della piana dell’Ossola. L’aspetto assunto dalla<br />
regione è del tutto nuovo: lisciate le irregolarità dei fianchi<br />
montuosi, conservano i loro aspri contorni solo le cime<br />
che emergono dalla distesa ghiacciata mentre continuo è<br />
<strong>il</strong> deposito di sedimenti alluvionali operato dalla Toce; i<br />
ghiacciai hanno edificato ed abbandonato cumuli talora<br />
Valle Antigorio, gli orridi di Uriezzo.<br />
90<br />
anche ingenti di materiali (morene e massi erratici) e gli<br />
agenti atmosferici degradano in continuazione la superificie<br />
mentre <strong>il</strong> fondovalle si va progressivamente innalzando<br />
sempre più (risulta da documenti certi, ad esempio, che<br />
<strong>il</strong> suolo di Domodossola (conoide di deiezione del torrente<br />
Bogna) si è innalzato, ad opera di quel corso d’acqua, di<br />
ben quattro metri dal 1627 in poi), l’Ossola va, in definitiva,<br />
lentamente assumendo l’aspetto attuale.” 31 Ghiacciai<br />
di estensione minore ormai estinti, hanno depositi<br />
di materiale che vengono lentamente colonizzati dalla<br />
vegetazione ed antropizzati 32 ; diffic<strong>il</strong>e riconoscere l’antico<br />
passaggio della massa glaciale.<br />
Solitari testimoni di antichi sfarzi glaciali sono i massi<br />
erratici 33 , tra di essi i più conosciuti erano quelli del<br />
Passo che hanno rappresentato <strong>il</strong> singolare ed obbligato<br />
passaggio per accedere alla valle Formazza, dando <strong>il</strong><br />
nome alla frazione, finché sono stati rimossi per l’allargamento<br />
della strada. In altri casi gli erratici sono addossati<br />
ai versanti e correlab<strong>il</strong>i a frane postglaciali 34 ; di<br />
tale fenomeno si ha ampia testimonianza in numerose<br />
località 35 dove le case sono spesso costruite tra un masso<br />
ciclopico e l’altro in perfetto mimetismo.<br />
“Tra i luoghi più celebri, come esempi della rovina meteorica,<br />
non esito a porre la valle del Toce, specialmente nel<br />
tratto da Pontemanlio a Foppiano (Valle Antigorio).<br />
I fianchi della valle, quasi a picco per centinaia di metri<br />
e sorgenti da gigantesche scarpe di detrito, rinchiudono la<br />
pianura alluvionale del Toce, dalla quale, sul fondo verdeggiante,<br />
si spiccano enormi monoliti di forme prismatiche,<br />
e in tanta quantità, che destano lo stupore del viandante.<br />
Alcuni fra questi sono di origine glaciale, ossia massi<br />
erratici, ma la maggior parte ruinarono dalle pareti laterali,<br />
come lo dimostra l’eguaglianza mineralogica della<br />
roccia in posto. Molti di cotali massi hanno più di m<strong>il</strong>le<br />
metri cubi di volume. Uno torreggia fra gli altri, che porta<br />
al di sopra gli avanzi di una vecchia costruzione, forse<br />
una torre per segnalazioni ottiche; un altro si erge acuminato<br />
di fianco alla via, e mi preme di qui notarlo, perché<br />
lo credetti altra volta di origine erratica.” 36<br />
Accumuli di altra origine sono da porre in relazione con<br />
l’azione incessante del gelo e disgelo che opera una di-
struzione lenta ma incessante, come si può osservare per<br />
<strong>il</strong> monte Cistella, la cui vetta è formata da un affastellamento<br />
caotico di massi di gneiss.<br />
Gli accumuli 37 , conseguenza di eventi franosi, hanno<br />
anche sbarrato i corsi d’acqua con formazione di specchi<br />
lacustri antichi 38 o recenti così come documentato:<br />
“Frequenti sono in montagna gli esempi di laghi formatisi<br />
in seguito a sbarramento della valle. Nella Val d’Ossola<br />
è celebre <strong>il</strong> Lago di Antronapiana, determinato <strong>il</strong> 27 luglio<br />
1642 da una spaventosa frana, che, staccatasi dal vicino<br />
Monte Pozzoli, si gittò con orrendo fracasso attraverso<br />
la valle, rimontandola in parte dal lato opposto. In pochi<br />
minuti fu seppellito quasi tutto <strong>il</strong> paese di Antronapiana,<br />
con l’eccidio di 150 persone e di numerosi armenti.<br />
Impedito così <strong>il</strong> passo al torrente Troncone, le acque si<br />
accumularono sino al sommo della nuova diga, formando<br />
un bacino quasi circolare di circa tre ch<strong>il</strong>ometri di circuito,<br />
nel quale ogni tanto ancor precipitano nuovi massi,<br />
che si distaccano dalla cicatrice del Monte Pozzoli, ancora<br />
così fresca e ben visib<strong>il</strong>e che non si direbbe vecchia di 257<br />
anni! La massa franata è tanta che richiede per attraversarla<br />
una buona mezz’ora di rapido cammino tra larici ed<br />
abeti secolari, sporgenti fra i macigni accatastati. E’ da notare<br />
però che una parte di questo detrito appartiene a depositi<br />
morenici preesistenti. Analoga è l’origine del piccolo<br />
e poetico Lago d’Andromia, sotto la vetta del Pizzo d’Albione,<br />
pure in Val d’Ossola.” 39 .<br />
Alcuni di essi sono ormai estinti 40 : ne sono testimonianza<br />
le torbiere o gli orizzonti carboniosi o metaniferi<br />
che caratterizzano gli alpeggi di Veglia o Devero. I<br />
resti foss<strong>il</strong>i quali pollini, semi, foglie certamente legati<br />
a deposizioni lacustri di breve durata nel tempo, hanno<br />
registrato le caratteristiche dell’ambiente circostante<br />
ed erano reperib<strong>il</strong>i sul greto del fiume Melezzo Orientale<br />
in valle Vigezzo 41 .<br />
Anche l’acqua dei fiumi ha contribuito alla formazione<br />
di numerosi accumuli fluviali in forma conoidale 42 , poi<br />
con <strong>il</strong> tempo completamente urbanizzati. Gli insediamenti,<br />
posti allo sbocco dei torrenti con la pianura, storicamente<br />
risultarono vulnerati dalle piene; le arginature<br />
sono chiari esempi di tentativi da parte dell’uomo di<br />
opporsi alle forze della natura. D’altronde i più popo-<br />
lati insediamenti ossolani sono localizzati sulle conoidi,<br />
evitando così <strong>il</strong> fondovalle frequentemente oggetto di<br />
inondazione, e scartando la possib<strong>il</strong>ità di insediarsi nelle<br />
aree montane i cui versanti sono spesso molto acclivi.<br />
“Sulla potenza della coltre alluvionale, senza dubbio notevole<br />
anche nelle parti più ristrette della valle, sarà opportuno<br />
ricordare che gli schemi stratigrafici che si riferiscono<br />
ad una serie di pozzi trivellati in questi ultimi decenni<br />
per la ricerca e la cattura delle acque da ut<strong>il</strong>izzare a scopo<br />
industriale, ci hanno fornito dati del massimo interesse:<br />
uno di essi, aperto in territorio di V<strong>il</strong>ladossola in materiale<br />
depositato alla confluenza Ovesca-Toce, ha oltrepassato<br />
i duecento metri di profondità senza raggiungere la roccia<br />
di fondovalle. 43 ”<br />
Abbiamo sin qui osservato quale sia <strong>il</strong> contributo dell’acqua<br />
nella morfologia del nostro territorio. Frequentemente<br />
tale azione avviene al disotto della superficie<br />
terrestre poiché l’acqua segue un percorso nascosto e<br />
non risolvib<strong>il</strong>e, verso le profondità della terra.<br />
A causa di questa circolazione gli elementi ut<strong>il</strong>i si concentrano<br />
a costituire risorse minerarie economicamente<br />
sfruttab<strong>il</strong>i. Infatti l’Ossola fu in passato luogo primario<br />
per le coltivazioni minerarie con l’estrazione di<br />
minerali auriferi ed argentiferi. Di questa consuetudine<br />
sono testimonianza i nomi delle compagnie minerarie<br />
dai suoni inglesi 44 pronti a ricordare epopee estrattive<br />
che ebbero luogo al di là dell’Oceano in giacimenti<br />
ben più estesi, in quanto quelli ossolani rappresentarono<br />
un laboratorio di prova.<br />
La nostra zona viene compresa nella “provincia Aurifera<br />
delle Alpi Occidentali” 45 , areale molto esteso che denota<br />
un fenomeno imponente che ha interessato le Alpi e<br />
che si è sv<strong>il</strong>uppato indipendentemente dalle formazioni<br />
rocciose che racchiudono i f<strong>il</strong>oni. 46<br />
La storia più recente è comunque a sua volta caratterizzata<br />
da ritrovamenti che hanno contraddistinto e reso<br />
assai significativo <strong>il</strong> territorio ossolano per precise e particolari<br />
scoperte mineralogiche. In particolare va segnalata<br />
la presenza di minerali delle terre rare 47 da sempre<br />
ritenuti assai poco frequenti, se non di eccezionale ritrovab<strong>il</strong>ità:<br />
alcuni sono presenti in pegmatiti come la<br />
91
Valle Anzasca: la miniera d’oro della Guia.<br />
tanteuxenite, euxenite, tapiolite, aeschynite, vigezzite,<br />
fersmite od anche in fessure come monazite, xenotimo,<br />
sinchisite, gadolinite, allanite.<br />
Da evidenziare anche specie rare come la roggianite 48 ,<br />
la taramellite e la wenkite, queste ultime contenenti bario,<br />
presenti nella Cava di Candoglia fornitrice del marmo<br />
ut<strong>il</strong>izzato per la costruzione del Duomo di M<strong>il</strong>ano.<br />
Interesse assai considerevole ha assunto la zona del<br />
Monte Cervandone (Valle Antigorio – Formazza) dove<br />
si scoprono con discreta continuità minerali di fessura<br />
ad alto contenuto di arsenico 49 . Essi hanno nomi come<br />
asbecasite, cafarsite, chernovite, agardite, strashimirite,<br />
gasparite, cervandonite, fetiasite, paraniite –<br />
(Y) 50 . Di tutti i minerali sinora citati alcuni sono nuovi<br />
ritrovamenti assoluti, che rendono unica la nostra regione.<br />
Minerali di interesse sono stati estratti durante i<br />
lavori di scavo del traforo del Sempione, completando<br />
l’ampia panoramica offerta.<br />
In questa lenta percolazione attraversando zone frattu-<br />
92<br />
rate, con rocce di varia genesi e composizione, le acque<br />
si arricchiscono in sali minerali e tornano a giorno in<br />
polle sorgive. 51<br />
Le acque minerali, rappresentano ab <strong>il</strong>lo tempore una<br />
ricchezza più duratura di quella dei giacimenti auriferi<br />
cui spesso sono geneticamente strettamente correlate 52 .<br />
La conoscenza delle acque minerali e delle loro proprietà<br />
curative risale alla seconda metà dell’Ottocento, periodo<br />
in cui maturò la convinzione presso gli industriali<br />
che le acque oltre al valore curativo potevano costituire<br />
fonte di reddito 53 . Solo dopo <strong>il</strong> 1906, anno dell’apertura<br />
del Sempione, avvenne un salto qualitativo anche<br />
in questo campo.<br />
Venivano ad esempio ut<strong>il</strong>izzate acque arsenicali presso<br />
le miniere aurifere dei Cani 54 , sorgenti con caratteristiche<br />
idrochimiche differenziate, alcune delle quali presentano<br />
una forte acidità ed elevata mineralizzazione,<br />
con presenza d’arsenico, ferro e numerosi altri metalli.<br />
Queste acque confluiscono in un unico rio, <strong>il</strong> Crotto<br />
Rosso, <strong>il</strong> cui greto è coperto da un deposito ocraceo for-
matosi a seguito della deposizione degli ossidi idrati di<br />
alcuni metalli in soluzione, in particolare ferro.<br />
Il dato più evidente che emerge dalle analisi effettuate<br />
nel marzo 1993 dal Laboratorio Provinciale di Igiene e<br />
Prof<strong>il</strong>assi di Novara è <strong>il</strong> valore di pH (2,42 unità), che<br />
mette in evidenza una fortissima acidità minerale.<br />
Tale valore determina una forte capacità di mineralizzazione<br />
delle acque, a spese delle rocce con le quali vengono<br />
in contatto, e determinano la dissoluzione di metalli<br />
quali alluminio, ferro, manganese, zinco, che costituiscono<br />
la parte più importante dello spettro cationico.<br />
Sono da sottolineare le concentrazioni molto elevate<br />
raggiunte da questi metalli in soluzione, sino a 700<br />
mg l -1 per <strong>il</strong> ferro e 140 mg l -1 per l’alluminio che, uniti<br />
alla forte acidità dell’acqua, rendono necessaria la sua<br />
somministrazione secondo precise prescrizioni mediche.<br />
Sono presenti inoltre molti metalli in concentrazione<br />
minore, quali arsenico, piombo, nichel. La conducib<strong>il</strong>ità<br />
risulta di 4150 µS cm -1 , pressoché interamente<br />
dovuta ai solfati, mentre fra i cationi prevalgono ferro<br />
e alluminio, seguiti da calcio e magnesio. Le cause della<br />
forte acidificazione e mineralizzazione delle acque è<br />
stata identificata in uno studio 55 finalizzato alla valutazione<br />
delle possib<strong>il</strong>ità di ut<strong>il</strong>izzo terapeutico dell’acqua,<br />
nell’azione di dissoluzione delle acque sotterranee sulle<br />
arsenopiriti presenti nelle rocce, che fanno parte del<br />
complesso dei minerali auriferi estratti dalla miniera. In<br />
particolare la forte acidità è determinata dal processo<br />
di ossidazione dei solfuri, uno dei costituenti principali<br />
delle piriti, a solfati.<br />
Iniziò così lo sfruttamento di queste acque che venivano<br />
captate ed, opportunamente d<strong>il</strong>uite, imbottigliate<br />
per cure orali e per anemie; inoltre si effettuarono bagni<br />
per cure dermatologiche con ottimi risultati, mentre di<br />
pari passo analisi chimiche effettuate presso centri universitari<br />
documentavano le proprietà terapeutiche della<br />
sorgente. Con grande soddisfazione gli amministratori<br />
locali possono finalmente captare l’acqua della sorgente<br />
arsenicale e convogliare mediante fanghidotto a valle<br />
per sv<strong>il</strong>uppare un centro di cure termali.<br />
Così pure si racconta che: “Le acque minerali di Bognanco<br />
(Val d’Ossola), da parecchi anni fatte conoscere in <strong>It</strong>a-<br />
lia, come acque da tavola e medicinali. Esse sgorgano da<br />
un vivo masso di gneis micaceo, sorgente quasi isolato nel<br />
letto del fiume. Alcuni anni fa non si conosceva che un’unica<br />
sorgente; ma per mezzo di scavi praticati sapientemente,<br />
fra gli abbondanti st<strong>il</strong>licidi che irrorano la roccia e la tingono<br />
di chiazze gialle e rugginose, si riuscì ad aumentare<br />
l’efflusso della prima e a trovarne parecchie altre dotate di<br />
diverse proprietà. Le principali sono quattro, coi nomi di<br />
Luigia, Ausonia, S. Lorenzo e Adelaide, le quali distanti<br />
di solo pochi metri l’una dall’altra, contengono tutte quasi<br />
gli stessi sali, ma in dosatura assai diversa. Questo fatto,<br />
unito a quello di una temperatura fresca (da 5 gradi a<br />
11 gradi C.) farebbe supporre che la mineralizzazione delle<br />
sorgenti non avvenga ad una grande distanza dal loro<br />
sbocco, ovvero che durante <strong>il</strong> loro percorso sotterraneo, sprigionandosi<br />
in parte quel gran solvente che è l’acido carbonico<br />
(che nelle fonti di Bognanco è straordinariamente abbondante)<br />
alcuni sali si depongano qua e là parzialmente,<br />
ed altri totalmente” 56 .<br />
Le sorgenti che costituiscono le Terme di Crodo sono<br />
ubicate sul fianco destro dell’alta Valle del Toce, nella<br />
zona di radice dei grandi ricoprimenti alpini. Risultano<br />
quattro sorgenti denominate Fonte di Valle d’Oro 57 ,<br />
Cistella 58 , Lisiel 59 e Cesa 60 . Le prime due sgorgano entro<br />
<strong>il</strong> Parco delle Terme; la terza all’estremità settentrionale<br />
del parco, al piede dell’ampia conoide alluvionale del<br />
Rio Alfenza e la quarta sgorga nei depositi morenici a<br />
grossi blocchi che fasciano <strong>il</strong> fianco sinistro del Rio Emo.<br />
Cristallo di quarzo.<br />
93
Non solo acque minerali in Ossola ma termalismo,<br />
considerato nel suo corretto significato quindi acquae<br />
calidae, che vennero ritrovate anche durante <strong>il</strong> perforo<br />
della galleria del Sempione e furono di ostacolo alla realizzazione<br />
dell’opera. Ne dà notizia <strong>il</strong> Malladra: “Quest’acqua<br />
venne scoperta durante lo scavo del traforo del<br />
Sempione. Attorno alla progressiva 4410 dello scavo, dal<br />
versante italiano, in un tratto lungo solo 170 metri si contarono<br />
ben 40 sorgenti di diversa portata, di varia natura,<br />
di diseguale temperatura e regime che crearono notevoli<br />
problemi rallentando i lavori. Un’ ulteriore difficoltà fu<br />
dovuta al fatto che queste acque erano ad altissima pressione.<br />
La prima venuta d’acqua nel tunnel si verificò <strong>il</strong> giorno<br />
1 settembre 1902 quando lo scavo stava attraversando<br />
un banco di calcare saccaroide. Altre sorgenti furono incontrate<br />
ai 9110 m. di avanzamento e avevano una temperatura<br />
superiore ai 40° C; ed altre ancora furono intercettate<br />
dal fronte d’attacco nord, quello sul versante svizzero<br />
e furono tali da dover interrompere l’avanzamento.<br />
Gli scavi seppur con difficoltà si conclusero ma restava da<br />
capire da dove provenisse tutta quest’acqua. Si eseguirono<br />
così prove con la fluorescenza, una sostanza che colora<br />
l’acqua e permette di seguirne <strong>il</strong> percorso. La sostanza fu<br />
messa nel lago d’Avino, nel torrente Diveria e nel Cairasca,<br />
dando però esito negativo, non era da questi che l’acqua<br />
si inf<strong>il</strong>trava fino a raggiungere <strong>il</strong> tunnel. Un’altra ipotesi<br />
era che l’acqua penetrasse nel terreno dalle aree che sovrastavano<br />
la galleria, una zona quella del lago d’Avino,<br />
della valle Vallè, del Passo delle Possette sim<strong>il</strong>e alla regione<br />
del Carso con profonde incisioni, imbuti, avvallamenti<br />
e depressioni” 61 .<br />
Ed ancora ai Bagni di Craveggia 62 di cui si dice: “La<br />
sorgente termo-minerale detta dei bagni di Craveggia,<br />
che sgorga da rupi di gneiss fondamentale in Valle Onsernone,<br />
e segna un punto di confine fra l’Ossola e <strong>il</strong> Canton<br />
Ticino. L’efflusso è di 12 litri al minuto, e la sua temperatura<br />
si mantiene costantemente a 30° C., benchè a 1000<br />
metri circa sul livello del mare. Era nota sino dal 1406,<br />
sotto <strong>il</strong> nome di flumen acquae calidae; l’Amoretti la descrisse<br />
sul finire del secolo scorso.” 63<br />
Ed ai giorni nostri a Cadarese di Premia è stata rinvenuta<br />
una sorgente di acqua calda durante un sondaggio<br />
geotecnico eseguito dall’ENEL nel 1992. E’ la temperatura<br />
la caratteristica sorprendente di questa fonte, in-<br />
94<br />
fatti l’acqua sgorga ad una temperatura che va dai 42,3<br />
C o ai 42,5 C o . L’acqua è stata sottoposta alle analisi previste<br />
dalle normative vigenti, in base alle quali è stata riconosciuta<br />
batteriologicamente pura con caratteristiche<br />
ipertermali, ricca di sali minerali, solfato calcica. Il comune<br />
di Premia per valorizzare questa risorsa naturale<br />
sta realizzando un centro termale dove poter sfruttare<br />
gli effetti terapeutici di queste acque. Dalle analisi<br />
eseguite risulta infatti ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e con metodiche di<br />
balneoterapia e fangoterapia, per la cura di patologie di<br />
pertinenza reumatologica, ortopedica, traumatologica e<br />
dermatologica 63 .<br />
Sempre l’acqua grande risorsa ossolana è stata oggetto<br />
dai primi decenni del Novecento di sfruttamento<br />
per scopi idroelettrici mediante la realizzazione di infrastrutture<br />
quali dighe per lo più realizzate su bacini<br />
lacustri preesistenti, in zone di alta montagna. Si tratta<br />
di zone di circo glaciale quindi di ampi bacini superiori<br />
delle valli che come si è già detto in precedenza<br />
vanno restringendosi sempre più verso <strong>il</strong> basso facendosi<br />
via via anguste e dove sono state posate condotte<br />
forzate e canali di derivazione. Tutto ciò ha determinato<br />
<strong>il</strong> cambiamento dell’aspetto di molte vallate.<br />
La ricca documentazione fotografica raccolta nel <strong>libro</strong><br />
“Girola-un’impresa sulle Alpi” 64 descrive più di qualsiasi<br />
altra cosa quello che fu <strong>il</strong> fermento di quegli anni<br />
dell’idroelettrica italiana. Per la società dell’ingegnere<br />
Ettore Conti 65 , l’impresa Girola e l’arch. Piero Portaluppi<br />
costruiscono le centrali di Verampio, Crego, Valdo,<br />
Sottofrua, Cadarese e Crevoladossola. Conti e Portaluppi<br />
intesero fin dall’inizio questa rete di splendide<br />
centrali elettriche come gioielli che esprimevano luminosamente<br />
l’energia in loro accumulata.<br />
Dalla valle Antigorio Formazza lo sfruttamento idroelettrico<br />
si è esteso ad altre valli che presentano conformazione<br />
morfologica analoga e si possono individuare<br />
dei sistemi idroelettrici omogenei anche in valle Devero,<br />
val Bognanco, valle Antrona, val Divedro, Crevola-Domodossola-Pallanzeno-Piedimulera-Ornavasso,<br />
valle Anzasca.<br />
Di realizzazione recente sono altri impianti quali quello<br />
di Pieve Vergonte con derivazione dall’Anza a Battiggio<br />
e centrale in caverna a Fomarco di Pieve Vergonte,
Alta Valle Formazza: i laghi Kastel e Toggia.<br />
e quello di Varzo con presa sul Diveria a Paglino e centrale<br />
in caverna a Varzo.<br />
Negli anni 90 venne anche presa in considerazione<br />
l’ipotesi di costruire nel comune di Premia, in località<br />
Pied<strong>il</strong>ago un impianto per la produzione di energia<br />
idroelettrica del tipo ad accumulazione mediante pompaggio<br />
a ciclo giornaliero. Il progetto prevedeva la presenza<br />
di due serbatoi, quello superiore esistente (bacino<br />
di Agaro), mentre quello di valle un bacino artificiale<br />
ricavato mediante scavi ed arginature realizzate in sinistra<br />
orografica del fiume Toce, nella Piana di Pissaro. La<br />
particolarità di questo impianto sarebbe stata la possib<strong>il</strong>ità<br />
di accumulare energia (costituita da volumi d’acqua<br />
trasferiti dal serbatoio inferiore a quello superiore) nelle<br />
ore di minore richiesta, in genere quelle notturne e festive,<br />
per restituirla nei momenti di maggiore domanda<br />
elettrica. Purtroppo sembra che non verrà realizzato per<br />
mancanza di fondi.<br />
Sempre relativamente allo sfruttamento dell’acqua<br />
come forza motrice in Ossola esisteva una rete di opifici<br />
66 e strutture produttive “andanti ad acqua” come mulini,<br />
molinetti 67 , segherie 68 , ferriere.<br />
L’uso dell’energia idraulica per mettere in moto “ruote<br />
ad acqua” che potevano azionare macine, magli ed altri<br />
meccanismi semplici destinati alla trasformazione e lavorazione<br />
dei prodotti, risale ad epoche molto antiche,<br />
ma la effettiva diffusione di tali strutture si fa risalire al<br />
periodo medievale.<br />
95
Valle Antigorio, località Maiesso: le erosioni del fiume Toce.<br />
Il mulino ad acqua 69 , è stato per lunghissimo arco di<br />
tempo, una struttura di vitale importanza per la popolazione;<br />
di piccole dimensioni, posto in vicinanza di<br />
fiumi, rii e torrenti, di cui captava le acque mediante<br />
canalizzazione scavata direttamente in roccia o in legno,<br />
macinava 70 segale, castagne 71 , e assicurando le risorse<br />
alimentari alle popolazioni che ne usufruivano.<br />
Si possono distinguere due tipi fondamentali di mulini,<br />
a seconda della posizione della ruota idraulica che li<br />
azionava; <strong>il</strong> mulino orizzontale, con ruota motrice orizzontale,<br />
adatta a sfruttare portate d’acqua limitate, proprie<br />
dei regimi idraulici torrentizi, e <strong>il</strong> mulino “verticale”,<br />
con ruota motrice verticale mossa dalla caduta dell’acqua,<br />
presente sui corsi d’acqua a portata costante e<br />
copiosa. Nelle valli ossolane, visto <strong>il</strong> regime torrentizio<br />
dei diversi corsi d’acqua, si è sempre preferito <strong>il</strong> mulino<br />
con ruota orizzontale formata da 14-16 pale a cucchiaio<br />
realizzate in legno di quercia e saldate ad un albero ver-<br />
96<br />
ticale in grado di trasmettere <strong>il</strong> moto alle macine di pietra<br />
poste superiormente.<br />
La presenza dell’acqua è stata determinante per lo sv<strong>il</strong>uppo<br />
degli insediamenti umani infatti oltre a essere<br />
fondamentale per l’approvvigionamento idrico, la vicinanza<br />
di corsi d’acqua poteva avere funzioni difensive<br />
e favorire lo sv<strong>il</strong>uppo delle comunicazioni e dei commerci.<br />
D’altro canto, alluvioni e scoscendimenti parteciparono<br />
a rimodellare nel corso dei secoli la mappatura<br />
degli insediamenti, trasformando <strong>il</strong> paesaggio e costringendo<br />
l’uomo a escogitare tecniche per proteggere<br />
le abitazioni e le zone coltivate.<br />
Anticamente le tecniche d’approvvigionamento idrico<br />
erano concentrate in pochi punti e l’accesso all’acqua<br />
potab<strong>il</strong>e era assicurato da pozzi a carrucola e da cisterne<br />
d’acqua piovana soprattutto in zone di montagna<br />
lontane da corsi d’acqua 72 . Quando la gestione dell’acqua<br />
divenne un compito dei comuni essi si dotarono<br />
di condotte che rifornivano fontane e lavatoi pubblici<br />
e privati.<br />
Sistemi di approvvigionamento idrico moderni furono<br />
realizzati nei centri maggiori nella seconda metà del<br />
XIX secolo e con qualche ritardo sorsero anche canalizzazioni<br />
per lo smaltimento delle acque di scarico spesso<br />
realizzate in pietra ollare chiamata anche localmente<br />
con <strong>il</strong> termine di laughera 73 o laveggio ed attualmente<br />
ut<strong>il</strong>izzata per realizzare piastre per riscaldare e cuocere<br />
le vivande. La nostra pietra era molto conosciuta: “In<br />
Piemonte nella val d’Ossola a Vagna (e in val Bognanco)<br />
si ha una serpentina detta ollare di colore variab<strong>il</strong>e dal<br />
plumbeo al verde cupo, è fac<strong>il</strong>mente lavorab<strong>il</strong>e al tornio<br />
e suscettib<strong>il</strong>e di lastratura: se ne fanno tubi per fumo, per<br />
cessi e per condutture d’acqua, come le condutture di Pallanza,<br />
Acqui e S. Remo. A tali usi serve pure la serpentina<br />
d’Oira (Nonio) sul lago d’Orta, detta impropriamente<br />
marmo d’Oira. I tubi di serpentina di Vagna possono avere<br />
lunghezza di m. 1.20, con diametro interno da 0.035 a<br />
0.28, e collo spessore delle pareti da 0.015 a 0.03. La varietà<br />
d’Oira è alquanto inferiore a quella di Vagna perchè<br />
trovandosi intersecata da numerose vene di quarzo è ottenib<strong>il</strong>e<br />
solo in pezzi di limitate dimensioni.” 74
Le canalizzazioni a cielo aperto non sono così diffuse<br />
nel nostro territorio come nel vicino cantone Vallese<br />
povero di precipitazioni dove si sv<strong>il</strong>upparono fin almeno<br />
dal Medioevo complessi sistemi d’irrigazione chiamati<br />
“bisses” in francese, “suonen” in tedesco.<br />
Le “bisses” vallesane sono documentate fin dall’XI secolo,<br />
altri sistemi d’irrigazione medievali sono stati scoperti<br />
nei Grigioni e in Ticino. Nelle regioni più ricche<br />
di precipitazioni, i sistemi d’irrigazione servivano invece<br />
a fert<strong>il</strong>izzare prati e campi di grano.<br />
Le precipitazioni in Ossola sono invece complessivamente<br />
abbondanti, se confrontate con i valori medi nazionali,<br />
perché i suoi monti, ed in particolare quelli che<br />
segnano la linea spartiacque con <strong>il</strong> Canton Ticino ed <strong>il</strong><br />
Verbano, costituiscono, insieme ai r<strong>il</strong>ievi della val Strona<br />
e del bacino del Lago d’Orta, i primi ostacoli che<br />
le masse d’aria umide provenienti dal Mediterraneo incontrano,<br />
dopo aver attraversato la Pianura Padana, riscaldandosi<br />
e raccogliendo inquinanti atmosferici.<br />
L’incontro con <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo alpino, non mitigato dalla presenza<br />
delle prealpi, determina un innalzamento e raffreddamento<br />
delle masse d’aria, con conseguenti precipitazioni,<br />
di intensità variab<strong>il</strong>e a seconda della perturbazione<br />
a determinare spesso piogge intense e prolungate.<br />
Questi fenomeni si verificano durante i massimi primaver<strong>il</strong>e<br />
ed autunnale; le precipitazioni di massima intensità<br />
e breve durata possono essere sia episodi isolati<br />
di carattere temporalesco, sia momenti di particolare<br />
intensità durante eventi piovosi di durata prolungata.<br />
In questo caso possono essere particolarmente pericolosi<br />
perché possono provocare la saturazione di terreni<br />
aventi un già alto contenuto d’acqua con decremento<br />
delle caratteristiche di resistenza e creazione di fenomeni<br />
di dissesto, numerosi in passato 75 e purtroppo sempre<br />
più frequenti come nel mese di ottobre 2000 che<br />
hanno colpito la rete idrografica sia principale che minore,<br />
manifestando importanti portate di piena dei tributati<br />
principali (T. Diveria, T. Bogna, T. Ovesca, T.<br />
Anza,) e inducendo un incremento significativo del livello<br />
del Fiume Toce. Contemporaneamente si sono<br />
verificati una serie di fenomeni di carattere torrentizio<br />
lungo le linee di impluvio secondarie, i quali hanno determinato<br />
sia la riattivazione delle attività erosive che<br />
fenomeni di trasporti in massa in alveo; lo sv<strong>il</strong>uppo di<br />
tali attività ha indotto dapprima la parziale occlusione<br />
di diverse tombinature delle sedi viarie vallive e, successivamente,<br />
l’invasione di alcuni tratti di arteria viaria da<br />
parte di materiali solidi e portate liquide.<br />
Nel contempo, l’incremento di deflusso nei collettori<br />
principali, favorito anche dallo scioglimento delle nevi<br />
in quota, ha innescato i fenomeni di dissesto che hanno<br />
interessato le sponde sia naturali che artificiali, determinando<br />
erosioni di sponda diffuse con inondazione<br />
ad alta e bassa energia. Tali fenomeni sono stati favoriti<br />
sia dal trasporto in massa che, soprattutto, dalla presenza<br />
in alveo di abbondate materiale alluvionale e flottante<br />
di natura vegetale.<br />
Sempre nell’ottobre 2000 si sono verificati gravi danni<br />
alle infrastrutture viarie, con cedimenti delle carreggiate,<br />
asportazione delle porzioni più a rischio (tornanti),<br />
scalzamenti al piede, sifonamenti del sottofondo con<br />
cedimenti del manto bituminoso.<br />
L’azione combinata tra le precipitazioni meteoriche,<br />
i fenomeni di ruscellamento diffuso ed incanalato, la<br />
saturazione dei corpi detritici ha infine innescato una<br />
serie di fenomeni gravitativi delle coperture, i quali si<br />
sono materializzati con scivolamenti e di colata.<br />
Note tecniche<br />
3 Le beole petrograficamente vengono chiamate ortogneiss<br />
della falda Monte Rosa che ha la sua zona di<br />
radice nella piana ossolana. I litotipi sono localizzab<strong>il</strong>i<br />
a Beura, Cardezza, V<strong>il</strong>ladossola, Pallanzeno, alta valle<br />
Antrona. Le cave sono situate nel nucleo della larga antiforme<br />
della zona Monte Rosa, che ha un piano assiale<br />
subverticale con direzione E-W. Tale zona ha subito una<br />
notevolissima deformazione che ha formato rocce con<br />
tessitura scistosa planare e fortissima lineazione, dove i<br />
componenti chiari formano matite lunghe una spanna<br />
con diametro di uno o due centimetri. A Ceppo Morelli<br />
si coltivano invece ortogneiss grossolani ghiandoni<br />
(Serizzo Monte Rosa) che hanno conservato quasi<br />
perfettamente l’aspetto dell’originario granito a grana<br />
grossa. Le colorazioni sono variab<strong>il</strong>i a seconda. del-<br />
97
la grana della roccia e del contenuto in miche, si passa<br />
dalle beole grigie alla cosidetta pietra argentea con<br />
molta muscovite. I materiali coltivati nelle vicinanze del<br />
Monte Calvario ed in valle Vigezzo sono ortogneiss tabulari<br />
<strong>il</strong> cui granito originario era a grana fine, si tratta<br />
di orizzonti verticalizzati aventi caratteristiche sim<strong>il</strong>i<br />
a quelli delle beole ma con minori caratteristiche estetiche.<br />
Analoghi alle beole sono gli gneiss del Monte Leone,<br />
macroscopicamente sono molto sim<strong>il</strong>i alle beole più<br />
muscovitiche (beola Isorno e Favalle).<br />
La quarzite di Vogogna: si tratta di una quarzite permocarbonifera<br />
quindi non è una vera quarzite di derivazione<br />
sedimentaria (derivante da arenaria molto<br />
quarzosa metamorfosata) come quella cavata a Barge<br />
Sanfront (“bargioline”). Ma si tratta di ortogneiss laminati<br />
molto fiss<strong>il</strong>i, tipo beola, con colorazione verdina<br />
data dalla fengite, mentre le varietà più grigie contengono<br />
muscovite. Chiamata degli “scisti di Fobello e Rimella”<br />
ha infatti subito un elevata deformazione essendo<br />
al contatto con la linea Insubrica.<br />
4 I serizzi petrograficamente sono noti come ortogneiss<br />
della falda d’Antigorio che affiora con grande<br />
estensione in valle Antigorio Formazza ed in valle Divedro.<br />
Essa è rovesciata verso verso Nord Ovest con un<br />
fronte arrotondato avente spessore massimo di 1 Km e<br />
nella zona di radice (a meridione) si assottiglia. Le buone<br />
condizioni di affioramento sono legate al fatto che le<br />
valli tagliano la falda. La roccia è di tipo gneissico con<br />
scistosità non tanto efficace da impedirne l’uso come i<br />
materiali granitoidi cioè con taglio e successiva lucidatura.<br />
“Serizzo” è un termine tecnico per indicare litotipi<br />
che provengono da zone settentrionali della val d’Ossola.<br />
A seconda di dove è posizionata la cava all’interno<br />
della falda si estraggono litotipi diversi: quelli meridionali<br />
presentano una foliazione più fitta. I litotipi<br />
tipo beola sono nella zona di radice oppure vicino al<br />
margine della falda a contatto con le falde sottostanti o<br />
sovrastanti. I materiali estratti provengono: da Crodo<br />
(Serizzo Antigorio), ortogneiss a grana media con tessitura<br />
occhiadina, talora porfirica, ricco di biotite viene<br />
anche detto serizzo scuro; da Varzo e dintorni, in<br />
val Divedro (Serizzo Sempione o “Granito” di Varzo).<br />
Si possono considerare due varietà una a fondo bian-<br />
98<br />
co con sott<strong>il</strong>i e brevi livelletti di biotite, localmente anche<br />
solo aggregati puntiformi, detta grigio chiaro; l’altra<br />
con più abbondante e diffusa biotite che scurisce la<br />
roccia, è detta grigio scuro sono coltivati come beole.<br />
Dalla val Formazza (Serizzo Formazza), gneiss granitoide<br />
a grana fine con scistosità rada e poco marcata<br />
biotite presente in debole quantità, roccia a fondo bianco<br />
con leggera macchiettatura nera. Viene chiamato anche<br />
serizzo bianco, si tratta di un bell’ortogneiss biotitico,<br />
a tessitura generalmente occhiadina uniforme, più<br />
scuro delle beole tipiche.<br />
6 Il marmo rosa di Candoglia viene tuttora ut<strong>il</strong>izzato<br />
per <strong>il</strong> restauro del Duomo di M<strong>il</strong>ano. Nella zona di Candoglia<br />
è presente <strong>il</strong> banco di calcare cristallino disposto<br />
verticalmente nelle rocce gneissiche che limitano a Sud<br />
la formazione diorito-kinzigitica. La colorazione rosata<br />
del marmo è imputab<strong>il</strong>e alla presenza di ossido di ferro<br />
diffuso nella roccia. Purtroppo una notevole percentuale<br />
del marmo non può essere ut<strong>il</strong>izzata per la presenza<br />
di solfuri di ferro, diffusi in piccoli noduli o in sciami<br />
di minutissime inclusioni; queste inclusioni alla superficie<br />
delle lastre in opera negli esterni, a contatto con le<br />
acque meteoriche, danno un colore rugginoso con grave<br />
deturpazione cromatica.<br />
Il marmo di Ornavasso o marmo grigio Boden. E’ situato<br />
sul versante destro idrografico della val d’Ossola,<br />
nei pressi di Ornavasso, di fronte a Candoglia e rappresenta<br />
la prosecuzione delle grandi lenti di calcare cristallino.<br />
Il marmo di Crevola. Si tratta di marmi dolomitici facenti<br />
parte di un intercalazione metamorfica mesozoica<br />
della falda Lebendun posta tra la falda Antigorio (inf.)<br />
e la falda Monte Leone superiormente dolomie cristalline<br />
saccaroidi viene estratta a Crevola in val d’Ossola<br />
e commerciata con <strong>il</strong> nome di “marmo di Crevola”. La<br />
roccia è di colore fondamentalmente bianco grigiastro<br />
contiene diffusi letti di mica flogopite di colore marrone<br />
violaceo, e viene cavata in due tipi fondamentali<br />
a fondo grigio ed a fondo bianco; in ambedue i tipi la<br />
presenza della mica flogopite variamente distribuita viene<br />
a creare un interessante effetto cromatico d’assieme.<br />
La dolomia di Crevola d’Ossola, in confronto ai calcari<br />
saccaroidi, presenta una maggiore resistenza all’azio-
ne chimica degli agenti atmosferici oggi particolarmente<br />
aggressivi nelle grandi città industriali. In dolomia di<br />
Crevola è stato realizzato <strong>il</strong> rivestimento dell’Arco della<br />
Pace a M<strong>il</strong>ano.<br />
7 Il granito di Baveno affiora con un complesso roccioso<br />
largo circa tre ch<strong>il</strong>ometri, sv<strong>il</strong>uppato in direzione<br />
NE-S0 per circa 10 km sulla riva piemontese del Lago<br />
Maggiore. La massa granitica è compresa tra gli gneiss<br />
e gli scisti della cosidetta “serie dei Laghi” a Nord, si<br />
trova circoscritta dalle alluvioni quaternarie dei fiumi<br />
Toce e Strona. Il granito di Baveno si presenta in due<br />
colorazioni diverse: rosa e bianco. La roccia granitica<br />
di Baveno ha una granulazione media ed uniforme,<br />
ed è caratterizzata da una elevata compattezza, in alcune<br />
zone l’omogeneità della roccia è interrotta dalla presenza<br />
di geodi che raggiungono anche parecchi decimetri<br />
di diametro, ricoperte di eleganti e ricche cristallizzazioni<br />
di varia natura. Nella massa granitica sono presenti<br />
anche concentrazioni di minerali di ferro e magne-<br />
Lo scoglio granitico del Montorfano arrotondato dai ghiacciai.<br />
sio, vene allungate di granito a struttura grossolana con<br />
grandi lamine di mica biotite, “catene” che terminano<br />
assottigliandosi nella massa del granito. Il granito di<br />
Montorfano di colore nettamente bianco punteggiato<br />
di nero per la presenza della mica biotite. L’omogeneità<br />
della roccia è rotta dalla presenza di zone ricche di quarzo<br />
o di feldspato; si trovano numerose inclusioni di piccoli<br />
frammenti di rocce metamorfiche scistoso-cristalline<br />
che conservano ancora i loro caratteri originari.<br />
Il granito verde di Mergozzo appartiene alle rocce dioritiche,<br />
affiora sulle pendici nord-occidentali del Montorfano.<br />
E’ut<strong>il</strong>izzato per scopi decorativi; le macchioline<br />
verdi diffuse sono dovute a clorite; i granuletti violacei,<br />
meno frequenti, sono costituiti da quarzo. Il “granito”<br />
nero di Anzola, è classificato come granulite metamorfica<br />
di colore nerastro; veniva cavato presso Anzola<br />
ed apprezzato per le notevoli qualità tecniche ed estetiche<br />
tuttavia la presenza di inclusioni diffuse di solfuri<br />
portavano alla formazione di ossidi di ferro che in forma<br />
di macchie gialle deturpavano le superfici lucidate.<br />
99
Note<br />
1 con <strong>il</strong> metamorfismo durante la formazione delle Alpi<br />
2 “La tessitura gneissica (da un nome in uso presso i minatori di Freiberg,<br />
(gneiss o gneuss denominavano colà i minatori la roccia incassante<br />
di vene argentifere. Questo vocabolo si pronuncia gnaiss, non nieis),<br />
è dovuta, come la scistosa, ad una sorta di stratificazione, di orientazione<br />
comune degli elementi.” vedi Gneiss di Beura nell’Ossola”.<br />
ISSEL A. Compendio di Geologia, 1896, parte prima p.336<br />
3 vedi nota tecnica<br />
4 vedi nota tecnica<br />
5 appartenenti a pieghe a grande scala, influenti sulla morfologia di<br />
intere vallate,<br />
6 vedi nota tecnica<br />
7 vedi nota tecnica<br />
8 Nelle catene di tipo alpino, durante le formazioni plastiche connesse<br />
all’orogenesi, si formano delle grandi pieghe coricate. Le continue<br />
deformazioni tendono sempre più ad assottigliare la piega, che<br />
viene man mano sradicata dal suo luogo di formazione e spinta in<br />
avanti. Si ha così una falda di ricoprimento, unità tettonica che è alla<br />
base della struttura delle Alpi.<br />
9 ben visib<strong>il</strong>e la piega ripiegata esposta nella parete orientale del<br />
Monte Leone<br />
10 proprio in Ossola gli studiosi verificarono la corretta interpretazione<br />
della teoria geologica sulla formazione delle Alpi trovando,<br />
durante la realizzazione del traforo del Sempione, conferme e smentite<br />
alle ipotesi fatte. Il percorso denominato “geotraversa del Verbano-Ossola-Formazza”<br />
rappresenta un’escursione classica per le Università<br />
italiane ed estere. In particolare si effettuano degli stop a Fondotoce<br />
Montorfano, Albo di Mergozzo, Nibbio, Loro, V<strong>il</strong>ladossola,<br />
Pontemaglio-Oira, Verampio Centrale Bovera, Baceno, Premia<br />
11 in molti casi ben accessib<strong>il</strong>i dal versante a franapoggio e quasi<br />
inaccessib<strong>il</strong>i da quello a reggipoggio. Di ciò si hanno mirab<strong>il</strong>i esempi<br />
nel piano del Teggiolo o alla Pioda di Crana, esempio di lembo di<br />
sovrascorrimento isolato.<br />
12 a Verampio è visib<strong>il</strong>e la finestra tettonica dove affiorano strati del<br />
basamento roccioso antico, precedente alle Alpi, messo alla luce dall’erosione<br />
glaciale del Toce e del Devero<br />
13 tra Pian Buscagna-Devero, Crampiolo-Devero, Devero-Goglio,<br />
Croveo-Baceno, Baceno-Verampio o meno evidenti in altri punti<br />
quali Goglio-Croveo, Codelago-Crampiolo<br />
14 tra Lago Sabbione-Piano Camosci, Bettelmat-Riale, val Toggia-<br />
Riale, Frua-Sotto Frua, Fondovalle-Foppiano, Uriezzo-Verampio,<br />
Pontemaglio-Oira.<br />
15 dal “BELPAESE” Serata VII di A. Stoppani 1914<br />
16 Mozzio, Viceno, Cravegna, Bannio e Anzino, Trontano, Cardezza,<br />
Montecrestese, Cimamulera.<br />
17 Agua, Coipo, Pescia, Colmine di Crevola<br />
18 Agaro, Alba, val Bianca, val Quarazza, Mondelli, Dagliano<br />
19 Ant<strong>il</strong>lone, San Rocco, Sasso di Premia<br />
20 mirab<strong>il</strong>e esempio è rappresentato dalla forra di Balmafredda, raggiungib<strong>il</strong>e<br />
dalla frazione Centro di Premia, seguendo la strada che<br />
scende in circa dieci minuti in un’ampia conca prativa, per poi addentrarsi<br />
tra due pareti rocciose di mirab<strong>il</strong>e effetto. E’ legata ai piani<br />
di frattura orientati NE-SW.<br />
100<br />
21 Diveria, S<strong>il</strong>ogno, Antolina, Arvera, Balmasurda, Pontepertus,<br />
Morghen<br />
22 dove le strettoie corripondono a soglie rocciose tra un bacino e<br />
l’altro incise dai torrenti.<br />
23 Oira, Croveo, Majesso (questo sito si presenta variegato a causa<br />
dei fenomeni erosivi determinati dalla formazione di rapide, vortici<br />
ad asse sub-verticale che hanno trascinato ciottoli e sabbia. Inoltre<br />
la roccia crea effetti cromatici per la presenza di ferro che si è ossidato.<br />
L’area si sv<strong>il</strong>uppa a più livelli determinando un palcoscenico<br />
di rara bellezza); rio Cianciavero; caratteristiche sono quelle nelle<br />
rocce verdi all’alpe Campo o del torrente Quarazza.<br />
24 Calcari e dolomie metamorfiche<br />
25 Monte Teggiolo, lago Kastel<br />
26 Pojala, Candoglia<br />
27 Non si tratta sempre di fenomeni carsici in senso stretto cioè di<br />
dissoluzioni in rocce carbonatiche ma anche di fratture in rocce s<strong>il</strong>icee.<br />
Nel “Censimento dei Biotopi della Provincia del Verbano Cusio<br />
Ossola” (1999) effettuato da Cattin M. e altri, vengono segnalate<br />
numerose località.<br />
28 la speleologia in val d’Ossola ha avuto sv<strong>il</strong>uppo grazie a Pietro S<strong>il</strong>vestri<br />
studioso locale che ha valorizzato l’area del lago Kastel in alta<br />
valle Formazza. Attualmente <strong>il</strong> Gruppo Grotte Novara (www.gruppogrottenovara.it)<br />
e <strong>il</strong> Gruppo Speleologico Biellese sono impegnati<br />
in campagne di r<strong>il</strong>evamento.<br />
29 morene mediane, laterali: Belvedere, Gries, Hosand, Monte Leone<br />
30 Issel A. ,1896, Compendio di geologia, parte prima p.186<br />
31 Aldo G. Roggiani, “Sull’origine delle Alpi, quindi dell’Ossola” in<br />
Terra d’Ossola Edizione Lions Club 1984<br />
32 Cresta di Premia esempio evidentissimo di morena mediana.<br />
33 massi isolati di dimensioni ciclopiche<br />
34 esse sono conseguenza del ritiro delle masse glaciali che hanno liberato<br />
dal loro peso ammassi rocciosi già evidentemente fratturati<br />
ed hanno le stesse caratteristiche petrografiche della roccia in posto.<br />
35 Croveo, Ceppo Morelli, Cagiogno di Premia.<br />
36 A. Malladra, 1894, Scene e paesaggi dell’Ossola antichissima,<br />
pag.45, M<strong>il</strong>ano<br />
37 “Nel ramo ormai molto più breve di nord-est, l’interrimento pro-<br />
dotto dalle alluvioni riesce, per così dire, ancor più manifesto, colla<br />
netta separazione del Lago di Mergozzo, tagliato fuori dal grosso del<br />
Lago Maggiore per opera del Toce. Questo tranqu<strong>il</strong>lo laghetto, incorniciato<br />
fra le rudi pareti del Montorfano ed i morbidi pendii del<br />
Faie`, apparteneva ancora al gran lago al tempo di Polibio, che visse<br />
nel II secolo a.C., e forse gli appartenne ancora per molti secoli<br />
dopo. Infatti, <strong>il</strong> Macagno nella sua corografia, pubblicata nel 1490,<br />
lo designa semplicemente col nome di Sinus Mergotianus. E’ anzi<br />
opinione di alcuni che <strong>il</strong> Lago Maggiore, anche in tempi storici, si<br />
inoltrasse sino ad Ornavasso; avanzo di questa passata grandezza del<br />
lago sarebbe <strong>il</strong> Lancone, fra Ornavasso e Gravellona, anticamente<br />
assai più sv<strong>il</strong>uppato. (Vedi De Vit, Il Lago Maggiore, ecc., Vol. I,<br />
pag. 23 e segg.; Prato, tip. Alberghetti, 1875)” in Stoppani A.,1900-<br />
1903-1904, Corso di Geologia terza edizione con note aggiunte a<br />
cura di A. Malladra (tre volumi) , M<strong>il</strong>ano, vol.I p 217<br />
38 In età postglaciale, come al di sopra del gradino glaciale di Fondo-
valle, chiamato delle “Casse”, come conseguenza di una frana caduta,<br />
da una cima sovrastante, in epoca postglaciale.<br />
39 Stoppani A.,1900-1903-1904,(op. cit.) p.161.<br />
40 Gli specchi lacustri sono stati i primi ad essere liberati dai ghiacci<br />
ed i fenomeni di interrimento hanno avuto tempo sufficiente per<br />
trasformarsi in palude e poi prato.<br />
41 Durante le ultime glaciazioni, masse moreniche presenti ad Est<br />
di Re costituirono un importante sbarramento cosicchè si formò<br />
un bacino lacustre in cui si deposero r<strong>il</strong>evanti quantità di sedimenti<br />
limosi in strati di colore chiaro (nel periodo estivo) e scuro (nel<br />
periodo invernale) per la presenza di sostanza organica. Successivamente<br />
lo sbarramento morenico fu demolito dalle acque del torrente<br />
Melezzo con conseguente vistoso rimaneggiamento e terrazzamento<br />
dei retrostanti depositi lacustri, ovviamente questo fenomeno<br />
morfologico si è verificato in più cicli con fasi analoghe di deposizione<br />
e demolizione con tale regolarità da permetterne una datazione<br />
relativa.<br />
42 Alfenza, Anza, Anzuno, Bogna, Ogliana, Diveria, Ovesca, Isorno,<br />
Melezzo.<br />
43 A.G. Roggiani, 1984 op.cit.<br />
44 The Pestarena Gold Mining Co. Limited, Antrona Gold Mining<br />
Co. Limited, Anglo <strong>It</strong>alian Co. Limited<br />
45 Giacimenti primari ma anche secondari (nelle alluvioni dei corsi<br />
d’acqua) chiamati “placers”.<br />
46 Le località ossolane segnalate sono le seguenti: Crodo (Alfenza,<br />
Faella), Gondo (Svizzera), valle Antrona (Mottone, Mee), val Bianca<br />
(Cani-Agarè), Pestarena-Lavanchetto, val Quarazza (Quarazzola,<br />
Col Bad<strong>il</strong>e), Vogogna, Val Toppa, Vallaccia, val Segnara, Monte<br />
Capezzone<br />
47 Gli elementi delle terre rare sono poco conosciuti dall’uomo comune<br />
e per molti decenni hanno costituito un grosso problema per<br />
i chimici. Il loro nome deriva dal fatto che erano ritenuti un tempo<br />
particolarmente rari. Essi sono ut<strong>il</strong>izzati per diversi scopi: <strong>il</strong> lantanio<br />
nella costruzione di speciali obiettivi fotografici, <strong>il</strong> samario<br />
per la costruzione di magneti permanenti, l’europio ed <strong>il</strong> samario<br />
come costituenti essenziali del materiale luminescente dei tubi catodici<br />
per televisori a colori, <strong>il</strong> neodimio è usato per vetri di bel colore<br />
violetto, <strong>il</strong> gadolinio in alcune imitazioni del diamante. Alcuni<br />
di tali minerali sono esclusivi dell’Ossola (nelle Alpi): ossidi (cerianite,<br />
tanteuxenite, fersmite, vigezzite, cervandonite, pirocloro-Ce),<br />
fosfati (monazite-Nd) arseniati (gasparite, chernovite), s<strong>il</strong>icati (cascandite,<br />
jervisite).<br />
48 La roggianite deve essere classificata come zeolite, essa è l’unica<br />
che presenta ber<strong>il</strong>lio come costituente fondamentale, inoltre presenta<br />
altre caratteristiche che la rendono molto singolare. La prima determinazione<br />
è stata fatta da Passaglia (1969) che l’ha descritta come<br />
allumos<strong>il</strong>icato di calcio idrato usando i metodi analitici disponib<strong>il</strong>i<br />
a quel tempo: gravimetrico, spettrofotometrico ad emissione, volumetrico<br />
complessimetrico e colorimetrico. Nel 1985 venne fatto<br />
un riesame cristallochimico <strong>completo</strong> usando tecniche più moderne:<br />
microsonda elettronica, spettrofotometro ad assorbimento atomico,<br />
TG, diffrattometro a raggi X. L’esatta determinazione si è resa<br />
necessaria poiché Voloshini et alii (1985) proposero la ginzburgite<br />
come nuovo minerale avente caratteristiche sim<strong>il</strong>i alla roggianite.<br />
49 Viene sottolineata la primaria importanza della zona del Cervandone,<br />
nella quale sono stati rinvenuti numerosi minerali in prevalenza<br />
arseniati come cafarsite, asbecasite, chernovite, clorot<strong>il</strong>o-mixite,<br />
gasparite. La loro genesi è conseguente a processi di rimozione<br />
di un antico (Ercinico) deposito minerario di Cu-As che<br />
durante <strong>il</strong> metamorfismo alpino è stato rimob<strong>il</strong>izzato da soluzioni<br />
idrotermali. Tale ipotesi è stata sostenuta dal Prof. Stefan Graeser<br />
in contrasto con le teorie precedenti che avevano ut<strong>il</strong>izzato in precedenza<br />
per spiegare la presenza di solfosali (solfoarseniuiri di Pb, Cu,<br />
Ag) nelle rocce dolomitiche più a Nord (Lengenbach, Binntal). Ciò<br />
è confermato dalla presenza della sorgente arsenifera dell’Alpe Veglia<br />
che rappresenta un trasporto di arsenico attraverso gli gneiss che<br />
continua ai giorni nostri.<br />
50 minerale scoperto recentemente avente formula chimica Ca2<br />
Y(AsO )(WO ) la cui caratterizzazione è stata effettuata presso<br />
4 4 2<br />
l’Università degli Studi di M<strong>il</strong>ano, Dipartimento di Chimica Strutturistica.<br />
Si tratta di un minerale di colore giallastro di 2 mm ritrovato<br />
sul versante Est del Monte Cervandone<br />
51 favorite ancora da presenza di fratture nelle rocce o dalla differente<br />
permeab<strong>il</strong>ità tra le rocce e la copertura detritica.<br />
52 per Crodo vedi A. Del Boca, (1993) “L’oro della valle Antigorio.<br />
Le acque minerali di Crodo fra realtà e leggenda” Edizioni Centro<br />
Studi “Piero Ginocchi” Crodo.<br />
53 vedi Chiaramonte U., 1985, “Industrializzazione e movimento<br />
operaio in val d’Ossola”, Franco Angeli Editore<br />
54 in Comune di Vanzone con San Carlo in valle Anzasca<br />
55 Quaranta E. & R. Mosello. 1995. Le acque arsenicali-ferruginose<br />
di Vanzone (val Anzasca, Novara). Studi recenti finalizzati all’ut<strong>il</strong>izzo<br />
terapeutico. Oscellana, 25: 230-237.<br />
56 Stoppani A.,1900-1903-1904, (op. cit.) pp. 407-409<br />
57 La forte mineralizzazione, che risulta sensib<strong>il</strong>mente più elevata di<br />
quella delle altre tre sorgenti vicine (Lisiel, Cesa, Cistella), è determinata<br />
prevalentemente dai solfati fra gli anioni e da calcio e magnesio<br />
fra i cationi.<br />
58 Le sperimentazioni cliniche e farmacologiche indicano che le<br />
acque della sorgente Cistella come già indicato per la Fonte Valle<br />
d’Oro sono indicate particolarmente nelle dispepsie e nelle enterocoliti.<br />
59 Le acque della sorgente Lisiel sono particolarmente indicate nelle<br />
manifestazioni cliniche consensuali a ipocinesi e a ipocrinia gastrica<br />
ed in generale nelle dispepsie funzionali gastroduodenali. Quest’acqua<br />
è particolarmente indicata per le diete povere di sodio, può avere<br />
effetti diuretici, favorire l’eliminazione dell’acido urico e stimola<br />
la funzionalità gastrica fac<strong>il</strong>itando la digestione.<br />
60 Le acque della sorgente Cesa sono indicate nel trattamento delle<br />
malattie del rene e delle vie urinarie, delle dispepsie gastroduodenali<br />
e intestinali e delle colecistopatie.<br />
61 Alessandro Malladra, 1902, “L’acqua del Traforo del Sempione”,<br />
M<strong>il</strong>ano Tipografia Cogliati; 1905 “Il Traforo del Sempione”, M<strong>il</strong>ano<br />
Tipografia Cogliati<br />
62 Negri B., Roveri M. e R. Mosello, 1989. “Le acque termali ossolane<br />
2. I bagni di Craveggia”, Oscellana, 19: 225 - 243.<br />
63 Stoppani A.,1900-1903-1904, (op. cit.) pp.402-403<br />
64 M. Jakob, U. Stahel, “Girola-un’impresa sulle Alpi” con foto di A.<br />
101
Paletti Fotomuseum Winterthur Scheidegger & Spiess 1998<br />
65 fondatore nel 1901 della Società per Imprese Elettriche Conti e C.<br />
66 La Roggia dei Borghesi di Domodossola, ha origini antichissime<br />
ed è certamente anteriore alla costruzione delle mura del 1300 e del<br />
relativo fossato <strong>il</strong> quale era peraltro privo d’acqua. Già negli statuti<br />
del 1425 alcune prescrizioni riguardano la roggia che doveva essere<br />
protetta con graticci e non doveva essere inquinata nelle ore diurne.<br />
Analoghe prescrizioni sono contenuti nei Bandi politici della città<br />
di Domodossola del 1830. Lungo <strong>il</strong> suo percorso erano attivi numerosi<br />
mulini. Cfr. Bologna P., F. Ferraris, 1985, “D…come Domodossola”.<br />
Ed. Eco Risveglio<br />
67 “Nel gruppo del M. Rosa la maniera di giacimento dell’oro (in piriti)<br />
non permette <strong>il</strong> trattamento idraulico; si usano invece dei molini<br />
speciali costituiti da due macine sovrapposte e chiuse in una cassa<br />
c<strong>il</strong>indrica. La macina inferiore è fissa e lascia passare a sfregamento<br />
dolce un asse che porta da una parte la macina superiore e dall’altra<br />
una ruota idraulica orizzontale. Fra le due macine si pone <strong>il</strong> minerale<br />
già rotto in pezzi insieme ad un po’ di Hg col quale poi si amalgama<br />
l’oro separato dalla polverizzazione. Quest’amalgama si separa<br />
dalle goccioline liquide che ancor rimangono premendo <strong>il</strong> tutto<br />
in una pelle di camoscio. Una dist<strong>il</strong>lazione separa poi <strong>il</strong> Hg dall’amalgama<br />
dall’oro. All’esposizione di M<strong>il</strong>ano quest’industria figurava<br />
degnamente dimostrando di essere in fiore. Se le piriti contengono<br />
Sb od As allora l’estrazione dell’oro diventa complessa e sovente<br />
non economica, perchè possono formarsi composti di Au che<br />
sono volat<strong>il</strong>i” Jonghi & Landriani, Nozioni di Mineralogia descrittiva<br />
in Sunti di Geologia e Mineralogia p.6<br />
68 Interessante è la segheria idraulica di Salecchio Superiore: si tratta<br />
di un edificio in legname e pietrame ut<strong>il</strong>izzato come segheria a forza<br />
motrice idraulica trasmessa dalla rotazione della ruota esterna ad un<br />
sistema di trasmissione interamente in legno alla sega. L’edificio è in<br />
ottime condizioni di manutenzione ed <strong>il</strong> piano superiore è occupato<br />
dalla segheria con la slitta di avanzamento dei tronchi mentre <strong>il</strong> piano<br />
inferiore è occupato dal sistema di trasmissione della forza dall’albero<br />
collegato alla ruota al movimento della sega.<br />
Anche a Osso di Croveo è da vedere un edificio in legname e pietrame<br />
ut<strong>il</strong>izzato come segheria e falegnameria fino al 1988. Un canale<br />
conduceva l’acqua a mezzo di un tombino. L’acqua faceva girare le<br />
pale collegate ad un albero presente al pian terreno della costruzione.<br />
Attraverso due cinghie <strong>il</strong> movimento dell’albero viene trasmesso<br />
ad un altro albero motore e poi ad una biella che muove la sega verticale.<br />
La velocità del processo poteva essere regolata da grosse leve.<br />
102<br />
Il legname che giungeva veniva portato all’interno dell’edificio attraverso<br />
un sistema di pulegge.<br />
69 Castiglione “Ul mulin dul Gabriel” in “Il Rosa” n.2, 1999 di<br />
Sonzogni M.<br />
70 La macinazione si effettuava due volte l’anno in concomitanza<br />
con le precipitazioni primaver<strong>il</strong>i ed autunnali, in cui era presente<br />
sufficiente acqua per mettere in moto le pale. Interessante a Salecchio<br />
Inferiore un vecchio edificio che come altri 4-5 nelle vicinanze<br />
servivano per la macinatura della farina.<br />
71 La macinazione delle castagne produceva farina per polenta<br />
72 Interessanti opere di captazione che andrebbero recuperate negli<br />
alpeggi della Colmine di Crevoladossola<br />
73 Termine dialettale ossolano per intendere una roccia al confine di<br />
ammassi di serpentinoscisti e serpentiniti, con composizione talcosa<br />
e cloritica fac<strong>il</strong>mente lavorab<strong>il</strong>e al tornio ed alla lama di acciaio presente<br />
in valle Antrona (Montescheno) in valle Vigezzo, val Bognanco,<br />
Isorno. Questo litotipo attualmente estratto da blocchi isolati in<br />
valle Isorno viene lavorato per ricavarne pentolame, recipienti rustici,<br />
lavelli, vasi ornamentali, piastre per cottura di vivande. In passato<br />
veniva ut<strong>il</strong>izzato per tubature e come elemento architettonico.<br />
La serpentina di Cisore: si tratta di una potente massa serpentinosa,<br />
caratteristica per struttura e composizione (olivina, enstatite, talco,<br />
serpentino), detta di Cisore e posta all’imbocco della valle Bognanco,<br />
ebbe una certa notorietà nella seconda metà dello scorso secolo<br />
ed al principio del presente.<br />
Compatta, scagliosa, bruno-violaceo-nerastra, tenera, ma tenace e<br />
con aspetto grasso ed untuoso, venne sottoposta a lavorazione e,<br />
mediante seghe e torni azionati da forza idraulica, se ne ottennero<br />
tubi di ogni ca<strong>libro</strong> e per i più disparati usi. Precedentemente la<br />
serpentina di Cisore era stata largamente usata per ricavarne mensole,<br />
stufe e camini nelle case, statuette ed opere d’arte e colonne,<br />
capitelli e rivestimenti di facciate come in quella dell’antica chiesa<br />
dei Minori Conventuali di San Francesco in Domodossola sui cui<br />
muri perimetrali venne innalzato <strong>il</strong> Palazzo di San Francesco. Facciata<br />
tuttora mirab<strong>il</strong>e per l’elegante assieme della dolomia di Crevoladossola<br />
bianco-paglierina alternata a corsi della serpentina verde<br />
scura di Cisore.<br />
74 Jonghi C., Landriani C. 1887-1888- Sunti di Geologia e Mineralogia<br />
R. Scuola d’applicazione per gli ingegneri Torino Litografia<br />
G. Baccelli<br />
75 Si veda Bertamini T. 1975, Storia delle alluvioni nell’Ossola. Ri-<br />
vista “Oscellana”
Acque termali e acque minerali<br />
Pier Antonio Ragozza<br />
Se l’acqua è sempre stata per l’Ossola una fortuna ed un<br />
castigo 1 , certamente una buona parte della sua fortuna<br />
è quella legata all’esistenza sul suo territorio di fonti di<br />
acque minerali e di acque minerali termali.<br />
Sono chiamate acque minerali quelle acque sorgive che<br />
contengono sciolte diverse sostanze e, fra di esse, una o<br />
più in quantità tali da conferire al liquido uno spiccato<br />
sapore e delle proprietà terapeutiche.<br />
Con la dizione di acque termali, si intendono invece<br />
quelle acque minerali che sgorgano alla superficie ad<br />
una temperatura superiore a quella dell’ambiente.<br />
Fra le acque minerali più note vi sono quelle di Crodo<br />
e di Bognanco, ma pure in passato le sorgenti della<br />
miniera dei Cani di Vanzone e di Veglia, a cui se ne aggiungono<br />
altre minori sfruttate per la produzione e la<br />
commercializzazione di acque da tavola imbottigliate.<br />
Due invece le fonti termali più conosciute, la prima dei<br />
Bagni di Craveggia e ut<strong>il</strong>izzata da antica data, la seconda<br />
della Longia di Premia, scoperta nel 1992.<br />
Per quanto riguarda le diverse acque minerali ossolane,<br />
alcune di esse sono assurte a notorietà sia per <strong>il</strong> loro<br />
sfruttamento a fini terapeutici e conseguentemente<br />
dando avvio ad una connessa industria turistica, sia per<br />
<strong>il</strong> loro ut<strong>il</strong>izzo come acque da tavola e dunque imbottigliate<br />
e commercializzate in ambito anche nazionale.<br />
La prima citazione relativa alle acque minerali di Crodo<br />
appare sul “Dizionario geografico” del Casalis, edito nel<br />
1838, anche se una leggenda locale – priva però di qualsiasi<br />
riferimento storico certo – vuole che dopo <strong>il</strong> M<strong>il</strong>le<br />
un esausto Crociato proveniente da Gerusalemme trovasse<br />
ristoro e forza, così come la sua altrettanto stanca<br />
cavalcatura, bevendo ad una sorgente che sgorgava in<br />
località Salecchio di Crodo.<br />
Si deve in realtà a Giuseppe Gaetano Giovanninetti,<br />
commesso delle Regie poste e proprietario del terreno<br />
dove sgorgava la “fonte Rossa”, <strong>il</strong> primo tentativo di avviare<br />
ricerche su tali acque, affidando le analisi al chimico<br />
e farmacista di Domodossola Giovanni Antonio<br />
Bianchetti.<br />
L’avvio dell’attività termale ed alberghiera, favorita anche<br />
dall’apertura della carrozzab<strong>il</strong>e con Domodossola e<br />
da ulteriori analisi delle acque di Crodo che ne confermarono<br />
le doti terapeutiche, si ebbe ad opera del Giovanninetti,<br />
che fu poi affiancato e sostituito da altri imprenditori<br />
come l’avvocato Carlo Francioni di Domodossola,<br />
a cui si deve la costruzione dell’Albergo dei Bagni<br />
e successivamente da Giacomo Della Macchia e,<br />
dopo un periodo di sostanziale abbandono, da Bernardo<br />
Del Boca e poi dal figlio di questi, Giacomo, che gestirono<br />
le fonti per circa mezzo secolo favorendone <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ancio.<br />
Le due fonti originarie dell’acqua minerale di Crodo<br />
sono denominate “Valle d’Oro” e “Cistella”, a cui si è<br />
poi aggiunta dal 1955 la fonte “Lisiel” e in tempi molto<br />
più recenti la “Crodo Nova” che sgorga dalla sorgente<br />
Cesa a 505 metri di quota.<br />
L’etichetta dell’acqua minerale “Valle d’Oro” – che<br />
come la “Cistella” è di tipo solfato-bicarbonato-calcica<br />
– la dava come “Indicatissima nella terapia delle dispepsie<br />
e nelle enterocoliti ecc.”, mentre su quella della “Lisiel”,<br />
definita acqua mediominerale solfato-bicarbonato-alcalino-ferrosa,<br />
si legge che “Può avere effetti diuretici e favorire<br />
l’eliminazione dell’acido urico”.<br />
Nel 1920 venne sperimentato l’imbottigliamento artigianale<br />
dell’acqua di Crodo, mentre si progettava la realizzazione<br />
di uno stab<strong>il</strong>imento per tale attività, oltre ad<br />
un nuovo albergo e di una kurhaus.<br />
Il progetto rimase tale anche per <strong>il</strong> cambio di proprietà<br />
delle fonti, che dopo alcuni passaggi nel 1928 andarono<br />
103
alla neocostituita “Società Anonima Terme di Crodo” la<br />
quale, fra alterne vicende, negli anni successivi sv<strong>il</strong>uppò<br />
le diverse attività, commercializzando anche una bibita<br />
e specialità chimico-farmaceutiche come le magnesie<br />
ed i “Sali di Crodo”, sotto la guida di Piero Ginocchi,<br />
divenuto in seguito amministratore unico della società<br />
e protagonista del successo delle acque antigoriane<br />
e poi pure del “Crodino”.<br />
Degli anni Ottanta è invece <strong>il</strong> passaggio della “S.p.A.<br />
Terme di Crodo” ad una multinazionale, <strong>il</strong> Gruppo<br />
Bols, che l’ha in seguito ceduta alla Campari S.p.A.<br />
mentre nell’agosto del 1987 un nubifragio ha distrutto<br />
<strong>il</strong> parco delle Terme – ricostruito solo successivamente<br />
– danneggiando la sorgente della “Lisiel”, poi immediatamente<br />
ripristinata.<br />
Sempre in Valle Antigorio, fra le acque minerali commercializzate<br />
è da citare quella della sorgente Uresso in<br />
comune di Baceno, la cui vendita era stata autorizzata<br />
con Decreto del Ministero Sanità nel 1959, gestita dalla<br />
Fonti di Baceno s.r.l., poi divenuta S.p.A, e che fu in<br />
commercio almeno sino ai primi anni Ottanta.<br />
Sgorgante a 720 metri di quota, sulla base dei dati analitici<br />
l’acqua della sorgente Uresso era definita solfatocalcica-magnesiaca<br />
o solfato-alcalino-terrosa.<br />
L’altra famosissima acqua minerale ossolana è quella di<br />
Bognanco, la cui scoperta risale all’Ottocento ad opera<br />
di una ragazza – la cui identità è incerta fra Anna Maria<br />
Possetti o Felicita Pellanda – che per <strong>il</strong> pizzicore dell’acqua<br />
che sgorgava dalla sorgente la scambiò addirittura<br />
per acquavite.<br />
Se Giovanni Pellanda, proprietario del terreno con la<br />
sorgente, ne sottovalutò le potenzialità, non così fece <strong>il</strong><br />
sacerdote e appassionato naturalista bognanchese Fedele<br />
Tichelli, <strong>il</strong> quale intuite le proprietà terapeutiche dell’acqua<br />
fece effettuare dal chimico elvetico H. Brauns<br />
di Sion le opportune analisi, riportate in una precisa relazione<br />
datata 1° dicembre 1863 e confermate sei anni<br />
dopo dal dottor Albasini. Don Tichelli acquistò intanto<br />
la sorgente e insieme ad alcuni soci costituì la “Tichelli<br />
& C.” per raccogliere, imbottigliare e commercializzare<br />
quella che veniva poi venduta come “Acqua gazosa di<br />
Bognanco”, non senza qualche problema per <strong>il</strong> trasporto<br />
a Domodossola delle bottiglie – che sovente si rompevano<br />
– entro gerle portate a spalle.<br />
104<br />
Dal 1888, con l’apertura della strada carrozzab<strong>il</strong>e per<br />
Bognanco, l’area delle fonti venne chiusa e introdotto <strong>il</strong><br />
biglietto a pagamento per accedervi, mentre <strong>il</strong> vero lancio<br />
di Bognanco come stazione termale lo si deve all’avvocato<br />
pavese Em<strong>il</strong>io Cavallini che, avendo trovato beneficio<br />
con le acque bognanchesi, r<strong>il</strong>evò la “Tichelli &<br />
C.” e si attivò per creare una elegante kurhaus che richiamò<br />
nel centro ossolano per “passare le acque” la miglior<br />
borghesia italiana d’inizio Novecento.<br />
Nel 1906 venne costituita la “Società Anonima Acque<br />
e Terme di Bognanco”, dando avvio alla commercializzazione<br />
su scala nazionale delle acque da tavola e favorendo<br />
lo sv<strong>il</strong>uppo turistico della Val Bognanco, con una<br />
notorietà come stazione termale culminata negli anni<br />
Trenta, ma apprezzata anche nei primi decenni successivi<br />
alla Seconda guerra mondiale.<br />
Numerosi i passaggi di proprietà delle terme bognanchesi<br />
nel dopoguerra, sino all’arrivo nel 2003 dell’imprenditore<br />
greco Haralabos Melenos, amministratore<br />
unico della “Società Bognanco Acque Minerali”, prospettando<br />
un r<strong>il</strong>ancio del centro termale.<br />
Attualmente a Bognanco sono prodotti e commercializzati<br />
tre tipi di acque minerali, ovvero la minerale San<br />
Lorenzo, la mediominerale Ausonia e l’oligominerale<br />
Gaudenziana.<br />
L’acqua della fonte di San Lorenzo ha proprietà purgative<br />
e diuretiche ed è gradevole al gusto, caratterizzata<br />
dall’abbondanza di anidride carbonica libera che la rende<br />
fresca e frizzante.<br />
L’Ausonia è invece un’acqua mediominerale che ha la<br />
caratteristica di stimolare la secrezione gastrica favorendo<br />
i processi digestivi, mentre l’acqua oligominerale<br />
Gaudenziana può essere impiegata allo scopo di promuovere<br />
la diuresi ed è perciò indicata nella cura delle<br />
affezioni renali e delle vie urinarie.<br />
Minor fortuna ha invece avuto l’acqua minerale dell’Alpe<br />
Veglia, la cui scoperta avvenne nel 1875 ad opera di<br />
due alpini ossolani, Falcetta Ratti di Mozzio e Savia di<br />
Piedimulera, che trovarono la sorgente di acqua ferruginosa<br />
nei pressi del rio Mottiscia.<br />
Le prime analisi chimiche furono effettuate nel 1879<br />
dal prof. Cossa di Torino e quattro anni dopo <strong>il</strong> comune<br />
di Varzo concedeva a titolo oneroso alla ditta torinese<br />
Costanzo e Paissa l’autorizzazione alla raccolta, tra-
Alpe Veglia, la sorgente di acqua ferruginosa.<br />
sporto e commercio dell’acqua ferruginosa, mentre sorgevano<br />
i primi insediamenti alberghieri data l’affluenza<br />
di persone che volevano usufruire delle proprietà terapeutiche<br />
della sorgente di Veglia.<br />
L’esigenza, più volte manifestata da parte di potenziali<br />
gestori della risorsa idrica, di incanalare l’acqua della<br />
sorgente ferruginosa non venne mai soddisfatta per diverse<br />
ragioni e nel 1981 si ebbe pure una temporanea<br />
scomparsa della fonte a seguito di un movimento tellurico<br />
con epicentro al Veglia.<br />
Collocata sul territorio del Parco naturale di Veglia-Devero,<br />
la sorgente di acqua bicarbonato-calcica-ferruginosa<br />
sgorga a 1813 metri di quota ad una temperatura<br />
di 7° C. e dal De Maurizi era definita come “la seconda<br />
sorgente minerale più alta d’Europa, dopo quella di Penticosa<br />
nei Pirenei spagnoli” 2 .<br />
Il lungo periodo di innevamento del Veglia, la portata<br />
limitata e le difficoltà di trasporto hanno di fatto impedito<br />
uno sfruttamento commerciale di questa sorgente<br />
di acqua ferruginosa ossolana. La Valle Anzasca annove-<br />
ra invece una sorgente arsenicale-ferruginosa nei pressi<br />
delle miniere aurifere dei Cani, a 1473 metri di quota<br />
sopra San Carlo di Vanzone.<br />
L’acqua minerale “Vanzonis”, come era denominata,<br />
pur nota da epoca antica, è stata fatta oggetto di analisi<br />
solo a partire dall’Ottocento, a cominciare da quelle di<br />
Giovanni Albasini nel 1820 <strong>il</strong> quale r<strong>il</strong>evò la presenza<br />
di notevoli quantitativi di arsenico e dunque la possib<strong>il</strong>ità<br />
di un suo impiego a scopo terapeutico.<br />
Fu invece <strong>il</strong> locale medico condotto, dottor Att<strong>il</strong>io<br />
Bianchi, che fece effettuare una serie di studi su tali acque,<br />
esaminate non solo dal punto di vista chimico, ma<br />
anche idrogeologico ed igienico-biologico.<br />
Costituita la “Società Anonima Miniere e Acque arsenicali”,<br />
<strong>il</strong> dottor Bianchi ne divenne direttore, dando alle<br />
stampe nel 1907 un opuscolo dedicato a queste acque<br />
in cui se ne indicavano le proprietà terapeutiche.<br />
L’acqua della miniera dei Cani era commercializzata in<br />
bottigliette per cure a domic<strong>il</strong>io, la cui etichetta ne raccomandava<br />
l’uso per la cura delle malattie cutanee e<br />
105
nervose e per una serie di altre numerose patologie.<br />
Nel 1916 l’acqua della sorgente arsenicale-ferruginosa<br />
veniva trasportata a mezzo teleferica in appositi contenitori<br />
di vetro e legno sino a Vanzone, dove era poi impiegata<br />
per le cure che si effettuavano presso l’Albergo<br />
“Regina”, ma <strong>il</strong> proseguire del primo conflitto mondiale<br />
portò allo scioglimento della società.<br />
Una iniziativa volta a riprendere lo sfruttamento dell’acqua<br />
arsenicale-ferruginosa venne avviata nel 1961<br />
da parte della “Terme del Monterosa s.p.a.”, nata dalla<br />
volontà del Consiglio della Valle Anzasca, ma per una<br />
serie di concause, tra cui la morte del dott. Piero Fabris<br />
che sosteneva fortemente <strong>il</strong> progetto, non poté avere<br />
seguito.<br />
In tempi recenti l’Amministrazione comunale di Vanzone<br />
con San Carlo ha avviato iniziative concrete per<br />
una valorizzazione e sfruttamento della fonte arsenicale-ferruginosa<br />
della miniera dei Cani, ottenendo i fondi<br />
necessari, e già nel 2003 la Regione Piemonte ha autorizzato<br />
la realizzazione di attraversamenti di alcuni rii,<br />
con tubazioni per <strong>il</strong> trasporto dell’acqua arsenico-man-<br />
106<br />
gano-ferruginosa.<br />
In Valle Vigezzo a Malesco sorge lo stab<strong>il</strong>imento di imbottigliamento<br />
della Acque e Terme Vigezzo S.p.A. che<br />
già dagli anni Sessanta commercializza l’acqua minerale<br />
Alpia, definita in etichetta come “Indicata nelle diete<br />
povere di sodio. Può avere effetti diuretici”.<br />
La sorgente – ora collocata all’interno del territorio del<br />
Parco Nazionale della Val Grande, istituito ufficialmente<br />
con <strong>il</strong> D.M. 2 marzo 1992 – è posta in località Pezzidi<br />
a 875 metri di quota sulle pendici settentrionali della<br />
Costa Orsera ed è già citata dal Pollini 3 nel suo lavoro<br />
pubblicato nel 1896.<br />
Ut<strong>il</strong>izzata sin dal 1895 per alimentare l’acquedotto di<br />
Malesco, la sorgente dai primi anni Sessanta destò l’interesse<br />
di un gruppo di imprenditori ossolani che diedero<br />
vita alla “Società Terme Vigezzo s.n.c.”, la quale<br />
ha provveduto a garantire al Comune una valida sostituzione<br />
di tale risorsa idrica – attingendo ad una ricca<br />
falda d’acqua a 65 metri di profondità – e dando così<br />
<strong>il</strong> via all’attività di imbottigliamento e commercializzazione<br />
dell’acqua vigezzina, oggi distribuita nell’<strong>It</strong>alia<br />
settentrionale, in Svizzera e Germania oltre che, occasionalmente,<br />
anche in altri Paesi europei.<br />
Sempre in Valle Vigezzo sono da citare a Craveggia la<br />
sorgente perenne acidulo-ferruginosa situata sulla destra<br />
del Rio della Vasca a circa 150 metri dalla strada<br />
ed a Re la sorgente ferruginosa posta sulla riva destra<br />
del Melezzo.<br />
Nella bassa Ossola, ad Anzola, vi è la sorgente detta della<br />
Buvera, la cui acqua minerale è stata imbottigliata e<br />
venduta, con autorizzazione r<strong>il</strong>asciata dal Ministero Sanità<br />
nel 1971, per diversi anni e sino a quando lo stab<strong>il</strong>imento<br />
ha cessato la sua attività nel 1996.<br />
L’acqua della Buvera di Anzola d’Ossola, definita oligominerale,<br />
era in etichetta indicata per le diete povere di<br />
sodio e con la possib<strong>il</strong>ità di avere effetti diuretici.<br />
L’ut<strong>il</strong>izzo di acque termali a scopo terapeutico in Ossola<br />
è da secoli collegato alla sorgente dei Bagni di Craveggia,<br />
situata sulla testata italiana della Valle Onsernone,<br />
vallata che ricade per <strong>il</strong> resto sotto la sovranità svizzera e<br />
posta oltre lo spartiacque della Vigezzo.<br />
L’archivio comunale di Toceno conserva un atto di vendita<br />
del 1299 in cui è già citata la sorgente termale detta
Crodo, storica catena d’imbottigliamento.<br />
“flumen de aqua calida” 4 , anche se <strong>il</strong> primo vero e proprio<br />
sfruttamento delle risorse termali dei Bagni di Craveggia<br />
si è avuto solo a partire dal 1770.<br />
A seguito delle analisi effettuate nel 1816 e dei positivi<br />
risultati delle stesse, due anni dopo <strong>il</strong> Comune di Craveggia<br />
deliberò la costruzione di uno stab<strong>il</strong>imento termale<br />
su quattro piani e con sedici bagni a piano terra.<br />
Con l’edificazione nel 1823 dell’albergo e stab<strong>il</strong>imento<br />
termale di proprietà del comune, la località divenne<br />
nota per le sue acque salutari che venivano impiegate<br />
mediante cure fatte prevalentemente sotto forma<br />
di bagni.<br />
I frequentatori dei Bagni di Craveggia dovevano essere<br />
persone con problemi di salute notevoli, in particolare<br />
della pelle, se non si facevano scoraggiare dal lungo<br />
e scomodo tragitto per raggiungere la località, dovendo<br />
fare più di quattro ore a piedi o a dorso di mulo e varcando<br />
ad oltre 1800 metri di quota la Bocchetta di Sant’Antonio,<br />
oppure da Locarno con otto ore di d<strong>il</strong>igenza<br />
sino a Comologno e poi di qui a piedi sulla mulattiera<br />
per quattro ch<strong>il</strong>ometri, con bagagli al seguito.<br />
Scrive infatti lo storico Angelo Del Boca, <strong>il</strong> cui nonno<br />
Bernardo gestì albergo e stab<strong>il</strong>imento sino al 1879, prima<br />
di trasferirsi a Crodo dove assunse la gestione delle<br />
fonti locali, che ai Bagni di Craveggia la clientela non<br />
era composta da “…ospiti qualunque, gitanti o amanti<br />
della quiete e della natura. Erano degli ammalati, alcuni<br />
dei quali giudicati inguarib<strong>il</strong>i dai medici. Al “flumen<br />
aquae calidae”, giungevano con la speranza di essere miracolati,<br />
esattamente come a Lourdes” 5 .<br />
L’albergo fu poi gravemente danneggiato nel 1881 da<br />
un incendio e successivamente ricostruito, continuando<br />
ad operare come stab<strong>il</strong>imento termale nonostante le<br />
citate difficoltà di accesso sino al 1925, quando venne<br />
definitivamente chiuso.<br />
L’edificio fu poi travolto da una valanga nel nevoso inverno<br />
del 1951 e di esso rimangono oggi solo dei ruderi,<br />
mentre la tragica alluvione dell’agosto 1978 ha ulte-<br />
107
iormente danneggiato la zona, compromettendone le<br />
residue possib<strong>il</strong>ità di sfruttamento.<br />
L’acqua termominerale dei Bagni di Craveggia sgorga in<br />
regione Fondo Monfracchio a quota 998 metri s.l.m.,<br />
sulla destra orografica del torrente Onsernone, ad una<br />
temperatura media di circa 30°, risulta untuosa al tatto,<br />
emana odore di idrocarburi ed ha gusto sgradevole,<br />
ma se lasciata raffreddare all’aria diventa inodore, limpida<br />
e bevib<strong>il</strong>e.<br />
In tempi più recenti, nel corso di sondaggio geotecnico<br />
eseguito dall’E.N.E.L. nel 1992, è stata invece scoperta<br />
una nuova sorgente termale, in località Longia nel Comune<br />
di Premia, in Valle Antigorio, caratterizzata fra<br />
l’altro dalla temperatura che supera di poco i 42°.<br />
L’esistenza di fonti di acqua calda in tale area è peraltro<br />
storicamente accertata da diversi secoli ed a circa mezzo<br />
ch<strong>il</strong>ometro a sud dalla sorgente della Longia sgorga un<br />
rivo con temperatura costante di 15°, detto “dell’acqua<br />
calda di Pied<strong>il</strong>ago”, già citato nel 1556 in un documento<br />
papale, mentre un almanacco ossolano del 1846 descrive<br />
le acque di Baceno, segnalate un decennio prima<br />
dal chimico e farmacista Giovanni Antonio Bianchetti<br />
per le loro proprietà terapeutiche, ma a quell’epoca ut<strong>il</strong>izzate<br />
solo dalle lavandaie locali perché “…trovano tiepida<br />
la sorgente e perché le sostanze alcaline che vi si rinchiudono<br />
fanno risparmiare sapone”.<br />
A seguito di approfondite analisi fatte effettuare dal Comune<br />
di Premia, l’acqua della sorgente della Longia è<br />
risultata avere caratteristiche ipertermali, ricca di sali<br />
minerali, solfato-calcica, oltre che riconosciuta come<br />
batteriologicamente pura.<br />
Date le sue proprietà terapeutiche, due Decreti Ministeriali<br />
del 1998 ne hanno consentito l’ut<strong>il</strong>izzo sia per la<br />
terapia inalatoria che per la balneofangoterapia.<br />
Note<br />
1 Mortarotti Renzo “L’Ossola nell’età moderna” pag. 39.<br />
2 De Maurizi Giovanni “L’Ossola e le sue valli” pag. 235.<br />
3 Pollini Giacomo “Malesco” pag. 141.<br />
108<br />
Nel 1999 la Regione Piemonte ha concesso per un ventennio<br />
lo sfruttamento delle acque termali della sorgente<br />
Longia ed <strong>il</strong> Comune di Premia ha dato avvio,<br />
previa acquisizione di una vasta area di terreno, alla realizzazione<br />
di un moderno centro termale dotato di una<br />
piscina terapeutica coperta con vasca di metri 25 x 14<br />
riempita di acqua termale proveniente da apposito pozzo,<br />
oltre che di altri servizi e strutture complementari.<br />
L’apertura di una prima parte del centro termale della<br />
sorgente Longia in Comune di Premia, è prevista nel<br />
2005.<br />
Bibliografia<br />
AA.VV. – Raccolta di studi sull’acqua minerale Uresso – Domodossola<br />
s.d.<br />
Anonimo – Valle Antigorio-Formazza, nuove occasioni di sv<strong>il</strong>uppo<br />
– L’acqua calda di Cadarese in comune di Premia – s.d.<br />
Bologna Paolo – Bognanco, <strong>il</strong> paese delle cento cascate – Bresso<br />
1976<br />
Borgna Aldo – L’acqua medicinale dei Bagni di Craveggia in “La<br />
voce onsernonese” – Locarno ottobre 1982<br />
CCIAA Novara – Le acque minerali in provincia di Novara – Novara<br />
1977<br />
De Maurizi Giovanni - L’Ossola e le sue valli – Domodossola 1931<br />
Del Boca Angelo (a cura di) - L’oro della Valle Antigorio – Le acque<br />
minerali di Crodo fra realtà e leggenda – Bari 1993<br />
Fabris Piero – Breve richiamo sulle acque ferroso mangano arsenicali<br />
di Vanzone Ossola – Varese 1960<br />
Matzig – Richard – I Bagni radioattivi di Craveggia in “Almanacco<br />
ticinese 1939” – Bellinzona 1939<br />
Mortarotti Renzo - L’Ossola nell’età moderna – Domodossola<br />
1985<br />
Norsa Paolo (a cura di) - Invito alla Valle Vigezzo – Domodossola<br />
1970<br />
Pollini Giacomo – Notizie storiche, statuti antichi, documenti di<br />
Malesco – Torino 1896<br />
Una ricchissima bibliografia sino al 1967 di carattere generale e poi<br />
specificatamente riguardante le singole acque minerali e termali dell’Ossola,<br />
è contenuta nel notevole lavoro di Federici P.C., Saccani F.,<br />
Parietti P. – Le acque salutari della Val d’Ossola – Parma 1967.<br />
4 Norsa Paolo (a cura di) “Invito alla Valle Vigezzo” pag. 134.<br />
5 Del Boca Angelo - La Gestione Del Boca: un r<strong>il</strong>ancio a metà. in<br />
“L’oro della Valle Antigorio” pag. 29.
Il clima<br />
Tullio Bertamini e Rosario Mosello<br />
Considerazioni generali<br />
Il clima dell’Ossola è anzitutto determinato dalla posizione<br />
geografica e dalla morfologia del territorio. Essa<br />
infatti è compresa fra i 45°55’ e i 46°28’ di latitudine ed<br />
è quindi inserita in quella fascia che normalmente corrisponde<br />
ad un clima fondamentalmente determinato da<br />
una insolazione e quindi da una certa quantità di calore<br />
solare che la pone nelle regioni temperate. È anche quasi<br />
completamente racchiusa da potenti ed elevati gruppi<br />
di monti, ed essa stessa è una regione eminentemente<br />
montuosa e quindi le altezze variano rapidamente da<br />
luogo a luogo. È percorsa in tutta la sua lunghezza dal<br />
fiume Toce che scende da Nord verso Sud fino a Vogogna,<br />
per poi piegarsi verso Sud-Est e, dopo un viaggio<br />
di circa 80 km, si getta nel Lago Maggiore.<br />
L’Ossola è chiusa a Sud da una catena di monti che<br />
partendo dal Massone (m 2162) si innalza sempre più<br />
fino al Monte Rosa (m 4637). Da quel punto una diramazione<br />
diretta del Monte Rosa la chiude ad Ovest<br />
con una serie di cime elevate: Andolla (m 3656), Weissmiess<br />
(m 4023) Laquinhorn (m 4005), Fletschorn (m<br />
3996) fino al Passo del Sempione, in territorio svizzero.<br />
Qui la catena, comprendente <strong>il</strong> Monte Leone (m<br />
3552), <strong>il</strong> Cervandone (m 3211), la Punta d’Arbola (m<br />
3235) e l’Hosandhorn o Punta del Sabbione (m 3183),<br />
muta leggermente direzione fino a toccare <strong>il</strong> passo di S.<br />
Giacomo (m 2313), che è <strong>il</strong> punto più settentrionale<br />
della regione ossolana. Proseguendo <strong>il</strong> confine dell’Ossola<br />
abbandona <strong>il</strong> grande spartiacque alpino e correndo<br />
sulla linea di displuvio tra <strong>il</strong> Toce ed <strong>il</strong> Ticino, in direzione<br />
Nord-Sud, viene a formare col tratto precedente<br />
quasi un cuneo nel territorio svizzero. Questa catena<br />
orientale perde quota fino a deprimersi nel gran solco<br />
della valle Vigezzo. Qui l’idrografia appare incerta ed <strong>il</strong><br />
confine ossolano non si identifica con quello del baci-<br />
no del Toce, ma scendendo fino al ponte della Ribellasca<br />
incorpora una fetta del bacino imbrifero ticinese. Il<br />
confine risale poi <strong>il</strong> Monte Gridone e, correndo sul crinale<br />
che divide la valle percorsa dal Toce dalla val Grande,<br />
va a terminare sulle alture che delimitano <strong>il</strong> lago di<br />
Mergozzo.<br />
L’Ossola, chiusa fra alti monti, è costretta ad assorbirne<br />
<strong>il</strong> clima. Ma anche altri fattori importanti intervengono<br />
a definirlo più precisamente. I potenti ghiacciai della<br />
catena Monte Rosa-Griess e quelli del vicino Vallese,<br />
distanti solo qualche decina di ch<strong>il</strong>ometri, contribuiscono<br />
in vario modo a rendere <strong>il</strong> clima più rigido. Da<br />
questi monti spira regolarmente un vento fresco e talvolta<br />
gelido sotto forma di brezza notturna. Queste catene<br />
elevate a loro volta, obbligando l’aria umida proveniente<br />
dall’Oceano Atlantico a sollevarsi ed a scaricare<br />
grande quantità di pioggia o neve sui versanti opposti<br />
all’Ossola, contribuiscono al fenomeno del vento<br />
favonico (Foehn). Questo vento caldo ci giunge dai<br />
quadranti nord-occidentali e, anche in pieno inverno,<br />
porta temperature insolitamente elevate nelle valli ossolane,<br />
sciogliendo grandi quantità di neve. Con analogo<br />
processo le stesse alte catene di monti costringono<br />
le grandi masse di aria umida proveniente dai quadranti<br />
meridionali a sollevarsi ed a scaricare sull’Ossola<br />
enormi quantità di precipitazioni per dare poi origine<br />
a vento favonico nelle vallate del versante settentrionale<br />
delle Alpi.<br />
Importantissima risulta inoltre per <strong>il</strong> clima dell’Ossola<br />
la sua vicinanza alla regione dei laghi prealpini ed alla<br />
pianura padana. L’Ossola infatti termina sul lago Maggiore,<br />
con <strong>il</strong> quale comunica anche mediante la valle<br />
Cannobina e Centovalli. Le masse di aria umida che si<br />
formano sulla pianura padana e nella zona lacuale sono<br />
fac<strong>il</strong>mente indotte a risalire le pendici delle Alpi dando<br />
109
luogo a intense precipitazioni e, in alcune situazioni, ad<br />
eventi alluvionali, che contribuiscono a farne una delle<br />
regioni più piovose d’<strong>It</strong>alia .<br />
Le valli ossolane sono in generale, fortemente incise,<br />
nella parte più bassa e percorse da fiumi e torrenti impetuosi,<br />
le cui acque continuano l’opera di scavo e demolizione<br />
iniziatasi molti m<strong>il</strong>lenni fa.<br />
Data la natura del terreno ossolano, molto permeab<strong>il</strong>e<br />
alle acque, e la ripidità delle pendici dei monti, l’opera<br />
di demolizione delle acque meteoriche e di quelle correnti<br />
è stata sempre imponente e nei periodi di lunghe<br />
e intense precipitazioni (büzze), anche fortemente<br />
distruttiva. Le alluvioni sono infatti una delle piaghe<br />
più frequenti dell’Ossola colpendo ora questa ora quella<br />
parte del territorio. L’ultima che ha modificato profondamente<br />
le valli Antrona e Anzasca e soprattutto la<br />
val Vigezzo risale al 1978, ma se ne conosce una lunga<br />
e paurosa serie.<br />
Contribuisce tuttavia ad ammorbidire <strong>il</strong> clima dell’Ossola<br />
ed a renderlo molto salubre la presenza di grandi<br />
estensioni di boschi, che aiutano a mantenere una umidità<br />
quasi ideale nei mesi estivi e si oppongono all’azione<br />
delle acque d<strong>il</strong>uviali che tentano di corrodere le pendici<br />
dei monti.<br />
E’ comunque chiaro che ogni luogo dell’Ossola ha un<br />
suo clima che dipende da fattori generali, ma spesso e<br />
soprattutto da fattori locali, come l’altitudine, l’esposizione<br />
al sole ed ai venti, ecc.<br />
Guardiamo infatti le valli ossolane e consideriamo dove<br />
insorgono gli insediamenti abitati più antichi.<br />
Li troviamo nelle zone a solatio e possib<strong>il</strong>mente non<br />
esposte alle alluvioni dei torrenti, sui balzi delle valli,<br />
dove, anche in inverno, c’è molto sole e non ristagna<br />
l’aria fredda che invece rende più rigido l’inverno del<br />
fondovalle.<br />
Il clima di Domodossola<br />
A Domodossola per circa un secolo è stato in funzione<br />
un Osservatorio Meteorologico presso <strong>il</strong> Collegio Rosmini<br />
ed i dati ottenuti in tanti anni ci permettono di<br />
definire con buona approssimazione <strong>il</strong> clima della capitale<br />
ossolana e dei dintorni. Lo confronteremo poi per<br />
quanto ci è possib<strong>il</strong>e con quello delle vallate ossolane.<br />
110<br />
Eliofania e radiazione solare<br />
Principale responsab<strong>il</strong>e del clima è <strong>il</strong> sole che dà alla terra<br />
<strong>il</strong> calore sottoforma di radiazione.<br />
La eliofania, cioè <strong>il</strong> tempo in cui i raggi solari colpiscono<br />
direttamente <strong>il</strong> suolo, è un elemento molto variab<strong>il</strong>e,<br />
legato all’altitudine, alla posizione ed alla nebulosità.<br />
Limitandoci solamente ai dati medi stagionali si può<br />
affermare che a Domodossola l’eliofania misurata in ore<br />
di sole risulta dalla Tab. 1. L’energia data dal sole distribuita<br />
nelle stagioni misurata in calorie per cm 2 è indicata<br />
nella Tab. 2.<br />
Tab. 1 – Eliofania a Domodossola (ore)<br />
Primavera 433<br />
Estate 603<br />
Autunno 370<br />
Inverno 260<br />
Anno 1666<br />
Tab. 2 – Energia del sole secondo le stagioni a Domodossola (calorie/cm 2 ).<br />
Primavera 35530<br />
Estate 50427<br />
Autunno 24468<br />
Inverno 12982<br />
Anno 123407<br />
Temperatura<br />
La temperatura raggiunge in ogni luogo un valore massimo<br />
ed un valore minimo, in base ai quali si può stab<strong>il</strong>ire<br />
<strong>il</strong> valore medio. I dati medi mens<strong>il</strong>i relativi a Domodossola<br />
nei vari mesi dell’anno: temperatura massima<br />
(Tx), temperatura minima (Tn), temperatura media<br />
(Tm) misurata in gradi centigradi (°C) risultano<br />
dalla Tab. 3.<br />
Tab. 3 – Temperature massime, minime e medie a Domodossola per mese<br />
Tx Tn Tm<br />
Gennaio 6.0 -2.2 1.4<br />
Febbraio 8.6 -1.1 3.3<br />
Marzo 12.7 2.7 6.9<br />
Apr<strong>il</strong>e 16.6 6.3 11.3<br />
Maggio 20.7 9.7 15.0<br />
Giugno 24.7 13.6 19.2<br />
Luglio 27.3 15.9 21.7<br />
Agosto 26.5 15.4 20.7<br />
Settembre 22.4 12.2 16.9<br />
Ottobre 16.2 7.1 11.3<br />
Novembre 10.4 2.0 5.7<br />
Dicembre 6.4 -1.2 2.3<br />
Anno 16.5 6.7 11.3
La temperatura minima assoluta a Domodossola non<br />
ha mai raggiunto i -17 °C, né la massima assoluta ha superato<br />
i 40 °C. Il clima di Domodossola è quindi temperato<br />
anche se variab<strong>il</strong>e come ogni clima alpino.<br />
Intimamente legate allo sv<strong>il</strong>uppo vegetativo sono le<br />
temperature in °C del sottosuolo che sono r<strong>il</strong>evate a varie<br />
profondità, come pure <strong>il</strong> numero di giorni di brina<br />
di gelo che offriamo nella Tab. 4. Conviene ricordare<br />
che <strong>il</strong> gelo non scende mai al di sotto dei 20 cm e che a<br />
2 m di profondità nell’estate <strong>il</strong> suolo raggiunge i 17 °C.<br />
Lo sv<strong>il</strong>uppo vegetativo inizia quando (generalmente nel<br />
mese di marzo) si verifica una inversione delle temperature<br />
del sottosuolo, mentre la seconda inversione (nel<br />
mese di ottobre) segna <strong>il</strong> suo cessare.<br />
Umidità<br />
L’umidità assoluta, misurata mediante la tensione di vapore<br />
acqueo in mm di Hg, e l’umidità relativa, misurata<br />
in % rispetto ai valori di saturazione, sono abbastanza<br />
variab<strong>il</strong>i nell’Ossola. Ovviamente i massimi si registrano<br />
durante i periodi di pioggia; i minimi invece si registrano<br />
quando spira <strong>il</strong> vento favonico dal Nord. In queste<br />
occasioni sono frequentemente raggiunti valori minimi<br />
dell’umidità relativi prossimi al 2%. Ma guardando<br />
i valori medi mens<strong>il</strong>i e annuali, presentati nella Tab.<br />
5, si può osservare che <strong>il</strong> clima ossolano non è né troppo<br />
secco né troppo umido, quindi ottimo per chi ci abita.<br />
Stato del cielo<br />
Può essere ut<strong>il</strong>e conoscere i valori della nebulosità media<br />
mens<strong>il</strong>e misurata in decimi di cielo coperto e classificando<br />
i giorni in sereni, misti e coperti (Tab .6).<br />
Vent<strong>il</strong>azione<br />
I venti predominanti in Ossola corrono lungo le valli. È<br />
predominante quello da Sud seguito da quello da Nord<br />
e da Nord-Ovest. I mesi più ventosi sono novembre, dicembre,<br />
gennaio e febbraio. Il vento è abbastanza forte<br />
in circa 50 giorni, moderato in 100 giorni e in 200<br />
giorni si segnala calma. Normalmente nella notte spira<br />
<strong>il</strong> vento fresco dalla montagna verso la valle, mentre<br />
verso mezzogiorno e nel pomeriggio spira la brezza proveniente<br />
dal Lago Maggiore verso la montagna.<br />
I venti più forti sono sempre quelli favonici da Nord e<br />
Tab. 4 – Temperature del sottosuolo a Domodossola per mese<br />
a 40 cm a 60 cm a 80 cm Gelo Brina<br />
Gennaio 2.0 2.1 2.8 23 14<br />
Febbraio 2.6 2.8 3.1 17 11<br />
Marzo 5.8 5.2 5.0 7 6<br />
Apr<strong>il</strong>e 9.5 8.7 8.3 1 1<br />
Maggio 12.7 12.0 11.6 - -<br />
Giugno 16.3 15.9 15.3 - -<br />
Luglio 18.7 18.2 17.8 - -<br />
Agosto 19.3 19.1 18.9 - -<br />
Settembre 17.0 17.2 17.6 - -<br />
Ottobre 13.0 13.3 14.1 1 2<br />
Novembre 7.9 8.6 9.4 8 11<br />
Dicembre 3.9 4.3 5.2 20 12<br />
Anno 10.7 10.6 10.9 77 57<br />
Tab. 5 – Umidità assoluta e relativa in Ossola per mese<br />
Tensione di vapore<br />
Acqueo in mm Hg<br />
Umidità relativa<br />
in %<br />
Gennaio 4.0 70<br />
Febbraio 4.0 63<br />
Marzo 4.7 58<br />
Apr<strong>il</strong>e 6.2 58<br />
Maggio 8.4 61<br />
Giugno 11.2 62<br />
Luglio 12.5 60<br />
Agosto 12.5 60<br />
Settembre 10.9 71<br />
Ottobre 8.3 76<br />
Novembre 5.4 72<br />
Dicembre 4.2 71<br />
Anno 7.7 66<br />
Tab. 6 – Nebulosità (decimi di cielo coperti) e numero di giorni sereni,<br />
misti o coperti in Ossola.<br />
Nebulosità Sereni Misti Coperti<br />
Gennaio 4 16 10 5<br />
Febbraio 4 15 9 4<br />
Marzo 5 14 10 7<br />
Apr<strong>il</strong>e 5 10 12 8<br />
Maggio 5 9 13 9<br />
Giugno 4 10 14 6<br />
Luglio 4 13 13 5<br />
Agosto 5 15 12 5<br />
Settembre 5 12 11 7<br />
Ottobre 5 12 10 9<br />
Novembre 5 13 10 7<br />
Dicembre 4 16 9 6<br />
Anno 5 155 133 78<br />
111
Nord-Ovest con velocità che superano fac<strong>il</strong>mente i 100<br />
km/ora e talvolta raggiungono i 150 km/ora.<br />
Precipitazioni<br />
I valori medi mens<strong>il</strong>i delle precipitazioni, l’altezza media<br />
della neve ed <strong>il</strong> numero di giorni di precipitazioni<br />
in forma di pioggia, neve, e temporali sono riportati<br />
nella Tab. 7. Le precipitazioni in forma di pioggia<br />
sono abbondanti in Ossola con netta preferenza nei<br />
mesi primaver<strong>il</strong>i ed autunnali. Il mese più piovoso è ottobre<br />
seguito da maggio. Nell’inverno le precipitazioni<br />
sono scarse. Anche la neve non è abbondante a Domodossola<br />
e presenta una notevole variab<strong>il</strong>ità interannuale.<br />
La nebbia è abbastanza rara durante l’intero arco dell’anno.<br />
Non sono infrequenti in Ossola periodi di piogge<br />
intense e continue, che si registrano ogni volta che<br />
cospicue masse di aria umida provenienti dall’Oceano<br />
Atlantico aggirano le Alpi raggiungendo <strong>il</strong> Mediterraneo,<br />
quindi si dirigono verso <strong>il</strong> Nord attraversando la<br />
Pianura Padana fino a raggiungere le Alpi da Sud. Sono<br />
queste situazioni meteorologiche a determinare i periodi<br />
di büzza, che spesso danno origine a disastrose alluvioni.<br />
In queste occasioni non è raro che cadano in un<br />
giorno e talvolta in poche ore anche 100 e 200 e oltre<br />
300 mm di pioggia. La siccità invece è rara; ma se<br />
la pioggia non cade per un mese nel periodo primaver<strong>il</strong>e<br />
o estivo ne comincia a soffrire la vegetazione, giacché<br />
<strong>il</strong> terreno s<strong>il</strong>iceo ossolano subisce una rapida disidratazione<br />
ed ha bisogno di essere frequentemente rifornito<br />
di acqua.<br />
Tab. 7 – Valori medi mens<strong>il</strong>i delle precipitazioni in Ossola<br />
112<br />
Precipit.<br />
in mm<br />
Neve<br />
in cm<br />
Giorni<br />
piovosi<br />
Giorni<br />
nevosi<br />
Temporali<br />
Gennaio 71 20 3 3 -<br />
Febbraio 63 29 4 3 -<br />
Marzo 127 13 7 2 -<br />
Apr<strong>il</strong>e 161 6 11 - 1<br />
Maggio 169 6 13 - 2<br />
Giugno 125 - 12 - 4<br />
Luglio 111 - 12 - 4<br />
Agosto 117 - 10 - 6<br />
Settembre 122 - 9 - 2<br />
Ottobre 216 - 11 - -<br />
Novembre 125 7 6 1 -<br />
Dicembre 85 15 6 2 -<br />
Anno 1492 90 102 10 20<br />
Notizie sul clima delle vallate ossolane<br />
Le notizie sul clima di Domodossola sono estensib<strong>il</strong>i<br />
solo in parte al resto della vallata principale ed alle altre<br />
valli laterali. Le numerose stazioni sparse nell’Ossola<br />
permetterebbero di stab<strong>il</strong>ire con buona approssimazione<br />
i dati termometrici ed udometrici cioè le temperature<br />
e le precipitazioni mens<strong>il</strong>i medie; ma su di esse<br />
vogliamo essere piuttosto brevi. Partendo da Domodossola<br />
(m 272) e scendendo lungo la valle le temperature<br />
medie mens<strong>il</strong>i ed annuali aumentano leggermente<br />
con differenza di qualche decimo di grado centigrado.<br />
Al contrario, le medie trentennali (1971-2000) delle<br />
stazioni gestite dall’ENEL (Fig. 1), dati regolarmente<br />
pubblicati sulla rivista Oscellana, evidenziano che con<br />
l’aumento della quota si verifica una diminuzione delle<br />
temperature medie annuali (Fig. 2), con un valore<br />
di circa 0,54 °C per ogni cento metri di aumento della<br />
quota sul livello del mare.<br />
Fig. 1 – Val d’Ossola e collocazione delle principali stazioni meteorolo-<br />
giche citate nel testo.<br />
Le precipitazioni invece crescono rapidamente passando<br />
dai 1492 mm annuali di Domodossola a quelle di<br />
circa 1600 mm di Pallanzeno e Piedimulera ed a 2600<br />
mm ad Ornavasso. La bassa Ossola infatti entra nell’area<br />
delle massime piovosità alpine. Ma è ut<strong>il</strong>e ripetere<br />
che i fattori locali sono sempre molto importanti.<br />
Così <strong>il</strong> clima di Megolo, Anzola e Migiandone è molto
più rigido di quello di Vogogna, Premosello, Cuzzago<br />
e Mergozzo, essendo questi ultimi paesi bene esposti al<br />
sole mentre i primi ne sono assolutamente privi per un<br />
lungo tratto dell’inverno.<br />
T max<br />
T medie<br />
T min<br />
Fig. 2 – Medie (1971-2002) delle temperature minime, medie e massime<br />
in alcune stazioni ossolane in relazione alla quota e relative rette<br />
di regressione. I dati si riferiscono, da sinistra a destra, alle stazioni<br />
di Pallanzeno, Domodossola Rosmini, Crevoladossola, Rovesca, Ponte<br />
di Formazza, Campliccioli, Alpe Cavalli, Agaro, Codelago, Vannino,<br />
Toggia, Camposecco, Sabbioni (dati raccolti da ENEL Produzione<br />
di Domodossola).<br />
La valle Anzasca<br />
Il clima della valle Anzasca va gradatamente irrigidendosi<br />
da Piedimulera (m 247) fino a Macugnaga (Pecetto<br />
m 1362). La temperatura media annuale a Piedimulera<br />
è di circa 11 °C mentre quella di Macugnaga scende<br />
a 5.5 °C con temperature minime invernali che raggiungono<br />
fac<strong>il</strong>mente i –15 °C e talvolta i –20 °C. Il clima<br />
dunque si irrigidisce salendo da Piedimulera a Macugnaga.<br />
Le precipitazioni sono piuttosto r<strong>il</strong>evanti in<br />
tutta la valle Anzasca: Piedimulera 1600 mm, Anzino<br />
1700 mm, Macugnaga 1400 mm, Macugnaga Belvedere<br />
1700 mm, Passo del Moro 1700 mm. Le precipitazioni<br />
nevose sono abbondanti nella parte superiore<br />
della valle. La neve cade da novembre a marzo nella<br />
parte mediana della valle (Calasca, Bannio, Vanzone,<br />
Ceppomorelli) e da ottobre ad apr<strong>il</strong>e a Macugnaga<br />
dove <strong>il</strong> manto nevoso normale ha uno spessore medio<br />
di un metro.<br />
La valle Antrona<br />
Salendo da V<strong>il</strong>ladossola verso Antronapiana <strong>il</strong> clima<br />
si irrigidisce a causa dell’aumento di altitudine. Tuttavia<br />
tutti i paesi posti sulla sinistra del fiume Ovesca<br />
(Montescheno, Seppiana, Viganella e Schieranco) hanno<br />
temperature medie superiori a quelle dei paesi posti<br />
sulla destra del fiume i quali, specialmente nei mesi invernali,<br />
non vedono <strong>il</strong> sole per molti giorni. La temperatura<br />
media annuale è di circa 10 °C, con minime invernali<br />
che raggiungono i –15 °C. A Rovesca (m 867)<br />
la temperatura media annuale scende a 9 °C ed è uguale<br />
a quella di Antronapiana. Salendo ancora lungo la valle<br />
verso le stazioni più elevate riscontriamo 7 °C a Campliccioli<br />
(m 1355), 6 °C a Cheggio (m 1497), l,2 °C al<br />
Cingino (m 2255). Le precipitazioni decrescono generalmente<br />
salendo da V<strong>il</strong>ladossola verso Antronapiana.<br />
Il totale annuale è di circa 1500 mm a V<strong>il</strong>ladossola ed<br />
a Montescheno, scendendo a circa 1400 mm a Rovesca<br />
(m 867) ed a Campliccioli (m 1355) ed a circa 1300<br />
mm a Camposecco (m 2331). La neve cade soprattutto<br />
nella parte più alta della valle, da Antronapiana in su,<br />
dove <strong>il</strong> manto nevoso nei mesi invernali arriva anche a 3<br />
metri di altezza e dove precipitano numerose valanghe,<br />
alcune delle quali, come quella di Schieranco, scendono<br />
fino a fondovalle. I venti dominanti spirano in direzione<br />
del solco vallivo da e verso Nord-Ovest.<br />
La valle Bognanco<br />
Anche per la valle Bognanco si possono fare considerazioni<br />
analoghe a quelle fatte per la valle Antrona, che<br />
ha lo stesso orientamento. La temperatura media annuale<br />
va diminuendo con l’altezza, ma i paesi posti sulla<br />
sponda sinistra del fiume Bogna (Cisore, Monteossolano,<br />
le alte frazioni di Bognanco-Dentro) hanno un<br />
clima meno rigido di quelli posti sulla sponda destra,<br />
come S. Marco, o nel fondovalle come Bognanco Fonti.<br />
Le minime assolute invernali possono raggiungere i –20<br />
°C. Le precipitazioni sono di circa 1400 mm all’anno<br />
con i massimi primaver<strong>il</strong>i (maggio) ed autunnale (ottobre).<br />
Sugli alti monti cade abbondante la neve da novembre<br />
a maggio ed <strong>il</strong> manto nevoso raggiunge spesso i<br />
3 metri di spessore. Cadono anche numerose valanghe<br />
che talvolta scendono a lambire le frazioni più elevate.<br />
113
La valle Divedro<br />
La valle Divedro è fortemente incassata fra alte montagne<br />
e quindi ha un clima molto rigido. Di fatto <strong>il</strong> paese<br />
di Iselle non ha sole nei mesi invernali e di conseguenza<br />
la temperatura media è molto al di sotto di quella che<br />
competerebbe alla sua altitudine. In migliore condizione<br />
sono Varzo e Trasquera situati, non a caso, in posizione<br />
solatia. Influisce sul clima della valle anche la vicinanza<br />
dei potenti ghiacciai delle Alpi Pennine che superano<br />
i 4000 metri.<br />
La temperatura media annuale a Varzo (m 568) è di circa<br />
8 °C, mentre scende a 5 °C a Gebbo (m 1060), ed<br />
a -0,5 °C al lago d’Avino (m 2246). Le precipitazioni<br />
vanno generalmente diminuendo man mano che si<br />
sale verso le zone più elevate. A Varzo cadono in media<br />
1700 mm annui, 1400 a Iselle ed a Trasquera. Nella valle<br />
del torrente Cairasca la stazione di Gebbo segna una<br />
precipitazione media annuale di circa 1400 mm e quella<br />
del lago d’Avino di 1600 mm. Nella parte alta della<br />
valle, verso <strong>il</strong> Sempione, l’Alpe Veglia ed <strong>il</strong> lago d’Avino,<br />
114<br />
le precipitazioni nevose sono in generale molto abbondanti<br />
e durano fac<strong>il</strong>mente da novembre fino alla fine<br />
di maggio. Anche le valanghe sono frequenti nei luoghi<br />
più ripidi, causando talvolta anche gravi danni ai<br />
boschi. Grandiosa quella del 1951 all’Alpe Veglia che<br />
abbatté cascine e migliaia di larici. Nella valle Divedro<br />
non sono infrequenti le alluvioni, accompagnate anche<br />
da grandiosi franamenti come quelli del Monte Marghino<br />
che ha sbarrato <strong>il</strong> fiume e interrotto ripetutamente<br />
la ferrovia del Sempione nel 1951 e nel 1958.<br />
La valle Antigorio-Formazza<br />
La valle Antigorio-Formazza è percorsa dal Toce che<br />
ha le sue sorgenti nei ghiacciai terminali della valle allo<br />
spartiacque alpino. Entrando dal fondovalle, dopo Pontemaglio,<br />
nella valle Antigorio <strong>il</strong> clima si irrigidisce lentamente<br />
con <strong>il</strong> crescere dell’altitudine per diventare<br />
molto rigido nella valle Formazza, al di sopra del gradino<br />
delle “Casse”. A Crodo la temperatura media annuale<br />
è di circa 10 °C, ma a Mozzio, Viceno e Cravegna,
nonostante l’aumentata altitudine, è pressochè uguale.<br />
La temperatura decresce da Baceno in su sia nel bacino<br />
del Devero che in quello del Toce. È di circa 6 °C a<br />
Goglio (m 1133), 5 °C ad Agaro (m 1600), 4 °C a Devero<br />
(1631 m). A Cadarese di Premia la temperatura è<br />
di circa 7 °C, ma scende a 6 °C a Ponte di Formazza<br />
(m 1280), a 1 °C al Vannino (m 2182), a 0 °C in Valtoggia<br />
(m 2200) ed a -2,5 °C al Sabbione (m 2466);<br />
questa ultima stazione è prossima al ghiacciaio dell’Hosand.<br />
Queste valli sono dominate dai venti impetuosi<br />
che spirano lungo <strong>il</strong> loro asse e risentono fortemente<br />
anche delle perturbazioni che giungono dai quadranti<br />
settentrionali.<br />
Gli stessi venti favonici, secchi e caldi, che nei mesi invernali<br />
giungono a Domodossola sono invece freddi<br />
nella valle Formazza e portano neve e nevischio in tutta<br />
la valle Antigorio. Le precipitazioni risentono di questa<br />
situazione e quindi sono in generale piuttosto diverse<br />
che a Domodossola. Anche in questo caso tuttavia<br />
i totali annuali in generale decrescono con l’altitudine:<br />
1350 mm a Crodo, 1330 mm a Cadarese, 1200<br />
mm a Ponte di Formazza, 1100 mm a Vannino e Valtoggia,<br />
900 a Sabbione. In Val Devero si passa da circa<br />
1500 mm a Goglio, a 1400 mm ad Agaro ed a 1700<br />
mm a Codelago. La neve cade abbondante in tutta la<br />
valle e specialmente nelle zone elevate dello spartiacque<br />
alpino, restando al suolo per molti mesi, da ottobre<br />
a maggio. Cadono anche numerose valanghe, in generale<br />
nei luoghi ben conosciuti dagli alpigiani. Sono rari<br />
i temporali in estate, mentre sono frequenti in inverno<br />
le tempeste di neve.<br />
La valle Vigezzo<br />
Il solco vallivo che congiunge la valle percorsa dal Toce<br />
con quella del Ticino sale da Domodossola fino a Druogno<br />
(m 836) per poi discendere verso <strong>il</strong> territorio svizzero.<br />
Questa valle, orientata da Est verso Ovest, risente<br />
fortemente della diversità di insolazione sui due versanti.<br />
Per tal motivo la maggior parte dei paesi è posta<br />
sul versante esposto al sole, dove le temperature sono<br />
meno rigide d’inverno. La temperatura media annuale<br />
è di circa 9 °C a Malesco, 8 °C a S. Maria Maggiore<br />
e di 10 °C a Craveggia. Il vento predominante è quello<br />
che spira lungo l’asse della valle da Ovest e poi quello<br />
da Est, a seconda della situazione meteorologica generale.<br />
Anche in val Vigezzo è frequente <strong>il</strong> vento favonico<br />
in inverno ed in primavera.<br />
Le precipitazioni cadono molto abbondanti in valle Vigezzo.<br />
Le medie annue sono infatti di oltre 2000 mm.<br />
Sono molto frequenti i temporali estivi accompagnati<br />
solitamente da grossi rovesci di pioggia. La valle Vigezzo<br />
è molto soggetta alle alluvioni; disastrosa quella dell’agosto<br />
1978 che recò enormi danni a tutta la valle. Relativamente<br />
abbondante la neve.<br />
Il clima della valle Vigezzo è tuttavia da considerarsi<br />
molto buono e salubre sia nei mesi estivi che nei mesi<br />
invernali, non eccessivamente rigido, ma ammorbidito<br />
da una certa variab<strong>il</strong>ità che in generale si fa apprezzare<br />
anche dai turisti.<br />
E’ cambiato <strong>il</strong> clima ossolano?<br />
Quasi ogni giorno i mezzi di informazione parlano delle<br />
variazioni climatiche e delle relative conseguenze che<br />
queste hanno o potrebbero avere sull’ambiente e sulle<br />
nostre attività quotidiane. Cosa si può dire, sulla base<br />
di misure sperimentali, di quanto è avvenuto ed è in<br />
evoluzione in Val d’Ossola? Risposte, sia pur parziali,<br />
sono possib<strong>il</strong>i grazie alla serie ultrasecolare di misure<br />
effettuate dall’Osservatorio Meteorologico del Collegio<br />
“Mellerio Rosmini”, collocato alla periferia di Domodossola,<br />
ad una quota di 295 m s.l.m. Le osservazioni<br />
iniziarono nel 1872, grazie alla disponib<strong>il</strong>ità dei Padri<br />
Rosminiani e all’interessamento del Club Alpino <strong>It</strong>aliano,<br />
impegnato in quegli anni ad impostare una rete di<br />
osservatori sulle Alpi e nell’area subalpina.<br />
L’osservatorio è stato ufficialmente inserito nella rete<br />
meteorologica italiana dal 1872 al 1973; i suoi dati<br />
sono stati regolarmente pubblicati su riviste ufficiali<br />
quali gli “Annali Idrologici del Ministero dei Lavori<br />
Pubblici”. Le misure eseguite riguardavano: temperatura<br />
dell’aria, precipitazioni, pressione barometrica, direzione<br />
ed intensità del vento, copertura di nubi del cielo;<br />
per periodi più brevi sono state eseguite anche misure<br />
geofisiche, quali <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo di scosse sismiche, la temperatura<br />
a diverse profondità del suolo, la radioattività<br />
delle deposizioni atmosferiche. Negli anni successivi<br />
al 1973 le misure di temperatura e precipitazione sono<br />
continuate, mentre si sono interrotti gli altri r<strong>il</strong>ievi. In-<br />
115
Fig. 3 – Serie delle temperature di Domodossola con media mob<strong>il</strong>e di<br />
ordine 25 e con linea di tendenza (da Oscellana 32 (1), 2002)<br />
fine, dal 2001, la stazione è gestita dall’Istituto per lo<br />
Studio degli Ecosistemi del Consiglio Nazionale delle<br />
Ricerche di Verbania.<br />
Recentemente le serie ultrasecolari dei dati di temperatura<br />
dell’aria e precipitazioni sono state analizzate per<br />
evidenziarne tendenze statisticamente significative. I risultati<br />
hanno confermato le tendenze a livello regionale<br />
e nazionale evidenziate in altri lavori. Le temperature<br />
mostrano un aumento medio annuo di 0,61±0.14 °C<br />
in 100 anni (Fig. 3), con un aumento massimo in inverno<br />
(1,05±0.28 °C in 100 anni), una variazione non significativa<br />
in estate (0,19±0,23 °C in 100 anni) e valori<br />
intermedi in primavera ed autunno (rispettivamente<br />
0,53±0,23 e 0,63±0,21 °C in 100 anni).<br />
Questi valori risultano leggermente più elevati di quelli<br />
indicati nel 2002 da Maugeri e Mazzucchelli come<br />
medie per <strong>il</strong> Nord <strong>It</strong>alia (T minime e massime annue<br />
0,27±0,07 e 0,44±0,10 °C in 100 anni) e prossimi a<br />
quelli indicati dall’Intergovernamental Panel on Climate<br />
Change (IPCC), organismo fondato nel 1988 dall’Organizzazione<br />
Meteorologica Mondiale, che fornisce<br />
un incremento di temperatura a livello globale per<br />
<strong>il</strong> XX secolo di 0,6±0.20 °C. L’aspetto più preoccupante<br />
deriva dal fatto che l’aumento sembra decisamente<br />
accentuarsi negli ultimi 10-15 anni, quando più volte<br />
sono stati superati i massimi storici secolari in termini<br />
di temperature e eventi di precipitazione.<br />
Una conseguenza ambientale legata all’innalzamento<br />
delle temperature, r<strong>il</strong>evante per l’arco alpino in generale<br />
e quindi anche per l’Ossola, è <strong>il</strong> regresso dei ghiac-<br />
116<br />
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Fig. 4 – Serie pluviometrica di Domodossola con media mob<strong>il</strong>e di ordine<br />
25 e linea di tendenza (da Oscellana 32 (2), 2002).<br />
<br />
<br />
ciai, con la completa scomparsa di quelli di dimensioni<br />
minori, alle quote minori. Il fenomeno non è esente<br />
da rischi idrogeologici, quando la conformazione dei<br />
versanti crea le condizioni per la formazione di sacche<br />
di acque di scioglimento in situazioni di instab<strong>il</strong>ità. Un<br />
esempio si è avuto qualche anno fa in Val Anzasca con<br />
<strong>il</strong> “Lago Effimero”, formatosi sui ghiacciai del Monte<br />
Rosa, che ha mob<strong>il</strong>itato esperti e tecnici del soccorso civ<strong>il</strong>e,<br />
per <strong>il</strong> potenziale pericolo di un brusco e disastroso<br />
deflusso delle acque a valle.<br />
Come per le temperature, anche i risultati dell’analisi<br />
sulla quantità e sul regime delle precipitazioni r<strong>il</strong>evate<br />
all’osservatorio Rosmini di Domodossola appaiono in<br />
linea con altre osservazioni eseguite nel Nord <strong>It</strong>alia. La<br />
quantità globale di precipitazione (Fig. 4) non ha evidenziato<br />
un trend significativo nel periodo considerato,<br />
presentando una media di 1398 mm, con una deviazione<br />
standard di 351 mm, ed estremi di 768 e 2918 mm<br />
(rispettivamente negli anni 1893 e 1872).<br />
A fronte di questo risultato, è stata evidenziata una tendenza<br />
alla diminuzione del numero di giorni di precipitazione<br />
per anno, passati da 100-110 negli ultimi anni<br />
del 1800 a 85-90 negli ultimi venti anni (Fig. 5).<br />
L’evoluzione di queste due componenti della distribuzione<br />
delle precipitazioni indica quindi chiaramente<br />
un aumento della intensità di precipitazione, definita<br />
come rapporto tra quantità e frequenza di precipitazione;<br />
l’analisi su base stagionale mette inoltre in luce<br />
una variazione più accentuata in autunno e, secondariamente,<br />
in primavera ed estate. Aumentano così gli
eventi estremi di precipitazione, con un conseguente<br />
aumento del rischio idrogeologico. E’ superfluo ricordare<br />
che <strong>il</strong> flagello delle alluvioni costituisce una componente<br />
storica della realtà ossolana e che gli eventi dell’ultimo<br />
decennio (anni 1993, 1994, 2000) sono stati<br />
fra i più catastrofici. L’incremento della intensità delle<br />
precipitazioni osservato a Domodossola trova ampio riscontro<br />
nelle osservazioni di altre stazioni del Nord <strong>It</strong>alia<br />
e, più in generale, questo aspetto sembra riflettere<br />
una tendenza globale, associata ad una maggiore “vivacità”<br />
del ciclo dell’acqua connesso con l’aumento della<br />
temperatura.<br />
Poesia della natura: la galaverna.<br />
Fig. 5 – Numero di giorni di precipitazione per anno a Domodossola<br />
con media mob<strong>il</strong>e di ordine 25 e linea di tendenza (da Oscellana<br />
32 (2), 2002).<br />
117
La flora<br />
Cesarina Masini Chieu<br />
Le condizioni altimetriche e morfologiche dell’Ossola,<br />
<strong>il</strong> suo clima di tipo continentale temperato, offrono<br />
all’osservatore una successione di zone di vegetazione,<br />
giustificata via via dall’altitudine, dall’esposizione dei<br />
versanti, dall’insolazione, dal vento, dall’umidità, dalle<br />
precipitazioni nevose, dalle condizioni fisiche, chimiche<br />
e biotiche del suolo.<br />
I paesaggi tanto diversi di cui si compone la fisionomia<br />
dell’Ossola sono improntati da forme caratteristiche di<br />
vegetazione: alberi, boschi, fiori, erbe e prati, ora educati<br />
sapientemente dalla mano dell’ uomo, ora lasciati<br />
crescere in selvaggia libertà, ad arricchire di bellezza e di<br />
colori le prospettive del piano, dei colli, delle cime.<br />
Al piano basale fino a 400 m. di altitudine appartengono<br />
terreni ricchi di seminativi e di colture agricole,<br />
come vari cereali, alberi da frutta e pingui prati. Fra i<br />
cereali soprattutto la Segale, Secale Cereale, una Graminacea<br />
la cui coltivazione era diffusa in tutta l’ Ossola ,<br />
da sempre cibo delle popolazioni più povere e isolate; la<br />
pianta rustica per <strong>il</strong> suo grande adattamento alle avversità<br />
climatiche e alla povertà dei terreni, può essere coltivata<br />
fino a 1300 - 1500 m. di altitudine. Quando nel<br />
paesaggio alpino si alternavano come in una scacchiera<br />
<strong>il</strong> verde dei prati e <strong>il</strong> giallo delle spighe alte e bionde,<br />
erano tempi in cui nei piccoli “campi” gli Ossolani basavano<br />
la loro economia su una agricoltura che potesse<br />
assicurare le necessità primarie come <strong>il</strong> Pane. Tuttora a<br />
Coimo, in Valle Vigezzo, si fa un buon pane di “se<strong>il</strong>a”,<br />
oggi oggetto di tradizione.<br />
Segale e patate furono la ricchezza del montanaro, anche<br />
in tempi di guerra e di carestie. La Patata Solanum<br />
Tuberosum una Solanacea che giunse sulle mense ossolane<br />
solamente dopo <strong>il</strong> 1770, <strong>il</strong> tubero dal grande valore<br />
nutritivo, si adatta ad ogni tipo di clima e fruttifica<br />
anche fino a 1500 m. di altitudine, è tenuta in grande<br />
considerazione nella gastronomia locale, tanto da venire<br />
perfino festeggiata a Montecrestese con una sagra popolare<br />
che si tiene in autunno.<br />
Erano altri tempi quelli in cui veniva coltivata la Canapa,<br />
Cannabis sativa, per ottenere una buona fibra da cui<br />
si ricavava la preziosa “tela da ca’”, prodotto artigianale<br />
a livello domestico adatto a soddisfare le esigenze fam<strong>il</strong>iari<br />
di indumenti e biancheria; ora Canapa, Tabacco e<br />
Frumento non si coltivano più .<br />
Particolare fu in tutti i tempi addirittura da m<strong>il</strong>lenni,<br />
la cura dedicata alla Vite, Vitis vinifera, una Vitacea<br />
coltivata dal piano alle pendici solatie dei monti, anche<br />
su terrazzamenti, realizzati con muretti di sostegno<br />
fino verso i 1000 m.. La pianta che si adatta fac<strong>il</strong>mente<br />
alle difficoltà del clima, richiede un terreno abbastanza<br />
profondo e una buona esposizione al sole per maturare<br />
un frutto ricco di zuccheri in modo da ottenere poi<br />
un buon vino, e in seguito, dall’attività dell’ alambicco,<br />
una profumata grappa.<br />
Un’essenza preziosa che l’uomo ha da sempre coltivata<br />
per goderne tutte le parti: corteccia, legno, foglie, mallo<br />
e seme, è <strong>il</strong> Noce, Juglans Regia famiglia delle Juglandacee.<br />
Si trovano anche Noci cresciuti lontani dalle abitazioni,<br />
non piantati dall’ uomo, ma disseminati da corvi,<br />
gazze, ghiandaie, e da roditori come scoiattoli e topi,<br />
infatti la riproduzione avviene per seme . Il Noce ha esigenze<br />
di terreno morbido e fresco, profondo per affondare<br />
<strong>il</strong> suo robusto apparato radicale, abbisogna di molto<br />
spazio disponib<strong>il</strong>e per sv<strong>il</strong>uppare una folta chioma di<br />
ampie foglie lucide. E’ una pianta dioica che fiorisce in<br />
primavera, a giugno mostra <strong>il</strong> frutto verde e a ottobre lo<br />
regala maturo, ricco di sostanze grasse e zuccherine.<br />
119
Fino agli 800 m. è la zona detta fascia submontana,<br />
propria delle caducifoglie, o latifolie eliof<strong>il</strong>e, piante cioè<br />
a riposo invernale, con foglie a lamina larga, adatte a vivere<br />
in ambiente ad elevata luminosità, quali l’Acero, la<br />
Betulla, <strong>il</strong> Frassino, <strong>il</strong> Salice, <strong>il</strong> Sambuco, la Robinia, <strong>il</strong><br />
Nespolo. Grandi, altissimi alberi distendono i loro rami<br />
nel cielo e sprofondano le radici nel terreno, accanto ad<br />
arbusti, piante, pianticelle, erbe, che si nascondono nell’umido,<br />
e all’ ombra delle grandi e dell’ ombra e con<br />
l’ombra vivono.<br />
L’ Acero più diffuso è <strong>il</strong> Campestre, una Aceracea presente<br />
dalla pianura alla collina, alla bassa montagna,<br />
dove non supera i 1500 m. di altitudine; ma <strong>il</strong> grande<br />
albero che arriva anche ad una altezza di 30 m., è l’Acero<br />
Montano, che si spinge fino quasi a 2000 m. nella<br />
zona del Faggio e dell’ Abete, <strong>il</strong> più longevo, la cui vita<br />
può arrivare fino a 150 –200 anni. Essenza preziosa in<br />
s<strong>il</strong>vicoltura per la formazione dell’ humus forestale dolce<br />
e poroso, in quanto le sue foglie sono ricche di azoto<br />
e povere di cellulosa, sbocciano in maggio numerosi<br />
fiori riuniti in grappoli, che attirano gli insetti a cui è<br />
affidata l’impollinazione, singolare per i suoi frutti alati<br />
detti “samare”, che contengono due semi ciascuna e<br />
che <strong>il</strong> vento d’autunno porterà lontano favorendo così<br />
la disseminazione.<br />
Fiorisce fra maggio e giugno dal piano fin a 1000 m.<br />
di altitudine la Robinia Pseudoacacia albero delle Leguminose<br />
dai rami un po’ tortuosi, dalla bella chioma<br />
ricca di foglie che sono appetite dai conigli selvatici<br />
e dai cervi; i grappoli di fiori bianchi profumatissimi<br />
bottinati dalle api che hanno funzione di insetti<br />
impollinatori, ai fiori succedono i frutti , legumi lunghi<br />
5-8 cm., pendenti, bruno nerastri che contengono<br />
4 - 11 semi neri, tossici per l’uomo, che cadranno<br />
alla fine dell’inverno. Oltre ad essere una pianta pioniera,<br />
consolidante del suolo, presenta fra le sue radici<br />
dei tubercoli dovuti a un batterio che fissa nel terreno<br />
l’azoto atmosferico rendendolo più fert<strong>il</strong>e. La Robinia<br />
è una delle sedi prescelte dal Vischio, ma soffre<br />
di questa forma di parassitismo, fino a morirne.<br />
Quando si dice Salice si pensa a un albero dai rami ele-<br />
120<br />
gantemente spioventi amico dell’acqua e del fresco, che<br />
già in marzo mette le foglie e le lascia cadere per ultimo,<br />
nel tardo autunno. Ancor prima delle foglie compaiono<br />
le infiorescenze, amenti diritti, setosi a cui viene dato <strong>il</strong><br />
nome di “gattini” : all’impollinazione provvedono gli<br />
insetti come calabroni e certe farfalle come la Vanessa<br />
Antiopae, la Nymphalis Antiopa, la Catocala Electa<br />
con abitudini notturne; alla dispersione dei minuscoli<br />
semi, provvisti ciascuno di un ciuffo di peli, provvederà<br />
<strong>il</strong> vento. Nella corteccia, nelle foglie, negli amenti, è<br />
presente un glucoside, la salicina, da cui per idrolisi si<br />
ottiene acido salic<strong>il</strong>ico, lo stesso che si trova nell’ “aspirina”,<br />
dalle proprietà analgesiche e febbrifughe, che furono<br />
note anche agli antichi. Per le condizioni ambientali<br />
favorevoli, sono presenti in Ossola 18 specie, lungo<br />
i torrenti nelle valli Vigezzo, Anzasca, Divedro, nei luoghi<br />
umidi fino ai dintorni di Macugnaga, e al Sempione;<br />
la specie detta “Retusa” dal portamento strisciante<br />
arriva fino al limite dei ghiacciai. Appartengono tutte<br />
alla famiglia delle Salicacee.<br />
Pianta altrettanto comune è <strong>il</strong> Sambuco, una Caprifogliacea<br />
a forma di cespuglio o piccolo albero, dai rami<br />
ricadenti e dalle vistose profumate ombrelle di piccoli<br />
fiori che in agosto- settembre si trasformano in bacche<br />
di colore nero rossastro, piene di succo zuccherino, avidamente<br />
ricercate dagli uccelli soprattutto dai merli, responsab<strong>il</strong>i<br />
poi della disseminazione.<br />
Spontaneo sotto forma di arbusto o di alberello alto da<br />
2 a 3 m., dove sono i boschi radi, non oltre i 1000 di<br />
altitudine, cresce molto lentamente <strong>il</strong> Nespolo Mesp<strong>il</strong>us<br />
Germanica che appartiene alla famiglia delle Rosacee.<br />
Il fusto legnoso ha un andamento tortuoso con numerosi<br />
rami e le foglie ovali lunghe fino a 12 cm. ; fiorisce<br />
da maggio a giugno con grandi fiori bianchi solitari,<br />
preziosa fonte di polline per le api; <strong>il</strong> frutto è una bacca<br />
verde- bruna che maturando acquista una consistenza<br />
pastosa e un sapore asprigno, ma gradevolmente zuccherino.<br />
Il frutto una volta tolto dalla pianta nel tardo<br />
autunno, deve essere riposto nella paglia dove subisce<br />
un processo di fermentazione: modo di maturare detto<br />
“ ammezzire”. I frutti più grossi e succosi si raccolgono<br />
sui pendii assolati di Montecrestse e Oira in Valle
Raro rododendro bianco.<br />
Antigorio. La Quercia, è la Cupolifera m<strong>il</strong>lenaria compagna<br />
dell’uomo, è uno degli alberi più robusti maestosi<br />
per <strong>il</strong> portamento: è alto da 30 a 40 m. molto ramificato,<br />
ha grande espansione della chioma, <strong>il</strong> tronco caratteristico<br />
per la corteccia bruno - nerastra screpolata,<br />
le foglie verdi scure e lucide sopra, ovali, con bordi<br />
a festoni arrotondati. E’ una pianta dioica in primavera<br />
compaiono gli amenti masch<strong>il</strong>i giallastri, penduli,e<br />
quelli femmin<strong>il</strong>i a squame; <strong>il</strong> frutto sarà una ghianda<br />
ovale con la cupola a scaglie. Offre all’uomo la sua ombra,<br />
<strong>il</strong> legno pesante e duro, adatto a molti usi, la scorza<br />
per <strong>il</strong> contenuto in tannino, le foglie e le ghiande per<br />
<strong>il</strong> nutrimento degli animali; cresce lentamente, molto<br />
tempo deve trascorrere prima che maturino i frutti, ma<br />
è pianta longeva e raggiunge i 2000 anni. Sono presenti<br />
in Ossola la Quercus Robur o Farnia, che supera raramente<br />
i 1000 m., la Rossa o Rubra che cresce in un vivaio<br />
della Guardia Forestale nei pressi del Lusentino, la<br />
Sess<strong>il</strong>iflora o Rovere, la più diffusa, presente fino a 1500<br />
m. su terreno soffice e leggero. Il nome dialettale generico<br />
è “Rugul”.<br />
Cresce sulla Quercia affondando nel tronco i suoi austo-<br />
ri succhiatori un semiparassita, <strong>il</strong> Vischio, una Lorantacea,<br />
che essendo priva di radici si rifornisce di acqua e di<br />
sali minerali sfruttando la linfa delle piante ospiti, mentre<br />
ha la sua funzione clorof<strong>il</strong>liana per la presenza di numerose<br />
piccole foglie verdi con le quali può sintetizzare<br />
gli idrati di carbonio. Quando la pianta ospite perde<br />
le foglie, <strong>il</strong> Vischio diventa evidente, un piccolo arbusto<br />
a forma di ciuffo rotondo sempreverde orientato verso<br />
nord perché è igrof<strong>il</strong>o, cioè ha bisogno di molta umidità<br />
per la germinazione dei suoi semi. I fiori compaiono in<br />
primavera, poco vistosi, alla fine dell’autunno compaiono<br />
i frutti, bacche sferiche, bianche traslucide che contengono<br />
un grosso seme immerso in una sostanza viscida,<br />
collosa e gelatinosa. Tordi, merli, cinciallegre si nutrono<br />
di questi frutti e inconsapevolmente, o pulendosi<br />
<strong>il</strong> becco, o con gli escrementi, favoriscono la disseminazione<br />
della pianta, in quanto i semi rivestiti del liquido<br />
appiccicoso, si attaccano ai tronchi degli alberi e <strong>il</strong> ciclo<br />
ricomincia. La pianta è molto tossica per l’uomo e la<br />
sua tossicità varia a seconda della specie arborea parassitata,<br />
cresce generalmente sugli alberi da frutto, ma anche<br />
su Pioppi, Olmi, Betulle, Salici e Castagno, se cresce<br />
sulla Quercia, o sul Pero, è più ricca di principi at-<br />
121
L’Edelweiss o Stella alpina.<br />
tivi, quindi più tossica; la corteccia della Quercia è tanto<br />
consistente che anche se parassitata dal Vischio, non<br />
ne viene danneggiata.<br />
Nel sottobosco del Querceto crescono numerose piante<br />
legnose e arbustive, con esigenze meno eliof<strong>il</strong>e, come<br />
<strong>il</strong> C<strong>il</strong>iegio selvatico, la “cerisa”, una Rosacea che in primavera,<br />
quando le altre piante dormono ancora, mostra<br />
grappoli fitti di fiori candidi, ancor prima dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
delle foglie. In Val Vigezzo quelli risparmiati dalle<br />
alluvioni crescono in riva al torrente Melezzo e in Val<br />
Anzasca si spingono fino a Macugnaga. Sugli alberi da<br />
frutta e in modo particolare sul C<strong>il</strong>iegio, vive <strong>il</strong> fungo<br />
Pholiota squarrosa che parassita la pianta fino a farla<br />
morire.<br />
Un’altra pianta Cupolifera, pioniera, molto diffusa fino<br />
a 1800 m. di altitudine, è <strong>il</strong> Nocciolo Corylus Avellana,<br />
altro antico tenace amico dell’uomo che trova nutrimento<br />
nel suo frutto, ut<strong>il</strong>ità nel suo legno, sollievo dalle<br />
sue proprietà medicinali. L’arbusto non di grande taglia<br />
è alto da 2 a 6 m., con la chioma che si allarga per i<br />
molti polloni che partono da un’unica ceppaia, con numerosi<br />
rami flessib<strong>il</strong>i, la pianta è monoica: gli amenti<br />
masch<strong>il</strong>i presenti già nell’autunno, sono giallastri e<br />
122<br />
penduli e quelli femmin<strong>il</strong>i riuniti in spighe compaiono<br />
in febbraio, sarà <strong>il</strong> vento a provocare l’ impollinazione.<br />
In autunno prima della caduta delle foglie, maturano i<br />
frutti, secchi e chiusi, di solito riuniti a gruppi da una a<br />
quattro. Le nocciole sono protette da un guscio legnoso<br />
liscio e duro e da grandi brattee verdi, contengono un<br />
unico seme dalla polpa bianca e dolce, di elevato potere<br />
nutritivo. Roditori come scoiattoli, ghiri e topi campagnoli,<br />
uccelli come le ghiandaie sono ghiotti consumatori<br />
di questi frutti, quelli che non verranno raccolti,<br />
caduti a terra germineranno in primavera e daranno<br />
origine ad altre piante.<br />
L’ habitat del Biancospino, Crataegus Oxyacantha, libero<br />
e selvaggio è la macchia, la siepe, la scarpata dal piano<br />
fino a 1600 m., in un sottobosco luminoso dove fra<br />
apr<strong>il</strong>e e giugno compaiono i suoi bianchi e profumati<br />
corimbi e in seguito le drupe rosse, ovali, velenose.<br />
Spesso in comune con la Rosa selvatica o Rosa di macchia,<br />
è presente in tutte le valli dal piano fino 1800 m.<br />
in parecchie varietà. Il fungo che lo parassita è l’ Entoloma<br />
clipeato che vive sugli alberi da frutta della famiglia<br />
delle Rosacee, lo visitano farfalle come la Aporia Crataegi<br />
e la Iphiclides Podalirius.<br />
Trovano qui <strong>il</strong> loro ambiente nel sottobosco ricco di<br />
humus e umido <strong>il</strong> Rovo, l’Agrifoglio con i frutti globosi<br />
color rosso vivo e le foglie di un verde lucente, <strong>il</strong> Ligustro<br />
dai fiori bianchi e profumati, <strong>il</strong> Maggiociondolo<br />
con i fiori riuniti in grappoli dorati. Le bacche, i frutti<br />
di molti arbusti, provvidenziale e sostanzioso nutrimento<br />
invernale per molti uccelli, che essendo refrattari<br />
alle sostanze tossiche presenti, se ne nutrono favorendo<br />
in seguito la disseminazione, sono per l’uomo insidiosi<br />
veleni.<br />
Perché i veleni? Quale la loro funzione nella pianta? I<br />
veleni vegetali consistono generalmente in alcaloidi e in<br />
glucosidi ad elevato potere tossico. Gli alcaloidi sono<br />
composti organici azotati di natura basica, prodotti ed<br />
elaborati da piante dicot<strong>il</strong>edoni, originati nelle radici<br />
ed accumulati nelle altre parti, come foglie, frutti, semi.<br />
Escrezioni o secrezioni? Secrezioni, cioè sostanze elaborate<br />
da particolari ghiandole, o escrezioni, cioè sostanze<br />
che una volta elaborate vengono espulse, oppure so-
stanze aventi funzione di difesa? Diversi chimicamente<br />
sono i glucosidi, composti costituiti da uno zucchero,<br />
solitamente <strong>il</strong> glucosio legato a sostanze di varia natura<br />
che si scindono per idrolisi per azione di enzimi, solitamente<br />
già presenti nello stesso tessuto vegetale in cui si<br />
trova <strong>il</strong> glucoside. Quale la funzione fisiologica del glucoside?<br />
Da alcuni autori è considerato materiale nutritivo<br />
di riserva giustificato dalla presenza dello zucchero,<br />
secondo altri si tratterebbe di un prodotto finale del<br />
metabolismo della pianta.<br />
Le chiome degli alberi formano una volta protettiva che<br />
regola la penetrazione della luce e dell’acqua piovana e<br />
poiché durante l’inverno le latifoglie sono nude, grande<br />
è la quantità di luce che giunge al suolo e permette la<br />
vita di molte piante erbacee ora um<strong>il</strong>i, ora appariscenti,<br />
che caratterizzano questo tipo di bosco.<br />
Ecco le Primule, precoci e gent<strong>il</strong>i annunciatrici della<br />
primavera, le varie specie di Viole a fiori più o meno<br />
violacei e bianchi, <strong>il</strong> Geranio sanguigno dai grandi fiori<br />
rosso scuri, la precocissima Anemone epatica: le sue<br />
corolle azzurre costellano le foglie morte del sottobosco<br />
non ancora rinverdito, nel periodo da febbraio ad<br />
apr<strong>il</strong>e; <strong>il</strong> velenoso Elleboro o Rosa di Natale, che ancora<br />
nel freddo inverno apre i grandi fiori bianchi; Orchidee<br />
selvatiche dalle spighe bianche, rosse e gialle, come le<br />
Sambucine, leggermente profumate di Sambuco, fiorite<br />
da maggio a giugno. A queste si accompagnano molto<br />
di frequente le Campanelline di primavera, e <strong>il</strong> Dente<br />
di cane; qui sparge <strong>il</strong> suo grato profumo <strong>il</strong> rosso fiore<br />
velenoso della Daphne mezereum e fioriscono le corolle<br />
azzurrissime delle Genziane, rappresentanti di una flora<br />
tipicamente alpina.<br />
Propria dei grandi spazi, nella solitudine selvaggia dei<br />
pascoli, si erge austera con la sua fioritura solare colorata<br />
di giallo intenso la Genziana Lutea o Maggiore: una<br />
rappresentante della famiglia delle Genzianacee. Arbusteti<br />
dal substrato calcareo, luoghi solitari e franosi, ricchi<br />
di torba, bene esposti al sole, sono <strong>il</strong> suo habitat, fra<br />
gli 800 e 2500 m. di altitudine: frequente nei boschi di<br />
Rosereccio in Valle Anzasca e sui pendii del Moncucco.<br />
Il suo rizoma c<strong>il</strong>indrico, lungo e grosso dal colore bruno<br />
giallastro, è la parte apprezzata dall’uomo, per la pre-<br />
senza di principi attivi amari, sotto forma di glucosidi .<br />
Il prof. Rossi naturalista botanico ha elencato 17 varietà<br />
di Genziane presenti nelle Valli Ossolane, <strong>il</strong> loro habitat<br />
e l’epoca di fioritura ; fra queste le più comuni sono<br />
la G. Acaulis cosidetta per <strong>il</strong> fusto brevissimo, dall’intenso<br />
azzurro delle corolle tubulose, con riflessi metallici;<br />
la G. Verna o genziana di primavera fiorisce da marzo<br />
ad agosto nei prati umidi della Val Formazza e alle<br />
falde del Monte Rosa da 800 fino a 3500 m. di altitudine<br />
dove i piccoli fiori dall’azzurro intenso e br<strong>il</strong>lante<br />
riuniti a chiazze spiccano sui pascoli ancora rinsecchiti<br />
dal gelo.<br />
E’ ancora questo l’orizzonte di una profumata L<strong>il</strong>iacea<br />
<strong>il</strong> Mughetto, messaggero della primavera. Con la bianca<br />
e profumata fioritura abbellisce <strong>il</strong> sottobosco nelle Valli<br />
Vigezzo, Anzasca, Antigorio e Bognanco; i glucosidi<br />
presenti, ad azione cardioattiva sono mortalmente velenosi<br />
per l’uomo.<br />
Nel sottobosco fresco e ombreggiato a volte anche nel<br />
prato soleggiato e scoperto, su terreno calcareo, ricco di<br />
Gli alti boschi ai piedi del Monte Cistella.<br />
123
humus fino ad un’altitudine da 300 a 2200 m. in tutte<br />
le Valli Ossolane trova <strong>il</strong> suo habitat una Primulacea<br />
<strong>il</strong> Ciclamino, Cjclamen purpurescens, dal solitario fiore<br />
rosso violaceo, profumato, presente da giungo a ottobre;<br />
nel tubero sta <strong>il</strong> suo veleno , <strong>il</strong> glucoside detto ciclamina<br />
e alcune saponine, <strong>il</strong> tutto è tossico e fortemente<br />
anemizzante.<br />
Dal piano fino a 2000 m. cresce la Betulla, Betula Alba,<br />
famiglia delle Betulacee dalla caratteristica corteccia<br />
bianco argentea e dalla chioma rada e luminosa, formata<br />
da giovani rami flessib<strong>il</strong>i, e da fogliame leggero e<br />
br<strong>il</strong>lante. In primavera compaiono i fiori masch<strong>il</strong>i sotto<br />
forma di lunghi amenti gialli tremuli e ricadenti, che<br />
differiscono dai femmin<strong>il</strong>i, più corti con gli stigmi rossi,<br />
<strong>il</strong> frutto sarà un piccolo achenio alato<br />
Presente nell’Ossola nelle sue tre varietà: B. alba, B. pubescens,<br />
e B.verrucosa, è pianta adatta ad insediarsi anche<br />
in terreni inospitali e poveri, a resistere alle osc<strong>il</strong>lazioni<br />
di temperatura e di umidità, al congelamento del<br />
suolo: è una pianta pioniera, anche perché ha grandi<br />
capacità di disseminazione e di riproduzione. Sulle vecchie<br />
Betulle ammalate vive un fungo Poliporo, <strong>il</strong> Piptoporus<br />
betulinus, che ne favorisce <strong>il</strong> disfacimento, fungo<br />
parassita annuale che necessita della linfa della Betulla<br />
per sopravvivere, e scompare alle prime gelate. Altri<br />
funghi compagni della Betulla sono <strong>il</strong> Boletus albidus e<br />
<strong>il</strong> Pax<strong>il</strong>lus involutus, <strong>il</strong> Cortinarius arm<strong>il</strong>lato.<br />
Molteplici sono gli usi dei prodotti di questa essenza:<br />
dalla corteccia come combustib<strong>il</strong>e ed isolante, alla linfa<br />
per ricavarne zuccheri e bevande, dal legname nell’industria<br />
dei compensati, o per piccole attività artigianali,<br />
al tannino che si estrae dai suoi tessuti.<br />
E’ questo l’habitat anche di una Cupolifera dal medio<br />
portamento, <strong>il</strong> Carpino, che ama terreni s<strong>il</strong>icei anche<br />
aridi. Si presenta con un tronco dalla corteccia grigia e<br />
liscia, la chioma folta, le radici superficiali, fiori masch<strong>il</strong>i<br />
e femmin<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> frutto è un achenio con un seme protetto<br />
da una membrana. E’ un’essenza di interesse forestale.<br />
Abbastanza diffusa nei piani collinari, fino a 1000 m,<br />
non avendo pred<strong>il</strong>ezioni di terreno, è una T<strong>il</strong>iacea, <strong>il</strong><br />
124<br />
Tiglio, T<strong>il</strong>ia Cordata. Albero alto, dalla chioma notevolmente<br />
espansa, a crescita lenta, assai longevo, fino<br />
a 1000 anni di età. Giugno è <strong>il</strong> suo mese: pendono dai<br />
rami i fiori di colore giallastro, riuniti in radi corimbi,<br />
intensamente profumati per la presenza una essenza, <strong>il</strong><br />
farnesolo che attira le api, che oltre a bottinare polline<br />
in abbondanza, svolgono anche funzione pronuba.<br />
Del Tiglio è prezioso <strong>il</strong> legno tenero usato per utens<strong>il</strong>i<br />
e la corteccia da cui si separa una fibra per funi rustiche<br />
e resistenti.<br />
Ancora l’orizzonte sub montano è la sede del Castagneto:<br />
bosco luminoso, con le fronde chiare e, nel periodo<br />
della fioritura, a giugno, con le chiome dorate degli<br />
amenti. Il Castagno è una Cupolifera, «l’arbul» quando<br />
è da frutto, «ul salvag» quando è ceduo, per la produzione<br />
del legname, è maestoso, raggiunge anche i 30<br />
m di altezza e può vivere secoli; è moderatamente termof<strong>il</strong>o,<br />
legato ad un terreno acido. Prezioso alleato dell’uomo<br />
nella lotta per l’esistenza, produce buoni frutti,<br />
legname ottimo e robusto, foglie per lettiera nella stalla,<br />
ombra tenue e riposante che ospita un ottimo pascolo<br />
ed una buona produzione di funghi: Boletus edulis<br />
o porcino, <strong>il</strong> Cantharellus cibarius o gallinaccio, Russula<br />
Vesca che, intimamente legati agli alberi, sv<strong>il</strong>uppano<br />
<strong>il</strong> loro micelio fino a contatto delle giovani radici vivendo<br />
in simbiosi detta micorrizica; di funghi si nutrono<br />
piccoli animali micofagi, come lumache, chiocciole,<br />
insetti. Quale la funzione del fungo nel sottobosco?<br />
E nell’equ<strong>il</strong>ibrio della natura? Il suo ruolo in collaborazione<br />
con Batteri, è quello di decomporre gran parte<br />
della materia organica distruggendo residui vegetali<br />
e restituendo alla terra cellulosa, lignina, cheratina per<br />
trasformarla in Humus ed elementi e minerali semplici<br />
che saranno riut<strong>il</strong>izzati dai vegetali superiori.<br />
Il Fungo che vediamo spuntare fuoriterra è solamente<br />
<strong>il</strong> corpo fruttifero che ha funzione di diffondere le spore<br />
per la riproduzione, <strong>il</strong> corpo vegetativo vive nel terreno<br />
o nel legno sotto forma di f<strong>il</strong>amenti sott<strong>il</strong>i, le Ife<br />
che con <strong>il</strong> loro intreccio costituiscono <strong>il</strong> Micelio. Il Fungo<br />
è un vegetale eterotrofo che mancando di clorof<strong>il</strong>la<br />
è incapace di fare la fotosintesi ed è destinato a procurarsi<br />
<strong>il</strong> nutrimento sotto forma di composti organici<br />
già sintetizzati da piante superiori, se le sostanze sono
assunte direttamente da altri organismi viventi, siamo<br />
in presenza di Funghi parassiti, che forniti di ramificazioni<br />
dette “ austori “ penetrano nelle cellule dell’ospite<br />
per sottrarne le sostanze, causando alterazioni, malattie<br />
ed anche morte. Se <strong>il</strong> nutrimento è fornito da substrati<br />
morti, i Funghi si dicono saprofiti, sono invece<br />
simbionti quelli in rapporti mutualistici con gli esseri<br />
da cui ricavano <strong>il</strong> nutrimento. La riproduzione può<br />
avvenire per frammentazione del Micelio, e viene detta<br />
vegetativa; la riproduzione sessuata avviene per mezzo<br />
delle spore, formazioni leggerissime della misura di m<strong>il</strong>lesimi<br />
di m<strong>il</strong>limetro, che portate dal vento, una di sesso<br />
masch<strong>il</strong>e e una femmin<strong>il</strong>e e germinando accanto, troveranno<br />
le condizioni necessarie per lo sv<strong>il</strong>uppo di un micelio.<br />
Le spore sono situate sotto <strong>il</strong> cappello del Fungo<br />
o fra le lamelle,o in piccolissimi tubuli.<br />
Nell’ambiente fresco e umido del castagneto <strong>il</strong> sottobosco<br />
non è tipico, ma varia a seconda della luminosità,<br />
delle caratteristiche del suolo, dell’altitudine, dell’esposizione.<br />
Si incontrano cespi di Felci, zolle di Paglietta<br />
odorosa; tappeti di Muschi, come <strong>il</strong> Politrico; graminacee<br />
come la Festuca ovina, la Betonica officinale, arbusti<br />
di Ginestra e di Brugo e nelle zone più fresche <strong>il</strong><br />
Mirt<strong>il</strong>lo nero.<br />
Non si può pensare a un bosco di montagna senza pensare<br />
alle Felci. Delle Felci, Crittogame prive di fiori, di<br />
frutti e di semi, sporgono dal suolo solamente le fronde<br />
verdi che hanno la duplice funzione, la clorof<strong>il</strong>liana<br />
e la riproduttiva; vive nel terreno un rizoma orizzontale<br />
da cui partono numerose radichette. Il segreto della riproduzione<br />
sta infatti sulla pagina inferiore delle fronde,<br />
su cui al momento opportuno, cioè verso la metà<br />
dell’ estate, compaiono piccole sfere di color ruggine,<br />
i sori nel cui interno stanno i minuscoli sporangi che<br />
a loro volta contengono le spore che verranno lanciate<br />
lontano anche portate dal vento e cadendo su un terreno<br />
sufficientemente umido produrranno una piccolissima<br />
lamina di colore verde detta protallo su cui si sv<strong>il</strong>upperanno<br />
gli organi sessuali, gli anteridi e gli archegoni:<br />
quando saranno maturi sarà indispensab<strong>il</strong>e una goccia<br />
d’acqua perché elementi masch<strong>il</strong>i e femmin<strong>il</strong>i si uniscano<br />
per dare origine a una nuova pianta.<br />
Della famiglia delle Leguminose è la Ginestra, Spartium<br />
Junceum, la pianta pioniera per la grande capacità<br />
di colonizzazione su substrati poveri e aridi, sulle scarpate<br />
degradate dove cresce come arbusto dai grandi fiori<br />
gialli, alti sui rami, da cui prendono origine i frutti,<br />
legumi di colore nero che contengono 12- 18 semi lucidi,<br />
marroni, velenosi, ma tutta la pianta , anche corteccia<br />
e radice è velenosa, per la presenza di un alcaloide<br />
tossico, la citisina. Sim<strong>il</strong>e è la Ginestra detta dei carbonai,<br />
Citisus Scoparium dalla cui sommità fiorita si ricava<br />
la sparteina alcaloide ad azione cardioattiva.<br />
Si nutrono dei suoi nettari farfalle come la Callistege<br />
mi, la Callophryis rubi.<br />
Il Brugo è <strong>il</strong> nome celtico dell’Erica, Calluna Vulgaris,<br />
che dà <strong>il</strong> nome alla sua famiglia: Ericacee. Tipica<br />
dei terreni acidi, piccola pianta molto ramificata, dalle<br />
foglioline persistenti, spesso sim<strong>il</strong>i a scaglie e fiorellini<br />
bianchi o rosei molto ricercati dalle api e dalla farfalla<br />
Argo, Plebeius argo. Nelle Brughiere, su terreno s<strong>il</strong>iceo<br />
crescono funghi come <strong>il</strong> Cortinarius arm<strong>il</strong>lato e la<br />
Calvatia Utriformis o Vescia di lupo, saprofita che vive<br />
a spese di resti organici.<br />
Sempre nel sottobosco del Castagneto <strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo Nero,<br />
Vaccinium Myrt<strong>il</strong>lus, piccolo arbusto che copre intere<br />
aree fresche dei boschi anche di Conifere e Faggi, fiorisce<br />
a maggio giugno con piccoli fiori penduli rosa verdastri<br />
che forniscono un ottimo banchetto di nettare<br />
per insetti dalla lunga proboscide, come le api, men-<br />
125
tre larve di svariate farfalle si nutrono delle foglie. In<br />
autunno le dolci bacche nere dalle delicate pruine blu-<br />
grigie, ricche di vitamine e zuccheri offrono un ricco<br />
raccolto all’uomo e agli uccelli. Nel passato dal suo succo<br />
si ricavava <strong>il</strong> colore viola da usare per tingere carta<br />
e tessuti. Cresce sotto gli arbusti di Mirt<strong>il</strong>li un Fungo,<br />
l’Amanita Virosa che ama terreni s<strong>il</strong>icei.<br />
Invece su terreno di preferenza calcareo cresce <strong>il</strong> Sorbo<br />
Selvatico o Sorbus Aucuparia, famiglia delle Rosacee,<br />
alberello dai fiori bianchi, riuniti in corimbi e da frutti<br />
vistosi di colore rosso scarlatto appetiti dagli uccelli che<br />
diffondono poi i semi nelle località più impensate a volte<br />
anche inaccessib<strong>il</strong>i.<br />
Superata la zona delle Querce e del Castagno, nella fascia<br />
detta montana, dove l’ambiente acquista carattere<br />
un po’ più alpino e si incontrano i primi boschi di Faggio,<br />
Fagus S<strong>il</strong>vatica, famiglia delle Cupolifere.<br />
La Faggeta esposta solitamente sul versante nord è la vegetazione<br />
caratteristica di un ambiente ben definito tra<br />
i 900 e 1500 m con condizioni climatiche equ<strong>il</strong>ibrate;<br />
con osc<strong>il</strong>lazioni di temperatura poco accentuate, elevata<br />
umidità, poco vent<strong>il</strong>ato, suolo a carattere sciolto permeab<strong>il</strong>e<br />
e fresco, quando la Faggeta cresce indisturbata<br />
per lungo tempo, diventa per la sua maestosità una<br />
tra le più belle foreste del mondo, anche ultrasecolari;<br />
può essere pura, cioè costituita esclusivamente da alberi<br />
di Faggio, o mista, per la presenza di Abete Bianco<br />
e Rosso.<br />
Il Faggio è un albero imponente che raggiunge anche<br />
30 – 40 m di altezza, <strong>il</strong> fusto è diritto, la corteccia è<br />
grigia, spesso con macchie scure dovute a fitte colonie<br />
di Licheni o di Muschi lungo <strong>il</strong> lato più umido, le foglie<br />
ovali, ondulate, rossastre. In primavera compaiono<br />
i fiori masch<strong>il</strong>i, amenti biancastri e quelli femmin<strong>il</strong>i<br />
eretti protetti da un involucro; <strong>il</strong> frutto sarà la faggiola,<br />
racchiusa in una cupola coriacea spinosa. Molto ut<strong>il</strong>e<br />
all’uomo per <strong>il</strong> legname usato come combustib<strong>il</strong>e ed<br />
anche in falegnameria, per le foglie che servono per <strong>il</strong><br />
bestiame come lettiera, per <strong>il</strong> frutto, prezioso alimento<br />
di animali selvatici, per <strong>il</strong> seme da cui si estrae un olio<br />
ut<strong>il</strong>e per la fabbricazione dei saponi.<br />
Il sottobosco non è molto ricco perché dove la faggeta<br />
è rigogliosa e fitta, l’ombra impedisce l’insediamen-<br />
126<br />
to di molte specie vegetali, è migliore invece dove <strong>il</strong> bosco<br />
è misto.<br />
Fra gli arbusti si trovano <strong>il</strong> Maggiociondolo; i cespugli<br />
di Brugo, di Mirt<strong>il</strong>lo, l’Erba Ginestrina. Fra le piante<br />
erbacee l’Acetosella dai fiori bianco rosati, l’Asperula<br />
dorata o Stellina odorosa, la Viola s<strong>il</strong>vestre non profumata<br />
e pallida, l’Anemone epatica. Soffici tappeti di<br />
Muschi tappezzano le radici che affiorano ed emergono<br />
dallo strame di foglie morte, ed in autunno, al limitare<br />
del bosco di Faggio, abbondano i Funghi come <strong>il</strong> gustoso<br />
Boleto, l’Agarico saponaceo e quello viscoso, <strong>il</strong> Pluteo<br />
Cervino in gruppi numerosi sulle ceppaie, <strong>il</strong> Cantharellus<br />
cinereus che vive in gruppi più o meno fitti<br />
esclusivamente sotto i Faggi, le Colombine, le Rossole,<br />
le velenose Amanite, l’Hygrophorus marzuolus, la tossica<br />
Inocybe.<br />
Nel verde del bosco, da apr<strong>il</strong>e a giugno spiccano i grappoli<br />
dorati dei fiori del Maggiociondolo, o Cjtisus Laburnum<br />
famiglia delle Leguminose che cresce fino ad<br />
un’altitudine di 2000 m. meglio su terreno calcareo. E’<br />
un arbusto alto da 5 a 7 m., la sua chioma consta solamente<br />
di pochi rami eretti e di numerosi getti laterali<br />
molto corti che terminano con un ciuffo di foglie da<br />
cui fra apr<strong>il</strong>e e giugno partirà l’infiorescenza spiovente,<br />
a forma di grappolo, composto da 10 a 30 fiori dalla<br />
corolla pap<strong>il</strong>ionacea, nettariferi, visitati da insetti pronubi.<br />
Dai fiori prenderanno origine i frutti, maturi in<br />
ottobre, legumi di colore bruno, lunghi 5-6 cm. contenenti<br />
7 semi scuri, duri e molto tossici, che se ingeriti<br />
causano vomito violento con presenza di sangue. Mentre<br />
conigli, pecore e capre si cibano impunemente delle<br />
foglie, tutta la pianta è pericolosa per l’uomo per la presenza<br />
di citisina, alcaloide fortemente neurotossico che<br />
dà effetti sim<strong>il</strong>i a quelli della stricnina, prima eccitanti,<br />
poi paralizzanti.<br />
Salendo fino al limite di 2000 m. ci si trova nelle Pinete,<br />
boschi ora bui, ora luminosi, sempre profumati di resina:<br />
qui l’essenza principale è <strong>il</strong> Pino S<strong>il</strong>vestre, uno degli<br />
alberi più comuni e fam<strong>il</strong>iari presente in tutta l’Ossola,<br />
dove crescono le più belle fustaie del Piemonte. Mentre<br />
<strong>il</strong> Faggio cresce sul versante nord, alla stessa altitudine,<br />
sul versante sud, cresce <strong>il</strong> Pino, anche su terreni de-
nudati e rupestri, resistente ai venti dissecanti e ai geli<br />
tardivi. La Conifera dalla caratteristica chioma conica,<br />
dal tronco diritto, dalla corteccia squamosa bruno rossastra<br />
da giovane, poi color cenere, ha una poderosa radice<br />
a fittone e le laterali molto allungate, apparato radicale<br />
così espanso che lo rende resistente all’impeto dei<br />
venti. Diventa alto fino a 40 m., e tanto longevo che<br />
può superare 5 secoli di età. Le foglie aghiformi brevi,<br />
persistenti per 2- 3 anni sono appaiate a due a due, le<br />
infiorescenze masch<strong>il</strong>i assomigliano a piccole pannocchie<br />
di stami gialli che per mezzo del vento diffondono<br />
abbondante polline, che si poserà sui fiori femmin<strong>il</strong>i.<br />
Nella primavera successiva <strong>il</strong> piccolo cono femmin<strong>il</strong>e<br />
fecondato crescerà assumendo la forma di pigna, dapprima<br />
verde, poi dopo <strong>il</strong> secondo inverno le squame diventeranno<br />
scure e infine legnose; quando la pigna sarà<br />
matura le squame si apriranno per liberare i semi che <strong>il</strong><br />
vento porterà lontano: disseminazione anemof<strong>il</strong>a.<br />
E’ <strong>il</strong> più prezioso dei Pini, ricco di olii essenziali, dalle<br />
screpolature della corteccia o da incisioni, cola una<br />
oleo-resina da cui si ricava la trementina poi per dist<strong>il</strong>lazione<br />
si ottiene l’acquaragia. Nelle Pinete <strong>il</strong> sottobosco<br />
può assumere aspetto quasi di steppa con piante frugalissime<br />
adatte all’aridità dell’ambiente, come Graminacee<br />
Cespitose: tappeti di Festuca ovina, buona foraggiera<br />
da pascolo, l’Erica carnea, cespugli di Ononide,<br />
una leguminosa infestante dai fiori rosati e fusti spinosi,<br />
Muschi, e tra i Funghi <strong>il</strong> Boletus luteus, l’Agarico detto<br />
color di terra, <strong>il</strong> Cantharellus cibarius o Gallinaccio<br />
dal dolce profumo e dalla polpa soda e saporita, l’Hygrophorus<br />
pustulatus, Russole e Amanite, l ’Agarico rut<strong>il</strong>ante<br />
esclusivo sui vecchi ceppi di Conifere che colonizza<br />
contribuendo alla loro decomposizione.<br />
Il micelio di tutti i Boleti vive in simbiosi con le radici<br />
degli alberi, ragione per cui essi spuntano solamente<br />
nei boschi o al loro margine. Dove è più puro e più<br />
caratteristico, questo bosco ospita la Rosa Canina con i<br />
rossi Cinnorodi; <strong>il</strong> Crespino Berberis Vulgaris, arbusto<br />
con fiori gialli a grappoli, frutti a forma di bacca bislunga,<br />
ricco di alcaloidi.<br />
Il Ginepro, Juniperus Communis, è l’arbusto pioniere<br />
proprio dei prati incolti, dei pascoli secchi, delle radure<br />
e delle brughiere fino anche al limite della vegetazio-<br />
ne arborea, resistentissimo ai climi freddi e ventosi delle<br />
località di alta quota, fino a 2500 m. di altitudine, dove<br />
in condizioni quasi estreme di vita, <strong>il</strong> cespuglio assume<br />
forma prostrata. E’ anch’esso una Conifera dalle fitte<br />
foglie aghiformi dioica con fiori su piante masch<strong>il</strong>i diverse<br />
da quelle femmin<strong>il</strong>i che impollinati assumeranno<br />
l’aspetto sferico di un pisello e matureranno dopo due<br />
anni delle pseudo-bacche dette coccole, sugose, di colore<br />
verde bluastro ghiotto cibo per gli uccelli come tordi<br />
e gallocedroni che provvederanno così alla dispersione<br />
dei semi. Uccelli, lepri, insetti, i m<strong>il</strong>le deboli del bosco<br />
trovano fra i cespugli as<strong>il</strong>o e cibo.<br />
Nell’intrigo del bosco vive anche <strong>il</strong> Juniperus Sabina:<br />
la pianta è velenosa in tutte le sue parti, è un Ginepro<br />
che differisce dagli altri per le foglie squamiformi, piccolissime,<br />
appiattite e per i frutti detti galbuli, di colore<br />
nero bluastro.<br />
Ad un’altitudine di 1400 m. ambientato fin quasi a<br />
2000. Sempre sul versante nord, cresce una Conifera<br />
maestosa, l’ Abete Bianco, Abies Alba dal tronco diritto,<br />
cupola conica con rami quasi orizzontali, aghi semplici,<br />
di colore verde scuro, persistenti da 8 a 11 anni; fiorisce<br />
in apr<strong>il</strong>e-maggio con amenti masch<strong>il</strong>i gialli e coni femmin<strong>il</strong>i<br />
verdastri, da cui origineranno pigne erette lunghe<br />
fino a 16 cm. che si distinguono per questo da quelle<br />
pendule dell’ Abete rosso. La pianta è longeva, ha le<br />
esigenze climatiche sim<strong>il</strong>i a quelle del Faggio e può vivere<br />
fino a 800 anni, raggiungendo 50 m. di altezza. Gli<br />
estesi fittissimi boschi della Valle Vigezzo sono formati<br />
da Abete Bianco; nel suo sottobosco, detto Pecceta, crescono<br />
piante ombrivaghe come <strong>il</strong> Poliporo o Spugnola,<br />
l’Amanita Phalloide , la specie più pericolosa di tutta la<br />
flora fungina, l’Amanita Panterina, <strong>il</strong> Lactarius Rufus.<br />
Una specie ancora più montana è l’Abete rosso Picea<br />
Abies, conifera propria della fascia subalpina, sul versante<br />
nord fra 1400 e 2300 m. di altitudine. Pur essendo<br />
una pianta mesof<strong>il</strong>a, resiste anche ad una siccità moderata,<br />
tollera basse temperature invernali, gelate primaver<strong>il</strong>i.<br />
Il suo nome deriva dal colore rosso bruno della<br />
corteccia; una delle sue caratteristiche è la chioma<br />
conica costituita da rami lunghi interamente coperti di<br />
piccoli aghi verde scuro e da cui pendono pigne affuso-<br />
127
late lunghe circa 10 cm. I semi alati sono affidati al vento,<br />
e per questo l’ albero si diffonde con fac<strong>il</strong>ità. Il tronco<br />
è diritto e solido come una colonna; i rami spesso ricadenti<br />
si caricano di Licheni dalle lunghe barbe, grigi,<br />
neri, e gialli: barbe di Usnea o barba di bosco, ciocche<br />
di Alectoria jubata, sui tronchi cespuglietti di Evernia<br />
grigia e gialla, e di Pseudoevernia furfuracea.<br />
L’Abete rosso è l’albero più longevo nell’altitudine compresa<br />
fra 800 e 1800 m ed anche <strong>il</strong> più produttivo per<br />
<strong>il</strong> suo pregevole legname. Riunito in boschi, le Peccete,<br />
forma uno degli ambienti più caratteristici e suggestivi<br />
del paesaggio vegetale alpino.<br />
I Licheni, famiglia delle Parmeliacee, Crittogame striscianti,<br />
senza rami, né fusto, né foglie, né fiori, con <strong>il</strong><br />
corpo vegetativo formato da un’Alga e da un Fungo in<br />
perfetta simbiosi, cioè in una convivenza stretta di organismi<br />
diversi che traggono entrambi un vantaggio. In<br />
questo caso le ife del Fungo si localizzano fra le cellule<br />
dell’Alga, all’Alga verde <strong>il</strong> compito della fotosintesi clorof<strong>il</strong>liana<br />
e la formazione di carboidrati, al Fungo quello<br />
di fornire all’Alga l’ambiente umido e l’assunzione di<br />
acqua e di sali minerali disciolti: è così che <strong>il</strong> Lichene<br />
vive dove Alga e Fungo isolati non vivrebbero.<br />
Diversi nell’aspetto per colore e per forma e per habitat,<br />
pionieri per eccellenza, si insediano anche sulle rocce<br />
più impervie e con la presenza di enzimi provocano<br />
<strong>il</strong> disfacimento superficiale delle rocce iniziando così la<br />
formazione dell’humus che permetterà in seguito l’insediamento<br />
di piante più esigenti. La riproduzione può<br />
avvenire in tre modi: o per via vegetativa per distacco<br />
di parti del tallo, o conidiale, per la presenza sul tallo di<br />
picnidi nel cui interno si formano microconidi.<br />
Importanti nell’economia del bosco perché rappresentano<br />
<strong>il</strong> cibo per molti animali, dai piccolissimi invertebrati,<br />
fino alle renne, caribù, alci nei paesaggi artici.<br />
A causa della longevità e crescita assai lenta alcuni Licheni<br />
possono servire a datare i substrati su cui crescono,<br />
<strong>il</strong> più indicato a questa indagine è un Lichene rupicolo<br />
che cresce cioè su un substrato roccioso <strong>il</strong> Lichene<br />
detto Geografico, <strong>il</strong> Rhizocarpum Geographicum, caratteristico<br />
per <strong>il</strong> colore giallo, con <strong>il</strong> tallo che cresce di<br />
mezzo m<strong>il</strong>limetro all’anno in forma circolare: misurando<br />
<strong>il</strong> diametro dei talli si può risalire alla loro età e al<br />
128<br />
momento del loro insediamento sul substrato roccioso.<br />
Il sottobosco è talora quasi desertico solo ricoperto da uno<br />
strato di aghi secchi, oppure dallo spesso e soffice tappeto<br />
di aghi spuntano, dove penetra <strong>il</strong> sole, <strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo nero,<br />
<strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo rosso, <strong>il</strong> Rododendro, <strong>il</strong> Lampone, <strong>il</strong> Rovo.<br />
Il Mirt<strong>il</strong>lo rosso, Vaccinium Vitis Idaea, famiglia delle<br />
Ericacee è un piccolo arbusto alto da 10 a 20 cm. che<br />
vive su terreni poveri, meglio se acidi, nel sottobosco<br />
delle conifere fino a 3000 di altitudine formando tappeti<br />
anche molto estesi di colore verde cupo. Dai fiori<br />
bianchi e rosei riuniti in piccoli mazzi all’apice del<br />
ramo, prenderanno origine i frutti, bacche rosse dal sapore<br />
acidulo. Volano sulle piantine di Mirt<strong>il</strong>lo due specie<br />
di farfalle, la Lasiocampa Quercus e la Zigaena Exulanas<br />
che hanno effetto pronubo.<br />
Il Rododendro, Rhododendron ferrugineum, famiglia<br />
delle Ericacee, è molto frequente su terreni acidi, nei<br />
pascoli ricchi di humus e anche su rocce, su burroni<br />
sassosi, purchè ben soleggiati, sono gli arbusti contorti<br />
tipici del piano subalpino e della fascia alpina in versanti<br />
con nevi abbastanza persistenti, che invadono velocemente<br />
anche i pascoli abbandonati. La pianta è legnosa<br />
a forma di cespuglio, con pochi rami e robuste<br />
radici, piccole foglie coriacee resistenti, di colore verde<br />
cupo nella pagina superiore, e color ruggine sotto. In<br />
estate compaiono i fiori di colore roseo tendente al rosso,<br />
riuniti in un corimbo alla sommità dei rami; dai fiori<br />
prenderà origine <strong>il</strong> frutto, una capsula allungata contenente<br />
numerosi piccoli semi. La pianta è velenosa in<br />
tutte le sue parti e in modo particolare lo sono le foglie,<br />
con azione narcotica. Gli acidi speciali che produce<br />
rendono impossib<strong>il</strong>e lo sv<strong>il</strong>uppo alle erbacee circostanti,<br />
è invece chiamata “balsamo alpino” per la ricchezza<br />
delle sostanze volat<strong>il</strong>i contenute nelle sue foglie,<br />
e anche “rosa delle Alpi” per la bellezza della sua fioritura.<br />
Sulle foglie possono essere presenti le Galle, secrezioni<br />
rotondeggianti che si formano in seguito ad una<br />
azione irritante provocata da un fungo, l’Exobasibium<br />
Rhododendri, o da parassiti; sono formazioni dannose<br />
per la pianta.<br />
Chiamati dagli Ossolani “ratagin” i Rododendri sono<br />
molto comuni fino a coprire vaste zone di praterie alpi-
Una varietà di sassifraga.<br />
ne come al Passo del Sempione, sulle sponde del lago di<br />
Codelago in Alpe Devero, o su quelle del lago formato<br />
dalla diga di Cheggio in Valle Antrona, rodoreti in Val<br />
Vigezzo all’alpe Campra, in Valle Anzasca all’Alpe Rausa,<br />
in Valle Antigorio i “Rater” della Colmine , in Val<br />
Bognanco i “Ratagin” dell’Alpe San Bernardo. Il prof.<br />
Rossi nel suo studio sulla Flora ossolana cita la presenza<br />
di due specie: <strong>il</strong> R: Hirsutum presente i Val Divedro e<br />
qualche esemplare alla Cascata del Toce e <strong>il</strong> R. Ferrugineum<br />
<strong>il</strong> più frequente, legato al substrato s<strong>il</strong>iceo. Molto<br />
più rara è la varietà Albiflora presente sul Sempione<br />
e in Devero. Si nutre sul Rododendro una farfalla diurna,<br />
la Zigaena Exulans che può vivere fino a 3000 m.<br />
di altitudine.<br />
Abbastanza comune sono <strong>il</strong> Rovo, Rubus Fruticosus,<br />
e <strong>il</strong> Lampone, Rubus Idaeus, famiglia delle Rosacee.<br />
Sono arbusti con stoloni serpeggianti e rami flessuosi e<br />
ricadenti, spinosi, che formano dei grovigli: dopo la fioritura<br />
estiva compaiono abbondanti i frutti: rosso vivo,<br />
un po’ pelose le drupeole del Lampone, dal delizioso<br />
profumo e dal dolce sapore; rosso-brunastre e acidule le<br />
more del Rovo pronte da cogliere da luglio a settembre.<br />
Fra le scarse piante erbacee è ospite una graziosa frag<strong>il</strong>e<br />
pianticella fiorita di campanelline rosate che per la sua<br />
diffusione assai notevole nelle selve della Svezia, fu dedicata<br />
al botanico Linneo: la Linnea Borealis. (Linneo<br />
naturalista svedese 1707-1778).<br />
La Pecceta con <strong>il</strong> terreno ombreggiato e ricco di humus<br />
è <strong>il</strong> paradiso delle Crittogame: assumono grande importanza<br />
la copertura di Muschi e la presenza di numerose<br />
specie di Funghi a terra o sulla corteccia, che vivono<br />
in simbiosi con le piante forestali: qui <strong>il</strong> Cortinarius<br />
Traganus, la Psalliota S<strong>il</strong>vatica o Agarico dei boschi, lo<br />
Strob<strong>il</strong>us esculenta sulle pigne interrate dell’ Abete rosso,<br />
l’Amanita Muscaria.<br />
I Muschi sono tallofite che per la presenza di piccole foglie<br />
verdi sono autotrofe, e compiendo la funzione clorof<strong>il</strong>liana,<br />
non sono mai dei parassiti, ma quando ricoprono<br />
<strong>il</strong> suolo con fitto intreccio diventano dannosi<br />
alle piante erbacee e quando vivono sui tronchi degli<br />
alberi, recano danno perché ricoprono le lenticelle della<br />
corteccia ostacolando <strong>il</strong> ricambio di aria e di umidità.<br />
Il loro ambiente è <strong>il</strong> sottobosco, dove hanno la loro<br />
129
importanza nell’economia della natura, talora piccolissimi,<br />
talora alti fino a 10 cm. più o meno muniti di rizoidi<br />
che hanno funzioni sim<strong>il</strong>i a quelli delle radici delle<br />
piante superiori, e di minuscole foglie, essi assorbono<br />
acqua in tutto corpo, trattenendone fino a 6-7 volte<br />
<strong>il</strong> loro peso secco e limitano così i d<strong>il</strong>avamenti dovuti<br />
alle impetuose piogge. Costituiscono un microcosmo<br />
cui si collegano fauna e flora microscopiche, sono diffusi<br />
con una infinità di forme, fino alle regioni glaciali,<br />
comprendono circa 12000 specie, dagli Sfagni che vivono<br />
in estesissime formazioni e costituiscono le torbe,<br />
ad altri come <strong>il</strong> Polytricum che formano nelle zone artiche<br />
le immense distese delle tundre. Ogni tipo di substrato<br />
e di roccia ha i propri Muschi che funzionano anche<br />
come indicatori dell’acidità del substrato. La riproduzione<br />
avviene o per via vegetativa per distacco di vari<br />
rametti o di frammenti di fusto su cui si formano piccole<br />
gemme che produrranno nuove piante, oppure per<br />
spore che raccolte nel sacco sporigeno vengono disseminate<br />
da movimenti igroscopici.<br />
Rara nell’Ossola è la presenza del Pino Cembro Pinus<br />
cembra sul versante sud della fascia subalpina, ma esemplari<br />
si trovano fino ai ghiacciai del Sempione, in Valle<br />
Anzasca, in Val Formazza, nei luoghi più aspri dove non<br />
crescono altre specie.<br />
Infatti questa conifera non teme né le altitudini, né i rigori<br />
dell’inverno, cresce lentamente con radici profonde<br />
e vigorose, tronco diritto o contorto, alto fino a 20<br />
m, porta strob<strong>il</strong>i eretti, grossi alla sommità dei rami. La<br />
gazza nocciolaia è <strong>il</strong> valido agente disseminatore: nasconde<br />
i pinoli per cibarsene ed alcuni, nel frattempo,<br />
germinano.<br />
Se la Cembreta è insediata su terreno calcareo, nel suo<br />
sottobosco prevalgono i Ginepri, i Rododendri irsuti,<br />
la Vitalba o Clematide alpina, l’Erica carnea, la Dafne<br />
Striata, <strong>il</strong> dorato Eliantemo, cespuglio delle Cistacee dai<br />
fiori gialli disposti a grappolo.<br />
Ma l’albero alpino per eccellenza è <strong>il</strong> Larice, Abies Larix,<br />
una Conifera che raggiunge le più elevate altitudini,<br />
fino a 2500 m, sopportando inverni rigidi e prolungati.<br />
Amante della grande luce e degli spazi incontrastati,<br />
cresce proteso verso <strong>il</strong> cielo e solidamente abbarbica-<br />
130<br />
to al terreno, con le radici spesso insinuate nelle fessure<br />
della roccia.<br />
È l’unica Conifera che perde le foglie in autunno, difendendosi<br />
così dalla perdita di acqua per traspirazione<br />
fogliare e resistendo ad inverni freddissimi e prolungati,<br />
ma tollerando bene anche temperature estive abbastanza<br />
elevate. Quasi fiabesco è l’aspetto autunnale dei larici,<br />
che appaiono soffusi di un tenue colore giallo e tutto<br />
<strong>il</strong> sottobosco si copre di uno strato soffice e fine di aghi<br />
dorati; forse per queste note di colore <strong>il</strong> Larice è stato<br />
chiamato <strong>il</strong> «sorriso della montagna».<br />
Caratteristico per le sue esigenze di luce, raggiunge 40<br />
m di altezza e due metri di diametro; ha chioma piramidale<br />
leggera e rada, tra <strong>il</strong> cui verde tenero spiccano in<br />
primavera i giovani coni femmin<strong>il</strong>i, rossi. A settembre<br />
sono mature piccole pigne diritte, marroni, con squame<br />
circolari che custodiscono due semi tondi alati. Cresce<br />
sulla corteccia la Letharia vulpina, un Lichene velenoso,<br />
di colore fra <strong>il</strong> giallo intenso e <strong>il</strong> verde. Essenza molto<br />
ut<strong>il</strong>e all’uomo come valido riparo per le valanghe, <strong>il</strong> suo<br />
legname viene usato anche per la travatura delle baite.<br />
La luce che penetra calda e riposante fra le chiome, permette<br />
e ravviva un ricco sottobosco erbaceo, ut<strong>il</strong>izzato<br />
per <strong>il</strong> pascolo; la Festuca, <strong>il</strong> Nardo, <strong>il</strong> Trifolium montanum<br />
con fiori bianco giallastri, <strong>il</strong> Trifolium alpinum<br />
con fiori odorosi rosso porporini, ottimo foraggio ricercato<br />
dai camosci, mentre le marmotte si nutrono volentieri<br />
delle grosse radici dal sapore dolce di liquirizia. Fra<br />
gli arbusti a cespuglio: la Rosa pendulina dalle rosse corolle<br />
prive di spine, <strong>il</strong> Lampone, la Clematide alpina dai<br />
grandi fiori cerulei, la Dafne striata con rossi mazzetti,<br />
Mirt<strong>il</strong>li, Rododendri, Erica carnea, molti Muschi e Licheni<br />
o corticicoli o pendenti dai rami.<br />
Numerose le piante erbacee fiorite: risaltano con particolare<br />
evidenza le Genziane, gialle, punteggiate, rosse,<br />
porporine, azzurre, <strong>il</strong> Giglio martagone, con l’eleganza<br />
dei suoi fiori, l’Arnica dorata, che pur se velenosa trova<br />
molte applicazioni nella medicina popolare.<br />
Il suolo ricco di humus ospita funghi: varie specie di<br />
Boleti, Lattari, l’Hygrophorus lucorum, sulle cortecce<br />
l’Agarico bianco.<br />
Con un graduale diradarsi di alberi, i boschi lasciano <strong>il</strong><br />
posto alla fascia alpina, tipica di vegetazione detta delle
piante legnose contorte, in cui la boscaglia si riduce ad<br />
arbusti, ad una vegetazione ipsof<strong>il</strong>a, amante cioè dell’altitudine,<br />
che può giungere fino a 3000 m.<br />
E’ questa la zona del Pino montano di cui si trovano<br />
esemplari al Sempione. È la conifera più differenziata<br />
nel comportamento, infatti dalle forme arboree alte<br />
fino a 25 m si passa alla forma cespugliosa ed alla forma<br />
strisciante e tortuosa, a significare la lotta incessante<br />
contro le impetuose avversità del clima. Nel sottobosco<br />
dense compagini di Erica carnea, di Juniperus sabina<br />
e Juniperus nana con foglie rigide e pungenti e bacche<br />
aromatiche, crescono nelle zone più soleggiate, dove le<br />
nevi sono meno persistenti appiattendosi al suolo per<br />
raccogliere <strong>il</strong> calore irradiato dalla roccia del substrato.<br />
Altro tipico bosco in miniatura è quello dovuto all’Ontano,<br />
Alnus Glutinosa, una Betulacee.<br />
Alto circa 150 cm con folti rami e foglie che spuntano<br />
presto, al primo sciogliersi delle nevi, ama molto l’umidità<br />
e si insidia preferib<strong>il</strong>mente sulle ripide pendici s<strong>il</strong>icee,<br />
soprattutto sui versanti a nord, dove scendono le<br />
acque dei ghiacciai e nevai disciolti.<br />
Cresce lungo canaloni, su detriti scoperti, su greti di<br />
torrenti, con funzione pioniera, proteggendo ed arrestando<br />
i detriti, non teme infatti la caduta di slavine,<br />
perché i suoi rami elastici si piegano, poi risorgono indenni.<br />
E’ una essenza monoica con amenti masch<strong>il</strong>i e<br />
femmin<strong>il</strong>i sulla medesima pianta; le sue radici presentano<br />
delle nodosità prodotte da uno schizomicete, l’Actinomyces<br />
alni batterio che permette all’albero di fissare<br />
direttamente l’azoto atmosferico. Il tronco è diritto con<br />
corteccia grigiastra, screpolata, grande espansione della<br />
chioma verde fino all’autunno. Dopo l’impollinazione<br />
le infiorescenze femmin<strong>il</strong>i si ingrossano rapidamente<br />
originando coni tozzi, verdi, di 6 mm. di diametro,<br />
che in autunno diverranno scuri e duri, con rigide scaglie<br />
che si apriranno per disperdere i semi. Il sottobosco<br />
ha caratteri di provvisorietà con alte erbe: Lattuga alpina<br />
ispida fiorita intensamente di azzurro, Aconito Napello<br />
dal decorativo elevato racemo fiorifero color indaco<br />
cupo, e dalla sua pericolosa velenosità, la rara Aqu<strong>il</strong>egia<br />
Alpina.<br />
Una vegetazione frugale, altamente specializzata, incapace<br />
di vivere fuori di questo ambiente di isolamento,<br />
esiste sulle rupi e sui detriti e sulle più aspre pietraie, e ai<br />
margini dei nevai perenni come le Stelle Alpine e le Artemisie<br />
del Ginepì, Artemisia Spicata e Artemisia Laxa,<br />
Semprevivi e Sassifraghe, Papaveri Alpini, Primule Alpine<br />
come la Hirsuta, Miosotide nana, e <strong>il</strong> Ranunculus<br />
Glacialis detto Erba dei Camosci, che può giungere alla<br />
massima altitudine di m. 4272 (per curiosità: nelle Alpi<br />
Bernesi). Sulle rocce nude si trovano le Crittogame, microscopiche<br />
Alghe azzurre, Licheni crostosi, tappeti di<br />
piccolissimi Muschi.<br />
Sono vegetali che hanno trovato sistemi di difesa ab<strong>il</strong>issimi:<br />
gli arbusti si fanno striscianti, con rami contorti<br />
seguono le asperità del suolo, con robuste radici si salvano<br />
dalla furia del vento, si ricoprono frettolosamente<br />
di neve per proteggersi dai geli invernali, protezione che<br />
ottengono anche aumentando la quantità di zuccheri<br />
presenti nelle cellule in modo che, con la densità, subiscano<br />
più diffic<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> congelamento: così ad esempio<br />
la S<strong>il</strong>ene Acaule che vive anche a 15° sotto zero, la<br />
Genziana Brachyph<strong>il</strong>la e alcune Androsacee che tollerano<br />
anche i meno 30°.<br />
Un’altra difficoltà è rappresentata dalla scarsità di acqua<br />
che d’inverno è solidificata sotto forma di ghiaccio, e in<br />
estate evapora rapidamente sulle rocce roventi o si disseca<br />
per <strong>il</strong> vento, in questo caso la difesa consiste nel ridurre<br />
la traspirazione rimpicciolendo le foglie, rendendole<br />
impermeab<strong>il</strong>i con cuticole o con lanuggini, immagazzinando<br />
liquidi in speciali organi di riserva.<br />
Sotto la neve vengono preparate le gemme fiorali, perché<br />
l’estate sarà breve, e i fiori avranno colori molto vistosi<br />
per richiamare i pochi insetti pronubi presenti, saranno<br />
i colori azzurri a difendere dalla intensità dei raggi<br />
ultravioletti, e le superfici lucide a riflettere i raggi del<br />
sole. Durerà poco un fiore, sarà sufficiente un acquazzone<br />
o una gelida pioggia a distruggerlo per cui non sempre<br />
<strong>il</strong> ciclo riproduttivo si compirà, anche perché i semi<br />
potranno venire dispersi dal vento o dalle tempeste.<br />
E più in alto nulla?<br />
Finisce qui la vita vegetale appariscente, ma vivono sulle<br />
nevi numerose Alghe microscopiche come Diatomee<br />
e Cloroficee che costituiscono <strong>il</strong> “Crioplancton” o Plancton<br />
dei ghiacciai.<br />
131
Per la vegetazione così impoverita, la quota massima<br />
raggiungib<strong>il</strong>e dipende dalla resistenza propria della singola<br />
specie e dalla possib<strong>il</strong>ità e fortuna di trovare una<br />
nicchia accogliente, dalla capacità di sopravvivere e riprodursi<br />
al di sopra del limite delle nevi perenni, che <strong>il</strong><br />
sole estivo non riesce a disciogliere. Trovano la più eccelsa<br />
e gelida dimora a queste altitudini specie sim<strong>il</strong>i o<br />
addirittura le stesse delle terre polari artiche: delle 47<br />
Fanerogame segnalate alla Capanna Vincent sul Monte<br />
Rosa (m. 3158), 10 sono comuni allo Spitzberg, arcipelago<br />
del Mar Glaciale Artico, 14 alla Lapponia; alla<br />
Punta Gnifetti (m.4559) persistono ancora 12 specie di<br />
Licheni, e alla Dufour (4630), ancora 6 specie, fra cui<br />
<strong>il</strong> Rhizocarpum Geograficum.<br />
(Queste ultime notizie sono tratte dal volume: Conosci<br />
l’<strong>It</strong>alia : La Flora. T.C.I.)<br />
I prati<br />
Sul fondo delle vallate, seguendo <strong>il</strong> corso dei fiumi e dei<br />
torrenti si estendono paesaggi aperti e luminosi, gioiosamente<br />
ricchi di fiori: le praterie che, a seconda dell’altitudine,<br />
dell’umidità, della natura e della coerenza del<br />
substrato, presentano profonde differenze, di aspetto,<br />
di composizione, di valore economico. Infatti servono<br />
all’uomo essenzialmente per la nutrizione del bestiame,<br />
secondo le esigenze, le stagioni, le consuetudini locali,<br />
le specie di animali presenti.<br />
Si può quindi considerare <strong>il</strong> prato come una particolare<br />
associazione condizionata dall’intervento periodico o<br />
costante dell’uomo che nel corso dei secoli ha sottratto<br />
ampie superfici alla vegetazione naturale, eliminando<br />
piante infestanti e favorendo la crescita di foraggiere<br />
in una grande varietà di specie: prato che vai, erbe e<br />
fiori che trovi…<br />
La composizione di un prato è quanto mai eterogenea.<br />
Piante diverse si associano: alle Graminacee, si accompagnano<br />
Leguminose, Ranuncolacee, Composite:<br />
Avena elatior, Erba mazzolina, Paleino odoroso, Coda<br />
di topo con lunghe spighe c<strong>il</strong>indriche, Coda di volpe,<br />
Piantaggine, Gramigna dei prati, Loglierello, Erba del<br />
cucco o S<strong>il</strong>ene inflata dai fiori bianchi e foglie eduli, Trifoglio<br />
pratense che si espande arrossando tutto <strong>il</strong> prato,<br />
Ranuncolacee tutte velenose od irritanti, che danno<br />
una gialla nota festosa. Sono presenti la Vulneraria,<br />
132<br />
<strong>il</strong> Mjosotis di cui si trovano fiorite varie specie, a seconda<br />
delle altitudini, nei campi incolti e nei pascoli o sulle<br />
rive dei ruscelli, nei prati più freschi la Viola tricolore,<br />
Carota selvatica, Cerfoglio, Tarassaco dalla bella fioritura<br />
gialla di cui si raccolgono le giovani foglie e le tenere<br />
radici e con i semi sono dispersi dal vento, Campanule<br />
dalle corolle violette od azzurrine, Pratoline, Margherite<br />
maggiori.<br />
Nei prati e pascoli dove, dopo la fienagione, <strong>il</strong> bestiame<br />
pascola dopo <strong>il</strong> secondo taglio del fieno, tra i corti<br />
monconi e la più modesta vegetazione autunnale, compare<br />
la malinconica fioritura rossoviolacea dei velenosi<br />
Colchici.<br />
Dove <strong>il</strong> prato è più prossimo al bosco fresco ed ombroso,<br />
si vedono varietà più montane: ecco <strong>il</strong> Ranuncolo<br />
di montagna con fiori gialli dorati, la Potent<strong>il</strong>la grandiflora,<br />
la Campanula barbata, la Centaurea montana<br />
con capolini azzurri sim<strong>il</strong>i al Fiordaliso, i Gerani violacei,<br />
i Carici sim<strong>il</strong>i alle Graminacee perchè i riuniti in<br />
spighette.<br />
Nei luoghi più soleggiati, con suolo meno ricco di humus,<br />
cresce l’Erba viperina con foglie e fusti ispidi e fiori<br />
rossastro azzurrini, l’Assenzio profumatissimo ed aromatico,<br />
che cresce fino a 3500 m, la pungente Carlina,<br />
i cuscinetti profumati di Timo, la Camom<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> Mentastro.<br />
Nei prati più umidi ed acquitrinosi: l’Arnica gialla con<br />
le sue proprietà medicinali, la Coda cavallina, l’Agrostide,<br />
gli Eriofori dai fiocchetti serico argentei; cominciano<br />
ad abbondare i muschi.<br />
A queste altitudini, fino ai 1200 m esistono ancora insediamenti<br />
umani con giardini, campi di segale, di patate.<br />
Sui muretti delle mulattiere si arrampicano <strong>il</strong> Caprifoglio,<br />
la Clematide, l’Edera con le sue radici avventizie,<br />
la Pervinca e nei luoghi più umidi cresce la Ruta<br />
dei muri, <strong>il</strong> falso Capelvenere, la Felce dolce o liquirizia<br />
montana, la Veronica persica o scarpetta della Madonna,<br />
la Linarja alpina.<br />
L’arrivo della primavera è annunciato da fugaci fioriture:<br />
ai margini delle nevi fondenti sbuca impaziente la<br />
Soldanella Alpina per affermare la ripresa della vita vegetale,<br />
le fa seguito <strong>il</strong> Croco, fiorito da febbraio a maggio<br />
dai 500 ai 2700 m. Nella fioritura estiva innume-
Cuscini floreali fra le rocce.<br />
revoli specie dai colori più vivi fanno dei prati veri e<br />
propri giardini dagli aspetti molto diversi a seconda del<br />
predominare di una specie o di un’altra che si impone<br />
con i suoi colori: ora è <strong>il</strong> profumato Narciso che salendo<br />
dal basso trova <strong>il</strong> suo luogo ottimale fra 600 e 2000<br />
m per allietare con le sue corolle stellate i prati montani<br />
e freschi; ora è <strong>il</strong> Botton d’oro o Trollius europeus, di<br />
notevole bellezza per i suoi grossi fiori gialli lievemente<br />
odorosi, fioriti da maggio ad agosto, velenosi per <strong>il</strong> bestiame,<br />
ma più raramente, <strong>il</strong> Tulipa australis nei prati<br />
umidi, in val Divedro ed Antigorio.<br />
I fiori propri di questi prati sono le varie specie di Anemoni<br />
(1000-2700 m), decorativi annunciatori della<br />
bella stagione con le delicate corolle, anche l’Aqu<strong>il</strong>egia<br />
dalla collina fino a 2000 m, i Garofanini, la Nigritella<br />
nigra o vaniglia di montagna dal persistente profumo<br />
di vaniglia, i piccoli gigli di monte, Paradisea l<strong>il</strong>iastrum<br />
candidi ed eleganti.<br />
Nei prati più freschi attorno agli acquitrini si alternano<br />
i bianchi piumini dell’Erioforo, le Primule farinose, la<br />
Calta dorata; presso i ruscelli i vari tipi di Orchidee, le<br />
spighe dense e rosee della Poligonum bistorta.<br />
Intorno a quota 2000, ove sui prati si posano le baite<br />
degli alpeggi, la flora alpina si fa particolarmente pregiata,<br />
ricca di fiori e di piante aromatiche e medicinali:<br />
l’Aconito, gli Anemoni, le Viole, le Campanule, l’Arnica,<br />
<strong>il</strong> Ranunculus Pjreneus, le Genziane, l’Ach<strong>il</strong>lea,<br />
la Pinguicola, la Stella alpina da sempre simbolo della<br />
montagna, l’Aster alpinus, la Viola calcarata profuma-<br />
ta di miele. Le vaste praterie naturali, che si estendono<br />
oltre <strong>il</strong> limite superiore del bosco, sono i pascoli alpini<br />
ut<strong>il</strong>izzati dal bestiame transumante: a questi alpeggi<br />
<strong>il</strong> bestiame sale dal piano e vi permane durante i mesi<br />
estivi per sfruttare <strong>il</strong> fieno selvatico. Dove gli animali<br />
sostano a lungo durante la notte, avviene che i liquidi<br />
organici si accumulino sul terreno modificandolo profondamente<br />
e determinando condizioni adatte all’insediamento<br />
di piante nitrof<strong>il</strong>e, o flora ammoniacale, che<br />
sottrae aree al pascolo, in quanto rifiutata dal bestiame;<br />
così: <strong>il</strong> Rumex alpinus, <strong>il</strong> Cardo lanoso, <strong>il</strong> Cirsio spinescente,<br />
l’Urtica dioica. Questi pascoli sono l’ambiente<br />
di Funghi saprofiti e parassiti, sparsi tra le erbe ed i fiori,<br />
o nascosti fra Rododendri e Salici nani: le Vescie, l’Igroforo,<br />
l’Agarico laccato.<br />
Nei fondovalle pianeggianti le acque glaciali rallentano<br />
<strong>il</strong> loro corso, formano laghetti o pozze che ospitano<br />
una vegetazione acquatica: Sassifraghe, Linarie, Androsacee.<br />
Se le acque ristagnano a lungo si determina la formazione<br />
di acquitrini paludosi che col tempo si trasformano<br />
in torbiere dal suolo inzuppato e traballante. Qui fra i<br />
Carici e i Giunchi, affiorano distese di leggeri piumini<br />
dell’Erioforo, cresce l’Utricularia, singolare erba f<strong>il</strong>iforme<br />
con foglie adatte a catturare e digerire piccoli insetti,<br />
e la Drosera con le sue minute pap<strong>il</strong>le protese ad attendere<br />
la minuscola preda.<br />
Questa in sintesi molto succinta la descrizione della flora<br />
ossolana dalla pianura alle vette più alte. Una visio-<br />
Sottobosco.<br />
133
ne simbolica di questa ricchezza, che la natura regala<br />
all’uomo, si ha visitando l’Alpe Veglia, l’Alpe Devero,<br />
l’alta Val Formazza, <strong>il</strong> Sempione, la selvaggia Valgrande,<br />
veri giardini alpini spontanei di notevole valore scientifico,<br />
dove si concentrano le più belle essenze.<br />
E’ meraviglioso scoprire come là dove <strong>il</strong> clima rigido<br />
rende impossib<strong>il</strong>e l’esistenza dell’Uomo, la vita continui<br />
in forme splendide di una flora che, quando viene<br />
raggiunta, incanta.<br />
Secondo un censimento effettuato da ricercatori del<br />
W.W.F., in <strong>It</strong>alia circa 480 piante superiori, 276 meno<br />
evolute come i Licheni, 367 piante di Muschi, 129 specie<br />
di Epatiche, sono vicine all’estinzione.<br />
Scrive Piero Bianucci: Non si tratta di un danno semplicemente<br />
estetico o culturale. La perdita di una specie non<br />
134<br />
è un dramma esclusivo del poeta o del botanico. Ogni specie<br />
è un anello della lunghissima catena di forme viventi<br />
che nel suo insieme costituisce un ambiente. L’evoluzione<br />
ha impiegato m<strong>il</strong>ioni di anni per creare ognuna di queste<br />
specie. Ogni estinzione che non rientri nel processo evolutivo<br />
naturale è un atto di violenza.<br />
…ogni f<strong>il</strong>o d’erba ha la sua storia da raccontare.<br />
Sembra che una delle piante che non vedremo più sia la<br />
Stella Alpina, <strong>il</strong> Leontopodium Alpinum: avviciniamola<br />
in punta di piedi, con conoscenza e rispetto:<br />
Nella neve la sua vita,<br />
Nel vento la sua canzone,<br />
Nella solitudine <strong>il</strong> suo mistero,<br />
Breve desolato canto d’amore di cui solo le stelle conoscono<br />
<strong>il</strong> segreto.
La fauna<br />
Franca Paglino Sgarella<br />
Io sono molto affezionato all’Ossola. Ci torno ogni<br />
anno, a primavera inoltrata, quando laggiù, oltre <strong>il</strong><br />
mare, nel paese delle sconfinate distese di sabbia, <strong>il</strong> mio<br />
orologio interno comincia a tr<strong>il</strong>lare.<br />
Allora so che devo tornare qui. Di muta intesa con altri<br />
miei compagni, dopo esserci data una lustratina alle ali<br />
e un’aff<strong>il</strong>ata ai becchi, decolliamo. La nostra parata aerea<br />
è molto eccitante. In pochi istanti, con un’impennata<br />
a velocità folle, foriamo le nubi e dritto, senza esitazioni,<br />
puntiamo qui.<br />
Il balzo, dalle Piramidi alle Alpi, vien fatto d’un sol fiato,<br />
senza scali e con rifornimenti aerei che noi stessi ci<br />
procuriamo aprendo semplicemente <strong>il</strong> becco e ingollando<br />
un’infinità di piccoli insetti. È come dire che voltate<br />
le ali ad un accecante mare di sabbia, non planiamo se<br />
non in vista di un’altrettanto abbagliante distesa, ma di<br />
neve questa volta. Le Alpi.<br />
Perché io sono un Rondone e precisamente di quelli<br />
che un tale Linneo, fra gli uomini, ha soprannominato<br />
Apus melba. Rondone sì, ma alpino.<br />
Sento un orgoglio di razza che non posso tacere. Quelli<br />
della mia famiglia sono ritenuti all’unanimità (attenzione)<br />
gli animali più veloci del mondo. Sissignori. Nell’aria,<br />
nel mio elemento cioè, schizzo avanti di molte<br />
lunghezze al falco pellegrino e alla superba aqu<strong>il</strong>a reale;<br />
nell’acqua, <strong>il</strong> pesce vela e <strong>il</strong> tonno, che sono tra i più rapidi<br />
sottomarini, non sono in grado di intaccare <strong>il</strong> mio<br />
primato; sulla terra ferma, sorpasso, anzi sorvolo con<br />
largo distacco <strong>il</strong> veloce giaguaro e l’ag<strong>il</strong>e gazzella.<br />
Ho uno scatto di 90 metri al secondo, una velocità di<br />
crociera di 200 km all’ora, ma la prerogativa maggiore è<br />
la mia resistenza a fendere l’aria. Posso volare per ore ed<br />
ore e stando così sospeso riesco a mangiare, a bere, persino<br />
a dormire. Mi sento una creatura dell’aria e a ben<br />
guardarmi si capisce perché. Sono più grande di una co-<br />
mune rondine, ho breve collo, corte e brutte zampe ma<br />
robusti artiglietti e sono tutto ali. Nere, ricurve a falce,<br />
lunghe una volta e mezzo <strong>il</strong> mio corpo. Sono queste che<br />
mi fanno pregustare la libertà dello spazio nel senso più<br />
ampio della parola.<br />
Dall’istante in cui mi tuffo nell’aria non ho bisogno<br />
di rimbalzi per lanciarmi in una traiettoria perforante<br />
come quella di un miss<strong>il</strong>e, poi buttarmi in picchiata<br />
come se mi sfracellassi al suolo, raddrizzare all’ultimo<br />
istante la rotta e andarmene via liscio, sfiorando la cima<br />
di un campan<strong>il</strong>e, la superficie di un lago alpino, un prato<br />
in fiore corteggiato da m<strong>il</strong>le insetti.<br />
Dico tutto questo per spiegare <strong>il</strong> perché abbia deciso di<br />
redigere un giornale di bordo, un diario di questo viaggio<br />
annuale nella mia amata Ossola. Perciò questa volta<br />
non andrò direttamente a casa, in quel nido nella fessura<br />
della roccia, che ritrovo ogni anno puntualmente,<br />
lassù, in montagna.<br />
Ho fatto sapere ai miei compagni di viaggio che quando<br />
sarà <strong>il</strong> momento, mentre loro proseguiranno, io me la<br />
prenderò comoda, una volatina qua, una sosta là, occhi<br />
e orecchi pronti a registrare frammenti della mia terra.<br />
Farò l’osservatore ossolano.<br />
Il momento è giunto, <strong>il</strong> lago Maggiore è in vista, faccio<br />
segno di rallentare, mi stacco dal gruppo, mi abbasso di<br />
quota e disegno nell’aria un arrivederci.<br />
Ecco <strong>il</strong> Toce. Sono sopra alle sue acque grevi e verdastre,<br />
là dove vanno a perdersi nel lago. Per noi uccelli migratori<br />
le vie d’acqua sono un importante punto di riferimento,<br />
<strong>il</strong> più importante direi, dopo <strong>il</strong> sole e le montagne<br />
di giorno, le stelle di notte e i profumi e gli odori<br />
che ci lambiscono dal basso. Il Toce poi è proprio la<br />
grossa arteria dell’Ossola e noi non lo perdiamo mai di<br />
vista, riflettente di giorno, argenteo di notte. I suoi biz-<br />
135
zarri torrentelli che trabalzano giù dalle valli, sono la<br />
nostra indispensab<strong>il</strong>e rete segnaletica. Vado in cerca di<br />
un luogo prominente, un poco solitario e selvaggio che<br />
faccia al caso mio. Mi va bene questa torre sopra Prata,<br />
un avamposto di guardia, una delle numerose torri<br />
per segnalazioni, ora in disuso e un poco sbrecciata. Ho<br />
sentito dire che aveva una specie di garitta che serviva<br />
da piccionaia per <strong>il</strong> lancio di colombi viaggiatori.<br />
Mi guardo in giro e con la mia ottima vista posso esaminare<br />
quasi nei particolari la pianura ossolana, poi alzo<br />
lo sguardo sulla cornice dei monti e osservo l’imponenza<br />
dei primi piani e la dissolvenza degli ultimi nella lontananza.<br />
Ossola di pietra. Non soltanto. Anche verde e<br />
viva. Ho sotto gli occhi ben rappresentati tutti e tre i regni<br />
della natura: minerale, vegetale, animale. Io faccio<br />
parte di quest’ultimo che nella mia piccola mente ho<br />
diviso in tre categorie. Gli uomini propriamente detti,<br />
i loro animali domestici e noi, i selvaggi, l’eterogeneo<br />
gruppo che vive alla macchia. Ci chiamano frettolosamente<br />
«fauna». È di questi che intendo raccontare,<br />
degli individui come me, autonomi, indipendenti, che<br />
devono in ogni modo arrangiarsi da soli, finora senza<br />
protezione alcuna. Anzi. Ci chiamano anche pomposamente<br />
res nullius che in gergo umano vuoi dire «roba<br />
di nessuno», e a questo proposito loro, gli uomini, stanno<br />
ancora blaterando se siamo alla mercé del rispetto di<br />
ognuno oppure dello sfruttamento di tutti.<br />
Per fortuna ho le mie ali che valgono tant’oro quanto<br />
pesano e la statura ridotta che mi fa meno vistoso<br />
di altri volatori più famosi di me. Che fine hanno fatto<br />
quelli! Dove sono finiti l’aqu<strong>il</strong>a, la poiana, l’astore, <strong>il</strong><br />
gufo? Proprio intorno a questa torre dove sono abbarbicato<br />
adesso, tutti questi uccelli una volta vivevano qui,<br />
felici e imboscati. Avevano cibo e quiete, poi un certo<br />
malcostume li scacciò e li eliminò. Qualcuno di loro<br />
riuscì a raggiungere la montagna e faticosamente ricominciò<br />
da capo. È per questo che è solo nell’alta Ossola<br />
che trovo selvatici importanti e di grande mole.<br />
Come gli uccelli, così pure i mammiferi si sono rifugiati<br />
nel luogo che hanno ritenuto inaccessib<strong>il</strong>e al predatore,<br />
cioè lassù dove <strong>il</strong> clima è, sì, severo, le pendici magari<br />
inospitali, ma dove finalmente possono eludere la<br />
loro presenza nella solitudine di un ambiente grandioso<br />
e di diffic<strong>il</strong>e accesso.<br />
136<br />
Ragionandoci un po’ sopra trovo che molti animali che<br />
vedo in pianura sono «ubiquisti» intendendo che li osservo<br />
tanto qui che in montagna. Per esempio la volpe,<br />
<strong>il</strong> fringuello, <strong>il</strong> tasso, lo scoiattolo, <strong>il</strong> ghiro, la donnola, la<br />
faina. Di contro, altri invece hanno preferenze «montane»,<br />
anche se vivono bene alle basse e medie altitudini.<br />
Parlo della beccaccia, del ciuffolotto, delle tordele e infine<br />
di un mammifero importante, la martora. Nella maggioranza<br />
costoro sembrano di gran lunga preferire la foresta<br />
montana al bosco di pianura.<br />
Anche se <strong>il</strong> mio volo è saettante e io sono abituato agli<br />
spazi aperti per le mie acrobazie, pure mi capita, passando<br />
e ripassando sopra <strong>il</strong> medesimo punto, di sorprendere<br />
i miei compaesani nelle loro «animazioni».<br />
È primavera o no? A ben pensarci tutto comincia con <strong>il</strong><br />
profumo dei fiori e del bosco, con le uova e le crisalidi<br />
degli insetti che si schiudono, le tane che si aprono e i<br />
nidi che si riempiono. Ai profumi si abbinano i suoni e<br />
subito è sinfonia, sinfonia pastorale.<br />
In primavera nasce la maggior parte degli animali selvatici<br />
ed è fac<strong>il</strong>e capirlo. È proprio dai fiori e dalle erbe<br />
che si forma <strong>il</strong> primo anello della catena alimentare di<br />
cui è congegnata la Natura. Dapprima l’erbivoro e l’insettivoro,<br />
poi <strong>il</strong> carnivoro. Il ciclo è perfetto e non fa<br />
una grinza. Interrompo le mie argomentazioni per descrivere<br />
<strong>il</strong> primo fotogramma che ho scattato in volo.<br />
Là, ai bordi della radura, ho avuto la fortuna di sorprendere<br />
un insettivoro timido e benefico: <strong>il</strong> riccio. È intento<br />
a cercare insetti, larve, rett<strong>il</strong>i e al primo segnale di allarme<br />
a rinchiudersi nella sua corazza di spine come in<br />
una camera di sicurezza. Nella stessa posizione rimane<br />
nascosto nella tana in inverno, sprofondato in un sonno<br />
pesante fino alla primavera, quando appunto ricompaiono<br />
insetti e larve. Più in là vedo l’imboccatura di un<br />
rifugio più grande. Mi par di intravedere appena affacciati<br />
un paio di musi con teste striate in bianco e nero.<br />
Una famiglia di tassi, grandi dormiglioni anche loro,<br />
ma in modo diverso. Dormono come l’orso e lo scoiattolo,<br />
sono falsi ibernanti, ogni tanto si svegliano, escono<br />
a fare un giretto e poi si riaddormentano. Per osservarli<br />
bene dovrei appostarmi di notte, quando, caracollando<br />
sulle corte zampe, li sentirei avanzare grugnendo<br />
e frugando nel sottobosco.
La marmotta. L’aqu<strong>il</strong>a reale.<br />
Una volta mi è capitato di assistere ad una scena curiosa,<br />
in uno dei miei rapidi spostamenti avevo sconfinato<br />
in valle Vigezzo, in un’alpe ai piedi della Pioda, quando<br />
scendendo a fendente sul prato per acchiappare i miei<br />
insetti preferiti, ho visto una volpe rossa, di quelle che<br />
battono la pianura e la montagna, curiosare sulla soglia<br />
di una tana. Indi l’astuta ladrona depose tranqu<strong>il</strong>lamente<br />
i suoi escrementi proprio lì, all’entrata. Feci qualche<br />
arabesco nel ciclo, poi ritornai più volte accostando la<br />
traiettoria del mio volo al punto di osservazione. Il mio<br />
sospetto risultò fondato. La volpe se n’era andata ed era<br />
spuntato <strong>il</strong> legittimo proprietario, un tasso, <strong>il</strong> quale, da<br />
quell’animale pulito e riservato qual’è, vedendo <strong>il</strong> lordume<br />
fece dietro front e si allontanò. Ancora una volta<br />
e senza fatica alcuna, quella spregiudicata aveva ottenuto<br />
l’<strong>il</strong>legale esproprio di una tana tra le più confortevoli,<br />
costata giorni e giorni di lavoro ad unghioni altrui. Lì,<br />
lei avrebbe partorito, allevato, educato la sua irrequieta<br />
prole di tre, anche otto volpacchiotti.<br />
Udendo ad un tratto <strong>il</strong> canto del merlo, mi sovviene che<br />
non so cantare. La siringe, quell’organo che nella gola<br />
di noi uccelli produce note melodiose, a me fa uscire<br />
una specie di fischio che lacera l’aria mentre mi sposto<br />
come un fulmine. Vorrei saper cantare, non dico come<br />
l’usignolo, <strong>il</strong> fringuello, <strong>il</strong> pettirosso, la tordela, che odo<br />
gorgheggiare nei pressi di questa torre, ma anche solo<br />
come un monotono lui o un cuculo. Vorrei essere come<br />
<strong>il</strong> tordo, che emette suoni flautati e sa imitare con arrangiamenti<br />
personali <strong>il</strong> canto di altri uccelli. Invece non so<br />
che prorompere in questo strido quando le mie ali lassù<br />
vibrano all’impazzata, ma vi assicuro che se potessi im-<br />
primere delle s<strong>il</strong>labe scandirei degli altissimi urrah! Sim<strong>il</strong>i<br />
a me nella povertà dei vocalizzi sono la rondine e <strong>il</strong><br />
balestruccio, miei lontani parenti, anche loro gran viaggiatori<br />
del cielo.<br />
Mi sono incagliato in divagazioni su noi animali alati e<br />
tanto vale che vada alla conclusione. Qui in pianura mi<br />
è capitato di vedere un uccello strano e bello, colorato<br />
di arancione e con una cresta in testa. È l’upupa, antico<br />
abitante della steppa, che credevo di gusti raffinati, fino<br />
al giorno in cui ho scoperto che si nutre degli insetti del<br />
concime animale.<br />
Tanti altri volat<strong>il</strong>i potrei nominare, ma come spiegato<br />
prima, molti di loro li troverò alle più alte quote, dove<br />
risulteranno impreziositi nello sconfinato isolamento.<br />
Sto dunque per decidere di spiccare <strong>il</strong> volo e non avendo<br />
zampe adatte a saltellare in terra come i passeri, mi<br />
butto da questa torre antica che mi è servita da davanzale.<br />
Prima di lasciare la conca ossolana e dirigermi sulle<br />
sue valli, voglio sorvolare a volo d’angelo le anse del<br />
Toce dove <strong>il</strong> fiume si impigrisce in larghi meandri. Pieve<br />
Vergonte, Piedimulera, poi V<strong>il</strong>ladossola. Sfioro la superficie<br />
dell’acqua, ne prelevo una sorsata, mi specchio<br />
di sfuggita. Ho una sagoma a forma d’arco, la gola e <strong>il</strong><br />
ventre bianchi, separati da una banda bruna, <strong>il</strong> corpo<br />
affusolato come quello di un aereo a reazione. Mi inebrio<br />
di velocità. Passo come un bolide sulle dune della<br />
riva, afferro a volo una boccata di insetti e, di colpo, mi<br />
ricordo una vecchia storia.<br />
Queste rive ora deserte, un secolo fa, si racconta fra noi,<br />
sono state visitate da un grosso stormo di cicogne bian-<br />
137
che. Una perturbazione meteorologica aveva dirottato<br />
<strong>il</strong> volo di queste esperte viaggiatrici dirette al nord e<br />
le aveva fatte scendere alla fermata sbagliata. E quanto<br />
lo fosse, lo capirono dopo, quando vennero freddamente<br />
accolte dai domesi, nel senso che furono davvero<br />
freddate a colpi di fuc<strong>il</strong>e e decimate. Non ricomparvero<br />
mai più.<br />
Mi abbasso ad accarezzare l’erba dei prati, mi diverto a<br />
seminare <strong>il</strong> fuggi fuggi fra variopinte farfalle, ancora un<br />
fischio e via in montagna. Subito l’aria si rinfresca, le radiazioni<br />
solari si fanno più penetranti, cambia la topografia<br />
sottostante. Sorvolo foreste, radure, torrenti; alt,<br />
mi fermo in quota. Prima di impennarmi sopra i m<strong>il</strong>le<br />
metri non mi dimentico di fare ogni anno una capatina<br />
fino a quel prato di Bugliaga per ammirare anche quest’anno<br />
la grande fioritura tutta d’oro del mio piccolo,<br />
speciale tulipano, quello che gli uomini chiamano Tulipa<br />
australis. Son qui, sono sul prato dorato, mi azzardo<br />
in spericolate volute a sfiorare le corolle del piccolo tulipano<br />
di montagna. È la mia carezza alla bellezza e alla<br />
primavera: ciao, tulipa!<br />
Adesso devo scegliere un campione di una delle sette<br />
valli ossolane.<br />
Potrebbe essere l’alta val Vigezzo, <strong>il</strong> fondo valle di Formazza,<br />
che dico, i dintorni di Macugnaga, oppure <strong>il</strong><br />
trampolino di lancio della valle Antigorio, ultima tappa<br />
prima del mio capolinea, quella parete di roccia, in<br />
quell’alpe, vicino a quel torrente, nella conca di Devero.<br />
Sorvolo un bosco misto di conifere e latifoglie. La natura<br />
vegetale è assai generosa: lamponi e fragole, mirt<strong>il</strong>li e<br />
rovi; qua e là, le piccole lance verde tenero delle felci. In<br />
questo regno di muschi e cortecce marcescenti, dove si<br />
alternano abeti, faggi, ontani, noccioli, ritrovo gli amici<br />
della bassa. Odo <strong>il</strong> solfeggio del tordo dalla cima di un<br />
abete, <strong>il</strong> tr<strong>il</strong>lo del solitario pettirosso, le note incerte della<br />
passera scopaiola.<br />
Mi apposto su una prominenza e ingaggio tutti i miei<br />
sensi per registrare. Sono fortunato a sorprendere in<br />
pieno giorno un tasso intento a scavare un formicaio,<br />
lui nottambolo e schivo. Per mantenere i suoi 20 kg di<br />
peso deve mangiare una quantità di insetti, molluschi,<br />
uova, radici, bacche e funghi.<br />
La mia vista si sta abituando alla penombra del sottobosco<br />
e l’orecchio si presta al più lieve stormir di fronda.<br />
138<br />
Così, tra i rovi, vicino ad un ceppo marcescente, nell’intreccio<br />
di sterpi ed erbe, vedo un grande occhio aperto,<br />
un bell’occhio nero che mi pare immenso. Concentro<br />
lo sguardo e scopro anche un becco lungo, un petto<br />
di piume, tutti fermi nella più assoluta immob<strong>il</strong>ità. Una<br />
beccaccia! la regina del mimetismo e della riservatezza<br />
sta covando le sue tre-quattro uova giallastre picchiettate<br />
di rosso, ben fiduciosa che <strong>il</strong> suo piumaggio color foglie<br />
morte le assicura una protezione assoluta.<br />
Un grido dissonante esplode non lontano e ferisce i<br />
miei sensib<strong>il</strong>i timpani. Guardo dalla parte del suono e<br />
mi vedo venire incontro un uccello grande come un<br />
piccione, ma con testa e becco più robusti, che mi oltrepassa<br />
in una volata per niente aggraziata. Ho fatto<br />
appena in tempo ad intravedere i colori br<strong>il</strong>lanti rosso,<br />
bianco, nero e sulle ali pennellate di blu, ma ho riconosciuto<br />
egualmente la ghiandaia e so che questa strombazzata<br />
è <strong>il</strong> suo grido d’allarme, <strong>il</strong> suo volo disordinato,<br />
una fuga davanti ad un perturbatore. Forse ha alle costole<br />
lo sparviero o l’astore, oppure ha sentito i passi della<br />
volpe, del cane randagio, del gatto selvatico. Ha drizzato<br />
<strong>il</strong> ciuffo sul capo lanciando le note stonate e ora tutto<br />
<strong>il</strong> bosco è all’erta. Costei è un tipo imprevedib<strong>il</strong>e e non<br />
finisce mai di stupirmi. L’ho sentita imitare alla perfezione<br />
<strong>il</strong> miagolio della poiana, <strong>il</strong> verso del gufo comune<br />
e persino quello della voce umana. In famiglia hanno<br />
tutti la mania di nascondere le prede, siano esse ghiande<br />
o cavallette o altri insetti, nelle fessure della scorsa degli<br />
alberi, sotto <strong>il</strong> fogliame o in qualsiasi altro posto, per ritrovarle<br />
puntualmente qualche tempo dopo.<br />
Ma che cosa è questo strano rintocco che all’improvviso<br />
echeggia nella foresta? Ora è cessato, no, ora riprende.<br />
È un crepitio, un tambureggiamento. Sono disturbato<br />
dagli echi, impiego un po’ di tempo a localizzare.<br />
È lassù, alla cima di quell’abete colpito dal fulmine,<br />
quell’uccello bianco e nero, grosso come un merlo, ma<br />
con del rosso sotto la coda, che se ne sta lì aggrappato.<br />
È lui che mitraglia, lo so, ma voglio accertarmi. Ricomincia<br />
la raffica, lui si puntella con la coda e martella<br />
<strong>il</strong> tronco con <strong>il</strong> becco appuntito, tenendo rigidi collo e<br />
capo. Non poteva chiamarsi se non picchio, e questo, in<br />
particolare, è quello rosso maggiore. Non sta scavando <strong>il</strong><br />
nido, ma marcando <strong>il</strong> proprio territorio con segnali che<br />
in questo caso sono piccole incisioni. Per <strong>il</strong> nido scende
più sotto la cima, dove <strong>il</strong> tronco è più largo, e ci ricava<br />
un orifizio ovale anche di 60 cm di profondità.<br />
Io so per certo che molti uccelli trovano comodo questi<br />
nidi abbandonati. Ho visto insediarvisi civette, cince,<br />
picchi muratori.<br />
Per finirla con i picchi, quello rosso maggiore non è<br />
l’unico, anche se <strong>il</strong> più comune, in montagna, e <strong>il</strong> più<br />
costante nel martellamento.<br />
Suoi congeneri sono <strong>il</strong> picchio nero, <strong>il</strong> più grosso dei picchi,<br />
che sale oltre gli ultimi faggi perché pred<strong>il</strong>ige le<br />
grandi abetaie di abete bianco e rosso; <strong>il</strong> picchio verde e<br />
quello cinerino, più piccolo e meno alpino.<br />
Infine altri due picchi, che si possono confondere per<br />
<strong>il</strong> nome ma non per i colori della livrea e <strong>il</strong> comportamento.<br />
Sono <strong>il</strong> muratore e <strong>il</strong> muraiolo. Il primo è un eccellente<br />
ginnasta, un virtuoso dei saliscendi sui tronchi. Aggrappato<br />
a testa in giù, corre in tutti i sensi sulla corteccia<br />
degli alberi, con <strong>il</strong> solo aiuto delle dita robuste armate<br />
di potenti unghioni. Non scava nicchie, usa, se può,<br />
quelle degli altri picchi, del rosso, del nero, del verde.<br />
Ci apporta solo una variante, una rifinitura di lusso,<br />
rimpicciolendo l’entrata con palline di terra impastate<br />
di saliva. Non per niente è muratore. Non si nutre solo<br />
di insetti che trova nelle fessure delle cortecce, ma specie<br />
in autunno ricerca golosamente i semi delle conifere<br />
e dei noccioli.<br />
Ma di tutti i picchi quello veramente che mi lascia a<br />
bocca aperta è <strong>il</strong> muraiolo. Io, rondone alpino, sono un<br />
abitatore delle rupi, ma lui è lo scalatore delle pareti<br />
rocciose a strapiombo sugli abissi.<br />
Quante volte sfiorando nei miei voli di ricognizione<br />
le creste di granito che incidono arditamente <strong>il</strong> cielo,<br />
le rocce fessurate che st<strong>il</strong>lano rivoli d’acqua, ho notato<br />
come un topino grigio che fa <strong>il</strong> sesto grado sui lastroni<br />
rocciosi, ora correndo ora spiccando piccoli salti. Poi la<br />
sorpresa. Il topo grigio e nero si alza in volo e si trasforma<br />
in una grande farfalla dalle ali rosso carminio imperlate<br />
di candidi fiocchi.<br />
Lo chiamano «ticodromo» che vuoi dire «colui che corre<br />
rapidamente sul muro», ma <strong>il</strong> muro, nei cui interstizi<br />
ricerca gli insetti, è una parete anche a 4.000 metri!<br />
Con <strong>il</strong> pensiero sono volato troppo in alto, mentre fisicamente<br />
sono sempre qui ad esplorare <strong>il</strong> bosco di faggi,<br />
abeti, betulle, con una soleggiata radura ai bordi.<br />
Questo è un bosco prezioso.<br />
Un giorno che temerariamente e contro le mie abitudini<br />
zigzagavo tra i tronchi, ebbi modo di cogliere presenze<br />
singolari. Al mio primo passaggio, vidi dapprima<br />
muoversi su un albero qualcosa che sembrava far parte<br />
dell’albero stesso. Passai e ripassai curioso. Allora scoprii<br />
rannicchiato contro <strong>il</strong> tronco, la testa infossata fra<br />
le spalle, perfetto nella sua omocrimia, <strong>il</strong> più forestale e<br />
misterioso dei tetraonidi, <strong>il</strong> francolino di monte, <strong>il</strong> pollo<br />
dei noccioli.<br />
Le voci del bosco, sommesse, parvero ad un tratto sopraffatte<br />
da un suono rauco, come un singhiozzo che si<br />
arrotava, accelerava e finiva con un sonoro kop! Mi spostai<br />
quasi al limite della radura e fu lì che vidi un uccello,<br />
grande come un gallo, scalpicciare, becco aperto,<br />
collo teso verso l’alto, fare, come un gallo, la ruota.<br />
Le sue penne mandavano superbi riflessi blu verdi<br />
sul petto, mentre le ali erano marroni, <strong>il</strong> collo grigio acciaio,<br />
rosso <strong>il</strong> sopracciglio delle creste. Un gallo cedrone<br />
in amore che chiamava a sé le femmine.<br />
Davanti a quell’esibizione cromatica di grande effetto<br />
mi sentii un piccolo spazzacamino e ricordai, per associazione<br />
d’idee, quell’altra volta di qualche anno prima,<br />
quando sorvolando Agaro nel punto dove <strong>il</strong> bosco<br />
si apre in uno spiazzo di mirt<strong>il</strong>li, ginepri e rododendri,<br />
vidi due volat<strong>il</strong>i grossi come polli che sul terreno, ancora<br />
in parte coperto di neve, con movimenti nervosi<br />
e convulsi giravano in cerchio, le ali cascanti, la coda<br />
spiegata a forma di lira. Li sentivo fischiare con rabbia e<br />
soffiare, poi al colmo dell’eccitazione si erano avventati<br />
con violenza l’un contro l’altro.<br />
Alle solite, due fagiani di monte nelle loro folcloristiche<br />
danze d’amore e di guerra. Sul candore della neve risaltava<br />
<strong>il</strong> colore lucente blu scuro dei loro corpi, <strong>il</strong> bianco<br />
delle remiganti delle ali e della sorprendente coda.<br />
Mi ricordo che allora feci una considerazione. Come<br />
nel gallo cedrone, anche nel fagiano di monte solo <strong>il</strong><br />
maschio è detentore di una così esplosiva livrea. Le femmine<br />
di entrambi hanno colori così mimetici e dimessi<br />
da sembrare appartenenti ad un’altra specie.<br />
Mi accorgo che in tutti questi anni, pur fermandomi<br />
solo la primavera e l’estate, ho accumulato tanti ricordi<br />
139
Il cervo.<br />
della mia Ossola che, a raccontarli per esteso, non basterebbe<br />
la mia breve vita. Il tempo incalzante mi spinge<br />
a sintetizzare e ad apportare tagli al mio lungometraggio.<br />
Sto per spostarmi verso <strong>il</strong> torrente che, laggiù in fondo,<br />
scende a balzelloni dalla montagna, quando sotto la<br />
cupola del bosco un galoppo serrato segue ad un grido<br />
singolare. Faccio appena in tempo a scorgere una sagoma<br />
dalle perfette proporzioni lanciata in corsa su quattro<br />
zampe incredib<strong>il</strong>mente sott<strong>il</strong>i. Per un attimo vedo lo<br />
specchio, la macchia di pelo bianca sul posteriore, prima<br />
che <strong>il</strong> bosco si rinchiuda sulla fugace apparizione.<br />
Indovino che è <strong>il</strong> capriolo che, insieme al cervo, da pochi<br />
anni è comparso in Ossola. A quest’epoca <strong>il</strong> suo capo, se<br />
è un maschio, inalbera le corna con <strong>il</strong> velluto, una specie<br />
di astuccio di pelle grigia, ricca di vasi sanguigni, che fra<br />
poco disseccherà e mostrerà le corna nuove di zecca.<br />
Il medesimo fenomeno tocca anche al cervo. Entrambi<br />
hanno corna piene e caduche che ad una certa epoca, in<br />
autunno per <strong>il</strong> capriolo, in marzo per <strong>il</strong> cervo, si staccano<br />
dal capo lasciandolo curiosamente sguarnito. Ma to-<br />
140<br />
sto ecco ricrescere su un germoglio calloso le nuove corna,<br />
più belle e ramificate.<br />
Quante volte ho visto lo scoiattolo e la volpe rosicchiare<br />
nel bosco queste reliquie di osso compatto, cadute a<br />
questi animali, inconfondib<strong>il</strong>i per la ramificazione e la<br />
grandezza. Quelle del capriolo arrivano al massimo a<br />
tre-quattro punte, quelle del cervo sono palchi pesanti<br />
con otto-nove ramificazioni.<br />
La foresta è <strong>il</strong> vero regno di questi cervidi, <strong>il</strong> luogo che<br />
all’epoca degli amori risuona di eccitati bramiti e di rumorose<br />
lotte per la conquista delle femmine.<br />
Allora si assiste a grandi raduni disordinati, dove questi<br />
individui, ubriachi d’amore, diventano nervosi ed attaccabrighe.<br />
Infine i maschi adulti se ne vanno per i fatti<br />
loro e restano insieme i gruppi famigliari delle femmine<br />
e dei giovani.<br />
Ma torniamo al capriolo che mi è passato sotto <strong>il</strong> naso,<br />
lanciato in una pazza corsa agli ostacoli. Per un attimo<br />
ho creduto di vedere le gazzelle delle calde regioni che<br />
sorvolo nei miei inverni. Il cervo, invece è molto più<br />
grande del capriolo e l’ho veduto rare volte qui in Os-
sola. Ha l’imponenza di un piccolo cavallo e <strong>il</strong> mio occhio<br />
di rondone non crede di sbagliare se gli dà <strong>il</strong> peso<br />
di 200 kg, mentre <strong>il</strong> capriolo rimane sui 40 ch<strong>il</strong>i. Coinvolto<br />
dalle mie divagazioni mi accorgo solo ora dello<br />
scompiglio che <strong>il</strong> fischio e la corsa sfrenata del capriolo<br />
hanno sollevato nel bosco. Si sono interrotti <strong>il</strong> canto<br />
del pettirosso e del lucarino, <strong>il</strong> rampichino alpestre ha<br />
smesso per un attimo di fare <strong>il</strong> topino degli abeti, su e<br />
giù per i tronchi a cercare insetti nelle fessure; si è alzato<br />
in volo <strong>il</strong> più piccolo degli uccelli, <strong>il</strong> regolo, dal capino<br />
a strisce.<br />
Anche la bellissima martora da qualche parte ha sospeso<br />
l’inseguimento accanito allo scoiattolo, che saltato acrobaticamente<br />
su un albero vicino sarà lì con <strong>il</strong> cuore in<br />
gola. Per sua grande fortuna <strong>il</strong> feroce mustelide non sa<br />
saltare, perciò se <strong>il</strong> piccolo tarzan del bosco non cade a<br />
terra è in netto vantaggio sull’inseguitrice. Ma le emozioni<br />
dello scoiattolo non sono finite. Un passo falso e<br />
l’aqu<strong>il</strong>a, che sta setacciando <strong>il</strong> bosco con sguardo penetrante,<br />
può ghermirlo di colpo, oppure la volpe, appostata<br />
pazientemente, lo avrà come premio di consolazione<br />
per la sua costanza.<br />
Si riposerà in inverno, ben protetto nella tana del cavo<br />
di un tronco, dove potrà finalmente r<strong>il</strong>assarsi e cadere<br />
in un sonno intermittente come quello del tasso.<br />
È meglio che mi tolga da questa posizione che non mi è<br />
affatto confacente. So per esperienza che questi boschi<br />
misti, che si trasformano in abetaie e lariceti man mano<br />
che si arrampicano sulle pendici, sono visitati spesso e<br />
volentieri dallo sparviero e dall’astore, che si spostano<br />
dalla pianura alla montagna proprio al seguito di noi<br />
uccelli migratori.<br />
Se devo concludere in bellezza la mia carriera di inviato<br />
speciale, non posso espormi in prima linea, perciò m’involo<br />
al torrente per dissetarmi e procurarmi boccate di<br />
insetti svolazzanti.<br />
Lancio solo un’occhiata fuggevole alla trota, che ancheggia<br />
nell’acqua limpida e mi piacerebbe aspettare<br />
qui la venuta della ballerina bianca e di quella gialla,<br />
che sembrano danzare, osc<strong>il</strong>lando la coda avanti e<br />
indietro, ma soprattutto assistere ancora una volta allo<br />
spettacolo del merlo acquaiolo che, dopo essersi tuffato<br />
nell’acqua gelida, fa <strong>il</strong> sub per interminab<strong>il</strong>i secon-<br />
di, riaffiora su un sasso con una larva in becco, scuote<br />
<strong>il</strong> suo bel petto bianco e si presenta asciutto come prima.<br />
Che campione!<br />
La mia incondizionata ammirazione in fondo va ad un<br />
altro uccello, <strong>il</strong> più piccolo insieme al regolo, che abiti<br />
la montagna. Confesso che <strong>il</strong> mio interesse è intessuto<br />
d’invidia per quello che sa fare questa pallina di piume<br />
rossastre con la coda sempre alzata. Il suo nome è<br />
scricciolo.<br />
Non solo è un poligamo, un dongiovanni impenitente<br />
e furbo, ma anche un gran patriarca. Ai primi di maggio,<br />
scegliendo scarpate di torrenti e canaloni rivestiti di<br />
rododendri, costruisce diversi nidi di muschio, intrecci<br />
sferici con un’apertura centrale. Appena una scricciola è<br />
in vista, lui le si fa incontro, garrulo e svolazzante, e la<br />
induce a visitare <strong>il</strong> nido, convincendola a sistemarsi.<br />
Il piccolo infedele ripete la scena parecchie volte con altre<br />
femmine, fino a collocazione completa di tutti i suoi<br />
nidi. Ma, e qui gli concedo tutto <strong>il</strong> mio rispetto, egli<br />
non abbandona affatto le componenti del suo evoluto<br />
harem, ma assumendosi, per giorni e giorni, <strong>il</strong> ruolo<br />
massacrante del pendolare, le assiste tutte con sollecitudine<br />
durante la cova.<br />
A questo punto uno di maggior corporatura della sua<br />
sarebbe sfinito, ma lui è di tempra speciale e sostiene<br />
per molto tempo la sua famiglia allargata. Appena i pic-<br />
Il lupo.<br />
141
coli sono in grado di volare, alla sera li raduna e se li<br />
porta in giro a svolazzare allegramente nella luce del tramonto.<br />
Dopo di che li consegna puntualmente ai loro<br />
dormitori.<br />
Sotto quei nove grammi di piume batte davvero un<br />
grande cuore.<br />
Sono pronto per <strong>il</strong> balzo finale. Lascio i boschetti misti<br />
e con forti colpi d’ala mi alzo a volo remato fino a raggiungere<br />
le radure e le rupi subalpine. Poi tenendo le ali<br />
immob<strong>il</strong>i mi lascio scivolare, e in questa maniera perlustro<br />
per un largo raggio le foreste superiori fino al limite<br />
degli alberi.<br />
La fauna diventa sempre più interessante e specializzata<br />
e, per le difficoltà climatiche, si fa più pressante la lotta<br />
per la sopravvivenza. Nelle radure vedo le arvicole, la<br />
campestre e l’agreste, intente a scavare le loro gallerie, qui<br />
dove ha inizio <strong>il</strong> dominio dei piccoli e grandi rapaci.<br />
Alcuni stanziano ai bordi delle radure, altri nidificano<br />
sulle rupi.<br />
Anch’io abito qui, gomito a gomito, con questi predoni.<br />
Infatti, anche se so che è la poiana quella che vola a<br />
larghi giri in ciclo, che è lei che miagola come un gatto,<br />
che è specializzata alla caccia al marasso, che si ciba di<br />
topi e talpe come l’astore, pure mi tengo lontano.<br />
Come quando vedo prof<strong>il</strong>arsi lunghe ali triangolari,<br />
tese come una balestra, so bene che è un falco in ricognizione,<br />
pronto a buttarsi in picchiata per artigliare in<br />
volo piccioni, ghiandaie, cornacchie, tordi.<br />
Mi chiedo se sono abbastanza grosso per lui. Ad ogni<br />
buon conto mi affido alla velocità delle mie ali che, è<br />
provato, è di un soffio maggiore della sua, ma faccio attenzione<br />
a non cadere in qualche attacco di sorpresa. So<br />
pertanto che l’Ossola non pullula di falchi, c’è <strong>il</strong> pellegrino,<br />
<strong>il</strong> lodolaio (<strong>il</strong> più pericoloso per me) e l’altro, <strong>il</strong><br />
pecchiaiolo, goloso soprattutto delle larve delle vespe.<br />
Ma, bando alle paure, mi conforta questo tac tac allegro,<br />
scandito dalla cima di un larice. Ciao, stiaccino. Il<br />
suo verso singolare lo sento anche laggiù, in Africa, perché<br />
l’uccello dal petto fulvo e <strong>il</strong> sopracciglio bianco è un<br />
emigrante stagionale come me. Le sue uova di un bel<br />
turchese sono tra le più belle che mi capita di vedere.<br />
Intanto volando e pensando mi ritrovo nei miei paraggi<br />
142<br />
che è <strong>il</strong> sito delle rupi subalpine. Questo è <strong>il</strong> contrafforte<br />
delle ultime foreste fino al limite degli alberi, è <strong>il</strong> gran<br />
piedistallo del piano alpino propriamente detto.<br />
Qui, con i miei compagni, qualche anno fa abbiamo deciso<br />
di costruire i nidi. Le innumerevoli fenditure nella<br />
roccia ci hanno offerto abbondanza di buche, e noi<br />
non abbiamo avuto difficoltà a scegliere cavità grandi<br />
e asciutte.<br />
Tutto ciò che ci serve per costruire <strong>il</strong> nido a forma di<br />
ciotola noi, è <strong>il</strong> caso di dirlo, lo acchiappiamo al volo.<br />
Steli, fuscelli, foglie secche, peli e penne portate in alto<br />
dal vento, vengono da noi ammucchiati e cementati<br />
con la nostra portentosa saliva che si rapprende all’aria<br />
come un mastice. Con la stessa saliva, sempre in volo,<br />
inglobiamo le nostre piccole prede alate e ne facciamo<br />
palline per imboccare i nostri pulcini.<br />
Ma tant’è, sto divagando un po’ troppo avanti, la mia<br />
compagna è lì a riassettare la nostra vecchia dimora, mi<br />
resta poco tempo per guardarmi intorno.<br />
Più in là, sulla stessa parete rocciosa, l’anno scorso ho<br />
visto un nido di un grande corvo imperiale. Udivo <strong>il</strong> suo<br />
rauco rok rok ed erano talmente potenti i suoi battiti<br />
d’ala che li sentivo fendere l’aria, vip vip vip! Come era<br />
nero. Molto più grande della solita cornacchia e diverso<br />
anche <strong>il</strong> grido, una figura alata più imponente e vigorosa.<br />
Faccio fatica a pensarlo strettamente imparentato<br />
con uccelli piccolissimi come le bigiarelle, le cince,<br />
i regoli.<br />
Devo confessare che senza farmi accorgere l’ho osservato<br />
a lungo nelle sue acrobazie aeree, tentando di imitarlo<br />
soprattutto in una: quando in volo planato, all’improvviso<br />
si rigira su se stesso, e pancia all’aria scivola via<br />
così, come su un’amaca volante.<br />
Per questo becchino del bosco, in abito nero pece, noi<br />
tutti proviamo del gran rispetto perché è l’alato più longevo,<br />
potendo vivere oltre i cento anni, ma la mia personale<br />
ammirazione va al coraggio di un altro uccello<br />
ben più piccolo ma temerario alla follia.<br />
Il gheppio. È un falchetto fulvo, grande come una tortora,<br />
ma se un’aqu<strong>il</strong>a, dico, un’aqu<strong>il</strong>a entra nel suo territorio,<br />
è capace, con l’appoggio di qualche compagno, di<br />
affrontarla a viso aperto, di rintuzzarla e alla fine stancarla<br />
a tal punto che la signora dell’aria decide di rientrare<br />
nei suoi confini. Alla fine non riesco a capire come
La vipera aspis. Camosci al pascolo.<br />
faccia a fare così bene lo «spirito santo», stare cioè librato<br />
in aria senza spostarsi, mantenendo le ali aperte e la<br />
coda allargata. Qualche volta mi son detto: ma quello<br />
li è legato ad un f<strong>il</strong>o! Invece ecco ad un tratto che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o<br />
si rompe e lui, <strong>il</strong> gheppio, precipita come un meteorite,<br />
le ali strette ai fianchi, fino al momento in cui, a pochi<br />
passi dal suolo, gli vedo fare la grande frenata con le<br />
remiganti e protendere gli artigli. La sua calda preda è<br />
un’arvicola che lui preleva e si porta via.<br />
Prima di salire al piano alpino dove l’esistenza di animali<br />
e piante ha un eccezionale salto di qualità, voglio<br />
tentare anch’io di librarmi sospeso, di ondeggiare tenendo<br />
distese le ali. Con la mia vista acuta posso ispezionare<br />
a piacimento le rocce circostanti e giù, gli ultimi<br />
larici e abeti e <strong>il</strong> torrente incassato che spumeggia in<br />
quella forra.<br />
Il cielo è immenso, <strong>il</strong> più vasto pascolo che esista, ma<br />
quando vedo, come ora, prof<strong>il</strong>arsi dal costone della<br />
montagna due enormi ali, con le remiganti allargate<br />
come le dita di una mano umana, lo spazio aereo sembra<br />
circoscritto da quella sagoma scura. II suo volo è<br />
maestoso, le spirali larghe, le virate lente, la sua ombra<br />
propaga sconcerto agli animali dell’aria e apprensione a<br />
quelli di terra.<br />
Mi faccio da parte scendendo di quota, con un occhio<br />
là, alla indiscussa sovrana del cielo, l’aqu<strong>il</strong>a. È <strong>il</strong> simbolo<br />
delle altitudini alpine, insieme al camoscio e allo<br />
stambecco, perché al pari di loro non abbandona mai<br />
la montagna, neppure in inverno, quando non solo le<br />
cime ma anche le pendici sono prigioniere delle calotte<br />
nevose e noi animali migratori siamo m<strong>il</strong>le miglia<br />
lontani. Lei rimane lì, nel suo grande nido a piattaforma,<br />
quasi a cielo aperto, nei gelidi s<strong>il</strong>enzi lacerati dallo<br />
schianto della valanga. È <strong>il</strong> più forte e grande uccello<br />
dei nostri monti e le sue prede, per sfamare la famigliola<br />
di uno o due pulcini, devono per forza essere consistenti.<br />
Dalla lepre, alla volpe, alla marmotta, allo scoiattolo,<br />
fino ai piccoli degli ungulati, camoscio, stambecco,<br />
cervo, capriolo. L’aqu<strong>il</strong>a è un predatore ma per la sua supremazia<br />
e le sue abitudini svolge questo ruolo soltanto<br />
di giorno. Ora io sono a conoscenza di operatori specializzati<br />
che questo mestiere lo fanno di notte.<br />
Quando ero più giovane e non ancora coniugato, al calar<br />
della sera mi riunivo con i miei compagni in stormi<br />
numerosi e ci divertivamo ad inseguirci a velocità pazza,<br />
lanciando schiamazzi a non finire. In questi giochi<br />
a nascondino, approfittavo delle scorciatoie inf<strong>il</strong>andomi<br />
arditamente nei canaloni e negli stretti passaggi tra<br />
due pareti di roccia.<br />
Ed è lì che li ho scoperti. Gli occhi, voglio dire. In quegli<br />
anfratti ombrosi in cui l’ultima luce del tramonto se<br />
n’era dipartita da un pezzo, lì, ad ogni mio passaggio<br />
vedevo pulsare piccole luci gialle, arancione, rosse. Sentivo<br />
poi dei versi rauchi, tipo lamenti buhu buhu, poi<br />
brontolii, soffi e richiami nasali. Roba da pelle d’oca se<br />
non fossi un rondone e non mi avessero acculturato circa<br />
le civette, gli assioli, i gufi comuni e i gufi reali.<br />
Gran mangiatori di topi e di insetti, oltre a quegli occhi<br />
speciali per la visione notturna, quelli hanno un udito<br />
fuori del normale che li mette in grado di sentire stormire<br />
una foglia a parecchi metri di distanza.<br />
Noto con sollievo che un’invisib<strong>il</strong>e corrente aerea deve<br />
143
aver convinto la superba aqu<strong>il</strong>a a veleggiare lontano<br />
oltre le nebbie. Adesso posso riprendere <strong>il</strong> mio volo<br />
d’esplorazione, un passo e ripasso sopra gli ultimi avamposti<br />
del bosco.<br />
Ritrovo vecchie conoscenze della bassa e della media<br />
montagna. Saltellano le cince chiacchierone, intravedo<br />
tra i rami di un abete <strong>il</strong> nido di un ciuffolotto con le uova<br />
blu pallido, ai margini del bosco si drizza per un istante<br />
una lepre comune ma subito scompare con pochi balzi<br />
dentro un cespuglio. Sopra un formicaio di formiche<br />
rosse un picchio verde, l’unico tra i picchi che non tambureggia<br />
i tronchi, estroflette la lingua ricoperta da una<br />
sostanza viscosa e accalappia formiche.<br />
Queste fustaie di abeti, larici, cirmoli, sono l’ultimo<br />
campo base per alcuni animali, un rifugio invernale per<br />
altri, una meta solamente estiva per altri ancora.<br />
Ghiotte di pinoli, le nocciolaie, grandi come gazze e grigiastre,<br />
e i crocieri, sim<strong>il</strong>i a variopinti fringuelli, frugano<br />
instancab<strong>il</strong>i tra le pigne delle conifere. La nocciolaia<br />
soprattutto ne fa una copiosa incetta riuscendo ad ingozzare<br />
un centinaio di pinoli alla volta. Dopo di che,<br />
previdente, li rigurgita e li nasconde nelle fessure delle<br />
rocce ben riparate dalla neve, o anche nel suolo sotto<br />
grandi radici o ai piedi dei tronchi.<br />
Una cosa è certa: lei ha bene in mente la mappa del suo<br />
tesoro e saprà ritrovarlo anche a 50 cm sotto la neve,<br />
se... C’è sempre l’imprevisto e in questo caso neppure<br />
molto raro. Può capitare infatti che tra i rami di un abete<br />
uno scoiattolo goloso abbia spiato la scena o che un’arvicola,<br />
scorazzando nei suoi labirinti sotterranei, incappi<br />
per caso nella camera del tesoro. Ma la nocciolaia<br />
non dà a vedere di disperarsi per queste appropriazioni<br />
indebite (non ha forse provveduto a diversi nascondigli?)<br />
e poi in natura è permessa la legge del pioniere:<br />
quello che trovo è mio e me lo tengo.<br />
Mi diverto un mondo ad assistere a queste, diciamo, relazioni<br />
sociali fra i miei conterranei; io non scendo in<br />
lizza con loro perché, come spiegherò, altri sono i miei<br />
appetiti.<br />
Sonori dak dak interrompono <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o dei miei pensieri.<br />
Senza guardare so già chi è che fruga <strong>il</strong> terreno in cerca<br />
di lombrichi. Un merlo in frak, con lo sparato bianco<br />
bene in vista, un merlo dal collare. Diffidente e cauto<br />
non disdegna i dintorni delle baite solitarie, anche<br />
144<br />
se ama starsene in un pascolo di ginepro tutto suo, o<br />
in cima ad una conifera, da dove modula <strong>il</strong> famoso ritornello.<br />
E lì, sullo stesso albero, forse ci sta <strong>il</strong> nido non di un altro<br />
volat<strong>il</strong>e ma di un piccolo roditore arboricolo, <strong>il</strong> topo<br />
quercino. È un topo speciale e merita una breve menzione.<br />
Ha <strong>il</strong> muso buffo, orecchie a sventola, occhi prominenti<br />
e cerchiati di scuro. La coda è lunga come <strong>il</strong> corpo<br />
ma <strong>il</strong> tutto ha un peso osc<strong>il</strong>lante tra <strong>il</strong> mezzo etto e l’etto<br />
a seconda della stagione. Perché come <strong>il</strong> suo stretto<br />
parente ghiro (che non ho mai visto sopra i 1.000 metri)<br />
quando è ben pasciuto, all’inizio dell’inverno, scivola in<br />
un sonno profondo e talmente desiderato da provvedere<br />
da sè medesimo a saldarsi le palpebre con uno speciale<br />
muco. «Prego non disturbare».<br />
Mi chiedo. Sarà comodo dormire quando non si ha da<br />
mangiare e non si hanno i mezzi per migrare come facciamo<br />
noi, ma se non si è ben protetti dentro un nido<br />
con sportello, come lo scoiattolo, o in tane murate come<br />
la marmotta, si è anche alla mercé dei terroristi del bosco,<br />
come la faina, la donnola, la martora, e quell’altra<br />
taccheggiatrice, la più imprevedib<strong>il</strong>e e astuta che conosca,<br />
la volpe.<br />
Potrei stare giorni e giorni a parlare di lei senza riuscire<br />
a dire tutto quello che so sul suo conto. Forse questo<br />
episodio è significativo.<br />
Un giorno che me ne andavo a spigolare i miei insetti<br />
con volo distensivo sulle rive torbose di uno stagno<br />
alpino, vidi una volpe entrare in acqua con un ramo in<br />
bocca. Incuriosito dall’insolito bagnante, mi impennai<br />
in leggere evoluzioni per restare sul posto e vidi la volpe<br />
nuotare a coccodr<strong>il</strong>lo, con solo <strong>il</strong> naso fuori per respirare.<br />
Capii dopo, quando abbandonato <strong>il</strong> ramo che aveva<br />
in bocca, raggiunse la riva e si scrollò a lungo. Aveva<br />
escogitato <strong>il</strong> metodo più rapido e indolore per disinfestarsi<br />
dai parassiti che si erano messi in salvo sul ramo!<br />
Accarezzo con lo sguardo questo bosco di larici e abeti,<br />
sussurrante di vita, profumato di resina e ho la netta<br />
sensazione che sarà l’ultimo agglomerato arboreo che<br />
troverò. A questa altitudine sfiorante i 2.000 metri, c’è<br />
tra i componenti <strong>il</strong> paesaggio, una rarefazione e un ridimensionamento<br />
in vista.<br />
Il larice si fa solitario; sui cespi di rododendro, sui piccoli<br />
abeti arricciati, sui ciuffi di pino mugo, prendono <strong>il</strong>
sopravvento <strong>il</strong> ginepro, <strong>il</strong> salice rampicante, i cuscinetti<br />
di s<strong>il</strong>ene, le sassifraghe di ogni specie. Mentre l’organetto,<br />
passerotto con la cuffia rossa in testa, mi supera con<br />
<strong>il</strong> suo tiu tiu tirr, mi accorgo di volare verso l’ultima stazione<br />
terrestre: <strong>il</strong> piano alpino fino alle nevi eterne.<br />
Eccomi allo scoperto sopra una solitudine fatta di lande,<br />
di pascoli, di piccoli laghi, di ghiaioni e di pietraie.<br />
La vita, o meglio la sopravvivenza, qui si svolge al cospetto<br />
delle forti radiazioni solari, dell’impeto del vento<br />
e degli sbalzi di temperatura. Gli eletti, quelli che qui ci<br />
vivono, devono fare i conti con questi esigenti gabellatori,<br />
perciò, lo dico già fin d’ora, essi sono organismi altamente<br />
perfezionati.<br />
Alcuni sono scesi a necessari compromessi. L’ibernazione,<br />
<strong>il</strong> mimetismo e <strong>il</strong> rinforzo delle strutture naturali<br />
sono le soluzioni ai problemi per chi in montagna resta<br />
comunque e non migra durante <strong>il</strong> periodo invernale.<br />
La mia piccola ombra che si proietta osc<strong>il</strong>lante sul verde<br />
pendio sta suscitando allarmi ingiustificati. Per un attimo<br />
<strong>il</strong> cuculo sospende <strong>il</strong> suo monotono verso e la ricerca<br />
dei bruchi pelosi disdegnati da tutti gli uccelli. È for-<br />
Femmina di stambecco con <strong>il</strong> suo piccolo.<br />
se questa la maniera per farsi perdonare la sventatezza di<br />
deporre le sue uova nei nidi degli ingenui codirossi spazzacamino,<br />
delle passere scopaiole e degli spioncelli?<br />
Su quel sasso piatto e ben esposto al sole, la vipera aspis<br />
(che insieme al marasso sale a queste altezze) è lì acciambellata<br />
a riscaldarsi al sole e per un attimo erige <strong>il</strong> capo<br />
e protende <strong>il</strong> corpo ad arco. Forse soffia e sib<strong>il</strong>a al mio<br />
indirizzo, scambiandomi per un piccolo falco. Non vorrei<br />
essere una rana o un’arvicola nelle sue vicinanze, nel<br />
qual caso avrei un’esperienza, a dir poco, fulminante del<br />
suo gelido sguardo e dei due dentacci velenosi.<br />
Mentre ammiro i bei disegni a zig zag del corpo flessuoso<br />
ne noto <strong>il</strong> turgore. Deve essere in procinto di partorire<br />
una dozzina di viperini già tutti pronti a strisciare<br />
con <strong>il</strong> pieno di veleno, e lei, <strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e ovoviviparo, si sta<br />
comportando come una incubatrice mob<strong>il</strong>e.<br />
Un fischio acuto e limpido proviene dalle pietraie frammiste<br />
ad erba su quel crinale baciato dal sole. Subito altri<br />
fischi si incrociano e l’eco li rimbalza lontano. La<br />
marmotta di vedetta ha segnalato, le altre hanno captato.<br />
Volpe, aqu<strong>il</strong>a, essere umano o semplice esercitazione?<br />
145
I bei gattoni marrone chiaro smettono di brucare e<br />
scompaiono nelle tane. I loro incisivi pronunciati, così<br />
come gli unghioni, sono armi pacifiche per le faccende<br />
quotidiane. Unica loro difesa restano quei complicati<br />
tunnel sotterranei con uscite di sicurezza, dove dall’inizio<br />
dell’inverno e fino a maggio, piombano in un sonno<br />
profondo come un coma.<br />
Mentre sto librando ad ali aperte come un aliante, avverto<br />
in tutto <strong>il</strong> corpo una sensazione ben nota, un impulso<br />
elettrico che mi serpeggia da capo a coda. Punto<br />
lo sguardo all’orizzonte e vedo addensarsi nuvoloni<br />
neri. Per questo la marmotta ha fischiato!<br />
Noi animali selvatici sentiamo in anticipo le perturbazioni<br />
atmosferiche, <strong>il</strong> temporale è per noi un trauma<br />
fisiologico e ci diamo da fare per superarlo indenni.<br />
Scommetto che lo scoiattolo si è già tappato in casa,<br />
vedo l’arvicola delle nevi che ritira in tutta fretta i funghi<br />
e le foglie messi a seccare davanti alla tana, una coturnice<br />
fa un volo basso e breve lungo <strong>il</strong> dorso della montagna<br />
e poi sparisce velocemente fra le rocce. I gracchi, quello<br />
alpino e quello corallino con becco e zampe rosse, smettono<br />
di volare in formazione e si raggruppano in grandi<br />
fessure della roccia.<br />
Mi abbasso in cerca di un tetto roccioso e faccio a tempo<br />
a vedere scivolare tra i massi della grossolana morena<br />
l’ermellino: <strong>il</strong> più famoso dei mustelidi ha già la<br />
livrea estiva marrone chiaro e la macchia bianca sulla<br />
gola. Insieme alla lepre variab<strong>il</strong>e e alla pernice delle nevi<br />
ha adottato un metodo straordinario per annullarsi nell’ambiente<br />
circostante.<br />
Comincia a cadere la prima neve? Sui loro corpi compaiono<br />
macchie bianche che si fanno sempre più larghe<br />
fino a che in pieno inverno, nel candore generale, le<br />
loro candide figure passano inosservate. Si sciolgono le<br />
nevi e arriva l’estate? Spariscono a poco a poco le macchie<br />
bianche e i peli e le piume assumono <strong>il</strong> colore mimetico<br />
delle rocce. In questo modo essi rifiutano <strong>il</strong> letargo<br />
invernale e hanno la preoccupazione di un diffic<strong>il</strong>e<br />
sostentamento.<br />
Non sono i soli. Sono in compagnia dei più grossi mammiferi<br />
di alta montagna, i camosci e gli stambecchi.<br />
Il temporale mette a segno i primi lampi e tuoni e mi<br />
convince ad una ritirata strategica. Mi avvinghio alla<br />
parete di una grotta e mi accorgo che una famiglia di<br />
146<br />
camosci ha scelto lo stesso rifugio. Li osservo da vicino.<br />
Sembrano capre ma di un rango superiore.<br />
Maschi, femmine, piccoli, hanno tutti le corna, che<br />
come quelle degli stambecchi non cadono mai, sono<br />
cave, non composte da sostanza ossea ma di cheratina.<br />
Nelle mie trasvolate ossolane ho sempre visto molti camosci,<br />
pochi stambecchi, cervi, caprioli.<br />
Questo camoscio rupicapra dalle corna ad uncino è <strong>il</strong><br />
simbolo delle nostre montagne perché ne è <strong>il</strong> più antico<br />
abitante. In estate sale alle alte quote fin dove l’erba cresce<br />
ai margini dei nevai e solo in inverno scende nei boschi<br />
per ripararsi e foraggiarsi. Trovo superbo <strong>il</strong> portamento<br />
della testa e nob<strong>il</strong>e <strong>il</strong> muso con la singolare mascherina<br />
bianca e nera.<br />
Osservo gli esemplari qui vicino a me e noto che i loro<br />
spessi mantelli di pelo sono in piena muta e ne vedo dei<br />
brandelli contro la parete rocciosa. Il pelo scuro sta lasciando<br />
<strong>il</strong> posto a quello estivo più leggero e chiaro.<br />
Se <strong>il</strong> camoscio, per me rondone alpino, è la più elegante<br />
e ag<strong>il</strong>e capra della montagna, un’altra capra selvatica,<br />
lo stambecco, detiene <strong>il</strong> primato della robustezza e della<br />
resistenza.<br />
La massiccia figura del maschio, dalle grandi corna ad<br />
arco e la barbetta sotto <strong>il</strong> mento, stagliato su uno strapiombo<br />
da capogiro, non è una visione insolita per me.<br />
Lui è <strong>il</strong> signore degli speroni rocciosi e dei picchi, e non<br />
ama la copertura del bosco. Durante l’epoca degli amori<br />
che cade all’inizio dell’inverno, tanto per i camosci<br />
quanto per gli stambecchi, mi hanno detto che l’eco<br />
propaga rumori di giostre furiose per giorni e giorni.<br />
Immerso nei miei pensieri, non mi sono accorto che <strong>il</strong><br />
temporale ha esaurito, con gli ultimi brontolii, <strong>il</strong> contingente<br />
di acqua, tuoni e fulmini. Tutti gli esseri viventi<br />
si sentono ora rinfrancati, l’arcobaleno solca <strong>il</strong> cielo,<br />
la montagna, rocce e pascoli, br<strong>il</strong>la imperlata. Il torrente<br />
si è ingrossato, gli stagni si sono riempiti, nuove<br />
pozze si sono formate. A festeggiare la presenza dell’acqua<br />
si fanno avanti quei singolari individui che hanno<br />
la doppia vita, terrestre ed acquatica. Chi potrebbe<br />
pensare che anche qui sopra i 2.500 m esistano esemplari<br />
di anfibi?<br />
Eppure proprio dopo un temporale sto a guardare strisciare<br />
sul sentiero la salamandra nera, l’andatura goffa,<br />
<strong>il</strong> corpo, con due f<strong>il</strong>e di tubercoli, nero lucente da sem-
are laccato. La sua vita deve essere talmente irta di<br />
difficoltà, che non depone le uova come la salamandra<br />
pezzata, ma ogni due tre anni mette al mondo due figli<br />
già completamente metamorfosati.<br />
Chi invece non si allontana mai dallo stagno è <strong>il</strong> tritone<br />
alpino che per <strong>il</strong> portamento confondo con la salamandra,<br />
se non fosse per <strong>il</strong> ventre colorato di rosso vivo e la<br />
cresta dorsale nera e gialla.<br />
Intorno allo stagno dove crescono gli equiseti e i giunchi,<br />
vedo per un momento sospesa in aria la libellula alpina,<br />
troppo grande per me, dal momento che le sue ali<br />
misurano cinque centimetri.<br />
Uno spioncello canta la sua gioia di vivere salendo continuamente<br />
verso <strong>il</strong> cielo e scendendo a paracadute, e per<br />
qualche istante distoglie la mia attenzione dalla pozza<br />
d’acqua.<br />
Vengo richiamato da un gracidio gutturale gru gru e<br />
pluf, vedo tuffarsi rane brunastre. Sono le rane temporarie,<br />
così chiamate dalla macchia temporale scura, che<br />
osservo anche in pianura, ma che qui a queste altezze<br />
formano dei clan esclusivi.<br />
Quando in primavera ammassi di neve ricoprono ancora<br />
gli acquitrini, loro sono lì che nuotano nell’acqua gelida<br />
e depongono grappoli di uova. Sono i batraci che<br />
si spingono alle più alte quote e li sorprendo a saltellare<br />
anche lontano dai luoghi umidi.<br />
Una leggera brezza ha spazzato le ultime nubi e <strong>il</strong> sole<br />
torna a scaldare. Mi si presenta l’opportunità di vedere<br />
<strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e che sale più in alto di tutti, la lucertola vivipara,<br />
dal ventre arancione punteggiato di nero. Ha la<br />
coda più corta della lucertola muraiola, se la cava ottimamente<br />
nel nuoto e in caso di pericolo non esita a<br />
buttarsi in acqua. È a detta di tutti <strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e più resistente<br />
alle variazioni della temperatura tanto da spingersi<br />
non solo alle altezze di 3.000 m sulle montagne,<br />
ma anche alla latitudini del circolo polare artico. Per<br />
questo la sua specie è predisposta a far nascere ogni volta<br />
5-7 piccoli completamente atti ad affrontare i disagi<br />
di tale particolare esistenza. Da lontano un fringuello<br />
alpino sciorinante la sua strofa interrogativa e, più vicino<br />
nella desolata pietraia, <strong>il</strong> canto sonoro del sordone,<br />
mi riportano alla realtà che mi sono prefisso.<br />
Il tempo a mia disposizione sta per scadere e io voglio<br />
solo accennare al mondo degli insetti, quelli che alla<br />
fine mi danno la maniera di sopravvivere.<br />
Dirò subito che le mie prede alate sono di piccola taglia<br />
e appartenenti in gran parte agli ordini dei ditteri, dei<br />
coleotteri, degli imenotteri. Vale a dire rispettivamente<br />
mosche e zanzare; scarabei e cetonie; api e vespe. Quando<br />
<strong>il</strong> tempo è bello, fa caldo e <strong>il</strong> vento solleva questi insetti<br />
fino a centinaia di metri di altezza dal suolo, noi rondoni<br />
ci raduniamo in stormi a cacciare. Con <strong>il</strong> tempo<br />
cattivo, scendiamo negli strati più bassi dell’atmosfera e<br />
sorvoliamo terreni paludosi, praterie, boschi.<br />
Ci cibiamo anche di ragni, di cavallette e piccole farfalle<br />
che abitano gli alti pascoli e che fanno da corollario<br />
agli insediamenti dei branchi di mammiferi selvatici<br />
e domestici.<br />
Indipendentemente dal mio fabbisogno alimentare,<br />
posso dichiarare che gli insetti più belli e spettacolari<br />
restano, anche in montagna, le farfalle, i lepidotteri.<br />
Ce ne sono di diverse specie, piccole e grandi, di media<br />
o alta montagna. Alcune sono migratrici, altre ibernano<br />
sotto i tetti delle baite o all’interno delle stalle, altre ancora<br />
superano l’inverno trasformandosi in crisalidi. Mi<br />
è permesso citare solo i nomi più importanti.<br />
Una delle prime farfalle che vedo svolazzare in primavera<br />
lungo i sentieri delle radure e dei pascoli è la vanessa<br />
dell’ortica, seguita dopo poche settimane dalla splendida<br />
pavonia minore notturna. Se salgo più in alto e vedo ali<br />
bianche lucenti con magnifici ocelli rossi e punti neri,<br />
so di certo che quella farfalla è un apollo. La sua specie<br />
vola anche a 2.500 m. A questa altezza, durante la bella<br />
stagione e in pieno sole, mi capita di vedere una specie<br />
migratrice di grande effetto, lo splendido macaone.<br />
Nei prati di alta quota, circondati da abeti e larici, fino<br />
alle regioni nivali, volano le erebie, piccole farfalle marrone<br />
scuro, mentre <strong>il</strong> lepidottero più diffuso, dalla pianura<br />
alla montagna, è certamente la melitea aranciata.<br />
Mano a mano che salgono di quota, questi insetti diminuiscono<br />
di grandezza, variano di colore e hanno la<br />
tendenza a ridurre le ali. Questo per motivi climatici:<br />
<strong>il</strong> freddo, <strong>il</strong> vento, le radiazioni solari. Così sui fiori di<br />
cardo e di scabiosa aleggiano le piccole zigene, dalle ali<br />
macchiettate di rosso e nero bluastro, mentre sulle pareti<br />
rocciose e sui ghiaioni al di sopra dei 2.000 m. sono<br />
attirato dai colori tenui della piccola eneide dei ghiacciai.<br />
Quello degli insetti è un mondo non solo misterioso<br />
147
ma popolato di esseri tenaci. Sulle cime, oltre i 4.000<br />
m, dove solo <strong>il</strong> vento può recare granelli di polvere organica,<br />
ho visto coi miei occhi saltellare una pulce, la<br />
pulce dei ghiacciai.<br />
Ancora qualche colpo d’ala e <strong>il</strong> mio capolinea è in vista.<br />
Ma prima che <strong>il</strong> mio attimo fuggente si consumi voglio<br />
ricordare con rispetto quei selvatici che fino a qualche<br />
secolo fa vivevano qui e che ora sono chiamati «gli<br />
estinti». Grossi conflitti di interessi erano sorti fra loro<br />
e gli uomini per via dell’occupazione territoriale, e le<br />
disfide, ad armi impari, si conclusero con una radicale<br />
soppressione dei presenti sul campo. Parlo dell’orso, del<br />
lupo e della lince. Tuttavia in riferimento a quest’ultima<br />
devo raccontare un episodio accadutomi l’anno scorso.<br />
Mentre volavo a bassa quota, per diporto, facendo l’altalena<br />
sui passi dell’Alpe Veglia, mi era parso di vedere<br />
mollemente sdraiato al sole, su una piattaforma rocciosa,<br />
un grosso gattone dal pelo maculato. Ripassai più<br />
volte sull’obiettivo. Più che mai immob<strong>il</strong>e, notai lunghi<br />
ciuffi sulle orecchie, una coda corta, e incuriosito<br />
gli sfrecciai sopra con un grido acuto per attirare la sua<br />
attenzione. Il gattone allora alzò <strong>il</strong> capo e mi fece segno<br />
di un lungo sguardo di valutazione: no, non gli interessavo<br />
come preda. Io, però, ebbi <strong>il</strong> tempo di osservare i<br />
suoi grandi occhi, <strong>il</strong> suo sguardo penetrante e dorato e<br />
dedussi che quel morbido gattone altri non poteva essere<br />
che una lince. Da allora sentii insistentemente vociferare<br />
che qualche esemplare era venuto fra noi dalla vicina<br />
Svizzera, dove è stato immesso da quelli che si chiamano<br />
scienziati ecologici, quelli che sono convinti che<br />
questo grosso felino facendo piazza pulita degli animali<br />
deboli o ammalati, stronchi sul nascere le grandi epidemie.<br />
Chissà se anche quest’anno mi capiterà di ritrovarlo<br />
là tra cielo e roccia!<br />
A proposito di certe nuove interpretazioni e variazioni<br />
sul riassetto ecologico, ho sentito dire che stanno sperimentando<br />
un innesto artificiale di due specie i cui rappresentanti<br />
non si vedevano più da molto tempo da<br />
queste parti: <strong>il</strong> cinghiale e <strong>il</strong> lupo.<br />
Il primo è un suino ingrandito e rinforzato con zanne,<br />
grifo e setole e con una propulsione da carro arma-<br />
148<br />
to. Le sue zanne sono erpici che rivoltano qualsiasi suolo,<br />
prato, pascolo, orto. Già lo incolpano di devastare i<br />
campi, aiutato in questo dalla ruspante prole che si fa<br />
più numerosa ad ogni stagione. Per <strong>il</strong> secondo, <strong>il</strong> lupo,<br />
la faccenda è più delicata. D’accordo che non attacca<br />
1’uomo, sopratutto se è armato di bastone, ma le vittime<br />
designate sono le povere pecore e capre, libere sui<br />
pascoli alti. Prevedo <strong>il</strong> riaccendersi dell’antico conflitto<br />
dove armi tonanti e micidiali trappole opereranno lo<br />
sterminio di queste due specie scomode che hanno perso<br />
<strong>il</strong> loro spazio vitale in questa nostra Valle ormai densamente<br />
antropizzata. Dall’alto dei miei voli di ricognizione<br />
vedo chiaramente tutto questo e me ne dolgo per<br />
questi miei lontanissimi parenti e mi consola <strong>il</strong> fatto<br />
che almeno <strong>il</strong> mio spazio, quello aereo, è ancora vivib<strong>il</strong>e,<br />
senza alcuna limitazione.<br />
Ora <strong>il</strong> mio tempo è davvero scaduto. A chiusura di questo<br />
reportage chiedo una breve licenza, pochi istanti per<br />
sgranchirmi le ali in quest’aria frizzante. Salgo di getto,<br />
su su nel cielo azzurro e infinito. «M’<strong>il</strong>lumino d’immenso»<br />
come dice un poeta. Stop, rientro in picchiata<br />
e scendo di quota in vista del mio nido. La mia compagna<br />
lo ha già riassettato e mi sollecita impaziente. Ci<br />
aspetta un’estate piena zeppa di impegni alimentari e<br />
faticose trasferte ma anche di soddisfazioni. A settembre,<br />
quando i nebbioni scendendo più in basso faranno<br />
intirizzire le ali agli insetti e li scacceranno, sarà tempo<br />
di migrare.<br />
Allora anch’io me ne andrò nel paese dove <strong>il</strong> sole è a<br />
picco sulle nostre teste e l’aria è densa di insetti ronzanti.<br />
Ma una cosa sia chiara: ovunque andrò mi sentirò<br />
uno sfollato, perché <strong>il</strong> mio cuore resterà qui, dove<br />
sono le mie radici, dove sono nato e nascono i figli e i<br />
figli dei miei figli.<br />
Sono pienamente consapevole che questo mio resoconto<br />
sia per molti versi in<strong>completo</strong>. «Tempus fugit» anche<br />
per noi, creature del cielo e poi è per via di quella frenesia<br />
che ho nelle ali. A mia discolpa dirò che, se mi sarà<br />
data l’opportunità, ci riproverò meglio la prossima volta.<br />
Intanto prego di considerare due fatti. Primo che ho<br />
cercato di mettercela tutta, secondo che, alla fine, sono<br />
soltanto un rondone alpino.
I parchi e le riserve naturali<br />
Paolo Crosa Lenz<br />
Dai fondovalle densamente abitati alle vette delle montagne<br />
coperte di ghiacci. Tra questi estremi incontriamo<br />
<strong>il</strong> verde di grandi foreste, le distese d’erba delle praterie<br />
alpine, le grandi pareti di roccia che si innalzano al cielo.<br />
Effervescenza di colori in una natura ancora in larga<br />
parte incorrotta.<br />
E’ un mondo in equ<strong>il</strong>ibrio tra l’ambiente dolce dei laghi<br />
prealpini e le grandi montagne delle Alpi (innanzitutto<br />
<strong>il</strong> Monte Rosa, la seconda montagna d’Europa, poi una<br />
catena ininterrotta di vette dalle Pennine alle Lepontine).<br />
Dai limoni che crescono rigogliosi sulle sponde dei<br />
laghi (e dagli uliveti del Monte Rosso fra Intra e Pallanza)<br />
ai ghiacciai dell’Ossola: lago, collina e montagna.<br />
Sono due i valori ambientali dell’Ossola: la multiforme<br />
varietà di habitat coesistenti in un’area ristretta e la presenza<br />
di molte aree in cui questi hanno conservato un<br />
equ<strong>il</strong>ibrio antico tra uomo e natura. Grandi respiri di<br />
armonia in una zona antropizzata da m<strong>il</strong>lenni.<br />
In questi ultimi quarant’anni anni l’istituzione di aree<br />
naturali protette ha contribuito a definire e consolidare<br />
un sistema di parchi che costituiscono una carta importante<br />
nel disegno futuro di un modello di sv<strong>il</strong>uppo<br />
del territorio.<br />
Non è solo la quantità di territorio tutelato, ma soprattutto<br />
la qualità di esso che definisce l’importanza dell’Ossola<br />
nell’ambito del sistema nazionale delle aree<br />
protette. E la qualità è data dal Parco Nazionale della<br />
Valgrande, l’area w<strong>il</strong>derness più estesa d’<strong>It</strong>alia e una<br />
delle maggiori in Europa, e dal Parco Naturale dell’alpe<br />
Veglia e dell’Alpe Devero, due gioielli delle Alpi in cui<br />
si riconoscono un’armonia assoluta tra <strong>il</strong> secolare lavoro<br />
dell’uomo-montanaro e un ambiente naturale intatto.<br />
Se la Valgrande è <strong>il</strong> selvaggio, la foresta che riprende<br />
un dominio assoluto sulla montagna, Veglia e Devero<br />
sono l’equ<strong>il</strong>ibrio, un modello di uso ecocompatib<strong>il</strong>e<br />
delle risorse e di armonia con l’ambiente.<br />
La Valgrande e Veglia-Devero (i due p<strong>il</strong>astri del sistema<br />
di aree protette dell’Ossola) rappresentano due dimensioni<br />
differenti di una stessa realtà: la Valgrande (cupa,<br />
incassata, opprimente, che si libera solo sulle creste in<br />
ampi sguardi lontani) rappresenta la fatica di penetrare<br />
una natura selvaggia, misteriosa, inafferrab<strong>il</strong>e; Veglia e<br />
Devero (estese praterie alpine d’alta quota, pascoli rigogliosi,<br />
immense giogaie battute dal vento) rappresentano<br />
l’integrazione di natura e cultura.<br />
La storia delle sei aree naturali protette dell’Ossola comincia<br />
da lontano, oltre vent’anni prima che lo Stato si<br />
dotasse, nel 1991, della legge quadro sui Parchi.<br />
Nel 1969 l’allora Ministero dell’Agricoltura istituì l’Oasi<br />
Faunistica di Macugnaga, su un’area di 27,5 kmq nell’ampio<br />
anfiteatro montuoso del versante orientale del<br />
Monte Rosa.<br />
L’Oasi Faunistica, la prima area naturale protetta dell’Ossola,<br />
nacque anche grazie al sostegno delle associazioni<br />
venatorie locali, al fine di favorire la reintroduzione<br />
dello stambecco, ormai quasi scomparso sulle Alpi.<br />
Gli esemplari liberati nell’arco di più anni provenivano<br />
dalla Valsavaranche, nel Parco del Gran Paradiso, dove<br />
viveva una delle ultime colonie delle Alpi. Trovando<br />
idonee condizioni ambientali, gli stambecchi si sono in<br />
seguito riprodotti colonizzando l’alta Valle Anzasca e la<br />
Valle Antrona. Attualmente si stimano circa 120 esemplari<br />
solo a Macugnaga.<br />
Nel 1978 la Regione Piemonte istituisce <strong>il</strong> Parco Naturale<br />
dell’alpe Veglia. E’ <strong>il</strong> primo parco regionale istituito<br />
in Piemonte.<br />
L’alpe Veglia, alla testata della Val Cairasca, è una conca<br />
alpina di origine glaciale circondata da una catena<br />
di monti che costituiscono <strong>il</strong> lembo occidentale delle<br />
Alpi Lepontine (<strong>il</strong> Monte Leone 3553 m ne è la vetta<br />
149
maggiore; nel suo grembo corre <strong>il</strong> tunnel ferroviario del<br />
Sempione). L’alpe Veglia è anche luogo di insediamenti<br />
antichissimi. Recenti scavi archeologici hanno scoperto<br />
i resti di un accampamento di cacciatori nomadi del<br />
Mesolitico, risalente all’VIII M<strong>il</strong>lennio a.C.<br />
L’ambiente dell’alpe Veglia è quello tipico dell’alta montagna,<br />
sebbene <strong>il</strong> fondo pianeggiante della conca rientri<br />
ancora entro <strong>il</strong> limite della vegetazione arborea. I boschi,<br />
radi e con sottobosco di rododendri e mirt<strong>il</strong>li, che<br />
si sv<strong>il</strong>uppano attorno alla piana dell’alpe si spingono<br />
con le frange superiori fino a 2200 metri di quota e<br />
sono costituiti da larici, con rari esempi di pino uncinato<br />
e abete rosso.<br />
È tuttavia <strong>il</strong> pascolo l’elemento dominante <strong>il</strong> paesaggio<br />
di Veglia. La grande piana del Vaccareccio e i pascoli di<br />
Pian Stalaregno (con le baite e le stalle di Cà d’Argnai) e<br />
Pian di Scricc sono destinati ai bovini. In Veglia vengono<br />
monticati essenzialmente bovini di razza bruna particolarmente<br />
adatti ai pascoli d’alta quota in quanto di<br />
notevole rusticità e con attitudine da carne e da latte.<br />
Frutto di un’attività dell’uomo durata m<strong>il</strong>lenni e che ha<br />
strappato ai lariceti e agli arbusteti la piana basale, i pascoli<br />
sono la ricchezza e la fortuna di Veglia. Il loro valore<br />
paesaggistico ed economico (nei secoli scorsi venivano<br />
caricati oltre m<strong>il</strong>le bovini) è dovuto ad un uso razionale<br />
della pastorizia che ha saputo realizzare un complesso<br />
e sapiente equ<strong>il</strong>ibrio con l’ambiente naturale. Veglia,<br />
così com’è, è <strong>il</strong> risultato del lavoro dell’uomo, della<br />
fatica di generazioni infinite di montanari che hanno<br />
spietrato e irrigato i pascoli, canalizzato le acque, regolato<br />
la crescita del bosco, costruito sentieri ed edificato<br />
baite e stalle. In Veglia tuttavia l’azione antropica<br />
è stata nel complesso ridotta: le forze della natura sono<br />
state sempre prevalenti ed hanno fatto di questo territorio<br />
un paradiso della natura in cui hanno vissuto degli<br />
uomini.<br />
Le diffic<strong>il</strong>i condizioni ambientali e l’accesso impervio<br />
hanno sempre limitato l’insediamento umano al periodo<br />
estivo. Veglia è sempre rimasto un “alpe” nel senso<br />
tradizionale del termine, cioè una sede temporanea e<br />
terminale nel complesso itinerario di transumanza dai<br />
centri di fondovalle ai pascoli alti. Ai bordi della va-<br />
Dal rifugio della Bocchetta di Campo in Val Grande al Monte Rosa.<br />
sta piana erbosa, detta Vaccareccio, si distribuiscono sei<br />
nuclei di abitazioni: Cianciavero, Aione, Ponte, Isola,<br />
Cornù e, leggermente discosto alle pendici del Pian Stalaregno,<br />
La Balma. I gruppi di casolari, armonicamente<br />
inseriti nell’ambiente, sono posti su un’unica curva<br />
di livello con <strong>il</strong> fronte rivolto al pascolo. La grigia pietra<br />
locale è <strong>il</strong> materiale costruttivo dominante per cui le<br />
baite e le stalle si confondono con i massi erratici, i dirupi<br />
e le grandi pareti delle montagne. Tutto attorno è<br />
<strong>il</strong> verde dei pascoli.<br />
Pascoli e praterie alpine in cui i naturalisti hanno riconosciuto<br />
319 specie botaniche, di cui <strong>il</strong> 22 % considerate<br />
rare e quattro (Gentiana brachyphylla, Astragalus<br />
leontinus, Kobrenia simpliciscula e Arabis) vengono considerate<br />
rarissime.<br />
Nel 1990 la Regione Piemonte istituisce <strong>il</strong> Parco Naturale<br />
dell’Alpe Devero, contiguo a quello di Veglia.<br />
L’alpe Devero si trova alla testata dell’omonima valle<br />
che scende, quasi parallela ma con uno sv<strong>il</strong>uppo minore<br />
della Val Cairasca, ad innestarsi nel tronco della Valle<br />
Antigorio all’altezza di Baceno.<br />
La valle percorsa dal torrente Devero è molto interessante<br />
dal punto di vista morfologico per le profonde<br />
forre di incisione fluvio-glaciale e per la presenza dei<br />
valloni laterali pens<strong>il</strong>i (Bondolero, Buscagna, Codelago<br />
ed Agaro). Tutta la valle è uno stupendo <strong>libro</strong> aperto<br />
scritto dalla natura per raccontarci la storia delle Alpi e<br />
<strong>il</strong>lustrato dai colori di un ambiente mai monotono.<br />
L’alluvium, <strong>il</strong> terreno di riporto che forma la base di pascoli<br />
e praterie, è diffuso e costituisce <strong>il</strong> fondo della conca<br />
di Devero, di Buscagna, di Codelago (oggi ricoperta<br />
dalle acque del bacino artificiale) e di Agaro. L’ambiente<br />
è quello dell’alta montagna: boschi di larici e abeti<br />
con sottobosco di mirt<strong>il</strong>li e rododendri, pascoli e alpeggi,<br />
praterie alpine fino contro le rocce, immense sassaie,<br />
picchi arditi e creste aff<strong>il</strong>ate.<br />
Come Veglia, Devero è sempre stato un alpeggio (alp<br />
nel dialetto locale). In piena estate vi avveniva uno sfalcio<br />
d’erba mentre le mandrie pascolavano sui pascoli<br />
alti di Buscagna, di Sangiatto, dei Forni.<br />
A differenza di Veglia, aperta nella conca vastissima e<br />
racchiusa da un ampio circolo di montagne che non<br />
151
Domodossola, la Riserva Naturale del Sacro Monte Calvario.<br />
conservano segreti, Devero appare più contenuto e quasi<br />
schiacciato dai grandi monti che sovrastano l’alpe.<br />
La sua morfologia, molto più articolata e complessa di<br />
quella di Veglia, nasconde tuttavia ampi spazi e grandi<br />
distese d’erba nelle valli laterali e sui piani alti. Se Veglia<br />
suscita lo stupore di chi scopre per la prima volta la<br />
vastità del suo Vaccareccio, Devero rivela in alto la sua<br />
grandezza: nell’asprezza delle sue montagne, dominio<br />
incontrastato del camoscio; nelle distese verdi dei pascoli<br />
sparsi sulle innumerevoli balconate; nelle praterie<br />
alpine che salgono al cielo e ospitano cospicue colonie<br />
di marmotte; nelle grandi distanze su cui corrono i sentieri<br />
(è <strong>il</strong> regno del grande escursionismo); negli specchi<br />
raccolti dei suoi laghetti in cui vivono <strong>il</strong> tritone alpestre<br />
e la rana temporaria.<br />
Le praterie alpine in estate offrono un’occasione unica<br />
per conoscere un quadro <strong>completo</strong> della flora alpina<br />
occidentale. Il Monte Cervandone (m 3211) è <strong>il</strong> cuore<br />
di un distretto mineralogico tra i più ricchi d’<strong>It</strong>alia. Sui<br />
monti di Devero sono conosciute 127 specie diverse di<br />
152<br />
minerali, tra cui sette nuove specie rinvenute qui per la<br />
prima volta in natura. Sul solido e compatto serpentino<br />
della Rossa e del Crampiolo si è sv<strong>il</strong>uppata la moderna<br />
arrampicata in Ossola e ancora oggi queste montagne<br />
costituiscono uno straordinario terreno di gioco<br />
per l’alpinismo classico.<br />
Nel 1995 i due Parchi vengono riuniti sotto un unico<br />
ente di gestione: <strong>il</strong> Parco Naturale Veglia Devero. Il<br />
Parco, nelle Alpi Lepontine occidentali al confine tra<br />
<strong>It</strong>alia e Svizzera, tutela una superficie di 86 kmq (più<br />
22,5 kmq di “zona di salvaguardia” in Devero). Il territorio<br />
è tipicamente alpino con un’altitudine tra i 1600<br />
e i 3500 m. Il territorio tutelato è compreso nei comuni<br />
di Baceno, Crodo, Varzo e Trasquera. Compiti principali<br />
del Parco Naturale sono la conservazione della biodiversità<br />
e la promozione di uno sv<strong>il</strong>uppo sostenib<strong>il</strong>e<br />
delle comunità locali. Questa azione avviene in rete con<br />
le altre 280 aree protette delle Alpi.<br />
Nel 1991 la Regione Piemonte istituisce la Riserva Naturale<br />
Speciale del Sacro Monte Calvario di Domodos-
sola su una superficie di 25 ettari. Il complesso devozionale<br />
sorge sul colle di Mattarella, un’altura sovrastante<br />
la città di Domodossola, dove in origine sorgeva un castello<br />
con origini anteriori all’anno M<strong>il</strong>le, distrutto nel<br />
1415 dalle truppe vellesane scese a conquistare l’Ossola.<br />
Su proposta di due frati del convento cappuccino<br />
di Domodossola nel 1657 iniziarono i lavori di edificazione<br />
del Santuario del Santissimo Crocifisso e della<br />
Via Crucis, dedicata alla passione di Cristo e costituita<br />
da quindici stazioni, di cui tre contenute nel Santuario.<br />
Al Calvario di Domodossola, considerato dagli studiosi<br />
come “<strong>il</strong> complesso architettonico e plastico più importante<br />
di tutta l’Ossola”, hanno lavorato grandi artisti<br />
tra cui gli statuari Dionisio Bussola e Giuseppe Rusnati<br />
e i pittori Giovanni Sanpietro e Lorenzo Peracino. L’arrivo<br />
al Calvario domese di Antonio Rosmini (febbraio<br />
1828) determinò un rifiorire della devozione popolare.<br />
Nel 1863 vi si stab<strong>il</strong>ì l’istituto religioso rosminiano che<br />
fece diventare l’edificio eretto nel 1700 accanto al santuario<br />
un centro di formazione e di spiritualità.<br />
Sulla montagna sovrastante <strong>il</strong> Calvario sono situati antichi<br />
borghi rurali oggi abbandonati che si inseriscono<br />
armonicamente nei boschi misti di latifoglie a predominanza<br />
di castagno. Un sentiero natura (“La via dei torchi<br />
e dei mulini”) permette visite autoguidate per la conoscenza<br />
di questa dimensione della civ<strong>il</strong>tà rurale montana<br />
dell’Ossola.<br />
Il Parco Nazionale della Valgrande, inserito nella legge<br />
quadro sui parchi nazionali del 1991, è stato istituito<br />
con decreto del Ministero dell’Ambiente nel marzo<br />
1992 su una superficie di 11733 ettari. È <strong>il</strong> secondo<br />
parco nazionale del Piemonte (dopo quello storico<br />
del Gran Paradiso) ed è <strong>il</strong> riconoscimento, da parte del<br />
Parlamento, che la Valgrande è un bene di grande valore<br />
per tutta l’<strong>It</strong>alia (e per l’Europa). Il territorio del parco<br />
nazionale comprende i bacini idrografici del Rio Valgrande<br />
e del Rio Pogallo, confluenti a valle di Cicogna<br />
nel torrente San Bernardino che sfocia nel Lago Maggiore<br />
a Intra. E’ una valle chiusa, circondata da montagne<br />
non alte (la vetta più alta è <strong>il</strong> Togano, m 2301) che<br />
trova <strong>il</strong> suo unico sbocco nella grande forra a sud di Cicogna.<br />
Racchiusa e definita tra Ossola, Vigezzo e Cannobina<br />
e <strong>il</strong> bacino del Lago Maggiore a sud, può essere<br />
immaginata come un grande cuore con <strong>il</strong> ventricolo si-<br />
nistro (la Valgrande vera e propria) più grande del destro<br />
(la Val Pogallo).<br />
Il valore w<strong>il</strong>derness del parco, cioè la sua natura selvaggia,<br />
nasce dall’assenza, a partire dagli anni ‘50, di ogni<br />
attività antropica sul suo territorio. Dopo secoli di intenso<br />
sfruttamento da parte di boscaioli, carbonai e alpigiani,<br />
questi ultimi cinquant’anni hanno visto <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio<br />
tornare nella valle. E la natura riprendere liberamente<br />
<strong>il</strong> suo corso, riappropriandosi del territorio. E la<br />
foresta, le “immense foreste piantate da Adamo”, coprire<br />
tutto: sentieri e mulattiere, pascoli e casère, teleferiche<br />
e aie carbon<strong>il</strong>i. Qua e là, sommersi da rovi e lamponi<br />
o ingoiati dal bosco, riemergono i segni di quella<br />
civ<strong>il</strong>tà montanara che per secoli è cresciuta in simbiosi<br />
con un ambiente tanto aspro e impervio.<br />
L’importanza del parco è anche in questo. La Valgrande<br />
è un’idea: l’idea del selvaggio, di una natura incorrotta<br />
e libera di seguire le sue leggi. E’ una presenza ancestrale,<br />
sopita in ognuno di noi, che riafferma prepotente la<br />
sua esistenza. “Un’isola sopravvissuta all’incalzare della<br />
civ<strong>il</strong>tà” per dirla con Franco Zunino.<br />
Proprio qui, nel 1967, su un’area di 973 ettari, fu istituita<br />
la “riserva naturale integrale del Pedum”, la prima<br />
delle Alpi.<br />
Completano <strong>il</strong> panorama delle aree protette dell’Ossola<br />
le Oasi Naturali del Bosco Tenso e di Pian dei Sali.<br />
L’oasi naturale didattica del Bosco Tenso, istituita nel<br />
1990 dal comune di Premosello Chiovenda con la collaborazione<br />
della sezione di Verbania del WWF, tutela<br />
l’ultimo residuo del bosco planiziale della valle del<br />
Toce. E’ un tipico bosco igrof<strong>il</strong>o (querco carpineto), residuo<br />
dei grandi boschi che un tempo occupavano l’Ossola,<br />
abbattuti per far posto alle coltivazioni già a partire<br />
dal XII secolo. L’area acquista r<strong>il</strong>ievo naturalistico per<br />
la presenza di una ricca avifauna (40 specie nidificanti e<br />
127 svernanti o di passo).<br />
Il Bosco Tenso era “tensato”, cioè soggetto a vincoli già<br />
nel 1572 (Statuti di Premosello). Essendo sulla riva del<br />
Toce, salvava le coltivazioni dalle piene del fiume. Anche<br />
nei bandi comunali del 1833 <strong>il</strong> Bosco Tenso era<br />
protetto, anche perchè <strong>il</strong> comune potesse approvvigionarsi<br />
di legna con cui riscaldare la scuola e <strong>il</strong> municipio.<br />
Scopo dell’Oasi è di proteggere l’ambiente naturale con<br />
una gestione che mantenga, migliori e rinnovi <strong>il</strong> patri-<br />
153
Immagini del Parco Naturale Veglia - Devero.<br />
monio boschivo, consentendone un ut<strong>il</strong>izzo didattico<br />
lungo sentieri attrezzati con pannelli esplicativi.<br />
L’Oasi Naturale del Pian dei Sali, istituita nel 1998 dai<br />
comuni di Malesco e V<strong>il</strong>lette e dal WWF Verbania, tutela<br />
un tipico ambiente umido di montagna. L’anfibio<br />
più diffuso è sicuramente la Rana temporaria, di colore<br />
bruno-arancione macchiata di scuro. E’ tipica degli am-<br />
154<br />
bienti umidi e si spinge anche fino a 2500 metri e più di<br />
altitudine. Ecco l’Ossola verde. Un territorio dove <strong>il</strong> respiro<br />
della natura è ancora presente e vitale e dove si coniugano<br />
armonicamente la civ<strong>il</strong>tà antica e sapiente dell’uomo-montanaro<br />
con <strong>il</strong> rispetto dell’ambiente. Questo<br />
ambiente che, con la funzione propositiva e di sperimentazione<br />
gestionale del “sistema” dei parchi, può<br />
dare molto agli uomini di oggi.
La Cultura
Ossolani <strong>il</strong>lustri<br />
Angela Preioni Travostino<br />
ADORNA FRANCESCO SAVERIO, aeronauta<br />
V<strong>il</strong>lette 1744 - Bordeaux 1821<br />
Figlio di Giacomo e di Margherita Piffero. Emigrò ragazzino<br />
all’estero in cerca di lavoro e più tardi, attratto<br />
dalle scienze fisiche e dalle novità del tempo, si dedicò<br />
allo studio della nascente aeronautica. Pare che nel<br />
1780, prima dei fratelli Montgolfier, avesse costruito a<br />
Strasburgo un grosso pallone aerostatico con cui poi si<br />
levò su alcune città europee. Stab<strong>il</strong>itosi a Bordeaux non<br />
dimenticò <strong>il</strong> paese nativo al quale donò la casa paterna<br />
perché vi fossero ospitate le scuole elementari, ed alla<br />
parrocchia un ostensorio con inciso <strong>il</strong> proprio nome.<br />
ALBERTAZZI GIACOMO ANTONIO,<br />
scrittore didascalico, giureconsulto<br />
Vogogna 1736 - ivi 1793<br />
Figlio del giureconsulto Giulio Maria e di Anna Romerio,<br />
studiò a M<strong>il</strong>ano nelle scuole Palatine di Brera lettere,<br />
f<strong>il</strong>osofia e diritto. Tornato a Vogogna fu Luogotenente<br />
del Podestà ed esercitò <strong>il</strong> pubblico patrocinio. Essendo<br />
l’Ossola passata al Regno di Sardegna si perfezionò<br />
nello studio delle leggi sabaude ottenendo la laurea<br />
all’Università di Torino. Seguì interessi culturali di genere<br />
scientifico-didascalico che espresse ne Il Padre di<br />
famiglia in sette libri dedicati alla coltura della terra, alla<br />
farmacopea domestica, alla caccia e alla pesca e alla pace<br />
in famiglia. L’opera fu pubblicata a Vercelli nel 1789 e<br />
ristampata a M<strong>il</strong>ano nel 1829.<br />
ALLEGRANZA PIETRO, giornalista, canonico<br />
Vagna 1800 - Montescheno 1874<br />
Figlio del notaio Giuseppe Maria e di Rosalia Giuppa.<br />
Compiuti gli studi classici e teologici in seminario, fu<br />
ordinato sacerdote e insegnò lettere nei seminari della<br />
diocesi di Novara. Studioso di cose ossolane, comp<strong>il</strong>ò<br />
una storia che restò inedita. Canonico della Collegiata<br />
di Domo difese i diritti del Capitolo ed i priv<strong>il</strong>egi ossolani;<br />
giornalista battagliero e instancab<strong>il</strong>e, diresse L’Ossolano<br />
fra <strong>il</strong> 1845 e <strong>il</strong> 1848, scrisse di politica con spirito<br />
di parte, ma anche di religione e di storia. Nei suoi ultimi<br />
anni lasciò Domo e l’attività giornalìstica per fare<br />
<strong>il</strong> parroco a Montescheno, in valle Antrona, costrettovi<br />
da disposizione vescov<strong>il</strong>e.<br />
ALVAZZI DEL FRATE COSTANTINO, medico<br />
Varzo 1850 - ivi 1920<br />
Figlio del geom. Benedetto e di Monica Rigacci. Studi<br />
classici in Collegi Rosminiani e laurea in medicina<br />
nel 1873. Esercitò la professione a Domo, a Torino e<br />
dal 1893 diresse l’Ospedale Civico di Sanremo. Scrisse<br />
una monografia sulla cura dei lebbrosi e L’acqua minerale<br />
dell’Alpe Veglia, studio ricco di dati scientifici per la<br />
valorizzazione delle acque minerali ossolane.<br />
ANTONIETTI MARIA GIOVANNA, religiosa<br />
Baceno 1809 - Borgomanero 1872<br />
Figlia di Martino e di Angela Scavini. Per vocazione religiosa<br />
si rivolse all’abate Rosmini che la inviò a studiare<br />
e a fare <strong>il</strong> noviziato a Locamo, destinandola poi a dirigere<br />
l’as<strong>il</strong>o di Biella. Per le doti eccezionali di prudenza,<br />
um<strong>il</strong>tà, fortezza cristiana e sagacia amministrativa dimostrate,<br />
<strong>il</strong> Rosmini la nominò Superiora Generale dell’Ordine<br />
delle Suore della Provvidenza da lui fondato.<br />
ARCARDINI ALESSANDRO, avvocato<br />
Piedimulera 1895 - Domodossola 1992<br />
Figlio di Rocco e di M. Luigia Coursi, vallesana. Studi<br />
classici al Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />
a Torino. Ufficiale del genio e aviatore nella 1 a guerra<br />
mondiale, ottenne la croce di guerra ed <strong>il</strong> distintivo<br />
d’onore. Durante la br<strong>il</strong>lante carriera forense a Torino,<br />
nel 1944 difese gli avvocati Brosio e Fusi che, con ab<strong>il</strong>i-<br />
157
tà dialettica, sottrasse alla pena capitale richiesta dal Tribunale<br />
fascista e toccata invece agli sfortunati eroi fuc<strong>il</strong>ati<br />
al Martinetto. Dal 1945 continuò la professione a<br />
Domodossola e accettò con grande disponib<strong>il</strong>ità la carica<br />
di presidente della Fondazione Galletti, dell’Azienda<br />
Autonoma di Bognanco, della Pro Domo e della 2 a<br />
Esposizione italo-svizzera del 1950. Fu anche sostenitore<br />
del r<strong>il</strong>ancio del Sempione mediante <strong>il</strong> collegamento<br />
stradale con Genova (autostrada Voltri-Sempione).<br />
Collaborò al buon andamento di enti morali e culturali<br />
con competenza e attiva partecipazione. Per i disinteressati<br />
incarichi umanitari fu nominato grand’ufficiale<br />
della Repubblica.<br />
AZZARI GIUSEPPE ANTONIO, patriota<br />
Re 1767 - Bicocca di Novara 1796<br />
Figlio dei vigezzini Giuseppe Antonio di Re e di M.<br />
Anna Ravelli di Albogno. Studi classici e laurea in giurisprudenza<br />
a Pavia, ove abbracciò ideali repubblicani<br />
che propagandò a Pallanza, luogo di residenza della famiglia,<br />
da anni dedita a fruttuosi commerci, e in Valle<br />
Vigezzo fra parenti e amici. Con <strong>il</strong> nome di Giunio<br />
Bruto fu a capo di un movimento rivoluzionario che,<br />
nell’autunno 1796 tentò l’insurrezione antimonarchica.<br />
Catturato dalle forze regie per delazione, fu condannato<br />
a morte e impiccato a Novara nei pressi della Bicocca.<br />
BAGNOLINI ATTILIO,<br />
Medaglia d’oro al valore m<strong>il</strong>itare<br />
V<strong>il</strong>ladossola 1913 - Mai Ceu (Etiopia) 1936<br />
Alpino del btg. Intra del IV Reggimento, combattente<br />
in Africa Orientale durante la guerra italo-etiopica<br />
(1935-36), difese da ferito la postazione di Passo<br />
Macan, nella battaglia cruciale di Mai Ceu o del lago<br />
Ascianghi, poi con sacrificio della vita sventò <strong>il</strong> tentativo<br />
di accerchiamento dell’esiguo gruppo dei compagni<br />
d’armi. In V<strong>il</strong>ladossola è ricordato con l’intitolazione<br />
della Scuola Media e con un monumento. Un sommergib<strong>il</strong>e<br />
della Marina M<strong>il</strong>itare porta <strong>il</strong> suo nome.<br />
BALCONE GIOVAN BATTISTA, benefattore<br />
S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />
Sacerdote presso la Parrocchia di Zornasco, ricco, br<strong>il</strong>lante<br />
e di scarsa pratica religiosa. Mutò condotta e si ridusse<br />
a vivere poveramente e in penitenza. Eresse un<br />
158<br />
ospedaletto nel quale raccolse derelitti e mendicanti.<br />
BALLARINI GIORGIO, ingegnere, giornalista<br />
Livorno 1903 - Domodossola 1987<br />
Figlio dell’ing. Giovanni e di Clori Solari. Domese<br />
d’adozione essendovi giunto fin dal 1928, diresse la<br />
Ferrovia Vigezzina per un quarantennio. Negli anni del<br />
conflitto bellico si accostò al Partito Socialista e durante<br />
i «quaranta giorni di libertà» fu membro della Giunta<br />
Provvisoria di Governo con <strong>il</strong> compito di far funzionare<br />
i trasporti interni all’Ossola e particolarmente quelli<br />
internazionali diretti nel Vallese e nel Canton Ticino.<br />
Nel 1945 rientrato dalla Svizzera, dove si era rifugiato<br />
dopo la rioccupazione tedesca, fu eletto dal C.L.N. sindaco<br />
di Domodossola, carica che tenne fino alle prime<br />
elezioni. Continuò l’impegno politico fondando e dirigendo<br />
<strong>il</strong> giornale settimanale Il Risveglio Ossolano, e<br />
scrivendo gli articoli di prima pagina in favore di battaglie<br />
sociali. Colto, amante dell’arte, visitò tutti i continenti<br />
per conoscerne anche gli aspetti politici, sociali<br />
e organizzativi.<br />
BALZARDI ANGELO, scultore<br />
Antrona 1892 - Torino 1974<br />
Studi artistici a Torino conclusi nel 1922 con diploma<br />
del Corso superiore di scultura. Partecipò con successo<br />
alla XIX Biennale di Venezia e alle Quadriennali di<br />
Roma. Fu titolare della Cattedra di plastica ornamentale<br />
all’Accademia Albertina. Sue opere di rinomanza:<br />
<strong>il</strong> monumento al fante a Torino; fontana per i giardini<br />
pubblici e sacrario dei caduti di Alessandria, edicole<br />
e monumenti funerari in vari campisanti, busto del<br />
contadino piemontese e la Medusa per <strong>il</strong> campo sportivo<br />
di Domo.<br />
BARATTA GIOVAN BATTISTA,<br />
ufficiale medico, oculista<br />
Orcesco di Druogno 1778 - M<strong>il</strong>ano 1851<br />
Emigrato in Francia con i genitori originari della valle<br />
Vigezzo, a Parigi si laureò in medicina e rientrò in <strong>It</strong>alia<br />
con l’armata del gen. Bonaparte, ottenne <strong>il</strong> grado di<br />
ufficiale medico del 1° Reggimento Ussari della Repubblica<br />
Cisalpina e passò in seguito alla Divisione Victor.<br />
Nel 1805 a Pavia si specializzò in chirurgia e a M<strong>il</strong>ano<br />
fu nominato dirigente del servizio sanitario presso <strong>il</strong>
Collegio M<strong>il</strong>itare. Lasciò numerose pubblicazioni: Memoria<br />
e osservazione sopra una pup<strong>il</strong>la artificiale (1809),<br />
comparsa su L’incoraggiamento di Genova, e l’opera in<br />
due volumi Osservazioni pratiche sulle principali malattie<br />
degli occhi tradotta in tedesco a Lipsia (1848). Fu<br />
membro delle Società mediche di Vienna e Lipsia.<br />
BARBETTA VENANZIO GIUSEPPE, letterato<br />
Baceno 1869 - Quinto (GE) 1910<br />
Figlio di Venanzio e di Domenica Bracchi. Studi classici<br />
al Mellerio Rosmini e laurea in lettere all’Università<br />
di Torino. Insegnante per qualche anno, bibliotecario<br />
a M<strong>il</strong>ano, poi giornalista, critico apprezzab<strong>il</strong>e, scrittore<br />
purtroppo ignorato per la sua ritrosia e modestia.<br />
Le sue opere, pervase di pessimismo esistenziale, videro<br />
la luce tra <strong>il</strong> 1888 e <strong>il</strong> 1903. Ammalato, cercò inut<strong>il</strong>e<br />
sollievo in Liguria.<br />
BARONIO ANTONIO, pittore<br />
Vogogna 1869 - Vogogna 1918<br />
Figlio di Francesco e di Domenica Moro. Dopo gli studi<br />
classici a Domo si iscrisse al Politecnico di Torino<br />
che lasciò per l’Accademia Albertina. La sua produzione<br />
pittorica molto apprezzata dai contemporanei ebbe<br />
spesso per soggetto <strong>il</strong> paesaggio ossolano.<br />
BAZZETTA GIOVANNI (NINO), storico, giornalista<br />
Novara 1880 - ivi 1951<br />
Figlio del col. Giulio, che fu m<strong>il</strong>itare a Domo e benemerito<br />
della Fondazione Galletti, e di Fanny Lampugnani.<br />
Studi classici al Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />
a Pavia. Nel 1901 esordì come giornalista nel foglio<br />
domese L’Indipendente. Nel 1905 fondò La libertà,<br />
e fu poi redattore de Il Popolo dell’Ossola (1910) e corrispondente<br />
di altri giornali, segretario alla Sottoprefettura<br />
di Domo dal 1912 al 1922, combattente valoroso<br />
nella grande guerra, segretario di Prefettura a Novara ed<br />
in seguito al Ministero del Tesoro a Roma. Appassionato<br />
di ricerche storiche, dedicò ai domesi la Storia di Domodossola<br />
e dell’Ossola Superiore (1910) frutto di decennale<br />
fatica. Trattò altri argomenti storici ossolani e pubblicò<br />
le storie di Omegna e di Novara.<br />
BELCASTRO ALFREDO, pittore<br />
Omegna 1893 - S. M. Maggiore 1961<br />
Da genitori omegnesi albergatori in Vigezzo, frequentò<br />
la scuola di belle arti Rossetti Valentini. Dopo aver partecipato<br />
alla 1 a guerra mondiale si perfezionò nella pittura<br />
a Torino e a Roma. Tornato in valle Vigezzo, iniziò<br />
l’attività pittorica acquistando consensi..Dapprima<br />
«divisionista», <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e si fece più libero e personale<br />
e tradusse in colori stati d’animo e la poesia della natura<br />
circostante.<br />
BELLI GIOVANNI, deputato, benefattore<br />
Stradella 1812 - Calasca 1904<br />
Figlio di Antonio e di Marianna Tojetti di Calasca, residenti<br />
a Stradella poi a Pavia commercianti di uve e di<br />
vini dell’Oltrepò pavese. Si laureò in fisica matematica<br />
in quell’Ateneo dove lo zio paterno era <strong>il</strong>lustre cattedratico.<br />
Sindaco di Calasca, fu eletto Deputato subalpino<br />
dal 1852 al 1861 e Consigliere provinciale. Beneficò<br />
le società operaie dell’Ossola, l’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e di Piedimulera,<br />
l’Ospedale San Biagio di Domo e soprattutto<br />
<strong>il</strong> Comune di Calasca a cui lasciò proprietà e denaro<br />
per l’istruzione, l’igiene e la viab<strong>il</strong>ità patrocinando la<br />
strada fino a Macugnaga.<br />
BELLI GIUSEPPE,<br />
fisico, professore universitario<br />
Calasca 1791 - Pavia 1860<br />
Laureato a pieni voti in fisica matematica all’Università<br />
di Pavia, nel 1843 ottenne la cattedra che fu già di Alessandro<br />
Volta presso l’Ateneo pavese. Fu <strong>il</strong> più <strong>il</strong>lustre<br />
rappresentante delle scienze fisiche in <strong>It</strong>alia fra <strong>il</strong> 1845 e<br />
<strong>il</strong> 1860. Un ricordo marmoreo è collocato sotto i portici<br />
dell’Università di Pavia.<br />
BELLI SAVERIO, botanico<br />
Domodossola 1852 -Torino 1919<br />
Figlio di Carlo che fu Deputato al Parlamento subalpino,<br />
Sindaco di Domo e capo divisione al Ministero delle<br />
Finanze, e di Giuditta S<strong>il</strong>vetti di Pallanzeno, nacque<br />
e crebbe nel Palazzo Belli (ex chiesa di San Francesco).<br />
Compiuti gli studi classici al Collegio Mellerio Rosmini,<br />
frequentò a Torino dapprima la facoltà di medicina<br />
poi quella di scienze naturali laureandosi a pieni voti<br />
nel 1887. Libero docente nel 1894, direttore dell’orto<br />
botanico e poi Ordinario all’Università di Cagliari.<br />
Compì e pubblicò studi botanici sulle crittogame e fanerogane.<br />
Fu membro di accademie scientifiche.<br />
159
BIANCHETTI CARLO, medico, agronomo<br />
Ornavasso 1788 - ivi 1840<br />
Studi classici, laurea in medicina a Pavia nel 1810. Medico<br />
condotto al paese nativo, scrisse sull’uso del solfato<br />
di chinino e sulle cure del gozzo. Studiò e scrisse anche<br />
sulla coltivazione dei gelsi, sulla viticoltura, sulle talpe<br />
e sui bachi da seta. Perché i parroci potessero aiutare i<br />
parrocchiani al corretto uso agricolo, dedicò loro <strong>il</strong> trattato<br />
Delle ut<strong>il</strong>ità di unire lo studio scientifico dell’agricoltura<br />
alle discipline ecclesiastiche.<br />
BIANCHETTI ENRICO, storico, archeologo<br />
Domodossola 1834 - Ornavasso 1894<br />
Figlio di Giovanni medico e deputato al Parlamento Subalpino<br />
e di Maria Mantellini di Varzo. Studi classici,<br />
studente a Torino alla facoltà di Giurisprudenza, ma non<br />
si laureò per dedicarsi a studi letterari, artistici, storici approfonditi<br />
con ricerche d’archivio. Diede alle stampe la<br />
pregevolissima Storia dell’Ossola inferiore in due volumi,<br />
uscita a Torino nel 1878. Scoprì, studiò e scrisse sulla necropoli<br />
gallo romana di Ornavasso e ordinò nella propria<br />
abitazione una preziosa raccolta archeologica (ora al Museo<br />
di Pallanza per decisione degli eredi). Si occupò anche<br />
di meteorologia, agricoltura e fotografia. Fu in corrispondenza<br />
con studiosi di storia suoi contemporanei ed<br />
ebbe riconoscimenti ed onorificenze. Sposò una cugina<br />
di Quintino Sella con <strong>il</strong> quale ebbe rapporti culturali.<br />
BIANCHETTI GIOVANNI ANTONIO, chimico<br />
Ornavasso 1785 - Domodossola 1854<br />
Figlio di Giovanni e di Margherita Viola. Dopo gli studi<br />
classici conseguì a Pavia la laurea in chimica farmaceutica<br />
nel 1806. Arruolatosi volontario nella Guardia<br />
d’onore del Regno <strong>It</strong>alico ebbe decorazione dal Principe<br />
Eugenio di Beauharnais. Nel 1813 fu farmacista maggiore<br />
dell’Ospedale di Venezia. Con la caduta di Napoleone<br />
tornò in Ossola e riprese gli studi di chimica lasciando<br />
dotte dissertazioni pubblicate dalla Società dei<br />
farmacisti del Regno di Sardegna.<br />
BIANCHETTI GIOVANNI, medico, politico<br />
Granerolo 1809 - Ornavasso 1890<br />
Figlio del chimico Giovanni Antonio e di Margherita<br />
Galli. Dopo gli studi classici conseguì a Torino la laurea<br />
in medicina e una specializzazione in chimica medica e<br />
160<br />
terapica a Parma. Esercitò a Domo e curò gratuitamente<br />
i carcerati. Fu sindaco del Borgo e dal 1849 Deputato<br />
al Parlamento subalpino per tre legislature.<br />
BIANCHI GENNARO, politico, teologo e letterato<br />
Domodossola 1748 - ivi 1825<br />
Appartenente a ricca famiglia borghese, figlio di Giovanni<br />
Battista e di Fiorenza Bossi. «Doctor utriusque<br />
iuris», insegnante di retorica nel Seminario di Como.<br />
Fu collega e strinse amicizia con Alessandro Volta che<br />
ospitò due volte in Domodossola quando, già famoso<br />
docente di fisica sperimentale a Pavia, era diretto a Ginevra<br />
nel 1787 e a Parigi nel 1801. Aderì alle idee innovatrici<br />
e fu a capo della Municipalità di Domo durante<br />
la 1° Repubblica Cisalpina, poi commissario del<br />
Governo <strong>It</strong>alico nell’Ossola e Delegato revisore della<br />
Cassa pagamenti della costruenda strada del Sempione.<br />
Dopo la caduta di Napoleone si ritirò a vita privata.<br />
BINDA ATTILIO, colonnello, medaglia d’argento<br />
Domodossola 09.02.1894 – Russia 20.01.1943<br />
Osservatore m<strong>il</strong>itare dell’aeronautica nelle due grandi<br />
guerre mondiali. Salvò un gruppo di alpini sul Don attirando<br />
su di sé <strong>il</strong> fuoco nemico. Gli vennero conferite<br />
due medaglie d’argento.<br />
BOITI ANTONIO, chirurgo<br />
Roma 1776 - Firenze 1827<br />
Figlio di Bartolomeo e di Domenica Novaria Todesco<br />
entrambi di Calasca emigrati a Roma. Come altri anzaschini<br />
studiò grazie agli aiuti finanziari dell’archiatra<br />
Giavina di Domo che lo volle con sé come aiuto chirurgo<br />
all’Arcispedale di S. Spirito in Roma. Nel 1803<br />
fu chiamato a Salisburgo da Ferdinando III di Lorena a<br />
prestare l’opera di chirurgo ostetrico. Dopo <strong>il</strong> Congresso<br />
di Vienna seguì a Firenze <strong>il</strong> Granduca con la carica<br />
di capo chirurgo di Corte. Scrisse note di medicina sul<br />
Giornale dei Letterati di Pisa.<br />
BOITI PAOLO, benefattore<br />
Sec. XVIII (2 a metà) – Calasca 1836<br />
Figlio di Bartolomeo e di Domenica Novaria Todesco,<br />
sacerdote, contribuì con <strong>il</strong> proprio patrimonio alla costituzione<br />
del «Monte di pietà» di Calasca. Fondò una<br />
scuola per insegnare alle figliole dagli anni cinque ai do-
dici a leggere, scrivere e imparare la Dottrina Cristiana,<br />
a cucire e a fare calzette.<br />
BONARDI BERNARDINO, scenografo, benefattore<br />
Coimo 1834 - Domodossola 1923<br />
Figlio di Giovanni e di Rosalia Pattaroni. Studiò disegno<br />
sotto la guida di pittori vigezzini poi si recò a Parigi<br />
da una zia cameriera dello scenografo Ferri da cui apprese<br />
l’arte della scenografia. Insieme lavorarono per <strong>il</strong><br />
teatro Regio di Torino. Nel 1857 <strong>il</strong> Bonardi si trasferì in<br />
Spagna dove fu attivo presso i principali teatri finché fu<br />
assunto al R. Teatro di Madrid. Nel 1890 si stab<strong>il</strong>ì definitivamente<br />
a Domo. Regalò al teatro Galletti <strong>il</strong> sipario<br />
riproducente la piazza Mercato e i costumi caratteristici<br />
delle valli ossolane, conservato nel palazzo S. Francesco.<br />
Lasciò una somma all’Ospedale S. Biagio per la<br />
cura agli ammalati di Coimo.<br />
BONARDI GIUSEPPE, benefattore<br />
Coimo 1822 - Parigi 1906<br />
Figlio di Giovanni Andrea e di Domenica Cuccioni,<br />
fece fortuna a Parigi dopo essere stato apprendista fumista.<br />
Fu tra i primi a introdurre <strong>il</strong> riscaldamento con<br />
caloriferi ad aria, ottenendo grandi profitti economici.<br />
Legò a Coimo una rendita annua per pagare cure e<br />
medicine ai poveri, uno stipendio ai maestri elementari,<br />
una dotazione di fontanelle pubbliche e buona parte<br />
della strada fra <strong>il</strong> suo paese e la statale di val Vigezzo.<br />
BONO PIETRO, benefattore<br />
Varzo 1815 - Parigi 1887<br />
Figlio di Domenico e di Maria Mazzurri. Dopo le elementari<br />
raggiunse <strong>il</strong> padre emigrato a Valence sur la Drône e<br />
con impegno e volontà si affermò nel commercio, aprendo<br />
a Parigi una casa di materiale ottico e fotografico con<br />
succursale a Buenos Aires. Fu generoso pittore lasciando<br />
vistosa somma per la costruzione dell’ospedale di Varzo e<br />
aiuti finanziari alla Pia Opera di S. Paolo di Valence.<br />
BORGNIS DOMENICO AGOSTINO, benefattore<br />
Craveggia 1799 – ivi 1843<br />
Arricchitosi con <strong>il</strong> commercio, lasciò una considerevole<br />
somma al suo paese per l’istituzione di una scuola postelementare<br />
che funzionò per oltre un decennio.<br />
BORGNIS GIUSEPPE ANTONIO,<br />
professore universitario<br />
Craveggia 1781 - Monza 1863<br />
Figlio di Giovanni banchiere a Parigi e di Maria Rossetti.<br />
Dedicatosi agli studi scientifici si laureò in ingegneria<br />
prestando poi servizio presso la Marina a Venezia<br />
dove uscì una sua pubblicazione di meccanica. Insegnò<br />
matematica applicata all’Università di Pavia divenendone<br />
nel 1843 Rettore Magnifico. Propugnò la costruzione<br />
della carrozzab<strong>il</strong>e Vigezzo-Domo e di una diramazione<br />
verso la Svizzera e <strong>il</strong> lago Maggiore. Fu membro<br />
effettivo del Regio Istituto Lombardo di Scienze,<br />
lettere e arti.<br />
BORGNIS GIUSEPPE MATTIA, pittore<br />
Craveggia 1701 - West Wycombe (Ingh<strong>il</strong>terra) 1761<br />
Figlio di Giovanni e di Antonia Borgnis. Ricevuti i primi<br />
rudimenti del disegno in Valle, imparò l’affresco e la<br />
pittura a olio a Bologna e a Venezia. Nel 1719 in Vigezzo<br />
iniziò l’attività, notevole per livello artistico e per numero<br />
di committenze, durata un trentennio. Lasciò pitture<br />
sacre e profane in chiese e case della Valle, dell’Ossola,<br />
del Canton Ticino fra cui s’impongono gli affreschi<br />
delle chiese parrocchiali di S. Maria Maggiore, Craveggia<br />
e dell’Oratorio della Madonna della Vita di Mozzio.<br />
Nel 1752 si trasferì in Ingh<strong>il</strong>terra (West Wycombe)<br />
dove propose nello st<strong>il</strong>e «augusteo» molte opere classiche<br />
della pittura italiana componendone variamente <strong>il</strong><br />
contesto. Morì cadendo da un’impalcatura.<br />
BOSSONE CARLO, pittore<br />
Savona 1904 - S. Carlo di Vanzone 1991<br />
Figlio di Raimondo e di Ines Rosa della valle Anzasca.<br />
Allievo del pittore ottocentista Vittorio Cavalieri a Torino,<br />
seguì contemporaneamente corsi serali di figura<br />
all’Accademia Albertina e fu assiduo frequentatore di<br />
musei e gallerie. I soggiorni in valle Anzasca gli fecero<br />
amare e conoscere la montagna e la vita che la circonda,<br />
che espresse nella sua pittura con scelta di forme, luci<br />
e colori non disgiunti dal sentimento. Mostre personali<br />
negli anni Trenta a Torino, M<strong>il</strong>ano, Novara, Parigi e<br />
centri del lago Maggiore lo incoraggiarono a proseguire.<br />
Lavorò come analista in miniera e poi partì per l’Ar-<br />
161
Balcone Giovan Battista, benefattore<br />
S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />
Borgnis Giuseppe Antonio, professore universitario<br />
Craveggia 1781 - Monza 1863<br />
Belli Giuseppe, fisico e professore universitario<br />
Calasca 1791 - Pavia 1860<br />
Borgnis Giuseppe Mattia, pittore<br />
Craveggia 1701 - West Wycombe 1761
gentina (1944). Dipinse con successo a Buenos Aires e<br />
nelle principali città argentine, ispirandosi all’immensità<br />
degli scenari sudamericani. Tornò nel 1949 e si stab<strong>il</strong>ì<br />
a S. Carlo di Vanzone, rinunciando a buone prospettive<br />
torinesi. Insegnò privatamente la pittura a molti allievi<br />
e tenne mostre fino al 1990.<br />
BOTTI GIUSEPPE, egittologo<br />
Vanzone 1889 - Firenze 1968<br />
Figlio di Bartolomeo e di Maria Gorini. Laureato all’Università<br />
di Torino in lettere classiche, si specializzò<br />
in egittologia studiando i papiri della collezione Drovetti<br />
sotto la guida dell’<strong>il</strong>lustre prof. Schiaparelli. Fu<br />
sovrintendente del museo archeologico di Firenze (sezione<br />
egizia) e docente di egittologia all’Università di<br />
Roma. Le sue pubblicazioni superano la settantina. Ultima<br />
fatica due volumi su L’archivio demotico con i quali<br />
inizia <strong>il</strong> catalogo del Museo Egizio di Torino. L’opera<br />
consiste nella trascrizione, traduzione, commento di<br />
papiri inediti scritti in lingua demotica di cui fu fra i<br />
maggiori esperti. Aveva anche intrapreso la traduzione<br />
di papiri conservati nel Museo Gregoriano del Vaticano.<br />
Altra opera importantissima e nota agli studiosi di<br />
tutto <strong>il</strong> mondo la traduzione dei papiri in lingua ieratica<br />
e demotica provenienti dagli scavi di Umm el Breighat.<br />
BOZZO ANGELO, benefattore<br />
Vanzone 1838 -ivi 1912<br />
Figlio di Giovan Battista e di Maddalena Bozzo, emigrò<br />
in Francia con la famiglia. Diventato ricco gestendo<br />
con altri parenti una gioielleria, lasciò notevoli somme<br />
all’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e del paese nativo, alla Congregazione di<br />
carità per pagare medicine ai poveri, all’ospedale di Novara<br />
per assicurare le cure agli indigenti di valle Anzasca<br />
e alla parrocchia per opere di bene.<br />
CABALA’ DON GAUDENZIO, sacerdote, partigiano<br />
Gravellona 1890 – Domodossola 1961<br />
Coadiutore della parrocchia di Domo fin dal 1921, poi<br />
cappellano dell’ospedale S. Biagio, fu tra i primi a dedicarsi<br />
alla Resistenza procurando mezzi ai primi nuclei<br />
armati e aiutando i giovani a sottrarsi ai bandi e<br />
alla cattura da parte di neofascisti e tedeschi. Scoperto<br />
unitamente al fratello e alla sorella esercenti in Domo<br />
<strong>il</strong> “Caffè Cabalà” che collaboravano con lui, stette alla<br />
macchia e poi si rifugiò in Svizzera nel giugno 1944.<br />
Rimpatriò <strong>il</strong> 10 settembre per assumere l’incarico di<br />
Commissario all’Istruzione nella Giunta Provvisoria<br />
di Governo, curò l’invio di circa 500 bambini ossolani<br />
in Svizzera. Alla caduta della Repubblica partigiana accompagnò<br />
a Briga due convogli di fuggiaschi e di feriti.<br />
Dopo <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e riprese l’incarico di cappellano al S.<br />
Biagio fino alla fine dei suoi giorni, avvenuta in seguito<br />
a incidente automob<strong>il</strong>istico.<br />
CALCATERRA CARLO senjor, medico, scrittore<br />
Bellinzago 1843 – Gignese 1894<br />
Medico condotto in valle Antigorio dal 1874, abitò a<br />
Premia per vent’anni, zelante e infaticab<strong>il</strong>e nel prestare<br />
la propria opera nei vari disagiati paesetti. Praticò<br />
le vaccinazioni antivaiolose vincendo i pregiudizi della<br />
popolazione e di qualche collega. Amò l’Ossola e la sua<br />
storia m<strong>il</strong>lenaria e fu autore di racconti storici, tra cui<br />
La bella ossolana (1884).<br />
CALCATERRA CARLO JUNIOR,<br />
docente universitario, critico<br />
Premia 1884 - S. Maria Maggiore 1952<br />
Figlio di Carlo, medico condotto di valle Antigorio e di<br />
Carolina Giovanelli di Cannero, allievo apprezzatissimo<br />
di Arturo Graf, conseguì br<strong>il</strong>lantemente la laurea in<br />
lettere nell’Università di Torino presso la quale fu libero<br />
docente dopo aver combattuto nella 1 a guerra mondiale.<br />
Nel 1927 vinse la cattedra di letteratura italiana all’Università<br />
Cattolica di M<strong>il</strong>ano e due anni dopo fondò<br />
la rivista Convivium e firmò gli articoli con lo pseudonimo<br />
Carlo da Premia in ricordo del paese nativo.<br />
Dal 1935 all’anno della scomparsa fu titolare della prestigiosa<br />
cattedra di letteratura italiana nell’ateneo di Bologna.<br />
Sfollato con la famiglia a Druogno (1943), durante<br />
la «repubblica» dell’Ossola (1944), con Contini e<br />
Bonfantini si impegnò a redigere un piano di riforma<br />
scolastica. Fu presidente del Centro nazionale di studi<br />
Alfieriani, curò numerose edizioni e scrisse opere di critica<br />
fra le quali primeggiano: II Parnaso in rivolta; Barocco<br />
e Antibarocco nella poesia italiana; II Barocco in Arcadia<br />
e altri studi sul Settecento; II nostro imminente Risorgimento;<br />
Con Guido Gozzano e altri poeti e Della lingua<br />
di Gozzano; Alma mater studiorum; Poesia e canto.<br />
163
CALPINI STEFANO, politico<br />
Domodossola 1849 – ivi 1902<br />
Figlio di Francesco e Maria Burla. Avvocato di successo<br />
nella sua città, si occupò con passione di agricoltura<br />
e diede ut<strong>il</strong>i consigli ai concittadini. Scrisse Memorie<br />
sulle condizioni dell’agricoltura del Circondario dell’Ossola<br />
pubblicato nel 1901, premiato con medaglia d’argento.<br />
Fu deputato per quattro legislature nella lista liberaldemocratica,<br />
attivo consigliere della Società Operaia e<br />
della Fondazione Galletti.<br />
CAPIS GIOVAN MATTEO, giureconsulto<br />
Domodossola 1617 – ivi 1681<br />
Figlio dello storico e giureconsulto Giovanni e di Laura<br />
Ferrari, studiò leggi a Pavia dove si laureò. Tornato<br />
a Domo accettò la carica di sindaco della Giurisdizione,<br />
che tenne per molti anni occupandosi di far costruire<br />
ripari al Bogna, e dell’amministrazione dell’ospedale<br />
S. Biagio. Curò la stampa dell’opera storica del padre,<br />
si adoperò per la costruzione del nuovo convento<br />
dei Cappuccini, della chiesa e delle cappelle della via<br />
Crucis del Sacro Monte Calvario. A quest’ultima opera<br />
si dedicò con zelo e pietà destando fervore religioso<br />
tra gli Ossolani che lo secondarono in tale grandiosa<br />
opera con sovvenzioni e aiuti di ogni genere. Morendo<br />
lasciò <strong>il</strong> suo patrimonio all’istituzione del Sacro Monte<br />
Calvario.<br />
CAPIS GIOVANNI, giureconsulto, storico<br />
Domodossola 1582 - ivi 1632<br />
Figlio del conte Matteo e di Elisabetta Borgnis compì<br />
gli studi classici a M<strong>il</strong>ano, presso i Gesuiti di Brera,<br />
poi a Pavia si laureò in diritto civ<strong>il</strong>e ed ecclesiastico nel<br />
1605. In quell’epoca comp<strong>il</strong>ò un dizionarietto etimologico<br />
del dialetto lombardo con traduzione in volgare toscano<br />
noto come Varon m<strong>il</strong>anes. Dopo aver fatto pratica<br />
legale a M<strong>il</strong>ano, in seguito alla morte del padre nel<br />
1608 rientrò a Domo per esercitarvi la professione. Fu<br />
anche titolare delle massime cariche elettive della Comunità<br />
per cui si vide costretto a provvedere alle necessità<br />
gravi del suo tempo quali la peste, le disastrose piene<br />
del Bogna. Ma soprattutto lottò in difesa dei priv<strong>il</strong>egi<br />
dell’Ossola contro l’esosità del fisco spagnolo. In<br />
questa ultima occasione, dovendo ricercare e riordinare<br />
grande quantità di documenti del passato, nacque in<br />
164<br />
lui l’idea di tramandare ai posteri una storia dell’Ossola,<br />
quella appunto da lui comp<strong>il</strong>ata e finita nel 1631 e poi<br />
fatta stampare dal figlio Giovan Matteo nel 1673 sotto<br />
<strong>il</strong> titolo di Memorie della corte di Mattarella. L’opera,<br />
di notevole interesse e importanza, ebbe una ristampa<br />
nel 1968.<br />
CASETTI ANTONIO, benefattore<br />
Caddo 1841 - ivi 1888<br />
Figlio di Giovanni e di Maria Cesconi, fece fortuna a<br />
Parigi, dove si era recato undicenne, con attività commerciali<br />
e industriali. Fu amministratore della Società<br />
di Beneficenza <strong>It</strong>aliana a Parigi e Consigliere della Camera<br />
di Commercio. Rientrato in Ossola ideò la strada<br />
Cisore-Caddo-Preglia alla cui realizzazione destinò<br />
vistosa somma. Provvide anche alla costruzione della<br />
scuola elementare di Preglia. La scuola media di Preglia<br />
è dedicata a lui ed al fratello Giovanni.<br />
CASETTI GIOVANNI ANDREA, astronomo, astrologo<br />
Vogogna 1568 - ivi 1628<br />
Di antica famiglia patrizia, si dedicò allo studio delle<br />
scienze naturali e dell’astronomia che poi insegnò a M<strong>il</strong>ano.<br />
Pubblicò annuali effemeridi in cui sono trattati<br />
argomenti cosmici, meteorologici e astrologici. L’effemeride<br />
del 1596 dedicata alla contessa Tornielli reca osservazioni<br />
sulla luna, sull’epatta e su elementi riguardanti<br />
<strong>il</strong> calendario ecclesiastico e solare. In quella del<br />
1612 augura all’Ossola che la peste non infierisca. In un<br />
manoscritto dedicato al cardinale Federico Borromeo,<br />
conservato all’Ambrosiana di M<strong>il</strong>ano, tratta di pronostici<br />
sul tempo in relazione all’aspetto degli astri, desunti<br />
anche dalla tradizione classica (Plinio, Aristotele)<br />
e dalla propria esperienza di osservatore. Nel 1603 pubblicò<br />
in M<strong>il</strong>ano presso l’editore Giacomo M. Meda Il<br />
presagio infallib<strong>il</strong>e sopra la mutazione de’ tempi, Indisposizione<br />
dei corpi calcolato al meridiano della città di M<strong>il</strong>ano<br />
e altre città d’<strong>It</strong>alia.<br />
CASETTI GIOVAN PIETRO, benefattore<br />
Caddo 1846 – ivi 1918<br />
Emigrato a Parigi, lavorò col fratello Antonio nel mob<strong>il</strong>ificio<br />
dello zio e per la rara ab<strong>il</strong>ità e perspicacia ingrandì<br />
notevolmente l’azienda in cui assumeva preferib<strong>il</strong>mente<br />
operai italiani. Rifiutò la cittadinanza francese
sentendosi legato alla Patria e destinò agli <strong>It</strong>aliani e agli<br />
Ossolani in Francia molto denaro in beneficenza. Lasciti<br />
cospicui andarono a Preglia.<br />
CAVALLI CARLO MARIA, giurista, statista, marchese<br />
1684 - M<strong>il</strong>ano 1765<br />
Figlio di Giovanni e di Maria Tomasina, emigrati in<br />
Lombardia, laureato a Pavia <strong>il</strong> 3 agosto 1705 in utroque<br />
iure, percorse a M<strong>il</strong>ano tutti i gradi della magistratura:<br />
Vicario Pretorio della Corte Senatoria di Pavia (1708),<br />
avvocato del Foro M<strong>il</strong>anese (1710), Vicario generale<br />
del Dominio M<strong>il</strong>anese (1726), Membro della Giunta<br />
di Governo (1733). Carlo VI lo nominò Reggente del<br />
Supremo Consiglio d’<strong>It</strong>alia (1737) presso <strong>il</strong> governo di<br />
Vienna e <strong>il</strong> 1° giugno 1739 lo creò Marchese col feudo<br />
di Ceranova nella campagna di Pavia. Nel 1750 si ritirò<br />
a vita privata col priv<strong>il</strong>egio di partecipare alle attività del<br />
Senato a suo piacimento. Ebbe come sostituto al Senato<br />
<strong>il</strong> consultore Paolo della S<strong>il</strong>va. Il fratello Domenico,<br />
Vicario Generale a M<strong>il</strong>ano del cardinale Pozzo-Bonelli<br />
e Regio Imperiale Economo di Maria Teresa, morì a 57<br />
anni nel 1750 e fu sepolto in Duomo a M<strong>il</strong>ano.<br />
CAVALLI CARLO, medico, storico<br />
Santa Maria Maggiore 1799 - ivi 1860<br />
Studi classici e laurea in medicina e chirurgia presso<br />
l’Università di Pavia e di Torino. Fu medico condotto in<br />
val Vigezzo e corrispondente del Giornale delle scienze<br />
mediche, sindaco di Santa Maria Maggiore, presidente<br />
del Consiglio provinciale dell’Ossola, deputato al Parlamento<br />
Subalpino e fautore della carrozzab<strong>il</strong>e val Vigezzo-Domo.<br />
Va ricordato soprattutto per i Cenni statistico-storici<br />
della Val Vigezzo in tre volumi editi a Torino<br />
nel 1845, primo lavoro accurato e fondamentale sulla<br />
storia generale della Valle, che gli ottenne onorificenze e<br />
l’iscrizione a varie accademie italiane e straniere.<br />
CAVALLI ENRICO, pittore<br />
Santa Maria Maggiore 1849 - ivi 1919<br />
Dal padre Carlo Giuseppe, ritrattista, apprese i primi<br />
rudimenti. Trasferitasi la famiglia a Lione, là frequentò<br />
l’Accademia di belle arti, poi fece la spola tra Parigi<br />
e Marsiglia avendo contatti con artisti del suo tempo e<br />
dipingendo ritratti che mandò alle esposizioni di Parigi<br />
e di Torino. In Francia e nella sua Valle continuò la sua<br />
attività, insegnando saltuariamente alla Scuola Rossetti-<br />
Valentini. Le sue opere sono disperse in città della Francia,<br />
in Piemonte e in Lombardia. Un certo numero di<br />
suoi quadri si trovano alla Galleria Giannoni di Novara<br />
e in valle Vigezzo. Merita un posto di r<strong>il</strong>ievo fra i pittori<br />
italiani della seconda metà dell’Ottocento.<br />
CAVALLI GIOVANNI ANTONIO,<br />
chirurgo, amministratore pubblico<br />
Finero 1779 - Malesco 1866<br />
Crebbe a Vienna presso uno zio e là compì gli studi<br />
fino alla laurea in chirurgia conseguita nel luglio 1799.<br />
Entrato nell’esercito austriaco come sanitario, combatté<br />
e cadde prigioniero nella battaglia di Marengo (1800).<br />
Liberato rientrò a Vienna e si perfezionò in ostetricia.<br />
Nel 1816 rimpatriò ed esercitò la professione in valle<br />
Vigezzo con patente del Governo Piemontese, fissando<br />
a Malesco la residenza. Accettò varie cariche sociali nonostante<br />
l’impegno della professione; da sindaco propugnò<br />
la scuola femmin<strong>il</strong>e e la costruzione della strada<br />
carrozzab<strong>il</strong>e Vigezzo-Domodossola. Uno dei figli, Domenico,<br />
rosminiano nel Collegio di Newport (Ingh<strong>il</strong>terra)<br />
fu stimato da cattolici e protestanti.<br />
CAVALLINI GIOVANNI BATTISTA,<br />
giureconsulto, scrittore<br />
Coimo metà del sec. XVI – M<strong>il</strong>ano primo decennio del<br />
sec. XVII<br />
Come tanti vigezzini si trasferì a M<strong>il</strong>ano con i genitori.<br />
Conseguì la laurea in giurisprudenza e si dedicò alla<br />
riforma della procedura, comp<strong>il</strong>ò un formulario guida<br />
per la stesura degli atti notar<strong>il</strong>i, stampato a M<strong>il</strong>ano<br />
nel 1581 presso l’editore Piscaia. Scrisse L’Attuario della<br />
pratica civ<strong>il</strong>e e L’Attuario della pratica criminale, usciti<br />
nel 1587 e nel 1593. Fece stampare <strong>il</strong> Trattato sui sequestri,<br />
dedicato al cardinale Federico Borromeo. Da<br />
lui attinsero i patrocinatori successivi.<br />
CAZZINI GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />
Toceno 1804 - ivi 1859<br />
Figlio di Francesco e di M. Caterina Francini, da ragazzo<br />
fece lo spazzacamino poi si trasferì a Berna da suoi<br />
congiunti in qualità di garzone. Frequentò una scuola<br />
serale, ma da autodidatta si formò una cultura notevole.<br />
Trasferitosi nel Würtemberg ebbe successo economico.<br />
165
Tornato definitivamente a Toceno, si occupò del Comune<br />
del quale fu sindaco e al quale lasciò una notevole<br />
somma per l’erezione dell’as<strong>il</strong>o d’infanzia e della Scuola<br />
femmin<strong>il</strong>e, che presero <strong>il</strong> suo nome. Di fede mazziniana<br />
fondò «La società degli amici del progresso» mantenendo<br />
rapporti amichevoli con <strong>il</strong> Brofferio.<br />
CERETTI PIETRO MARIA,<br />
mercante in ferro, industriale<br />
Intra 1735 - V<strong>il</strong>ladossola 1801<br />
Formò nel 1796 la prima società per lo sfruttamento<br />
del ferro a Viganella in valle Antrona. Per varie vicende<br />
non ebbe successo economico. Continuatore fortunato<br />
fu <strong>il</strong> figlio sacerdote padre Ignazio che, per soppressione<br />
dei conventi rientrato in famiglia fu tutore dei fratelli<br />
minori dopo la morte dei genitori. Ebbe l’avvedutezza<br />
di trasferire la fonderia a V<strong>il</strong>la presso l’Ovesca e <strong>il</strong> porto<br />
del Toce (1804). Da quel momento la Ditta Ceretti si<br />
ingrandì; con i successori divenne la maggiore del Novarese<br />
e per prima costruì un impianto idroelettrico.<br />
CHIOSSI GlOVAN BATTISTA, generale<br />
Domodossola 1863 - ivi 1926<br />
Figlio di Giuseppe e di Natalia S<strong>il</strong>vetti. Studi classici al<br />
Mellerio Rosmini, accademia m<strong>il</strong>itare di Modena, corso<br />
di perfezionamento a Parma, insegnò storia dell’arte<br />
m<strong>il</strong>itare a Modena e fu studioso di R. Montecuccoli.<br />
Combattente decorato nelle guerre coloniali, nella 1 a<br />
guerra mondiale raggiunse <strong>il</strong> grado di generale comandante<br />
la 22 a divisione sul Piave. Condusse a termine<br />
due missioni diplomatiche con <strong>il</strong> Sultano di Alia in Somalia<br />
e con Enver Bey al campo dei Turchi per l’esecuzione<br />
del Trattato di Losanna (1912). Congedatosi nel<br />
1920 fu sindaco di Domo fino alla morte.<br />
CHIOVENDA CANESTRO BEATRICE, letterata<br />
Roma 1901 – ivi 2002<br />
Figlia dell’<strong>il</strong>lustre giurista prof. Giuseppe Chiovenda e<br />
di Lina Gotelli. Dopo gli studi classici e universitari alla<br />
facoltà di lettere di Roma dove si laureò con Adolfo<br />
Venturi, si specializzò in Storia dell’Arte che fu per tutta<br />
la vita <strong>il</strong> centro dei suoi interessi e la sua grande passione.<br />
Frequentò l’ambiente culturale della Roma del secondo<br />
dopoguerra e in particolare i Bellonci, che la vollero<br />
membro della giuria del Premio Strega, Mario Praz<br />
166<br />
e altri celebri intellettuali fra cui la latinista Lidia Storoni<br />
Mazzolari. Amò trascorrere lunghi soggiorni nella<br />
casa di Premosello, dove radunava i collaboratori della<br />
rivista Oscellana che tenne a battesimo e che arricchì<br />
di suoi studi dal 1971 al 1998, su pittori che operarono<br />
nell’Ossola e nel Cusio. Dedicò particolare impegno<br />
allo studio dell’ambone nell’isola di San Giulio, lavoro<br />
pubblicato nel 1955 che riscosse numerosi consensi.<br />
Collaborò alla mostra dei pittori Baciccio e Gaulli.<br />
Amante della montagna fu la prima donna a scalare <strong>il</strong><br />
Monte Rosa nell’estate del 1922. Lasciò al Comune di<br />
Premosello la casa avita.<br />
CHIOVENDA EMILIO, botanico<br />
Roma 1871 - Bologna 1941<br />
Da famiglia di Premosello, figlio di Andrea. Studi classici<br />
al Mellerio Rosmini e laurea in scienze con specializzazione<br />
in botanica. Titolare di cattedra universitaria,<br />
per incarico governativo studiò la flora dell’Eritrea<br />
e della Somalia. Accademico dei Lincei e d’<strong>It</strong>alia. Il suo<br />
erbario monumentale, di grande rinomanza, è custodito<br />
all’Università di Bari.<br />
CHIOVENDA GIUSEPPE, giurista<br />
Premosello 1872 - ivi 1937<br />
Figlio dell’avv. Pietro e di Leopolda Moglino. Dopo<br />
br<strong>il</strong>lanti studi classici al Mellerio Rosmini si laureò a<br />
pieni voti in giurisprudenza a Roma e in quell’Ateneo<br />
insegnò diritto processuale civ<strong>il</strong>e. I suoi studi giuridici<br />
sono fondamentali in <strong>It</strong>alia e nelle legislazioni straniere.<br />
Per la sua profonda dottrina fu consultato per la<br />
riforma dei codici. Dotato anche di talento letterario,<br />
scrisse una tragedia, Corradino di Svevia, a soli quindici<br />
anni e lasciò raccolte di versi intitolate Agave e Poesie.<br />
Nel 1925 sottoscrisse <strong>il</strong> manifesto antifascista di Benedetto<br />
Croce. Fu uomo di molto prestigio per la dirittura<br />
morale e la grande conoscenza giuridica. Per onorarlo,<br />
nel 1959 Premosello assunse <strong>il</strong> suo cognome con decreto<br />
presidenziale.<br />
CHIOVENDA TITO, diplomatico<br />
Premosello 1877 - Domodossola 1949<br />
Figlio dell’avv. Pietro e di Leopolda Moglino. Dopo gli<br />
studi classici al Mellerio Rosmini e la laurea in giurisprudenza<br />
entrò nella carriera consolare ed ebbe l’inca-
ico di ministro plenipotenziario. Nel 1929 console generale<br />
a Francoforte, non essendo iscritto al P.N.F., dovette<br />
ritirarsi a vita privata. Ebbe l’incarico della «Lectura<br />
Dantis» alle Università di Bas<strong>il</strong>ea e di Francoforte. Fu<br />
anche br<strong>il</strong>lante saggista, autore di versi dal titolo Mirt<strong>il</strong>li;<br />
amante della montagna, si rivelò provetto alpinista.<br />
CICOLETTI GIOVANNI, medico, benefattore<br />
Pieve Vergonte 1811 - ivi 1883<br />
Dopo gli studi classici e la laurea in medicina visse agiatamente<br />
beneficando i poveri, le istituzioni scolastiche<br />
e la Chiesa. Ai poveri del Comune lasciò la sua vistosa<br />
sostanza col nome di «Fondazione Cicoletti».<br />
CIOIA GIACOMO, diplomatico<br />
Malesco 1704 - Parigi 1758<br />
Di Francesco e Caterina Jacca. Studiò e visse a Parigi<br />
dove <strong>il</strong> padre e gli zii erano banchieri. Divenne agente<br />
di fiducia del Duca Francesco III di Modena che lo<br />
nominò poi ministro plenipotenziario presso <strong>il</strong> Re di<br />
Francia e suo rappresentante al congresso di Aquisgrana<br />
(1748). Con ab<strong>il</strong>ità e fine diplomazia ottenne al Duca<br />
la restituzione di rendite, beni e Stato da parte dell’imperatrice<br />
Maria Teresa.<br />
Divenne allora Gent<strong>il</strong>uomo di Camera, Consigliere di<br />
Stato e conte di Monzone e d’Acquaviva.<br />
CIOLINA GIOVANNI BATTISTA, pittore<br />
Toceno 1870 - ivi 1955<br />
Allievo della scuola di belle arti e del Cavalli si dedicò<br />
con successo a svariati generi di pittura e fu anche apprezzato<br />
acquafortista. Dopo essere stato a Lione per<br />
conoscere le espressioni dell’arte moderna fu presente<br />
alla Triennale di M<strong>il</strong>ano. È noto specialmente per i suoi<br />
paesaggi e i ritratti conservati in collezioni private.<br />
CONTINI GIANFRANCO, f<strong>il</strong>ologo, critico letterario,<br />
italianista<br />
Domodossola 1912 - ivi 1990<br />
Figlio di Riccardo e di Maria Cernuscoli. Dopo br<strong>il</strong>lanti<br />
studi classici presso <strong>il</strong> Mellerio Rosmini di Domodossola,<br />
si laureò con lode all’Università di Pavia. Specializzatosi<br />
in f<strong>il</strong>ologia a Torino e a Parigi, già nel 1938 insegnò<br />
f<strong>il</strong>ologia romanza nell’Università di Friburgo in<br />
Svizzera e diede alle stampe un commento alle Rime di<br />
Dante e altri scritti, rivelatori del suo talento. Presente<br />
in Ossola nel 1944, durante i «quaranta giorni di libertà»<br />
partecipò quale rappresentante del Partito d’Azione<br />
alle sedute del C.L.N, per la costituzione della Giunta<br />
e insieme con Carlo Calcaterra studiò una riforma<br />
scolastica. Nel dopoguerra ebbe cattedra di f<strong>il</strong>ologia romanza<br />
nelle Università di Firenze e di Pisa, docente indimenticab<strong>il</strong>e<br />
e affascinante per i discepoli, consigliere<br />
per gli editori. Pubblicò, tra l’altro, Poeti del Duecento,<br />
l’Opera in versi di Montale e studi fondamentali su<br />
Dante, Petrarca, Boccaccio nonché Il Breviario di Ecdotica,<br />
Altri Esercizi, Ultimi Esercizi ed Elzeviri, La letteratura<br />
dell’<strong>It</strong>alia Unita. F<strong>il</strong>ologo di conclamata rinomanza<br />
internazionale, seppe congiungere la f<strong>il</strong>ologia con la<br />
critica letteraria mediante la critica delle varianti e relativi<br />
principii e implicazioni. Ritornò ad abitare a Domodossola<br />
in seguito a grave malattia che non gli impedì<br />
di continuare l’attività intellettuale e gli studi sino<br />
al termine della sua vita. Fece pubblicare nei Rendiconti<br />
dell’Accademia Nazionale dei Lincei gli Statuti quattrocenteschi<br />
dei «disciplinati» del nostro borgo, scritti in un<br />
volgare, che definì «<strong>il</strong>lustre». Con l’occasione catalogò i<br />
dialetti dell’Ossola definiti “un complesso lombardo-alpino<br />
su fondale di isoglosse piemontesi”.<br />
CUROTTI SlLVESTRO,<br />
medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />
Vagna (Domodossola) 1920 - Oira di Nonio 1944<br />
Figlio di Amedeo e di Maria Bellardoni, imbianchino a<br />
Domodossola, nel 1940 artigliere alpino combattente<br />
sul fronte occidentale. Dopo l’8 settembre 1943 rientrò<br />
in Ossola e fece parte dei primi raggruppamenti partigiani,<br />
poi passò nella formazione «Beltrami» operante<br />
sul lago d’Orta. Sorpreso ad Oira e circondato da forze<br />
tedesche, resistette solo dentro una casa del paesetto per<br />
oltre quattro ore e non si arrese, ma quando vide esaurite<br />
le munizioni, serbò per sé l’ultima pallottola.<br />
DAVIA GIOVANNI ANTONIO, cardinale<br />
Bologna 1661 - Roma 1740<br />
Da genitori vicenesi nacque a Bologna nella prima metà<br />
del secolo XVII. Fu internunzio a Bruxelles, nunzio in Polonia<br />
ed a Colonia, arcivescovo di Tebe, vescovo di Rimini<br />
nel 1698 ed infine creato cardinale da Clemente XI.<br />
167
Davia Giovanni Antonio, Cardinale<br />
Bologna 1661 - Roma 1740<br />
Facchinetti Giov. Antonio, Papa Innocenzo IX<br />
Bologna 1519 - Roma 1591<br />
Della S<strong>il</strong>va Paolo jr., consultore, statista, storico e letterato<br />
Crevola 1691 - M<strong>il</strong>ano 1789<br />
Fantonetti Giovan Battista, medico<br />
Pavia 1791 - Piedimulera 1861
DE ALBERTIS ALBERTO VITALE ANDREA,<br />
armatore, benefattore<br />
Vanzone 1703 - Arbon (Costanza) 1782<br />
Figlio di Bartolomeo e di Domenica Falcini. Trasferitosi<br />
con i genitori a Genova, da mozzo divenne proprietario<br />
di navi per <strong>il</strong> trasporto di merci dalle Indie, con profitti<br />
enormi. Fu consigliere commerciale del Vescovo di<br />
Costanza e lasciò alla confraternita della SS. Annunziata<br />
di Vanzone case, terreni e una notevole somma per i<br />
poveri e per l’istruzione religiosa.<br />
DE ANTONIS GIUSEPPE,<br />
avvocato, pubblico amministratore, benefattore<br />
Domodossola 1868 - ivi 1945<br />
Figlio del geom. Luigi De Antonis. Studi classici al Mellerio<br />
Rosmini e laurea in legge a Torino, avvocato penalista,<br />
sindaco di Domo, m<strong>il</strong>itante socialista al tempo<br />
di Turati, collaboratore del giornale L’indipendente.<br />
Presidente della Fondazione Galletti, ne arricchì <strong>il</strong> patrimonio<br />
numismatico e artistico. Durante la l a guerra<br />
mondiale presiedette l’opera di assistenza ai profughi<br />
dalle terre invase. Lasciò in beneficenza alla Parrocchia la<br />
sua casa e ai Padri Rosminiani la sua v<strong>il</strong>la di Mattarella.<br />
DE AUGUSTINIS ENRICO AGOSTINO,<br />
politico, marchese<br />
Pecetto di Macugnaga 1737 - Vallese 1823<br />
Dopo gli studi entrò in diplomazia e fu membro del<br />
corpo diplomatico di Carlo III di Spagna poi membro<br />
della Dieta Generale e Presidente del Consiglio di Stato<br />
del Canton Vallese e per due volte Gran Balivo. Inaugurò<br />
la strada del Sempione nel 1805, in rappresentanza<br />
dei Vallesani.<br />
DE BACENO GASPARE e BALDASSARRE,<br />
condottieri di m<strong>il</strong>izie ossolane<br />
Figli di Bernardino valvassore di valle Formazza vissuti<br />
fra i secoli XV-XVI. Durante la contesa tra Francesco<br />
I e Carlo V parteggiarono per i Francesi come <strong>il</strong> cognato<br />
Paolo della S<strong>il</strong>va e furono valorosi combattenti a Pavia<br />
e alla Rocca di Arona. In Ossola furono fieri avversari<br />
di Benedetto e Francesco Del Ponte sostenitori degli<br />
Spagnoli.<br />
DE BERNARDIS GIORGIO, scultore<br />
Buttogno 1606 circa - sconosciuta la data di morte<br />
Figlio di Giacomo Antonio e di Antonietta Mazzetta.<br />
La sua attività artistica iniziò intorno al 1630 e fino al<br />
1664 tenne bottega e scuola di intaglio a Domo in via<br />
Briona; poi forse si trasferì nei Vallese dove la sua presenza<br />
è attestata da suoi lavori. Fra le sue opere di maggior<br />
pregio ci sono l’altare ligneo e lo splendido armadio<br />
di sacrestia della parrocchiale di Seppiana, <strong>il</strong> grande<br />
crocifisso della collegiata di Domo, le porte della chiesa<br />
di Croveo e di Seppiana.<br />
DE GIORGI GIUSEPPE, pittore e fotografo<br />
Ceppo Morelli 1870 – Vanzone 1946<br />
Emigrato a Bordeaux presso la sorella, seguendo l’inclinazione<br />
partecipò a un corso di preparazione all’arte decorativa<br />
secondo modelli proposti nelle Accademie, ma<br />
soprattutto fu autodidatta. Rientrato in <strong>It</strong>alia mantenne<br />
contatti con la Francia e particolarmente con l’Alta<br />
Savoia dove lavorò nel decennio 1920-30. Precedentemente<br />
aveva realizzato alcune tele per chiese e oratori<br />
della sua valle Anzasca, dell’Ossola e del Novarese. Verso<br />
gli inizi del 1930 aprì bottega a Macugnaga attuando<br />
<strong>il</strong> legame tra pittura e fotografia e stringendo rapporti<br />
con pittori della valle e frequentatori di essa, alcuni dei<br />
quali specialisti in arte sacra. Attinse appunti dai grandi<br />
maestri del passato riproponendoli nelle volte delle<br />
chiese di Vanzone, Piedimulera e poi Vogogna. Durante<br />
<strong>il</strong> periodo della sua attività si avvalse della fotografia<br />
per procurarsi modelli di abitanti della valle, da ut<strong>il</strong>izzare<br />
nelle figure di personaggi biblici e figure allegoriche.<br />
In seguito dipinse paesaggi montani e scattò fotografie<br />
di luoghi pittoreschi che furono oggetto di cartoline<br />
e stampe, fotografie di persone, base di ritratti su<br />
tela emulsionata.<br />
DELL’ANGELO GIOVANNI BATTISTA,<br />
naturalista, benefattore<br />
Parigi 1834 – Craveggia 1911<br />
Figlio di Gian Giacomo e di Maria Cottini residenti in<br />
Francia per attività commerciali. Ricco per eredità paterna,<br />
si dedicò allo studio delle scienze naturali e divenne<br />
raccoglitore di foss<strong>il</strong>i e minerali di pregio cui aggiunse<br />
una sezione di ornitologia. Donò alla Fondazione<br />
Galletti <strong>il</strong> tutto, da lui scientificamente catalogato<br />
perché servisse agli studiosi ossolani. Comp<strong>il</strong>ò anche un<br />
catalogo delle famiglie craveggesi con la loro genealo-<br />
169
gia. Beneficò l’As<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e e lasciò una borsa di studio<br />
per <strong>il</strong> migliore alunno delle elementari del paese.<br />
Fece costruire una fontana pubblica e collaborò al progetto<br />
della realizzazione della ferrovia Vigezzina.<br />
DELLA SILVA PAOLO, condottiero<br />
Crevola 1476 - ivi 1536<br />
Figlio di Giovanni Antonio e di Dorotea Morone, entrò<br />
giovanissimo nella m<strong>il</strong>izia del condottiero G. Trivulzio<br />
al servizio del Re di Francia e prese parte alle guerre<br />
contro la Spagna per <strong>il</strong> possesso del ducato di M<strong>il</strong>ano.<br />
Dopo la battaglia di Marignano, fu custode della piazzaforte<br />
di Cremona e <strong>il</strong> 14 maggio 1516 fu nominato<br />
cittadino onorario di quella città. Nel 1518 lo fu di M<strong>il</strong>ano<br />
e di Pavia. Morto <strong>il</strong> Trivulzio (1518) e nonostante<br />
la sconfitta dei Francesi (1525) egli difese l’Ossola dagli<br />
Spagnoli e poi riparò a Parigi. Nel 1526 fece parte<br />
della spedizione francese a Roma in difesa di Clemente<br />
VII <strong>il</strong> quale lo creò Conte Palatino e Barone Romano.<br />
Tornato a vivere nel castello di Crevola si dedicò a<br />
opere di beneficenza e di fede facendo affrescare la chiesa<br />
parrocchiale di Crevola e la Madonna della Neve di<br />
Domodossola. Diede avvio alla costruzione del palazzo<br />
S<strong>il</strong>va (su area di famiglia nel borgo di Domo) in st<strong>il</strong>e<br />
rinascimentale.<br />
DELLA SILVA PAOLO JUNIOR,<br />
consultore, statista, storico e letterato<br />
Crevola 1691 - M<strong>il</strong>ano 1789<br />
Figlio del nob<strong>il</strong>e Marc’Antonio e di Elena Denti. Studi<br />
classici a M<strong>il</strong>ano e laurea in giurisprudenza a Pavia.<br />
Ricusata la carriera m<strong>il</strong>itare, tradizionale in famiglia, fu<br />
avvocato pubblico della città di M<strong>il</strong>ano e libero professionista,<br />
difensore dei priv<strong>il</strong>egi dell’Ossola che venne<br />
esentata da tasse catastali. Nel 1755 Capitano di Giustizia<br />
a Cremona, nel 1760 Presidente del Supremo Consiglio<br />
di Giustizia a Mantova e Capo della Giunta del<br />
Vice Governo. Nel 1760 Consigliere intimo di Stato<br />
di Maria Teresa, che lo incaricò di trattare con Venezia<br />
un’annosa questione sull’uso delle acque di risorgiva ai<br />
confini dei due Stati. Nel 1763 fu Consultore del Governo<br />
Generale di Lombardia. Scrisse in latino trattati<br />
di giurisprudenza, la storia dei fatti e del costume della<br />
M<strong>il</strong>ano dei suoi tempi, la storia dell’Ossola a continua-<br />
170<br />
zione di quella del Capis e la storia della sua famiglia,<br />
opere tutte inedite.<br />
DEL LONGO BRAGGIO IDA,<br />
cronista, benemerita CRI<br />
Domodossola 1879 - ivi 1965<br />
Insegnò in scuole elementari dell’Ossola poi economia<br />
domestica alla professionale «Galletti». Animatrice e<br />
promotrice di iniziative sociali, nel 1919 ebbe la medaglia<br />
d’oro dal Comune di Domo per aver diretto l’ufficio<br />
notizie e ricerche di m<strong>il</strong>itari prigionieri durante la<br />
guerra 1915-18 e dal Ministro della Guerra quella d’argento<br />
con uguale motivazione. Nel 1935 fondò <strong>il</strong> gruppo<br />
domese Crocerossine volontarie. Fu anche cronista<br />
per un cinquantennio di ogni episodio lieto e triste della<br />
vita cittadina e ossolana e inoltre custode delle tradizioni<br />
e parte attiva in ogni comitato benefico, madrina<br />
degli alpini dell’Ossola. Nel 1944 collaborò con la<br />
Giunta Provvisoria di Governo in campo assistenziale.<br />
Il volumetto Piccolo mondo Ossolano raccoglie <strong>il</strong> meglio<br />
della sua attività giornalistica.<br />
DELL’ORO ARTURO, medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />
Vallenar di Atocama (C<strong>il</strong>e) 1896 - Belluno 1917<br />
Figlio di Alessandro. Studiò in <strong>It</strong>alia diplomandosi all’Istituto<br />
Feltrinelli di M<strong>il</strong>ano. Volontario in aeronautica<br />
nel 1915 ottenne <strong>il</strong> brevetto di p<strong>il</strong>ota e partecipò ad<br />
azioni belliche nel Trentino, nel Tirolo, a Vipacco guadagnando<br />
la medaglia d’argento (1916). Nel 1917 conseguì<br />
<strong>il</strong> brevetto su apparecchi da caccia e dopo molte<br />
audaci imprese si lanciò contro un velivolo nemico che<br />
abbatté urtandolo con <strong>il</strong> proprio e precipitando a sua<br />
volta, consapevole del sacrificio.<br />
DE MAURIZI GIOVANNI BATTISTA,<br />
storico dell’Ossola, sacerdote<br />
Re 1875 - Premia 1939<br />
Figlio di Antonio e di Maria Giovanna Cerioli. Pastorecontadino<br />
entrò in seminario diciottenne. Ordinato sacerdote<br />
nel 1908 , coadiutore a S. Maria Maggiore iniziò<br />
subito le sue ricerche storiche negli archivi della Valle e<br />
l’anno dopo pubblicò una storia documentata sul miracolo<br />
di Re e le vicende del santuario fino ai suoi giorni.<br />
Nel 1910 pubblicò Appunti di storia vigezzina segui
ti da La valle Vigezzo corredate da biografie vigezzine<br />
di dieci <strong>il</strong>lustri personaggi. La Guida della valle Vigezzo<br />
(1911) lo fece conoscere per le notizie storiche, artistiche,<br />
scientifiche e di interesse turistico. Negli anni<br />
della Grande Guerra fu soprattutto vicino alle famiglie<br />
con figli al fronte. Resse poi le parrocchie di Trontano<br />
e quella di Montescheno in valle Antrona. Nel 1919<br />
scrisse la storia di Montescheno comprendente gli statuiti<br />
e gli ordinamenti (1519) di quella comunità. Suggeritore<br />
e fautore di enti associativi e mutue per <strong>il</strong> bene<br />
dei parrocchiani, si interessò anche delle miniere d’oro,<br />
argento, ferro di valle Antrona che descrisse in un articolo<br />
per <strong>il</strong> bollettino del C. A. I. (1923). Nel 1924, parroco<br />
a Premia, avviò studi sui De Rodis Baceno e sugli<br />
statuti di quella comunità. Nel 1927 pubblicò Le valli<br />
Antigorio e Formazza e fra <strong>il</strong> 1928 e <strong>il</strong> 1931 S. Maria<br />
Maggiore e Crana, II nuovo Comune di Craveggia, Buttogno<br />
in valle Vigezzo. Preparò uno studio su V<strong>il</strong>ladossola<br />
(manoscritto) e collaborò al Bollettino storico per la Provincia<br />
di Novara, all’Archivio storico della Svizzera <strong>It</strong>aliana<br />
e accettò l’incarico della S.E.O. di scrivere l’apprezzatissima<br />
guida L’Ossola e le sue valli. Fu membro della<br />
Regia Accademia delle Scienze di Torino ma, privo di<br />
contributi economici, non pubblicò le numerosissime<br />
notizie che aveva continuato a raccogliere e che in parte<br />
fortunatamente finirono nell’archivio di «Oscellana».<br />
DEL PONTE BENEDETTO,<br />
condottiero di m<strong>il</strong>izie ossolane<br />
Domodossola 1430 - ivi 1537<br />
Figlio del conte palatino Giovanni Battista. Studiò lettere<br />
e giurisprudenza ma preferì fare <strong>il</strong> condottiero di<br />
m<strong>il</strong>izie per conto degli Sforza e degli Spagnoli. Dopo alterne<br />
vicende, in seguito alla vittoria di Carlo V, fu nominato<br />
luogotenente del conte Borromeo per l’Ossola<br />
e responsab<strong>il</strong>e della Banca Civ<strong>il</strong>e e Criminale, carica lucrosa<br />
e ambita.<br />
DE PIETRI (DE PETRIS) PIETRO, pittore<br />
S. Rocco di Premia 1663 - Roma 1716<br />
Figlio di Giovanni Antonio e di Caterina Pezetta. Adolescente<br />
emigrò a Roma dove si dedicò al disegno e là<br />
divenne pittore di fama ottenendo la protezione di Clemente<br />
XI Albani che gli commissionò alcuni dipinti<br />
(noto un affresco in S. Clemente). Decorò anche palaz-<br />
zi della nob<strong>il</strong>tà (Pallavicino). Personaggi <strong>il</strong>lustri e ambasciatori<br />
stranieri durante i loro soggiorni romani furono<br />
suoi committenti di quadri e incisioni. Invitato in Ingh<strong>il</strong>terra<br />
non accettò. Fu ammirato per l’armonia delle<br />
grandi composizioni e la soavità delle figure femmin<strong>il</strong>i.<br />
DE REGIBUS LUCA, professore universitario<br />
Vogogna 1895 – Genova 1969<br />
Figlio di Pio e di Angiolina Innocenti. Studi classici e<br />
laurea in lettere a Torino con specializzazione in f<strong>il</strong>ologia<br />
classica; dopo la parentesi m<strong>il</strong>itare, nel 1922 si laureò<br />
anche in legge. Preside del Ginnasio-Liceo a Novara.<br />
Tra <strong>il</strong> 1934-1936 fu Consigliere Nazionale, nel 1940<br />
divenne titolare di storia romana a Genova e poi Preside<br />
della facoltà di lettere e f<strong>il</strong>osofia. Lasciò numerose pubblicazioni<br />
di storia romana in parte a cura dell’Ateneo<br />
genovese. Il fratello maggiore don Adalgiso, sacerdote<br />
laureato in lettere, preside del liceo classico a Novara e<br />
dell’Istituto Magistrale di Bobbio di Val Trebbia, raccolse<br />
notizie di storia vogognese e pubblicò brevi cenni<br />
sui fatti del 1798.<br />
DE RODIS GUIDO, feudatario di Premia, benefattore<br />
Nel 1250 fece costruire a proprie spese la chiesa di S.<br />
Michele di Premia e all’interno <strong>il</strong> sepolcreto di famiglia.<br />
Di lui resta <strong>il</strong> ritratto in un medaglione incastonato nella<br />
parete in cornu epistulae.<br />
DI SALVATORE NINO,<br />
artista, maestro del design italiano<br />
Verbania Pallanza 1924 – M<strong>il</strong>ano 2001<br />
Frequenta <strong>il</strong> liceo artistico a M<strong>il</strong>ano ma è affettivamente<br />
legato a Domodossola dove vivono i suoi genitori e<br />
dove torna sempre. Studia i capolavori dell’arte e nel<br />
1948 approda all’astrattismo. Nel 1949 apre una scuola<br />
di belle arti a Domodossola alla quale fa seguito quella<br />
di Novara. Introduce materie nuove quali ‘psicologia<br />
della forma’ e ‘f<strong>il</strong>osofia dell’estetica’. Aderisce al MAC,<br />
<strong>il</strong> movimento di arte concreta che ha come esponenti<br />
Munari, Soldati, Dorfles e altri maestri. Nel 1954 si<br />
trasferisce a M<strong>il</strong>ano dove apre con felice intuito la prima<br />
scuola di design industriale da lui diretta con maestrìa<br />
fino al 1998. Ad essa si iscrissero in numero grandissimo<br />
studenti italiani e stranieri ai quali egli insegnò<br />
fisiologia e scienza della visione, affidando a rinomati<br />
maestri le altre materie nuove. La sua scuola ottenne la<br />
171
Medaglia d’oro della X Triennale Internazionale di M<strong>il</strong>ano,<br />
<strong>il</strong> Compasso d’oro dell’Adi. Si distinse per la ricerca<br />
di nuove sperimentazioni, coltivò la pittura astrattogeometrica<br />
con successo, espose sue opere alla Biennale<br />
di Venezia, alla Triennale di M<strong>il</strong>ano e al Moma di New<br />
York, commentate con favore da critici italiani e stranieri,<br />
citato nei testi di storia dell’arte moderna. Sono<br />
da ricordare le sue felici intuizioni nel rapporto tra geometria,<br />
pittura e musica. Sul finire degli anni Novanta<br />
“La Fabbrica” di V<strong>il</strong>ladossola ospitò una mostra antologica<br />
delle opere del Maestro che volle essere presente a<br />
spiegare e <strong>il</strong>lustrare <strong>il</strong> significato della sua ricerca pittorica<br />
ai molti visitatori accorsi.<br />
ERBA GIUSEPPE BARTOLOMEO,<br />
matematico, benefattore<br />
Domodossola 1819 - Torino 1895<br />
Figlio del banchiere Giuseppe e di Maria Azzari figlia<br />
dello sfortunato cospiratore Giuseppe Antoni. Dopo gli<br />
studi classici nelle scuole melleriane si laureò nel 1841<br />
al Politecnico di Torino con <strong>il</strong> plauso del celebre matematico<br />
Plana e nello stesso anno conseguì <strong>il</strong> diploma<br />
di architetto. Nel 1848 fece parte della Guardia Nazionale<br />
a capo degli Ossolani residenti nella capitale piemontese.<br />
Nel 1850 ebbe nell’Ateneo Torinese la cattedra<br />
di calcolo infinitesimale. Nel 1857 passò alla cattedra<br />
di Meccanica razionale che tenne fino al 1891 e per<br />
qualche tempo fu Rettore Magnifico. Progettò palazzi<br />
(Palazzo Mogni in Domodossola e V<strong>il</strong>la Franzi in Pallanza)<br />
e chiese. Profuse ingenti somme in beneficenza<br />
ma volle mantenere l’anonimato.<br />
FACCHINETTI GIOV. ANTONIO,<br />
Papa Innocenzo IX<br />
Bologna 1519 – Roma 1591<br />
Dopo studi ecclesiastici e giuridici br<strong>il</strong>lanti, fu segretario<br />
del Papa Paolo III Farnese che lo promosse governatore<br />
di Parma. Partecipò al Conc<strong>il</strong>io di Trento, di là<br />
<strong>il</strong> Papa Pio V Ghislieri lo mandò ambasciatore a Venezia<br />
per porre le basi di quella alleanza fra Stati Cristiani<br />
che vinse a Lepanto la flotta dei Turchi. Creato Cardinale,<br />
portò a termine delicati incarichi diplomatici. Nel<br />
1591 fu eletto Papa e scelse <strong>il</strong> nome di Innocenzo IX.<br />
Non riuscì ad effettuare le riforme che aveva progettato<br />
perché morì dopo due soli mesi di pontificato.<br />
172<br />
FACINI BENEDETTO, medico, benefattore<br />
Domodossola 1741 - ivi 1826<br />
Figlio del giureconsulto Martino e di Teresa Cairati,<br />
laureato in medicina presso l’Università di Pavia esercitò<br />
a Domo la professione medica. Sopraintendente alla<br />
sanità e medico dell’Ospedale S. Biagio fino al 1809,<br />
dove ebbe in cura i m<strong>il</strong>itari napoleonici e italici. Lasciò<br />
le proprie cospicue sostanze e quelle avute dal fratello<br />
Giuseppe (1739-1805 già Capitano delle m<strong>il</strong>izie<br />
paesane e giudice-pretore di S. Maria Maggiore) per la<br />
costruzione del ricovero di vecchiaia e mendicità e al<br />
Comune di Domo una notevole somma per pagare un<br />
maestro elementare.<br />
FALCIONI ALFREDO, Senatore, ministro<br />
Cuzzego (Beura Cardezza) 1868 - Ghiffa 1936<br />
Figlio di Giovanni e di Giuditta Moro. Studi classici<br />
e laurea in legge a Torino, avvocato a Domo, deputato<br />
al Parlamento dal 1900, Sottosegretario agli Interni,<br />
membro della delegazione internazionale del Sempione<br />
a Berna, Ministro dell’agricoltura, Ministro di Grazia<br />
e Giustizia, Presidente della Commissione Internazionale<br />
degli stupefacenti. Nel 1925 si ritirò a vita privata<br />
e fu nominato consigliere delegato della Edison e<br />
della Gondrand. Nel 1929 fu eletto senatore per nomina<br />
regia. Diresse con <strong>il</strong> fratello avvocato Ernesto <strong>il</strong> giornale<br />
L’Ossola.<br />
FALCIONI GIOVANNI, avvocato, politico<br />
Domodossola 1916 – ivi 2003<br />
Figlio dell’avvocato Ernesto e di Maria Rapetti.<br />
Br<strong>il</strong>lanti studi classici al Mellerio Rosmini e universitari<br />
a M<strong>il</strong>ano conclusi lodevolmente con laurea in giurisprudenza.<br />
Praticante presso lo studio legale paterno,<br />
nel 1942 come Ufficiale del Commissariato m<strong>il</strong>itare<br />
prese parte alla campagna di Russia nell’ARMIR –<br />
Divisione Ravenna. Durante la Repubblica dell’Ossola<br />
fu assessore nella giunta cittadina, di nomina del CLN,<br />
quale esponente del P.L.I. Coadiuvò <strong>il</strong> giudice straordinario<br />
avv. Vigorelli nella sorveglianza del campo di<br />
concentramento di Druogno. Membro responsab<strong>il</strong>e del<br />
partito liberale provinciale, fu sindaco di Domodossola<br />
negli anni Sessanta. Svolse l’attività professionale con<br />
pieno successo e fu per un decennio presidente stimato<br />
e capace della Banca Popolare di Intra.
FALCIONI GIOVANNI BATTISTA, ingegnere<br />
Cuzzego (Beura Cardezza) 1839 - Udine 1899<br />
Figlio di Giuseppe e Linda Porazzi. Studi classici al Collegio<br />
Mellerio Rosmini di Domodossola, laurea in ingegneria<br />
al Politecnico di Torino nel 1865. Nel 1866 <strong>il</strong><br />
ministro Quintino Sella gli affidò la cattedra di meccanica<br />
all’Istituto tecnico di Udine, città da poco entrata a<br />
far parte del Regno d’<strong>It</strong>alia. Esercitò anche la libera professione<br />
progettando as<strong>il</strong>i, chiese, scuole, officine per <strong>il</strong><br />
Friuli e diresse la Esposizione Friuliana nel 1883. Pubblicò<br />
opere di divulgazione scientifica.<br />
FANTONETTI GIOVAN BATTISTA, medico<br />
Pavia 1791 – Piedimulera 1861<br />
Da genitori di valle Anzasca, laureato in medicina e chirurgia<br />
all’Università di Pavia vi insegnò patologia e chimica.<br />
Trasferitosi a M<strong>il</strong>ano esercitò la professione medica<br />
con successo. Nel 1836 pubblicò le Effemeridi delle<br />
scienze mediche che lo fecero stimare anche all’estero.<br />
Diresse a Venezia un’importante pubblicazione medica<br />
e tradusse e commentò opere mediche straniere. Fu<br />
membro di accademie europee. Tornato in Ossola ed<br />
eletto presidente del Consiglio Provinciale, promosse lo<br />
sfruttamento delle miniere aurifere. Lasciò la propria<br />
biblioteca alla città di Domodossola.<br />
FARINA GIOVANNI MARIA, industriale<br />
Santa Maria Maggiore 1685 - Colonia 1766<br />
Emigrato a Colonia presso congiunti produsse e diffuse<br />
l’«acqua admirab<strong>il</strong>is» usando la formula, avuta dal vigezzino<br />
Feminis con <strong>il</strong> nome Johan Maria Farina gegenüber<br />
dem Julichsplatz-Koeln. Nel 1742 comparve sulle<br />
confezioni la dicitura in francese Eau de Cologne e la<br />
diffusione in tutto <strong>il</strong> mondo procurò fama e ricchezza a<br />
lui, ai suoi successori, e dal 1877 alla casa Roger et Gallet<br />
di Parigi che ne acquistò i diritti.<br />
FEMINIS GIOVANNI PAOLO,<br />
inventore dell’acqua di Colonia, benefattore<br />
Crana 1670 circa - Colonia 1736<br />
Emigrato presso parenti a Magonza, imparò l’arte dell’erborista<br />
e a Colonia fabbricò un’acqua odorosa chiamata<br />
«aqua admirab<strong>il</strong>is» che mise in commercio dal<br />
1727. Contribuì con ingenti somme alla costruzione<br />
della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maggiore, del-<br />
la casa comunale, di un oratorio a Crana, di una scuola<br />
per i ragazzi del paese. Trasmise la formula dell’acqua<br />
di colonia ai conterranei Giovanni Antonio e Giovan<br />
Maria Farina.<br />
FERINO PIETRO MARIA, generale<br />
Craveggia 1747 - Parigi 1816<br />
Avviato al commercio dal padre uomo d’affari a Parigi,<br />
preferì scegliere la carriera m<strong>il</strong>itare. Combatté valorosamente<br />
al servizio della Francia repubblicana e poi nell’esercito<br />
imperiale di Napoleone che lo promosse generale<br />
e Grand’Ufficiale della Legion d’onore. Anche Luigi<br />
XVIII lo onorò con pari grado.<br />
FERRARI BALDASSARRE, cavaliere di Malta<br />
Sec. XVI<br />
Appartenente alla <strong>il</strong>lustre famiglia domese dei Ferrari.<br />
Il 14 apr<strong>il</strong>e 1580 venne iscritto nel ruolo generale dei<br />
Cavalieri italiani dell’Ordine di Malta presso <strong>il</strong> Gran<br />
Priorato di Lombardia e assegnato alla casa generalizia.<br />
Rimpatriò nel 1586 con speciale licenza del Gran Maestro<br />
Ugo Daubex De Verdala per gravi motivi di famiglia.<br />
Fu caro a Papa Innocenzo IX che gli rivolse lettere<br />
amichevoli (in particolare quella dell’11-2-1589). In<br />
Domo <strong>il</strong> cav. Ferrari aveva una sua Corte con uomini<br />
d’armi pronti a intervenire a difesa della giusta causa e<br />
della chiesa, ma non per conflitti politici. Invitato dal<br />
Podestà di Mattarella a intervenire nelle lotte politiche,<br />
oppose netto rifiuto. Promosse con i fratelli e i consanguinei<br />
l’erezione di una confraternita (del S. Cordone)<br />
a scopi benefici presso la chiesa di S. Francesco di<br />
Domo nella quale era <strong>il</strong> sepolcreto dei Ferrari indicato<br />
con otto F. (Fratres Ferrarii Franciscanae Fraternitatis<br />
Fam<strong>il</strong>iae Ferrariae Fecerunt Fieri).<br />
FERRARIS ADOLFO SEBASTIANO, storico<br />
Pontemaglio di Crevola 1901 - Domodossola 1954<br />
Figlio di Giulio e di Maria Ferraris, studi classici al Mellerio<br />
Rosmini e laurea in lettere e f<strong>il</strong>osofia all’Università<br />
di Torino. Insegnò per qualche anno; scelta la carriera<br />
amministrativa, fu titolare della segreteria dell’ospedale<br />
S. Biagio di Domo. Coltivò gli studi storici e con profonda<br />
competenza portò a termine la Bibliografia Ossolana,<br />
opera indispensab<strong>il</strong>e, frutto di ricerche impegnative.<br />
Collaborò al Bollettino storico per la Provincia di<br />
173
Feminis Giovanni Paolo, inventore dell’acqua di Colonia e benefattore<br />
Crana 1670 (circa) - Colonia 1736<br />
Ferrari Baldassarre, Cavaliere di Malta<br />
secolo XIV<br />
Ferino Pietro Maria, Generale<br />
Craveggia 1747 - Parigi 1816<br />
Guattani Carlo, chirurgo e archiatra pontificio<br />
Pontegrande 1709 - Roma 1773
Novara e ai giornali locali con argomenti vari. Pubblicò<br />
Novelle e leggende ossolane (1927), L’Ospedale di S. Biagio<br />
con appendice di pergamene inedite (1935), e La<br />
Società di Mutuo soccorso e istruzione fra Operai di Domo<br />
(1937). Usò Io pseudonimo Adolfo da Pontemaglio.<br />
FIZZOTTI GERMANA, giornalista, scrittrice<br />
Parigi 1911 – Domodossola 2003<br />
Trasferitasi con i genitori a Domodossola, fu impiegata<br />
di buon livello in una casa di spedizioni. Iscritta all’albo<br />
dei giornalisti dal 1947, acquistò notorietà come<br />
collaboratrice del Risveglio Ossolano e di alcune riviste<br />
con saggi e novelle. Coltivò amicizie con persone di cultura<br />
fra le quali Virginia Galante Garrone (sorella dei<br />
più noti Alessandro e Carlo) che scrisse la prefazione<br />
del suo romanzo autobiografico La casa del buon Dio<br />
stampato nel 1985. Nel 1978 era già uscito <strong>il</strong> suo testo<br />
di accompagnamento ai disegni di Remy Paggi, raccolte<br />
nel volume Dal Sempione al Lago Maggiore, mentre<br />
nel 1983 aveva dato alle stampe Valle Anzasca nel passato<br />
e nel presente. Con <strong>il</strong> suo ultimo lavoro Centonovantatré<br />
cassette del 1990 ricorda scene del passato e <strong>il</strong> fratello<br />
Piero.<br />
FORNARA CARLO, pittore<br />
Prestinone di Craveggia 1871 – ivi 1968<br />
Figlio di Giuseppe Antonio e di Anna M. Nicolai, fu allievo<br />
del Cavalli che lo accostò alla grande pittura veneta<br />
e fiamminga e alla moderna maniera degli Impressionisti<br />
francesi. Ventenne mandò un suo quadro, La<br />
bottega del calderaio, alla Triennale di M<strong>il</strong>ano e ottenne<br />
successo. Incontrò Segantini e come lui usò la tecnica<br />
divisionista. Soggiornò e lavorò a Parigi e dal 1922<br />
si stab<strong>il</strong>ì a Prestinone per dipingere in solitudine, senza<br />
più partecipare a esposizioni nonostante i molti riconoscimenti.<br />
Lasciò una vasta e ammirata produzione.<br />
La luce è protagonista dei suoi dipinti dedicati alla valle<br />
nativa studiata in ogni aspetto, in ogni stagione, in ogni<br />
ora del giorno e realizzata con rara magistrale efficacia.<br />
FORNARI GIOVANNI ANTONIO,<br />
giardiniere, benefattore<br />
Bannio, inizio sec. XVII - Roma, fine sec. XVII<br />
Emigrato a Roma come tanti compaesani, divenne capo<br />
giardiniere del Vaticano e poi maestro di Casa del Papa<br />
Innocenzo X che lo creò Conte Palatino. Desideroso<br />
di rendersi ut<strong>il</strong>e verso i suoi conterranei di valle Anzasca<br />
assicurò vitto, alloggio e lavoro a quanti si recassero<br />
in cerca di occupazione nella città eterna affidandoli<br />
alla Confraternita della S.S. Trinità. La discendenza del<br />
Fornari “romani” si estinse nel 1875 dopo aver tenuto<br />
per alcune generazioni la custodia e la cura dei giardini<br />
vaticani.<br />
FRADELIZIO GIOVANNI BATTISTA, benefattore<br />
Trontano 1793 - Parigi 1859<br />
Figlio di Leonardo e di Domenica Bar<strong>il</strong>etta, lavorò a<br />
Parigi nella fumisteria dello zio di cui fu l’erede. Per la<br />
sua intraprendenza divenne fumista esclusivo dei Castelli<br />
reali di Fontainebleu e di S. Claud e impresario generale<br />
di tutte le caserme di Parigi, con enorme vantaggio<br />
economico. Non dimenticò <strong>il</strong> suo paese dove tornava<br />
volentieri. Alla sua generosità si devono la scuola<br />
femmin<strong>il</strong>e, le fontane d’acqua potab<strong>il</strong>e e buona parte<br />
della prima strada carrozzab<strong>il</strong>e fra Trontano e la piana<br />
di Domodossola.<br />
GALLETTI GIAN GIACOMO,<br />
finanziere, benefattore<br />
Bognanco 1789 - Parigi 1873<br />
Figlio di Giacomo e di Domenica Giovangrande, manovale<br />
poco più che dodicenne nella costruenda strada<br />
napoleonica del Sempione; merciaio ambulante in<br />
Svizzera, affermato commerciante a M<strong>il</strong>ano, infine banchiere<br />
a Parigi e socio dei Rothsch<strong>il</strong>d. Lasciò le proprie<br />
enormi sostanze ai comuni di Domo e di Bognanco<br />
e ancora vivente diede un considerevole anticipo alla<br />
Fondazione a lui intestata (1869). A sue spese furono<br />
costruiti la strada Domo-Bognanco, <strong>il</strong> teatro Galletti,<br />
edifici scolastici a Bognanco. Procurò inoltre l’assistenza<br />
medica gratuita per i suoi compaesani. Con i suoi lasciti<br />
furono comprati <strong>il</strong> palazzo S. Francesco e <strong>il</strong> palazzo<br />
S<strong>il</strong>va, terreni al Gibellino ed edificata e finanziata la<br />
scuola per artigiani a lui intitolata. Gli Ossolani lo elessero<br />
deputato al Parlamento nel 1872.<br />
GENNARI LUCIANO,<br />
letterato, amministratore pubblico<br />
Parigi 1892 - Lanzo Torinese 1979<br />
Figlio di Giovanni Battista e di Annetta Zanni, vigez-<br />
175
zini proprietari a Parigi della nota Casa Ponti-Gennari.<br />
Studiò lettere alla Sorbona, insegnò letteratura francese<br />
a M<strong>il</strong>ano e a Parigi tenne un corso sul romanzo italiano<br />
dell’Ottocento. Fondò e diresse in <strong>It</strong>alia la rivista Arte e<br />
Vita. Fece parte del movimento cattolico francese, amico<br />
di Maritain e di Claudel. Drammaturgo, critico e<br />
saggista sulla lingua italiana e francese, scrisse Il romanzo<br />
di una Valle dedicato anche alle celebrità vigezzine,<br />
alla parentesi della guerra partigiana e a sue vicende personali.<br />
Si interessò alla vita della val Vigezzo come consigliere<br />
comunale di Santa Maria Maggiore e come presidente<br />
di opere altamente benefiche per la Valle, sull’esempio<br />
dei molti emigrati vigezzini.<br />
GENTINETTA GIOVANNI, politico<br />
Vagna 1817 - Domodossola 1900<br />
Figlio di Giovanni e di Maria Lorenzetti, studiò nel Collegio<br />
Mellerio di Domo poi, dedicatosi al commercio,<br />
guadagnò un’ingente fortuna. Promotore della Società<br />
Operaia procurò lavoro ai concittadini facendo dissodare<br />
vasti terreni incolti alla Siberia, alle Nosere e sul<br />
versante sud del colle di Mattarella favorendo la frutticoltura<br />
e la piscicoltura. Sindaco di Domo dal 1867 al<br />
1871, consigliere provinciale e poi deputato al Parlamento<br />
dal 1873 al 1890. Ispiratore ed esecutore del testamento<br />
di G.G. Galletti, amico dello statista francese<br />
Leon Gambetta, fin da giovane fu iscritto al partito<br />
mazziniano.<br />
GIAVINA PIETRO MARIA,<br />
archiatra pontificio, benefattore<br />
Domodossola 1722 - Roma 1779<br />
Figlio del chirurgo Francesco e di Antonia Grazioli.<br />
Esercitò la professione del chirurgo presso l’Ospedale<br />
di S. Spirito in Roma pertanto fu promosso di archiatra<br />
di Clemente XIII e di Pio VI che gli fece erigere nella<br />
chiesa di S. Spirito un monumento funerario. Lasciò<br />
i suoi beni in Ossola all’Ospedale S. Biagio e quelli romani<br />
all’Ospedale di S. Spirito.<br />
GIOIA GIACOMO, industriale, benefattore<br />
Ceppo Morelli 1842 - Firenze 1907<br />
Figlio di Giuseppe e di Maria Piccoli, garzone a Firenze,<br />
poi proprietario di una bottega di lattoniere. Per primo<br />
introdusse in <strong>It</strong>alia macchinari appositi per la fabbrica-<br />
176<br />
zione di barattoli in latta battendo la concorrenza straniera.<br />
Fornì all’esercito scatole per carne, con notevole<br />
guadagno. Lasciò un generoso legato alla Congregazione<br />
di carità di Ceppo Morelli.<br />
GIROLA UMBERTO,<br />
impresario, benefattore<br />
M<strong>il</strong>ano 1887 - ivi 1940<br />
Ossolano d’adozione, sposò un’ossolana, a Domo fissò<br />
la residenza ed ebbe l’Ossola come campo delle sue<br />
prime attività (centrali di Formazza, serbatoi del Kastel<br />
e del Toggia, galleria dei condotti della centrale di Calice).<br />
L’impresa Girola da ossolana e nazionale divenne<br />
internazionale dando lavoro principalmente a generazioni<br />
di Ossolani. Fu generoso benefattore dell’Ospedale<br />
S. Biagio.<br />
GROLLI FILIPPO, avvocato, politico<br />
Vogogna 1741 – ivi 1798<br />
Figlio del dottore in legge Pietro e di Angela M. Innocenti.<br />
Laurea in giurisprudenza a Pavia. In Vogogna<br />
esercitò la professione legale con successo. Sposò<br />
Giovanna Pizzardi ved. Zaretti, i cui figli aderirono alle<br />
nuove idee venute dalla Francia sull’esempio del patrigno<br />
F<strong>il</strong>ippo. Uomo di notevole ascendente politico,<br />
nella primavera del 1798 fu proclamato capo dei democratici<br />
repubblicani del borgo. Durante l’occupazione<br />
da parte degli insorti piemontesi e dei m<strong>il</strong>itari della<br />
Cisalpina della sponda occidentale del lago Maggiore,<br />
e poi dell’Ossola, primo passo verso la proclamazione<br />
della repubblica in Piemonte, fu presidente della Municipalità<br />
vogognese e Commissario interinale delle due<br />
Ossole. Dopo la sconfitta dei “giacobini” nella battaglia<br />
di Ornavasso (22 apr<strong>il</strong>e 1798), non adeguatamente<br />
sostenuti dalla Repubblica Cisalpina per intrighi politici,<br />
<strong>il</strong> Grolli fu catturato in seguito a delazione e, per<br />
sentenza emessa a Casale Monferrato dal regio tribunale<br />
m<strong>il</strong>itare, ed eseguita in Vogogna <strong>il</strong> 30 apr<strong>il</strong>e mediante<br />
fuc<strong>il</strong>azione a esempio e ammonimento ai suoi concittadini.<br />
La repressione costò la vita ad altri 64 insorti,<br />
fuc<strong>il</strong>ati a Domodossola <strong>il</strong> 28-29-30 apr<strong>il</strong>e 1798 e al<br />
vogognese Giulio Albertazzi fuc<strong>il</strong>ato a Pallanza. Così si<br />
concluse <strong>il</strong> moto insurrezionale che mirava all’annullamento<br />
dei priv<strong>il</strong>egi feudali e a maggiori libertà per la<br />
borghesia.
GUALIO GIULIO, scultore<br />
Antronapiana 1632 - ivi 1712<br />
Allievo del maestro De Bernardis con laboratorio in<br />
via Briona, attivo nell’Ossola e in Valsesia, fu autore di<br />
splendide opere lignee di carattere religioso.<br />
GUATTANI CARLO, chirurgo, archiatra pontificio<br />
Pontegrande di Bannio Anzino 1709 - Roma 1773<br />
Studi classici e poi di medicina e chirurgia a Roma. Primario<br />
negli Ospedali di S. Spirito e S. Gallicano (1741),<br />
nel 1751 fu nominato archiatra pontificio da Benedetto<br />
XIV. In Francia approfondì i suoi studi di chirurgia e<br />
divenne ab<strong>il</strong>e nell’eseguire l’esofagotomia, che descrisse<br />
in latino. Si recò per studi in Ingh<strong>il</strong>terra e in Germania<br />
e al rientro in <strong>It</strong>alia soggiornò a Bannio. Fu medico<br />
di fiducia di Clemente XIII e Clemente XIV e socio<br />
delle Accademie di Parigi. Roma lo onorò con un monumento.<br />
GUBETTA GIACOMO, medico, storico<br />
Parigi 1823 - Craveggia 1893<br />
Figlio di Carlo Bartolomeo e di Antonia Mozzanino.<br />
Dopo gli studi classici a Domo e a Pavia ritornò a Parigi<br />
dove nel 1847 conseguì la laurea in medicina, convalidata<br />
dall’Università di Torino. Esercitò la professione<br />
medica nella sua valle Vigezzo, fu consigliere provinciale<br />
e scrisse Le memorie antiche e moderne di Craveggia.<br />
GUGLIELMI FRANCESCO E PASQUALE,<br />
benefattori<br />
Francesco: Crodo 1793 - ivi 1864<br />
Figlio di Giuseppe e di Maria Amodei, divenne sacerdote<br />
e visse a Crodo beneficando i poveri, le patrie istituzioni<br />
e la chiesa parrocchiale.<br />
Pasquale: Crodo 1801 - ivi 1866<br />
Fratello del precedente. A sua volta beneficò <strong>il</strong> comune<br />
di Crodo, di cui fu sindaco, facendo erigere una scuola<br />
per l’istruzione delle fanciulle.<br />
GUGLIELMINI DOMENICO,<br />
professore di idraulica, fisico-matematico<br />
Bologna 1655 - Padova 1710<br />
Di genitori di Cravegna (Crodo) studiò fisica, matematica,<br />
idraulica e idrometria ed ebbe cattedra a Bologna<br />
dal 1694. Successivamente si trasferì a Padova per<br />
insegnare matematica in quell’Ateneo. Pubblicò, in ele-<br />
gante lingua latina, un trattato di idrostatica e Della natura<br />
dei fiumi, opera che ebbe varie ristampe per l’ut<strong>il</strong>ità<br />
e la profondità del contenuto.<br />
IACCHINI BARTOLOMEO, pittore<br />
Macugnaga 1695 - ivi 1747<br />
Figlio del nob<strong>il</strong>e notaio Bartolomeo e di Cristina Creda,<br />
fu ab<strong>il</strong>e e ammirato pittore di soggetto religioso. Di<br />
lui rimangono quattro quadri nelle chiese di Macugnaga<br />
e la volta della parrocchiale. Sue opere incomplete<br />
furono ultimate dal Borgnis vigezzino.<br />
INNOCENTI PIETRO MASSIMO,<br />
magistrato, senatore<br />
Vogogna 1792 - ivi 1860<br />
Figlio del dr. Gerolamo e di Giuseppina Albertazzi. Fu<br />
m<strong>il</strong>itare nell’esercito napoleonico; si laureò in giurisprudenza<br />
ed entrato in magistratura divenne Consigliere di<br />
Corte d’appello. Fu senatore del Regno di Sardegna.<br />
INNOCENZO IX (Giovanni Antonio Nocetti),<br />
Sommo Pontefice<br />
Bologna 1519 - Roma 1591<br />
Figlio di Antonio e di Francesca Cini entrambi di Cravegna<br />
in valle Antigorio. Il padre, gerente un’agenzia di<br />
trasporti, era conosciuto come Facchinetto da cui <strong>il</strong> cognome<br />
Facchinetti dato alla famiglia. Dopo l’ordinazione<br />
sacerdotale conseguì la laurea in diritto civ<strong>il</strong>e e canonico.<br />
Fu vicario in Avignone, governatore di Parma, vescovo<br />
di Nicastro, patriarca di Gerusalemme, Cardinale<br />
e poi Papa <strong>il</strong> 29 ottobre 1591. Il suo pontificato durò<br />
pochissimo tempo.<br />
IONGHI LAVARINI CESARE, ingegnere, erudito<br />
Ornavasso 1864 - ivi 1934<br />
Studi classici a Domo, laurea in ingegneria a Torino.<br />
Scrisse: Ornavasso nella sua storia sacra e civ<strong>il</strong>e, Novara,<br />
1934 (con biografia completa di Enrico Bianchetti<br />
e della sua attività storiografica); Origine della colonia<br />
tedesco-vallesana; Dizionarietto dei vocaboli ornavassesi e<br />
della toponomastica locale.<br />
LANTI PIETRO ANTONIO, intagliatore, scultore<br />
Macugnaga 1679 – ivi 1729<br />
Figlio di Giacomo Antonio, ebbe contatti sia con gli<br />
artisti vallesani che con quelli ossolani e fu egli stesso<br />
177
maestro di altri intagliatori. La sua opera è volta soprattutto<br />
alla decorazione di altari che elaborò con ricchezza<br />
di invenzione e di effetto nello st<strong>il</strong>e dell’arte barocca.<br />
Le opere più note sono gli altari lignei della chiesa<br />
di Macugnaga, dell’oratorio della Madonna della Neve<br />
di Borca, e numerose statue di soggetto religioso. Inoltre<br />
intagliò per molte chiese nell’Ossola splendidi reliquiari<br />
in forma di busti con decorazioni dorate e dipinte<br />
di grande effetto.<br />
LEONI GIOVANNI (TOROTOTELA),<br />
poeta dialettale<br />
Domodossola 1846 – Mozzio 1920<br />
Figlio di Giuseppe e di Lucia Burla, interruppe gli studi<br />
al Liceo Mellerio Rosmini ricongiungendosi alla famiglia<br />
residente a Ferrara per commercio e là ebbe primo<br />
impiego. Si trasferì a Genova poi emigrò a Montevideo<br />
(1870) dove aprì un negozio di tessuti. Con intuito<br />
e iniziativa amministrò alcune case di commercio di<br />
altri e sue ed <strong>il</strong> successo economico gli consentì di rientrare<br />
in patria nel 1886. Alternò <strong>il</strong> suo soggiorno invernale<br />
fra Torino e Domo, mentre Mozzio fu l’amata sede<br />
della v<strong>il</strong>leggiatura. Uomo colto, poté dedicarsi alla letteratura<br />
ed ebbe in Carlo Porta <strong>il</strong> suo poeta ideale a cui<br />
si ispirò quando si decise a scrivere in apprezzab<strong>il</strong>i rime<br />
dialettali le sue osservazioni pungenti e satiriche sul costume<br />
e sui personaggi del suo tempo. Le Rime Ossolane<br />
uscite postume nel 1929 a Udine, a cura dei cugini<br />
Boni con prefazione di Ida Braggio, raccolgono solo<br />
una parte della poesia del «Torototela», pseudonimo del<br />
Leoni. Durante l’ultima traversata per Montevideo, effettuata<br />
nel 1902, scrisse Sull’Atlantico-Diario di viaggio,<br />
pagine di critica sociale in accordo con <strong>il</strong> suo sentire<br />
di ispirazione liberal-socialista-anticlericale.<br />
LINCIO GABRIELE,<br />
professore universitario, mineralogo<br />
Varzo 1874 - ivi 1938<br />
Figlio di Domenico e di Giuditta Alvazzi. Studiò chimica<br />
e mineralogia all’Università di Torino, frequentò<br />
l’Istituto mineralogico dell’Università di Monaco di Baviera<br />
ottenendo la libera docenza. Si perfezionò in cristallografia<br />
ad Heidelberg conseguendo <strong>il</strong> dottorato a<br />
Marburg. Nel 1905 fu addetto all’Ufficio geologico di<br />
Roma. Tornato in Germania assunse la direzione scien-<br />
178<br />
tifica della sezione ottico-mineralogica, e costruì un microscopio<br />
ancora oggi in uso per ricerche mineralogiche<br />
e petrografiche. A Torino nel 1909 conseguì la libera<br />
docenza. Insegnò mineralogia e geologia nelle Università<br />
di Cagliari, di Modena e di Genova dove diresse<br />
anche l’Istituto di mineralogia e litologia. Scrisse Della<br />
autunite della Lurisia che lo rivelò pioniere in <strong>It</strong>alia della<br />
ricerca dell’uranio.<br />
LORETTI GIOVANNI GIUSEPPE, pittore<br />
Bognanco 1816 – Mocogna 1879<br />
Figlio di Giuseppe e Maria Traveletti, preparatosi con<br />
maestri vigezzini al disegno, si rivelò presto valente ritrattista.<br />
Lavorò per parecchi anni a Ginevra ottenendo<br />
rinomanza e poi in Domodossola, dove fu anche primo<br />
presidente della Società Operaia sorta <strong>il</strong> 21 ottobre<br />
1855 per opera dell’avv. Trabucchi e del dr. Benedetto<br />
Burla. Caldeggiò anche la creazione di una cassa pensione<br />
per gli operai anziani e invalidi che fu realizzata<br />
dopo la sua morte.<br />
LOSSETTI GIOVAN BATTISTA, marchese, m<strong>il</strong>itare<br />
Vogogna 1600 circa - ivi 1663<br />
Figlio del giureconsulto Giuseppe. Dedicatosi alla vita<br />
m<strong>il</strong>itare, nel 1636 fu nominato Capitano Generale dell’Ossola<br />
dal Governo Spagnolo di M<strong>il</strong>ano per difendere<br />
i confini dai Francesi. F<strong>il</strong>ippo IV di Spagna lo creò marchese<br />
di Busto Garolfo per i servigi resigli. Divenne anche<br />
feudatario di Dairago e Briga Novarese. In seguito<br />
a rovesci di fortuna dovette alienare <strong>il</strong> suo patrimonio,<br />
ma F<strong>il</strong>ippo IV lo risarcì con <strong>il</strong> Marchesato di Inveruno.<br />
LOSSETTI LUCA, magistrato, diplomatico<br />
Vogogna inizio sec. XVI - Madrid 1574<br />
Figlio di Michele podestà di Asso e Valassina e luogotenente<br />
a Vogogna di Lodovico <strong>il</strong> Moro. Dal 1547 in poi<br />
trattò gli affari civ<strong>il</strong>i del Ducato Lombardo a Madrid<br />
presso Carlo V e F<strong>il</strong>ippo II. Nel 1557 fu fiscale generale<br />
in tutto lo Stato di M<strong>il</strong>ano.<br />
LOSSETTI LUCA, medico<br />
Vogogna 1799 - ivi 1874<br />
Figlio del giureconsulto Giacomo Giuseppe e di Francesca<br />
Zardetti di Piedimulera. Laureato a Pavia in medicina,<br />
nominato medico primario all’Ospedale Maggiore<br />
di M<strong>il</strong>ano, scrisse negli Annali Universali di Me-
dicina sulla varicella e sul vaiolo, sulla sif<strong>il</strong>ide e sulle acque<br />
minerali.<br />
LOSSETTI MANDELLI GABRIELE,<br />
storico, benefattore<br />
Vogogna 1821 - ivi 1886<br />
Figlio di don Pietro e di donna Giuseppina Marinoni.<br />
Dopo gli studi classici a M<strong>il</strong>ano conseguì la laurea<br />
in giurisprudenza a Pavia (25.4.1845). Fece pratica legale<br />
a M<strong>il</strong>ano e nel 1848 fece parte della Guardia civica<br />
(2° btg. S. Bab<strong>il</strong>a). Sposò in quell’estate donna Elisa<br />
Melzi d’Er<strong>il</strong> e in seguito al rientro a M<strong>il</strong>ano degli Austriaci<br />
ritornò a Vogogna definitivamente. Fu sindaco<br />
del borgo per circa vent’anni e contribuì con <strong>il</strong> proprio<br />
denaro all’erezione delle scuole elementari, della nuova<br />
chiesa con campan<strong>il</strong>e, dell’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e, della stazione<br />
ferroviaria e all’ingrandimento di piazze e vie e affrancò<br />
i Vogognesi dalle decime dovute alla Parrocchia. Lasciò<br />
considerevole somma per l’ospedale e per restauri<br />
del teatro. Dedicatosi con passione alle ricerche storiche,<br />
scrisse la biografia dei vogognesi avv. F<strong>il</strong>ippo Grolli<br />
e Angelo Zaretti, Notizie sui fatti del 1798, Cenno storico<br />
sui Settari di Cimamulera, Note sulla lapide romana<br />
della via del Sempione e La Cronaca del borgo di Vogogna<br />
dall’anno 1751 al 1885, pubblicata nel 1926 dalla figlia<br />
Pia. Per suo merito molte notizie su fatti e famiglie del<br />
passato sono giunte a noi.<br />
LUPETTI CARLO GAUDENZIO, pittore<br />
Prestinone di Craveggia 1827 - Nantes 1862<br />
Figlio del geom. Bartolomeo e di M. Domenica Fuccio.<br />
Allievo a Torino dell’Accademia Albertina tornò diplomato<br />
con medaglie nella sua Valle e vi eseguì lavori<br />
a fresco. Nel 1853 frequentò a Parigi lo studio del pittore<br />
Cogniet allora in auge e l’anno successivo mandò<br />
alla «Promotrice» di Torino La zingara e i suoi animali,<br />
riscuotendo grande consenso. Per parecchi anni fu uno<br />
dei pochi pittori di animali e rientrato a Prestinone restò<br />
fedele a quei soggetti pur dedicandosi anche alla ritrattistica.<br />
Stab<strong>il</strong>itosi definitivamente a Nantes vi lavorò<br />
con successo.<br />
LUSARDI ANTONIO, scultore<br />
Varallo Sesia 1860 – Domodossola 1926<br />
A Torino frequenta l’Accademia Albertina dedicandosi<br />
in particolare all’intaglio e alla plastica. Al termine dei<br />
corsi inizia la sua attività di scultore. Nel 1901 si trasferisce<br />
a Domodossola perché incaricato dell’insegnamento<br />
della plastica e dell’intaglio presso la scuola gestita<br />
dalla Fondazione Galletti e non lascerà più la città divenendo<br />
ossolano d’adozione. Stimato per le sue capacità<br />
artistiche, ricevette l’incarico di eseguire delle formelle<br />
per la chiesa della Madonna della Neve, <strong>il</strong> Cristo<br />
con i fanciulli per <strong>il</strong> frontone dell’edificio dell’as<strong>il</strong>o tenuto<br />
dalla suore Rosminiane, <strong>il</strong> medaglione con l’effigie<br />
di Giuseppe Belli per Calasca e quello di Giorgio Spezia,<br />
collocato nella casa natale di Piedimulera, e inoltre<br />
le effigi del conte Giacomo Mellerio e dell’abate Rosmini,<br />
poste sulla facciata del palazzo melleriano. Degna di<br />
nota anche la produzione funeraria.<br />
MELLERIO FRANCESCO, gioielliere, benefattore<br />
Craveggia 1772 - ivi 1848<br />
Figlio di Giovanni Francesco e di M. Caterina Borgnis,<br />
seguì <strong>il</strong> padre e lo zio, rivenditori di gioielli a Parigi.<br />
Scoppiata la Rivoluzione, mentre <strong>il</strong> padre rimpatriava<br />
con oltre duecento vigezzini, egli, seppure giovanissimo,<br />
continuò l’attività, ma nel 1793 con la fuga dalla<br />
capitale evitò la ghigliottina e per salvarsi si arruolò nell’armata<br />
francese del Nord. Nel 1795 rientrò a Craveggia<br />
e nel 1796 lavorò a M<strong>il</strong>ano per i Francesi della Cisalpina.<br />
Ritornato a Parigi ingrandì <strong>il</strong> negozio ed ebbe<br />
come clienti la moglie di Napoleone e molti membri<br />
della Corte imperiale. La gioielleria Mellerio di Rue de<br />
la Paix è ancora oggi fra le più rinomate della capitale<br />
francese. Generoso di offerte alla val Vigezzo, pagò la<br />
costruzione del ponte fra Craveggia e Vocogno.<br />
MELLERIO GIACOMO SENIOR, fermiere, conte<br />
Malesco 1711 - M<strong>il</strong>ano 1782<br />
Figlio del medico Giovanni Battista e di Giovanna<br />
Cioja, crebbe con gli zii Cioja, negozianti e banchieri a<br />
M<strong>il</strong>ano e per far pratica nel commercio. Messosi a lavorare<br />
in proprio accumulò grandi ricchezze con forniture<br />
agli eserciti di Maria Teresa e poi con la ferma generale<br />
(appalti generali) per <strong>il</strong> M<strong>il</strong>anese e per <strong>il</strong> Mantovano.<br />
Ritiratosi a vita privata ottenne cariche onorifiche e<br />
<strong>il</strong> titolo di conte di Albiate e Agliate (1776). Beneficò i<br />
poveri di M<strong>il</strong>ano e Malesco.<br />
179
Guglielmini Domenico, professore di idraulica, fisico - matematico<br />
Bologna 1655 - Padova 1710<br />
Lossetti Giovan Battista, marchese, m<strong>il</strong>itare<br />
Vogogna 1600(ca.) - ivi 1663<br />
Balcone Giovan Battista, benefattore<br />
S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />
Palletta Giovan Battista, chirurgo emerito, f<strong>il</strong>antropo<br />
Montecrestese 1748 - M<strong>il</strong>ano 1832
MELLERIO GIACOMO, statista, benefattore<br />
Domodossola 1777 – M<strong>il</strong>ano 1847<br />
Figlio del giureconsulto Carlo Giuseppe e di Rosa Sbaraglini<br />
di Oira (Crodo), orfano di padre fu chiamato a<br />
M<strong>il</strong>ano presso <strong>il</strong> ricchissimo zio paterno Giovanni Battista,<br />
già fermiere di Maria Teresa d’Austria e da lei creato<br />
conte per censo. Studiò nel Collegio Tolomei di Siena,<br />
poi viaggiò in Europa per istruzione. Sposò la contessa<br />
Elisabetta Castelbarco Visconti e condusse vita br<strong>il</strong>lante<br />
nella M<strong>il</strong>ano capitale del Regno <strong>It</strong>alico fino alla<br />
morte prematura della moglie e di tre figlioletti. Caduto<br />
Napoleone, parteggiò per <strong>il</strong> ritorno in Lombardia<br />
degli Austriaci (1814) dai quali fu nominato vice Reggente,<br />
e consigliere intimo di Sua Maestà. Nel 1817 divenne<br />
Cancelliere del Lombardo Veneto, carica che tenne<br />
fino al 1819. Non avendo ottenuto quell’autonomia<br />
amministrativa auspicata dai Lombardi, lasciò Vienna e<br />
si ridusse a vita privata. Mortagli la figlia superstite trovò<br />
conforto nella religione e nello studio. Uomo coltissimo<br />
fu mecenate e collezionista di opere d’arte ospitate<br />
nella grande v<strong>il</strong>la in Brianza. Beneficò Domodossola<br />
con l’istituzione delle scuole superiori classiche che<br />
ospitò nel palazzo da lui fatto costruire appositamente<br />
(1818) e la cui direzione affidò successivamente all’amico<br />
Rosmini, fondatore dell’Istituto della Carità (1828)<br />
al Calvario e l’insegnamento ai padri rosminiani. Provvide<br />
inoltre all’istruzione femmin<strong>il</strong>e acquistando i locale<br />
delle ex monache Orsoline e insediandovi le figlie<br />
della Carità, ordine monastico fondato dall’abate Rosmini.<br />
Con testamento (1847) <strong>il</strong> Mellerio lasciò al Comune<br />
di Domo i fabbricati nel borgo, proprietà terriere<br />
nel Lodigiano, una somma per l’ospedale S. Biagio e<br />
altri legati per la continuità degli studi liceali. Non dimenticò<br />
<strong>il</strong> Comune di Malesco, luogo di origine della<br />
famiglia. Con <strong>il</strong> suo lascito fu pagata la costruzione<br />
a fine Ottocento della grande porta centrale in bronzo<br />
per <strong>il</strong> Duomo di M<strong>il</strong>ano, opera insigne dello scultore<br />
Pogliaghi.<br />
MELLERIO GIOVANNI BATTISTA,<br />
fermiere, benefattore, conte<br />
Domodossola 1725 - M<strong>il</strong>ano 1809<br />
Figlio del medico vigezzino Giovanni Giacomo e di<br />
Anna Tichelli di Vagna, fece pratica di commercio a Mi-<br />
lano presso <strong>il</strong> cugino Giacomo Mellerio e fu suo braccio<br />
destro e socio nell’attività di fermiere, occupandosi<br />
degli appalti generali per <strong>il</strong> Governo austriaco nel territorio<br />
di Mantova dove, nel 1771 fu eletto regio consigliere<br />
del Magistrato Camerale. Erede delle sostanze<br />
del cugino Giacomo, che si aggiunsero al suo già consistente<br />
patrimonio, fu considerato uno dei più ricchi<br />
m<strong>il</strong>anesi. Con <strong>il</strong> cugino Giacomo affidò all’architetto<br />
Cantoni l’ampliamento del palazzo acquistato a M<strong>il</strong>ano<br />
e la sistemazione della v<strong>il</strong>la «II Gernetto» nei pressi<br />
di Monza, diventata di loro proprietà. Ebbe <strong>il</strong> titolo di<br />
Conte con sovrano attestato del 1783. Lasciò una rendita<br />
annua ai poveri di Malesco e una notevole somma<br />
all’Ospedale Maggiore di M<strong>il</strong>ano.<br />
MELLERIO GOTTARDO, professore di lettere classiche<br />
Santa Maria Maggiore 1884 - Novara 1943<br />
Figlio di Matrobio, maniscalco della Valle Vigezzo e di<br />
Annamaria Nicolai. Dopo studi classici e laurea in lettere<br />
a Torino si dedicò all’insegnamento, intervallato<br />
dalla partecipazione alla 1 a Guerra Mondiale. Si stab<strong>il</strong>ì<br />
a Novara, titolare di cattedra al Ginnasio e trascorse<br />
le estati nella sua Valle Vigezzo con la famiglia, traducendo<br />
classici, comp<strong>il</strong>ando una grammatica latina, collaborando<br />
anche a giornali francesi, scrivendo un romanzo<br />
inedito II palanchino della Madonna ambientato<br />
a S. Maria Maggiore, giudicato «preziosa testimonianza<br />
storica e di costume» della Vallata. Socialista, iscritto<br />
alla Massoneria ebbe contrasti politici ma non rinunciò<br />
alle proprie convinzioni. Fu amico dei pittori vigezzini<br />
Cavalli, Fornara, Peretti e del mecenate Michele Barbieri<br />
di Crana e con essi propugnò le conquiste sociali<br />
della amata Valle e diede vita a un foglio satirico ora<br />
introvab<strong>il</strong>e.<br />
MELLERIO Famiglia (ramo di Craveggia)<br />
FRANCESCO (1772-1834), fondatore della celeberrima<br />
«gioielleria Mellerio dits Meller» di Rue de la Paix<br />
a Parigi; GIANFRANCESCO (1815-1886), fornitore<br />
della corte di Francia e di altre corti europee, fondatore<br />
della succursale di Madrid, autore di famosi gioielli<br />
per regine, chiese e gemme per <strong>il</strong> Santuario di Montes;<br />
MICHELE, benefico verso i poveri, gli ammalati, <strong>il</strong> comune<br />
e la chiesa dell’amata Craveggia; FELICE (1831-<br />
181
1905) benefattore di Craveggia e particolarmente di<br />
Masera dove pagò gran parte della strada per Rivoria,<br />
fece costruire l’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e e restaurare la parrocchiale;<br />
DOMENICO, munifico verso <strong>il</strong> comune di Masera<br />
a cui donò un grande stab<strong>il</strong>e e terreno per le scuole<br />
elementari con annesso alloggio per le maestre e terreni<br />
per l’as<strong>il</strong>o; FRANCESCO fu Giangiacomo, deputato al<br />
Parlamento per la XIV legislatura e benefattore.<br />
MERZAGORA GIOVANNI ANDREA, scultore<br />
Craveggia sec. XVI - ivi 1603<br />
Autore dello splendido coro ligneo della Madonna di<br />
Campagna a Pallanza, dell’ancona dell’altare di S. Bartolomeo<br />
a V<strong>il</strong>ladossola. Altre opere sono sparse nel Vallese,<br />
nell’Ossola, nella Valsesia.<br />
MOALLI MARIA, titolare e direttrice di azienda<br />
Vergiate (VA) 1891 - Domodossola 1960<br />
Diresse con fermezza e ab<strong>il</strong>ità la Società Corriere Moalli<br />
e annessa officina; fu Crocerossina volontaria in Africa<br />
Orientale durante <strong>il</strong> conflitto <strong>It</strong>alo-Etiopico del 1935-<br />
36. La torretta di via Montegrappa, di sua proprietà, fu<br />
regalata al Comune per desiderio suo e dei fratelli e da<br />
allora è diventata emblema cittadino.<br />
MOLINARI GIACOMO, rosminiano<br />
Domodossola 1807 - Sacra di S. Michele 1864<br />
Ordinato sacerdote a Novara, nel 1830 entrò nell’Istituto<br />
della Carità da poco fondato dall’abate Rosmini.<br />
Rettore del Calvario e del Collegio Melleriano, fu poi<br />
arciprete a San Zeno di Verona da cui fu allontanato<br />
perché non gradito alla polizia austriaca. Nel febbraio<br />
1861 Cavour personalmente lo inviò a Roma, latore di<br />
carte e lettere riservate al diplomatico Rappresentante<br />
dell’appena proclamato Regno d’<strong>It</strong>alia, destinate alle<br />
prime trattative con la Santa Sede.<br />
MONETA ATTILIO,<br />
colonnello, medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />
Malesco 1893 - Finero 1944<br />
Lasciati gli studi al Rosmini, scelse la carriera m<strong>il</strong>itare<br />
e frequentò la scuola d’equitazione a Pinerolo. Dopo la<br />
1 a guerra mondiale fu ufficiale del Centro rifornimento<br />
quadrupedi di Grosseto, di cui divenne Colonnello Direttore.<br />
Con l’8 settembre 1943 rientrò a Malesco portando<br />
armi e, preso contatto con le prime formazioni<br />
182<br />
partigiane e <strong>il</strong> C.L.N. di Lugano, tenne <strong>il</strong> collegamento<br />
fra i reparti armati dell’Ossola e la missione alleata in<br />
Svizzera. Nel settembre 1944 disciplinò la resa dei Tedeschi<br />
in val Cannobina e organizzò la difesa in Vigezzo.<br />
Essendo la Repubblica dell’Ossola in pericolo, <strong>il</strong> 12<br />
ottobre con Alfredo di Dio e l’ufficiale alleato Patterson<br />
uscì in avanscoperta sotto Finero per conoscere la posizione<br />
nemica, ma cadde in una imboscata colpito mortalmente<br />
con <strong>il</strong> Di Dio.<br />
MONTI ENRICO, architetto, arredatore, benefattore<br />
Anzola d’Ossola 1873-1949<br />
Frequentò scuole serali all’Accademia di Brera a M<strong>il</strong>ano<br />
poi a prezzo di sacrifici conseguì la laurea in architettura.<br />
Si specializzò nella produzione di mob<strong>il</strong>i e arredamenti<br />
di lusso a M<strong>il</strong>ano (sale Biblioteca Ambrosiana,<br />
studio di Toscanini) con f<strong>il</strong>iali in altre città, impiegando<br />
oltre seicento operai. Arredò <strong>il</strong> palazzo di Montecitorio<br />
a Roma, i Parlamenti di Buenos Aires e Montevideo,<br />
<strong>il</strong> palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra,<br />
un’aula del palazzo reale di Amsterdam. Tra <strong>il</strong> 1920-30<br />
si dedicò agli arredamenti navali (Rex e Roma) e allestì<br />
i padiglioni italiani delle Grandi Esposizioni all’estero.<br />
Già nel 1914 ebbe la nomina a Cavaliere del Lavoro. Fu<br />
socio onorario di molte Accademie. Beneficò <strong>il</strong> suo paese,<br />
di cui fu sindaco, costruendo a proprie spese la passerella<br />
sul Toce e impiegò le medaglie d’oro di benemerenza<br />
per far decorare la chiesa parrocchiale.<br />
MONTI PAOLO, uomo di cultura, fotografo<br />
Novara 1908 - M<strong>il</strong>ano 1982<br />
Figlio di Romeo da Anzola d’Ossola. Laurea in economia<br />
politica, dirigente industriale a Venezia. Appassionato<br />
di fotografia, fondò un gruppo d’avanguardia per<br />
<strong>il</strong> rinnovamento dell’arte fotografica. Nel 1953 lasciò la<br />
carriera di dirigente e a M<strong>il</strong>ano divenne esponente significativo<br />
della cultura legata alla fotografia, collaborò<br />
alle principali riviste di architettura e si dedicò alla fotografia<br />
d’arte e ambienti e al censimento dei centri storici<br />
di molte città italiane. Insegnante di tecnica ed estetica<br />
dell’immagine all’Università di Bologna, promosse e<br />
diffuse <strong>il</strong> restauro conservativo delle città italiane. Eseguì<br />
<strong>il</strong> censimento fotografico dell’architettura e dell’ambiente<br />
del Lago d’Orta e della Bassa Ossola. La morte<br />
gli impedì di estendere <strong>il</strong> lavoro all’Alta Ossola.
MORGANTINI GIOVANNI, benefattore<br />
Crevoladossola 1841 - ivi 1889<br />
Figlio di Giovanni e di Domenica Zanoni. Emigrò a<br />
Parigi e da imbianchino-garzone divenne impresariodecoratore<br />
con appalto di lavori per <strong>il</strong> governo (1870).<br />
Membro della Società di beneficenza e consigliere della<br />
camera di Commercio d’<strong>It</strong>alia a Parigi, aiutò i connazionali<br />
e i bisognosi. Fondò a Crevola un as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e<br />
e donò arredi e denaro alla chiesa.<br />
MORIGIA VALENTINO<br />
(Frate Francesco da Domodossola), vescovo, politico<br />
Domodossola 1340? - 1409?<br />
Entrò nel convento dei frati minori francescani di<br />
Domo e ivi compì gli studi per <strong>il</strong> sacerdozio. Per le sue<br />
doti e capacità diplomatiche, nob<strong>il</strong>i ed ecclesiastici ossolani<br />
lo inviarono dal Papa ad Avignone, nell’inverno<br />
1373-74, a dichiarare la loro disponib<strong>il</strong>ità alla ribellione<br />
ai Visconti signori dell’Ossola. Rientrato in Ossola<br />
con lettere papali di credito e un «breve» rivolto<br />
agli Ossolani, si impegnò nella propaganda antiviscontea<br />
suscitando la lotta dell’Ossola Superiore guidata dagli<br />
Spelorci contro i Ferrari della Bassa Ossola, fedeli ai<br />
Visconti. Ci fu guerra e poi pace in Ossola con nuova<br />
dedizione ai Visconti, ma frate Francesco Valentino<br />
Morigia lasciò <strong>il</strong> convento di Domo per quello più importante<br />
di Vercelli. Nel 1396 Bonifacio IX lo elesse Vescovo<br />
di Sarda (Schurda) in Albania, però, in effetti fu<br />
aus<strong>il</strong>iare del Vescovo di Novara e verso <strong>il</strong> 1408 di quello<br />
di Costanza con l’incarico di fondare chiese anche in<br />
Ossola (Craveggia, Formazza).<br />
MORTAROTTI RENZO, studioso dell’Ossola<br />
Torino 1920 - Domodossola 1988<br />
Religioso rosminiano, laureato in lettere classiche nella<br />
Università Cattolica di M<strong>il</strong>ano; titolare ordinario di<br />
lettere nel Ginnasio del Collegio Mellerio Rosmini di<br />
Domodossola. Profondo conoscitore dell’Ossola, a cui<br />
dedicò numerose ricerche, pubblicate nelle riviste Illustrazione<br />
Ossolana e Oscellana, fu autore di pregevoli libri<br />
dal titolo:Il Traforo del Sempione nel Cinquantenario<br />
(1956); I Walser nella Val d’Ossola (1979); L’Ossola<br />
nell’età moderna dall’annessione al Piemonte al Fascismo<br />
(1743-1922) (1985); G.R.- Grazia Ricevuta (1987).<br />
Domodossola, dove trascorse la maggior parte della sua<br />
vita, fu la sua vera patria.<br />
ORSI MOSÈ, imprenditore, pubblico amministratore<br />
Beura 1849 - Domodossola 1918<br />
Figlio di Antonio e di Caterina Mancini. Prima dell’avvento<br />
delle ferrovie, organizzò <strong>il</strong> trasporto dei passeggeri<br />
e dei primi turisti da e per <strong>il</strong> Sempione e nelle nostre<br />
valli, essendo state aperte da poco tempo le carrozzab<strong>il</strong>i<br />
dell’Ossola. Erano al suo servizio molti vetturali, trenta<br />
cavalli per <strong>il</strong> traino di carrozze, d<strong>il</strong>igenze e slitte, ed<br />
<strong>il</strong> suo albergo accolse anche ospiti di riguardo. Consigliere<br />
comunale e sindaco stimato e amato di Beura e di<br />
Domodossola, diede lavoro e aiuto a molti ossolani.<br />
PALLETTA GIOVAN BATTISTA,<br />
chirurgo emerito, f<strong>il</strong>antropo<br />
Montecrestese 1748 - M<strong>il</strong>ano 1832<br />
Figlio di Giacomo e di Maria Leonardi. Dopo gli studi<br />
classici a Briga nel Vallese presso i Gesuiti, si iscrisse<br />
a M<strong>il</strong>ano a una scuola di giurisprudenza che lasciò per<br />
entrare nel collegio degli allievi chirurghi dell’Ospedale<br />
Maggiore. Avendolo frequentato con intelligenza e<br />
passione gli fu consigliata l’iscrizione al corso di anatomia<br />
e patologia dell’Università di Padova dove nel 1773<br />
conseguì la laurea «summa cum laude». Nel 1777 a M<strong>il</strong>ano<br />
fu nominato assistente chirurgo e nel 1780 a Pavia<br />
conseguì la specializzazione in chirurgia tanto che<br />
nel 1787 ebbe l’incarico di capo chirurgo, cioè primario<br />
della Ca’ Granda. In questi anni scrisse trattati di<br />
grande valore scientifico i quali gli valsero onorificenze<br />
da parte di istituzioni accademiche italiane e straniere<br />
che lo vollero membro effettivo. Sostenne <strong>il</strong> metodo<br />
sperimentale, espressione del positivismo del suo tempo.<br />
Per le sue grandi capacità diagnostiche e terapeutiche<br />
Napoleone lo consultò e lo insignì del cavalierato<br />
della «Corona ferrea». Con la Restaurazione fu Rettore<br />
della facoltà di chirurgia e medicina ed ebbe riconoscimenti<br />
anche dall’imperatore d’Austria. Nel 1816 organizzò<br />
i primi ambulatori. Durante una lunga degenza<br />
in seguito alla rottura del femore scrisse in latino <strong>il</strong> suo<br />
ultimo lavoro in due volumi dal titolo Exercitationes patologicae<br />
(1820).<br />
PANIGHETTI GIOVANNI ANTONIO, calzolaio<br />
Varzo 1739 - Moncalieri 1785<br />
Figlio di Giorgio e di Giacomina Borri. Orfano di pa-<br />
183
dre, emigrò in Piemonte e dopo aver trascorso follemente<br />
la prima giovinezza si ravvide dandosi a opere<br />
di carità e di um<strong>il</strong>tà. È noto come «<strong>il</strong> santo calzolaio<br />
di Moncalieri» ed è sepolto nella parrocchiale di quella<br />
città.<br />
PARNISARI ARRIGO, pittore<br />
Stresa 1926 – Domodossola 1975<br />
Figlio di Ottorino e Letizia Molinari. A Domodossola<br />
apprende i primi rudimenti della pittura e negli anni<br />
1945-46 a M<strong>il</strong>ano frequenta <strong>il</strong> liceo artistico di Brera,<br />
abbandonato presto per insofferenza ai metodi e ai programmi<br />
di quella scuola. Nel 1947 si trasferisce a Firenze<br />
dove partecipa al movimento Arte d’oggi, di cui<br />
condivide <strong>il</strong> linguaggio post-cubista. In seguito prende<br />
contatti con <strong>il</strong> Movimento d’arte concreta che sta vivacizzando<br />
l’ambiente artistico m<strong>il</strong>anese e fonda con altri artisti<br />
la rivista Base e numero. Nel 1951 rientra forzatamente<br />
a Domodossola per curare un forte esaurimento,<br />
ma inefficaci terapie non riescono a liberarlo da fobie e<br />
frustrazioni. Lasciata la pittura per tali motivi, si dedica<br />
alla produzione di ceramica artistica. Nel 1960 soggiorna<br />
in Svizzera, poi riallaccia i rapporti con i compagni<br />
fiorentini trasferitisi a Parigi. La malattia lo riprende e<br />
non lo abbandona fino alla fine dei suoi giorni.<br />
PELLANDA LUIGI, arciprete di Domodossola, storico<br />
Crodo 1885 - Domodossola 1961<br />
Ordinato sacerdote nel 1908, iniziò la sua attività pastorale<br />
come coadiutore e poi fu titolare di parrocchia a<br />
Varzo e a Domo. Visse i tragici avvenimenti che sconvolsero<br />
l’Ossola fra <strong>il</strong> 1943 e <strong>il</strong> 1945 con coraggio e rischio<br />
personale per difendere la giustizia, i deboli e i<br />
perseguitati e lasciò memoria obiettiva dei fatti, vissuti<br />
in prima persona, nella rievocazione storica L’Ossola<br />
nella tempesta (volumetto uscito nel 1955) fonte insostituib<strong>il</strong>e<br />
di notizie. Fu in gioventù pioniere del motociclismo,<br />
delle proiezioni luminose e del cinema, considerati<br />
come mezzo educativo, inoltre animatore del<br />
canto gregoriano nelle funzioni parrocchiali. Fu studioso<br />
di Innocenzo IX e scrisse la storia della chiesa parrocchiale<br />
di Domo. È ricordato come custode attento e zelante<br />
delle tradizioni locali e degli oggetti sacri. Gli Ossolani<br />
lo giudicarono un santo prete e un gran galantuomo.<br />
184<br />
PERETTI BERNARDINO, pittore<br />
Buttogno 1828 - ivi 1889<br />
Figlio del pittore Lorenzo, si perfezionò all’Accademia<br />
di Belle Arti di Lione. Partecipò alle Esposizioni di Torino<br />
del 1867, 1868, 1870 e 1871 e tornò in <strong>It</strong>alia nel<br />
1872. Lasciò molti quadri ad olio e buoni affreschi in<br />
Francia e nelle chiese ossolane.<br />
PERETTI GIACOMO, generale, benefattore<br />
Santa Maria Maggiore 1838 - ivi 1912<br />
Figlio dell’avv. Giovan Battista e di Giacomina Sbaraglini<br />
di Oira. Dopo gli studi classici a Domodossola frequentò<br />
la facoltà di matematica all’Università di Torino<br />
poi l’Accademia m<strong>il</strong>itare. Combatté nel 1866 a Custoza.<br />
Fu insegnante alla Scuola m<strong>il</strong>itare di Pinerolo. Concluse<br />
la carriera col grado di generale e, ritiratosi a Santa<br />
Maria Maggiore, ricoprì cariche pubbliche portando<br />
a termine alcune iniziative.<br />
PERETTI LORENZO, pittore<br />
Buttogno 1774 - ivi 1851<br />
Figlio del pittore Carlo Giuseppe, allievo del padre e<br />
del vigezzino G. Rossetti, andò a perfezionarsi a Torino<br />
dove ebbe fra i committenti <strong>il</strong> re Carlo Felice per lavori<br />
e restauri nel palazzo Reale. Notevole una crocifissione<br />
(Chiesa di S. Francesco di Paola a Torino). Lavorò<br />
in Ossola, nell’Astigiano e nel Canton Ticino. Fu anche<br />
valente ritrattista.<br />
PINAUDA FRANCESCO, studioso di cose ossolane<br />
Beura Cardezza 1864 - Roma 1934<br />
Sacerdote rosminiano, laureato in matematica e fisica<br />
all’Università di Torino fu insegnante e preside del Liceo-Ginnasio<br />
Mellerio Rosmini. Scrisse Meteorologia ossolana.<br />
Cenni sulle miniere, cave e acque minerali della<br />
regione ossolana (1928). Cenni storici della chiesa della<br />
Madonna della Neve (1918), e molti articoli di storia,<br />
meteorologia, religione, sui giornali locali dal 1910<br />
al 1928. Il suo Almanacco ossolano (1914-1926) ricco di<br />
notizie storiche-statistiche-geografiche fu una specie di<br />
enciclopedia popolare per gli ossolani.<br />
PIOLINI GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />
Colloro di Premosello 1835 - ivi 1915<br />
Figlio di Antonio e di Teresa Borri, emigrò tredicenne<br />
a Parigi per fare <strong>il</strong> fumista e da garzone divenne im-
presario di agiata condizione. Scoppiata la guerra Franco-Prussiana<br />
nella Parigi assediata (1870-71) fu membro<br />
della Commissione <strong>It</strong>aliana e Capo Divisione della<br />
Compagnia Umanitaria per <strong>il</strong> soccorso dei feriti sui<br />
campi di battaglia. Il Governo francese gli dedicò due<br />
medaglie. Tornato in patria fu eletto sindaco di Premosello.<br />
Lasciò una vistosa somma per l’erezione delle<br />
scuole.<br />
PIRAZZI MAFFIOLA ALCIDE, deputato<br />
Baceno 1897 - ivi 1965<br />
Figlio di Plinio e di Cesarina Cominoli, frequentò dai<br />
Salesiani a Torino scuole tecniche professionali e si impiegò<br />
come tipografo. Aderì al Partito Socialista e per la<br />
sua posizione politica fu condannato a due anni di reclusione<br />
che scontò nel carcere torinese con Gramsci ed<br />
altri antifascisti. Stab<strong>il</strong>itosi a V<strong>il</strong>ladossola, lavorò presso<br />
la centrale «Edison» di Pallanzeno, continuando l’attività<br />
politica. Durante la Repubblica dell’Ossola rappresentò<br />
<strong>il</strong> partito socialista in seno al C.L.N. e al ritorno<br />
dei Tedeschi si rifugiò a Locarno con Tibaldi ed altri antifascisti.<br />
Nel 1948 fu eletto deputato per <strong>il</strong> Fronte delle<br />
Sinistre, rimanendo a Roma fino al 1953. Dal 1955<br />
al 1960 fu sindaco stimato di V<strong>il</strong>ladossola.<br />
PIRAZZI MAFFIOLA PLINIO,<br />
amministratore pubblico, sindacalista<br />
V<strong>il</strong>ladossola 1927 – ivi 1994<br />
Figlio dell’onorevole deputato Alcine e di Albina Bussa.<br />
Conseguito <strong>il</strong> diploma di perito chimico si iscrive alla<br />
C.G.L. Per l’impegno dimostrato viene eletto membro<br />
della Commissione nazionale giovan<strong>il</strong>e dei chimici e responsab<strong>il</strong>e<br />
del sindacato chimici della zona Ossola. A<br />
partire dal 1960, per quattro volte, è sindaco di V<strong>il</strong>ladossola.<br />
Stimato per la sua attività instancab<strong>il</strong>e, dapprima<br />
attiva <strong>il</strong> collegamento delle frazioni con <strong>il</strong> centro,<br />
poi cura la costruzione di un edificio atto ad ospitare<br />
la scuola media e <strong>il</strong> liceo scientifico statale, che qui<br />
ebbe la sua sede prima del trasferimento definitivo a<br />
Domodossola. Promuove la costruzione delle case popolari<br />
e cooperative sorte su un progetto dell’ing. Marcello<br />
Bologna e consente la realizzazione di case unifam<strong>il</strong>iari.<br />
Nel 1962 requisisce la grande acciaieria Sisma,<br />
centro delle lotte sindacali. Viene eletto presidente della<br />
Comunità Montana Valle Ossola e dell’Assemblea de-<br />
gli amministratori dell’USL n. 56. Queste sue esperienze<br />
di vita politica e amministrativa sono ricordate in un<br />
<strong>libro</strong>, scritto in collaborazione con l’amico Franco Michetti,<br />
dal titolo V<strong>il</strong>la, cenni storici, amministrativi, di<br />
lavoro, di vita e di curiosità.<br />
PIROIA MODINI GIOVANNI, benefattore<br />
Vagna 1816 - ivi 1899<br />
Emigrante dodicenne, divenne rappresentante di commercio<br />
in Francia e nel 1839 di là passò a Cuba dove ingrandì<br />
una oreficeria dello zio rendendola la prima dell’isola.<br />
Comperò vaste piantagioni e per un ventennio<br />
fu vice console dei Regno di Sardegna. Rientrato in Ossola<br />
nel 1860, beneficò <strong>il</strong> suo paese con sovvenzioni.<br />
POLLINI GIACOMO, medico, storico, benefattore<br />
Parigi 1827 - Torino 1902<br />
Figlio di Maurizio e di Maria Giovanna Sotta. Primi<br />
studi e laurea in medicina in Francia dove diresse un<br />
sif<strong>il</strong>ocomio. Trasferitosi in <strong>It</strong>alia, a Torino gli fu convalidato<br />
<strong>il</strong> titolo accademico (1854). Nel 1859 divenne<br />
medico dell’Ambasciata francese a Torino e dirigente<br />
del reparto oftalmico dell’Ospedale. Nel 1866 medico<br />
chirurgo dell’esercito italiano nella 3 a guerra d’Indipendenza.<br />
Durante i soggiorni a Malesco si diede alla ricerche<br />
storiche, che raccolse nel volume Notizie storiche di<br />
Malesco (1896). Lasciò tutto <strong>il</strong> suo patrimonio in beneficenza<br />
sotto <strong>il</strong> titolo di «Opera pia Pollini», regolata da<br />
tavole di fondazione da lui dettate.<br />
PONTI GIOVANNI, benefattore<br />
Santa Maria Maggiore 1849 - Domodossola 1916<br />
Figlio di Angelo Antonio dell’<strong>il</strong>lustre famiglia dei Ponti<br />
gioiellieri in Francia, generoso benefattore dei poveri, a<br />
Santa Maria Maggiore istituì una «Scuola industriale» e<br />
lasciò un legato per la Scuola Rossetti-Valentini.<br />
PORTA ANTONIO, tipografo, pubblico amministratore<br />
Domodossola 1819 - ivi 1893<br />
Figlio di Giuseppe e di Teresa Pagani. Studi ginnasiali<br />
a Domo e pratica tipografica a Varallo Sesia. Direttore<br />
della tipografia Calpini, ne divenne proprietario ingrandendola<br />
con vantaggio economico che gli consentì<br />
liberalità verso i bisognosi. Stampò i principali giornali<br />
locali del tempo e le pubblicazioni storico-scientifiche<br />
a vantaggio della cultura locale, nonché i bigliet-<br />
185
Panighetti Giovani Antonio, calzolaio<br />
Varzo 1739 - Moncalieri 1785<br />
Sala Giuseppe, Cardinale<br />
Bologna 1762 - Roma 1839<br />
Prinsecchi Carlo Giuseppe, padre Emanuele postulatore apostolico<br />
Domodossola 1710 - Roma 1808<br />
Tojetti Giovanni, frate alcantarino, venerab<strong>il</strong>e<br />
Calasca 1680 - Napoli 1764
ti da 50 centesimi che lo resero celebre. Accettò cariche<br />
amministrative pubbliche per dovere e fu socio fondatore<br />
dell’As<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e, della Società operaia e consigliere<br />
della Fondazione Galletti.<br />
POSCIO FERDINANDO BARTOLOMEO,<br />
impresario, benefattore<br />
V<strong>il</strong>ladossola 1900 - ivi 1971<br />
Figlio di Bartolomeo e di Rosa Secondini. Iniziò dodicenne<br />
l’attività lavorativa nel piccolo cantiere paterno,<br />
fornitore di pietrisco per le strade locali. Subentrato al<br />
padre, nel 1930 diede nuovo impulso all’azienda divenuta<br />
costruttrice di strade, ponti, dighe, v<strong>il</strong>laggi operai.<br />
Nel dopoguerra, con m<strong>il</strong>le dipendenti, ricostruì la<br />
SISMA di V<strong>il</strong>ladossola, lavorò per la Edison, costruì <strong>il</strong><br />
Santuario di Re e <strong>il</strong> palazzo Borsa Merci di Novara. Dotato<br />
di grande umanità, fu sempre disponib<strong>il</strong>e ad aiutare<br />
chi ricorreva a lui.<br />
POZZI GIOVANNI ORESTE, scultore<br />
Vogogna 1892 - ivi 1980<br />
Si diplomò a pieni voti all’Accademia di Brera. Eseguì<br />
numerosi monumenti ai caduti e sculture tombali per <strong>il</strong><br />
Monumentale di M<strong>il</strong>ano. Nel 1925 <strong>il</strong> suo bozzetto su S.<br />
Francesco fu premiato. Il suo «Gladiatore» in marmo di<br />
Candoglia fu acquistato dal re Vittorio Emanuele III.<br />
PRESBITERO FERDINANDO, avvocato, benefattore<br />
Vogogna 1848 - S. Germano di Pinerolo 1909<br />
Figlio dell’avv. Vittorio e di Maria Spezia. Studi classici<br />
al collegio Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />
a Torino dove poi visse esercitando la professione legale.<br />
Lasciò molti dei suoi beni all’as<strong>il</strong>o e ai poveri di Vogogna<br />
oltre che al Cottolengo di Torino. A Vogogna la<br />
casa di riposo per anziani porta <strong>il</strong> nome «Presbitero» a<br />
ricordo del benefattore.<br />
PRINSECCHI CARLO GIUSEPPE<br />
(Padre Emanuele) Postulatore apostolico<br />
Domodossola 1710 – Roma 1808<br />
Figlio di Antonio e di Maria Giovanna Ghisoli. Entrò<br />
nell’ordine dei Cappuccini e divenne sacerdote nel convento<br />
di Rieti. Per la profonda preparazione teologica<br />
fu trasferito a Roma verso <strong>il</strong> 1764 e là ricoprì l’alta carica<br />
di postulatore, cioè di promotore della beatificazione<br />
e santità di alcuni frati cappuccini. Inoltre con la fa-<br />
condia dell’eloquio e la forza delle sue argomentazioni<br />
contestò gli errori dei f<strong>il</strong>osofi <strong>il</strong>luministi mediante<br />
le Dissertazioni in forma di dialoghi intorno ai vari dogmi<br />
cattolici per dimostrare la loro verità, contro li così detti<br />
spiriti forti e specialmente contro li seguaci degli errori<br />
di Voltaire, opera uscita nel 1780. Scrisse anche Della<br />
Chiesa e della gerarchia Ecclesiastica che dedicò a Pio VI,<br />
amareggiato per la diffusione dei principii giansenistici.<br />
A Roma fu tenuto in grande stima, in particolare dagli<br />
Ossolani cardinale Sala, Prefetto della Congregazione<br />
dell’Indice e assistente al soglio Pontificio, e Benedetto<br />
Fenaia da Formazza, arcivescovo di F<strong>il</strong>ippi.<br />
PROTASI GIAN DOMENICO, ingegnere, politico<br />
Piedimulera 1810 - Arona 1873<br />
Laurea a Torino in ingegneria. Ideò e promosse la costruzione<br />
della carreggiab<strong>il</strong>e di valle Anzasca. Deputato<br />
al Parlamento Subalpino si batté per la ferrovia M<strong>il</strong>ano-Domodossola-Sempione.<br />
Dopo l’Unità d’<strong>It</strong>alia fu<br />
presidente dell’Amministrazione Provinciale di Novara<br />
e sindaco di Arona.<br />
RAGOZZA ERMINIO,<br />
sacerdote, benefattore, studioso<br />
Colloro di Premosello 1918 – Quarona (VC) 1984<br />
Ordinato sacerdote nel 1941, fu parroco di Gignese e<br />
insegnante di lettere italiane, latine e greche presso <strong>il</strong> seminario<br />
di Arona. Nel 1954 fu trasferito nella parrocchia<br />
di Quarona (VC) e là rimase sino alla morte. Diede<br />
alla stampa i suoi studi di storia valsesiana e sulla<br />
parrocchia quaronese. Tuttavia non allentò mai i legami<br />
affettivi con <strong>il</strong> suo paese d’origine, contribuendo finanziariamente<br />
ai lavori della strada Premosello-Colloro<br />
e lasciando parte delle sue sostanze alla parrocchia,<br />
alla Casa di riposo e parecchi suoi libri alla biblioteca<br />
comunale. Collaborò al bollettino parrocchiale premosellese.<br />
Nel 1969 la Pro Loco gli pubblicò Aria di casa<br />
nostra e postumo nel 1985 <strong>il</strong> volume U Libar d’la cà vegia<br />
d’Clor e d’Cravaga, contenente anche un vocabolario<br />
del vecchio dialetto locale.<br />
RASTELLINI GIOVANNI BATTISTA,<br />
pittore, pubblico amministratore<br />
Buttogno 1860 - ivi 1926<br />
Figlio di Gian Giacomo, ritrattista, studiò alla Scuola<br />
Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore e si perfe-<br />
187
zionò a M<strong>il</strong>ano nella pittura e nel restauro che eseguiva<br />
con tecnica particolare. Fu per un ventennio sindaco<br />
del suo paese.<br />
RASTELLINI GIAN MARIA,<br />
pittore, pubblico amministratore<br />
Buttogno 1869 - ivi 1927<br />
Figlio di Gian Giacomo, frequentò la scuola Rossetti<br />
Valentini di Santa Maria Maggiore e si perfezionò a M<strong>il</strong>ano<br />
come <strong>il</strong> fratello Giovan Battista. Tenne studio a<br />
M<strong>il</strong>ano ed ebbe committenti fra gli aristocratici e i ricchi<br />
borghesi lombardi, ottenendo un premio alla triennale<br />
di M<strong>il</strong>ano del 1888 e all’Esposizione di Monaco di<br />
Baviera nel 1913. Fu sindaco di Buttogno e presidente<br />
della Società Elettrica Vigezzina.<br />
RAVASENGA CARLO, musicista<br />
Torino 1891 - Roma 1964<br />
Ossolano per parte materna amò l’Ossola e trascorse<br />
lunghi periodi a Vogogna. Lasciati gli studi giuridici,<br />
per vocazione frequentò <strong>il</strong> conservatorio a Torino e<br />
nel 1915 eseguì musica da camera di sua composizione.<br />
Nel 1916 riportò caloroso successo con l’opera Una tragedia<br />
fiorentina. A M<strong>il</strong>ano diresse <strong>il</strong> settimanale L’araldo<br />
musicale, svolse attività didattica e di compositore. La<br />
sua musica da camera ebbe successo in tutta <strong>It</strong>alia. In<br />
un concorso a New York con giuria diretta da Toscanini,<br />
ebbe <strong>il</strong> 2° premio per la Suite in quattro tempi. Compose<br />
quattro opere sinfoniche, oltre a musiche inedite.<br />
Manoscritti, spartiti, edizioni rare furono donati dalla<br />
figlia Evelina (1921 - 1993) per desiderio del padre alla<br />
fondazione Galletti insieme al suo pregevole pianoforte.<br />
Svolse attività didattica e con <strong>il</strong> maestro Toni fondò<br />
<strong>il</strong> sindacato musicisti.<br />
ROABBIO GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />
Nato a Baceno nel sec. XVII<br />
Canonico della Collegiata di Domo, dispose un lascito<br />
alla comunità del Borgo perché fosse istituita una scuola<br />
elementare per i ragazzi poveri, la quale fu di grande<br />
ut<strong>il</strong>ità e funzionò fino all’apertura delle scuole fondate<br />
e finanziate dal conte Giacomo Mellerio.<br />
ROABBIO PIETRO PAOLO, benefattore<br />
Vissuto a Baceno nel sec. XVII, dove fu parroco fino al<br />
1671. Istituì una cappellania a Baceno con l’obbligo di<br />
188<br />
una scuola gratuita per i fanciulli poveri del luogo.<br />
RONDOLINI GIOVANNI, medico benemerito<br />
Pallanzeno 1870 – V<strong>il</strong>ladossola 1954<br />
Figlio di Luigi e di Teresa De Regibus. Laurea in medicina<br />
e chirurgia a Torino. A V<strong>il</strong>ladossola svolse la professione<br />
medica come missione da compiere a vantaggio<br />
della popolazione. Si prodigò anche per quella dei<br />
paesi di valle Antrona che raggiungeva due volte per<br />
settimana e più in caso di urgenza. Specializzato nella<br />
cura di malattie dell’apparato respiratorio, ai pazienti<br />
offrì assistenza con qualunque tempo, a qualunque<br />
ora anche nei paesetti più lontani portando le medicine<br />
agli indigenti, sempre prodigo di insegnamenti e consigli<br />
igienico sanitari alle famiglie. Convinto dell’ut<strong>il</strong>ità<br />
dell’esercizio fisico all’aria aperta organizzò nell’immediato<br />
primo dopoguerra (1919) escursioni e camminate<br />
che propagandò dapprima nelle osterie, in attesa di<br />
una sede in cui riunire gli aderenti all’Unione Operaia<br />
Escursionisti <strong>It</strong>aliani (sorta nel 1911 a Monza) allo scopo<br />
di sottrarre all’alcolismo e al gioco d’azzardo i giovani.<br />
Non dimenticò i ragazzini organizzando per loro<br />
apposite camminate dopo l’ascolto della Messa, e continuò<br />
questa attività anche con <strong>il</strong> C. A. I. fino al termine<br />
del secondo conflitto mondiale.<br />
ROGGIANI ALDO GIUSEPPE,<br />
mineralogo, petrografo<br />
Domodossola 1914 - ivi 1986<br />
Figlio di Giuseppe e di Rosa Ponzio. Studi classici al<br />
Mellerio Rosmini, laurea in scienze naturali a M<strong>il</strong>ano,<br />
docente di scienze, chimica e geografia astronomica nei<br />
Licei rosminiani. Fu studioso insigne della mineralogia<br />
generale e in particolare di quella dell’Ossola. Fin dal<br />
1938 in valle Vigezzo individuò e per anni coltivò in<br />
proprio un giacimento di feldspato situato a Druogno-<br />
Orcesco-Gagnone. Là nel 1946, si accorse della presenza<br />
di un minerale sconosciuto, che risultò essere s<strong>il</strong>icato<br />
di alluminio e calcio, <strong>il</strong> quale fu catalogato in suo onore<br />
con <strong>il</strong> nome di ROGGIANITE. L’ufficializzazione della<br />
scoperta avvenne durante <strong>il</strong> XXV Congresso di mineralogia<br />
e petrografia svoltosi a Napoli nel 1968. Patrocinò<br />
la costituzione di un gruppo mineralogico ossolano<br />
(1972). Collaborò a riviste e periodici fra cui Rendiconti<br />
della S.I.M.P.. Fra le numerose pubblicazioni:
Corindone, torbenite, morenosite. Specie minerali nuove<br />
per l’Ossola (1967); Ossola minerale. Indice delle specie e<br />
dei principali ritrovamenti, con un saggio di bibliografia<br />
mineralogica ossolana (1975); La tarumellite di Candoglia<br />
e altri studi r<strong>il</strong>evanti. La sua preziosa collezione si<br />
trova ora a Torino presso <strong>il</strong> Museo regionale di Storia e<br />
Scienze naturali.<br />
Benemerito nel campo delle ricerche scientifiche, fu insignito<br />
di medaglia d’oro, dal comune di Domodossola<br />
(1970) e dal Presidente della Repubblica <strong>It</strong>aliana Pertini<br />
(1979).<br />
ROSSETTI VALENTINI GIOVANNI MARIA,<br />
pittore, benefattore<br />
Santa Maria Maggiore 1796 - ivi 1878<br />
Figlio di Giacomo Antonio e Angela Menabene, a M<strong>il</strong>ano<br />
frequentò i corsi di ornato e figura nell’Accademia<br />
di Brera. A Mompellier insegnò in scuola governativa e<br />
si dedicò alla pittura. Fu insignito della Legion d’Onore<br />
da Napoleone III. Ritornato a S. Maria nel 1870 insegnò<br />
gratuitamente ai convalligiani nella scuola di disegno<br />
istituita a proprie spese ed alla quale lasciò in eredità<br />
<strong>il</strong> proprio patrimonio. Regalò un ostensorio alla parrocchia,<br />
un lascito per la messa festiva a Crana e l’autoritratto<br />
alla Fondazione Galletti.<br />
ROSSI GIUSEPPE ANTONIO, benefattore<br />
Premosello 1805 - ivi 1877<br />
Fece fortuna a Parigi con <strong>il</strong> commercio dei tessuti di<br />
seta. Dopo <strong>il</strong> 1870 si stab<strong>il</strong>ì al paese d’origine al quale<br />
regalò un terreno e una cospicua somma per l’erezione<br />
di un as<strong>il</strong>o d’infanzia e l’istituzione delle due classi del<br />
corso elementare superiore.<br />
RUGA-SILVA GIOVANNI ANTONIO,<br />
diplomatico, magistrato<br />
Domodossola 1731 - ivi 1800<br />
Figlio del giureconsulto Carlo Giuseppe e di Isabella<br />
Ruga. Studi classici, poi commerciante in Parigi e insegnante<br />
di italiano. Tornato a Domo fu segretario del<br />
Conte Borromeo. Ripresi gli studi giuridici si laureò a<br />
Pavia nel 1765. Ambasciatore del Duca di Modena a<br />
Madrid, nel 1769 Reggente la Signoria di Varese per<br />
Francesco III di Modena e poi Presidente del Consiglio<br />
Supremo di giustizia. Per incauta accettazione di<br />
un compenso meritato ma male inteso, perse l’alto incarico<br />
e rientrò a Domo a esercitare l’avvocatura. Con<br />
l’occupazione francese del Regno di Sardegna fu nominato<br />
Presidente della municipalità di Domo ma cadde<br />
in disgrazia con l’avvento degli Austro-Russi.<br />
SALA GIUSEPPE, cardinale<br />
Bologna 1762 - Roma 1839<br />
Figlio di Giuseppe, emigrato da Baceno a Bologna. Studi<br />
classici a Roma e laurea in teologia. Dotato di intelligenza<br />
e capacità, resse la Delegazione Apostolica alla<br />
partenza da Roma di Pio VI, travolto dalle vicende rivoluzionarie.<br />
Con Pio VII fu segretario della Legazione<br />
presso Bonaparte 1° Console a Parigi e ancora nel<br />
1809 presso Napoleone Imperatore. Dopo <strong>il</strong> 1814 riprese<br />
l’attività diplomatica e curiale e nel 1831 ottenne<br />
la dignità cardinalizia.<br />
SALATI GIOVAN MARIA,<br />
primo attraversatore a nuoto della Manica<br />
Malesco 1796 - Saint Brice sous Forêt 1879<br />
Figlio di Domenico e Anna Maria Salati. Nel 1812 è<br />
soldato nell’armata italiana comandata dal gen. Pino e<br />
poi marinaio sulla «Belle Poule». Come fuc<strong>il</strong>iere di marina<br />
combatte a Waterloo dove, ferito, viene fatto prigioniero<br />
e recluso a Dover su una vecchia nave adibita<br />
a campo di concentramento. Dopo alcuni mesi di vita<br />
impossib<strong>il</strong>e si butta nella Manica e l’attraversa a nuoto<br />
raggiungendo Boulogne. A Parigi trova lavoro presso i<br />
parenti Polino che hanno fatto fortuna come fumisti e<br />
da semplice spazzacamino diventa fumista impresario.<br />
Nel 1850 <strong>il</strong> Salati si trasferisce a Soissons, poi al seguito<br />
del figlio prete dimora in varie parrocchie e muore in<br />
quella di Saint Brice sous Forêt a 12 km da Parigi.<br />
SALINA GIUSEPPE (VITTORIO D’AVINO),<br />
poeta, scrittore<br />
Domodossola 1877 - Varzo 1949<br />
Studiò in seminario e ordinato sacerdote (1899) intraprese<br />
la sua missione di parroco, ma si dedicò anche con<br />
passione ed estro alla poesia in dialetto e in lingua italiana,<br />
a scritti sul paesaggio e sull’arte ossolana. Fu ottimo<br />
latinista e grecista, buon oratore e diede alle stampe<br />
parecchie pubblicazioni.<br />
189
SALINA LUIGI, politico, benefattore<br />
Bologna 1762 - ivi 1845<br />
Figlio di Giovanni Antonio di Mozzio in valle Antigorio.<br />
Laureato in giurisprudenza a Bologna, nel 1784 fu<br />
eletto presidente dell’Annona e con l’avvento dei Francesi<br />
membro del Governo Provvisorio della Cisalpina.<br />
Partecipò alla Consulta di Lione e divenne membro del<br />
Corpo legislativo quale rappresentante del Collegio dei<br />
Possidenti Bolognesi. Dirigente dell’amministrazione<br />
del Dipartimento, dal Governo Pontificio, subentrato<br />
ai Francesi, fu mantenuto nella carica. Leone XII nel<br />
1825 lo creò conte. Fu Presidente del Tribunale d’appello<br />
delle Legazioni. Cultore della lingua latina, scrisse<br />
epigrammi apprezzati. Quando l’alluvione devastò<br />
Crodo e distrusse <strong>il</strong> Pretorio, mise a disposizione della<br />
comunità le case e i poderi di Mozzio.<br />
SAMONINI ACHILLE, pubblico amministratore<br />
Domodossola 1873 - ivi 1939<br />
Figlio di Giacomo, farmacista, e di Angiolina Garbagni.<br />
Studi classici al Mellerio Rosmini, laurea in chimica<br />
farmaceutica all’Università di Modena, farmacista<br />
a Domo subentrato al padre, consigliere provinciale<br />
e sindaco di Domo al tempo dell’inaugurazione del<br />
Sempione e del volo di Chavez. Commendatore per benemerenze<br />
e dedizione al pubblico interesse, di ideali liberali<br />
giolittiani lasciò l’amministrazione del Comune e<br />
ogni carica con l’avvento del Fascismo.<br />
SANDRETTI AGOSTINO,<br />
commerciante, pubblicista<br />
Calasca 1891 - Domo 1954<br />
Figlio di Martino e di Annunziata Francini. Interrotti<br />
gli studi liceali per ragioni di famiglia, si dedicò al commercio.<br />
Fu cultore di memorie locali, autore di Zibaldone<br />
1 e Zibaldone 2 sulla storia di Calasca, podestà del<br />
paese nativo, promotore di iniziative sociali in valle Anzasca,<br />
proprietario e direttore del giornale Il Commercio<br />
ossolano e organizzatore della I a Esposizione italo-svizzera<br />
nel 1925.<br />
SARTORIO GIOVANNI, chirurgo, benefattore<br />
Domodossola 1745 - ivi 1841<br />
Figlio del chirurgo Felice e di F<strong>il</strong>iberta Javernier. Laureato<br />
in medicina e chirurgia a Pavia, si dedicò alla cura,<br />
spesso gratuita, degli infermi. Fu chirurgo al S. Biagio<br />
190<br />
negli anni della costruenda strada napoleonica. Morendo<br />
lasciò <strong>il</strong> suo patrimonio ai «poveri vergognosi», persone<br />
un tempo agiate ridotte all’indigenza per <strong>il</strong> mutamento<br />
degli eventi.<br />
SCACIGA DELLA SILVA FRANCESCO,<br />
storico, giornalista<br />
Mozzio 1810 - Domodossola 1874<br />
Figlio di Diovole e di Teresa Albertazzi. Studi classici e<br />
laurea in legge a Torino. A Domo si dedicò alla professione<br />
legale e alla ricerca storica sull’Ossola Superiore<br />
pubblicando Storia di Val d’Ossola (1842) e Vite di Ossolani<br />
<strong>il</strong>lustri con quadro storico delle eresie (1847). Collaborò<br />
a giornali locali e diresse: Il Moderato (1851),<br />
L’Agogna (1845), L’Ossolano (1854). Scrisse novelle e articoli<br />
di vario argomento per almanacchi a partire dal<br />
1846. Fu Provveditore agli studi nell’Ossola dal 1848<br />
al 1854. Curò la pubblica istruzione aprendo scuole<br />
elementari in alcuni comuni. Si occupò di amministrazione<br />
pubblica e favorì la formazione di biblioteche<br />
pubbliche nelle vallate e la costruzione della strada Crevola-Pontetto<br />
di Montecrestese.<br />
SILVETTI MICHELE, naturalista<br />
Pallanzeno 1746 - ivi 1815<br />
Figlio di Francesco Antonio e di Maria Teresa Testoni<br />
di Piedimulera, compì gli studi a M<strong>il</strong>ano dai Gesuiti di<br />
Brera dove <strong>il</strong> fratello sacerdote Giuseppe Luigi (1730-<br />
1807) insegnava retorica e f<strong>il</strong>osofia.<br />
Dedicatosi alla ricerca scientifica si appassionò alle<br />
scienze naturali occupandosi anche di flora e fauna dell’Ossola.<br />
Tradusse dal francese la monumentale storia<br />
del naturalista Buffon dedicata allo studio della terra,<br />
dei minerali e di ogni specie di animali. Perché una materia<br />
di tanto interesse risultasse in st<strong>il</strong>e chiaro ed esemplare,<br />
egli si valse dell’aiuto del fratello Luigi che aveva<br />
lasciato forzatamente l’insegnamento per la venuta dei<br />
Francesi a M<strong>il</strong>ano.<br />
SIMONIS GIOVAN BATTISTA, pittore<br />
Morto a Buttogno nel 1868<br />
Lavorò a lungo nel Delfinato e nella Franca Contea e<br />
fu ritenuto buon pittore. Rientrato a Buttogno insegnò<br />
disegno e colore seguendo la tradizione di altri membri<br />
della famiglia Simonis che già dal 1650 tenevano una<br />
scuola di disegno e pittura.
SOTTA FRANCESCO MARIA, pittore<br />
Malesco 1764 - ivi 1841<br />
Ritrattista di buona fama in Francia prima e dopo la<br />
Rivoluzione, fu iniziatore di una dinastia di pittori. Ricordiamo<br />
i figli CARLO GIUSEPPE (1796-1872) attivo<br />
a Roma e in Francia (soggetti religiosi, autoritratto a<br />
palazzo S<strong>il</strong>va) e <strong>il</strong> più famoso LUIGI (1777-1860) ottimo<br />
e ricercato ritrattista a Parigi, dove frequentò l’atelier<br />
di Ingres. Lavorò a Pietroburgo, a New Orleans, a<br />
Roma e in Francia.<br />
SPEZIA ANTONIO, architetto<br />
Calasca 1814 – ivi 1892<br />
Figlio di Pietro e di Teresa Patroni Zambonini. Dopo<br />
studi classici a Domo divenne ingegnere architetto. Tra<br />
le sue opere è famosa la Chiesa di Maria Aus<strong>il</strong>iatrice a<br />
Torino la cui progettazione gli fu affidata da don Bosco<br />
che nel 1865, dopo la posa della prima pietra, gli regalò<br />
un bac<strong>il</strong>e d’argento con dedica. Si occupò delle miniere<br />
d’oro di valle Anzasca e progettò gratuitamente la<br />
cupola della chiesa di Calasca.<br />
SPEZIA GIORGIO, mineralogo, docente universitario<br />
Piedimulera 1842 - Torino 1911<br />
Figlio di Valentino e di Maria Angelotti. Studi classici,<br />
universitario a Pavia, si arruolò volontario e combatté<br />
al Volturno (1860) con la divisione Cosenz. Nel 1867<br />
a Torino si laureò in ingegneria, con lode, sulla Vent<strong>il</strong>azione<br />
delle miniere. Perfezionati gli studi di mineralogia<br />
ad Heidelberg, insegnò al Politecnico di Torino<br />
dove realizzò <strong>il</strong> Museo mineralogico, primo per importanza<br />
in <strong>It</strong>alia. Fama internazionale ebbero i suoi studi<br />
di mineralogia sperimentale. Presidente generale del<br />
C.A.I., diede i disegni per la capanna Sella al Weisthorn<br />
e cooperò ai preparativi scientifici per la spedizione al<br />
Polo Nord.<br />
STIGLIO CARLO GIORGIO, ingegnere, architetto<br />
Pallanzeno 1836 - ivi 1898<br />
Studi classici al Mellerio Rosmini poi, per merito, ospite<br />
nel Collegio delle Province a Torino. Nel 1859 volontario<br />
con Garibaldi. Si laureò in ingegneria a Torino<br />
e fu professionista in Ossola. Sue opere <strong>il</strong> teatro municipale<br />
di Domodossola, l’Albergo Sempione, la casa<br />
Ponti, l’ampliamento dell’Ospedale S. Biagio, le v<strong>il</strong>le<br />
Se<strong>il</strong>er, Mosoni e Casetti a Caddo, gli as<strong>il</strong>i di Piedimulera<br />
e Premosello, le carreggiab<strong>il</strong>i di Bognanco, di Vogogna,<br />
Masera, di valle Antrona, Mocogna-Preglia e lavori<br />
vari a Craveggia.<br />
TAMI ARMANDO, benefattore<br />
V<strong>il</strong>ladossola 1926 – ivi 1999<br />
Frequentò a Novara l’Istituto per Ragionieri “Mossotti”<br />
e uscì diplomato con ottima votazione. Collaboratore<br />
amministrativo presso l’industria meccanica P. M.<br />
Ceretti, fu poi professionista aggiornato e molto consultato<br />
da scelta clientela. Fu anche incaricato dal Tribunale<br />
di Verbania di consulenza contab<strong>il</strong>e e di curatore<br />
fallimentare. Coltivò le amicizie, fu arguto conversatore,<br />
amò le varie espressioni della cultura; fece parte attiva<br />
di un “movimento culturale ossolano” con i concittadini<br />
dott. <strong>It</strong>alo Pistoia e Gianfranco Bianchetti. Scrisse<br />
poesie in dialetto di V<strong>il</strong>ladossola che raccolse sotto <strong>il</strong><br />
titolo Alegar e grazia che ebbero l’ambita prefazione del<br />
f<strong>il</strong>ologo Gianfranco Contini. Risparmiatore oculato e<br />
ab<strong>il</strong>e moltiplicatore delle sostanze con sapienti operazioni,<br />
fu generosissimo elargitore del grande patrimonio<br />
accumulato al paese natale (Comune e parrocchia)<br />
e all’ospedale S. Biagio di Domodossola, dove ricevette<br />
cure attente e umana comprensione, purtroppo senza<br />
possib<strong>il</strong>ità di buon esito.<br />
TESTORE ANDREA,<br />
promotore della ferrovia Domodossola-Locarno<br />
Toceno 1855 - ivi 1941<br />
Figlio di Giuseppe Antonio e di Maria Cazzini. Maestro<br />
elementare nella sua Toceno, lavorò poi per qualche<br />
anno in Argentina. Dopo <strong>il</strong> rimpatrio si batté con<br />
zelo instancab<strong>il</strong>e per migliorare <strong>il</strong> tenore di vita dei valligiani<br />
fondando la Società Operaia di Mutuo Soccorso<br />
e organizzando corsi serali per lavoratori. Promosse la<br />
Società Elettrica Vigezzina, la «Società pro montibus et<br />
fluminibus» di carattere ecologico e lo Sci Club Valle<br />
Vigezzo. Il suo nome è essenzialmente legato all’impresa<br />
non fac<strong>il</strong>e di procurare alla propria vallata la ferrovia<br />
Domodossola-Locarno che entrò in funzione nel<br />
1923 dopo un ventennio di suo impegno assiduo contro<br />
ostacoli di ogni genere. A riconoscimento delle sue<br />
benemerenze nel 1982 gli fu intitolata la scuola media<br />
di Santa Maria Maggiore.<br />
191
TIBALDI ETTORE, vice Presidente del Senato<br />
Bornasco (PV) 1887 - Certosa di Pavia 1968<br />
Studi classici, laurea in medicina, assistente di patologia<br />
a Pavia fu combattente decorato nella l a guerra mondiale.<br />
Di ideali mazziniani dagli anni studenteschi, responsab<strong>il</strong>e<br />
nel 1923-24 del movimento politico “<strong>It</strong>alia<br />
libera”, antifascista, allontanato dalla carriera universitaria<br />
e costretto a lasciare Pavia, si trasferì, nel 1925, a<br />
Domodossola, vincitore del concorso a Primario medico<br />
del S. Biagio e vi dimorò per quarant’anni. Ossolano<br />
d’adozione, mantenne contatti con l’antifascismo clandestino,<br />
legò <strong>il</strong> suo nome alla Resistenza, fu presidente<br />
della Giunta di Governo della Repubblica partigiana<br />
dell’Ossola. Eletto sindaco di Domo nel dopoguerra,<br />
senatore socialista dal 1953, tenne la Vice Presidenza<br />
del Senato fino al 1965.<br />
TITOLI ALFONSO, medico, benefattore<br />
Anzino 1847 - ivi 1919<br />
Figlio di Pietro e di Brigida Spadina, dopo gli studi classici<br />
nei collegi rosminiani si laureò in medicina a Torino<br />
nel 1872 e fu medico nella sua valle Anzasca. A proprie<br />
spese fece costruire un tratto di strada per Anzino<br />
e lasciò poi al Comune una cospicua somma a beneficio<br />
dei concittadini.<br />
TOJETTI GIOVANNI, frate alcantarino, venerab<strong>il</strong>e<br />
Calasca 1680 - Napoli 1764<br />
Figlio di Giovanni e di Maria Del Barba. Emigrato a<br />
Pavia e poi in Germania, nel 1716 entrò nel convento<br />
dei Frati alcantarini e destinato a Piedimonte di Alife<br />
(Caserta) come fratello terziario, prendendo <strong>il</strong> nome di<br />
frate Francesco di Sant’Antonio. Poi andò a Napoli, nel<br />
convento di Santa Lucia dove, trascorsi quarantacinque<br />
anni come um<strong>il</strong>e questuante, morì in concetto di santità.<br />
La Chiesa lo ha dichiarato venerab<strong>il</strong>e.<br />
TONNA CARLO MARIA, benefattore<br />
Calasca 1746 - ivi 1827<br />
Figlio di Giovanni Battista e di Maria Spezia. Compì gli<br />
studi classici e teologici nel seminario diocesano e ordinato<br />
sacerdote, fu prevosto a Romagnano Sesia e poi a<br />
Calasca. Attaccatissimo al suo paese nativo, ideò la fondazione<br />
del «Monte di pietà di Calasca», con sostanze<br />
proprie e con <strong>il</strong> concorso di altri benefattori calasche-<br />
192<br />
si. Ottenuto in data 4-6-1796 <strong>il</strong> permesso del Vescovo<br />
di Novara Buronzo Delsignore, dettò al notaio Donzelli<br />
di Novara <strong>il</strong> 9-11-1796 le tavole di fondazione a favore<br />
dei parrocchiani di Calasca e poi di quelli delle altre<br />
parrocchie della valle Anzasca, con lo scopo di favorire<br />
gli emigranti che avessero urgenza di prestiti per <strong>il</strong><br />
viaggio e <strong>il</strong> sostentamento della famiglia, preservandoli<br />
dagli usurai, con condizioni di favore dettate da spirito<br />
di carità cristiana.<br />
TRABATTONI BONO ISOLINA, pittrice<br />
Buenos Aires 1896 - Parigi 1978<br />
Di famiglia ossolana varzese. In <strong>It</strong>alia compì gli studi<br />
secondari e fu allieva del pittore verbanese Bolongaro.<br />
Si distinse per paesaggi, ritratti e disegni di soggetto religioso.<br />
Fu <strong>il</strong>lustratrice di leggende ossolane e collaboratrice<br />
con disegni e scritti delle riviste Illustrazione Ossolana<br />
e Oscellana.<br />
TRABUCATI MARTINO ETTORE,<br />
banchiere, benefattore<br />
Ceppo Morelli 1842 - Firenze 1907<br />
Figlio di Giovan Battista e di Elisabetta Ch<strong>il</strong>li. Emigrato<br />
a Montevideo creò una fiorente casa commerciale.<br />
Fu poi presidente del Banco <strong>It</strong>aliano in Uruguay, Consigliere<br />
dell’Ospedale italiano e benefattore dei compatrioti.<br />
Durante i frequenti soggiorni nella sua valle beneficò<br />
i poveri e gli infermi. La sua opera ebbe un degno<br />
continuatore nel figlio Ettore.<br />
TRABUCCHI FRATELLI, benefattori<br />
Titolari a Parigi di una fiorente casa di fumisteria, combattenti<br />
nelle armate della Repubblica francese. Gioacchino<br />
(1758-1832) e Giuseppe (1769-1846), <strong>il</strong> quale<br />
ottenne la “sciabola d’onore”, furono i più importanti.<br />
Ebbero incarichi governativi di lavori a M<strong>il</strong>ano, a Roma,<br />
in Germania e misero insieme un grande capitale. Istituirono<br />
a Parigi nell’ospedale Beaujon dei posti letto<br />
perpetui per i fumisti vigezzini e piemontesi ammalati.<br />
Lasciarono in beneficenza a Malesco una cospicua somma<br />
con la quale furono sovvenzionati l’ospedale a loro<br />
intestato (1834) e altre opere benefiche.<br />
TRABUCCHI GIACOMO, avvocato pubblicista<br />
Domodossola 1829 - ivi 1893<br />
Di Giovanni Antonio e Maria Gugliminetti. Studi clas-
sici al Mellerio Rosmini e a Novara, laurea in giurisprudenza<br />
all’Università di Genova. Simpatizzante di Mazzini,<br />
iscritto nella “Giovane <strong>It</strong>alia” repubblicana per tutta<br />
la vita, fondò nel 1855 la Società Operaia domese,<br />
<strong>il</strong> corpo dei pompieri nel 1859, <strong>il</strong> Comizio agrario e <strong>il</strong><br />
CAI ossolano. Cooperò alla sistemazione della biblioteca<br />
della Fondazione Galletti nel 1873, alla creazione<br />
della Scuola di arti e mestieri «G.G. Galletti» e del Ricovero<br />
vecchi. Fu giornalista e rievocò memorie storiche<br />
ossolane con epigrafi marmoree.<br />
VEGGIA ALFONSO, medico, benefattore<br />
Domodossola 1858 – ivi 1921<br />
Figlio del causidico Giacomo e di Giovannina Matli.<br />
Studi classici a Domo e laurea con lode in medicina e<br />
chirurgia a Torino. Diresse con abnegazione <strong>il</strong> lazzaretto<br />
per colerosi a Iselle, fu primario all’ospedale S. Biagio.<br />
Visitava a domic<strong>il</strong>io i malati delle vallate e gratuitamente<br />
i poveri. Nel 1894 fondò l’Associazione medica<br />
ossolana, ancora oggi attiva e presiedette un importante<br />
convegno sulle intossicazioni nelle miniere (1902). Durante<br />
la l a guerra mondiale fu direttore dell’Ospedale<br />
m<strong>il</strong>itare territoriale, istituì la scuola Samaritana e diresse<br />
la C.R.I. Sv<strong>il</strong>uppò l’indagine epidemiologica della tisi<br />
nell’Ossola, studiò i molti casi di dissenteria e tifo che<br />
attribuì alle scarse condizioni igieniche degli acquedotti<br />
battendosi perché venissero migliorate. Aiutò i lavoratori<br />
del Sempione a superare i malanni dovuti all’ambiente<br />
in cui operavano. Per la solerte lotta contro la<br />
malaria in Ossola fu insignito della Croce dell’Ordine<br />
dei Santi Maurizio e Lazzaro. Si preoccupò di trattare<br />
con i sindaci per una più adeguata retribuzione ai medici<br />
condotti miseramente compensati nonostante i sacrifici<br />
notevoli richiesti dalla professione. Fu affiancato<br />
nell’attività da altri medici fra cui vanno ricordati Morandini,<br />
Gubetta e Negri. Notevole <strong>il</strong> suo studio Storia<br />
clinica dell’aviatore Geo Chavez, con alcune considerazioni<br />
sullo shock (1911). Lasciò al S. Biagio la sua ricca biblioteca<br />
medica e l’armamentario chirurgico servito per<br />
le operazione da lui eseguite per primo a Domo.<br />
VIETTI VIOLI PAOLO, architetto<br />
Grandson (Svizzera) 1882 - Vogogna 1965<br />
Figlio di Paolo e di Anna Zanoni, ossolani, si laureò in<br />
Architettura a Parigi nel 1905. Rientrato in <strong>It</strong>alia, nel<br />
1914 si laureò in ingegneria civ<strong>il</strong>e al Politecnico di M<strong>il</strong>ano.<br />
Durante la guerra 1915-1918 fu tenente di artiglieria<br />
nelle officine m<strong>il</strong>itari a Genova. Si specializzò nella<br />
progettazione e costruzione di ippodromi raggiungendo<br />
fama internazionale (S. Siro, Capannelle, Merano,<br />
Grosseto, Alessandria d’Egitto, Istanbul, Belgrado, Addis<br />
Abeba). Costruì scuderie da corsa e da allevamento<br />
e impianti sportivi diversi. Realizzò lo stadio di Genova,<br />
lo stadio olimpico di Ankara e quello di Domodossola.<br />
Sono sue opere <strong>il</strong> V<strong>il</strong>laggio SISMA e la chiesa nuova<br />
di V<strong>il</strong>ladossola.<br />
ZANNA BARTOLOMEO, inventore<br />
Zornasco sec. XIX<br />
Industriale geniale, inventò (1842) un tipo di calorifero<br />
e divenne fornitore della Casa Imperiale di<br />
Vienna e della Casa Reale di Torino.<br />
ZANOIA GIUSEPPE ANTONIO, medico, benefattore<br />
Domodossola 1767 - ivi 1848<br />
Figlio di Paolo e di Costanza Zanoia. Studiò medicina a<br />
Pavia, si perfezionò nell’Ospedale di M<strong>il</strong>ano e a Domo<br />
fu medico dell’Ospedale S. Biagio. Si occupò dei carcerati<br />
ammalati e alleviò le condizioni dei detenuti poveri<br />
alle cui famiglie provvide con suo denaro. Fu rappresentante<br />
del Protomedicato della Sanità di Torino per la<br />
prevenzione e la cura del colera e lottò contro i pregiudizi<br />
incontrati nella pratica della vaccinazione antivaiolosa<br />
a cui si opponevano alcuni colleghi. Lasciò i propri<br />
beni al S. Biagio.<br />
ZARDETTI CARLO, numismatico, archeologo<br />
M<strong>il</strong>ano 1778 - ivi 1849<br />
Da genitori di Piedimulera. Si laureò in giurisprudenza<br />
a Pavia ma si curò di numismatica negli anni del Regno<br />
italico e cooperò alla nascita a M<strong>il</strong>ano del Gabinetto<br />
numismatico. Scrisse articoli sulle antichità di Sic<strong>il</strong>ia,<br />
sul Duomo di Monreale, su S. Zeno di Verona, su monumenti<br />
etruschi ed egiziani. Tradusse dall’inglese e dal<br />
francese opere sull’antichità. Comp<strong>il</strong>ò <strong>il</strong> catalogo della<br />
libreria Reina. Lasciò la casa di Piedimulera alla parrocchia.<br />
Fu membro di accademie scientifico-letterarie italiane<br />
e straniere.<br />
ZARDETTI OTTONE, arcivescovo, benefattore<br />
Rorsch (CH) 1847 - Roma 1902<br />
193
Figlio di Giuseppe nativo di Bannio, negoziante in telerie<br />
in Svizzera. Studiò teologia all’università di Innsbruck,<br />
insegnò nel Seminario di S. Gallo e in quello<br />
americano del Minnesota. Fu a Londra ospite del card.<br />
Manning, poi Vicario Generale della diocesi del Dakota.<br />
Nel 1889 fu consacrato vescovo del Minnesota. Nel<br />
1894 divenne arcivescovo metropolita a Bucarest. Tornato<br />
a Roma fu assistente al soglio pontificio. Beneficò<br />
<strong>il</strong> paese d’origine della famiglia.<br />
ZOPPETTI LUIGI,<br />
sacerdote, professore di liceo e patriota<br />
Monteossolano 1888 - Domodossola 1970<br />
Ordinato sacerdote, si laureò in scienze naturali all’Università<br />
di Torino e insegnò scienze e chimica al Liceo<br />
Classico Mellerio Rosmini. Dopo <strong>il</strong> 1943 entrò nella<br />
Resistenza mettendo in salvo sbandati e perseguitati politici<br />
grazie alla sua conoscenza e a quella di amici montanari<br />
dei passi diretti in Svizzera. Fece parte del C.L.N.<br />
di zona. Con <strong>il</strong> ritorno dei Tedeschi riparò nella Confederazione<br />
Elvetica e fu affettuosamente vicino agli Ossolani<br />
esuli nel Canton Vaud. Fu anche animatore e<br />
parte attiva di ogni attività benefica ossolana.<br />
194
Antonio Rosmini<br />
Anna Pagani<br />
Il nome di Antonio Rosmini è indissolub<strong>il</strong>mente legato a<br />
Domodossola: qui, sul Sacro Monte Calvario, <strong>il</strong> grande f<strong>il</strong>osofo<br />
ottocentesco fondò <strong>il</strong> suo Istituto della Carità; qui<br />
diede concretezza, sv<strong>il</strong>uppo e grande futuro all’idea del<br />
Conte Mellerio, realizzando la più importante istituzione<br />
scolastica dell’Ossola, quel Collegio nel quale sono state<br />
educate ed istruite tante generazioni. Nel 1994 ha avuto<br />
inizio presso la Santa Sede <strong>il</strong> processo di beatificazione<br />
dell’abate roveretano che all’inizio del 2005 appare avviato<br />
all’esito positivo da tanti auspicato.<br />
Antonio Rosmini nacque a Rovereto, vivace centro culturale<br />
del Trentino, <strong>il</strong> 24 marzo 1797; i Rosmini di Rovereto<br />
erano un casato di alto lignaggio le cui origini risalivano<br />
alla fine del XIV secolo ed erano una delle famiglie<br />
più benestanti della città. Antonio Rosmini era<br />
nato in una famiglia in cui la cultura e lo studio avevano<br />
un ruolo predominante: la madre era una donna<br />
colta ed un’appassionata lettrice, mentre <strong>il</strong> padre si<br />
d<strong>il</strong>ettava a scrivere ed a comporre poesie; in particolar<br />
modo lo zio Ambrogio nutriva numerosi interessi culturali<br />
e rappresentò indubbiamente un punto di riferimento<br />
ed una figura centrale nella vita del ragazzo.<br />
Gli anni dell’infanzia e della giovinezza rimasero per lo<br />
più circoscritti entro l’orizzonte degli affetti fam<strong>il</strong>iari: <strong>il</strong><br />
clima di serenità e di amore che si respirava in casa Rosmini<br />
può essere sicuramente considerato determinante<br />
per la formazione spirituale ed intellettuale del giovane<br />
Antonio. La felice adolescenza sarà la base sulla quale<br />
Antonio Rosmini edificherà una vita straordinaria per<br />
opere, intuizioni, ingegno, santità di comportamento.<br />
Egli mostrò presto di possedere un’intelligenza acuta,<br />
coltivando molteplici interessi culturali e dedicandosi<br />
assiduamente a quelle letture che poteva reperire all’interno<br />
della biblioteca paterna; fervido amante dei clas-<br />
sici, si sentì fortemente coinvolto dalla saggezza dei padri<br />
e dall’armonia del loro st<strong>il</strong>e. Le letture, lo studio, le<br />
prime riflessioni maturate negli anni dell’adolescenza lo<br />
invogliarono a scrivere riflessioni nelle quali spesso sottolineava<br />
l’umano bisogno di trovare un tempo in cui<br />
poter guardare dentro la propria anima e saper ritrovare,<br />
in totale solitudine, la voce divina.<br />
In uno di questi momenti di s<strong>il</strong>enzio interiore riconobbe<br />
chiaramente di essere chiamato da Dio al sacerdozio;<br />
una sera del 1813, annotò queste parole nel suo diario<br />
personale: “Quest’anno fu per me anno di grazia: Iddio<br />
mi aperse gli occhi sopra molte cose e capii che non vi<br />
era altra sapienza che in lui”. Lo studioso rosminiano<br />
Remo Bessero Belti ha definito questo appunto come<br />
“la cosa più grande della sua adolescenza, una nota che<br />
squarcia tutto l’orizzonte, quasi un’esperienza intima di<br />
Dio che gli si rivelava come tutto <strong>il</strong> Bene, come <strong>il</strong> solo<br />
vero compimento di quell’anelito all’infinito che <strong>il</strong> giovane<br />
Rosmini sentiva in sé”. L’iniziale opposizione dei<br />
genitori alla scelta del figlio venne superata quando si<br />
resero conto che né un capriccio né un eccessivo entusiasmo<br />
lo stavano spingendo ad intraprendere questa<br />
strada: la vocazione sacerdotale appariva infatti in lui<br />
già ben definita. Dopo aver terminato gli studi ginnasiali<br />
Antonio Rosmini si iscrisse alla facoltà di teologia<br />
all’università di Padova: durante questi anni <strong>il</strong> roveretano<br />
si dedicò ad uno studio di tipo enciclopedico e fra le<br />
varie discipline emerse distintamente <strong>il</strong> suo amore per la<br />
f<strong>il</strong>osofia. Nel 1819 fondò la “Società degli Amici”, una<br />
sorta di prologo di quello che sarebbe stato l’Istituto<br />
della Carità, testimonianza certa che egli era un uomo<br />
concreto, capace di guardare alla società in modo innovativo<br />
e propositivo: <strong>il</strong> pensiero doveva sempre essere<br />
affiancato dai progetti e dall’azione.<br />
L’amicizia con <strong>il</strong> grande scrittore Niccolò Tommaseo ri-<br />
195
sale proprio a questi anni: Rosmini aveva letto alcune<br />
poesie ed intuito la genialità dell’uomo; fra i due era<br />
poi nata una frequentazione assidua, contrastata talvolta<br />
dall’atteggiamento scostante dello scrittore m<strong>il</strong>anese.<br />
Rosmini fu ordinato sacerdote a Chioggia <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e<br />
1821: fece poi ritorno a Rovereto, dividendo le sue<br />
giornate fra lo studio e la preghiera.<br />
Negli anni trascorsi a Rovereto si dimostrò particolarmente<br />
colpito dai problemi e dalle necessità che si manifestavano<br />
all’interno della società di quel tempo e, nel<br />
raccoglimento del suo animo, abbozzò <strong>il</strong> progetto di un<br />
istituto religioso che sapesse rispondere alle esigenze ed<br />
ai bisogni degli uomini; nel 1825 cominciò ad esporre<br />
lo schema di una nuova società religiosa, primo abbozzo<br />
dell’Istituto della Carità; ma, non volendo precorrere<br />
i tempi, continuò a maturare questo progetto nell’intimità<br />
del suo cuore.<br />
La decisione definitiva venne presa durante gli anni trascorsi<br />
a M<strong>il</strong>ano: vi si era recato al fine di approfondire<br />
i suoi studi sulla politica e per potersi dedicare agli<br />
scritti di f<strong>il</strong>osofia; questo centro di vita culturale e questo<br />
ambiente ricco di suggestioni gli offrì quegli stimoli<br />
intellettuali e quelle frequentazioni sociali che gli erano<br />
mancati durante gli anni a Rovereto. In particolar<br />
modo strinse due amicizie importanti con Alessandro<br />
Manzoni e con <strong>il</strong> conte Giacomo Mellerio, con i quali<br />
nacque un’intimità di legami destinata ad approfondirsi<br />
nel tempo.<br />
L’assidua frequentazione fra Antonio Rosmini ed Alessandro<br />
Manzoni fece emergere quegli aspetti che essi<br />
avevano in comune, mettendo in luce una grande condivisione<br />
di ideali quali l’amore per la verità, un elevato<br />
concetto di moralità, l’appassionata lettura delle Sacre<br />
Scritture; dal loro profondo legame di amicizia ebbero<br />
origine quelle reciproche influenze e quelle comuni linee<br />
di pensiero che si possono trovare nelle loro opere<br />
e per cui <strong>il</strong> Manzoni riconoscerà in Rosmini “<strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo<br />
della sua mente”, questi in Manzoni “<strong>il</strong> poeta del<br />
suo cuore”.<br />
Il legame fra Antonio Rosmini e Giacomo Mellerio fu<br />
invece determinante per la storia dell’Istituto della Carità<br />
in quanto <strong>il</strong> Conte sostenne ed incoraggiò <strong>il</strong> progetto<br />
di Rosmini di fondare un istituto religioso, prima<br />
196<br />
ancora che questo disegno assumesse una precisa definizione.<br />
Il Mellerio era originario di Domodossola e, sebbene<br />
avesse viaggiato molto e si fosse poi trasferito a vivere a<br />
M<strong>il</strong>ano, aveva conservato un amore profondo e sincero<br />
nei confronti della sua città natale, prodigandosi in numerose<br />
opere di beneficenza e donazioni destinate all’istituzione<br />
di as<strong>il</strong>i e di scuole ed all’assistenza sanitaria<br />
e sociale.<br />
Si comincia così ad intravedere in che modo Domodossola<br />
entri a far parte della vita di Antonio Rosmini prima<br />
ancora di divenire sede del suo istituto; Domodossola<br />
è infatti al centro di molti discorsi del Conte e delle<br />
rievocazioni di un passato che è sempre presente nei<br />
suoi ricordi perché ricco di affetti e di legami.<br />
Proprio in casa Mellerio <strong>il</strong> 9 giugno 1827 Rosmini incontrò<br />
<strong>il</strong> sacerdote lorenese Giovanni Battista Loewenbruck,<br />
colui che diede <strong>il</strong> decisivo impulso alla nascita<br />
della congregazione; questi aveva infatti intenzione di<br />
fondare una società religiosa volta al miglioramento del<br />
clero e domandò al roveretano di aiutarlo nella realizzazione<br />
di questo progetto; udita la medesima intenzione<br />
nelle parole di Antonio Rosmini, <strong>il</strong> lorenese si mostrò<br />
entusiasta e disposto ad incominciare immediatamente<br />
l’impresa. Questo incontro fu <strong>il</strong> segno provvidenziale<br />
che Rosmini attendeva.<br />
L’idem sentire fra <strong>il</strong> sacerdote lorenese ed <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo roveretano<br />
e la singolare coincidenza dei loro progetti li indusse<br />
a disporre le modalità di attuazione di una sim<strong>il</strong>e<br />
opera caritatevole.<br />
Dopo aver dibattuto i principi e le regole del nascente<br />
istituto ed averne abbozzato le linee guida, si cominciò<br />
a ricercare un luogo appartato dove, in un clima di<br />
meditazione e di solitudine contemplativa, poter gettare<br />
le basi della nuova fondazione. L’indicazione provenne<br />
dall’abate Luigi Polidori, cappellano di casa Mellerio<br />
a M<strong>il</strong>ano; egli, dopo essersi raccomandato alla Vergine<br />
Maria nella Chiesa di San Celso, dichiarò di aver avuto<br />
un’ispirazione sul posto adatto per fondare <strong>il</strong> nuovo<br />
ordine: <strong>il</strong> Sacro Monte Calvario di Domodossola. Rosmini<br />
gioì di questa indicazione: l’Istituto sarebbe sorto<br />
nel luogo dove Cristo, per salvare <strong>il</strong> mondo, aveva<br />
compiuto <strong>il</strong> più grande atto di carità, sarebbe germogliato,<br />
secondo quel presagio che la Canossa gli aveva
fatto “sul Calvario tra Gesù Crocifisso e Maria Santissima<br />
Addolorata”.<br />
L’impaziente Loewenbruck si recò immediatamente a<br />
visitare <strong>il</strong> Calvario e lo trovò appropriato per divenire la<br />
sede di un ordine religioso; nonostante gli anni dell’abbandono<br />
e della trascuratezza avessero inciso sul luogo,<br />
la sua natura e la sua essenza erano rimasti incontaminati<br />
e lasciavano trasparire, sotto una patina di fatiscenza,<br />
lo splendore del passato.<br />
Il 20 febbraio 1828 Antonio Rosmini arrivò al Sacro<br />
Monte Calvario, situato sul colle che sovrasta Domodossola;<br />
immerso nella solitudine e nel s<strong>il</strong>enzio del luogo,<br />
su quel monte diede inizio ad un sodalizio religioso<br />
destinato ad affermarsi nella Chiesa romana. Vi rimase<br />
alcuni mesi, vi scrisse le Regole del nascente Istituto<br />
della Carità, vi affinò le sue teorie metafisiche: al<br />
Calvario le doti di pensatore, di asceta, di organizzatore<br />
si fondarono in un unicum che fece di Antonio Rosmini<br />
una delle personalità più affascinanti e complete<br />
dell’Ottocento europeo. Colpisce la serenità con la<br />
quale Rosmini si apprestò a fondare un istituto trovandosi<br />
solo, in un luogo isolato, lontano dalla vita m<strong>il</strong>anese<br />
così ricca di incontri, di contatti, di stimoli culturali,<br />
criticato dagli amici che non comprendevano la<br />
sua scelta di volontario allontanamento ed isolamento.<br />
Colpisce ancora di più <strong>il</strong> forte contrasto fra la piccola<br />
cella in cui aveva deciso di abitare e la grandiosità delle<br />
opere da lui concepite in questi mesi. Antonio Rosmini<br />
espresse in una lettera le seguenti considerazioni dalla<br />
sua cella al Sacro Monte Calvario: “La solitudine mi è<br />
cara perché immerge in profondi pensieri. Tuttavia non<br />
sono già questi monti e queste valli, e questa pace e questo<br />
s<strong>il</strong>enzio che posseggono <strong>il</strong> mio cuore. I luoghi materiali<br />
sono troppo angusti per noi, <strong>il</strong> nostro luogo è Dio;<br />
ma quanto è stretta la via che conduce alla vita! L’ampiezza<br />
infinita, ove si d<strong>il</strong>ata infinitamente <strong>il</strong> gaudio del<br />
cuore, viene dopo la strettezza”.<br />
Al Calvario Rosmini era solo ed <strong>il</strong> Loewenbruck tardava<br />
ad arrivare; si erano dati appuntamento per <strong>il</strong> giorno<br />
delle Ceneri, per cominciare insieme la Quaresima in<br />
preghiera ed in penitenza; partito misteriosamente per<br />
la Francia, <strong>il</strong> compagno lorenese non inviava sue notizie:<br />
Rosmini era addolorato dall’inaspettata assenza del<br />
A. Rosmini ritratto da Francesco Hayez.<br />
suo unico compagno, ma intuiva che lo zelo, la fede e<br />
l’entusiasmo del Loewenbruck erano minati da un’incostanza<br />
e da un’instab<strong>il</strong>ità di carattere.<br />
Come si legge nel Diario degli scritti, tra <strong>il</strong> 24 febbraio<br />
ed <strong>il</strong> 23 apr<strong>il</strong>e 1828 risulta annotata la stesura delle Costitutiones<br />
societatis a Charitate nuncupatae (Costituzioni<br />
della Società consacrata dalla Carità); nonostante<br />
Antonio Rosmini in questo periodo avesse provveduto<br />
a comp<strong>il</strong>are le costituzioni dell’istituto, ancora piuttosto<br />
incerta restava la natura che avrebbe dovuto assumere:<br />
questi primi mesi di permanenza al Calvario appaiono<br />
più improntati alla solitudine contemplativa ed<br />
alla ricerca interiore che alla fondazione stab<strong>il</strong>e di una<br />
società religiosa.<br />
Nel nome “carità” dato al suo istituto erano riassunti i<br />
grandi obiettivi del f<strong>il</strong>osofo roveretano: la carità sarà infatti<br />
sv<strong>il</strong>uppata ed esplicata in tutte le sue accezioni e si<br />
manifesterà sotto le tre forme di carità corporale, spirituale<br />
ed intellettuale; proprio quest’ultima contraddistinguerà<br />
e differenzierà l’ordine rosminiano da tutti gli<br />
altri. L’8 luglio 1828 Loewenbruck giunse finalmente<br />
al Calvario: l’attesa era terminata ed <strong>il</strong> suo arrivo segnò<br />
197
l’inizio di un importante capitolo della storia dell’Istituto<br />
della Carità. In questo momento è possib<strong>il</strong>e intravedere<br />
<strong>il</strong> futuro del Sacro Monte: dopo l’arrivo del Loewenbruck,<br />
Rosmini non considerava più questo luogo<br />
soltanto come la sede provvisoria di un soggiorno limitato<br />
nel tempo e nell’importanza, ma piuttosto come<br />
la sede ideale della sua congregazione. Aveva così inizio<br />
la vita di luce del Calvario di Domodossola, vero cuore<br />
della spiritualità rosminiana.<br />
Dopo aver lasciato <strong>il</strong> Loewenbruck a capo della casa del<br />
Calvario e a coordinare i lavori di restauro, Rosmini si<br />
recò a Roma per ottenere dal Papa l’approvazione per <strong>il</strong><br />
suo nuovo Istituto e per pubblicare <strong>il</strong> Nuovo Saggio sulla<br />
origine delle idee e le Massime di perfezione cristiana, due<br />
grandi sintesi, la prima del suo pensiero f<strong>il</strong>osofico, la seconda<br />
della sua spiritualità. Nel novembre 1828 ottenne<br />
udienza da papa Leone XII, dal quale venne trattato<br />
con grande benevolenza: <strong>il</strong> Papa si dimostrò interessato<br />
alle idee di Rosmini e lo esortò a consegnare a due religiosi<br />
le Costituzioni del nascente Istituto, perché potessero<br />
essere esaminate e, qualora fossero in linea con le<br />
normative canoniche, approvate. L’improvvisa morte di<br />
Leone XII nel febbraio del 1829 vanificò la speranza di<br />
ottenere in tempi brevi l’approvazione da Roma. Rosmini<br />
attese pazientemente che <strong>il</strong> Conclave nominasse <strong>il</strong><br />
nuovo papa: venne eletto Pio VIII, <strong>il</strong> cui breve pontificato<br />
appare improntato da prudenza e saggezza.<br />
Nell’udienza pontificia del 15 maggio 1829 <strong>il</strong> Papa dichiarò<br />
a Rosmini di avere intuito che la sua reale vocazione<br />
era quella di attendere alla f<strong>il</strong>osofia, giudizio questo<br />
che avrebbe influito per sempre sulla sua vita; per<br />
quello che riguardava l’Istituto, <strong>il</strong> Papa gli suggerì di<br />
operare inizialmente “in piccolo”, lasciandosi guidare<br />
in seguito dalla volontà divina.<br />
Terminata la sua missione a Roma, nel maggio del 1830<br />
Rosmini tornò al Calvario e vi rimase un anno intero<br />
iniziando <strong>il</strong> noviziato con i primi compagni che si erano<br />
uniti a lui ed al Loewenbruck; fu questo un periodo<br />
di fervida attività per la piccola comunità del Calvario:<br />
vennero innanzitutto fissate le regole, venne stab<strong>il</strong>ita la<br />
distribuzione degli uffici al Calvario e suddivisa la giornata<br />
fra i momenti dedicati allo studio, alla preghiera,<br />
alle opere di carità.<br />
198<br />
Recatosi a Trento, Rosmini accettò la richiesta rivoltagli<br />
nell’agosto del 1830 da don Pietro Riegler, rettore del<br />
Seminario e da don Giulio Todeschi, professore di teologia:<br />
essi speravano che da un’unione con l’Istituto della<br />
Carità sarebbe potuto derivare un rinnovamento spirituale<br />
del clero trentino. Lo stesso vescovo Luschin si<br />
era rivolto al Rosmini chiedendogli di recarsi a lavorare<br />
nel seminario di Trento: questi, che aveva per lo più<br />
rifiutato le precedenti richieste di espandere l’Istituto<br />
in altre zone, riconoscendo la priorità di un consolidamento<br />
della piccola comunità, scelse di accettare questo<br />
invito.<br />
La nuova fondazione di Trento, agli inizi apparentemente<br />
favorita, incontrò presto l’opposizione del governo<br />
austriaco; <strong>il</strong> vescovo Luschin cercò di mediare proponendo<br />
a Rosmini di incontrarsi con l’Imperatore per<br />
ottenere da lui l’approvazione dell’Istituto. L’Imperatore<br />
ricevette Rosmini per due volte, prima a Bressanone,<br />
poi a Innsbruck, dimostrandosi favorevole al progetto,<br />
anche se impose alcune condizioni. Quando però monsignor<br />
Luschin venne nominato vescovo di Leopoli, i<br />
problemi e le opposizioni già esistenti si moltiplicarono<br />
e la situazione divenne insostenib<strong>il</strong>e. Lo stesso Rosmini<br />
venne sottoposto a vig<strong>il</strong>anza perché considerato<br />
“uomo dai principi pericolosi”; egli a questo punto non<br />
poté che prendere una decisione, l’unica saggia e possib<strong>il</strong>e,<br />
anche se dolorosa: chiudere l’istituto di Trento. Da<br />
questa e da altre amare esperienze nacque <strong>il</strong> <strong>libro</strong> Delle<br />
cinque Piaghe della Santa Chiesa, scritto a Corezzola<br />
nel novembre 1832, in cui erano descritte non tanto le<br />
colpe, quanto piuttosto le ferite che la Chiesa aveva subito:<br />
la scelta di non pubblicarlo subito, ma di aspettare<br />
<strong>il</strong> 1848 si sarebbe poi rivelata errata, perché anche in<br />
quell’anno i tempi non sarebbero stati maturi per un’effettiva<br />
comprensione delle sue parole. Il <strong>libro</strong> fu infatti<br />
travisato, messo al bando e divenne per lui fonte di<br />
grande sofferenza.<br />
Nello stesso periodo in cui Antonio Rosmini si apprestava<br />
a dar origine all’Istituto di Trento, Loewenbruck<br />
decise di dar seguito ad una sua felice intuizione: in<br />
Francia vi era una congregazione, le Suore della Provvidenza,<br />
che aveva lo scopo di garantire l’assistenza alle<br />
persone malate e di provvedere all’educazione delle giovani;<br />
<strong>il</strong> sacerdote lorenese pensò di introdurre un ana-
logo istituto in <strong>It</strong>alia. Per questo motivo mandò alcune<br />
giovani ossolane a Portieux in Francia dove aveva sede la<br />
Casa Madre di questa congregazione ed in seguito inviò<br />
un altro gruppo di suore a Locarno e a Torino, accondiscendendo<br />
così alle richieste che gli erano state rivolte.<br />
Ancora una volta l’impulsività del Loewenbruck aveva<br />
preso <strong>il</strong> sopravvento sulla prudenza che sarebbe stata<br />
invece opportuno ut<strong>il</strong>izzare in questo frangente: aveva<br />
impegnato le suore in missioni che si erano dimostrate<br />
superiori alle loro forze, senza provvedere a dar loro<br />
un’adeguata formazione ed un sostentamento economico.<br />
Antonio Rosmini, inizialmente all’oscuro di tutto,<br />
aveva in seguito cercato di rimediare ai danni provocati<br />
dall’imprudente generosità del lorenese: erano state così<br />
fissate le norme per l’ammissione delle suore nell’Istituto,<br />
era stata data loro una regola, affine a quella dell’Istituto<br />
della Carità; questo perché Rosmini, accettando la<br />
richiesta del Loewenbruck di prendere la direzione delle<br />
suore, voleva fondarle sui medesimi principi su cui era<br />
nato <strong>il</strong> suo Istituto: “come due rami d’un solo albero,<br />
traenti <strong>il</strong> succo da unica radice, viventi della stessa vita”.<br />
In pochi anni le Suore della Provvidenza aprirono case<br />
a Torino, Casale, Stresa, Domodossola e Biella, mentre<br />
la Casa Madre del nuovo ordine ebbe sede nel Convento<br />
delle ex Orsoline a Domodossola.<br />
Nel 1834 Rosmini divenne arciprete a Rovereto, si impegnò<br />
a fondo nell’educazione del clero e dei giovani,<br />
ma la sua opera venne fortemente ostacolata dal governo<br />
austriaco attraverso la Curia di Trento, tanto da costringerlo<br />
ad interrompere la sua missione nell’ottobre<br />
del 1835: ritornò così stab<strong>il</strong>mente in Piemonte dove<br />
per vent’anni ebbe la sua dimora abituale tanto da definirlo<br />
in una lettera come la sua “seconda Patria”.<br />
Opinione comune fra gli studiosi è <strong>il</strong> considerare come<br />
elemento fondamentale per <strong>il</strong> Rosmini studioso e uomo<br />
di cultura l’aver trascorso gli ultimi venti anni della sua<br />
vita in Piemonte, anziché in Trentino. L’Austria esercitava<br />
infatti un duro controllo ed una pesante censura<br />
non solo nella stampa ma anche sul modo di pensare,<br />
proibendo quella costruttiva libertà di dialogo che<br />
era necessaria per uno sv<strong>il</strong>uppo ed una maturazione del<br />
pensiero rosminiano. Sebbene avesse deciso di sottrarsi<br />
a numerose richieste che aveva ricevuto per mancanza<br />
di uomini o perché queste non gli erano sembrate in<br />
accordo con lo spirito dell’Istituto, la sua attività negli<br />
anni tra <strong>il</strong> 1835 e <strong>il</strong> 1839 appare straordinaria; <strong>il</strong> suo<br />
Istituto attraversò una fase di espansione e di consolidamento:<br />
oltre alla fondazione delle Suore della Provvidenza,<br />
venne dato inizio ad alcune opere tra le più significative<br />
della storia della congregazione rosminiana,<br />
importanti anche perché destinate a propagare l’Istituto<br />
in direzioni differenti.<br />
Intrapresa nel 1835, grande fortuna ebbe innanzitutto<br />
la missione in Ingh<strong>il</strong>terra, che rappresenta una pietra<br />
m<strong>il</strong>iare nella storia dell’Istituto della Carità, poiché<br />
diede inizio alla propagazione dell’ordine anche in terra<br />
straniera, aprendo così l’orizzonte verso nuovi confini.<br />
Il biennio 1835-1836 vide l’opera rosminiana indirizzarsi<br />
verso due abbazie: Tamié e San Michele. La prima<br />
missione aveva infiammato gli animi dei sacerdoti dell’Istituto:<br />
lo stesso Rosmini, recatosi in Savoia nell’estate<br />
del 1835, aveva mostrato un acceso entusiasmo per la<br />
possib<strong>il</strong>ità di impiantare una missione a Tamié e di fondarvi<br />
un collegio per missionari. Ma l’entusiasmo iniziale<br />
suo e dei religiosi inviati in questa abbazia si era<br />
lentamente affievolito, soffocato dalle preoccupazioni,<br />
dalle tensioni interne e dai continui tentennamenti del<br />
Loewenbruck; Rosmini decise quindi di ritirare i suoi<br />
sacerdoti dalla casa di Tamié, che ritornava all’arcivescovo<br />
monsignor Martinet, segnando così la fine della<br />
missione. Ma Rosmini subì la più grande delusione a<br />
causa dell’improvviso abbandono dell’Istituto della Carità<br />
da parte del compagno lorenese: l’incostanza ed i<br />
fac<strong>il</strong>i entusiasmi avevano condotto <strong>il</strong> Loewenbruck verso<br />
altre avventurose strade.<br />
All’orizzonte si delineava però una nuova impresa: Carlo<br />
Alberto, re del Piemonte, aveva concepito <strong>il</strong> progetto<br />
di fondare una casa di ospitalità e di ritiro all’abbazia<br />
di San Michele della Chiusa per coloro che desiderassero<br />
trascorrere un periodo di solitudine e di preghiera;<br />
<strong>il</strong> re aveva proposto ad Antonio Rosmini di affidare la<br />
cura dell’abbazia e l’attuazione della missione al suo ordine<br />
religioso.<br />
Rosmini si dimostrò favorevole all’impresa e, superate<br />
alcune difficoltà iniziali, mandò alla Sacra di San Michele<br />
dodici religiosi, sotto la direzione di don Francesco<br />
Puecher.<br />
199
Questo periodo così denso di avvenimenti e di fondazioni<br />
sembrò trovare ideale coronamento con l’approvazione<br />
dell’Istituto da parte della Santa Sede. Papa Gregorio<br />
XVI, succeduto a Pio VIII nel 1830, aveva affidato<br />
l’esame delle Costituzioni alla Congregazione pontificia<br />
dei Vescovi e dei Regolari.<br />
L’approvazione dell’Istituto aveva inizialmente incontrato<br />
degli ostacoli ed erano pervenute alcune critiche<br />
dall’ambiente gesuita; <strong>il</strong> 20 dicembre 1838 però, grazie<br />
ad un intervento di papa Gregorio XVI, 1 venne firmato<br />
<strong>il</strong> decreto che approvava le regole del nuovo Istituto.<br />
Il 25 marzo 1839 diciannove religiosi al Calvario<br />
e sei sacerdoti in Ingh<strong>il</strong>terra pronunciarono i voti<br />
perpetui: una grande distanza li separava, ma lo spirito<br />
di carità che faceva da fondamento all’Istituto li univa<br />
idealmente. Questo fu infatti un giorno di festa “spiritualmente<br />
grande, ma esteriormente modesta, secondo<br />
lo spirito um<strong>il</strong>e della società”, come afferma <strong>il</strong> Garioni<br />
Bertolotti.<br />
Negli anni successivi all’approvazione dell’Istituto sono<br />
almeno tre gli ambiti in cui si può dividere l’operato di<br />
Antonio Rosmini: 1) la fondazione di collegi, di scuole,<br />
di orfanotrofi, di as<strong>il</strong>i e la preparazione accurata degli<br />
insegnanti in accordo all’importanza attribuita da lui al<br />
ruolo degli educatori; 2) la pubblicazione di numerose<br />
opere f<strong>il</strong>osofiche e le dispute che lo vedono coinvolto;<br />
3) l’esperienza della politica e l’inevitab<strong>il</strong>e intreccio con<br />
gli avvenimenti del Risorgimento italiano.<br />
A partire dalla fine degli anni Trenta, Stresa divenne la<br />
residenza prescelta dal grande roveretano per trascorrere<br />
lunghi periodi immerso nella pace e nella serenità del<br />
luogo. Qui, circondato dalla poetica cornice di questa<br />
tranqu<strong>il</strong>la cittadina affacciata sul Lago Maggiore, accoglieva<br />
gli amici, approfondiva gli studi, concepiva grandi<br />
opere; tra queste occorre ricordare Storia dei sistemi<br />
morali (1837); La società e <strong>il</strong> suo fine (1839); Trattato<br />
della coscienza morale (1839); Risposta al finto Eusebio<br />
(1841); F<strong>il</strong>osofia del diritto (1841-1845); Teodicea<br />
(1845); Psicologia (1845).<br />
Nel 1837 Rosmini aveva accettato la proposta del conte<br />
Giacomo Mellerio di affidare al suo ordine <strong>il</strong> collegio<br />
di Domodossola, ampliando la scuola ginnasiale che era<br />
stata fondata nel 1818; agli inizi degli anni Quaranta<br />
era stato aggiunto anche <strong>il</strong> Liceo ed erano stati acquista-<br />
200<br />
ti alcuni terreni ed edifici confinanti con <strong>il</strong> Collegio per<br />
consentire un ampliamento della scuola. Rosmini aveva<br />
provveduto a st<strong>il</strong>are delle norme per gli allievi e per<br />
i docenti del collegio; a questi ultimi spettava l’importante<br />
compito di formare gli alunni seguendo un unitario<br />
progetto educativo: grande attenzione venne infatti<br />
prestata dal Padre Fondatore al campo dell’istruzione,<br />
un’opera tra le più consone allo spirito dell’Istituto<br />
e alla personalità del roveretano.<br />
L’istruzione era da lui considerata come un elemento<br />
fondamentale e pertanto era necessario disporre di educatori<br />
ben preparati all’interno dei collegi: gli insegnanti<br />
dovevano infatti saper nutrire lo spirito, mirando alla<br />
crescita interiore degli allievi. Allo scopo di indicare <strong>il</strong><br />
metodo educativo da pred<strong>il</strong>igere egli scrisse in questi<br />
anni <strong>il</strong> trattato: Del principio supremo della metodica e<br />
di alcune sue applicazioni in servizio dell’umana educazione.<br />
Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta<br />
si trovò a dover fronteggiare duri attacchi alle sue<br />
teorie f<strong>il</strong>osofiche: un primo gli era stato sferrato da Vincenzo<br />
Gioberti, al cui testo “Degli errori f<strong>il</strong>osofici di Antonio<br />
Rosmini” avevano dato fiera risposta i discepoli del<br />
roveretano; ma se in questo campo si può ricondurre la<br />
questione a divergenze fra esponenti di scuole di pensiero<br />
differenti, di natura diversa risultava essere la critica<br />
pesante, ancor più grave in quanto anonima, alle<br />
sue dottrine sulla coscienza morale. Su un libretto firmato<br />
con lo pseudonimo di Eusebio Cristiano vennero<br />
non solo confutate le dottrine rosminiane, ma ne venne<br />
anche stravolto <strong>il</strong> contenuto, individuando delle analogie<br />
con le tesi luterane, calviniste o gianseniste. Ciò<br />
che stupisce è la sistematicità con la quale venne portato<br />
avanti questo tentativo denigratorio nei confronti di<br />
Antonio Rosmini: irreperib<strong>il</strong>e nelle librerie, <strong>il</strong> testo venne<br />
fatto circolare contemporaneamente a Roma, Genova,<br />
Lucca e Torino attraverso una distribuzione all’interno<br />
dei seminari, dei collegi, delle scuole, giungendo<br />
nelle mani di molti conoscenti e amici di Antonio<br />
Rosmini; dietro le osservazioni contenute nell’opuscolo<br />
non sarà però diffic<strong>il</strong>e riconoscere un gruppo di gesuiti<br />
che da tempo cercava di osteggiare <strong>il</strong> nascente Istituto<br />
della Carità. Questo opuscolo ottenne un’eco inaspettata<br />
rimbalzando da un ambiente all’altro e, sebbene
privo di una valida analisi critica, produsse vasti effetti<br />
grazie alla sott<strong>il</strong>e ab<strong>il</strong>ità denigratoria con cui era stato<br />
concepito. La Risposta al finto Eusebio Cristiano scritta<br />
da Antonio Rosmini risulta essere un testo forte, volto<br />
a mettere in luce la menzogna e gli errori contenuti nel<br />
libello; intervenendo poi con un decreto in favore dell’abate<br />
roveretano, papa Gregorio XVI impose la fine<br />
delle accese controversie.<br />
Rosmini partecipò agli entusiasmi e alle speranze che<br />
erano sorte in <strong>It</strong>alia nella primavera del 1848; egli si era<br />
interessato di politica fin dalla prima giovinezza e, nell’arco<br />
di un ventennio, i suoi scritti avevano mostrato<br />
un approfondimento e un’evoluzione della sua posizione:<br />
avendo analizzato attentamente la situazione politica<br />
italiana, si era trovato allineato sulle posizioni di<br />
molti patrioti che, riscoprendo <strong>il</strong> concetto di “nazionalità”,<br />
auspicavano l’indipendenza dallo straniero e la nascita<br />
di governi costituzionali. Egli si era dichiarato favorevole<br />
alla concessione della Costituzione negli Stati<br />
italiani a patto che questa fosse una creazione spontanea<br />
del popolo e che non mutuasse concetti e osservazioni<br />
da precedenti forme di costituzioni estere.<br />
Il 2 agosto 1848 Rosmini si recò a Torino su invito di<br />
Gabrio Casati, presidente del Consiglio piemontese;<br />
prendendo parte ad una riunione del Consiglio dei Ministri,<br />
gli venne affidata una delicata missione diplomatica<br />
a Roma presso <strong>il</strong> papa Pio IX nella speranza di poter<br />
dar vita ad un concordato tra la Chiesa ed <strong>il</strong> Piemonte<br />
e ad una confederazione di stati affidandone la presidenza<br />
allo stesso Santo Padre. Pio IX nutriva un sentimento<br />
di profonda stima e di fiducia nei confronti del<br />
sacerdote roveretano, tanto da volerlo nominare Cardinale<br />
e successivamente Segretario di Stato. Rosmini si<br />
vide però costretto a rassegnare le dimissioni al governo<br />
piemontese quando, <strong>il</strong> nuovo esecutivo cominciò a sostenere<br />
una linea politico-diplomatica differente, ossia<br />
la nascita di una lega legittimata dal papa in funzione<br />
antiaustriaca: constatando che le trattative avviate per <strong>il</strong><br />
Concordato e la Confederazione non avevano più l’appoggio<br />
del governo piemontese, <strong>il</strong> roveretano considerò<br />
esaurito <strong>il</strong> suo compito.<br />
Per desiderio del Pontefice Rosmini restò a Roma, ma<br />
improvvisamente anche qui la situazione precipitò<br />
quando <strong>il</strong> 15 novembre venne ucciso <strong>il</strong> primo ministro<br />
Pellegrino Rossi. Nell’entourage papale dominavano la<br />
confusione e la paura ed <strong>il</strong> palazzo del Quirinale venne<br />
assalito dai rivoltosi che volevano veder accettate le loro<br />
proposte. 2 Il Papa <strong>il</strong> 24 novembre fuggì a Gaeta e Rosmini,<br />
rispondendo al suo invito, lo raggiunse due giorni<br />
dopo, ma sebbene tra di loro continuasse ad esserci<br />
un legame di affetto e di stima, sorsero i primi dissensi:<br />
Rosmini temette che la posizione papale potesse generare<br />
un insanab<strong>il</strong>e dissidio fra la Chiesa e lo Stato perché<br />
ritenuta contraria alla causa dell’unità e delle libertà<br />
costituzionali. Nella primavera 1849, approfittando<br />
dell’assenza di Rosmini da Gaeta, i suoi avversari ottennero<br />
che venissero messe all’indice due opere del roveretano,<br />
La Costituzione civ<strong>il</strong>e secondo la giustizia sociale e<br />
Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa, isolandolo sempre<br />
più dal Papa e di fatto impedendogli di ottenere la porpora.<br />
Rosmini, deluso, sospettato dalla polizia borbonica,<br />
preoccupato più che per sé per la posizione assunta<br />
dal Santo Padre, lasciò definitivamente Gaeta <strong>il</strong> 15<br />
giugno. Apprese del decreto dell’Indice solo due mesi<br />
dopo: <strong>il</strong> colpo alle sue dottrine e al suo giovane Istituto<br />
si rivelò da subito tremendo, ma Rosmini commentò<br />
i fatti con serenità d’animo e con un sentimento di obbedienza<br />
al volere della Provvidenza. Paradossalmente è<br />
forse la sua ora più alta e più bella.<br />
Senza recriminazioni fece ritorno a Stresa dove si dedicò<br />
alle cure del suo Istituto e alla stesura di nuove opere;<br />
qui scrisse lettere serene, incontrò ed ospitò innumerevoli<br />
amici e confratelli, la sua casa divenne un cenacolo<br />
come un tempo lo era stata casa Mellerio a M<strong>il</strong>ano.<br />
Soprattutto in questi ultimi anni Manzoni divenne<br />
per lui un fratello spirituale a cui affidare <strong>il</strong> suo testamento<br />
morale.<br />
Mentre le sue teorie si diffondevano nelle università italiane,<br />
studiate e spiegate da insigni docenti, a Roma<br />
prendeva nuovo vigore la controversia teologica: ai libretti<br />
ed alle calunnie Rosmini non rispose più, sdegnato<br />
ed amareggiato.<br />
Fu proprio Pio IX, ormai lontano dal Rosmini in politica,<br />
ma fedele ammiratore del suo ingegno, a proporre<br />
un esame serio, approfondito di tutte le opere pubblicate,<br />
nominando quindici consultori; dopo quattro anni<br />
di analisi osteggiate dai nemici di Rosmini, <strong>il</strong> 3 luglio<br />
201
1854 si riunì la Congregazione dell’Indice, presieduta<br />
dal Santo Padre. L’assoluzione delle sue opere e delle<br />
sue dottrine fu totale ed <strong>il</strong> Papa chiese che fosse definitiva:<br />
Rosmini la accolse con serenità e con pacatezza,<br />
senza alcun spirito di rivalsa. Solo molti anni dopo<br />
la morte del roveretano, nel 1888, <strong>il</strong> Sant’Uffizio tornerà<br />
a condannare Rosmini estrapolando 40 proposizioni<br />
dalle sue opere postume in modo da aggirare <strong>il</strong> decreto<br />
pontificio: occorrerà giungere al 1 luglio 2001 perché<br />
questa posizione venga cancellata e Rosmini compiutamente<br />
riab<strong>il</strong>itato.<br />
Purtroppo <strong>il</strong> male che aveva tormentato Rosmini in alcuni<br />
momenti della sua gioventù, riapparve in forma<br />
più acuta e dolorosa; dalla primavera del 1855 non si allontanò<br />
più dalla v<strong>il</strong>la di Stresa. I giorni della sofferenza<br />
ultima furono contrassegnati dall’affettuosa partecipazione<br />
dei suoi fedeli e dei tanti amici che ricevettero<br />
Note<br />
1 Il 12 settembre 1839 licenziando la Regola dell’Istituto della Carità<br />
papa Gregorio XVI scrisse di sua mano un commento elogiativo<br />
per <strong>il</strong> fondatore: “Essendo cosa a Noi ben conosciuta e sperimentata<br />
che <strong>il</strong> nostro d<strong>il</strong>etto figlio sacerdote Antonio Rosmini, fondatore<br />
di questo Istituto, è uomo fornito di ingegno eccellente e singolare,<br />
ornato l’animo di egregie doti, per scienza, delle cose divine e<br />
umane soprammodo <strong>il</strong>lustre, chiaro per esimia pietà, religione, virtù,<br />
probità, prudenza, integrità, splendente per meraviglioso amore<br />
e attaccamento alla cattolica religione e a questa Sede Apostolica,<br />
e che nel fondare l’Istituto della Carità a questo principalmente intese,<br />
che la carità di Cristo maggiormente diffusa nei cuori di tutti,<br />
tutti stringesse, e la Chiesa cattolica raccogliesse frutti ogni dì più<br />
ubertosi, e i popoli con più acuti stimoli fossero eccitati all’amore<br />
di Dio e alla d<strong>il</strong>ezione scambievole, Noi abbiamo giudicato di preporre<br />
<strong>il</strong> medesimo d<strong>il</strong>etto figlio al governo di detta Società. Eleggiamo<br />
e costituiamo lo stesso Antonio Rosmini Preposito Generale a<br />
vita del nominato Istituto con tutte le facoltà necessarie e opportune”<br />
(tratto dalle Lettere Apostoliche di approvazione dell’Istituto della<br />
Carità emanate <strong>il</strong> 12 settembre 1839). Il Garioni Bertolotti sottolinea<br />
come un elogio papale di una persona vivente rappresenti un<br />
unicum nella storia della Chiesa: Gregorio XVI mostrava di stimare<br />
a tal punto l’operato di Antonio Rosmini da decidere di inserire<br />
delle parole di lode che non sono solo rivolte all’Istituto fondato,<br />
ma anche all’uomo, la cui grandezza lo fa assurgere a superiore del<br />
suo ordine religioso.<br />
2 Pio IX, nel tentativo di sedare i tumulti, aveva accettato <strong>il</strong> ministero<br />
voluto dai rivoluzionari: nella lista st<strong>il</strong>ata <strong>il</strong> papa sembra aver inserito<br />
anche <strong>il</strong> nome di Antonio Rosmini, come Presidente del Consiglio<br />
e come Ministro della Pubblica Istruzione. Ma la posizione offertagli<br />
era troppo equivoca, fatta di compromessi con un Gabinetto<br />
202<br />
come un’ultima benedizione <strong>il</strong> suo testamento spirituale,<br />
composto di parole e comportamenti sublimi.<br />
Si spense <strong>il</strong> 1 luglio 1855 in una s<strong>il</strong>enziosa notte d’estate;<br />
<strong>il</strong> primo ministro conte di Cavour ne diede notizia<br />
all’<strong>It</strong>alia e all’Europa come di un avvenimento di<br />
importanza nazionale. Queste poche parole di Ruggero<br />
Bonghi fanno comprendere la grande natura dell’uomo:<br />
“Si è d<strong>il</strong>eguata quaggiù la più gran mente e la più<br />
sant’anima che vivesse in <strong>It</strong>alia. Lascia eredità grande<br />
di affetti e d’idee; i suoi confratelli e i suoi amici nutriranno<br />
gli uni; spetta ai giovani italiani di fecondare le<br />
altre. Tutti ci sentiremo migliori e più grandi nella sua<br />
memoria”.<br />
Le sue ultime parole affidate al Manzoni, sono la sintesi<br />
di una vita dedita all’uomo e alla Chiesa, per unificare<br />
la loro strada che sale a Dio: “Adorare, Tacere, Godere”.<br />
Valgono anche oggi, immutab<strong>il</strong>mente.<br />
che Rosmini considerava non costituzionale: domandando al Santo<br />
Padre quale fosse la sua sincera volontà, non aveva trovato nelle<br />
sue parole la fiducia necessaria per fargli accettare l’incarico. Il giorno<br />
seguente <strong>il</strong> suo rifiuto venne comunicato al neo eletto ministro<br />
Galletti, che subito gli sostituì monsignor Muzzarelli. La nomina<br />
di Rosmini a ministro è un episodio sfuggito all’attenzione di molti<br />
poiché <strong>il</strong> suo nome, comparso solo in un comunicato del giornale<br />
Il contemporaneo, era stato sostituito nell’elenco ufficiale dei ministri<br />
diffuso <strong>il</strong> giorno successivo dal Galletti.<br />
Bibliografia<br />
-R. Bessero Belti, Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa<br />
1989<br />
-G. Bozzetti, Prof<strong>il</strong>o di Antonio Rosmini, Libraria Editoriale Sodali-<br />
tas, Stresa 1985<br />
-M. De Paoli, Antonio Rosmini. Una lunga storia d’amore, Edizioni<br />
San Paolo, Cinisello Balsamo 1997<br />
-G. Garioni Bertolotti, Antonio Rosmini, Libraria Editoriale Soda-<br />
litas, Stresa 1981<br />
-U. Muratore, Rosmini profeta obbediente, Paoline Editoriale Libri,<br />
M<strong>il</strong>ano 1995<br />
-Pagine di una vita. Note biografiche su Antonio Rosmini, a cura di M.<br />
Murdocca, Longo Editore, Rovereto 1986<br />
-G. Rossi, Vita di Antonio Rosmini, in 2 voll., Arti Grafiche Manfri-<br />
ni, Rovereto 1959
I monumenti e i segni d’arte<br />
Gian Franco Bianchetti<br />
Le opere, i monumenti, i segni d’arte depositati dal<br />
tempo nella valle della Toce sono molti, pertanto nelle<br />
poche pagine seguenti non potrò ricordarli tutti, mi<br />
limiterò invece ad indicare quelli particolarmente rappresentativi<br />
di periodi storici, di scuole artistiche locali<br />
o di personalità che hanno creato felici momenti d’arte<br />
nel fluire della storia ossolana.<br />
La baita, con i suoi muri a secco solidamente costruiti<br />
per reggere le travature impostate a sostegno della pesante<br />
copertura di piode è, probab<strong>il</strong>mente, l’opera prima<br />
creata dal genio degli abitatori dell’Ossola al tempo<br />
della colonizzazione iniziale. Immutata nella tecnica costruttiva<br />
e nei materiali, è un monumento archeologico<br />
che ha conservato nei m<strong>il</strong>lenni valori di funzionalità e<br />
bellezza anche nella collocazione appropriata alle diverse<br />
situazioni presentate dal terreno e dalle risorse ambientali.<br />
Ma con la baita non si esaurì la capacità creativa<br />
di quella cultura primordiale, giacché ad essa vanno<br />
ascritti anche i muri a secco megalitici innalzati per sostenere<br />
i ripiani coltivab<strong>il</strong>i sulle pendici delle valli, collegati<br />
fra essi, altresì, da un sistema di scale, a volte incassate<br />
a volte aggettanti, che tuttora rappresentano la<br />
più vasta e persistente testimonianza della fatica iniziale<br />
dell’uomo volta ad adattare l’ambiente alpestre alle esigenze<br />
della propria sopravvivenza. A riprova dell’evoluzione<br />
tecnica raggiunta nel trattamento e nell’impiego<br />
di materiali spontaneamente offerti dall’ambiente naturale,<br />
un altro fenomeno, meno diffuso, ma tecnicamente<br />
significativo, sopravvive concomitante alle opere<br />
megalitiche, ossia le camere sotterranee ricavate nei<br />
muri a secco (dette sotto fascia) frequentemente ampliate<br />
nel sottosuolo retrostante, coperte talvolta da false<br />
cupole (a tholos), tal altra da spesse lastre oppure costruite<br />
sotto massi erratici di grandi dimensioni inglobati<br />
nel tessuto murario. La presenza delle camere sot-<br />
terranee si concentra prevalentemente a Montecrestese,<br />
sui declivi alle spalle della località Castelluccio, e soprattutto<br />
a Varchignoli, località al confine fra i territori di<br />
V<strong>il</strong>ladossola e Montescheno, dove si manifesta associata a<br />
canalizzazioni di drenaggio, a tratti sotterranee, a tratti<br />
a cielo aperto, r<strong>il</strong>evate pure a Castelluccio, che, correlate<br />
allo sv<strong>il</strong>uppo dei muri megalitici e alla dislocazione<br />
delle scale suggeriscono l’effetto di un sistema complessivo<br />
progettato per bonificare l’area comprendente<br />
anche territori limitrofi di altre località a oriente di Varchignoli<br />
1 . Camere sotterranee che, ponendo oggi interrogativi<br />
sulla loro ut<strong>il</strong>izzazione, pare aprano un passaggio<br />
sul versante spirituale di quella cultura di un tempo<br />
precedente la storia a cui appartengono anche altri segni,<br />
funzionali, questi, alla religiosità di quella gente lepontica<br />
che per prima abitò le valli ossolane. Sono infatti<br />
segni rivelatori del culto praticato nei secoli antecedenti<br />
alla diffusione del Cristianesimo: la stele cruciforme<br />
trovata alla Colma di Craveggia, e ivi conservata<br />
nell’oratorio di San Rocco, simbolo solare invocato per<br />
ottenere la fecondità della terra e degli armenti; i bassor<strong>il</strong>ievi<br />
antropomorfi murati all’esterno della parete meridionale<br />
di San Quirico a Calice e <strong>il</strong> mascherone della<br />
fontana affacciata sul sagrato dell’oratorio di San Pietro<br />
a Dresio di Vogogna 2 . Il tempietto lepontico a Roldo di<br />
Montecrestese, datato al primo secolo dopo Cristo, introduce<br />
l’Ossola nei tempi storici. Unico esempio, quasi<br />
intatto, che documenti <strong>il</strong> connubio fra la tecnica costruttiva<br />
romana e le esigenze religiose e estetiche della<br />
cultura lepontica, è <strong>il</strong> solo edificio rimasto in tutta l’area<br />
gallo-romana a testimoniare l’influsso della civ<strong>il</strong>tà romana<br />
sulle popolazioni alpine. È costituito da una cella<br />
e da un atrio, con volta a botte, sulla quale si posava direttamente<br />
una copertura di tegoloni in beola foggiati<br />
su modulo romano, ora scomparsa, sim<strong>il</strong>e a quella an-<br />
203
cora esistente nella zona absidale della chiesa di S. Giorgio<br />
a Varzo; dovuto a tecnica romana è anche <strong>il</strong> pavimento,<br />
in parte ancora conservato, composto da minuti<br />
frammenti di marmo legati da malta marmorea; è invece<br />
lepontico l’orientamento, su un asse nord-sud, che<br />
rivela la dedicazione del tempietto a una divinità solare.<br />
Sebbene siano emersi altri resti a testimonianza della<br />
dominazione romana in Ossola, <strong>il</strong> tempietto di Roldo<br />
è certamente <strong>il</strong> monumento più significativo giunto<br />
a noi da quegli anni 3 .<br />
Quando la disgregazione dell’Impero Romano, causata,<br />
almeno in parte, dalle invasioni barbariche, privò<br />
le popolazioni dell’Occidente europeo dell’organizzazione<br />
sociale nella quale si identificava la loro civ<strong>il</strong>tà, <strong>il</strong><br />
Cristianesimo offrì un nuovo modello di vita attraverso<br />
le organizzazioni ecclesiastiche. Di quegli anni diffic<strong>il</strong>i<br />
della Chiesa nascente l’Ossola conserva una testimonianza<br />
nel fonte battesimale scoperto di recente sotto <strong>il</strong><br />
presbiterio della chiesa di San Giovanni a Montorfano di<br />
Mergozzo. Datato al V-VI secolo, mostra una vasca ottagonale,<br />
incassata nel pavimento, formata da mattoni sesquipedali<br />
di modulo tipicamente romano, che ricorda<br />
come nella liturgia di allora <strong>il</strong> battesimo fosse impartito<br />
con l’immersione del catecumeno 4 .<br />
La notte di Natale dell’anno Ottocento, nella bas<strong>il</strong>ica<br />
di S. Pietro a Roma, ponendo sul capo di Carlo Magno<br />
la corona dell’Impero d’Occidente, Papa Leone III sanciva<br />
la nascita del Sacro Romano Impero e confermava<br />
<strong>il</strong> potere dei Franchi su gran parte dell’Occidente europeo.<br />
Sotto <strong>il</strong> regno carolingio l’Europa visse un tempo<br />
di rinnovamento culturale ispirato alla civ<strong>il</strong>tà romana,<br />
al quale si univa <strong>il</strong> gusto tradizionale per la decorazione<br />
minuta delle popolazioni barbariche, ormai stab<strong>il</strong>ite<br />
nella nuova organizzazione politica. Anche l’Ossola<br />
conobbe la «Renovatio» carolingia e lo dimostra la cappella<br />
settentrionale inferiore della chiesa di Santa Maria<br />
Assunta del Piaggio a V<strong>il</strong>ladossola. Sebbene ora sia inclusa<br />
nel più ampio edificio romanico, la chiesuola primitiva<br />
è ancora riconoscib<strong>il</strong>e: una piccola navata orientata<br />
sull’asse est-ovest con l’abside semi c<strong>il</strong>indrica a oriente.<br />
Semplice struttura che ripete <strong>il</strong> tipo bas<strong>il</strong>icale romano,<br />
presenta sulla parete esterna dell’abside elementi tipici<br />
della decorazione architettonica di st<strong>il</strong>e carolingio:<br />
la superficie curva è divisa in tre specchiature da larghe<br />
204<br />
lesene; coronata da una serie di archetti pens<strong>il</strong>i, ha nelle<br />
specchiature laterali due finestrelle a feritoia, definite da<br />
profonde strombature e concluse in alto da uno stretto<br />
arco, e nella specchiatura centrale è evidenziata, da un<br />
leggero r<strong>il</strong>ievo, una croce latina, che nell’estremità inferiore<br />
s’apre a V capovolta a simboleggiare <strong>il</strong> calvario,<br />
simbolo quest’ultimo di derivazione longobarda 5 .<br />
Con la caduta della dinastia carolingia l’impero passa<br />
alla casa germanica di Sassonia (962) che, durante <strong>il</strong> regno<br />
dei tre imperatori di nome Ottone, ridesta in Europa<br />
l’esigenza di un’arte monumentale, emblema dell’Impero<br />
rinnovato. Si affermarono in quegli anni del<br />
X secolo costruttori ed<strong>il</strong>i lombardi, che nella letteratura<br />
artistica vengono sovente denominati maestri comacini<br />
organizzati in maestranze capaci di edificare e ornare<br />
un edificio ovunque li chiamasse un pio mecenate<br />
o una comunità. Sono essi che, portando nell’Ossola<br />
lo st<strong>il</strong>e ottoniano, caratteristico della seconda metà del<br />
X secolo, costruirono la chiesa di San Bartolomeo a V<strong>il</strong>ladossola.<br />
Ora l’edificio si presenta gravato dalle strutture<br />
aggiunte dal secolo XIV al XVII che hanno modificato<br />
la costruzione primitiva. La chiesa, nata con <strong>il</strong> titolo<br />
dei Santi Fabiano e Sebastiano, costituisce l’esempio<br />
più nitido dello st<strong>il</strong>e architettonico scelto e accolto<br />
per più di tre secoli dalla gente ossolana. Il San Bartolomeo<br />
era costruito su pianta bas<strong>il</strong>icale occupando all’incirca<br />
lo spazio dell’attuale navata centrale, con la facciata<br />
a occidente e l’abside semi c<strong>il</strong>indrica a oriente. All’esterno<br />
i muri, parte in vista, parte celati nei sottotetti<br />
dalle navate laterali, sono animati da strette lesene che<br />
scandiscono le superfici in specchiature, delimitate in<br />
alto da un corso di archetti pens<strong>il</strong>i sotto la stretta gronda<br />
del tetto in piode. La decorazione, incisa sui capitelli<br />
delle lesene, sui beccatelli degli archetti, sugli archivolti<br />
degli stessi archetti e delle finestre, costituisce l’aspetto<br />
più interessante del monumento, perché in essa si ravvisa<br />
l’espressione esemplare di quell’arte simbolica, colta<br />
— forse dovuta all’intervento diretto dell’abate Guglielmo<br />
di Volpiano — tipica del periodo ottoniano,<br />
che attraverso segni di apparenza astratta, derivati dal<br />
repertorio ornamentale della tradizione barbarica, rivela<br />
i concetti teologici della dottrina cristiana. Un esempio<br />
tipico di sintesi simbolica si ha nella lunetta appartenente<br />
all’antico portale — ora sopra la porta di fac-
ciata — dove, in poche incisioni astratte, è rappresentata<br />
la venuta di Cristo giudice alla fine dei tempi, ossia<br />
la Parusia 6 .<br />
Il risveglio culturale e religioso sorto in Francia agli<br />
inizi del secolo XI, guidato dagli abati benedettini di<br />
Cluny, si riflette anche in Ossola con <strong>il</strong> rinnovamento<br />
delle chiese esistenti e la costruzione di nuove, erette<br />
non solo per appagare un rinnovato spirito religioso,<br />
ma anche per assecondare esigenze sorte in conseguenza<br />
dell’incremento demografico in atto durante tutto <strong>il</strong> secolo<br />
7 . Sono sempre i maestri comacini che lungo <strong>il</strong> secolo<br />
XI, costantemente ispirati ai canoni fondamentali del<br />
San Bartolomeo, apriranno cantieri in diversi centri ossolani<br />
per soccorrere al bisogno e all’ambizione di nuove<br />
chiese. L’intervento dei maestri lombardi differisce<br />
però da cantiere a cantiere: eseguono la costruzione per<br />
intero negli edifici di maggiore importanza, in quelli<br />
minori l’affidano a maestranze locali cresciute alla loro<br />
scuola. Gli stessi maestri, presenti in Ossola per costruire<br />
<strong>il</strong> San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola, sono attivi a Trontano,<br />
cinquant’anni dopo, per edificare la chiesa della<br />
Natività di Santa Maria; ma alcune differenze nella decorazione<br />
segnano <strong>il</strong> mutare del gusto, che, affiancando<br />
sculture ai segni incisi, rivela una nuova propensione<br />
per i valori plastici. Oltre alla Natività di Santa Maria<br />
a Trontano vengono edificate anche le chiese di San<br />
Giorgio a Varzo, di Santo Stefano a Crodo, della Beata<br />
Vergine Assunta di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di<br />
Seppiana. Ancora alla prima metà del XI secolo risalgono<br />
i resti romanici, recentemente scoperti nei sottotetti<br />
delle navate laterali, della chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />
di Crevoladossola, dove per la prima volta viene impiegato<br />
<strong>il</strong> marmo locale per eseguire l’ornamento dei<br />
beccatelli di sostegno agli archetti pens<strong>il</strong>i. Anche <strong>il</strong> tipo<br />
di ornato, dominato da protome di cavalieri ricoperte<br />
da una variante dell’elmo normanno, fornito di nasale,<br />
si differenzia dal repertorio ornamentale romanico diffuso<br />
in Ossola e sembra celebrare, con austero fasto, i<br />
committenti, forse quei m<strong>il</strong>es oblati alla difesa dei diritti<br />
feudali della Chiesa novarese, governata da Pietro III<br />
<strong>il</strong> prudente (994-1032), primo vescovo Conte insediato<br />
sulla cattedra di San Gaudenzio 8 . Anche i campan<strong>il</strong>i<br />
del San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola — ritenuto l’esempio<br />
più compiuto di torre campanaria romanica in tut-<br />
ta l’area coperta dall’attività dei maestri lombardi — del<br />
San Brizio di Vagna, dei Santi Pietro e Paolo a Crevola<br />
e del San Giorgio di Varzo vennero edificati nello stesso<br />
secolo. Costruiti con minore rigore st<strong>il</strong>istico e tecnica<br />
più rudimentale, perciò attribuib<strong>il</strong>i a maestranze locali,<br />
sono contemporanee a quelle citate in precedenza<br />
le chiese di San Quirico a Calice di Domodossola, di<br />
Santa Maria al Piaggio di V<strong>il</strong>ladossola — con <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e<br />
— di San Graziano a Candoglia — con campan<strong>il</strong>e<br />
a vela — di San Giacomo al Basso di Mergozzo e <strong>il</strong><br />
campan<strong>il</strong>e di San Pietro a Pallanzeno. Durante <strong>il</strong> secolo<br />
XII sono sempre aperti in Ossola i cantieri dei maestri<br />
lombardi che nelle decorazioni di alcune chiese introducono<br />
un materiale usato in precedenza solo a Crevola,<br />
ossia <strong>il</strong> marmo locale, nell’alta Ossola, e quello di<br />
Candoglia, nella bassa Ossola. Esempi che documentano<br />
l’innovazione si hanno con Santa Maria al cimitero<br />
di Bracchio, <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e della Beata Vergine Annunciata<br />
di Albo e i rimaneggiamenti delle chiese dell’Assunta<br />
di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di Seppiana. Al<br />
secolo XII sono datate anche le chiese della Beata Vergine<br />
Assunta di Santa Maria Maggiore, di Santa Marta<br />
a Mergozzo, <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e di Montecrestese — all’interno<br />
di quello costruito nei secoli XVI- XVII — quelli<br />
del Sant’Ambrogio di Seppiana, del Sant’Abbondio di<br />
Masera e del San Lorenzo di Megolo. Le primitive chiese<br />
di San Martino a Masera, di San Giulio a Cravegna e<br />
di San Gaudenzio di Baceno, ora mutate dalle ricostruzioni<br />
posteriori, venivano edificate nello stesso secolo.<br />
L’edificio sacro più importante — perché più complesso<br />
e più aderente alle soluzioni adottate nei grandi centri<br />
metropolitani — fra quelli costruiti nel XII secolo è<br />
San Giovanni a Montorfano di Mergozzo. Sorto nello<br />
stesso sito dove già esisteva una chiesa a tre navate absidate,<br />
è l’unico esempio nell’Ossola di edificio romanico<br />
costruito su pianta a croce latina ed è anche <strong>il</strong> solo<br />
che abbia la navata e <strong>il</strong> transetto coperti da volte a crocera<br />
raccordate all’incrocio dalla cupola del tiburio. Gli<br />
elementi decorativi che contornano la chiesa e coronano<br />
l’abside con un seguito di archetti a fornice, sono<br />
in parte provenienti dalla chiesa preesistente e in parte<br />
opera dei lapicidi che l’edificarono. Il tempo ci ha conservato<br />
due sole sculture romaniche e anch’esse giungono<br />
a noi, in stato frammentario, dal XII secolo. La pri-<br />
205
ma, più nota e già ampiamente studiata, fungeva da architrave<br />
nell’antico portale della chiesa dei Santi Gervasio<br />
e Protasio a Domodossola, dove ora è conservata all’interno,<br />
scolpita in serpentino, rappresenta una scena<br />
del poema trovadorico de «La canzone di Orlando», celebrativo<br />
delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini.<br />
La seconda è un Crocifisso scolpito in marmo di Crevola,<br />
incassato in un muro di sostegno a monte dell’antica<br />
strada antronesca a Seppiana, che pare possa essere attribuita<br />
a un anonimo maestro locale, autore di altri frammenti<br />
scultorei inseriti nella ornamentazione del Sant’Ambrogio<br />
di Seppiana 9 .<br />
Poco più ricco è <strong>il</strong> catalogo della pittura romanica 10 che,<br />
probab<strong>il</strong>mente, un tempo decorava l’interno di molte<br />
chiese ossolane. Le più antiche risalgono agli inizi dell’XI<br />
secolo e sono sei frammenti di figure affrescate di<br />
cui rimangono tre busti, una testa, un volto e un braccio,<br />
ora conservate nella sacrestia del San Giorgio di Varzo<br />
e provenienti dalla navata centrale della stessa chiesa<br />
corrispondente alla precedente aula romanica. A Santa<br />
Maria di Trontano, nella navata centrale, un frammento<br />
decorativo ricorda l’antica ornamentazione affrescata<br />
a metà dell’XI secolo su tutte le pareti, di cui rimangono<br />
tracce anche nelle strombature delle finestre e, infine,<br />
a V<strong>il</strong>ladossola, nella chiesa di Santa Maria al Piaggio,<br />
nell’abside settentrionale è conservata gran parte<br />
delle immagini affrescate alla fine del secolo XII: sopra<br />
una serie di sei apostoli dipinti sul tamburo dell’abside,<br />
nel catino è rappresentata la SS. Trinità secondo un<br />
tipo iconografico inconsueto. Ultimi nel tempo, rimasti<br />
a testimoniare l’estinguersi dell’età romanica ossolana,<br />
sono i resti della chiesa di San Francesco a Domodossola,<br />
della seconda metà del XIII secolo, ora inglobati<br />
nel palazzo Galletti, fra i quali spiccano i capitelli figurati,<br />
scolpiti in serpentino, che mostrano come lo st<strong>il</strong>e<br />
romanico-lombardo abbia avuto lunga vita nel gusto<br />
ossolano.<br />
Giustamente a Vogogna è affidata la testimonianza del<br />
Trecento in Ossola, perché proprio durante la prima<br />
metà del secolo <strong>il</strong> centro ossolano assunse <strong>il</strong> ruolo di capitale<br />
dell’Ossola inferiore e venne potenziato con <strong>il</strong> castello<br />
eretto dal Vescovo di Novara Giovanni Visconti e<br />
dotato di palazzo pretorio, costruito nel 1348, che manifestava<br />
la nuova dignità del borgo 11 .<br />
206<br />
L’arte ossolana fra la fine del Trecento e gli inizi del<br />
Quattrocento assume la fisionomia degli affreschi sgargianti<br />
di colori, fittamente decorati, del Pittore della<br />
Madonna di Re 12 . Attivo durante l’ultimo ventennio<br />
del Trecento lungo la valle della Toce, è presente nell’area<br />
dell’Alto Novarese per tutto <strong>il</strong> primo ventennio<br />
del Quattrocento. I suoi modi attardati, ancora legati<br />
alla pittura romanica, ingent<strong>il</strong>iti da apporti gotici, sembrano<br />
identificarsi con la semplicità di sentimento della<br />
devozione popolare che, riconoscendosi nella nitida<br />
ingenuità delle immagini affrescate e riconoscendo con<br />
chiarezza le valenze simboliche, dottrinali e culturali,<br />
delle iconografie, volentieri s’affida al pennello del pittore<br />
della Madonna di Re e lo chiama a frescare sulle<br />
case — a Ronco di Trontano circa nel 1380, una Crocefissione,<br />
Sant’Antonio abate e la Madonna del latte —<br />
e nelle chiese — nel San Quirico di Calice a Domodossola,<br />
prima l’Ultima Cena e quindi nel 1391 San Michele,<br />
San Giulio e la Madonna; <strong>il</strong> paliotto della Natività<br />
per la chiesa di Santa Maria al Piaggio a V<strong>il</strong>ladossola,<br />
eseguito fra <strong>il</strong> 1390 e <strong>il</strong> 1400; la Madonna di Re, da cui<br />
prende <strong>il</strong> nome, ora nel santuario omonimo, attorno al<br />
1400. Mentre s’avviava <strong>il</strong> quarto decennio del Quattrocento<br />
un frescante, attivo nel novarese, quasi ricalcando<br />
gli itinerari del pittore della Madonna di Re, si volgeva<br />
alle valli ossolane: Giovanni De Campo, anzi la ampia<br />
sezione di un suo affresco, raffigurante la Madonna<br />
del Latte affiancata, sulla destra, dalla coppia dei Santi<br />
Pietro e Antonio Abate, staccato da una casa di Oira, in<br />
valle Antigorio, e ora conservato nel convento del Sacro<br />
Monte Calvario di Domodossola, si pone, allo stato attuale<br />
delle ricerche, quale opera prima del pittore, giacché<br />
graffito, dalla invadenza di un devoto sprovveduto,<br />
sulla superficie di sfondo tra la Madonna e San Pietro,<br />
si legge <strong>il</strong> m<strong>il</strong>lesimo 1433, termine ante quem quindi<br />
per la datazione della opera, che anticipa pressoché di<br />
un decennio l’anno 1440 dal quale si faceva iniziare la<br />
cronologia concernente l’attività di Johannes De Campis.<br />
Oltre ai caratteri st<strong>il</strong>istici, peculiari all’opera del De<br />
Campo, garantisce l’autografia dell’affresco la sigla dipinta,<br />
poco sopra <strong>il</strong> margine inferiore, sullo sfondo fra<br />
la Madonna del latte e San Pietro, YO, sovrastata da<br />
un segno di imbreviatura, perciò trascrivib<strong>il</strong>e per esteso<br />
Johannes. Altre opere ossolane attribuib<strong>il</strong>i con sicurez-
Giovanni de Campo, Serie di Santi, affresco ca. 1450. Vogogna, Oratorio di san Pietro a Dresio.<br />
za alla mano del De Campo sono: l’affresco dell’oratorio<br />
di san Pietro a Vogogna raffigurante San Pietro, assiso<br />
sul soglio pontificio, a cui San Martino, in figura di<br />
cavaliere cortese, presenta un devoto adolescente inginocchiato,<br />
seguito dai santi Antonio Abate e Bernardino da<br />
Siena; gli affreschi sulle superfici absidali nel San Quirico<br />
di Calice a Domodossola, dall’Annunciazione, sul<br />
fronte dell’arco trionfale, al Pantocratore, attorniato dai<br />
simboli degli evangelisti, nel catino, alla serie degli Apostoli<br />
e della Crocefissione ai lati dei Santi titolari Quirico<br />
e Giulitta sul registro superiore del tamburo, che nella<br />
parte inferiore è decorato con le Opere di misericordia<br />
corporali. Altre immagini di Santi e della Beata Vergine<br />
sono dipinte sulle pareti laterali della navata. In altre<br />
sedi ossolane si sono ritrovate opere del De Campo,<br />
come la Madonna del Latte di Santa Maria Maggiore<br />
e i resti di una Annunciazione affrescata sul fronte<br />
dell’arco absidale del Sant’Abbondio di Masera che<br />
mostrano <strong>il</strong> maestro novarese attivo in Ossola fino al<br />
VI decennio del secolo XV 13 . Opere che, lasciano supporre<br />
come <strong>il</strong> soggiorno in Ossola dell’artista novarese<br />
non fosse sporadico, ma duraturo, determinato dalle richieste<br />
di committenti di rango formati al gusto corte-<br />
se diffuso dalla capitale lombarda. I richiami ai preziosismi<br />
decorativi degli sfondi miniati da Michelino da<br />
Besozzo, l’eleganza degli abbigliamenti e dei panneggi,<br />
accomodati in pieghe ricadenti e fluenti attorno alle figure,<br />
rivelano un ritardo st<strong>il</strong>istico dell’autore, ancorato<br />
alle ricercatezze del decorativismo gotico, persistente<br />
nella cultura provinciale, attestata in Ossola ancora negli<br />
ultimi decenni del secolo, segnati dalla comparsa dei<br />
pittori “Seregnesi” provenienti da Lugano, dove tennero<br />
bottega dal sesto all’ultimo decennio del secolo XV 14 .<br />
Cristoforo e Nicolao da Seregno, zio e nipote, seppero<br />
accendere vivo interesse nella committenza vigezzina,<br />
come dimostra l’alto numero degli affreschi che furono<br />
incaricati di eseguire in parecchi centri della valle, per<br />
lo più da una committenza privata desiderosa di ornare<br />
case o cappelle rurali con immagini sacre di gusto arcaico,<br />
attardate in moduli figurali e ornamentali ancorati<br />
a st<strong>il</strong>emi gotici. La devozione del popolo chiedeva<br />
immagini ieratiche, eloquenti nel rappresentare <strong>il</strong> soppranaturale,<br />
ma nel contempo semplici e fac<strong>il</strong>mente riconoscib<strong>il</strong>i.<br />
A tali attese i Seregnesi corrisposero dipingendo<br />
con grazia devota e persuasiva semplicità <strong>il</strong> panteon<br />
della devozione locale, in forme asciutte, ancorché<br />
207
mosse da una elementare eleganza, esatte nell’associare<br />
ad ogni figura sacra gli attributi iconografici atti a riconoscerla<br />
al primo sguardo. Danno chiara testimonianza<br />
di questo momento tardo gotico la Madonna in Maestà<br />
di Santa Maria Maggiore, proveniente da Toceno, l’Uomo<br />
dei Dolori, all’esterno dell’oratorio di Sant’Antonio<br />
sempre a Toceno; le tre Madonne in Maestà a Craveggia;<br />
gli affreschi di Sasseglio sv<strong>il</strong>uppati in due riquadri con<br />
la Madonna in Maestà affiancata dai Santi Giulio e Antonio<br />
Abate e i Santi Sebastiano e Rocco, e ancora a Druogno<br />
la Madonna del Latte affrescata a Gagnone; la delicata<br />
suggestione della Madonna della Misericordia nel<br />
Sant’Ambrogio e la Madonna col Bambino nella cappella<br />
di San Bernardino ambedue a Coimo. Lasciata la Valle<br />
Vigezzo, dopo una puntata verso settentrione a Montecrestese<br />
nella v<strong>il</strong>la di Cardone, dove i Seregnesi affrescavano<br />
una esemplare Madonna in Maestà, ora conservata<br />
al Sacro Monte Calvario di Domodossola, i pittori volgevano<br />
i passi verso le Quattro Terre per affrescare l’interno<br />
e <strong>il</strong> fronte dell’oratorio di Santa Marta a Cosasca<br />
di Trontano e raggiungere, in un secondo tempo, Vogogna,<br />
chiamati ad arricchire l’interno dell’oratorio di San<br />
Pietro a Dresio con una fascia affrescata nello spazio sottostante<br />
all’affresco steso in precedenza da Giovanni De<br />
Campo. Forse sulla via del ritorno, i frescanti vengono<br />
incaricati di ornare in parte le absidi inferiori del Santuario<br />
v<strong>il</strong>lese del Piaggio, dedicato alla Beata Vergine Assunta,<br />
dove fra i lacerti rimasti del decoro pittorico è ancora<br />
leggib<strong>il</strong>e la data 6 luglio 1477.<br />
Quasi in sintonia st<strong>il</strong>istica con i frescanti novaresi e luganesi<br />
si affaccia alla ribalta ossolana, durante l’ultimo<br />
quarto del XV secolo, uno scultore, Antonio fu Francesco<br />
da Domodossola, in antecedenza indicato come Maestro<br />
di Crevola 15 , interprete del faticoso passaggio dal<br />
tradizionale repertorio tardogotico all’emergente lezione<br />
rinascimentale che dai grandi cantieri lombardi, per<br />
via d’acqua, perveniva agli approdi della Toce. Antonio<br />
da Domodossola lavorò nell’alta Ossola per committenti<br />
del patriziato locale legati alle famiglie dei Baceno<br />
e della S<strong>il</strong>va. Oltre ad alcune Madonne in trono con <strong>il</strong><br />
bambino, sono attribuite alla sua mano le sculture della<br />
facciata appartenenti al primo rifacimento della chiesa<br />
dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola, datata 1475,<br />
che in semplificata sintesi si ispira alla partitura decora-<br />
208<br />
tiva della facciata della Certosa di Pavia. La via d’acqua<br />
era priv<strong>il</strong>egiata per trasportare a M<strong>il</strong>ano e a Pavia i marmi<br />
provenienti dalle cave ossolane di Candoglia, Ornavasso<br />
e Crevola e proprio a Pavia Antonio da Domodossola<br />
dava inizio a una dinastia di scultori per tre generazioni<br />
presenti nel cantiere del Duomo pavese, ma altresì<br />
nella valle d’origine, in cui, portando <strong>il</strong> cognome Degli<br />
Arrigoni, torneranno sporadicamente a lavorare. È una<br />
vicenda esemplare quella Degli Arrigoni poiché documenta<br />
a quali fonti si è venuta formando la cultura artistica<br />
che in Ossola seppe esprimere in scultura e architettura<br />
la stagione rinascimentale, aperta dai contatti,<br />
documentati daI 1491 al 1520, che Giovanni Antonio<br />
Amadeo ebbe con l’ambiente delle cave ossolane, dove,<br />
<strong>il</strong> suo ruolo dominante di architetto ducale, l’aveva portato<br />
per provvedersi dei materiali lapidei di cui necessitavano<br />
le imprese che, sotto la sua direzione erigevano a<br />
M<strong>il</strong>ano e a Pavia edifici fra i più significativi del Rinascimento<br />
lombardo.<br />
Quel poco della cultura rinascimentale pavese e m<strong>il</strong>anese,<br />
tenuemente f<strong>il</strong>trato dall’impianto della facciata dei<br />
Santi Pietro e Paolo di Crevola o dai finti nicchioni da<br />
cui s’affacciano le compatte figure dei Santi eseguiti da<br />
Antonio da Domodossola, viene portato a maturazione<br />
da suo nipote, Lorenzo degli Arrigoni figlio di Giovannino<br />
architetto e scultore, autore dell’ampliamento<br />
della navata della parrocchiale di Crevola (ante 1521-<br />
1526) e architetto della nuova chiesa dei Santi Giacomo<br />
e Cristoforo di Vogogna (1527-1532), crollata nel 1975,<br />
nonché scultore dello splendido tabernacolo marmoreo<br />
conservato nella Parrocchiale di Santa Maria Maggiore<br />
firmato e datato: MDXXXV XVIII KAL. AUG. LAU-<br />
RENTIO ARIGONIO ARTEFICE PAPIENSE 16 . Lorenzo<br />
Arrigoni, oltre a una nuova concezione dei parametri<br />
e degli spazi architettonici, introduce in valle un<br />
proprio approccio al Rinascimento lombardo dagli accenti<br />
pavesi, rivelato, in particolare, dal tipo di ornato<br />
dei capitelli, dal fusto delle colonne ancora c<strong>il</strong>indrico,<br />
e dalla inelegante spessezza, e dal disegno dei r<strong>il</strong>ievi ornamentali,<br />
scolpiti solitamente nelle cornici dei portali,<br />
ancorché eseguiti con mano greve imputab<strong>il</strong>e in parte<br />
al materiale lapideo, in parte al trattamento dei lapicidi<br />
locali esecutori dei bassor<strong>il</strong>ievi.<br />
Veramente in questa valle alpina non s’ebbe mai l’au-
tentico Rinascimento di lezione albertiana, ma piuttosto<br />
uno pseudorinascimento m<strong>il</strong>anese d’orientamento<br />
solariano, accolto per rinnovare forme ormai logorate<br />
da una tradizione secolare e non più confacenti ai<br />
nuovi modi di vita imposti dal mutamento culturale in<br />
atto. Qualche primo segno da taluni portali e acquasantiere<br />
della valle Antigorio — Baceno, Cravegna, Crodo<br />
— opere di uno scultore dipendente dalla Fabbriceria<br />
del Duomo di Pavia, Giovan Pietro di Castello del<br />
Lambro, avverte che già <strong>il</strong> gusto è mutato, ma <strong>il</strong> mutamento<br />
è totale nel rinascimentale palazzo dei Della S<strong>il</strong>va<br />
a Domodossola, edificato nel 1516. Esempio st<strong>il</strong>istico,<br />
che si rifletterà nella rustica ed<strong>il</strong>izia signor<strong>il</strong>e ossolana<br />
con l’introduzione di nuove soluzioni formali, soprattutto<br />
nella incorniciatura di porte e finestre, e strutturali,<br />
come la scala a chiocciola, di gusto francesizzante<br />
variata negli sv<strong>il</strong>uppi dal genio creativo delle maestranze<br />
locali, modello designato a segnare profondamente<br />
l’immagine architettonica della Valle, come si può osservare<br />
nelle numerose case cinquecentesche ancora esistenti.<br />
L’esito più compiuto, sebbene tardo, della lezione<br />
rinascimentale lombarda è ravvisab<strong>il</strong>e nella facciata<br />
marmorea della chiesa di San Nicolao a Ornavasso, costruita<br />
fra <strong>il</strong> 1542 e <strong>il</strong> 1587, con lo stesso marmo locale<br />
apprezzato in particolare dai costruttori lombardi del<br />
Quattro e Cinquecento 17 . Ma non tutti e non sempre i<br />
committenti ossolani, fautori delle opere di rinnovo attuate<br />
nei molti cantieri aperti durante <strong>il</strong> Cinquecento,<br />
accettarono <strong>il</strong> dominio culturale della corte m<strong>il</strong>anese di<br />
intonazione bramantesca, anzi parrebbe che una parte<br />
politica, identificab<strong>il</strong>e con l’esteso parentado dei Baceno-De<br />
Rodis, a cui furono legati i Della S<strong>il</strong>va, i Campieno<br />
e altri ceppi fam<strong>il</strong>iari da essi derivati, professando<br />
la loro adesione alla religiosità francescana con opere<br />
orientate dalla predicazione dei Minori Conventuali di<br />
Domodossola, manifestassero, tramite le commissioni<br />
artistiche da essi patrocinate, inequivocab<strong>il</strong>e propensione<br />
per quell’arte cortese di tradizione medievale presente<br />
negli esiti del rinnovo architettonico m<strong>il</strong>anese presieduto<br />
dall’autorità della dinastia dei Solari. I committenti<br />
della consorteria nob<strong>il</strong>iare antigoriese, prendendo<br />
culturalmente parte, si rivolsero a maestranze ossolane<br />
capaci di mediare con vigore <strong>il</strong> loro intento, come tutt’oggi<br />
testimonia la maggior parte delle opere esegui-<br />
te in quell’ambito territoriale durante i primi decenni<br />
del Cinquecento. In architettura, particolarmente accogliendo<br />
lo schema gotico, stigmatizzato dall’impiego<br />
dell’arco a sesto acuto, vennero ampliate le chiese romaniche<br />
del San Giulio di Cravegna e del San Gaudenzio<br />
di Baceno, dell’Assunta di Montecrestese e della Natività<br />
di Maria Vergine di Trontano.<br />
Attribuzione d’opere architettoniche, in precedenza lasciate<br />
nell’anonimato, a maestranze locali solo oggi possib<strong>il</strong>e<br />
perché accertata dalla recente pubblicazione di un<br />
<strong>il</strong>luminante saggio sull’opera svolta, nel territorio della<br />
città Umbra di Spello, da maestranze ed<strong>il</strong>i provenienti<br />
dall’Ossola e particolarmente dall’alta valle Antigorio,<br />
costituite dall’aggregazione, su base parentale, di “sotii”<br />
provenienti dal territorio di Premia e segnatamente dalla<br />
frazione di Pied<strong>il</strong>ago (anticamente Pidelata) 18 . “Magister”<br />
della prima generazione furono Bertolino di Andrea<br />
di Bertolino e Giovanni di Domenico di Bartolomeo<br />
da Domodossola che, guidando la compagnia degli<br />
Antigoresi, edificarono fra <strong>il</strong> primo e <strong>il</strong> quarto decennio<br />
del cinquecento, nell’agro di Spello, la chiesa di<br />
Santa Maria della consolazione di Vico, detta Tonda, e<br />
l’adiacente convento dei Servi di Maria, o Serviti, oltre<br />
ad altri edifici religiosi e civ<strong>il</strong>i in città. E’ plausib<strong>il</strong>e ritenere<br />
come proprio a queste maestranze venisse affidato<br />
l’ampliamento e la ristrutturazione degli edifici di culto<br />
romanici siti nella valle della Toce, giacché riunite in<br />
compagnia di “sotii” ossolani, sul modello statutario dei<br />
“maestri comacini” o degli “Antelami” – già disciplinati<br />
dagli editti alto medievali dei re longobardi Rotari, del<br />
643, e Liutprando, del 713 – si proponessero come continuatori<br />
dell’arte edificatoria medievale, trasmessa di<br />
generazione in generazione, e rinnovata con la frequentazione<br />
operativa dei cantieri aperti nell’area m<strong>il</strong>anese<br />
attivi nel XV secolo. Sintomatiche del rinnovo rinascimentale<br />
m<strong>il</strong>anese, sotto l’egida della dinastia degli architetti<br />
Solari, Giovanni (1400 c.-1484 c.), Guiniforte<br />
(1429-1481) e Pietro Antonio (1450 c. – 1493), sono<br />
talune caratteristiche d’esso passate nelle ristrutturazioni<br />
ossolane: la composizione unitaria dello spazio liturgico,<br />
che priv<strong>il</strong>egia la continuità orizzontale delle navate;<br />
alcuni elementi formali, quali l’uso, non esclusivo,<br />
dell’arco a sesto acuto; l’applicazione di ornati scultorei<br />
sui portali e sulle nervature delle finestre ogivali (Bace-<br />
209
Hans Funck, Madonna in trono venerata da Santi e donatori, vetrate<br />
istoriate e dipinte (Berna) 1526. Crevoladossola, Santi Pietro e Paolo.<br />
no) e la formazione delle colonne, dal capitello, di tipo<br />
corinzio dalla fogliatura corposa ed elementare, al fusto<br />
c<strong>il</strong>indrico, sovente massiccio, alla base “unghiata”, ossia<br />
posata su un plinto parallelepipedo ornato da elementi<br />
fogliari ricadenti agli angoli. E’ probab<strong>il</strong>e che, in concomitanza<br />
alla chiusura dei cantieri ossolani, si manifestasse<br />
<strong>il</strong> fenomeno migratorio verso l’Umbria delle maestranze<br />
ed<strong>il</strong>i antigoresi, alla ricerca di committenze necessitanti<br />
di costruttori competenti per realizzare opere<br />
murarie anche di complessa struttura.<br />
Acme espressivo della reazione oppositiva posta in essere<br />
dai “laudatores temporis acti”, memori dei prev<strong>il</strong>egi<br />
e delle origini feudali della loro nob<strong>il</strong>tà, sembra porsi<br />
<strong>il</strong> presbiterio dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />
riedificato, completando l’ingrandimento terminato<br />
nel 1526, per volontà dei committenti Paolo e Andreina<br />
Della S<strong>il</strong>va, che conferirono l’incarico del progetto e<br />
della direzione dei lavori a Ulrich Ruffiner, architetto di<br />
origine valsesiana molto attivo al servizio delle più potenti<br />
personalità politiche del vicino Vallese, interprete<br />
fra i più austeri e dotati di quel tardo gotico internazionale<br />
diffuso nei paesi di lingua tedesca e bene accetto<br />
alla corte di Francia 19 . Nel 1526 l’integrazione della<br />
parrocchiale crevolese era terminata, completata, secon-<br />
210<br />
do la progettazione caratteristica del Gotico internazionale,<br />
dai diaframmi vitrei istoriati incassati nei finestroni<br />
e nel rosone dell’abside, splendidamente eseguiti da<br />
Hans Funck, uno dei massimi maestri vetrai bernesi del<br />
tempo. Anche a Baceno, ultimati i lavori di ampliamento<br />
nel quinto decennio, si provvide a chiudere le luci<br />
dei finestroni gotici e dei rosoni con vetrate dipinte,<br />
ma queste, datate 1547, vennero eseguite nella bottega<br />
di Anton Schiterberger maestro vetraio zelatore di quel<br />
manierismo che a Lucerna, dove operava, e nei cantoni<br />
cattolici, si opponeva, in decori e figure, di ricchissimo<br />
sv<strong>il</strong>uppo ed elegante fattura, alla castigatezza iconoclastica<br />
dei cantoni riformati 20 .<br />
La pittura del Cinquecento ossolano dimostra quanto<br />
forte fosse, anche culturalmente, la dipendenza di questa<br />
valle dal Ducato di M<strong>il</strong>ano a cui apparteneva; tuttavia<br />
nei primi decenni del secolo è ancora una famiglia<br />
di pittori novaresi, quella di Tommaso Cagnola e dei<br />
suoi figli Giovanni, Francesco e Sperindio a detenere <strong>il</strong><br />
controllo delle più prestigiose commissioni sia pubbliche,<br />
sia private. Al padre Tommaso vanno attribuiti <strong>il</strong><br />
ritratto ad affresco di un signore v<strong>il</strong>lese appartenente<br />
alla famiglia dei Baceno e una Madonna in Trono con <strong>il</strong><br />
Bambino, datati 1502, provenienti da una casa di Sogno<br />
— frazione di V<strong>il</strong>ladossola — ora conservati al Sacro<br />
Monte Calvario di Domodossola 21 , ascrivib<strong>il</strong>i all’opera<br />
del maestro novarese per <strong>il</strong> garbo rinascimentale<br />
del limpido disegno e pei decori ad arabesco che campiscono<br />
gli sfondi; del figlio Francesco sono l’immagine<br />
mariana, piuttosto ingenua, affrescata nel Santuario di<br />
Antonio Schiterberger, rosone della Trinità, vetrata dipinta e istoriata,<br />
(Lucerna) 1547. Baceno, San Gaudenzio.
Sperindio Cagnola, Tentazione di Adamo, affresco inizi sec. XVI. Baceno, San Gaudenzio.<br />
Viganale 2 2 , firmata e datata 1516, e la Adorazione del<br />
Bambino proveniente da una casa di Montecrestese conservata<br />
accanto ai lavori del padre al Sacro Monte Calvario<br />
di Domodossola, datata 1513, ai quali maggiormente<br />
si accosta per <strong>il</strong> lindore esecutivo e per l’armoniosa<br />
composizione; problematiche invece sono le attribuzioni<br />
a Sperindio, poiché dei suoi lavori citati nella<br />
documentazione diplomatica nessuno è rimasto ad accertare<br />
quali fossero i suoi modi espressivi, tuttavia, essendo<br />
documentata la sua associazione ad alcune imprese<br />
pittoriche di Gaudenzio Ferrari, si possono attribuirgli<br />
alcune opere improntate dalla maniera novarese<br />
dei Cagnola, animate però da un naturalismo più convincente<br />
e nordicizzante di lezione gaudenziana, come<br />
mostrano gli affreschi stesi sulle volte del Presbiterio,<br />
nella cappella della Madonna del Rosario e la Tentazione<br />
di Adamo sulla parete di fondo, a destra dell’altare maggiore<br />
23 , nel San Gaudenzio di Baceno e una Madonna in<br />
Trono col Bambino nella casa parrocchiale di Crodo, che<br />
sono al più alto livello raggiunto in Ossola dalla pittura<br />
dei Cagnola, nei quali è ipotizzab<strong>il</strong>e che Sperindio, <strong>il</strong><br />
fratello dalla mano più colta, si fosse valso per eseguirli<br />
dell’aiuto di Francesco e forse anche di Giovanni. Il primo<br />
dei pittori lombardi giunto in Ossola è <strong>il</strong> varesino<br />
Francesco de’ Tatti, chiamato dal capitano reale Paolo<br />
Della S<strong>il</strong>va, si ha fondato motivo di supporre su suggerimento<br />
dello zio materno Giovan Francesco Origoni,<br />
per dipingere intorno alla venerata immagine della Madonna<br />
della Neve, affrescata nel Santuario di Domodossola,<br />
gli elementi figurali di contorno, stesi su tavola, della<br />
nuova pala, siglata e datata 1516 che, con la Pietà<br />
conservata nell’oratorio di Santa Marta a Craveggia,<br />
reca in Ossola l’eco di quei fermenti immessi nel Rinascimento<br />
m<strong>il</strong>anese dall’aulica classicità vagheggiata e<br />
proposta dal Bramantino 24 . Chiamato dallo stesso committente<br />
Paolo Della S<strong>il</strong>va, giunge in Ossola, quasi contemporaneamente,<br />
Fermo Stella da Caravaggio per affrescare<br />
fra <strong>il</strong> 1518 e <strong>il</strong> 1526 <strong>il</strong> presbiterio, appena ricostruito,<br />
nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />
e, dopo qualche anno, l’ex battistero per la stessa<br />
comunità parrocchiale, mentre dipinge su tavola <strong>il</strong><br />
trittico per l’altare della cappella Mellerio nel San Mar-<br />
211
tino di Masera 25 . Con l’artista caravaggino la cultura artistica<br />
ossolana acquisisce l’esperienza di una versione<br />
diversificata dell’influenza gaudenziana, in cui i portati<br />
della cultura d’oltralpe accentuano <strong>il</strong> carattere realistico<br />
delle figure e introducono nuove soluzioni compositive<br />
per soggetti tradizionali, come nell’ Ultima Cena di<br />
Crevoladossola. A metà, all’incirca, del terzo decennio<br />
del secolo <strong>il</strong> San Gaudenzio di Baceno venne dotato di<br />
un organo e con esso le quattro tele, tese a foderare le<br />
facciate esterne e interne delle ante mob<strong>il</strong>i applicate allo<br />
strumento, dipinte nella bottega m<strong>il</strong>anese di Bernardino<br />
Luini per raffigurarvi i Santi Gaudenzio, Luigi IX di<br />
Francia, Ambrogio e Maurizio, ora custodite, come quadri<br />
distinti, nel San Mattia di Oira 26 . L’apporto del maestro<br />
m<strong>il</strong>anese ebbe certamente risonanza in valle, anche<br />
perché associato a un organo, suppellett<strong>il</strong>e rara nelle<br />
chiese ossolane del tempo, destinata a suscitare molta<br />
curiosità, che diede modo agli Ossolani di accostarsi a<br />
un esempio della più pura e rigorosa interpretazione del<br />
Rinascimento data nelle botteghe m<strong>il</strong>anesi del primo<br />
quarto del Cinquecento. Più estesa è l’opera di Giovanni<br />
Battista da Legnano giunto dalla residenza di Varese<br />
in Ossola mentre iniziava <strong>il</strong> secondo quarto del Cinquecento<br />
27 . L’esordio del pittore in valle Vigezzo, chiamato<br />
ad affrescare <strong>il</strong> presbiterio del Sant’Antonio Abate di Toceno,<br />
non precluse la sua disponib<strong>il</strong>ità all’accettazione<br />
di commissioni private, di cui rimangono gli affreschi<br />
per la cappella di Garavà ad Albogno (1527) e quelli<br />
della cappella della P<strong>il</strong>a a Craveggia (circa 1534), che intervallano<br />
gli incarichi affidatigli da committenti pubblici,<br />
quali gli affreschi per le Logge dei Bandi di Craveggia,<br />
datati 1531, e di Toceno, posteriori di qualche<br />
anno, lavori che lo porteranno, nel 1534, alla conclusione<br />
della sua attività in Vigezzo con gli affreschi stesi<br />
a campire le pareti laterali dell’oratorio di San Rocco a<br />
Crana, dei quali restano, in esecuzione originale, solamente<br />
quelli della parete occidentale, a rappresentare in<br />
scene edificanti i fatti narrati dalla Vita del santo titolare.<br />
Con la medesima disponib<strong>il</strong>ità riservata ai committenti<br />
vigezzini, anche in valle Antigorio Battista da Legnano,<br />
svolgendo durante <strong>il</strong> quarto e <strong>il</strong> quinto decennio<br />
del Cinquecento una impressionante mole di lavoro,<br />
assume commissioni pubbliche e private. Entro <strong>il</strong> 1537<br />
dipinge immagini devozionali di soggetto mariano su<br />
212<br />
dimore patrizie a Pontemaglio e a Cruppo di Crodo, mentre<br />
ha già avviato l’impresa pittorica più impegnativa<br />
portata a compimento nel 1539 ossia le Scene della Passione<br />
nel presbiterio del San Giulio di Cravegna e nel<br />
contempo, ancora a Cravegna esegue gli affreschi che <strong>il</strong><br />
committente Antonio Nocetti, padre di Innocenzo IX,<br />
gli aveva dato incarico di dipingere nell’oratorio di Santa<br />
Croce. L’attività di Battista da Legnano in Ossola si<br />
conclude, sempre in valle Antigorio, dove nel 1542 affresca<br />
una Madonna del Latte con Sant’Antonio Abate<br />
per l’abitazione di Giovanni De Campieno a Smeglio di<br />
Mozzio e la Madonna del Latte coi Santi Pietro e Paolo<br />
nella cappella ai Piani Superiori di Crodo. Ancorchè artista<br />
radicato alla versione foppesca del Rinascimento<br />
lombardo, osservata nella bottega comacina dello zio<br />
Alvise De Donati, di cui è allievo e talvolta procuratore,<br />
si mostra pronto ad aggiornare l’apprendimento scolastico<br />
volgendosi al magistero di quelle grandi personalità<br />
artistiche che avevano scosso la tradizione rinascimentale<br />
lombarda: Leonardo e <strong>il</strong> Bramantino, come<br />
s’avverte con particolare evidenza, seguendo la successione<br />
cronologica di stesura delle scene affrescate nel<br />
San Giulio di Cravegna. Il 1542 è altresì l’anno in cui<br />
Antonio Bugnate di Borgomanero firma e data la vasta<br />
opera affrescata per <strong>il</strong> San Gaudenzio di Baceno 28 , che<br />
porta <strong>il</strong> realismo di Gaudenzio Ferrari a estremi vernacoli,<br />
accesi da impulsi riformatori, scesi dall’oltralpe luterano<br />
gravati da fantasiose cupezze, come quelle spiranti<br />
dall’immagine demoniaca che dalla volta sovrasta<br />
la grande Crocefissione, stesa, con suggestiva animazione,<br />
sulla parete occidentale del presbiterio. Degli affreschi<br />
eseguiti nella cappella, ora dell’Assunta, in capo alla<br />
navata orientale, rimangono, discretamente conservati,<br />
i decori della volta a finti trafori gotici, <strong>il</strong> fronte della lunetta<br />
sopra l’arco settentrionale, raffiguranti la Conversione<br />
di Saulo, e i fatti della vita di San Gaudenzio sotto<br />
<strong>il</strong> finestrone orientale, mentre è appena rintracciab<strong>il</strong>e la<br />
figurazione della grande Crocefissione di San Pietro stesa<br />
sulla parete di fondo, dietro la pala dell’altare. Ancora<br />
visib<strong>il</strong>e rimane in facciata la gigantesca figura di San<br />
Cristoforo, testimonianza conclusiva dell’attività del Bugnate<br />
in Ossola. Il 1542 è un anno nodale per la cultura<br />
artistica locale, poiché durante <strong>il</strong> suo corso giungono<br />
all’ep<strong>il</strong>ogo le vicende artistiche ossolane di Battista da
Antonio Bugnate, Crocefissione, affresco 1542. Baceno, San Gaudenzio.<br />
Legnano e di Antonio Bugnate e nel contempo si ha<br />
l’esordio di un pittore, ad essi culturalmente collegab<strong>il</strong>e,<br />
discendente da un nob<strong>il</strong>e casato di Montecrestese,<br />
che firma e data Jacobus de Cardone/Nomine Antonii Petri<br />
Mellini/Pinxit 1542 la sua prima opera: una Madonna<br />
in Trono col Bambino nella cappella a Castelluccio di<br />
Montecrestese 29 . Le numerose opere site in Ossola attribuib<strong>il</strong>i<br />
a Giacomo De Cardone, caratterizzate da una<br />
maniera decisamente originale, fac<strong>il</strong>mente riconoscib<strong>il</strong>e,<br />
ancorché diseguale per <strong>il</strong> variare delle tipologie figurali<br />
e decorative assunte durante i quattro decenni in<br />
cui l’artista lavorando sv<strong>il</strong>uppò la sua personalità, hanno<br />
l’avvio st<strong>il</strong>isticamente riconoscib<strong>il</strong>e nell’intervento<br />
profano, eseguito ad affresco nel 1547 ad Alteno di<br />
Montecrestese, nella abitazione del Presbiter Giovanni<br />
De Rodis, ora diroccata, sacerdote che probab<strong>il</strong>mente<br />
aprì l’accesso alle commissioni affidate al Cardone per<br />
decorare l’interno della parrocchiale, dedicata alla Bea-<br />
ta Vergine Assunta, con le due figure dei Santi Giovanni<br />
Battista e Sebastiano nel 1547 e, intorno al 1550, con gli<br />
affreschi eseguiti nella cappella della Confraternita di<br />
Santa Marta – ora del Battistero – dei quali rimangono<br />
i finti trafori gotici della volta e la grande Crocefissione,<br />
sulla parete di fondo, dagli aspri accenti settentrionali,<br />
probab<strong>il</strong>mente dipendenti sia dalla lezione del Bugnate,<br />
sia dalla frequentazione dei circoli amadeiti m<strong>il</strong>anesi.<br />
Nel 1553 <strong>il</strong> pittore è a Premia incaricato di completare<br />
<strong>il</strong> decoro del presbiterio nella chiesa di San Michele con<br />
le figure dei Santi Barbara e Antonio Abate e la solenne<br />
Beata Vergine in gloria venerata da San Rocco, su uno<br />
sfondo paesistico ispirato a luoghi del natio Montecrestese,<br />
mentre con la stessa data è segnata la Beata Vergine<br />
in Maestà affiancata da Sant’Antonio Abate eseguita<br />
ad affresco all’esterno di una casa nella frazione di Rozzaro<br />
sempre a Premia. Il Cardone è ormai pronto, con<br />
chiarezza di pensiero e maturità di st<strong>il</strong>e, per affrontare <strong>il</strong><br />
suo ruolo di autore dominante la fase conclusiva dei<br />
cantieri antigoresi, nei quali, ultimate le opere architettoniche<br />
venivano apportate le finiture degli interni con<br />
la decorazione delle volte e delle pareti ricostruite o aggiunte.<br />
Ruolo confermato intorno al 1554 quando assunse<br />
la commissione più importante eseguita da un artista<br />
nel corso del secolo XVI, l’intera decorazione ad<br />
affresco sulle volte e sui sottarchi delle navate laterali nel<br />
San Gaudenzio di Baceno, nonché l’Ultima Cena sulla<br />
parete di controfacciata, a destra dell’entrata settentrionale,<br />
e sulle pareti della navata orientale, nella prima<br />
campata, <strong>il</strong> Transitus Animae di Santa Maria Maddalena,<br />
l’Adorazione dei Magi, recentemente liberata dalla<br />
scialbatura sovrapposta, e, presso <strong>il</strong> battistero, la Deposizione<br />
della Croce. Ma tanta operosità subì un traumatico<br />
intervallo quando, nel febbraio 1561 venne arrestato<br />
a M<strong>il</strong>ano dal tribunale della Sacra Inquisizione, pendente<br />
l’accusa di eresia, e <strong>il</strong> sette apr<strong>il</strong>e seguente, dopo<br />
formale abbiura, venne assolto con la riserva precauzionale<br />
di eseguire nei cinque anni seguenti le penitenze<br />
comminate dall’Inquisitore. Durante la sospensione penitenziale,<br />
ritiratosi a vita privata, ebbe modo di costruire<br />
una nuova ala aggiunta alla casa paterna e di decorarla<br />
all’esterno e all’interno con splendidi fregi graffiti<br />
a grottesche e ad affresco come la Predicazione del<br />
Battista sulle rive del Giordano, datata 1564, sulla cap-<br />
213
pa del camino nel saloncino d’onore. E’ probab<strong>il</strong>e che<br />
l’atto di accusa sia stato motivato dalle scene dell’Infanzia<br />
di Gesù affrescate sulla volta della terza campata nella<br />
navata orientale, ispirate da soggetti tratti dalle <strong>il</strong>lustrazioni<br />
s<strong>il</strong>ografiche della luterana Leien Bibel. Fra <strong>il</strong><br />
1564 e <strong>il</strong> 1565, o poco oltre, saranno affrescate anche le<br />
restanti volte e i sott’archi della navata occidentale. L’interludio<br />
profano, anticipato dai decori di Alteno datati<br />
1547, culminò nel fregio eseguito per decorare <strong>il</strong> saloncino<br />
di rappresentanza della casa Marini al Boarengo di<br />
Crodo, composto da scene mitologiche alternate a<br />
stemmi di casate della consorteria nob<strong>il</strong>iare antigorese e<br />
da grottesche, affrescate nei primi anni del sesto decenio<br />
del secolo XVI, sim<strong>il</strong>e a quello perduto eseguito<br />
nella sala verde del castello Della S<strong>il</strong>va di Crevoladossola.<br />
I fregi a graffito e ad affresco stesi nel 1564 per ornare<br />
la sua abitazione sembrano, per ora, concludere <strong>il</strong> ciclo<br />
di opere profane eseguite dal Cardone, se nel 1566,<br />
affrescando <strong>il</strong> 18 giugno la Beata Vergine in Maestà col<br />
Figlio venerata da San Rocco sulla facciata di una casa all’alpe<br />
Salera di Crodo e <strong>il</strong> 28 luglio inserendo fra i decori<br />
esistenti della cappella ai piani superiori di Crodo le<br />
immagini dei Santi Antonio Abate e Sebastiano, mostra<br />
d’essere tornato nell’alveo della pittura sacra. A riprova<br />
va ricordato <strong>il</strong> lavoro del Cardone nella cappella cimiteriale<br />
di Cardezza dedicato agli Atti della vita di San Rocco,<br />
affrescati sulla volta poco dopo <strong>il</strong> 1570. L’ultimo intervento<br />
di Giacomo de Cardone è ancora conseguente<br />
all’esigenza di ornare una delle grandi chiese rinnovate<br />
in area antigorese, ossia quella dei Santi Pietro e Paolo di<br />
Crevoladossola, infatti, committente la “Compagnia degli<br />
Huomini che lavoravano a Roma” gli venne assegnato<br />
l’incarico di affrescare <strong>il</strong> dossale dell’altare Dell’Annunziata<br />
con i Santi Gervasio e Protasio, sulle paraste anteriori,<br />
e, sulla parete incurvata sopra l’altare, la Beata Vergine<br />
in Trono affiancata dai Santi Sebastiano e Rocco al<br />
centro, tra le scene laterali del Battesimo di Gesù e della<br />
Disputa coi dottori nel Tempio, dove sulle pagine del <strong>libro</strong><br />
aperto davanti a Gesù è dipinta, in forma abbreviata,<br />
la scritta “1573 7embris Jacobus de Montecristesio<br />
pingebat”, così datando e firmando <strong>il</strong> suo ultimo lavoro<br />
in Ossola superiore.<br />
E’ lecito supporre che <strong>il</strong> Cardone si valesse di aiuti per<br />
realizzare la vasta produzione attribuitagli e a sostegno<br />
214<br />
dell’ipotesi avanzata si potrà citare l’esempio del “Dominus<br />
Magister Johannes depintor f.q. Domini Andree dicti<br />
Mauri de Vogonia” nominato in un contratto del 1552,<br />
che data e firma “1563 DIE SEPTIMO JUNY JOAN-<br />
NES MAURUS VOGONIENSIS PINX.” i quattro<br />
Profeti, affrescati nell’infradosso dell’arco che distingue<br />
la prima campata della navata occidentale dalla navata<br />
centrale del San Giorgio di Varzo, unico resto noto della<br />
pittura eseguita dal maestro vogognese, fortemente inclinante<br />
ai tipi e alla maniera del Cardone, tanto da poterne<br />
ipotizzare <strong>il</strong> discepolaggio. Forse fu <strong>il</strong> Mauro, residente<br />
a Vogogna, centro podestar<strong>il</strong>e dell’Ossola inferiore<br />
e delle Quattro Terre, ad aprire i contatti del Cardone<br />
con la commmittenza di quell’area ossolana, che<br />
lo volle autore delle manifestazioni pittoriche attestanti<br />
la devozione locale. Sono infatti attribuite al Cardone<br />
le immagini devozionali affrescate: nella cappella dell’abitato<br />
di Battiggio a Vanzone, datata 1552; sulla parete<br />
esterna della casa appartenuta al notaio Giovanni<br />
Mora di Anzino del 1552 ca.; la Madonna in Trono col<br />
figlio, datata 1559, e l’analoga Maestà Mariana affiancata<br />
da Santa Lucia e devoto, datata 1576, entrambe perdute,<br />
ma documentate da riprese fotografiche risalenti<br />
agli anni sessanta dello scorso secolo; nella cappella nell’agro<br />
di Molini, frazione di Calasca, datata 1576; nella<br />
cappella in località La Piana in val Baranca, nel territorio<br />
di Bannio, del 1576 ca.. Ancora contemporanea,<br />
pare, ai primi affreschi di Montecrestese del 1547,<br />
la Maestà Mariana affrescata un tempo in una cappella<br />
rurale a Vaciago di Ameno, sopra <strong>il</strong> lago d’Orta, ora<br />
venerata nel Santuario della Bocciola, eretto ed ampliato<br />
nello stesso sito nel corso di tre secoli dal XVII al XIX.<br />
Gli esiti di una attività creativa tanto estesa rivelano la<br />
personalità complessa dell’autore: edotto dall’esperienza<br />
lombarda, che, principiando dai contatti col mondo<br />
accademico frequentato negli anni giovan<strong>il</strong>i, maturò<br />
a confronto coi lavori di Battista da Legnano e del<br />
Bugnate, aggiustò poi alla propria poetica volgendosi,<br />
controcorrente, alla pittura dell’Oltralpe di lingua tedesca,<br />
forse prendendone visione diretta, certamente conoscendone<br />
la produzione a stampa. Né si potrà concludere<br />
la breve escursione attraverso <strong>il</strong> patrimonio pittorico<br />
voluto in Ossola durante <strong>il</strong> XVI secolo dai committenti<br />
locali senza osservare come esso sia, assieme
alle altre espressioni artistiche, la conferma cinquecentesca,<br />
di entità stupefacente, del promettente avvento<br />
quattrocentesco di quella volontà d’arte che, persistente,<br />
alimenterà la produzione artistica dei secoli seguenti,<br />
nè, chiudendo, si dimenticherà <strong>il</strong> modesto, ma significativo<br />
trittico, annidato nella sacrestia dell’oratorio di<br />
San Rocco a Crego, dipinto a tempera su tavola per figurarvi<br />
la Madonna di Loreto coi Santi Rocco e Sebastiano,<br />
firmato Antonio de la Todesca e datato 1563 e l’esempio<br />
più tardo di pittura profana, datato 1598, forse dovuto<br />
alla moda diffusa nelle residenze gent<strong>il</strong>izie ossolane<br />
dallo spunto iniziale di Giacomo de Cardone, dato<br />
dal fregio eseguito da un ignoto pittore di cultura tedesca,<br />
nella sala all’ultimo piano della Torre di Piedimulera,<br />
dove però piccola parte è riservata a un mitico Trionfo,<br />
mentre piacevoli scene di caccia occupano la quasi totalità<br />
della superficie affrescata 30 .<br />
Gli avvii e le tendenze dianzi notate in architettura e<br />
in pittura si avvertono persistenti anche in scultura, soprattutto<br />
nella scultura lignea rifinita da apporti policromi<br />
dipinti e da dorature stese in foglia o in polvere.<br />
Gli avvii su accennati, però si radicano in una tradizione<br />
già operativa nel medioevo, quando venne scolpita<br />
la superba Madonna in Trono col Figlio, conservata<br />
a Macugnaga, esemplare paradigmatico della versione<br />
schematica inventata dalla sensib<strong>il</strong>ità romanica per raffigurare<br />
la Maestà mariana, ieratica, eppure umana, nello<br />
splendore della doratura rifinita dalla policromia degli<br />
ornati. Ancora in Ossola inferiore, due gruppi scultorei<br />
della Beata Vergine col Figlio: una regale, custodita<br />
nel museo parrocchiale di Ornavasso, detta dell’uccellino,<br />
raffigura la Maestà Mariana nella versione tipica<br />
del Quattrocento m<strong>il</strong>anese, ancorché presenti l’inconsueta<br />
iconografia della madre allattante, rinascimentale<br />
nelle anatomie e nell’impianto del trono, ma gotica<br />
nella sinuosa cadenza delle pieghe e nel preziosismo degli<br />
ornati; l’altra, della parrocchia di Piedimulera, benché<br />
mancante del Figlio e sia in pessimo stato di conservazione,<br />
si propone coi caratteri spiccati del Tardo<br />
Gotico lombardo, caratteristico del Quattrocento, nel<br />
rappresentare la madre in umanissimo abbandono. La<br />
ricca tradizione consolidata in Ossola 31 , episodicamen-<br />
Giacomo di Cardone, Predicazione del Battista, affresco 1564. Montecrestese, casa del pittore Cardone.<br />
216<br />
te testimoniata dalle sculture citate, si arricchisce nell’ultimo<br />
quarto del secolo XV della produzione uscita<br />
da una bottega vigezzina, aperta a Craveggia, dalla famiglia<br />
dei Merzagora, che di generazione in generazione<br />
la gestirono fino all’esordio del secolo XVII. Imponenti<br />
sono i capolavori eseguiti a cominciare dai gruppi<br />
statuari dedicati al Compianto sul Cristo Morto, sia<br />
quello esposto al Museo Civico d’Arte Antica di Torino,<br />
sia quello conservato al Sacro Monte di Orselina,<br />
presso Locarno nonché le due statue del Cristo morto<br />
e di una Dolente, custodito a Cosasca, appartenenti<br />
ad altro Compianto andato disperso, le sole conservate<br />
in valle dei Compianti attribuiti a Domenico Merzagora.<br />
Alla generazione seguente quella di Domenico, assieme<br />
al Crocifisso di Masera, vanno invece attribuiti <strong>il</strong><br />
Compianto nel San Martino di Masera e <strong>il</strong> Crocefisso sull’altare<br />
maggiore nella Chiesa di Cristo Risorto a V<strong>il</strong>ladossola,<br />
spiranti maggiore sentimentalità espressa dalla<br />
ricerca delle agitate posture e dalla acuita attenzione<br />
nella finitura delle anatomie per inverare con naturalezza<br />
l’espressione degli affetti. Autore dei due monumenti<br />
lignei Cinquecenteschi di maggior spicco in provincia<br />
fu Andrea Merzagora: nel 1582 del coro ligneo<br />
nel presbiterio della chiesa detta Madonna di Campagna<br />
a Pallanza 32 e nel 1596, assieme al fratello Domenico,<br />
dell’ancona posta come dossale dell’altare maggiore nel<br />
San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola 33 , che intorno al pannello<br />
della Crocefissione celebra in cinque altor<strong>il</strong>ievi gli atti<br />
salienti della Vita di San Bartolomeo, ora deturpata da<br />
un furto sacr<strong>il</strong>ego che infama <strong>il</strong> nostro tempo. Se l’impronta<br />
lombarda perdurerà nella tradizione famigliare<br />
dei maestri craveggesi fino alla fine del Cinquecento<br />
quando Andrea, ultimo maestro della bottega vigezzina,<br />
porterà ad esiti geniali di vigoroso manierismo l’eredità<br />
raccolta dalle precedenti generazioni, sarà anche a<br />
causa dei contatti che queste ebbero con una delle più<br />
apprezzate botteghe m<strong>il</strong>anesi attiva dall’ultimo quarto<br />
del Quattrocento al terzo decennio del Cinquecento,<br />
ossia la bottega dei De Donati. Il collegamento d’avvio<br />
con la bottega m<strong>il</strong>anese dei fratelli De Donati, Giovan<br />
Pietro e Giovan Ambrogio, già attivi nel cantiere del<br />
Duomo di Pavia gestito dall’Amadeo, si istituì intorno
al 1510 quando assunsero l’incarico di fornire all’oratorio<br />
conventuale dei Cavalieri di Malta, alla Masone di<br />
Vogogna, l’ancona della Annunciazione, a cui era dedicata<br />
la mansione giovannita, della quale, dopo la soppressione<br />
del 1797, rimane la statua della Beata Vergine<br />
nella chiesa di San Giorgio di Varzo venerata come Madonna<br />
del Rosario, e mediante l’analoga commissione<br />
accettata nel 1514 di eseguire l’ancona della Beata Vergine<br />
Immacolata in Adorazione del Bambino per la chiesa<br />
di Santa Maria degli Angeli annessa al convento vogognese<br />
dei Padri Serviti soppresso nel 1797, della quale<br />
si è conservata la sola statua della Beata Vergine, ora invocata,<br />
nell’oratorio di Santa Marta con <strong>il</strong> titolo di Addolorata<br />
34 . Sebbene dell’opera dei De Donati in Ossola<br />
non rimangano che parti frammentarie di complessi<br />
andati dispersi, quali l’Eterno Padre benedicente assieme<br />
a due Gruppi d’angeli nel Museo di Palazzo S<strong>il</strong>va a Domodossola<br />
e <strong>il</strong> Cristo Risorto nel San Vincenzo di Pieve<br />
Vergonte, si deve probab<strong>il</strong>mente alla loro influenza l’accentuazione<br />
naturalistica e umanistica, propria del Rinascimento<br />
m<strong>il</strong>anese, passata per confronto alla cultura<br />
della seconda generazione dei Merzagora. Con l’opera<br />
dei Merzagora la cultura artistica lombarda perdura<br />
con ruolo primario in Ossola; tuttavia non mancherà<br />
d’apparire, anche nelle vicende della scultura lignea<br />
cinquecentesca, la dissidenza antigoriese francesizzante<br />
con l’apporto di manufatti tedeschi, scolpiti in botteghe<br />
dell’alta Svevia secondo i canoni del Gotico fiorito,<br />
introdotti in valle Antigorio, durante <strong>il</strong> secondo e <strong>il</strong> terzo<br />
decennio del secolo, dal flusso proveniente dai centri<br />
mercant<strong>il</strong>i della Svizzera centrale. Di tali importazioni<br />
si citerà, oltre ad alcuni esempi frammentari nel Museo<br />
di Palazzo S<strong>il</strong>va a Domodossola, l’ancona conservata<br />
nel coro del San Gaudenzio a Baceno, datata 1525, quale<br />
esemplare che, per qualità esecutiva e coerenza st<strong>il</strong>istica,<br />
altamente testimonia <strong>il</strong> gusto cortese sopravvissuto<br />
nei committenti antigoriesi di Parte Brennesca; vanno<br />
inoltre considerate le opere commesse ad artisti di<br />
cultura germanica dalle enclave etniche walser, sculture<br />
ancora presenti in val Formazza, nella parrocchiale dedicata<br />
a San Bernardo e in alcuni oratori, e a Macugnaga,<br />
dove nella Chiesa Vecchia di Santa Maria <strong>il</strong> soffitto<br />
ligneo del presbiterio, opera lavorata ad intaglio e datata<br />
1513 del maestro friburghese Peter Mory, documen-<br />
ta, quale unico esemplare superstite del suo genere e del<br />
suo tempo, come anche nell’aspra esistenza di quelle<br />
comunità alpestri avesse posto la volontà d’arte mediatrice<br />
di valori spirituali e civ<strong>il</strong>i.<br />
L’età barocca durante <strong>il</strong> Seicento e <strong>il</strong> Settecento porta<br />
un profondo mutamento nella immagine artistica delle<br />
valli ossolane, poichè, sullo stimolo iniziale della Controriforma,<br />
di cui fu grande interprete <strong>il</strong> vescovo novarese<br />
Carlo Bascapè, molti edifici sacri esistenti vengono<br />
modificati, se non addirittura ricostruiti, per adeguarli<br />
ai dettami del Conc<strong>il</strong>io tridentino e i nuovi, che la pietà<br />
e l’aumento della popolazione esigono, s’uniscono ai<br />
precedenti rinnovati per coprire tutto <strong>il</strong> territorio ossolano<br />
con una ricca varietà di tipi architettonici, comprendente<br />
chiese, oratori, cappelle, edicole, che, pure<br />
nel variare delle forme, sono tutti improntati al nuovo<br />
linguaggio st<strong>il</strong>istico. Il Barocco ossolano s’esprime però<br />
in forme classicheggianti, anche negli edifici più ricchi,<br />
dove la ricercatezza degli effetti decorativi non mira al<br />
virtuosismo, ma a creare nuove, caute, gioiose armonie<br />
fra stucchi dorati e affreschi dai chiari colori br<strong>il</strong>lanti.<br />
Il lungo elenco di edifici, sculture, pitture e decorazioni<br />
non può essere contenuto in queste pagine, perciò solo<br />
qualche opera verrà citata quale esempio di quel tempo.<br />
Fra le parrocchiali ricostruite <strong>il</strong> San Brizio di Vagna<br />
(1666) e <strong>il</strong> San Rocco a San Rocco di Premia durante<br />
<strong>il</strong> Seicento, nel Settecento i Santi Giacomo e Cristoforo<br />
di Craveggia (1733) e la Santa Maria Assunta di Santa<br />
Maria Maggiore (1733-1742).<br />
Esempi di nuove costruzioni si hanno con la Beata Vergine<br />
del Rosario alla Noga di V<strong>il</strong>ladossola (1633-1692),<br />
la Beata Vergine Assunta e San Giuseppe di Macugnaga<br />
(1709-1717). Nei santuari settecenteschi della Madonna<br />
della Guardia a Ornavasso, della Madonna della<br />
Vita di Mozzio e di Santa Marta a Craveggia i caratteri<br />
armoniosi del più ricco Barocchetto ossolano sono apprezzab<strong>il</strong>i<br />
nel gaudioso gioco che in dispiegate eleganze<br />
fonde spazi e colori, strutture e decori.<br />
Le modificazioni più profonde al paesaggio ossolano<br />
s’ebbero con la costruzione dei Sacri Monti, che aprirono<br />
parchi o giardini della devozione, alcune volte in<br />
luoghi remoti, attorno al sacro itinerario della Via Regia<br />
da percorrere processionalmente in preghiera e ascetica<br />
meditazione.<br />
217
Il Sacro Monte Calvario, tracciato sul colle di Mattarella<br />
a Domodossola, per la ricchezza delle architetture e degli<br />
arredi, dovuti a noti artisti, che dal secolo XVII fino<br />
ai nostri giorni vi operarono, quali Dionisio Bussola, interprete<br />
sensib<strong>il</strong>issimo della lezione berniniana appresa<br />
a Roma, e Giuseppe Rusnati, entrambi protostatuari del<br />
Duomo di M<strong>il</strong>ano, è certamente <strong>il</strong> più cospicuo realizzato<br />
in Ossola 35 , ma non vanno dimenticati quelli minori<br />
che la devozione popolare con grandi fatiche ha<br />
eretto intorno ai suoi santuari, quali quello della Madonna<br />
della Neve a Bannio — (1622 <strong>il</strong> santuario, 1721-<br />
1722 le cappelle) 36 —; della Madonna di San Luca alla<br />
Salera di Cravegna (santuario 1729, cappelle 1738) 37 ;<br />
di Sant’Antonio da Padova a Anzino nel Settecento.<br />
Se nell’architettura o nella pittura <strong>il</strong> Seicento è povero<br />
di autori ossolani, nella scultura la presenza di artisti locali<br />
è dominante. Non c’è chiesa al piano o nelle valli<br />
che non conservi almeno un segno di scultura lignea intagliata<br />
da mano ossolana. Il fasto che impronta la produzione<br />
artistica dell’età barocca nella valle della Toce<br />
ebbe nella scultura lignea delle ancone, r<strong>il</strong>ucente di dorature<br />
e dai vividi colori, l’espressione più alta e più significativa.<br />
Dalla bottega di Giorgio De Bernardis (1606<br />
— post 1663) in via Briona a Domodossola — attiva alla<br />
metà del Seicento — uscirono lavori ricchi, ma solenni,<br />
legati al Manierismo lombardo e aperti a esperienze<br />
centro europee colte dal maestro durante i suoi soggiorni<br />
in Vallese, dove aveva legato salda amicizia con<br />
Gaspare Stockalper. Suoi lavori rimangono: a Seppiana<br />
— altare della Madonna del Rosario del 1645 e l’armadio<br />
di sacrestia nel Sant’Ambrogio —; a Vagna — altare<br />
del Nome di Gesù del 1646 nel San Brizio —; a Domodossola<br />
— Crocifisso del 1652-54 sull’altare maggiore<br />
dei Santi Gervasio e Protasio —; a Croveo — la porta<br />
della Natività di Maria —; a Naters, nel Vallese — l’ancona<br />
dell’altare maggiore nella parrocchiale — per elencarne<br />
solo alcuni fra i più indicativi 38 . Fra gli allievi cresciuti<br />
alla scuola di Giorgio de Bernardis <strong>il</strong> più dotato<br />
fu Giulio Gualio di Antrona (1630-1712) tanto che <strong>il</strong><br />
maestro lo scelse quale continuatore della sua bottega.<br />
Il Gualio fu maestro, a sua volta, valente, tanto da foggiare<br />
discepoli come Francesco Antonio Alberti di Boccioleto<br />
in Valsesia, attivissimo, capace di diffondere in<br />
Ossola e nel Vallese un vasto numero di opere duran-<br />
218<br />
te la seconda metà del secolo, negli ultimi anni aiutato<br />
dal figlio Paolo. Il lungo catalogo dei suoi lavori non è<br />
ancora compiuto, ma la misura di questo scultore ossolano<br />
la si potrà cogliere visitando <strong>il</strong> San Lorenzo di Antronapiana,<br />
dove, fra <strong>il</strong> 1660 e <strong>il</strong> 1694, costruì, scolpì<br />
e indorò cinque altari, quasi un campionario delle sue<br />
capacità di scultore barocco, armonioso e sobrio, ancora<br />
fedele ai canoni classici appresi dal maestro, ma largo<br />
di pensiero nell’inventare le scenografiche architetture<br />
dove allogherà statue di squisita fattura 39 . Il Seicento<br />
si conclude e s’apre <strong>il</strong> Settecento con l’ultima grande<br />
personalità della scuola ossolana di scultura: Pietro Antonio<br />
Lanti di Macugnaga (1679-1729). Già nel suo primo<br />
lavoro documentato, del 1724, nella Madonna della<br />
Neve a Borca di Macugnaga, scolpendo l’ancona dell’altare,<br />
<strong>il</strong> Lanti libera <strong>il</strong> suo genio creativo per elevare nello<br />
spazio un gioco fantasioso di nastri e fogliame, che accoglie<br />
putti e piccole immagini, per incorniciare la pala<br />
dipinta. Il carattere del suo st<strong>il</strong>e è già rivelato in questa<br />
scultura così come lo si ritrova nell’altare della chiesa<br />
nuova di Macugnaga, con una cadenza più solenne e,<br />
più appassionato, nel monumentale Crocefisso sito nella<br />
stessa chiesa. Altre sono le opere del Lanti sparse nell’Ossola<br />
e altri sarebbero gli scultori da menzionare che<br />
hanno dato immagini alla pietà e arredi alle case ossolane,<br />
opere e autori che <strong>il</strong> lettore curioso potrà trovare citati<br />
in studi monografici da tempo pubblicati 40 .<br />
Si dovrà però almeno segnalare <strong>il</strong> ruolo avuto in tale<br />
contesto, dopo l’annessione dell’Ossola al Regno di Sardegna,<br />
dallo scultore di Viganella Giovan Pietro Vanni<br />
(Viganella, 1744 - ?, 1813/1822) che, compiuto l’apprendistato<br />
in Valsesia, seppe inserirsi, nella seconda<br />
metà del Settecento, nei circuiti artistici locali e, al soppraggiungere<br />
del nuovo secolo, quando <strong>il</strong> vigore della<br />
tradizione scultorea ossolana stava ormai scemando,<br />
ebbe l’impulso, primo fra gli scultori ossolani, di volgere<br />
l’attenzione a modelli trascelti dalla cultura artistica<br />
Piemontese durante <strong>il</strong> passaggio dal Classicismo ai<br />
canoni estetici del Neoclassicismo, in particolare guardando<br />
alle opere scultoree e decorative degli artisti impegnati<br />
a fornire arredi di rappresentanza alle residenze<br />
della corte sabauda 41 .<br />
Chiuderò <strong>il</strong> discorso sulla scultura Seicentesca locale citando<br />
<strong>il</strong> famoso Crocefisso di bronzo collocato nel San
Bartolomeo di Bannio, giunto in valle Anzasca dalla<br />
Spagna, attribuito da Giovanni Romano allo scultore di<br />
Norimberga Georg Schweigger (1613-1680). Come lo<br />
splendido bronzo tedesco, e le avvivate terracotte dipinte<br />
di Dionisio Bussola, pare che anche i grandi dipinti<br />
giunti in Ossola nel corso del Seicento abbiano avuto<br />
poca influenza sugli artisti locali. Opere quali l’Assunzione<br />
della Beata Vergine nel San Gaudenzio di Baceno,<br />
dipinta nel 1604 da Avanzino Nucci (1552-1629), uno<br />
dei pittori assunti insieme alla schiera d’artisti mob<strong>il</strong>itata<br />
da Sisto V per riformare <strong>il</strong> volto di Roma 42 , o la Vergine<br />
che presenta <strong>il</strong> Bambino a San Felice da Cantalice,<br />
con l’autoritratto dell’autore accosciato ai piedi del<br />
gruppo sacro, preludio barocco del 1609 dipinto nel<br />
balenante spazio di 13 ore dal cappuccino fra Cosimo da<br />
Castelfranco, al secolo Paolo Piazza, come era solito firmarsi,<br />
per l’oratorio del Piaggio di Craveggia, paese da<br />
cui l’artista, famoso e conteso dai potentati del suo tempo,<br />
traeva le origini, unita alla sua Madonna delle Grazie<br />
col Bambino e i Santi Carlo e Rocco pala della cappella<br />
di San Carlo nella Santa Maria Assunta di Montecrestese<br />
43 , oppure <strong>il</strong> San Carlo che comunica gli appestati e<br />
la Visitazione di Tanzio da Varallo (1626), magistrale<br />
quanto efficace erede del fervore immaginifico suscitato<br />
dalla pietà borromaica, presenti già all’inizio del secolo,<br />
l’uno nella collegiata di Domodossola, l’altra nel<br />
San Brizio di Vagna 44 , con la possente tela, dall’aggressivo<br />
virtuosismo anatomico, attribuita al Cerano, un<br />
tempo pala dell’altare dedicato al SS. Nome di Gesù e<br />
la pala dell’altare di San Pietro nel Santo Stefano di Crodo,<br />
celebrante La Consegna delle Chiavi, superbo esempio<br />
di classicismo e naturalismo carracesco, forse giunto<br />
in valle dalla bottega romana di Domenico Zampieri<br />
(1581-1641), oppure quell’altra pala donata nel 1684<br />
da emigrati bolognesi all’altare dell’Epifania nel San<br />
Giulio di Cravegna “che rinvia all’ambito della bottega<br />
bolognese di Lorenzo Pasinelli” e suggerisce l’intervento<br />
dei suoi allievi Giavanni Antonio Burrini e Giovan<br />
Gioseffo Dal Sole, rispettivamente richiamati dai dettagli<br />
accuratamente rifiniti e da altri dalla fattura più<br />
sciolta di timbro neoveneto 45 , avrebbero dovuto scuotere<br />
l’animo e l’intelligenza dei pittori ossolani, ma forse<br />
fu loro più congeniale <strong>il</strong> quieto accademismo della tela<br />
dipinta ad olio inviata dai Mozziesi emigrati a Bologna<br />
Maestro anonimo sec. XII-XIII, Madonna in trono col figlio, legno<br />
scolpito dorato e dipinto al naturale. Macugnaga, chiesa parrocchiale.<br />
per la cappella di San Carlo nella parrocchiale di San<br />
Giacomo a Mozzio, eseguita nel 1613, con accenti veristici,<br />
da Giovanni Battista Gennari di Cento per narrare<br />
di San Carlo che risuscita un bambino mentre visita gli<br />
appestati, o di Stefano Delfina ab insula di Orta, autore<br />
della Santissima Trinità dipinta a olio su tela nel 1628<br />
per <strong>il</strong> Sant’Agostino di Premosello 46 , della pala dell’Annunciazione<br />
per l’oratorio giovannita di Santa Maria<br />
Annunziata ora custodita nella parrocchiale di San Giorgio<br />
a Piedimulera e <strong>il</strong> dossale dell’altare maggiore, in<br />
olio su tavola dell’oratorio dell’Annunciazione a Bannio<br />
47 , oppure quello, più studiato e incisivo, del fiorentino<br />
Luigi Reali 48 , attivo dal quarto al settimo decennio<br />
del secolo, che, segnato dal lombardismo dei Quadroni<br />
del Duomo di M<strong>il</strong>ano, con l’aiuto occasionale del pittore<br />
Francesco Negri di Mozzio, distribuì esempi del decoro<br />
tridentino, consonanti con la pietà popolare ossolana,<br />
in chiese e oratori da San Giovanni a Montorfano<br />
ad Ant<strong>il</strong>lone in valle Formazza. Uscito dalla bottega fio-<br />
219
entina di Francesco Curradi, <strong>il</strong> Reali, sostando dapprima<br />
a M<strong>il</strong>ano, per adeguare <strong>il</strong> proprio apprendistato al<br />
gusto lombardo, e poi sulle rive del Verbano, per lavorarvi,<br />
si volse al settentrione alpino in cerca di committenti,<br />
e non solo nelle valli ossolane, giacché, diramando<br />
l’itinerario operativo verso occidente, trovò commissioni<br />
in Valsesia e in valle Strona, e verso oriente, nella<br />
provincia comasca, dove assunse lavori in Valtellina e in<br />
Valsassina. Due tele votive, entrambe dedicate a San<br />
Giuseppe e raffiguranti, su uno schema compositivo ripreso<br />
dal Morazzone, lo Sposalizio della Beata Vergine,<br />
segnano i termini, iniziale e finale, del lasso di tempo<br />
impiegato dal pittore fiorentino nelle opere ossolane: la<br />
prima, datata 1639, nella Madonna della Neve di Domodossola;<br />
l’ultima, datata 1660 per la pala sull’altare<br />
di San Giuseppe nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria<br />
a Vocogno di Craveggia. Ma la composizione<br />
replicata con maggiore frequenza dal Reali per le pale<br />
degli altari è quella di tipo piramidale costituita dalla<br />
Beata Vergine delle Grazie, levitante al vertice su un<br />
nembo di nubi, fra due santi, palesatori del culto locale,<br />
che alla base, sullo sfondo di un paesaggio, la venerano<br />
e la assistono. Così si presentano le pale negli oratori<br />
di Montecrestese: a Nava, coi Santi Antonio Abate e<br />
Sebastiano datata 1640; ad Altoggio, coi Santi Giovanni<br />
Battista e Giacomo Maggiore, datata 1645. Analoghe<br />
sono la pala per <strong>il</strong> San Giovanni a Montorfano coi Santi<br />
Giovanni Battista e Rocco; quella a Pizzanco di Bognanco<br />
coi Santi Uguccione e Lorenzo, affiancata dalla<br />
tela dedicata alla Immacolata coi Santi Giuseppe e Antonio<br />
da Padova; infine <strong>il</strong> dipinto del 1644 nei Santi Pietro<br />
e Paolo di Crevoladossola dedicato alla Madonna del<br />
Rosario coi Santi Domenico e Caterina da Siena, capif<strong>il</strong>a<br />
delle due schiere di santi ai piedi della Vergine. Allo<br />
stesso disegno compositivo si può avvicinare anche la<br />
pala della Incoronazione della Beata Vergine coi Santi Andrea<br />
e Carlo che venerano la Croce sull’altare omonimo<br />
nella Santa Caterina d’Alessandria di Vocogno e San<br />
Carlo Borromeo che venera la Regina Coeli, del 1650, dipinto<br />
per la chiesa di Santa Maria Assunta di Mergozzo.<br />
Altre due pale per altari laterali di San Rocco, dove <strong>il</strong><br />
santo è figurato in primo piano, sempre sullo sfondo di<br />
un paesaggio, quasi eseguendo <strong>il</strong> tipo del ritratto a figura<br />
intera, sono collocate nel San Zenone di Tappia e nel<br />
220<br />
San Carlo di Bracchio, alle quali va aggiunta la tela votiva<br />
dedicata a San Zenone nell’oratorio di San Giovanni<br />
Evangelista a Valpiana di V<strong>il</strong>ladossola. Alle opere ricordate<br />
si devono aggiungere i cicli narrativi per le cappelle<br />
minori dedicate a San Carlo Borromeo di cui rimangono:<br />
integro quello eseguito a tempera grassa, nel<br />
1655, sulla volta della cappella nella Santa Maria Assunta<br />
di Montecrestese; ridotto invece alle due tele rimaste<br />
ai lati della pala, quello dipinto per <strong>il</strong> San Lorenzo<br />
di Bognanco. Dei lavori eseguiti ad affresco restano<br />
l’Annunciazione, San Giovanni Battista e Sant’Antonio<br />
da Padova sulla facciata dell’oratorio di Giosio a Montecrestese<br />
e <strong>il</strong> ciclo steso nel presbiterio dell’oratorio di<br />
Ant<strong>il</strong>lone, in val Formazza, dedicato alla Visitazione.<br />
Luigi Reali era ancora operoso in Ossola quando Carlo<br />
Mellerio, nato nel 1620 da famiglia patrizia craveggese<br />
trasferitosi da poco a Domodossola dove contava amicizie<br />
ed entrature presso la nob<strong>il</strong>tà cittadina, compiuto<br />
l’apprendistato all’ombra dell’Accademia Ambrosiana e<br />
avviatosi nella pratica dell’arte come maestro apprezzato<br />
e ben introdotto nell’ambiente artistico m<strong>il</strong>anese, ritornava<br />
nel capoluogo ossolano, eleggendolo a centro<br />
della propria attività 49 , ottenendo la prima commissione<br />
del 1649 per affrescare le volte del protiro e le figure<br />
di San Vitale e Santa Valeria sulla facciata della collegiata<br />
domese. Influenzato dai manieristi lombardi dell’età<br />
borromaica, in particolare dalla personalità del Cerano e<br />
successivamente del Procaccini, <strong>il</strong> Mellerio recò aggiornamenti<br />
alla cultura artistica ossolana acclimandola agli<br />
orientamenti accademici federiciani tendenti alla «verità<br />
delle cose» e dei «moti e affetti» mediante <strong>il</strong> rigore costruttivo<br />
e <strong>il</strong> controllo plastico della forma. Si adoprò<br />
inoltre perché opere e artisti portassero in Ossola significativi<br />
termini di confronto, come le grandi tele del<br />
San Giovanni Battista e del San Gerolamo dipinte nel<br />
1641 dallo spagnolo Bartolamé Roman per la chiesa dei<br />
santi Pietro e Paolo di Malesco 50 , o, più mordente nell’immaginazione<br />
popolare, l’opera di Dionisio Bussola<br />
plasmata per l’arredo scultoreo delle cappelle al Sacro<br />
Monte Calvario, che veniva realizzato in quegli anni a<br />
cura del fiduciario episcopale Giovanni Matteo Capis,<br />
zio d’acquisto di Carlo. Peraltro nello stesso tempo e<br />
proprio al Calvario, <strong>il</strong> Mellerio, assieme allo scultore<br />
Giulio Gualio, s’impegnò a dipingere le statue del Bus-
sola e del Volpini e intorno al 1660, ancora col Gualio<br />
che ne intagliava la cornice, replicò in copia la Visitazione<br />
del Tanzio per la chiesa conventuale dei Cappuccini,<br />
ora custodita a Palazzo S<strong>il</strong>va. Pienamente integrato nella<br />
vita valligiana concorse al rinnovamento seicentesco<br />
degli edifici di culto ossolani, sia in città e nei dintorni,<br />
sia nei paesi dislocati nelle valli. A Domodossola affrescava<br />
<strong>il</strong> medaglione con l’Eterno Padre per la volta della<br />
Madonna di Loreto al Calvario e nel 1674 <strong>il</strong> Miracolo<br />
della Neve in facciata al santuario della Madonna della<br />
Neve, nonché <strong>il</strong> trittico con la Beata Vergine affiancata<br />
dai Santi Domenico e Caterina da Siena per l’oratorio<br />
gent<strong>il</strong>izio della Madonna di Loreto; ad Anzuno nel<br />
1683 dipingeva su tela la pala per l’altare dell’oratorio<br />
di Sant’Antonio da Padova; a Crevoladossola nel 1682-<br />
83 la pala dell’altare e gli affreschi nell’oratorio di San<br />
Vitale. Ancora in collaborazione con <strong>il</strong> Gualio, autore<br />
delle opere lignee d’ornamentazione, dipingeva nel<br />
1683 la pala per l’altare del Santo Rosario nel San Lo-<br />
Giulio Guaglio, Altare a ciborio, legno scolpito e dorato 1686.<br />
Antronapiana, San Lorenzo.<br />
renzo di Bognanco. In valle Antrona, nel Sant’Ambrogio<br />
di Seppiana, eseguiva, per la cappella del Santo Rosario,<br />
gli affreschi dedicati alla Vita della Beata Vergine<br />
ossia la Nascita, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi<br />
e l’Assunzione, in un tempo di poco posteriore al 1660,<br />
anno conclusivo delle opere ed<strong>il</strong>i. A Montecrestese fra <strong>il</strong><br />
1660 e <strong>il</strong> 1670 è impegnato nella parrocchiale della<br />
Beata Vergine Assunta a decorarne <strong>il</strong> presbiterio: la volta,<br />
con gli Evangelisti e le Virtù Teologali, e le pareti, con<br />
i Misteri dell’infanzia, ossia l’Annunciazione, l’Adorazione<br />
dei Pastori e la Presentazione al Tempio; le volte della<br />
navata centrale con le figurazioni di alcune invocazioni<br />
litaniche lauretane e l’Incoronazione della Beata Vergine,<br />
per concludere con l’Assunta dipinta in facciata. Nello<br />
stesso centro, oltre agli affreschi per l’Assunta, dipingeva<br />
nella volta del santuario di Viganale, nell’oratorio di<br />
Sant’Antonio da Padova a Roledo e l’esterno e l’interno<br />
della cappella rurale di Piccioledo. Nè mancò di assumere<br />
incarichi in valle Vigezzo, dove, intorno al 1670,<br />
affrescava la volta del presbiterio nel santuario di Re raffigurandovi<br />
gli Evangelisti e l’Eterno Padre; nel 1672 è a<br />
Druogno per dipingere al centro della volta l’immagine<br />
del Santo Pontefice S<strong>il</strong>vestro; eseguiva inoltre un affresco<br />
nell’oratorio di San Michele ad Albogno, la pala con la<br />
Nascita di Maria per l’oratorio del Piaggio di Craveggia<br />
e le volte nell’oratorio dei Santi Antonio Abate e Antonio<br />
da Padova nel 1685, probab<strong>il</strong>mente la sua ultima opera.<br />
Infine va ricordato <strong>il</strong> dipinto votivo offerto, nell’ottavo<br />
decennio del secolo, al San Gaudenzio di Baceno, dal<br />
capitano Ludovico Scaciga, dedicato alla Sacra Famiglia<br />
e a Sant’Antonio da Padova. La laboriosa continuità accademica<br />
impegnata a «riformare» l’immagine seicentesca<br />
dell’arte sacra ossolana ebbe probab<strong>il</strong>mente un sussulto<br />
quando, a metà degli anni ottanta del secolo, venne<br />
esposta nel San S<strong>il</strong>vestro di Druogno la grande tela<br />
raffigurante un Miracolo di Sant’Antonio da Padova, firmata<br />
Godefrigo Maes Anteverpia 1685 51 , donata da emigrati<br />
druognesi saliti nella società fiamminga a posizioni<br />
altolocate, tali da potersi rivolgere, nell’alto rango di<br />
committenti facoltosi, alla bottega di Anversa del maestro<br />
Godefrigo Maes (1649-1700), autore significativo,<br />
ancorché poco noto, di un Seicento fiammingo dall’elegante<br />
eloquenza formale dispiegata nei soggetti raffigurati<br />
con invenzione indipendente dalle correnti artisti-<br />
221
che allora in auge nelle Fiandre. Si deve arguire che <strong>il</strong><br />
confronto con l’opera del Maes ebbe valore esclusivamente<br />
episodico per gli artisti locali, poiché durante <strong>il</strong><br />
ventennio conclusivo del secolo l’ambiente artistico ossolano<br />
esprimerà solamente autori ligi alla tradizione<br />
accademica, ancora disposti ad accettare suggerimenti<br />
da modelli manieristici superati dalla temperie seguita<br />
altrove in quei decenni.<br />
E’ <strong>il</strong> caso del pittore vogognese Antonio Valentino Caviggioni<br />
(1653-post 1733) detto Valentino Rossetti 52 , autore<br />
oggi riconoscib<strong>il</strong>e in due opere bisognose di pulitura<br />
e restauro: l’Ultima Cena nell’oratorio di Santa Marta a<br />
Vogogna, datab<strong>il</strong>e al 1680, e la pala d’altare dipinta nel<br />
1696 per l’oratorio di San Rocco a Cimamulera. Oltre<br />
ai dipinti ossolani citati sono rimasti in valle Strona e in<br />
Valsesia sia affreschi, sia dipinti ad olio del Caviggioni,<br />
che ebbe nel figlio Pietro e nel nipote Luca, residenti ad<br />
Orta, i continuatori della bottega avviata dal pittore a<br />
Vogogna. Dall’incontro col manierismo romano del vasariano<br />
riminese Livio Agresti, studiato, parrebbe, con<br />
attenta solerzia, Valentino Rossetti trasse schizzi e bozzetti<br />
ut<strong>il</strong>izzati in seguito per comporre figurazioni accademiche<br />
dipendenti dall’opera dell’Agresti, debito risultante<br />
in particolare con inequivocab<strong>il</strong>e evidenza dall’<br />
Ultima Cena di Vogogna, più che ispirata, replicata dal<br />
medesimo soggetto trattato ad affresco dal pittore riminese<br />
nell’oratorio romano del Gonfalone. Contemporaneo<br />
del Caviggioni <strong>il</strong> vigezzino Giacomo Antonio Minoli<br />
53 , nato a Gagnone di Druogno nel 1657, completò<br />
la propria formazione ossolana a Roma, dove soggiornò<br />
fra <strong>il</strong> 1670 e <strong>il</strong> 1679, senza trarne significativi benefici,<br />
si direbbe, considerando le quattro grandi tele inviate<br />
dal Minoli alla nativa Druogno da Rastiglione in Valsesia,<br />
dove nel frattempo, si era trasferito. Infatti i dipinti<br />
destinati alla Confraternita del SS. Sacramento, eretta<br />
nella cappella dei Santi Carlo e Giuseppe del San S<strong>il</strong>vestro,<br />
mostrano, tranne <strong>il</strong> Miracolo della mula inginocchiata<br />
innanzi all’ostia ostensa da Sant’Antonio da Padova,<br />
di dipendere strettamente da soggetti già presenti in<br />
chiese ossolane: l’Ultima Cena, con <strong>il</strong> cartiglio in calce<br />
recante la dedicatoria dell’autore, riprende la composizione<br />
gaudenziana dipinta da Fermo Stella per la par-<br />
Tanzio da Varallo, Visitazione, olio su tela 1626. Vagna, San Brizio.<br />
rocchiale di Crevoladossola; <strong>il</strong> San Carlo che comunica<br />
gli appestati è debole copia di quello del Tanzio nella<br />
Collegiata di Domodossola; lo Sposalizio della Vergine<br />
ricalca la versione del medesimo soggetto data da<br />
Luigi Reali nella pala di Vocogno. Analogo comportamento<br />
si osserva nell’opera di Francesco Antonio Antonietti<br />
di Beula di Baceno (1668-1752), artista dalla biografia<br />
ancora in corso di ricerca (Tullio Bertamini), finora<br />
conosciuto solamente quale autore delle due grandi<br />
tele dipinte nel 1696 per la cappella di San Carlo nel<br />
San Gaudenzio di Baceno, diffic<strong>il</strong>mente leggib<strong>il</strong>i perché<br />
offuscate dalla sporcizia e dal tempo, tuttavia rivelatrici<br />
di buon mestiere, esercitato nel disegno e sciolto<br />
nel comporre, ancorché limitato da carenza d’invenzione,<br />
giacché I’Ultima Cena mostra i suggerimenti ripresi<br />
da quella donata dal Minoli al San S<strong>il</strong>vestro di Druogno<br />
e la Preghiera nell’Orto si rifà a quella stesa da Battista da<br />
Legnano nel San Giulio di Cravegna sulla traccia della<br />
scena düreriana intagliata per la Grande Passione 54 .<br />
Contemporaneo dei secentisti ossolani citati l’antigoriese<br />
Pietro De Pietri (Cadarese 1663-Roma 1716) ben<br />
altro livello toccò durante la sua vicenda, fin dagli inizi,<br />
quando quindicenne venne accolto a Roma nella prestigiosa<br />
bottega del Maratti e quindi, entro pochi anni,<br />
seppe raccogliere intorno alla sua opera <strong>il</strong> consenso dei<br />
più qualificati committenti romani, tanto da attrarre<br />
l’attenzione di Clemente XI, che gli commise importanti<br />
lavori e lo volle membro della Accademia di San<br />
Luca 55 . In Ossola non rimangono che lievi tracce, in<br />
mano privata, della vasta produzione stesa ad affresco,<br />
dipinta ad olio, disegnata o incisa che diede fama al De<br />
Pietri fra i maestri romani fautori del Classicismo, ma<br />
forse un collegamento locale, sia pure appena proponib<strong>il</strong>e,<br />
lo si può rintracciare nella modesta pala dell’oratorio<br />
di San Rocco a Pioda di Premia, «fatta dipingere»<br />
a Roma nel 1740 dalla Compagnia di Pioda che ricorse<br />
al pennello di Isidoro Reali: forse un discendente<br />
antigoriese di Luigi Reali, posto sotto la protezione del<br />
De Pietri dalla potente Compagnia romana degli emigrati<br />
antigoriesi, come suggerirebbe la delicata Madonna<br />
delle Grazie che dall’alto delle nubi guarda col Figlio<br />
ai Santi Sebastiano, Rocco e Francesco da Paola in estati-<br />
223
ca venerazione 56 .<br />
Aperto l’accesso al XVIII secolo dalla personalità di Pietro<br />
De Pietri e di un suo pallido, eventuale riflesso, lasciandosi<br />
alle spalle «i moti e gli affetti» dell’accademismo<br />
seicentesco per inoltrarsi nel panorama settecentesco<br />
della pittura ossolana, non sarà più necessario soffermarsi<br />
in puntigliose soste su autori e opere, poiché<br />
l’interesse ridestatosi in tempi recenti sui pittori del<br />
XVIII e XIX secolo ha ampliato gli orizzonti storiografici<br />
promuovendo monografie e studi fac<strong>il</strong>mente reperib<strong>il</strong>i,<br />
che, delineando un corretto quadro d’assieme dell’attività<br />
artistica di quei secoli, hanno risaltato al giusto<br />
livello gli autori, le inclinazioni st<strong>il</strong>istiche, nonché la<br />
volontà d’arte dei committenti, che li caratterizzarono.<br />
Perciò su tali artisti, scelti dalla maggioranza dei committenti<br />
contemporanei come interpreti fedeli delle<br />
loro esigenze estetiche, motivate dalla religione, dal decoro<br />
sociale o dal gusto, sia collettivo che individuale, si<br />
tratterà l’attenzione considerandoli, per ingegno e operosità,<br />
personalità determinanti la cultura artistica del<br />
loro tempo.<br />
Se Pietro de Pietri fu <strong>il</strong> primo degli ossolani ad accedere<br />
alla poetica del Classicismo romano mediante <strong>il</strong> magistero<br />
di Carlo Maratta, <strong>il</strong> secondo ossolano ammesso<br />
fra gli allievi della medesima bottega romana fu l’anzaschino<br />
Girolamo Ferroni (Bannio 1687-? post 1740)<br />
finora ricordato dalla letteratura artistica erroneamente<br />
originario di M<strong>il</strong>ano o di Parma 57 . Il Classicismo romano,<br />
di ascendenza raffaellesca, rafforzato dall’alito spirante,<br />
con linguaggio barocco, dall’area cortonesca, si<br />
palesa fin dai primi esiti nella pittura del Ferroni, già<br />
esplicito nell’opera prima, almeno per ora ritenuta tale,<br />
firmata e datata “OPUS FERRONI 1704 a Roma”, inviata<br />
in patria per fungere da pala sull’altare dell’Immacolata<br />
nel San Bartolomeo di Bannio. Nella stessa chiesa,<br />
ma più tarde, perché dipinte dopo <strong>il</strong> suo rientro a<br />
M<strong>il</strong>ano in seguito alla morte di Carlo Maratta nel dicembre<br />
del 1713, oltre alla pala dell’altare dedicato a<br />
San Francesco Saverio vi sono esposte la lunetta dipinta<br />
a olio su tela con <strong>il</strong> Battesimo di Gesù sullo sfondo della<br />
piazza di Bannio con l’oratorio di Santa Marta, del<br />
San Bartolomeo, e più arretrata la fuga delle cappelle<br />
dedicate alla via crucis, conclusa dal santuario della<br />
Madonna della Neve; San Giuseppe col Gesù Bambino;<br />
224<br />
La Trinità implorata dalla Vergine a suffragio delle anime<br />
purganti con, inparergo, la messa di San F<strong>il</strong>ippo Neri.<br />
Al Gruppo di opere citate va aggiunta la tela conservata<br />
nel San Mattia di Oira, raffigurante La Trinità Implorata<br />
dalla Vergine e San Giuseppe sopra un angelo che trae<br />
un’anima al cielo dal folto delle anime purganti, affiancato,<br />
tre per lato, da sei scene <strong>il</strong>lustranti casi di “morte<br />
improvvisa”. Il Ferroni dovrebbe avere dipinto le opere<br />
citate nel decennio seguente <strong>il</strong> suo rientro a M<strong>il</strong>ano,<br />
quando assunse fra le prime commissioni quella di eseguire,<br />
intorno al 1714, per la chiesa di San Eustorgio la<br />
pala dell’altare di San Giuseppe, raffigurandovi <strong>il</strong> Transito<br />
del Santo, rapporto evidenziato dalle consonanze st<strong>il</strong>istiche<br />
e tipologiche ravvisab<strong>il</strong>i nella stesura delle pitture<br />
elencate. A M<strong>il</strong>ano <strong>il</strong> Ferroni ebbe però particolare<br />
successo quale autore di disegni, volti in incisioni, richiesti<br />
dall’editoria m<strong>il</strong>anese, per <strong>il</strong>lustrare pubblicazioni<br />
anche di grande prestigio, oppure, se di soggetto sacro,<br />
destinate alla devozione privata 58 . Gli affreschi firmati<br />
e datati “H. Ferronius baniensis pinxit 1736 ” sulla<br />
cupola centrale nell’oratorio dell’Annunciazione di Bannio<br />
concludevano <strong>il</strong> decoro pittorico dell’edificio sacro<br />
iniziato nel 1715, nel lasso di tempo intercorrente fra<br />
queste date l’autore aveva accettato anche l’incarico di<br />
eseguire affreschi per la Via Crucis, l’ultimo nel 1736,<br />
affiancata al percorso sacro che porta al santuario della<br />
Beata Vergine della Neve, dall’interno decorato dal Ferroni<br />
tra <strong>il</strong> 1723 e <strong>il</strong> 1725 59 .<br />
All’operosità degli scultori ossolani, capaci di soddisfare<br />
appieno e a notevole livello la domanda locale di suppellett<strong>il</strong>i<br />
artistiche, destinate all’arredo ecclesiastico o<br />
domestico, va affiancata la capacità e l’ingegno dominante<br />
di un pittore vigezzino: Giuseppe Mattia Borgnis<br />
(Craveggia 1701-West Wycombe 1761), che con la sua<br />
produzione in ogni genere pittorico, dalle vaste superfici<br />
affrescate alle tavolette degli ex voto, dalle più complesse<br />
figurazioni ai ritratti, o dai sistemi decorativi di<br />
interi edifici allo schema della più semplice ornamentazione,<br />
saprà appagare ogni richiesta dei committenti locali,<br />
sia pubblici, sia privati, dal terzo al sesto decennio<br />
del Settecento 60 .<br />
Si è voluto richiamare l’incisiva presenza della tradizione<br />
scultorea locale per sottolineare come la stessa aura<br />
classicheggiante, a cui inclina la scultura lignea ossola-
na, spira nelle opere del Borgnis, così vivamente da farne<br />
la sua fortuna in Ingh<strong>il</strong>terra, dove, apprezzato interprete<br />
di scene allegoriche e temi mitologici tratti da<br />
modelli del Classicismo romano, morirà famoso 61 . Attento<br />
alla lezione dei grandi maestri del classicismo cinquecentesco,<br />
ai quali poté accostarsi, fra adolescenza e<br />
giovinezza, risiedendo e studiando a Bologna, a Venezia<br />
e, probab<strong>il</strong>mente a Roma, seppe da essi emanciparsi<br />
per affermare una propria cifra st<strong>il</strong>istica, esposta da una<br />
tavolozza dai colori luminosi, vibranti a cui attinse per<br />
le grandi composizioni affrescate a gloria di Dio, della<br />
Vergine e dei santi, nelle cupole, nelle volte o sulle pareti,<br />
oppure dipinte sulle grandi tele, che ancora oggi numerose<br />
lo ricordano autore felice di un animato Classicismo<br />
(si potrà dire?) ossolano. Menzionato nella storia<br />
dell’arte quale primo maestro di Giuliano da Parma,<br />
fu architetto, pittore e decoratore di br<strong>il</strong>lante ingegno,<br />
che nelle immagini sacre, condotte con rigoroso rispetto<br />
dell’ortodossia tridentina, e nelle figurazioni mitiche<br />
o allegoriche si rivela colto iconografo. Nella impossib<strong>il</strong>ità<br />
anche solo di compendiare <strong>il</strong> catalogo della vasta<br />
produzione del Borgnis si proporrà, quale esempio fra i<br />
più significativi delle sue capacità creative, la chiesa dei<br />
Santi Giacomo e Cristoforo di Craveggia, ricostruita durante<br />
<strong>il</strong> quarto decennio del Settecento su progetto del<br />
maestro craveggese, autore altresì delle opere pittoriche<br />
e dei programmi decorativi eseguiti nella marginale ornamentazione<br />
degli arredi.<br />
Saltati dieci anni nel repertorio della pittura settecentesca<br />
ossolana, fitti di nomi vigezzini 62 , è inevitab<strong>il</strong>e ricadere<br />
in valle Vigezzo per incontrare <strong>il</strong> nome del pittore<br />
più influente sulla cultura artistica ossolana dagli ultimi<br />
decenni del Settecento alla prima metà dell’Ottocento,<br />
ossia Lorenzo Peretti (Buttogno 1774 — ivi 1851), che<br />
seppe evolvere l’eredità classicistica del Borgnis nella rigorosa<br />
cognizione dell’Antico quale fonte formale della<br />
teorica Neoclassica. Trascorsa l’adolescenza e la prima<br />
gioventù a Torino, <strong>il</strong> pittore ebbe modo di frequentare<br />
i corsi di Lorenzo Pecheux presso l’Accademia di<br />
Belle Arti e acquisirvi quel carattere neoclassico, derivato<br />
dal classicismo romano del Batoni e del Mengs, trasmessogli<br />
dal maestro, in seguito, ammesso fra gli artisti<br />
al servizio della corte Sabauda, ottenne commesse<br />
a volte modeste, a volte impegnative per eseguire la-<br />
vori sia nelle residenze reali, sia in alcuni edifici di culto<br />
torinesi. Allontanato dalle turbolenze politiche suscitate<br />
nella capitale piemontese dalla invasione francese,<br />
riparò, con la famiglia, nel paese natio, eletto a residenza<br />
permanente, alla quale ritornare negli intervalli<br />
tra gli impegni di lavoro che numerosi committenti<br />
gli affidarono in molti centri ossolani, dal capoluogo<br />
agli abitati montani dislocati nelle alte valli, nonché<br />
nel confinante Ticino e in Piemonte. La versione personale<br />
della poetica neoclassica, a cui <strong>il</strong> pittore vigezzino<br />
sempre si attenne, si manifesta, in compendio esemplare,<br />
come opera della sua maturità, nella collegiata dai<br />
Santi Gervasio e Protasio di Domodossola: dagli affreschi<br />
stesi nelle volte a quelli del presbiterio raffiguranti<br />
Il martirio e <strong>il</strong> ritrovamento dei Corpi Santi dei giovani<br />
martiri m<strong>il</strong>anesi 63 .<br />
Giunti alla metà del XIX secolo, non si uscirà dalla valle<br />
Vigezzo trattenuti dal fascino di tre nomi che, con altri<br />
validi artisti, l’hanno posta nella mitologia artistica<br />
ad vocem «La Valle dei Pittori». Se Lorenzo Peretti<br />
fu <strong>il</strong> primo fra i pittori vigezzini di spiccato talento ad<br />
accettare la condizione di suddito degli Stati Sardi e di<br />
conseguenza ad aprire la strada verso l’Accademia della<br />
capitale sabauda, Carlo Gaudenzio Lupetti (Prestinone<br />
1827 — Nantes 1862) fu <strong>il</strong> primo vigezzino, di livello<br />
europeo, a muovere l’ulteriore passo dalla periferia<br />
piemontese verso <strong>il</strong> centro della cultura francese, incardinato<br />
nella sua capitale, Parigi, per conoscere dal vivo<br />
gli uomini che stavano foggiando idee libertarie e visioni<br />
realistiche capaci di sovvertire, e di sostituire, <strong>il</strong> polveroso<br />
apparato didattico delle Accademie. A Torino <strong>il</strong><br />
Lupetti giunse dopo l’apprendistato elementare, presso<br />
le botteghe vigezzine dei Sotta 64 a Malesco e dei Simonis<br />
a Buttogno, per concludere nel 1849 <strong>il</strong> corso degli<br />
studi regolari all’Accademia, da poco (1833) divenuta<br />
Regia Albertina, ma fu l’approdo alle scuole dei maestri<br />
parigini di metà Ottocento a condurlo verso «<strong>il</strong> perfetto<br />
raggiungimento di quell’equ<strong>il</strong>ibrio tra la visione e<br />
<strong>il</strong> sentimento che costituiva la massima aspirazione degli<br />
artisti del suo tempo» (B. Canestro Chiovenda). Durante<br />
<strong>il</strong> soggiorno parigino <strong>il</strong> Lupetti fu allievo di Leon<br />
Cogniet, studiò <strong>il</strong> classicista Thomas Couture, l’animalier<br />
Jacques Raymont Bracassat e <strong>il</strong> realismo di Gustave<br />
Courbet, che segnano momenti diversi della sua vicen-<br />
225
da di artista, tuttavia confluenti in un itinerario identico<br />
a quello percorso dagli impressionisti, come dimostrano<br />
gli esiti dei suoi ultimi dipinti, dove la luce trascolorante<br />
di un istante è fermata dal colore a riprodurre<br />
liricamente la realtà. Quella realtà fissata ne La Zingara<br />
e i suoi animali d’ambulanza (Museo Galletti di Domodossola)<br />
descritta dalla luce trascorrente, che, «bagnando»,<br />
increspata da sfumati e ombre, i pelami e i panni,<br />
evoca intorno all’accento esotico posto dalla figura gitana,<br />
l’intimistica atmosfera del ricovero e forse anche<br />
l’infant<strong>il</strong>e sensazione, nel ricordo dell’autore, di crogiolarsi<br />
nel tepore e nell’afrore di una stalla, protetto dal rigore<br />
di una lontana notte invernale a Prestinone 65 . Enrico<br />
Cavalli (Santa Maria Maggiore 1849 — ivi 1919)<br />
portò nella valle natia i frutti raccolti dalla esperienza<br />
francese degli anni giovan<strong>il</strong>i: dapprima allievo di Joseph<br />
Guichard alla Ecole des Beaux Arts di Lione, negli<br />
anni seguenti a Marsiglia a diretto contatto con l’opera<br />
e gli insegnamenti di Adolphe Monticelli ebbe la chiave<br />
di lettura per interpretare la lezione di Guichard, le<br />
suggestioni della pittura di Diaz de la Peña e le vigorose<br />
ricerche cromatiche del contemporaneo Françòis Auguste<br />
Ravier, ma in particolare <strong>il</strong> Monticelli trasmise all’apprendista<br />
vigezzino la densa vitalità tonale e coloristica<br />
della propria tavolozza. Esperienza condotta senza<br />
sottrarsi alle indagini sul colorismo degli antichi veneti<br />
e fiamminghi e in cui crebbe pittore dalle idee nuove<br />
che seppe comunicare ai suoi allievi della Scuola Rossetti<br />
Valentini di Santa Maria Maggiore, aggiornando,<br />
così, la tradizione artistica locale sulle nuove teorie pittoriche<br />
praticate in Francia negli ultimi decenni del secolo.<br />
L’ardita ricerca coloristica nelle nature morte e nei<br />
paesaggi, l’approfondimento psicologico nei ritratti —<br />
i migliori sono in raccolte private — fanno uscire l’opera<br />
del Cavalli dall’ambito ossolano e lo confermano autore<br />
degno di comparire fra i pochi veramente significativi<br />
dell’Ottocento pittorico italiano 66 .<br />
Carlo Fornara (Prestinone 1871 — ivi 1968) allievo del<br />
Cavalli conobbe e vide <strong>il</strong> mondo dell’arte attraverso gli<br />
occhi del maestro, sempre puntati sul colore, dai pittori<br />
veneziani del Rinascimento agli impressionisti francesi,<br />
da Monticelli a Monet a Cézanne, ma fu con la rivelazione<br />
della pittura di Fontanesi che capì come <strong>il</strong> colore<br />
poteva diventare materia luminosa e, infatti, nel-<br />
226<br />
la sua pittura divenne luce, quella luce scint<strong>il</strong>lante che<br />
dalla tavolozza trascorse alle tele per fissare <strong>il</strong> poema pittorico<br />
dedicato dal Fornara, durante la lunga vita, alla<br />
sua valle: la valle dei Pittori 67 . Segna <strong>il</strong> passaggio dall’ultimo<br />
quarto dell’Ottocento al Novecento <strong>il</strong> costume di<br />
introdurre nell’arredo urbano dei centri abitati ossolani<br />
opere scultoree d’intento o dimensioni monumentali,<br />
collocate o erette in luoghi pubblici, per commemorare<br />
eventi o personaggi di spicco accaduti o vissuti per<br />
la maggior parte nel corso dei decenni a cavallo tra Ottocento<br />
e Novecento. Tali attestazioni celebrative volute<br />
dalle Comunità ossolane, ebbero significativo incremento<br />
negli anni successivi all’unità del Regno d’<strong>It</strong>alia<br />
e alla conclusione della prima guerra mondiale, affidate<br />
per lo più a scultori locali, o originari dell’Ossola.<br />
Le ricerche pubblicate, o quelle in atto 68 , prossime alla<br />
stampa, sapranno offrire al lettore ben più dell’elenco<br />
seguente, necessariamente scarno, qui incluso con l’intento<br />
di ricordare gli scultori, mediatori, in pietra, marmo<br />
o bronzo, della comune gratitudine o ammirazione.<br />
Primo nel tempo Luigi Guglielmi (Roma, 1836- ivi<br />
1907) oriundo di Crodo, frequentò i corsi tenuti da F<strong>il</strong>ippo<br />
Gnaccarini alla Accademia di San Luca a Roma,<br />
autore del busto che ritrae Gian Giacomo Galletti esposto<br />
nell’Istituto Professionale Galletti; Antonio Lusardi<br />
(Varallo Sesia, 1860- Domodossola, 1927) si formò<br />
alla Accademia Albertina di Torino sotto <strong>il</strong> magistero di<br />
Odoardo Tabacchi e poi, collaborando con Pietro della<br />
Vedova e Giacomo Ginocchi, giunse a quella maturazione<br />
artistica che gli valse la docenza presso la scuola<br />
domese di Intaglio e Plastica, capace altresì di attrarre<br />
una ragguardevole committenza sia pubblica che privata,<br />
indotta dall’apprezzamento del suo lavoro ad assegnargli<br />
numerose commissioni, quali: <strong>il</strong> monumento<br />
commemorativo di Martino Trabucati, <strong>il</strong> Famedio del<br />
Camposanto di Domodossola con <strong>il</strong> monumento funebre<br />
di Gian Giacomo Galletti, <strong>il</strong> bassor<strong>il</strong>ievo commemorativo<br />
del Conte Giacomo Mellerio sul fronte del<br />
Palazzo Mellerio a Domodossola e i pannelli bronzei<br />
della porta maggiore della Madonna della Neve a Domodossola;<br />
Francesco Ricci (Crana, 1877- Santa Maria<br />
Maggiore, 1950) allievo di Odoardo Tabacchi presso<br />
l’Accademia Albertina di Torino, autore del busto di<br />
Giuseppe Garibaldi, del monumento a Gian Giacomo
Galletti e di quello dedicato ai Caduti del Traforo del<br />
Sempione in facciata della Stazione Internazionale, tutti<br />
a Domodossola; Giovanni Battista Tedeschi (Mergozzo,<br />
1883- ?, ?) alunno nelle classi dell’Accademia di Brera<br />
affidate all’insegnamento di Eugenio Pellini e di Giuseppe<br />
Cavenaghi, eseguì i Monumenti ai Caduti della<br />
prima guerra Mondiale per le Comunità di Mergozzo.<br />
Ornavasso e Quarna; Angelo Balzardi (Schieranco<br />
di Antrona, 1892- Torino 1974) dapprima a Domodossola<br />
fu allievo di Antonio Lusardi poi, per completare<br />
gli studi si trasferì a Torino dove, valendosi del magistero<br />
di Leonardo Bistolfi conseguì <strong>il</strong> diploma presso<br />
l’Accademia Albertina, che in seguito lo ebbe come docente,<br />
le Comunità ossolane di Domodossola, Pallanzeno<br />
e San Pietro di Antrona gli commisero l’erezione dei<br />
monumenti ai Caduti della prima Guerra Mondiale 69 ;<br />
Giovanni Oreste Pozzi (Vogogna, 1892- ivi 1980) compì<br />
gli studi alla Accademia di Brera a M<strong>il</strong>ano, seguendo<br />
i corsi tenuti da Enrico Butti, e quindi entrò come aiuto<br />
228<br />
nello studio di Adolfo W<strong>il</strong>dt, testimoniano la sua attività<br />
in Ossola i Monumenti ai Caduti della prima Guerra<br />
Mondiale di Vogogna, Varzo e Premosello Chiovenda,<br />
dove è tuttora esposto presso <strong>il</strong> palazzo municipale <strong>il</strong><br />
busto di Giuseppe Chiovenda 70 ; Eraldo Baldioli (Omegna,<br />
1897- Domodossola 1954) fu allievo nello studio<br />
domese di Antonio Lusardi, a testimonianza della sua<br />
opera rimangono a Domodossola, in facciata della collegiata<br />
dei Santi Gervasio e Protasio, le statue dei titolari,<br />
patroni della città, nonché al Sacro Monte Calvario<br />
la Grotta di Lourdes, con le statue della Beata Vergine<br />
e di Santa Bernadette, e nel convento <strong>il</strong> Monumento<br />
commemorativo di Antonio Rosmini. Se la lettura di<br />
questi cenni storici può essere ut<strong>il</strong>e per avviare la conoscenza<br />
dell’arte in Ossola, per capirla è indispensab<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />
contatto visivo, ma, ancora più, gli incontri con le opere<br />
citate si moltiplicheranno, poiché <strong>il</strong> territorio ossolano<br />
è ben più ricco di fenomeni artistici di quanti possano<br />
contenerne queste poche pagine.<br />
Gerolamo Ferroni, pala dell’Immacolata, olio su tela, firmata e datata: OPUS FERRONI 1704 a Roma. Bannio, San Bartolomeo.
Note<br />
1 Si veda <strong>il</strong> fascicolo monografico di “Oscellana” n.4, 2003, dedicato<br />
alla riproduzione integrale del catalogo pubblicato in occasione<br />
della mostra “Varchignoli, alle origini dell’Ossola di pietra”, allestita<br />
alla “Fabbrica” di V<strong>il</strong>ladossola nell’agosto del 1999 dalle Associazioni<br />
ASTO e V<strong>il</strong>larte corredato da ampia bibliografia.<br />
2 T. Bertamini, San Quirico di Calice in, “Oscellana”, n.2, 1974, pp.<br />
57-62; P. Piana Agostinetti, l’Ossola Pre Romana, in “Oscellana”,<br />
n.4, 1991, pp. 193-263.<br />
3 T. Bertamini, Tempietto Lepontico a Montecrestese, in “Oscellana”,<br />
n.1, 1976, pp. 1-11.<br />
4 B. Beccaria, Montorfano di Mergozzo, Dalla Chiesa Battesimale alla<br />
Pieve (secoli V – XII), in “Storia di Mergozzo Dalle Origini ad Oggi”<br />
a cura del Gruppo Archeologico di Mergozzo, Mergozzo 2003, pp.<br />
115-116.<br />
5 T. Bertamini Storia di V<strong>il</strong>ladossola, Domodossola 1976, pp. 197,<br />
203.<br />
6 Ibidem, pp. 117-189.<br />
7 Si veda <strong>il</strong> catalogo della Mostra, Novara e la sua Terra nei Secoli XI<br />
e XII Storia Documenti Architettura, M<strong>il</strong>ano 1980 tenutasi a Novara<br />
nel Palazzo del Broletto dal 15 maggio al 15 giugno 1980, con ampio<br />
corredo bibliografico.<br />
8 T. Bertamini, Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana” n.2<br />
1998, pp. 67-78.<br />
9 G.F. Bianchetti, Il Maestro del Crocefisso di Seppiana, in “Oscellana”<br />
n.1, 1985, pp. 15-24.<br />
10 G.F. Bianchetti, Affreschi Romanici in Ossola in “Oscellana” n.3,<br />
1982, pp. 131-144.<br />
11 A. Airoldi, Storia di Vogogna, Domodossola 1992, vol.1°.<br />
12 T. Bertamini, Il Pittore della Modonna di Re, in “Re e <strong>il</strong> Santuario<br />
della Madonna del Sangue” Domodossola 1996 pp. 330- 356.<br />
13 G.F. Bianchetti, Una “Madonna del Latte” di Giovanni De Campo,<br />
in “Oscellana” n.4, 1994 pp. 193, 194; Quattrocento Lombardo nel<br />
San Pietro di Dresio, in “Oscellana” n.2, 1996; Il Quattrocento Lombardo<br />
in San Quirico di Calice, in “Oscellana” n.1, 1997, pp. 49-62;<br />
n.2, 1997, pp. 80-92.<br />
14 T. Bertamini, I Pittori Seregnesi (Cristoforo e Nicolao) del’400 in Ossola<br />
in “Oscellana” n.2, 1996, pp. 78-90: G.F. Bianchetti, Il Quattrocento<br />
Lombardo nel San Pietro di Dresio, cit. pp. 95,96.<br />
15 G.F. Bianchetti, Madonne Ossolane Quattrocentesche dalla Pietra<br />
di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1973 pp. 177-182; Il Capolavoro del<br />
Maestro di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1976; pp. 145-158; Le Opere<br />
Civ<strong>il</strong>i del Maestro di Crevola in “Oscellana” n.2, 1977 pp. 113-122.<br />
16 T. Bertamini, Le Cave del marmo di Crevola, in “Oscellana” n.1-2,<br />
1987 pp. 106-107; San Giacomo nella Storia di Vogogna in “Oscellana”<br />
n.1, 1998, pp. 9-18; Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana”<br />
n.2, 1998 pp. 86-89.<br />
17 A. Longo Dorni, E Ronchi, Le Vicende della Comunità parrocchiale<br />
e della sua Chiesa, in “Ornavasso Luoghi e Memorie (1587-<br />
1987)” Ornavasso 1987, pp. 17-31.<br />
18 P. Negri, Magistri ossolani a Spello, in terra d’Umbria, nel secolo<br />
XVI, le vicende della Madonna di Vico detta Tonda, in “Oscellana”<br />
n.4, 2001, pp. 128-189.<br />
19 C. Debiaggi, La chiesa parrocchiale di Crevoladossola e l’Architetto<br />
Ulrich Ruffiner, in “Oscellana” n.1, 1991, pp. 2-10.<br />
20 G.F. Bianchetti, Vetrate dipinte nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />
di Crevoladossola, in “Oscellana” n.1-2, 1987, pp. 135-153; Vetrate<br />
del Cinquecento Svizzero in Ossola, in “Oscellana” n.1, 1990,<br />
pp. 33-58.<br />
21 G.F. Bianchetti, Frammenti di Arte Ossolana Domodossola 1999,<br />
pp. 16-19.<br />
22 B. Canestro Chiovenda, Franciscus de Cagnolis de Novaria Pinxit,<br />
in “Oscellana” n.1, 1974 pp. 41-43.<br />
23 T. Bertamini, La Cappella degli Esorcismi nella Chiesa di<br />
S.Gaudenzio di Baceno, in “Oscellana” n.1, 2004, pp. 3-14.<br />
24 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />
1988, pp. 66 e n.6, pp. 82.<br />
25 B. Canestro Chiovenda, Fermo Stella da Caravaggio in val d’Ossola<br />
in Arte Lombarda 1969, 2°, pp. 94-110.<br />
26 G.F. Bianchetti, Tracce di Bernardino Luini in Ossola, Le Ante di<br />
un Organo scomparso, in “Oscellana” n.1, 1992, pp. 47-58.<br />
27 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />
1988, pp. 65-82; e n.3, 1988, pp. 130-154; idem, Giovanni Battista<br />
da Legnano recentissime, in “Oscellana” n.2, 1994, pp. 75-88.<br />
28 L. Chironi Temporelli, Antonio de Bugnate Pittore del Cinquecento,<br />
in “Novarien” 1988, n.18, pp. 95-124.<br />
29 G.F. Bianchetti, Il Pittore Giacomo di Cardone, in “Oscellana” n.1-<br />
2, 2000, pp. 3-68; idem, Giacomo de Cardone recentissime Anzaschine,<br />
in “Oscellana” n.2, 2004, pp. 26-40.<br />
30 L. Arioli, Ciclo pittorico Cinquecentesco nella Torre di Piedimulera,<br />
in “Illustrazione Ossolana” n.2, 1964, pp. 1-4.<br />
31 A. Guglielmetti, Scultura lignea nella Diocesi di Novara tra ‘400 e<br />
500, Novara, 2000, con ampia bibliografia precedente.<br />
32 G.F. Bianchetti, Il coro ligneo Cinquecentesco dello Scultore Ossolano<br />
Andrea Merzagora nella chiesa della Madonna di Campagna di<br />
Pallanza, in “Oscellana” n.4, 1980, pp. 181-208.<br />
33 T. Bertamini, I Merzagora di Craveggia, in “Illustrazione Ossolana”<br />
n. 1, 1964, pp. 7-12.<br />
34 G.F. Bianchetti, Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine m<strong>il</strong>itare<br />
e ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta della<br />
Masone di Vogogna, in C’era una volta..” Domodossola, 2000,<br />
pp. 51-79.<br />
35 T. Bertamini, Il Sacro Monte Calvario, Domodossola, 2000.<br />
36 T. Bertamini, Il Santuario della Madonna della Neve a Bannio, in<br />
“Oscellana” n.3, 1999, pp. 145-174.<br />
37 T. Bertamini, Storia di Cravegna, Cravegna, 2002, pp. 94-109.<br />
38 T. Bertamini, Maestro Giorgio de Bernardis di Buttogno, in “Illustrazione<br />
Ossolana” n. 1, 1966, pp. 7-18.<br />
39 T. Bertamini, Maestro Giulio Gualio di Antronapiana, in “Illustrazione<br />
Ossolana” n.2, 1964, pp. 5-12; idem, Antronapiana, in<br />
“Oscellana” n.1, 1975, pp. 39-53.<br />
40 T. Bertamini, Pietro Antonio Lanti di Macugnaga intagliatore e<br />
scultore, in “Illustrazione Ossolana” n.3, 1968, pp. 1-7.<br />
41 G.F. Bianchetti, Giovan Pietro Vanni in “Arte lignea e devozione<br />
nel cuore di una Comunità“ schede n. 34-38, pp. 99-111; P. Volorio,<br />
catalogo disegni, in “Arte lignea e devozione nel cuore di una<br />
Comunità“ cit. pp. 115-120.<br />
229
42 G.F. Bianchetti, Una pala di Avanzino Nucci a Baceno, in “Oscellana”<br />
n.3, pp. 129-136; idem, Avanzino Nucci a V<strong>il</strong>ladossola?, in<br />
“Oscellana” n. 4, 1997, pp. 215-229.<br />
43 R.Contini, Paolo Piazza ovvero collusione di periferia Veneta e modulo<br />
ridolfino, in “Paolo Piazza Pittore Cappuccino nell’età della<br />
Controriforma tra conventi e corti d’Europa” a cura di S. Martinelli<br />
e A. Mazza, Verona, 2002, fig. 53,54 pp. 106-110.<br />
44 G. Testori, Tanzio da Varallo, Torino, 1959, Tav. 3, 52, pp. 34-36;<br />
catalogo della mostra “Tanzio da Varallo, realismo fervore e contemplazione<br />
in un pittore del 600”, tenutasi nel palazzo Reale di M<strong>il</strong>ano<br />
dal 13 apr<strong>il</strong>e al 16 luglio 2000, M<strong>il</strong>ano 2000, sch. 6, pp. 80-84, sch.<br />
25, pp. 121-124 di R. Contini.<br />
45 G.F. Bianchetti, La pietà che porta l’ali, in “I compagni di Sant’Antonio<br />
in Roma e Bologna” a cura di E. Ferrari, Crodo 2000,<br />
pp. 140-141.<br />
Devo alla cortesia del Dr. Angelo Mazza dirigente della Soprintendenza<br />
per <strong>il</strong> Patrimonnio Storico Artistico e Demo Etno Antropologico<br />
di Modena e Reggio Em<strong>il</strong>ia le indicazioni circa l’attribuzione<br />
dell’Adorazione dei Magi.<br />
46 B. Canestro Chiovenda, Stephanus Delphinus ab Insula, in “Oscellana”<br />
n. 3, 1986, pp. 178-181; idem, I pittori Rocco e Stefano Delfina<br />
ab Insula e <strong>il</strong> Morazzone, in “Oscellana” n. 1, 1992, pp. 25-29.<br />
47 G.F. Bianchetti Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine M<strong>il</strong>itare<br />
e Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta alla<br />
Masone di Vogogna, cit. pp. 67-72.<br />
48 G.F. Bianchetti, Luigi Reali Pittore Fiorentino in Ossola, in “Oscellana”,<br />
n. 4, 1986, pp. 182-221.<br />
49 T. Bertamini Carlo Mellerio pittore del 600 in “Oscellana” n. 3,<br />
1990, pp. 129-152.<br />
50 B. Canestro Chiovenda, Un pittore Spagnolo in val Vigezzo: Bartolomè<br />
Romàn (Cordova 1596- madrid 1647), in “Oscellana” n. 4,<br />
1976, pp. 207-217.<br />
51 B. Canestro Chiovenda, Un quadro del Fiammingo Godefridus<br />
Maes (1649- 1700) in val Vigezzo, in “Oscellana” n.3, 1981, pp.<br />
146-154.<br />
52 B. Canestro Chiovenda, “Rossettus Pinxit” Antonio Valentino Cavigioni<br />
detto Valentino Rossetti (Vogogna 1653- post 1733), in “Oscellana”<br />
n.2, 1985, pp. 76-91.<br />
53 B. Canestro Chiovenda, Giacomo Antonio Minoli (Pittore) – Gagnone<br />
1657-?, in “Oscellana” n. 1, 980 pp. 27-31.<br />
54 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />
in “Oscellana” n.3, 2003, tav. 5 a p. 130 e p. 136.<br />
230<br />
55 B. Canestro Chiovenda, Petrus de Petris Pictor natus Antigorio, in<br />
“Oscellana” n.2, 1971, pp. 63-69.<br />
56 G.F. Bianchetti, La Pietà che porta l’Ali, cit. pp. 155, 156.<br />
57 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />
cit. pp. 316-142.<br />
58 E. V<strong>il</strong>lani, Contributi per l’opera artistica di Gerolamo Ferroni, in<br />
“Rassegna di Studi e di Notizie” vol. X, 1982, pp. 389-409.<br />
59 T. Bertamini, Confraternita ed Oratorio dell’Annunciazione di Bannio,<br />
in “Oscellana” n.1, 1999, <strong>il</strong>. P. 62, p. 61; idem, Il Santuario della<br />
Madonna Della Neve di Bannio, in “Oscellana” n. 3, 1999, pp.<br />
153-157.<br />
60 T. Bertamini, Giuseppe Mattia Borgnis pittore, in “Oscellana” n.3<br />
– 4, 1983.<br />
61 D. Gnemmi, Borgnis in England, Ornavasso 2001.<br />
62 B. Canestro Chiovenda, La valle dei pittori, in “Invito alla valle<br />
Vigezzo” a cura di P. Norsa, Domodossola 1970, pp. 295-330; D.<br />
Gnemmi, L’arte ossolana dal sec. XVIII al XX (la Pittura), in “Oscellana”<br />
n.3, 1991 pp. 187-191.<br />
63 T. Bertamini, Lorenzo Peretti Pittore (1774-1851), in “Oscellana”<br />
n.4, 1974.<br />
64 D. Gnemmi, La pittura dei Sotta, Malesco 2002.<br />
65 B. Canestro Chiovenda, Uno strano autoritratto giovan<strong>il</strong>e di Carlo<br />
Gaudenzio Lupetti, in “Oscellana” n.3, 1986, pp. 123-127; idem,<br />
Jaques Raymond Bracassat, Rosa Bonheur e Carlo Gaudenzio Lupetti,<br />
in “Oscellana” n.4, 1996, pp. 205-216.<br />
66 G. Cesura, Enrico Cavalli Pittore (Santa Maria Maggiore 1849-<br />
1919), Domodossola, 1993.<br />
67 N. Valsecchi, F. Vercellotti, Carlo Fornara pittore, M<strong>il</strong>ano 1971.<br />
68 Devo alla generosa cortesia dell’amico arch . Paolo Volorio le notizie<br />
biografiche riguardanti gli scultori ossolani qui di seguito nominati,<br />
oggetto delle sue attuali ricerche che verranno quanto prima<br />
pubblicate accrescendo e approfondendo i temi in argomento già<br />
trattati in: A. Volorio, Antonio Lusardi Sculpsit, in “Rivista del Verbano<br />
Cusio Ossola” n.7, 1998, pp. 55-57; idem, Tributo d’artista [Antonio<br />
Lusardi per Federico Ashton], in, copertine di M.me Webb, Domodossola<br />
2000; idem, Il senso fisico della bellezza (Oreste Pozzi Scultore)<br />
in “Rivista del Verbano Cusio Ossola” n.2, 2000, pp. 60-61.<br />
69 A. Dragone, Angelo Balzardi scultore, in “Oscellana” n.1, 1974,<br />
pp. 3-5; A. Arcardini, Angelo Balzardi nel ricordo di un vecchio amico,<br />
in “Oscellana” n.1, 1974, pp. 6-9.<br />
70 C. Morganti, Giovanni Oreste Pozzi un grande artista ossolano dimenticato,<br />
in “Oscellana” n.3, 1995, pp. 130-139.
I letterati ossolani<br />
Enrico Margaroli<br />
II più antico documento ossolano redatto in «volgare»<br />
che ci sia pervenuto è rappresentato dagli statuti della<br />
confraternita di Santa Marta, la quale si costituì e si diede<br />
le proprie regole nel 1459.<br />
Naturalmente tale documento, studiato e pubblicato da<br />
Gianfranco Contini nel 1963, riveste qualche importanza<br />
per la storia locale, mentre <strong>il</strong> suo interesse è pressoché<br />
nullo non solo sotto l’aspetto letterario, ma anche<br />
linguistico, essendo composto in un volgare comune a<br />
tutta l’area lombarda occidentale. Afferma Contini: ... i<br />
dialetti dell’Ossola appaiono un complesso lombardo-alpino<br />
su un fondale di isoglosse piemontesi; e la situazione degli<br />
statuti riesce simbolica di quella della regione.<br />
Per trovare un’opera scritta esplicitamente per la posterità<br />
e con la volontà dichiarata di porvi dell’ingegnoso,<br />
occorre giungere al secolo XVII, nel quale visse <strong>il</strong> capostipite<br />
degli scrittori ossolani, Giovanni Capis (1582-<br />
1632). Questo scrittore nacque da nob<strong>il</strong>e e ricca famiglia<br />
originaria di Mozzio e compì gli studi a Novara,<br />
M<strong>il</strong>ano e Pavia, dove si laureò in giurisprudenza nel<br />
1605.<br />
Alla morte del padre, nel 1608, tornò a Domodossola<br />
e assunse l’incarico di Procuratore della Comunità.<br />
Divenne così un benemerito cittadino che seppe dimostrare<br />
<strong>il</strong> proprio amore per la piccola patria in due<br />
modi. Innanzi tutto impegnandosi con onestà e competenza<br />
nella difesa dei priv<strong>il</strong>egi e delle libertà dell’Ossola<br />
Superiore (Domodossola, Val Divedro, Bognanco<br />
e Antrona) contro le pretese degli Spagnoli che governavano<br />
nel Ducato di M<strong>il</strong>ano, offrendosi anche, come<br />
dice un documento del 1609, di soccorrerla dei suoi propri<br />
denari.<br />
Memorab<strong>il</strong>e è al riguardo la magistrale e coraggiosa difesa<br />
che scrisse nel 1620 per dimostrare l’<strong>il</strong>legittimità<br />
dell’infeudamento dell’Ossola che gli Spagnoli voleva-<br />
no cedere per la modesta somma di diecim<strong>il</strong>a scudi.<br />
Ma l’affetto per la piccola patria trabocca soprattutto<br />
dalla sua opera storica, intitolata Memorie della Corte<br />
di Mattarella o sia del Borgo di Domo d’Ossola e sua<br />
giurisdizione, conclusa nel 1631 e pubblicata dal figlio<br />
nel 1673.<br />
In quest’opera che gli meritò <strong>il</strong> nome di padre della patria<br />
e per la quale gli Ossolani debbono serbargli grande<br />
riconoscenza, <strong>il</strong> Capis ci trasmette tutte quelle notizie<br />
che ai suoi tempi gli fu possib<strong>il</strong>e raccogliere.<br />
Particolarmente interessanti sono le pagine dedicate alla<br />
peste del 1630 (quella stessa descritta dal Manzoni nei<br />
Promessi Sposi), durante la quale <strong>il</strong> Capis fu Commissario<br />
di Sanità. Altre pagine interessanti sono quelle dedicate<br />
alla battaglia di Crevola del 1487 contro gli svizzeri;<br />
ma forse non è giusto fare una scelta, poiché ogni pagina<br />
del Capis è piena di interesse per gli Ossolani, e la<br />
sua piccola storia, scritta in uno st<strong>il</strong>e spontaneo e semplice,<br />
ma non trasandato, parlandoci delle fatiche e delle<br />
sofferenze degli abitanti delle nostre valli, ci aiuta meglio<br />
a comprendere la storia «grande».<br />
Curiosa è un’altra opera del Capis, scritta negli anni<br />
della prima giovinezza, <strong>il</strong> Varon M<strong>il</strong>anes — De la lingua<br />
de M<strong>il</strong>an, in cui studia l’etimologia di circa centocinquanta<br />
parole del dialetto m<strong>il</strong>anese, delle quali vuole<br />
dimostrare la derivazione dal latino e dal greco. Al<br />
Capis spetta così anche <strong>il</strong> merito, non trascurab<strong>il</strong>e, di<br />
essere stato uno dei primi studiosi del dialetto, anche se<br />
la materia è da lui affrontata in modo del tutto estemporaneo<br />
e con un certo spirito goliardico.<br />
Per trovare un secondo scrittore ossolano di r<strong>il</strong>ievo occorre<br />
fare un balzo di duecento anni e trasferirsi nel secolo<br />
XIX, <strong>il</strong> secolo che vide dovunque una straordinaria<br />
fioritura di scrittori di storia locale.<br />
Il primo in ordine cronologico di questi scrittori fu<br />
231
Francesco Scaciga della S<strong>il</strong>va (1810-1874), <strong>il</strong> quale esercitò<br />
la professione di avvocato in Domodossola. Nel<br />
corso della sua esistenza ricoperse le cariche di Vice-<br />
Giudice del Mandamento e di Regio Provveditore agli<br />
studi per la Provincia dell’Ossola. Intensa fu la sua attività<br />
di giornalista. Fondò Il Moderato nel 1851; L’Agogna<br />
nel 1854 e La voce del Lago Maggiore nel 1866.<br />
Il lavoro per cui gli Ossolani lo ricordano è la Storia di<br />
Val d’Ossola, pubblicata nel 1842. La validità dell’opera<br />
è purtroppo limitata, sotto l’aspetto scientifico, dalla<br />
mancata citazione delle fonti; ma rammarica ancor di<br />
più <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> <strong>libro</strong> non sia stato corredato dalla riproduzione<br />
dei documenti originali che lo Scaciga consultò<br />
in gran numero e che sono con <strong>il</strong> passare del tempo<br />
andati perduti.<br />
Di questo scrittore merita di essere ricordato un altro<br />
lavoro dal titolo Vite di Ossolani Illustri. Con un quadro<br />
storico delle eresie (Domodossola, 1847), nel quale<br />
vi sono, tra le altre, le biografie dei due Paolo Della<br />
S<strong>il</strong>va di Crevoladossola; di Innocenzo IX, oriundo di<br />
Cravegna; del pittore Giuseppe Borgnis di Craveggia;<br />
di Feminis Giovanni Paolo di Santa Maria Maggiore,<br />
inventore dell’acqua di Colonia; del Conte Giacomo<br />
Mellerio di Domodossola; del medico Giovanni Palletta<br />
di Montecrestese.<br />
Lo Scaciga ebbe anche qualche pretesa letteraria e fu autore<br />
di tre Almanacchi (Il Pescatore d’Andromia, 1846-<br />
1847-1848) nei quali incluse novelle e racconti storici.<br />
Piuttosto vasta fu la sua cultura e amò indulgere al piacere<br />
dell’erudizione e del riferimemo dotto. Il suo st<strong>il</strong>e<br />
è concettoso ed elegante.<br />
Seconda gloria ossolana del secolo XIX è <strong>il</strong> vigezzino<br />
Carlo Cavalli (1799-1860), <strong>il</strong> quale secondo quanto<br />
scrisse egli stesso nel frontespizio della sua opera, fu<br />
dottore in F<strong>il</strong>osofia, Medicina e Chirurgia, Membro corrispondente<br />
della Società Medico-Chirurgica di Torino e<br />
della Giunta Provinciale di Statistica - Sindaco da ventanni<br />
di Santa Maria Maggiore.<br />
Nel 1845, a coronamento di un intenso lavoro di ricerca,<br />
<strong>il</strong> Cavalli pubblicò i Cenni Statistico-Storici della<br />
Valle Vigezzo, con i quali, spinto da una forza irresistib<strong>il</strong>e,<br />
volle testimoniare <strong>il</strong> proprio amore alla terra che lo aveva<br />
visto nascere, raccogliendo ed ordinando, con sufficiente<br />
spirito critico, tutto quanto era possib<strong>il</strong>e cono-<br />
232<br />
scere sulla Valle Vigezzo; servendosi in particolar modo<br />
per tale lavoro dei sette grossi volumi che contenevano<br />
le deliberazioni del Consiglio Generale della Valle e gli<br />
avvenimenti più importanti dal 1550 al 1818.<br />
Un difetto molto evidente (se lo vogliamo chiamare<br />
così) del suo st<strong>il</strong>e, ma che tuttavia non intacca l’obiettività<br />
storica, è costituito dallo spirito campan<strong>il</strong>istico e<br />
dal patetismo, che furono una caratteristica comune a<br />
quasi tutti gli scrittori di storia locale del secolo XIX.<br />
Un grandissimo suo merito consiste nell’aver dedicato<br />
l’ultimo dei tre volumi ad una ricca s<strong>il</strong>loge di documenti<br />
originali, i quali possono così essere fac<strong>il</strong>mente<br />
consultati dagli studiosi.<br />
Una terza ragguardevole personalità di scrittore e di<br />
studioso ossolano del secolo XIX fu Enrico Bianchetti<br />
(1834-1894), appartenente ad una facoltosa famiglia<br />
che si era trasferita dal Cusio nell’Ossola durante <strong>il</strong> secolo<br />
XVIII. Frequentò la facoltà di legge all’Università<br />
di Torino, senza conseguire la laurea. Ricoperse alcune<br />
cariche pubbliche, fra le quali quella di Consigliere provinciale<br />
per <strong>il</strong> mandamento di Ornavasso.<br />
Nutrì vasti interessi, ma soprattutto studiò e approfondì<br />
gli aspetti della storia ossolana. A lui si deve pure lo<br />
scavo nel territorio di Ornavasso di numerose tombe<br />
gallo-romane, che catalogò e descrisse in un’opera che<br />
uscì postuma I sepolcreti di Ornavasso.<br />
Il Bianchetti pubblicò nel 1878 la sua opera più importante,<br />
L’Ossola Inferiore - Notizie Storiche e Documenti,<br />
in due volumi, <strong>il</strong> secondo dedicato alla raccolta dei documenti<br />
originali. In questo lavoro egli ci narra con uno<br />
st<strong>il</strong>e limpido ed elegante le vicende che nel corso dei secoli<br />
interessarono l’Ossola Inferiore, ossia i territori a<br />
sud di Piedimulera, con la Valle Anzasca e quelle che<br />
erano chiamate la «quattro terre», cioè Cardezza, Beura,<br />
Trontano e Masera.<br />
Il Bianchetti rispetto agli scrittori precedenti rivela una<br />
più acuta mentalità di storico e possiede un maggior<br />
senso critico: è <strong>il</strong> primo ad avanzare sospetti sull’autenticità<br />
di antichi documenti, è <strong>il</strong> primo che introduce <strong>il</strong><br />
confronto fra le fonti e che applica con rigore <strong>il</strong> metodo<br />
deduttivo. Probab<strong>il</strong>mente alla formazione di questa<br />
più matura coscienza storiografica giovò l’amicizia con<br />
<strong>il</strong> dottissimo padre rosminiano Vincenzo De-Vit, da lui<br />
definito «carissimo e venerato».
Enrico Bianchetti (1834 - 1894).<br />
Vincenzo De-Vit, dopo aver insegnato nel seminario di<br />
Rovigo, entrò nel 1849 nell’Istituto della Carità fondato<br />
da Antonio Rosmini, e del grande f<strong>il</strong>osofo roveretano<br />
fu assistente agli studi a Stresa, dove soggiornò dal<br />
1850 al 1860. Passò trent’anni della sua vita a Roma,<br />
conservando l’abitudine di trascorrere le vacanze estive<br />
a Stresa e a Domodossola.<br />
Si dedicò per ben trentacinque anni al rifacimento del<br />
Totius Latinitatis Lexicon del Forcellini e alla comp<strong>il</strong>azione<br />
dei quattro volumi di Onomastica, acquistando<br />
con questi lavori fama internazionale e diventando uno<br />
dei più grandi lessicografi del XIX secolo.<br />
Sterminata fu pertanto la sua erudizione lessicografica,<br />
epigrafica e storica.<br />
Gli Ossolani lo ricordano per un’opera molto impegnata,<br />
La provincia romana dell’Ossola, ossia delle Alpi<br />
Atrezziane, pubblicata nel 1892 a Firenze, con la qua-<br />
le <strong>il</strong> De-Vit propose l’esistenza di una provincia romana<br />
della quale nessun storico antico ha mai fatto menzione.<br />
Questo s<strong>il</strong>enzio lo costrinse ad applicare in larga<br />
misura <strong>il</strong> metodo deduttivo, a spaziare ampiamente nel<br />
campo della epigrafia e della storiografìa, fino a polemizzare<br />
con <strong>il</strong> sommo Teodoro Mommsen. Il De-Vit afferma<br />
di essere riuscito a trarre luce dove si credeva che non<br />
potesse venire che tenebra, ed è questa una stupenda definizione<br />
del vero storico. Infatti con <strong>il</strong> De-Vit la storia<br />
locale ossolana per la prima volta non è più esposizione,<br />
qualche volta acritica, dei fatti, ma tesi, ricerca e dimostrazione,<br />
perseguita con proprietà di linguaggio e rigore<br />
di argomentazione.<br />
Altri scrittori del secolo XIX furono legati in vario modo<br />
all’Ossola. Pietro Prada (1838-1890) uno dei rettori del<br />
Collegio Rosmini è autore, fra l’altro, di una monografia<br />
su Domodossola e <strong>il</strong> Monte Calvario che fu premiata<br />
all’Esposizione di Torino.<br />
Francesco Pinauda (1864-1934), rosminiano, scrisse<br />
molti articoli, fra cui Le piaghe dell’Ossola e Notizie sulle<br />
traslazioni dei corpi dei SS. Martiri venerati nell’Ossola,<br />
nonché i Cenni sulle miniere, cave e acque minerali<br />
della regione ossolana, ma è ricordato soprattutto per<br />
i suoi almanacchi storico-<strong>il</strong>lustrati che ha redatto dal<br />
1914 al 1926.<br />
Guido Bustico, nato a Pavia nel 1876, studioso assai<br />
versat<strong>il</strong>e, pubblicò numerosissimi saggi di storia, di letteratura<br />
e di pedagogia. Insegnò nelle scuole professionali<br />
di Domodossola. Nel 1909 fu nominato direttore<br />
della Biblioteca e del Museo Galletti. Fondò la rivista<br />
Illustrazione Ossolana sulla quale pubblicò molti lavori<br />
che interessano la nostra Valle.<br />
Venanzio Barbetta (1869-1910) si laureò in lettere presso<br />
l’Università di Torino. Fu autore di varie opere teatrali<br />
e di alcuni romanzi (Giovani, Mulini al vento), permeati<br />
da un profondo ed irrequieto pessimismo. Una<br />
lapide lo ricorda sulla casa natale di Baceno. Giuseppe<br />
Chiovenda (1872-1937) giurista di fama mondiale,<br />
ebbe una giovan<strong>il</strong>e inclinazione per la poesia, tanto da<br />
meritarsi l’inclusione in una raccolta di poeti minori<br />
dell’Ottocento. Pubblicò nel 1891 un volumetto di<br />
Poesie f<strong>il</strong>trate attraverso lo st<strong>il</strong>e e la sensib<strong>il</strong>ità carducciana,<br />
e nel 1894 un secondo dal titolo Agave. In molte<br />
delle sue poesie rievoca momenti di amore con un lin-<br />
233
guaggio limpido e semplice.<br />
Gabriele Lossetti Mandelli d’Inveruno (1821-1886)<br />
scrisse una Cronaca del Borgo di Vogogna dall’anno 1751<br />
al 1885 molto ricca di notizie, che fu pubblicata solo<br />
nel 1926.<br />
Passando dal secolo XIX al XX non si interruppe la feconda<br />
tradizione degli scrittori ossolani. Il primo che ci<br />
viene incontro è l’avvocato Nino Bazzetta (1880-1951),<br />
<strong>il</strong> quale pubblicò nel 1911 la Storia di Domodossola e<br />
dell’Ossola Superiore dai primi tempi all’apertura del traforo<br />
del Sempione.<br />
Questo lavoro non si può propriamente chiamare opera<br />
storica, se intendiamo per storia l’interpretazione dinamica<br />
e collegata dei fatti, o anche solo la descrizione<br />
cronologica degli eventi; <strong>il</strong> lavoro è infatti spezzettato<br />
in numerosi capitoletti che trattano diversi argomenti:<br />
i primi abitanti dell’Ossola, <strong>il</strong> cristianesimo nell’Ossola,<br />
l’antico Comune di Domodossola, <strong>il</strong> torrente Bogna, la<br />
peste a Domodossola, <strong>il</strong> Monte Calvario, e così via; <strong>il</strong> <strong>libro</strong><br />
si presenta dunque come una sorta di repertorio di<br />
notizie storiche e di curiosità.<br />
La narrazione è lucida, pacata e di carattere chiaramente<br />
divulgativo, tale da costituire una lettura d<strong>il</strong>ettosa e<br />
da essere consigliata a chi si vuole avvicinare senza soverchia<br />
fatica alla storia dell’Ossola.<br />
Un secondo scrittore di storia locale di r<strong>il</strong>ievo nel nostro<br />
secolo è Giovanni De Maurizi (1875-1939). Nato<br />
da famiglia povera, <strong>il</strong> De Maurizi divise la prima giovinezza<br />
tra l’aspro lavoro dell’alpe e la ricerca instancab<strong>il</strong>e,<br />
di paese in paese, di notizie riguardanti la storia e <strong>il</strong><br />
folklore della Valle Vigezzo. Nel 1908 fu ordinato sacerdote<br />
ed inviato coadiutore a Santa Maria Maggiore.<br />
Unì all’attività sacerdotale la sua innata passione di storico<br />
e di ricercatore. Pubblicò nel 1911 la prima monografia<br />
<strong>il</strong>lustrata, La Valle Vigezzo, della quale uscì nel<br />
1934 la terza edizione presso Rizzoli, M<strong>il</strong>ano. A questa<br />
seguirono studi sulle valli Antigorio e Formazza,<br />
sui De Rodis-Baceno, su numerosi comuni vigezzini<br />
(Buttogno, Crana e Santa Maggiore, Craveggia), studi<br />
che l’autore definiva modestamente briciole o noterelle.<br />
La sua opera più conosciuta si intitola L’Ossola e le sue<br />
valli ed è una guida turistica, storica ed artistica scritta<br />
per incarico della Società Escursionisti Ossolani e pubblicata<br />
nel 1931. Questo testo, giunto alla terza edizio-<br />
234<br />
ne con gli opportuni aggiornamenti nel 1977, è ancora<br />
fondamentale per chi voglia farsi una conoscenza d’assieme<br />
dell’Ossola.<br />
Altri scrittori del XX secolo meritano di essere ricordati.<br />
Don Giuseppe Salina (Vittorio D’Avino, 1877-1949),<br />
per molti anni parroco a Cimamulera, diede alla stampe<br />
numerose pubblicazioni che nel 1994 sono state raccolte<br />
in un unico volume. Nelle sue poesie <strong>il</strong> D’Avino<br />
esprime <strong>il</strong> proprio amore per l’ Ossola bella, di cui sa cogliere<br />
in modo efficace gli aspetti più pittoreschi, sia che<br />
si tratti dei tumultuanti gorghi dei torrenti o delle nevi<br />
pure delle vette. Vittorio D’Avino si dedicò con passione<br />
anche alla poesia in dialetto, soprattutto nel dvarûn<br />
di Varzo.<br />
Accanto a don Salina merita di essere ricordato <strong>il</strong> canonico<br />
Luigi Rossi (1885-1956), prevosto di Castiglione<br />
d’Ossola dal 1910 al 1930. Insieme con Vittorio<br />
D’Avino firmò una nuova edizione di Ossola bella<br />
(1913), non più di sole poesie; nel 1928 pubblicò la<br />
guida Valle Anzasca e Monte Rosa. Questa guida forse<br />
per la prima volta reca notizie interessanti sugli archivi<br />
parrocchiali e comunali e per la prima volta si occupa<br />
dei documenti manoscritti, conservati nei piccoli<br />
centri.<br />
Adolfo Sebastiano Ferraris (Adolfo da Pontemaglio,<br />
1901-1954) si dedicò con grande tenacia alla comp<strong>il</strong>azione<br />
di una ponderosa Bibliografia Ossolana che raccoglieva<br />
ben 3760 titoli e che fu pubblicata dal 1938<br />
al 1952 sul Bollettino Storico per la provincia di Novara.<br />
Ma questo suo importante lavoro è stato ingiustamente<br />
dimenticato; infatti <strong>il</strong> Ferraris è più noto per aver pubblicato<br />
nel 1927 un volumetto di Novelle e leggende ossolane,<br />
che aveva appreso, come dice egli stesso, da ragazzo<br />
nelle incantevoli serate di settembre, mentre si stigliava<br />
la canapa giù in cort<strong>il</strong>e, o durante le lunghe veglie invernali<br />
fra <strong>il</strong> rumorio dei f<strong>il</strong>atoi.<br />
La voluta semplicità dello st<strong>il</strong>e ci conserva in qualche<br />
modo <strong>il</strong> sapore e la spontaneità dei poveri e incolti novellatori<br />
ossolani.<br />
Luigi Pellanda (1885-1961), Arciprete di Domodossola,<br />
fu uno dei primi cronisti delle tragiche vicende che insanguinarono<br />
l’Ossola durante la seconda guerra mondiale,<br />
vicende alle quali assistette non passivamente,<br />
m<strong>il</strong>itando, in conformità alla missione sacerdotale, dal-
Giovanni Leoni, Torototela (1846 - 1920).<br />
la parte dell’Uomo, della fraternità e della vita. Nel settembre<br />
del 1944 fu mediatore e garante dell’accordo fra<br />
partigiani e nazifascisti per lo sgombero di Domodossola.<br />
Di questi avvenimenti ci ha lasciato la propria testimonianza<br />
ne L’Ossola nella tempesta.<br />
Ida Braggio Del Longo (1879-1965), benemerita cittadina,<br />
si occupò durante la sua vita di attività benefiche<br />
e di pubblicistica, con numerosi articoli sulla stampa locale.<br />
È autrice di un volumetto, Piccolo mondo ossolano,<br />
che ci permette di conoscere personaggi, costumi e vicende<br />
della Domodossola della prima metà del secolo.<br />
Luciano Gennari (1892-1979), figlio di emigrati vigezzini,<br />
conobbe ugualmente bene la letteratura italiana<br />
e francese, cosa che gli permise di stringere amicizia<br />
con letterati di spicco di entrambe le nazioni. In<br />
Valle Vigezzo fu consigliere comunale e presidente di<br />
varie società. La sua produzione b<strong>il</strong>ingue annovera sag-<br />
gi, drammi e romanzi, fra i quali ultimi quello che ci interessa<br />
come Ossolani è Il romanzo di una valle, nel quale<br />
mette in evidenza la magnificenza e la pace della terra<br />
degli avi.<br />
Ma la personalità più geniale che l’Ossola abbia espresso<br />
è sicuramente quella di Giovanni Leoni (Torototela,<br />
1846-1920). Questo poeta nacque dal pittore mozziese<br />
Giuseppe e da Lucia Giacomina Burla. Frequentò <strong>il</strong><br />
Collegio Rosmini dal 1857 al 1863, già allora rivelando<br />
una natura ricca ed estroversa, ma a causa della povertà<br />
fu costretto, come molti altri Ossolani, ad emigrare nell’America<br />
Latina, dove esercitò varie attività commerciali.<br />
Nel 1886 prese una decisione ammirevole e rara:<br />
rinunciò, appena quarantenne, ai lauti guadagni e ritornò<br />
nella natia Ossola per godersi la libertà, le amicizie e<br />
le montagne, né scìor né gnanca povar, fino alla morte.<br />
Fu presidente della Sezione Ossolana del CAI; e promotore<br />
della «Pro Devero»; progettò e curò la costruzione<br />
dell’attuale rifugio sul Monte Cistella.<br />
La fama del Leoni è legata al volume di Rime Ossolane<br />
(Belluno, 1929), una raccolta di satire dialettali, nelle<br />
quali, armato di buon senso e seguendo da lontano<br />
le orme del poeta m<strong>il</strong>anese Carlo Porta, sottopone alla<br />
sua critica divertente e mordace tutti coloro che vengono<br />
meno al loro dovere, siano essi sacerdoti o uomini<br />
politici.<br />
Tipico esempio di borghese del tempo, amante dell’ordine,<br />
del lavoro e del risparmio, non seppe comprendere<br />
abbastanza le esigenze e i diritti dei ceti meno fortunati<br />
e la loro lotta per una esistenza migliore; bisogna<br />
però riconoscere che più che le forze di sinistra in quanto<br />
tali, egli avversò gli atteggiamenti demagogici, non<br />
negando al proletariato <strong>il</strong> diritto di essere rappresentato<br />
in Parlamento:<br />
S’agh fassum dent na bona sedazaa<br />
ad quij cinq cent e vott... ugh an sares apena<br />
tra ross e negar giust una trentena.<br />
I suoi versi sono importantissimi sia da un punto di vista<br />
storico-sociale, perché ci offrono un vivissimo spaccato<br />
della vita ossolana del tempo; sia da un punto di<br />
vista linguistico, poiché tramandano nel tempo <strong>il</strong> dialetto<br />
ossolano della fine del secolo; e infine da un punto<br />
di vista artistico, poiché nei componimenti risplende<br />
la capacità del Leoni nel riprodurre realisticamente la<br />
235
psicologia e gli ambienti della gente ossolana, e nell’infondere<br />
nei personaggi <strong>il</strong> soffio della vita e della poesia.<br />
Restando fra i poeti merita una menzione Pietro<br />
Pianav<strong>il</strong>la (1897-1979), autore di Businà d’Antrona, in<br />
cui la originale poesia ha <strong>il</strong> sapore di una scoperta personale<br />
ed autentica, lontana dalle influenze letterarie.<br />
Il suo sguardo non si spinge oltre <strong>il</strong> microcosmo antronese<br />
del quale coglie gli aspetti con acutezza ed umorismo,<br />
in un dialetto che conserva integralmente la sua<br />
diffic<strong>il</strong>e purezza.<br />
Francesco Savio (1917-1986), è autore di Il vento delle<br />
sette valli, che ha <strong>il</strong> sapore di un addio pacato e sereno<br />
alla vita dopo le innumerevoli sofferenze. Nel <strong>libro</strong><br />
si alternano a delicati versi di amore e ad altri dedicati<br />
ad un’Ossola ancora favolosa, prose con descrizioni<br />
di v<strong>il</strong>laggi e di persone legate all’esperienza dell’autore<br />
e che ci fanno sentire Il gusto amaro e buono del nostro<br />
vivere.<br />
Francesco Zoppis (1919-1992), è autore di Ossola nostra<br />
e de I racconti della Rocca. In questi lavori le notizie<br />
storiche risultano d<strong>il</strong>uite nell’invenzione romanzesca,<br />
poiché lo scrittore indulge al gusto del raccontare<br />
e di conseguenza l’amore per la bella pagina e la «libertà<br />
di creare» rendono interessanti per <strong>il</strong> lettore ossolano<br />
in quanto tale i suoi racconti di discreta fattura<br />
letteraria. Allo Zoppis va anche <strong>il</strong> merito di aver curato<br />
nel 1977 l’aggiornamento de L’Ossola e le sue valli<br />
del De Maurizi.<br />
Erminio Ragozza (1918-1984), pubblicò nel 1969<br />
Aria di casa nostra, un lavoro riguardante Premosello<br />
Chiovenda. L’autore vi dispiega un autentico gusto del<br />
raccontare, presentando, accanto agli avvenimenti «importanti»,<br />
piccoli fatti, notizie curiose, che di solito lo<br />
studioso accigliato disdegna, frammischiate a commenti<br />
spiritosi, f<strong>il</strong>astrocche e divertite riproduzioni del parlato<br />
locale, in capitoletti dal titolo spesso stimolante,<br />
con un equ<strong>il</strong>ibrio fra <strong>il</strong> serio e <strong>il</strong> faceto capace sia di interessare<br />
che di divertire.<br />
Don Angelo Airoldi (1923-1993), è autore di una<br />
Storia di Vogogna in due volumi, <strong>il</strong> primo concernente<br />
le vicende politiche e sociali, <strong>il</strong> secondo quelle religiose<br />
dell’antico borgo, un tempo capitale dell’Ossola<br />
Inferiore. Anche se la materia non ha ricevuto una perfetta<br />
elaborazione critica e st<strong>il</strong>istica, non è a questo che<br />
236<br />
Gianfranco Contini (1912 - 1990).<br />
dobbiamo guardare, bensì alla completezza delle informazioni<br />
e soprattutto all’intenso spirito di servizio nei<br />
confronti della Comunità che ha spinto l’autore a compulsare<br />
tutte le opere, dalle più ponderose ai più um<strong>il</strong>i<br />
opuscoli, per trarne con cura meticolosa tutte le notizie<br />
e tutte le opinioni sui punti controversi.<br />
Renzo Mortarotti (1920-1988), per <strong>il</strong> quale chi scrive<br />
conserva un reverente ricordo di alunno, è uno degli<br />
studiosi di maggior r<strong>il</strong>ievo di questi ultimi anni, autore<br />
di due notevoli opere: L’Ossola nell’età moderna, nella<br />
quale con st<strong>il</strong>e elegante e piacevole fornisce un quadro<br />
esauriente non solo delle vicende storiche, ma anche<br />
dell’ambiente, dell’economia, della cultura e dei costumi<br />
della popolazione, per cui questa opera si raccomanda<br />
come una lettura veramente indispensab<strong>il</strong>e per<br />
coloro che non vogliono che la parola Ossola rimanga<br />
una espressione puramente geografica. La seconda
opera è I Walser nella Val d’OssoIa, in cui la storia di<br />
questa popolazione alpina è presentata con dovizia di<br />
documentazione in uno st<strong>il</strong>e esemplare con pagine di<br />
grande efficacia descrittiva. Ma non si deve dimenticare<br />
GR-Grazia Ricevuta, con la quale Mortarotti, peregrinando<br />
di Santuario in Santuario e di oratorio in oratorio,<br />
propone gli ex voto più significativi, presenti nel<br />
territorio ossolano con un commento puntuale sul piano<br />
interpretativo e artistico.<br />
Sono queste opere la chiara testimonianza di un amore<br />
e di un interesse vasto e non occasionale per l’Ossola,<br />
in linea con la tradizione ormai più che secolare dei<br />
docenti rosminiani. Non possiamo inoltre non ricordare<br />
per <strong>il</strong> lustro che ne deriva all’Ossola Gianfranco<br />
Contini (1912-1990), <strong>il</strong> quale, sebbene sia stato portato<br />
dal suo genio di letterato lontano dagli interessi<br />
per l’Ossola (alla quale fu legato dalla vicende della<br />
Resistenza in qualità di membro della commissione didattica<br />
consultiva per la Zona liberata dell’Ossola), non<br />
dimenticò tuttavia la sua terra natia dando alle stampe,<br />
nei Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei,<br />
Gli statuti volgari Quattrocenteschi dei Disciplinati di<br />
Domodossola, già ricordati, e per compiervi l’ultimo approdo<br />
e restituirsi al suo grembo materno.<br />
Ma tra gli scrittori della seconda metà del XX secolo occupa<br />
un posto di primo piano <strong>il</strong> rosminiano Don Tullio<br />
Bertamini (nato nel 1924). A questo studioso, dotato di<br />
una vasta cultura e di molteplici competenze, dobbiamo<br />
la storia di V<strong>il</strong>ladossola (1976), di Tappia (1985),<br />
Montecrestese (1991), Castiglione (1995), Re (1996),<br />
Cimamulera (2001), Masera e i suoi statuti trecenteschi<br />
(2001), Cravegna (2002), Viganella (2003) e del<br />
Castello di Mattarella (2004). Da ricordare anche gli<br />
innumerevoli studi comparsi sull’Illustrazione Ossolana<br />
ed in seguito su Oscellana, la rivista da lui fondata nel<br />
1971. Degno di attenzione è anche l’Almanacco Storico<br />
che, dal 1984 esce annualmente e nel quale numerosi<br />
studiosi si occupano dei più diversi argomenti.<br />
237
“Walser”: gli uomini dell’alta montagna<br />
Enrico Rizzi<br />
Discendenti degli antichi “alemanni” di Tacito, i “Walser”<br />
sono scesi nel medioevo a ridosso delle Alpi Centrali,<br />
si sono acclimatati alle grandi altitudini nell’Alto<br />
Vallese (da cui derivarono <strong>il</strong> nome di “Walser”), e, tra <strong>il</strong><br />
XIII e <strong>il</strong> XV secolo, hanno dato vita alla più singolare<br />
delle imprese di colonizzazione.<br />
Dall’Alto Vallese piccoli gruppi di coloni si spinsero alla<br />
testata delle valli meridionali alpine, tra valle d’Aosta,<br />
Piemonte e Lombardia, e di qui via via nelle Alpi Retiche,<br />
nel Vorarlberg (Austria), fino al Tirolo. Cercavano<br />
contratti “nuovi”, più vantaggiosi di quanto non consentisse<br />
la tradizione feudale dell’asservimento dei contadini<br />
alla terra, per sfruttare le loro particolarissime ed<br />
ormai perfezionate capacità e tecniche di vita in alta<br />
quota. Grandi e piccoli monasteri alpini, mense vescov<strong>il</strong>i,<br />
capitoli canonicali – non meno che la nob<strong>il</strong>tà feudale<br />
arroccata alle montagne – fecero a gara nell’affidare<br />
ai Walser luoghi ancora largamente spopolati, affinché<br />
li dissodassero e riducessero a coltura.<br />
Con una diaspora durata tre secoli, che si allargò a macchia<br />
d’olio dall’Alta Savoia al Tirolo, i Walser fondarono<br />
i loro piccoli insediamenti sparsi alle falde delle<br />
grandi montagne, dove nascono i fiumi, strappando pascoli<br />
ai ghiacciai, costruendo casolari invernali e baite<br />
estive, ad una quota altimetrica considerata impossib<strong>il</strong>e<br />
dall’uomo di quel tempo, lungo le vie transalpine,<br />
sulle aeree terrazze delle “alte Alpi”, dentro valloni<br />
irraggiungib<strong>il</strong>i dalla pianura attraverso le gole tenebrose<br />
dei torrenti, in “valli divise dal resto del mondo per<br />
rupi tagliate a picco – come le descrive, ammirato, uno<br />
storico grigionese dell’ottocento – che accolgono coloni<br />
ai quali la primavera non offre alcun albero fiorito, né<br />
l’autunno delle spighe, ma le cui capanne sono piene di<br />
fieno prodotto da un’estate di pochi giorni”.<br />
La mappa delle colonie fondate dai Walser segue un an-<br />
damento dinamico tra <strong>il</strong> XII e <strong>il</strong> XV secolo, quando la<br />
loro diaspora può considerarsi storicamente conclusa.<br />
Una prima fase spinge dall’originario Vallese i Walser<br />
nell’Ossola, alla testata della valle della Toce (Formazza)<br />
e delle valli meridionali del Monte Rosa. Le fasi via<br />
via successive li spingono verso la fondazione di nuovi<br />
insediamenti, perpetuando un modello di migrazione<br />
ininterrotto per tre secoli, lungo itinerari che li hanno<br />
condotti a fondare oltre 150 colonie nell’odierno territorio<br />
di 5 stati alpini: Francia, Svizzera, <strong>It</strong>alia, Liechten-<br />
Architettura Walser.<br />
239
stein e Austria. La colonia di Formazza, la cui fondazione<br />
risale alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo, è<br />
stata a sua volta “colonia madre” di gran parte della colonizzazione<br />
orientale (nel territorio, oggi, dei Cantoni<br />
svizzeri del Ticino e dei Grigioni). Nell’alta val d’Ossola,<br />
accanto a Formazza, vanno annoverate le colonie di<br />
Salecchio (Premia) e di Agàro (Baceno). Tutt’attorno al<br />
massiccio del Monte Rosa, <strong>il</strong> popolamento in alta quota<br />
è stato opera dei Walser: da Ayas, Gressoney e Issime<br />
in val d’Aosta ad Alagna in val Sesia (con Riva Valdobbia,<br />
Rima, Carcoforo, Rimella, Campello Monti); e soprattutto<br />
con l’antica colonia di Macugnaga, sul versante<br />
ossolano, la cui fondazione risale alla metà del XIII<br />
secolo. La mappa walser nell’Ossola ricomprende anche<br />
la colonia di Ornavasso, nella Bassa Ossola, fondata<br />
a cavallo del XVIII-XIV secolo, e di Migiandone<br />
(un tempo comune autonomo, oggi frazione di Ornavasso).<br />
Quella dei Walser delle alte montagne, che<br />
vivono da otto secoli al cospetto delle grandi altitudini,<br />
rappresenta la più elevata (altimetricamente) componente<br />
del popolo alpino. Sepolti nell’isolamento del-<br />
Valle Anzasca: <strong>il</strong> museo Walser di Borca.<br />
240<br />
le alte valli, i Walser conservano ancora oggi la loro antica<br />
parlata germanica e tradizioni di vita che affondano<br />
in età remote. Mirab<strong>il</strong>i lo st<strong>il</strong>e di costruzione delle case<br />
in legno a tronchi sovrapposti, la loro fedeltà alle attività<br />
della terra, al diritto consuetudinario, alla lingua degli<br />
avi. La lingua walser appartiene al mondo linguistico<br />
tedesco ed è anzi una delle sue espressioni più arcaiche.<br />
Fa parte della famiglia linguistica “alto alemanna”, corrispondente<br />
all’area germanofona posta grosso modo a<br />
sud del Reno tra Svizzera e Foresta Nera. Apparentato<br />
all’ alemanno alpino e svizzero-tedesco delle montagne, <strong>il</strong><br />
walser ha mantenuto, chiuso tra le montagne, caratteri<br />
del tedesco delle origini e si caratterizza per una forte<br />
sonorità. Ma i Walser sono molto più di quella che può<br />
essere definita una minoranza di lingua tedesca in aree<br />
linguistiche diverse. Minoranza nelle minoranze, quella<br />
dei Walser non è una “enclave”, bensì un complesso<br />
di “enclaves” linguistiche ed etniche sparse in gran parte<br />
dell’arco alpino, che fa della loro antica piccola civ<strong>il</strong>tà<br />
un caso unico: quasi <strong>il</strong> prototipo degli uomini dell’alta<br />
montagna.
L’Ossola e <strong>il</strong> Sempione nei diari di viaggio<br />
Raffaele Fattalini<br />
Dalla sommità del passo del Sempione, la catena alpina<br />
con <strong>il</strong> suo enorme ammasso di cime innevate e rocce a<br />
picco sulle quali svettano la Jungfrau e <strong>il</strong> Finsteraarhorn<br />
delle Alpi Bernesi, offre a chi la contempla una visione<br />
della natura primordiale, tanto che al favolista Hans<br />
Christian Andersen parve addirittura di trovarsi di fronte<br />
la “spina dorsale del mondo”, “cimiteri di mastodonti<br />
e di animali antid<strong>il</strong>uviani” rincarò Théoph<strong>il</strong>e Gautier.<br />
Questo valico, che si apre a duem<strong>il</strong>a metri di altitudine<br />
tra le Alpi Pennine e quelle abitate dagli antichi Leponzi,<br />
era noto anche nell’antichità, benché la strada che vi<br />
saliva sia rimasta per lungo tempo nulla più di un semplice<br />
sentiero, dove potevano passare solo pedoni, muli<br />
e cavalli, e non senza rischio. I Romani, che assoggettarono<br />
l’Ossola pochi anni prima di Cristo, solo due secoli<br />
dopo - come ricorda la lapide di Vogogna - sistemarono<br />
<strong>il</strong> sentiero del Sempione lastricandolo con grandi<br />
pietre, di cui rimane ancora oggi qualche tratto.<br />
I primi “viaggiatori stranieri”, se così si possono chiamare,<br />
che attraversarono <strong>il</strong> Sempione - a parte i cacciatori<br />
che in epoca preistorica si istallarono all’Alpe Veglia<br />
- furono in epoca storica i Cimbri, almeno stando<br />
all’interpretazione che del famoso passo di Plutarco dà<br />
<strong>il</strong> rosminiano De Vit, al cui fianco si schiera - contro<br />
l’opinione del Mommsen - Carlo Carena, grande studioso<br />
dei classici. Leggiamo con Carena Plutarco (Vita<br />
di Caio Mario, 23), dove narra la traversata del Sempione<br />
di quei giganteschi e biondi germanici: “I barbari,<br />
per far mostra del loro vigore, sostenevano nudi le nevicate<br />
e si arrampicavano sulle cime attraverso i ghiacci<br />
e la neve alta; di lassù, ponendo sotto i corpi le ampie<br />
targhe (scudi) si lasciavano andare e scivolavano lungo<br />
i pendii delle rocce lisce, di cui non si vedeva <strong>il</strong> fondo”.<br />
Per poi scontrarsi vicino a Domodossola con i Romani<br />
del console Catulo, sconfiggendoli.<br />
Da escludere invece l’ipotesi suggestiva del passaggio di<br />
Giulio Cesare diretto in Gallia (De Bello Gallico, I, 10),<br />
ipotesi suggerita dall’assonanza dei nomi tra “Òcelum<br />
Lepontiorum” e Ossola dei Leponzi. Come pure quella<br />
dalla visita di San Francesco, nonostante <strong>il</strong> convento di<br />
Domodossola e l’affresco nella chiesa di Varzo.<br />
Nel Medioevo, dopo <strong>il</strong> transito di Papa Gregorio X <strong>il</strong><br />
quale, di ritorno dal Conc<strong>il</strong>io di Lione nell’autunno del<br />
1275, si inerpicò “discriminosis montis Brigiae pontibus<br />
se exponens” (rischiando la vita sui pericolosi ponti<br />
del monte di Briga”, come ha rivelato su Oscellana don<br />
Bertamini), è la volta di Francesco Petrarca. Che <strong>il</strong> poeta<br />
di Laura sia passato per <strong>il</strong> Sempione non è cosa certa,<br />
ma anche Gianfranco Contini non lo escludeva, citando<br />
<strong>il</strong> Borgese. Lo fa supporre <strong>il</strong> sonetto (CCVIII) che <strong>il</strong><br />
poeta dedicò al Rodano, che scorre nell’omonima valle<br />
al di là del passo.<br />
Fu nel Seicento che la strada del passo venne allargata.<br />
A pagare le spese fu <strong>il</strong> Barone Gaspar Stockalper di Briga,<br />
affinché potessero passare con maggiore sicurezza<br />
e fac<strong>il</strong>ità i suoi muli, stracarichi dei prodotti che quell’ab<strong>il</strong>e<br />
e ricchissimo uomo d’affari acquistava e rivendeva<br />
in vari paesi d’Europa. In quegli anni di meta Seicento,<br />
transitò per <strong>il</strong> Sempione e per l’Ossola <strong>il</strong> sacerdote<br />
inglese Richard Lassels, inventore dell’espressione<br />
Grand Tour, <strong>il</strong> quale comprese questo valico tra le cinque<br />
migliori via d’accesso all’<strong>It</strong>alia.<br />
Ma <strong>il</strong> valico del Sempione assurge a fama internazionale<br />
ai primi dell’Ottocento, precisamente nell’anno 1806,<br />
quando fu inaugurata la strada carrozzab<strong>il</strong>e voluta da<br />
Napoleone per motivi strategici. A pagare le spese, stavolta,<br />
furono gli <strong>It</strong>aliani, immortalati nell’epigrafe incisa<br />
nella roccia della galleria vecchia di Gondo. Il valico<br />
divenne da allora uno dei più frequentati delle Alpi,<br />
pred<strong>il</strong>etto dai viaggiatori del “Grand Tour”, che trova-<br />
241
Sempione. Galleria e Ponte di Ganther da un’incisione del Lorry.<br />
vano ospitalità e rifugio nell’Ospizio dei buoni e soccorrevoli<br />
Frati di San Bernardo, “un’oasi di pace circondata<br />
da cattedrali naturali”, secondo la felice espressione<br />
di Louis Tissonnier, giornalista dei nostri anni.<br />
Nel 1828 Stendhal, che vi era passato più volte, raccomandava<br />
senza esitazione questa strada, voluta dal suo<br />
idolo Napoleone, come la migliore tra Parigi e M<strong>il</strong>ano:<br />
“La strada del Sempione non è costeggiata da precipizi<br />
come quella del Moncenisio. Un’eccellente d<strong>il</strong>igenza vi<br />
conduce da Losanna a Domodossola, al di là del Sempione.<br />
Il conducente è persona compitissima; <strong>il</strong> solo<br />
aspetto della faccia tranqu<strong>il</strong>la di questo buon svizzero<br />
allontana ogni idea di pericolo”. E più avanti: “Nulla di<br />
più pittoresco che gli aspetti della vallata di Iselle, che si<br />
segue per giungere fino al ponte di Crevola, dove incomincia<br />
la bella <strong>It</strong>alia”. Lo stesso Stendhal, però, precisa<br />
in altra pagina: “Non bisogna nascondersi, lasciando<br />
Baveno per Domodossola, che <strong>il</strong> viaggio in <strong>It</strong>alia è terminato:<br />
si va verso <strong>il</strong> brutto”. Infelice apprezzamento.<br />
Lunga è la teoria dei viaggiatori <strong>il</strong>lustri che valicarono<br />
<strong>il</strong> Sempione per o dall’<strong>It</strong>alia. Ne hanno raccolto le testimonianze<br />
Marino Ferraris, Edgardo Ferrari, Enrico<br />
242<br />
Rizzi; anche le riviste locali “Oscellana”, “Almanacco<br />
storico ossolano”, “Lo Strona” e “Le Rive”, hanno pubblicato<br />
alcune di queste pagine “odeporiche”; ultima,<br />
ma non per importanza, è l’opera dello studioso ticinese<br />
Piero Bianconi, “Elogio del Lago Maggiore”, sontuoso<br />
volume mecenatizzato dalla Banca d’Intra nel suo<br />
primo centenario (1975).<br />
Ascoltiamo Lord Byron (1816): “Il Sempione è magnifico<br />
come natura e arte, Iddio e gli uomini vi hanno<br />
compiuto miracoli (chiaro riferimento alla strada napoleonica,<br />
ndr), per non dire del Diavolo, <strong>il</strong> quale deve<br />
certamente averci messo mano, o meglio uno zoccolo,<br />
in certe rupi e burroni tra le quali e sopra i quali passa la<br />
strada”. Tutto questo lasciò indifferente <strong>il</strong> giovane Chateaubriand,<br />
ma non John Ruskin, critico d’arte, che al<br />
cospetto delle Alpi Pennine, Bernesi e Lepontine svettanti<br />
intorno al valico si sentì allargare <strong>il</strong> cuore.<br />
Era triste Alfred de Musset quando, di ritorno da Venezia<br />
dove aveva subito <strong>il</strong> cocente tradimento della Sand<br />
con un giovane medico, saliva verso <strong>il</strong> Sempione. Giunto<br />
al ponte della Masone, a Vogogna, si fermò a contemplare<br />
<strong>il</strong> Monte Rosa, maestosa visione che si può
godere solo da quel punto della piana ossolana. Ancora<br />
oggi, naturalmente, chi passa in treno o in auto, lo può<br />
ammirare, rosea visione fugace di pochi istanti.<br />
Il più bel notturno che sia mai stato scritto sul Sempione<br />
lo dobbiamo a Charles Dickens, che vi salì in una<br />
notte di fine novembre del 1844, con la neve alta. Accompagniamo<br />
in d<strong>il</strong>igenza l’autore del David Copperfield<br />
(dove compare pur senza nome un riconoscib<strong>il</strong>issimo<br />
Sempione) lungo le Gole di Gondo: “La stupenda<br />
strada, dopo aver traversato <strong>il</strong> torrente su di un ponte,<br />
penetrò tra due muri massicci di rocce perpendicolari,<br />
i quali ci tolsero interamente la luce della luna e ci lasciarono<br />
solo la vista di alcune stelle, che br<strong>il</strong>lavano nella<br />
stretta striscia di cielo al di sopra di noi”. Una splendida<br />
alba rosa e azzurra accoglie al passo lo scrittore, che<br />
scende verso Briga: “Davanti a noi apparvero, scint<strong>il</strong>lando<br />
come oro e argento, le cupole e le guglie coperte<br />
di metallo e gialle, verdi e rosse di una città svizzera”.<br />
Gustave Flaubert valicò <strong>il</strong> Sempione alla vig<strong>il</strong>a del Corpus<br />
Domini del 1845 (<strong>il</strong> 22 maggio), notando che nei<br />
boschi che coprono i monti lungo la strada “non ci sono<br />
né orsi né lupi”. “Nelle vetture postali - scrisse seduto<br />
a fianco di “Madame Bovary” - sotto azzurre cortine<br />
di seta, si va su, al passo, per strade scoscese, ascoltando<br />
<strong>il</strong> canto del postiglione che si frange contro la montagna,<br />
con lo scampanio delle capre e <strong>il</strong> sordo rumore<br />
della cascata”.<br />
Benché fosse amico sincero di Rosmini, che su questo<br />
Sacro Monte aveva fondato <strong>il</strong> suo Ordine religioso nell’inverno<br />
del 1828, <strong>il</strong> Manzoni non venne mai a Domodossola,<br />
dove <strong>il</strong> suo grande sacerdote f<strong>il</strong>osofo aveva<br />
fondato <strong>il</strong> suo Istituto, e dove pure era nato un altro<br />
suo amico, <strong>il</strong> conte Giacomo Mellerio, Gran Cancelliere<br />
del Lombardo Veneto nei primi anni della Restaurazione<br />
(che Stendhal, per la verità, definì “un ricco bigotto<br />
m<strong>il</strong>anese” e ritrasse nella “Certosa di Parma” nella<br />
figura del vecchio marchese del Dongo). Si può aggiungere<br />
che <strong>il</strong> Manzoni soggiornò a lungo a Lesa, sul Lago<br />
Maggiore, nella v<strong>il</strong>la della sua seconda moglie, impegnandosi<br />
a difenderla dal passaggio della progettata linea<br />
ferroviaria Arona Domodossola, che avrebbe tagliato<br />
<strong>il</strong> parco retrostante.<br />
Un accenno almeno ai celebri disegnatori Lory, autori del<br />
“Voyage pittoresque de Genève a M<strong>il</strong>an par le Simplon”,<br />
e Brockedon, che con le loro raffinate stampe celebrarono<br />
la bellezza di questa valle in molti paesi del nord Europa.<br />
Un’eco internazionale <strong>il</strong> Sempione l’ebbe grazie all’impresa<br />
di Geo Chavez, pioniere dell’aviazione, che nel<br />
settembre 1910 trasvolò le Alpi per la prima volta, nel<br />
tragico volo Briga-Domodossola sopra “forre e gole e<br />
vortici e spavento / di precipizi dei ghiacciai e giganteggiar<br />
d’erte / roccie e improvvisi sib<strong>il</strong>i di vento!”, scrisse<br />
<strong>il</strong> Pascoli nell’inno all’“uomo alato”, che passò tra le<br />
aqu<strong>il</strong>e stupite e sulla testa di curiosi e giornalisti, tra cui<br />
Luigi Barzini del Corriere della Sera.<br />
Grande passo dunque <strong>il</strong> Sempione, attraverso <strong>il</strong> quale<br />
dal nord si scende verso <strong>il</strong> “paese del sole” e da sud<br />
si sale nel cuore dell’Europa. Domodossola deve parte<br />
della sua vitalità a questo passo, alla sua strada aperta<br />
nel 1805 e alla galleria ferroviaria inaugurata un secolo<br />
dopo, nel 1906. Nel poco noto Museo Sempioniano,<br />
custodito grazie alle cure dei Padri Rosminiani nel Collegio<br />
Rosmini di Domodossola, sono conservati cimeli<br />
delle titanica impresa: la perforatrice Brant-Brandau,<br />
Il ponte di Gondo.<br />
243
<strong>il</strong> teodolite, strumento ut<strong>il</strong>e per l’esatta direzione dello<br />
scavo, campioni di rocce e persino i menu del pranzo di<br />
festeggiamento, in cui figura la “pasta alla dinamite”.<br />
Oggi la cadenza secolare delle nuove vie di comunicazione<br />
sta per essere rispettata: è un augurio per <strong>il</strong> potenziamento<br />
dei due tunnel ferroviari attraverso i quali<br />
passerà presto <strong>il</strong> “Pendolino Transalpino”, figlio affrettato<br />
del mitico “Orient Express” e nipote della d<strong>il</strong>igenza.<br />
L’Ossola e i laghi Maggiore e d’Orta attendono i turisti,<br />
oggi come nell’Ottocento: rinnovati gli alberghi e<br />
La posta sulla strada napoleonica d’estate (acquerello di R. Salvadori).<br />
244<br />
le strade, immutata l’antica, elegante bellezza.<br />
“L’<strong>It</strong>alia incomincia a Domodossola”, scrissero, venendo<br />
dal Nord, i fratelli Goncourt, raffinati studiosi e resocontisti<br />
bizzarri. Coi tempi che corrono, viene da domandarsi<br />
dove finisca, l’<strong>It</strong>alia. Cesare Angelini, sacerdote<br />
e letterato, declinando l’invito a venire quassù, dove<br />
peraltro abitava <strong>il</strong> “letterato e amico Gianfranco Contini”<br />
e dove aveva “salutato l’ultima volta <strong>il</strong> poeta Clemente<br />
Rebora”, scrisse di non potere, per l’età, salire a<br />
“Domodossola, cioè dove finisce l’<strong>It</strong>alia”.
Tradizione, folclore e leggende<br />
Germana Fizzotti<br />
Ho cominciato <strong>il</strong>ludendomi di non dover far altro che<br />
pescare nelle numerose pagine di appunti tratti da scrittori<br />
non soltanto ossolani in precedenti laboriose ricerche.<br />
Poi, più volte ho abbandonato scoraggiata le mani sulla<br />
tastiera della macchina per scrivere che, essendo elettrica,<br />
durante <strong>il</strong> lungo lavoro «scottava» davvero, non soltanto<br />
eufemisticamente.<br />
Innumerevoli sono, in questa nostra piccola terra, le<br />
cose curiose, vere e fantastiche, dalle origini a giorni<br />
non molto lontani. Anche limitandosi al tema del titolo,<br />
tacendo le meraviglie naturali e della storia complicatissima,<br />
i dialetti molto interessanti, diversi da una<br />
valle all’altra, da una paese all’altro, oltre a quello inventato<br />
dagli emigrati di Varzo, che all’estero volevano essere<br />
capiti solo dai compaesani, molto resta ancora da<br />
dire. E spero che sarà detto in avvenire.<br />
Domodossola «piccola città» per tradizione<br />
Le più belle leggende e tradizioni si trovano in alto, sulle<br />
montagne e nelle valli; diminuiscono di numero, di<br />
stranezza, di «altezza» man mano che si scende al piano.<br />
Ma cominciamo naturalmente dal capoluogo che anche<br />
se circondato da cime innevate, è soltanto a 272 m.<br />
di altitudine. La nostra Domodossola in tutti i tempi è<br />
stata variamente guardata e descritta. Nei secoli scorsi<br />
un certo N.N. trovava che era una povera, piccola città,<br />
non trattata bene né dalla natura né dagli uomini;<br />
sparirà un giorno dal suol dove nessuna città importante<br />
potrà mettere radice. Appartenuta a tutti, spogliata delle<br />
foreste che la proteggevano, soggetta alle inondazioni,<br />
esposta nuda e debole al primo scontro con le acque,<br />
si nota perché vicino c’è una montagna sacra, oggetto<br />
di pii pellegrinaggi: si dice che alcuni fanno la metà del<br />
cammino sulle ginocchia, forse per guadagnare <strong>il</strong> perdono<br />
di grandi colpe: quelli che hanno solo dei peccatucci fan-<br />
no <strong>il</strong> pellegrinaggio sui loro piedi. Oggi i peccati si sono<br />
motorizzati.<br />
Un altro, Fréderic Mercey dice: Domo non offre niente<br />
di bello, la Valle d’Oscella è triste: (per lui gli Ossolani<br />
hanno facce patibolari, ma l’ex carcerato del quale racconta<br />
è di Varese); Louis Vignet assicura che si direbbe<br />
emigrata tutta di un pezzo dal profondo della Calabria<br />
ai piedi delle Alpi; ma si riferiva, allora, ai colori vivaci<br />
degli abiti e alle nostre processioni. Un altro scrittore,<br />
Paul Mie<strong>il</strong>le, la trova una bella città, soprattutto colpito<br />
dalla stranezza dei marciapiedi: due vie parallele formate<br />
da lastre bianche perfettamente unite, come si vede nella<br />
Piazza Mercato del sipario del Teatro Galletti esposto al<br />
Museo, dipinto dal pittore del Teatro Reale di Madrid,<br />
l’ossolano Bernardino Bonardi di Coimo. Il <strong>libro</strong> Le<br />
Simplon et l’<strong>It</strong>alie septentrionale scrive che la cittadina di<br />
Domo d’Ossola ha un aspetto curioso con le sue case ornate<br />
di colonnati, le sue strade con tende di tutti i colori, i muli<br />
bizzarramente bardati, le donne coperte da una mantella<br />
alla moda spagnola, e Théobald Wash la definisce semplicemente<br />
una bellissima piccola città.<br />
Per noi, è la nostra città. Scarsamente industrializzata,<br />
con un commercio che si avvantaggia ingannevolmente<br />
della posizione di frontiera, con una stazione e una<br />
dogana internazionali potenzialmente ma criticamente<br />
interessanti, è nel frattempo impoverita di alberghi che<br />
una volta, quando Domodossola aveva 4000 abitanti,<br />
erano grandiosi, imponenti e ricchi, mentre dal 1954,<br />
con 14.440 abitanti, a oggi con 18.865, gli alberghi si<br />
sono ridotti. Ma non è mai stata e non è assolutamente<br />
provinciale.<br />
Un artigianato “signore”<br />
Malgrado i secoli e i cambiamenti, ha conservato un’atmosfera<br />
aristocratica di tempi in cui l’artigianato era<br />
245
arte e i ricchi erano signori. I suoi operai-lavoratori specializzati,<br />
fabbri, orefici, falegnami, bottai, peltrai, orologiai,<br />
fotografi, che facevano degna corona a scienziati,<br />
medici, letterati, pittori, scultori e storici, da tutti<br />
le valli dell’Ossola si sparpagliavano in Germania,<br />
in Svizzera, in Francia, in America, in Spagna, e all’«estero»<br />
italiano. Avevamo perfino degli inventori:<br />
un Don Giovanni Bedone, morto a Bannio, costruttore<br />
del velivolo detto aerodinamo, un Cav. Bartolomeo<br />
Zanna di Zornasco, benemerito dei caloriferi, un Paolo<br />
Feminis di Crana creatore della famosa Acqua di Colonia<br />
di Giovanni Maria Farina, per accennare soltanto<br />
a qualcuno. Riportavano in Patria censo, onori, elargizioni<br />
e l’ambizione di fabbricare nei propri paesi palazzine<br />
con termosifoni, alte finestre incorniciate di<br />
stucchi, sale e camere ampie foderate di legno, arredate<br />
in liberty o con autentici mob<strong>il</strong>i ossolani antichi, o<br />
addirittura, come <strong>il</strong> Giovanni Jachetti del v<strong>il</strong>laggio di<br />
Mondelli, una piccola riproduzione della famosa Sala<br />
degli Specchi del palazzo reale in Versa<strong>il</strong>les. Avevano<br />
casa a Domodossola e v<strong>il</strong>lini o fattorie in campagna, a<br />
Bacenetto, S. Defendente, Calice, Caddo, al Roccolo,<br />
al Croppo, sul colle della Mattarella. Da Vagna scendeva<br />
a cavallo Giovanni Piroia Modini che dopo aver percorso<br />
a piedi tutta l’isola di Cuba con una cassetta di<br />
chincaglieria al collo, era divenuto vice-console del governo<br />
sardo-piemontese, prima di ritirarsi qui fra i «furmig<br />
rus».<br />
Molti i grandi benefattori, come <strong>il</strong> Gian Giacomo<br />
Galletti di Colorio in Bognanco S. Lorenzo, un genio<br />
della finanza, creatore della Fondazione Galletti dai<br />
molteplici scopi sociali, artigianali, culturali, che così<br />
dispose di aiutare oculatamente i compaesani, perché<br />
l’obolo del ricco non estingue la povertà. Anche <strong>il</strong> fumista<br />
Giuseppe Trabucchi di Malesco (già combattente con<br />
Napoleone <strong>il</strong> Grande) che con un lascito all’ospedale<br />
Beaujon di Parigi favorì gli operai vigezzini e piemontesi<br />
là emigrati. E altri. I nostri riportavano dall’estero<br />
oltre a onori e ricchezze anche priv<strong>il</strong>egi. I Vigezzini di<br />
Parigi, abitanti in «Rue des Lombards», nel 1613 ottenevano<br />
dalla regina Maria de Medici <strong>il</strong> libero traffico<br />
per i poveri merciai ambulanti. Uno spazzacamino<br />
al lavoro nel 1600 in un camino di Versa<strong>il</strong>les, raccontò<br />
al sovrano Luigi XIII di aver udito i dignitari congiura-<br />
246<br />
re ai suoi danni, e ne ottenne protezione per i compagni<br />
di lavoro; i suoi discendenti poi divennero gioiellieri<br />
di corte.<br />
Import-export di altri tempi<br />
Tutti riportano al paese d’origine valori che abbelliscono<br />
e arricchiscono le chiese. Gli scalpellini di Colloro,<br />
secondo la tradizione, portarono dalla Germania, nel<br />
1877, la nuova statua di S. Gottardo; da Roma una<br />
Madonna Nera di Loreto che frodò la dogana a Genova,<br />
perché la sua cassa venne dichiarata contenente fiori, e<br />
all’apertura fiori si videro, non si sa se per miracolo o<br />
se messi dai nostri a coprire l’opera d’arte. La Chiesa<br />
Maggiore di Craveggia fra i preziosi conta <strong>il</strong> manto funebre<br />
del Re Sole, alcuni pezzi della «Vita di Gesù» dipinti<br />
su tavole di rame dal fiammingo Franck, un ostensorio<br />
che ha l’uguale solo in Notre Dame di Parigi, un<br />
Crocefisso del 1300, ecc. Gli scalpellini di Mergozzo<br />
scavarono e lavorarono le 82 colonne di S. Paolo fuori<br />
le mura di Roma, ordinate da Papa Leone XII che<br />
diede la preferenza al granito bianco di Montorfano.<br />
Trasportate a mezzo di rulli alle grandi zattere della<br />
Toce, che fino alla prima metà dell’800 era navigab<strong>il</strong>e, e<br />
su queste al Lago Maggiore, proseguirono per <strong>il</strong> Ticino,<br />
<strong>il</strong> Naviglio, <strong>il</strong> Canale Martesana, <strong>il</strong> Po, fino a Venezia.<br />
Qui furono caricate su navi pontificie che costeggiando<br />
la Penisola, attraversato lo Stretto di Messina, giunsero<br />
al Lido di Ostia: dopo quattro anni. Di Candoglia,<br />
invece, è <strong>il</strong> marmo al quale si deve quella meraviglia<br />
del mondo che è <strong>il</strong> Duomo di M<strong>il</strong>ano, al quale la cava<br />
è stata esclusivamente destinata da Giovanni Galeazzo<br />
Visconti, nel 1386. La Società di San Giulio ad Anzola<br />
era l’antica confraternita degli scalpellini che nelle celebrazioni<br />
espongono un grande quadro del Santo, dono<br />
dei compaesani emigrati, i quali portarono anche, nel<br />
1858, una statua di Maria Assunta in rame e argento,<br />
in sostituzione del simulacro in legno antichissimo della<br />
Beata Vergine della Cintura. La storia dell’artigianato<br />
nell’Ossola è già una leggenda.<br />
Le vere leggende nascono in alto<br />
Cominciamo dunque dal Ghiacciaio del Gries, dove<br />
inizia la Toce «Toccia», «Tauxa», «Athison», «Tosa», che<br />
si forma poi a Riale di Formazza dalla confluenza dei
La m<strong>il</strong>izia di Calasca. La m<strong>il</strong>izia di Bannio.<br />
torrenti Hohsand, Gries e Roni. Si racconta di una città<br />
scomparsa, ricca e popolosa. Con salde mura, torri<br />
massicce, cupole ardite, palazzi, piazze animate, era una<br />
città opulenta che richiamava in folla mercanti di pelli,<br />
stoffe, tappeti, vasellame d’oro e d’argento, prodotti del<br />
Mediterraneo e d’Oriente. Tutti vi vivevano felici e contenti,<br />
ma nell’ovatta degli agi gli abitanti finirono per scordare<br />
la legge armoniosa che regge <strong>il</strong> mondo. Erano stati avvertiti<br />
che danzavano sull’orlo dell’abisso da colui che<br />
sempre deve camminare senza soste, forse l’Ebreo Errante<br />
dell’altra leggenda, <strong>il</strong> quale, ripassando m<strong>il</strong>lenni dopo,<br />
trovò solo le ultime vestigia della metropoli che, consunta<br />
da inguarib<strong>il</strong>e vecchiezza, era morta lentamente.<br />
L’ambiente però è rimasto impregnato di incantesimo.<br />
Non molti secoli fa un pastore fu attirato da una fata<br />
nel palazzo di cristallo sotto <strong>il</strong> ghiacciaio, e poi salvato<br />
dall’amore terreno della moglie, che lo aveva seguito<br />
grazie a un gomitolo srotolato del quale gli aveva annodato<br />
un capo alla cintura.<br />
Più sotto, è un incanto anche la Cascata della Toce, della<br />
Frua, sincope di Fruda, voce celtica che suona «cascata<br />
di fiume», 143 metri in tre salti, la più bella cascata<br />
dell’<strong>It</strong>alia settentrionale, ammirata anche da Wagner<br />
come uno straordinario spettacolo. Un’altra leggenda di<br />
ghiacciai, quella di Aurona, parla di un uomo scomparso<br />
misteriosamente trasportando dell’oro, forse in<br />
Svizzera.<br />
Anche l’oro è di casa nelle nostre montagne<br />
Come le fate, i folletti, le streghe, i nani. Pare che tutti<br />
i nostri monti ne celino, oltre quelli di Pestarena, le<br />
cui miniere erano sfruttate fin dal tempo dei romani, e<br />
quelle dei Cani, a Battiggio, proprietà di Facino Cane.<br />
Nelle miniere di Pestarena, si racconta, i fuochi fatui<br />
traggono luce dai luoghi dove esistono f<strong>il</strong>oni: ma forse<br />
quelle «fasèle» erano le lanterne di cercatori notturni<br />
clandestini, i quali dichiaravano di andare a pescare,<br />
tanto che una delle gallerie si chiama «Peschiera».<br />
Tra valle Antigorio e valle Divedro, <strong>il</strong> Cistella (tanto<br />
cantato al poeta G. Venanzio Barbetta dalla satira triste,<br />
che la leggenda dice morto sul Cistella e qui rimasto),<br />
oltre le streghe del lago di Crampiolo e le fate che stendono<br />
di notte <strong>il</strong> bucato, dicono che celi, sotto la neve<br />
mai disciolta completamente, molto oro e «cristalli carichi<br />
di luce dentro caverne e anfratti, granati, cornioli,<br />
zaffiri, turchesi».<br />
247
In Alpe Veglia, invece, <strong>il</strong> lago copre una povera fanciulla<br />
che camminando da Quartina a Nembro e a Punta<br />
Maror alla ricerca dell’innamorato perduto, qui cadde<br />
vittima del Maligno.<br />
In val Bognanco, addirittura era una grotta tutta<br />
d’oro, con un letto di sassi ma d’oro perfetto, scrive Don<br />
Biancossi, la dimora di un eremita misterioso che scendeva<br />
in paese solo per la festa.<br />
Nani, folletti, fate e streghe<br />
Si dice che i nani sono malvagi o buoni, le fate e le streghe<br />
sono spiriti della natura o dell’inferno, a seconda<br />
di come li guardiamo e vediamo: in un lampo di veggente<br />
immaginazione, o in uno specchio di cattiva coscienza.<br />
Gli alpigiani di Formazza, per esempio, quando<br />
passavano l’estate all’alpe con <strong>il</strong> bestiame, erano aiutati<br />
dagli «zwärgji», i nani, che davano una mano nei lavori<br />
di stalla. Ed era d’oro <strong>il</strong> carbone regalato alla donna<br />
di Macugnaga che aveva aiutato una nana a mettere<br />
al mondo un figlio; peccato che quella non vi credette<br />
e lo buttò.<br />
In Antrona, dove si dice che dalla Punta di Traggia all’Andolla,<br />
ai laghi di Camposecco e di Gingino, fin sulle<br />
creste di Lancino e di Lonzano gli spiriti del maltempo<br />
sghignazzano felici e maligni, e lottano fra loro<br />
scagliando fulmini e ghiaccioli, la tragedia della frana<br />
enorme del 1642 staccatasi dalla cima del Pozzuolo che<br />
seppellì la Chiesa, 42 case e 95 persone, è stata poetizzata<br />
dalla leggenda che la campana sommersa suoni dal<br />
fondo del lago per avvertire dei pericoli.<br />
In genere le leggende tristi e i loro misteriosi personaggi<br />
cupi e cattivi sono quelle d’influenza walser, ma anche<br />
in Val Vigezzo le streghe del «Pian di Stri», alle falde<br />
del Monte Gridone, sono descritte come malvagie megere<br />
grinzose. Ad Anzola, abitata da colonizzatori walser<br />
fuggiti da Migiandone e Ornavasso dopo la peste del<br />
1630, le streghe erano collegate al brutto tempo, abitavano<br />
sugli alberi della Tocetta e per preparare i temporali<br />
scivolavano a valle sedute su un’altissima pioda liscia<br />
a picco, «la pioda di strii». Ma vi erano anche gli allegri<br />
«cusch» burloni nascosti nella valle del Riale, forse<br />
non lontano dalla «Cà di donn», dove tenne bottega<br />
<strong>il</strong> primo calzolaio, un Cara, che un folletto invidioso<br />
costrinse a cambiare mestiere, rendendolo incapace,<br />
248<br />
dopo aver fatto la scarpa destra, di riuscire a fare l’altra:<br />
una leggenda che stranamente riecheggia molto la fiaba<br />
irlandese del Leprecano «<strong>il</strong> calzolaio singolo» che faceva<br />
una sola scarpa, la sinistra.<br />
Sono allegre anche le streghe che saltellano sulla neve<br />
ghiacciata, cantando melodie magiche, nel bosco della<br />
Sotta, a Trasquera, la cui chiesa è dedicata ai SS.<br />
Gervasio e Protasio come quella di Domodossola. Alla<br />
Pioda di Crana prendono forma di bellissime giovani e<br />
si riuniscono in varie notti della settimana, dopo l’Ave<br />
Maria, per chiassose riunioni. Scrive Riana a proposito<br />
de «ul pian di Lutt», tra S. Maria e Druogno, che si<br />
dice infestato: La paura è una potente creatrice di streghe<br />
e di fantasmi, così la superstizione; ma tutto ha una spiegazione<br />
e dove non si vede si deve aver fede. Il fallo che si<br />
attribuiscano alle streghe le grandinate e in genere tutte le<br />
disgrazie e le cose cattive, discende dagli antichissimi timori<br />
per i disastri causati dagli elementi, inspiegab<strong>il</strong>i, perciò<br />
attribuiti a entità malefiche. All’avvicinarsi della grandine<br />
si bruciavano i rami dell’ulivo benedetto la domenica<br />
delle palme e si suonavano le campane.<br />
Mostri, rett<strong>il</strong>i e fantasmi<br />
II fantasma di Cimav<strong>il</strong>la non è che <strong>il</strong> ritorno d’un uomo<br />
esoso e disonesto condannato a sorvegliare in eterno la<br />
«roba» alla quale era stato troppo attaccato: l’oro di Val<br />
Toppa, che da vivo aveva ceduto a una società mineraria<br />
inglese.<br />
In quanto ai mostri, Riana scrive che in valle Vigezzo la<br />
credenza di serpenti e rett<strong>il</strong>i favolosi forse derivava dai<br />
tempi preistorici in cui animali giganteschi vivevano in<br />
questi boschi. Due giovani di Albione assicurarono, alcuni<br />
secoli fa, di aver ucciso <strong>il</strong> drago di Genuina, mentre<br />
tornava dall’Ovigo dov’era volato a dissetarsi: aveva<br />
colori vivacissimi e ali di pipistrello. E ne mostrarono<br />
lo scheletro.<br />
Di fronte a Re e Folsogno v’era «l serpent d’la cresta» con<br />
quattro alette e la cresta rossa; sui monti di Malesco, la<br />
«Spersuria», temutissima dagli alpigiani; sotto Dissimo,<br />
in «la Costa», «l serpent da jugiàj» con testa quadrangolare<br />
e due occhiaie smisurate. In località Ca<strong>il</strong>ina di<br />
V<strong>il</strong>lette serpenti che con <strong>il</strong> loro sib<strong>il</strong>o incantavano gli<br />
uccelli. Sopravvivenza di ancestrali ricordi, di brontosauri<br />
che hanno lasciato tracce, come <strong>il</strong> drago di S. Giulio,
Macugnaga, battesimo Walser.<br />
del quale una gigantesca vertebra si trova nella bas<strong>il</strong>ica<br />
dell’Isola.<br />
Ancora di un mostro si parla ad Agaro, <strong>il</strong> bel paesino di<br />
valle Antigorio, dove si racconta anche di un tesoro nascosto,<br />
e vive una leggenda quasi uguale a quella, pure<br />
walser, di Quarazza di Macugnaga: «Hirli Herli», in cui<br />
un «gotwäegini» (nano) è innamorato di una bella ragazza<br />
che deve scoprire <strong>il</strong> suo nome per essere lasciata<br />
libera. È una fiaba che, con <strong>il</strong> «nanin Pirimpinella»<br />
si trova anche nelle classiche Vecchie e nuove storie dei<br />
più grandi favoleggiatori europei. Ad Agaro <strong>il</strong> mostro<br />
è <strong>il</strong> «Rapruaf», un animale fantastico che viene vinto<br />
da un toro, e un corteo di spettri che portano lo zaino<br />
sulle spalle forse rappresenta le anime di coloro che,<br />
partiti con un fardello di peccati, si recano in pellegrinaggio<br />
a deporli sulla vetta della misericordia divina.<br />
In questo paese la notte del 6 gennaio si festeggiava la<br />
«Bubriniaba» o sera delle maschere, durante la quale<br />
accadevano fatti strani e curiosi, per esempio parlavano<br />
le bestie.<br />
La leggenda dell’Uomo Selvatico<br />
Affini ai mostri e di origine pagana sono anche le leg-<br />
gende sugli Uomini Selvatici. Nella valle d’Isorno, la<br />
valle dell’Impossib<strong>il</strong>e, erano uomini che camminavano<br />
per ore senza parlare, fino al Larone, al Porcareggio, al<br />
Medaro: barbuti e pelosi erano in piena dimestichezza<br />
con tutti gli animali dei boschi. Non possedevano niente,<br />
eppure sapevano molto, l’arte di cuocere i formaggi,<br />
di far lievitare <strong>il</strong> pane, di guarire le bestie, di conciare le<br />
pelli, di fondere i metalli, e certe volte regalavano agli<br />
alpigiani pezzi di oro purissimo, del quale essi non sapevano<br />
che farsi, i saggi e intelligenti Uomini Selvaggi.<br />
Forse sono ancora essi che difendono la valle dell’Impossib<strong>il</strong>e<br />
dalle invasioni. Infatti la valle dell’Isorno, malgrado<br />
le centrali elettriche o forse per i loro divieti di<br />
accesso, è poco nota. Ha case antiche, un paesaggio orrido<br />
e maestoso all’inizio, poi dolce e riposante, e lo<br />
splendido pianoro Agarina, l’ultimo paradiso terrestre<br />
dai fiori strani e sconosciuti, in miniatura, e dai laghetti<br />
ignorati. Gli Uomini Selvatici, che si divertivano ai balli<br />
delle marmotte, stavano in dimestichezza con i camosci,<br />
ed erano più timidi delle lepri, assalivano i cacciatori<br />
quando li vedevano con i loro fuc<strong>il</strong>i. Ai monti Ri di<br />
Fuori, in val Calanca, un uomo selvatico regalava certe<br />
erbe che, messe in poca dose nel pentolone, davano al<br />
249
formaggio un sapore ed un profumo deliziosi.<br />
In valle Bognanco gli Uomini Selvatici abitavano ne «la<br />
cà di cusciui», e sono descritti come strani esseri dalle<br />
sembianze umane ma ricoperti di pelo. Non erano cattivi,<br />
ma era meglio non stuzzicarli. Come per gli uomini<br />
comuni, del resto. In questa valle si diceva anche che vagassero<br />
le anime del Purgatorio, «anim d’la frova d’Trignun»,<br />
la cascata dell’alpe Trignini, in cerca di una preghiera,<br />
un deprofundis, che anche altrove si recita per i<br />
morti apparsi in sogno.<br />
Ad Agro di Varzo l’Uomo Selvatico che non parlava<br />
con nessuno e solo ogni tanto si recava in Veglia, ma a<br />
casa aveva una moglie che teneva rinchiusa, è forse, reso<br />
leggendario, un personaggio vero, che assomiglia addirittura<br />
a Bertoldo; durante <strong>il</strong> bel tempo si mostrava triste<br />
per l’attesa delle intemperie, e quando queste arrivavano si<br />
rallegrava nell’attesa del bel tempo.<br />
A Ceppo Morelli, l’om salvac, grande e grosso, si faceva<br />
ospite della tana dei «Cucitt» un profondo pozzo tra<br />
Castiglione e Calasca, dalla quale usciva quando non<br />
c’era vento, per riscaldarsi al sole.<br />
A Salecchio gli Uomini Selvatici si chiamavano<br />
«Pubrina».<br />
Baceno della sua antica storia ha ritrovato due suole<br />
chiodate nella tomba di un uomo altissimo.<br />
Una magia particolare<br />
In quanto alla «lacomagìa», <strong>il</strong> sort<strong>il</strong>egio di Anzola che<br />
provocava grandi piogge, era opera di mercanti di legname<br />
egoisti, i quali, incuranti dei danni altrui, si servivano<br />
dell’acqua alta per trascinare a valle i loro tronchi<br />
d’alberi. Contro la «lacomagìa» si fece una causa a<br />
M<strong>il</strong>ano in Senato.<br />
In val Segnara di Anzasca la difficoltà del trasporto<br />
del legname era superata con «la serra», che incanalava<br />
i corsi d’acqua elevati con dighe senza causare danni.<br />
Esiste una leggenda che racconta d’un capo borratto<br />
ignorante e superstizioso <strong>il</strong> quale, prima di aprire la<br />
diga, si recò a fare la comunione e invece di inghiottire<br />
l’Ostia sacr<strong>il</strong>egamente mise la particola in tasca e la incastrò<br />
nella borra-guida persuaso di ottenere una buona<br />
riuscita del convoglio; invece <strong>il</strong> carico, giunto alla<br />
Cappella del Signore, puntando tutto in giro sgretolò <strong>il</strong><br />
terreno, dividendo in due <strong>il</strong> torrente che provocò molti<br />
250<br />
danni, lasciando però <strong>il</strong>lesa e isolata la Cappella.<br />
Invece nell’alta valle Anzasca, tra Macugnaga e Ceppo<br />
Morelli, <strong>il</strong> trasporto veniva effettuato grazie alla «cioenda»,<br />
ammirata e poi rimpianta da Antonio Stoppani.<br />
Era una via pens<strong>il</strong>e a piano inclinato, che aveva la forma<br />
di un palco senza fine e senza parapetto aggrappato alla<br />
roccia, composto di tronchi coperti da uno strato di terra e<br />
sostenuto da una puntellatura di altri tronchi. D’inverno,<br />
quando gelava, <strong>il</strong> pavimento terroso della loggia, che correva<br />
per ch<strong>il</strong>ometri e ch<strong>il</strong>ometri, coperto di neve, o anche<br />
semplicemente inzuppato d’acqua, si conveniva in un piano<br />
sdrucciolevole, lungo <strong>il</strong> quale scorrevano le borre. In<br />
fondo alla Valle <strong>il</strong> trasporto proseguiva sui barconi della<br />
Toce, che risalivano e scendevano la corrente trainati<br />
da cavalli sgroppanti sulle alzaie, guidati dai «navarui»<br />
scamiciati.<br />
Un mostro d’altro genere<br />
Ma a proposito di mostri, uno ben peggiore faceva a intervalli<br />
la sua apparizione in tutta l’Ossola, la peste.<br />
Nel 1513 la peste aveva distrutto in val Vigezzo le frazioni<br />
di Sagrogno e quella di Vallero di V<strong>il</strong>lette. Qui<br />
un palazzetto apparteneva a una famiglia ora estinta<br />
le cui origini risalivano al sacro romano impero, e<br />
si era rifugiato Calvino. Questi, in regione Rivoira di<br />
Masera, nella casa di certi Croppi, ora chiamata «la torre<br />
di Calvino», avrebbe trovato rifugio per tre giorni,<br />
dopo aver predicato la Riforma, minacciato dal popolo<br />
mentre era diretto, al principio del 1536, a Ferrara,<br />
alla corte di Ercole II d’Este. Olgia, dirimpetto al cupo<br />
Gridone, che oltre la peste subì frequenti incursioni vallesane,<br />
ed era sede di un corpo di guardia stipendiato da<br />
tutta la valle, ebbe addirittura un lazzaretto. Così Prestinone,<br />
la patria del grande pittore Carlo Fornara, dove<br />
<strong>il</strong> lazzaretto era «la cà an tè cu s’sént». È invece una leggenda<br />
che più in basso, nei pressi di Trontano, in frazione<br />
Creggio, la torre di segnalazione del XIII secolo<br />
abbia ospitato Fra’ Dolcino, da alcuni considerato «uno<br />
sfratato bastardo», da altri un riformatore che predicava<br />
la penitenza e <strong>il</strong> digiuno, bruciato vivo con la sua compagna<br />
dopo la tortura.<br />
La peste del 1630 seminò la morte a Crevola, <strong>il</strong> paese<br />
dove ai piedi del torrazzo di sei piani v’era <strong>il</strong> ponte<br />
di legno teatro di aspre battaglie tra ducali e vallesani,
sul quale 2000 di questi caddero nel 1487. Qui si racconta<br />
di due donne che si salvarono mettendosi in una<br />
buca coperta da un enorme pane bianco a peste finita.<br />
La leggenda del Diavolo e del Vento dice che avevano<br />
fatto <strong>il</strong> viaggio insieme, e sul ponte nuovo si fermarono<br />
perché <strong>il</strong> diavolo disse al suo compagno di aspettarlo<br />
mentre andava a prendere un’anima dannata. Ebbene,<br />
ne trovò talmente tante, che <strong>il</strong> Vento è ancora lì a soffiare<br />
sempre, spazzando iroso <strong>il</strong> ponte una delle rare opere<br />
dell’uomo che non risulti insignificante in mezzo a quelle<br />
della natura.<br />
Ad Anzola, nel 1364 per scongiurare la peste venne costruito<br />
l’Oratorio di S. Rocco (con la fontana che sopravvive).<br />
Fra le spese previste per la manutenzione della<br />
navigab<strong>il</strong>ità della Toce, per la difesa contro i torrenti<br />
e i Vallesani, per i tributi ai feudatari, erano preventivate<br />
anche quelle per i «bollettari», i monatti. Un oratorio<br />
al Santo della peste esisteva anche a Domodossola,<br />
in via degli Osci, dove sulla parete dell’ex-castello rimane<br />
ancora la scritta «Piazza S. Rocco».<br />
A Mergozzo, all’Età della Pietra, 4000 anni fa, un piccolo<br />
v<strong>il</strong>laggio su palafitte, dove si sono scoperte tre piccole<br />
necropoli, la piazzetta Marconi fu «la chiesa della<br />
peste». Nel 1630 <strong>il</strong> prete vi officiava la Messa per tutti<br />
gli ammalati che assistevano dietro i vetri delle finestre<br />
chiuse nelle case intorno. Alla fine i capifamiglia firmarono<br />
la pergamena del voto, con un atto civ<strong>il</strong>e che invocando<br />
la misericordia presentava la Comunità al Cielo<br />
e impegnava anche i figli e i figli dei figli a santificare<br />
la festa di S. Rocco, ogni 16 agosto, con una processione<br />
fino all’Oratorio presso la chiesa di S. Maria a<br />
Prato Scopello, e a celebrare ogni anno perpetuamente<br />
la festa di S. Carlo <strong>il</strong> 4 novembre. A Mergozzo allora<br />
si reinstaurò l’uso di presentare all’altare i «ginostri»,<br />
rami abbelliti con nastri variopinti e fiori, sui quali<br />
venivano infissi due limoni, simbolo della disinfezione<br />
dopo la peste e due scudi d’argento. La tradizione<br />
che dura tuttora antichissima, si dice risalga al culto romano<br />
della dea Cibele, fecondatrice delle forze della natura.<br />
I Romani, infatti, sembra fossero ben presenti sul<br />
Montorfano, dove, poco più in alto del v<strong>il</strong>laggio di S.<br />
Giovanni dalla bellissima chiesa romanica in pietra del<br />
XII secolo sorta sul luogo di una antecedente del VII si<br />
dice che sorgesse Stazzona, <strong>il</strong> municipio romano dive-<br />
nuto poi ducato longobardo verso <strong>il</strong> 584.<br />
Si salvò dal «cancro volante» la valle Anzasca, in quanto<br />
lo spettro della peste, affacciandosi sul Monte Moro,<br />
fu addolcito dal buon odore che saliva da Macugnaga,<br />
di pane (qui lo si cuoceva solo una volta all’anno) con<br />
siero di latte, profuso in elemosina, e tornò indietro. In<br />
definitiva, <strong>il</strong> merito si può attribuire ai nani, perché furono<br />
essi che insegnando ai Macugnaghesi l’arte di fare<br />
<strong>il</strong> burro, <strong>il</strong> formaggio, la ricotta, gli nascosero quella di<br />
ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> siero, proprio perché lo dessero ai poveri.<br />
Un’altra leggenda assicura che al v<strong>il</strong>laggio del Sempione,<br />
quello che vide <strong>il</strong> passaggio di tanti personaggi <strong>il</strong>lustri,<br />
come Maria Mancini nipote del Cardinale Mazzarino<br />
e Erasmo da Rotterdam che attraversando <strong>il</strong> passo diede<br />
inizio al suo Elogio della pazzia, la peste del 1630 infierì<br />
talmente che fu ordinato a ogni abitante ammalato<br />
di trasferirsi direttamente al cimitero per morirvi. A<br />
Cardezza i superstiti quasi pazzi buttavano i morti in<br />
un burrone. Anche la chiesa della Madonna della Neve<br />
di Domodossola ebbe fra i numerosi ex-voto un tempo<br />
esposti i quadretti della peste, perché la Vergine aveva<br />
compiuto molti miracoli. Il più noto è quello dei<br />
tempi in cui <strong>il</strong> Bogna scorreva tra <strong>il</strong> borgo e <strong>il</strong> colle di<br />
Mattarella, causando ripetute rovine. Quando la chiesetta<br />
rimase quasi sepolta dalla ghiaia alluvionale, <strong>il</strong> dipinto<br />
della Madonna dovette essere staccato dal muro<br />
e trasportato sopra, nella chiesa ricostruita; ebbene, per<br />
miracolo vi giunse assolutamente intatto fra lo stupore<br />
di tutti. I Domesi avevano fatto voto di celebrare ogni<br />
anno, <strong>il</strong> 19 marzo, alla Madonna della Neve, una Messa<br />
cantata in onore di S. Giuseppe, con processione del<br />
clero, delle autorità e del popolo.<br />
Il Diavolo e i Santi<br />
Dopo i mostri vennero i diavoli, che si trovano un po’<br />
dappertutto, perfino in un muro misteriosissimo in valle<br />
Antigorio, fra i pascoli di Arvenolo: un antico muraglione<br />
costruito con enormi blocchi e lastroni in pietra<br />
greggia d’una imponenza impressionante. La leggenda<br />
dice che fu <strong>il</strong> diavolo a costruirlo per collegare <strong>il</strong><br />
luogo con l’opposta sponda di Cravegna onde portarvi<br />
un’intera montagna sulle spalle per schiacciare i ribelli<br />
di Viceno e Mozzio. Stranamente, i diavoli in genere<br />
si sono collegati ai ponti: si appoggiano d’abitudine<br />
251
Valle Antigorio, Salecchio: la processione della Candelora.<br />
a quello del Riale dell’Inferno ad Anzola, e hanno dato<br />
<strong>il</strong> nome al magnifico ponte di Bugliaga di Trasquera, a<br />
1230 m alto sulla voragine, dove si racconta che nelle<br />
rocce e in quelle del Gnim vi sarebbero ancora gli anelli<br />
ai quali si attraccavano le barche quando la valle era<br />
un lago.<br />
A tutti i diavoli si contrappongono i Santi, ai quali l’Ossola<br />
è molto devota per una sua profonda religiosità che<br />
accoglie anche quelli nazionali e stranieri: S. Giulio e S.<br />
Giuliano erano greci; i patroni di Domodossola, Santi<br />
Gervasio e Protasio, furono i primi martiri della Chiesa<br />
M<strong>il</strong>anese; San Feliciano, del quale la Collegiata di<br />
Domo conserva <strong>il</strong> corpo, venne dal S. Castolo di Roma;<br />
e Sant’Antonio da Padova placa <strong>il</strong> maltempo e ferma le<br />
acque durante le piene ad Anzola, dove per S. Martino,<br />
l’11 novembre, giorno dei traslochi, in cui «us paga ul<br />
ficc di prai», già dal 1066 Grimaldo da Anzola portava<br />
venti libbre di formaggio al palazzo o castello del vescovo,<br />
a Domodossola. Dei S. Bernardo onorati nell’Ossola,<br />
quello di Mentone è nato ad Aosta, l’altro in<br />
252<br />
Francia, a Chiaravalle. A Capraga, dove per secoli, fino<br />
al 1967, durò la tradizione di distribuire in quel giorno<br />
<strong>il</strong> pane benedetto ai fedeli, S. Bernardo, nell’oratorio<br />
anteriore al 1500, si festeggia <strong>il</strong> 13 giugno. Qui nacque<br />
<strong>il</strong> Venerab<strong>il</strong>e Padre Generoso Fontana, che in una notte,<br />
sognando <strong>il</strong> Giudizio Universale, ebbe i capelli bianchi.<br />
Il Fondatore dell’Ospizio del Gran San Bernardo è<br />
patrono di Zornasco, che ottenne un osso del corpo del<br />
Santo. Nessuno l’ha mai visto, ma la tradizione assicura<br />
che l’osso misterioso al calar del sole del 15 giugno, festa<br />
del Santo, passi di casa in casa, restandovi un anno<br />
per famiglia. S. Abbondio di Masera, dell’abbandonata<br />
chiesa del 1000 con <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e romanico, è di Como.<br />
L’altro campan<strong>il</strong>e romanico famoso è quello della chiesa<br />
di V<strong>il</strong>ladossola dedicata a S. Bartolomeo, l’israelita<br />
apostolo di Gesù.<br />
Ma l’Ossola ebbe anche i suoi Santi locali, nonché i suoi<br />
Papi: <strong>il</strong> venerab<strong>il</strong>e Giovanni Toietti nato nel 1680 nella<br />
casa ancora esistente a Pianezza di Calasca; <strong>il</strong> Beato<br />
francescano Giovannino Minoia di Croveo; <strong>il</strong> Beato
Giovanni Testone di Bannio, le cui ossa vennero riportate<br />
al paese da Alessandria nella tasca del nipote, senza<br />
testa (aggiunta in seguito per la generosità di un marchese<br />
Gh<strong>il</strong>ini che la custodiva), <strong>il</strong> Beato G.B. Balconi,<br />
parroco a Zornasco dal 1732 al 1750, che dormiva in<br />
una bara; Don Lorenzo Dresco di Varzo, la cui nascita<br />
venne annunciata a una donna che raccoglieva foglie<br />
secche dal canto soave di un’anima del Purgatorio.<br />
Egli con le proprie mani, sasso su sasso costruì la curiosa<br />
e interessante chiesa di Crego, poi morì a Mozzio di<br />
Cravegna, dove la Madonna della Vita, nel Santuario<br />
in frazione Smeglio ha un quadro portato processionalmente<br />
dai Mozziesi emigrati nello stato pontificio, da<br />
Bologna, lungo la pianura padana, su un carro trainato<br />
da buoi. È venerato anche <strong>il</strong> Santo ciabattino di Varzo,<br />
Antonio Panighetti, sepolto nella parrocchiale di S.<br />
Eligio. I Papi sarebbero due: Innocenzo IX dei Nocetti,<br />
nato nel 1519 da genitori di Cravegna, che non volle<br />
mai lasciare <strong>il</strong> nome di Facchinetto, compiacendosi dell’um<strong>il</strong>e<br />
mestiere del padre, e quando fu in parrocchia a<br />
Domodossola, secondo la tradizione, ma non i documenti,<br />
avrebbe procurato alla nostra città <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di<br />
portare <strong>il</strong> SS. Sacramento nella processione del Venerdì<br />
Santo, durante la quale sembra che un confratello regolatore<br />
sollecitasse i partecipanti gridando: a vèghi mia<br />
che ul Signur l’è già su a cà dul diavul? Poi Papa Sisto V,<br />
già cardinale Felice Peretti, che si dice traesse origine<br />
dalla famiglia Peretti di Bracchio di Mergozzo.<br />
Feste religiose e processioni<br />
In tutta l’Ossola, per tradizione per assolvere ad antichi<br />
voti, per invocare l’aiuto divino contro i flagelli che dall’antichità<br />
hanno cambiato nome ma non frequenza, le<br />
processioni sono numerose. Quella da Domodossola a<br />
Bognanco, per devozione alle sante reliquie lasciate da<br />
un Vescovo di passaggio (abolita nel 1778, quando furono<br />
proibite le processioni fuori porta), è <strong>il</strong>lustrata nel<br />
quadro che si trova nella parrocchiale di S. Lorenzo,<br />
sullo sfondo della città circondata da mura quale era<br />
nel 1690.<br />
Dovevano essere, le processioni, una risposta cristiana<br />
alle superstizioni e alle paure di tutti i tempi.<br />
Gli Anzolesi, nel giorno di S. Marco, per antichissimo<br />
voto legato alla liberazione dai lupi che si trovava-<br />
no ancora sulle montagne, dedicavano a S. Giulio, uno<br />
splendido pellegrinaggio notturno, con tanti lumi tremolanti,<br />
che in barca faceva <strong>il</strong> giro dell’isola prima di<br />
sbarcarvi. Da Ornavasso, invece, <strong>il</strong> pellegrinaggio della<br />
Comunità annuale dell’8 maggio si recava alla Chiesa<br />
di S. Vittore, sull’Isola Bella del Lago Maggiore. Da<br />
Mergozzo, fino al 1600 inoltrato, <strong>il</strong> pellegrinaggio della<br />
comunità alla tomba di S. Giulio fu periodico per riconoscenza<br />
alla sua evangelizzazione. Secondo la leggenda,<br />
poi S. Giulio <strong>il</strong> 22 settembre del 344 celebrò la<br />
Messa a Pecetto, e un suo condiscepolo, nel 355, venne<br />
da certi giovinastri di Anzinell affisso a una pianta di<br />
castagne con un sasso al collo, così co là col capo in giù<br />
morì. Però ad Antrogna la prima chiesa di Calasca, la<br />
Chiesa Vecchia di Sant’Antonio Abate, sorse soltanto<br />
1000 anni dopo la morte dei Santi gemelli. In questo<br />
paese la superstizione, per chiedere acqua o dopo lunghe<br />
piogge, faceva deviare <strong>il</strong> Riale e scorrere <strong>il</strong> torrente<br />
per le strade fino a circondare chiesa e cimitero.<br />
Così per fede, alle processioni si aggiungevano le<br />
Rogazioni, un singolare cerimoniale che evocava <strong>il</strong> ricordo<br />
delle antichissime origini pagane delle piccole comunità<br />
contadine, con visite a oratori e cappelle nei confini<br />
della Parrocchia. A volte duravano giorni, e lungo<br />
i percorsi di questi riti propiziatori per la fert<strong>il</strong>ità della<br />
campagna, si distribuivano pane, risotto, formaggio. Ad<br />
Anzola, per le rogazioni di giugno, le donne portavano<br />
appesi al collo dei bozzoli di bachi da gelso come invocazione<br />
di una buona annata per la seta.<br />
Spettacolare era la solenne cerimonia che a Pontegrande,<br />
per la venuta del Vescovo, riuniva le processioni di tutta<br />
la valle, che giungevano con le donne in costume, le<br />
ragazze vestite di bianco e coronate di fiori, gli uomini<br />
delle confraternite che alzavano stendardi, croci, lanterne<br />
dorate e decorate, cantando. Se pioveva, le lunghe<br />
f<strong>il</strong>e acquistavano un particolare colore per lo sbocciare<br />
di centinaia di ombrelli rossi, verdi, arancione, gialli,<br />
a righe. Il sacerdote D. Giuseppe Salina, in arte <strong>il</strong> poeta<br />
Vittorio D’Avino, definiva queste processioni anche<br />
pericolose, perché costeggiavano burroni e precipizi e<br />
sovente i confratelli dovevano sospendere le litanie per<br />
correre in fondo a qualche vallone o internarsi in una<br />
forra a raccattare una vecchia o un bambino che vi erano<br />
precipitati rompendosi qualche osso. Non meno pe-<br />
253
Vagna, la tradizionale festa del Bambin Gesù con le cavagnette.<br />
ricolosa doveva essere la processione che da S. Lorenzo<br />
per <strong>il</strong> Passo del Fornalino si recava ad Antrona, e viceversa,<br />
per festeggiare <strong>il</strong> comune Patrono. L’ultima da<br />
San Lorenzo ad Antrona è del 1945; da Antrona a San<br />
Lorenzo si fece anche nel 1952, sotto la pioggia.<br />
Per non parlare di quella celebre che via Macugnaga da<br />
SaasFee - Zermatt si recava a Varallo, al Sacro Monte,<br />
per <strong>il</strong> Passo del Monte Moro. Il naturalista svizzero<br />
Désor avrebbe voluto seguire quel percorso, ma la guida<br />
Brauschen si rifiutò di accompagnarlo perché la strada<br />
era riservata ai pellegrini: per gli altri <strong>il</strong> ghiaccio sarebbe<br />
stato pericoloso. Ancora oggi, tanto suggestiva e<br />
folcloristica, si snoda ogni 3 febbraio la processione della<br />
Candelora, che sale a Salecchio di Formazza, <strong>il</strong> paesino<br />
d’origine antichissima, così caratteristico e strano,<br />
con le sue case vuote, <strong>il</strong> cimiterino abbandonato, come<br />
impietrito nel s<strong>il</strong>enzio. In quel giorno <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio disabitato<br />
si anima di tutti i salecchiesi emigrati nel mondo<br />
che ritornano per continuare la tradizione, partecipare<br />
alla Messa, alla benedizione delle candele e al pranzo<br />
caldo a base di polenta, salamini e formaggio.<br />
Note in tutta <strong>It</strong>alia sono le processioni di Re, in devoto<br />
omaggio all’affresco miracoloso della Madonna dal<br />
254<br />
quale sgorgò <strong>il</strong> sangue quando Giovanni Zuccone di<br />
Londrago, <strong>il</strong> 29 apr<strong>il</strong>e 1494, giocando alle piastrelle sulla<br />
piazzetta, lo aveva colpito con rabbia. Numerosi furono<br />
anche i pellegrinaggi dalla valle Anzasca alla Svizzera<br />
tedesca, a piedi, per devozione alla Madonna d’Einsiedeln<br />
o di Valdo, che qui stranamente ha diverse cappelle,<br />
con le effigi di San Meinrado assassinato dai briganti<br />
e San Corrado, che furono i fondatori del convento e<br />
del santuario di Einsiedeln.<br />
Ceppo Morelli, poi, si può dire <strong>il</strong> paese delle processioni:<br />
quella piccola la terza domenica di ogni mese, quella<br />
grande, per la Festa della B.V. Immacolata, che trasporta<br />
la bella statua, l’ultima domenica di giugno, attraverso<br />
<strong>il</strong> paese infiorato e addobbato, fino alla Madonna<br />
di Lourdes, poi per i prati, dietro antiche case; l’altra<br />
grande, delle Reliquie, la prima domenica di settembre,<br />
con <strong>il</strong> prezioso reliquiario. Poi, per la tradizionale<br />
commemorazione dei morti, che sono invocati quasi<br />
come Santi (o meurt jutèm) la processione al cimitero è<br />
seguita nel buio crepuscolo dal rosario recitato in corso,<br />
suggestivamente, dai parenti raccolti intorno alle tombe<br />
dei loro cari, infiorate dalle innumerevoli luci degli<br />
«ufiz<strong>il</strong>», i lumini di cera attorcigliati. Del resto, in tema
eligioso, Ceppo non è famoso solo per le processioni,<br />
ma anche per <strong>il</strong> sacrista che quando si svegliava, a qualunque<br />
ora della notte, andava a suonare l’Ave Maria<br />
e le donnine devote correvano fino alla chiesa, a lume<br />
di luna, e per l’organista che durante la Messa suonava<br />
Tutte le feste al tempio, e Libiam nei lieti calici, credendoli<br />
inni sacri.<br />
Le fonti e le erbe miracolose<br />
Oltre le processioni, i pellegrinaggi, le rogazioni, gli<br />
Ossolani hanno come rimedio ai loro mali fisici le acque<br />
minerali. Quelle di Bognanco, fatte conoscere dal<br />
Dr. Giacomo Albasini con un opuscolo pubblicato nel<br />
1849, per curare tutte le malattie di fegato; quelle ricostituenti<br />
del sangue e del sistema nervoso di S. Carlo<br />
in valle Anzasca, attualmente non ancora sfruttate benché<br />
Stoppani nel 1914 credesse nella loro efficacia e nel<br />
loro avvenire; la fonte termale nelle vicinanze dell’Alpe<br />
Monfracchio di Craveggia, già citata nel 1352, contro<br />
affezione rachitiche e malattie linfatico-glandolari; la<br />
sorgente dell’Alpe Veglia di Varzo, scoperta casualmente<br />
da due soldati nel 1879, la più elevata sorgente minerale<br />
d’Europa (m. 1813) dopo quella di Penticosa nei<br />
Pirenei, dalle acque acidule-ferrose-arsenicali; le buone<br />
acque di Baceno e Uresso; quelle ferruginose e famose<br />
di Crodo.<br />
E poi, da sempre gli Ossolani hanno fatto ricorso alla<br />
medicina popolare. Naturalmente, ai tempi in cui l’esercizio<br />
della chirurgia era affidato al barbiere che era anche<br />
sarto, trovava posto la superstizione, come nel caso<br />
delle ragnatele sulle ferite, dei pidocchi contro <strong>il</strong> mal<br />
di fegato, le lumache vive contro <strong>il</strong> mal di denti, ecc.<br />
Ma in genere si faceva uso di erbe medicinali di provata<br />
esperienza e reale beneficio. Non so del brodo di pollo<br />
per non fare la pipì a letto, ma è un fatto vero che<br />
l’alcool di arnica e <strong>il</strong> grasso di marmotta sono efficaci<br />
contro i dolori reumatici, l’olio di ipérico contro le<br />
scottature, le punture delle api contro la sciatica, <strong>il</strong> latte<br />
di donna contro <strong>il</strong> mal d’orecchi, l’aglio e l’erba ruta<br />
contro i vermi, <strong>il</strong> tiglio e la camom<strong>il</strong>la di montagna per<br />
guarire i raffreddori e <strong>il</strong> nervosismo, la menta per la digestione,<br />
i semi di lino macerati nell’acqua per rinfrescare<br />
l’intestino, l’olio di ricino caldo in impacco sulla<br />
pancia, e altri ancora. Del resto, l’uso di Bognanco<br />
di attaccare al collo, con uno spago, un pezzetto di carne<br />
di capra secca e salata, che <strong>il</strong> bambino succhiava, trovandolo<br />
saporito e gli rinforzava le gengive, è ben durato<br />
nei secoli con lo stesso principio e la sola sostituzione<br />
della carne secca con l’osso di seppia.<br />
Gli alberi sacri al popolo<br />
Anche gli alberi hanno sempre avuto molta importanza<br />
nell’Ossola, oltre <strong>il</strong> loro valore ecologico e materiale: una<br />
specie di culto faceva dei più imponenti <strong>il</strong> Municipio<br />
all’aperto in molti paesi. A Vigino era un enorme albero<br />
di noce. A Macugnaga presso la bellissima Chiesa<br />
Vecchia costruita dai Walser e <strong>il</strong> cimiterino delle guide<br />
alpine con le tombe <strong>il</strong>luminate di edelweiss e fiorite<br />
di picozze, un grande tiglio piantato nel 1200 raccoglieva<br />
sulla panchina attorno al suo tronco gli anziani<br />
a Consiglio. L’Università degli Uomini della terra di<br />
Anzola, al suono della campanella sedeva sul sagrato del<br />
S. Rocco costruito per scongiurare la peste del 1364,<br />
all’ombra sacrale del tiglio in mezzo alla piazzetta del<br />
«parlamento rustico». A Mergozzo, che risulta come<br />
Communitas Mergotii negli Statuti del 1378, l’olmo ai<br />
piedi del quale sedettero un tempo i Consoli, i dignitari,<br />
i magistrati del Borgo e i Credenzieri, è stato immortalato<br />
dal Pittore Carlo Cani di Novara nel quadro del<br />
1623 con la Madonna del Rosario ora in parrocchiale.<br />
Anche a Toceno le adunanze si tenevano all’aperto e alle<br />
sedute plenarie del Consiglio di Vicinanza erano ammesse<br />
anche le donne. Purché fossero vedove. Qui esiste<br />
ancora l’edificio costruito nel Medioevo per dar più<br />
solennità alla promulgazione degli Statuti. La Loggia<br />
de’ Bandi.<br />
Gli statuti<br />
I Comuni, infatti, a un certo momento della complicata<br />
storia ossolana, erano retti da Statuti interessantissimi.<br />
Quelli di Crodo comprendono anche norme di diritto<br />
pubblico, disposizioni di polizia rurale e forestale;<br />
quelli di Craveggia stab<strong>il</strong>iscono beneficenze, sovvenzioni<br />
ai poveri, letti all’ospedale di Domo; a Salecchio prevedono<br />
la pena del taglione per i feritori, la decapitazione<br />
per gli omicidi, la berlina e le catene per i bestemmiatori,<br />
l’amputazione delle mani e la forca per i ladri,<br />
la pubblica fustigazione in piazza per le adultere. A<br />
255
Bognanco, non per Statuto ma per usanza, fino al 1960<br />
i capifamiglia si assoggettavano alla «Giornata di prestazione»,<br />
dando un uomo per «fuoco» o pagando un sostituto,<br />
tre giornate all’anno, per la manutenzione delle<br />
alpi, delle corti e delle strade frazionali. Formazza,<br />
con gli Statuti del 1486, aveva giurisdizione autonoma<br />
con un proprio giudice chiamato Aman, coadiuvato<br />
da un consiglio di dodici credenzieri, detto Consiglio<br />
dei Dodici: un insieme di orientale, di biblico, di<br />
veneziano. A Premosello gli Statuti esistevano dal 1400;<br />
quelli nuovi del 1571 furono approvati dall’Università<br />
o Consiglio Maggiore all’ombra del tiglio secolare, in<br />
piazza, e vi si parla fra l’altro dell’esportazione di concime,<br />
del commercio di lumache, del divieto di gettare<br />
immondizie nel Riale.<br />
Usanze per battesimi, nozze, funerali e temporali<br />
In quanto alle usanze, che sono vecchie di secoli e alcune<br />
durano tuttora, molte sono comuni a quasi tutti i<br />
paesi. Per i matrimoni e i battesimi vigono i banchetti,<br />
la distribuzione di confetti, i doni. Dai funerali è quasi<br />
sparito <strong>il</strong> pranzo di chiusura, una volta giustificato dalla<br />
lontananza dei cimiteri, dal fatto che le bare erano<br />
portate a spalla e lungo <strong>il</strong> percorso per sentieri impervi<br />
era necessario sostentare i portatori con pane, formaggio<br />
e grappa; ma resta l’uso della distribuzione del sale.<br />
A Bognanco le massaie rimestando la polenta insaporita<br />
con quel sale recitano un requiem a suffragio del defunto.<br />
Qui si benedivano le salme, prima di rinchiudere<br />
la cassa, con tre spighe di grano intinte nell’acqua benedetta.<br />
Altrove si distribuiva anche riso e pane di segale<br />
(a Malesco perfino pasta arrostita) o «ris e lacc di<br />
meurt» ai poveri. A Calasca, la sera della vig<strong>il</strong>ia i ragazzi<br />
si recano di casa in casa recitando Calandrin, calandròt,<br />
oppure arsgignin, arsgignòt, par l’amur dul bambinot,<br />
ricevendo pere, mele, noci, castagne, torroni. La<br />
tradizione della «Carcavègia», manifestazione folcloristica<br />
di Colloro e Premosello, è un corteo di fine anno.<br />
Il nome si spiega a Calasca dove per antichissima tradizione<br />
si svolge alla vig<strong>il</strong>ia dell’Epifania e trae origine da<br />
una storia di Re Magi che giunti a Betlemme, seguendo<br />
la cometa, cercavano la capanna di Gesù chiedendo<br />
informazioni a una vecchia che li indirizzò in direzione<br />
opposta. Accortisi i magi ritornarono indietro e bru-<br />
256<br />
ciarono la casa della vecchia: se ti sevàt nuta, ti ghévat da<br />
sta citu. Nella stessa occasione in valle Vigezzo i ragazzi<br />
mettevano una scodella sul davanzale o una calza appesa<br />
alla cappa del camino per trovarvi, l’indomani, dei<br />
doni. Il rosario della sera dei Morti si recitava nelle stalle,<br />
mangiando castagne e, in valle Vigezzo, lasciandone<br />
per i defunti. In valle Anzasca quando muore un bambino<br />
le campane suonano a festa perché un nuovo Angelo<br />
è salito al cielo; una volta le salme dei piccoli venivano<br />
seppellite in un reparto riservato ad essi e ai sacerdoti.<br />
A Mergozzo, ai funerali di una ragazza nub<strong>il</strong>e venivano<br />
distribuiti dei confetti da sposa, una espressione così patetica<br />
e così alta a indicare con realismo la mancata festa<br />
di nozze per la vergine estinta o forse le nozze eterne alle<br />
quali la vergine è evangelicamente arrivata. A S. Lorenzo<br />
esisteva «la funtana di meurt», dove si lavavano esclusivamente<br />
gli ultimi indumenti e le lenzuola dei defunti.<br />
Anche a Domodossola, una volta, <strong>il</strong> due novembre i<br />
ragazzi della Motta uscivano a scèrcà par i povar mort e<br />
non si sa bene cosa ne ricavavano i morti, ma i ragazzi<br />
raccoglievano qualche spicciolo vendendo, per i cavalli,<br />
i pezzi di pane raccolti. Nella Settimana Santa, invece,<br />
da venerdì a domenica, quando le campane sono legate,<br />
per l’annuncio delle funzioni sacre i ragazzi portavano<br />
nelle strade, scuotendola, una specie di raganella,<br />
«la tarapèla», che si chiamava «tiratap» ad Anzola. In<br />
questo paese, nella chiesa di San Tomaso v’erano due<br />
soli banchi, per i notab<strong>il</strong>i; le donne più assidue si portavano<br />
l’inginocchiatoio da casa, e la sera di S. Giovanni,<br />
24 giugno, recavano in chiesa, nel grembiule del costume,<br />
un mazzetto raccolto secondo tradizionali criteri di<br />
scelta, per farlo benedire. I più rari erano i fiur di bèi<br />
oman. Un pizzico di quei fiori si bruciava sul «barnasc»<br />
(la paletta del camino) davanti all’uscio di casa per tenere<br />
lontana la losna (<strong>il</strong> fulmine). In Antrona funzionava<br />
la Elemosina di Santo Spirito (soppressa nel 1887) a<br />
favore della Congregazione di Carità e della cappellania,<br />
con l’obbligo al cappellano di far scuola ai più poveri,<br />
nella parrocchia di Montescheno.<br />
Per Ognissanti, di carnevale, e anche per S. Biagio,<br />
2 febbraio (dopo aver benedetto la gola all’altare) a<br />
Malesco ci si riuniva a mangiare i «runditt» chiamati<br />
anche «stinchèd», un impasto di farina di grano o frumento,<br />
sale e acqua, disteso in frittelle su pietra olla-
e leggermente scaldata, poi spalmate di burro e servite<br />
con bucalina ad vin da Pèl. In diversi paesi, come a<br />
Domodossola, si distribuisce per carnevale pulenta e sciriui,<br />
mentre a Cimamulera invece dei salamini v’è lo<br />
zampone. E via dicendo.<br />
E per chiudere...<br />
Nella Settimana Santa, i Frati del S. Monte Calvario di<br />
Domo, che abitavano a metà costa nel convento poi diventato<br />
caserma e ora rovina, offrivano un pranzo tutto<br />
di magro; per la Quaresima, invece, tra i priv<strong>il</strong>egi<br />
ossolani esisteva quello concesso dal cardinale Matteo<br />
Schinner, verso <strong>il</strong> 1515, di potersi cibare di latticini.<br />
A proposito del Calvario, così trascuratamente caro,<br />
Bazzetta assicura che esisteva una strana nota spese per<br />
un restauro nel XVIII secolo delle pitture e delle rimarchevoli<br />
statue nella Via Crucis che culmina, in alto, con<br />
<strong>il</strong> Paradiso e <strong>il</strong> convento dei Padri Rosminiani:<br />
“Corretti e verniciati i Dieci Comandamenti di Dio”; “abbellito<br />
Ponzio P<strong>il</strong>ato”... “Rimessa la coda al gallo di S.<br />
Pietro e raccomodata la cresta”; “riattaccato <strong>il</strong> buon la-<br />
drone alla sua croce e rimesso un dito nuovo”; “Dorata<br />
l’orecchia sinistra dell’Angelo Gabriele”; “pulita la serva<br />
del gran prete Caifa e messo del rossetto sulle guance”; “rinnovato<br />
<strong>il</strong> cielo, aggiunto due stelle, dorato <strong>il</strong> sole e pulita<br />
la luna”; “ravvivate le fiamme del Purgatorio e restaurate<br />
alcune anime”; “Rimesso a Lucifero una coda nuova”...<br />
“pulite le orecchie e riferrato l’asino di Balaam”; “rimesso<br />
alcuni denti a Erode”; “messa una pietra sulla fionda di<br />
Davide”; “ingrandita la testa di Golia e retrocesse le gambe<br />
dello stesso”; “rimessi i denti nella mandibola di Sanson”;<br />
“rattoppata la camicia del Figliuol Prodigo”; “lavati i porci<br />
e rimessa l’acqua sul loro truogolo”...<br />
“Totale £. 850”<br />
Ecco, questa è una piccolissima insignificante parte delle<br />
leggende, delle tradizioni, degli usi e del folclore di<br />
questa nostra piccola Ossola.<br />
Condensarli è stato un lavoro improbo; eliminare è stato<br />
penoso. Quindi, dell’incompletezza del sunto non ci<br />
scusiamo, ma ci serviamo per incitare altri a perfezionarlo<br />
e integrarlo in un’opera degna.<br />
257
Storia dei costumi<br />
Rina Chiovenda Bensi<br />
Una delle prime documentazioni sui Costumi femmin<strong>il</strong>i<br />
dell’Ossola, la dobbiamo ad Antonio Maria Stagnon,<br />
un artista del quale in Val d’Ossola è quasi sconosciuto<br />
anche <strong>il</strong> nome, pur essendo nato a Mondelli,<br />
piccola località della Valle Anzasca, ora appartenente al<br />
Comune di Ceppomorelli.<br />
Antonio Maria Stagnon nacque <strong>il</strong> 2 luglio 1751 1 , unico<br />
figlio maschio di Pietro Antonio.<br />
Il padre, dopo avergli insegnato l’arte dell’ “Incisione di<br />
sig<strong>il</strong>li” lo mandò a Parigi a perfezionarsi. Alla fine del<br />
1772 Antonio Maria tornò a Torino dove <strong>il</strong> padre gli<br />
cedette la sua Bottega per rientrare in Valle Anzasca.<br />
Con <strong>il</strong> trattato di Worms del 1743, l’Ossola fu incorporata<br />
agli Stati del Re di Sardegna e dopo questi avvenimenti<br />
politici, gli Stagnon specializzati in “sfragistica” 2 ,<br />
che già lavoravano a M<strong>il</strong>ano, e quelli provenienti dalla<br />
Valle Anzasca, si trasferirono a Torino per svolgere la<br />
loro particolare attività.<br />
“Antonio Maria Stagnon con patente del 4 apr<strong>il</strong>e 1774,<br />
ebbe <strong>il</strong> titolo di Regio Incisore di Sig<strong>il</strong>li…Come incisore<br />
in rame trattò molti generi; la geografia, <strong>il</strong> ritratto,<br />
l’araldica, <strong>il</strong> costume, i fregi, la vignetta”. 3<br />
Nel 1789 incise in 88 tavole a colori, le uniformi delle<br />
truppe del Re di Sardegna; ma <strong>il</strong> lavoro più importante<br />
per noi è:<br />
“Récue<strong>il</strong> Général des modes d’ hab<strong>il</strong>lements des femmes<br />
des Etats de Sa Majesté le Roi de Sardaigne”, un volume<br />
di 43 tavole, pubblicato in due edizioni e dedicato ad<br />
Adelaide Clot<strong>il</strong>de di Francia, Principessa di Piemonte<br />
dal 1775, per <strong>il</strong> matrimonio con <strong>il</strong> futuro Re Carlo<br />
Emanuele IV . Una copia, rarissima di questa opera è<br />
custodita presso l’Archivio Storico della città di Torino,<br />
e da una dedica conservata nella Miscellanea Vernazza<br />
presso la Biblioteca Reale, sempre a Torino, si desume la<br />
data della presentazione del primo volume, 1780.<br />
In questa pubblicazione Antonio Maria Stagnon dedicò<br />
all’Ossola ben 5 tavole, con i Costumi incisi in bianco<br />
e nero e a colori, ricche di particolari, che danno la<br />
possib<strong>il</strong>ità di studiarle e di imitare anche oggi i Costumi.<br />
I colori dei tessuti sono importanti perché permettono<br />
di evidenziare le singole peculiarità e come scrive<br />
Antonio Maria Stagnon alla Principessa, in una lettera<br />
di presentazione di questo suo lavoro, “i diversi colori<br />
ed i modelli contribuiscono a far conoscere i diversi caratteri<br />
della popolazione”.<br />
Alla Valle Anzasca, la sua Valle, l’artista dedicò due incisioni<br />
“Siora Marianna, habit de cerémonie de Ceppomorelli<br />
dans la Vallée Anzasca”, e “Manghin, boulangere<br />
de la Vallée Anzasca”.<br />
Poi incise “Barbna de Varzo dans la Vallée Dovedro<br />
dans l’haut Novarois au Semplon”, e “Brighita de Formazza<br />
pres le Canton d’Urj”, ed infine “la Siora Peppa<br />
de Craveggia dans la Vallée de Vigezzo”.<br />
I tratti del viso variano secondo l’atteggiamento della<br />
persona ritratta. La Siora Marianna, elegante e distinta<br />
è serena, indossa sul vestito una lunga giacca di colore<br />
rosso, guarnita come <strong>il</strong> grembiule ed <strong>il</strong> cappello con<br />
passamaneria dorata; la camicia è bianca e allo scollo si<br />
intravede una piccola croce, anche le scarpe con fibbia<br />
sono un elemento di distinzione come l’orologio ed <strong>il</strong><br />
cappello.<br />
Manghin, la portatrice di pane, invece è stanca ed affaticata,<br />
indossa un costume più modesto: <strong>il</strong> grembiule<br />
inizia all’altezza delle ascelle ed è fermato in vita da<br />
una fettuccia di lana a più colori, tessuta in casa, detta<br />
“Curungia”; sotto <strong>il</strong> grembiule si intravede la gonna,<br />
con uno spacco profondo sul davanti, presumib<strong>il</strong>mente<br />
necessario per affrontare una eventuale gravidanza; ai<br />
piedi Manghin porta delle calzature di stoffa, “Scufui”,<br />
e calze senza soletta, dette “Trausciuin”, che venivano<br />
259
usate in tutte le Valli dalle donne per non scivolare andando<br />
in montagna e per la raccolta del fieno.<br />
Barbna di Varzo, in Val Divedro, indossa un elegante<br />
Costume con un lungo grembiule che inizia all’altezza<br />
delle ascelle; la camicia e la cuffia sono di colore bianco,<br />
la giacca di mezzalana è rossa come <strong>il</strong> bordo del vestito.<br />
Anche <strong>il</strong> Costume di Brighita di Formazza è importante<br />
sia per <strong>il</strong> colore, sia per <strong>il</strong> modello: Brighita porta in<br />
testa una cuffia bianca e sopra uno spiritoso cappellino,<br />
secondo le usanze locali, come si può vedere anche<br />
nell’affresco della prima metà del 1600, nell’Oratorio<br />
di S. Maria ad Ant<strong>il</strong>lone, raffigurante un pellegrinaggio<br />
al S. Gottardo, affresco che rimane <strong>il</strong> documento<br />
più importante sul modo di vestire di questa comunità<br />
a quel tempo. Questa acconciatura causò nel 1718<br />
grosse liti religiose e diplomatiche tra <strong>il</strong> curato di Formazza<br />
Giacomo Costantino Jachino e le donne ed <strong>il</strong><br />
Procuratore della Valle, per “l’intollerab<strong>il</strong>e uso di certi<br />
cappelletti… cò quali appena cuoprono la sommità del<br />
capo con troppa abominevole indecenza al Sagro luogo<br />
e fonzioni ecclesiastiche…” Molte donne accettarono<br />
260<br />
subito <strong>il</strong> rimprovero del curato andando in Chiesa velate,<br />
con fazzoletti bianchi, mentre i Procuratori del Consiglio<br />
di Valle, risposero che “le donne di Valle Formazza<br />
vestono un abito che tutte le copre… e sogliono per<br />
costumanza loro, antichissima, a causa della rigidezza<br />
dell’aria, coprirsi <strong>il</strong> capo con una scuffia di tela bianca<br />
che… vi soprapongono una berettina di lana che copre<br />
la somità del capo… e con questo apparato sono state<br />
admesse alli sacramenti… e mai fu proibito l’uso di detta<br />
scuffia e berettina…”<br />
Questa controversia provocò spese e proteste. Venne<br />
nominato alla fine come arbitro, <strong>il</strong> marchese Paravicini,<br />
che <strong>il</strong> 2 maggio 1719 sapientemente eseguì le istruzioni<br />
del curato di Formazza, proponendo alle donne di<br />
aderire volontariamente alla Confraternita del S.S. Sacramento<br />
e di portare nelle funzioni “ <strong>il</strong> sodetto panno<br />
nel modo prescritto”. Con questo arbitrato del 1719,<br />
entrò nel costume di Formazza, da parte delle donne<br />
l’uso di portare in testa un telo bianco durante le cerimonie<br />
religiose.<br />
Il Costume più ricercato e ricco è quello della Siora
Peppa di Craveggia in Valle Vigezzo: ha <strong>il</strong> bustino stretto<br />
in vita da una preziosa cintura con la fibbia dorata;<br />
la giacchetta è decorata sia davanti, sia alle maniche con<br />
galloni ancora dorati; in testa sopra <strong>il</strong> foulard, annodato<br />
dietro la nuca, la Siora Peppa porta un cappello di<br />
feltro nero con la cupola “a testa piena “, bordato sempre<br />
con nastro dorato. Questi cappelli di forme diverse<br />
: a staio, a c<strong>il</strong>indro, acquistati in Francia e Germania,<br />
dove gli uomini emigravano per lavoro, in estate venivano<br />
sostituiti con altri di paglia finissima.<br />
I Costumi della Valle Vigezzo, la Valle dei Pittori, consistono<br />
in abiti eleganti, con gli stessi particolari incisi<br />
dallo Stagnon, ma confezionati con tessuti preziosi<br />
e come tali riprodotti dai Pittori locali, nei ritratti delle<br />
mogli, e di donne appartenenti a famiglie ricche, dipinti<br />
realizzati da:<br />
G. M. Borgnis (1701 - 1761), C. G. Borgnis detto Sparsicin<br />
(1734 - 1804), G. Rossetti (1759 - 1840-41), F.<br />
Giorgis (1828 - 1904) e da altri non meno importanti.<br />
Durante la ricerca presso gli antiquari, è stato possib<strong>il</strong>e<br />
conoscere quattro acqueforti, che ripetono gli stessi<br />
soggetti dello Stagnon, incise nel 1790 circa da Teodoro<br />
Viero, veneziano. Queste incisioni, pur ripetendo<br />
gli stessi soggetti, sono molto diverse: le donne hanno<br />
atteggiamenti eleganti, i colori ed i tratti sono pastosi<br />
e morbidi, mentre quelle incise dall’artista ossolano<br />
sono più rigide, meno espressive, ma più aderenti<br />
al modello.<br />
Sono sempre degli ultimi decenni del 1700 alcuni piccoli<br />
dipinti, custoditi presso <strong>il</strong> Museo del Paesaggio di<br />
Verbania, che riproducono i Costumi popolari di varie<br />
località 4 e tre riguardano l’Ossola: Donna di Macugnaga,<br />
la Paesana d’Introna Piana ( Antrona Piana), la Paesana<br />
di Bani (Bannio).<br />
Con <strong>il</strong> titolo “Donne di Val Anzasca” troviamo ancora<br />
una incisione del 1820 di Sergent Marceau (1751<br />
- 1847) che raffigura Manghin e la Siora Marianna in<br />
Costume, uguale a quelli incisi dallo Stagnon.<br />
Nel 1824 durante uno dei suoi annuali “viaggi di disegno”<br />
attraverso le Alpi, lo svizzero Samuel Birmann<br />
(Bas<strong>il</strong>ea 1793 - 1847), giunse in Val Formazza, dove disegnò<br />
e dipinse ad acquarello <strong>il</strong> Costume della donna di<br />
Formazza. Nell’ anno successivo raggiunse Macugnaga,<br />
e attratto dalla maestosità del Monte Rosa, disegnò la<br />
donna del luogo, con <strong>il</strong> vestito da lavoro 5 . Per la Serie<br />
Costumi Piemontesi, nel 1835, Francesco Gonin (Torino<br />
1808 - Giaveno 1889) incise la Donna di Bannio<br />
(d’Ossola) in costume, con un elegante grembiule, di<br />
colore azzurro-blu, decorato all’altezza del seno da una<br />
striscia orizzontale. Questa striscia detta “lista”, in alcuni<br />
grembiuli è ricamata, come si può vedere nel costume<br />
inviato nel 1881 a M<strong>il</strong>ano per l’ Esposizione Industriale<br />
<strong>It</strong>aliana, e attualmente conservato presso i Musei<br />
Civici G. G. Galletti di Domodossola, ed in quelli ancora<br />
gelosamente custoditi dalle donne della media Valle<br />
Anzasca e usati nelle più importanti festività 6 .<br />
Con grande sorpresa ad una mostra tenutasi presso <strong>il</strong><br />
Museo Cantonale d’Arte di Lugano nel 1994, comparvero<br />
alcuni disegni di Cam<strong>il</strong>le Corot sul modo di vestire<br />
delle contadine di Domodossola: “Paisanne de Domodossola<br />
vu de dos” conservato a Parigi, presso la Biblioteca<br />
Nazionale di Francia ed esposto a Lugano.<br />
“Contadina di Domodossola” vista davanti, riprodotta<br />
nel catalogo; ed un terzo disegno, solo descritto, depositati<br />
entrambi presso <strong>il</strong> Louvre; un quarto disegno è segnalato<br />
alla Yale University, ma non è descritto 7 .<br />
Sono disegni di estrema importanza sia per l’autore sia<br />
per <strong>il</strong> soggetto. J.B. C. Corot venne in <strong>It</strong>alia tre volte,<br />
nel 1825, nel 1834 e nel 1843; in un taccuino da viaggio<br />
accanto ai disegni, l’artista, come era sua abitudine,<br />
annotò l’itinerario, gli alberghi dove aveva alloggiato e<br />
le date. Giunto a Domodossola nel 1834, prima di passare<br />
<strong>il</strong> Sempione, diretto a Ginevra, prese alloggio presso<br />
l’Hotel di Spagna nell’antica piazza Castello <strong>il</strong> 6- 7<br />
ottobre. Pensiamo che si sia recato nella vicina piazza<br />
del Mercato e vedendo le contadine, ne abbia disegnato<br />
<strong>il</strong> vestiario, annotando i colori di ogni componente,<br />
annotazioni che permettono di avere un’idea precisa di<br />
come fosse l’abbigliamento nella forma e nel colore. E’<br />
interessante vedere <strong>il</strong> modello del cappotto a redingote,<br />
di colore verde scuro, aderente, con tre pieghe che iniziano<br />
sopra la vita e arrivano fino all’orlo; sotto la redingote<br />
si intravede una gonna lunga, blu chiaro, a larghe<br />
pieghe, che termina con una balza in fondo di colore<br />
rosso; ai piedi la donna porta calzature di stoffa, ed<br />
in testa un fazzoletto annodato dietro la nuca.<br />
Questo modello di cappotto lo si trova riprodotto nella<br />
litografia “Piazza Mercato a Domodossola” di I. Dol-<br />
261
y del 1839, e nella stampa “Femmes de Domod’Ossola”<br />
del 1830 circa, che ha come soggetto tre donne<br />
di cui una anziana, che indossa una redingote di colore<br />
verde scuro, uguale come modello al disegno di J.B.C.<br />
Corot.<br />
Infine è importante osservare la litografia “Domodossola”<br />
di A. Colin del 1830, che raffigura una giovane<br />
donna con un Costume, uguale come modello a quello<br />
indossato dalle due giovani riprodotte nella stampa<br />
“Femmes de Domod’Ossola”.<br />
Per celebrare un avvenimento tanto importante come<br />
l’inaugurazione della Galleria del Sempione, nel 1906,<br />
l’Illustrazione <strong>It</strong>aliana, Treves editore, pubblicò un numero<br />
speciale, “Il Sempione”, ricco di documenti e con<br />
la riproduzione di pastelli, dipinti e disegni. Il dipinto:<br />
“A Balmalonesca. La sposa del minatore” di Antonio<br />
Piatti, ed i pastelli “Ragazza dell’ Ossola” e “Contadina<br />
di Valle Anzasca” di Arnaldo Ferraguti 8 sono un’importante<br />
curiosità e servono a farci conoscere i Costumi<br />
ancora presenti in quel periodo ed indossati dalle donne<br />
della Valle Divedro e Valle Anzasca.<br />
Nel 1911 ricorrendo <strong>il</strong> cinquantenario dell’Unità d’<strong>It</strong>alia,<br />
venne organizzata a Roma, la mostra di etnografia<br />
italiana, per cui vennero raccolti ed esposti i Costumi<br />
di varie regioni italiane, alcuni autentici ed altri rifatti,<br />
tutti attualmente conservati presso <strong>il</strong> Museo Nazionale<br />
delle Arti e Tradizioni popolari di Roma. Per l’Ossola<br />
vennero raccolti i Costumi di Montecrestese, della Valle<br />
Antigorio, di Macugnaga, di Antrona Schieranco e di<br />
Antronapiana, di Masera e della Valle Vigezzo.<br />
Le donne in genere avevano un vestito che serviva per <strong>il</strong><br />
matrimonio e per le varie occasioni e come tale veniva<br />
conservato e tramandato, mentre per i lavori domestici<br />
usavano parti di qualche vecchio vestito.<br />
Alla fine del 1800 e all’inizio del 1900, i costumi dell’Ossola<br />
vennero fotografati, riprodotti in cartoline di<br />
vario tipo, quindi divulgati: troviamo quelle a colori del<br />
dr. Trenkler di Lipsia, che ci documentano ancora una<br />
volta sul modo di vestire delle donne della Valle Antigorio,<br />
della media Valle Anzasca, di Antronapiana, di<br />
Schieranco in Valle Antrona, di Masera, di Montecrestese<br />
e di Varzo.<br />
Generalmente queste cartoline erano in bianco e nero e<br />
quasi tutte portavano <strong>il</strong> nome dello stampatore o di chi<br />
le aveva ordinate: Pirola di Intra, Fumagalli di M<strong>il</strong>ano,<br />
Menapace e la Cartografica Antonioli di Domodossola,<br />
sono i nomi di alcuni stampatori. In particolare <strong>il</strong> Costume<br />
di Macugnaga riprodotto in bianco e nero da C.<br />
Colombo, in una cartolina dell’ inizio del 1900, è uguale<br />
non solo come modello, ma anche nelle singole parti,<br />
a quello che le donne indossano attualmente per le<br />
processioni, le riunioni e per ogni avvenimento importante:<br />
si tratta di uno scamiciato nero di tessuto raffinato<br />
con un “corpetto” di velluto ricamato con f<strong>il</strong>i d’oro,<br />
riproducenti spighe, stelle alpine, non ti scordar di me,<br />
i fiori che crescono in quella località. I corpetti antichi<br />
invece hanno ricami baroccheggianti oppure recano le<br />
cifre della proprietaria e fiori riuniti alla base in una coroncina.<br />
Questo scamiciato viene indossato su camicie<br />
bianche, con <strong>il</strong> colletto ed i polsini di merletto fatto a<br />
mano; un soprabito aperto davanti, un fiocco con un<br />
nastro vivacemente colorato, uno scialle appoggiato sul<br />
fianco sinistro, completano l’abbigliamento.<br />
Ma <strong>il</strong> costume più interessante per noi è quello di Antronapiana,<br />
usato fino al 1930 circa, prima che venisse<br />
sostituito da quello che le donne di una certa età portano<br />
ancora oggi: “la vesta”.<br />
“Arcum” o “Awsti” era <strong>il</strong> nome dialettale del vecchio<br />
scamiciato di colore marrone, con l’orlo rifinito da una<br />
fettuccia di lana color senape, tagliato e cucito da un<br />
sarto residente in paese. Il tessuto usato era la mezzalana<br />
(ordito di canapa e trama di lana) che veniva follato<br />
in Valle e tinto secondo l’usanza popolare, per mezzo<br />
di un bagno prolungato in acqua in cui era stato bollito<br />
<strong>il</strong> mallo di noce. Questo scamiciato liscio davanti e ricco<br />
di pieghe nella parte dorsale, veniva indossato su rustiche<br />
camicie bianche, di canapa, coltivata, f<strong>il</strong>ata e tessuta<br />
in Valle, decorate sulle spalle e all’attaccatura delle<br />
maniche con strisce di congiunzione di “Puncèt - Riséla”;<br />
davanti veniva messo un grembiule che iniziava sotto<br />
le ascelle, boleri (giacot), giacche (trakuté), cappotti<br />
(giaca), e scarpe (cauzeramin) completavano questo<br />
singolare vestiario di cui si conservano in paese molti<br />
esemplari.<br />
Fa parte del costume di Antronapiana “<strong>il</strong> Puncetto” la<br />
preziosa trina ad ago che le Antronesi usavano ed usano<br />
per decorare le camicie e parte della biancheria di casa,<br />
trina ricca di fascino propria della Val Sesia, dove viene<br />
263
chiamata “Puncèt” perché è un insieme di tanti piccoli<br />
punti: in un centimetro quadrato di finissima trina,<br />
si contano innumerevoli nodi, è detto Riséla ad Antronapiana,<br />
unica località della Val d’Ossola, dove è conosciuta,<br />
lavorata ed usata.<br />
Con <strong>il</strong> progresso, l’industrializzazione, i mezzi di trasporto<br />
ed <strong>il</strong> lavoro femmin<strong>il</strong>e, le donne delle valli alpine<br />
hanno abbandonato questo modo di vestire che rappresentava<br />
un impegno, adeguandosi all’abbigliamento<br />
del fondovalle o della città.<br />
Dopo un periodo di stasi, sono tornati <strong>il</strong> desiderio e la<br />
moda del Costume, che viene indossato con entusiasmo<br />
anche dalle donne giovani. Sono Costumi Folk,<br />
diversi da ogni località o gruppo; prevale nel vestiario<br />
la camicia bianca ed elemento comune rimane <strong>il</strong> grembiule,<br />
ricamato con fiori, che a volte si identifica con <strong>il</strong><br />
gruppo stesso.<br />
Questa moda stimola la ricerca e compaiono “pezzi di<br />
vestiario” che appartenevano alle madri e alle nonne,<br />
che si sostituiscono a quelli recenti.<br />
Scrive G. P. Gri: “ci si veste operando delle scelte e obbedendo<br />
a dei modelli. L’ abbigliamento di una comunità<br />
alpina è uno specchio che rimanda ai confini, ai<br />
valori e agli orientamenti dei diversi gruppi che la co-<br />
264<br />
stituiscono. Dietro <strong>il</strong> quadro del vestire, si può leggere<br />
<strong>il</strong> linguaggio della comunità tradotto in forme, colori,<br />
tessuti…”<br />
Note<br />
1 Nato nel 1751 - morto 1805. Gli ultimi Stagnon risiedevano a<br />
Moncalieri (To)<br />
2 Sfragistica: disciplina che studia i sig<strong>il</strong>li dal punto di vista tecnico,<br />
artistico e storico, sig<strong>il</strong>lografia. Garzanti D. 1993 p. 1786<br />
3 Schede Wesme, L’Arte in Piemonte dal 16° al 18° secolo vol. 3°<br />
p. 1007<br />
4 Kannès Gianluca, Costumi popolari e Ricerche etnografiche in<br />
Piemonte, precedenti alla mostra del 1911 in Abbigliamento tradizionale<br />
e Costumi popolari delle Alpi. Torino 1994 p. 159<br />
5 Rizzi Enrico, I Walser, Fondazione Monti, Tip. Saccardo 2003,<br />
p. 133<br />
6 Esposizione Industriale <strong>It</strong>aliana 1881 M<strong>il</strong>ano.<br />
7 Pomarède Vincent, Corot (Parigi 1796 - 1875) Leonardo Arte,<br />
M<strong>il</strong>ano 1996. p. 101<br />
M. Kahn-Rossi, <strong>It</strong>inerari sublimi, Viaggi d’ Artisti tra <strong>il</strong> 1750 -<br />
1850. Skira edit. M<strong>il</strong>ano 1998 pp. 247- 267<br />
8 Antonio Piatti Viggiù (Varese 1873 - vivente nell’ anno 1934)<br />
Arnaldo Ferraguti (Ferrara 1862 - Forlì 1925)<br />
Riccardo Salvadori (Piacenza 1866 - M<strong>il</strong>ano 1927)<br />
9 Tutte le note bibliografiche inerenti le ricerche sono pubblicate<br />
nella Rivista Oscellana.<br />
10 Gri G.P. “Il Costume specchio della Comunità” in “L’ Alpe” n. 4<br />
Priuli e Verlucca Editori 2001 To
Attività umane e tempo libero
Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />
Umberto Chiaramonte e Sergio Lucchini<br />
Premessa<br />
Nel ricostruire la storia della Val d’Ossola alcuni autori<br />
hanno messo in r<strong>il</strong>ievo l’esistenza di attività lavorative<br />
di un certo spessore sin dai tempi più remoti. Basandosi<br />
su documenti scritti o su ritrovamenti archeologici,<br />
l’Ossola è stata descritta come una regione di antichissima<br />
tradizione mineraria di ferro, di oro, di cave di pietra<br />
e marmo e di acque minerali. In altra parte di questo<br />
volume si potranno trovare i riferimenti di quanto qui<br />
si va dicendo, tenendo conto che c’è disparità di vedute<br />
sulla datazione di questo sfruttamento minerario. 1<br />
L’esistenza sin dai tempi antichi di un gran numero di<br />
ruote idrauliche ad asse orizzontale, dimostra che nel<br />
territorio furono attivi magli, seghe per la lavorazione<br />
del legname, mantici per forni fusori e mulini per la<br />
macinazione di cereali, grazie ai numerosi corsi d’acqua<br />
della regione. Certamente nel XVII secolo queste attività<br />
erano molto elevate per numero. 2 Accanto ad esse,<br />
<strong>il</strong> sistema agricolo ossolano risentiva di una perenne staticità<br />
dovuta a oggettivi limiti posti dalla morfologia del<br />
territorio montano e dalla chiusura ad ogni innovazione.<br />
Se l’allevamento del bestiame, accanto al patrimonio<br />
boschivo, costituì per secoli una fonte di reddito,<br />
non sempre esso ebbe un impulso adeguato.<br />
Resta da sciogliere <strong>il</strong> nodo della mancata affermazione<br />
della sericoltura con la coltivazione del gelso per i bachi<br />
da seta, che in Piemonte e nella confinante Lombardia<br />
era stata causa dell’impulso economico. È certo che le<br />
ragioni del mancato sv<strong>il</strong>uppo agrario ossolano siano da<br />
ricercare anche nella scarsa disponib<strong>il</strong>ità di capitali dei<br />
quali, in una zona montana, impervia e irrigua, occorreva<br />
una discreta quantità per le anticipazioni fondiarie.<br />
Gli investimenti degli agricoltori si erano limitati sempre<br />
alla costruzione delle abitazioni, delle stalle e ad alcuni<br />
indispensab<strong>il</strong>i arnesi da lavoro, mentre mancarono<br />
i lavori di arginatura dei fiumi e la scelta qualitativa per<br />
la riproduzione dei capi di bestiame. 3<br />
A ragion veduta si può parlare di un lungo periodo caratterizzato<br />
da una arretratezza economica che trovava<br />
qualche attenuazione soltanto nella emigrazione verso<br />
i paesi europei più vicini (Francia e Svizzera). Eppure<br />
la Val d’Ossola possedeva alcune risorse naturali che<br />
avrebbero potuto consentire uno sv<strong>il</strong>uppo ancora impensab<strong>il</strong>e<br />
se a quanto si è detto si aggiungono altri fattori:<br />
l’essere al confine con la Svizzera e trovarsi sulla direttrice<br />
di traffici commerciali legali alla Lombardia e al<br />
Piemonte; poter contare su una mano d’opera che da<br />
secoli aveva avuto una tradizione nella lavorazione del<br />
ferro e dell’oro.<br />
Ragioni di spazio non consentono di presentare un<br />
quadro sintetico della dinamica dello sv<strong>il</strong>uppo ossolano<br />
dall’antichità in poi, per cui tralascerò <strong>il</strong> lungo periodo<br />
caratterizzato dalla stagnazione e dalla arretratezza<br />
e mi soffermerò sugli ultimi cento anni di storia nazionale,<br />
quelli che coincidono con <strong>il</strong> «decollo industriale»<br />
del Paese.<br />
I «prerequisiti» dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
Preliminarmente è bene dire che è diffic<strong>il</strong>e collocare con<br />
precisione <strong>il</strong> periodo in cui ci fu <strong>il</strong> passaggio dalla forma<br />
artigianale a quella che Franklin Mendels ha definito<br />
protoindustria. Con la dovuta cautela e con l’accortezza<br />
che ogni territorio ha storia e situazioni singolari,<br />
si potrebbe ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> modello studiato da Maths Isacson<br />
e Lars Magnusson per la parrocchia di Mora (Svezia).<br />
Come in quel territorio così in Val d’Ossola si poteva<br />
ritrovare la presenza centenaria di attività artigianali,<br />
la lavorazione del ferro, un progressivo, anche se lento,<br />
incremento demografico, un’agricoltura assai povera<br />
con piccoli appezzamenti e molti eredi. 4<br />
267
A ben guardare, le attività minerarie nel nostro caso erano<br />
ancora più accentuate se alle già citate si aggiungono<br />
le risorse idrauliche che con lo sfruttamento per l’energia<br />
elettrica diverranno un altro punto di forza per lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo industriale. Diciamo che <strong>il</strong> salto di qualità cominciò<br />
ad aversi con l’affermarsi di alcune idee innovative<br />
da parte della borghesia di recente formazione che<br />
aveva accumulato capitali ed esperienze nell’emigrazione<br />
o nella proprietà boschiva. Entrarono allora nell’Ossola<br />
capitali freschi che si trasformarono in lavori ed<strong>il</strong>i,<br />
in scuole e chiese, ma anche in nuove risorse finanziarie<br />
per le ricerche minerarie.<br />
Alla fine del ‘700, grazie all’intraprendenza di Pietro<br />
Maria Ceretti, si verificò una decisiva svolta nell’economia<br />
locale quando fu costituita la prima società e fu<br />
fondato <strong>il</strong> primo stab<strong>il</strong>imento per la lavorazione della<br />
ghisa in un forno di Viganella, alimentato dal carbone a<br />
legna. A quell’esperienza, continuata e migliorata negli<br />
anni successivi, noi possiamo attribuire quel ruolo decisivo<br />
che lo storico Luciano Cafagna ha definito partenza<br />
da lontano dell’industrializzazione italiana. Il Ceretti<br />
è senz’altro da annoverare tra quegli imprenditori che<br />
nella storia d’<strong>It</strong>alia sono stati visti come gli artefici della<br />
modernizzazione del nostro paese 5 .<br />
Non è compito mio definire qui <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o imprenditoriale<br />
del Ceretti (cosa che non coincide soltanto con<br />
la ricostruzione delle vicende della sua fabbrica, come<br />
è stato finora tentato), ma si deve sottolineare che uno<br />
dei suoi meriti fu quello di poter contare su capitali personali<br />
e su una dose cospicua di rischio. La sua azione<br />
non va decontestualizzata dalla schiera di imprenditori<br />
lombardi e piemontesi che si misero alla testa di attività<br />
acquisendo con tenacia una cultura industriale mediante<br />
contatti ricercati e voluti, specie del M<strong>il</strong>anese. A lui si<br />
deve quella prima mano di vernice industriale che certamente<br />
non fu di r<strong>il</strong>evanti proporzioni perché non si collegò<br />
ai circuiti nazionali ed europei, ma costituì <strong>il</strong> tessuto<br />
che proveniva inevitab<strong>il</strong>mente da lontano. 6<br />
Il merito della P.M. Ceretti fu quello di essere la prima<br />
esperienza di fabbrica e di stimolare l’estrazione del minerale<br />
ferroso ossolano, lo studio e l’adozione di nuovi<br />
metodi di lavorazione della ghisa, oltre a far scoprire<br />
l’immensa ricchezza di energia a portata di mano: i boschi<br />
e le acque. Ma si trattò sempre di produzioni ridot-<br />
268<br />
te che fino all’Unità nazionale avevano avuto un mercato<br />
locale nel contesto della siderurgia dell’area alpina.<br />
Anche le miniere d’oro erano state esercitate da famiglie<br />
ricche delle valli con una discreta quantità di mano<br />
d’opera, ma senza ambizioni industrialiste. 7<br />
L’attività estrattiva delle cave di marmo, che lavorarono<br />
molto, se non esclusivamente, per la Fabbrica del<br />
Duomo di M<strong>il</strong>ano (cave di Candoglia), o della Certosa<br />
di Pavia (cave di Crevoladossola) e del Duomo di Pavia<br />
(cave di Ornavasso), era una vera e propria protoindustria<br />
che diede lavoro a centinaia di cavatori e scalpellini.<br />
Il sistema di conduzione sarebbe da sottoporre a verifica<br />
storica per accertare la presenza di forme precapitalistiche<br />
nell’organizzazione del lavoro.<br />
In sostanza, questa caratteristica continuò a manifestarsi<br />
anche a cavallo dell’unità d’<strong>It</strong>alia e fino alla fine dell’Ottocento<br />
quando si realizzarono le condizioni che<br />
consentirono la rivalutazione delle risorse naturali locali.<br />
Nel 1861, con l’Esposizione universale di Parigi, la<br />
Val d’Ossola mise in mostra i prodotti delle sue miniere<br />
aurifere. Nel 1863, da sola, essa produsse kg 125,401<br />
d’oro, per un valore complessivo di £. 236.331, dando<br />
lavoro a 80 operai che poterono contare su 23.500 lire<br />
di salari; ma per <strong>il</strong> resto la produzione ossolana rimaneva<br />
di tipo artigianale. Nel 1875 l’Ossola partecipò all’Esposizione<br />
regionale di Novara con prodotti che fotografavano<br />
uno stato complessivo di arretratezza: pece<br />
prodotta a Trasquera, fruste a V<strong>il</strong>ladossola, rastrelli a<br />
Crodo, cannelle e ferri agricoli a Domodossola. Eppure,<br />
i 31 espositori ossolani presentarono oltre 60 specie<br />
di manufatti dimostrando che era possib<strong>il</strong>e avviare nuove<br />
prove e studii 8 .<br />
Ma già con <strong>il</strong> 1881 all’Esposizione nazionale di M<strong>il</strong>ano<br />
la qualità del lavoro ossolano venne messa in r<strong>il</strong>ievo: vi<br />
comparvero i prodotti delle cave e delle miniere, laverie<br />
e mulini per minerali, campioni di rame e di piombo<br />
argentifero, amianto, cristalli e oro. Accanto ad altre<br />
produzioni di tipo artigianale, fu presentata la lavorazione<br />
del ferro dello stab<strong>il</strong>imento della P.M. Ceretti<br />
che, nello stesso anno, aveva prodotto 460 t di ghisa.<br />
All’Esposizione nazionale di Torino nel 1884 l’Ossola<br />
e la sua produzione confermarono l’attivismo di un<br />
ceto produttivo che aspirava a migliorare e a estendere<br />
la tipologia della produzione, anche se non fu presen-
tato nulla di straordinario e di nuovo, ma certamente si<br />
trattò di una presenza che faceva sperare per la volontà<br />
di misurare le proprie energie con i 14.237 espositori<br />
con più vasta esperienza. Il risultato immediato lo si<br />
ebbe con <strong>il</strong> progetto di organizzare una Mostra ossolana<br />
nel 1895 che subì rinvii e non andò in porto per varie<br />
ragioni, ma i comitati cittadini che venivano eletti<br />
per queste esposizioni e l’interesse tra i produttori erano<br />
segnali precisi di una mentalità e di una realtà in movimento,<br />
necessarie per creare i presupposti dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
economico. Non a caso l’Ossola partecipò a tutte le<br />
Esposizioni regionali e nazionali che si organizzarono<br />
dopo l’Unità nazionale.<br />
Se, dunque, non si possono trascurare da parte dello<br />
storico queste tappe di lento avvicinamento al vero e<br />
proprio sv<strong>il</strong>uppo economico, se non si deve trascurare<br />
la presenza di un ceto attivo e stimolatore del progresso,<br />
occorre anche affermare che <strong>il</strong> fattore decisivo che avviò<br />
nel territorio <strong>il</strong> take off (decollo) industriale, va ricercato<br />
nelle infrastrutture ferroviarie, a partire da quella progettata<br />
dal parlamento subalpino sin dal 1857, con l’obiettivo<br />
di collegare Domodossola con Arona, sul lago<br />
Maggiore, dove terminava <strong>il</strong> troncone che collegava <strong>il</strong><br />
lago a Torino.<br />
Di fatto l’Ossola fu al centro di un lungo e approfondito<br />
dibattito tecnico e politico sulla necessità di collegare<br />
l’<strong>It</strong>alia all’Europa attraverso i trafori delle Alpi. Una<br />
ricca bibliografia documenta la vastità e la versat<strong>il</strong>ità di<br />
questo dibattito nel quale si inserirono politici, intellettuali<br />
e tecnici di grande livello. L’Ossola si trovò al<br />
centro di questa attenzione per le evidenti implicazioni<br />
di carattere economico che ne avrebbe avuto. Vegezzi<br />
Ruscalla, nel farsi paladino di un collegamento ferroviario<br />
attraverso la Val d’Ossola, scriveva: Fate una strada<br />
ferrata e l’Ossola vedrà sorgere fabbriche ed usine, perché<br />
i bassi prezzi dei salari e le costruzioni poco dispendiose<br />
vi chiameranno i capitali degli imprenditori d’industrie<br />
9 .Il Ruscalla, anche se le sue argomentazioni e<br />
<strong>il</strong> suo progetto per un tronco ferroviario Arona-Domodossola<br />
in quel periodo non trovarono ascolto, e anche<br />
se alla base del suo ragionamento si poteva cogliere <strong>il</strong> vizio<br />
di una visione «colonialista» della Valle, fu un fac<strong>il</strong>e<br />
profeta. La vaporiera arrivò a Domodossola <strong>il</strong> 19 settembre<br />
1888, molto in ritardo rispetto ai progetti po-<br />
litici e al dibattito; e vi arrivò da Novara-Borgomanero<br />
anziché, come avrebbero preferito i m<strong>il</strong>anesi, da M<strong>il</strong>ano-Arona.<br />
Non mancarono le perplessità di chi denunciava<br />
che si erano preferiti gli interessi genovesi e torinesi<br />
a quelli lombardi-m<strong>il</strong>anesi, se non altro per collegare<br />
quell’area siderurgica padana che s’apprestava a svolgere<br />
un ruolo cardine nell’ossatura dell’industrializzazione<br />
a nord di M<strong>il</strong>ano.<br />
La rivincita i m<strong>il</strong>anesi se la presero dieci anni dopo<br />
quando, <strong>il</strong> 1 agosto 1898 dal versante svizzero e <strong>il</strong> 16<br />
agosto da quello italiano, iniziarono i lavori di scavo<br />
per <strong>il</strong> traforo del Sempione che richiese anch’esso lunghi<br />
studi e defatiganti dibattiti. Esso costituì non solo<br />
una tappa nella politica dei trafori alpini, ma fu anche<br />
<strong>il</strong> trionfo della tecnologia del Politecnico di Zurigo dal<br />
quale provenivano i dirigenti dei lavori e degli accorgimenti<br />
tecnico-sanitari che evitarono o ridussero gli incidenti,<br />
pur aumentando i ritmi di avanzamento. Con<br />
<strong>il</strong> traforo, aperto nel maggio 1906, fu realizzata la ferrovia<br />
Arona-Domodossola e fu collegata questa città con<br />
<strong>il</strong> confine svizzero realizzando <strong>il</strong> sogno m<strong>il</strong>anese di accorciare<br />
le distanze con Ginevra e Parigi.<br />
Era appena stato iniziato <strong>il</strong> traforo del Sempione quando<br />
in Val d’Ossola, <strong>il</strong> 19 ottobre 1898, i sindaci dei<br />
16 Comuni della Valle Vigezzo costituirono un comitato<br />
per promuovere un collegamento ferroviario internazionale<br />
tra Domodossola, Vigezzo e Locarno. Il progetto,<br />
al quale parteciparono italiani e svizzeri, fu visto<br />
nel quadro di un più ampio rosone di collegamenti ferroviari,<br />
in particolare esso avrebbe collegato <strong>il</strong> Sempione<br />
al Gottardo raggiungib<strong>il</strong>e da Locarno. Ma dai primi<br />
progetti all’inizio dei lavori, nel 1912, e all’attraversamento<br />
della Valle della prima locomotiva, nel novembre<br />
1923, trascorsero molti anni di discussioni, relazioni,<br />
ricerca di capitali e di adesioni ministeriali.<br />
La ferrovia divenne, nell’immaginario collettivo, ma<br />
prima ancora della classe dirigente locale, la materializzazione<br />
del progresso tecnico e <strong>il</strong> simbolo della possib<strong>il</strong>e<br />
industrializzazione. Nel 1908 la stampa diede notizia<br />
di un collegamento ferroviario a trazione elettrica<br />
tra Domodossola e la cascata del fiume Toce; nel 1910<br />
si ideò la ferrovia della Valle Anzasca, terra mineraria di<br />
antica tradizione, con lo scopo di raccordare Gornergrat<br />
e Zermatt e la Valle di Saas attraverso <strong>il</strong> passo del<br />
269
monte Moro, con Gletsh e la Furka, mentre nel versante<br />
italiano si sarebbe collegata Domodossola al Gottardo<br />
e alla Valle Formazza. Per queste linee si ipotizzavano<br />
un flusso turistico di almeno 100.000 persone e<br />
entrate per complessive 1.036.000 lire comprese alcune<br />
iniziative alberghiere. Dello stesso tenore era <strong>il</strong> progetto<br />
di una linea che avrebbe collegato Domodossola<br />
e la Svizzera attraverso le valli Antigorio e Formazza nel<br />
quadro di un accesissimo dibattito sullo Spluga e sulla<br />
Greina, con <strong>il</strong> vantaggio, secondo i progettisti, di costare<br />
otto volte meno di questi.<br />
Se una caratteristica va evidenziata, di sicuro occorre<br />
dire che la classe politica locale, sostenuta dai tecnici<br />
e dalla borghesia, prese parte attiva alla progettazione<br />
e al reperimento dei capitali per sostenere progetti che<br />
poi non si poterono realizzare. Parlarne costituisce un<br />
modo per evidenziare una mentalità che si era aperta<br />
al nuovo e al rischio con la partecipazione di piccoli risparmiatori<br />
e società che si andarono costituendo nel<br />
territorio. Ed è anche opportuno riflettere come si andò<br />
modificando la mentalità con <strong>il</strong> farsi strada, in ampi<br />
strati anche popolari, dell’idea di una diversa concezione<br />
dell’«industria del forestiero», come veniva chiamata<br />
allora l’industria turistica. In altre parole, si andò radicando<br />
una nuova opportunità della modernizzazione<br />
data dal turismo, senza alcun dubbio sulla scia dell’esperienza<br />
della vicina Svizzera.<br />
Il «decollo» industriale<br />
Non vi possono essere dubbi sul fatto che <strong>il</strong> «caso Ossola»<br />
si inserisce in modo paradigmatico tra i modelli dello<br />
sv<strong>il</strong>uppo economico che storici ed economisti hanno<br />
studiato. Secondo i tre indici della produzione, elaborati<br />
da Gerschenkron, da Fenoaltea e dall’Istat, che<br />
collocano al 1896-1908 <strong>il</strong> momento più alto della crescita<br />
industriale, lo sv<strong>il</strong>uppo sarebbe caratterizzato da<br />
fasi cicliche di un unico processo iniziato alla fine degli<br />
anni 1870 per i primi due, mentre si potrebbe parlare<br />
di un decollo industriale avvenuto a cavallo del secolo per<br />
l’Istat. 10 Gli storici economici oggi propendono più per<br />
un modello «ciclico» con fasi alterne; per l’Ossola si può<br />
parlare di un vero e proprio «decollo» verificatosi attorno<br />
al 1888-1906 quando si ebbero le infrastrutture ferroviarie<br />
e quindi si ampliarono gli impianti, arrivarono<br />
270<br />
i capitali, s’incrementarono produzione, livelli occupazionali<br />
e popolazione in percentuali di gran lunga superiori<br />
ai periodi precedenti.<br />
In che misura, allora, le infrastrutture ferroviarie costituirono,<br />
come era stato detto all’inizio, un «prerequisito»<br />
per l’industrializzazione ossolana?<br />
Si è visto come di per sé la realizzazione della rete ferroviaria<br />
ossolana costituì la prima forma di modernizzazione<br />
o, meglio, di industrializzazione se a questo<br />
termine riconosciamo un sinonimo di crescita economica<br />
sostenuta. 11 Se concordiamo con Wrigley, l’industrializzazione<br />
si verifica quando <strong>il</strong> reddito reale per<br />
abitante comincia ad aumentare regolarmente e senza limite<br />
apparente e ciò in relazione con cambiamenti importanti<br />
e continui nella tecnologia, fra i quali l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />
di nuove fonti energetiche.<br />
Che l’industrializzazione ossolana cominci nei periodo<br />
della realizzazione delle ferrovie lo si può dimostrare attraverso<br />
una breve analisi dei più importanti fatti economici.<br />
Per cominciare, si pensi che dalla Pietro Maria<br />
Ceretti nel 1892, subito dopo la prima realizzazione<br />
ferroviaria, si costituì la Fratelli Vittore ed Enrico Ceretti<br />
per bulloneria, con un capitale iniziale minimo di<br />
appena 40.000 lire. Come spiegare una scissione «fam<strong>il</strong>iare»<br />
nel momento in cui si realizzavano le concentrazioni<br />
di complessi più agguerriti? Certamente influirono<br />
alcune incomprensioni e divergenze sulla politica<br />
aziendale nella siderurgia ossolana e non è da escludere<br />
che non fosse condiviso l’isolamento scelto dalla P.M.<br />
Ceretti di fronte alla creazione del «Sindacato del ferro»<br />
che in seguito diede vita alla «Agenzia commissionaria<br />
metallurgica», con sede a Firenze, con l’obiettivo di razionalizzare<br />
vendite e specializzazioni siderurgiche.<br />
Ma la costruzione del Sempione aveva già fatto modificare<br />
la mentalità aziendalista delle due imprese siderurgiche:<br />
nel 1899 la Ceretti costruì un impianto idroelettrico<br />
di 400 hp sfruttando <strong>il</strong> fiume Ovesca, e lo stesso<br />
indirizzo di priv<strong>il</strong>egiare l’energia elettrica lo ebbero Vittore<br />
ed Enrico Ceretti. Le innovazioni introdotte determinarono<br />
un incremento di produzione di ghisa, di<br />
ferro omogeneo, di verghe e vergella, di bulloni e viti<br />
consentendo alle due imprese di partecipare alle commesse<br />
per la costruzione della linea Arona-Domodossola-Iselle<br />
(confine) e per <strong>il</strong> traforo del Sempione. E fu
questo che convinse l’industria siderurgica ossolana a<br />
rivedere la politica industriale per arginare la concorrenza.<br />
In <strong>It</strong>alia <strong>il</strong> «cartello» siderurgico si andava rafforzando<br />
vistosamente con la creazione di un trust e con la nascita<br />
della società Ilva ed in questo contesto di concentrazioni<br />
industriali andava inserito <strong>il</strong> progetto di un Consorzio<br />
siderurgico che fu ideato tra la P.M. Ceretti e la<br />
Fratelli Ceretti nel 1906. 12<br />
L’intento della famiglia Ceretti era quello di riunire le<br />
loro aziende e formare un unico grandioso stab<strong>il</strong>imento<br />
colla costituzione di una società anonima col capitale di £<br />
2.500.000. Scopo precipuo [... era] dare incremento alla<br />
produzione rispettiva attese le circostanze tutte sia riguardanti<br />
i rispettivi Enti industriali, sia dipendenti del mercato<br />
siderurgico, eccezionalmente favorevole...”<br />
Insieme le due aziende aspiravano ad un ruolo più dinamico<br />
all’interno della siderurgia nazionale dell’area padana-m<strong>il</strong>anese<br />
(in particolare delle Acciaierie e Ferriere<br />
Lombarde, delle molteplici attività sv<strong>il</strong>uppate dai Falk,<br />
dai Vanzetti, dai Fratelli Redaelli) che doveva reggere la<br />
forte concorrenza della siderurgia tirrenica (Piombino)<br />
Stab<strong>il</strong>imento Pietro Maria Ceretti, nei primi ’900.<br />
e ligure che aveva <strong>il</strong> vantaggio di godere di forti legami<br />
con le commesse statali ed una forte tendenza a sottrarsi<br />
alle leggi della concorrenza. 14 La società dei Fratelli Ceretti,<br />
con l’apporto di nuovi capitali affluiti dalle Officine<br />
Reggiane, si trasformò — alla fine del 1906 — in<br />
Società anonima La Metallurgica Ossolana approntando<br />
una nuova acciaieria su un terreno di 30.000 mq;<br />
l’antica P.M. Ceretti si trasformò anch’essa in Società<br />
anon. Industriale P.M. Ceretti per l’esercizio dell’attività<br />
metallurgica, minerallurgica e idroelettrica rafforzando<br />
<strong>il</strong> proprio capitale fino a 1.500.000 lire di cui i Ceretti<br />
acquisirono un terzo.<br />
Le due società non si fusero, ma <strong>il</strong> loro consorzio le<br />
avrebbe fatte collaborare per dieci anni. I dati in possesso<br />
dimostrano la crescita progressiva e costante delle<br />
due società, sia come ammodernamento tecnologico dei<br />
macchinari, sia come investimenti e sia come produttività.<br />
Del resto fu tutto <strong>il</strong> settore metallurgico italiano a<br />
registrare un incremento produttivo di ghisa dal 1911<br />
al 1926, ad eccezione degli anni 1919-1923; lo stesso<br />
incremento si ebbe nella produzione del ferro e dell’acciaio<br />
che nel 1922 aveva recuperato le perdite postbelli-<br />
271
che. L’Alto Novarese, che contava due stab<strong>il</strong>imenti siderurgici<br />
nell’Ossola e uno ad Omegna (Soc. Metallurgica<br />
Cobianchi), non fu da meno acquisendo incrementi<br />
di tutto rispetto: nel 1912, ad esempio, la produzione<br />
di ferro era stata di 3.400 t e quella di acciaio di 21.120<br />
t; nel 1913 la produzione era stata rispettivamente di<br />
2.500 t e di 29.020 t. 15 La siderurgia ossolana agì nel<br />
territorio come fattore primario di urbanizzazione tanto<br />
che V<strong>il</strong>ladossola registrò un incremento demografico<br />
del 55,1% medio annuo nel 1901-11, e del 26,2% nel<br />
1911-21. 16 Che questa grande immigrazione fosse dovuta<br />
specialmente agli insediamenti siderurgici era r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e<br />
dal dato sull’occupazione: nel censimento industriale<br />
del 1911 nel comune di V<strong>il</strong>ladossola gli addetti<br />
all’industria risultavano 1.002 unità, di cui 524 nel solo<br />
settore metallurgico (52,3%),<br />
Se la siderurgia rappresentò <strong>il</strong> motore trainante dell’industrializzazione<br />
ossolana non bisogna trascurare altre<br />
iniziative imprenditoriali. Il tradizionale settore minerario<br />
dell’oro, che si era distinto per i repentini e soverchi<br />
passaggi di proprietà tra famiglie benestanti senza<br />
alcuna cultura imprenditoriale, era stato preso di mira<br />
dai capitali stranieri (belgi, svizzeri, inglesi e francesi),<br />
ma continuò a soffrire di carenza di modernizzazione.<br />
Nell’età del «decollo industriale» l’oro ossolano risentì<br />
della crisi generale: costi alti, eccessivo carico fiscale,<br />
scarsa redditività del minerale. Se fino al 1896 l’occupazione<br />
nel settore era stata in media di 470 unità,<br />
prima della grande guerra gli addetti scesero sotto<br />
<strong>il</strong> centinaio. 17 In questo contesto l’ingresso della famiglia<br />
Ceretti nella proprietà mineraria costituì una novità<br />
in quel 1906 che si può assumere come anno di addio<br />
del grande r<strong>il</strong>ancio industriale della Valle. In realtà,<br />
l’ingresso dei Ceretti nel settore minerario ebbe come<br />
primo scopo l’acquisto dei macchinari, mentre i venditori<br />
(la The Pestarena United Gold Mining Co.) avevano<br />
messo una clausola «capestro» che mirava a disattivare<br />
la miniera, cosa che l’Ufficio delle miniere proibì<br />
imponendo ai Ceretti la coltivazione della miniera pena<br />
la decadenza.<br />
Lentamente ripresero gli investimenti e l’ammodernamento<br />
dei macchinari finché, nel 1917, la proprietà fu<br />
acquisita direttamente dalla Soc. An. P.M. Ceretti. Il<br />
passaggio costituiva la grande novità nel settore minera-<br />
272<br />
rio ossolano in quanto era la prima volta che una società<br />
per azioni italiana se ne interessava. Nel 1920 ripresero<br />
i lavori di ristrutturazione che durarono tre anni. La società,<br />
col tempo, intuì la possib<strong>il</strong>ità di uno sfruttamento<br />
alternativo di acque arsenicali con virtù terapeutiche<br />
evidenziando come soltanto investimenti adeguati<br />
e continui avrebbero potuto consentire uno sfruttamento<br />
remunerativo. Il settore andò contraendosi proprio<br />
nel momento in cui la grande industria e nuove<br />
esperienze produttive entrarono in Val d’Ossola, ma rimaneva<br />
attivo <strong>il</strong> settore delle cave di pietra e di marmo<br />
che da sempre erano state un importante fattore di sv<strong>il</strong>uppo,<br />
malgrado le vicende non sempre positive.<br />
Dal 1904 al 1909 le cave di granito rosso erano 4, mentre<br />
quelle di gneiss erano salite da 305 a 347 nello stesso<br />
periodo, e la produzione era passata da t 76.400 a<br />
t 106.500; <strong>il</strong> valore complessivo del prodotto era salito<br />
dalle 275.000 lire al 1.548.000; l’occupazione era rimasta<br />
sempre molto alta a causa della scarsa meccanizzazione:<br />
dai 1.383 addetti (di cui 133 fanciulli) si era<br />
giunti ai 1.875 (con 98 ragazzi). I dati dimostrano l’importanza<br />
del settore nell’economia del territorio soprattutto<br />
dal momento in cui si realizzarono interventi di<br />
modernizzazione. Anche qui, come nella siderurgia, si<br />
avvertì la necessità di costituire un Consorzio per ridurre<br />
gli effetti della concorrenza, tanto che nel 1912 le 10<br />
società consorziate produssero da sole t 23.000 contro<br />
le 7.000 t delle aziende rimaste fuori. Anche dopo l’ammodernamento<br />
<strong>il</strong> numero degli addetti rimase sempre<br />
attorno al migliaio.<br />
Sebbene le acque minerali fossero conosciute da antica<br />
data, è certo che solo con la fine del XIX secolo e soprattutto<br />
con l’età giolittiana ci fu una particolare attenzione<br />
dei capitalisti verso questo settore. Le acque di<br />
Bognanco erano state scoperte nel 1863, ma erano rimaste<br />
senza un vero sfruttamento commerciale; a Craveggia<br />
si censiva uno stab<strong>il</strong>imento per le cure termali<br />
verso la fine dell’Ottocento, ma le sue proporzioni<br />
erano poca cosa potendo accogliere 24 persone. A questo<br />
richiamo non furono estranei gli studi e gli esami di<br />
laboratorio presentati da alcuni studiosi in memorie e<br />
opuscoli. Non a caso nel 1906 si costituì nella Valle Anzasca<br />
un comitato per la costituzione di una potente società<br />
anonima per l’esercizio delle miniere, per l’indivi-
duazione degli alberghi e per lo sfruttamento delle sorgenti<br />
arsenicali mangano ferruginose ed infine ut<strong>il</strong>izzare una<br />
forza d’acqua di 280 cavalli per l’<strong>il</strong>luminazione elettrica<br />
[del comune di Vanzone] ed altri Comuni o per l’impianto<br />
di eventuali industrie. 18<br />
Appare evidente come si stesse sv<strong>il</strong>uppando una nuova<br />
mentalità aperta all’impresa non con progetti astratti,<br />
ma con la costituzione di vere e proprie società anonime<br />
con azionariato di piccoli e medi risparmiatori decisi<br />
a farsi avanti e di rischiare. In questo caso si raccolsero<br />
600.000 lire per <strong>il</strong> capitale iniziale che fu appoggiato<br />
dal Banco dell’Ossola, dalla Banca Popolare di Intra<br />
e dal Credito <strong>It</strong>aliano di M<strong>il</strong>ano. Ma ad entrare nella<br />
società fu anche la Ceretti che acquisì la maggioranza<br />
del pacchetto azionario della nuova Società An. Sorgenti<br />
Minerali e Miniere di Vanzone. Insomma, <strong>il</strong> patrimonio<br />
ossolano fu recuperato dal capitale locale prima<br />
che da quello forestiero, con risultati non esaltanti,<br />
ma di tutto rispetto. D’altra parte un grande progetto<br />
di portare l’acqua sino a Stresa mediante una tubazione<br />
di gres, dove si sarebbe dovuto costruire un moderno albergo,<br />
uno stab<strong>il</strong>imento termale e le infrastrutture per <strong>il</strong><br />
soggiorno termale, non andò in porto perché mancarono<br />
le risorse necessarie, ma la società ebbe sempre ut<strong>il</strong>i<br />
e dividendi, tanto che nel 1910 <strong>il</strong> capitale sociale era salito<br />
a £. 1.100.000.<br />
Sempre nel 1906 le acque di Bognanco ebbero la loro<br />
prima rivalutazione con la costruzione di uno stab<strong>il</strong>imento<br />
termale; mentre nel 1908 fu costruito un albergo<br />
dando l’avvio all’attività termale e alla commercializzazione<br />
delle acque. Come per un «effetto alone» anche<br />
a Crodo nel 1909 si cominciarono a commercializzare<br />
le acque di quella stazione termale, note sin dal 1841.<br />
Nella Val d’Ossola sorsero piccole aziende che producevano<br />
attrezzi da lavoro (G. Bentivoglio a Piedimulera),<br />
di carpenteria meccanica e impianti industriali (E.<br />
Moise a Domodossola), per la fabbricazione di bulloni,<br />
dadi, rivetti per caldaie, porta isolatori, chiavarde per<br />
armamentario ferroviario e tramviario (Morino-Sacchi<br />
a Vogogna), e sorsero tante piccole imprese artigianali<br />
che, in fondo, si riconnettevano alle antiche tradizioni<br />
ossolane, ma con nuovo spirito di impresa. Lo stesso<br />
si deve aggiungere per <strong>il</strong> settore tess<strong>il</strong>e dove i 213 telai<br />
domestici per la tessitura del lino e della canapa, censi-<br />
ti dalla statistica industriale del 1899 nella provincia di<br />
Novara, diffusi in tanti piccoli comuni delle valli ossolane,<br />
davano lavoro alternativo a molte donne. Era una<br />
dotazione non vistosa, ma che in provincia si collocava<br />
dopo Novara (1.087 telai), Biella (531 più 1.139 per la<br />
lana) e Varallo Sesia (380).<br />
Con <strong>il</strong> 1900 alcuni industriali m<strong>il</strong>anesi accettarono di<br />
trasferire nell’Ossola lo stab<strong>il</strong>imento Pietro Frattini per<br />
la lavorazione della juta che aveva intenzione di chiudere.<br />
Si trattava di un settore produttivo giovane per l’<strong>It</strong>alia<br />
essendo comparso soltanto nel 1870 e che risentiva<br />
di una completa dipendenza dall’estero per la materia<br />
prima. 19 Raggiunto un accordo con Vittore Ceretti,<br />
sindaco di V<strong>il</strong>ladossola e industriale, fu costituita la nuova<br />
Soc. An. Jutificio Ossolano con un capitale sociale di<br />
£ 700.000 al quale aveva aderito una cordata di industriali<br />
m<strong>il</strong>anesi ed ossolani (tra i quali ultimi Maffioli e<br />
figlio della omonima banca, e Mogni proprietario del<br />
Banco dell’Ossola, nonché la famiglia Ceretti), più altri<br />
azionisti di Intra. Anche questa iniziativa era una spia di<br />
quella nuova volontà industrialista che si stava diffondendo<br />
nella Valle. Certo, come si vedrà, a far propendere<br />
per una ubicazione nel territorio, oltre ai nuovi capitali,<br />
avevano contribuito altre ragioni, tra cui la possib<strong>il</strong>ità<br />
di reperire energia elettrica in loco a costi inferiori.<br />
La possib<strong>il</strong>ità occupazionale si rivelò subito alta: 328 al<br />
1° settembre 1902, quasi tutte donne, di cui molte immigrate<br />
da fuori provincia e con una età compresa tra i<br />
14 e i 52 anni. 20 Se però l’andamento occupazionale fu<br />
ragguardevole fu anche soggetto a mob<strong>il</strong>ità, e lo Jutificio<br />
conobbe momenti diffic<strong>il</strong>i sin dall’inizio, dovuti sia<br />
alla mancanza di ammodernamenti, sia alla scarsità di<br />
materie prime e di commesse.<br />
L’impresa volle assicurarsi una mano d’opera stab<strong>il</strong>e<br />
contribuendo alla costituzione di una «pensione» o<br />
«ospizio» che fu affidato alle suore del Buon Gesù. L’andamento<br />
della produzione fu discontinuo, ma decisamente<br />
positivo a cavallo della prima guerra mondiale<br />
quando le commesse statali lo incrementarono. Quello<br />
che mancò fu una politica aziendale propulsiva con<br />
<strong>il</strong> risultato che nel 1927 lo stab<strong>il</strong>imento dovette chiudere.<br />
In <strong>It</strong>alia, a fronte di una produzione di 50 m<strong>il</strong>ioni<br />
di manufatto, <strong>il</strong> mercato riusciva ad assorbirne appena<br />
la metà; non si riuscì a rafforzare l’esportazione che<br />
273
fino al 1913 era stata di q 90.617, né si riuscì a trovare<br />
un accordo fra gli industriali per ridurre la sovraproduzione.<br />
21<br />
La nuova fonte energetica: l’elettricità<br />
Ma i fattori del take off andavano oltre a quelli descritti<br />
sin qui. Come ha sostenuto Cafagna, l’energia elettrica<br />
è stata la terza grande direttrice strategica dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
economico italiano [...], di tutte forse la più importante<br />
22 , dopo la conquista del mercato interno da parte<br />
dell’industria tess<strong>il</strong>e e la nascita della siderurgia a ciclo<br />
integrale. Ebbene, l’Ossola fu coinvolta nell’industrializzazione<br />
anche grazie alle sue risorse idriche che<br />
attirarono l’attenzione di banche e capitalisti italiani e<br />
stranieri per uno sfruttamento idroelettrico dei bacini<br />
imbriferi in modo globale, accelerando ulteriormente i<br />
fattori dello sv<strong>il</strong>uppo.<br />
Il «mito» dell’elettricità era giunto nella Valle nel 1896,<br />
vale a dire tre anni dopo la istituzione della stazione elettrica<br />
di Santa Radegonda a M<strong>il</strong>ano. Sin d’allora a Domodossola<br />
si avviò <strong>il</strong> dibattito sulla necessità di <strong>il</strong>luminare<br />
la città e furono studiati i primi progetti che si conclusero<br />
nel 1890 quando la luce elettrica arrivò grazie<br />
soprattutto all’impulso dato dalla municipalità che era<br />
costituita da un ceto borghese molto aperto all’innovazione<br />
e al progresso. Nel 1894 la prima appaltatrice dell’<strong>il</strong>luminazione,<br />
la Soc. Marazza, Castiglioni e Mantica,<br />
avvalendosi di nuovi capitali bresciani, si trasformò in<br />
Società in accomandita semplice Fraschini, Porta & C.,<br />
con un capitale iniziale di £ 600.00, r<strong>il</strong>evando oneri e<br />
patrimonio dalla precedente. Ma la prova fu così positiva<br />
che qualche anno dopo gli Ossolani crearono una<br />
loro società elettrica che r<strong>il</strong>everà l’appalto dell’<strong>il</strong>luminazione<br />
cittadina grazie agli appoggi degli amministratori<br />
locali non del tutto estranei al patrimonio societario.<br />
Tra le prime aziende ad arrivare nell’Ossola, nel 1899,<br />
ci fu la Soc. per le Forze Motrici dell’Anza, con sede a<br />
M<strong>il</strong>ano e amministrazione a Novara, iniziando lo sfruttamento<br />
del fiume Anza, in località Fomarco, con lo<br />
scopo di produrre l’energia elettrica da trasportare a<br />
Novara e giungere fino ad Arona sul lago Maggiore e in<br />
Valsesia passando dalle stazioni di Gravellona e di Borgomanero.<br />
Ma per la Val d’Ossola <strong>il</strong> salto qualitativo si<br />
verifìcò — come si è detto — quando nel 1901 si co-<br />
274<br />
stituì la Soc. An, Idroelettrica Ossolana con <strong>il</strong> modesto<br />
capitale iniziale di £ 360.000 che faceva capo al Banco<br />
dell’Ossola. Era la riprova che non si voleva restare ad<br />
aspettare gli investimenti del capitale forestiero, indice<br />
di un mutamento di mentalità nuova e della nascita di<br />
una imprenditorialità ancora acerba, ma che stupiva per<br />
<strong>il</strong> fervore con cui riusciva a trovare capitali per le iniziative<br />
industriali.<br />
Con finalità industriali, invece, la P.M. Ceretti aveva<br />
iniziato a sfruttare le acque dell’Ovesca nel 1898 per ridurre,<br />
almeno in parte, la dipendenza dal carbone. Costruì<br />
un impianto di 400 hp che servì al funzionamento<br />
di un laminatoio, tra i primi d’<strong>It</strong>alia. Nello stesso anno<br />
a Novara si costituì la Soc. Elettrica Ossolana con un<br />
capitale di £ 1.600.000 proveniente specialmente dal<br />
Verbano, per lo sfruttamento di una centrale elettrica in<br />
Valle Antrona, che avrebbe servito la zona di Intra.<br />
Un’altra iniziativa si ebbe con la nascita della Soc. Idroelettrica<br />
Vigezzina, <strong>il</strong> 17 novembre 1901, con capitali<br />
esclusivamente dei «capi famiglia del mandamento» 23 ,<br />
iniziando con un capitale sociale di £ 112.000. Tutte<br />
queste centrali a carattere locale, se pure di non elevate<br />
dimensioni, davano una produzione di 3.000 kw, vale<br />
a dire un quarto dei 12.000 kw che si producevano nel<br />
Piemonte in quel periodo.<br />
Tuttavia, <strong>il</strong> grande balzo nello sfruttamento idroelettrico<br />
ossolano si deve far iniziare con l’ingresso delle grandi<br />
imprese elettriche: la Soc. Ettore Conti, la Edison e<br />
la Dinamo. Ettore Conti fondò con Gadda la Società<br />
Gadda & C. per la costruzione di materiale elettrico<br />
e fu per questa sua professionalità che la locale Soc.<br />
Idroelettrica Vigezzina lo scelse come consulente aziendale.<br />
Nel 1901 egli fondò la Soc. An. Imprese Elettriche<br />
Conti con un capitale di 3 m<strong>il</strong>ioni di lire. La sua politica<br />
di assorbimento di piccole aziende locali non urtò<br />
mai con i piccoli azionisti del luogo che spesso venivano<br />
lasciati nei consigli di amministrazione. Lo sfruttamento<br />
delle acque ossolane da parte della Conti interessava<br />
una superficie non inferiore ai 300 kmq e partiva da<br />
Crevoladossola terminando al confine con la Svizzera.<br />
Può dare un’idea degli interessi elettrici della Conti un<br />
breve elenco: essa costruì l’impianto di Valdo che, con<br />
lo sbarramento del lago Vannino, dava una potenzialità<br />
di 9 m<strong>il</strong>ioni di mc di invaso; un altro impianto,
formato dal lago Busin inferiore, interessava un invaso<br />
di 4.800.000 mc e un altro ancora, con <strong>il</strong> lago Obersee,<br />
aveva un invaso di 1.500.000 mc; quello di Rivasco<br />
sfruttava un bacino idrografico di 119 kmq ai quali<br />
si aggiungevano altri 19 kmq con le acque del torrente<br />
Vova. Questi impianti furono realizzati nell’età<br />
giolittiana, mentre sotto <strong>il</strong> fascismo fu portato a termine<br />
l’impianto di Cadarese che aveva un bacino di 151<br />
kmq, mentre più a valle si trovava l’impianto di Crego<br />
con un bacino di 182 kmq. Nel sistema idrico del Devero<br />
gli impianti divennero molti e tutti di livello superiore:<br />
a Goglio la Conti ne costruì uno nel 1911; a Verampio<br />
nel 1915 e altri sull’affluente Rivo d’Arbola, a<br />
Crampiolo, a Rivo Buscagna.<br />
Attorno al primo conflitto mondiale la potenza degli<br />
impianti della Conti non era inferiore ai 42.000 kw e<br />
lo stesso Ettore Conti nelle sue memorie valutò l’Ossola<br />
come <strong>il</strong> primo esempio in <strong>It</strong>alia, e forse anche altrove,<br />
Immagine storica della fonderia di V<strong>il</strong>ladossola.<br />
di sfruttamento integrale di un grande bacino imbrifero,<br />
in modo che nessuna parte della ricchezza idraulica contenutavi<br />
vada perduta. 24<br />
La Società Dinamo sfruttò <strong>il</strong> fiume Diveria e <strong>il</strong> torrente<br />
Cairasca nei comuni di Varzo e Trasquera con due impianti<br />
e sei gruppi complessivi di potenza pari a 14.430<br />
hp e 11.000 kw di elettricità che serviva per la elettrificazione<br />
della ferrovia Iselle (confine) — Domodossola<br />
e per la città di Novara, oltre che per sostentare i macchinari<br />
di alcune industrie.<br />
La Società Edison, sorta nel 1884, partecipò allo sfruttamento<br />
del fiume Toce (con la Conti); costruì diverse<br />
dighe, come quella di Crevoladossola; di Campliccioli<br />
in valle Antrona dove, nel 1916, iniziò lo sfruttamento<br />
del fiume Ovesca. Il ruolo della Edison divenne<br />
predominante quando iniziò la politica degli assorbimenti<br />
di piccole aziende elettriche e della E. Conti.<br />
Per avere un’idea del volume ut<strong>il</strong>e degli invasi di pro-<br />
275
prietà della società basterebbe ricordare che si trattava<br />
di 33.450.000 mc di invaso. 25<br />
I tre colossi elettrici ricavarono molti ut<strong>il</strong>i dai loro interessi<br />
nell’Ossola. La Conti incrementò <strong>il</strong> capitale sociale<br />
del 1911, che era di 16 m<strong>il</strong>ioni, arrivando ai 22 m<strong>il</strong>ioni<br />
e mezzo del 1916 e ai 27 m<strong>il</strong>ioni del 1917; la Dinamo<br />
nel 1911 aveva un capitale di 5 m<strong>il</strong>ioni di lire, rimasto<br />
invariato fino al 1916, ma fu raddoppiato nel<br />
1917; e la Edison, che nel 1916 aveva un capitale di 18<br />
m<strong>il</strong>ioni di lire, nel 1917 lo elevò a 24 m<strong>il</strong>ioni. Altrettanto<br />
cospicui furono i dividendi distribuiti agli azionisti,<br />
mentre l’intera produzione di energia era aumentata:<br />
nel 1898 in <strong>It</strong>alia la potenza idroelettrica installata<br />
era di 40.441 kw, nel 1911 era di 500.000 kw e nel<br />
1918 di 901.617 kw. Ciò fu possib<strong>il</strong>e grazie al crescente<br />
consumo di elettricità sia per i bisogni dell’industria<br />
che per quelli domestici.<br />
I benefici che derivarono agli Ossolani furono r<strong>il</strong>evanti<br />
almeno per due ordini di motivi: primo, la regione<br />
divenne un’area altamente remunerativa per l’ubicazione<br />
di impianti industriali a causa del fac<strong>il</strong>e reperimento<br />
dell’energia elettrica a basso costo; secondo, a costruire<br />
gli impianti erano state incaricate l’ossolana Impresa<br />
Umberto Girola che diverrà una specialista in grandi<br />
opere pubbliche a livello nazionale e internazionale<br />
e altre ditte (fra cui l’Impresa Poscio di V<strong>il</strong>ladossola<br />
che sorse nel 1902) che per i loro lavori impiegarono<br />
mano d’opera locale dando inizio a installazioni di cantieri<br />
con caratteristiche di veri e propri opifici industriali<br />
tali da consentire una produzione muraria di ottima qualità<br />
ed in quantità giornaliere impensate per /’addietro. 26<br />
Ma altri vantaggi derivarono dalla costruzione di strade<br />
e gallerie che servirono per <strong>il</strong> trasporto dei macchinari<br />
per le centrali elettriche, che poi restarono in uso alle<br />
comunità locali. Un autore calcolò un reddito lordo annuo<br />
di circa 2.000 lire prebelliche per ogni ha sotto forma<br />
di energia elettrica, vale a dire circa 7 volte <strong>il</strong> reddito<br />
agrario-forestale-pastorizio di quelle terre. 27<br />
A riprova di quanto si è affermato basterebbe presentare<br />
la proliferazione di attività piccole e grandi che si insediarono<br />
nella Val d’Ossola nel periodo del «decollo»<br />
industriale, oltre a quelle già esposte. Sorsero soprattutto<br />
industrie chimiche che avevano bisogno di molta<br />
energia elettrica. Nel 1908 a Domodossola sorse la<br />
276<br />
Ditta Pazzaglia per la galvanoplastica, argentatura, doratura<br />
e cromatura dei metalli; nello stesso anno a Varzo<br />
sorsero la Smalteria Sempione fra le primissime in <strong>It</strong>alia<br />
per ampiezza dei forni, trasferita da M<strong>il</strong>ano sia per<br />
la fac<strong>il</strong>e reperib<strong>il</strong>ità dell’energia, sia per la vicinanza del<br />
traforo del Sempione, e la Ditta D. Giovanna e C. per<br />
la fabbricazione di una specialità di lima detta fresatrice,<br />
nel 1913 sempre a Varzo si installò la Società Fratelli<br />
Galtarossa di Verona, specializzata nella fabbricazione<br />
del carburo di calcio, che ut<strong>il</strong>izzava dal fiume Diveria<br />
una forza idraulica di oltre 200 cavalli e che per molti<br />
decenni divenne un punto fermo della realtà produttiva<br />
ossolana. Ad Ornavasso nel 1914 sorse la fabbrica di<br />
pietrine per orologi degli svizzeri Fratelli Thur<strong>il</strong>lant.<br />
Nel 1918 la Galtarossa impiantò anche a Domodossola<br />
uno stab<strong>il</strong>imento per la produzione della ghisa e delle<br />
ferroleghe.<br />
Nel 1915 a Rumianca di Pieve Vergonte sorse lo stab<strong>il</strong>imento<br />
chimico della Soc. <strong>It</strong>aliana Prodotti Esplodenti<br />
(Sipe), con sede a M<strong>il</strong>ano, che contava su un capitale<br />
di £ 2.500.000, per la fabbricazione del monocloruro<br />
e del diclorobenzolo ut<strong>il</strong>izzati durante <strong>il</strong> conflitto<br />
mondiale. Nel primo dopoguerra a Domodossola<br />
fu costituito un altro stab<strong>il</strong>imento della Società Agraria<br />
di Roma per la fabbricazione di calciocianamide e<br />
di carburo di calcio. Nel 1918 a V<strong>il</strong>ladossola ne fu costruito<br />
un altro dalla Società <strong>It</strong>aliana Prodotti Sintetici<br />
(Sips) per la produzione dell’acido acetico ottenuto<br />
sinteticamente. L’ingresso della chimica in Valle si sarebbe<br />
rafforzato negli anni: nel 1911 nei circondari di<br />
Novara, Pallanza e Domodossola si censirono 118 stab<strong>il</strong>imenti<br />
con 419 addetti, di cui 8 stab<strong>il</strong>imenti con 58<br />
unità si trovavano nell’Ossola.<br />
In questo panorama di iniziative aziendali non aveva<br />
minore significato la visita di alcuni tecnici della Società<br />
Mannesman di M<strong>il</strong>ano che fabbricava tubi, con<br />
lo scopo di verificare la possib<strong>il</strong>ità di installare nel territorio<br />
un grande stab<strong>il</strong>imento siderurgico su un terreno<br />
di 500.000 mq tra Piedimulera e V<strong>il</strong>ladossola o alla<br />
periferia di Domodossola. Questo tentativo da una parte<br />
avrebbe consolidato <strong>il</strong> sistema industriale ossolano,<br />
ma dall’altra avrebbe forse stravolto <strong>il</strong> territorio montano.<br />
In quell’occasione fu la classe politica locale con la<br />
borghesia a porsi alla testa di un comitato che aiutasse
l’azienda a trovare, a prezzo di favore, <strong>il</strong> suolo per lo stab<strong>il</strong>imento,<br />
chiamando i piccoli proprietari in Comune<br />
per convincerli alla cessione, discutendo la questione in<br />
consiglio comunale e nominando una commissione di<br />
studio per appoggiare l’iniziativa della Mannesman che,<br />
però, alla fine decise di installarsi a Dalmine.<br />
Il periodo fra le due guerre mondiali<br />
Durante la prima guerra mondiale, con la mob<strong>il</strong>itazione<br />
industriale, lo Stato divenne <strong>il</strong> più grande cliente<br />
della produzione nazionale: nel Piemonte gli stab<strong>il</strong>imenti<br />
dichiarati aus<strong>il</strong>iari furono 371, tra cui 19 minerari,<br />
30 metallurgici, 141 meccanici, 61 chimici. In questo<br />
contesto anche l’Ossola fece la sua parte. Come si è<br />
detto, la chimica trovò nel territorio le condizioni più<br />
favorevoli allo sv<strong>il</strong>uppo: elettricità e vie di comunicazioni<br />
ferroviarie. Durante la guerra, su 18 stab<strong>il</strong>imenti<br />
chimici della provincia, 7 erano in Valle: oltre a quelli<br />
già menzionati, vi erano la Sidl (Soc. <strong>It</strong>aliana Dist<strong>il</strong>lazione<br />
Legno) di Finero (acetato di calcio e alcool met<strong>il</strong>ico<br />
greggio), la Ing. A. Vitale di Rumianca (fosfogenecloro<br />
liquido-idrogeno), la Soc. An. Cooperativa per <strong>il</strong><br />
Gas di Domodossola. Anche <strong>il</strong> sistema idroelettrico si<br />
rafforzò potendo contare su una relativa calma in quanto<br />
<strong>il</strong> fronte bellico era spostato ad est e gli impianti ossolani<br />
poterono produrre a pieno ritmo grazie anche ai<br />
consumi elettrici che durante la guerra quadruplicarono.<br />
Certo, se <strong>il</strong> settore industriale fu favorito dallo sforzo<br />
bellico, non si vuol dire che la guerra non causò crisi<br />
e disoccupazione in alcuni settori produttivi.<br />
Più diffic<strong>il</strong>e fu <strong>il</strong> periodo postbellico, ma le industrie ossolane<br />
seppero riconvertirsi in tempo o continuarono a<br />
servire i loro mercati tradizionali. Per <strong>il</strong> periodo tra le<br />
due guerre mondiali i più recenti studi di storia economica<br />
sembrano concordare sul fatto che <strong>il</strong> fascismo non<br />
segnò una battuta d’arresto nel processo di industrializzazione<br />
del paese, 28 ma anzi, sia pure con i limiti e <strong>il</strong> divario<br />
economico con le nazioni più avanzate, in quel periodo<br />
lo sv<strong>il</strong>uppo andò consolidandosi e le ambizioni<br />
imperialistiche di Mussolini portarono alla nascita di una<br />
serie di novità nel campo delle industrie tecnologicamente<br />
più avanzate. 29 Premettendo che ciò non significa dare<br />
un giudizio positivo sulla politica del regime dittatoriale,<br />
per quanto ci riguarda cerchiamo di verificare <strong>il</strong> livello<br />
di sv<strong>il</strong>uppo raggiunto dall’Ossola.<br />
Manufatto di fonderia.<br />
Il settore agricolo continuò a soffrire dei vecchi mali:<br />
piccole aree coltivab<strong>il</strong>i, molti proprietari con insufficienti<br />
porzioni di terra, mancanza di investimenti. Su<br />
6.200 ha di terra a fondo valle, solo 3.000 ha erano coltivab<strong>il</strong>i,<br />
8.000 ha erano i prati posti tra i 400-800 m sul<br />
livello del mare; e i più ricchi proprietari, dopo i Comuni,<br />
erano Carlo Lightoweler che aveva 15 ha di pascolo<br />
e 5 di coltura, e Dall’Oro. Insomma, la proprietà<br />
privata, su 154.000 ha ne possedeva un quinto. È chiaro<br />
che a queste condizioni non era possib<strong>il</strong>e una conduzione<br />
capitalistica dei fondi, né era pensab<strong>il</strong>e l’inserimento<br />
nelle iniziative del regime fascista come la «battaglia<br />
del grano» e la «bonifica integrale» anche se non<br />
mancarono i tentativi. 30 La zootecnia, settore che avrebbe<br />
potuto essere trainante nei pascoli alpini, andò depauperandosi<br />
dopo che nel periodo bellico l’intero Novarese<br />
aveva pagato un contributo di 98.841 bovini.<br />
I dati in possesso sul settore industriale confermano che<br />
durante <strong>il</strong> fascismo si andarono rafforzando le aziende<br />
già costituite e si realizzò <strong>il</strong> predominio della Edison<br />
e della Montecatini, ma anche le industrie siderurgiche<br />
e meccaniche tradizionali continuarono <strong>il</strong> loro incremento.<br />
In aumento fu la produzione mineraria del-<br />
277
l’oro nella quale la P.M. Ceretti investì forti somme per<br />
l’ammodernamento delle attrezzature con macchinari<br />
importati da Bochum (Germania). Fu così che dai 3-4<br />
kg di oro degli anni ’20 si arrivò a produrne 15-16 kg<br />
con una resa dell’80% e anche del 90% nelle 100 t giornaliere<br />
di minerale; inoltre, furono scoperti altri f<strong>il</strong>oni<br />
nella concessione Pozzone Speranza dove i macchinari<br />
erano azionati da un impianto compressore della potenza<br />
di 1.000 hp. Prima della seconda guerra mondiale<br />
a Pestarena si estraevano 300.000 t di minerale con<br />
una produzione di 10 gr d’oro per t. È stato calcolato<br />
che nel solo ampliamento della miniera Ribasso Morghen<br />
furono spesi circa 9 m<strong>il</strong>ioni di lire per l’ammodernamento<br />
delle infrastrutture e degli impianti.<br />
Ci fu anche un aumento occupazionale (da 151 addetti<br />
nel 1930 si passò a 200 nel 1935) e di produzione aurifera<br />
(da 60 kg nel 1937 a 407,8 kg nel 1942 e 365,4<br />
nel 1943). Ciò convinse <strong>il</strong> Ministero della guerra a sollecitare<br />
una estromissione del capitale estero e un coinvolgimento<br />
diretto dello Stato mediante <strong>il</strong> passaggio di<br />
proprietà dalla P.M. Ceretti all’Azienda Minerali Metallici<br />
<strong>It</strong>aliani (AMMI) nel 1939. Nelle cave di pietra,<br />
graniti e marmo ci fu una costante espansione r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e<br />
dagli aumenti di capitale sociale e dalla produzione<br />
(con alcune differenze tra marmi, gneiss e quarzi), e si<br />
può dire che nel periodo si rafforzarono le condizioni<br />
capitalistiche di molte aziende.<br />
Le stesse valutazioni potremmo fare per <strong>il</strong> settore siderurgico<br />
che fu in continuo incremento a partire dal<br />
1929. Nell’Ossola, oltre alla P.M. Ceretti che continuava<br />
a soddisfare un suo mercato, la Metallurgica Ossolana,<br />
dopo un periodo di crisi senza la possib<strong>il</strong>ità di un<br />
intervento diretto dello Stato, nel 1939 ebbe un r<strong>il</strong>ancio<br />
con l’ingresso del capitale della Soc. Edison, ma dovette<br />
mutare la ragione sociale in Sisma (Soc. Industrie<br />
Siderurgiche Meccaniche ed Affini) e spostare la sede<br />
centrale da V<strong>il</strong>ladossola a M<strong>il</strong>ano. Da piccola azienda<br />
fam<strong>il</strong>iare di interesse locale si trasformò in uno stab<strong>il</strong>imento<br />
di livello nazionale con un capitale sociale di<br />
£ 30 m<strong>il</strong>ioni nel 1939, aumentato a £ 100 m<strong>il</strong>ioni nel<br />
1940 e poi a 110 m<strong>il</strong>ioni. Nel 1938 l’Annuario metallurgico<br />
segnalava in <strong>It</strong>alia una ripresa produttiva per i<br />
104 forni elettrici per ghisa e per i 134 forni elettrici<br />
per acciaio. Durante la guerra la produzione della ghi-<br />
278<br />
sa ebbe <strong>il</strong> suo massimo trend produttivo: 259.000 t pari<br />
al 25% del totale e nella sola Domodossola si censirono<br />
15 forni elettrici per ghisa, cioè <strong>il</strong> più alto numero tra i<br />
restanti stab<strong>il</strong>imenti siderurgici dell’area alpina.<br />
Le minori aziende crebbero anch’esse: la Galtarossa di<br />
Varzo e quella di Domodossola, sebbene conoscessero<br />
momenti di crisi, ebbero un r<strong>il</strong>ancio fino a raggiungere,<br />
nel 1941, un capitale di £ 15 m<strong>il</strong>ioni, quando la società<br />
ebbe un ut<strong>il</strong>e di 1.500.000 di lire. Semmai, la Galtarossa<br />
dal fascismo subì una compressione che ancora oggi<br />
risulta di diffic<strong>il</strong>e lettura. Orientata la propria specializzazione<br />
verso <strong>il</strong> carburo e <strong>il</strong> calciocianamide, fu proprio<br />
<strong>il</strong> Consorzio italiano di carburo e ferroleghe ad assegnarle<br />
una quota limitata pari al 16% della sua potenzialità.<br />
A nulla valsero i progetti di ampliamento e di<br />
ammodernamento presentati dalla società al Consorzio<br />
senza chiedere alcun finanziamento potendo far fronte<br />
alle spese di £ 750.000 con mezzi propri. Eppure, i consumi<br />
dei concimi erano in aumento e lo sarebbero stati<br />
di più nel contesto della campagna ruralista del regime.<br />
Le scelte economiche del fascismo, come è stato ampiamente<br />
dimostrato, vanno inserite nel «piano regolatore»<br />
dell’economia italiana, annunciato da Mussolini nel<br />
marzo 1936, che prevedeva un maggiore coinvolgimento<br />
dello Stato nel settore industriale mediante le Corporazioni<br />
che decidevano sulle politiche aziendali.<br />
Da una parte <strong>il</strong> progetto si attuò con l’allineamento della<br />
nostra moneta alle divise estere; dall’altra, si progettò<br />
un rafforzamento della siderurgia a ciclo integrale con<br />
l’obiettivo autarchico di far fronte al fabbisogno nazionale<br />
entro <strong>il</strong> 1940. 31 È da questo disegno economico-finanziario<br />
che sorse l’IMI (Istituto Mob<strong>il</strong>iare <strong>It</strong>aliano)<br />
con lo scopo di aiutare le imprese private, e nacque, nel<br />
1933, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale)<br />
che divenne una vera e propria holding r<strong>il</strong>evando capitali<br />
azionari di banche e industrie. Il peso dell’intervento<br />
pubblico con <strong>il</strong> fascismo divenne massiccio tanto che<br />
la nascita e <strong>il</strong> consolidamento di nuovi settori produttivi<br />
si accompagnano storicamente a forme crescenti di intervento<br />
statale: queste si articolano tanto in forti protezioni<br />
doganali [...] quanto in interventi finanziari diretti. 32 A<br />
ben guardare, <strong>il</strong> fascismo tutelò la grande industria più<br />
che la media e piccola o l’artigianato.<br />
Il settore chimico moderno si può dire che nacque nel-
la provincia di Novara dall’incontro di Guido Donegani<br />
con <strong>il</strong> novarese Giacomo Fauser; nel maggio 1921,<br />
i due diedero vita alla Società Elettrochimica Novarese<br />
(£3 m<strong>il</strong>ioni di capitale) con la partecipazione della<br />
Montecatini. A V<strong>il</strong>ladossola questa aveva uno stab<strong>il</strong>imento<br />
che produceva acetato di piombo, soda, acetone,<br />
acido acetico, anidride acetica e cloroformio, e ben presto<br />
ne aprì un altro a Domodossola per la fabbricazione<br />
del carburo di calcio e di calciocianamide. La Rumianca<br />
era cresciuta per capitali e produzione durante tutto<br />
<strong>il</strong> fascismo: da £ 2.500.000 di capitale nel 1915 aveva<br />
raggiunto i 14 m<strong>il</strong>ioni nel 1927, i 34 m<strong>il</strong>ioni nel 1935<br />
e i 48 m<strong>il</strong>ioni nel 1938 sfondando la quota di 142,5 m<strong>il</strong>ioni<br />
nel 1941.<br />
Il settore idroelettrico ossolano nel 1927 era composto<br />
da 116 esercizi che davano lavoro a 1.309 persone realizzando<br />
ut<strong>il</strong>i e dividendi. La Edison divenne una presenza<br />
r<strong>il</strong>evante acquisendo compartecipazioni e incroci<br />
azionari; anche la Dinamo e la Soc. Idroelettrica Ossolana<br />
continuarono a rafforzarsi. Quest’ultima nel 1921<br />
elevò <strong>il</strong> capitale a 2 m<strong>il</strong>ioni, nel 1928 a 5, nel 1931 a 8 e<br />
nel 1935 finì con <strong>il</strong> trasferire la sede sociale a Torino.<br />
Meno bene andarono le cose per lo Jutificio Ossolano,<br />
divenuto Jutificio Nazionale, che nel 1927 chiuse lo<br />
stab<strong>il</strong>imento di V<strong>il</strong>ladossola per mancanza di commesse<br />
lasciando a casa 307 operai, per lo più donne. 33 Il podestà<br />
Ceretti si interessò del problema, come dimostra<br />
la corrispondenza intercorsa con Genova, sede centrale<br />
della società, perché venisse ripresa l’attività. A questo<br />
scopo si prodigò perché la Dinamo offrisse a prezzi<br />
molto competitivi l’energia elettrica necessaria, e così<br />
lo Jutificio nazionale riaprì lo stab<strong>il</strong>imento per poi richiuderlo<br />
nel 1933. 34 Complessivamente l’Ossola continuò<br />
durante <strong>il</strong> fascismo ad essere al centro di una rimarchevole<br />
industrializzazione, ma <strong>il</strong> ruolo del Sempione<br />
e della stazione internazionale di Domodossola non<br />
avevano avuto l’importanza che ci si aspettava. Durante<br />
<strong>il</strong> regime le importazioni furono sette volte superiori<br />
alle esportazioni e <strong>il</strong> volume dei traffici cominciò a diminuire.<br />
Comparato agli altri passi alpini, <strong>il</strong> Sempione<br />
acquisì un ruolo di importanza sempre maggiore rispetto<br />
a Ventimiglia, Modane, Luino, Brennero, San Candido,<br />
Fiume, Piedicolle e Fusine Laghi piazzandosi subito<br />
dopo Chiasso e Tarvisio, ma le esportazioni furo-<br />
no inferiori a quelle transitate dai passi suddetti. Le ragioni<br />
erano da ricercare nel ritardo verificatosi per renderlo<br />
competitivo rispetto ai costi: mancò <strong>il</strong> raddoppio<br />
e l’elettrificazione della linea ferroviaria Gallarate-Domodossola,<br />
mentre nella parte svizzera ciò era avvenuto<br />
già per 300 km. Inoltre, non bisogna dimenticare che<br />
durante <strong>il</strong> fascismo i commerci furono intensificati soprattutto<br />
verso l’Europa centrale (Germania e Austria)<br />
e meno verso la Francia e la Gran Bretagna. Carattere<br />
eminentemente locale o di raccordo tra la Svizzera tedesca<br />
(Vallese) e quella italiana (Ticino) ebbe la linea Domodossola-Locarno:<br />
durante <strong>il</strong> fascismo aumentarono<br />
le merci in transito e diminuirono i viaggiatori a causa<br />
di una minore mob<strong>il</strong>ità degli italiani.<br />
Un altro segnale del progresso era dato dalla presenza<br />
del sistema bancario che nella provincia si rafforzò<br />
soprattutto con la politica espansionistica della Banca<br />
Popolare di Novara e con quella più raccolta, ma sempre<br />
in espansione, della Banca Popolare di Intra. Le due<br />
banche locali, <strong>il</strong> Banco dell’Ossola e la Banca Maffioli,<br />
erano state cancellate. Infine, se i dati della riscossione<br />
di imposta sono un sintomo di sv<strong>il</strong>uppo, c’è da sottolineare<br />
che a Domodossola la raccolta per i consumi si<br />
raddoppiò tra <strong>il</strong> 1929 e <strong>il</strong> 1930, passando dalle 22.876<br />
lire alle 42.960 lire. Così pure erano cresciute le imposte<br />
indirette che sono la manifestazione mediata della<br />
ricchezza, e ciò causò alcune risentite proteste e la richiesta<br />
di revisione del sistema catastale che puniva le<br />
magre risorse agricole del territorio. Non può essere trascurata,<br />
in questo quadro, un’altra iniziativa della classe<br />
borghese <strong>il</strong>luminata in favore della classe operaia in<br />
quanto conferma una cultura innovativa negli imprenditori.<br />
Partendo dalla constatazione che più della metà<br />
della mano d’opera della Ceretti era senza casa e domic<strong>il</strong>io<br />
nel centro siderurgico o viveva in case fatiscenti e<br />
antigieniche, la società nel 1937 si fece carico della costruzione<br />
di case igieniche ed a prezzi che [fossero] alla<br />
portata di tutti i lavoratori. 35 Nel gennaio 1937 <strong>il</strong> prefetto<br />
Letta aveva riunito a V<strong>il</strong>ladossola i rappresentanti<br />
delle industrie cittadine più grandi e delle autorità civ<strong>il</strong>i<br />
e sanitarie. Emerse che occorrevano almeno 2.000<br />
vani per una spesa di non inferiore a 14 m<strong>il</strong>ioni di lire.<br />
Il piano che fu elaborato prevedeva 500 alloggi entro <strong>il</strong><br />
1938, 500 entro <strong>il</strong> 1939 e 1.000 entro <strong>il</strong> 1940. Le spese<br />
279
avrebbero dovuto essere sopportate in rapporto al numero<br />
degli operai: per i 14/30 dalla Metallurgica Ossolana<br />
(poi Sisma), per i 7/30 dalla Ceretti e per i restanti<br />
9/30 dalla Sips e dalla Set. Gli industriali della Ceretti<br />
e della M.O. aderirono subito a condizione che venisse<br />
offerto loro <strong>il</strong> terreno con l’esproprio per pubblica ut<strong>il</strong>ità,<br />
mentre i delegati delle altre due società presero tempo<br />
per riferire ai rispettivi consigli di amministrazione.<br />
La Ceretti scelse la zona Pedemonte, in periferia, ma vicina<br />
allo stab<strong>il</strong>imento e individuò per le case operaie<br />
mq 42.136 di terreno di proprietà di 42 persone, tra cui<br />
la stessa Ceretti. La spesa per i terreni fu di £ 126.408,<br />
mentre le spese complessive furono £ 430.000 compresa<br />
la costruzione dei fabbricati. 36 Alcuni proprietari dei<br />
terreni intralciarono l’opera facendo ricorso, ma <strong>il</strong> prefetto<br />
aderì alla richiesta dell’impresa, le difficoltà furono<br />
superate e le 185 case vennero costruite assieme ad<br />
un as<strong>il</strong>o nido e ad un ricovero per anziani.<br />
Anche La Metallurgica Ossolana costruì un proprio v<strong>il</strong>laggio<br />
operaio lungo la strada del Sempione, a ridosso<br />
della ferrovia, per complessivi 213 alloggi in casette a<br />
due piani con chiesa, scuola e servizi.<br />
Ricostruzione e «miracolo economico»<br />
Con la seconda guerra mondiale <strong>il</strong> processo di sv<strong>il</strong>uppo<br />
subì un gravissimo contraccolpo di cui risentì anche<br />
l’Ossola per la difficoltà di reperire le materie prime.<br />
Durante <strong>il</strong> conflitto la Sips di V<strong>il</strong>ladossola fu incorporata<br />
dalla Dist<strong>il</strong>lerie <strong>It</strong>aliane che aveva la sede a M<strong>il</strong>ano<br />
e quindi dal 1944 poté contare su un rafforzamento<br />
degli investimenti. Durante <strong>il</strong> periodo della «repubblica<br />
partigiana», nel settembre-ottobre 1944 l’Ossola<br />
costituì un punto di riferimento politico e industriale<br />
proprio per l’alta concentrazione produttiva che fu salvaguardata<br />
a costo di non pochi sacrifici. Diffic<strong>il</strong>e fu <strong>il</strong><br />
periodo della ricostruzione per la mancanza di materie<br />
prime e di mercati di espansione. La produzione idroelettrica<br />
raddoppiò nel dopoguerra e crebbe l’offerta di<br />
energia che, se di per sé non è indice della ripresa industriale<br />
o di incremento dell’occupazione, precede la domanda<br />
e costituisce un’ottimistica previsione delle generali<br />
condizioni economiche. 37<br />
Gli storici economici hanno distinto tre fasi dal dopoguerra<br />
ad oggi: la prima è quella della ripresa, denomi-<br />
280<br />
nata «miracolo economico», che va dal 1953 al 1962;<br />
la seconda è quella della «congiuntura» che va dal 1963<br />
agli anni ’70; la terza è quella dei nostri giorni.<br />
Agli inizi degli anni ’50 rispuntò l’interesse per le miniere<br />
d’oro di Pestarena di proprietà dell’Ammi. Con<br />
una certa forzatura <strong>il</strong> monte Rosa fu valutato come un<br />
serbatoio d’oro inesaurib<strong>il</strong>e, ma forse non si tenne conto<br />
degli oneri finanziari che una ripresa dell’attività avrebbe<br />
comportato, <strong>il</strong> prezzo dell’oro era aumentato anche<br />
per effetto della guerra della Corea, ma la produzione<br />
delle miniere ossolane era solo di 400 kg annui<br />
e vi lavoravano 500 addetti in due turni quotidiani per<br />
i quali la società aveva creato un v<strong>il</strong>laggio, un cinema<br />
e un dopolavoro. 38 Ma queste provvidenze non avevano<br />
eliminato la temib<strong>il</strong>e s<strong>il</strong>icosi che falcidiava la classe<br />
operaia attorno ai 40-50 anni di età. Comunque <strong>il</strong><br />
problema era di verificare la redditività delle miniere:<br />
a Pestarena si estraevano 7-8 gr d’oro da una t di micasciste<br />
e ogni mese si estraevano 180 t circa di minerale<br />
che veniva lavorato da ditte specializzate di M<strong>il</strong>ano,<br />
mentre <strong>il</strong> fabbisogno nazionale si calcolava in 27,5 t d’oro<br />
per gli scambi ufficiali con l’estero. Gli eccessivi costi<br />
fecero desistere dall’impresa di scavare, ma a fasi alterne<br />
non mancano i fautori di un impegno minerario<br />
nell’Ossola. 39<br />
Il settore tradizionalmente trainante, <strong>il</strong> siderurgico, nella<br />
prima fase qui presa in esame risentì della favorevole<br />
congiuntura nazionale e internazionale. Tuttavia, delineare<br />
un breve panorama della siderurgia italiana non<br />
è possib<strong>il</strong>e senza accennare al Piano Sinigaglia del 1947<br />
che si basava su alcuni punti fondanti: ritenendo sottodimensionati<br />
i consumi di acciaio e prevedendo una<br />
loro espansione, esso ipotizzava una graduale diminuzione<br />
dell’ut<strong>il</strong>izzo dei rottami per avviare, invece, un<br />
processo di produzione integrale. Ciò avrebbe comportato<br />
un ammodernamento di alcuni impianti con grossi<br />
investimenti, ma ne avrebbe chiusi altri. In sostanza,<br />
<strong>il</strong> Piano rafforzava la siderurgia tirrenica e ligure, cioè<br />
quella che faceva capo alla società Finsider (Iri) mentre<br />
comprimeva quella dell’area alpina e padana. C’è da aggiungere<br />
che in tutta Europa dal 1960 in poi si priv<strong>il</strong>egiò<br />
una localizzazione costiera abbandonando i centri<br />
di antica tradizione siderurgica. Si trattò di una politica<br />
industriale attenta a fac<strong>il</strong>itare e ridurre i costi del tra-
sporto delle materie prime, ma non fu esente la scelta di<br />
industrializzare <strong>il</strong> Mezzogiorno. 40<br />
In questo contesto, la siderurgia minore venne penalizzata;<br />
decrebbe l’importazione dei rottami di cui 1’Ossola<br />
faceva largo consumo, anche se <strong>il</strong> Piano Sinigaglia<br />
portò la nostra produzione a livelli di tutto rispetto e<br />
mai ipotizzab<strong>il</strong>i. Nel 1958 in Piemonte si era registrata<br />
una produzione del 20% sul totale nazionale con 17<br />
stab<strong>il</strong>imenti, mantenendo la quota che aveva nel 1938.<br />
Nel 1965 se ne censirono 21 che si ponevano, nel panorama<br />
nazionale, come stab<strong>il</strong>imenti di media grandezza:<br />
15 davano una produzione tra 20.000 e 50.000 t, 2<br />
di 100.000 t, 3 di 200.000 t e soltanto uno superava la<br />
produzione di 700.000 t di laminati. Nella produzione<br />
della ghisa <strong>il</strong> Piemonte ebbe una flessione passando<br />
dal 25% sul totale nazionale del 1938 al 16% del 1953,<br />
al 13% del 1958, al 10% del 1961 e al 13% del 1966-<br />
71. Nella statistica del 1966 lo stab<strong>il</strong>imento di Domodossola<br />
non compariva più tra quelli che producevano<br />
ghisa con <strong>il</strong> processo elettrico, mentre in <strong>It</strong>alia ne restavano<br />
ancora 13. Nel 1961, nella produzione dell’acciaio<br />
la Sisma di V<strong>il</strong>ladossola veniva tra le prime cinque<br />
che producevano 200-300.000 t annue con <strong>il</strong> forno<br />
Martin-Siemens e quindi <strong>il</strong> suo ruolo nella siderurgia<br />
alpina rimaneva importante malgrado si andasse intensificando<br />
<strong>il</strong> duro confronto tra la siderurgia privata e<br />
quella parastatale. 41<br />
Il settore idroelettrico in questa prima fase andò consolidandosi<br />
grazie al colosso Edison che aveva nell’Ossola<br />
una potenza installata di 600.000 kw, pari al 92% sul<br />
totale della potenza in Valle, e una produzione media<br />
annua di 1.630.000.000 kwh. Ma proprio questo settore<br />
costituì una delle ragioni del disimpegno industriale.<br />
Come è noto, in quel periodo si sv<strong>il</strong>uppò un intenso<br />
dibattito sul ruolo delle imprese elettriche nel quadro<br />
dello sv<strong>il</strong>uppo e sulla necessità della nazionalizzazione. I<br />
«baroni elettrici» vennero accusati di intascare lauti profitti,<br />
ma non erano stati in grado di stimolare lo sv<strong>il</strong>uppo<br />
industriale, anzi lo avevano frenato. 42 Quando nel<br />
1963 si ebbe la nazionalizzazione dell’energia elettrica,<br />
la società di Stato, l’Enel, ereditò i 27 impianti ossolani<br />
che davano una potenza installata di 706.000 kw ed<br />
La nuova viab<strong>il</strong>ità stradale ha collegato l’Ossola con l’Europa.<br />
282<br />
una produzione annua di 1.780.000.000 kwh, mentre<br />
una decina di altre piccole centrali furono lasciate alle<br />
industrie locali per la produzione esclusiva di energia<br />
per gli stab<strong>il</strong>imenti. Ma se la nazionalizzazione portò<br />
indiscussi vantaggi ai consumi, l’unificazione delle tariffe<br />
fece mancare uno dei vantaggi-cardine su cui poggiava<br />
<strong>il</strong> favore delle localizzazioni industriali nel territorio<br />
ossolano.<br />
Secondo qualche autore <strong>il</strong> declino del secondario cominciò<br />
a delinearsi a partire dal 1951 in quanto, se<br />
crebbero le unità lavorative, diminuì la media degli addetti.<br />
43 Ma non sembra che <strong>il</strong> vero problema sia stato<br />
soltanto quello della diminuzione della grandezza delle<br />
imprese perché le piccole e medie aziende hanno sempre<br />
costituito <strong>il</strong> nerbo dell’industrializzazione nazionale.<br />
Analizzando <strong>il</strong> periodo 1951-1961 la realtà ossolana<br />
si presentava in modo più complesso: chiusero diverse<br />
attività piccole e piccolissime del tess<strong>il</strong>e (-130 u.l., pari<br />
al 41,2%); nel settore pelli e cuoio ci fu uno sv<strong>il</strong>uppo di<br />
piccolissime aziende ( + 68); nel meccanico si sv<strong>il</strong>upparono<br />
aziende di dimensioni più consistenti ( + 49); aumentarono<br />
le unità lavorative nella lavorazione dei minerali<br />
non metallici ( + 27, pari al 52,9%), e invece nel<br />
chimico le 11 unità del 1951 scesero a 8 nel 1961; infine,<br />
nel settore delle costruzioni si registrò un continuo<br />
incremento: 762 addetti in più nel 1961, pari a un<br />
+136,5% rispetto al 1951. 44 La Tabella n. 1 conferma<br />
questo andamento altalenante.<br />
Dunque, <strong>il</strong> processo di sottosv<strong>il</strong>uppo è stato costante<br />
soprattutto per <strong>il</strong> cedimento delle tradizionali industrie<br />
siderurgiche e chimiche, solo in parte compensato dallo<br />
sv<strong>il</strong>uppo di altri settori.<br />
Il periodo della crisi<br />
La Tabella n. 2 fotografa l’andamento dell’occupazione<br />
nella grande industria ossolana lungo un arco di tempo<br />
che va dal 1963 al 1982. Stando a questi dati, <strong>il</strong> declino<br />
della grande industria ossolana si verificò dopo <strong>il</strong><br />
1971 con una perdita di circa un quarto dell’occupazione<br />
compensata, in parte, nelle grandi strutture del terziario<br />
dove ci fu un generale incremento occupazionale:<br />
nelle Ferrovie dello Stato i 750 impiegati del 1971
erano divenuti 970; nella Ferrovia Vigezzina, i 97 impiegati<br />
del 1961 erano divenuti 105 nel 1971 e 116 nel<br />
1982; solo nell’Enel i 771 addetti del 1961 erano scesi<br />
a 666 nel 1971 e a 636 nel 1982. Un certo squ<strong>il</strong>ibrio<br />
tra le varie zone delle valli si andava accentuando in<br />
quanto l’ubicazione dell’apparato industriale si andava<br />
concentrando sulla riva destra del fiume Toce: nel 1951<br />
con 447 unità lavorative e 6.767 addetti; nel 1961 con<br />
478 unità e 7.724 addetti; nel 1969 con 582 unità e<br />
7.716 addetti. Ormai nella piana della Toce si collocava<br />
<strong>il</strong> 90% delle aziende manifatturiere e degli addetti e,<br />
per quanto possa sembrare strano, Domodossola era <strong>il</strong><br />
centro con più unità lavorative (215 nel 1951, 234 nel<br />
1961 e 243 nel 1969), mentre V<strong>il</strong>ladossola e Pieve Vergonte<br />
restavano i centri con la più alta concentrazione<br />
operaia rispetto al numero degli stab<strong>il</strong>imenti. Il fenomeno<br />
è importante per comprendere <strong>il</strong> lento spopolamento<br />
alpino e in che modo si sono assestati i flussi migratori<br />
all’interno della Val d’Ossola. 45 Particolare menzione<br />
meritano le discontinue vicende di alcune grandi<br />
aziende per la loro r<strong>il</strong>evanza storica nel settore industriale<br />
ossolano. La Ceretti nel 1972 aveva iniziato la costruzione<br />
di un nuovo stab<strong>il</strong>imento in vista di un progettato<br />
sv<strong>il</strong>uppo, ma nel 1974 fu frenata dalla crisi che<br />
Stab<strong>il</strong>imenti chimici in Val d’Ossola.<br />
sembrò risolta con l’ingresso di nuovi azionisti, con la<br />
vendita della parte sud del vecchio opificio alla Fomas<br />
di Osnago e con l’introduzione di nuove tecnologie.<br />
Ma nel 1979 fu chiesta l’amministrazione controllata<br />
e la cassa integrazione; e negli anni ‘80 ci fu la cessione<br />
alla Società FERDO di Torino per 19 m<strong>il</strong>iardi di lire. 46<br />
La Ferriera dell’Ossola sorse nel 1977 con l’acquisto<br />
di parte del vecchio stab<strong>il</strong>imento Ceretti. I 189 addetti<br />
divennero 264 nel 1978 con prospettive confortanti,<br />
ma nel 1979 l’azienda venne posta in liquidazione. Anche<br />
la Sisma entrò in crisi nel 1972 con l’ingresso delle<br />
partecipazioni statali (EGAM) che, al di là delle attese,<br />
si rivelò improduttivo perché l’ente statale fu sciolto.<br />
Molti furono gli oneri finanziari mentre i debiti aumentarono<br />
sensib<strong>il</strong>mente e l’occupazione diminuì del<br />
23%. Più confortanti sono stati i risultati della Tonolli<br />
di Pieve Vergonte che aveva assorbito l’ALP e che riuscì<br />
ad aumentare l’occupazione malgrado abbia avvertito<br />
qualche difficoltà. La Clifford sorse nel 1968 per iniziativa<br />
di imprenditori inglesi e <strong>il</strong> contributo municipale,<br />
ma <strong>il</strong> capitale inglese nel 1973 si ritirò dall’attività che<br />
venne r<strong>il</strong>evata da un gruppo finanziario. Nacque così la<br />
Clifford Bongiasca Spa, ma la crisi cominciò a farsi sentire<br />
a fasi cicliche, finché l’impresa non fu r<strong>il</strong>evata dalla<br />
283
Manifatture di V<strong>il</strong>ladossola. Un mutamento continuo<br />
di nomi e di ragione sociale ebbe la Rhodiatoce di V<strong>il</strong>ladossola<br />
(Montefibre, SICMA chimica, Resem, Monte/<br />
Dipe, Vinav<strong>il</strong>, Anic), in quanto la sua storia dipese molto<br />
dall’andamento del settore chimico italiano. In particolare<br />
sin dal 1970 la crisi dell’azienda fu legata all’inserimento<br />
della Montedison nella proprietà.<br />
Il periodo della «congiuntura» coincise con uno sforzo<br />
di elaborazione teorica e tecnica di dati e di progetti per<br />
individuare le ragioni del malessere nel settore produttivo.<br />
In questo quadro si inseriva uno dei primi studi dell’Unione<br />
Regionale delle Province Piemontesi, a cura<br />
dell’IRES, sulla struttura industriale torinese. 47 L’azione<br />
degli imprenditori privati, soprattutto nella piccola<br />
e media impresa, veniva ritenuta insufficiente sin dai<br />
tempi antichi per l’inadeguatezza della forza finanziaria;<br />
come pure insufficiente era ritenuto l’apporto delle<br />
grandi banche della regione perché non potevano contribuire<br />
alla formazione del capitale di rischio e fac<strong>il</strong>itare<br />
l’innovazione; nuovi compiti erano individuati per le<br />
pubbliche amministrazioni.<br />
Con l’istituzione delle regioni <strong>il</strong> dibattito divenne ancor<br />
più intenso e si cominciò a riconsiderare l’accentramento<br />
industriale nell’area torinese individuando come<br />
strumenti strategici la creazione di poli industriali affidati<br />
al ruolo trainante dell’industria motrice. 48 L’interesse<br />
per i piani di sv<strong>il</strong>uppo sembrava contagiare classe politica<br />
e tecnici. Per <strong>il</strong> territorio ossolano acquista particolare<br />
r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> convegno promosso dal CIPE (Centro<br />
Informazione politiche ed economiche) sulle Comunità<br />
montane istituite con la legge del 1971. Il convegno<br />
faceva <strong>il</strong> punto sulla legislazione più recente mirante a<br />
rivalutare l’economia montana per eliminare gli squ<strong>il</strong>ibri<br />
di natura sociale ed economica tra le zone montane<br />
e <strong>il</strong> territorio nazionale. 49 Alle Comunità montane veniva<br />
data la competenza del coordinamento degli interventi<br />
e quindi <strong>il</strong> loro ruolo veniva collocato nella logica<br />
della programmazione che non poteva prescindere<br />
dal più ampio quadro della programmazione regionale.<br />
Naturalmente si chiedeva ad esse un compito non semplice<br />
e non sempre chiaro perché a capo delle comunità<br />
non c’erano professionisti della politica economica e<br />
perché si rischiava di far produrre semplici elencazioni<br />
di opere pubbliche ed interventi settoriali, nel quadro di<br />
284<br />
un rituale pianto della montagna abbandonata. 50 Insomma,<br />
permaneva <strong>il</strong> rischio di sempre, e cioè di dire ciò<br />
che una zona montana era e non saper definire ciò che<br />
avrebbe dovuto e potuto essere in futuro.<br />
La legge regionale individuò nell’Ossola 5 Comunità<br />
montane e non una sola grande comunità, esaltando,<br />
così, la suddivisione geografica anziché la conformazione<br />
di tipo culturale, politico ed economico. Vennero costituite<br />
le Comunità Valle Ossola con 18 comuni, Valle<br />
Vigezzo con 7, Valle Antigorio e Formazza con 4, Valle<br />
Anzasca con 5 e Valle Antrona con 4. Probab<strong>il</strong>mente<br />
fu persa una buona occasione per dare forza e coesione<br />
ad un progetto di r<strong>il</strong>ancio economico della montagna e<br />
i minuscoli «parlamentini» valligiani spesso furono costretti<br />
a dibattersi nell’ordinaria gestione.<br />
La legge regionale 21/1975 propose <strong>il</strong> decentramento<br />
industriale con la concessione di contributi ai Comuni<br />
e ai consorzi di Comuni che avrebbero presentato piani<br />
di sv<strong>il</strong>uppo industriale e artigianale, ma non si registrarono<br />
contributi per <strong>il</strong> Novarese. Uno studio sulle aree<br />
depresse in Piemonte accertò che nella provincia novarese<br />
vi erano 65 Comuni dichiarati depressi e 76 montani<br />
con notevoli problemi. L’inchiesta accertò anche<br />
che <strong>il</strong> 57% dei Comuni piemontesi depressi incoraggiava<br />
gli insediamenti industriali con alcune provvidenze,<br />
mentre nel Novarese la percentuale di questi Comuni<br />
fu più alta, ma è diffic<strong>il</strong>e sostenere che gli aiuti promessi<br />
dai Comuni avrebbero incentivato automaticamente<br />
gli insediamenti produttivi. 51<br />
Un’attenzione particolare ebbe l’analisi sul ruolo del<br />
Sempione per un r<strong>il</strong>ancio dello sv<strong>il</strong>uppo territoriale<br />
partendo dalla premessa che l’Ossola era un’area ponte,<br />
elemento di congiunzione fra le aree forti dell’Europa centro-occidentale<br />
e quella m<strong>il</strong>anese. 52 All’attenzione degli<br />
operatori economici si sottoponeva la necessità di r<strong>il</strong>anciare<br />
la linea ferroviaria del Sempione sia con la costruzione<br />
di una stazione supplementare per le merci (Domodue),<br />
sia con alcuni interventi normativi.<br />
Nel contesto ambientalista fu pubblicato un altro piano<br />
sul parco naturale dell’Alpe Veglia, situato tra le valli<br />
Devero e Formazza, allo scopo di affrontare un piano di<br />
sv<strong>il</strong>uppo che doveva quindi essere valutato nella prospettiva<br />
indicata dall’ecologia, al fine di evitare che l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />
a breve termine delle risorse incidesse negativamente
sulla produttività a lungo termine. 53 Guardando alle potenzialità<br />
del turismo come industria integrativa dei settori<br />
produttivi in declino, si rifiutavano alcune soluzioni<br />
che avrebbero stravolto l’ambiente ecologico. Il turismo<br />
entrava nell’indagine economica come fattore risolutivo<br />
dello sv<strong>il</strong>uppo anche in considerazione dell’incremento<br />
del passaggio degli stranieri dai transiti della<br />
provincia. Se la società civ<strong>il</strong>e si preoccupava di una rivalutazione<br />
«controllata» della montagna, l’Amministrazione<br />
provinciale, sia pure senza contraddizione con la<br />
prima, presentò uno Studio sul potenziamento delle risorse<br />
idriche dell’Alto Novarese che faceva intravvedere nuove<br />
prospettive per rivalutare la montagna attraverso lo<br />
sfruttamento cap<strong>il</strong>lare dei piccoli salti idrici forniti dai<br />
ruscelli montani a vantaggio di piccole imprese agricole.<br />
54 Dall’indagine risultava che nella montagna novarese<br />
vi erano le condizioni per favorire la permanenza o la<br />
costituzione di nuove aziende montane una volta elettrificate<br />
e rese autosufficienti. Nessuno però ha mai creduto<br />
che l’agricoltura ossolana avrebbe potuto aspirare<br />
ad un ruolo che andasse al di là di una attività integrativa<br />
rispetto ad altri settori produttivi. Un altro studio,<br />
affidato all’Università Bocconi di M<strong>il</strong>ano, analizzava i<br />
fatti economici fornendo diagnosi e proposte operative<br />
per uscire dalla stagnazione. 55 La causa della crisi fu addebitata<br />
all’incapacità di far fronte alla divisione nazionale<br />
e internazionale del lavoro, allo spostamento dell’area<br />
economica del Paese verso oriente, all’incremento<br />
del mercato tedesco, alla mancanza di ammodernamento<br />
delle vie di comunicazione. La conclusione a cui<br />
perveniva la ricerca, analizzando l’approvazione sociale<br />
dell’imprenditore nell’Ossola, era che questi non veniva<br />
accolto da un sistema favorevole in quanto gli atteggiamenti<br />
socio-culturali dominanti erano tali da inibire<br />
<strong>il</strong> manifestarsi diffuso di orientamenti imprenditoriali<br />
costruendo un quadro di valori al cui interno l’emergere<br />
dell’imprenditore diventava altamente improbab<strong>il</strong>e.<br />
La causa del problema sarebbe l’aver convissuto con attività<br />
economiche che avevano all’interno schemi limitati<br />
sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o di tre dimensioni: quella del rischio, quella<br />
dell’innovazione e quella dell’organizzazione. 56 Pertanto,<br />
l’imprenditore — abituato a sfruttare ciò che è già dato<br />
— sv<strong>il</strong>upperebbe minori propensioni a comportarsi come<br />
agente di trasformazione, di creazione tendendo a ripie-<br />
gare su schemi ripetitivi e a discostarsi sensib<strong>il</strong>mente dal<br />
prototipo schumpeteriano che accetta <strong>il</strong> rischio.<br />
In altri termini, ai nostri giorni mancherebbe nell’Ossola<br />
l’imprenditore capitalista che accetta <strong>il</strong> rischio accanto<br />
alla razionalizzazione dei fattori della produzione,<br />
per colpa di un individualismo e di un localismo che farebbero<br />
rinchiudere nel proprio mondo culturale senza<br />
aperture verso l’esterno innovativo.<br />
Se è vera questa analisi per i nostri giorni, c’è da osservare<br />
che nel passato le cose andarono diversamente tanto<br />
che in più occasioni si è avuto modo di sottolineare la<br />
presenza di una imprenditorialità privata e di una apertura<br />
all’innovazione da parte della classe politica locale.<br />
Per avvalorare quanto si va dicendo vale la pena riferire<br />
la vicenda esemplare avvenuta dopo che la Mannesman<br />
declinò l’invito ad insediarsi nell’Ossola. La classe<br />
politica locale e i ceti abbienti costituirono un comitato<br />
Pro Industria nel quale furono inseriti i nomi più prestigiosi<br />
di Ossolani con lo scopo di bandire un concorso<br />
per fare installare a Domodossola uno stab<strong>il</strong>imento<br />
industriale che desse occupazione e reddito. Il Comune<br />
avrebbe incentivato qualsiasi iniziativa con un premio<br />
di £ 10.000.<br />
Non mancarono le proposte: uno stab<strong>il</strong>imento di flaconeria<br />
e di chimica da Somma Lombardo; un cotonificio<br />
da Garesio; un’attività meccanica offerta dall’ingegnere<br />
De Benedetti di Torino; altre proposte giunsero<br />
da Vado Ligure (officina meccanica), da M<strong>il</strong>ano (calzettificio),<br />
da altri stab<strong>il</strong>imenti tess<strong>il</strong>i. Il dibattito non fu di<br />
semplice portata, così come oggi non è semplice valutare<br />
l’insediamento industriale che alla fine si realizzò alla<br />
periferia della città con una fabbrica di funi e generi affini<br />
dei Fratelli Zanelli di Palazzolo sull’Oglio. La scelta<br />
era stata affidata ad un consulente aziendale, tale Cesare<br />
Boccardo di Intra, che scartò le offerte del cotonificio<br />
e della meccanica finendo col valutare la produzione di<br />
cordami ottimamente inserib<strong>il</strong>e nel contesto produttivo<br />
pel suo genere di manufatti e per la vastità dei suoi articoli<br />
e del loro impiego industriale consentendo l’occupazione<br />
a 100 addetti come aveva previsto <strong>il</strong> capitolato del<br />
Comune. 57 Certo non fu esente la valutazione di certi<br />
ambienti restii ad ammassare un gran numero di mano<br />
d’opera e forse si volle scegliere un settore produttivo<br />
nuovo. Il capitale azionario della società bresciana fu<br />
285
fortemente integrato da quello locale per complessive<br />
£ 310.000. Dunque, in più occasioni la borghesia locale<br />
aveva messo le mani al portafogli per acquistare azioni<br />
di società note o per dare vita a nuove imprese. Così<br />
fu per le società elettriche locali, per la Fratelli Zanelli<br />
e per la costituzione di una Soc. An. per la Condotta<br />
di Acque Potab<strong>il</strong>i che raccolse 157 azionisti di Domodossola<br />
e dei centri valligiani. Qualche anno dopo, nel<br />
1907, si verificò lo stesso quando fu costituita una società<br />
cooperativa per la distribuzione del gas. Gli Ossolani<br />
preferirono costituire una loro società piuttosto che<br />
accettare l’offerta di un servizio di altre ditte più esperte<br />
e consolidate come quella di Carl Francke di Zurigo.<br />
Anche a Vogogna fu r<strong>il</strong>evata un’impresa industriale<br />
per la fabbricazione di f<strong>il</strong>ati di canapa, spaghi e corda,<br />
la Corderia Ossolana, che occupava 53 operai. Alcuni<br />
ricchi notab<strong>il</strong>i del posto raccolsero 5.000 azioni da £<br />
100, sicuri di entrare nei mercati con un ut<strong>il</strong>e netto di £<br />
56.382 che avrebbe consentito dividendi dell’11,25%.<br />
Se l’atteggiamento degli Ossolani un tempo fu più dinamico<br />
e spregiudicato, quali furono le ragioni di questo<br />
protagonismo?<br />
A mio parere, tra le tante, due furono le principali. In<br />
primo luogo, l’emigrazione che aveva arricchito non pochi<br />
personaggi che erano tornati per investire e per fare<br />
lasciti benefici. Tra questi va certamente segnalato Gian<br />
Giacomo Galletti che nel 1869, dopo essere stato eletto<br />
deputato, lasciò al comune di Domodossola la rendita<br />
annua di £ 40.000 in Cartelle del debito pubblico<br />
per la creazione di una Fondazione con <strong>il</strong> suo nome. In<br />
un altro saggio ho già analizzato gli aspetti finanziari dei<br />
lascito e gli errori commessi dagli amministratori della<br />
rendita in quanto solo in parte riuscirono a realizzare<br />
i progetti del Galletti. 58 L’ingente somma che sarebbe<br />
maturata negli anni avrebbe dovuto servire, secondo <strong>il</strong><br />
Galletti, che era stato al servizio dei Rothsch<strong>il</strong>d di Parigi,<br />
alla creazione di un istituto tecnico, di una scuola di<br />
arti e mestieri, di un istituto di belle arti, di un imprecisato<br />
Politecnico, di una biblioteca, di musei, giardini<br />
botanici, alla istituzione di una Esposizione annua dei<br />
prodotti dell’agricoltura e della manifattura locale, alla<br />
partecipazion e e alla stimolazione di attività industriale.<br />
Nel contesto ossolano, la Fondazione Galletti operò<br />
286<br />
come una cassa di risparmio o come una «società finanziaria<br />
di soccorso» che avrebbe dovuto fac<strong>il</strong>itare e incrementare<br />
la ripresa economica. Sebbene gli amministratori<br />
negli anni successivi non riuscissero a dar corpo<br />
ad un progetto per una vera e propria banca di prestito<br />
e di credito (nel 1884), gli interventi dell’Opera<br />
pia agirono da motore dello sv<strong>il</strong>uppo sia creando alcune<br />
infrastrutture educative che si sarebbero rivelale dei<br />
«prerequisiti» all’industrializzazione, sia mettendo a disposizione<br />
alcuni terreni per gli insediamenti industriali,<br />
sia con la partecipazione all’azionariato nelle imprese<br />
locali, malgrado alcuni limiti ed errori commessi dagli<br />
amministratori. Una seconda ragione del mutamento<br />
della mentalità mi sembra debba farsi risalire all’istruzione.<br />
Numerosi studiosi hanno messo in correlazione<br />
<strong>il</strong> tasso di istruzione con lo sv<strong>il</strong>uppo economico; e se alcuni<br />
sostengono che l’istruzione è una conseguenza della<br />
modernizzazione, certamente per l’Ossola avvenne <strong>il</strong><br />
contrario. 59 Alla vig<strong>il</strong>ia dell’Unità <strong>il</strong> 50% degli Ossolani<br />
era alfabetizzato, percentuale alta rispetto a molte altre<br />
situazioni negli stati preunitari; su 60 Comuni soltanto<br />
uno non aveva una scuola masch<strong>il</strong>e e 5 non avevano<br />
quella femmin<strong>il</strong>e. Nel 1911 in Val d’Ossola l’alfabetizzazione<br />
era quasi totale (come a Viceno) e solo in Valle<br />
Antrona si registrava un tasso molto basso rispetto alle<br />
altre valli (80%), ma sempre più alto che in altre regioni<br />
italiane. Nelle valli erano state istituite scuole grazie<br />
ai numerosissimi lasciti benefici, a Domodossola erano<br />
state istituite scuole dalla Società operaia e scuole professionali<br />
dal Comune nelle quali furono preparati al lavoro<br />
industriale centinaia di ragazzi, anche se con piani<br />
di studio e metodi didattici non sempre coerenti con<br />
l’innovazione a cui si tendeva. 60<br />
Se si accettano queste analisi, si potrebbe concludere<br />
dicendo che, se l’innovazione e <strong>il</strong> rischio furono i fattori<br />
dello sv<strong>il</strong>uppo ossolano nel periodo del decollo industriale,<br />
oggi la mancanza di una aggiornata cultura<br />
imprenditoriale e di una apertura alla modernizzazione<br />
costituisce <strong>il</strong> vero freno alla ripresa economica. Forse<br />
a questa carenza potrebbe far fronte una classe politica<br />
locale <strong>il</strong>luminata, accorta e aperta al nuovo come<br />
fu quella liberaldemocratica che l’Ossola ebbe prima e<br />
dopo l’Unità nazionale.
Note<br />
1 Alcuni collocano queste attività in epoca pre-romana ed altri in<br />
epoca medievale. Cfr. T. BERTAMINI, Il centro siderurgico di V<strong>il</strong>ladossola<br />
nelle antiche e recenti attività ossolane, Domodossola, Cartografica<br />
Antonioli, 1967; IDEM, Storia di V<strong>il</strong>ladossola, Verbania, 1976,<br />
cap. 10; A. G. ROGGIANI, L’oro italiano è oro ossolano, in «Illustrazione<br />
ossolana», 1960, n. 1, pp. 17-28.<br />
2 Cfr. Li Molini & Edificj d’Acque d’Ossola e terre vicine, Mergozzo,<br />
Antiquarium, 1982. Si vedano i bei saggi ivi compresi di T. BER-<br />
TAMINI, Le ruote che hanno macinato la storia nell’Ossola Superiore,<br />
pp. 45-53; E. RIZZI, La visita delle acque, pp. 55-60; C. MAFFIOLI,<br />
La lite fra gli ossolani e <strong>il</strong> Fisco Spagnolo per la tassa sul macinato,<br />
pp. 61-68; P.G. PISONI, «Masnadori» di grano e di oro, pp. 69-86.<br />
3 C. CAVALLI, Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo, Torino, Mussano,<br />
1845, tomo I; N. BAZZETTA, Storia di Domodossola e dell’Ossola<br />
Superiore, Domodossola, La Cartografica, 1911.<br />
4 S. CIRIACONO, La protoindustna rivisitata: the fìrst workshop of<br />
Warwick University, in «Quaderni storici», a. XX, 59, n. 2; pp.<br />
513-19. Cfr. Soprattutto SIDNEY POLLARD, La conquista pacifica.<br />
L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Bologna, II Mulino,<br />
1984, pp. 111-134 secondo cui «i territori meno adatti allo<br />
sfruttamento agricolo si trovano a giocare un ruolo chiave nell’industrializzazione<br />
europea» in quanto non avevano altre prospettive<br />
al di fuori della fame e dell’emigrazione (p. 123).<br />
5 Rinvio ai saggi, oggi raccolti in volume, di L. CAFAGNA, Dualismo e<br />
sv<strong>il</strong>uppo nella storia d’<strong>It</strong>alia, Venezia, Mars<strong>il</strong>io, 1989.<br />
6 Cfr. M. POZZOBON, L’industria padana dell’acciaio nel primo trentennio<br />
del Novecento, in F. BONELLI (a cura di). Acciaio per l’industrializzazione,<br />
Torino, Einaudi, 1982, p. 169. La prima frase virgolettata<br />
è di L. CAFAGNA, Op. cit., p. 288.<br />
7 Per un approfondimento di quanto qui si va dicendo rinvio al mio<br />
vol. Industrializzazione e movimento operaio in Val d’Ossola. Dall’Unità<br />
alla prima guerra mondiale, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1985, ricco di<br />
dati e di bibliografia. Da questo vol. si intendono tratti i riferimenti<br />
statistici quando non sono diversamente indicati.<br />
8 U. CHIARAMONTE, L’Ossola e le Esposizioni industriali fino alla prima<br />
guerra mondiale, in «Novara -notiziario economico», Camera di<br />
Commercio, 1983, n. 5, pp. 47-55. Sull’importanza delle Esposizioni<br />
come indice dello sv<strong>il</strong>uppo cfr. G. ARE, II problema dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
industriale nell’età della Destra, Pisa, Nistri-Lischi, 1964, pp. 45-<br />
73; L. CAFAGNA (a c. di), Il Nord nella gloria d’<strong>It</strong>alia, Bari, Laterza,<br />
1962; R. ROMANO, Le Esposizioni industriali italiane: linee di metodologia<br />
interpretativa, in «Società e storia», a. III. 1980, pp. 215-228.<br />
9 G. VEGEZZI RUSCAGLIA, Esame della già progettata linea di strada ferrata<br />
fra Genova e la Germania e proposizione di altra più conveniente,<br />
Domodossola, Vercellesi. 1850.<br />
10 V. ZAMACINI, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica<br />
dell’<strong>It</strong>alia: 186I-1981, Bologna, II Mulino, 1990, p. 107; cfr. anche<br />
L. CAFAGNA, Prof<strong>il</strong>o della storia industriale italiana, in Dualismo<br />
e sv<strong>il</strong>uppo, cit., pp. 297 ss.<br />
11 Si dà qui la definizione E. A. WRIGLEY, Processo di modernizzazione<br />
e Rivoluzione industriale in Ingh<strong>il</strong>terra, in «The Journal of Interdisciplinary<br />
History», vol. III, n. 2, 1972, pp. 225-59.<br />
l2 Su questo tema rinvio al mio saggio La reazione della sinistra alla<br />
formazione del trust siderurgico (1911), Relazione al Convegno su<br />
«La storia del movimento operaio nell’area siderurgico-mineraria<br />
della Toscana dalla fine dell’800 al secondo dopoguerra», Piombino,<br />
11-12 febbraio 1983; e U. CHIARAMONTE, Gli scioperi nella siderurgia<br />
a Piombino (1910-1911), Domodossola, Ambiente, 1983.<br />
13 Riportano in U. CHIARAMONTE, Industrializzazione e movimento<br />
operaio, cit,, p. 132.<br />
14 Cfr. V. ZAMAGNI, Industrializzazione e squ<strong>il</strong>ibri regionali in <strong>It</strong>alia.<br />
B<strong>il</strong>ancio dell’età giolittiana, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 48-49.<br />
15 Per un panorama sulla siderurgia nazionale, accanto al classico G.<br />
SCAGNETTI, La siderurgia in <strong>It</strong>alia, Roma, Ind. Tip. Romana, 1923.<br />
si vedano: La siderurgia italiana dall’Unità ad oggi, in «Ricerche storiche»,<br />
(n. speciale sulla metallurgia) a. VIII, 1978, n. 1; Associazione<br />
fra le Soc. <strong>It</strong>aliane per Azioni, L’economia italiana dal 1911 al<br />
1926, Roma, X Congresso Geografico <strong>It</strong>aliano, 1927.<br />
16 E. FLORIDIA, Le attività siderurgiche quali fattori di urbanizzazione<br />
di V<strong>il</strong>ladossola e di equ<strong>il</strong>ibrio socioeconomico nella regione ossolana,<br />
in «Notiziario di Geografia economica», scritti di F. M<strong>il</strong>one, a. II,<br />
1971, p. 147. Nell’archivio di V<strong>il</strong>ladossola (abbreviato d’ora in poi<br />
in ACV), Faldone 117, è possib<strong>il</strong>e ricavare alcuni dati sull’immigrazione<br />
operaia dall’Em<strong>il</strong>ia Romagna, da Piombino, da Genova, da<br />
Udine, da Omegna e da altre zone notoriamente con esperienze siderurgiche.<br />
Un elenco di operai ci indica nomi, età e provenienza.<br />
17 Mentre nel 1909 nelle due miniere d’oro ancora attive si estrassero<br />
t 2.890 di minerale ricavando kg 15.136, nel 1914 <strong>il</strong> minerale<br />
ammontò a t 206, l’oro a kg 1,10 e l’argento a kg 2,06. Nel periodo<br />
1872-1912 si pagarono £ 86.130 di tasse, costituendo la gran parte<br />
del gettito fiscale minerario del Piemonte.<br />
18 L’industria ossolana, in «L’Ossola», settimanale, 4 agosto 1906 riportato<br />
in Industrializzazione, pp. 116-21.<br />
19 P. LANINO, La nuova <strong>It</strong>alia industriale, Roma, L’<strong>It</strong>aliana, 1916.<br />
20 Oltre al mio vol. Industrializzazione, pp. 142-145, ho ut<strong>il</strong>izzato<br />
nuove fonti dell’ACV, Faldone 117: Jutificio Ossolano (1903-1939).<br />
21 ACV, Faldone 117, cit., lettera dello Jutificio Nazionale al sindaco<br />
di V<strong>il</strong>ladossola, Ceretti, Genova 12 apr<strong>il</strong>e 1928.<br />
22 L. CAFAGNA, L’industrializzazione italiana. La formazione di una<br />
«base industriale» fra <strong>il</strong> 1896 e <strong>il</strong> 1914, in «Studi storici», a. II, 1961,<br />
n. 3-4, p. 711.<br />
23 U. CHI ARA MONTE, Industrializzazione, cit. p. 331 e tutto <strong>il</strong> cap. 10.<br />
24 E. CONTI, Dal taccuino di un borghese, M<strong>il</strong>ano, Garzanti, 1946, p. 51.<br />
25 Cfr. i voll. Nel cinquantenario della Società Edison, M<strong>il</strong>ano,<br />
1934.<br />
26 A. FORTI, Le costruzioni idrauliche applicate alla produzione di forza<br />
motrice, in Nel cinquantenario, cit., p. 55. Cfr. anche Le dighe di<br />
ritenuta degli impianti idroelettrici italiani, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1951,<br />
in 7 voll.<br />
27 F. MILONE, L’economia italiana nelle sue regioni, Torino, 1955, p.<br />
216.<br />
28 V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro, cit., p. 344. Questa è la tesi<br />
di altri tra cui G. GUALERNI. Industria e fascismo, M<strong>il</strong>ano, Vita e Pensiero,<br />
1976.<br />
29 V. ZAMAGNI, Op. cit., p. 345.<br />
30 Sugli aspetti economici mi permetto rinviare al mio vol. Economia<br />
e società in provincia di Novara durante <strong>il</strong> Fascismo (1919-1943),<br />
M<strong>il</strong>ano. F. Angeli, 1987 al quale mi rifarò per tutti i dati non altrimenti<br />
specificati.<br />
287
31 Cfr. V. CASTRONOVO, L’industria siderurgica e <strong>il</strong> piano di coordinamento<br />
dell’IRI (I936-I939), in «Ricerche storiche», cit., pp. 163-188.<br />
32 R. PRODI, Sistema industriale e sv<strong>il</strong>uppo economico in <strong>It</strong>alia, nel vol.<br />
dallo stesso titolo che raccoglie gli atti del convegno di Bologna, 14<br />
apr<strong>il</strong>e 1973, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 11.<br />
33 ACV, Faldone 117, Jutificio, cit., lettera del podestà Mario Ceret-<br />
ti al prefetto, 17 agosto 1927.<br />
34 Ivi, lettera dello Jutificio nazionale al podestà del 3 settembre<br />
1928; <strong>il</strong> podestà interessò <strong>il</strong> prefetto con lettera del 21 dicembre<br />
1928; una lettera dell’ing. Ferrari della società al podestà Ceretti annunciò<br />
la definitiva chiusura (3 giugno 1933).<br />
35 ACV, Faldone 210 bis. Case popolari P. M. Ceretti e V<strong>il</strong>laggio Sisma,<br />
Relazione, 5 giugno 1938. La Relazione sulla insufficienza delle<br />
abitazioni e sulle condizioni igienico-sanitarie delle abitazioni esistenti<br />
(I8 dicembre 1937) dava questi dati: famiglie n. 1.382; abitazioni<br />
5.034; case igieniche abitab. 217, fam. 540; case adattab<strong>il</strong>i 156,<br />
fam. 356; case inabitab<strong>il</strong>i 227, fam. 486; fam. con 4 pers. in case di<br />
2 vani 207; fam. con 5 pers. in 2 vani 135; di 5 pers. in 3 vani 161.<br />
36 ACV, Faldone 210 bis, cit., lettera della società Ceretti al prefet-<br />
to, 29 marzo 1938.<br />
37 COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA, La disoccupazione in<br />
<strong>It</strong>alia. Monografie regionali. Atti della Commissione, vol. III, tomo I,<br />
Roma, 1953, p. 120. Per un panorama complessivo della ricostruzione<br />
rinvio al mio recente saggio. Secondo dopoguerra in Val d’Ossola:<br />
ricostruzione e nuova classe politica, in «Boll. storico per la provincia<br />
di Novara». a. LXXVII, 1994, n. 2.<br />
38 D. PARISET, L’oro di Pestarena, in «Risveglio ossolano». 13 settembre<br />
1950. Così aveva scritto l’A. riferendo una conversazione tenuta<br />
a «Rete azzurra» della Rai. Il prezzo dell’oro nel 1948-49 era stato<br />
£ 1.100-1.130 al gr. mentre dopo una flessione, nel 1950 si era<br />
portato a £ 880 al gr.<br />
39 Al tema dell’oro è stato dedicato un interessante convegno. Cfr.<br />
Le miniere d’oro e le acque arsenico-ferruginose della Valle Anzasca, in<br />
«Suolo-sottosuolo», Notiziario dell’Associazione Mineraria Subalpina,<br />
a. VII (1981), n. 1, Atti del simposio del 29 novembre 1980.<br />
40 In quest’ottica si giustificavano <strong>il</strong> IV centro siderurgico di Taranto<br />
e <strong>il</strong> V di Gioia Tauro, mai realizzato. Cfr. L. DE Rosa, La siderurgia<br />
italiana dalla ricostruzione al V centro siderurgico, in «Ricerche storiche»,<br />
a. VIII, cit., pp. 251-275.<br />
41 L’Ossola partecipava alla produzione nazionale con un 9% assieme<br />
agli stab<strong>il</strong>imenti di minore entità. Cfr. A. FRUMENTO, / baricentri<br />
siderurgici italiani fra <strong>il</strong> 1949 e <strong>il</strong> 1971, in «Rivista internazionale<br />
di scienze economiche e commerciali», a. XV (1968), n. 3; E. MAS-<br />
SI, Tipi geografico-economici nell’evoluzione della siderurgia italiana,<br />
in «Ricerche storiche», cit. pp. 307-330.<br />
42 Cfr. E. Rossi, Elettricità senza baroni. Bari, Laterna, 1962; E. SCAL-<br />
FARI, Storia segreta dell’industria elettrica, Bari, Laterna, 1963.<br />
43 P. G. LANDINI, Attività industriali antiche e recenti nell’Ossola,<br />
estratto dagli «Atti del XXI congresso geografico italiano», Verbania,<br />
1971, p. 8.<br />
44 Per le statistiche del periodo risulta importante consultare COMI-<br />
288<br />
TATO COMPRENSORIALE VERBANO Cusio OSSOLA, Piano socio-economico<br />
di Comprensorio, Torino, Regione Piemonte, 1980.<br />
45 Problematiche dei flussi migratori in provincia di Novara, Atti del<br />
convegno di Borgomanero del 26 Ottobre 1983, Amministrazione<br />
Provinciale, Borgomanero, 1984. Cfr., in particolare, P. CROSA LENZ,<br />
Elementi di demografia storica delle Valli dell’Ossola: spopolamento alpino<br />
e mutamenti culturali, pp. 187-212.<br />
46 Per un panorama industriale contemporaneo rinvio a C. SQUIZZI,<br />
Congresso eucaristico ossolano, cit., pp. 21 ss; cfr. anche FEDERAZIONE<br />
LAVORATORI METALMECCANICI - NOVARA, Ricerca sulla struttura della<br />
industria metalmeccanica nella provincia di Novara, Novara, s.d. (ma<br />
1978) condotta in 222 aziende metalmeccaniche. «Un segnale allarmante<br />
della crisi industriale si ebbe con la requisizione, da parte del<br />
sindaco di V<strong>il</strong>ladossola, della SISMA nel 1962, e con altre lotte sindacali».<br />
Cfr. P. PIRAZZI MAFFIOLA, V<strong>il</strong>la operaia. Appunti per una storia<br />
della Camera del lavoro di V<strong>il</strong>ladossola. V<strong>il</strong>ladossola, 1993: REGIONE<br />
PIEMONTE - COMUNE DI VERBANIA, Il mercato del lavoro nel VCO, Verbania,<br />
1993 (ciclost<strong>il</strong>ato).<br />
47<br />
URPP, Piano di sv<strong>il</strong>uppo del Piemonte. Studi e documenti. Gli strumenti<br />
per la programmazione regionale. I. L’istituto finanziario per lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo industriale, a cura dell’Ires, Torino, 1965.<br />
48 A. CASSONE - A. PIANO, La localizzazione industriale e programmazione<br />
regionale. Il caso Piemonte, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1983, p. 12.<br />
49<br />
CIPE, Comunità montane e piani di sv<strong>il</strong>uppo. Atti del convegno, Torino,<br />
2 marzo 1974, supplemento a «Note informative di politica<br />
economica regionale», N.S., a. I, n. 3-4, 1974.<br />
50 Cfr. l’intervento di C. SIMONELLI nel convegno cit., pp. 21-29.<br />
51 Cfr. ECRIS, Lo sv<strong>il</strong>uppo industriale delle aree depresse del Piemonte,<br />
Torino, LIED ed., 1966.<br />
52 E. FERRARI, Lo scalo di Domodue e <strong>il</strong> ruolo dell’Ossola nel sistema<br />
dei trasporti internazionali, in Vent’anni della rivista Novara; 1966-<br />
1985, Novara, CCIAA, 1985, p. 74.<br />
53 G. M. CAPUANI, Presentazione, in Alpe Veglia parco naturale, estratto<br />
da «Novara - mens<strong>il</strong>e economico della CCIAA», dicembre 1970.<br />
54 Provincia di Novara, Studio sul potenziamento delle risorse idriche<br />
nell’Alto Novarese, Novara, 1983 (ciclost<strong>il</strong>ato).<br />
55 Scuola di Direzione Aziendale. Università Bocconi - M<strong>il</strong>ano, Per<br />
un recupero della imprenditorialità nel Verbano-Cusio-Ossola. Cause<br />
della crisi e ipotesi di soluzione, Novara, Amministrazione Provinciale,<br />
1984.<br />
56 Idem, p. 172. Ivi anche la citazione successiva.<br />
57 ACD, Cat 11, cartella 4: Pro Industria, cit. da U. CHIARAMONTE,<br />
Industrializzazione, cit., pp. 278-290.<br />
58 U. CHIARAMONTE, Capitali e investimenti di un’Opera pia dell’Ottocento:<br />
la Fondazione Galletti di Domodossola, in «Boll. storico per la<br />
provincia di Novara», a. LXXV, 1984, n. 2, pp. 325-372.<br />
59 M. BARBAGLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in<br />
<strong>It</strong>alia, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 106.<br />
60 U. CHIARAMONTE, Istruzione tecnico-professionale e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />
in Val d’Ossola: 1856-1916, estratto da «Boll. storico per la<br />
provincia di Novara», a. LXXXI, 1990, n. 2, pp. 402-453.
Gli ultimi dieci anni<br />
Il testo del prof. Umberto Chiaramonte “Economia e<br />
sv<strong>il</strong>uppo industriale” <strong>il</strong>lustra in modo esauriente la storia<br />
delle principali attività ossolane dalla loro nascita<br />
fino alla metà degli anni Novanta. Di seguito, con queste<br />
brevi note, s’intende evidenziare i cambiamenti che<br />
le principali industrie storiche hanno subito negli ultimi<br />
dieci anni.<br />
Settore siderurgico<br />
- La società Sisma s.p.a., nata nel 1892 a V<strong>il</strong>ladossola<br />
come piccola bulloneria, nel tempo diventò una delle<br />
prime società siderurgiche italiane comprendendo<br />
un’acciaieria, un laminatoio, una traf<strong>il</strong>a, le fucine e arrivando,<br />
nel suo periodo migliore, ad occupare una media<br />
di 1600 dipendenti nel solo stab<strong>il</strong>imento ossolano.<br />
Negli anni Settanta entrò nell’ambito delle partecipazioni<br />
statali. Nel 1989, a seguito delle dismissioni da<br />
parte dell’IRI nel settore siderurgico, fu acquistata dalla<br />
società Leali S.p.a. di Odolo: nel medesimo anno contava<br />
circa 550 dipendenti. Nel 1999 <strong>il</strong> Gruppo Leali, al<br />
centro di una consistente ristrutturazione e concentrazione<br />
dei poli produttivi, ha cercato e trovato nel gruppo<br />
Beltrame una realtà che desse affidamento per <strong>il</strong> futuro.<br />
Attualmente la società Ferriera Siderscal S.p.A. del<br />
gruppo Beltrame produce a V<strong>il</strong>ladossola, con <strong>il</strong> treno di<br />
laminazione T. 650/450, circa 55.000 ton/anno di prof<strong>il</strong>i<br />
speciali per cantieristica e per macchine per movimento<br />
terra, occupando 75 addetti.<br />
- La Ceretti, nel nuovo stab<strong>il</strong>imento costruito a Pallanzeno<br />
nel 1972, ed entrato in crisi nel 1974, produceva<br />
parte dell’acciaio occorrente al laminatoio che lavorava<br />
in trasformazione per la società Eumit del Gruppo<br />
Regis. Nell’81 si decise, per motivi strategici aziendali,<br />
di fermare l’acciaieria e di importare le b<strong>il</strong>lette dall’est<br />
e, contemporaneamente, subentrò <strong>il</strong> Gruppo Regis<br />
al 100% alla Eumit. Negli anni successivi fu ceduta dal<br />
Gruppo Regis alla Duferco finché recentemente è subentrato<br />
<strong>il</strong> gruppo francese Arcelor, uno dei più grandi<br />
produttori di acciaio nel mondo. Nell’attuale situazione<br />
<strong>il</strong> laminatoio Travi e prof<strong>il</strong>ati di Pallanzeno - gruppo<br />
Arcelor, produce 500.000 tonnellate all’anno di prof<strong>il</strong>i<br />
con un organico di 200 addetti.<br />
- Il Laminatoio del Sempione, nato nel 1961 a Crevoladossola,<br />
produce laminati mercant<strong>il</strong>i di piccole dimensioni<br />
in acciaio; la produzione attuale è di circa 15.000<br />
tonnellate all’anno con 12 addetti.<br />
Le Fonderie<br />
- Nel corso degli anni Novanta la Fonderia Coppi di V<strong>il</strong>ladossola<br />
cessò la produzione.<br />
- Attualmente lavora soltanto la Fonderia Ossolana di<br />
Zambelli. Questa azienda, nata nel 1937 con un piccolo<br />
capannone/tettoia, venne registrata ufficialmente<br />
presso l’Ufficio commerciale delle corporazioni di Novara<br />
<strong>il</strong> 1° luglio 1943 come Fonderia Ossolana di Zambelli<br />
e Novemi, per produrre sem<strong>il</strong>avorati in metalli<br />
non ferrosi: alluminio, bronzo e ottone. Nel 1943 nella<br />
nuova sede in Regione Nosere nacque un moderno capannone<br />
con un cub<strong>il</strong>otto e poche unità lavorative. Attualmente,<br />
con un moderno cub<strong>il</strong>otto, un forno rotativo<br />
ad ossigeno e metano e con 20 addetti nei reparti<br />
modelleria e fonderia, produce dalle 80 alle 100 tonnellate<br />
al mese di sem<strong>il</strong>avorati in piccola serie per industria<br />
della carta, plastica, cuoio e macchine utens<strong>il</strong>i, in ghisa<br />
comune legata e sferoidale.<br />
La Fonderia Erregi di Ricca e Lomonte s.n.c. si è trasferita<br />
nell’anno 2000 da Gravellona a Ornavasso. Produce<br />
con due forni, fondendo pani di alluminio e impiegando<br />
sei addetti per forno, circa 60 tonnellate all’anno<br />
di caldaiette per caffettiere, che vengono rifinite presso<br />
altre ditte della zona.<br />
Metallurgia di rame e leghe di rame<br />
- La Sitindustrie International nacque nel 1909 come<br />
Falegnameria Tabachi; nel 1933 divenne Fratelli Bialetti<br />
(pentolame in alluminio) e nel 1949 venne assorbita<br />
da Tonolli come fonderia in alluminio, stagno, caldareria<br />
ecc. Nella seconda metà degli anni Sessanta vennero<br />
affiancate altre produzioni, tra cui quella di sem<strong>il</strong>avorati<br />
di rame e leghe di rame. Attualmente la Sitindustrie<br />
International s.r.l. del gruppo Bocciolone di Valduggia<br />
produce sem<strong>il</strong>avorati in rame e leghe di rame con ciclo<br />
integrale da rottami a prodotto finito prevalentemente<br />
per <strong>il</strong> settore elettromeccanico. Produce 15.000<br />
289
tonnellate all’anno, di cui <strong>il</strong> 40% per <strong>il</strong> mercato europeo,<br />
con 155 addetti. È entrata ultimamente nel mercato<br />
dei tubi in cupronickel ut<strong>il</strong>izzati su navi e piattaforme<br />
marine.<br />
Settore abrasivi<br />
- La Treibacher Schleifmittel S.p.A. nacque nel 1917 con<br />
la denominazione di società Galtarossa (dal nome del<br />
proprietario) e iniziò la produzione di ferroleghe. Come<br />
per altre attività industriali, la scelta del sito produttivo<br />
nel bacino ossolano dipese dal basso costo dell’energia<br />
elettrica, materia prima per la produzione di ferroleghe.<br />
Negli anni Trenta si aggiunsero le produzioni di<br />
carburo di s<strong>il</strong>icio e di corindone, abrasivi indispensab<strong>il</strong>i<br />
per la lavorazione dei metalli. Negli anni Sessanta, conseguentemente<br />
all’aumentato costo dell’energia elettrica,<br />
si fermò la produzione di ferroleghe e di carburo di<br />
s<strong>il</strong>icio potenziando la produzione di corindone, caratterizzata<br />
da minor fabbisogno energetico. Anche questa<br />
società fu per un certo periodo nelle partecipazioni<br />
statali. Dal 1992 è stata assorbita al 100% dal gruppo<br />
Treibacher. Lo stab<strong>il</strong>imento di Domodossola, che conta<br />
100 addetti, produce attualmente 45.000 tonnellate all’anno<br />
(di cui <strong>il</strong> 75% per l’esportazione) sulle 250.000<br />
tonnellate all’anno che produce <strong>il</strong> gruppo con 10 stab<strong>il</strong>imenti<br />
nel mondo.<br />
- L’International Chips opera a Domodossola nel campo<br />
del trattamento delle superfici a partire dal 1975. Attualmente<br />
l’azienda è in grado di produrre ben 32 dimensioni<br />
e forme diverse di preformati abrasivi con legante<br />
di resina poliestere da ut<strong>il</strong>izzarsi nel campo della<br />
vibrofinitura, di cui <strong>il</strong> 60% viene esportato all’estero.<br />
Attualmente opera con l’impiego complessivo di 45<br />
addetti.<br />
Settore chimico<br />
- Il primo nucleo chimico nacque a V<strong>il</strong>ladossola fra <strong>il</strong><br />
1918-19 come società Elettrochimica del Toce, che nel<br />
1924 entrò a far parte del Gruppo Montecatini. Dall’iniziale<br />
produzione di carburo di calcio, si passò alla<br />
produzione di Rayon Acetato; nel 1928 la Montecatini<br />
passò alla produzione di Anidride Acetica per ottenere<br />
l’Acetato. Successivamente prese accordi con <strong>il</strong> grup-<br />
290<br />
po francese della Rhone Poulenc e si costituì la società<br />
Rhodiaceta, che iniziò la costruzione dello stab<strong>il</strong>imento<br />
di Pallanza. Nel corso degli anni lo stab<strong>il</strong>imento di<br />
V<strong>il</strong>ladossola, che aveva sempre vissuto in simbiosi con<br />
quello di Pallanza, entrò in crisi e subì diversi cambiamenti<br />
di ragione sociale e di proprietà, per arrivare nel<br />
1991 alla richiesta di chiusura da parte di Enichem, ultimo<br />
proprietario. Forti pressioni politiche e sindacali<br />
imposero la ricerca di un acquirente. Nel luglio 1994<br />
la Mapei acquisì da Enichem Synthesis l’attività Resine<br />
Acetovin<strong>il</strong>iche con le unità di V<strong>il</strong>ladossola e Ravenna.<br />
La nuova società ribattezzata Vinav<strong>il</strong> S.p.A. iniziò<br />
l’opera di risanamento strutturale, impiantistico e ambientale.<br />
Nel 1995 l’impianto EVA, per la produzione<br />
di emulsioni copolimere acetato di vin<strong>il</strong>e-et<strong>il</strong>ene, venne<br />
rimesso in marcia e ad oggi produce circa 90.000 tonnellate<br />
all’anno con 190 unità. Attualmente si sono aggiunte<br />
le linee produttive Vinav<strong>il</strong> in polvere con l’impianto<br />
Spray driers e le linee emulsioni acr<strong>il</strong>iche e Stirolo-Acr<strong>il</strong>iche.<br />
Notevoli interventi sono stati fatti per<br />
l’adeguamento alle normative di sicurezza e igiene ambientale.<br />
- Lo stab<strong>il</strong>imento Rumianca S.p.A. nacque a Pieve Vergonte<br />
intorno al 1915 e si sv<strong>il</strong>uppò con produzioni collegate<br />
alle linee principali di clorosoda e acido solforico<br />
con forni di arrostimento di pirite. Negli anni Settanta<br />
fu assorbito dal Gruppo SIR per essere successivamente<br />
trasferito alla società Anic e poi all’Enichem. Nel 1995<br />
l’assetto produttivo comprendeva i seguenti impianti:<br />
clorosoda, acido solforico, cloroaromatici, DDT. L’impianto<br />
DDT fu fermato nel 1996. Nel luglio 1997 gli<br />
impianti furono ceduti dalla società Enichem a Tessenderlo<br />
<strong>It</strong>alia e dal gennaio 1997 l’assetto produttivo<br />
comprende gli impianti clorosoda, acido solforico, cloroaromatici.<br />
Attualmente gli addetti sono 250. Nell’anno<br />
2002 la Tessenderlo ha installato un impianto per la<br />
produzione di fotocloruranti.<br />
Settore metalmeccanico<br />
- La Marini Quarries Group di V<strong>il</strong>ladossola, nata nel<br />
1975, progetta e costruisce una vasta gamma di macchine<br />
quali carotatrici per sondaggi, perforatrici pneumatiche<br />
e oleodinamiche, tagliatrici a f<strong>il</strong>o diamantato,
unità di perforazione semovente radiocomandata e tutti<br />
gli accessori in grado di affrontare problematiche nelle<br />
cave di marmo e granito. Esegue studi geologici e<br />
piani di coltivazione di cave, elabora progetti finanziari,<br />
forma <strong>il</strong> personale in loco. L’impegno nella costruzione<br />
di strumenti di lavoro efficaci e sicuri ha consentito<br />
alla Marini di guadagnarsi un posto di primo piano<br />
nel panorama mondiale della tecnologia di coltivazione<br />
di cave. Attualmente occupa circa 150 addetti di cui 50<br />
nella propria officina.<br />
- La società A.M.E.A., attrezzature meccaniche e affini<br />
s.r.l. è presente da quasi 50 anni sui mercati nazionale<br />
ed internazionale delle attrezzature per bulloneria, per<br />
stampaggio a caldo o a freddo, per punzonatura-tranciatura<br />
e perforatura. Occupa 40 operai.<br />
- La Nugo Romano S.p.A. opera dal 1968 ed ha assunto<br />
l’attuale veste giuridica nel 1980. Opera nello stab<strong>il</strong>imento<br />
di Piedimulera, località Sassonia, su un’area di<br />
95.000 mq. di cui oltre 50.000 coperti con un punto<br />
di secondaria importanza a Pieve Vergonte su un’area<br />
di 12.000 mq. di cui 3.500 coperti. Occupa 150 di-<br />
Lo scalo internazionale “Domo Due” con la sede delle Dogane del Verbano Cusio Ossola.<br />
pendenti e crea indotto in zona per oltre 150/170 posti<br />
di lavoro. L’officina meccanica è attrezzata per produrre<br />
e collaborare nella realizzazione di macchinari per<br />
i più diversi settori industriali, sia su progettazioni dirette,<br />
sia su specifiche richieste della clientela, che annovera<br />
i nomi più significativi delle industrie europee<br />
operanti nella industria cartaria, delle condotte forzate,<br />
dell’energia elettrica e degli impianti automatizzati<br />
in genere.<br />
- La società Officine Lorenzina s.r.l. porta <strong>il</strong> nome del<br />
socio fondatore che nel 1968 avviò un’attività artigiana<br />
di carpenterie metalliche ampliandola successivamente<br />
al settore meccanico. Nel 1985 ha assunto l’attuale veste<br />
giuridica. Nello stab<strong>il</strong>imento di Masera, su un’area<br />
di 30.000 mq., di cui 7.000 coperti, occupa circa 70 dipendenti,<br />
supportati da un indotto di circa 50/70 posti<br />
di lavoro in zona. Produce parti di carpenteria meccanica<br />
per impianti industriali diversi destinati alla movimentazione<br />
di merci, alle condotte forzate, alla realizzazione<br />
di forni per acciaieria e forni a gas ed alla industria<br />
elettrica.<br />
291
- La Carpenteria Vanoli Valter opera dal 1971 ed è specializzata<br />
nella fabbricazione di carpenteria metallica di<br />
macchine per la lavorazione della lamiera e fabbricazione<br />
di strutture di carpenteria metallica media-pesante,<br />
in particolare presse piegatrici, cesoie e presse per stampaggio.<br />
Conta 13 addetti, oltre ad un indotto equivalente.<br />
La struttura industriale, sita a Vogogna, è costituita<br />
da 3 capannoni per una superficie totale di 7.700<br />
mq. serviti da 8 carri ponte di portate varie. Dispone di<br />
un’area esterna per deposito di 22.000 mq.<br />
Settore manifatturiero<br />
- La Manifattura di Domodossola, fondata nel 1913 da<br />
Giuseppe Polli, negli anni Venti e Trenta dava lavoro a<br />
circa 300 persone, per la maggior parte manodopera<br />
femmin<strong>il</strong>e che si occupava di intrecciare funi e cordami<br />
per navi. Oggi l’azienda si occupa di tessuti intrecciati<br />
per calzature, pelletteria e abbigliamento per l’alta<br />
moda, impiegando circa 55 persone ed esportando gran<br />
parte della propria produzione.<br />
Settore bancario<br />
- Tra gli istituti bancari presenti in Ossola ricordiamo la<br />
Banca Popolare di Intra costituita nel 1873 e autorizzata<br />
all’esercizio dell’attività <strong>il</strong> 1° marzo 1874. L’11 maggio<br />
1874 l’istituto, presieduto dal cav. Lorenzo Cobianchi,<br />
iniziò la sua attività a Intra. L’assemblea del 3 ottobre<br />
1915 autorizzò <strong>il</strong> consiglio ad istituire f<strong>il</strong>iali e agenzie e<br />
nel 1916 fu aperta a Omegna la prima dipendenza.<br />
La prima f<strong>il</strong>iale ossolana della BPI fu la dipendenza di<br />
V<strong>il</strong>ladossola, aperta <strong>il</strong> 15 settembre 1919 e <strong>il</strong> 15 dicembre<br />
dello stesso anno fu attivata anche la sede di Domodossola.<br />
In seguito la banca, oltre ad affrancare la presenza<br />
sul territorio di tradizionale appartenenza (province<br />
di Novara e Vco) si è sv<strong>il</strong>uppata nelle province limitrofe<br />
di M<strong>il</strong>ano, Varese e Como. Negli ultimi dieci<br />
anni la BPI ha attivato 30 f<strong>il</strong>iali, di cui 3 in Ossola: Baceno<br />
nel 1996, Druogno nel 1997, Varzo nel 1998. Attualmente<br />
la rete operativa della banca è strutturata su<br />
72 dipendenze, di cui 26 nella provincia di Novara, 25<br />
in quella del Vco (9 in Ossola), 12 in quella di Varese, 7<br />
in quella di M<strong>il</strong>ano e 2 in quella di Como. Dagli iniziali<br />
286 soci che parteciparono alla costituzione della banca,<br />
si è passati a oltre 37.000. Il capitale sociale ha supe-<br />
292<br />
rato i 142,5 m<strong>il</strong>ioni di euro. Complessivamente la BPI<br />
conta attualmente oltre 113.000 clienti, di cui 13.000<br />
nell’Ossola e <strong>il</strong> personale occupato è pari a 980 persone,<br />
di cui 124 residenti in Ossola.<br />
Settore doganale<br />
Dal 1993 con l’istituzione della Comunità, <strong>il</strong> lavoro è<br />
diminuito di circa <strong>il</strong> 60%, ma alla dogana sono stati assegnati<br />
altri compiti: oltre alla riscossione dei diritti di<br />
confine, la lotta alla contraffazione, alle attività usurpative,<br />
ai traffici <strong>il</strong>leciti vecchi e nuovi; <strong>il</strong> contrasto alle<br />
frontiere alla criminalità organizzata e la sicurezza, specie<br />
dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001. L’ufficio<br />
doganale, di importanza strategica per l’intera provincia,<br />
ha competenza sulla circoscrizione doganale di<br />
Domodossola e sull’ufficio tecnico di finanza di Novara,<br />
relativamente alla provincia del Vco ed ha alle sue<br />
dipendenze la sezione operativa territoriale di Piaggio<br />
Valmara e quella di Iselle. La circoscrizione doganale<br />
di Domodossola, con sede nello scalo ferroviario di<br />
Domo2 a Beura Cardezza, è composto attualmente di<br />
42 unità che operano in tutta la provincia del Vco.<br />
Settore ed<strong>il</strong>e<br />
- Nel 1902 i fratelli Bartolomeo e Antonio Poscio fondarono<br />
l’omonima società ed effettuarono le prime forniture<br />
di pietrisco per strade. Dal 1912 l’azienda si occupò<br />
anche di legnami e trasporti. Dal 1925 iniziarono<br />
i primi lavori murari, pur continuando la fornitura<br />
di materiale e la costruzione di strade. In questi anni<br />
la forza era di circa 100 persone. Dalla fine degli anni<br />
Trenta la manodopera raggiunse le 400/500 unità e la<br />
società iniziò ad effettuare i primi grandi lavori come<br />
stab<strong>il</strong>imenti, impianti funiviari, strade e ponti e società<br />
idroelettriche ossolane e di altre località.<br />
- Numerose ditte operano in Ossola, tra le più note per<br />
anzianità, capacità produttiva e storia sul territorio citiamo<br />
le ditte Frua, Cattaneo, Giacomini e Rolandi. Attualmente<br />
<strong>il</strong> settore occupa in Ossola circa 1000 persone.<br />
Settore trasporti<br />
- Ferrovie dello Stato: <strong>il</strong> futuro traffico e la capacità<br />
della linea del Sempione, con la prevista apertura nel<br />
2006/2007 del Loetschberg, che avrà una capacità di
390 treni al giorno, con convogli lunghi anche 1.500<br />
m., capacità destinata ad interessare <strong>il</strong> tunnel del Sempione<br />
e le linee ferroviarie italiane (<strong>il</strong> tunnel ha capacità<br />
attuale di 280 treni al giorno), imporrà una serie di<br />
interventi in grado di supportare tale volume di traffico,<br />
anche prevedendo che i lavori sulla linea del Gottardo<br />
possano slittare dall’anno 2014 al 2017. Il potenziamento<br />
risulterebbe importante anche alla luce delle<br />
previsioni di aumento continuo del traffico merci, che<br />
potrebbe sacrificare <strong>il</strong> traffico passeggeri. I lavori che<br />
da recenti convegni risultano necessari sono la variante<br />
Iselle-Domodossola ed <strong>il</strong> potenziamento con adeguamenti<br />
della linea Domodossola-Novara e Domodossola-M<strong>il</strong>ano;<br />
tali adeguamenti dovranno considerare i disagi<br />
attuali (rumori, passaggi a livello) cui sono sottoposte<br />
tutte le aree di passaggio, quali le zone turistiche dei<br />
laghi Maggiore e Orta.<br />
- La ferrovia Vigezzina nacque da un’idea del maestro vigezzino<br />
Andrea Testore, che si concretizzò con l’inizio<br />
lavori del 1912. Il 25 novembre del 1923 venne inaugurata<br />
la ferrovia che aveva lo scopo principale di unire<br />
le due direttrici del Sempione e del Gottardo. Nel corso<br />
degli anni la linea ferroviaria dimostrò la sua indispensab<strong>il</strong>ità<br />
come collegamento col capoluogo ossolano, soprattutto<br />
in occasione dell’alluvione del 1978, durante<br />
la quale la Vigezzina rappresentò l’unica via d’accesso<br />
e di trasporto di generi di prima necessità. Attualmente<br />
sono in esercizio 11 elettrotreni e i dipendenti delle<br />
AREE<br />
INDUSTRIALI<br />
AREE<br />
ARTIGIANALI<br />
SSIF sono un centinaio. Il traffico internazionale viene<br />
gestito anche con personale della società FART che, per<br />
<strong>il</strong> comparto ferroviario, occupa circa 75 persone. I viaggiatori<br />
trasportati sono circa 500.000 all’anno, di cui <strong>il</strong><br />
40% italiani e <strong>il</strong> 60% stranieri.<br />
- L’Autoservizi Comazzi della famiglia Galli nacque nel<br />
1925 come “Accomo e Comazzi” nell’area del borgomanerese,<br />
successivamente sv<strong>il</strong>uppatasi sia verso Novara<br />
che verso Verbania, Omegna e Domodossola. Attualmente<br />
è <strong>il</strong> maggiore operatore privato del settore nelle<br />
province di Novara e Vco e di recente ha assunto<br />
la gestione diretta della Navigazione sul lago d’Orta e<br />
di importanti partecipazioni societarie nella Alma Tour<br />
di Verbania e nella società Trasporti Novaresi (STN di<br />
Novara). Dispone di un parco automezzi che conta 100<br />
autobus di tutte le dimensioni ed in grado di soddisfare<br />
qualsiasi esigenza del trasporto pubblico e dei servizi turistici<br />
privati. Particolare sv<strong>il</strong>uppo hanno assunto le attività<br />
localizzate in Ossola, dove nel 1977 è stata inaugurata<br />
la nuova sede di Domodossola comprendente un<br />
vasto deposito che ospita al coperto 40 autobus, oltre a<br />
officina, uffici e locali di servizio. Ogni anno gli autobus<br />
con i colori dell’Autoservizi Comazzi percorrono<br />
oltre 3,5 m<strong>il</strong>ioni di ch<strong>il</strong>ometri.<br />
- L’Eliossola s.r.l. è nata nel 1993 con lo scopo di ottenere<br />
le licenze per effettuare <strong>il</strong> lavoro aereo ed <strong>il</strong> trasporto<br />
pubblico passeggeri. La società è stata fondata in Ossola,<br />
luogo dove spesso è necessario ricorrere all’uso del-<br />
STATISTICA SAIA ( SOCIETA’ AREE INDUSTRIALI ED ARTIGIANALI spa) (tabella 1)<br />
Località Tot.<br />
Area fondiar.<br />
Tot.<br />
Area ceduta<br />
% Area da<br />
cedere<br />
Aziende<br />
al 2003<br />
Addetti<br />
iniz/a reg<br />
V<strong>il</strong>ladossola 210.800 25.222 11,%96 185.578 1 25/30<br />
Vogogna/Pied<br />
Ossola 371.800 219.443 59% 152.357 43 347/613<br />
Totali 582.600 244.665 41,99% 337.935 44<br />
Località Tot.<br />
Area fondiar.<br />
Tot.<br />
Area ceduta<br />
% Area da<br />
cedere<br />
Aziende<br />
al 2003<br />
Addetti<br />
iniz/a reg<br />
Domodossola 41.422 39.730 95,94% 1688 14 124/160<br />
Piedimulera 50.754 50.754 100% 15 102/174<br />
Trontano 123.718 102.588 83,14% 20.730 29 185/251<br />
Totali 215.894 193.072 89,43% 22418 58<br />
293
l’elicottero per lavori quali la costruzione e la manutenzione<br />
degli impianti idroelettrici, di funivie ed impianti<br />
di risalita, la costruzione e la manutenzione di rifugi,<br />
stalle e baite e la costruzione di opere in luoghi inaccessib<strong>il</strong>i<br />
con altri mezzi. L’attività dell’Eliossola si è poi<br />
estesa su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale, comprendendo lavori<br />
di antincendi boschivi e lavori di ispezione aerea<br />
su linee elettriche di alta e media tensione. Attualmente<br />
la flotta è composta da 3 elicotteri SA 315 B “Lama”<br />
e 2 elicotteri ECUREUIL AS 350 B3. Ha un totale di<br />
15 dipendenti.<br />
Case di spedizione e trasporti internazionali<br />
La realtà odierna di questo settore nell’alta Ossola è <strong>il</strong> risultato<br />
dell’evoluzione del sistema trasporti e servizi annessi<br />
e della trasformazione politica ed economica europea.<br />
Dal primo decennio postbellico, in cui i trasporti<br />
internazionali via Sempione erano totalmente ferroviari<br />
e vincolati allo sdoganamento presso la stazione di<br />
Domodossola, si è passati negli anni successivi al trasferimento<br />
del traffico merci su strada. Questo ha prodotto<br />
una trasformazione delle case di spedizione operanti<br />
in loco, da organizzatrici di raccolta e trasporto merci,<br />
servizi groupage, magazzinaggio ecc., a pure e semplici<br />
agenzie di sdoganamento. L’atto finale si ebbe poi<br />
a partire dal 1° gennaio 1993, con la nascita del Mercato<br />
unico europeo e la liberalizzazione delle merci in<br />
ambito comunitario. Oggi sono presenti nello scalo di<br />
Domo2 due case di spedizione, la DHL Express s.r.l. con<br />
5 addetti e la <strong>It</strong>alsempione S.p.A. con due addetti. Altri<br />
due operatori locali sono la Transnova s.n.c. con 7 addetti<br />
e la ditta Zoni s.a.s. con 4 addetti.<br />
Fatto nuovo è stato <strong>il</strong> recente insediamento nello scalo<br />
di Domo2 di due operatori nel traffico combinato<br />
strada-ferrovia. La prima ad insediarsi nel 2001 è stata<br />
la ditta Hangartner Spedizioni Internazionali s.r.l. che<br />
oggi ha 29 dipendenti e movimenta 46 treni la settimana<br />
con capacità di trasporto di import/export di 1220<br />
camion. Nel gennaio del 2004 ha iniziato ad operare<br />
la Cargo Drome s.r.l. che attualmente movimenta circa<br />
200 treni all’anno e ha 11 dipendenti.<br />
294<br />
Altri settori<br />
- La Locatelli U. & S. S.p.A. fu fondata nei primi ‘900<br />
a Baveno e si trasferì negli anni ’70 a Premosello Chiovenda,<br />
specializzandosi nella fabbricazione di accessori<br />
per capelli. Attualmente <strong>il</strong> gruppo è costituito da tre<br />
stab<strong>il</strong>imenti che occupano 45 dipendenti più 60 terzisti.<br />
I prodotti vengono esportati per <strong>il</strong> 65% in tutti i<br />
paesi del mondo.<br />
- La Penta s.r.l., con sede a Piedimulera, fu fondata<br />
nel 1994 come azienda produttrice di lavorati in marmo,<br />
granito e agglomerati sintetici. E’ specializzata nella<br />
produzione di complementi di arredo e le lavorazioni<br />
vengono effettuate mediante ut<strong>il</strong>izzo di macchine a<br />
controllo numerico che effettuano <strong>il</strong> taglio con utens<strong>il</strong>i<br />
diamantati o con la tecnica dell’idrogetto. Attualmente<br />
occupa 11 persone ed ha un mercato che si estende dal<br />
nord <strong>It</strong>alia alla Svizzera.<br />
Situazione occupazionale<br />
In base ai dati elaborati dall’Osservatorio regionale<br />
del mercato del lavoro, risulta alla data del censimento<br />
2001 per l’area ossolana un totale di 1.352 industrie<br />
operanti che occupano 7.801 addetti. Il totale di occupati,<br />
in tutte le attività economiche dell’Ossola, comprensive<br />
di attività commerciali, servizi e istituzione,<br />
frontalieri e pendolari, è di 27.284 unità su un totale di<br />
67.700 abitanti. (vedi tabella 2)<br />
Negli ultimi anni, nelle aree reperite dalla società Saia<br />
per l’insediamento di attività produttive di piccola, media<br />
industria e artigianato, sono sorte numerose attività<br />
localizzate nei comuni di Vogogna, Piedimulera,<br />
Trontano, V<strong>il</strong>ladossola e Domodossola. Su un totale di<br />
582.600 mq. di aree industriali disponib<strong>il</strong>i, sono stati<br />
ad oggi ceduti 244.665 mq. (42%) con insediamento<br />
di 44 aziende che occupano ad oggi 375 persone.<br />
Per quanto riguarda le aree artigianali, su un totale di<br />
215.694 mq. sono stati ceduti 193.042 mq. (89%) per<br />
59 aziende insediate. (vedi tabella 1)
CENSIMENTO UNITA’ LOCALI E ADDETTI PER SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA - OSSOLA (tabella 2)<br />
CENSIMENTO 2001 IMPRESE ISTITUZIONI TOTALE<br />
NUMERO<br />
Industria Commercio Altri Servizi<br />
ADDETTI<br />
NUMERO<br />
ADDETTI<br />
C.M.ANT.FORM.DIVED. 181 1.013 254 661 357 1.020 127 638 919 3.332<br />
C.M.VALLE ANTRONA 50 769 157 387 250 531 50 436 507 2.123<br />
C.M.VALLE OSSOLA 853 4.400 817 2.112 1.008 3.977 261 2.939 2939 13.428<br />
C.M. MONTE ROSA 223 1.462 143 278 235 790 97 200 698 2.730<br />
C.M.VALLE VIGEZZO 45 157 186 343 273 777 90 250 594 1.527<br />
TOTALE GENERALE 1.352 7.801 1557 3781 2123 7.095 625 4463 5657 23.140<br />
FRONTALIERI<br />
C.M.ANT.FORM.DIVED. 397<br />
C.M.VALLE ANTRONA 120<br />
C.M.VALLE OSSOLA 658<br />
C.M. MONTE ROSA 44<br />
C.M.VALLE VIGEZZO 925<br />
TOTALE GENERALE 2144<br />
SITUAZIONE PENDOLARI VERSO MILANO,NOVARA,VERBANIA,OMEGNA<br />
ED ALTRE ZONE. DATI STIMATI<br />
A TUTTO SETTEMBRE 2004 RISULTANO IMPIEGATI N° 192 EXTRACOMUNITARI<br />
DI CUI 156 UOMINI<br />
+36 DONNE<br />
Fonte: Regione Piemonte - Provincia V.C.O. - Centro per l’impiego.<br />
NUMERO<br />
ADDETTI<br />
NUMERO<br />
ADDETTI<br />
TOTALE<br />
OCCUPATI<br />
TOTALE<br />
ABITANTI<br />
NUMERO<br />
ADDETTI<br />
circa 2.000<br />
27.284<br />
67.700<br />
295
L’agricoltura, l’allevamento e i prodotti tipici<br />
Giacomo Zerbini<br />
L’ambiente ossolano, essenzialmente montano, fornisce<br />
limitate quantità di alimenti provenienti da caccia, pesca<br />
e produzione spontanea, così che l’uomo vi si è insediato<br />
solo quando ha potuto esercitarvi l’agricoltura<br />
che qui ha assunto le caratteristiche di attività agro-s<strong>il</strong>vo-pastorale.<br />
L’espansione più consistente dell’attività agricola, considerata<br />
negli aspetti del numero delle persone addette<br />
e dei beni prodotti interscambiati ed esportati, si ritiene<br />
debba essere individuata nel primo decennio del<br />
‘900. Allora l’Ossola produceva in eccedenza per <strong>il</strong> fabbisogno<br />
degli abitanti burro, formaggi, carne bovina<br />
- ovina, caprina, lana, cuoio ed ovviamente legname.<br />
Per contro la produzione locale di cereali in genere (frumento,<br />
segale, orzo, mais, riso) era insufficiente, anche<br />
se parte della loro funzione alimentare era coperta dal<br />
consumo abbondante di patate e fagioli prodotti sul posto;<br />
la produzione di frutta, verdura, vino, animali di<br />
bassa corte veniva tutta autoconsumata; zucchero e sale<br />
si importavano totalmente.<br />
Stefano Calpini nelle Memorie sulle condizioni dell’agricoltura<br />
e della classe agricola nel circondario dell’Ossola afferma<br />
che nel 1879 <strong>il</strong> rapporto numerico tra popolazione<br />
urbana e rurale era di 1 a 9.<br />
Oggi tale rapporto non solo si è capovolto ma dalle r<strong>il</strong>evazioni<br />
censuarie del 1990 risultava che le persone addette<br />
all’agricoltura a tempo pieno nell’Ossola a stento<br />
arrivavano al 3% della popolazione attiva, inoltre si<br />
calcolava che i beni prodotti dall’agricoltura in Ossola<br />
concorrevano a formare appena <strong>il</strong> 2% del reddito globale<br />
goduto dagli abitanti.<br />
Nel passato l’uomo si assicurava la sopravvivenza mediante<br />
l’autoconsumo di prodotti agricoli, ne conseguiva<br />
evidente lo stimolo a diversificare al massimo la produzione<br />
fino al limite imposto dal clima. L’Ossola è si-<br />
tuata nel bacino del Mediterraneo, ma gran parte delle<br />
tipiche colture mediterranee qui non maturano o maturano<br />
troppo tardi allorquando <strong>il</strong> mercato è saturo e<br />
la merce non trova apprezzamento; anche nel raffronto<br />
con altri territori montani l’Ossola compare come ambiente<br />
climaticamente più svantaggiato. L’orografia della<br />
Valdossola evidenzia la disposizione nord-sud della<br />
vallata principale, mentre le vallate principali del Vallese,<br />
della Val d’Aosta, della Valtellina e parte anche dell’Alto<br />
Adige sono disposte nel senso est-ovest in modo<br />
che un versante è <strong>il</strong>luminato dal sole nell’intero arco<br />
della giornata; anche la presenza di vastissimi ghiacciai<br />
a corona dell’Ossola ne influenza negativamente la<br />
temperatura media annua che risulta inferiore rispetto<br />
a quelle delle vallate citate. L’Ossola, sorta di triangolo<br />
geografico, è composta prevalentemente da un fondovalle,<br />
Anzola-Domodossola-Crevoladossola, in cui risiede<br />
oltre <strong>il</strong> 60% degli abitanti, nel quale corrono una<br />
superstrada, una strada statale, due strade intercomunali,<br />
due ferrovie (M<strong>il</strong>ano e Novara), un fiume (Toce), insediamenti<br />
umani e relative aree per attività civ<strong>il</strong>i, religiose,<br />
scolastiche, sportive, del tempo libero e commerciale.<br />
Perciò ora l’agricoltura del nostro ambiente riveste<br />
una modestissima presenza nel moderno concetto di<br />
industria alimentare, ma si evidenzia per altre caratteristiche<br />
e funzioni quali la tutela e la conservazione di<br />
un ambiente così come è pervenuto ai nostri tempi, difesa<br />
del patrimonio boschivo da incendi e salvaguardia<br />
del terreno da dissesti idrogeologici, presenza dell’uomo<br />
indigeno che ha capacità, esperienza ed interesse a promuovere<br />
nuove iniziative integrate con la tradizione.<br />
Vediamo più in dettaglio l’evoluzione dell’attività agricola<br />
negli ultimi cento anni.<br />
Popolazione. I 34.719 abitanti dell’Ossola censiti nel<br />
1879 sono oggi raddoppiati. È estremamente conforte-<br />
297
I vigneti a Pello di Trontano.<br />
vole notare che nel 1857 gli analfabeti risultavano appena<br />
<strong>il</strong> 7,3%, vero primato di un servizio sociale che è<br />
conservato ai nostri giorni. Nel settore prepara i futuri<br />
agronomi l’Istituto Professionale Statale “E.G. Cavallini”<br />
di Crodo, orientato all’insegnamento della S<strong>il</strong>vicoltura,<br />
Alpicoltura ed Economia Montana; gli allievi<br />
vi accedono dopo la terza media per conseguirvi in un<br />
biennio la licenza di operatori specializzati presso aziende<br />
zootecniche montane, e in un quinquennio <strong>il</strong> diploma<br />
di “Agrotecnico” con l’idoneità a dirigere aziende<br />
singole o cooperativistiche montane, all’insegnamento,<br />
allo svolgimento di assistenza tecnica a disposizione<br />
delle Comunità Montane, della Regione, dello Stato.<br />
Se l’attività agricola non forma più la parte principale<br />
del reddito fam<strong>il</strong>iare, concorre tuttavia ancora a consolidare<br />
<strong>il</strong> benessere; <strong>il</strong> fenomeno del “part-time farming”<br />
è diffusissimo ed appare in espansione.<br />
Produzioni vegetali - Il seminativo, chiamato anche<br />
campo, caratterizza l’agricoltura locale per l’ampia<br />
gamma di colture che può ospitare. Dei 2105 ettari di<br />
cent’anni fa sono rimasti appena 200 ettari di patate e<br />
mais. Sono scomparsi <strong>il</strong> tabacco, <strong>il</strong> frumento e la canapa,<br />
stanno per scomparire la segale, l’orzo, <strong>il</strong> grano saraceno<br />
ridotto agli ultimi campi a Coimo di Druogno.<br />
298<br />
Furono, e sono tuttora ben apprezzate dal consumatore<br />
le patate ottenute in Valle Vigezzo per la gradevole farinosità<br />
e la delicatezza del profumo e sapore; la rinomanza<br />
si diffuse fuori Ossola grazie anche alle piccole<br />
scorte che recavano con sé gli spazzacamini vigezzini.<br />
Nel 1954 gli agricoltori si organizzarono per la produzione<br />
di patate da seme ottenendo <strong>il</strong> marchio ufficiale<br />
del Ministero dell’Agricoltura. Negli anni 70 <strong>il</strong> centro<br />
sementiero cessò di funzionare a causa dell’esodo dall’agricoltura,<br />
del passaggio dei campi ad aree fabbricab<strong>il</strong>i,<br />
della comparsa di una rara malattia, l’angu<strong>il</strong>lula, che<br />
si combatte bene solo con la rotazione agraria, pratica<br />
agronomica ormai scomparsa dalle nostre zone.<br />
La viticoltura - I 759 ettari di campi vignati stimati in<br />
passato, si sono ridotti a 50. I campi con vite sono piccoli<br />
terrazzi sostenuti da muri formati da sassi accatastati<br />
a secco e rappresentano un intelligente lavoro di formazione<br />
e conservazione del terreno ottenuto nei secoli<br />
con incredib<strong>il</strong>e impiego di forze e fatica umana.<br />
In passato i vini ottenuti in talune zone ben esposte<br />
ed in annate favorevoli raggiungevano 11-11,5 gradi alcoolici,<br />
ma la gran massa del vino prodotto in Ossola<br />
possedeva un tenore alcoolico che andava da 9 a 10 gradi<br />
e quindi poco serbevole; da taluni vigneti posti ai li-
miti climatici della coltura si sono riscontrati i 6-7 gradi<br />
alcolici nel vino non più degno di essere denominato<br />
tale ed ecco che a Coimo veniva scherzosamente chiamato<br />
“strafulun”.<br />
Raggiunse rinomanza anche fuori Ossola <strong>il</strong> “Prunent”<br />
di Pello di Trontano, vino ottenuto dal vitigno Nebiolo<br />
e quindi di lunga maturazione, imparentato coll’Inferno<br />
ed <strong>il</strong> Sassella valtellinesi, col Gattinara e col Barolo.<br />
Eliminata la malattia f<strong>il</strong>lossera agli inizi del secolo<br />
mediante l’innesto dei nostri vitigni su piede americano,<br />
i contadini impararono a combattere tempestivamente<br />
sia la peronospora che l’oidio. Il canonico Nicolao<br />
Sott<strong>il</strong>e nel suo Quadro dell’Ossola pubblicato a Novara<br />
nel 1810 annotava: “l’Ossola ha viti e fa vini anche<br />
buoni. Si vendono nelle valli che ne sono prive ma la maggior<br />
parte si smercia nella Svizzera e nel Vallese”. Ma poi<br />
<strong>il</strong> prodotto a mano a mano è scaduto di qualità a causa<br />
dell’introduzione non programmata di diversi ottimi<br />
vitigni le cui produzioni venivano mescolate senza conoscenze<br />
sulle loro affinità.<br />
Dal 1990 la Comunità Montana Valle Ossola ha avviato,<br />
in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza,<br />
<strong>il</strong> recupero della viticoltura con un’azione tendente<br />
a modificare la forma tradizionale di allevamento<br />
a pergolato, la “toppia”, od anche a sostituirla col sistema<br />
a controspalliera per meglio fruire della luce solare.<br />
È stata avviata pure la selezione del vitigno locale,<br />
<strong>il</strong> “Prunent”, in collaborazione con l’Istituto Sperimentale<br />
della Viticoltura di Asti e poi col Centro CNR<br />
I vini ossolani.<br />
Fiera bovina in Valle Antigorio.<br />
di Torino. Ora assistenza tecnica continua viene fornita<br />
a tutti i soci dell’Associazione Produttori Agricoli Ossolani,<br />
un sodalizio nato nel 1994. E’ stata intrapresa<br />
quindi un’opera di miglioramento delle produzioni: dal<br />
1990 ad oggi sono state acquistate tramite la Comunità<br />
Montana Valle Ossola circa 50.000 barbatelle di cloni<br />
pregiati, certificate, virus esenti, ut<strong>il</strong>izzate per costituire<br />
circa 40 piccoli vigneti specializzati in grado di fornire<br />
produzioni di alta qualità, da 40 a 60 quintali per<br />
ettaro. Negli ultimi dieci anni la viticoltura ossolana ha<br />
assunto un’importanza sempre crescente, tanto da calamitare<br />
l’attenzione anche dei giovani, che si sono avvicinati<br />
numerosi a questo tipo di attività. Dal 1997<br />
una ventina di soci produttori delle zone di Pello, Masera<br />
e Crevoladossola, conferiscono una parte delle loro<br />
uve Nebbiolo, Croatina e Prunent ad una cantina privata<br />
per vinificarle in comune. E dei 50 ettari di territorio<br />
vignato, stimati in Ossola, almeno 30 sono coltivati<br />
proprio dai soci. Attualmente i vini commercializzati<br />
con l’etichetta dell’associazione sono <strong>il</strong> Prunent, <strong>il</strong> Balòss<br />
(pinot nero vinificato in purezza), <strong>il</strong> Tarlap (Merlot<br />
monovitigno), <strong>il</strong> Cà d’Matè (uvaggio di Nebbiolo,<br />
Croatina e Prunent), <strong>il</strong> Noev Bruschett, un vino giovane<br />
da un uvaggio di Croatina, Nebbiolo e Barbera e <strong>il</strong><br />
Cà d’Susana (uvaggio di Nebbiolo e Cabernet Sauvignon).<br />
Questi i dati dell’annata 2003: sono stati pro-<br />
299
Mungitura all’alpeggio.<br />
dotti circa 15.000 litri di Noev Bruschett, 2.500 litri di<br />
Prunent, 5.000 litri di Cà d’Matè, 3.500 litri di Tarlàp<br />
e 240 litri di Pinot nero Balòss. Insomma, la viticoltura<br />
ossolana è destinata ad affermarsi come produzione<br />
di nicchia e ad ampliarsi per raggiungere mercati non<br />
soltanto locali.<br />
La frutticoltura - Quasi tutti i fruttiferi più comuni<br />
sono diffusi in Ossola quali pero, melo, pesco, c<strong>il</strong>iegio,<br />
albicocco, susino, fico, nespolo ed anche l’actinidia sinensis,<br />
ovvero <strong>il</strong> kiwi, di recente introduzione; <strong>il</strong> limite<br />
climatico condiziona in talune annate la pezzatura<br />
del frutto, ma l’ambiente montano ne esalta sempre <strong>il</strong><br />
colore e la sapidità. Nel passato l’uomo ut<strong>il</strong>izzava <strong>il</strong> fogliame<br />
del gelso per l’alimentazione del baco da seta, <strong>il</strong><br />
frutto del noce per propria alimentazione e per estrazione<br />
di olio, <strong>il</strong> frutto del castagno per alimentazione<br />
propria e del bestiame, nonché la scorza per estrazione<br />
del tannino o <strong>il</strong> frutto della quercia per l’alimenta-<br />
300<br />
zione dei suini. Oggi, parallelamente al rinnovamento<br />
della viticoltura, è stato avviato un programma d’incremento<br />
della melicoltura mediante la distribuzione di<br />
circa 50.000 piante di mele innestate su portainnesti<br />
nanizzanti da impiantare per la costituzione di meleti<br />
specializzati con forme di allevamento a spindel su<br />
modello trentino. Pertanto sono state introdotte varietà<br />
come la Golden, la Elstar, la Royal Gala, la Red Delicious,<br />
la Summered, la Jonagold, la Granny Smith e la<br />
Renetta del Canada. La mela ossolana potrebbe quindi<br />
costituire un altro prodotto tipico, ma manca ancora<br />
un coordinamento per la sua commercializzazione.<br />
Il clima alpino e la qualità del terreno sembrano giocare<br />
a favore della coltivazione dei piccoli frutti le cui piante,<br />
per godere di buona salute, necessitano lunghi periodi<br />
di riposo in ambienti freddi. Il mirt<strong>il</strong>lo gigante, <strong>il</strong> “vaccinum<br />
corymbosus” originario del Nord America è ora<br />
in fase di espansione nella nostra zona. Si tratta di una<br />
pianta praticamente immune da funghi, quindi coltivab<strong>il</strong>e<br />
evitando qualsiasi tipo di intervento antiparassitario<br />
e funghicida e la sua coltivazione, ideale in un terreno<br />
molto acido, esige anche un buon periodo di freddo<br />
durante l’inverno per poter fruttificare abbondantemente.<br />
Infine, con fragole e mirt<strong>il</strong>li, non mancano lamponi,<br />
more, ribes gialli o rossi, uva spina e l’uva giapponese.<br />
L’allevamento - Il patrimonio zootecnico, bovino-ovino-caprino,<br />
costituisce <strong>il</strong> grande capitale, <strong>il</strong> grande investimento<br />
dal quale l’agricoltore-allevatore trae quasi<br />
tutta la remunerazione del suo lavoro; in cento anni ha<br />
subito le variazioni seguenti:<br />
anno 1879<br />
bovini n. 12.373 - ovini n. 7.369 - caprini n. 14.626<br />
anno 1930<br />
bovini n. 16.267 - ovini n. 6.158 - caprini n. 10.824<br />
anno 1982<br />
bovini n. 6.494 - ovini n. 13.750 - caprini n. 9.569<br />
anno 1990<br />
bovini n. 4.771 - ovini n. 8.707 - caprini n. 8.888<br />
Nella primavera del 2004 in Ossola sono stati controllati<br />
dal Servizio Veterinario n. 743 allevamenti comprendenti<br />
8.044 caprini e 5.488 ovini e, nello stesso periodo,<br />
sono stati controllati n. 347 allevamenti di bovini,<br />
con almeno 3.000 vacche da latte. La presenza di
una così modesta quantità di allevamenti significa che<br />
la popolazione ossolana è dedita per la maggior parte<br />
ad altri settori, secondiario e terziario, diversamente da<br />
quanto r<strong>il</strong>evato dal Calpini nel 1880, allorchè affermava<br />
che la popolazione ossolana dedita all’agricoltura e<br />
all’allevamento si aggirava attorno all’80% (su 34.000<br />
abitanti). Secondo i dati Istat per l’anno 2000 i bovini<br />
totali nella provincia del Vco sarebbero 5.771, i caprini<br />
13.510, gli ovini 10.015, i suini 439, gli equini 941<br />
e gli struzzi 61.<br />
Ci sarebbe quindi una notevole riduzione dei bovini,<br />
cioè degli animali che richiedono maggiori cure e mungitura,<br />
e un incremento di ovini e caprini, che richiedono<br />
scarso impegno della manodopera e sfruttamento<br />
sovente incustodito di grandi estensioni pascolive di<br />
proprietà comunale.<br />
Alla fine dell’800 i bovini dell’Ossola si presentavano<br />
con piccola taglia e con mantello pezzato in vari colori;<br />
ora sono uniformati in una sola razza: la Bruna o Bruna<br />
Alpina. All’inizio del ’900 Serafino Rolandi di Mozzio,<br />
Salumi tipici ossolani.<br />
a conoscenza dei risultati raggiunti dalla selezione della<br />
razza di Svitto (l’attuale Bruna Alpina) per la mole dei<br />
tori e la quantità di latte prodotta dalle vacche, avviò<br />
l’introduzione di torelli via Passo S. Giacomo.<br />
L’incrocio di tali torelli sui nostri bovini suscitò vero interesse<br />
ed infatti si diffuse rapidamente; la “nuova” razza<br />
venne dapprima chiamata la “razza di Mozzio”, poi<br />
fu accettata come vera e propria Bruna Alpina. E’ stata<br />
poi incrociata con la razza Bruna selezionata nel nord-<br />
America detta Brown Swiss per ottenere bovini ancora<br />
più pesanti e più produttivi di latte.<br />
È rimasta famosa nell’ambiente degli allevatori la vacca<br />
Fiera di Ferdinando D’Andrea di V<strong>il</strong>ladossola per essere<br />
stata classificata nel 1967 “Vice Campionessa Nazionale”<br />
della Mostra di Verona.<br />
Mostre, mercati e rassegne sono iniziative per valorizzare<br />
e vendere <strong>il</strong> bestiame mediante classifiche e gare tra<br />
gli animali presenti e attraverso <strong>il</strong> gran richiamo di allevatori,<br />
commercianti e tecnici. E’ ormai nota tra gli addetti<br />
ai lavori “Domobruna”, la Mostra Interregiona-<br />
301
le dei bovini di razza Bruno alpina che si tiene in primavera<br />
a Domodossola. Nel 2004 la mostra ha inserito,<br />
come novità di prestigio, <strong>il</strong> 1° Concorso Internazionale<br />
di bovini di razza bruna iscritti al <strong>libro</strong> genealogico,<br />
divenendo così di respiro internazionale. Avviata nel<br />
2002, la fiera si è confermata punto d’incontro annuale<br />
tra professionisti del comparto zootecnico ed è la prima<br />
mostra internazionale che si svolge in Piemonte.<br />
Per quanto riguarda l’allevamento delle capre, gli allevatori<br />
ottengono buone remunerazioni con la vendita<br />
del capretto, del latte e latticini, delle pelli. Ha fruito di<br />
buona rinomanza la razza di capre denominata “Vallesana”<br />
o “Sempionina” dal mantello pezzato di bianco e<br />
nero; di buon peso ed ottima lattifera la Vallesana allevata<br />
nell’Ossola è stata venduta nelle province vicine e<br />
nel Sud <strong>It</strong>alia. Ma <strong>il</strong> gruppo più consistente del patrimonio<br />
caprino è formato da popolazione meticcia, cioè<br />
di razza non ben definita, con soggetti più piccoli o leggeri<br />
idonei a pascolare nei territori più magri ed impervi.<br />
La gran massa delle pecore è di derivazione dalle<br />
razze biellese e bergamasca, aumenta di consistenza<br />
grazie ai buoni pascoli disponib<strong>il</strong>i perché abbandonati<br />
dai bovini in regresso. L’allevatore vende a buon prezzo<br />
l’agnello, ma non trova mercato per la lana che nel passato<br />
veniva ut<strong>il</strong>izzata direttamente dalle famiglie locali<br />
per indumenti. L’Ossola è annoverata tra le prime zone<br />
di <strong>It</strong>alia ove sono state debellate le malattie della tubercolosi<br />
e brucellosi pericolose sia per <strong>il</strong> bestiame che per<br />
l’uomo. Anche se, purtroppo, nel 2001 <strong>il</strong> morbo della<br />
bse, la cosiddetta “mucca pazza”, ha infettato un bovino<br />
di razza bruna allevato in Valle Vigezzo: <strong>il</strong> primo<br />
caso piemontese è toccato proprio ad un allevamento<br />
di Malesco.<br />
Altri allevamenti – Patrimonio zootecnico a parte, veniamo<br />
ora alle novità nel settore. Nel comune di Crevoladossola<br />
nel 2003 è stato allestito un impianto di allevamento<br />
di Helix Pomatia, più conosciuta come lumaca<br />
alpina, mentre a Ornavasso esiste un allevamento<br />
di gamberi di fiume o, come li chiamano gli esperti,<br />
di Austropotamobius italicus. Considerati una specie<br />
protetta e catalogati dal Wwf nella top ten degli invertebrati<br />
italiani a rischio di estinzione, i gamberi di fiume<br />
sono un indicatore biologico del buono stato di salute<br />
dei nostri torrenti.<br />
302<br />
I prodotti tipici<br />
Il formaggio – E’ soprattutto <strong>il</strong> “Bettelmatt” <strong>il</strong> formaggio<br />
sul quale gli ossolani hanno riposto speranze di crescita<br />
e notorietà. Questo formaggio, che ora ha un marchio<br />
regolarmente registrato e dal 2003 ha marchiatura<br />
a fuoco, si produce in sette alpeggi: Morasco, Kastel,<br />
Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto ad un’altitudine<br />
che va da 1800 a 2400 metri.<br />
Il Bettelmatt originale ha sullo scalzo la data di produzione<br />
e contiene l’indicazione dell’alpeggio di provenienza.<br />
Si tratta di un formaggio ottenuto dal latte crudo<br />
intero di una mungitura, prevalentemente di vacche<br />
di razza Bruna con stagionatura minima di 60 giorni.<br />
Le forme sono c<strong>il</strong>indriche, di 4/6 kg. di peso, di colore<br />
giallo oro o paglierino e viene prodotto tra la fine di<br />
giugno ed i primi di settembre. Vengono prodotte circa<br />
3.800-4.000 forme all’anno.<br />
Più consistente risulta la produzione dell’altro formaggio,<br />
chiamato comunemente “Ossolano”. Attualmente<br />
tutto <strong>il</strong> latte prodotto in provincia viene destinato,<br />
tranne una piccola quota per autoconsumo, alla trasformazione<br />
in formaggio e, per quanto riguarda l’Ossola,<br />
in formaggio “Ossolano”. Nella tradizione alpina <strong>il</strong> formaggio<br />
ha rappresentato una preziosa merce di scambio<br />
per acquistare prodotti introvab<strong>il</strong>i sul territorio. In passato<br />
con i prodotti caseari si pagavano le tasse, si faceva<br />
carità, si pagava l’affitto e <strong>il</strong> burro era considerato re dei<br />
condimenti, al posto dell’olio d’oliva, prodotto d’importazione.<br />
Questo mondo ormai scomparso, nel quale<br />
<strong>il</strong> formaggio era parte integrante dell’economia alpina,<br />
ha lasciato <strong>il</strong> posto ad una nuova f<strong>il</strong>osofia del prodotto,<br />
che necessita di ricerche, analisi, valorizzazioni, classificazioni<br />
e certificazioni. Insomma, nel nuovo m<strong>il</strong>lennio<br />
<strong>il</strong> formaggio “Ossolano” per essere gustoso deve sottoporsi<br />
ad un’analisi tecnico scientifica che ne dimostri la<br />
buona qualità e sia strumento di supporto per ottimizzare<br />
<strong>il</strong> ciclo produttivo. Il cosiddetto “progetto di caratterizzazione<br />
del formaggio Ossolano” è un’opera complessa,<br />
sintesi di tre anni di lavoro di tecnici, divulgata<br />
attraverso una pubblicazione a disposizione dei produttori.<br />
Si tratta di una ricerca che ha fornito un preciso<br />
orientamento per ottenere <strong>il</strong> tanto atteso riconoscimento<br />
della denominazione di origine protetta (Dop).<br />
L’Ossolano, che vanta un’origine antica, dal 1990 può
vantare anche un proprio consorzio di tutela, costituito<br />
da una ventina di soci produttori, che ha istituito un<br />
marchio di origine e qualità per la sua identificazione.<br />
Nel 1993 <strong>il</strong> consorzio ha presentato la richiesta di denominazione<br />
d’origine al Ministero dell’Agricoltura; la<br />
proposta fu accettata nel 1996 dal Comitato nazionale<br />
per la tutela delle Denominazioni di Origine Tipiche<br />
dei Formaggi. Tutt’oggi, in attesa del riconoscimento<br />
europeo della Dop, <strong>il</strong> disciplinare di produzione steso<br />
dal Consorzio rappresenta <strong>il</strong> regolamento ufficiale del<br />
formaggio Ossolano.<br />
Le latterie turnarie, chiamate anche sociali al loro sorgere<br />
nel secolo scorso, sono scomparse per fondersi in stab<strong>il</strong>imenti<br />
specializzati. Le latterie turnarie, cioè centri<br />
per la lavorazione del latte ad opera di un allevatore-casaro<br />
addetto a turno, vanno ricordate quale altro primato<br />
dell’Ossola nel settore; sono sorte tra le prime in <strong>It</strong>alia<br />
ed hanno raggiunto la maggiore diffusione cap<strong>il</strong>lare<br />
in tutti i centri abitati rispetto ad altre zone dell’arco alpino<br />
ed hanno contribuito alla formazione di abitudini<br />
alla cooperazione. Nell’apr<strong>il</strong>e del 2002 è stata inaugurata<br />
a Oira di Crevoladossola la struttura che ospita<br />
<strong>il</strong> nuovo caseificio ossolano. La nuova Latteria Sociale<br />
Antigoriana è frutto dell’impegno assunto congiuntamente<br />
da quattro comunità montane interessate: Valle<br />
Ossola, Valle Antigorio-Divedro-Formazza, Antrona<br />
e Monterosa, che hanno scelto di concentrare gli sforzi<br />
in un progetto unico, evitando la frammentazione<br />
in caseifici minori. Nel 2002 <strong>il</strong> caseificio lavorava circa<br />
30.000 quintali di latte ritirati annualmente ai circa 70<br />
soci, pari a oltre <strong>il</strong> 70 per cento dell’intera produzione<br />
provinciale. (Questi e altri dati sulle nuove attività agricole<br />
e sull’entità della loro produzione sono stati tratti<br />
da articoli apparsi in questi ultimi anni su testate giornalistiche<br />
locali, a firma di Paola Caretti).<br />
Il miele - Anche l’apicoltura ha seguito le vicende di<br />
altri settori, cioè larga diffusione nell’800 e inizi ‘900,<br />
calo di interesse nell’ultimo dopoguerra, attuale r<strong>il</strong>ancio<br />
degli allevamenti. Si ottiene un ottimo miele per <strong>il</strong><br />
consumo diretto proveniente prevalentemente dal nettare<br />
dei fiori di castagno, o altro miele più pregiato proveniente<br />
dai fiori alpini ove predominano le piante aromatiche.<br />
Le valli Antigorio e Formazza, e l’Ossola in genere,<br />
rappresentano <strong>il</strong> punto di forza del settore apisti-<br />
co nella provincia: <strong>il</strong> maggior numero di aziende, sebbene<br />
per la gran parte operino a livello amatoriale, sono<br />
collocate infatti in queste vallate. L’apicoltura in tutta<br />
la provincia del Vco conta 163 aziende, che possiedono<br />
complessivamente 3.787 alveari, ma <strong>il</strong> potenziale<br />
produttivo, secondo gli esperti del settore, sarebbe superiore<br />
di quello attualmente conseguito. Le tipologie<br />
di miele prodotte sono molteplici: acacia, m<strong>il</strong>lefiori, tiglio,<br />
castagno, melata e m<strong>il</strong>lefiori di montagna, questi<br />
ultimi ottenuti esclusivamente oltre i 1000 metri di<br />
quota. Dal 1984 è attiva l’associazione produttori apistici<br />
delle Vallate Ossolane che impegna oltre 200 soci<br />
ad una produzione di alta qualità.<br />
Il pane - In Ossola <strong>il</strong> pane nero di segale è legato ad una<br />
tradizione antica e negli ultimi anni è stato avviato un<br />
progetto per ottenere, anche in questo caso, <strong>il</strong> riconoscimento<br />
d.o.p., la denominazione di origine protetta.<br />
Fino a pochi decenni fa <strong>il</strong> pane bianco di frumento appariva<br />
di rado sulla mensa degli ossolani, mentre <strong>il</strong> pane<br />
nero a base di farina di segale - abbondante grazie alle<br />
coltivazioni in loco - non mancava mai. Il pane veniva<br />
cotto all’inizio dell’inverno nel forno comune del paese<br />
ed era una festa alla quale partecipavano intere famiglie<br />
che si assicuravano così <strong>il</strong> pane per almeno sei mesi.<br />
Nell’Ottocento Orazio de Saussure, nel <strong>libro</strong> “Voyages<br />
dans les Alpes” scrisse che gli abitanti “... si nutrono solo<br />
di latticini e di pane di segale che cuociono sei mesi o addirittura<br />
un anno prima e che si può tagliare solo per mezzo<br />
di una scure”. Oggi le pagnotte escono dai forni di alcuni<br />
panettieri con frequenza quasi quotidiana, ma restano<br />
soffici e fragranti per diversi giorni, a differenza<br />
del pane bianco che s’indurisce in breve tempo. Accanto<br />
al pane nero, apprezzato è anche <strong>il</strong> famoso credenzitt<br />
(o cradenzin), che anticamente veniva cotto in occasione<br />
delle feste o importanti ricorrenze. Il credenzitt<br />
è una sorta di pane rituale dolce e si può gustare in tutte<br />
le sue varianti, che racchiudono nel suo impasto noci,<br />
uvetta e fichi secchi.<br />
Erbe Aromatiche e Officinali – Nel 1997 la Comunità<br />
Montana Valle Cannobina ha avviato un progetto<br />
di sperimentazione per la coltura di erbe officinali con<br />
tecniche produttive biologiche. Nel 2002 è nata l’associazione<br />
“Erba Bona del Vco” che raggruppa i tutti<br />
i coltivatori, con lo scopo di contribuire alla diffusione<br />
303
Il pane nero di Coimo. Forme di bettelmatt in stagionatura.<br />
di questo tipo di coltivazione nel territorio montano, e<br />
che ha prodotto e commercializzato una particolare tisana<br />
composta da melissa, menta, salvia e lippa.<br />
Carni e Salumi – Un’ampia varietà di carne è prodotta<br />
in Ossola. Dopo i tradizionali salumi, da non dimenticare<br />
la pancetta, <strong>il</strong> prosciutto crudo affumicato, la bresaola,<br />
<strong>il</strong> lardo, la mocetta, i violini di agnello, di camoscio<br />
e di capra. Insieme ai prelibati e numerosi insaccati<br />
prodotti in Ossola, merita un cenno la mortadella,<br />
che è da poco entrata a far parte dei presidi di Slow<br />
Food. Si tratta di un prodotto realizzato con le carni<br />
crude di suino alle quali si aggiunge una piccola percentuale<br />
di fegato e in alcuni casi vino tiepido insaporito<br />
da spezie, una sorta di vin brulé. Il tutto viene insaccato<br />
nel budello del maiale. Segue una stagionatura<br />
di circa due mesi.<br />
Tendenze attuali e prospettive. I terreni seminativi ed<br />
i prati di fondovalle sono destinati ad ospitare gli insediamenti<br />
abitativi, le vie di comunicazione, le attività<br />
produttive non agricole e ricreative. Sui pascoli più<br />
impervi si ridiffonderà <strong>il</strong> bosco. Le foraggere dei pasco-<br />
304<br />
li ed i boschi monopolizzeranno sempre più <strong>il</strong> concetto<br />
di “risorsa” nel territorio montano, risorse che potranno<br />
interessare anche allevatori e imprenditori non residenti.<br />
Si sta infatti scardinando l’ordinata integrazione<br />
tra le ristrette aree di seminativo dei fondovalle con<br />
prati, prati-pascoli e pascoli degli altipiani, fra le piccole<br />
proprietà private dei terreni coltivati e la proprietà comunale<br />
dei pascoli e dei boschi, fra le attività primarie<br />
e quelle derivate.<br />
Si ripropongono i soliti problemi però in forma nuova:<br />
turismo, artigianato, penetrazione di massa, tutela del<br />
paesaggio, territorio inteso come città-regione, ecc. Perciò<br />
l’intervento pubblico, che finora ha priv<strong>il</strong>egiato la<br />
montagna quale sede ideale di foreste e di equ<strong>il</strong>ibri fra<br />
vegetazione, acque e terreno, si è orientato, secondo le<br />
richieste reali dei montanari, a promuovere la perequazione<br />
dei redditi e dei servizi sociali fra zone montane e<br />
territorio nazionale.<br />
In tale prospettiva l’uomo non abbandonerà la montagna,<br />
ma vi permarrà per esercitare le più diversificate<br />
attività unitamente all’agricoltura.
L’artigianato e <strong>il</strong> commercio<br />
Paola Caretti<br />
L’artigianato tipico ossolano nel corso dei secoli ha saputo<br />
modificarsi. Dalla iniziale produzione di oggetti<br />
destinati a proprio consumo, forgiati ut<strong>il</strong>izzando i limitati<br />
materiali disponib<strong>il</strong>i, ben presto diventò un’attività<br />
prevalente che consentì alle genti di montagna di garantirsi<br />
una fonte di entrata, seppur modesta, attraverso la<br />
commercializzazione dei manufatti sui principali mercati.<br />
In alcuni casi, l’artigianato fece un salto di qualità<br />
e divenne una vera e propria forma d’arte.<br />
La pratica della lavorazione del legno in Ossola si perde<br />
nella notte dei tempi. Di fac<strong>il</strong>e reperib<strong>il</strong>ità nei boschi,<br />
<strong>il</strong> legno rappresentò la materia prima per intagliare oggetti<br />
di uso quotidiano o per mettere in opera creatività,<br />
fantasia, arte. In epoche remote grande commercio dovevano<br />
avere i bravi artigiani del legno se, come sappiamo<br />
“vi era un singolare diritto di decima che aveva l’arciprete<br />
di Domodossola sui lavori in legno che venivano portati<br />
a vendere sul mercato (di Domo) dai vigezzini (…)<br />
Una volta all’anno l’incaricato dell’arciprete si faceva consegnare<br />
la così detta “Collaria dei legnami”, la decima cioè<br />
di tutti i lavori in legno, elencati in alcuni inventari ed<br />
evidentemente venduti al mercato del sabato: scodelle, cucchiai<br />
e mestoli di legno, rastrelli, gerli, caule, e perfino mob<strong>il</strong>i<br />
come letti e armadietti di uso comune. Verso la fine del<br />
‘600 questa decima venne concordata in danaro”. 1 Dall’artigianato<br />
all’arte, <strong>il</strong> passo non è breve, presuppone<br />
doti eccelse, sapienza, ab<strong>il</strong>i mani e senso estetico. Così<br />
nei secoli si affermarono artisti a tutto campo, molti dei<br />
quali originari proprio della “valle dei pittori” che secoli<br />
fa avrebbe potuto essere definita “valle dei ‘maestri legnamari’<br />
a causa del proliferare delle scuole d’intaglio che,<br />
a partire dal 1400 (ma fiorente attività artigianale della<br />
lavorazione del legno esisteva in loco da prima del XII secolo),<br />
si imposero in tutta l’Ossola contribuendo notevolmente<br />
all’arricchimento ed all’abbellimento di chiese, ora-<br />
tori e dimore signor<strong>il</strong>i, con una produzione che in alcuni<br />
casi sarebbe riduttivo definire meramente artigianale.<br />
(…) Dell’intaglio e della scultura lignea delle nostre vallate<br />
si è scritto poco. Studi approfonditi sono stati avviati<br />
solo negli anni 60 dal prof. Bertamini <strong>il</strong> quale si è occupato<br />
dei Merzagora di Craveggia, del Gualio di Antronapiana,<br />
del de Bernardis di Buttogno e del Lanti di Macugnaga…”<br />
2 . La sapienza degli artigiani del legno si tramanda<br />
tutt’ora di padre in figlio, sebbene ormai siano sulla<br />
via di estinzione le antiche tecniche di confezionamento<br />
di gerle, zoccoli, rastrelli o attrezzi vari. Uno degli ultimi<br />
sciviràt (gerlai) svelando i segreti della pratica artigianale,<br />
afferma che i legni di castagno, nocciolo e betulla,<br />
che servono per la sua attività “vengono raccolti, seguendo<br />
la tradizione locale, durante la luna calante, per<br />
evitare i tarli e, quando non fosse possib<strong>il</strong>e lavorarli subito,<br />
devono essere conservati in luogo umido e fresco, legati<br />
in fasci ed appiattiti”. 3<br />
Le scarpe vigezzine portano in giro per <strong>il</strong> mondo un<br />
pezzo di storia delle genti ossolane; le calzature sono<br />
state anche compagne di viaggio degli intraprendenti<br />
spazzacamini che partirono numerosi dalla Valle Vigezzo<br />
alla volta di Francia, Germania, Austria o Svizzera,<br />
alla ricerca di canne fumarie da raspare, armati di tutti<br />
gli attrezzi del mestiere. Naturalmente tra i rari oggetti<br />
personali non mancavano le calzature confezionate in<br />
casa con brandelli di stoffa d’avanzo. In montagna tutto<br />
è prezioso e la vita quotidiana spesso si trova a dover<br />
fare i conti con la povera economia rurale, in cui vige la<br />
legge del nulla si distrugge. Così, tra realtà e leggenda,<br />
sono nate le celebri scarpe “Vigezzine”, create inizialmente<br />
come prodotto puramente artigianale e funzionale<br />
alle ristrettezze monetarie di casa, ed ora divenuto<br />
accessorio ricercato e alla moda. A continuare l’antica<br />
tradizione è un ab<strong>il</strong>e artigiano di Domodossola che<br />
305
Le calzature “Vigezzine”.<br />
da oltre vent’anni le produce e commercializza. I paviui<br />
o scufùn o peduli, come venivano una volta chiamate<br />
le scarpe, sono ora realizzate con una tomaia in velluto<br />
trapuntato e imbottito, mentre l’interno è in tessuto<br />
st<strong>il</strong>e provenzale. I colori sono gli stessi che si possono<br />
trovare sulle pendici dei monti: <strong>il</strong> verde del sottobosco,<br />
<strong>il</strong> bordeaux delle foglie autunnali, <strong>il</strong> marrone delle cortecce<br />
e comprendono una vasta gamma cromatica, tinte<br />
che hanno ispirato nei secoli i famosi pittori della scuola<br />
d’arte della valle di provenienza.<br />
Un altro prodotto artigianale, che tutt’ora si confeziona<br />
con moderni telai, è la tradizionale pezzotta multicolore,<br />
ut<strong>il</strong>izzata come singolare tappeto. La pezzotta<br />
sembrerebbe prendere spunto dalle kwèrte, le coperte<br />
di lana infeltrita e ordito in canapa che le paesane tessevano<br />
sui propri telai in periodo invernale. “Nella prima<br />
metà dell’Ottocento la lana f<strong>il</strong>ata, lavata, pesata, portata<br />
dalle donne a piedi, nel gerlo fino a V<strong>il</strong>ladossola o alla<br />
frazione della Noga, veniva sottoposta a tessitura e follatura.<br />
Dopo questo trattamento le pezze, riportate ad Antro-<br />
306<br />
napiana, venivano tagliate e cucite insieme con grossi punti,<br />
in modo da formare le coperte da letto “kwèrte”. Da un<br />
‘Censimento delle comunità di V<strong>il</strong>a’ del 1848 risulta che a<br />
V<strong>il</strong>ladossola vivevano e lavoravano due tintori e tredici tessitori.<br />
(…) Le operose donne antronesi nei ritagli di tempo<br />
che concedeva la dura vita agreste, oltre a confezionare<br />
gli indumenti necessari alla famiglia riuscivano a lume di<br />
candela a ricamare a puncetto, a punto croce ed a tessere le<br />
loro preziose coperte”. 4 Le donne si dedicavano alla f<strong>il</strong>atura<br />
in periodo invernale. La canapa era coltivata in abbondanza<br />
e <strong>il</strong> f<strong>il</strong>ato che le donne ne ricavavano, avvolto<br />
in matasse e lavato con bollitura in acqua e cenere, veniva<br />
sciacquato al lavatoio e poi avvolto in gomitoli.<br />
“L’ “urdi” montato su telaio poteva essere di cotone o canapa;<br />
veniva unto con la bozzima, impasto di farina di castagne<br />
e fagioli cotti nel grasso, operazione necessaria affinchè<br />
<strong>il</strong> f<strong>il</strong>o non si sfacesse. Una specie di appretto era fatto<br />
anche con cruschello di grano bollito in acqua. Terminata<br />
la tela veniva messa al sole per imbiancare. Se l’ordito era<br />
di cotone la tela era chiamata da “fign” (fine); se era di ca-
napa la tela da “gross”, più rustica, veniva usata per pagliericci”.<br />
5 Secondo alcuni dati, forse non del tutto completi<br />
considerata l’esistenza di numerosi telai di casa,<br />
nel 1889 erano in funzione in Ossola circa 180 telai<br />
(solo Baceno e Premia ne contavano 80) più 31 nell’Ossola<br />
Inferiore. Tutto sommato la lavorazione della lana,<br />
del cotone, del lino e della canapa era di tipo casalingo<br />
e serviva più all’autoconsumo che alla vendita. Occorre<br />
attendere <strong>il</strong> 1900 per assistere alla nascita di uno stab<strong>il</strong>imento<br />
industriale nel settore tess<strong>il</strong>e. La Società Anonima<br />
Jutificio Ossolano nacque a V<strong>il</strong>ladossola nel luglio<br />
del 1900 e arrivò presto ad occupare 350 addetti, per la<br />
maggior parte manodopera femmin<strong>il</strong>e.<br />
E a proposito del ricamo, in tutte le vallate del Rosa le<br />
montanare usavano dedicarsi alla creazione di un particolare<br />
e laborioso merletto, <strong>il</strong> puncetto, realizzato con<br />
punti a nodi. Accanto ai più conosciuti merletti valsesiani,<br />
scopriamo che anche la valle Antrona si dedicava<br />
alla fine trina ad ago, in particolare le donne di Antronapiana<br />
che lo applicavano su tovaglie, lenzuola e<br />
sulle camicie sia masch<strong>il</strong>i che femmin<strong>il</strong>i. Ad Antrona<br />
l’arte del puncetto, chiamato anche punto alpino, ebbe<br />
grande fioritura all’inizio del ‘900 quando la moglie di<br />
Carlo Nigra, architetto e storico dell’arte di Miasino, vi<br />
fondò una scuola di ricamo.<br />
Un’altra scuola, quella di fabbricazione dei merletti istituita<br />
nel 1870 a Bognancodentro da Gian Giacomo<br />
Galletti, ebbe minore fortuna: non ebbe seguito e morì<br />
sul nascere tra l’indifferenza delle ragazze della valle alle<br />
quali era dedicata.<br />
Dopo la metà del Settecento molto diffuso nella Bassa<br />
Ossola era anche l’allevamento dei bachi da seta, che<br />
ebbe <strong>il</strong> suo apice verso <strong>il</strong> 1820. Nel 1768 esisteva a Piedimulera<br />
una fabbrica per la f<strong>il</strong>atura dei bozzoli di proprietà<br />
di un certo Francesco Antonio Falcini, ma già nel<br />
1811 le fabbriche erano diventate quattro, una a Vogogna<br />
e tre a Mergozzo. Intanto anche l’Alta Ossola sv<strong>il</strong>uppò<br />
la coltivazione dei gelsi e si dedicarono a tale attività<br />
le genti di Varzo e Crodo: la bachicoltura diventò<br />
quindi un settore redditizio e promettente, considerata<br />
anche l’alta qualità del prodotto fornito. La f<strong>il</strong>anda<br />
costruita a Vogogna da Francesco De Regibus contava,<br />
nel 1854, dodici fornelli e una cinquantina di persone<br />
impiegate; a Domodossola, invece, tra <strong>il</strong> 1865 e <strong>il</strong> 1871<br />
esercitò la f<strong>il</strong>anda di Francesco Maffioli e figlio che, nel<br />
1883, impiegava 16 operai e produceva 4 quintali di f<strong>il</strong>ato.<br />
Per avere un’idea di questa pratica, che da artigianale<br />
divenne quasi industriale, basti pensare che nel periodo<br />
migliore un normale raccolto di bozzoli nell’alta<br />
Ossola si aggirava intorno ai 4000 kg., mentre nell’Ossola<br />
Inferiore superava i 15.000 kg. Era stata anche selezionata<br />
una razza speciale di bachi, detta appunto ‘ossolana’,<br />
pregevole per la finezza della seta che se ne ricavava.<br />
Verso la fine dell’Ottocento scomparvero del tutto<br />
le f<strong>il</strong>ande e gli allevamenti dei bachi continuarono,<br />
in misura notevolmente ridotta, fino al 1920, per poi<br />
scomparire del tutto.<br />
La lavorazione del peltro portò numerosi ossolani a cercare<br />
fortuna all’estero, girando per l’Europa con ogni<br />
genere di mercanzia. Le prime testimonianze di questa<br />
emigrazione massiccia risalgono al 16° secolo e, destinazione<br />
degli artigiani venditori ossolani, era soprattutto<br />
l’area tedesca e francese, in cui la cultura del peltro<br />
si era guadagnata notevole spazio tra i costosi oggetti<br />
in argento e quelli in legno, di maggiore deperib<strong>il</strong>ità.<br />
Nel XVIII e XIX sec. alcuni emigrati ossolani erano<br />
diventati veri produttori, che davano garanzia di qualità<br />
imprimendo sugli oggetti un proprio marchio personalizzato.<br />
Tra le famiglie più antiche si ricordano i Trivelli,<br />
i Sartoris, i Molo e Plino di Varzo, e poi ancora le<br />
famiglie Alasia, Beltrami, Bozzo-Bey, Dell’Ava, Dresco,<br />
Giovanna, Nante, Prini, Pellanda, Della Bianca e Ferra-<br />
Ceramista al lavoro.<br />
307
L’arte dello sbalzo.<br />
ris; tutti apponevano un proprio sig<strong>il</strong>lo sugli oggetti per<br />
certificare l’alta qualità della lega. I prodotti andavano<br />
dagli oggetti sacri (calici, candelabri, reliquiari), a quelli<br />
di uso quotidiano (lampade, scatole, calamai, posate<br />
e boccali). “Dai primi anni dell’800 prodotti in terraglia<br />
o porcellana soppiantarono gli oggetti in peltro che, verso<br />
la fine dell’800, scomparvero quasi del tutto dall’uso quotidiano<br />
dopo secoli di splendore”. 6<br />
Altro mestiere affascinante che coniuga arte e ab<strong>il</strong>ità<br />
manuale si sostituì quindi all’ab<strong>il</strong>e tecnica dei peltrai.<br />
L’antica arte delle ceramiche in Ossola risale agli inizi<br />
dell’Ottocento, ma ancora oggi, a distanza di due secoli,<br />
troviamo artigiani che ricalcano gli antichi modelli<br />
di buona fattura, creando articoli unici e ben diversi<br />
dalle produzioni su vasta scala che ingombrano le nostre<br />
case. Sono manufatti con fondo bianco e decorazioni<br />
azzurre e marroni, con un tratto apparentemente<br />
semplice e originale, che rende le ceramiche ossolane riconoscib<strong>il</strong>i<br />
anche dai meno esperti: una testimonianza<br />
della tradizione artigianale esportab<strong>il</strong>e anche fuori dai<br />
confini, grazie anche al lavoro di recupero di alcuni arti-<br />
308<br />
giani. Così le ceramiche dal sapore antico hanno ripreso<br />
vita, ripulite dalla polvere del ricordo, sotto la quale<br />
sono rimaste sepolte a lungo. E grazie all’ag<strong>il</strong>e lavoro di<br />
mani esperte che lavorano l’arg<strong>il</strong>la, è possib<strong>il</strong>e guardarsi<br />
indietro, verso un angolo di mondo dell’Ossola ottocentesca:<br />
<strong>il</strong> paese di Premia. Da questo piccolo comune<br />
della Valle Antigorio, nel lontano 1808, <strong>il</strong> parroco don<br />
Giovanni Bartolomeo Toietti fondò la prima fabbrica,<br />
che continuò la sua produzione con grande fortuna<br />
fino al 1862. Nel 1819 l’attività fu r<strong>il</strong>evata dall’esperto<br />
vasaro comasco Domenico Baronio, che diede vita<br />
ad un’intensa produzione di acquasantiere, calamai, alzate,<br />
brocche e vasi ornamentali fino al 1862, data della<br />
chiusura dell’attività. In cinquant’anni, la maiolica<br />
lasciò comunque un segno tangib<strong>il</strong>e nella storia di Premia.<br />
Alla qualità del prodotto si affiancava una gran varietà<br />
di articoli che andavano a sostituire i peltri e i manufatti<br />
in legno ut<strong>il</strong>izzati nelle case ossolane. Piatti, ciotole,<br />
marmitte, insalatiere, zuppiere, ma soprattutto le<br />
classiche boccaline di ogni misura erano oggetti nuovi<br />
che segnavano l’inesorab<strong>il</strong>e declino delle vecchie stoviglie.<br />
Il materiale base per la loro produzione, l’arg<strong>il</strong>la,<br />
veniva estratto lungo <strong>il</strong> torrente Alfenza, nei pressi di<br />
Viceno e poi trasportato a dorso di mulo fino alla fornace.<br />
Dosando <strong>il</strong> materiale con una percentuale di caolino,<br />
don Toietti riuscì ad ottenere una base ottimale.<br />
Ma ciò che maggiormente attrae in queste ceramiche<br />
sono le decorazioni, fatte di abbondanti fioriture con<br />
ornati del colore del cielo e della terra: principalmente<br />
di colore blu e marrone, ma anche ocra o rosso vinaccia.<br />
Sono tinte calde, parole per un linguaggio artistico<br />
senz’altro non estremamente raffinato o accademico,<br />
ma semplice e di buon gusto.<br />
Il lucido rame, accanto alle pezze di tela di casa, era<br />
considerato non soltanto oggetto ut<strong>il</strong>e per la cucina domestica,<br />
ma anche utens<strong>il</strong>e da mettere in mostra. Il Bazzetta<br />
ricorda le botteghe artigiane della Domodossola di<br />
fine Ottocento in cui si potevano ammirare “le lucenti<br />
padelle, i parjoeu rut<strong>il</strong>anti, i bronz orgoglio delle famiglie<br />
antiche; in un angolo era la tipica fucina del ramaio, col<br />
largo camino a cappa, dove salivano le scint<strong>il</strong>le” 7 .<br />
Nel 1882 Domodossola contava ben 26 fabbri ferrai e<br />
5 maniscalchi. Nelle botteghe dei fabbri non mancava<br />
l’olio di scorpione, ut<strong>il</strong>izzato contro le scottature, e nel-
la boccetta di unguento naturalmente faceva mostra di<br />
sé <strong>il</strong> temib<strong>il</strong>e insetto. Il ferro battuto per la creazione<br />
di oggetti decorativi compare nel XIX secolo, affiancandosi,<br />
e poi sostituendo, la vecchia produzione di ferri di<br />
cavallo, chiavistelli e serrature. E’ di epoca più recente<br />
l’arte del metallo sbalzato, avviata nel secondo decennio<br />
del ‘900 da un fabbro vigezzino, Remigio Covetta.<br />
Partendo da una lastra di metallo - di rame, ottone o alpacca<br />
– l’artigiano creava oggetti diversi, in particolare<br />
piatti e vassoi. La decorazione, che consisteva nella sola<br />
martellatura, era impreziosita da disegni che si rifacevano<br />
ad antichi oggetti rustici della valle 8 .<br />
La lavorazione del vetro raggiunse notevole sv<strong>il</strong>uppo:<br />
agli inizi dell’Ottocento fu infatti aperta a Crevoladossola<br />
la fabbrica dei soci Minetti e Morgantini che, ben<br />
presto, divenne una delle più r<strong>il</strong>evanti del Regno Sabaudo,<br />
esportando prodotti anche nella zona di Modena,<br />
Parma e nella Svizzera italiana. Nel 1856 la vetreria<br />
occupava 160 operai, per la maggior parte manodopera<br />
tedesca.<br />
Sulle piccole attività di lavorazione di candele sappiamo<br />
che nel 1840 ne esistevano quattro a Domodossola<br />
e due a Pallanzeno. Nel corso dell’esposizione internazionale<br />
di M<strong>il</strong>ano del 1881, la ditta Luigi Maffioli<br />
di Domo, produttrice di candele di cera e di sego, cera<br />
vergine e sego in pani, fu premiata con medaglia d’argento.<br />
Notevole r<strong>il</strong>evanza nei secoli ebbe la concia delle pelli,<br />
testimoniata dalla via tuttora esistente nel centro storico<br />
di Domodossola, la via delle Concerie dove, nei primi<br />
Novecento, esisteva una fiorente attività di Francesco<br />
Maffioli e figlio. Necessitando di molta acqua, le<br />
concerie erano collocate in prossimità della Roggia dei<br />
Borghesi: nel 1813 se ne contavano 12 nel solo territorio<br />
domese e nel 1889 le quattro esistenti occupavano<br />
una cinquantina di operai e producevano prevalentemente<br />
suole e tomaie. A fine Ottocento esisteva a Piedimulera<br />
la conceria di Ferdinando Pirazzi Maffiola che<br />
impiegava 18 operai.<br />
Antiche stampe e ritratti documentano l’esistenza di<br />
mon<strong>il</strong>i forgiati di metallo nob<strong>il</strong>e già in epoche antiche;<br />
gioielli, orecchini e anelli finemente cesellati, sottolineavano<br />
l’eleganza semplice delle donne ossolane. “Notizie<br />
storiche non scritte ma tramandate a voce testimonia-<br />
no di una fabbrica di oreficeria sita in Masera, fondata e<br />
diretta dai fratelli Nicolaj, che impiegò una cinquantina<br />
di operai; uno di questi, certo Renzo Azzali, ancora intorno<br />
agli anni ’30 esercitava la professione in una casa a Vagna:<br />
nel suo laboratorio la saldatura in oro era ancora eseguita<br />
soffiando con la bocca in un tubetto di ottone fatto a<br />
tromba, ut<strong>il</strong>izzando una lampada a petrolio <strong>il</strong> cui stoppino<br />
emanava una fiamma giallognola e fumo nero”. 9 Oggi,<br />
seguendo antichi modelli, sono nati nuovi gioielli: tra<br />
i più richiesti vi sono gli orecchini delle valli e, in particolare,<br />
la fede ossolana in oro rosso, una riproduzione<br />
originale del XVIII secolo sulla quale sono cesellati<br />
quattro simboli: la stella alpina rappresenta la purezza,<br />
<strong>il</strong> grano saraceno significa abbondanza e prosperità, i<br />
nastri intrecciati sono emblema di perpetuità nell’unione<br />
e le mezze sfere augurio di prolificità.<br />
Certamente la carrellata sull’artigianato ossolano potrebbe<br />
continuare, se volessimo ricordare anche i numerosi<br />
calzolai, carradori, bottai, scalpellini (per i quali<br />
si rimanda al capitolo dedicato alla pietra), materassai,<br />
restauratori e decoratori, per arrivare ai più moderni<br />
fotografi.<br />
Ma sembra doveroso concludere <strong>il</strong> lungo elenco con<br />
una tipologia di artigiano - impresario che ha permesso<br />
di conservare la memoria di quanto ci ha preceduto e di<br />
tramandarla intatta fino ai nostri giorni : <strong>il</strong> tipografo.<br />
Questa attività fu avviata per la prima volta a Domodossola<br />
nel 1837 dai soci Coda e Bedoni, seguiti poi da<br />
Giuseppe Vercellini di Pallanza. Una seconda tipografia<br />
fu aperta nel 1851 da Giuseppe Calpini di Vanzone<br />
e diretta dall’esperto Antonio Porta di Domodossola,<br />
personaggio quest’ultimo che segnerà la storia della<br />
stampa ossolana. Nel 1856 <strong>il</strong> Porta divenne proprietario<br />
della tipografia, che condusse ab<strong>il</strong>mente per altri 36<br />
anni, fino alla sua morte. L’attività continuò per tutto<br />
<strong>il</strong> Novecento e chiuse definitivamente i battenti intorno<br />
agli anni ’90. Intanto, nel 1896, si ritagliò uno spazio<br />
la Tipografia Ossolana dei fratelli Allegra di Vagna;<br />
nel 1908 approdò in Ossola, dal Cusio, la Cartografica<br />
dei fratelli Antonioli, Caccini e C. e nel 1919 partirono<br />
le macchine da stampa della Tipografia Zonca. La<br />
vivacità culturale di quegli anni, evidentemente, richiedeva<br />
l’esistenza a Domodossola di ben quattro tipografie.<br />
Altri tempi!<br />
309
Il commercio<br />
Il mercato settimanale di Domodossola fu <strong>il</strong> principale<br />
centro di smercio per tutti i prodotti artigianali creati<br />
dalle mani ab<strong>il</strong>i dei maestri ossolani e dei loro apprendisti.<br />
Lo storico Tullio Bertamini ipotizza che le due fazioni<br />
che, dal 1200 al 1500, si combatterono aspramente,<br />
ovvero gli Spelorci e i Ferrari, non fossero altro che<br />
“due corporazioni o associazioni di artigiani che attraverso<br />
<strong>il</strong> potere politico tentavano di accrescere i propri interessi<br />
economici”. 10 Ancora oggi lo “spettacolo” del mercato si<br />
ripete. Oggi come allora, da epoca immemorab<strong>il</strong>e: sembra<br />
infatti che ancora prima dello storico anno 917, in<br />
cui pare che l’imperatore Berengario I abbia concesso <strong>il</strong><br />
diritto di tenere <strong>il</strong> mercato nel sabato di ogni settimana<br />
in Domodossola, già esistesse un luogo di scambio di<br />
prodotti. “Anche prima dell’era cristiana esisteva un mercato<br />
nella capitale ossolana, dove artigiani, allevatori, contadini<br />
e mercanti proponevano i propri prodotti ed erano<br />
vendute e comperate merci non solo di provenienza locale,<br />
ma anche lontana. I reperti archeologici ed in particolare i<br />
corredi tombali ossolani ci convincono che questo commercio<br />
non solo esisteva, ma dovette essere fiorente”. 11<br />
Luogo d’incontro e appuntamento irrinunciab<strong>il</strong>e, <strong>il</strong><br />
mercato rappresenta tuttora <strong>il</strong> lato più vivace della città,<br />
nonostante abbia perso quel suo sapore caratteristico,<br />
uniformandosi e globalizzandosi come vuole la moderna<br />
società. Eppure ‘soltanto’ mezzo secolo fa i bei<br />
paesani con i loro genuini prodotti animavano la piazza<br />
e riempivano l’aria di profumi d’alpeggio. Così li trat-<br />
Bibliografia<br />
- Industrializzazione e movimento operaio in Val d’Ossola, Umber-<br />
to Chiaramonte, ed. Franco Angeli, M<strong>il</strong>ano 1985.<br />
- Storia di Domodossola e dell’Ossola Superiore, Nino Bazzetta de<br />
Vemenia, 1908 (ripr. anastatica ed. Rizzardi, Domodossola 1978)<br />
- Ossola. Storia, arte e civ<strong>il</strong>tà, Fondazione Enrico Monti, Anzola<br />
1993<br />
- La civ<strong>il</strong>tà del legno in Val Vigezzo, Benito Mazzi, ed. Comunità<br />
Montana Valle Vigezzo 2000.<br />
- D… come Domodossola, Paolo Bologna e Franco Ferraris, ed.<br />
Eco Risveglio, Domodossola 1985<br />
- Guida storico-turistica all’artigianato del Novarese e del Verbano<br />
Cusio Ossola, a cura di Renzo Fiammetti, ed. Interlinea Novara<br />
310<br />
teggia Ida Braggio: “Le contadine che al sabato scendono<br />
dal monte coi prodotti del caseificio, dell’orto e del pollaio<br />
s’allineano di buon mattino in due f<strong>il</strong>e in mezzo al piazzale;<br />
nei gerli odorosi di maggiorana e salvia e nei bianchi<br />
cestelli dispongono i bei pani di burro fresco, i formaggi, le<br />
uova, i grossi asparagi, gli spinaci montani ed in primavera<br />
mazzi di mughetti e di viole”. 12<br />
Oggi l’artigianato rappresenta una risposta spontanea<br />
al calo delle prospettive occupazionali e alla crisi industriale;<br />
in Ossola si registra un incremento, moderato<br />
ma costante, nel numero delle attività che, nell’anno<br />
2000 secondo i dati d’archivio dell’Albo delle Imprese<br />
Artigiane, risultano 1.863, di cui 460 nel solo capoluogo.<br />
Alterne fortune ha vissuto negli anni, invece, <strong>il</strong> settore<br />
commerciale: <strong>il</strong> progressivo e graduale spopolamento<br />
delle montagne costringe i gestori delle attività decentrate<br />
a chiudere i battenti, mentre i piccoli negozi<br />
di città devono fare i conti con le grandi catene di distribuzione<br />
che installano centri commerciali di ampie<br />
dimensioni nell’immediata periferia del capoluogo. Attualmente<br />
in tutta l’Ossola <strong>il</strong> commercio al dettaglio,<br />
secondo i dati aggiornati della Camera di Commercio,<br />
conta 1.119 attività per un totale di 1.539 addetti e<br />
<strong>il</strong> commercio all’ingrosso conta 328 localizzazioni per<br />
434 addetti. A contendersi i clienti troviamo addirittura<br />
140 tra supermercati, ipermercati, minimercati, discount<br />
e grandi magazzini, 29 dei quali situati nel solo<br />
comune di Domodossola.<br />
- Artigianato Ossolano, ed. Comunità Montana Valle Ossola 2004<br />
- L’Ossola nell’età moderna, Renzo Mortarotti, ed. Grossi, Domo-<br />
dossola 1985<br />
- La nostra vecchia Domodossola, Nino Bazzetta de Vemenia 1933.<br />
(ripr. anastatica ed. Grossi, Domodossola)<br />
- Immagini dell’artigianato ossolano, Ass. Artigiani dell’Ossola, ed.<br />
Grossi, Domodossola 1998<br />
- Artigianato Piemontese, Istituto Geografico De Agostini, Nova-<br />
ra 1978<br />
- I racconti del nonno, Marino Ferraris, ed. Rizzardi, Domodosso-<br />
la 1999<br />
- Bachi da seta, gelsi e f<strong>il</strong>ande nelle due Ossole, Renzo Mortarotti,<br />
Bollettino Storico Provincia di Novara 1984
- Il puncetto, catalogo della 7 a rassegna di cultura materiale, Antro-<br />
napiana 1985<br />
Note<br />
1 Tullio Bertamini, Piazza Mercato di Domodossola, Lions Club,<br />
1990<br />
2 Benito Mazzi, Civ<strong>il</strong>tà del legno in Val Vigezzo, Comunità Monta-<br />
na Valle Vigezzo, 2000<br />
3 Rina Chiovenda Bensi, “Intervista ad uno “sciviràt”, Oscellana,<br />
n.1/1998<br />
4 Rina Chiovenda Bensi “Le kwèrte di Antonapiana”, Oscellana n.<br />
1/1997<br />
Lavorazione artistica del vetro.<br />
5 Cesarina Masini Chieu, Oscellana n.4/1985, pagg. 218-219<br />
6 “La via del peltro”, Le Rive, VII 1993.<br />
7 “La nostra vecchia Domodossola”, Nino Bazzetta de Vemenia,<br />
1933, pag. 38, ristampa anastatica Grossi<br />
8 “L’arte dello sbalzo in Vigezzo”, Benito Mazzi, in Novara n.<br />
1/1987, pagg. 59-74<br />
9 “Ossola: un paradiso a portata di mano”, ed. Comunità Montana<br />
Valle Ossola, 1989<br />
10 “Immagini dell’artigianato ossolano”, ed. Grossi, pag. 12<br />
11 Tullio Bertamini, op. cit. pag. 9.<br />
12 Ida Braggio Del Longo, Piccolo mondo ossolano, 1949, pag. 335.<br />
311
L’Energia Idroelettrica<br />
Ettore Radici<br />
Cenni storici<br />
La valorizzazione nella nostra Provincia delle risorse<br />
idroelettriche per uso collettivo su grande scala, ha inizio<br />
nei primi anni del ‘900 e nell’Ossola vede come uno<br />
dei principali protagonisti l’imprenditore m<strong>il</strong>anese ing.<br />
Ettore Conti (1871-1972).<br />
Appena laureato entra nel 1895 nella soc. Edison, allora<br />
impegnata nello sfruttamento idroelettrico dell’Adda,<br />
ma già nel 1898 si rende autonomo fondando una<br />
sua società, la soc. Imprese Elettriche Conti che tuttavia,<br />
in uno scenario imprenditoriale molto dinamico,<br />
sarà dapprima compartecipata dalla Edison nel 1912<br />
(azionista di maggioranza) e poi assorbita nel 1926.<br />
In questi primi anni del ‘900 la sua attenzione è attratta<br />
dalla val d’Ossola, in particolare dalla valle del Devero e<br />
dall’alta valle del Toce, dove esegue personalmente prospezioni<br />
e sopralluoghi, che lo porteranno ad impostare<br />
la base dell’attuale struttura produttiva che sarà poi<br />
completata dalla Edison subentrata successivamente e<br />
gradualmente ad altre società minori. Nei suoi progetti,<br />
è già ampiamente sv<strong>il</strong>uppato <strong>il</strong> concetto di avere grandi<br />
serbatoi di testa sulle principali aste idrauliche per compensare<br />
la diversa idraulicità nell’anno.<br />
Il primo impianto ad entrare in esercizio è quello di<br />
Foppiano, nel 1909, con una potenza di circa 7,5 MW.<br />
Nel 1910 nella vicina valle del Devero entra dapprima<br />
in servizio Goglio vecchia con circa 15 MW e successivamente<br />
nel 1912 la diga di Codelago, poi sopraelevata<br />
nel 21, mentre è del 1915 Verampio posto in cascata<br />
e con la stessa potenza.<br />
Nel 1911 un’altra società, la Dinamo, costruisce l’impianto<br />
di Varzo ed <strong>il</strong> correlato serbatoio dell’Avino, poi<br />
sopraelevato nel 1916.<br />
Nel pieno della prima guerra mondiale, nel 1917, viene<br />
costruito l’impianto di Crego con circa 10 MW di po-<br />
tenza. Nell’alta val Formazza, si costruisce nel 1922 la<br />
diga del Vannino ed <strong>il</strong> sottostante impianto di Valdo e<br />
nel 1925 Crevola Toce nella bassa valle.<br />
Sempre a metà degli anni 20 la Edison dà l’avvio allo<br />
sfruttamento idroelettrico della valle Antrona, con la<br />
centrale di Pallanzeno (26) e di Rovesca con i tre serbatoi<br />
di Cavalli (26), Antrona (26) e Campliccioli (28)<br />
mentre è del 1930 la centrale di Campliccioli coi suoi<br />
due serbatoi di Cingino e Camposecco, tutti costruiti<br />
dall’impresa Pedruzzi di Olgiate Olona.<br />
La fusione del 1926 della Conti con la soc. Edison, amplia<br />
ulteriormente gli orizzonti e consente la costruzione<br />
nel 28 di Cadarese, che soppianta Foppiano e nel 33<br />
di Ponte nuovo salto Vannino e salto Toggia con la costruzione<br />
dell’omonima diga.<br />
Occorre qui ricordare che di questi primi impianti, si<br />
è conservata generalmente la struttura architettonica<br />
mentre <strong>il</strong> macchinario e le derivazioni idrauliche hanno<br />
subito successive modifiche ed ampliamenti.<br />
Con la seconda guerra mondiale si dà un forte impulso<br />
all’autonomia energetica ed è così che nel 41 si inaugura<br />
Calice, mentre nel 38-40 viene costruito l’attuale impianto<br />
di Goglio col sovrastante serbatoio di Agaro, la<br />
nuova derivazione di Ponte salto Morasco, con la relativa<br />
diga e Fondovalle. ll sovrastante impianto di Morasco<br />
e la diga dei Sabbioni potranno essere costruiti solo<br />
nel 49-53 a guerra ultimata. Ultimo degli impianti storici<br />
è Crevola Diveria (60), in cascata sotto Varzo.<br />
Merita qui un cenno particolare la figura dell’architetto<br />
P. Portaluppi che curerà per Ettore Conti dal 1910<br />
al 1930 l’aspetto civ<strong>il</strong>e ed architettonico dei principali<br />
impianti (Crevola, Verampio, Crego, Cadarese, Valdo,<br />
Sottofrua) nonché dell’albergo della Cascata Toce e<br />
di alcune v<strong>il</strong>le (Baceno e Ponte) caratterizzando <strong>il</strong> tutto<br />
con uno st<strong>il</strong>e molto particolare di arte Decò.<br />
313
La centrale di Pallanzeno.<br />
Dei primi anni ‘30 è sua l’iniziativa del rifugio-ristorante,<br />
pensato e realizzato all’interno di due vagoni ferroviari<br />
posti in fregio al bacino del Toggia appena costruito.<br />
Un posto di primo piano spetta in questa prima<br />
metà del 900 all’impresa Umberto Girola che realizza<br />
alcuni impianti ed i serbatoi di Codelago, Toggia,<br />
Agaro, Morasco e Sabbione.<br />
Va inoltre ricordato l’impulso dato dalla costruzione<br />
degli impianti allo sv<strong>il</strong>uppo del sistema viario, specie<br />
verso la testata delle valli. Vorrei qui ricordare l’asse viario<br />
del fondovalle dell’alta val Formazza ed in particolare<br />
la Ponte-Morasco, Furculty e Toggia, la Goglio Ausone<br />
e Devero, la S.Domenico Ponte Campo, la Iselle<br />
Trasquera, la Varzo alpe Salviggia, l’Antrona Cheggio e<br />
Campliccioli, ecc.<br />
La realtà produttiva attuale<br />
L’Enel è attualmente presente a livello nazionale nel<br />
comparto idroelettrico con 495 impianti di cui 214,<br />
per circa 13 GW di potenza, del Grande Idroelettrico<br />
e 281, per 1,3 GW circa, del Piccolo Idroelettrico;<br />
si ricordi che la potenza installata di competenza ENEL<br />
ammonta globalmente, con i 46 impianti termoelettri-<br />
314<br />
ci, a 40 GW circa. A livello provinciale la prima struttura,<br />
di maggiori dimensioni, gestisce i grandi impianti<br />
idroelettrici, ubicati tutti in Ossola, ha sede a Domodossola<br />
ed è articolata su quattro Unità distaccate sul<br />
territorio a Pallanzeno, Crevola, Verampio e Ponte.<br />
Ha competenza su 19 impianti con una potenza installata<br />
di circa 670 MW, 43 gruppi ed una produzione<br />
media di oltre 2000 GWh. Alla testa delle aste idrauliche<br />
sono presenti numerosi serbatoi d’accumulo con<br />
una capacità d’invaso di 171 m<strong>il</strong>ioni di metri cubi e di<br />
questi ben 13 cadono sotto l’autorità tutoria del Registro<br />
<strong>It</strong>aliano Dighe. Completano <strong>il</strong> tutto 6 grossi sbarramenti<br />
fluviali, 135 km di gallerie di derivazione, 6<br />
km di canali, 22 km di condotte forzate e numerosi impianti<br />
a fune tra cui 3 funivie.<br />
La seconda struttura gestisce nel VCO 16 impianti più<br />
piccoli, i cosiddetti mini-idro, distribuiti principalmente<br />
tra la bassa Ossola e la val Strona per una potenza di<br />
37 MW e con una produzione di 130 GWh, relativamente<br />
modesta ma particolarmente pregiata stante gli<br />
incentivi di cui gode questa categoria d’impianti.<br />
La sede operativa è a Gravellona Toce che dipende da<br />
una Unità Territoriale posta a Novara che ha competen-
za anche su alcuni impianti del m<strong>il</strong>anese e vercellese.<br />
La produzione, la conduzione e gli sv<strong>il</strong>uppi<br />
Tutta l’energia prodotta nel VCO è da fonte rinnovab<strong>il</strong>e<br />
ed in particolare d’origine idroelettrica ed ammonta<br />
mediamente a circa 2440 GWh, di cui 2130 prodotti<br />
da ENEL come precedentemente ricordato ed indicativamente<br />
sufficienti al fabbisogno energetico delle<br />
province del VCO e di Novara. E’ da r<strong>il</strong>evare come<br />
quest’energia sia di particolare pregio perché per circa<br />
<strong>il</strong> 50% è, direttamente o indirettamente, da serbatoio<br />
e quindi collocab<strong>il</strong>e nelle ore di maggior fabbisogno<br />
energetico. Gli impianti sono sempre stati periodicamente<br />
aggiornati tecnologicamente con quanto di meglio<br />
offriva <strong>il</strong> mercato.Va in particolare ricordata negli<br />
anni 60-70 la prima automazione con tecnologia a relé<br />
di centrali e prese, seguita a partire dagli anni 80 dalla<br />
riautomazione con logiche statiche ed alla fine degli<br />
anni 90 da quella a logica programmab<strong>il</strong>e con i PLC.<br />
Parallelamente all’automazione si è sv<strong>il</strong>uppata la teleconduzione<br />
degli impianti da posti via via più centralizzati<br />
fino all’attuale unico PT di Verampio per tutti gli<br />
impianti Enel delle regione Piemonte.<br />
In tema di una sempre maggior sicurezza è stato instal-<br />
La centrale di Crevoladossola, opera dell’arch. P. Portaluppi.<br />
lato per le dighe un sistema di telesorveglianza dei principali<br />
parametri, denominato ESSDI, quasi completato.<br />
Da ultimo è da ricordare l’impegno di Enel nel VCO<br />
nel campo delle energie rinnovab<strong>il</strong>i per ottimizzare e<br />
mantenere efficiente questa preziosa fonte energetica<br />
nazionale. Sono stati recentemente messi in esercizio<br />
2 nuovi impianti, Pieve e Varzo, è terminato <strong>il</strong> rinnovo<br />
di Cadarese (02), sono in fase avanzata i rinnovi<br />
di Campliccioli (04) e Rovesca salto Campliccioli (05),<br />
mentre è in fase istruttoria <strong>il</strong> potenziamento di Crevola<br />
che consentirà soprattutto una migliore collocazione<br />
oraria dell’energia già attualmente prodotta dall’asta<br />
del Toce.<br />
Dalla S.I.S.M.A. ad oggi<br />
Gli impianti idrolettrici ex S.I.S.M.A. nascono nel lontano<br />
1926 con la centrale Pontetto per sfruttare le acque<br />
del torrente Melezzo con una presa in zona Maglietto<br />
(val Vigezzo), e dei torrenti Isorno e Fenecchio,<br />
con una presa nella località Laghetto (val Isorno).<br />
Entra in esercizio nel 1930 la Centrale Ceretti in località<br />
Laghetto (val Isorno) e nel 1939 si costruisce la diga<br />
di Larecchio per una regolazione stagionale della portata.<br />
Nel 1946, a fine guerra, entra in funzione la centra-<br />
315
le di Montecrestese e nel 1945, con l’entrata in esercizio<br />
della centrale Cipata e con <strong>il</strong> nuovo bacino di regolazione<br />
di Agrasina si completa <strong>il</strong> sistema per l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />
delle acque dei torrenti Isorno-Fenecchio-Melezzo.<br />
Fino al 7 agosto 1978, con una potenza installata complessiva<br />
di 44,42 GVA, con <strong>il</strong> complesso degli impianti<br />
produce mediamente 100 m<strong>il</strong>ioni Kwh/anno, di cui<br />
circa 70 m<strong>il</strong>ioni di Kwh ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i dallo stab<strong>il</strong>imento.<br />
A seguito dell’alluvione la potenza installata si riduce<br />
a 23,64 GVA con una produzione media di 50 m<strong>il</strong>ioni<br />
di Kwh, di cui solo <strong>il</strong> 75% sono ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i dallo stab<strong>il</strong>imento.<br />
Dalla data dell’alluvione, 7 agosto 1978, alla<br />
data della cessione alla Società Leali, l’IRI, in previsione<br />
della vendita di tutto <strong>il</strong> complesso S.I.S.M.A. (centrali<br />
idroelettriche della valle Isorno + Stab<strong>il</strong>imento di<br />
V<strong>il</strong>ladossola), non ha eseguito alcun lavoro di ripristino<br />
degli impianti distrutti. Il settore Impianti Idroelettrici<br />
(Isorno/Melezzo) viene successivamente ceduto dalla<br />
Soc. Leali al gruppo Beltrami di Vicenza (1992) che<br />
procede alla ricostruzione di tutti gli impianti distrutti.<br />
Oggi la società “Idroelettriche Riunite” di Longane<br />
(VC), gruppo Beltrame, con una potenza installata di<br />
Valle Formazza, sbarramento artificiale di Morasco.<br />
318<br />
40,64 GVA produce mediamente 100 GWh/anno che<br />
vengono direttamente venduti all’ENEL.<br />
Tutte le centrali delle aste Isorno e Melezzo sono telecomandate<br />
dal centro di comando e controllo della Centrale<br />
di Pontetto.<br />
Altri produttori<br />
Altre Società in Ossola producono energia elettrica da<br />
fonte idraulica e tra di esse occorre ricordare:<br />
- La Società Edison con gli impianti ex SELM di Battiggio<br />
in valle Anzasca e di Pieve Vergonte, sempre con le<br />
acque dell’Anza, con una produzione media complessiva<br />
di circa 95 Gwh.<br />
- La Società Tessenderlo con gli impianti ex Rumianca<br />
di Ceppo Morelli in valle Anzasca e di Megolo sul<br />
Toce che sfruttano anche lo scarico di Pieve Vergonte<br />
della Edison. La produzione complessiva media è di<br />
90 Gwh.<br />
- La Società Idreg Piemonte con gli impianti ex Ceretti<br />
di Montescheno, Boschetto e Gaggiolo in val Antrona.<br />
Sono inoltre presenti numerosi privati con centraline di<br />
piccola potenza.
Attività estrattiva<br />
Mauro Proverbio<br />
Su tutto <strong>il</strong> territorio provinciale si riscontra come qualsiasi<br />
pietra disponib<strong>il</strong>e sia stata ut<strong>il</strong>izzata per costruire,<br />
come si può ben vedere percorrendo le contrade del<br />
Verbano Cusio Ossola.<br />
Spesso l’arte del costruire ha acquisito nel corso dei secoli<br />
particolarità e peculiarità proprio in funzione delle<br />
pietre a disposizione. Così, accanto ad esempi di acciottolati,<br />
costituiti da pietre rotondeggianti reperite<br />
nei greti dei torrenti (le antiche pavimentazioni di Domodossola<br />
e di altri centri importanti), si trovano pavimentazioni<br />
costituite da pietre di forma lastroide messe<br />
di costa (molte mulattiere che portano ad alpeggi una<br />
volta r<strong>il</strong>evanti) reperite sezionando i massi che si incontravano<br />
lungo <strong>il</strong> tracciato; o, ancora, pavimenti in opus<br />
incertum fatti di pietre tal quali reperite in vicinanza.<br />
Una maggior cura era riservata alle costruzioni in elevazione,<br />
anche se non mancano esempi di manufatti, anche<br />
importanti, costruiti con pietre di fiume (per esempio,<br />
alcune parti delle mura di Domodossola). In tali<br />
casi le pietre erano squadrate e provenivano da cave o<br />
da massi di grosse dimensioni (i “trovanti”) appositamente<br />
lavorati.<br />
Un discorso a parte meritano le coperture dei tetti. Tutti<br />
i tetti antichi, sia nelle città e nei centri più importanti,<br />
sia nelle vallate, erano costruiti con travi di legno<br />
e da lastre di pietra (le cosiddette “piode”). I più fortunati<br />
potevano ut<strong>il</strong>izzare la beola, materiale scistoso che<br />
si può suddividere in lastre di piccolo spessore presente<br />
nella bassa Ossola fino a Crevoladossola, gli altri si<br />
dovevano arrabattare ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong> serizzo, che solo in<br />
particolari zone ha proprietà sim<strong>il</strong>i (cave di Trasquera).<br />
Di pietra erano, e sono, tutta una serie di opere minori:<br />
i marciapiedi, i cordoli stradali, i muretti e le loro copertine,<br />
le recinzioni (costituite da schegge infisse verticalmente<br />
una accanto all’altra), i sostegni della vite,<br />
le pietre m<strong>il</strong>iari, i paracarri, le panchine, le fontane, gli<br />
abbeveratoi, i tubi di scarico dei servizi (ormai rarissimi<br />
da vedere), le cappelle dei caratteristici funghi su cui<br />
poggiano le case Walser, le macine, le stufe (caratteristica<br />
la “fornetta” formazzina), i “laveggi” (pentolame fatto<br />
di “laugera”, una roccia serpentinosa verde molto tenera),<br />
ecc.<br />
Ma anche in tempi più moderni, inizio del 1900, la<br />
pietra locale è stata massicciamente ut<strong>il</strong>izzata per grandi<br />
opere quali le dighe, sia come inerte per <strong>il</strong> calcestruzzo,<br />
sia per i riempimenti, sia per i rivestimenti, tuttora<br />
visib<strong>il</strong>i.<br />
Ha assunto la dignità quasi di opera d’arte nell’impiego<br />
come ornamento delle imponenti costruzioni connesse<br />
ai grandi impianti idroelettrici progettate dall’arch.<br />
Portaluppi: le centrali di Cadarese, Verampio e Crevoladossola<br />
sono solo alcuni degli esempi più notevoli<br />
e conosciuti.<br />
Anche se con l’andar del tempo la pietra ha assunto<br />
sempre più un ruolo ornamentale piuttosto che di materia<br />
prima da costruzione, <strong>il</strong> suo continuo impiego<br />
ha dato luogo ad un patrimonio che va ben al di là del<br />
semplice patrimonio immob<strong>il</strong>iare: è diventato un patrimonio<br />
culturale di vastità tale da pretendere di essere<br />
conservato nel migliore dei modi. E <strong>il</strong> modo migliore<br />
di conservarlo è senza dubbio, innanzitutto, poter<br />
disporre delle stesse materie prime con le quali è stato<br />
realizzato.<br />
Le pietre del VCO nel mondo 1<br />
Le pietre del VCO non si fermano nella nostra Provincia.<br />
Il marmo di Candoglia è scelto nel 1387 da Gian<br />
Galeazzo Visconti, duca di M<strong>il</strong>ano, per la costruzione<br />
del Duomo. Ancora oggi si scava per fornire <strong>il</strong> materiale<br />
per la sostituzione o <strong>il</strong> restauro delle parti rotte o degra-<br />
319
date. I blocchi di marmo viaggiavano su barconi lungo<br />
<strong>il</strong> Toce (allora navigab<strong>il</strong>e), <strong>il</strong> lago Maggiore, <strong>il</strong> Ticino<br />
e <strong>il</strong> Naviglio, attraversando una serie di territori dove<br />
ogni merce pagava una tassa di passaggio, <strong>il</strong> dazio. Non<br />
così per i blocchi di marmo, in quanto questi, destinati<br />
“ad usum Fabricae” (ovvero occorrenti alla Fabbrica del<br />
Duomo), godevano di totale esenzione. Al fine di individuare<br />
subito tale materiale su di esso veniva apposta<br />
ben visib<strong>il</strong>e la scritta AUF. Tant’è che nella parlata lombarda<br />
- e anche in italiano, benché ormai poco usato –<br />
<strong>il</strong> termine “auf” significa gratis, senza spese.<br />
Nello stesso secolo, verso <strong>il</strong> 1400 (ma pare che tale materiale<br />
fosse ut<strong>il</strong>izzato già in epoca romana), la cava di<br />
marmo di Crevola (una dolomia cristallina) detta “Baulina”<br />
vede come uno dei proprietari la Veneranda Fabbriceria<br />
della Chiesa Maggiore di Pavia, come risulta da<br />
atto pubblico del notaio Pavesi di quella città. Nel 1662<br />
<strong>il</strong> marmo di Crevola è ut<strong>il</strong>izzato per la costruzione del<br />
Duomo di Pavia e nel primo decennio dell’800 vengono<br />
ricavate le 8 colonne monolitiche di 10,78 m di altezza<br />
e 1,27 m di diametro ed i monoliti per le quattro<br />
statue simboliche dei fiumi Po, Ticino, Mincio e Tagliamento<br />
che costituiscono l’Arco della Pace a M<strong>il</strong>ano.<br />
Con questo materiale sono state realizzate le gradinate<br />
elicoidali del Monumento ai Caduti in guerra a M<strong>il</strong>ano,<br />
le colonne esterne del Planetario di M<strong>il</strong>ano, le parti<br />
marmoree della chiesa parrocchiale di Castellanza e del<br />
Duomo di Monza, <strong>il</strong> portico bramantesco di S. Ambrogio<br />
in M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> palazzo “Zentrum” a Zurigo.<br />
In M<strong>il</strong>ano si r<strong>il</strong>eva un ut<strong>il</strong>izzo notevole delle pietre del<br />
VCO, sia di quelle meno pregiate (serizzo e beola) sia di<br />
quelle più pregiate (marmi e graniti). Il serizzo si ritrova<br />
a Porta Nuova, Porta Ticinese, nella costruzione di casa<br />
Borromeo, nella parte muraria strutturale del Duomo,<br />
nelle torri del castello Sforzesco. Di granito rosa di Baveno<br />
sono le colonne del cort<strong>il</strong>e di Brera, quelle del Senato,<br />
quelle nel cort<strong>il</strong>e del Seminario di corso Venezia,<br />
quelle dell’Ospedale Maggiore (ora sede dell’Università<br />
Statale). Il rosa di Baveno è visib<strong>il</strong>e nella parte esterna<br />
del Palazzo Serbelloni e nella chiesa di S. Carlo, dove<br />
si ritrovano 36 colonne di questo materiale, e come elemento<br />
strutturale di facciata al Teatro alla Scala. Si è<br />
fatto, invece, uso del granito bianco Montorfano nella<br />
chiesa di S. Angelo e nei chiostri del convento di S. Vit-<br />
320<br />
tore, oggi Museo della Scienza e della Tecnica.<br />
A Roma sono di granito rosa di Baveno alcune colonne<br />
esterne della Bas<strong>il</strong>ica Lateranense.<br />
Di granito bianco Montorfano sono le ottocentesche<br />
colonne (più di duecento) che Carlo Felice, Re di Sardegna,<br />
donò per la ricostruzione della romana Bas<strong>il</strong>ica<br />
di San Paolo fuori le mura - seconda solo a quella di San<br />
Pietro – ridotta in rovine da un incendio: 84 le colonne<br />
esterne e 136 le colonne del quadriportico antistante<br />
la bas<strong>il</strong>ica. Le colonne più grandi misurano 1,5 m di<br />
diametro e 14 m d’altezza, pesanti ben 60 tonnellate. Il<br />
trasporto avveniva via acqua: dalla cava fino ad Ostia e<br />
quindi a Roma. Ci vollero più di quattro anni per completare<br />
la fornitura. Si dice che una delle colonne arrivate<br />
a Roma fu contestata dai tecnici che dirigevano i<br />
lavori di ricostruzione e <strong>il</strong> ragioniere del Re si rifiutò di<br />
pagarla. Il fornitore se la fece rimandare e la colonna fa<br />
bella mostra di sé sul molo del porto di Intra.<br />
A Torino i porticati stradali più belli sono contrassegnati<br />
dalle pietre del VCO: corso Vinzaglio, via Pietro Micca,<br />
via Roma (dove troviamo colonne di serizzo, granito<br />
rosa e bianco), corso Vittorio Emanuele II, via Sacchi.<br />
A Pompei le colonne interne del Santuario della Madonna<br />
sono in granito bianco Montorfano.<br />
Da tempo immemorab<strong>il</strong>e con <strong>il</strong> granito vengono costruite<br />
le macine, ut<strong>il</strong>izzate per molteplici usi. Quando<br />
non c’erano le macchine utens<strong>il</strong>i, gli specialisti delle<br />
mole partivano da un blocco grezzo e in quattro giorni<br />
tiravano fuori un pezzo da un metro e mezzo di diametro,<br />
spesso mezzo metro, dotato del foro centrale nel<br />
quale inf<strong>il</strong>are <strong>il</strong> perno: una cosina che pesava un paio<br />
di tonnellate! Dalla Toscana in giù si ordinavano mole<br />
da frantoio per l’olio d’oliva, con diametri sempre superiori<br />
al metro, che lavoravano in coppia su basamenti,<br />
sempre di granito, da due metri e mezzo. Dalla Liguria,<br />
invece, dove le olive sono più piccole, si richiedevano<br />
mole dalla forma particolare, più spesse attorno al<br />
perno e più sott<strong>il</strong>i verso la circonferenza esterna, con <strong>il</strong><br />
foro del perno a tronco di cono. Le richieste provenivano<br />
anche dall’estero, da Svizzera, Belgio e Ingh<strong>il</strong>terra, e<br />
a seconda del prodotto da macinare c’era la appropriata<br />
forma della macina (mole per <strong>il</strong> cacao, per <strong>il</strong> mais, per<br />
l’industria orafa, ecc.). Tali manufatti vengono tuttora<br />
prodotti, naturalmente a macchina, in quanto le maci-
ne di granito danno, nonostante la tecnologia, i migliori<br />
risultati nell’industria molitoria.<br />
Una certa ditta Remuzzi di Bergamo, poco prima del<br />
1940, fu incaricata di procurare ben 60.000 metri cubi<br />
di granito rosa per la Cancelleria del terzo Reich. La Remuzzi<br />
subappaltò sia l’escavazione sia la lavorazione del<br />
granito ad alcune ditte locali, le quali dovevano produrre<br />
parallelepipedi di 2-3 mc con le facce perfettamente<br />
levigate. Le forniture si protrassero fino al settembre del<br />
1943, data in cui la Germania non fu più alleata dell’<strong>It</strong>alia<br />
e si rivolse ad altri fornitori. Molti pezzi giacevano<br />
ancora nel 1945 sul lungolago tra Baveno e Feriolo<br />
di cui si perse ogni traccia.<br />
Ai giorni nostri non mancano esempi eclatanti di impiego<br />
delle pietre nostrane. Il serizzo ha trovato largo<br />
impiego nelle metropolitane di M<strong>il</strong>ano, Bruxelles e Singapore<br />
e negli aeroporti di Malpensa e Francoforte. Per<br />
<strong>il</strong> pavimento dell’aeroporto di Amsterdam è stata impiegata<br />
la beola bianca. Il celebre monumento a Cristoforo<br />
Colombo a New York e <strong>il</strong> Palazzo Reale di Bangkok<br />
sono in granito rosa di Baveno mentre le facciate<br />
di alcuni grattacieli di Manhattan sono in serizzo.<br />
Con 27 tonnellate di marmo di Crevola (del tipo commercialmente<br />
denominato “Palissandro”) è stata realizzata<br />
una importante scultura per l’UNICEF intitolata<br />
“L’Uovo della Pace”.<br />
Caratterizzazione geologica dei giacimenti 2<br />
La geologia del territorio della provincia del VCO, nel<br />
quadro geologico-strutturale delle Alpi Occidentali, è<br />
un argomento troppo vasto e complesso perché se ne<br />
possa fornire qui una visione soddisfacente. Ci si limiterà<br />
pertanto a fornire alcuni elementi, inevitab<strong>il</strong>mente<br />
lacunosi e molto sommari, che hanno lo scopo di inquadrare<br />
in modo semplificato <strong>il</strong> significato e la pertinenza<br />
geologico-strutturale dei bacini estrattivi e le essenziali<br />
caratteristiche geolitologiche e strutturali dei<br />
materiali lapidei estratti.<br />
Le rocce e le complesse architetture della catena alpina<br />
occidentale, osservate lungo la sezione strutturale Ossola-Verbano,<br />
consentono di ricostruire i principali processi<br />
geologici avvenuti nella regione alpina in centinaia<br />
di m<strong>il</strong>ioni di anni, dall’orogenesi 3 paleozoica allo sv<strong>il</strong>uppo<br />
delle Alpi, iniziato con l’apertura dell’oceano me-<br />
sozoico (Tetide) ed evoluto con la sua progressiva chiusura<br />
fino alla collisione, ancora in atto, tra <strong>il</strong> continente<br />
europeo e quello africano. Non a caso la regione ossolana<br />
ha svolto un ruolo decisivo, tra la fine del ‘800<br />
e i primi del ‘900, nello sv<strong>il</strong>uppo del pensiero geologico<br />
moderno e nella definitiva affermazione delle teorie<br />
mob<strong>il</strong>iste 4 : qui, oltre che nell’intero settore alpino occidentale,<br />
furono infatti ideati i primi modelli di una catena<br />
a falde di ricoprimento e furono poste le basi metodologiche<br />
per l’analisi cinematica e le ricostruzioni<br />
degli ambienti paleogeografici. In tempi più recenti <strong>il</strong><br />
territorio del VCO ha rappresentato <strong>il</strong> laboratorio naturale<br />
per gli ulteriori progressi delle Scienze della Terra,<br />
dalle applicazioni alla catena alpina della tettonica delle<br />
placche 1 , allo sv<strong>il</strong>uppo di più avanzate ricostruzioni<br />
cinematiche e geodinamiche basate sull’interpretazione<br />
integrata dei nuovi dati geologico-geofisici, petrologici,<br />
geochimici e chimico-fisici.<br />
Non è semplice parlare della geologia della zona in esame<br />
vista la complessità della sovrapposizione dei processi<br />
nel tempo.<br />
A partire da circa 400 m<strong>il</strong>ioni di anni fa (dal Devoniano,<br />
un periodo dell’era Paleozoica) inizia la storia ercinica<br />
(cfr. tabella) in senso stretto (o varisica), con l’orogenesi<br />
collisionale, tettonica a falde, ispessimento crostale<br />
e metamorfismo 5 regionale a più fasi, passando da<br />
condizioni iniziali di pressione relativamente elevata<br />
(relitti cianite 6 ) verso condizioni di bassa pressione (andalusite<br />
7 ).<br />
Nel tardo Paleozoico (da circa 300 a 250 m<strong>il</strong>ioni di<br />
anni fa) si registra una complessa attività magmatica,<br />
con manifestazioni vulcaniche, subvulcaniche e plutoniche<br />
8 . Nel complesso esse si protraggono dal Carbonifero<br />
superiore al Permiano o sono di esclusiva età<br />
permiana e ad affinità calcalcalina 9 ; quest’ultimo è <strong>il</strong><br />
caso dei Graniti di Baveno-Mottarone-Montorfano, o<br />
Graniti dei Laghi, incassati in un basamento cristallino<br />
preesistente (Scisti dei Laghi), metamorfosato e strutturato<br />
durante <strong>il</strong> ciclo ercinico. Essi, così come gli scisti 10<br />
in cui sono incassati, non sono stati più ripresi dal metamorfismo<br />
e dalla deformazione dutt<strong>il</strong>e successivi, occupando,<br />
durante lo sv<strong>il</strong>uppo degli elevati gradienti termo-deformativi<br />
alpini, un livello strutturale superficiale<br />
e una posizione non assiale e non metamorfica nel-<br />
321
l’ambito della catena alpina.<br />
Il sollevamento e l’erosione finale della catena paleozoica<br />
producono, a partire dal Carbonifero superiore, una<br />
diffusa superficie di erosione. La successiva distensione<br />
crostale permo-mesozoica e l’impostazione di un margine<br />
continentale divergente hanno condotto all’apertura<br />
dell’oceano ligure-piemontese (paleogeografia giurassica),<br />
sino ad arrivare alla formazione della catena alpina<br />
attuale come prodotto dell’evoluzione – nel periodo<br />
compreso dal Cretaceo (130 m<strong>il</strong>ioni di anni fa) all’era<br />
nostra - del margine convergente compressivo Europa/microplacca<br />
Adria 11 .<br />
Proprio nella zona aostana e piemontese si raggiunsero,<br />
dal Cretaceo all’Oligocene Inferiore (30 m<strong>il</strong>ioni di<br />
anni fa), durante l’acme della fase orogenetica alpina, le<br />
massime temperature e pressioni le quali, oltre a provocare<br />
la trasformazione metamorfica di rocce preesistenti,<br />
hanno generato deformazioni dei litotipi 12 , rovesciamenti<br />
e ripiegamenti dei materiali esistenti, nonché la<br />
messa in posto di una serie di plutoni 13 .<br />
Dal Cretaceo l’evoluzione dell’orogene alpino nel settore<br />
occidentale è quella che ha condotto alla struttura<br />
deformativa e al sollevamento osservab<strong>il</strong>i attualmente.<br />
II risultato di questa evoluzione e degli avvenimenti ad<br />
essa connessi comporta una grande difficoltà di lettura<br />
della situazione geologica esistente, che, ai fini di un<br />
inquadramento dei bacini estrattivi lapidei, può essere<br />
semplificata suddividendo la zona analizzata in due domini<br />
strutturali principali che da sud verso nord sono:<br />
1) La zona del Basamento Cristallino Sudalpino, o Serie<br />
dei Laghi, caratterizzata da metasedimenti 14 di crosta<br />
superiore interessati da intrusioni calcalcaline 15 acido-intermedie<br />
tardo-varisiche di età permiana a chimismo<br />
16 variab<strong>il</strong>e da granodioritico a granitico (Graniti<br />
dei Laghi della bassa Ossola, del Verbano e del Cusio);<br />
verso nord, ancora nell’ambito dell’orogene Sudalpino<br />
SE-vergente 17 , affiora una sezione di crosta profonda<br />
della Zona Ivrea-Verbano (bassa Ossola, da Candoglia<br />
a Vogogna), in contatto con la Serie dei Laghi attraverso<br />
la Linea del Pogallo (presso Mergozzo); tale zona è<br />
costituita dal cosiddetto Complesso Kinzigitico (metasedimenti<br />
ad alto grado metamorfico) e da abbondanti<br />
rocce basiche con locali peridotiti di mantello.<br />
2) La zona dell’Edificio Alpino a Falde o Sistema Oro-<br />
322<br />
genico a Vergenza Europea, esposto, nel settore mediaalta<br />
Ossola, ai livelli strutturali più profondi e radicali<br />
di quelli della Valsesia e della val d’Aosta e con livello<br />
strutturale via via più profondo da sud verso nord.<br />
Come già detto, tale zona è separata verso sud dal Sudalpino<br />
attraverso la Linea del Canavese (Insubrica), un<br />
sistema di faglie 18 regionali che attraversano la val d’Ossola<br />
all’altezza dell’allineamento Vogogna-Loro. In sezione<br />
verticale, dall’alto verso <strong>il</strong> basso della struttura,<br />
lungo <strong>il</strong> versante sinistro della val d’Ossola ritroviamo:<br />
da Vogogna a Cardezza, le unità Austroalpine 19 di pertinenza<br />
continentale africana (unità Sesia-Lanzo); da<br />
Cardezza alla località Quarata (poco a nord di Beura)<br />
<strong>il</strong> dominio Pennidico 20 Superiore (falda Monte Rosa) e<br />
<strong>il</strong> Pennidico Medio (unità Camughera-Moncucco-Orselina),<br />
separati da un livello assottigliato delle Ofioliti<br />
mesozoiche di Antrona, rocce di fondo oceanico; a<br />
nord di Domodossola <strong>il</strong> Pennidico Inferiore, costituito,<br />
a sua volta, dall’alto verso <strong>il</strong> basso, dalle falde gneissiche<br />
21 Monte Leone, Lebendun, Antigorio sovrascorse<br />
sulla “cupola di Verampio” e separate, le une dalle altre,<br />
dalle “sinclinali 22 mesozoiche”, così definite da Argand,<br />
costituite da metasedimenti; la cupola di Verampio, affiorante<br />
poco a nord di Crodo, è l’elemento strutturale<br />
più profondo di tutta la catena alpina. A NW di Domodossola,<br />
la falda Monte Leone del sistema Pennidico<br />
Inferiore viene a contatto verso sud con la zona Camughera-Moncucco-Orselina<br />
(Pennidico Medio) attraverso<br />
<strong>il</strong> sistema di faglie dutt<strong>il</strong>i/frag<strong>il</strong>i della Linea del Sempione,<br />
la quale prosegue verso est nella linea delle Centovalli.<br />
Il suo movimento distensivo recente ha fac<strong>il</strong>itato<br />
la denudazione tettonica della zona Pennidica Inferiore<br />
in fase di sollevamento. Le falde pennidico-inferiori<br />
sono costituite da prevalenti ortogneiss 23 granitici<br />
(protoliti 24 tardo paleozoici a metamorfismo alpino)<br />
e sono caratterizzate da grandi pieghe isoclinali 25 , a tratti<br />
coricate, formate dopo la fase di accavallamento eoalpino<br />
26 .<br />
Questa complessa situazione macroscopica si può tradurre<br />
di fatto nella suddivisione del comparto estrattivo<br />
in tre aree: l’area meridionale dei graniti e dei marmi<br />
paleozoici (Sudalpino), l’area centrale delle beole (Pennidico<br />
Medio-Inferiore) e l’area settentrionale del serizzo<br />
e dei marmi mesozoici (Pennidico Inferiore).
ERE PERIODI EVENTI FONDAMENTALI OROGENESI<br />
QUATER<br />
NARIO<br />
C<br />
E<br />
N<br />
O<br />
Z<br />
O<br />
I<br />
C<br />
O<br />
M<br />
E<br />
S<br />
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Z<br />
O<br />
I<br />
C<br />
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P<br />
A<br />
L<br />
E<br />
O<br />
Z<br />
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I<br />
C<br />
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P<br />
R<br />
E<br />
C<br />
A<br />
M<br />
B<br />
R<br />
I<br />
A<br />
N<br />
O<br />
OLOCENE<br />
PLEISTOCENE<br />
PLIOCENE<br />
MIOCENE<br />
OLIGOCENE<br />
EOCENE<br />
PALEOCENE<br />
CRETACEO<br />
GIURASSICO<br />
TRIASSICO<br />
PERMIANO<br />
CARBONIFERO<br />
DEVONIANO<br />
SILURIANO<br />
ORDOVICIANO<br />
CAMBRIANO<br />
PROTEROZOICO<br />
ARCHEOZOICO<br />
Flora e fauna moderne<br />
Grandi glaciazioni - Sv<strong>il</strong>uppo e diffusione dell’uomo<br />
Evoluzione degli ominidi<br />
Sollevamento delle Ande<br />
Inizia <strong>il</strong> sollevamento di Alpi e Appennini<br />
Foreste di tipo moderno<br />
Inizia <strong>il</strong> sollevamento della Himalaya<br />
Sv<strong>il</strong>uppo dei mammiferi<br />
Si forma l’Atlantico settentrionale<br />
Separazione della Australia dall’Antartide<br />
Diffusione delle Angiosperme<br />
Alla fine del periodo si estinguono i dinosauri, le ammoniti<br />
e numerose altre specie<br />
Culmine dell’evoluzione dei rett<strong>il</strong>i<br />
Compaiono i primi uccelli<br />
La Pangea inizia a fratturarsi<br />
Si forma l’Atlantico meridionale<br />
Comparsa dei primi mammiferi<br />
Prime conifere<br />
Sv<strong>il</strong>uppo dei rett<strong>il</strong>i e prime ammoniti<br />
I continenti sono riuniti in un solo blocco, la Pangea<br />
Grandi foreste, sv<strong>il</strong>uppo degli insetti alati, primi rett<strong>il</strong>i<br />
Sv<strong>il</strong>uppo dei pesci - Comparsa degli anfibi - Diffusione delle felci<br />
Primi animali in grado di respirare aria<br />
Primi vertebrati e pesci<br />
Diffusione di invertebrati marini forniti di guscio<br />
L’ossigeno contenuto nell’atmosfera supera <strong>il</strong> 3%<br />
Rapida evoluzione organica – Grande glaciazione “eocambriana”<br />
Evoluzione degli invertebrati - Eucarioti macroscopici<br />
Prime forme di vita pluricellulari (sv<strong>il</strong>uppo della riproduzione sessuata)<br />
L’ossigeno nell’atmosfera raggiunge l’1% della sua concentrazione attuale<br />
Comparsa di cellule eucariote - Diversificazione dei procarioti<br />
Produzione di ossigeno fotosintetico e formazione dello strato di ozono<br />
Orogenesi alpina<br />
Orogenesi ercinica<br />
Orogenesi caledoniana<br />
Le maggiori formazioni ferrifere a bande - I più antichi episodi glaciali conosciuti<br />
Sv<strong>il</strong>uppo di cellule procariote aerobie<br />
Sv<strong>il</strong>uppo di ossigeno libero nell’atmosfera – Indizi più antichi di attività fotosintetica<br />
Prime stomatoliti<br />
Sv<strong>il</strong>uppo di cellule procariote anaerobie<br />
Prime rocce sedimentarie<br />
Prime microstrutture di probab<strong>il</strong>e origine organica<br />
Sv<strong>il</strong>uppo degli oceani - Prime rocce magmatiche note<br />
Consolidamento della prima crosta terrestre<br />
MILIONI<br />
DI ANNI<br />
1,8<br />
65<br />
230<br />
570<br />
1.000<br />
2.000<br />
2.600<br />
3.000<br />
3.500<br />
4.000<br />
FORMAZIONE DELLA TERRA 4.600<br />
323
Nell’area meridionale, tra <strong>il</strong> Cusio, <strong>il</strong> Verbano e l’estremità<br />
sud-orientale dell’Ossola, sono coltivati i plutoni<br />
di Mottarone-Baveno e Montorfano, corpi granitoidi<br />
calcalcalini a struttura generalmente equigranulare,<br />
caratterizzati da grana media o medio-fine. Essi, unitamente<br />
agli altri corpi granitici dell’area, appartengono<br />
ad un batolite 27 composito di età permiana (275÷283<br />
m<strong>il</strong>ioni di anni fa), allungato in direzione NE-SW ed<br />
esposto per circa 30 kmq da Biella al Lago Maggiore.<br />
Essi sono intrusi, con contatto netto e discordante, negli<br />
Scisti dei Laghi, l’unità di basamento paleozoico che<br />
si estende sino alle linee Cossato-Mergozzo-Brissago e<br />
del Pogallo.<br />
Poco a nord di tale zona si estraggono i marmi calcitici<br />
di Candoglia costituiti da lenti e bancate di limitato<br />
spessore, variab<strong>il</strong>e tra gli 8 ed i 30 metri, e ad andamento<br />
trasversale rispetto l’asse vallivo; sono formati da sedimenti<br />
metamorfosati di età paleozoica intercalati ai<br />
paragneiss 28 del Complesso Kinzigitico Ivrea-Verbano.<br />
Dalla media val d’Ossola fino a Crevoladossola provengono<br />
gli ortogneiss più o meno compatti e più o meno<br />
anfibolici ut<strong>il</strong>izzati per rivestimenti e coperture (beole).<br />
Vengono estratti dalla Falda Monte Rosa (Pennidico<br />
Superiore), nel territorio dei comuni di Beura e V<strong>il</strong>ladossola,<br />
e dalle falde Camughera e Orselina-Moncucco<br />
e Monte Leone (Pennidico Medio-Inferiore) nei comuni<br />
di Trontano, Crevola e Montecrestese.<br />
L’area più settentrionale è invece quella caratterizzata<br />
dalla presenza di falde di ricoprimento pennidico-inferiori<br />
che definiscono la geologia strutturale alpina dell’Ossola<br />
Superiore. Il serizzo, ortogneiss biotitico localmente<br />
ad anfiboli, proviene dalla struttura denominata<br />
Falda Ortogneissica di Antigorio a composizione granodioritica-granitica<br />
e avente spessore di 1.200-1.300<br />
metri. II materiale ha colore grigio più o meno chiaro,<br />
foliato con locali presenze di minerali feldspatici di notevoli<br />
dimensioni. Può essere compatto, nel qual caso<br />
viene coltivato in blocchi e successivamente segato in<br />
lastre, oppure, se caratterizzato da elevata fiss<strong>il</strong>ità 29 , può<br />
essere lavorato a spacco.<br />
Intercalati tra le falde ortogneissiche di Antigorio (strutturalmente<br />
sottostante) e del Monte Leone (sovrastante),<br />
che rappresentano lembi deformati e imp<strong>il</strong>ati di basamento<br />
paleozoico, si r<strong>il</strong>evano e si estraggono, poco a<br />
324<br />
nord di Domodossola, i marmi dolomitici di Crevoladossola,<br />
appartenenti ad un insieme di copertura costituito<br />
da sedimenti calcarei e calcareo-s<strong>il</strong>icei metamorfosati<br />
in età alpina e risalenti al mesozoico.<br />
Le cave di pietra ornamentale<br />
Le cave di pietra ornamentale si ritrovano ubicate per<br />
la maggior parte lungo la direttrice nord-sud che segue,<br />
grosso modo, l’asta del fiume Toce.<br />
In numero molto minore si trovano poi lungo la valle<br />
del torrente Devero e Diveria. Qualche cava singola è<br />
ubicata in altre valli.<br />
Dal punto di vista dei litotipi, si hanno:<br />
• a nord gli gneiss massicci (serizzi), le cui cave sono<br />
concentrate per lo più nelle valli Antigorio, Formazza,<br />
Devero e Divedro;<br />
• nella parte centrale del territorio provinciale (da Crevoladossola<br />
a Vogogna) gli gneiss tabulari (beole),<br />
con notevoli concentrazioni di cave a Trontano e<br />
Beura;<br />
• ancora nella parte centrale e a sud i marmi (dolomia<br />
a Crevoladossola; marmo grigio Boden e rosa Valtoce<br />
a Ornavasso);<br />
• a sud, nel Verbano (Mergozzo, Baveno), i graniti<br />
(rosa, bianco, verde).<br />
Si discosta dal panorama tracciato una cava di gneiss<br />
(serizzo Monte Rosa) ubicata, unica, in valle Anzasca.<br />
Le cave attualmente in attività (anno 2004) sono 81<br />
mentre 34 sono inattive.<br />
Pur essendo in numero notevole (115 in totale), <strong>il</strong> territorio<br />
effettivamente occupato da questa attività (zona<br />
di escavazione vera e propria, discarica e piazzali di servizio)<br />
è di 2.401.806 mq.<br />
Paragonandolo alla estensione totale del territorio provinciale,<br />
che è di 2.262 Kmq (2.262 x 106 mq), esso rappresenta<br />
solo l’1,1 per m<strong>il</strong>le o, se si vuole, lo 0,11%!<br />
Anche togliendo tutta la superficie di territorio sopra i<br />
1.600 m di quota, che si può definire montana a tutti<br />
gli effetti e in cui diventa problematico, per vari aspetti,<br />
aprire una cava, restano 1.250 Kmq, a confronto dei<br />
quali l’area autorizzata per le cave rappresenta ancora<br />
solamente l’1,9 per m<strong>il</strong>le (0,19%).<br />
In termini di metri cubi estraib<strong>il</strong>i (cioè i volumi che<br />
possono essere estratti in funzione di autorizzazioni vi-
genti), nel 2004 si può stimare una quantità totale di<br />
899.000 mc così suddivisa:<br />
1) 670.000 mc di serizzo;<br />
2) 132.000 mc di beola;<br />
3) 36.000 mc di granito bianco;<br />
4) 5.000 mc di granito rosa;<br />
5) 56.000 mc di marmo.<br />
Naturalmente tali quantità sono destinate a variare con<br />
<strong>il</strong> mutare delle condizioni autorizzative.<br />
Caratteristiche delle cave del VCO<br />
Nella Provincia del VCO le cave sono praticamente tutte<br />
di pietra ornamentale. Questa circostanza già fa intuire<br />
che le differenze tra cava e cava non possono essere<br />
sostanziali. Ed in effetti le differenze più evidenti si<br />
riscontrano per lo più nella loro ubicazione che non per<br />
altre peculiarità (le diverse tecniche di estrazione, che<br />
pure sono caratteristiche dei litotipi estratti, non si discostano<br />
in effetti così tanto l’una dall’altra).<br />
Ormai in tutte le cave la tecnica di coltivazione abbina<br />
l’estrazione con l’esplosivo e con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o diamantato<br />
30 . Le doti di quest’ultimo vengono sempre più esaltate,<br />
soprattutto laddove si impone s<strong>il</strong>enziosità e scarsa<br />
emissione di polveri, anche in considerazione degli<br />
enormi progressi che i costruttori hanno fatto nel fabbricare<br />
perline adatte ai materiali s<strong>il</strong>icei (si ricorda che<br />
questa tecnologia è derivata dalla cave di marmo, materiale<br />
molto più tenero dello gneiss e del granito).<br />
Sostanzialmente le cave si possono suddividere in: cave<br />
a fossa, a mezza costa, di culmine, pedemontane.<br />
Le cave a fossa<br />
Si definisce cava a fossa quell’unità estrattiva dove <strong>il</strong><br />
materiale viene scavato dall’alto verso <strong>il</strong> basso, abbassando<br />
conseguentemente <strong>il</strong> tetto del giacimento.<br />
Si presentano come trincee, contornate su tre lati da<br />
pareti e si ritrovano usualmente nella coltivazione della<br />
beola (cave del Croppo di Trontano, alcune cave del bacino<br />
di Beura, cava Favalle a Crevoladossola).<br />
Presentano <strong>il</strong> vantaggio di poter lavorare agevolmente<br />
su piani orizzontali e verticali nonché fac<strong>il</strong>itare gli interventi<br />
di recupero ambientale; per contro, si possono<br />
avere spazi di manovra limitati e occorre una attenta e<br />
periodica perlustrazione delle pareti circostanti.<br />
Attività estrattiva<br />
Le cave a mezza costa<br />
La maggioranza delle cave è a mezza costa, cioè inserita<br />
ad una certa quota nel versante. E’ <strong>il</strong> caso ricorrente delle<br />
cave di serizzo, nelle quali si sfrutta la pendenza naturale<br />
della pioda 31 per far scivolare sul piazzale le bancate<br />
32 staccate dall’ammasso roccioso. Spesso presentano<br />
<strong>il</strong> vantaggio di avere due lati liberi, una pendenza della<br />
pioda che aiuta lo stacco delle bancate, un ampio piazzale<br />
di servizio. Di contro, le operazioni di perforazione e<br />
taglio possono essere malagevoli e spesso, per rispettare<br />
le geometrie di coltivazione, si creano fronti in aggetto<br />
che devono successivamente essere prof<strong>il</strong>ati. Le operazioni<br />
di recupero ambientale al di fuori dei piazzali possono<br />
essere difficoltose. Anche la maggioranza delle cave<br />
di granito sono a mezza costa (cave del Montorfano). A<br />
differenza delle cave di serizzo, però, la coltivazione avviene<br />
su piani orizzontali e verticali, non avendo <strong>il</strong> granito<br />
piani di pioda e trincante. La coltivazione è quindi,<br />
normalmente, fac<strong>il</strong>itata ed i vantaggi sono evidenti.<br />
325
Le cave di culmine<br />
Si definiscono cave di culmine quelle poste alla sommità<br />
di r<strong>il</strong>ievi. Se ne riscontrano pochissime (cave di granito<br />
rosa del Monte Camoscio, un paio di cave di serizzo<br />
a Formazza).<br />
Sono sicuramente quelle nelle condizioni migliori di<br />
coltivazione, avendo ampi spazi di manovra, i lati liberi,<br />
assenza o quasi di pareti incombenti.<br />
Alla fac<strong>il</strong>ità di coltivazione si contrappone la grande visib<strong>il</strong>ità,<br />
con i relativi problemi di recupero ambientale.<br />
Le cave pedemontane<br />
Sono quelle che si trovano ubicate in corrispondenza<br />
del piede del versante.<br />
Si r<strong>il</strong>evano sia nella estrazione del serizzo (bacini di Crodo<br />
e Premia) che della beola (bacini di Beura e V<strong>il</strong>ladossola).<br />
Pur presentando i vantaggi e gli svantaggi caratteristici<br />
delle cave <strong>il</strong>lustrate ai paragrafi precedenti, a seconda<br />
della inclinazione della pioda, della stratificazione,<br />
ecc., presentano l’innegab<strong>il</strong>e vantaggio di essere più<br />
fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>i, fac<strong>il</strong>itando quindi anche i lavori<br />
di recupero ambientale. Per contro, possono essere più<br />
visib<strong>il</strong>i di quelle a fossa o a mezza costa.<br />
Le imprese estrattive 33<br />
Sebbene ci siano documenti che riportano che scalpellini<br />
bavenesi erano operativi sin dal 1460 – tale Giovanni<br />
Bartolomeo esercitava in quel di S. Pietro a Roma – e<br />
che da una lista del 3 Apr<strong>il</strong>e 1643 risulta che le due professioni<br />
di gran lunga prevalenti a Baveno erano quella<br />
di “cavagnaro” (cavatore) e “pichapreda” (scalpellino),<br />
<strong>il</strong> che dimostra la plurisecolare dedizione alla lavorazione<br />
della pietra locale, è necessario risalire almeno fino<br />
alla fine del ’700 per trovare tracce di vere e proprie imprese<br />
lapidee. Dal 1800, cominciano ad essere disponib<strong>il</strong>i<br />
documenti che parlano di cave sfruttate con criteri<br />
industriali, soprattutto per quanto riguarda i graniti,<br />
materiali più pregiati. Nel 1823 Giovanni Battista Galli<br />
affittò una cava di granito bianco dalla comunità bavenese<br />
e le ditte Adami e Croppi, che avevano rispettivamente<br />
una cava di “granito rosso”, risultano attive almeno<br />
dal 1836. Intorno a quegli anni lo sfruttamento<br />
cominciò a crescere e le ditte si moltiplicarono. Nel<br />
1865 risultano attive nell’Ossola 7 cave di beola con 35<br />
326<br />
operai cavatori e 200 scalpellini; tra Baveno e Mergozzo<br />
sono attive 4 cave di granito rosa con 24 cavatori e<br />
400 scalpellini e 6 cave di granito bianco con 50 cavatori<br />
e 600 scalpellini. Le cronache riportano che le suddette<br />
cave di granito sono in grado di fornire blocchi da<br />
20 a 50 mc e ogni anno si estraggono da 1.500 a 2.000<br />
mc di materiale.<br />
Nella seconda metà dell’ottocento diventa di uso corrente<br />
l’esplosivo, sebbene <strong>il</strong> suo ut<strong>il</strong>izzo per mine da parete<br />
risalga almeno al ’700.<br />
Le prime due grandi mine eseguite in cunicolo di cui<br />
si abbia notizia risalgono al 1863, a Montorfano, e al<br />
1865, a Baveno; sebbene non fossero state coronate da<br />
<strong>completo</strong> successo, servirono sicuramente per affinare<br />
la tecnica, tanto che la mina fatta br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 3 Dicembre<br />
1866 rispettò e anzi sorpassò le aspettative.<br />
La tecnica delle mine in galleria (atta a staccare, con<br />
<strong>il</strong> contributo dei piani di discontinuità naturali, grandi<br />
quantità di materiale che si abbattono sul versante<br />
sottostante) prese piede e “La Voce del Lago Maggiore”<br />
riporta, <strong>il</strong> 9 Luglio 1886, del br<strong>il</strong>lamento nella cava<br />
di granito del Della Casa di una mina effettuata con<br />
150 quintali di polvere nera, seguita, <strong>il</strong> 20.03.1887, da<br />
un’altra mina preparata con 70 quintali di polvere nera.<br />
Una mina analoga venne fatta br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 1° Novembre<br />
1890 nella cava di granito della ditta Pirovano e Adami<br />
fratelli. Un vero record deve essere stata quella fatta<br />
br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 17 Agosto 1886 dal Della Casa nella propria<br />
cava di granito: costata un lavoro durato due anni, alle<br />
tre pomeridiane furono innescate 17 tonnellate di polvere<br />
nera e dinamite! Lo spettacolo fu visto da una gran<br />
quantità di spettatori e riportato sui giornali.<br />
Sempre con tale tecnica, nella cava Seula (di granito)<br />
dei fratelli Adami nel 1909 fu fatta br<strong>il</strong>lare una mina<br />
che procurò ben 90.000 mc di granito, disseminato sul<br />
versante e successivamente (nel giro di qualche anno)<br />
lavorato.<br />
Anche la cave di gneiss proliferano, sebbene si abbiano<br />
minori testimonianze dirette, forse perché molti produttori<br />
di serizzo e beola lavoravano su commissione<br />
delle imprese che commerciavano <strong>il</strong> granito (e che avevano<br />
probab<strong>il</strong>mente una più vasta e organizzata rete<br />
commerciale), che comunque fornivano manufatti anche<br />
di altri materiali. Dal 1904 al 1909 (secondo “Eco-
nomia e sv<strong>il</strong>uppo industriale” di Umberto Chiaramonte)<br />
le cave di gneiss (serizzo e beola) avevano raggiunto<br />
<strong>il</strong> ragguardevole numero di 347 e la produzione era passata<br />
da 76.400 a 106.500 tonnellate, impiegando 1.875<br />
addetti (di cui 98 ragazzi). Significativo <strong>il</strong> fatto che nel<br />
1912, per ridurre gli effetti della concorrenza, le ditte<br />
sentirono <strong>il</strong> bisogno di costituire un consorzio, che, si<br />
riscontrò, fece sentire i suoi benefici effetti.<br />
Fin verso la fine dell’800 tutte le lavorazioni erano fatte<br />
a mano, raggiungendo comunque traguardi eccezionali,<br />
come dimostrano, per esempio, le 10 colonne di<br />
granito prodotte nel 1868 dalle cave Cardini-Pirovano,<br />
delle dimensioni di 10,40 m di altezza per un diametro<br />
di 1,30 m. Dall’inizio del ’900 ci fu un vero e proprio<br />
salto di qualità causato dall’inizio della meccanizzazione<br />
di alcuni processi di lavorazione. Fecero la loro prima<br />
comparsa torni e “resighe” (prime seghe per materiali<br />
lapidei, antesignane dei moderni telai), che sfruttavano<br />
la forza motrice dell’acqua e del vapore.<br />
Nel corso del XX secolo, soprattutto nella sua seconda<br />
parte, si sono affermate tutte le maggiori imprese estrattive<br />
tuttora in attività.<br />
Inevitab<strong>il</strong>mente la meccanizzazione, sia in cava, unita a<br />
tecniche di coltivazione innovative, che nei laboratori<br />
ha ridotto di molto la manodopera impiegata, pur aumentando<br />
incredib<strong>il</strong>mente le produzioni.<br />
Nelle cave la tecnica delle mine in galleria è stata soppiantata<br />
a favore di interventi molto meno dirompenti<br />
che salvaguardano <strong>il</strong> giacimento; oggi all’esplosivo -<br />
che viene ut<strong>il</strong>izzato con molta parsimonia, si pensi che<br />
usualmente non sono necessari più di 25-60 grammi di<br />
esplosivo per metro cubo di banco staccato, a seconda<br />
della giacitura, delle geometrie e dei volumi in gioco –<br />
è affiancata la tecnica del taglio al monte con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o diamantato.<br />
I laboratori sono dotati di macchine all’avanguardia<br />
per la segagione dei blocchi (i telai raggiungono<br />
ormai i 4 m di larghezza, che permettono di segare anche<br />
tre blocchi appaiati in 48 ore); hanno frese in grado<br />
di tagliare in qualsiasi piano; le lucidatrici lucidano<br />
i pacchi di lastre, in modo completamente automatico,<br />
appena uscite dai telai; possiedono macchine a controllo<br />
numerico in grado di riprodurre qualsiasi disegno.<br />
La Provincia del VCO copre, con le sue 300.000 tonnellate<br />
di prodotti commerciati, circa <strong>il</strong> 60% del quan-<br />
titativo di pietre ornamentali di tutto <strong>il</strong> Piemonte. Se si<br />
pensa che <strong>il</strong> Piemonte è quotato come produttore del 1%<br />
della produzione mondiale, la nostra Provincia si attesta<br />
sicuramente come una delle più importanti in <strong>It</strong>alia.<br />
Sono 73 le aziende di estrazione, che occupano direttamente<br />
circa 300 addetti (tra personale di cava e impiegatizio),<br />
e una cinquantina le aziende che si occupano<br />
della lavorazione dei materiali estratti, nelle quali sono<br />
impiegati dai 350 ai 450 addetti.<br />
Se a ciò si aggiunge l’occupazione indotta (addetti alle<br />
officine, alla fornitura di macchine specialistiche e movimento<br />
materiali, alla fornitura di esplosivo e materiale<br />
di consumo, trasportatori, ecc.) si arriva con fac<strong>il</strong>ità a<br />
parlare di almeno 1.000 addetti nel settore lapideo.<br />
Tali dati contribuiscono egregiamente a far sì che l’<strong>It</strong>alia<br />
mantenga la leadership mondiale di Paese produttore<br />
e trasformatore della pietra e giustificano <strong>il</strong> dovere di<br />
mantenere e incentivare questa attività, che va peraltro<br />
gestita in maniera compatib<strong>il</strong>e con l’ambiente di alto<br />
pregio proprio del VCO.<br />
E’ anche doveroso evidenziare l’ab<strong>il</strong>ità raggiunta dalle<br />
imprese nella escavazione. Tutti i visitatori, addetti ai lavori<br />
e non, restano meravigliati dalla perizia con la quale<br />
i nostri cavatori riescono ad estrarre in maniera ordinata<br />
e precisa la pietra in luoghi e situazioni oggettivamente<br />
molto diffic<strong>il</strong>i (cave con piode molto inclinate<br />
o abbarbicate su pareti vertiginose nelle quali sono<br />
pure stati installati gli immancab<strong>il</strong>i derrick 34 ). Ciò ha<br />
fatto sì che siano stati chiamati in diverse parti del mondo<br />
(Spagna, Portogallo, Bras<strong>il</strong>e, Sudafrica, India, Corea,<br />
Russia, Cina, ecc.) a valutare i giacimenti e ad impostare<br />
le coltivazioni. Alcune ditte hanno aperto e coltivano<br />
tuttora cave di materiali pregiati in Canada, Sudafrica,<br />
Bras<strong>il</strong>e.<br />
Sull’indotto, invece, si deve evidenziare che imprenditori<br />
locali (ad esempio le Officine Meccaniche Marini<br />
di V<strong>il</strong>ladossola) hanno avuto un ruolo di primo piano<br />
nella costruzione di macchine utens<strong>il</strong>i, sia da ut<strong>il</strong>izzare<br />
direttamente in cava (tagliablocchi 35 , aspiratori per<br />
le polveri, perforatori s<strong>il</strong>enziati, f<strong>il</strong>o diamantato, ecc.),<br />
sia da ut<strong>il</strong>izzare nei laboratori di lavorazione (dischi diamantati<br />
36 e macchine utens<strong>il</strong>i complete). Diversi sono<br />
i brevetti detenuti e le macchine sono esportate in tutto<br />
<strong>il</strong> mondo.<br />
327
Deposito blocchi di granito.<br />
Importanza dell’attività estrattiva<br />
Come si è capito nei paragrafi precedenti, la ricchezza<br />
mineraria del territorio del VCO è costituita dalle pietre<br />
ornamentali, presenti con una varietà estetica veramente<br />
notevole.<br />
La atavica cultura della pietra e la tecnologia sv<strong>il</strong>uppata<br />
proprio in questa area, che mette in grado gli operatori<br />
di estrarre la roccia nelle condizioni più diffic<strong>il</strong>i, unita<br />
alle varietà di pietre e alla capacità di lavorazione fa sì<br />
che le nostre pietre siano conosciute e richieste in tutto<br />
<strong>il</strong> mondo.<br />
L’estrazione della materia prima e la sua successiva lavorazione<br />
hanno creato un tessuto socio economico sul<br />
quale oggi è in larga misura basato <strong>il</strong> benessere della<br />
Provincia. E ciò è un valore determinante se si pensa<br />
che in quelle vallate dove risiedono le cave, e dove per<br />
conseguenza sono sorti i laboratori, non esiste praticamente<br />
altra ricchezza.<br />
Quanto possa contare questa attività in termini economici<br />
è fac<strong>il</strong>mente desumib<strong>il</strong>e, seppure sia necessario<br />
328<br />
adottare una certa cautela poichè le quantità di materiale<br />
disponib<strong>il</strong>e (cfr. paragrafo 4) non sono quelle effettivamente<br />
cavate ma quelle estraib<strong>il</strong>i; si ha cioè <strong>il</strong> computo<br />
di una ricchezza potenziale. L’ordine di grandezza di<br />
questa ricchezza, riferita al 2004, si ha moltiplicando le<br />
quantità annue dei vari materiali estraib<strong>il</strong>i per <strong>il</strong> prezzo<br />
medio di vendita. Non è fac<strong>il</strong>e valutare <strong>il</strong> prezzo medio,<br />
dato che si parla di quantità estraib<strong>il</strong>i, quindi comprensive<br />
di percentuali di scarto, di materiale di 1 a scelta, di<br />
2 a scelta, etc. In base all’esperienza e ai prezzi di mercato<br />
correnti dei vari materiali, si può ragionevolmente<br />
stimare che tale citata ricchezza potenziale sia dell’ordine<br />
di circa 110-120 m<strong>il</strong>ioni di Euro. E’ doveroso puntualizzare<br />
che, dimostrato dalla esperienza di tanti anni,<br />
<strong>il</strong> materiale veramente estratto annualmente rispetto a<br />
quello estraib<strong>il</strong>e è di circa <strong>il</strong> 50%; la ricchezza reale potrebbe<br />
quindi aggirarsi sui 55-60 m<strong>il</strong>ioni di Euro.<br />
A questa cifra va inoltre sommato <strong>il</strong> valore aggiunto<br />
prodotto dalle lavorazioni, capace di aumentare da 3 a<br />
5 volte (a seconda del prodotto finale) <strong>il</strong> valore iniziale
del materiale. Benché i concetti sopraesposti non possano<br />
sicuramente definirsi una analisi di mercato, tuttavia<br />
dimostrano che le cifre in gioco sono di tutto rispetto,<br />
soprattutto se rapportate alla superficie del territorio<br />
provinciale e alle popolazioni dei Comuni con vocazione<br />
estrattiva.<br />
Conclusioni<br />
La cultura del “sasso”, la grande varietà e bellezza delle<br />
nostre pietre ornamentali, la perizia raggiunta nella<br />
loro escavazione, la loro importanza socio economica<br />
sono caratteristiche che di primo acchito porterebbero<br />
a pensare ad un fac<strong>il</strong>e mantenimento e ad un incremento<br />
dell’attività estrattiva e di lavorazione. In realtà, invece,<br />
sono parecchi e non di poco conto gli ostacoli che si<br />
debbono superare anche solo per mantenere questa importante<br />
attività ai livelli attuali.<br />
In primo luogo bisogna tenere presente che ormai <strong>il</strong><br />
mercato è diventato veramente globale. Tale vocabolo,<br />
del cui uso si è spesso abusato, negli ultimi anni ha assunto<br />
<strong>il</strong> suo vero valore: oggi chiunque, dalla grande<br />
azienda al privato cittadino, è in grado, stando seduto<br />
nel proprio ufficio o nella propria casa, di sapere quali<br />
sono i materiali offerti da tutti i Paesi produttori, per<br />
che cosa possono essere ut<strong>il</strong>izzati, quanto costano, da<br />
dove vengono, dove si possono reperire, ecc.; tutto ciò<br />
grazie a quella meravigliosa invenzione che si chiama<br />
Internet. In queste circostanze non esistono più, o si<br />
stanno rapidamente esaurendo, quelle nicchie di mercato<br />
alle quali era abituata la maggioranza delle aziende<br />
del settore. La concorrenza, dunque, non è più interna<br />
(a livello regionale o tuttalpiù nazionale) ma è a livello<br />
di pianeta, globale appunto.<br />
A ciò si deve aggiungere che molti dei concorrenti sono<br />
in grado di offrire materiali anche molto belli a prezzi<br />
assolutamente inferiori dei nostri. Basti pensare ai cosiddetti<br />
Paesi emergenti (la Cina innanzitutto, se ancora<br />
si può definire emergente, <strong>il</strong> Bras<strong>il</strong>e, i Paesi dell’Est<br />
europeo) che hanno un costo del lavoro molto basso e<br />
hanno, almeno per ora, costi legati alla sicurezza e all’ambiente<br />
molto meno elevati dei nostri.<br />
A livello europeo l’introduzione dell’Euro ha tolto le fac<strong>il</strong>itazioni<br />
di vendita che la svalutazione della Lira periodicamente<br />
determinava nei confronti delle valute<br />
forti (soprattutto <strong>il</strong> marco tedesco). Sul fronte amministrativo<br />
sicuramente le leggi non aiutano. Sono tante,<br />
faragginose, poco chiare, tra loro sovrapposte. Gli iter<br />
per ottenere le autorizzazioni per coltivare cave raccontati<br />
dagli imprenditori che le hanno aperte in altri Paesi<br />
(non del terzo mondo ma in Spagna, Portogallo, Canada)<br />
paiono veramente racconti di fantascienza! Senza<br />
contare che per ut<strong>il</strong>izzare l’esplosivo, insostituib<strong>il</strong>e ferro<br />
del mestiere, si devono rispettare rigide procedure con<br />
risvolti spesso penali.<br />
Gli imprenditori locali, pur avendo costituito l’Assocave<br />
un trentennio fa (correva l’anno 1974) e più recentemente,<br />
nel 2001, l’Assograniti, associazioni di cavatori<br />
e lavoratori della pietra, per fronteggiare alcune problematiche<br />
comuni (ottimo <strong>il</strong> metodo studiato e adottato<br />
per la distribuzione quotidiana dell’esplosivo in tutte<br />
le cave a prezzi vantaggiosi, ancora oggi ut<strong>il</strong>izzato) non<br />
hanno quello “spirito di corpo” che contraddistingue,<br />
invece, altri distretti della pietra (Carrara e Verona). Ciò<br />
si traduce in almeno due svantaggi:<br />
• Diffic<strong>il</strong>mente si riesce a concorrere per le forniture<br />
più importanti e remunerative, che presuppongono<br />
uno sforzo comune di diverse aziende temporaneamente<br />
consorziate di produttori di materia prima (cave) e<br />
di laboratori.<br />
• Non si riesce a fare “lobby”, cioè a creare un soggetto<br />
che ha chiare le proprie esigenze e si muove in tutte<br />
le direzioni per salvaguardare le proprie legittime rendite<br />
(in <strong>It</strong>alia tale termine evoca qualcosa di disdicevole,<br />
mentre nel mondo anglosassone è assolutamente normale<br />
che una categoria di imprenditori si adoperi, ovviamente<br />
in modo lecito, per difendere i propri interessi).<br />
Così non solo non si riesce a condizionare, almeno<br />
per quanto possib<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> mercato, le scelte politiche, i<br />
prezzi, la valorizzazione dei prodotti, ecc., ma neppure<br />
si ottengono nelle negoziazioni i vantaggi determinati<br />
dal potere contrattuale derivante dalle grandi quantità<br />
di merce che si devono acquistare; si pensi a tutti i materiali<br />
di consumo che necessitano in cava (come esempio<br />
ci si può riferire ai fioretti 37 , di cui se ne consumano<br />
ingenti quantità) e nei laboratori (si pensi solamente a<br />
quanti dischi diamantati vengono ut<strong>il</strong>izzati).<br />
Non è fac<strong>il</strong>e rispondere efficacemente alle problematiche<br />
prospettate. Alla spietata concorrenza cinese (e non<br />
329
solo) non si può senz’altro pensare di far fronte con<br />
l’abbassamento dei prezzi, bensì con identificazioni certe<br />
dei nostri materiali e con la loro ripetib<strong>il</strong>ità (ovvero la<br />
possib<strong>il</strong>ità di fornire materiale di uguali caratteristiche<br />
anche a distanza di tempo) e con la qualità di produzione<br />
e lavorazione. In tal senso bisogna dire che le istituzioni<br />
e gli imprenditori si sono già mossi. La Provincia<br />
del VCO ha finanziato borse di studio universitarie<br />
per la caratterizzazione dei nostri materiali e per trovare<br />
una formulazione di “marchio d’origine”. Con fondi<br />
provinciali e contributo regionale è in fase di costituzione<br />
a Crevoladossola <strong>il</strong> “Centro per la qualificazione<br />
dei materiali lapidei del VCO”, società pubblico-privata<br />
(formata da Provincia, Comune di Crevoladossola,<br />
CCIAA, associazioni di categoria, imprese e Università)<br />
che ha per fine la marchiatura CE sui prodotti lapidei<br />
nonché lo sv<strong>il</strong>uppo di tutte quelle iniziative tese alla valorizzazione<br />
dei materiali (marketing, ricerca applicata,<br />
studi di settore, sv<strong>il</strong>uppo della f<strong>il</strong>iera del lapideo, ecc.).<br />
Siamo certi che anche le aziende sapranno superare le<br />
incomprensioni e le particolarità a vantaggio del bene<br />
comune.<br />
Se tutti faranno la loro parte, e non ne dubitiamo, questo<br />
affascinante mondo continuerà a vivere permettendo<br />
a tutti di godere delle bellezze che con la pietra si<br />
possono creare e potrà essere conservato quel patrimonio<br />
culturale e di conoscenze acquisite in secoli di esperienze.<br />
Perderlo anche solo per un attimo potrebbe voler<br />
dire perderlo per sempre, perché <strong>il</strong> frettoloso mon-<br />
Note<br />
1 M. Braga, Dizionario dei picasass, inedito – A.G. Roggiani, Appunti<br />
per una mineralogia dell’Ossola, La dolomia di Creola alla<br />
cava Baulina, Domodossola 1968 – Pietre ornamentali del Piemonte,<br />
pubblicazione ICE (Istituto Nazionale per <strong>il</strong> Commercio Estero)<br />
e Regione Piemonte, 1 a edizione Gennaio 2000.<br />
2 Pietre ornamentali del Piemonte, pubblicazione ICE (Istituto Nazionale<br />
per <strong>il</strong> Commercio Estero) e Regione Piemonte, 1 a edizione<br />
Gennaio 2000.<br />
3 E’ la formazione dei r<strong>il</strong>ievi terrestri. Tra le molte teorie, attualmente<br />
è ritenuta valida l’ipotesi della tettonica a zolle (o a placche), interpretazione<br />
moderna e controllata della teoria di Wegener o della deriva<br />
dei continenti, secondo la quale parti di crosta terrestre, muo-<br />
330<br />
do odierno, con i frenetici ritmi che impone, non permetterebbe<br />
recuperi.<br />
Candoglia, la Cava del Duomo.<br />
vendosi, si scontrano sollevandosi.<br />
4 Si riferiscono alla teoria della deriva dei continenti di cui alla nota 1.<br />
5 Complesso di trasformazioni di struttura e costituzione mineralogica<br />
e di composizione chimica che le rocce subiscono dopo o durante<br />
<strong>il</strong> loro processo di formazione.<br />
6 Minerale di colore azzurro pallido costituito da s<strong>il</strong>icato di alluminio<br />
che cristallizza nel sistema triclino.<br />
7 Minerale di colore rossiccio-grigiastro a lucentezza vitrea costituito<br />
da s<strong>il</strong>icato di alluminio, strutturalmente appartenente ai neos<strong>il</strong>icati,<br />
che cristallizza nel sistema rombico.<br />
8 Con attività plutonica si intende <strong>il</strong> fenomeno di parziale o totale<br />
fusione di porzioni della crosta terrestre sialica (dove vi è prevalenza<br />
di s<strong>il</strong>icio e alluminio) e successiva risolidificazione.<br />
9 I fenomeni di questo periodo rendono le rocce generalmente so-
vrasature (la saturazione si intende nei confronti della s<strong>il</strong>ice [SiO ]) 2<br />
e caratterizzate da valori bassi del rapporto ferro magnesio [FeOtot/MgO].<br />
10 Rocce metamorfiche formate da minerali lamellari e fibrosi a stratificazione<br />
parallela. Tenendo conto della loro composizione chimica<br />
e mineralogica si distinguono: gli gneiss, che sono rocce scistoso-cristalline<br />
costituite prevalentemente da quarzo, ortosio e mica;<br />
i micascisti, costituiti da quarzo e mica; le quarziti, costituite essenzialmente<br />
da quarzo.<br />
11 Vedi nota 1.<br />
12 Diversi tipi di rocce.<br />
13 Enormi masse rocciose della crosta sialica che, dopo una parziale<br />
o totale fusione dovuta a fenomeni di palingenesi (rifusione di rocce<br />
in zone profonde dovuta o a penetrazione di magma o all’azione<br />
combinata del calore e di gas dei magmi sottostanti), ritornano<br />
allo stato solido.<br />
14 Sedimenti o rocce sedimentarie che mostrano evidenze di essere state<br />
soggette a processi metamorfici (evidenze metamorfiche poco accentuate<br />
che rendono riconoscib<strong>il</strong>e la struttura originaria della roccia).<br />
15 Intrusioni all’interno della crosta terrestre a carattere calcalcalino<br />
(vedi nota 7).<br />
16 E’ l’insieme dei caratteri chimici delle rocce eruttive che permettono<br />
di distinguerle.<br />
17 Si definisce vergenza di una piega l’inclinazione o <strong>il</strong> coricamento<br />
del suo piano assiale verso un determinato punto cardinale. Nella<br />
fattispecie la piega è vergente a sud est.<br />
18 Si definisce faglia la frattura di masse rocciose accompagnata dallo<br />
spostamento relativo degli strati lungo <strong>il</strong> piano di frattura stesso<br />
(piano di faglia).<br />
19 Il risultato dello scontro continentale ha dato luogo a una struttura<br />
a falde di ricoprimento. Lo schema classico di Argand (1924) mette<br />
in evidenza, a nord delle Alpi Meridionali, i gruppi di falde Pennidi,<br />
Austridi, Elvediti e Ultraelvetidi. Le unità Austroalpine sono<br />
un sistema composito di falde appartenenti a quelle Austridi che,<br />
nel loro spostamento verso l’esterno della catena, si sono sovrapposte<br />
alle Pennidi.<br />
20 Il dominio Pennidico è quello delle falde Pennidi, che si estende<br />
nelle Alpi occidentali dal mar Ligure fino al passo dello Spluga e al<br />
gruppo del Bernina.<br />
21 Con <strong>il</strong> termine gneiss si indicano le rocce metamorfiche (cioè che<br />
si sono trasformate) olocristalline contenenti uno o più feldspati<br />
come costituenti essenziali e altri minerali diversi che li distinguono,<br />
per es., in gneiss anfibolici, biotitici, ecc..<br />
22 Strato geologico piegato con la convessità verso <strong>il</strong> basso.<br />
23 Gneiss derivante da roccia eruttiva.<br />
24 Rocce arcaiche.<br />
25 Sono quelle che hanno i fianchi della piega tra loro paralleli, cioè<br />
formanti un angolo pari a 0 gradi con l’asse della piega stessa. Sono<br />
pieghe molto accentuate con forma ad “U”.<br />
26 L’evento eoalpino, verificatosi tra 130 e 50 m<strong>il</strong>ioni di anni fa, fa<br />
parte della complessa evoluzione dell’orogene alpino e ne costituisce<br />
la prima fase. Le altre fasi sono l’evento mesoalpino (da 50 a 30 m<strong>il</strong>ioni<br />
di anni fa) e l’evento neoalpino (da 30 m<strong>il</strong>ioni di anni fa ad oggi).<br />
27 Grande massa di roccia intrusiva a struttura olocristallina dai contorni<br />
irregolari posta a profondità inaccessib<strong>il</strong>e all’indagine diretta.<br />
28 Gneiss derivante da rocce sedimentarie.<br />
29 E’ la proprietà di sfaldarsi fac<strong>il</strong>mente lungo piani preferenziali,<br />
piode, in lastre di piccolo spessore.<br />
30 E’ costituito da un cavo di acciaio sul quale sono montate le perline,<br />
c<strong>il</strong>indretti di diamante sintetico, tenute ferme nella loro posizione<br />
dai distanziatori, c<strong>il</strong>indretti di plastica posti tra una perlina e l’altra.<br />
Il f<strong>il</strong>o è chiuso ad anello tra la macchina che gli imprime <strong>il</strong> movimento<br />
e la roccia, provocando così <strong>il</strong> taglio.<br />
31 E’ <strong>il</strong> piano di discontinuità principale, che si ripete con regolarità<br />
nell’ammasso roccioso.<br />
32 Si intende la porzione isolata, con i vari tagli, dall’ammasso roccioso<br />
che sarà successivamente sezionata in blocchi di dimensioni<br />
commerciali.<br />
33 G. Margarini e C.A. Pisoni, Il granito di Baveno. Un pioniere:<br />
Nicola Della Casa, Alberti Libraio Editore, Verbania Intra 1995 –<br />
U. Chiaramonte, Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale – ECOSP (European<br />
Conference on Stone product Protection) Conference, Carrara<br />
30 Maggio 2004.<br />
34 Gru a struttura a traliccio costituita da una colonna (spesso alta<br />
più di 30 m), un braccio in grado di inclinarsi e brandeggiare per<br />
270°, due tiranti formanti tra loro un angolo di 90°, di lunghezza<br />
opportuna a seconda delle condizioni morfologiche, spesso ancorati<br />
direttamente sulla roccia. La lunghezza del braccio può arrivare<br />
ad oltre 70 m e la portata a 30 t (dipende dalla inclinazione del<br />
braccio: più ci si avvicina all’orizzontale più la portata diminuisce,<br />
e viceversa).<br />
35 Slitte costituite da prof<strong>il</strong>ati metallici che permettono la traslazione<br />
orizzontale e verticale dei perforatori su di esse montati. Permettono<br />
di eseguire perforazioni perfettamente allineate lungo direzioni<br />
predefinite.<br />
36 Dischi sulla cui circonferenza sono riportati degli inserti diamantati<br />
(prodotti artificialmente) che, girando velocemente, sono capaci<br />
di tagliare i blocchi di roccia. Hanno diametri che vanno da 300-<br />
400 mm (per le frese) a 3.600 mm (per <strong>il</strong> taglio di blocchi da telaio).<br />
Possono essere montati singolarmente o a pacchi con determinato<br />
interasse tra loro (nei tagliablocchi sono montati 30-40 dischi<br />
per volta).<br />
37 Aste a sezione esagonale di acciaio molto resistente con punta<br />
in “widia” (acciaio speciale) a forma di scalpello, forate all’interno<br />
per consentire <strong>il</strong> passaggio dell’aria compressa e dell’acqua. I fioretti<br />
sono montati su perforatrici che gli imprimono un moto rotatorio<br />
e una forza assiale e quindi consentono la perforazione della roccia.<br />
Le lunghezze dei fioretti vanno da 60 cm a circa 12 m ed hanno<br />
diametri variab<strong>il</strong>i, a partire da 32 mm (normalmente usato). Per<br />
fori più lunghi si possono, con speciali manicotti, congiungere più<br />
aste fino a raggiungere la lunghezza voluta (più <strong>il</strong> foro è lungo e più<br />
aumenta <strong>il</strong> diametro).<br />
331
L’architettura tradizionale<br />
Galeazzo Conti e G<strong>il</strong>berto Oneto<br />
L’architettura spontanea rappresenta la perfetta sintesi<br />
dell’equ<strong>il</strong>ibrato rapporto fra le caratteristiche del territorio<br />
e le espressioni formali, culturali e simboliche della<br />
nostra gente. Essa costituisce un patrimonio culturale<br />
che si è costruito nel corso dei secoli, attraverso aggiustamenti<br />
e verifiche continue.<br />
L’Ossola è ricchissima di monumenti e di architetture<br />
importanti, ma soprattutto è costellata di una enorme<br />
quantità di opere minori, di tanti piccoli interventi<br />
che hanno costruito un continuum, unico per ricchezza<br />
e armonia. È proprio questo patrimonio che oggi corre<br />
i maggiori rischi di degrado, abbandono e distruzione:<br />
non è difeso da leggi o vincoli ed è affidato solo al<br />
buon senso e alla cultura dei suoi abitanti. Un tempo le<br />
cose si facevano secondo certi criteri e certe immagini<br />
(che sono oggi percepite come la cultura architettonica<br />
locale) perché era normale farle così, perché erano le<br />
sole maniere praticate per affrontare e risolvere i correnti<br />
problemi costruttivi: oggi ci sono cento altre alternative<br />
industriali, prefabbricate, esotiche. Forse sono più<br />
semplici, più rapide o più economiche, ma sicuramente<br />
sono meno adatte a preservare la bellezza e la salute del<br />
paesaggio. La naturalezza degli antichi legami che univano<br />
i nostri antenati con la terra su cui (e di cui) vivevano<br />
è in larga parte venuta meno. Siamo spesso distratti<br />
dalle grandi opere e ci dimentichiamo di quelle<br />
piccole, ci affanniamo sui massimi sistemi e trascuriamo<br />
quei dettagli che, invece, costituiscono la quasi totalità<br />
di ciò che percepiamo guardandoci intorno. Tanti<br />
piccoli interventi bene eseguiti fanno un bel paesaggio,<br />
tanti piccoli pasticci lo distruggono.<br />
In tutta l’Ossola, fatta salva la parziale eccezione delle<br />
alte valli Walser, nelle espressioni di architettura popolare<br />
e di gestione del paesaggio sono fac<strong>il</strong>mente riscon-<br />
trab<strong>il</strong>i alcuni caratteri comuni, condivisi e costanti.<br />
Il primo è riconducib<strong>il</strong>e alla antichità e stab<strong>il</strong>ità degli<br />
insediamenti. Gran parte dei centri abitati hanno origini<br />
antichissime e dimostrano l’inossidab<strong>il</strong>ità di quella<br />
che <strong>il</strong> Lavedan ha definito “legge di persistenza dei luoghi”:<br />
sugli stessi siti si sono sovrapposti con continuità<br />
insediamenti di epoche e di culture diverse, che hanno<br />
tratto vantaggio da tutti gli elementi funzionali e simbolici<br />
che ne avevano favorito la scelta originaria. Infatti,<br />
non si ha notizia di spostamenti consistenti e tutti<br />
gli agglomerati abitativi hanno continuato a essere ricostruiti<br />
e mantenuti sul sito inizialmente scelto, anche<br />
se ciò è avvenuto in epoca antichissima, generalmente<br />
in base a ragioni quali l’esposizione, la difendib<strong>il</strong>ità,<br />
la visib<strong>il</strong>ità, la disponib<strong>il</strong>ità di acqua o di altre risorse,<br />
oppure anche per fattori magici, simbolici e religiosi.<br />
In generale, anche <strong>il</strong> tipo di insediamento è complessivamente<br />
omogeneo, caratterizzato da agglomerati<br />
di dimensioni piuttosto limitate che vengono circondati<br />
da abitazioni sparse, usate tutto l’anno oppure solo<br />
stagionalmente, in uno schema che ricorda la propensione<br />
per <strong>il</strong> diradamento sul territorio tipico delle popolazioni<br />
di origine celtica e germanica.<br />
Il secondo criterio di comunanza è dato dal tipo di agglomerazione:<br />
si tratta quasi sempre di insediamenti<br />
compatti, costruiti attorno a un elemento di comunicazione<br />
primario come una strada, una piazza o un ponte.<br />
È interessante notare come gli edifici religiosi e –dove<br />
ci sono– quelli m<strong>il</strong>itari si trovino con grande costanza<br />
ai margini dell’insediamento, quando non addirittura<br />
al suo esterno, mentre sono rarissimi i casi in cui chiese<br />
importanti e antiche siano al centro del paese: esse<br />
sono quasi sempre poste in posizione importante o dominante,<br />
ma fuori dal nucleo abitativo più antico. Gli<br />
esempi in Ossola sono molteplici, dal tempietto di Le-<br />
333
ponzo di Roldo alle chiese di Crevola o Trasquera; oppure<br />
la chiesetta di Masera che presidia l’imbocco della<br />
valle Vigezzo, a cui fa riscontro la ex chiesa di San Giulio,<br />
posta in corrispondenza della fine dell’altipiano, un<br />
modo da prospettare la discesa verso <strong>il</strong> fondovalle e che<br />
ricorda, con la cappelletta “dell’addio”, la tradizione di<br />
accompagnare gli emigranti che lasciavano la loro terra<br />
diretti in Francia, in Germania, nel Nord Europa o<br />
nelle Americhe.<br />
Valle Anzasca, frazione Colombetti di Castiglione.<br />
334<br />
Un terzo elemento è costituito dallo speciale rapporto<br />
instaurato con <strong>il</strong> paesaggio: non solo gli insediamenti<br />
sono solitamente collocati in posizioni di preminenza<br />
paesaggistica, ma spesso appaiono collocati con attenta<br />
coerenza all’interno di un preciso disegno di sacralizzazione<br />
del territorio che, rispetto alle specifiche fattezze<br />
orografiche, coinvolge edifici religiosi maggiori, sacri<br />
monti e una miriade di elementi devozionali minori<br />
(santelle, cappelle, croci stazionali, eccetera).
Una quarta forma di stretta condivisione culturale è<br />
data dalla preminenza dei fattori cromatici e decorativi<br />
nella costruzione complessiva del paesaggio urbano.<br />
Gli edifici sono colorati e decorati anche con manifestazioni<br />
piuttosto sgargianti e disinvolte: si va dalle sfolgoranti<br />
tinteggiature degli intonaci alle finte architetture,<br />
fino a decorazioni pittoriche che trasformano le facciate<br />
degli edifici in veri e propri quadroni decorativi. Si tratta<br />
di una condizione costante e ripetitiva, che è comune<br />
a tutto <strong>il</strong> mondo alpino e che risale sicuramente all’antica<br />
predisposizione per la decorazione artistica delle<br />
culture di origine celtica e germanica.<br />
Un ulteriore elemento di comunanza è riscontrab<strong>il</strong>e<br />
nella costante presenza di alberi e di verde, sia nei pressi<br />
degli edifici sia all’interno degli agglomerati più densamente<br />
edificati. Questo stretto rapporto fra architettura<br />
e mondo vegetale si basa su elementi ut<strong>il</strong>itaristici<br />
(la presenza di orti e di frutteti e la necessità di averli<br />
a portata di mano), microclimatici (l’ombra, la freschezza<br />
dell’aria e la difesa dal vento), estetici (le decorazioni<br />
floreali) o simbolici come <strong>il</strong> tiglio di Macugnaga<br />
o i grandi alberi lasciati crescere per indicare la presenza<br />
degli alpeggi più importanti (per esempio a Pogallo,<br />
dove un grande faggio si riconosce ben prima di intravedere<br />
l’abitato dal sentiero).<br />
In generale gli edifici dell’Ossola sono di foggia semplice,<br />
parallelepipedi elementari e massicci (a volte con<br />
qualche minuscolo corpo annesso) che limitano le superfici<br />
esposte e contengono le dispersioni termiche;<br />
sono in di regola orientati verso valle, oppure verso sud.<br />
Nel caso di piccoli edifici con frontone aperto, <strong>il</strong> lato<br />
minore è spesso esposto a meridione, per favorire la penetrazione<br />
dei raggi solari nel locale sottotetto. Il diffu<br />
so orientamento verso valle delle case che compongono<br />
un agglomerato crea un costante contrasto con gli edifici<br />
religiosi principali, che generalmente sono liturgicamente<br />
“orientati” (nel senso etimologico più corretto,<br />
cioè “rivolti con l’abside a oriente”).<br />
Le murature sono in pietra, quasi sempre intonacate e<br />
tinteggiate con colori vivaci. In molti casi le colorazioni<br />
sono addirittura sfacciate: è infatti frequente trovare<br />
sgargianti campiture azzurre, verdi, o viola. A volte<br />
interi fronti edificati sono caratterizzati dall’unitarietà<br />
dell’architettura e dal contrasto delle pitturazioni, come<br />
Cravegna, la casa del Papa Innocenzo IX.<br />
per esempio la frazione di Sagrogno in Val Vigezzo.<br />
Le coperture sono realizzate con travi di legno e manto<br />
di piode, di spessore variab<strong>il</strong>e a seconda della disponib<strong>il</strong>ità<br />
locale del materiale e delle sue caratteristiche<br />
geologiche: in generale si tratta di lastre di scisti piuttosto<br />
spesse, che conferiscono alle falde una pendenza<br />
molto accentuata. Gli aggetti sono contenuti, addirittura<br />
inconsistenti sulle fiancate laterali delle coperture<br />
a due falde. Coperture a tre o a quattro falde si ritrovano<br />
quasi esclusivamente in edifici più grandi e pretenziosi,<br />
quasi sempre costruiti ai margini degli agglomerati<br />
più importanti.<br />
Le aperture sono regolari e di dimensioni contenute,<br />
con bassi rapporti fra altezza e larghezza. Le protezioni<br />
–ove esistono– consistono generalmente in antoni di<br />
legno ciechi, decorati con piccole aperture intagliate al<br />
centro. Molto spesso le facciate sono vivacizzate da logge<br />
ad archi e colonnine in pietra (in genere in posizione<br />
centrale), o da balconate continue che circondano del<br />
335
Casa del XIII secolo.<br />
tutto o in consistente parte l’ultimo piano dell’edificio;<br />
gli aggetti sono in pietra con ringhiere in ferro battuto<br />
di forma semplice.<br />
Le finestre sono molto spesso decorate da cornici dipinte<br />
o da finte architetture affrescate o eseguite in r<strong>il</strong>ievo.<br />
Anche gli accostamenti cromatici sono coerenti<br />
con l’obiettivo di arricchimento formale delle facciate.<br />
In generale i disegni delle finte architetture tendono<br />
a complicarsi, in perfetta coerenza con un patrimonio<br />
di immagini diffuso in tutta l’area alpina. La simmetria<br />
e la vivacità sono tradizionalmente assicurate dalla collocazione<br />
di finte finestre, che evitano <strong>il</strong> “peso” di pareti<br />
cieche o di campiture troppo vuote.<br />
Nella composizione delle facciate, porte e portoni di<br />
ingresso costituiscono un elemento di forte caratterizzazione.<br />
Le ante –semplici, doppie o con portella interna–<br />
sono in legno, quasi sistematicamente realizzate<br />
con fasce orizzontali. Le cornici possono essere anche<br />
piuttosto complesse, in muratura o in pietra scolpita.<br />
Le rostre di chiusura dei lunotti sopraluce sono in ferro<br />
battuto dalle fogge più disparate.<br />
Il gusto per la decorazione è una costante dell’architettura<br />
tradizionale. Questo ha prodotto pitture di facciata,<br />
sculture, trompe l’oe<strong>il</strong>, ghirlande, finte architetture,<br />
elementi di arredo vegetale, banderuole, battacchi, spal-<br />
336<br />
tatori, numerazioni civiche, insegne, iscrizioni, mosaici,<br />
eccetera. Assai spesso sulle facciate degli edifici ci sono<br />
edicole religiose o riquadri dipinti con soggetti sacri.<br />
Un elemento di costante caratterizzazione dell’architettura<br />
popolare è dato da presenze apotropaiche, magiche<br />
o di espressività religiosa di tipo naturalistico. Queste<br />
sono formate da oggetti e figurazioni collocati sulle<br />
facciate degli edifici e, soprattutto, sulle porte di ingresso.<br />
Si tratta in genere di elementi che servono a portare<br />
fortuna o a proteggere ritualmente gli abitanti, gli animali<br />
e anche gli stessi edifici.<br />
Quasi sempre i collegamenti fra i diversi piani sono<br />
esterni ai fabbricati. Soprattutto negli agglomerati più<br />
alti queste conformazioni creano interessanti, e a volte<br />
complessi, intrichi di scale e archi di pietra che costituiscono<br />
uno degli elementi percettivamente più evidenti.<br />
Gli edifici di civ<strong>il</strong>e (e stab<strong>il</strong>e) abitazione sono spesso dotati<br />
di fumaioli di foggia elegante e di buona altezza, generalmente<br />
collocati alle estremità del colmo di copertura<br />
o sulle facciate laterali: in quest’ultimo caso la loro<br />
altezza viene evidenziata e sono usati come importanti<br />
elementi decorativi.<br />
Anche la gestione del paesaggio è caratterizzata da una<br />
forte presenza di manufatti in pietra a secco, che modificano<br />
la morfologia locale per soddisfare esigenze produttive.<br />
La diffusa presenza di giardini è una condizione<br />
piuttosto recente: in passato gli spazi esterni erano<br />
ut<strong>il</strong>izzati per colture orticole e fruttifere, sempre presidiate<br />
dalla rassicurante presenza di essenze da fiore.<br />
Larga parte degli spazi aperti degli agglomerati era occupata<br />
da topie (sorrette da pali vegetali ma anche da<br />
portapassoni verticali in pietra) e da viti sorrette dai<br />
muri degli edifici. Questo ut<strong>il</strong>izzo interessava anche le<br />
strade e i vicoli nei quali penetrava abbastanza luce solare:<br />
restano testimonianze di questa diffusa usanza in<br />
taluni residui di colture e nei portapassoni a forma di<br />
mensola in pietra che sono rimasti sulle facciate di molte<br />
case ossolane.<br />
Gli insediamenti Walser si trovano nelle testate della<br />
Valle Anzasca e della Val Formazza, oltre alle enclave di<br />
Ornavasso e di Migiandone. Nelle comunità della Bassa<br />
Ossola le tipologie ed<strong>il</strong>izie sono estremamente sim<strong>il</strong>i<br />
a quelle del resto dell’area. I soli elementi di apporto
esterno sono costituiti dalla presenza di grandi architravi<br />
monolitici, da una meno sistematica presenza di pareti<br />
esterne intonacate e da taluni motivi decorativi mutuati<br />
direttamente dal prevalente ut<strong>il</strong>izzo del legno tipico<br />
della cultura Walser.<br />
Nelle comunità di Macugnaga-Makanà e della Formazza-Pomat<br />
gli edifici sono principalmente in legno e<br />
sono organizzati in insediamenti sparsi, secondo le caratteristiche<br />
presenti in una vasta porzione di area alpina<br />
settentrionale, nella quale l’influenza Walser è piuttosto<br />
diffusa.<br />
Gli edifici sono quasi sempre costruiti con tecniche a<br />
blockbau (tronchi sgrossati tenuti assieme a incastro, o<br />
con chiodi e cunei di legno) con tetti di piode o assai<br />
più raramente di scandole di legno. Gli edifici sono<br />
spesso circondati da balconate e da loggiati in legno<br />
(soprattutto sulle facciate principali esposte a valle o a<br />
sud), arredati con rastrelliere ut<strong>il</strong>izzate per l’essiccazione<br />
dei prodotti agricoli o per sostenere vasi di fiori. Le balconate<br />
sono protette da listoni in legno intagliati e parte<br />
delle travature esposte è spesso decorata.<br />
Per proteggere la struttura di legno dall’umidità e per<br />
aumentarne la durata nel tempo, gli edifici sono poggiati<br />
su muri e basamenti in pietra, che possono arrivare<br />
fino a contenere tutta l’altezza del piano terreno:<br />
in questi casi la parte in legno tende a sporgere rispetto<br />
alle murature, conferendo alle abitazioni la forma di<br />
un “cassero” di nave.<br />
In altri casi (soprattutto quando gli edifici sono destinati<br />
a deposito di derrate agricole), la struttura di legno<br />
poggia sui caratteristici “funghi” di pietra, che garantiscono<br />
l’isolamento dal terreno, proteggono <strong>il</strong> legname<br />
dall’umidità, impediscono l’accesso agli animali (bloccati<br />
dal largo disco appiattito) e consentono la concentrazione<br />
del peso sui p<strong>il</strong>astri di sostegno.<br />
Nella cultura tradizionale l’ambiente fisico è visto come<br />
un insieme <strong>completo</strong>, fatto di interventi architettonici,<br />
di schemi agricoli, di sistemazioni urbane, di elementi<br />
di arredo e di presenze vegetali e naturalistiche.<br />
Tutto è gestito con lo stesso linguaggio, con lo stesso<br />
senso delle proporzioni, con identici materiali e con<br />
schemi formali che si ripetono con rassicurante famigliarità.<br />
I volumi architettonici non sono mai calati sul<br />
terreno (come fa, purtroppo normalmente, la peggiore<br />
architettura moderna) ma appaiono come una emanazione<br />
dello stesso suolo, quasi fossero un prolungamento<br />
umano dei ritmi naturali. La stessa condizione vale<br />
per le sistemazioni viarie e per gli interventi di supporto<br />
alle attività agricole.<br />
L’impiego pressoché esclusivo di materiali locali consente<br />
di fare delle costruzioni una sorta di continuazione<br />
formale e percettiva dei segni naturali: questa condizione<br />
è particolarmente presente nelle opere di razionalizzazione<br />
del territorio (terrazzamenti, strutture viarie,<br />
opere di controllo dei corsi d’acqua), negli interventi<br />
di supporto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame<br />
(recinzioni, muri, topie, recinti, ricoveri), nei segni<br />
di sacralizzazione (santelle, cappelle, croci stazionali),<br />
nella gestione degli spazi interni agli agglomerati (pavimentazioni,<br />
scalinate e gradonate, arredi) e nella formazione<br />
di orti e di giardini.<br />
Per secoli e m<strong>il</strong>lenni la vicenda dell’architettura popolare<br />
e della gestione del paesaggio si è svolta con lentezza,<br />
con misurati cambiamenti evolutivi sottoposti alla<br />
tranqu<strong>il</strong>la verifica dei tempi lunghi. Le mutazioni seguivano<br />
i cambiamenti economici e sociali delle comunità<br />
e metabolizzavano gli apporti culturali provenienti<br />
dall’esterno.<br />
Durante <strong>il</strong> secolo scorso questo antico e consolidato<br />
equ<strong>il</strong>ibrio si è rotto sotto la concomitante pressione della<br />
rivoluzione industriale, del rapido incremento demografico,<br />
degli sconvolgimenti sociali e produttivi, della<br />
motorizzazione. Inoltre l’arrivo di “mode” esterne, assieme<br />
a un generalizzato processo di globalizzazione dei<br />
modi di vita e delle immagini ambientali, ha di fatto<br />
provocato la distribuzione degli st<strong>il</strong>emi antichi.<br />
La gestione del territorio, prima regolata dal rispetto<br />
della natura e dal puntiglioso ut<strong>il</strong>izzo (e riut<strong>il</strong>izzo) di<br />
tutte le risorse, ha preso a seguire altre necessità e regole,<br />
molte delle quali conseguenti all’esclusiva ricerca della<br />
soddisfazione di esigenze immediate e slegate dal contesto<br />
generale territoriale ed ecologico.<br />
La pianificazione urbanistica ha sostituito antiche prudenze<br />
e manifestazioni di buon senso con tecnicismi e<br />
ipocrisie che hanno d<strong>il</strong>atato le aree costruite, ribaltato<br />
antichi rapporti fra natura e costruito, e intaccato aree<br />
337
che <strong>il</strong> rispetto e la saggezza avevano sino allora risparmiato.<br />
Consolidate abitudini espressive sono state abbandonate,<br />
spesso con disprezzo, e sostituite da tecnologie imprudenti<br />
e da st<strong>il</strong>emi privi di ogni verifica; la tradizione,<br />
tacciata di passatismo e di sottocultura, è stata soppiantata<br />
da modernismi, da mode passeggere, dalla più<br />
totale mancanza di riferimenti che ha prodotto –in termini<br />
architettonici– la più colossale confusione di st<strong>il</strong>emi<br />
e di segni e –in termini ambientali– dissesti faticosamente<br />
rimediab<strong>il</strong>i.<br />
La sostanza edificata più antica è stata abbandonata,<br />
sottoposta a restauri disastrosi e banalizzanti, oppure<br />
sostituita da nuovi interventi di nessuna qualità. Molti<br />
centri abitati hanno perso omogeneità e organicità, devastati<br />
da inserimenti imprudenti e da uno st<strong>il</strong>licidio di<br />
piccoli interventi incolti e improvvidi che hanno modificato<br />
i rapporti dimensionali consolidati, sf<strong>il</strong>acciando<br />
preziosi tessuti formali.<br />
L’oratorio di Crego di Premia.<br />
338<br />
L’imposizione delle recinzioni a giorno ha distrutto elementi<br />
di grande bellezza e funzionalità come i muri pieni,<br />
che fornivano un apporto eccezionale alla complessa<br />
formazione della percezione spaziale degli antichi agglomerati.<br />
Il paesaggio si è riempito di condomini, capannoni, v<strong>il</strong>lette<br />
di molteplici st<strong>il</strong>i, recinzioni stravaganti, brani di<br />
viab<strong>il</strong>ità insensata: le antiche e rassicuranti coperture in<br />
pietra sono state sostituite da banalizzanti elementi di<br />
cemento, l’intonaco plastico ha preso <strong>il</strong> posto del fascino<br />
(e della durevolezza) delle tinte a terre naturali e calce.<br />
Nel complesso i nostri paesaggi sono diventati disordinati,<br />
costipati e tristi, i nostri centri si sono trasformati<br />
in agglomerati banali e anonimi, le architetture<br />
appaiono sgradevoli e senza alcun legame con <strong>il</strong> posto<br />
e con la sua cultura.<br />
I nostri vecchi ci avevano consegnato un paesaggio che<br />
era la somma organica delle qualità naturali e delle loro<br />
fatiche continue e intelligenti, di tutti i loro interventi
che per secoli si erano sv<strong>il</strong>uppati in totale coerenza e rispetto<br />
per le leggi della natura e per le vocazioni intrinseche<br />
del paesaggio. Ne era risultato un territorio bello<br />
e sano, in grado di sostentare generazioni di uomini che<br />
con esso si erano completamente identificate.<br />
Ancora non tutto è perduto e ci troviamo in una condizione<br />
- dopo avere riconosciuto i nostri errori - che ci<br />
permette di cercare <strong>il</strong> modo per ricostruire un territorio<br />
sano e bello da riconsegnare ai nostri discendenti.<br />
Il ricco patrimonio e repertorio dell’architettura popolare<br />
è parte integrante e determinante dell’armonia ambientale<br />
che dobbiamo ricostruire. Serve innanzitutto<br />
conoscere i suoi caratteri ed analizzarne <strong>il</strong> valore.<br />
Antiche case a Montecrestese.<br />
Questo nuovo modo di operare deve prestare innanzitutto<br />
attenzione al paesaggio e alle sue vocazioni e repulsioni,<br />
deve tornare ad operare in sintonia e non più in<br />
contrapposizione con esso. Deve essere rispettoso della<br />
tradizione, delle sue forme espressive e delle sue lunghe<br />
esperienze. Fare stravaganze e forzature comporta quasi<br />
sicuramente dei rischi; seguire le linee del linguaggio<br />
tradizionale è invece sicura garanzia di successo.<br />
L’obbiettivo deve essere quello di fare tornare l’Ossola<br />
bella, ricca, prospera e gradevole. Il recupero e la rivitalizzazione<br />
del linguaggio architettonico tradizionale è<br />
forse lo strumento più efficace per raggiungere questo<br />
importantissimo traguardo.<br />
339
Il turismo<br />
Carmine Gaudiano e Paola Caretti<br />
Ogni racconto di vicende storiche che si rispetti dovrebbe<br />
cominciare almeno dal tempo dei Romani. Tuttavia,<br />
costoro, come turisti nell’Ossola sembra proprio<br />
che non ci siano mai venuti. E’ peraltro noto come essi<br />
preferissero trascorrere le loro vacanze nelle lussuose v<strong>il</strong>le<br />
in riva al mare o nelle amene campagne prossime a<br />
Roma. Gli insediamenti romani ed i passaggi di truppe<br />
che vi furono nell’Ossola non avevano scopi turistici,<br />
ma m<strong>il</strong>itari.<br />
Scarsi gli scambi turistici anche nel periodo medievale<br />
quando i viaggiatori si spostavano tra difficoltà e pericoli<br />
di ogni genere, quasi esclusivamente per ragioni di<br />
commercio o di fede.<br />
Per quanto fossero frequentati i passi tra le valli Anzasca<br />
e Antrona con la Svizzera, i transiti avvenivano certamente<br />
con altri scopi che non quelli turistici.<br />
Non si possono definire turistiche neppure le frequenti<br />
calate di Svizzeri che nei secoli XV e XVI avevano per<br />
scopo fondamentale quello di prendere (non comperare,<br />
si noti) ciò che di ut<strong>il</strong>e e commestib<strong>il</strong>e si trovava nell’Ossola.<br />
Si può ritenere che i primi viaggiatori che vennero nell’Ossola<br />
con scopi veramente turistici, nel senso in cui<br />
si intende oggi <strong>il</strong> termine, furono i viaggiatori che, attraverso<br />
<strong>il</strong> Sempione, venivano in <strong>It</strong>alia o la lasciavano.<br />
Ciò avvenne alla fine del 1700, quando apparve sulla<br />
scena del mondo dei trasporti la carrozza come normale<br />
mezzo per effettuare viaggi a grande distanza, così da<br />
consentire a viaggiatori abbienti (nob<strong>il</strong>i, letterati, studiosi)<br />
di affrontare <strong>il</strong> viaggio senza ut<strong>il</strong>izzare né muli,<br />
né cavalli, né le lente e scomode d<strong>il</strong>igenze.<br />
La costruzione della strada napoleonica del Sempione,<br />
che Napoleone volle far aprire per fac<strong>il</strong>itare i contatti<br />
tra Ginevra e M<strong>il</strong>ano (l’ordine venne dato <strong>il</strong> 7 set-<br />
Rifugio “Maria Luisa” in alta Val Formazza.<br />
tembre 1800 con lo scopo dichiarato pour faire passer<br />
le cannon, si noti che l’Imperatore non vide mai l’opera<br />
realizzata in quanto per i suoi viaggi in <strong>It</strong>alia percorse<br />
sempre altre vie), rese più fac<strong>il</strong>e <strong>il</strong> transito attraverso<br />
<strong>il</strong> passo e fece perciò confluire nell’Ossola un numero<br />
r<strong>il</strong>evante di viaggiatori. Molti di loro furono celebri nei<br />
campi più disparati ed ognuno d’essi, come era uso allora,<br />
lasciò in suoi scritti le impressioni ed i ricordi del<br />
viaggio. Non se ne possono citare che alcuni i cui nomi<br />
per la fama da essi acquisita per le loro opere sono noti<br />
a tutti noi.<br />
Transitarono e, seppur brevemente, soggiornarono nell’Ossola<br />
<strong>il</strong> poeta Alfredo De Musset, <strong>il</strong> grande Lord<br />
Byron, la scrittrice Aurore Dupin, la più nota con lo<br />
pseudonimo George Sand, Richard Wagner, Charles<br />
Dickens, W<strong>il</strong>liam Brockedon (viaggiatore appassionato<br />
che dal 1821 al 1829 attraversò le Alpi circa 60 volte<br />
e che descrisse i suoi viaggi in un celebre <strong>libro</strong> Journal<br />
of excursions in the Alps, dal quale sono tratte gran parte<br />
delle stampe dell’Ossola che oggi sono raccolte dagli<br />
appassionati), Alessandro Volta (che sostò a Domodossola,<br />
non in albergo ma in casa di amici nel novembre<br />
del 1787), Alessandro Dumas (<strong>il</strong> quale lasciò le sue impressioni<br />
in un <strong>libro</strong> Impressions de voyage), Felix Mendelsohn<br />
Bartholdy.<br />
Alcuni di questi viaggiatori (e furono molti se i passaggi<br />
in d<strong>il</strong>igenza attraverso <strong>il</strong> Sempione negli anni dal 1850<br />
al 1905 furono di ben 152.806 persone) non si limitarono<br />
ad attraversare l’Ossola ed a sostare <strong>il</strong> tempo necessario<br />
per un riposo notturno ed un ristoro, estesero<br />
<strong>il</strong> loro viaggio alle valli laterali.<br />
Particolarmente furono oggetto di visite turistiche la<br />
valle Anzasca e Macugnaga e la valle Formazza con la<br />
Cascata del Toce.<br />
341
Purtroppo, negli scritti di questi viaggiatori l’immagine<br />
dell’Ossola turistica che ne esce è piuttosto deprimente.<br />
“Sfogliando i diari dei viaggiatori dell’Ottocento ci<br />
si accorge che sottolineano lo stridente contrasto fra lo<br />
splendore artistico del paese e la sua miseria civ<strong>il</strong>e. Tuttavia,<br />
se <strong>il</strong> caso del viaggiatore prevenuto e deliberatamente<br />
malevolo è piuttosto raro, molto frequente, invece,<br />
è quello del viaggiatore superficiale, convinto di<br />
potere trinciare giudizi definitivi in capo a pochi giorni<br />
di soggiorno. In generale, le lamentele somigliano abbastanza<br />
a quelle che si sentono al giorno d’oggi: sporcizia,<br />
disordine, importunità degli accattoni, malafede<br />
degli esercenti, le strade rumorose e la più imbarazzante<br />
mancanza di installazioni igieniche”. (da: Ladies and<br />
Gentlemen nell’Ossola di Marino Ferraris).<br />
Si salvano da queste critiche ben pochi alberghi, in particolare<br />
uno che oggi non esiste più: l’albergo Albasini<br />
di Domodossola (che era situato nell’immob<strong>il</strong>e ove ora<br />
sono gli uffici del San Biagio).<br />
Sul finire dell’800 ebbe notevole sv<strong>il</strong>uppo anche l’al-<br />
Mergozzo, la porta dell’Ossola.<br />
342<br />
pinismo, che già all’inizio del secolo aveva portato alle<br />
scalate delle cime del Monte Rosa dal versante di Alagna,<br />
per cui si ebbero presenze “turistiche” di alpinisti<br />
particolarmente a Macugnaga.<br />
Le quattro cime del Rosa sono scalate rispettivamente<br />
da Giordani di Alagna (1801), Vincent e Zumstein<br />
(1820), don Gnifetti (1842), Smith, Hudson, Birkbeck<br />
e Stevenson (1855). Il 30 e 31 luglio 1889 compiva la<br />
prima scalata della punta Dufour don Ach<strong>il</strong>le Ratti che<br />
divenne poi Papa Pio XI.<br />
I valligiani più esperti nelle scalate venivano assunti<br />
quali guide e portatori per i forestieri, spesso stranieri<br />
e abitualmente inglesi, i quali soggiornavano in Macugnaga<br />
presso gli alberghi che esistevano già in buon<br />
numero sia quali hotel veri e propri (<strong>il</strong> Monte Moro<br />
ad esempio) sia come pensioni fam<strong>il</strong>iari gestite talora<br />
da parenti di quelle stesse guide che vi indirizzavano i<br />
clienti nell’attesa di affrontare la montagna.<br />
Evidentemente anche le cime delle altre valli ossolane<br />
attirarono gli alpinisti, ma nessuna vetta ebbe la sugge-
stione della parete est del Monte Rosa che seppe attrarre<br />
scalatori da tutta Europa.<br />
Era certamente quello alpinistico un turismo d’élite che<br />
spesso muoveva al seguito dello scalatore vero e proprio<br />
una piccola corte di amici e sostenitori.<br />
Una scalata di un certo impegno comportava poi un<br />
notevole impiego di guide e portatori, questi ultimi effettivamente<br />
addetti al trasporto di vettovaglie e attrezzature<br />
(sacchi, tende, scale, macchine fotografiche, altimetri,<br />
ecc.) che accompagnavano in grande quantità<br />
le spedizioni che all’epoca avevano forse una caratterizzazione<br />
scientifica più che non di puro divertimento.<br />
Erano “esplorazioni” oltre che escursioni, paragonab<strong>il</strong>i<br />
a quest’effetto quelle che, in epoca più prossima a<br />
noi ed ancor oggi, sono le imprese alpinistiche extraeuropee.<br />
Alla fine dell’800, primi del ‘900 <strong>il</strong> turismo diviene anche<br />
per altre motivazioni non più soltanto alloggio di<br />
viaggiatori in transito, ma soggiorno prolungato.<br />
E si deve pensare che albergatori ed osti avessero ben<br />
migliorato la capacità ricettiva dei loro locali, rispetto ai<br />
padri che avevano ospitato i viaggiatori di un secolo prima,<br />
se l’attività turistica riuscì ad avere lo sv<strong>il</strong>uppo che<br />
ebbe in tutta la valle.<br />
Ovunque sorsero nuovi alberghi di ogni categoria, anche<br />
se lo sv<strong>il</strong>uppo più significativo lo ebbe proprio Macugnaga.<br />
Formazza, da parte sua, salì alla ribalta con<br />
un’attrattiva nuova in cui i suoi valligiani si distinsero<br />
più degli altri: correre sulla neve con sott<strong>il</strong>i tavole di legno<br />
ai piedi, detti ski.<br />
Questo mezzo di trasporto, non ancora sport, incuriosì<br />
da prima pochi ardimentosi che si cimentarono<br />
a loro volta provando l’ebbrezza di folli discese e attirò<br />
poi un numero sempre maggiore di appassionati che,<br />
per quanto possib<strong>il</strong>e, si portarono in loco per vedere<br />
dal vivo le tecniche dei Formazzini e per carpirne qualche<br />
segreto. Si diceva ad esempio (questo però all’epoca<br />
della celebre gara di fondo detta trofeo “Valligiani”<br />
perché disputata tra sciatori residenti nelle valli alpine)<br />
che le migliori prestazioni dei Formazzini derivassero<br />
anche dal fatto che essi durante le gare non indossavano…<br />
mutande!<br />
Al turismo dei viaggiatori, degli sportivi e dei v<strong>il</strong>leggianti,<br />
come allora erano chiamati gli ospiti estivi (e ta-<br />
Sentieri nella natura.<br />
lora lo sono ancor oggi in alcune località, ad esempio<br />
in Vigezzo) si aggiunse quello degli interessati alle cure<br />
termali. Si affermarono: Bognanco, le cui acque scoperte<br />
nel 1863 dal sacerdote Tichelli ebbero <strong>il</strong> loro primo<br />
sfruttamento commerciale nel 1893 quando le sorgenti<br />
divennero di proprietà dell’avv. Em<strong>il</strong>io Cavallini,<br />
<strong>il</strong> quale fece costruire un Kurhaus e le fece conoscere in<br />
tutta Europa; Crodo, le cui acque erano conosciute dalla<br />
metà dell’Ottocento.<br />
In special modo Bognanco ebbe notevole sv<strong>il</strong>uppo alberghiero<br />
e sotto tale aspetto fu la località ossolana,<br />
dopo Macugnaga, ad avere <strong>il</strong> maggior numero di alberghi<br />
di ogni categoria, dal grand hotel alla pensione fam<strong>il</strong>iare.<br />
Parlando di terme non si possono tralasciare le aquae<br />
calidae dei Bagni di Craveggia, già note nel 1300 che,<br />
tuttavia, non ebbero mai la rinomanza e l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />
turistica che meritano.<br />
In tutte le valli ossolane, esclusa forse Antrona dove una<br />
certa attività turistica si sv<strong>il</strong>uppò molto più tardi, nel<br />
periodo successivo alla prima guerra mondiale, sorsero<br />
attrezzature alberghiere che in gran parte sono quelle<br />
tuttora esistenti.<br />
Ma all’Alpe Veglia l’Albergo Monte Leone, a Devero<br />
l’Albergo Alpino, in Formazza alla Frua l’Hotel Cascata<br />
del Toce erano già aperti negli ultimi decenni dell’Ottocento.<br />
Una struttura particolare e curiosa venne installata vicino<br />
al passo San Giacomo, in alta Val Formazza: su p<strong>il</strong>oni<br />
in cemento, all’inizio degli anni Trenta vennero po-<br />
343
Domobianca, piste da sci.<br />
sati due vagoni ristorante, di quelli normalmente circolanti<br />
sulle ferrovie, ed erano appunto ut<strong>il</strong>izzati come<br />
ristorante (vennero distrutti durante l’ultima guerra e<br />
non sostituiti).<br />
Particolarmente in valle Vigezzo, ma anche un po’<br />
ovunque, per accogliere i “v<strong>il</strong>leggianti”, oltre al potenziamento<br />
delle strutture alberghiere, ebbe sv<strong>il</strong>uppo l’affitto<br />
di case private per la stagione estiva. Si affermò in<br />
tal modo anche un turismo meno élitario e più popolare.<br />
Contribuì a tal fine anche la comodità di comunicazioni<br />
con la Valle data dalla Vigezzina (ufficialmente<br />
Ferrovia Domodossola-Locarno, gestita dalla Società<br />
Subalpina di Imprese Ferroviarie).<br />
Sorsero in quegli anni le Aziende Autonome di Soggiorno<br />
e Cura di Bognanco, Santa Maria Maggiore e Macugnaga<br />
senza, tuttavia, che una struttura pubblica o privata<br />
si imponesse per organizzare, indirizzare, guidare<br />
uno sv<strong>il</strong>uppo unitario del turismo.<br />
344<br />
Fino a tempi recenti, in verità, poche persone credevano<br />
nel turismo come mezzo per risolvere i problemi<br />
economici della nostra Valle. Lo sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />
con la creazione di nuovi stab<strong>il</strong>imenti e l’ampliamento<br />
di quelli esistenti, la costruzione delle dighe e delle<br />
centrali idroelettriche, permettevano di considerare<br />
<strong>il</strong> turismo unicamente come un’attività complementare<br />
la cui realizzazione fosse puramente spontanea ed affidata<br />
a quei pochi privati che, come i parenti delle prime<br />
guide alpine, trasformavano le loro case in pensioni<br />
o alberghi. Tutto ciò, spesso nell’indifferenza più totale<br />
dei valligiani che vedevano nei v<strong>il</strong>leggianti soltanto dei<br />
potenziali disturbatori della quiete dei loro paesi e danneggiatori<br />
di raccolti.<br />
Si dice che qualcuno a Formazza, ai tempi della costruzione<br />
della strada carrozzab<strong>il</strong>e, abbia detto che, per <strong>il</strong><br />
bene del paese, sarebbe stato opportuno poter arrotolare<br />
<strong>il</strong> nastro stradale come un tappeto e riportarlo a Domodossola…<br />
Privo di ogni coordinamento, di un minimo di programmazione<br />
ed anche di un forte apporto economico<br />
unitario, lo sv<strong>il</strong>uppo dell’attività turistica ossolana sentì<br />
<strong>il</strong> difetto dell’incremento spontaneo.<br />
Seppure in alcune località ebbe sv<strong>il</strong>uppo la capacità ricettiva,<br />
ben raramente fu accompagnata da strutture<br />
pubbliche adeguate (cinema, teatro, palestra, campo<br />
sportivo, campi da tennis) così che rispetto ad altre località<br />
turistiche di altre valli alpine (Valle d’Aosta, Valtellina,<br />
Trentino) quelle ossolane restarono sempre in<br />
secondo piano e non ebbero quella notorietà che altre<br />
località, non più notevoli dal punto di vista ambientale,<br />
seppero raggiungere.<br />
Venne la guerra del 1940 e di turismo si parlò poco anche<br />
se l’Ossola fu frequentata da quei particolari turisti<br />
che erano gli “sfollati” delle città della pianura, sottoposte<br />
a bombardamenti aerei e quegli altri, anche più<br />
disperati che, ricercati dalle autorità m<strong>il</strong>itari per motivi<br />
razziali o politici (ebrei ed antifascisti), tentavano di<br />
raggiungere la Svizzera.<br />
Con <strong>il</strong> dopoguerra, riprendendo la vita normale, prese<br />
nuovamente fiato <strong>il</strong> turismo, ma ancora una volta l’Ossola<br />
si presentò a questo appuntamento con l’economia<br />
senza un progetto unitario, non si dice per tutta la valle,<br />
ma almeno valle per valle.
In ogni paese ogni iniziativa turistica venne lasciata a se<br />
stessa. Sorse qualche impianto di risalita sciistica (lo sci<br />
cominciava a conoscere quelle fortune che oggi ne fanno<br />
un polo economico eccezionale) ma sempre senza<br />
essere inserito in un adeguato piano. Si pensi ad esempio<br />
che <strong>il</strong> primo ski-lift venne installato al Devero, località<br />
servita allora, simo negli anni ’50, da una funivia<br />
con portata di circa 50-60 persone all’ora e ciò mentre<br />
in località della Valsesia erano già in funzione impianti<br />
da almeno 1.000 persone all’ora!<br />
Ancora una volta Macugnaga fu all’avanguardia rispetto<br />
alle altre località ossolane e installò da prima una<br />
seggiovia e successivamente due funivie e numerosi sk<strong>il</strong>ift,<br />
seguì poi una seggiovia anche a Formazza e un po’<br />
ovunque sorsero impianti di risalita alla Piana di Vigezzo,<br />
in Val Baranca a Bannio, a Cheggio in Antrona, a<br />
Goglio, a San Domenico, Domobianca.<br />
Tuttavia, questi impianti ebbero ed hanno la caratteristica<br />
di non essere integrati in una stazione turistica<br />
vera e propria. Anche <strong>il</strong> più recente e moderno impianto<br />
di San Domenico Neve, pur avendo innegab<strong>il</strong>i pregi<br />
di modernità ed efficienza ha, a giudizio di chi scrive, <strong>il</strong><br />
grave difetto di non essere stato programmato e realizzato<br />
in un contesto più <strong>completo</strong> di attività. Nell’epoca<br />
dello ski-totale non è più possib<strong>il</strong>e creare stazioni sciistiche<br />
che non abbiano capacità ricettiva sufficiente per<br />
ospitare un numero di persone proporzionato alla portata<br />
degli impianti, oppure assoluta insufficienza di posti<br />
macchina o pullman nei parcheggi. Lo sv<strong>il</strong>uppo turistico<br />
degli anni ’60-’70 è stato caratterizzato dalla corsa<br />
degli <strong>It</strong>aliani alla “seconda casa”. Anche l’Ossola è<br />
entrata in questo grande affare ed ancora una volta la<br />
mancanza di piani, di programmazione e di organizzazione<br />
(molti comuni erano privi di piani regolatori), le<br />
ha impedito di sfruttare appieno questa occasione per<br />
dare un’impronta veramente moderna al suo turismo.<br />
La mancanza di visione unitaria del problema, non si<br />
dice in tutta l’Ossola, ma almeno in ogni valle, e la<br />
mancanza di una programmazione moderna e “scientifica”<br />
del fenomeno, ha permesso <strong>il</strong> sorgere di agglomerati<br />
abitativi o l’incremento ed<strong>il</strong>izio di paesi e frazioni<br />
senza la creazione di quelle infrastrutture, anche minime,<br />
indispensab<strong>il</strong>i per rendere adeguatamente sfruttab<strong>il</strong>e<br />
turisticamente un complesso di edifici.<br />
Ma allora la visione del turismo ossolano è solo pessimistica?<br />
Certamente non è tutto negativo, molte cose sono state<br />
fatte e bene e c’è la capacità dei singoli di impegnarsi<br />
per migliorare le strutture esistenti (molti alberghi sono<br />
stati rimodernati); impianti di risalita, forse non perfettamente<br />
integrati, ma sono stati costruiti un po’ ovunque,<br />
e di tutto ciò si devono ringraziare quegli operatori<br />
che, fiduciosi del loro impegno, non si sono arresi davanti<br />
alle difficoltà e alla crisi.<br />
Qualche serio ed organico progetto di struttura turistica<br />
venne fatto, purtroppo non seguito dalla sua realizzazione,<br />
vedasi <strong>il</strong> progetto VE.DE-FOR che avrebbe<br />
dovuto interessare l’Alpe Veglia, <strong>il</strong> Devero e l’alta Formazza,<br />
ma che per mancanza di finanziamento adeguato<br />
alla grandiosità delle idee non decollò mai.<br />
Dieci anni dopo: luci e ombre<br />
Dal 1995 ad oggi molto è cambiato. La deindustrializzazione<br />
del territorio ossolano e <strong>il</strong> progressivo spopolamento<br />
delle montagne hanno modificato gli assetti economici<br />
e trasformato <strong>il</strong> tessuto sociale dell’intera valle.<br />
Tutto questo ha reso indispensab<strong>il</strong>e ricercare idee e spazi<br />
nuovi, percorrere strade mai finora percorse per rivitalizzare<br />
i comparti produttivi e commerciali. Ed <strong>il</strong> turismo<br />
è stato da più parti individuato come un settore<br />
di notevoli potenzialità.<br />
Un certo vigore ed uno sforzo innovativo si sono in parte<br />
sostituiti alla ben nota carenza di iniziativa locale, che<br />
in passato ha ostacolato l’armonioso sv<strong>il</strong>uppo di settori<br />
economici portanti. Se ciò ha favorito un trend positivo<br />
del settore terziario (modesto ma costante), in special<br />
modo nel turismo e nel commercio ad esso correlato,<br />
ancora non sembrano raggiunti quegli standard<br />
“sostenuti e sostenib<strong>il</strong>i” che possano offrire significative<br />
garanzie di crescita.<br />
Le antiche ombre continuano ad offuscare le nuove<br />
luci.<br />
Certo si è radicalmente modificato anche <strong>il</strong> concetto di<br />
“turismo”, vocabolo coniato nell’Ingh<strong>il</strong>terra di fine Settecento<br />
per designare una pratica aristocratica, <strong>il</strong> Gran<br />
Tour, che portò gli intellettuali più curiosi ed intraprendenti<br />
del periodo a spasso per i paesi europei. La parola<br />
“turismo”, in fondo, venne accolta nel vocabolario ita-<br />
345
Equitazione in riva al lago delle fate in Val Quarazza.<br />
liano solo intorno agli anni ’50: stiamo parlando quindi<br />
di un concetto relativamente giovane soprattutto per<br />
le popolazioni alpine che, chiuse in un territorio periferico<br />
e di confine, hanno imparato gradualmente a condividere<br />
i loro territori con <strong>il</strong> mondo esterno. E a comprendere<br />
la necessità di confrontarsi con altre realtà, ad<br />
uscire loro stessi dai confini naturali per ritornarci con<br />
nuove conoscenze ed esperienze.<br />
Già, <strong>il</strong> turismo in un decennio è cambiato. Oggi si presenta<br />
sempre di più una tipologia di turista dagli interessi<br />
diversificati, “di nicchia”, che pretende risposte<br />
professionali ed adeguate in tema di turismo ecologico,<br />
naturalistico, ambientale, escursionistico, termale, religioso,<br />
eno-gastronomico, culturale, congressuale, estivo<br />
ed invernale…<br />
L’eco-turismo<br />
Gli anni ’90 hanno visto l’istituzione delle più grandi<br />
aree protette ossolane.<br />
Nel 1992 l’istituzione del Parco Nazionale della Val<br />
346<br />
Grande riconobbe <strong>il</strong> valore “w<strong>il</strong>derness” dell’area selvaggia<br />
più grande d’<strong>It</strong>alia; nel 1995 furono unificate le aree<br />
del Veglia e del Devero, dando vita ad un parco regionale<br />
di 108 kmq. di territorio salvaguardato; nel 1991<br />
la Regione Piemonte istituì la Riserva Naturale Speciale<br />
del Sacro Monte Calvario di Domodossola, nel luglio<br />
del 2003 divenuto Patrimonio mondiale dell’Unesco;<br />
e poi ancora nel 1990 l’oasi Naturale del Bosco Tenso<br />
di Premosello Chiovenda fu istituita dal Comune e dal<br />
Wwf per tutelare <strong>il</strong> residuo di bosco nella valle del Toce;<br />
infine nel 1998 <strong>il</strong> Comune di Malesco e di V<strong>il</strong>lette con<br />
<strong>il</strong> Wwf istituirono l’Oasi Naturale del Pian dei Sali per<br />
la tutela di un tipico ambiente umido di montagna.<br />
Queste aree, unite a quelle già esistenti in provincia (la<br />
Riserva Naturale Speciale di Fondotoce, la Riserva Naturale<br />
Speciale del Sacro Monte di Ghiffa, l’Oasi Faunistica<br />
di Macugnaga e <strong>il</strong> Giardino botanico Alpinia di<br />
Stresa) hanno consentito, a ragione, di battezzare <strong>il</strong> Vco<br />
come “Provincia Parco”, grazie ai suoi 280 kmq. di territorio<br />
protetto, pari al 12,5% dell’intera superficie pro-
vinciale. Le aree protette diventano quindi punto di riferimento<br />
per i cosiddetti “eco-turisti”, coloro i quali<br />
scelgono come meta di vacanza zone amene, lontane<br />
dalla modernità esasperata e che soprattutto conservano<br />
intatti gli ecosistemi e le risorse ambientali. Indispensab<strong>il</strong>i<br />
compagni di viaggio sono diventati i numerosi<br />
libri-guida e manuali di sentieristica locale che, per<br />
completezza di dati tecnici e perizia degli autori, hanno<br />
avuto buona diffusione. Il turismo sostenib<strong>il</strong>e, quindi,<br />
inteso come creazione di reddito per la comunità locale,<br />
unito alla protezione degli ecosistemi, diventa un’opportunità<br />
da non lasciarsi sfuggire. Le aree protette più<br />
attive nell’ultimo decennio sono state in grado di investire<br />
nella sistemazione dei sentieri, hanno realizzato<br />
percorsi didattici, centri visita, serate a tema e progetti<br />
legati alla salvaguardia della flora e della fauna.<br />
Nel parco Veglia-Devero, per esempio, sono stati finanziati<br />
due progetti per <strong>il</strong> recupero di edifici storici, che<br />
hanno lo scopo di incrementare la ricezione alberghiera<br />
senza stravolgere <strong>il</strong> paesaggio originale: <strong>il</strong> “Monte Leone”<br />
al Veglia, inaugurato nel 1884, ha ottenuto un cospicuo<br />
finanziamento dalla Regione Piemonte per la<br />
sua ristrutturazione; <strong>il</strong> “Cervandone” al Devero, chiuso<br />
dal 1973, è ora stato acquistato dall’ente parco e dal<br />
Comune di Baceno con lo scopo dichiarato di riportarlo<br />
in vita. Certo questi ambienti di alta montagna hanno<br />
ancora difficoltà di accesso, legate alla mancanza di<br />
adeguate infrastrutture viarie. Ma per ovviare in parte<br />
alla carenza di parcheggi, dall’anno 2000 a Devero<br />
è stato messo a disposizione un servizio di bus-navetta<br />
ed è tuttora in corso di realizzazione un ampio parcheggio<br />
interrato.<br />
Nell’area w<strong>il</strong>derness della Val Grande, per citare un altro<br />
esempio, l’ente ha optato per una politica differente,<br />
concentrando gli sforzi anche su un Centro di Educazione<br />
Ambientale, nato a Cossogno con <strong>il</strong> nome di “Acquamondo”<br />
e sul Museo di Malesco, considerato che la<br />
natura del territorio è caratterizzata per la gran parte da<br />
sentieri adatti ad escursionisti esperti<br />
Gli sforzi degli enti parco e degli operatori sono giustificati<br />
anche dalla costante crescita della domanda di<br />
ecoturismo in <strong>It</strong>alia: si stima infatti che questa nicchia<br />
di mercato assorba circa <strong>il</strong> 2% del turismo globale, con<br />
una crescita annua elevata e costante, per certi versi sor-<br />
prendente. A dimostrazione del fatto che, quando i finanziamenti<br />
si riferiscono a progetti credib<strong>il</strong>i e realizzab<strong>il</strong>i,<br />
i risultati sono concreti, anche in Val d’Ossola.<br />
Il turismo enogastronomico<br />
Ma veniamo ora al turismo “eno-gastronomico”, direttamente<br />
collegato al precedente.<br />
Il desiderio dichiarato di aria aperta, natura e genuinità<br />
ha fatto crescere un altro settore, legato alle produzioni<br />
tipiche agroalimentari. I prodotti lattiero-caseari,<br />
con <strong>il</strong> formaggio Bettelmatt che ha assunto un ruolo di<br />
prim’ordine nel settore grazie alla notorietà che ha acquisito,<br />
in attesa di avere <strong>il</strong> riconoscimento di denominazione<br />
d’origine protetta, sono ancora considerati dai<br />
turisti prelibatezze da acquistare prima di tornare in città.<br />
Ma non solo. I turisti e i v<strong>il</strong>leggianti sono presi per la<br />
gola da una gastronomia che, seppur fatta con prodotti<br />
“di nicchia”, ha fatto passi da gigante, perfezionandosi<br />
nella qualità. Dai vini ossolani come <strong>il</strong> vecchio Prunent,<br />
accompagnato dal Ca’ d’Matè, dal Merlot, Balòss, Noev<br />
Bruschett, e Cà d’Susana, che da dieci anni a questa<br />
parte sono sottoposti ad un progetto di valorizzazione<br />
curato dalla Comunità Montana Valle Ossola, fino ad<br />
arrivare ai gustosi insaccati, al miele, al pane nero di segale,<br />
ai prosciutti vigezzini, i ristoratori hanno materia<br />
prima a sufficienza per proporre menù esclusivamente<br />
ossolani. Una nuova tipologia di turismo si è quindi<br />
sv<strong>il</strong>uppata grazie alla periodica realizzazione di rassegne<br />
gastronomiche itineranti nelle diverse vallate, nelle<br />
quali si propongono menù tematici. Ricordiamo, tanto<br />
per citarne alcune, le rassegne “I sentieri del gusto”, per<br />
iniziativa del parco Val Grande, “A…mico fungo”, per<br />
conoscere le specie commestib<strong>il</strong>i dei boschi ossolani, e<br />
poi ancora “Riso e lago”, che negli ultimi anni ha fatto<br />
tappa nell’Ossola. E a perpetrare <strong>il</strong> piacere della degustazione<br />
delle cose buone di montagna continuano, in<br />
estate, a dispensare cibi nostrani le varie sagre dei mirt<strong>il</strong>li<br />
a Bognanco, della patata a Montecrestese, dell’uva<br />
a Masera, del fungo a Trontano...<br />
Il turismo termale<br />
Una nicchia di mercato tuttora in fase di studio, ma ancora<br />
lontano dal possib<strong>il</strong>e sfruttamento a livello economico<br />
sembra essere <strong>il</strong> “termalismo”, considerato dagli<br />
347
amministratori provinciali nel 2003 obiettivo primario<br />
per una provincia “salutistica”. Le stazioni termali presenti<br />
nel Vco possono infatti costituire un polo di benessere,<br />
un valore aggiunto all’offerta del territorio.<br />
In totale sono undici le località di tutto <strong>il</strong> Vco (nove<br />
delle quali in Ossola) che vantano una risorsa di acque<br />
minerali: si tratta di Bognanco, Crodo, Baceno, Premia,<br />
Trasquera, Craveggia, Malesco, Vanzone con S. Carlo,<br />
Macugnaga, Baveno e Cannobio. Undici punti di forza,<br />
la cui qualità delle acque che sgorgano dalle fonti rappresenta<br />
un patrimonio da sfruttare.<br />
Alcune di queste sono state oggetto di massicci interventi<br />
pubblici e privati: Bognanco si candida a divenire<br />
un polo d’eccellenza, grazie all’imprenditoria privata<br />
che ha acquisito di recente la società delle terme. Anche<br />
a Premia, in Valle Antigorio, è in fase di costruzione<br />
un moderno stab<strong>il</strong>imento termale che prevede una<br />
potenzialità ricettiva di almeno 150 utenti al giorno. A<br />
Vanzone, in Valle Anzasca, esiste una vasta area a disposizione<br />
per la costruzione di una struttura termale e un<br />
centro benessere, che potrebbe sfruttare la sorgente di<br />
acqua arsenicale-ferruginosa che contiene acido carbonico,<br />
detta “Vanzonis”. L’acqua Vanzonis agli inizi del<br />
Novecento era venduta in piccole bottiglie e le sue proprietà<br />
terapeutiche erano ben note ai turisti inglesi. Per<br />
La ferrovia Domodossola - Locarno.<br />
348<br />
non parlare di Crodo, luogo che ha dato i natali al conosciuto<br />
aperitivo biondo, <strong>il</strong> “Crodino”, o di Craveggia,<br />
in Valle Vigezzo, la cui sorgente ha un’acqua termominerale<br />
che sgorga ad una temperatura di 28°C.<br />
Qui sorse nel 1823 uno stab<strong>il</strong>imento dei Bagni, poi distrutto<br />
da un incendio nel 1881, ricostruito e ridistrutto<br />
da una valanga nel 1951. Ora esiste quindi soltanto<br />
l’area disponib<strong>il</strong>e alla ricostruzione. Sono undici realtà<br />
che rappresentano un bene naturalistico invidiab<strong>il</strong>e,<br />
ma che necessitano ancora di incentivi e di imprenditori<br />
lungimiranti in grado di operare per sfruttare al meglio<br />
le caratteristiche uniche delle acque.<br />
Il turismo religioso<br />
E vediamo ora <strong>il</strong> punto di svolta del turismo “religioso”.<br />
I sentieri della fede realizzati all’interno del Sacro<br />
Monte Calvario, <strong>il</strong> sito nominato dall’Unesco <strong>il</strong> 3 luglio<br />
del 2003 “Patrimonio dell’umanità”, hanno attirato<br />
in questi ultimi anni un numero sempre crescente<br />
di visitatori. L’ente che gestisce l’intera area ha messo a<br />
punto una rete di offerte che soddisfano le richieste di<br />
un’utenza sempre più sofisticata ed esigente, alla ricerca<br />
di spiritualità e pace in un ambiente che, dal punto di<br />
vista storico ed artistico, ha tesori inestimab<strong>il</strong>i da offrire<br />
allo sguardo. Il complesso monumentale delle 15 cap-
pelle, i resti del Castello Mattarella, i reperti archeologici<br />
e la Via dei Torchi e dei Mulini, ripristinata in questi<br />
anni, hanno reso la Riserva naturale un luogo dinamico<br />
e vivo, al riparo da impatti ambientali negativi, e<br />
meta pred<strong>il</strong>etta non solo di pellegrini, ma anche di scolaresche.<br />
Trend in crescita dunque anche per questo settore che,<br />
con la spinta propulsiva dell’anno del Giub<strong>il</strong>eo e grazie<br />
al sempre frequentato Santuario di Re, che richiama<br />
ogni anno decine di migliaia di pellegrini, non ci sta a<br />
fare <strong>il</strong> fanalino di coda del comparto, ma si è ritagliato<br />
di anno in anno una fetta consistente della torta. L’incremento<br />
di presenze al Sacro Monte Calvario è andato<br />
al di là di ogni aspettativa: nel 1999 si sono contati circa<br />
4.400 visitatori, cresciuti a 9.415 nel 2000, a 14.300<br />
nel 2001, a 16.590 nel 2002, fino ad arrivare a 17.500<br />
presenze nel 2003. Ancora una volta, quindi, <strong>il</strong> cambio-marcia<br />
è stato effettuato da un’area protetta che ha<br />
convenientemente saputo sfruttare appieno le proprie<br />
potenzialità, imponendosi in un contesto che supera i<br />
confini locali, moltiplicando e diversificando l’offerta.<br />
Certamente l’onorificenza ottenuta dall’Unesco fornisce<br />
un’occasione che dev’essere da più parti riconosciuta<br />
e raccolta, affinché <strong>il</strong> Calvario non rimanga relegato<br />
nel suo “splendido isolamento”, ma possa interpretare<br />
<strong>il</strong> ruolo di centro di proposta ogni giorno più fruib<strong>il</strong>e<br />
da un pubblico colto e rispettoso, da cittadini del<br />
mondo attenti ed esigenti nei confronti dei valori artistici<br />
e culturali.<br />
Il turismo invernale ed estivo<br />
Se prendiamo in considerazione <strong>il</strong> turismo invernale,<br />
l’iniziativa più lodevole, sebbene realizzata con decenni<br />
di ritardo rispetto ad altre località dell’arco alpino, è<br />
l’istituzione del comprensorio sciistico “Neveazzurra”,<br />
che include le ossolane Macugnaga, Domobianca, San<br />
Domenico-Ciamporino, l’alpe Devero, la Valle Vigezzo<br />
e la Valle Formazza, oltre al Pian di Sole di Premeno<br />
e al Mottarone.<br />
Neveazzurra, dal 2001, si è proposta di effettuare<br />
un’azione di marketing su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale,<br />
promuovendo lo sport alpino con l’aiuto delle nuove<br />
tecnologie, in vista dell’auspicato r<strong>il</strong>ancio atteso per le<br />
Olimpiadi invernali di Torino 2006. Gli otto compren-<br />
sori con i loro 140 km. di piste da discesa e 42 impianti<br />
di risalita si propongono su un sito internet <strong>completo</strong><br />
di webcam per dare in tempo reale le immagini di ogni<br />
località, le condizioni meteo e di innevamento. La passione<br />
per lo sci di fondo può essere espressa in cinque<br />
comprensori dotati di oltre 80 km. di piste: a Macugnaga,<br />
San Domenico, Devero, Vigezzo e Formazza. A<br />
completare l’offerta le piste di snow-board, pattinaggio<br />
su ghiaccio o le pareti di arrampicata. E’ la prima volta<br />
che in Ossola si tenta un approccio più moderno.<br />
Si tenta di far dialogare, con un unico linguaggio di<br />
marketing, le genti delle valli e, finalmente, si propone<br />
in via sperimentale una sorta di ski-pass unico ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e<br />
nelle differenti stazioni. Nonostante <strong>il</strong> passo avanti,<br />
siamo ahimè in ritardo e, in un quadro altamente<br />
concorrenziale, rappresentato da stazioni sciistiche all’avanguardia<br />
e fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>i, continuiamo a<br />
far la parte del “parente povero”. Eppure i denari sono<br />
giunti in abbondanza.<br />
Cospicui finanziamenti sono stati promessi, per esempio,<br />
per realizzare opere di accompagnamento alle Olimpiadi<br />
del 2006 e, fra le più significative, vale la pena ricordare<br />
<strong>il</strong> nuovo centro di fondo agonistico di Formazza,<br />
l’impianto antivalanghe di Macugnaga, i nuovi impianti<br />
di Domobianca e <strong>il</strong> collegamento sciab<strong>il</strong>e Bognanco-Domobianca.<br />
Quest’ultimo, a dire <strong>il</strong> vero, oggetto<br />
di perplessità e di polemiche che, non a torto, <strong>il</strong><br />
progetto ha suscitato se si considera la scarsa fruib<strong>il</strong>ità<br />
dell’area e giustificato appare lo scetticismo che gli ossolani<br />
hanno dimostrato nei confronti dell’opera. Tutto<br />
sommato, pare che l’Ossola godrà di benefici marginali<br />
in occasione dei giochi olimpici invernali. La speranza<br />
è che tali finanziamenti promessi si traducano in opere<br />
valide che restino a disposizione della gente. E’ questo<br />
che fa la differenza… staremo a vedere.<br />
Altri denari sono giunti come finanziamenti europei di<br />
progetti Interreg, per incentivare i rapporti transfrontalieri<br />
tra <strong>It</strong>alia e Svizzera. L’argomento meriterebbe un<br />
capitolo a parte, che dovrebbe trattare, tra l’altro, i fantomatici<br />
mega-progetti di metrò alpini. Uno studio di<br />
fattib<strong>il</strong>ità ha interessato <strong>il</strong> versante italiano di Macugnaga<br />
e quello svizzero di Saas Fee e avrebbe previsto un<br />
tunnel lungo 3 km. e mezzo per un costo complessivo<br />
di 300 m<strong>il</strong>iardi di vecchie lire.<br />
349
Un altro studio ha interessato la Valle Formazza e Bosco<br />
Gurin: <strong>il</strong> Walser Metrò avrebbe rappresentato un<br />
collegamento veloce mediante funicolare: costo previsto<br />
50 m<strong>il</strong>iardi di lire. Considerata l’ovvia impraticab<strong>il</strong>ità,<br />
questi ed altri numerosi progetti sono rimasti sulla<br />
carta e possiamo quindi affermare senza possib<strong>il</strong>ità di<br />
smentita che non sempre <strong>il</strong> denaro pubblico è stato speso<br />
al meglio…<br />
Ma vediamo qualche dato. Secondo un’indagine sulla<br />
stagione invernale 2002-2003, promossa dall’Osservatorio<br />
turistico regionale, l’Ossola nell’inverno del 2002<br />
avrebbe mantenuto un terzo posto nella graduatoria regionale,<br />
dopo Val di Susa e Cuneese, contando su quasi<br />
36.000 presenze e un mercato estero proveniente da<br />
Regno Unito, Francia, Germania e Svizzera.<br />
Le presenze turistiche sono comunque scarse, variab<strong>il</strong>i<br />
e dipendenti dalle condizioni d’innevamento e, senza<br />
dubbio, in ribasso rispetto alle stagioni invernali del<br />
1992, 1997 e 1998 in cui si sono toccate le 60.000 presenze.<br />
Per quanto riguarda la stagione estiva, vanno<br />
presi in considerazione, oltre al turismo più tradizionale,<br />
residenziale, decisamente influenzato dalle variab<strong>il</strong>i<br />
meteorologiche, anche quello “sportivo”, calamitato<br />
dai numerosi eventi organizzati e da attività praticab<strong>il</strong>i<br />
in zona.<br />
Mountain bike, gare ciclistiche e podistiche, trekking,<br />
parapendio, arrampicate si affiancano ora alle attività<br />
tradizionali di caccia e pesca, tutti settori in crescita<br />
promettente.<br />
Dati e numeri su arrivi e presenze<br />
Analizzando alcuni dati, forniti dall’Osservatorio del<br />
Turismo della Provincia del Vco e relativi agli arrivi e<br />
alle presenze turistiche nelle cinque Comunità Montane<br />
– Valle Ossola, Monte Rosa, Valle Vigezzo, Antrona,<br />
Antigorio-Divedro-Formazza – risulta che l’anno nero<br />
è stato <strong>il</strong> 2002, con un b<strong>il</strong>ancio che segna un totale di<br />
64.362 arrivi e 259.886 presenze, mentre anno decisamente<br />
positivo è stato <strong>il</strong> 1997, che ha registrato 72.234<br />
arrivi e ben 329.006 presenze. Il grafico sottostante potrebbe<br />
chiarire quali siano state, dal 1995 al 2003, le<br />
destinazioni ossolane prescelte dai turisti.<br />
I numeri non sono confortanti specialmente per quelle<br />
zone, come la Valle Anzasca, che in un passato non<br />
350<br />
Comunità<br />
Montana<br />
arrivi<br />
complessivi<br />
presenze<br />
complessive<br />
Monte Rosa 135.400 648.519<br />
Valle Antrona 7.000 34.816<br />
Valle Ossola 213.373 777.247<br />
Valle Vigezzo 151.622 813.882<br />
Valli Antigorio Formazza 110.331 468.474<br />
(Presenze e arrivi complessivi per Comunità Montana dal 1995 al<br />
2003 compresi. Fonte: Osservatorio del turismo provincia del Vco).<br />
lontano godettero di fama internazionale. Di sicuro<br />
ha finito col pesare negativamente l’evidente ritardo di<br />
rinnovamento dell’intera stazione di Macugnaga, con<br />
un’offerta assai poco diversificata e poco attenta ai bisogni<br />
del nuovo turista che, in altre zone alpine, trova ben<br />
altre infrastrutture.<br />
Le strutture ricettive e le infrastrutture<br />
Per quanto riguarda l’offerta di posti letto in Ossola,<br />
tra alberghieri ed extra-alberghieri, l’osservatorio turistico<br />
regionale nel 2002 li stima in 6.555; i posti letto<br />
nelle altre tipologie di abitazione sarebbero <strong>il</strong> doppio:<br />
12.443. Il turismo legato alla “seconda casa” è ancora<br />
quello trainante e le strutture alberghiere esistenti<br />
sarebbero sottout<strong>il</strong>izzate, o meglio, funzionanti a pieno<br />
regime solo in alcuni brevi periodi dell’anno. Non mancano<br />
però segnali di crescita, in particolare per quei ricoveri<br />
che garantiscono buona ospitalità a basso costo:<br />
basti pensare al circuito di bed & breakfast, di agriturismi<br />
e al numero di ristrutturati bivacchi e rifugi alpini<br />
che da qualche anno si propongono sul mercato. Il turismo<br />
“mordi e fuggi” caratterizza ancora le montagne<br />
ossolane e <strong>il</strong> periodo di soggiorno medio in zona non<br />
arriva ai tre giorni.<br />
Certo i nostri turisti sono spesso maltrattati da una rete<br />
stradale vecchia e sgangherata. Pensiamo quali danni ha<br />
subito l’Ossola in seguito all’alluvione del 2000: Macugnaga<br />
isolata per settimane, Bognanco e le sue frazioni<br />
colpite duramente, così come i paesi della valle Divedro.<br />
Ma a ricordare la paura di quei giorni resta una<br />
ferita che pare insanab<strong>il</strong>e: la strada statale 33 del Sempione.<br />
Crollata per un lungo tratto nei pressi di Masera,<br />
quella ferita è ancora lì – e pare vittima di un bombardamento<br />
- a mostrare ai turisti <strong>il</strong> nostro misero biglietto
da visita. A quattro anni di distanza, nel corso dell’estate<br />
2004 sembra che si sia dato avvio ai lavori. Il condizionale<br />
è d’obbligo. Maltrattati sono anche i viaggiatori<br />
che decidono di sostare a Domodossola anche solo per<br />
poche ore: arrivando alla stazione “internazionale” non<br />
troveranno ahimè neppure un deposito in cui lasciare i<br />
propri bagagli. Il moderno ‘movicentro’, ben organizzato<br />
con la nuova stazione di servizio bus, ne è purtroppo<br />
sprovvisto.<br />
La cultura dell’accoglienza<br />
Insomma, sul turismo come via di scampo da un’economia<br />
in crisi d’identità qualcuno ci ha sperato e ci spera<br />
tuttora. Qualcuno ha sperato persino d’incrementare<br />
conoscenze e professionalità varando un corso di Laurea<br />
triennale in promozione e gestione del turismo, con<br />
sede nella prestigiosa residenza del Collegio Rosmini<br />
di Domodossola. Sembrerebbe però che, dopo soli tre<br />
anni accademici, l’Università del Piemonte Orientale<br />
sia destinata a trasferire <strong>il</strong> corso a Stresa. E così un’altra<br />
bolla di sapone scoppia tra le mani degli ossolani.<br />
A vegliare sui turisti stanziali e di passaggio restano sempre<br />
le vetuste associazioni e una ventina di pro loco che<br />
mantengono vivo quel contatto quotidiano con chi in<br />
Ossola ci viene per trascorrere <strong>il</strong> proprio tempo libero.<br />
Nel 1983 furono sciolti gli enti provinciali per <strong>il</strong> turismo<br />
e le aziende autonome di cura soggiorno e turismo<br />
e istituite le A.p.t., aziende di promozione turistica. Negli<br />
anni ’90 anche le A.p.t. furono messe in liquidazione<br />
e, nel 2000, prese <strong>il</strong> loro posto <strong>il</strong> Distretto Turistico<br />
dei laghi e delle Valli dell’Ossola, una società a capitale<br />
misto pubblico-privato con lo scopo di promuovere<br />
congiuntamente le risorse turistiche di laghi e monti.<br />
Un obiettivo forse non perfettamente raggiunto, considerato<br />
che, pubblicazioni e siti internet a parte, non si<br />
è ancora visto nei fatti un circuito coordinato che possa<br />
unire a doppio f<strong>il</strong>o turismo lacustre e turismo montano.<br />
Ed è questo forse <strong>il</strong> punto di partenza – o la tappa<br />
fondamentale – per pianificare sulla carta, prima di<br />
testare sul campo, un vero e proprio decollo del turismo<br />
moderno. Certamente la vivacità degli ossolani è<br />
Sport del cielo.<br />
sotto gli occhi di tutti: la spinta creativa e i motivi di richiamo<br />
non mancano, ma i m<strong>il</strong>le rivoli di questo entusiasmo<br />
troppo spesso finiscono con l’esaurirsi. Le molte<br />
energie, nel privato e nel pubblico, andrebbero selezionate<br />
e raccolte in un unico collettore perché diventino<br />
caleidoscopio di iniziative di pregio da offrire a 360<br />
gradi. Se è vero che <strong>il</strong> turismo è ormai considerato ‘industria’<br />
e costituisce uno dei p<strong>il</strong>astri economici del nostro<br />
Paese, come ogni industria va organizzato, pensato<br />
e sorretto da piani strategici di investimenti, di analisi<br />
delle disponib<strong>il</strong>ità di risorse umane, di territorio e di<br />
buona volontà. Tutto questo significa coltivare la ‘cultura<br />
dell’accoglienza’, un sistema in cui non dovrebbero<br />
trovare più spazi vitali l’autodidattica, <strong>il</strong> fai-da-te, l’improvvisazione.<br />
Ci vorrà ancora tempo, ma siamo sulla buona strada. E<br />
quando arriveremo, <strong>il</strong> vecchio e fortunato slogan “Ossola,<br />
un mondo speciale” acquisterà <strong>il</strong> suo più forte significato.<br />
351
Lo Sport<br />
Cesare Melchiorri<br />
Alpinismo<br />
La vallata ossolana, circondata da monti, non poteva<br />
che essere, come tuttora è, una fert<strong>il</strong>e fucina di alpinisti<br />
e di appassionati di montagna. Ne è prova che a Domodossola<br />
nel dicembre 1889 venne fondata la sezione<br />
C.A.I., una fra le prime in <strong>It</strong>alia. Nel settembre 1954<br />
ospitò i lavori del 66° Congresso Nazionale del Club<br />
Alpino <strong>It</strong>aliano.<br />
Attive sono le sezioni C.A.I. di V<strong>il</strong>ladossola, Piedimulera,<br />
Macugnaga, Vigezzo, Bognanco, Formazza, organizzatrici<br />
di escursioni e scuole di alpinismo e sci alpinismo.<br />
Nel 1899 nasce la Società Escursionisti Ossolani (S.E.O)<br />
con sede a Piedimulera e dal 1926 a Domodossola, che<br />
raccolse intorno a sé <strong>il</strong> fior fiore dell’alpinismo ossolano<br />
(Ettore Allegra, Gian Domenico Ferrari, Tito Chiovenda,<br />
Giovanni Rigotti, Francesco Zani, Ettore Rigotti<br />
e altri) e pubblicò già nel 1901 a proprie spese la Guida<br />
delle Alpi Ossolane del Brusoni, nel 1910 Verso l’Azzurro<br />
e nel 1931 L’Ossola e le sue valli di Giovanni De<br />
Maurizi.<br />
Recentemente le cronache alpinistiche italiane si sono<br />
occupate delle doti tecniche e del coraggio di alcune<br />
guide ossolane. Lungo sarebbe elencarle tutte: vi è la<br />
soddisfazione che fra i molti appassionati che dedicano<br />
<strong>il</strong> loro tempo libero alla montagna stiano emergendo alcuni<br />
giovani promettenti come scalatori e rocciatori.<br />
Per andar un poco oltre la notorietà nazionale, possiamo<br />
citare, per aver partecipato a spedizioni alpinistiche<br />
extra-europee, S<strong>il</strong>vio Borsetti, Claudio Schranz, Giuseppe<br />
Oberto, Mauro Rossi, Walter Berardi, Claudio<br />
Giorgis, Fabrizio Manoni, Graziano Masciaga, Paolo<br />
Stoppini, Roberto Pè, Valerio Poggiani, Rinaldo Dell’Ava,<br />
Carlo Tabarini, Ugo Cova, Giorgio Giudici, Dan<strong>il</strong>o<br />
Bev<strong>il</strong>acqua e Carlo Benedetti.<br />
Molteplici le iniziative per i giovani rendendoli partecipi<br />
a passeggiate ed escursioni secondo le età. Emerge su<br />
tutte la realizzazione da qualche decennio della Scuola<br />
di sci che si effettua agli inizi di ogni anno con guide ed<br />
istruttori della sezione e larga partecipazione.<br />
Attuale presidente è Giuseppe Bonzani, succeduto all’infaticab<strong>il</strong>e<br />
Dino Del Custode in carica dal 1994,<br />
dopo la gestione di Antonio Galtarossa.<br />
Fiore all’occhiello della sezione è la costruzione del Rifugio<br />
Margaroli, al Vannino nell’alta Val Formazza, oltre<br />
ai miglioramenti effettuati a quello di Vallaro in Valle<br />
Bognanco, dedicato a ricordo del socio Marigonda .<br />
Non va dimenticata la valida e solerte attività dei finanzieri<br />
componenti la Stazione di Soccorso Alpino G.d.F.<br />
(SAGF) che nel 1985, assieme alle altre sparse lungo<br />
l’arco alpino, festeggiò i 20 anni di interventi.<br />
Arti Marziali<br />
In questi ultimi anni la pratica delle arti marziali, è andata<br />
sv<strong>il</strong>uppandosi fra gli sportivi di varie età che, soprattutto<br />
giovani, hanno conquistato risultati di tutto<br />
rispetto grazie alla apertura di varie palestre dedite a<br />
questo genere di sport.<br />
La Società Fudoshin Karate Ossola , sorta in Domodossola<br />
nel 1976, non ha tardato, gestita con passione dal<br />
maestro Giuseppe Zambelli, a rafforzarsi con <strong>il</strong> potenziamento<br />
della palestra “Atletica Domodossola” per<br />
l’insegnamento agonistico e amatoriale delle categorie:<br />
Karate, Kick Boxing, Thai Boxe, Full Contract e Pug<strong>il</strong>ato.<br />
Negli sport di combattimento (Kick Boxing, Thai Contact,<br />
Full Contact) la società è ai massimi livelli mondiali<br />
con gli innumerevoli campionati italiani vinti ed è<br />
tuttora detentrice del campionato professionisti di Kick<br />
Boxing con Corrado Sestito di Domodossola, anche<br />
353
campione europeo di Thai Boxe, e Full Contact e terzo<br />
ai campionati italiani di pug<strong>il</strong>ato.<br />
Altro campione del mondo nella categoria d<strong>il</strong>ettanti per<br />
<strong>il</strong> Thai Boxing è Maurizio Sestito.<br />
Una trentina di bambini dai 6 ai 12 anni ed altrettanti<br />
adulti, uomini e donne, seguono i corsi a livello diversificato.<br />
Nutrita la schiera di appassionati devoti delle diverse<br />
discipline delle arti marziali: citiamo ad esempio Paolo<br />
Cemmi, vice campione del mondo di Kung-fu, mentre<br />
sul Kiy-Boxing e Thi Box, si sono messi in luce: Carolino<br />
Perazzi, Luigi Meneghel, Aldo Lucarella. Nel 1995<br />
Marco Neri (cat. Kg. 80) e Carlo Bonanno (Kg. 54) si<br />
aggiudicavano <strong>il</strong> titolo italiano della categoria.<br />
Atletica<br />
Diverse società ossolane, oltre al calcio, all’alpinismo,<br />
allo sci, si sono dedicate saltuariamente all’atletica.<br />
Dopo <strong>il</strong> G.S. Pievese di Pieve Vergonte che ha mandato<br />
due atlete alle finali dei Giochi della Gioventù (Paola<br />
S<strong>il</strong>vera negli 80 m e Nicoletta Rosetti nei 400 m) i risultati<br />
più lusinghieri sono stati ottenuti dalla Associazione<br />
Atletica Ossolana fondata da un gruppo di appassionati<br />
<strong>il</strong> 30 marzo 1966, adottando come colori sociali<br />
<strong>il</strong> rosso e <strong>il</strong> giallo-cromo. A presiederla fin dall’inizio <strong>il</strong><br />
dinamico rag. Piero Vecchietti coadiuvato da amici ed<br />
appassionati di ciclismo. I dirigenti riescono ad impostare<br />
una organizzazione cap<strong>il</strong>lare che non ha riscontro<br />
nella zona, ottenendo affermazioni anche in campo regionale<br />
e nazionale. Nel 1968 i ragazzi dell’Associazione<br />
Atletica Ossolana conquistano <strong>il</strong> 2° posto assoluto come<br />
società fra le piemontesi; alle finali di Cagliari dei campionati<br />
italiani Allievi, partecipano gli ossolani: Bellone<br />
(peso), Cavagnino (velocità), Marini (2000 m).<br />
Il 1969 è l’anno migliore per l’atletica ossolana che organizza<br />
53 manifestazioni, di cui una internazionale. L’organico<br />
tocca punte record: 600 atleti-soci (di cui 450<br />
giovanissimi), 31 giudici di gara Fidal, di cui sei effettivi,<br />
11 organizzazioni in altrettanti Comuni dei Giochi<br />
della Gioventù. Da ricordare negli anni successivi <strong>il</strong> titolo<br />
nazionale che la società Atletica Ossolana ha conquistato<br />
nella corsa su strada a Fabriano per merito dei<br />
Sport estremi ai piedi del Monte Rosa.<br />
giovani: Allegranza Aldo, Ramoni Romualdo, Barbieri<br />
Piergiorgio, Venturelli Franco, Della Bianca Franco, Petrucciani<br />
Emis, Rech Francesco, Chiozza Ettore.<br />
Dopo una pausa dovuta a mancanza di idonee attrezzature,<br />
la pratica di questo sport è tornata a diffondersi<br />
fra i giovani che possono disporre allo Stadio Curotti<br />
di Domodossola oltre che di una ottima pista, anche<br />
di altri impianti. Questo risveglio è dovuto in massima<br />
parte alla d<strong>il</strong>igente e positiva attività di nuove giovani<br />
società: G.S. Alpini di Domodossola, <strong>il</strong> G.A. Tartaruga,<br />
l’Atletica Ossolana Vigezzo, l’Atletica Valli Ossolane,<br />
<strong>il</strong> G.S. Atletica Cistella. Intensa l’attività fino alla<br />
metà degli anni ’70 per poi ripartire nel novembre 1984<br />
con nuovi programmi e la denominazione “Atletica Valli<br />
Ossolane” (AVO) su iniziativa di Egidio Masciaga, già<br />
dirigente e atleta.<br />
Nel 1995 grazie all’interessamento dei fratelli Pizzi e Severino<br />
Bernardini (uno dei più prestigiosi atleti dell’Ossola)<br />
continua l’attività con la soc. COVER ottenendo<br />
risultati a livello mondiale.<br />
Non va dimenticato <strong>il</strong> cap<strong>il</strong>lare lavoro svolto dal GSH<br />
Sempione ‘82 di Pallanzeno per i disab<strong>il</strong>i ottenendo lusinghieri<br />
risultati, fra i quali <strong>il</strong> titolo di campione italiano<br />
conquistato da Paolo Rossi nel luglio 1994 con tre<br />
medaglie d’oro vincendo negli 800, 200 e 100 metri.<br />
Si sono succeduti altri strepitosi successi grazie all’impegno<br />
dei dirigenti e degli attivi instancab<strong>il</strong>i atleti disab<strong>il</strong>i<br />
che hanno collezionato senza sosta risultati esaltanti:<br />
nel luglio 1996 allo Stadio Curotti di Domodossola<br />
ai campionati italiani di atletica, <strong>il</strong> GHS Sempione<br />
82, organizzatore della manifestazione, conquistava<br />
con i suoi atleti, nelle diverse specialità, ben 9 medaglie<br />
d’oro, 7 d’argento e 2 di bronzo, bissando poi lo<br />
stesso risultato ai campionati italiani svoltisi nel 1999<br />
a Cagliari. Infine è doveroso chiudere questa rassegna<br />
di successi citando la conquista del titolo di “campione<br />
d’<strong>It</strong>alia disab<strong>il</strong>i” nel 2002.<br />
Automob<strong>il</strong>ismo<br />
L’Automob<strong>il</strong>e Club di Domodossola, rispetto alla popolazione<br />
dell’Ossola, è fra i Club con <strong>il</strong> maggior numero<br />
di soci rispetto a tutti gli altri d’<strong>It</strong>alia. La passio-<br />
355
Il Rally Valli Ossolane.<br />
ne di una larga parte della popolazione per questo sport<br />
è l’organizzazione di una fra le più note e migliori manifestazioni<br />
sportive della zona: l’annuale “Rally delle<br />
Valli Ossolane”, giunto nel 1994 alla sua 30 a edizione,<br />
con la consueta partecipazione di 150 p<strong>il</strong>oti di ogni<br />
parte d’<strong>It</strong>alia (limite massimo consentito dalla competente<br />
federazione) e conclusosi con la vittoria di Franco<br />
Uzzeni (al suo settimo successo) e Gaetano Orlando (su<br />
lancia Delta Int.) del Vaemenia Team. La competizione<br />
ebbe risonanza particolare per essere stata abbinata all’omonima<br />
Lotteria Nazionale, che fruttò al possessore<br />
del biglietto la bella somma di 2 m<strong>il</strong>iardi di lire.<br />
La competizione si svolge quasi sempre nel mese di giugno<br />
richiamando lungo <strong>il</strong> percorso stradale della zona<br />
migliaia di appassionati che trascorrono all’aperto una<br />
intera notte per assistere lungo i tornanti delle strade ove<br />
sono previste le prove speciali, <strong>il</strong> passaggio delle vetture.<br />
Veterana dei partecipanti la coppia dei coniugi Decè-<br />
356<br />
Dufey di Domodossola. In passato un p<strong>il</strong>ota ossolano<br />
aveva fatto parlare di sé nel 1927: Pietro Moalli, che<br />
partecipò alla “Coppa delle M<strong>il</strong>le Miglia”, arrivando<br />
primo nella categoria della sua auto, che era una Fiat<br />
509; percorse <strong>il</strong> tragitto Brescia-Roma-Brescia di 1600<br />
km. in ore 24.23’41”, alla media di Km. 66,743.<br />
Parecchie le vittorie riportate da Franco Uzzeni, Andrea<br />
Saglio e Massimo Canella.<br />
Fra i p<strong>il</strong>oti ossolani che hanno ottenuto piazzamenti a<br />
livello nazionale figura Giacomo Pelganta, campione<br />
italiano del Trofeo Nazionale dei Rally nel 1973.<br />
Bocce<br />
E’ questa una attività sportiva che ha più attori che<br />
spettatori.<br />
Un primo cenno che le bocce sostituiscono un sano e<br />
costoso svago lo si trova nelle cronache locali del 1910:<br />
<strong>il</strong> 1° maggio di quell’anno si svolse a Domodossola una
tra le prime gare bocciof<strong>il</strong>e al ristorante Roma (in via<br />
Garibaldi) organizzata dal proprietario Augusto Romignoli.<br />
Nel 1926, <strong>il</strong> 23 maggio, rinasce a nuova vita la Bocciof<strong>il</strong>a<br />
Domese nelle cui f<strong>il</strong>e non tardano ad emergere ottimi<br />
elementi che saranno i p<strong>il</strong>astri sui quali ruoterà l’intensa<br />
attività boccistica ossolana.<br />
Nascono altre società bocciof<strong>il</strong>e tra le quali <strong>il</strong> G.S. Terme<br />
Bognanco nel 1927, la sezione bocciof<strong>il</strong>a della U.S. Juventus<br />
Domo nel 1930 e, dopo la seconda guerra mondiale,<br />
la Caddo Sportiva, Crevola (Preglia), Virtus V<strong>il</strong>la,<br />
Verde Azzurra, Chiodo (Casa del Popolo), Concordia<br />
Sportiva, Pur<strong>il</strong>lo, La Boccia, Masera, Fonti Baceno, Oscella,<br />
Arci Varzo, Graniti Piretti, Acque Vigezzo, Dopolavoro<br />
Ferroviario, Centro Opere Cappuccina.<br />
Conquistano <strong>il</strong> titolo di campione italiano individuale<br />
categoria B gli ossolani Vittorio Di Orazio (nel 1948)<br />
e Eugenio Del Zoppo (nel 1949); altri titoli italiani si<br />
aggiudicano, sempre nella cat. B, la terna Licht-Boghi-<br />
Ferrero (nel 1949). Le coppie Montagna-Ceralli (1952-<br />
53), Durione-Suini (1963). Nel 1951 a Vercelli, <strong>il</strong> domese<br />
Giosuè Bartoli conquista <strong>il</strong> titolo italiano della<br />
bocciata cat. A (nella sua lunga carriera ha preso parte<br />
a 21 campionati italiani con 11 piazzamenti nei semifinalisti).<br />
Seguendo le orme del padre Carlo, che fu uno<br />
dei più affermati giocatori di bocce, <strong>il</strong> giovane Mario<br />
Suini – autentica rivelazione in questo campo – ha raggiunto<br />
la massima vetta di campione mondiale: è stato<br />
colui che ha portato <strong>il</strong> maggior lustro alla sua terra natale<br />
in questo sport. Dal 1960, quando vinse proprio a<br />
Domodossola <strong>il</strong> campionato italiano “allievi”, la marcia<br />
di Mario Suini è stata travolgente fino al 1975, quando,<br />
con l’altro asso nazionale delle bocce, Umberto Granaglia,<br />
ha vinto <strong>il</strong> Campionato Mondiale a coppie. Ma<br />
non si è fermato bissando un altro strepitoso successo<br />
nell’ottobre 1987, conquistando con la squadra azzurra<br />
<strong>il</strong> titolo di campione europeo a Saluzzo.<br />
Tutta l’attività boccistica della zona faceva parte al Comitato<br />
U.B.I (Unione Bocciof<strong>il</strong>a <strong>It</strong>aliana) al quale aderivano<br />
le società esistenti con i giocatori tesserati, che<br />
sono parecchie centinaia.<br />
A dirigerlo dal settembre 1984 e fino al 1993 (anno della<br />
sua scomparsa) è stato lo zelante e attivo Carlo Martelli,<br />
che ha saputo dare a questa attività una imposta-<br />
zione organizzativa di prim’ordine.<br />
La partecipazione ai campionati provinciali, regionali e<br />
nazionali costituiva <strong>il</strong> miglior premio per gli appassionati<br />
bocciof<strong>il</strong>i, alcuni dei quali hanno ottenuto anche<br />
ottimi risultati, come S<strong>il</strong>vano Donati (nel 1989) che ha<br />
conquistato <strong>il</strong> titolo di campione italiano individuale<br />
cat. C e nel 1992, ad Albisola, Andrea Cagnacci lo stesso<br />
titolo nella propria categoria.<br />
Attualmente svolgono attività 10 società: <strong>il</strong> nuovo Valli<br />
Ossolane, che fa capo a Cosasca, Oirese (Valle Antigorio),<br />
La Boccia V<strong>il</strong>la (un ritorno dopo parecchi anni),<br />
Juve Domo, Caddo, Masera, Varzese, Valle Vigezzo, Bognanco<br />
e Concordia.<br />
Consistente <strong>il</strong> numero di tesserati e cartellinati: circa<br />
350 (in media 100 soci per società), di cui 17 giocatori<br />
categoria B, 150 cat. C e 183 cat. D. Organizzate trenta<br />
gare ufficiali all’anno con presenze di circa 400 bocciof<strong>il</strong>i<br />
ognuna. Tutta l’attività è ora guidata dal Comitato<br />
Provinciale VCO Domodossola, con Primo Zanelli<br />
presidente dal 2001, subentrato a Piero Fobelli, che nel<br />
1993 aveva assunto l’incarico con la scomparsa dell’indimenticato<br />
Carlo Martelli.<br />
Due nuovi bocciodromi si sono aggiunti a quelli già<br />
esistenti: nel 1989 a Malesco e nel 1991 a Pallanzeno,<br />
mentre quello che in Via Romita attende di aprire<br />
i battenti ai bocciof<strong>il</strong>i, dalla Comunità Valle Ossola, è<br />
bloccato da cinque anni per questioni finanziarie.<br />
Meritevoli gli sforzi per <strong>il</strong> funzionamento di una “Scuola<br />
bocce” per esordienti, ragazzi e allievi con gli istruttori<br />
Bartolomeo Ferrari ed Ermanno Borromeo.<br />
Caccia<br />
Dal 1996 è modificato <strong>il</strong> metodo di gestione del territorio<br />
ai fini venatori: sono stati istituiti i Comprensori Alpini,<br />
in applicazione della Legge Regionale.<br />
Nell’Ossola questo ha comportato la divisione del Consorzio<br />
Ossola, istituito nel primo dopoguerra e gestito<br />
per anni dall’allora presidente Paolo Manera. Scioltosi<br />
per circa un decennio, fu ricostituito alla fine degli anni<br />
’70 e retto dal Presidente Mario Ravandoni sino al definitivo<br />
scioglimento.<br />
I due Comprensori in cui l’Ossola è suddivisa sono<br />
VCO 2 Ossola Nord, comprendente le valli Antigorio,<br />
Formazza e Vigezzo compreso <strong>il</strong> Comune di Tron-<br />
357
tano; VCO 3 Ossola Sud, comprendente le valli Divedro,<br />
Bognanco, Antrona, Anzasca ed i comuni della<br />
piana ossolana.<br />
I Comprensori sono retti da comitati di gestione: per <strong>il</strong><br />
VCO 2 si sono succeduti alla presidenza Fausto Braito<br />
nel periodo 1996-99 e Mauro Fava, attuale presidente.<br />
Nel VCO 3 è presidente dalla costituzione Aldo<br />
Girlanda.<br />
La capienza faunistica è rispettivamente 650 e 900 per<br />
VCO 2 e VCO 3, mentre i cacciatori effettivamente<br />
iscritti sono nell’ordine 400 e 700.<br />
La caccia viene praticata secondo i piani di abbattimento,<br />
redatti da tecnici faunistici e approvati dalla Regione<br />
Piemonte, suddivisi in tipica alpina (gallo forcello,<br />
pernice bianca, coturnice, lepre variab<strong>il</strong>e) ed ungulati<br />
(cervo, camoscio, capriolo). Negli ultimi anni tali piani<br />
prevedono, per ogni Comprensorio, mediamente: 200<br />
camosci, 100 cervi, 130 caprioli; 40 galli forcelli, 10<br />
pernici bianche, 10 coturnici, 10 lepri variab<strong>il</strong>i).<br />
Il periodo di caccia, per due giornate settimanali, è dal<br />
primo ottobre al 30 novembre, nel VCO 2 per gli ungulati<br />
dalla metà di settembre. Poiché i piani di abbattimento<br />
vengono saturati anticipatamente, la stagione<br />
venatoria ha una durata complessiva non superiore alle<br />
dieci giornate.<br />
Da qualche anno, seppur con diversità di opinione tra<br />
i cacciatori stessi, viene praticata la caccia al cinghiale,<br />
specie di mammifero non certo autoctona per l’Ossola<br />
che trova un consolidato numero di praticanti nel<br />
comprensorio VCO 3, mentre nel comprensorio VCO<br />
2 è praticamente disincentivata essendo previsto un piano<br />
di abbattimento generale di soli due capi.<br />
Calcio<br />
Si può dire che al gioco del calcio gli ossolani si sono dedicati<br />
con una certa regolarità ed organizzazione poco<br />
dopo l’inizio di questo secolo. Si trova qualche sporadica<br />
società già nel 1909 quando <strong>il</strong> 12 dicembre i giornali<br />
locali annunciano la nascita della società Forti e Veloci.<br />
Nel 1910 nasce, sempre a Domodossola, un’altra società<br />
sportiva denominata Forza e Coraggio. Non si hanno<br />
elementi ufficiali sicuri per stab<strong>il</strong>ire quando nacque<br />
<strong>il</strong> Domo Foot Ball Club, è certo comunque che svolgesse<br />
la sua attività calcistica prima della guerra mondia-<br />
358<br />
le del 1915. Nel 1914 si svolse un incontro triangolare<br />
fra le squadre: Unione Calciatori Boys/Domo – Juventus<br />
F.C. Domo e U.S. Domese.<br />
Fra <strong>il</strong> 1919 e <strong>il</strong> 1923 sorgono altre società fra le quali<br />
l’Unione Sportiva V<strong>il</strong>la di V<strong>il</strong>ladossola e <strong>il</strong> G. S. Rumianca<br />
di Pieve Vergonte.<br />
Il Domo Foot Ball Club si rafforza e nel 1927 conquista<br />
<strong>il</strong> titolo di campione della zona Verbano Cusio Ossola<br />
(in 13 partite segna 52 reti e ne subisce solo 5), poi lentamente<br />
entra in crisi e nel marzo 1929 si scioglie. Nasce<br />
l’Unione Sportiva Juventus Domo che negli anni seguenti<br />
conseguirà i migliori risultati arrivando a partecipare<br />
a campionati che mai nessun’altra società ossolana<br />
riuscirà ad ottenere.<br />
Il 28 ottobre 1934 viene inaugurato <strong>il</strong> campo sportivo,<br />
l’attuale Stadio Curotti, ideato dall’arch. ing. Vietti<br />
Violi di Vogogna e costruito in due mesi dall’impresa<br />
Girola. Nel 1938 la Juventus Domo viene chiamata dalla<br />
Federazione a far parte del Campionato Nazionale di<br />
serie C, ove rimarrà, escluso <strong>il</strong> periodo bellico, per sette<br />
anni, fino al 1948, anno in cui, anche per le sue limitate<br />
possib<strong>il</strong>ità finanziarie, torna fra i d<strong>il</strong>ettanti. Da<br />
ricordare che nella stagione 1940-41, la Juventus Domo<br />
vince la Coppa Anonima Infortuni Disciplina fra tutte<br />
le società di serie A-B-C (con due sole penalità). Nel<br />
1954-55 è promossa in Quarta Serie, retrocede e ritorna<br />
nel 1956-57. Nel 1970-71, dopo una lotta accanita<br />
con Virtus V<strong>il</strong>la e Albese, la Juve Domo viene ammessa<br />
al campionato di Serie D, ove rimane fino al 1973.<br />
Dopo diverse stagioni con modesti risultati in campionati<br />
inferiori, la Juve Domo esplode negli anni ’80 fra<br />
l’entusiasmo dei “Fedelissimi”. Nel maggio 1985, battendo<br />
allo stadio Curotti <strong>il</strong> Grignasco, davanti a 2000<br />
spettatori, i domesi sono promossi al campionato Interregionale<br />
(presidente Citrini, allenatore Zanetti). Sempre<br />
nel maggio, ma del 1988, dopo 50 anni, la Juve<br />
Domo torna fra i semiprofessionisti, salendo in C 2<br />
(presidente geom. Ezio Della Piazza) fra <strong>il</strong> tripudio dei<br />
tifosi e l’appoggio dell’amministrazione comunale che<br />
rimette a nuovo lo stadio Curotti, collocandolo tra i<br />
migliori della provincia. In C 2 vi rimane per soli due<br />
anni, poi <strong>il</strong> bel sogno svanisce e ritorna fra i d<strong>il</strong>ettanti<br />
nell’Interregionale e nel 1991 retrocede in Promozione<br />
per risalire l’anno successivo nel nuovo campionato
U.S. Juventus Domo, la prestigiosa formazione degli anni Cinquanta.<br />
denominato “Eccellenza”, ove rimane per quattro anni,<br />
scendendo in “Promozione” nel 1996-97 con la Crevolese<br />
promossa a tavolino.<br />
Un’altra società ossolana vanta un glorioso passato calcistico:<br />
<strong>il</strong> Virtus V<strong>il</strong>la, la cui nuova denominazione risale<br />
al 1945 per iniziativa del comm. Rizzoli, un industriale<br />
di Bologna trasferitosi a V<strong>il</strong>la, che trasformò l’esistente<br />
Unione Sportiva Voluntas (sorta nel 1924 con la<br />
fusione dell’Unione Sportiva V<strong>il</strong>ladossolese con <strong>il</strong> Gruppo<br />
Sportivo Voluntas).<br />
Il taccuino della società calcistica di V<strong>il</strong>ladossola è costellato<br />
di lusinghieri risultati. Fra questi l’ammissione<br />
al girone unico di Eccellenza e della Promozione alla<br />
fine della stagione 1967-68. Nel 1987 retrocede dalla<br />
Promozione per risalire nel 1990 e vincere anche la<br />
Coppa Piemonte battendo l’Asti ai calci di rigore. Nel<br />
1991 è ammessa al campionato di Eccellenza e si comporta<br />
bene, piazzandosi al quinto posto, poi, dopo una<br />
stagione sfortunata, retrocede in Promozione.<br />
Altre società calcistiche ossolane hanno partecipato e<br />
partecipano ai campionati federali di calcio. Si è arrivati<br />
ad avere in Ossola ben 21 squadre nelle diverse categorie,<br />
scese attualmente a 17 dopo <strong>il</strong> ritiro o la cessazione<br />
dell’attività di alcune.<br />
A Pieve Vergonte <strong>il</strong> G.S. Rumianca, ora G. S. Pievese,<br />
la soc. Sportiva Crevolese fondata nel 1956, l’A.C. Domodossola<br />
(sorta dopo la cessata attività della soc. Inter<br />
Club Domo fondata nel 1964), che passando di vittoria<br />
in vittoria dalla Terza Categoria, ha vinto nella stagione<br />
1983-84 <strong>il</strong> campionato di Seconda, conquistandosi<br />
così la promozione alla Prima Categoria, a fianco della<br />
Crevolese salita in seguito in Promozione.<br />
Parecchi giocatori di calcio sono passati dalle società ossolane<br />
a squadre superiori. Citiamo per esempio: Gigi<br />
Balzarini che giocò nel M<strong>il</strong>an e partecipò con quella<br />
squadra alla Coppa Mondiale; <strong>il</strong> terzino Piero Scesa che<br />
passò nelle f<strong>il</strong>e del Torino; <strong>il</strong> mediano Gianni Tellini al<br />
Varese; l’ala Guido Vivarelli al Monza; <strong>il</strong> centrattacco<br />
Migliorati alla Casertana e Ternana; F<strong>il</strong>ippini al Venezia;<br />
Beppe Scienza alla Reggiana e al Torino. In tem-<br />
359
pi meno recenti <strong>il</strong> portiere Felice Rinolfi al Como; l’ala<br />
Franco Torricelli al M<strong>il</strong>an e Gino Barbieri (mezz’ala)<br />
di Santa Maria Maggiore (Vigezzo) al Novara ai tempi<br />
di Piola. Si avvicendarono diversi presidenti negli ultimi<br />
anni sia a Domodossola: Cesare Margaroli, Eugenio<br />
Citrini, Ezio Della Piazza, Dario Cattaneo, Enrico<br />
Pelletti, Luigi Atripaldi, Andrea Toscano, come a V<strong>il</strong>ladossola<br />
che ha festeggiato nel 1988 i 75 anni di attività:<br />
Poscio e Molteni, Vittorino Battro, Franco Hartmann,<br />
Piero Sangallo, Franco Poscio, Renato Azzoni,<br />
Franco Martinetti.<br />
Nel 1997 nasce <strong>il</strong> “Crevolamasera” dalla fusione fra<br />
Crevolese e Masera con Remigio Minoggio primo presidente,<br />
affiancato da due vice. Nel 1998 la Juve Domo<br />
è ripescata dalla Lega in Promozione e nel giugno 2000<br />
avviene la oramai storica “fusione” con <strong>il</strong> Crevolamasera,<br />
dando vita, tra non poche critiche da parte dei<br />
suoi tifosi, alla nuova società “Valdossola” (con maglia<br />
granata-giallo-azzurro) con presidente Andrea Toscano,<br />
vice presidenti: Remigio Minoggio, Tiziano Negri<br />
e Manuela Margaroli, figlia del comm. Cesare, già presidente<br />
per molti anni della Juve Domo. Muore così la<br />
gloriosa Juventus Domo dopo 75 anni di attività ricchi<br />
di entusiasmo ed esaltanti risultati.<br />
La nuova squadra viene presentata <strong>il</strong> 17 agosto 2000<br />
allo stadio Curotti e inizia <strong>il</strong> suo cammino prima in<br />
“Promozione” poi nel 2002-03 in “Eccellenza” e infine<br />
nel 2003, con <strong>il</strong> disinteresse del pubblico e la mancanza<br />
di fondi <strong>il</strong> crollo: la nuova società retrocede in Promozione<br />
con una classifica finale desolante: 15 punti in<br />
trenta partite (4 vittorie e 3 pareggi). Peggio non poteva<br />
festeggiare la ricorrenza del suo 75° anno di vita.<br />
Ad attenuare l’amarezza comprensib<strong>il</strong>e degli sportivi<br />
domesi giungono ora i risultati promettenti delle squadre<br />
allievi e femmin<strong>il</strong>e delle società “Azzurra VCO” sorta<br />
nel 2001 e che quest’anno è balzata in serie C, ma soprattutto<br />
della rinascita della squadra titolare allenata<br />
dal domese Oliva. Il rinnovato Valdossola è balzato nel<br />
dicembre 2004 in vetta alla classifica con la comprensib<strong>il</strong>e<br />
soddisfazione della Presidente Manuela Margaroli,<br />
dei dirigenti e tifosi.<br />
Queste le squadre ossolane in campo per <strong>il</strong> 2004-<br />
2005:<br />
Promozione: Valdossola, Gravellona, Mergozzo, Stresa;<br />
360<br />
1 a categoria: Virtus V<strong>il</strong>la, Varzese, Pro Vigezzo, Vogogna,<br />
Pievese, Omegna, Feriolo, Fondotoce;<br />
2 a categoria: Crevolese, Piedimulera, Ornavassese, Crodo,<br />
Fomarco, Montecrestese;<br />
3 a categoria: Beurese, Mergozzo, Cosasca.<br />
Dal 2002 <strong>il</strong> Dopolavoro Ferroviario Domese, oltre alle altre<br />
attività sportive, ha iniziato quella calcistica amatoriale<br />
per campionati CSI a 7; responsab<strong>il</strong>e Gaetano S<strong>il</strong>vestro.<br />
Ciclismo<br />
Nel 1946, grazie all’iniziativa di alcuni appassionati<br />
sportivi capeggiati dal noto tifoso Mars<strong>il</strong>io Scagliotti<br />
e Mario Durione, si costituisce la Soc. Ciclistica Pedale<br />
Ossolano.<br />
Si formano due società di maggior r<strong>il</strong>ievo: <strong>il</strong> G. Sportivo<br />
Rumianca, sorto attorno al 1920 e trasformatosi poi<br />
nel 1956 in G.S. Pievese , e la Soc. Ciclistica Pedale Ossolano,<br />
nata nel maggio 1946, la quale, dopo aver raggiunto<br />
fama e notorietà, è piombata in un periodo di<br />
letargo (causa anche le ristrettezze finanziarie) per riprendere<br />
in questi ultimi anni <strong>il</strong> cammino glorioso di<br />
un tempo. Dalle vecchie cronache si r<strong>il</strong>eva che <strong>il</strong> 29 ottobre<br />
1899 si svolsero due corse ciclistiche in Ossola:<br />
una a V<strong>il</strong>ladossola di 12 Km, vinta da Giuseppe Muzio<br />
di Domo e l’altra a Vogogna di 24 Km. vinta da un<br />
certo Broglia in 44 minuti. L’entusiasmo per la bicicletta<br />
portò negli anni seguenti alla nascita e alla scomparsa<br />
di società come la Forti e Veloci e Forza e Coraggio, entrambe<br />
di Domo, <strong>il</strong> G.S. Rumianca, la sezione dell’U.<br />
S. Juventus Domo ed infine <strong>il</strong> Pedale Ossolano, che esordì<br />
<strong>il</strong> 23 giugno 1946 con una gara per allievi di 70 km.<br />
Nel periodo 1952-1960 i dirigenti del Pedale Ossolano,<br />
oltre all’attività su strada, puntano anche a quella su<br />
“pista”. Adattano l’anello dello Stadio Curotti consentendo<br />
così lo svolgimento di riunioni che destano interesse<br />
in tutta la provincia per la presenza di campioni<br />
come Bartali, Coppi, Kubler, Koblet, Magni, Bev<strong>il</strong>acqua,<br />
ecc.<br />
Molti i giovani corridori ossolani che si mettono in<br />
luce in campo provinciale e regionale: due di essi, i fratelli<br />
Germano e Giuseppe Barale assurgono a fama nazionale<br />
e internazionale.<br />
Negli anni successivi al 1960, la società viene assorbita
Il giro d’<strong>It</strong>alia fa tappa in Ossola.<br />
dal G.S. Luoni di Somma Lombardo, finchè nel 1979<br />
presso <strong>il</strong> circolo Arci del Badulerio, un gruppo di 17<br />
appassionati, capitanati da Michele Pizzicoli, ridaranno<br />
vita al Pedale Ossolano, concentrando tutti gli sforzi<br />
ai giovani e ai giovanissimi che aumentano di anno in<br />
anno e fra questi emerge Florindo Barale (buon sangue<br />
non mente) che passa al professionismo in una società<br />
toscana. Il fiore all’occhiello arriva <strong>il</strong> 5 giugno 1985<br />
quando la società ossolana è chiamata alla organizzazione<br />
per ricevere a Domodossola <strong>il</strong> 68° Giro d’<strong>It</strong>alia, quale<br />
sede della diciottesima tappa da Monza.<br />
Sempre più intensa l’attività giovan<strong>il</strong>e dopo l’abbinamento<br />
nel 1987 con la denominazione Centro Arredamento<br />
<strong>il</strong> Quadrifoglio di Piedimulera. Nel 1988 i “giovanissimi”<br />
ottengono 31 vittorie, 36 secondi posti e 34<br />
terzi. Nel novembre 1993 a Pieve Vergonte nasce <strong>il</strong> G.S.<br />
VCO Ciclomania Barale. Alla fine del 2004, dopo sette<br />
anni di intenso lavoro, Serafino Molteni (succeduto<br />
a Michele Pizzicoli) lascia la presidenza della società ad<br />
un altro ossolano: Enzo Albanese, appassionato di ciclismo<br />
da molti anni, già vicepresidente e membro del<br />
Consiglio Direttivo.<br />
Sono molti i ragazzi che si appassionano alla bicicletta<br />
ed i risultati si moltiplicano: fra questi uno dei primi<br />
esempi del ciclismo al femmin<strong>il</strong>e nell’Ossola con Elena<br />
Boggio. Ben tre juniores ed un allievo si qualificano<br />
per i campionati italiani. Identico risultato per la<br />
squadra dei giovanissimi. Arriva nel 2003 la conquista<br />
del titolo regionale G3 da parte di Andrea Provera<br />
(anni 10) che ha spopolato e continua a farlo in ogni<br />
gara che lo vede sbaragliare tutti gli avversari: bastano<br />
a confermarlo <strong>il</strong> suo titolo regionale G3 e la valanga di<br />
medaglie d’oro conquistate ( 25 solo lo scorso anno!).<br />
Non a torto è stato definito <strong>il</strong> “fulmine del ciclismo”<br />
unitamente al fratello Marco (anni 12). Brava anche<br />
Elisa Lamborghini seconda ai campionati regionali. Altre<br />
società sono presenti, fra le quali la Soc. Unione Ciclistica<br />
Val d’Ossola, con sede a V<strong>il</strong>ladossola e con presidente<br />
da cinque anni Alberto Zanni, promotore della<br />
Gran Fondo con De Zan, la Soc. Team 2001, presidente<br />
<strong>il</strong> prof. Francesco Miguidi, ed a Masera la Domo Bike<br />
(presidente Renato Angioi) organizzatore della classica<br />
gara denominata “Stokalper”.<br />
Corsa in montagna<br />
Le società ossolane che si sono dedicate a queste attività<br />
sportive hanno visto lievitare di anno in anno <strong>il</strong> numero<br />
degli iscritti e le loro doti tecniche. Il G.S. Genzianella,<br />
<strong>il</strong> G.S. Alpini di Domodossola, <strong>il</strong> G.S. Bognanco,<br />
<strong>il</strong> San Domenico, <strong>il</strong> G.S. Valdivedro e la Soc. Caddese<br />
fondata nel 1978 e presieduta da Franco Trapani, subentrato<br />
a Mario Possetti, tuttora presidente onorario<br />
hanno preparato autentici campioni. Nell’ultimo decennio<br />
sono aumentate le società specialmente dedicate<br />
all’attività giovan<strong>il</strong>e masch<strong>il</strong>e e femmin<strong>il</strong>e annoverando<br />
sempre più praticanti, organizzando e partecipando<br />
a competizioni di r<strong>il</strong>ievo (campionati provinciali, regionali,<br />
nazionali, sia individuali che a squadre). In primo<br />
piano la sorprendente Nives Curti di Premia, campionessa<br />
italiana, europea e mondiale che tuttora colleziona<br />
allori nelle più importanti competizioni internazionali.<br />
Sono balzati ai primi posti nelle classifiche anche<br />
Severino Bernardini, pluricampione vincitore nel<br />
1990 in Austria della gara di cross corto (Km 9,8) per<br />
<strong>il</strong> titolo mondiale a squadre ed altri lusinghieri risultati<br />
fra i quali la maratona di Boston nel 1993 (8°posto)<br />
361
e secondo ai mondiali di maratona in Spagna e Claudio<br />
Galeazzi, campione italiano della specialità e pochi<br />
anni or sono, Andrea Zanoli, campione italiano a soli<br />
15 anni. L’attività della Caddese è concentrata sulla corsa<br />
in montagna, campestre e di strada, si è sempre aggiudicata<br />
<strong>il</strong> Memorial “Vecchietti”, <strong>il</strong> memorial “Giorgio<br />
Longa” (fondatore del G.S. Genzianella) come pure<br />
tutti i titoli di società in campo giovan<strong>il</strong>e dal 1993 ad<br />
oggi. Oltre 110 tesserati della società hanno salutato lo<br />
scorso anno un altro proprio campione italiano nella<br />
categoria “Promesse”: Roberto Piana di 22 anni e con<br />
lui la vittoria degli “Allievi” nella staffetta. Alloro anche<br />
per <strong>il</strong> G.S. Genzianella nel campionato regionale di allievi<br />
di staffetta a Chiomonte (To). Attive sul piano organizzativo<br />
di competizioni locali, di partecipazione ai<br />
campionati provinciali e regionali, le società ossolane<br />
svolgono una accurata preparazione dei giovani dediti<br />
a questa attività sportiva. I risultati confermano tuttora<br />
gli ottimi piazzamenti di alcuni fra i numerosi: Monica<br />
Bottinelli, Marco Rainelli, Renato Badini, Ivano Cartini,<br />
Moreno Nocera, ecc..<br />
Hockey<br />
Attività sportiva per <strong>il</strong> momento sv<strong>il</strong>uppatasi solo in<br />
zone ove risultano in attività l’Hockey Club Ossola “Tritagiash”<br />
che ha partecipato al campionato italiano a Genova,<br />
l’Hockey Club Vigezzo, Antrona, Premia, Macugnaga<br />
e la squadra del Dopolavoro Ferroviario (DLF),<br />
organizzatrice del torneo zonale nel 1995.<br />
Judo<br />
Questo sport sta diffondendosi fra i giovani e non più<br />
giovani (vedi karatè) con la frequenza nelle palestre di<br />
diversi Club di Judo (Libertas, V<strong>il</strong>la, Mergozzo, Valle Ossola,<br />
Crodo, Preglia e le società Samurai e Kodokan). I risultati<br />
conseguiti nei primi anni, hanno portato al conseguimento<br />
di parecchi titoli con ottime prestazioni dei<br />
partecipanti fra i quali Debora Dei Giudici (sesta alle finali<br />
nazionali), Giorgio Galvanico per la cintura nera I<br />
Dan, Roberto Zanalda, Moreno Petrulli (campione regionale<br />
di karatè), Arianna Rodoquino. Il Judo Club<br />
Domo nel 1994 si laurea campione provinciale per la seconda<br />
volta, mentre negli anni 2000-2004 parecchi sono<br />
gli appassionati che conseguono la cintura nera I Dan.<br />
362<br />
Lotta libera e greco - romana<br />
Prima e dopo la prima guerra mondiale (1918) alcuni<br />
praticanti preferivano recarsi all’estero ove questo sport<br />
richiamava un pubblico più numeroso.<br />
A Domodossola sia la lotta libera che quella greco-romana<br />
non tardarono a richiamare un numero di praticanti<br />
tanto da favorire la nascita di una società, la “Forti<br />
e Veloci” che organizzò anche un campionato ossolano<br />
di lotta greco-romana che laureò i primi campioni domesi:<br />
Alfredo Lusardi (pesi massimi) Maurizio Albertoni<br />
(pesi medi) ed Em<strong>il</strong>io Dell’Oro (pesi “minimi” così<br />
chiamati a quell’epoca).<br />
Motociclismo<br />
Nell’apr<strong>il</strong>e dl 1929 venne costituito a Domodossola <strong>il</strong><br />
Moto Club Ossola per interessamento di due appassionati,<br />
Alberto Meda<strong>il</strong> e Mario Guastini, incoraggiati dalle<br />
ottime prove sostenute nella gara svoltasi a Napoli fra<br />
le sezioni italiane del Dopolavoro. In quella circostanza<br />
Tranqu<strong>il</strong>lo Bovini (domese) conquistò <strong>il</strong> secondo posto<br />
nelle moto cat. 500 alla media di 73 Km. orari sul<br />
percorso di 123 Km. Negli anni dopo la seconda guerra<br />
mondiale questo sport si è diffuso grazie all’impianto<br />
“Felino Poscio” realizzato a V<strong>il</strong>ladossola (1964), primo<br />
in provincia di Novara. L’entusiasmo specialmente<br />
fra i giovani, favorisce l’incremento dei soci, fino a toccare,<br />
nel 1966 i 250 iscritti, che partecipano in parecchie<br />
gare anche fuori zona.<br />
Non tardano a primeggiare <strong>il</strong> “motocross e <strong>il</strong> “trial” con<br />
lusinghieri risultati ovunque per gli ossolani, che poi<br />
non esitano a dare vita al “Moto Club Domo 70” che,<br />
valorizza parecchi campioni, fra i quali Dan<strong>il</strong>o Galeazzi<br />
(campione italiano per parecchi anni), Giuliano Marini,<br />
Ettore Baldini, Antonio Amoretti .<br />
Entusiasmanti le prove annuali per i campionati italiani<br />
nel campo di Montecrestese, battezzato “Capitale<br />
del trial”. Si sono messi in luce conquistando titoli<br />
regionali e nazionali in questi ultimi anni i giovanissimi<br />
Dan<strong>il</strong>o Afri, Pierluigi Ronchi, Luca Cotone, Moreno<br />
Ramponi, Samuele Antonietti, Matteo Fantone, Fabio<br />
Lenzi, Alessio Dresco.<br />
Mountain bike<br />
Nel 1990, <strong>il</strong> 17 giugno, si svolse la prima edizione di
questo genere di sport: la Bognanco –Monscera di Km<br />
27, che non tardò ad aumentare gli appassionati e le<br />
competizioni.<br />
Nel 1994, Fabio Calvetti inizia la sua serie di vittorie<br />
aggiudicandosi la 3 a prova nel campionato Piemonte-<br />
Valle d’Aosta vincendo altri campionati regionali che<br />
vantano le affermazioni di nuovi atleti ossolani: Alessandro<br />
Peruzzo, Alessio Vincler, Matteo Crosa Lenz e,<br />
in questi ultimi anni (2001-2003) S<strong>il</strong>via Giovanna, Alberto<br />
Vesci, Matteo Caffi, Gianluca Comazzi, Stefano<br />
Rinaldi e Stefano Carminati.<br />
Nuoto<br />
In crescendo gli appassionati del nuoto nelle diverse categorie<br />
giovan<strong>il</strong>i non ancora molto pubblicizzate. Con<br />
la squadra del Dopolavoro Ferroviario (DFL) di Domodossola,<br />
svolge attività agonistica giovan<strong>il</strong>e anche la<br />
“Gymnuoto Domo”, sorta nel 2001, che non tarda ad<br />
annoverare parecchi giovani di ambo i sessi che si pongono<br />
in evidenza, fra questi Sabrina Giorgetti, domese,<br />
tesserata per la Cover Verbania che al meeting di Bergamo<br />
nella specialità “st<strong>il</strong>e libero” conquista la medaglia<br />
d’oro. Altre giovanissime nuotatrici colgono lusinghieri<br />
successi tra questi S<strong>il</strong>via Bertolami di Pieve Vergonte,<br />
10 anni, primeggia ai campionati regionali nel “farfalla,<br />
st<strong>il</strong>e libero e misti”.<br />
La domese Sabina Giorgetti al meeting di nuoto a Bergamo<br />
ha conquistato la medaglia d’oro nei 50 metri.<br />
Al nuoto dedicano particolari attenzioni i dirigenti della<br />
società GSH Sempione 82 di Pallanzeno, che nel 2003<br />
partecipa con 5 atleti (allenati da Mario Ferrari) al 3°<br />
Meeting Interregionale, svoltosi ad Omegna, aggiudicandosi<br />
3 medaglie d’oro, 2 d’argento e 2 di bronzo.<br />
Pallacanestro<br />
Uno sport che in passato aveva incontrato molte difficoltà<br />
per affermarsi. Nella zona, dopo diversi tentativi e<br />
brevi periodi di attività, alcune società sono scomparse<br />
come ad esempio <strong>il</strong> G.S. Rumianca, la Concordia Sportiva,<br />
V<strong>il</strong>ladossola, la Tecnigomma, La Negri Ford, l’U.S.<br />
Rosmini. A difendere i colori dell’Ossola è sorta la U.S.<br />
Basket Rosmini (Biemme), aff<strong>il</strong>iata alla Federazione Pallacanestro<br />
che rivolge i propri sforzi a tutte le categorie<br />
giovan<strong>il</strong>i con un centinaio di atleti dalla categoria Pul-<br />
cini agli Aqu<strong>il</strong>otti (minibasket), Esordienti, Allievi, Ragazzi,<br />
Cadetti, Juniores fino ai Seniores impegnati, questi<br />
ultimi, nel campionato di Promozione che li ha visti<br />
promossi al campionato nazionale C 1 al termine di<br />
una annata ricca di partite esaltanti. Una promozione<br />
che ha premiato gli sforzi del presidente Ennio Leonardi,<br />
che ha passato le redini dirigenziali a Matteo Zanni,<br />
affiancandolo come “onorario”. E’ la prima volta<br />
che in Ossola una squadra conquista la promozione in<br />
serie nazionale in questo sport. Al campionato promozione<br />
partecipa anche la neonata società Ossola Basket<br />
V<strong>il</strong>ladossola.<br />
Pallavolo<br />
Da parecchi anni questo sport va affermandosi anche<br />
nell’Ossola con squadre masch<strong>il</strong>i e femmin<strong>il</strong>i impegnate<br />
nei diversi campionati giovan<strong>il</strong>i con prestazioni<br />
di buon livello tecnico ed agonistico. Nel 1989 (ottobre)<br />
nasce la “Ossola Pallavolo”, con sede al Circolo Acli<br />
del Badulerio con presidente Daniele Ferrari e direttore<br />
sportivo Ubaldo Righetti. Non tarda a mettersi in luce<br />
<strong>il</strong> Dopolavoro Ferroviario (DLF) Domo per i piazzamenti<br />
lusinghieri delle proprie squadre giovan<strong>il</strong>i di ambo i sessi<br />
(oltre 120). Il presidente Giuseppe Mancuso, i suoi<br />
diretti collaboratori, gli allenatori Giovanni De Vito e<br />
Cuda seguono la metodica preparazione di tutte le categorie:<br />
Under 18, Allievi, etc. e una trentina di giovanissimi<br />
che stanno raggiungendo risultati incoraggianti.<br />
Esaltante la promozione in serie D conquistata dalla<br />
squadra masch<strong>il</strong>e Under 18 e quella in prima e seconda<br />
divisione dalla formazione femmin<strong>il</strong>e Under 17.<br />
Attualmente sono in attività le squadre Volley dei centri<br />
di Domodossola, Varzo, Preglia, Vogogna, Premia.<br />
Paracadutismo, freestyle e freefly<br />
La domese Gigliola Borgnis è la più giovane paracadutista<br />
italiana brevettata, avendo conseguito <strong>il</strong> brevetto<br />
di lancio a soli 16 anni. Nel 1998 con Marco Tiezzi sv<strong>il</strong>uppa<br />
una nuova tecnica di volo denominata “Atmonauti”,<br />
ovvero navigatori dell’atmosfera, riscuotendo<br />
grande consenso; questa disciplina viene introdotta nei<br />
regolamenti internazionali delle competizioni di freestyle<br />
e freefly. Dopo aver ottenuto successi in campionati<br />
nazionali, nel 2000 vince <strong>il</strong> Campionato Europeo<br />
363
di Freestyle e ottiene la medaglia d’argento alla Coppa<br />
del Mondo. Nel 2002 si riconferma campionessa europea<br />
di freestyle ed è medaglia di bronzo alla Coppa<br />
del Mondo. Prima e unica donna ad essere ammessa<br />
nell’ Xteam americano, Gigliola vince nel 2003 <strong>il</strong> primo<br />
premio della categoria Music/Video nel F<strong>il</strong>m Festival<br />
di Perris Valley, in California. Il medagliere di Gigliola<br />
comprende 8 medaglie d’oro, 6 d’argento e 3 di<br />
bronzo.<br />
Pesca<br />
Presieduta da Umberto Grossi svolge attualmente in<br />
Ossola una intensa attività allo scopo di gestire le acque<br />
e gli impianti sportivi di proprietà, in affitto o a qualunque<br />
titolo concessi. Si tratta dell’associazione denominata<br />
“Sezione Provinciale Pescatori del VCO”, che è praticamente<br />
la continuità di una associazione che ha scritto<br />
un pezzo di storia per quanto riguarda la gestione<br />
delle acque in Ossola, cioè l’AVMPO (Associazione Volontaria<br />
Pescatori Montanari Ossolani). Grazie alle inziative<br />
e al lavoro dei presidenti succedutisi con l’attivo<br />
e solerte segretario da parecchi anni Franco Gentinetta<br />
e con una numerosa schiera di tesserati che raggiunse<br />
anche le 4.000 unità. Ha sede a V<strong>il</strong>ladossola, in via<br />
Boccaccio n. 2. Il suo lavoro è quasi tutto basato sul volontariato<br />
attraverso <strong>il</strong> quale si sono tracciate alcune linee<br />
fondamentali per la gestione delle acque e per la valorizzazione<br />
della pesca sportiva come fenomeno sociale,<br />
in funzione della potenzialità del territorio.<br />
La Sezione Provinciale conta oltre 2.600 soci residenti<br />
nella provincia del VCO ed oltre 1.700 soci provenienti<br />
da altre province.<br />
All’interno dell’Associazione vi sono diversi settori con<br />
relative commissioni di gestione ed esattamente: Semine,<br />
Recuperi, Incubatoio, Vig<strong>il</strong>anza, Agonistica, per<br />
una attività promozionale ed amatoriale nel campo della<br />
pesca sportiva.<br />
Pug<strong>il</strong>ato<br />
Anche questo sport, dopo un inizio incoraggiante, ha<br />
avuto sempre vita breve e saltuaria.<br />
Per qualche anno un gruppo pug<strong>il</strong>istico organizzò in<br />
Domodossola alcuni incontri a livello provinciale e regionale,<br />
poi scomparve.<br />
364<br />
Pesca sportiva.<br />
Va ricordato in questa attività <strong>il</strong> vigezzino Vittoriano<br />
Femminis di Druogno, che arrivò a conquistare titolo<br />
di campione svizzero dei pesi welter d<strong>il</strong>ettanti.<br />
Scherma<br />
Casuale la nascita di questo sport e assai breve la sua<br />
durata. Verso <strong>il</strong> 1950 Nicola De Romita, un colonnello<br />
in pensione, decise di insegnare l’uso della sciabola<br />
ad un giovane suo vicino di casa, <strong>il</strong> quale, dopo la fine<br />
della guerra concretizzò la sua passione con altri amici<br />
formando un gruppo che battezzò “G.G. Galletti” con<br />
lo stemma composto da tre teste di gallo inf<strong>il</strong>ate da un<br />
fioretto con le creste che formavano le tre G (Gian Giacomo<br />
Galletti).<br />
Il gruppo prese parte anche ad alcuni campionati regionali,<br />
ma dopo una decina di anni si sciolse e di questo<br />
sport non si sentì più parlare nell’Ossola.<br />
A titolo di cronaca si ricorda che già in tempi più lontani<br />
(1895), una ristretta attività era svolta dalla società<br />
Ginnastica e Scherma guidata dal maestro Vincenzo<br />
Prandini.<br />
Sci<br />
Lo sci è stato, e rimane tuttora, lo sport che ha dato all’Ossola<br />
le migliori glorie in campo sportivo, non solo a<br />
livello nazionale, ma anche internazionale.
Centro del fondo in Valle Vigezzo.<br />
Culla dello sci ossolano è stata la valle Formazza. Si dice<br />
che nel 1909, tre turisti, forse svizzeri, saliti da Airolo<br />
attraverso <strong>il</strong> Passo San Giacomo, giunsero in Formazza<br />
e precisamente a Canza, calzando rudimentali sci. Un<br />
falegname formazzino, certo Guido Matli, vedendo la<br />
fac<strong>il</strong>ità con cui si poteva camminare sulla neve con quegli<br />
attrezzi, pensò bene di acquistarne un paio in Svizzera,<br />
quasi uguali, e con quel modello ne fabbricò altri in<br />
legno d’acero con uno zoccolo al centro e delle cinghie<br />
per tenere fermo <strong>il</strong> piede. Il parroco di Formazza, don<br />
Rocco Beltrami (che diverrà poi l’artefice delle future<br />
glorie formazzine) ebbe un’idea geniale: ordinò due<br />
paia di sci in Norvegia e quasi contemporaneamente Sisto<br />
Ferrera, figlio del maestro del paese, che si era arruolato<br />
negli alpini, tornando dal servizio m<strong>il</strong>itare iniziò a<br />
propagandare <strong>il</strong> nuovo sport che in altre zone d’<strong>It</strong>alia<br />
stava espandendosi. Lui stesso era divenuto un provetto<br />
sciatore saltatore. Il parroco si entusiasmò a questo<br />
sport e con un altro appassionato, certo Antonio Della<br />
Vedova, fondò lo Sci Club Formazza con 25 soci che<br />
pagavano cinque lire all’anno. Nel 1911 ai campionati<br />
m<strong>il</strong>itari internazionali svoltisi nei Pirenei arrivò primo<br />
Sisto Ferrera, seguito da Sebastiano Valci.<br />
Nel 1915 <strong>il</strong> Touring Club <strong>It</strong>aliano lancia l’iniziativa di<br />
una grande “Adunata degli Sciatori Valligiani” a Courmayeur.<br />
Alla prima, svoltasi a Courmayeur <strong>il</strong> 25 febbraio<br />
1915, parteciparono le squadre di molte zone<br />
alpine dell’alta <strong>It</strong>alia: la squadra di Formazza, formata<br />
da Ferrera Benigno, Ferrera Giuseppe, Imboden Sisto,<br />
Matli Domenico, Matli Efisio, giunse prima al traguardo<br />
con un quarto d’ora di vantaggio sulla seconda,<br />
quella di Bardonecchia. Nello stesso anno Ferrera<br />
Benigno si laurea in Valsassina campione italiano nella<br />
gara di fondo di 18 Km.<br />
Dopo la parentesi della prima guerra mondiale, la seconda<br />
“Valligiani” ebbe luogo nel 1920 in Val Gardena<br />
sempre sulla distanza dei 30 Km. Anche questa volta<br />
la squadra di Formazza giunge prima al traguardo<br />
con 21 minuti di vantaggio sulla squadra di Cortina<br />
d’Ampezzo.<br />
365
Per altre sei volte la squadra di Formazza vinse la “Valligiani”<br />
e precisamente negli anni 1922, 1923, 1926,<br />
1927, 1928 e 1932.<br />
Altri titoli italiani vennero conquistati nel 1922 e 1923<br />
da Ferrera Giuseppe e nel 1924 da Imboden Pio e, sempre<br />
nel 1924, quattro formazzini partecipano alle Olimpiadi<br />
di Chamonix. Nel 1929 Ach<strong>il</strong>le Bacher è campione<br />
italiano di fondo (18 km), nel 1936 Sc<strong>il</strong>ligo Sisto<br />
conquista l’alloro olimpico a Garmish e l’elenco dei successi<br />
è ancora lungo: nel 1950 Valci Em<strong>il</strong>io è campione<br />
italiano della massacrante 50 Km., nel 1959 e 1960 Bacher<br />
Mario è campione italiano juniores di combinata<br />
nordica e di fondo sui 10 km., nel 1952 Nino Anderlini<br />
partecipa alle Olimpiadi di Oslo e così pure Mario<br />
Bacher nel 1966.<br />
Numerosi Sci Club di vecchia data e molti quelli fondati<br />
in questi ultimi anni. Tra i più anziani lo Sci Club Bognanco<br />
(1920), lo Sci Club Divedro (1923) divenuto poi<br />
Sempione, lo Sci Club Monte Rosa (1924) che prende<br />
poi <strong>il</strong> nome di Macugnaga, lo Sci Club Vigezzo (1924)<br />
ed ultimamente altri, fra i quali lo Sci Club Domo Bianca,<br />
lo Sci Club Ossola 2000 e Trubi Ski Team Seven.<br />
Anche in tutti questi Sci Club non sono mancati sciatori<br />
che si sono conquistati notorietà in campo nazionale<br />
confermando le tradizioni sciistiche dell’Ossola.<br />
Nel 1936 Ettore Schranz partecipò ai Giochi Olimpici<br />
di Garmisch con la pattuglia m<strong>il</strong>itare italiana che vinse<br />
la medaglia d’oro; la notissima Roberta Schranz (Beba)<br />
per le sue doti di discesista nel 1970 venne chiamata a<br />
far parte della squadra italiana per la Coppa del Mondo;<br />
Ciocca Isolina campionessa nel 1953 in campo nazionale<br />
di fondo alle gare ENAL. Infine Walter Caffoni<br />
campione mondiale nel K.L. (ch<strong>il</strong>ometro lanciato).<br />
I bognanchesi Felice Darioli (campione italiano nella<br />
squadra di staffetta), <strong>il</strong> fratello Adriano, vincitore di ben<br />
sei titoli nazionali individuali e tre titoli pure nella staffetta.<br />
I vigezzini Gian Carlo Gubetta (della squadra nazionale<br />
fondisti), Oliviero Ramoni (di quella juniores),<br />
Leopoldo Comaita (discesista con la squadra nazionale<br />
ai mondiali del 1975). Molti giovani hanno vinto campionati<br />
giovan<strong>il</strong>i regionali e nazionali, facendo da contorno<br />
ai successi conseguiti dalla valanga di atleti ossolani<br />
nelle numerose gare che ogni anno si svolgono sui<br />
campi delle vallate adeguate alle esigenze degli atleti.<br />
366<br />
Dalla val Divedro Paolo Vairoli, Osvaldo Pletti, Dario<br />
Del Pedro e Marco Giovanna campioni juniores.<br />
Parecchi ossolani fanno parte delle squadre nazionali<br />
m<strong>il</strong>itari di sci dell’Esercito, delle Fiamme Gialle, dei<br />
Carabinieri, della Polizia.<br />
Particolare risonanza ha avuto dopo <strong>il</strong> 1980 la costituzione<br />
dello Sci Club Valdossola, sotto l’egida della Comunità<br />
Montana Valle Ossola, allo scopo di raggruppare<br />
in una unica squadra di ambo i sessi i migliori atleti<br />
di ogni Sci Club.<br />
Fra i numerosi campioni italiani ossolani negli ultimi<br />
anni ne citiamo alcuni: Adriano Darioli e Michele Vairoli<br />
nel 1985; Walter Caffoni nel 1988 per la terza volta<br />
campione italiano di slalom gigante. Autentica promessa<br />
è Maurizio Feller, secondo ai mondiali juniores<br />
nel super G e convocato nella squadra nazionale B. A<br />
grandi passi è emersa sulla scena mondiale la punta di<br />
diamante dello sci ossolano: Guidina Dal Sasso di Ornavasso,<br />
pluricampionessa, vincitrice di tre Olimpiadi e<br />
campionessa mondiale di ski-roll.<br />
Da qualche anno nell’alta val Formazza si svolge <strong>il</strong> campionato<br />
italiano di motoslitte, organizzato dal Moto<br />
Club Val Formazza. Lungo sarebbe l’elenco dei vincitori<br />
di titoli regionali, nazionali e mondiali. Attorno alla<br />
schiera di campioni, consistente è la massa degli appassionati<br />
a questo sport, confermato dal successo ottenuto<br />
dalle Scuole di Sci svoltesi per anni in Formazza, con<br />
direttore la guida di prima classe S<strong>il</strong>vio Borsetti, coadiuvato<br />
dalle guide Stefano Zani e Dino Del Custode.<br />
Una particolare citazione merita <strong>il</strong> successo conseguito recentemente<br />
dal Lions Club Domese a Bormio, al campionato<br />
italiano al quale parteciparono una cinquantina di<br />
Club da tutta <strong>It</strong>alia. Quello di Domodossola si è classificato<br />
al secondo posto dietro quello di Bormio. Nelle categorie<br />
“giovani” si sono affermati Tommaso Falcioni, nella categoria<br />
donne seconda Daniela Possa e in quella per i soci,<br />
ottimi piazzamenti di Falcioni, Falciola, Crugnola, Galli,<br />
Grossi, Zanaria, V<strong>il</strong>lani, Brizio, Siena, Verdi, Fornaroli.<br />
Per la prima volta nella sua storia <strong>il</strong> Club domese ha conquistato<br />
un prestigioso trofeo.<br />
Fra le molte iniziative realizzate dai Club ossolani, va<br />
citata la “Sgamelà ‘d Vigezz” di 25 Km a tecnica libera<br />
sulle nevi delle piste di S. Maria Maggiore, che si ripete<br />
dal 1999.
Il fiore all’occhiello dello sci in Ossola da qualche anno<br />
è Massim<strong>il</strong>iano Blardone, campione nella squadra nazionale<br />
italiana, detentore di br<strong>il</strong>lanti risultati nelle discese<br />
sulle piste mondiali.<br />
Sollevamento Pesi<br />
Nel periodo ante guerra mondiale qualche disciplina<br />
annoverò alcuni appassionati in zona, fra questi va ricordato<br />
Andrea Borgnis, vigezzino, residente a Prestinone<br />
(Craveggia) che arrivò a conquistare <strong>il</strong> titolo di<br />
campione italiano sollevamento pesi massimi - leggeri<br />
per ben sette anni consecutivi; primatista italiano della<br />
categorie prese parte ai campionati europei, mondiali<br />
e alle Olimpiadi. Nel maggio 1986 si svolse a Formazza<br />
una gara di sollevamento per <strong>il</strong> trofeo memorial<br />
Borgnis.<br />
Tennistavolo<br />
Il tennistavolo nell’Ossola, strutturalmente, nasce ufficialmente<br />
<strong>il</strong> 2 gennaio 1977, con la fondazione dell’A.S.<br />
Arci UISP La Lucciola di V<strong>il</strong>ladossola, grazie all’iniziativa<br />
di due appassionati a questo sport: Stefano Mura e<br />
Bruno Colusso. Successivamente trasformata in Tennis<br />
Tavolo Domodossola, si è fusa con <strong>il</strong> Tennis Tavolo Piedimulera<br />
(sorto nel frattempo) <strong>il</strong> 1° gennaio 1982, per assumere<br />
definitivamente la denominazione di Tennis Tavolo<br />
Ossola 2000 Domodossola, <strong>il</strong> 4 gennaio 1986.<br />
Rimasto da solo nella conduzione del T.T. Ossola 2000,<br />
<strong>il</strong> presidente Stefano Mura segue con particolare cura la<br />
formazione giovan<strong>il</strong>e, giovani che col tempo diventeranno<br />
l’ossatura delle squadre partecipanti ai vari campionati<br />
ed ai tornei individuali.<br />
Nei campionati a squadre <strong>il</strong> T.T. Ossola 2000, riesce<br />
nell’intento di raggiungere i vertici nazionali fino alla<br />
serie A1 nel 1995 (campionato al quale poi rinuncia<br />
per motivi finanziari), disputando per tre anni di seguito,<br />
dal 1994 al 1997, <strong>il</strong> campionato di serie A2 e successivamente<br />
nel 2003/2004. Alla fine di questo campionato<br />
<strong>il</strong> T.T. Ossola 2000 è costretto, sempre per motivi<br />
finanziari, a cedere <strong>il</strong> diritto di partecipazione alla serie<br />
A2, ridimensionando le proprie velleità, continuando<br />
comunque l’attività nei campionati minori.<br />
In 27 anni di attività gli atleti del T.T. Ossola 2000 hanno<br />
vinto 277 tornei, dei quali: 13 internazionali, 25<br />
tornei a squadre e 38 campionati a squadre. Ai campionati<br />
italiani hanno conquistato: 8 medaglie d’oro, 3<br />
d’argento e 4 di bronzo.<br />
Nel 1998 <strong>il</strong> T.T. Ossola 2000 viene insignito dalla F.I.T.<br />
e T. della medaglia di bronzo al merito sportivo e, nel<br />
2001, <strong>il</strong> C.O.N.I. assegna al Presidente Stefano Mura la<br />
“Stella d’argento al merito sportivo”.<br />
Tiro a segno<br />
La sistemazione di una parte del vecchio poligono al<br />
rione Badulerio per interessamento di un gruppo di appassionati<br />
al tiro a segno, ha riacceso la passione per<br />
questo sport in molti giovani e non più giovani.<br />
Già nel maggio 1927 a Roma per le gare nazionali di<br />
tiro a segno, la squadra ossolana si comporta assai bene:<br />
su 4.000 iscritti, <strong>il</strong> caposquadra ing. Mario Dell’Angelo<br />
si piazzò al 37° posto, Gustavo Croppi al 39° ed Ettore<br />
Canuti al 43°.<br />
La partecipazione a competizioni regionali e nazionali<br />
hanno rafforzato gli sforzi dei dirigenti soprattutto nei<br />
riguardi dei giovani. Nel 1996 i tiratori ossolani conquistano<br />
a Legnano <strong>il</strong> primo posto nella specialità donne<br />
pistola e carabina a 10 metri, Lucia Piazzi accede<br />
alla finale Coppa <strong>It</strong>alia; a Bra nei Giochi della Gioventù<br />
per “giovanissimi” con Simone Boxler (Macugnaga),<br />
Moreno Ribecchi (Varzo). I successi vanno di pari passo<br />
con l’entusiasmo degli ossolani: 2000 ragazzi nel dicembre<br />
2000 provenienti da tutta l’<strong>It</strong>alia si affrontano<br />
al poligono di Brescia per <strong>il</strong> trofeo Regioni e Campionati<br />
<strong>It</strong>aliani. Fra i rappresentanti del Piemonte, quattro<br />
giovani tiratori dell’Ossola: Maurizio Ravasio (già<br />
vincitore del Campionato Regionale Giovan<strong>il</strong>e), Alessio<br />
Valent, Fabrizio Munegato e Moreno Rebecchi.<br />
Aumentano gli iscritti: 80 in Ossola (80 m<strong>il</strong>a a M<strong>il</strong>ano):<br />
4 giorni di gare a Biella e successo del Tiro a Segno<br />
Domo al primo posto con 8552 punti.<br />
367
Finito di stampare nel mese di apr<strong>il</strong>e 2005<br />
dalla Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli s.n.c.<br />
di Ornavasso (VB)