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il libro completo - Terradossola.It

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i Lions ossolani<br />

alla propria Terra


Hanno collaborato per i testi:<br />

Tullio Bertamini, Gianfranco Bianchetti, Paolo Bologna, Paola Caretti, Marco Cattin, Umberto Chiaramonte, Cesarina Masini<br />

Chieu, Caterina Bensi Chiovenda, Galeazzo Maria Conti, Paolo Crosa Lenz, Alberto De Giuli, Raffaele Fattalini, Germana<br />

Fizzotti, Carmine Gaudiano, Sergio Lucchini, Enrico Margaroli, Cesare Melchiorri, Renzo Mortarotti, Rosario Mosello, G<strong>il</strong>berto<br />

Oneto, Anna Pagani, Angela Travostino Preioni, Mauro Proverbio, Ettore Radici, Pier Antonio Ragozza, Aldo Roggiani, Enrico<br />

Rizzi, Franca Paglino Sgarella, Giacomo Zerbini.<br />

Comitato di redazione:<br />

Antonio Pagani - Coordinatore generale<br />

Paola Caretti - Raffaele Frassetti - Alessandro Grossi - Sergio Lucchini - Giampaolo Prola<br />

Consulenti: Tullio Bertamini<br />

Fotografie: Carlo Pessina -Agenzia Pessina, Domodossola<br />

Copertina: Giampaolo Prola<br />

Il Lions Club Domodossola desidera esprimere la propria gratitudine a tutti coloro che, collaborando o<br />

contribuendo, hanno reso possib<strong>il</strong>e la realizzazione di quest’opera<br />

© Lions Club Domodossola - 2005<br />

Tutti i diritti riservati. Riproduzione anche parziale vietata.<br />

Il volume è stato curato dalla Edizioni Grossi - Domodossola<br />

Stampato dalla Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli s.n.c. - Ornavasso (VB)


Sommario<br />

pag. 15 La Storia<br />

” 17 Dalla preistoria al traforo del Sempione<br />

Tullio Bertamini<br />

” 57 La “repubblica” dell’Ossola<br />

Paolo Bologna<br />

” 69 L’archeologia<br />

Alberto De Giuli<br />

” 75 Ambiente e natura<br />

” 77 Un paesaggio verticale<br />

Renzo Mortarotti<br />

” 87 L’acqua e la pietra<br />

Aldo G. Roggiani e Marco Cattin<br />

” 103 Acque termali e acque minerali<br />

Pier Antonio Ragozza<br />

” 109 Il clima<br />

Tullio Bertamini e Rosario Mosello<br />

” 119 La flora<br />

Cesarina Masini Chieu<br />

” 135 La fauna<br />

Franca Paglino Sgarella<br />

” 149 I parchi e le riserve naturali<br />

Paolo Crosa Lenz<br />

” 155 La cultura<br />

” 157 Ossolani <strong>il</strong>lustri<br />

Angela Travostino Preioni<br />

” 195 Antonio Rosmini<br />

Anna Pagani<br />

” 203 I monumenti e i segni d’arte<br />

Gian Franco Bianchetti<br />

” 231 I letterati ossolani<br />

Enrico Margaroli<br />

7


8<br />

pag. 239 “Walser”: gli uomini dell’alta montagna<br />

Enrico Rizzi<br />

” 241 L’Ossola e <strong>il</strong> Sempione nei diari di viaggio<br />

Raffaele Fattalini<br />

” 245 Tradizione, folclore e leggende<br />

Germana Fizzotti<br />

” 259 Storia dei costumi<br />

Caterina Bensi Chiovenda<br />

” 265 Attività umane e tempo libero<br />

” 267 Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />

Umberto Chiaramonte e Sergio Lucchini<br />

” 297 L’agricoltura, l’allevamento e i prodotti tipici<br />

Giacomo Zerbini<br />

” 305 L’artigianato e <strong>il</strong> commercio<br />

Paola Caretti<br />

” 313 L’energia idroelettrica<br />

Ettore Radici<br />

” 319 L’attività estrattiva<br />

Mauro Proverbio<br />

” 333 L’architettura tradizionale<br />

Galeazzo Maria Conti e G<strong>il</strong>berto Oneto<br />

” 341 Il turismo<br />

Carmine Gaudiano e Paola Caretti<br />

” 353 Lo sport<br />

Cesare Melchiorri


Terra d’Ossola. Una terra abbracciata dai monti, una terra di acqua e di vento, ora aspra e rustica, ora dolce e<br />

sontuosa. S<strong>il</strong>enziosa sotto la coltre di neve, o esuberante quando <strong>il</strong> verde intenso colora i suoi boschi, la nostra<br />

Terra d’Ossola ci riserva ogni giorno un angolo nuovo, inedito. E noi, che come alberi affondiamo le radici in que-<br />

sto spaccato di mondo e assorbiamo di giorno in giorno da questo terreno la nostra linfa vitale, abbiamo <strong>il</strong> dovere di<br />

scoprire, di conoscere e tramandare i m<strong>il</strong>le tesori che secoli di storia ossolana ci hanno regalato. Per queste ragioni <strong>il</strong><br />

Lions Club Domodossola, in occasione del Quarantennale della sua Fondazione, ha voluto raccogliere in un’unica<br />

opera, completa ed aggiornata, <strong>il</strong> pensiero di studiosi che all’Ossola hanno dedicato approfondite ricerche. Sulla scia<br />

del successo ottenuto nelle due precedenti edizioni, questo terzo volume di “Terra d’Ossola” intende divenire uno<br />

strumento di fac<strong>il</strong>e consultazione, soprattutto per gli studenti, che avranno a loro disposizione anche la versione in-<br />

formatizzata raccolta in un CD e un DVD. Il volume, che si legge come un lungo racconto della storia antica e mo-<br />

derna delle nostre genti di montagna, è dedicato proprio ai giovani. Attraverso la parola scritta, intesa come valore<br />

storico da non disperdere come foglie al vento, ci auguriamo che i giovani possano trovare <strong>il</strong> giusto sentiero che uni-<br />

sce passato e futuro, e infondere uno spirito nuovo alla loro terra. Determinante per la realizzazione del <strong>libro</strong> sono<br />

stati i generosi contributi offerti dalla Provincia del Verbano Cusio Ossola e dalla Banca Popolare di Intra, ai qua-<br />

li vanno i nostri particolari ringraziamenti. Degno di nota è l’interesse manifestato dai numerosi sostenitori e spon-<br />

sor, così come lodevole è l’entusiasmo con cui hanno lavorato i soci del Lions Club che, accogliendo <strong>il</strong> mio invito, si<br />

sono prodigati per la buona riuscita dell’iniziativa. Naturalmente un grazie agli autori, che hanno confermato, con<br />

la volontà e <strong>il</strong> valore dei loro saggi, l’efficacia dell’agire comune per esaltare le virtù della nostra “Terra d’Ossola”.<br />

Gian Luigi Caretti<br />

Presidente del Lions Club Domodossola<br />

9


Auguro a questa edizione di “Terra d’Ossola”, la terza, la stessa fortuna e successo delle due che l’hanno preceduta,<br />

quella del 1984, da tempo esaurita, e la seconda, del 1994, diventata ut<strong>il</strong>e e ag<strong>il</strong>e strumento per studiosi<br />

e studenti di storia ossolana.<br />

Il mio augurio, più che esprimere una speranza, esprime una certezza, che deriva dall’alta qualità dei testi redatti da<br />

firme note del panorama letterario locale.<br />

Ad incrementare le opportunità di successo sicuramente contribuirà la novità proposta, a corredo della carta stampata,<br />

di un CD multimediale ut<strong>il</strong>e come software per gli studenti e un supporto DVD. Mi pare la strada giusta per<br />

rendere moderna e all’avanguardia un’opera che ricostruisce e riassume secoli di storia, di arte e di attività umane<br />

che tanto hanno contribuito a valorizzare <strong>il</strong> territorio.<br />

“Terra d’Ossola” rappresenta dunque un mezzo importante per conservare le tradizioni locali, anche in funzione didattica<br />

e, in generale, per tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza del territorio. Altro augurio che mi<br />

sento di esprimere, di fronte ad opere di pregio come questa, è che rappresentino anche un momento di riflessione<br />

per consolidare le basi su cui poggia <strong>il</strong> futuro della nostra terra. In altre parole, spero che la comprensib<strong>il</strong>e e giusta<br />

tensione verso la salvaguardia delle tradizioni locali non sia ster<strong>il</strong>e sguardo rivolto al passato, ma anche preludio di<br />

un nuovo modo di vivere “l’ossolanità”, aprendola al confronto con le altre zone della nostra Provincia.<br />

Credo che “Terra d’Ossola” debba essere letto coniugando al futuro quanto si racconta nelle sue pagine. Oggi come<br />

non mai l’Ossola deve guardare avanti, i suoi abitanti devono diventare sempre più artefici delle proprie sorti in un<br />

positivo e coeso rapporto con quanto vi è oltre i confini ossolani, in primis Verbano e Cusio.<br />

Spero che i giovani, a cui l’opera è rivolta in modo particolare, possano più di altri guardare lontano, raccogliendo<br />

<strong>il</strong> testimone degli studiosi e scrittori locali e così trovare nel <strong>libro</strong> nuovi stimoli per approfondire gli argomenti trattati<br />

e continuare <strong>il</strong> prezioso lavoro di ricerca fin qui compiuto.<br />

10<br />

Paolo Ravaioli<br />

Presidente Provincia del Verbano-Cusio-Ossola


a quasi novant’anni, Banca Popolare di Intra è presente in Ossola. L’apertura della sede di Domodossola e<br />

D della f<strong>il</strong>iale di V<strong>il</strong>ladossola risale infatti al 1919. Pochi anni dopo, nel 1921, è stata invece la volta di Ornavasso,<br />

cui sono seguite negli anni successivi Malesco, Pieve Vergonte, Trontano, Domodossola Agenzia di Città, Baceno,<br />

Druogno e, nel 1998, Varzo.<br />

In questo lungo arco di tempo, Banca Popolare di Intra si è posta un obiettivo prioritario: favorire la crescita e lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo del territorio ossolano.<br />

Nei suoi 132 anni di storia, Popolare di Intra ha mantenuto e valorizzato la sua identità di Banca che fa dell’attenzione<br />

al territorio, del rapporto personale con i clienti, della capacità di ascolto e della capacità di proporre con tempismo<br />

prodotti e servizi innovativi i punti forti della sua azione.<br />

Detto altrimenti, ha saputo conservare immutata la propria identità, riuscendo, contemporaneamente, a tenersi al<br />

passo con i tempi e a raccogliere le sollecitazioni del mercato mettendone a frutto mutamenti e trasformazioni.<br />

Alla luce di tutto questo appare naturale <strong>il</strong> nostro sostegno alla realizzazione della nuova edizione di Terra d’Ossola<br />

che <strong>il</strong> Lions Club Domodossola pubblica per celebrare <strong>il</strong> quarantennale della sua fondazione, nella convinzione che<br />

la “salvaguardia delle tradizioni abbia senso e valore solo in quanto diventa apertura verso nuove conquiste di valori<br />

civ<strong>il</strong>i”.<br />

Il <strong>libro</strong>, che vanta già due edizioni, viene ora aggiornato nei contenuti e nello st<strong>il</strong>e e arricchito con un cd multimediale<br />

di carattere didattico e un supporto visivo in dvd con l’obiettivo prioritario di <strong>il</strong>lustrare agli studenti locali la<br />

storia, la cultura e le tradizioni ossolane.<br />

E’ anche attraverso la partecipazione alla realizzazione di iniziative editoriali come queste che passa la capacità della<br />

Banca Popolare di Intra di essere ciò che è: un vero punto di riferimento per tutto <strong>il</strong> territorio. Territorio rispetto al<br />

quale la “Intra” costituisce un motore di crescita e di sv<strong>il</strong>uppo, non solo economico.<br />

Sandro Saini<br />

Presidente Banca Popolare di Intra<br />

11


Sponsor ufficiali dell’opera:<br />

12<br />

Provincia del Verbano Cusio Ossola<br />

Banca Popolare di Intra<br />

Hanno contribuito alla realizzazione:<br />

Antigorio s.n.c. - Graniti, Serizzi, Beole<br />

Assocave VCO<br />

Assograniti VCO<br />

Autoservizi Comazzi s.r.l.<br />

Gigliola e Giorgio Brizio<br />

Davide Campari - M<strong>il</strong>ano S.p.A. - Stab<strong>il</strong>imento di Crodo<br />

Gianluigi Caretti<br />

Comunità Montana Antigorio Divedro Formazza<br />

Comunità Montana Valle Antrona<br />

Comunità Montana Monte Rosa<br />

Comunità Montana Valle Ossola<br />

Comunità Montana Valle Vigezzo<br />

Distretto Turistico dei Laghi<br />

Fornaroli dott. Giovanni<br />

Fratelli Poscio S.p.A.<br />

Frua Cav. Mario S.p.A.<br />

Immob<strong>il</strong>iare Lepontina s.r.l.<br />

Impred<strong>il</strong> s.r.l. - Costruzioni Ed<strong>il</strong>i<br />

Ingeoart s.r.l.<br />

International Chips s.r.l.<br />

Libreria Grossi<br />

Manifattura di Domodossola<br />

Marini Quarries Group s.r.l.<br />

Niccioli Ercole<br />

Ing. Antonio Pagani<br />

Studio Pavan s.r.l.<br />

Riserva Naturale Speciale Sacro Monte Calvario di Domodossola<br />

Sciovie Lusentino Moncucco s.r.l.<br />

Siena Gianluigi - Agenzia RAS - Domodossola<br />

Società Subalpina Imprese Ferroviarie S.p.A.<br />

Parco Nazionale Val Grande<br />

Parco Naturale Veglia Devero<br />

VCO Azzurra TV


“Pro memoria Ossolano”. Pittura su tela cm 100x100, 1979 di Giuliano Crivelli.<br />

Propr. Comunità Montana Valle Ossola.


La Storia


Domodossola, Torretta delle antiche mura (sec. XIV).


Dalla Preistoria al traforo del Sempione<br />

Tullio Bertamini<br />

II breve schizzo storico qui proposto vuole offrire solo<br />

qualche indicazione cronologica e qualche riferimento<br />

più specificatamente ossolano, quasi un disegno in r<strong>il</strong>ievo,<br />

sulla storia delle regioni più vicine e più vaste come<br />

la Lombardia, <strong>il</strong> Piemonte e l’<strong>It</strong>alia settentrionale, storia<br />

che dobbiamo in gran parte supporre a tutti nota o comunque<br />

fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>e. Saranno anche trascurati<br />

molti fatti di interesse troppo locale, puntando invece<br />

su quelli che coinvolgono l’intiera regione ossolana.<br />

Dalla preistoria alla fine dell’Impero Romano d’Occidente<br />

(sec. V)<br />

L’archeologia ci dice che l’Ossola fu abitata dagli uomini<br />

fin da epoca immemorab<strong>il</strong>e. I ritrovamenti di utens<strong>il</strong>i,<br />

armi e suppellett<strong>il</strong>i di pietra, di bronzo, di ferro e di<br />

ceramica ci informano che insediamenti umani dovettero<br />

essere già presenti almeno nel Neolitico e successivamente<br />

nell’età del bronzo e sempre più intensivamente<br />

nell’età del ferro, cioè almeno dal terzo m<strong>il</strong>lennio prima<br />

di Cristo. Cacciatori e raccoglitori di frutti prima e,<br />

poi, pastori, agricoltori e ricercatori di minerali, contribuirono<br />

a conoscere la regione, dissodarne i campi ed i<br />

prati e bonificare le zone di pascolo oltre <strong>il</strong> limite della<br />

vegetazione arborea. Furono naturalmente scelti per<br />

primi i luoghi più sicuri ed a solatio sui pendii delle valli,<br />

ricchi di terreno fert<strong>il</strong>e, prossimi alle sorgenti e sicuri<br />

dalle fiere e dagli altri nemici.<br />

Gli storiografi che accennano all’Ossola sono molto tardivi.<br />

Il primo che ce ne dà una indicazione è <strong>il</strong> geografo<br />

Tolomeo (II sec. d.C.) <strong>il</strong> quale ricorda confusamente<br />

una Oscella Lepontiorum, cioè una regione abitata da<br />

un popolo chiamato dei Leponzi e, probab<strong>il</strong>mente, la<br />

sua capitale (Domodossola). I Leponzi abitavano tutta<br />

l’Ossola e le regioni vicine del Canton Ticino ed erano<br />

affratellati con un altro gruppo detto più propriamente<br />

Uberi che abitavano nell’altro versante delle Alpi oltre <strong>il</strong><br />

Gottardo. Diffic<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>ire quale fosse l’origine dei Leponzi.<br />

Alla loro formazione probab<strong>il</strong>mente contribuirono<br />

sia i discendenti dei popoli che nel Neolitico si<br />

erano insediati in queste regioni e successivamente altri<br />

provenienti dalla pianura padana (Liguri) e dalle regioni<br />

transalpine (Celti). Pare che un profondo amalgama<br />

di popoli sia avvenuto in questa regione nel VI secolo<br />

avanti Cristo quando i Galli calarono in <strong>It</strong>alia e si scontrarono<br />

con gli Etruschi e poi con i Romani. I Leponzi<br />

ebbero certamente una propria cultura ed un proprio<br />

linguaggio, ma subirono l’influenza degli Etruschi loro<br />

confinanti a sud, da cui ebbero l’alfabeto. I pochi documenti<br />

scritti in lingua lepontica (non ancora perfettamente<br />

decifrati) sono stati formulati con quell’alfabeto.<br />

Solo dopo la conquista romana adotteranno l’alfabeto<br />

latino. I ritrovamenti tombali ci informano che i Leponzi<br />

erano soprattutto agricoltori e pastori, ma capaci<br />

anche di fondere <strong>il</strong> bronzo e lavorare i metalli. Armi<br />

ed arnesi di lavoro ci parlano di un popolo forte e tenace<br />

nella coltivazione dei campi e nella difesa della propria<br />

libertà. Furono infatti fieri, come tutti i popoli alpini,<br />

della loro indipendenza e perciò si opposero anche<br />

ai Romani che, dopo aver superato gli Etruschi, si<br />

affacciavano alla pianura padana. Perciò dopo la prima<br />

guerra punica ci fu uno scontro durissimo fra i Romani<br />

ed i popoli della Gallia Cisalpina, Leponzi compresi.<br />

I Romani, vittoriosi, con la disfatta degli Insubri e la<br />

conquista di M<strong>il</strong>ano loro capitale (222 a.C.), imposero<br />

le colonie m<strong>il</strong>itari di Cremona e Piacenza. Quando poi<br />

Annibale attraversò le Alpi (218 a.C.), i Leponzi si unirono<br />

a lui e parteciparono alla battaglia del Ticino che,<br />

vinta da Annibale, costrinse i Romani a ripassare <strong>il</strong> Po.<br />

Ma dopo la battaglia di Zama i Romani ritornarono ad<br />

occupare la pianura padana, spingendosi probab<strong>il</strong>men-<br />

17


te fino al lago Maggiore ed al fiume Sesia (187 a.C.).<br />

Negli anni seguenti le relazioni fra i Romani ed i Leponzi<br />

migliorarono. I popoli alpini si avvantaggiarono<br />

soprattutto dai commerci che avvenivano attraverso le<br />

Alpi dei cui passi essi erano i padroni. Ne è segno anche<br />

in Ossola la frequente monetazione romana repubblicana.<br />

Molti prodotti italici cominciarono ad apparire anche<br />

nell’Ossola, come attestano i ritrovamenti tombali<br />

di Ornavasso, Gravellona ecc.<br />

Ma le Alpi, dopo la spericolata traversata di Annibale,<br />

non erano più un baluardo insuperab<strong>il</strong>e alle orde barbariche<br />

che cercavano in <strong>It</strong>alia migliori sedi. I Romani,<br />

già padroni della Provenza e del Norico, vig<strong>il</strong>avano affinché<br />

questo non avvenisse. Ma i Cimbri ed i Teutoni,<br />

popoli provenienti dal Nord, dopo aver chiesto invano<br />

a Roma di entrare in <strong>It</strong>alia ed avere scorazzato per<br />

mezza Europa, ed aver vinto anche alcuni eserciti romani,<br />

ritentarono l’impresa. Essi trovarono in Provenza un<br />

potente esercito romano comandato da Mario. Allora<br />

si divisero in due corpi: i Teutoni cercarono un passaggio<br />

nelle Alpi Marittime ma furono completamente distrutti<br />

da Caio Mario alle Aquae Sextiae, i Cimbri risalirono<br />

<strong>il</strong> Rodano affrontando probab<strong>il</strong>mente i passi alpini<br />

ossolani. Frattanto un esercito romano al comando<br />

di Lutazio Catulo si era attestato nel versante opposto<br />

costruendo un doppio campo fortificato congiunto<br />

da un ponte a cavallo del fiume Toce, che lo storico<br />

Plutarco chiama Atosis, probab<strong>il</strong>mente proprio fuori di<br />

Domodossola nel luogo che prese <strong>il</strong> nome di Castellazzo.<br />

Ma i Cimbri, costruita una grossa diga alle forre di<br />

Pontemalio, produssero una piena artificiale che mise<br />

in gran pericolo <strong>il</strong> ponte romano e tutto <strong>il</strong> sistema difensivo.<br />

Il console Lutazio Catulo credette allora opportuno<br />

mettersi in testa ai suoi soldati in fuga e riparare<br />

nella pianura padana. Poco dopo però, ai Campi Raudii<br />

presso Vercelli, le forze romane di Caio Mario distrussero<br />

completamente le orde dei Cimbri (101 a.C.).<br />

Le relazioni fra i Romani ed i Leponzi si guastarono alla<br />

fine del I secolo a.C. quando, pare, le comunicazioni fra<br />

i due versanti alpini divennero insicure a causa dei continui<br />

ladroneggi. Roma intraprese una guerra in piena<br />

regola e tutti i popoli alpini furono assoggettati al suo<br />

imperio (14 a.C.). Questo successo fu esaltato con un<br />

monumento a La Turbie (in Francia) su cui una lun-<br />

18<br />

ga iscrizione, riportataci anche da Plinio <strong>il</strong> Vecchio, ricorda<br />

tutti i popoli alpini sottomessi e pacificati; fra essi<br />

anche i Leponzi.<br />

La pace augustea che ne seguì ebbe felici conseguenze<br />

anche nell’Ossola, dove aumentò <strong>il</strong> benessere economico<br />

e prese avvio la cultura. Oscella fu probab<strong>il</strong>mente<br />

elevata al grado di municipio e, secondo <strong>il</strong> De Vit,<br />

fu sede del procuratore romano preposto alla provincia<br />

delle Alpi Atrezziane, provincia che durò fino all’epoca<br />

dell’imperatore Diocleziano (284-305) che l’ascrisse<br />

definitivamente all’<strong>It</strong>alia. Tracce di questo benessere si<br />

riscontrano abbondantemente nei reperti tombali. Furono<br />

anche potenziate le vie di comunicazione, in cui<br />

i Romani erano maestri. Oscella era collegata non solo<br />

con Novara e M<strong>il</strong>ano, ma anche con Seduno (Sion) e<br />

Octoduro lungo quella che poi fu l’asse sempioniana,<br />

ma che in quell’epoca ut<strong>il</strong>izzava probab<strong>il</strong>mente con più<br />

frequenza i passi della valle Antigorio, della val Bognanco<br />

e della valle Antrona. Un lungo tratto di strada romana<br />

esiste ancora sulla sponda sinistra del Toce, da<br />

Cosasca a Mergozzo, ricordata anche dalla famosa iscrizione<br />

su roccia di Vogogna che la fa risalire all’intervento<br />

di un procuratore delle Alpi Atrezziane al tempo di<br />

Settimio Severo (196 d.C.).<br />

La romanizzazione si riflette puntualmente anche nei<br />

nomi di persona e nei cognomi, alcuni dei quali come<br />

quello attestatoci dalla ricca tomba di Claro Fuenno a<br />

Domodossola sono in parte romani e in parte ancora<br />

leponzi. Analogamente avviene per la religione. Assieme<br />

al culto tradizionale delle divinità lepontiche, come<br />

le Matrone, compare quello delle divinità importate,<br />

come S<strong>il</strong>vano, Giove e Iside (ara trovata a Candoglia).<br />

Un tempietto scoperto a Roldo di Montecrestese e risalente<br />

ai primi anni dell’era moderna è tutto ciò che ci<br />

resta degli edifici sacri di quel tempo. Ma nel IV secolo<br />

la religione pagana subisce una crisi mortale con l’avvento<br />

del Cristianesimo che lentamente, ma inesorab<strong>il</strong>mente,<br />

sostituisce l’antica religione pagana nelle città e<br />

poi anche nelle province più lontane dell’Impero. Con<br />

Costantino ebbe <strong>il</strong> diritto all’esistenza e con Teodosio <strong>il</strong><br />

Cristianesimo divenne religione di Stato (385). In Ossola<br />

<strong>il</strong> Cristianesimo si affermò abbastanza presto, ut<strong>il</strong>izzando<br />

anche gli edifici religiosi pagani esistenti e riconvertendoli<br />

al nuovo culto. Grande fu in questo tem-


po l’opera di evangelizzazione guidata dal Vescovo Ambrogio<br />

di M<strong>il</strong>ano che spedì missionari e vescovi in tutta<br />

la Gallia.<br />

Forse anche Oscella ebbe inizialmente <strong>il</strong> suo vescovo,<br />

ma certamente ebbe un presbiterio o gruppo di sacerdoti<br />

che cominciarono a interessarsi a questa regione.<br />

Il documento più antico che ci parla della presenza del<br />

Cristianesimo in Ossola è una lapide mortuaria rinvenuta<br />

sul colle di Mattarella, dove probab<strong>il</strong>mente una<br />

chiesa dedicata alla B.V. Maria ricalca un tempio dedicato<br />

alle Matrone, e che risale all’inizio del VI secolo.<br />

Ma anche sul Montorfano di Mergozzo, all’interno della<br />

chiesa di S. Giovanni, è stato ritrovato un fonte battesimale<br />

che può risalire alla stessa epoca.<br />

Le vicende dei secoli seguenti nell’Ossola si possono riassumere<br />

nella situazione generale creatasi nell’<strong>It</strong>alia settentrionale<br />

e specialmente a Novara e M<strong>il</strong>ano fino alla<br />

caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.).<br />

Dall’età barbarica al M<strong>il</strong>le<br />

L’indebolimento dell’Impero romano permise a molti<br />

popoli barbari di superare i confini e penetrare in un<br />

territorio coltivato e ricco di prede.<br />

Cedono le difese della Germania e della Pannonia permettendo<br />

ai Goti di Alarico di raggiungere e saccheggiare<br />

Roma (410). Nel contempo (443) i Burgundi<br />

prendono stab<strong>il</strong>e dimora lungo la Soana ed <strong>il</strong> Rodano<br />

a ridosso dell’arco alpino ossolano. È poi la volta degli<br />

Ostrogoti di Teodorico <strong>il</strong> quale vince Odoacre che era<br />

stato proclamato re (476) da truppe mercenarie germaniche<br />

al servizio dell’Impero, e fa di Ravenna la sua capitale.<br />

La guerra degli Ostrogoti sotto la guida di Teodorico,<br />

iniziata nel 493, coinvolge anche l’<strong>It</strong>alia occidentale<br />

e quindi l’Ossola che fu sottoposta alle scorrerie<br />

dei Burgundi, chiamati forse da Bisanzio in aiuto di<br />

Odoacre. Le scorrerie dei Burgundi causarono la distruzione<br />

ed <strong>il</strong> saccheggio di molte città e paesi, dai quali<br />

furono portati via e condotti in schiavitù molti abitanti.<br />

Una iscrizione su una roccia, letta dallo storico ossolano<br />

Giovanni Capis, in località Mizzoccola presso Cosasca,<br />

accennerebbe al passaggio per l’Ossola di un corpo<br />

di spedizione di Burgundi al comando del loro re<br />

Gundobaldo.<br />

Cominciò dunque in quell’epoca <strong>il</strong> decadimento di<br />

Oscella che vide distrutti i suoi palazzi e deserte le sue<br />

case dalle quali furono dedotti schiavi gli abitanti. I<br />

municipi che subirono maggiori danni furono M<strong>il</strong>ano,<br />

Novara e Vercelli. Ennodio, scrittore di quell’epoca, ci<br />

dice però che i vescovi cominciarono a esercitare una<br />

grande influenza anche nel mondo civ<strong>il</strong>e, facendo valere<br />

<strong>il</strong> prestigio del loro potere religioso al servizio dei popoli.<br />

S. Lorenzo vescovo di M<strong>il</strong>ano, Epifanio vescovo di<br />

Pavia, si recarono infatti alla corte del re Gundobaldo<br />

ottenendo da lui e dal fratello Godisc<strong>il</strong>o che risiedeva a<br />

Ginevra, la liberazione dei prigionieri che pensiamo siano<br />

ritornati attraverso i passi alpini ossolani.<br />

Il regno di Teodorico (493-526) fu di relativa stab<strong>il</strong>ità<br />

e prosperità in <strong>It</strong>alia, sebbene le popolazioni rurali<br />

fossero state ridotte ad un forte impoverimento, dovuto<br />

ad una redistribuzione dei beni ed a tasse in favore<br />

dei barbari occupanti. La successiva guerra, iniziata<br />

nel 535 e protrattasi per 18 anni, che permise ai generali<br />

bizantini Belisario e Narsete di cacciare i Goti e restaurare<br />

<strong>il</strong> dominio dell’Impero non fece che aumentare<br />

le distruzioni ed i disagi dei popoli. Fu probab<strong>il</strong>mente<br />

sotto <strong>il</strong> dominio di Teodorico o, al più tardi, sotto quello<br />

di Narsete che non solo fu fortificato ulteriormente<br />

<strong>il</strong> Castellazzo di Oscella (dove un tempo furono le fortificazioni<br />

romane) contro i Burgundi, ma fu anche costruito<br />

ex novo <strong>il</strong> potente castello di Mattarella, dove<br />

tuttavia si hanno tracce di costruzioni più antiche, di<br />

epoca romana e tracce di insediamenti preistorici.<br />

Ma <strong>il</strong> grande colpo che ridusse l’<strong>It</strong>alia settentrionale allo<br />

stremo e la imbarbarì per parecchi secoli fu quello dovuto<br />

all’invasione dei Longobardi sotto la guida di Alboino,<br />

penetrati nel Friuli, e che successivamente conquistarono<br />

M<strong>il</strong>ano e Pavia nel 572, dove posero la loro<br />

capitale.<br />

La prima parte del dominio longobardo fu durissima,<br />

segnata da violenze, espropri, saccheggi, incendi, spogliazioni<br />

di ogni genere, specialmente del clero e delle<br />

chiese, contro le quali i Longobardi, ariani, si accanirono<br />

particolarmente. Ciò fu causa di un rapido e drastico<br />

regresso della civ<strong>il</strong>tà. La popolazione, già decimata<br />

dalla fame e dalla peste, si ridusse notevolmente. Le<br />

lettere e le arti decaddero quasi completamente. I Longobardi<br />

pretendevano di vivere di razzia prelevando i<br />

beni prodotti dai popoli soggetti, ma, condotti a mi-<br />

19


glior consiglio dagli insuccessi m<strong>il</strong>itari, dovettero anch’essi<br />

adattarsi al lavoro e divenire agricoltori come i<br />

popoli soggetti.<br />

Dopo un periodo di anarchia, sotto re Autari (584-590)<br />

che sposò la cattolica Teodolinda, figlia del duca di Baviera,<br />

le cose mutarono. Con <strong>il</strong> successore Ag<strong>il</strong>ulfo, secondo<br />

sposo di Teodolinda, e con <strong>il</strong> concorso del papa<br />

S. Gregorio Magno, inizia la conversione al cattolicesimo<br />

dei Longobardi, <strong>il</strong> che favorisce l’amalgama con<br />

i popoli soggetti. Tuttavia mentre questi mantengono<br />

la legge romana, i Longobardi con l’Editto di Rotari<br />

(636-652) codificano la loro tradizione vivendo con<br />

leggi proprie. Il regno longobardo è in continua espansione<br />

nel secolo VII con la creazione di nuovi ducati,<br />

ma presenta anche forti sintomi di debolezza dovuti alla<br />

disunione dei duchi. L’Ossola è inclusa nel ducato di S.<br />

Giulio d’Orta, sulla cui omonima isola probab<strong>il</strong>mente<br />

<strong>il</strong> duca si era costruito per maggior sicurezza un castello.<br />

Oscella perde le caratteristiche di capitale dell’Ossola<br />

perché la sede del potere civ<strong>il</strong>e e m<strong>il</strong>itare longobardo<br />

è nel castello di Mattarella da cui dipendeva <strong>il</strong> territorio<br />

sotto forma, probab<strong>il</strong>mente, di giudicaria, retta da<br />

uno sculdascio. Quando, sotto <strong>il</strong> re Ag<strong>il</strong>ulfo irrompono<br />

i Franchi dai passi alpini ossolani e ticinesi <strong>il</strong> duca Mainulfo<br />

di S. Giulio d’Orta tradisce <strong>il</strong> suo re e lascia libero<br />

passo ai Franchi. Ma, cacciati questi, Ag<strong>il</strong>ulfo si vendica<br />

facendo tagliare la testa al duca fellone e riducendo<br />

sotto <strong>il</strong> suo diretto dominio <strong>il</strong> ducato. L’Ossola quindi<br />

dipenderà direttamente dalla Corte di Pavia. In questo<br />

tempo grandi territori sono concessi ai m<strong>il</strong>ites ed alle<br />

fare arimanniche longobarde nelle Alpi che essi dovevano<br />

difendere dalle invasioni nemiche. Gli uomini liberi<br />

sono ancora numerosi, ma molti sono anche i servi e<br />

gli aldioni sem<strong>il</strong>iberi e molto sv<strong>il</strong>uppata è la servitù della<br />

gleba in una economia che è solo agricolo-pastorale.<br />

Questa situazione non cambia neppure dopo che Carlo<br />

Magno, con la vittoria sull’ultimo re longobardo Desiderio<br />

(774), instaura <strong>il</strong> dominio franco in <strong>It</strong>alia. L’Ossola<br />

diventa una contea dipendente dal regno italico; <strong>il</strong><br />

suo centro amministrativo e m<strong>il</strong>itare è sempre <strong>il</strong> castello<br />

di Mattarella (Corte di Mattarella). Ma con la venuta<br />

dei Franchi continua quel processo di feudalizzazione<br />

che sottrae praticamente al diretto dominio del re alcuni<br />

territori che vengono dati in feudo a signori laici<br />

20<br />

ed ecclesiastici per loro particolari benemerenze, i quali<br />

vi esercitano <strong>il</strong> dominio teoricamente alle dipendenze<br />

del re a cui giurano fedeltà, ma di fatto valendosene<br />

con molta libertà. Vassalli maggiori e minori si legano<br />

in una instricab<strong>il</strong>e società che è spesso fortemente suddivisa<br />

dagli interessi famigliari ed individuali a spese del<br />

popolo minuto, dei servi della gleba e coloni costretti<br />

ad un duro lavoro nei campi e nei boschi ed alla costruzione<br />

dei numerosi castelli che sorgono come funghi<br />

un po’ dappertutto.<br />

A questo processo di feudalizzazione è soggetta anche<br />

l’Ossola, dove alcuni signori hanno vasti territori<br />

e partecipa anche <strong>il</strong> vescovo di Novara che costruisce a<br />

Oscella, presso la chiesa dei S.S. Gervasio e Protasio <strong>il</strong><br />

suo castello (castrum novum, ricordato nel 1001). Ma <strong>il</strong><br />

dominio del vescovo si estende soprattutto sulla città di<br />

Novara, attorno al lago d’Orta ed in moltissime altre località,<br />

dove le chiese possiedono beni immob<strong>il</strong>i. L’Ossola<br />

intanto è governata da un conte palatino, ma <strong>il</strong> territorio<br />

si è andato restringendo a causa della crescita dei<br />

feudi donati dal re ai signori, tanto che viene definita<br />

comitatulo quella parte che ancora dipende dalla corte<br />

di Mattarella, dopo le riduzioni subite a causa della feudalizzazione.<br />

Ma in Ossola hanno i loro beni monasteri<br />

come quello di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, fondato<br />

dal re longobardo Liutprando, e chiese anche di diocesi<br />

diverse da quella di Novara.<br />

I vescovi di Novara continuando con qualche fortuna<br />

l’opera di accrescimento del dominio temporale della<br />

Chiesa iniziatosi con la immunità concessa da Ludovico<br />

<strong>il</strong> Pio (814-840) e progredito con le donazioni e conferme<br />

di Lotario I, di Carlomanno e di Berengario I (901),<br />

si trovarono tuttavia a dover scegliere fra i vari pretendenti<br />

alla corona d’<strong>It</strong>alia ed a quella imperiale. Così Berengario<br />

II sottrasse alla Chiesa novarese la Riviera di S.<br />

Giulio e perseguitò <strong>il</strong> vescovo che non appoggiava la sua<br />

candidatura alla corona imperiale. Ma Ottone I di Germania,<br />

sconfitto Berengario, restituì al vescovo di Novara<br />

(962) la Riviera, l’isola di S. Giulio e la giurisdizione<br />

su Novara e dintorni. Da questo momento i vescovi<br />

di Novara appoggeranno pressoché costantemente i re e<br />

gli imperatori di Germania, i quali, per questa fedeltà,<br />

saranno generosi di riconoscimenti e di nuove donazioni.<br />

L’occasione più propizia fu colta nella lotta che op-


pose Arduino marchese d’Ivrea, pretendente alla corona<br />

d’<strong>It</strong>alia, ed <strong>il</strong> re germanico Enrico II. Il vescovo Pietro<br />

di Novara, schieratosi al momento opportuno con<br />

Enrico II, fu perseguitato da Arduino, per cui dovette<br />

fuggire e subire notevoli danni nei suoi possedimenti.<br />

Sconfitto Arduino, <strong>il</strong> vescovo Pietro, recatosi alla corte<br />

dell’imperatore Enrico, ebbe in dono, per la sua fedeltà<br />

e in risarcimento dei danni subiti, <strong>il</strong> comitatulo ossolano<br />

cioè la pars publica dell’antica contea dipendente dal<br />

castello di Mattarella. Il solenne diploma concesso alla<br />

Chiesa Novarese nel 1014 segna dunque l’inizio del dominio<br />

feudale della medesima nell’Ossola, dominio che<br />

durerà circa tre secoli.<br />

Cronache dei secoli XI e XII<br />

La società ed <strong>il</strong> sistema politico feudale sono al massimo<br />

sv<strong>il</strong>uppo nel secolo XI, ma contemporaneamente si<br />

intravvedono i segni di una grave crisi. Il tentativo da<br />

parte degli imperatori di riaffermare <strong>il</strong> proprio potere su<br />

una società disgregata e pullulante di m<strong>il</strong>le contraddizioni<br />

politiche cozza con quello dei signori laici ed ecclesiastici.<br />

L’imperatore poi ha uno scontro diretto con<br />

la Chiesa a causa delle investiture ecclesiastiche collegate<br />

con i feudi da esse dipendenti.<br />

Nella lotta che ebbe per protagonisti <strong>il</strong> papa Gregorio<br />

VII ed <strong>il</strong> re Enrico IV i vescovi di Novara si mantennero<br />

dalla parte dell’imperatore e molti di essi ricevettero<br />

da lui l’investitura senza essere riconosciuti dal Papa<br />

e quindi sono spesso ricordati come «invasori della cattedra<br />

di S. Gaudenzio». Grande era anche la decadenza<br />

dei costumi del popolo e del clero, dovuta al fatto<br />

che gli ecclesiastici erano più impegnati negli affari<br />

politici ed economici che non nel ministero pastorale.<br />

Il clero era poi spesso viziato dalla eresia dei Nicolaiti<br />

per cui, contravvenendo alla disciplina della Chiesa<br />

cattolica latina, molti preti prendevano moglie. Anche<br />

su questo punto dobbiamo notare che i vescovi di<br />

Novara sono fra quelli che, come <strong>il</strong> vescovo di Vercelli e<br />

l’arcivescovo di M<strong>il</strong>ano, si oppongono alla riforma del<br />

clero, ostacolando quel movimento popolare detto dei<br />

Patàri, sorto a M<strong>il</strong>ano, che riuniva tutti gli uomini desiderosi<br />

di eliminare tale piaga. In questo tempo subisce<br />

<strong>il</strong> martirio <strong>il</strong> diacono Arialdo di M<strong>il</strong>ano, capo della<br />

Patarìa, che viene ucciso nell’isola Madre del lago Mag-<br />

giore da due preti nicolaitici su ordine di Oliva, nipote<br />

dell’arcivescovo Guido di Velate. Il mondo cristiano<br />

è frattanto sollecitato a muoversi per opporsi all’avanzata<br />

dell’Islamismo divenuto padrone della Palestina<br />

e pronto ad estendere <strong>il</strong> suo dominio in Africa ed in<br />

Europa. Dopo vari tentativi andati a vuoto, finalmente<br />

una Crociata organizzata dai principi cristiani riesce<br />

a riconquistare Gerusalemme e la Palestina, dando origine<br />

ad un regno cristiano (1099), <strong>il</strong> cui primo re fu <strong>il</strong><br />

glorioso Goffredo di Buglione.<br />

Tutti questi eventi produssero effetti sociali importanti.<br />

Il popolo cominciò a partecipare attivamente alle vicende<br />

politiche e religiose, al movimento della Patarìa<br />

ed alle Crociate, organizzandosi in varie corporazioni<br />

nelle città e liberandosi dalla servitù della gleba nelle<br />

campagne. A M<strong>il</strong>ano nasce <strong>il</strong> Comune con i suoi consoli<br />

e magistrature nuove. La nob<strong>il</strong>tà è costretta a inurbarsi<br />

e riconoscere l’autorità del Comune. Il movimento<br />

comunale si estenderà lentamente alle campagne fino<br />

a coinvolgere anche i centri più piccoli.<br />

Frattanto in Ossola e nel Novarese i signori laici, già<br />

aderenti a re Arduino, cercano di riprendersi quei beni<br />

che gli imperatori Enrico II e Corrado II avevano assegnato<br />

alla Chiesa novarese. I signori di Pombia, poi denominati<br />

Conti di Biandrate, i Conti di Castello, i conti<br />

di Crusinallo estendono i loro possessi nel Novarese,<br />

nel Vercellese, attorno al lago Maggiore e nell’Ossola.<br />

I vescovi novaresi tengono a mala pena <strong>il</strong> castello<br />

e le terre dipendenti dalla Corte di Mattarella in Ossola,<br />

ma anche questo feudo viene qua e là occupato da<br />

quei signori.<br />

Fortunatamente dopo una serie troppo lunga di vescovi<br />

intrusi, risolta almeno in parte la questione delle investiture,<br />

sulla sede di S. Gaudenzio di Novara salgono<br />

vescovi legittimi, cominciando da Riccardo e seguito da<br />

Litifredo (1124-1151) con i quali si ha un deciso miglioramento<br />

religioso e civ<strong>il</strong>e. Le lotte precedenti in cui<br />

<strong>il</strong> clero fu parte attiva avevano infatti molto diminuito<br />

<strong>il</strong> fervore cristiano del popolo che i preti nicolaitici<br />

non avevano provveduto a istruire e guidare. Ecco perché,<br />

dopo le mirab<strong>il</strong>i chiese con cui si chiude <strong>il</strong> secolo<br />

X, come S. Bartolomeo di V<strong>il</strong>la e S. Maria di Trontano,<br />

non sorgono nuovi edifici religiosi se non nel secolo XII<br />

come S. Martino di Masera, S. Maria Maggiore in val<br />

21


Vigezzo, S. Maria di Montecrestese, S. Stefano di Crodo<br />

ecc. Il vescovo Litifredo ottenne dal papa Innocenzo<br />

II, nel 1133, una Bolla dalla quale sappiamo che in Ossola<br />

vi sono solo tre pievi o parrocchie: la pieve di Domodossola,<br />

la pieve di Vergonte e la pieve di Mergozzo.<br />

Da ognuna di queste pievi dipendevano le chiese sussidiarie<br />

costruite da tempo in tutte le valli. Con <strong>il</strong> vescovo<br />

Litifredo si avvia, crediamo, <strong>il</strong> processo di separazione<br />

delle varie parrocchie dalla pieve-madre che, secondo la<br />

necessità e le circostanze, condurrà alla situazione presente.<br />

Sono prime a separarsi le parrocchie vallive di val<br />

Vigezzo con S. Maria Maggiore, di val Antigorio con S.<br />

Stefano di Crodo, di val Divedro con S. Maria di Crevola,<br />

di valle Antrona con S. Bartolomeo di V<strong>il</strong>la, seguite<br />

da altre. Domodossola riprende intanto <strong>il</strong> suo ruolo<br />

di capitale dell’Ossola superiore, non solo per <strong>il</strong> mercato<br />

settimanale del sabato che vi si faceva da epoca immemorab<strong>il</strong>e,<br />

ma soprattutto perché centro della vita religiosa<br />

della pieve.<br />

La sua chiesa pievana o Duomo sostituirà l’antico nome<br />

di Oscella e sarà Duomo di Oscella o Domodossola. All’inizio<br />

del secolo XII prende anche <strong>il</strong> nome di Borgo.<br />

Infatti numerosi signori vi hanno le loro abitazioni ed <strong>il</strong><br />

vescovo pone alcuni funzionari e uffici nel suo palazzo<br />

in servizio della comunità.<br />

L’Ossola inferiore, parte della valle Vigezzo, della val<br />

Formazza, della val Divedro ed alcuni luoghi attorno<br />

a Domo, come Vagna, Montecrestese, Caddo e Masera<br />

sono di proprietà almeno parziale dei Conti di Castello,<br />

di Biandrate e di altri signori.<br />

Morto <strong>il</strong> vescovo Litifredo nel 1151 gli successe Guglielmo<br />

Tornielli. Nel 1154 scende in <strong>It</strong>alia l’imperatore<br />

Federico, duca di Svevia, detto <strong>il</strong> Barbarossa, allo scopo<br />

di sottomettere all’autorità imperiale quei comuni che,<br />

come M<strong>il</strong>ano, si stavano apertamente emancipando. Il<br />

vescovo Tornielli, essendo l’imperatore a Casale, ottenne<br />

un diploma di conferma di tutti i beni e diritti feudali<br />

concessi dai re ed imperatori precedenti.<br />

In questo diploma datato 3 gennaio 1155 è esplicitamente<br />

ricordato <strong>il</strong> castello di Mattarella con tutte le sue<br />

pertinenze (castrum Mattarellae cum omnibus pertinentiis<br />

suis). Ma lo stesso imperatore aveva nel 1152 confermato<br />

i feudi dei conti di Biandrate fra cui <strong>il</strong> castello<br />

di Megolo con tutto <strong>il</strong> comitato dell’Ossola. Eviden-<br />

22<br />

temente non poteva essere intenzione dell’imperatore<br />

di dare lo stesso territorio in feudo a due enti diversi.<br />

Si deve quindi ammettere che, data la complessa situazione<br />

giurisdizionale del territorio, <strong>il</strong> comitato ossolano<br />

confermato ai conti di Biandrate fosse altra cosa dal comitatulo<br />

ossolano dipendente dalla Corte di Mattarella<br />

e dal vescovo.<br />

Il Comune di Novara, <strong>il</strong> suo vescovo ed i potenti signori<br />

di Biandrate e di Castello continuarono a mantenersi<br />

fedeli all’imperatore anche in occasione della sua seconda<br />

discesa in <strong>It</strong>alia nel 1158, e dopo la scomunica che<br />

contro i partigiani di Federico Barbarossa aveva lanciato<br />

<strong>il</strong> legato del papa Alessandro III nel 1160.<br />

Anzi i Novaresi, e con essi gli Ossolani, parteciparono<br />

alla presa di M<strong>il</strong>ano ed alla sua distruzione nel 1162.<br />

Tornato in <strong>It</strong>alia <strong>il</strong> Barbarossa nel 1166 trovò però i popoli<br />

molto malcontenti del governo imperiale. Molte<br />

città si distaccano dall’imperatore e fanno lega con M<strong>il</strong>ano.<br />

Anche <strong>il</strong> Comune di Novara ed <strong>il</strong> nuovo vescovo<br />

Guglielmo Falletto aderiscono <strong>il</strong> 15 marzo 1158 alla<br />

Lega. I Conti di Biandrate, i Conti di Castello ed altri<br />

signori si mantengono invece fedeli all’imperatore.<br />

Quando <strong>il</strong> Barbarossa seppe che Novaresi e Vercellesi<br />

avevano aderito alla Lega Lombarda fu fortemente irritato<br />

contro Vercelli e Novara, ma intanto le m<strong>il</strong>izie<br />

di questi due comuni distruggevano <strong>il</strong> castello di Biandrate<br />

giurando poi di impedirne sempre la ricostruzione.<br />

La Lega si perfezionò e ingrandì negli anni seguenti<br />

con l’adesione di altri comuni come Pavia. Lo scontro<br />

fra le m<strong>il</strong>izie della Lega Lombarda e quelle imperiali<br />

si ebbe nella memorab<strong>il</strong>e giornata del 29 maggio 1176<br />

a Legnano in cui <strong>il</strong> Barbarossa fu vinto ed a stento poté<br />

salvare la vita.<br />

Egli dovette poi concedere ai Comuni <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di<br />

Costanza <strong>il</strong> 23 giugno 1183, con cui questi ebbero una<br />

certa autonomia. I Comuni avrebbero eletto liberamente<br />

i consoli ed altri magistrati e l’imperatore avrebbe<br />

dato ad essi l’investitura. Sulla falsariga dei comuni<br />

maggiori si organizzarono in seguito tutte le comunità,<br />

fatto che riscontriamo puntualmente anche in tutta<br />

l’Ossola.<br />

Cronache del secolo XIII<br />

II Comune di Novara nel secolo XIII è proteso a sotto-


porre tutto <strong>il</strong> territorio della diocesi di Novara. È quindi<br />

naturale che in questo disegno dovessero essere eliminati<br />

tutti i signori feudali che possedevano beni in<br />

quel territorio, compreso <strong>il</strong> vescovo. I Novaresi tentano<br />

anzitutto di ridurre i Conti di Biandrate e di Castello<br />

a riconoscere l’autorità del Comune. Il 19 agosto 1218<br />

Guido fu Raineri Conte di Biandrate fu anzi costretto a<br />

vendere al Comune di Novara tutti i suoi beni e castelli<br />

dell’Ossola e specialmente quello di Megolo e Medoletto,<br />

mantenendo la giurisdizione sui luoghi che però<br />

era esercitata in nome del Comune di Novara. Anche i<br />

Conti di Castello dovettero cedere le loro terre ed i castelli<br />

dell’Ossola e della valle Intrasca e sottoporsi al Comune<br />

di Novara. Ma i popoli soggetti non furono affatto<br />

contenti di questo cambio di autorità, né tanto meno<br />

<strong>il</strong> vescovo che vedeva lesi molti dei suoi diritti su terre di<br />

sua proprietà che venivano arbitrariamente sottoposte<br />

ai consoli del Comune di Novara. Anche con <strong>il</strong> vescovo<br />

la lotta si fece aspra e fu diffic<strong>il</strong>e al vescovo impedire<br />

che i podestà del Comune di Novara esercitassero la<br />

loro giurisdizione anche nelle valli ossolane dipendenti<br />

dalla Corte di Mattarella. La situazione era molto ingarbugliata<br />

giacché si ritrova che nella stessa comunità<br />

esistevano uomini che dipendevano dal vescovo ed altri<br />

che, essendo stati soggetti ai Conti di Biandrate o di<br />

Castello, dovevano sottoporsi alla giurisdizione del Comune<br />

di Novara. L’Ossola è come la pelle di un leopardo<br />

dove vescovo e comune hanno piccoli territori sparsi<br />

e disuniti fra loro.<br />

Dopo l’ultima guerra in cui i Conti di Biandrate e di<br />

Castello si appoggiarono ai Vercellesi per liberarsi dalle<br />

pretese del Comune di Novara, alla quale parteciparono<br />

anche gli Ossolani ad essi sottoposti, e che si concluse<br />

con la presa e distruzione di Pallanza da parte dei Novaresi<br />

nel 1223, tutta l’Ossola inferiore cadde nel dominio<br />

del Comune di Novara, <strong>il</strong> quale pose i suoi podestà<br />

nel borgo di Vergonte. In questo tempo i Novaresi costruirono<br />

anche <strong>il</strong> borgo di Intra ed elevarono Mergozzo<br />

al grado di borgo. Questi borghi tendono a chiudersi<br />

con una cinta muraria. Nel 1233 <strong>il</strong> Comune di Novara<br />

ed <strong>il</strong> vescovo Oldeberto eleggono dei rappresentanti per<br />

fare un accurato censimento degli uomini e dei beni appartenenti<br />

alle due giurisdizioni, fissando anche la rigorosa<br />

proibizione che uomini e beni passassero in alcun<br />

modo da una giurisdizione all’altra. Un secondo censimento<br />

fu necessario all’epoca del vescovo Sigebaldo fra<br />

<strong>il</strong> 1260 ed <strong>il</strong> 1267.<br />

Nell’Ossola Superiore intanto si verifica un fatto notevole.<br />

In occasione della discesa in <strong>It</strong>alia dell’imperatore<br />

Ottone IV, <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Guido de Rodis, padrone di molti<br />

possessi in val Antigorio e in val Formazza, ne ottiene<br />

l’investitura con atto solenne del 25 apr<strong>il</strong>e 1210, costituendosi<br />

valvassore dell’Impero e quindi indipendente<br />

dalla Corte di Mattarella. In Formazza, a Salecchio,<br />

ad Agaro i discendenti di Guido de Rodis, con le varie<br />

denominazioni (de Baceno, de Cristo ecc.) sv<strong>il</strong>upparono<br />

lo sfruttamento degli alpeggi con notevoli vantaggi<br />

economici. In questi luoghi essi avevano probab<strong>il</strong>mente<br />

alcuni servi della gleba a cui si aggiunsero con un contratto<br />

enfiteutico numerosi nuclei famigliari di origine<br />

walser provenienti dalla vicina Svizzera. Anche i possessi<br />

dei Conti di Castello e di Biandrate nelle parti più<br />

alte delle valli Anzasca (Macugnaga) e Divedro (Gondo,<br />

Sempione) furono sfruttati con questo sistema degli<br />

insediamenti walser. Un gruppo di essi anzi venne<br />

ad abitare anche ad Ornavasso ed a Migiandone invitati<br />

dai signori locali.<br />

Nacquero nell’Ossola, sulla falsariga di quello che avveniva<br />

a Novara ed a M<strong>il</strong>ano, i partiti Guelfi e Ghibellini<br />

qui detti degli Spelorci e dei Ferrari rispettivamente.<br />

Queste fazioni si combatterono aspramente fino alla<br />

fine del secolo XVI.<br />

Il vescovo per mantenere <strong>il</strong> proprio potere era costretto<br />

ad appoggiarsi ai signori locali, i De Rodis, i Baceno, i<br />

S<strong>il</strong>va, i Campieno ecc. verso i quali fu generoso di elargizioni<br />

e favori, concedendo investiture di decime ecclesiastiche<br />

spettanti alla mensa episcopale.<br />

Ma tutte le vicende politiche che mutano governo a<br />

M<strong>il</strong>ano ed a Novara si riflettono puntualmente anche<br />

nell’Ossola. Emergono a M<strong>il</strong>ano le potenti famiglie dei<br />

Della Torre o Torriani e loro consorteria ed allora vediamo<br />

che membri di questa famiglia assumono la podesteria<br />

non solo del Comune di Novara, ma anche della<br />

Corte di Mattarella. La caduta dei Torriani ed <strong>il</strong> prevalere<br />

dei Visconti, per opera soprattutto del vescovo Ottone<br />

Visconti, costringe anche <strong>il</strong> vescovo di Novara a<br />

valersi di questi signori per mantenere <strong>il</strong> suo potere.<br />

Molto ut<strong>il</strong>e all’Ossola fu la permanenza sulla sede di S.<br />

23


Gaudenzio del vescovo Papiniano della Rovere, dotato<br />

di eminenti qualità politiche ed ecclesiastiche. Egli diede<br />

coraggiosamente inizio ad una riforma civ<strong>il</strong>e e religiosa<br />

della diocesi e dei suoi domini temporali con un<br />

Sinodo (1298) di cui rimangono i canoni promulgati.<br />

Provvide anche a difendere <strong>il</strong> dominio episcopale impedendo<br />

trapassi di giurisdizione.<br />

Meritano anche un cenno alcuni avvenimenti dell’Ossola<br />

Inferiore. Il borgo di Pieve Vergonte subì una distruzione<br />

quasi completa per opera del torrente Marmazza.<br />

Fu quindi necessario costruire un altro borgo in<br />

vicinanza e prese <strong>il</strong> nome di Pietrasanta, dove risiedeva<br />

<strong>il</strong> Podestà dell’Ossola dipendente dal Comune di Novara.<br />

Ma anche questo borgo durò poco giacché subì ripetute<br />

devastazioni da parte del fiume Anza e nel 1328 fu<br />

necessario abbandonarlo. Prese allora <strong>il</strong> titolo e la funzione<br />

di borgo l’abitato di Vogogna.<br />

Cronache del secolo XIV<br />

Nella lotta fra i partiti guelfo e ghibellino anche l’Ossola<br />

ebbe la sua parte nel secolo XIV. Durante la vacanza<br />

della sede episcopale novarese <strong>il</strong> vescovo di Sion Bonifacio<br />

di Challant, ghibellino, scese in Ossola per <strong>il</strong> passo<br />

del Sempione nel 1301 e devastò <strong>il</strong> paese saccheggiando<br />

<strong>il</strong> borgo di Domodossola. Non era la prima volta che<br />

Quadro votivo. Domesi in processione contro le piene del Bogna (1690).<br />

24<br />

l’Ossola subiva dai vicini Vallesani questo trattamento<br />

poco amichevole. Ai borghigiani domesi parve necessario<br />

difendersi meglio cingendo l’abitato di una solida<br />

cerchia muraria. L’idea venne condivisa anche dal nuovo<br />

vescovo Bartolomeo Quirino (1302-1304) <strong>il</strong> quale,<br />

venuto a Domo, diede inizio al lavoro con la posa della<br />

prima pietra. Anche <strong>il</strong> successore Uguccione dei Borromei<br />

parve sulle prime propenso alla realizzazione di<br />

questa importante difesa, ma successivamente, indotto<br />

nel sospetto che con l’erezione delle mura i Domesi<br />

si sarebbero ribellati al vescovo conte per erigersi in comune<br />

autonomo, cercò di far fallire <strong>il</strong> progetto in parte<br />

già realizzato. Per tranqu<strong>il</strong>lizzare i Domesi fece un<br />

accordo con <strong>il</strong> vescovo di Sion (1306) che incontrò al<br />

Sempione e <strong>il</strong> 24 marzo 1307 ordinò esplicitamente la<br />

sospensione dei lavori. Dubitando poi della fedeltà degli<br />

Ossolani <strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e seguente convocò nella chiesa<br />

plebana di Domo una Credenza Generale e tutti i rappresentanti<br />

delle comunità ossolane dipendenti dalla<br />

Corte di Mattarella gli giurarono fedeltà come signore<br />

temporale. Il sospetto del vescovo Uguccione era fondato.<br />

Il partito che anelava e tramava l’indipendenza organizzò<br />

una fiera opposizione al vescovo valendosi anche<br />

di uomini rissosi e violenti. Nell’estate del 1307, mentre<br />

<strong>il</strong> vescovo Uguccione dei Borromei era a Domodos-


sola, un gruppo di armati guidato dal signor Guglielmo<br />

di Pallanzeno, detto <strong>il</strong> Petrazzano, sorprese in casa <strong>il</strong> vicario<br />

o giudice del castellano di Mattarella, assieme al<br />

notaio, <strong>il</strong> giurisperito Bernando de’ Mars<strong>il</strong>i di Parma,<br />

Enrico di Olevelo ed <strong>il</strong> sergente Guglielmo di Cortona<br />

e li uccise. Assalì poi la casa del vescovo, cioè <strong>il</strong> palazzo<br />

episcopale, ed Uguccione fu costretto a fuggire nel vicino<br />

campan<strong>il</strong>e della chiesa dei SS. Gervasio e Protasio,<br />

dove restò assediato per tre giorni senza che alcuno gli<br />

recasse aiuto. Nel contempo <strong>il</strong> Petrazzano riuscì anche<br />

con uno stratagemma a penetrare nel castello di Mattarella<br />

e saccheggiarlo.<br />

Liberato finalmente dalla sua incomoda abitazione, <strong>il</strong><br />

vescovo Uguccione, <strong>il</strong> 21 luglio 1307, lanciò l’interdetto<br />

sul borgo di Domo e scomunicò i suoi assalitori, allontanandosi<br />

dall’Ossola per cinque anni. Contro i Domesi<br />

ribelli fu mandato anche un piccolo esercito comandato<br />

da Ottobono Visconti, ma l’esito fu negativo.<br />

Nel 1310 con la venuta a Novara dell’imperatore<br />

Enrico VII si ebbe una generale pacificazione dei partiti<br />

guelfi e ghibellini ed <strong>il</strong> vescovo Uguccione ottenne<br />

nell’apr<strong>il</strong>e del 1311 un diploma di conferma di tutti i<br />

suoi diritti feudali. Nell’estate seguente un corpo m<strong>il</strong>itare<br />

di 400 uomini guidato da Pietro di Monteformoso,<br />

castellano di Mattarella, assalì Domodossola, ma i Domesi<br />

con l’aiuto del Petrazzano e della sua banda di facinorosi<br />

respinsero l’attacco. In questa piccola guerra soffrirono<br />

anche i paesi vicini che avevano accettato di legarsi<br />

ai Domesi ribelli; V<strong>il</strong>la fu saccheggiata e subì l’incendio<br />

di 150 case. Ma anche <strong>il</strong> castellano Pietro da<br />

Monteformoso fu respinto verso <strong>il</strong> Toce dove perdette<br />

ben 200 uomini. Nel 1312 Uguccione ritornò in Ossola.<br />

Gli animi erano evidentemente cambiati, giacché<br />

<strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e, nel palazzo episcopale posto nel castello di<br />

Mattarella davanti a lui compare <strong>il</strong> Petrazzano che chiede<br />

perdono dei suoi misfatti. Il vescovo gli confiscò tutti<br />

i beni posti nel territorio della sua giurisdizione temporale<br />

e lo mandò a domic<strong>il</strong>io coatto a Porto Val Travaglia.<br />

Le relazioni con i Domesi migliorarono negli anni<br />

seguenti tanto che questi nell’autunno del 1314 si sottomisero<br />

al vescovo chiedendo di essere liberati dall’interdetto.<br />

Ma <strong>il</strong> Petrazzano che aveva frattanto ottenuto<br />

<strong>il</strong> permesso di mutare <strong>il</strong> domic<strong>il</strong>io coatto fissandolo<br />

a Trontano, riuniti nel 1315 i compagni della sua ban-<br />

da, si vendicò delle requisizioni fatte dal vescovo e saccheggiò<br />

molti dei beni episcopali specialmente a V<strong>il</strong>la.<br />

Anche i capi ribelli domesi ripresero le armi e la costruzione<br />

delle mura del borgo rimasta sospesa; perciò <strong>il</strong> vescovo<br />

<strong>il</strong> 24 marzo 1317 rinnovò <strong>il</strong> precetto di sospendere<br />

la costruzione. Ma i Domesi si appellarono all’arcivescovo<br />

di M<strong>il</strong>ano come metropolita ottenendo una sentenza<br />

favorevole. Il vescovo Uguccione fu allora costretto<br />

ad appellarsi al Papa che in quell’epoca risiedeva ad<br />

Avignone. Il processo davanti agli uditori pontifici ebbe<br />

inizio <strong>il</strong> 28 ottobre 1318 e si concluse con un compromesso<br />

negli arbitri Tebaldo Brusati prevosto di Novara<br />

e Guglielmo Revelli decano di Burlazio della diocesi di<br />

Castro, uditore apostolico, <strong>il</strong> 27 agosto 1321.<br />

La sentenza, dell’11 dicembre successivo, riconobbe i<br />

diritti del vescovo e impose ai Domesi l’abbattimento<br />

delle mura, la multa di 1600 fiorini e la piena sottomissione<br />

al loro signore temporale. Ma Uguccione fu magnanimo<br />

con i Domesi, permettendo che le mura rimanessero<br />

e facendo piena pace con essi. Durante questo<br />

periodo di discordie molti furono tuttavia i dispetti,<br />

le violenze e i disordini che avvelenarono l’animo degli<br />

Ossolani. Nel 1331 divenne vescovo di Novara Giovanni<br />

Visconti, uomo potente ed astuto, <strong>il</strong> quale nell’anno<br />

seguente, con uno stratagemma rimasto famoso, si fece<br />

riconoscere signore generale di Novara. La strapotenza<br />

dei Visconti costrinse gli Ossolani alla calma. Dal 1342<br />

al 1354 Giovanni Visconti tenne poi la sede arcivescov<strong>il</strong>e<br />

di M<strong>il</strong>ano, ma mantenne la signoria del Novarese.<br />

È questo <strong>il</strong> tempo in cui furono completate le difese di<br />

Vogogna con la costruzione del castello, della rocca e<br />

del Pretorio. Sulla sede di S. Gaudenzio fu posto invece<br />

Guglielmo Amidano <strong>il</strong> quale era uomo di molta religione<br />

e capacità di governo. Egli cercò di sopire le rivalità<br />

fra i partiti e le famiglie nob<strong>il</strong>i ossolane. Ma le fazioni<br />

rispuntarono immediatamente con <strong>il</strong> successore Oldrado<br />

(1357-1388) di carattere completamente opposto.<br />

Spelorci e Ferrari si azzuffarono in continuità, favoriti<br />

dagli avvenimenti succedutisi nella seconda metà<br />

del secolo XIV.<br />

Con la morte dell’arcivescovo Giovanni Visconti di M<strong>il</strong>ano<br />

(1354) i nipoti Barnabò e Galeazzo si divisero <strong>il</strong><br />

vasto dominio. A Galeazzo toccò <strong>il</strong> Novarese e quindi<br />

anche l’Ossola Inferiore. Ma essendo sorta una lega<br />

25


contro i Visconti, costituita dagli Estensi, dai Gonzaga<br />

e dal Marchese di Monferrato, <strong>il</strong> Novarese fu invaso<br />

e saccheggiato dalle m<strong>il</strong>izie mercenarie al soldo della<br />

lega, mentre <strong>il</strong> marchese di Monferrato, per <strong>il</strong> quale<br />

parteggiava <strong>il</strong> partito ossolano degli Spelorci, occupava<br />

l’Ossola inferiore e Vogogna. Con la pace dell’8 giugno<br />

1358 Galeazzo Visconti tornò in possesso del Novarese<br />

ed anche dell’Ossola inferiore, dopo un periodo nefasto<br />

di lotte e rapine fra i partiti opposti. Vista la assoluta impotenza<br />

del vescovo conte a tenere a freno i suoi sudditi,<br />

gli Ossolani della Corte di Mattarella pensarono di<br />

sottomettersi ai Visconti con alcune condizioni: che pagando<br />

1000 fiorini annui fossero liberi da ogni altra tassazione<br />

e che fossero rimesse tutte le condanne per i delitti<br />

commessi nella precedente guerra, restituendo tuttavia<br />

ai castellani i loro stipendi e tutte le cose rubate.<br />

L’atto fu firmato <strong>il</strong> 26 agosto 1358. Pare che <strong>il</strong> vescovo<br />

Oldrado non abbia fatto alcuna opposizione a questo<br />

atto di dedizione degli Ossolani ai Visconti.<br />

Nel 1361 riprende la guerra fra i Visconti ed <strong>il</strong> marchese<br />

di Monferrato con tutte le conseguenze luttuose che<br />

accompagnano sim<strong>il</strong>i eventi. Ci furono distruzioni vastissime,<br />

una gravissima carestia e poi la peste, portata<br />

dalle famigerate m<strong>il</strong>izie mercenarie inglesi. A Novara<br />

per la peste morirono due terzi della popolazione,<br />

77000 persone a M<strong>il</strong>ano ed un numero enorme nelle<br />

campagne e centri minori. Ad aggiungersi venne nel<br />

1364 <strong>il</strong> flagello delle cavallette che in forma di grandi<br />

nubi di insetti scendevano sui campi, sui prati e sui boschi<br />

per divorare ogni cosa verde. Fu in questo tempo<br />

che, a seguito dei voti dei montanari furono costruite<br />

molte cappelle ed oratori dedicati a S. Bernardo di Aosta,<br />

protettore dalle infestazioni demoniache e tale pareva<br />

quella delle cavallette divoratrici.<br />

Intanto contro i Visconti si muove anche <strong>il</strong> papa Gregorio<br />

XI che contro di essi bandisce una crociata e li scomunica.<br />

Si costituisce contro i Visconti una nuova lega<br />

a cui partecipa anche <strong>il</strong> conte Amedeo VI di Savoia.<br />

Tutti i popoli sottomessi vengono dal Papa invitati a ribellarsi.<br />

Gli Ossolani che per due secoli erano stati governati<br />

dai vescovi di Novara avevano frattanto, nei pochi<br />

anni in cui erano sottoposti ai Visconti, provato la<br />

durezza del nuovo regime e quindi rinacque in essi <strong>il</strong><br />

desiderio, appena sopito, dell’indipendenza. Per otte-<br />

26<br />

nerla essi avrebbero anche seguito l’invito del Papa alla<br />

ribellione ed a questo scopo inviarono ambasciatori segreti<br />

alla Corte di Avignone. Ma pare che <strong>il</strong> Papa non<br />

approvasse <strong>il</strong> progetto dell’indipendenza che avrebbe<br />

sottratto alla Chiesa novarese <strong>il</strong> feudo da essa posseduto.<br />

Il Papa spedì molte lettere ai personaggi più in vista<br />

dell’Ossola affinché la ribellione fosse realizzata al più<br />

presto. Al medesimo scopo inviò frate Valentino Moriggia,<br />

già guardiano del convento dei Frati Minori di<br />

Domo, per legare insieme i nob<strong>il</strong>i e capi delle varie fazioni<br />

e spingerli alla rivolta armata. Capitano fu scelto<br />

<strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Garbellino di Semonzio di Crevola, la cui famiglia<br />

prenderà successivamente <strong>il</strong> nome dei Dal Ponte,<br />

dopo che, distrutte le sue case nelle lotte di questi tempi,<br />

<strong>il</strong> figlio Lorenzo costruì <strong>il</strong> suo palazzo presso <strong>il</strong> ponte<br />

sulla Diveria a Crevola. Sollecitati dal Papa gli Ossolani<br />

di parte Spelorcia si ribellarono ai Visconti, occupando<br />

<strong>il</strong> borgo di Domo, <strong>il</strong> castello di Mattarella ed altri<br />

luoghi, ma la parte ferraria non si mosse e fece fiera<br />

opposizione. Anzi, una compagnia di m<strong>il</strong>izie spelorcie<br />

che tentava di giungere a Vercelli per dare aiuto al<br />

nunzio papale nell’assedio di quella città, fu distrutta<br />

dalla parte ferraria presso Anzola nel 1374. Ma la parte<br />

spelorcia si rivalse saccheggiando ed occupando momentaneamente<br />

Vogogna. Vista la incapacità del vescovo<br />

Oldrado di attendere ai suoi obblighi e la sua completa<br />

sottomissione ai Visconti, <strong>il</strong> Papa lo sospese, mandando<br />

in Ossola come vicari due canonici di Sion ed un<br />

nuovo capitano nella persona di Merino de Ulmo, bergamasco,<br />

per nuove e più vaste operazioni m<strong>il</strong>itari. La<br />

lotta infatti era degenerata nel brigantaggio. Venuta finalmente<br />

la pace, firmata a Samoggia <strong>il</strong> 19 luglio 1375,<br />

<strong>il</strong> Novarese ritornò in mano di Galeazzo Visconti.<br />

Gli Ossolani, abbandonati a se stessi, continuarono la<br />

guerra in proprio con ogni sorta di violenza pubblica<br />

e privata. Alla fine ne furono stanchi e nauseati e non<br />

trovarono di meglio che ritornare a sottomettersi ai Visconti.<br />

Lo fecero comunque con quella dignità e saggezza<br />

che permise loro di sentirsi più liberi. L’atto di<br />

dedizione fu firmato nel refettorio dei Frati Minori di<br />

Domo <strong>il</strong> 19 marzo 1381 da rappresentanti di Gian Galeazzo<br />

Visconti, conte di Virtù, i signori Andrea dei Pepoli<br />

e Pietro di Muralto, ed i procuratori delle Comunità<br />

dell’Ossola superiore. La convenzione del 1381 dava


agli Ossolani una certa autonomia amministrativa, li liberava<br />

mediante lo sborso annuo di 750 fiorini da ogni<br />

tassazione, permetteva ad essi <strong>il</strong> libero commercio delle<br />

granaglie ed altri beni di consumo sui mercati della<br />

Lombardia e del Novarese, otteneva la reintegrazione<br />

nei beni di quelli che avevano subito confische durante<br />

<strong>il</strong> periodo bellico. Il vescovo di Novara Oldrado ancora<br />

una volta non si oppose, e solo qualche tentativo<br />

fu fatto più tardi dai suoi successori per tornare in possesso<br />

della Corte di Mattarella e del suo territorio. Analogamente,<br />

con atto dell’11 apr<strong>il</strong>e 1381, anche l’Ossola<br />

inferiore di parte ferraria si accordò con Gian Galeazzo<br />

Visconti.<br />

I Visconti già nel 1379 erano venuti in possesso per<br />

compera della terra di Ornavasso che apparteneva ai<br />

Conti di Crusinallo ed era passata nel secolo XIII in<br />

mano dei Conti di Castello. Su questa terra avanzava<br />

pretese anche <strong>il</strong> vescovo di Sion per certi legami con la<br />

famiglia detentrice del feudo che aveva residenza anche<br />

nel Vallese. Così tutta l’Ossola, eccettuato <strong>il</strong> piccolo<br />

feudo dei De Rodis-Baceno di Formazza, Agaro e Salecchio,<br />

entrò nel dominio visconteo.<br />

Fu mantenuta in Ossola la divisione fra le due giurisdizioni<br />

con sedi rispettivamente a Vogogna ed a Domodossola,<br />

ognuna vivendo secondo le proprie leggi e statuti.<br />

In questo periodo però i Visconti giustamente promossero<br />

riforme statutarie al fine di uniformare le leggi<br />

su tutto <strong>il</strong> territorio e favorirne l’unità amministrativa<br />

e civ<strong>il</strong>e. Sotto Gian Galeazzo Visconti furono riformati<br />

gli antichi statuti della Corte di Mattarella e fatti<br />

molti altri.<br />

Prima di chiudere la cronaca del secolo XIV, ricordiamo<br />

che <strong>il</strong> vescovo Pietro F<strong>il</strong>argo, poi divenuto papa col<br />

nome di Alessandro V, rivendicò formalmente <strong>il</strong> possesso<br />

della Corte di Mattarella e del suo territorio con<br />

un diploma che egli ottenne dall’imperatore Venceslao,<br />

assieme al titolo di duca per Gian Galeazzo Visconti<br />

(1395) di cui era grande amico e favoreggiatore. Si presume<br />

però che a questo atto formale non seguisse alcun<br />

che. Probab<strong>il</strong>mente Gian Galeazzo Visconti provvide a<br />

tacitare <strong>il</strong> vescovo di Novara assegnando alla sua mensa<br />

alcune sicure entrate delle quali si riscontrano le tracce<br />

nei secoli seguenti, come i diritti sulle miniere di ferro,<br />

di laugera ed altri.<br />

Cronache del secolo XV<br />

Alla morte di Gian Galeazzo Visconti si creò nel ducato<br />

di M<strong>il</strong>ano una situazione politica incerta e nell’Ossola<br />

le fazioni degli Spelorci e dei Ferrari ripresero a<br />

combattersi assoldando spesso anche bande di facinorosi.<br />

Dalla parte spelorcia è ricordata una vittoria riportata<br />

sulla parte avversa nel 1406 (21 marzo) che diede<br />

origine ad un voto a S. Benedetto.<br />

In questa incerta situazione politica <strong>il</strong> vescovo di Novara<br />

Capogallo si intromise per pacificare gli Ossolani.<br />

Nel 1404 ottenne dal duca di M<strong>il</strong>ano a questo scopo la<br />

reintegrazione nel dominio temporale dell’Ossola superiore.<br />

Riuscì nel 1404 a mettere pace in valle Antigorio<br />

la quale però esigette <strong>il</strong> riconoscimento di una certa<br />

indipendenza ed una parziale separazione dalla Corte<br />

di Mattarella con l’erezione di una nuova vicaria che<br />

ebbe la sua sede a Crodo e che durerà fino al 1861.<br />

Il 10 luglio 1406 anche la valle Vigezzo elegge i suoi<br />

procuratori per una pacificazione seguita dal perdono<br />

generale dato dal vescovo Capogallo <strong>il</strong> 13 dicembre del<br />

medesimo anno. Si era nel contempo guastata anche la<br />

pace con gli Svizzeri confinanti. Nel 1407 la parte spelorcia<br />

si riappacificò anche con essi, cioè con i Vallesani<br />

ed <strong>il</strong> vescovo di Sion. Si trattò però di una pace puramente<br />

interlocutoria. I Cantoni svizzeri infatti premevano<br />

per accedere al versante sud delle Alpi, verso<br />

la Lombardia, che in quell’epoca era una delle regioni<br />

più ricche d’Europa. Esportatori di m<strong>il</strong>izie mercenarie,<br />

gli Svizzeri, tenevano in gran conto ogni piccolo sgarbo<br />

per giustificare la loro presenza in Ossola. Prendendo<br />

dunque motivazione da alcuni sequestri di bestiame<br />

fatti dai Formazzini a danno dei Leventinesi, in quel<br />

tempo dominati dai Cantoni svizzeri di Uri e Unterwald,<br />

oltre 300 Svizzeri scesero in Ossola venendo dal<br />

Gottardo e dal Sempione, occuparono Domodossola<br />

esigendo dagli Ossolani <strong>il</strong> giuramento di fedeltà, del<br />

cui valore si può dubitare. Lasciato un presidio in Ossola<br />

se ne andarono. Ma poco dopo questo fu cacciato.<br />

Tornarono in maggior numero gli Svizzeri l’anno seguente,<br />

rioccupando Domo e spingendosi fino a Vogogna.<br />

Gli Ossolani chiesero segretamente aiuto al conte<br />

Amedeo VIII di Savoia che inviò attraverso <strong>il</strong> Sempione<br />

un robusto corpo di armati sotto la guida del capitano<br />

Pietro di Chivron, costringendo verso la fine di<br />

27


maggio del 1411, gli Svizzeri a ritirarsi. Anche Amedeo<br />

VIII di Savoia ottenne <strong>il</strong> giuramento di fedeltà dagli<br />

Ossolani di parte spelorcia.<br />

Nel 1415 gli Svizzeri discesero nuovamente in Ossola<br />

sorprendendo le scarse m<strong>il</strong>izie savoiarde poste alla difesa<br />

dell’Ossola. Occuparono Domodossola ed <strong>il</strong> castello<br />

di Mattarella e per tutelarsi ulteriormente inviarono<br />

numerose squadre di Ossolani a distruggerlo, lasciandovi<br />

un gran cumulo di rovine. Rinforzi mandati<br />

dal Duca di Savoia ottennero <strong>il</strong> ritiro degli Svizzeri dall’Ossola<br />

fino al febbraio del 1417, quando un numeroso<br />

gruppo di essi scese dal Gottardo lungo <strong>il</strong> lago Maggiore<br />

e risalì l’Ossola da Sud. Le m<strong>il</strong>izie savoiarde furono<br />

imbottigliate in val Divedro e in gran parte massacrate.<br />

Con questa spedizione gli Svizzeri occuparono<br />

tutta la regione sulla sponda destra del Toce, da V<strong>il</strong>la in<br />

su fino a Pontemaglio e tutta la valle Antigorio e Formazza,<br />

ponendo numerosi presidi armati per circa cinque<br />

anni. Il vescovo di Novara tentò ancora una volta<br />

di recuperare <strong>il</strong> dominio temporale in Ossola promuovendo<br />

un processo contro gli Svizzeri occupanti davanti<br />

al Papa. Il processo fu fatto e concluso con la sentenza<br />

del 16 dicembre 1420 in cui essi vennero scomunicati<br />

e condannati, ma l’Ossola rimase nelle loro mani fino<br />

al 1422, quando m<strong>il</strong>izie scelte ducali, al comando del<br />

famoso capitano Conte di Carmagnola, inflissero agli<br />

Svizzeri la tremenda sconfitta di Arbedo presso Bellinzona<br />

(30 giugno 1422), costringendoli allo sgombero<br />

di tutti i territori occupati. Tre anni dopo, nel 1425, gli<br />

Svizzeri approfittando del fatto che <strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano<br />

F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti doveva tener testa ad una coalizione<br />

che comprendeva Venezia, Firenze ed <strong>il</strong> Duca di<br />

Savoia, ritentarono la conquista dell’Ossola con un piccolo<br />

esercito di 500 armati al comando di Peterman Risigh<br />

di Switt che scelse la via del Gottardo e del Gries,<br />

mentre forti gruppi di Vallesani penetravano attraverso<br />

i passi del Sempione, della val Bognanco ed Antrona.<br />

I capitani ducali viscontei dovettero ritirarsi nella bassa<br />

Ossola, dove si riorganizzarono e si raccolsero sotto <strong>il</strong><br />

comando del capitano Piccinino, <strong>il</strong> quale era giunto in<br />

Ossola con un buon gruppo di m<strong>il</strong>izie ducali. Gli Svizzeri,<br />

vista la situazione, si ritirarono non solo dall’Ossola,<br />

ma anche dalla valle Leventina e da Bellinzona.<br />

Alcuni storici svizzeri affermano che tale ritirata non fu<br />

28<br />

dovuta al timore delle armi viscontee, quanto piuttosto<br />

al denaro sborsato dagli emissari ducali ai capitani svizzeri<br />

(1426).<br />

Le continue invasioni svizzere favorirono nel secolo XV<br />

in Ossola non solo le lotte fra i partiti dei Ferrari, generalmente<br />

fedeli al Duca di M<strong>il</strong>ano, e degli Spelorci, più<br />

propensi all’indipendenza, ma anche la nascita di un<br />

consistente partito f<strong>il</strong>osvizzero, rendendo la difesa dell’Ossola<br />

ancora più problematica. La pressione svizzera<br />

infatti continuò, favorita anche dalla litigiosità degli<br />

Ossolani sugli alpeggi confinanti, da ruberie di bestiame,<br />

da angherie, incendi e omicidi in val Antrona, in<br />

val Bognanco, in val Divedro ed in valle Antigorio. Tuttavia<br />

<strong>il</strong> 1° apr<strong>il</strong>e 1448 fu firmato un compromesso fra <strong>il</strong><br />

Vallese e l’Ossola superiore allo scopo di evitare <strong>il</strong> peggioramento<br />

della situazione ed un’altra guerra.<br />

Morto <strong>il</strong> duca F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti (1447), subentrò<br />

per poco tempo la così detta Repubblica ambrosiana,<br />

ma <strong>il</strong> Ducato di M<strong>il</strong>ano cadde quasi subito nelle mani<br />

del capitano Francesco Sforza dal quale gli Ossolani ottennero<br />

<strong>il</strong> 26 marzo 1450 la conferma dei loro priv<strong>il</strong>egi.<br />

Con Francesco Sforza si apre un periodo di relativa<br />

tranqu<strong>il</strong>lità in Ossola dove vengono anche rinnovati<br />

tutti gli Statuti delle Comunità e si tenta di dare più<br />

unità e conformità ai medesimi. La necessità tuttavia di<br />

ottenere fondi sufficienti per le continue guerre in atto<br />

costringe i Duchi di M<strong>il</strong>ano a cedere in feudo poco alla<br />

volta gran parte dell’Ossola, nonostante le rimostranze<br />

degli Ossolani che vantavano <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di essere completamente<br />

esenti da queste infeudazioni. Già <strong>il</strong> duca<br />

F<strong>il</strong>ippo Maria Visconti aveva dato Ornavasso in feudo<br />

ai fratelli Ermes e Lanc<strong>il</strong>lotto Visconti, feudo che fu<br />

eretto in baronia nel 1413. Era un modo di gratificare<br />

personaggi meritevoli per <strong>il</strong> Ducato.<br />

In valle Vigezzo già alla fine del 1300 la giustizia era<br />

amministrata da un vicario sia per la parte dipendente<br />

dalla Corte di Mattarella che per quella dipendente da<br />

Vogogna; ma nel 1430 <strong>il</strong> distacco è definitivo. Nel 1431<br />

Mergozzo fu unito a Vogogna. Nel 1446 <strong>il</strong> duca F<strong>il</strong>ippo<br />

Maria Visconti diede in feudo a Vitaliano Borromeo<br />

tutta l’Ossola inferiore da Mergozzo a Masera, da Migiandone<br />

a Pallanzeno e tutta la valle Anzasca, imponendo<br />

<strong>il</strong> giuramento di fedeltà al feudatario. Si verificarono<br />

forti resistenze all’infeudazione, specie in valle Anzasca,


esistenze che vennero superate con accordi stab<strong>il</strong>iti <strong>il</strong> 3<br />

agosto 1449 e con l’approvazione degli Statuti presentati<br />

dalle comunità soggette. Vogogna fu la capitale del<br />

feudo dei Borromei. Poco dopo, 5 maggio 1450, anche<br />

l’intera valle Vigezzo venne da Francesco Sforza data in<br />

feudo al conte Vitaliano Borromeo. Una costituzione<br />

particolare fu scelta per le comunità di Trontano, Masera,<br />

Beura e Cardezza che in seno al dominio feudale dei<br />

Borromeo ebbero una propria vicaria che fu detta delle<br />

Quattro Terre. Il dominio feudale dei Borromei estendentesi<br />

anche nelle zone limitrofe della valle Cannobina<br />

e sul lago Maggiore cesserà alla fine del secolo XVIII<br />

con l’abolizione generale dei feudi seguita alla occupazione<br />

francese dell’<strong>It</strong>alia.<br />

Il 1487 è un anno memorab<strong>il</strong>e per l’Ossola. Gli Svizzeri<br />

rinnovano infatti <strong>il</strong> tentativo di occupare l’Ossola.<br />

I motivi o, meglio, i pretesti per mascherare <strong>il</strong> loro disegno<br />

antico di arrivare sulle sponde dei laghi subalpini<br />

erano naturalmente sempre gli stessi, del tutto insignificanti,<br />

sebbene raccolti con molta cura. Gli Sviz-<br />

Domodossola, Colle di Mattarella, torre d’angolo del castello (sec. XI - XIV).<br />

zeri avevano fama di soldati imbattib<strong>il</strong>i e la loro tracotanza<br />

diceva che ne erano molto convinti. L’anima di<br />

queste spedizioni era <strong>il</strong> vescovo di Sion, Jost von S<strong>il</strong>linen<br />

(1482-1494). Già nel 1484, avvisato dal podestà di<br />

Vogogna Bertolino Albasino dei preparativi che si stavano<br />

facendo al di là delle Alpi, Lodovico <strong>il</strong> Moro che<br />

reggeva <strong>il</strong> ducato di M<strong>il</strong>ano per <strong>il</strong> duca Giovanni Galeazzo<br />

Maria Visconti, rinforzò i corpi m<strong>il</strong>itari di guardia<br />

e difesa dell’Ossola, mandandovi come comandante<br />

<strong>il</strong> celebre capitano conte Gian Pietro Bergamino. Il<br />

28 ottobre 1484 <strong>il</strong> vescovo di Sion dichiara la guerra al<br />

duca di M<strong>il</strong>ano ed invia immediatamente un esercito,<br />

comandato dal fratello Albino, attraverso <strong>il</strong> Sempione.<br />

Occupata momentaneamente la valle Divedro, appena<br />

questi si accorge di aver di fronte un grosso contingente<br />

di armati ducali pronti al combattimento, riporta in<br />

fretta i suoi oltre le Alpi, con grave disappunto del vescovo<br />

Jost. Nel 1487, col pretesto di vendicare delle offese<br />

fatte ai Vallesani in val Divedro, <strong>il</strong> vescovo Jost invia<br />

un altro esercito più numeroso ed agguerrito in Os-<br />

29


sola, sempre al comando del fratello. Prima del 18 apr<strong>il</strong>e,<br />

giorno in cui fu dichiarata la guerra, già un buon numero<br />

di armati era stato concentrato dal conte G<strong>il</strong>berto<br />

Borromeo a Vogogna, sebbene non riuscisse a convincere<br />

gli uomini dell’Ossola Superiore ad unirsi con<br />

lui per difendere la val Divedro, forse per l’antico antagonismo<br />

di parte. Fortunatamente <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e un altro<br />

contingente di truppe al comando del capitano Zenone<br />

de Cropello, con 500 fanti e 50 schioppettieri, giunse a<br />

rinforzare la difesa del borgo di Domo. Si aspettava anche<br />

l’arrivo in Ossola con le sue genti armate del condottiero<br />

ducale Renato Trivulzio, fratello del più famoso<br />

Gian Giacomo. La mattina del 20 apr<strong>il</strong>e dalla gola<br />

di Crevola si affacciarono i 6000 Vallesani a cui si erano<br />

aggiunte altre bande di Lucernesi. Questi, dopo aver<br />

mandato ad occupare e presidiare la val Antigorio, puntarono<br />

sul borgo di Domo. Convinti dalle artiglierie del<br />

capitano Zenone e da quelle di Gian Antenore Traversa,<br />

che in quel tempo comandava <strong>il</strong> presidio di Domo,<br />

girarono al largo e si accamparono sul colle di Mattarella<br />

fra i ruderi del castello, non senza aver devastato i<br />

luoghi circostanti.<br />

Il giorno dopo, <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e, eccoli a incendiare ed a razziare<br />

da Calice fino a V<strong>il</strong>la. Il conte G<strong>il</strong>berto Borromeo<br />

in una lettera del 20 apr<strong>il</strong>e al Duca, informa che prima<br />

ancora di accamparsi a Mattarella questi thodeschi hanno<br />

corso li a cerchio fin appresso a V<strong>il</strong>la mettendo a focho<br />

e fiama ogni cosa et amazando fin a li puti picoli, per non<br />

poterli obviarli non havendo altra gente che paesani, quali<br />

sono voluti restare a casa loro per guardia de le sue cose.<br />

Tornarono gli Svizzeri <strong>il</strong> giorno seguente (22 apr<strong>il</strong>e) in<br />

numero di circa 400 per assaltare V<strong>il</strong>la, ma vi trovarono<br />

una resistenza accanita da parte della gente del luogo<br />

in cui aiuto erano accorsi i robusti montanari della val<br />

Anzasca. I predatori svizzeri, tornarono a mani vuote,<br />

dopo essersi vendicati bruciando qualche casolare.<br />

In quel medesimo giorno giunse in Ossola <strong>il</strong> Trivulzio<br />

col suo esercito e si fece un piano di guerra. Ma gli uomini<br />

della valle Anzasca e della valle Antrona che avevano<br />

fatto buona resistenza a V<strong>il</strong>la, o per timore o per<br />

calcolo, dubitando forse che qualche gruppo di Vallesani<br />

giungesse alle loro spalle, come altre volte, attraverso<br />

i passi del Monscera, di Saas e del monte Moro, non<br />

vollero partecipare alla battaglia, cercando di mettere<br />

30<br />

in salvo le loro robe e dando così appiglio all’accusa di<br />

essersi segretamente intesi coi Vallesani. I timori degli<br />

Antronesi erano giustificati. Giovan Battista del Ponte<br />

scrive <strong>il</strong> 18 apr<strong>il</strong>e al Duca di M<strong>il</strong>ano: qu<strong>il</strong>li (todeschi)<br />

quali sono venuti per la valle di Antigorio sono secundo se<br />

dice gente de la Liga del Bo, et ho inteso che bruxano et<br />

hano bruxato case et quelle gente che trovino de detta valle,<br />

menano tutty per ly terri. De hora in hora aspectamo un<br />

altro assalto per la valle de Bugnanco da qu<strong>il</strong>li frieri (fr<strong>il</strong>li)<br />

quali erano nel campo di Saluzo... Aviso V. Excellentia<br />

como domatina Deo danti me porto da qui et vado in la<br />

valle Antrona et con li homeni de dicta valle che sono a numero<br />

di circha 600 homini et valenthomini et con certi altri<br />

homini de questa vostra jurisdictione farò tuto <strong>il</strong> podere<br />

mio per andare a bruxare a disfare una valle del Vescovo<br />

de Valese nominato Valzosia (Saas) quale confinia con<br />

dicta valle de Antrona et de tutto quello che se farà, ne avisarò<br />

V. Excellentia. Non pare che <strong>il</strong> disegno del capitano<br />

Del Ponte sia stato condotto a termine, ma gli uomini<br />

di Antrona fecero buona guardia alla loro Valle.<br />

Non ci furono scontri importanti fino al giorno 27 apr<strong>il</strong>e,<br />

tanto che la notte del 25 apr<strong>il</strong>e 2000 Vallesani salirono<br />

in val Vigezzo a far bottino. Giungevano frattanto in<br />

Ossola altri rinforzi ai ducali ed in special modo <strong>il</strong> conte<br />

Gian Pietro Bergamino con 2000 fanti; così che i ducali<br />

potevano schierare in campo circa 3500 uomini.<br />

Il 27 apr<strong>il</strong>e Renato Trivulzio volendo saggiare la consistenza<br />

del nemico avanzò da Vogogna verso Beura con<br />

50 balestrieri. La piccola schiera fu avvistata dagli Svizzeri<br />

dal castello di Mattarella e 500 di essi calarono sul<br />

piano di Calice. Un gruppetto di ducali guidati dal capitano<br />

Jacopo dal Corte non esitò ad attraversare <strong>il</strong> Toce<br />

ed attaccare duramente i Vallesani che lasciarono sul<br />

terreno 50 morti e dovettero fuggire.<br />

Questo assaggio era stato parecchio amaro per gli Svizzeri<br />

ed <strong>il</strong> loro comandante Albino di S<strong>il</strong>lenen ne trasse<br />

cattivi auspici. Mandò in fretta a richiamare dalla val<br />

Vigezzo quelli che erano saliti a bottinare perché si affrettassero<br />

verso <strong>il</strong> ponte di Crevola dove anch’egli si<br />

diresse coi suoi, lentamente, per guadagnare l’imbocco<br />

della val Divedro e non vedersi tagliata la via dai ducali.<br />

Mossisi gli Svizzeri da Mattarella verso Preglia, i capitani<br />

Zenone e Traversa che erano in Domo ne mandarono<br />

avviso a Vogogna dove <strong>il</strong> Trivulzio ed <strong>il</strong> Bergami-


no stavano concertando un piano di guerra. Il capitano<br />

Jacopo dal Corte raggiunge Domo e coi suoi balestrieri<br />

sorprende gli Svizzeri a Preglia. Giunti anche Zenone<br />

e Traversa vengono attaccate le retroguardie svizzere<br />

e costrette a impegnarsi. Sopraggiunge anche <strong>il</strong> Trivulzio<br />

che manda immediatamente un corpo di fanti scelto<br />

per <strong>il</strong> ripido sentiero che da Preglia porta in val Divedro<br />

ad occupare <strong>il</strong> ponte dell’Orco sulla Diveria, nel<br />

punto cioè in cui la strada del Sempione salendo da<br />

Crevola passa sulla sponda destra del Diveria, poco prima<br />

della frazione S. Giovanni, tagliando così la ritirata<br />

agli Svizzeri. La battaglia si accende quindi nel piano<br />

fra Preglia e Crevola e nei pressi del ponte. Gli Svizzeri<br />

si ritirano lentamente aspettando di congiungersi con<br />

<strong>il</strong> gruppo dei bottinatori saliti in val Vigezzo. Appena<br />

questi furono visti scendere dai colli di Trontano con <strong>il</strong><br />

frutto delle loro razzìe, Jacopo dal Corte con un gruppo<br />

di balestrieri a cavallo lascia Preglia e, passato <strong>il</strong> Toce, si<br />

fa loro incontro. Gli Svizzeri si fermano e si chiudono<br />

in difesa, ma pur essendo forniti di molte armi e anche<br />

di schioppi ebbero notevoli danni dai balestrieri ducali.<br />

Ma poiché, nonostante i danni subiti si mantenevano<br />

chiusi in difesa, Jacopo dal Corte simulando una fuga,<br />

riuscì a sparpagliarli sul terreno, caricandoli poi duramente<br />

così che ne restarono uccisi un migliaio, abbandonando<br />

<strong>il</strong> bottino ed ogni cosa. Pochi riuscirono<br />

a ricongiungersi coi loro, mentre la maggior parte degli<br />

scampati fu braccata e trucidata dai montanari di Trontano<br />

e Masera.<br />

La notizia di questo scontro e del risultato, giunta a<br />

Crevola, portò <strong>il</strong> morale dei ducali alle stelle. Sopraggiunti<br />

anche <strong>il</strong> Bergamino ed <strong>il</strong> Borromeo con gli uomini<br />

di armatura pesante, si schierò l’esercito e fu dato<br />

l’attacco al ponte di Crevola. La battaglia fu durissima e<br />

combattuta con valore da ambo le parti. La sorte per gli<br />

Svizzeri volse in sfavore quando un gruppo di cavalleria<br />

ducale riuscì a passare la Diveria e prenderli alle spalle,<br />

cosa che fece anche Jacopo dal Corte giungendo in quel<br />

frattempo da Masera per la piana di Montecrestese. Gli<br />

Svizzeri cominciarono a cedere, lasciando <strong>il</strong> ponte sotto<br />

<strong>il</strong> quale a centinaia si ammucchiavano i cadaveri ad<br />

arrossare le acque del fiume e cercarono la difesa nelle<br />

vicine case tentando contemporaneamente di guadagnare<br />

la strada della salvezza. Ma questa era sbarrata al<br />

ponte dell’Orco. Lungo l’angusta strada che si inerpica<br />

sul monte furono fac<strong>il</strong>e bersaglio delle balestre puntate<br />

su di loro e dei grossi massi rotolati dall’alto. Quelli che<br />

non precipitarono nel fiume furono circondati e uccisi<br />

o braccati dai paesani che non mancarono di incrudelire<br />

su di loro per vendicarsi di tante violenze passate.<br />

Si dice che almeno 2000 Svizzeri morissero in questa<br />

che fu una delle più gravi sconfitte subite da essi. Gli<br />

Ossolani in ringraziamento dell’ottenuta vittoria, proprio<br />

sul luogo della battaglia al ponte di Crevola, costruirono<br />

un oratorio dedicato a S. Vitale, padre dei<br />

Santi soldati Gervasio e Protasio, facendo anche voto di<br />

visitarlo nel giorno della festa.<br />

Dopo questa battaglia Ludovico <strong>il</strong> Moro venne in Ossola,<br />

pagò i soldati, visitò la valle ordinando gli opportuni<br />

restauri al castello di Mattarella ed alle altre torri<br />

di difesa ossolane e gli sbarramenti al Passo di Premia<br />

ed al Passo di Croveo contro possib<strong>il</strong>i invasioni svizzere.<br />

Venne anche riorganizzato <strong>il</strong> sistema di rapide informazioni<br />

per mezzo di una rete di segnali che dalle valli<br />

estreme erano rimandati da torre in torre fino a M<strong>il</strong>ano.<br />

La pace fu firmata <strong>il</strong> 23 maggio 1487 a Domodossola<br />

e completata con altra firmata a M<strong>il</strong>ano <strong>il</strong> 9 gennaio<br />

1495. Con questa <strong>il</strong> vescovo di Sion rinunciava ad ogni<br />

pretesa sull’Ossola; tuttavia <strong>il</strong> ducato di M<strong>il</strong>ano e quindi<br />

anche l’Ossola perdette definitivamente tutta la zona<br />

che da Gondo, dove passa l’attuale confine italo-svizzero,<br />

giunge a Lattinasca, ossia all’attuale Gabi, comprendente<br />

la val Vaira, detta attualmente Schwitzbergental.<br />

La pesante lezione della battaglia di Crevola non era<br />

però stata sufficiente agli Svizzeri. Il vescovo Jost, sollecitato<br />

da Carlo VIII di Francia, rinnova l’attacco al ducato<br />

di M<strong>il</strong>ano cercando di rendersi padrone dell’Ossola.<br />

Il 23 marzo 1495, mentre un gruppo di Svizzeri al<br />

comando del famoso capitano Giorgio Supersaxo, che<br />

tuttavia si era opposto in sede di consiglio a questa spedizione,<br />

evitando Domodossola, scendeva ad occupare<br />

V<strong>il</strong>la e Piedimulera, <strong>il</strong> vescovo Jost con un altro gruppo<br />

puntò su Domodossola sotto le cui mura però fu battuto<br />

e dovette riguadagnare <strong>il</strong> Sempione.<br />

La val Formazza, stanca del dominio feudale dei De Rodis-Baceno<br />

chiese a Lodovico <strong>il</strong> Moro di esserne finalmente<br />

liberata e di dipendere direttamente dal Ducato<br />

di M<strong>il</strong>ano. Dopo lunghe insistenze, paventando forse<br />

31


che i Formazzini di origine walser decidessero di darsi<br />

ai vicini Svizzeri, <strong>il</strong> Duca tolse <strong>il</strong> feudo ai De Rodis-Baceno,<br />

né valse una causa da essi fatta contro tal provvedimento<br />

a recuperarlo. Restò comunque ad essi Salecchio<br />

ed Agaro che passò in feudo ai Marini di Crodo e<br />

successivamente fu comperato dal conte Giulio Monti<br />

di Valsassina.<br />

Gli Ossolani rinnovarono anche la richiesta di conferma<br />

degli antichi priv<strong>il</strong>egi ed <strong>il</strong> duca Ludovico <strong>il</strong> Moro<br />

la concesse <strong>il</strong> 28 febbraio 1495.<br />

Un cenno deve essere fatto anche di due avvenimenti<br />

che commossero la devozione degli Ossolani. Nel 1492<br />

un dipinto della Madonna nella chiesa di Cravegna si<br />

rigò di sudore e di lacrime. Nel 1494 è l’immagine della<br />

Beata Vergine dipinta sulla facciata della chiesa di Re<br />

che, percossa dalla sacr<strong>il</strong>ega sassata di Giovanni Zuccone<br />

di Londrago, emana ripetutamente ed alla presenza<br />

di persone eminenti del clero, dei magistrati locali ed<br />

anche di molto popolo, un fiotto di sangue dalla fronte<br />

colpita. Ambedue questi fatti furono sottoposti a immediata<br />

ed attentissima indagine con processi che ne testimoniano<br />

l’oggettività e storicità, in documenti originali<br />

ancora esistenti negli archivi e registrati.<br />

Cronache del secolo XVI<br />

Ludovico <strong>il</strong> Moro con la sua politica ambiziosa non<br />

mancò di attirarsi le odiosità dei sudditi e le gelosie<br />

dei principi che vantavano qualche diritto sul ducato<br />

di M<strong>il</strong>ano. Primo fra tutti <strong>il</strong> nuovo re di Francia Luigi<br />

XII, succeduto a Carlo VIII, la cui venuta in <strong>It</strong>alia aveva<br />

scombussolato l’intera penisola. Vantava <strong>il</strong> re francese la<br />

discendenza da Valentina Visconti data in sposa da Gian<br />

Galeazzo nel 1389 a Ludovico duca di Turenna, fratello<br />

di Carlo VI e figlio di Carlo V re di Francia. Tutto questo<br />

era noto e non mancarono di sorgere numerosi partigiani<br />

per <strong>il</strong> dominio francese in <strong>It</strong>alia e sul ducato m<strong>il</strong>anese<br />

in particolare, indirettamente favoriti dalla politica<br />

di Ludovico <strong>il</strong> Moro che si era creato attorno molte<br />

inimicizie. Gian Giacomo Trivulzio non esitò a porsi<br />

al servizio del re di Francia e a capitanare un esercito<br />

francese che, sceso in <strong>It</strong>alia nel 1499, costrinse Ludovico<br />

<strong>il</strong> Moro a rifugiarsi in Tirolo mentre <strong>il</strong> re francese<br />

Luigi XII, <strong>il</strong> 23 settembre entrava trionfalmente in M<strong>il</strong>ano,<br />

ritornando però subito in Francia portando seco<br />

32<br />

<strong>il</strong> conte Francesco Sforza ancora fanciullo.<br />

Incominciarono così tutte le traversie del Ducato M<strong>il</strong>anese<br />

conteso entro la fine del 1400 e la metà del 1500<br />

fra gli Sforza, i Francesi e gli Spagnoli.<br />

Tutti questi avvenimenti in rapida successione si riflettono<br />

puntualmente anche nell’Ossola dove prendono<br />

nuovamente forza i partiti locali. Tramontati apparentemente<br />

<strong>il</strong> guelfismo e ghibellinismo, ossia i partiti degli<br />

Spelorci e dei Ferrari, si parteggia per <strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano<br />

o per <strong>il</strong> re di Francia oppure addirittura per la Lega<br />

Svizzera dei 12 Cantoni.<br />

I capi delle fazioni sono sempre quei nob<strong>il</strong>i che avevano<br />

scelto di conservare e crescere le loro fortune m<strong>il</strong>itando<br />

sotto le bandiere ducali o francesi, reclutando anche<br />

in Ossola quelle m<strong>il</strong>izie di cui avevano bisogno, ed<br />

alle quali assegnavano talvolta gli stipendi impegnando<br />

i propri beni. Favorevoli al Duca di M<strong>il</strong>ano sono i Ponteschi,<br />

facenti capo alla famiglia del Ponte discendente<br />

da quel capitano Garbellino di Semonzio di Crevola,<br />

<strong>il</strong> cui figlio aveva abbandonato le sue case in Semonzio<br />

perché distrutte nelle guerre del secolo XIV per costruirsi<br />

una abitazione presso <strong>il</strong> ponte di Crevola, donde<br />

<strong>il</strong> nome.<br />

D’altra parte, favorevoli al re di Francia sono i Brenneschi,<br />

un ramo dei De Rodis-Baceno ai quali si erano<br />

uniti i Della S<strong>il</strong>va e De Rido di Crevola.<br />

Tutte le altre famiglie nob<strong>il</strong>i o particolarmente fornite<br />

di censo erano costrette ad entrare nell’una o nell’altra<br />

delle due consorterie; ma anche i piccoli proprietari<br />

o fittavoli che tenevano da questi signori gran parte<br />

dei loro beni in enfiteusi o avevano verso di essi obblighi<br />

particolari erano necessitati a seguirli. I partiti ed i<br />

loro aderenti amavano distinguersi anche esternamente<br />

non solo dai colori delle proprie bandiere, ma anche<br />

nei vestiti, nelle decorazioni degli ambienti e perfino<br />

scegliendo posti separati nelle chiese e valendosi di<br />

porte diverse.<br />

Impadronitisi i Francesi del Ducato M<strong>il</strong>anese, furono<br />

mandati commissari anche nell’Ossola ed <strong>il</strong> 17 ottobre<br />

1499 troviamo a Domo in questa funzione <strong>il</strong> signor<br />

Giovanni Domenico dei Rizzi luogotenente di Manfredo<br />

Tornielli governatore dell’Ossola per <strong>il</strong> re di Francia.<br />

Il 18 novembre seguente <strong>il</strong> suo posto è preso dal capitano<br />

Bernardino de Baceno luogotenente del capitano


conte Giovanni di Neufchatell.<br />

Frattanto una sollevazione di popolo, causata dalla sfrenata<br />

licenza e tracotanza dei soldati francesi, restituisce<br />

momentaneamente M<strong>il</strong>ano a Ludovico <strong>il</strong> Moro che nel<br />

febbraio del 1500 rientra a M<strong>il</strong>ano. In aiuto del Duca<br />

erano scesi 6000 Svizzeri fra cui molti del Vallese <strong>il</strong> cui<br />

vescovo Matteo Schinner parteggiava apertamente per<br />

<strong>il</strong> Moro. Queste truppe scendendo dal Sempione costrinsero<br />

i Francesi ad abbandonare Domo. Infatti <strong>il</strong><br />

19 febbraio 1500 riprende <strong>il</strong> suo posto nella Curia di<br />

Mattarella <strong>il</strong> commissario ducale Giovanni Luchino dei<br />

Crivelli di M<strong>il</strong>ano che già possedeva questo ufficio prima<br />

dell’arrivo dei Francesi.<br />

Ludovico <strong>il</strong> Moro non riuscì però a riconquistare <strong>il</strong> Ducato.<br />

Il 3 apr<strong>il</strong>e 1500, fatto prigioniero dai Francesi all’assedio<br />

di Novara, fu mandato a morire in Francia.<br />

Pochi giorni dopo i Francesi sono nuovamente in Ossola,<br />

dove ritorna <strong>il</strong> governatore e capitano Giovanni di<br />

Neufchatell.<br />

Gli Ossolani devono ora prestare <strong>il</strong> giuramento di fedeltà<br />

al re di Francia. Il 13 apr<strong>il</strong>e 1500 c’è una procura<br />

da parte del notaio Giovanni Muzzeti (i Muzzeti<br />

sono un ramo dei De Rodis-Baceno) nei signori Bartelino<br />

degli Albasini di Vogogna, Simone degli Albertazzi<br />

di Vogogna, F<strong>il</strong>ippo di Pontemaglio di Domo e Giovanni<br />

Giacomo della Porta di Domo e Antonio de Baceno<br />

di Domo, tutti notai per giurare fedeltà al cristianissimo<br />

re dei Francesi. Questa procura, fatta al Ponte<br />

di V<strong>il</strong>la dovette essere <strong>il</strong> primo atto di sottomissione al<br />

re francese.<br />

In questo periodo deve essere avvenuto anche un fatto<br />

che è riportato dal Bascapè. Antonio Ch<strong>il</strong>ino creato dal<br />

duca Ludovico <strong>il</strong> Moro castellano di Mattarella, mentre<br />

si recava in Ossola per entrare nell’ufficio assegnatogli,<br />

fu spogliato dei suoi bagagli dai soldati del Conte Borromeo<br />

e consegnò poi al Neufchatell <strong>il</strong> borgo ed <strong>il</strong> castello<br />

di Domo colla condizione di riavere <strong>il</strong> suo bagaglio<br />

e di andar libero.<br />

Il pontefice Giulio II non sopportava che nell’<strong>It</strong>alia predominassero<br />

i Francesi e fece ogni sforzo per togliere ad<br />

essi <strong>il</strong> Ducato di M<strong>il</strong>ano e darlo al duca Massim<strong>il</strong>iano<br />

Sforza figlio di Ludovico <strong>il</strong> Moro. A questo scopo, col-<br />

Tipo del Sacro Monte Calvario di Domodossola eseguito dall’arch. Pier Maria Perini nel 1772.<br />

34<br />

l’aiuto dell’imperatore Massim<strong>il</strong>iano e della Repubblica<br />

di Venezia, costituisce la Lega Santa (5 ottobre 1511)<br />

che al grido di fuori i barbari dovrebbe cacciare i Francesi<br />

dall’<strong>It</strong>alia. Per realizzare i suoi disegni <strong>il</strong> Papa si valse<br />

di Matteo Schinner vescovo di Sion, uomo della taglia<br />

mentale e del coraggio di Giulio II, ab<strong>il</strong>e diplomatico e<br />

capace di guidare, se fosse stato necessario, un esercito<br />

in battaglia. Lo Schinner fu da Giulio II creato amministratore<br />

perpetuo della diocesi di Novara, dopo la deposizione<br />

del cardinale Sanseverino che si era compromesso<br />

intervenendo al Conc<strong>il</strong>iabolo di Pisa. Ciò avvenne <strong>il</strong><br />

9 febbraio 1511, secondo <strong>il</strong> Bascapè. Il 10 marzo 1511<br />

fu fatto cardinale e con bolla papale del 9 gennaio 1512<br />

nunzio apostolico speciale nell’<strong>It</strong>alia Superiore, in Germania<br />

e presso i Confederati Svizzeri. Il nuovo vescovo<br />

di Novara si affrettò con atto del 1° febbraio 1512 ad<br />

accaparrarsi le simpatie degli Ossolani concedendo, su<br />

preghiera del conte Lanc<strong>il</strong>lotto Borromeo, alle popolazioni<br />

delle valli Vigezzo, Anzasca e Strona <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio<br />

dell’uso dei latticini durante la Quaresima, Settimana<br />

Santa esclusa, priv<strong>il</strong>egio che fu poi esteso a tutta l’Ossola.<br />

Riuscì allo Schinner di convincere i Confederati<br />

Svizzeri a scendere in <strong>It</strong>alia per cacciare i Francesci, ed<br />

assoldato un forte esercito di mercenari nel giugno del<br />

1512 costrinse i Francesi a lasciare M<strong>il</strong>ano rimettendo<br />

nel Ducato Massim<strong>il</strong>iano Sforza <strong>il</strong> quale, <strong>il</strong> 29 dicembre<br />

1512, fece <strong>il</strong> suo ingresso solenne in M<strong>il</strong>ano.<br />

I Francesi tennero però i castelli dell’Ossola Superiore<br />

ed <strong>il</strong> borgo di Domo fino all’agosto del 1512. In quell’epoca<br />

un grosso contingente di armati svizzeri della<br />

Lega di Urania o del Bue vennero per loro conto e col<br />

benestare di molti Ossolani specialmente di quelli che<br />

parteggiavano per i Francesi a prendere in consegna i<br />

castelli ed <strong>il</strong> borgo di Domo. Anche questi si fecero giurare<br />

fedeltà degli Ossolani. Il 10 agosto 1512 giurarono<br />

quelli di V<strong>il</strong>la e della valle Antrona. Il 15 agosto i Francesi<br />

fecero la consegna dei castelli e del borgo e attraverso<br />

<strong>il</strong> Sempione ripassarono le Alpi.<br />

Sebbene alleati del Duca di M<strong>il</strong>ano, gli Svizzeri tennero<br />

l’Ossola in proprio e non vollero cederla al Duca di M<strong>il</strong>ano,<br />

Antonio Zich di Urania era <strong>il</strong> commissario e capitano<br />

della Curia di Mattarella per la Lega dei XII Can-


toni, ma talvolta vi troviamo suoi luogotenenti quelli<br />

stessi che lo avevano aiutato ad entrare nel borgo e che<br />

si opponevano alla consegna al Duca di M<strong>il</strong>ano. Voglio<br />

dire <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va rimasto nell’Ossola<br />

e che <strong>il</strong> 5 settembre 1512 è commissario e capitano<br />

della Corte di Mattarella. Comincia in questo periodo<br />

a prendere forza un partito favorevole agli Svizzeri<br />

e che, dimentico delle antiche e recenti offese, vorrebbe<br />

l’Ossola confederata con i Cantoni Svizzeri. Il comportamento<br />

degli Ossolani dell’Ossola Superiore irritò<br />

specialmente i conti Borromeo i quali, dopo essere stati<br />

partigiani dei Francesi, erano tornati all’ubbidienza del<br />

Duca di M<strong>il</strong>ano. Lanc<strong>il</strong>lotto Borromeo tentò di prendere<br />

<strong>il</strong> borgo di Domo, ma fu battuto dagli Ossolani collegati<br />

cogli Svizzeri. Si vendicò <strong>il</strong> Borromeo impedendo<br />

la libera circolazione delle merci, imponendo gravi dazi<br />

sulle importazioni del grano dal Novarese e M<strong>il</strong>anese,<br />

angariando i mercanti ed impedendo in tutti i modi le<br />

comunicazioni fra le due Ossole. Alle rimostranze degli<br />

Ossolani rispondeva <strong>il</strong> Borromeo: «avete voluto stare<br />

cogli Svizzeri piuttosto che con noi? Andate ora da essi<br />

perché vi diano <strong>il</strong> grano e le vettovaglie! Per conto nostro<br />

vogliamo assolutamente farvi morire di fame». Fu<br />

una dura carestia che fece soffrire soprattutto i più poveri<br />

e che provocò la peste, sempre pronta a comparire<br />

in queste occasioni. Il flagello, scoppiato nel 1513, durò<br />

da luglio a dicembre e mieté molte vittime.<br />

Il seguente anno, 1514, gli uomini dell’Ossola Superiore<br />

sotto la guida del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, che aveva<br />

sempre mantenuto vicino a Domo un buon gruppo<br />

di fedeli armati, coll’aiuto anche di un piccolo corpo<br />

di Svizzeri, fecero un’azione di forza puntando direttamente<br />

su Vogogna. Il borgo cadde subito nelle mani<br />

di questi armati esasperati i quali si diedero al saccheggio,<br />

distrussero i caselli del dazio e si fecero giurare con<br />

atto pubblico che per l’avvenire ogni dazio sarebbe stato<br />

abolito (17 luglio 1514). I poveri abitanti di Vogogna<br />

si salvarono in parte rifugiandosi in val Anzasca. Poco<br />

dopo (27 luglio) analoga spedizione fu fatta a Mergozzo,<br />

Omegna e Pallanza dove ugualmente si volle <strong>il</strong> giuramento<br />

di esenzione da ogni dazio. Gli invasori si ritirarono<br />

poi da Vogogna non senza prima aver diroccato<br />

<strong>il</strong> castello, ma mantennero alcune fortezze che occuparono<br />

a titolo cautelativo. Ne nacque fra <strong>il</strong> conte Borro-<br />

meo e l’Ossola Superiore una lite che fu portata davanti<br />

ai capi della Lega dei XII Cantoni. La sentenza costrinse<br />

gli uomini dell’Ossola Superiore a restituire le fortezze<br />

e i territori occupati, ma fece obbligo ai Borromeo di<br />

lasciare libero <strong>il</strong> passaggio ai grani e vettovaglie. Il laudo<br />

fu pubblicato a Domo <strong>il</strong> 3 gennaio 1515 da Ulderico<br />

Flauder di Lucerna allora commissario della Corte<br />

di Mattarella.<br />

Morto Luigi XII senza eredi legittimi, sul trono di Francia<br />

salì Francesco I, anch’egli discendente da Valentina<br />

Visconti, e quindi aspirante al dominio del ducato di<br />

M<strong>il</strong>ano. Massim<strong>il</strong>iano Sforza gli oppose un esercito di<br />

mercenari svizzeri, ma non riuscì ad impedire al re francese<br />

di scendere in Lombardia. La battaglia decisiva del<br />

14 settembre a Marignano, in cui perirono 15000 svizzeri<br />

e 6000 francesi permise a Francesco I di entrare da<br />

signore in M<strong>il</strong>ano e impadronirsi del Ducato, mentre<br />

<strong>il</strong> duca Massim<strong>il</strong>iano, costretto ad abdicare, era spedito<br />

prigioniero in Francia.<br />

Dopo questi avvenimenti i capitani della Lega non si<br />

sentirono più sicuri in Ossola. Oltre tutto sei squadre o<br />

bandiere di Svizzeri, che tornavano dalla sfortunata battaglia<br />

di Marignano alla loro patria attraverso l’Ossola,<br />

rubarono e saccheggiarono quando poterono senza<br />

risparmiare nulla e nessuno. Ne soffrì soprattutto V<strong>il</strong>la<br />

come ricorda <strong>il</strong> Capis ed i poveri paesani, già provati<br />

dalle precedenti calamità dovettero subire ancora una<br />

volta i saccheggi, gli incendi e le um<strong>il</strong>iazioni di queste<br />

orde scatenate che non risparmiarono neppure le chiese.<br />

Gli Svizzeri si ritirarono dall’Ossola e per un certo tempo<br />

questa regione fu terra di nessuno, tanto che <strong>il</strong> 23<br />

settembre gli Ossolani dell’Ossola Superiore, ritenendosi<br />

ancora legati alla Lega Svizzera, scrissero condolendosi<br />

della sconfitta di Marignano e chiedendo aiuto e<br />

consigli. A sostituire <strong>il</strong> capitano e commissario svizzero<br />

Ulderico Flauder di Lucerna, allontanatosi dall’Ossola<br />

<strong>il</strong> 25 giugno 1515, fu mandato Giovanni Stolez di Bas<strong>il</strong>ea<br />

del quale trova luogotenente nella Curia di Mattarella<br />

<strong>il</strong> signor Pietro di Breno, dottore in diritto, fino<br />

al 29 settembre 1515. Un esercito francese intanto entrava<br />

nell’Ossola, mentre i pochi svizzeri rimasti tornavano<br />

in patria e l’8 ottobre, se si deve credere al Capis,<br />

un corpo di 500 uomini al comando del capitano Lautrec<br />

occupa Domo, dove i Francesi si abbandonarono<br />

35


ad ogni dissolutezza e violenza. Fortunatamente <strong>il</strong> capitano<br />

Lautrec e la sua compagnia, dietro le lamentele fatte<br />

giungere dagli Ossolani direttamente al re di Francia,<br />

furono sostituiti e la piazza di Domo fu tenuta dal capitano<br />

Predemelges che si fece onore tenendo in disciplina<br />

la sua compagnia.<br />

Un altro atto distensivo del re di Francia fu quello con<br />

cui <strong>il</strong> 10 marzo 1516 tolse all’Ossola Superiore <strong>il</strong> contributo<br />

di 600 lire imperiali dovute alla camera ducale,<br />

condonando anche i debiti contratti con la stessa dall’epoca<br />

di Luigi XII.<br />

Col ritorno della pace si stab<strong>il</strong>isce un modus vivendi<br />

anche fra i partiti ossolani. Probab<strong>il</strong>mente anzi ci fu un<br />

atto di pacificazione giacché vediamo ritornare in Ossola<br />

i fratelli Francesco e Benedetto del Ponte che erano<br />

stati messi al bando da Luigi XII. Il 26 ottobre 1515<br />

anzi troviamo Francesco del Ponte per un po’ di tempo<br />

luogotenente del commissario della Corte di Mattarella.<br />

Ma <strong>il</strong> personaggio più in vista con la vittoria delle<br />

armi francesi è <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che aveva<br />

posto la sua spada e la sua compagnia al servizio del re<br />

francese dal quale era tenuto in grande considerazione.<br />

36<br />

Egli spese gran parte delle sue ricchezze nel dare lustro<br />

e decoro all’Ossola dove chiamò architetti ed artisti ad<br />

abbellire <strong>il</strong> palazzo che andava costruendo a Domo e le<br />

chiese di Crevola e Domodossola.<br />

Colla salita di Carlo V al trono di Spagna <strong>il</strong> dominio<br />

del Ducato di M<strong>il</strong>ano viene rimesso in discussione. Il<br />

nuovo imperatore ed <strong>il</strong> Papa appoggiavano Francesco II<br />

Sforza, fratello di Massim<strong>il</strong>iano, <strong>il</strong> quale poté assoldare<br />

un esercito di mercenari svizzeri e tedeschi e con questi<br />

<strong>il</strong> 19 novembre 1521 riprese M<strong>il</strong>ano costringendo i<br />

Francesi a tornare in patria. Nell’Ossola, Benedetto del<br />

Ponte, capitano di m<strong>il</strong>izie ducali, costrinse i Francesi a<br />

lasciare <strong>il</strong> borgo di Domo, cosa che avvenne verso la fine<br />

di giugno 1522. L’8 luglio seguente i deputati ossolani<br />

si recarono a M<strong>il</strong>ano per giurar fedeltà al Duca. Il seguente<br />

anno gli Ossolani inviano al Duca una supplica<br />

per ottenere la pacificazione generale ed <strong>il</strong> perdono per<br />

tutti quelli che nelle guerre passate avevano parteggiato<br />

per la Francia, in particolare per <strong>il</strong> capitano Paolo della<br />

S<strong>il</strong>va e suoi luogotenenti banderali, nonché <strong>il</strong> riconoscimento<br />

degli antichi priv<strong>il</strong>egi. Il 16 giugno 1523 si ebbe<br />

notizia che la supplica era stata accolta.


Ma la partita non era ancora finita. Francesco I di Francia<br />

nel settembre del 1523 invia un forte esercito in <strong>It</strong>alia<br />

al comando dell’ammiraglio Bonnivet. Ripresero le<br />

speranze i fautori della Francia in Ossola, sollecitati dal<br />

capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, <strong>il</strong> quale anzi cercò di ottenere<br />

subito l’adesione da parte delle comunità ossolane,<br />

mandando perfino un suo rappresentante nel borgo<br />

di Domo per chiedere <strong>il</strong> giuramento di fedeltà. Il commissario<br />

ducale Tommaso Morone ed <strong>il</strong> capitano Benedetto<br />

del Ponte si meravigliarono di questa richiesta del<br />

Della S<strong>il</strong>va; anzi uno dei presenti, un certo prete Pietro<br />

Viscardi di Trontano, non trovò altra risposta che quella<br />

di dare un tremendo colpo di spada sulla testa del povero<br />

ambasciatore che morì all’istante. Saputo di questo<br />

trattamento, <strong>il</strong> capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che aveva<br />

con sé un buon contingente di armati raccolti sul posto,<br />

pose l’assedio a Domo, impedendo l’entrata delle vettovaglie<br />

e deviando la roggia dei Borghesi. In una scaramuccia<br />

del 14 ottobre 1523 morì Francesco del Ponte,<br />

fratello di Benedetto e suo luogotenente. L’assedio continuò<br />

fino al maggio 1524.<br />

Tutti questi sconvolgimenti politici avevano ridotto i<br />

paesani ossolani a non saper più a chi credere e a chi<br />

affidarsi, giacché tutto si rivolgeva a loro danno. Perciò<br />

vediamo che a V<strong>il</strong>la non si ha mai difficoltà a giurare<br />

a questo o a quello a seconda delle circostanze, purché<br />

si potesse sopravvivere a tanto sconquasso. A titoli<br />

di esempio valga <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> 21 marzo 1524 al Ponte<br />

di V<strong>il</strong>la si riunisce una vicinanza in cui i consoli od i vicini<br />

eleggono Antonio del Gaggio e Giovanni di Basaluxia<br />

come procuratori della comunità a giurare fedeltà<br />

al duca Francesco Sforza di M<strong>il</strong>ano e far da esso approvare<br />

certi capitoli. Il giorno seguente (22 marzo) al<br />

Sasso di S. Maurizio <strong>il</strong> console di V<strong>il</strong>la Antonio Cassoli<br />

a nome suo e dell’altro console Antonio Toxelli e con<br />

essi i due deputati del precedente strumento, prestano<br />

<strong>il</strong> giuramento nelle mani del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va<br />

che lo riceve a nome del re di Francia. Tanto erano confuse<br />

le situazioni in quei tempi!<br />

Poco dopo le truppe francesi che erano state battute a<br />

Robecco ritornarono lentamente in patria attraverso <strong>il</strong><br />

Sempione sotto la protezione del capitano Della S<strong>il</strong>va.<br />

Nell’autunno del 1524 Francesco I di Francia con un<br />

esercito di 36000 uomini attraversò le Alpi ed occu-<br />

pò M<strong>il</strong>ano. Il capitano Paolo della S<strong>il</strong>va che si era subito<br />

portato al campo del re francese mandò immediatamente<br />

in Ossola dei rappresentanti per far giurare fedeltà<br />

al nuovo padrone.<br />

Paolo della S<strong>il</strong>va tornò poi in Ossola e vi raccolse una<br />

banda di alcune migliaia di armati e si portò a Pavia<br />

dove <strong>il</strong> re Francesco I stava assediando la città. Questa<br />

banda di Ossolani che <strong>il</strong> Della S<strong>il</strong>va pagava coi suoi denari,<br />

combatté nella sfortunata battaglia di Pavia (24<br />

febbraio 1525), in seguito alla quale Carlo V costrinse<br />

<strong>il</strong> re di Francia a rinunciare definitivamente al Ducato<br />

di M<strong>il</strong>ano. Sfasciatosi l’esercito francese, Paolo della<br />

S<strong>il</strong>va tornò coi compatrioti superstiti a Domo dove<br />

giunse poco dopo anche <strong>il</strong> capitano Benedetto del Ponte<br />

a chiedere agli Ossolani <strong>il</strong> giuramento di fedeltà al<br />

duca Francesco Sforza. Gli uomini di V<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> 18 marzo<br />

1525, deputarono F<strong>il</strong>ippo F<strong>il</strong>ippi e Giacomo Baldana a<br />

fare tale giuramento di fedeltà nelle mani di Giacomo<br />

Morone commissario ducale della Curia di Mattarella.<br />

Il giuramento ebbe luogo <strong>il</strong> 20 marzo seguente.<br />

Poco dopo <strong>il</strong> castello di Domo fu tenuto da capitani e<br />

soldati spagnoli, resisi subito famosi per la loro crudeltà<br />

ed ingordigia, così da far rimpiangere i francesi. Ci fu<br />

anche una congiura per ammazzare <strong>il</strong> castellano Francesco<br />

Alarçon ed una sollevazione, che questo domò facendo<br />

sparare le artiglierie del castello contro <strong>il</strong> borgo.<br />

Poco dopo però <strong>il</strong> famigerato castellano finì la vita colpito<br />

da una archibugiata sparata da uno sconosciuto.<br />

Di questa situazione approfittò <strong>il</strong> capitano Giovan Pietro<br />

del Ponte che venne a Domo con 500 soldati ducali<br />

e ottenne per <strong>il</strong> duca <strong>il</strong> giuramento di fedeltà degli Ossolani<br />

(1527).<br />

Frattanto Don Antonio de Leyva generale di Carlo<br />

V sollecitava ripetutamente gli Ossolani ad abbandonare<br />

<strong>il</strong> duca di M<strong>il</strong>ano e a riconoscere l’autorità dell’imperatore<br />

Carlo V. Domodossola, difesa dal capitano<br />

Giovan Pietro del Ponte, resistette fino al gennaio<br />

del 1529, all’assedio fatto dal capitano Pietro Gonzales,<br />

dal conte Ludovico Belgioioso e dal capitano Pietro<br />

Maria del Maino a nome di Gian Giacomo Medici<br />

marchese di Musso, alle dipendenze di Don Antonio<br />

de Leyva. Le capitolazioni del 29 gennaio 1529 liberarono<br />

Domo dall’assedio mentre <strong>il</strong> Del Ponte passò al<br />

servizio del marchese di Musso, con uno stipendio di<br />

37


100 scudi annui (3 gennaio 1530). Nel 1531 Francesco<br />

Sforza recupera <strong>il</strong> Ducato, ma è completamente in balia<br />

di Carlo V.<br />

L’8 luglio 1531 gli Ossolani ottengono la conferma dei<br />

loro priv<strong>il</strong>egi. Morto <strong>il</strong> duca Francesco Sforza senza prole<br />

(1535), Don Antonio de Leyva generale di Carlo V,<br />

inviava nuovamente in Ossola <strong>il</strong> capitano Giovan Pietro<br />

del Ponte per esigere <strong>il</strong> giuramento di fedeltà. Il borgo<br />

di Domo lo presta <strong>il</strong> 26 dicembre 1535 e nei giorni<br />

seguenti lo fanno gli altri comuni ossolani.<br />

Le guerre che quasi ininterrottamente si erano succedute<br />

nell’Ossola, <strong>il</strong> passaggio di tanti eserciti e di gruppi di<br />

sbandati dediti alle rapine ed al saccheggio avevano frattanto<br />

influito gravemente rovinando l’economia ed anche<br />

la vita pubblica di questi montanari costretti a subire<br />

le violenze e quindi portati essi stessi all’esasperazione<br />

della violenza. Le case diventarono dei fort<strong>il</strong>izi e tutti<br />

andavano in giro armati contro ladri e briganti che dettavano<br />

legge. I partiti legati alle potenti famiglie in lotta<br />

fra loro avevano influito a rendere paurosamente abituale<br />

la violenza ed <strong>il</strong> sopruso, le cui lezioni erano impartite<br />

dai capipartito e dai signori che amavano mantenere<br />

un gruppo di armati al proprio servizio, e della<br />

peggiore risma, dai quali erano sempre accompagnati<br />

anche quando si recavano in chiesa o nelle pubbliche<br />

adunanze. Il banditismo diventa dalla metà del 1500<br />

fino alla metà del 1600 una piaga dell’Ossola, contro<br />

la quale <strong>il</strong> governo spagnolo si limita spesso a lanciare<br />

le sue gride e la cui estirpazione sarà occasione di enormi<br />

spese da parte delle comunità obbligate a restituire<br />

quanto i mercanti in transito o chiunque perdevano,<br />

essendo esse obbligate a mantenere sicure a proprie spese<br />

le strade nei propri territori. Spesso a nulla valevano<br />

gli allarmi dati con la campana a martello e l’accorrere<br />

della gente; questi banditi armati di fuc<strong>il</strong>i a ruota tenevano<br />

fac<strong>il</strong>mente testa alla gente inerme o armata solo di<br />

lance e di falcetti. Antonio Pizzoletto di Crevola, Giovanni<br />

Trivelli di Varzo, Antonio Gelminetto detto Sirigon,<br />

Giovanni Ruffino, Matteo Allena, Giovanni del<br />

Gatto ed altri si resero famosi in val d’Ossola colle loro<br />

rapine, omicidi e violenze. Contro di essi tuonarono le<br />

gride del governatore dello Stato di M<strong>il</strong>ano. Ogni tanto<br />

qualcuno era preso e impiccato sul gabbio delle forche<br />

di Domo, all’entrata di porta Castello, per incutere<br />

38<br />

un salutare timore a tutti i delinquenti. Molti altri finivano<br />

sotto <strong>il</strong> piombo dei birri incaricati del loro sterminio<br />

o, presi, erano condannati alle galere.<br />

Gravissimi fatti erano accaduti in Ossola per odio di<br />

parte. Famoso fra tutti l’uccisione dei due fratelli Gaspare<br />

e Baldassarre de Baceno, figli del capitano Bernardino<br />

e cognati del capitano Paolo della S<strong>il</strong>va, perpetrata,<br />

forse, da sicari del capitano Giovan Pietro del<br />

Ponte.<br />

Anche contro le fazioni intervennero i governatori spagnoli.<br />

Alcune gride proibivano perfino di parlare di fazioni<br />

sotto pena della vita e confiscazione dei beni. Perdura<br />

comunque una grave insicurezza ed un’atmosfera di<br />

continuo pericolo. Un’ordinanza del 29 luglio 1595 disponeva<br />

che i muri fiancheggianti le strade fossero più<br />

alti di 2 metri o rasi al suolo perché non fossero fac<strong>il</strong>e ricetto<br />

di banditi ed assassini; così anche i boschi in vicinanza<br />

delle strade dovevano essere tagliati e molte case<br />

abbattute o chiuse in modo da non servire da ricettacolo<br />

o rifugio di banditi. Si ha notizia di alcuni paesi o frazioni<br />

sia della valle Antigorio che della val Vigezzo dove<br />

tutti o quasi tutti gli abitanti non disdegnavano l’esercizio<br />

del brigantaggio come quello di una professione.<br />

Il ricordo delle loro gesta è ancora vivo nelle tradizioni<br />

popolari locali.<br />

Si cercò un rimedio a questo stato di cose mediante un<br />

tentativo di pacificazione generale che eliminasse le radici<br />

di tante e sì testarde discordie. Il governatore dello<br />

Stato di M<strong>il</strong>ano Don Pietro Pad<strong>il</strong>lo incaricò di ciò <strong>il</strong><br />

conte Renato Borromeo dandogli ampi poteri per convocare<br />

i capi partito, i faziosi e perfino i briganti famosi<br />

dell’Ossola.<br />

Riuscì al conte dopo molti tentativi di fissare i termini<br />

di una generale conc<strong>il</strong>iazione che venne solennemente<br />

giurata <strong>il</strong> 15 agosto 1595 ad Arona davanti alle porte<br />

della chiesa parrocchiale, ma <strong>il</strong> fenomeno delle fazioni<br />

e del brigantaggio, se momentaneamente parve arrestarsi,<br />

riprese poi con rinnovata violenza.<br />

Altra piaga sopravvenne nel settembre del 1598 fino<br />

al gennaio 1599. Dieci compagnie di soldati spagnoli<br />

vennero a stanziarsi in Ossola e, naturalmente a spese<br />

degli Ossolani, gettando le popolazioni nella costernazione,<br />

nella paura e nella miseria per le loro brutalità,<br />

ruberie ed estorsioni. Antonio Giavinelli prevosto


Il borgo di Domodossola chiuso a pentagono dalle mura in una stampa del secolo XIX.<br />

di Pieve Vergonte e poi parroco di Seppiana, testimone<br />

oculare, così ricorda: Tutte le parti dell’Ossola Inferiore et<br />

Superiore... sono rimase con grandissimo danno, et spavento,<br />

ma più la superiore per essersi affermati tanto, che appena<br />

si ritrovava vittovaglia per pascerli; et li padroni erano,<br />

chi battuti, chi spaventati, chi fuggiti, et chi diventati<br />

miserab<strong>il</strong>i. Le ova non si ritrovavano a comperare ne anco<br />

a duoi soldi l’uno, perché s’avevano ammazzate et mangiate<br />

le galline; pure bisognava trovar robba per forza. In fine<br />

si misero a far delli assassinamenti per le strade con pigliar<br />

li danari et robba a li poveri viandanti.<br />

Cronache del secolo XVII<br />

Durante <strong>il</strong> periodo di dominazione spagnola che va dal<br />

1536 al 1713, 1’Ossola avrebbe potuto godere di un felicissimo<br />

tempo di pace e di benessere, dopo un secolo<br />

di disastrose invasioni, di lotte e cambiamenti di governo.<br />

Invece non fu così.<br />

Dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento, per opera di alcuni vescovi<br />

zelanti, anche la diocesi di Novara e l’Ossola ebbero<br />

slanci e fervori nuovi di fede che produssero un notevole<br />

rinnovamento della vita religiosa e civ<strong>il</strong>e. Il vescovo<br />

Carlo Bascapè nella sua permanenza sulla cattedra di<br />

S. Gaudenzio (1593-1615), diede un grande impulso<br />

alla riforma dei costumi del clero e del popolo, visitando<br />

ripetutamente e minuziosamente la diocesi, informandosi<br />

di ogni cosa e disponendo secondo le necessità.<br />

Il suo <strong>libro</strong> Novaria, stampato nel 1612, oltre che <strong>il</strong><br />

primo tentativo di una storia della diocesi di Novara, è<br />

anche una preziosa miniera di notizie, storielle, artistiche<br />

e geografiche dell’Ossola, di cui egli può con pieno<br />

titolo essere considerato <strong>il</strong> primo studioso. Il giureconsulto<br />

Giovanni Capis se ne valse con somma ammirazione<br />

per l’autore nella comp<strong>il</strong>azione della prima opera<br />

storica di carattere prettamente ossolano Memorie della<br />

Corte di Mattarella, ossia del Borgo di Domodossola e sua<br />

39


giurisdizione che egli scrisse nei primi decenni del 1600,<br />

ma che vedrà la luce per le stampe solo nel 1673 a cura<br />

del figlio Giovanni Matteo Capis. Dopo <strong>il</strong> Bascapè merita<br />

di essere ricordato <strong>il</strong> vescovo cardinal Taverna, a lui<br />

immediatamente successo, al quale risalgono molte iniziative<br />

in campo religioso e morale, ma anche in quello<br />

della organizzazione e amministrazione delle parrocchie,<br />

delle chiese e dei benefici. Egli vagheggiò perfino<br />

<strong>il</strong> disegno di istituire un seminario a Domo per meglio<br />

avviare ed istruire <strong>il</strong> clero locale; ma non poté realizzarlo.<br />

Il rinnovamento religioso fu cospicuo in questo periodo,<br />

ma non si può dire altrettanto di quello politico, civ<strong>il</strong>e<br />

e amministrativo. Mancò al governo spagnolo una<br />

vera politica sociale ed economica che si traducesse in<br />

un progresso autentico. Lo squ<strong>il</strong>ibrio fra i ricchi ed i<br />

poveri andò aumentando fino ad apparire non solo ingiusto,<br />

ma insultante. Pochi nob<strong>il</strong>i, ricchi e insensib<strong>il</strong>i<br />

alle miserie del popolo, si preoccupavano di ostentare la<br />

loro opulenza e spesso <strong>il</strong> disprezzo per i diritti sacrosanti<br />

dei coloni e dei meno abbienti. Anche in Ossola sono<br />

essi che costruiscono i loro nuovi pretenziosi palazzotti<br />

dove ogni tanto, al passaggio di qualche personaggio<br />

importante, danno ampia ospitalità e fastose imbadigioni,<br />

e vivono serviti da uno stuolo di servi e di armati.<br />

Essi amavano farsi beffe della legge, esimersi da ogni<br />

gravezza, mentre i poveri erano alla mercé del Fisco.<br />

La giurisdizione di Domodossola comprendeva tutta<br />

l’Ossola Superiore con esclusione della val Vigezzo, delle<br />

Quattro Terre (Trontano, Masera, Beura e Cardezza)<br />

e della valle Antigorio. Questa giurisdizione aveva<br />

i suoi Reggenti generali ed <strong>il</strong> suo Consiglio generale in<br />

cui i rappresentanti dei comuni si riunivano alla presenza<br />

del pretore di Domo, per ogni decisione importante.<br />

In casi di necessità tutta l’Ossola Superiore si riuniva<br />

a consiglio per eleggere alcuni deputati onde far valere i<br />

propri diritti e interessi presso <strong>il</strong> Governo.<br />

Le misere condizioni degli Ossolani in questo tempo<br />

sono per lo più attribuite alla notoria ster<strong>il</strong>ità delle<br />

terre, a calamità naturali ricorrenti, al clima particolarmente<br />

avverso i cui eccessi distruggevano i già scarsi<br />

raccolti. Tuttavia <strong>il</strong> maggiore colpevole di tanta miseria<br />

fu <strong>il</strong> Governo spagnolo che con una fiscalità metodica<br />

ed esasperante, ricorrendo a tutti i mezzi afflisse<br />

40<br />

le popolazioni ossolane con una martellante pressione.<br />

Egli si valeva anche di investigatori e delatori autorizzati<br />

i quali con occhi di Argo ricercavano ogni possib<strong>il</strong>ità<br />

di cavar denaro per <strong>il</strong> Fisco. La squallida figura di questi<br />

solerti burocrati, dediti a tale odioso mestiere, ci appare<br />

dalle infinite querele che gli Ossolani dovettero sostenere<br />

con <strong>il</strong> Fisco. Nei primi decenni del 1600 si rese<br />

tristemente famoso in Ossola un certo Francesco Bossi<br />

con <strong>il</strong> titolo ufficiale di Delatore, <strong>il</strong> quale purtroppo<br />

non mancò di imitatori.<br />

Un’ordinanza del 9 luglio 1601 da parte del Magistrato<br />

del reddito ordinario dello Stato imponeva alle comunità<br />

ossolane <strong>il</strong> pagamento entro tre mesi del mensuale<br />

o estimo delle merci per <strong>il</strong> periodo 1559-1601. La<br />

somma non era grande, 398 lire e 12 soldi, ma erano<br />

intanto violati quei priv<strong>il</strong>egi, accordati agli Ossolani dai<br />

Visconti e successivamente riconosciuti anche da Carlo<br />

V, per i quali essi erano esenti da ogni imposizione. Fu<br />

quindi necessario che i rappresentanti dell’Ossola sostenessero<br />

le loro ragioni a M<strong>il</strong>ano, ragioni che furono riconosciute<br />

con sentenza del 23 apr<strong>il</strong>e 1602.<br />

Poco dopo, su delazione del sopra ricordato Francesco<br />

Bossi, l’Ossola è accusata di non aver pagato e non pagare<br />

<strong>il</strong> dazio per la Notaria civ<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> dazio del pane, vino,<br />

carni ed imbottato, la tassa per la stadera comunale ecc.<br />

I procuratori dell’Ossola, Olderico S<strong>il</strong>vetti e Giacomo<br />

Trivelli, sono nuovamente a M<strong>il</strong>ano a sostenere l’esenzione,<br />

sempre fondandosi sui famosi priv<strong>il</strong>egi. Il Magistrato<br />

ordinario, con sentenza del 11 agosto 1605, assolve<br />

gli Ossolani. Intanto però queste cause procuravano<br />

ingenti spese alla Comunità che si andava aggravando<br />

paurosamente di debiti ed era costretta a prendere<br />

denaro a prestito con pesanti interessi.<br />

La scarsa produttività delle terre ossolane, la pressione<br />

esorbitante del Fisco spagnolo, alcune calamità naturali<br />

ed una certa imprevidenza amministrativa concorsero<br />

ad aumentare la povertà fino a giungere al livello della<br />

vera carestia. Mancavano nei primi decenni del 1600<br />

non solo <strong>il</strong> denaro, ma anche i beni di consumo più<br />

necessari. Il Giavinelli che era prevosto a Seppiana, da<br />

buon testimonio oculare così ci presenta la situazione:<br />

L’anno 1628 fu una grandissima carestia et si vendeva a<br />

Domo et Vogogna la segla lire due <strong>il</strong> staro; et li poveri hanno<br />

patito molta fame et l’anno 1629 perseverò la carestia,


che non si trovava denari et ne morirono molti di fame.<br />

L’anno 1629 poi fu talmente carestia che li poveri facevano<br />

macinar <strong>il</strong> colmo et la paglia et le giande de’ fayci per<br />

far farina; et ne morse molti che avevano patito; ed doppo<br />

venne certi febri che morse molte persone da dette febri.<br />

Il medemo anno venne la neve sopra l’arbori la notte doppo<br />

Santo Michele et alli dieci di Ottobre neve sino a qua a<br />

Seppiana con de’ d<strong>il</strong>uvi d’acqua. L’anno 1629 si è venduta<br />

la farina del colmo et paglia fino a lire 4.<br />

Sarebbe stato abbastanza fac<strong>il</strong>e prevedere che su organismi<br />

così denutriti e provati in questi anni di carestia, oltre<br />

le solite malattie intestinali ricorrenti, potesse prendere<br />

<strong>il</strong> sopravvento la terrib<strong>il</strong>e peste bubbonica. E infatti<br />

fu così. La peste già mieteva vittime nel vicino Vallese,<br />

ma a causa della stretta sorveglianza ai passi alpini<br />

non fu di qui che <strong>il</strong> morbo venne importato in Ossola.<br />

Venne infatti dal M<strong>il</strong>anese a Mergozzo e a Domo per<br />

opera di alcuni mercanti. Citiamo ancora <strong>il</strong> Giavinelli<br />

che <strong>il</strong> giorno 14 agosto 1630 così annota nelle sue Memorie:<br />

L’anno 1630 circa <strong>il</strong> principio del mese di giugno si<br />

scoperse la peste in Duomo d’Ossola et in Cresto della valle<br />

Antrona, al Piaggio di V<strong>il</strong>a, a Rovescha d’Antrona et di S.<br />

Pietro (Schieranco) passavano per la strada d’Ovago per<br />

non poter passar per Riviera, Viganella et Cresto, quando<br />

hanno d’andare a pigliar provisione alla Lanca di Pallanzeno,<br />

dove si provvede di guardia continua; et ivi mandiamo<br />

a pigliar provisione quando si può avere; et circha li<br />

dieci di agosto si serrò Vogogna per esser morti alcuni ivi<br />

in casa del signor Battista Lossetti, et hora stentiamo haver<br />

provisione. Circa al principio d’agosto si è scoperta la<br />

peste alle Selve (Montescheno), et quelli del Croppo già<br />

alla fine di luglio erano fuori in Quarantena, et a me non<br />

manca fastidio in chiesa et fuora per la ministrazione dei<br />

Sacramenti. Circa <strong>il</strong> 17 et 20 agosto si scoperse la peste al<br />

Boschetto, a Daroncio, La Noga, al Gagio, talché a V<strong>il</strong>a<br />

stanno tutte le terre sempre in terrore et retirate più che si<br />

può; et la maggior parte si sono retirati nell’Ovago a far<br />

quarantena. Et <strong>il</strong> mese di settembre si è scoperta a Zoncha,<br />

a Valleggia, a Progno (Montescheno).<br />

Il Capis ricorda che nella valle Antrona morirono di peste<br />

circa 400 persone et ne morsero 100 nel termine di un<br />

mese solamente nella terra di Cresto. Ora si sa che nel<br />

1613 V<strong>il</strong>la aveva circa 200 famiglie e fuochi, mentre<br />

dall’inventario della chiesa parrocchiale fatto <strong>il</strong> 31 gen-<br />

naio 1647 dal parroco Giovanni Bianchetti i fuochi<br />

sono solo 80. Si può dunque pensare che anche a V<strong>il</strong>la<br />

la popolazione sia stata ridotta alla metà; così come a<br />

Domo, a Vagna ed altrove dove la peste fece <strong>il</strong> maggior<br />

numero di vittime.<br />

Furono purgate le case con suffumigi di polvere da sparo,<br />

pece, salnitro, zolfo, incenso e bacche di ginepro; i<br />

panni appestati erano inceneriti, gli altri lasciati lungo<br />

tempo all’aria, in acqua o sotto terra. Il Capis osserva<br />

che questi metodi di disinfestazione erano efficaci sebbene<br />

alcuni fossero di diversa opinione, segno che anche<br />

in Ossola non mancavano i don Ferrante di manzoniana<br />

memoria.<br />

Il secolo XVII fu per l’Ossola uno dei più disastrosi anche<br />

per le catastrofi naturali verificatesi in quel periodo.<br />

Prime fra tutte le alluvioni, già iniziate nel secolo XVI.<br />

Il fiume Bogna che nel secolo XIV era stato portato a<br />

scorrere a nord del borgo di Domo, rotti gli argini venne<br />

nel 1519 a scorrere fra <strong>il</strong> colle di Mattarella e l’abitato.<br />

Nel secolo XVII cominciò a spingersi direttamente<br />

contro le mura del borgo, riempiendo i fossati ed accumulando<br />

molto materiale contro la cinta di difesa fino<br />

a seppellirne quasi le torri e, talvolta, penetrando anche<br />

nel borgo. I tentativi di impedire la sommersione costrinsero<br />

anche le comunità della giurisdizione a contribuire<br />

alle ingenti spese, dando origine a numerosi processi<br />

e liti. Il pericolo fu solo scongiurato dopo la grande<br />

alluvione del 1642 che decise finalmente <strong>il</strong> Governo<br />

a dare fondi sufficienti per riportare <strong>il</strong> Bogna a nord del<br />

borgo. Nella alluvione del 1640 avevano sofferto quasi<br />

tutte le comunità ossolane ed in particolare V<strong>il</strong>la e la<br />

valle Antrona dove <strong>il</strong> fiume Ovesca distrusse la chiesa<br />

parrocchiale di S. Pietro di Schieranco e portò via tutti<br />

i ponti. Una grave sventura si abbatté su Antronapiana<br />

all’alba del 27 luglio 1642 quando la grande frana del<br />

monte Pozzoli sbarrò la valle del Troncone formando <strong>il</strong><br />

lago di Antrona, seppellendo parte del paese ancora nel<br />

sonno e causando la morte di oltre 100 persone.<br />

Ma gli Ossolani nonostante tutte queste ed altre vicende<br />

dolorose vollero esprimersi in atti solenni e generosi<br />

di pietà proponendosi la costruzione del grande complesso<br />

monumentale dedicato alla passione di Cristo<br />

che è <strong>il</strong> Sacro Monte Calvario posto sul colle di Mattarella<br />

fino a quel momento occupato dalle rovine del ca-<br />

41


stello. Iniziata nel 1658, con l’approvazione del vescovo,<br />

quest’opera voluta dalla comunità ossolana intiera,<br />

crebbe rapidamente sotto la direzione di Giovanni Matteo<br />

Capis; attorno al 1680 era in gran parte realizzata<br />

con la costruzione della chiesa-santuario, della strada<br />

sacra e di alcune cappelle nelle quali <strong>il</strong> plastificatore m<strong>il</strong>anese<br />

Dionisio Bussola pose in opera alcuni dei principali<br />

misteri della Via Crucis. L’opera sarà però finita<br />

nei secoli seguenti. Contemporaneamente la comunità<br />

dell’Ossola che aveva provvisto già nel 1616 i Cappuccini<br />

di un piccolo convento alla Cappuccina, dovette<br />

costruire un altro convento per i medesimi Padri sulle<br />

pendici del colle di Mattarella al fine di sottrarli alla<br />

furia del Bogna (1661-1681). Anche per questa ed altre<br />

opere di interesse generale fu dato incarico al giureconsulto<br />

Giovanni Matteo Capis che fu l’uomo politico<br />

più importante del secolo XVIII.<br />

II governatore di M<strong>il</strong>ano e capitano generale marchese<br />

di Hinojosa, con ordinanza del 6 febbraio 1614, stab<strong>il</strong>ì<br />

che si formassero in questo Stato (di M<strong>il</strong>ano) una m<strong>il</strong>izia<br />

de’ i soldati di esso per servitio di Sua Maestà et beneficio<br />

e sicurezza loro. Si diedero anche disposizioni affinché<br />

tale m<strong>il</strong>izia avesse necessaria istruzione, disciplina<br />

ed armamento. Il tutto era naturalmente a carico degli<br />

uomini scelti per tale servizio in numero proporzionato<br />

alla consistenza della comunità. Ma per lo più l’armamento<br />

era a spese della comunità. In cambio gli ufficiali<br />

erano esenti dall’obbligo di alloggiare nelle proprie<br />

case i soldati a piedi od a cavallo mandati a stazionare<br />

sul luogo. Il motivo di questo provvedimento va<br />

ricercato nella necessità che aveva <strong>il</strong> Governo spagnolo<br />

di non lasciare sguarnito <strong>il</strong> proprio territorio; mentre<br />

le sue truppe erano concentrate ed impegnate nella<br />

guerra del Monferrato contro i Francesi e Piemontesi.<br />

Questa specie di guardia civica o popolare, istituita<br />

in tutta l’Ossola, mantenne a lungo la sua funzione anche<br />

dopo gli avvenimenti bellici che furono causa della<br />

sua istituzione e perdette decisamente la sua importanza<br />

solo dopo la restaurazione del dominio piemontese<br />

in Ossola seguita alla caduta di Napoleone, ma resiste<br />

con un apparato che possiamo ormai dire folkloristico<br />

in alcuni luoghi come a Bannio e Calasca in valle<br />

Anzasca. Al suo sorgere fu però ostacolata dalle popolazioni,<br />

che si vedevano aggravate da nuove spese e pa-<br />

42<br />

ventavano di dover marciare fuori dei confini dell’Ossola,<br />

la sola patria che avesse per esse un significato autentico.<br />

Il loro avvento fu tuttavia ut<strong>il</strong>e all’Ossola, non<br />

perché rinfocolò l’antico e tradizionale spirito guerresco,<br />

quanto piuttosto perché la presenza di m<strong>il</strong>izie organizzate<br />

rese più sicure le valli contro i briganti e facinorosi<br />

e favorì una maggiore coscienza unitaria fra gruppi<br />

spesso antagonisti e disuniti da faide paesane e da antipatie<br />

campan<strong>il</strong>istiche.<br />

La istituzione delle m<strong>il</strong>izie popolari non fu dunque inut<strong>il</strong>e.<br />

Se ne ebbe immediato saggio allorché fu necessario<br />

difendere i passi alpini da eventuali inf<strong>il</strong>trazioni nemiche.<br />

Il loro apporto alla guerra degli Spagnoli contro i<br />

Francesi e Savoiardi deve essere stato molto limitato. Se<br />

si eccettua la difesa di Arona nel 1636 e qualche puntata<br />

fino a Vercelli, non si ricordano fatti d’arme importanti.<br />

Era una m<strong>il</strong>izia dotata di armamento molto leggero:<br />

archibugio a ruota, spade e lance. In valle Antrona<br />

esistevano due diversi distretti su cui erano scelti gli<br />

uomini addetti a questa m<strong>il</strong>izia. Il primo era quello di<br />

Antronapiana che metteva in assetto un numero limitato<br />

di soldati, ma con l’incombenza specifica di difendere<br />

gli alti passi della valle, uomini dunque ben adatti<br />

al loro compito e perfetti conoscitori del luogo. Il secondo<br />

comprendeva tutto <strong>il</strong> resto della valle Antrona e<br />

V<strong>il</strong>la. Analogamente avveniva in tutte le altre valli ossolane.<br />

In ognuna delle comunità della valle era eletto dagli<br />

stessi soldati un reggente o capitano, un luogotenente,<br />

un alfiere, un sergente ed alcuni caporali. I singoli reggenti<br />

o capitani locali avevano poi funzioni subordinate<br />

al comando del capitano della valle che era da essi eletto<br />

fra i reggenti locali. La nuova compagnia a sua volta<br />

era alle dipendenze e sotto <strong>il</strong> comando di un maestro di<br />

campo o capitano generale la cui giurisdizione si estendeva<br />

su tutti i distretti dell’Ossola e spesso comprendeva<br />

anche la zona del Lago Maggiore. Il primo capitano<br />

generale in Ossola fu <strong>il</strong> signor Ottavio Verone di Crevola<br />

che aveva già avuto compiti organizzativi di difesa.<br />

Successivamente ebbe <strong>il</strong> comando generale di queste<br />

m<strong>il</strong>izie popolari <strong>il</strong> marchese Giovanni Battista Lossetti<br />

di Vogogna e poi i conti Borromeo.<br />

Il capitano di una m<strong>il</strong>izia di tal fatta doveva essere persona<br />

accetta a tutti e stimata per la sua prudenza e ca-


Vogogna, litografia di James Pattison Cockburn, 1822.<br />

pacità di amalgamare elementi che non erano tenuti insieme<br />

da una vera disciplina m<strong>il</strong>itare; non erano infatti<br />

soldati di professione.<br />

Cronache del secolo XVIII<br />

Con la morte di re Carlo II di Spagna (anno 1700), si<br />

ebbero immediati contrasti fra i pretendenti al trono.<br />

F<strong>il</strong>ippo d’Angiò, chiamato dal testamento del defunto<br />

re a cingere la corona di Spagna, si portò subito a Madrid<br />

e fu riconosciuto nei domini spagnoli, prendendo<br />

<strong>il</strong> nome di F<strong>il</strong>ippo V. L’imperatore d’Austria Leopoldo<br />

I contestava però questa nomina, pretendendo <strong>il</strong> trono<br />

di Spagna per <strong>il</strong> proprio secondogenito Carlo, come<br />

discendente in linea diretta da Ferdinando I, fratello di<br />

Carlo V imperatore.<br />

Ne nacque una guerra che allineò da una parte l’Austria,<br />

l’Ingh<strong>il</strong>terra e l’Olanda e dall’altra la Spagna, la<br />

Francia e la Baviera. Vittorio Amedeo II di Savoia si<br />

unì inizialmente alla Francia ed alla Spagna. La guer-<br />

ra fu combattuta in Lombardia con alterne vicende che<br />

indussero però Vittorio Amedeo II a staccarsi dai suoi<br />

alleati per aderire all’Austria. Questo cambiamento di<br />

rotta della politica sabauda irritò gli ex alleati. Gli eserciti<br />

franco spagnoli occuparono la Savoia e parecchie<br />

importanti città del Piemonte, stringendo Torino con<br />

un potente assedio. Il principe Eugenio di Savoia, comandante<br />

di m<strong>il</strong>izie imperiali, non poteva portare alcun<br />

aiuto a Vittorio Amedeo, trovandosi sbarrato <strong>il</strong> passo<br />

dalle truppe del generale francese Vendôme, attestate<br />

sulle rive dell’Adige. In aiuto delle truppe sabaude venne<br />

un distaccamento di soldati tedeschi al comando del<br />

maresciallo Staremberg per <strong>il</strong> Sempione <strong>il</strong> quale, senza<br />

entrare in Domo, dove <strong>il</strong> castello era ancora presidiato<br />

da truppe spagnole, si portò verso <strong>il</strong> lago Maggiore, ma<br />

non poté collegarsi con le truppe piemontesi, essendo<br />

tutto <strong>il</strong> Novarese e M<strong>il</strong>anese in mano ai Francesi. Gli<br />

Ossolani però dovettero fornire vettovaglie a queste m<strong>il</strong>izie<br />

tedesche acquartierate ed inviare anche le m<strong>il</strong>izie<br />

43


locali per difendere i castelli di Angera e Arona. Queste<br />

gravi spese furono ripartite sia sull’Ossola Superiore<br />

che Inferiore. Il 19 marzo 1704 <strong>il</strong> Consiglio Generale<br />

dell’Ossola è convocato per provvedere alla distribuzione<br />

delle spese, per attrezzare <strong>il</strong> castello di Domo alla<br />

difesa, per eleggere un Reggente Generale e provvedere<br />

alla salvaguardia dei priv<strong>il</strong>egi ossolani. Il 7 gennaio<br />

1705 sono convocati nuovamente tutti i rappresentanti<br />

delle comunità ed i Reggenti dell’Ossola Superiore per<br />

far sì che tutte le comunità concorrano al pagamento<br />

delle spese straordinarie imposte dalla circostanza. Gli<br />

Ossolani, almeno quelli dell’Ossola Superiore, pare non<br />

si dichiarino in favore di nessuno dei contendenti, tuttavia<br />

le imposizioni m<strong>il</strong>itari bisognava pagarle. Nel castello<br />

c’era sempre un presidio spagnolo al comando del<br />

capitano don Giovanni de Soto e la cosa pubblica era<br />

diretta dal pretore don Francesco de Miranette Velasco<br />

pure spagnolo.<br />

II duca di Vendôme, lasciato <strong>il</strong> comando delle truppe<br />

francesi in Lombardia per assumere quello delle truppe<br />

stanziate in Fiandra, non trovò alcuna difficoltà a transitare<br />

per l’Ossola per venire al Sempione, <strong>il</strong> 14-15 luglio<br />

1706, con un seguito di 150 cavalli, segno che questa<br />

regione non intendeva reagire con proprie iniziative<br />

alla situazione. Ma allorché <strong>il</strong> principe Eugenio di Savoia<br />

riuscì a portarsi con <strong>il</strong> suo esercito sotto le mura di<br />

Torino assediata e raggiungere <strong>il</strong> duca Vittorio Amedeo,<br />

riuscendo a sconfiggere i Francesi nella celebre giornata<br />

del 7 settembre 1706, a Domo si fu del parere di predisporre<br />

una resa. Era allora sindaco o procuratore del<br />

borgo di Domo <strong>il</strong> nob<strong>il</strong>e Marco Antonio S<strong>il</strong>va, ex reggente<br />

della Giurisdizione, <strong>il</strong> quale aveva fama di essere<br />

partigiano di Francia. Visto come la guerra si era risolta,<br />

egli prese l’iniziativa di far passare l’Ossola all’obbedienza<br />

dell’Austria, non sappiamo se per opportunismo<br />

politico o semplicemente per ambizione. Il capitano<br />

spagnolo ed i borghigiani domesi furono da lui convinti<br />

a sottomettersi e chiedere protezione agli Austriaci,<br />

invitandoli a venire a Domo. Le iniziative di Marco<br />

Antonio della S<strong>il</strong>va furono accette al generale Zumiunghen<br />

che era venuto ad occupare Arona e la zona<br />

del lago Maggiore, ma irritarono gli altri Ossolani ed in<br />

particolare i Reggenti generali della Giurisdizione Antonio<br />

Grazioli, Andrea Taddei e Carlo Francesco Pellia,<br />

44<br />

i quali si vedevano esautorati. Sebbene anch’essi fossero<br />

del parere di sottomettersi agli Austriaci, non mancarono<br />

con lettera dell’11 ottobre 1706 di avvisare tutte<br />

le comunità della Giurisdizione dell’arbitrio del S<strong>il</strong>va<br />

che pretendeva una rappresentanza che nessuno gli aveva<br />

mai data, dichiarando che si sarebbero subito recati<br />

a incontrare <strong>il</strong> Zumiunghen per <strong>il</strong> bene della comunità<br />

ossolana. Essi poterono di fatto presentarsi al generale,<br />

mercé i buoni uffici del conte Borromeo, ed <strong>il</strong> 14 ottobre<br />

1706 gli Austriaci entrarono in Domo al comando<br />

del capitano barone M<strong>il</strong>ben, mentre <strong>il</strong> piccolo presidio<br />

spagnolo con tutti gli onori m<strong>il</strong>itari abbandonava <strong>il</strong> castello.<br />

Così l’Oossola entrava a far parte dei domini dell’Austria<br />

sotto l’imperatore Giuseppe I, <strong>il</strong> quale, grato a<br />

Vittorio Amedeo II di Savoia dell’aiuto prestato, gli cedeva<br />

<strong>il</strong> Monferrato, la Lomellina, Alessandria, Valenza e<br />

la Valsesia. Morto però l’imperatore di vaiolo nel 1711,<br />

l’arciduca Carlo che come pretendente al trono di Spagna<br />

aveva assunto <strong>il</strong> nome di Carlo III (di Spagna) ebbe<br />

<strong>il</strong> trono del fratello con <strong>il</strong> titolo di Carlo VI imperatore.<br />

Ma con la pace di Utrecht, in cui i domini spagnoli furono<br />

spartiti, lo Stato di M<strong>il</strong>ano e l’Ossola entrarono a<br />

far parte dei domini imperiali dell’Austria (1713).<br />

Scrivendo di questo periodo <strong>il</strong> giureconsulto don Paolo<br />

della S<strong>il</strong>va afferma che gli Ossolani sotto l’Impero Austriaco,<br />

deposte le armi si sono rivolti ai traffici ed ai litiggi;<br />

e quanto giovano i primi per arricchirli, altrettanto servono<br />

i secondi per impoverirli.<br />

Anzitutto fu dibattuta una lunga, ed astiosa e soprattutto<br />

dispendiosa lite fra <strong>il</strong> sopra ricordato Marco Antonio<br />

della S<strong>il</strong>va ed i Reggenti generali della giurisdizione,<br />

che durò fino al 1713 ed ebbe come unico risultato,<br />

dissensi, odi e spese.<br />

Una grida del 26 agosto 1711, emessa dal Governo al<br />

fine di danneggiare la Francia, stab<strong>il</strong>iva che tutte le merci<br />

dirette o provenienti da quello stato fossero soggette a<br />

dazio al passaggio per Domodossola. I gabellieri, incaricati<br />

della riscossione, estesero però arbitrariamente l’ordinanza<br />

fino ad includere anche quelle merci che erano<br />

prodotte o consumate in Ossola. Di qui un vibrato ricorso<br />

degli Ossolani richiamandosi agli antichi priv<strong>il</strong>egi.<br />

Frattanto si era fatto vivo l’impresario del tabacco che<br />

pretendeva l’appartenenza dell’Ossola al suo appalto<br />

e quindi la privativa della vendita. Altro ricorso per <strong>il</strong>


iconoscimento della esenzione. Ma in questo ricorso<br />

gli Ossolani ebbero cura di presentare al re Carlo III,<br />

ossia all’imperatore Carlo VI, una formale richiesta di<br />

approvazione o riconoscimento degli antichi priv<strong>il</strong>egi<br />

contenuti nei famosi capitoli del 1381. Si riuscì di fatto<br />

ad ottenere un rescritto del 3 gennaio 1710, dato da<br />

Barcellona, ma, come afferma don Paolo della S<strong>il</strong>va, essendosi<br />

nel 1711 presentato questo diploma al Senato per<br />

la di lui interinazione, l’implacab<strong>il</strong>e Fisco M<strong>il</strong>anese prese<br />

motivo di muovere al Paese altra ben longa e dispendiosa<br />

lite. Non solo furono riprese le antiche e recenti pretese<br />

del fisco, ma si riparlò della carta da bollo, dei dazi, ecc.<br />

Finalmente <strong>il</strong> 26 gennaio 1712 si ebbe la Dichiarazione<br />

Magistrale con cui l’Ossola era riconosciuta nel possesso<br />

degli antichi priv<strong>il</strong>egi, notificata poi ai pretori dell’Ossola<br />

con lettera del 25 febbraio 1712. Non si creda<br />

però che tutto questo sia avvenuto per pura magnanimità<br />

o senso di giustizia da parte del Governo. Le comunità<br />

ossolane dovettero sborsare al fisco per spontaneo<br />

sussidio da essi offerto all’Illustrissimo Magistrato Ordinario<br />

di questo Stato di M<strong>il</strong>ano, per beneficio di Sua<br />

Cattolica e Cesarea Maestà, lo sa Iddio con quale spontaneità,<br />

la bella somma di 21.000 lire imperiali, di cui<br />

10.212 lire e 4 soldi furono a carico della giurisdizione<br />

di Domo. Leggendo gli atti di queste liti ed i ricorsi degli<br />

Ossolani si sente tutta l’amarezza del popolo di queste<br />

montagne per essere sistematicamente beffato dai<br />

propri governanti e, fra le righe, proprio dove si attesta<br />

tanto sviscerato ossequio per <strong>il</strong> padrone, c’è una fredda<br />

ed impressionante ironia: Riconoscendo la scarsezza in<br />

cui si trova la Real Mensa in tempo di tanto bisogno per la<br />

difesa dell’Adoratissimo Monarca, e che tutte queste novità<br />

vengono suggerite dalle necessità de mezzi, non già perché<br />

la chiara ragione di quel paese temi di comparir nuda, e<br />

dubiti di non essere accolta da un tribunale, così retto, che<br />

con viscere di padre riguarda la conservazione de’ sudditi<br />

di Sua Maestà commessi alla di lui tutela, ma per anco in<br />

quest’occasione palese alla Maestà Sua, et alle SS. VV. Illustrissime<br />

<strong>il</strong> sviscerato zelo che nodriscono per li vantaggi<br />

del Padrone e per la causa pubblica, non ricusa con spontaneo<br />

sagrificio di quel di forze che ancora dura in quell’ormai<br />

esangue Corpo, tributar servitio alla Regia Camera<br />

per una volta tanto, (oltre le grandi somme in così pochi<br />

anni pagate) di altre lire sei m<strong>il</strong>a, ecc. Poi... da seimi-<br />

la si dovrà giungere a 21.000 regolarmente quietanzate<br />

<strong>il</strong> 1° febbraio 1712.<br />

L’imperatore d’Austria Carlo VI nel 1718 incaricò una<br />

speciale Commissione o Giunta di fare un nuovo e generale<br />

censimento che potesse poi servire come base di<br />

calcolo alle imposte. E poiché l’imposta veniva elevata<br />

sui fondi, sulle persone e sulle merci, <strong>il</strong> censimento,<br />

assieme a dati statistici riguardanti la popolazione ed <strong>il</strong><br />

commercio, esigeva una misura precisa delle proprietà<br />

fondiarie e relative rendite. Si cercò di assoggettare anche<br />

l’Ossola a questo generale censimento che sparse<br />

dappertutto misuratori e loro aiutanti.<br />

Ma gli agrimensori trovarono non poche difficoltà in<br />

Ossola dove i fondi, a causa della estrema suddivisione,<br />

sono piccoli, irregolari e numerosissimi. Si dovette allora<br />

ripiegare dividendo semplicemente i territori comunali<br />

in corpi di ugual superficie, segnando in essi i vari<br />

proprietari, ma rinunciando alla definizione più precisa<br />

dei fondi appartenenti ai singoli proprietari. Naturalmente<br />

le notifiche si estendevano anche alle abitazioni,<br />

cascine, mulini, ecc. ed i notai vennero obbligati alla<br />

denuncia dei contratti di compravendita degli immob<strong>il</strong>i,<br />

specificando misure e nomi dei contraenti. Nel 1725<br />

si tentò anche una stima del valore della proprietà. Ciò<br />

significava che si era in procinto di estendere anche all’Ossola<br />

un nuovo sistema fiscale che avrebbe spazzato<br />

via tutti i priv<strong>il</strong>egi ed esenzioni a cui fino allora si era<br />

guardato come alla salvaguardia della possib<strong>il</strong>ità di sussistenza.<br />

Perciò i rappresentanti dell’Ossola fecero subito<br />

ricorso perché l’Ossola fosse esentata dal censimento.<br />

Il voto del fisco del 7 ottobre 1727 fu favorevole all’Ossola<br />

Superiore, ma doveva essere approvato dall’imperatore.<br />

Per sostenerne la causa a Vienna gli Ossolani si<br />

erano inizialmente affidati ai buoni uffici del vigezzino<br />

Pietro Andreoli, <strong>il</strong> quale però nel 1729 se ne volle esimere.<br />

E poiché la cosa stava molto a cuore agli Ossolani,<br />

su proposta dei sindaco generale della Giurisdizione<br />

dottor Carlo Ruga S<strong>il</strong>va, <strong>il</strong> 13 novembre 1729, venne<br />

affidata al giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va <strong>il</strong> quale condusse<br />

felicemente l’affare in porto ottenendo dall’imperatore<br />

con diploma del 22 agosto 1731, intimato alla<br />

Giunta per <strong>il</strong> censimento, la bramata esenzione.<br />

La guerra per la successione al trono di Polonia (1733-<br />

1738) ebbe notevoli conseguenze anche in Ossola. Es-<br />

45


sendosi Carlo Emanuele III, re di Sardegna, alleato con<br />

la Francia con <strong>il</strong> trattato del 26 settembre 1733, gli eserciti<br />

franco-sardi invasero la Lombardia, occupando M<strong>il</strong>ano<br />

nell’ottobre del 1733. Frattanto in Ossola insorsero<br />

gravi perturbazioni. Il capitano del castello di Domo,<br />

Giovanni Antonio Zunica, pretese rifornimenti di<br />

vettovaglie a spese dell’OssoIa. Si opponevano gli Ossolani<br />

invocando i soliti priv<strong>il</strong>egi, ma <strong>il</strong> capitano Zunica<br />

continuava a fare richieste e minacce. Si riuscì anche ad<br />

ottenere dalla Giunta di Governo lasciata dal conte di<br />

Daun, governatore di M<strong>il</strong>ano, in sua vece, un’ordinanza<br />

che proibiva espressamente al castellano di Domo di<br />

esigere alcunché dagli Ossolani. Questi però non si acquietò,<br />

anzi si fece sempre più ost<strong>il</strong>e, rivoltando contro<br />

<strong>il</strong> Borgo le artiglierie del castello e facendo sparare alcuni<br />

colpi intimidatori contro le case di alcuni borghesi. I<br />

Domesi sentendosi prigionieri nel borgo che <strong>il</strong> Zunica<br />

aveva fatto chiudere, fecero suonar le campane a martello.<br />

Il segnale richiamò dalle valli le m<strong>il</strong>izie locali che<br />

giunte a Domo si limitarono però solamente a riaprire<br />

<strong>il</strong> borgo, costringendo i soldati del presidio a ritirarsi<br />

nel castello. Riferisce <strong>il</strong> giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va<br />

che <strong>il</strong> castello era tenuto sotto sorveglianza dai borghigiani,<br />

che un soldato fu ucciso da un colpo di fuc<strong>il</strong>e<br />

sparato da una guardia appostata sul campan<strong>il</strong>e della<br />

chiesa di S. Francesco e che lo stesso castellano corse<br />

<strong>il</strong> pericolo di finire allo stesso modo. Una nota dell’arciprete<br />

di Domo dice che la sera del 14 novembre<br />

1733, alcuni soldati del castello fecero una sortita nel<br />

borgo sparando alcuni colpi contro i borghigiani armati;<br />

questi risposero uccidendo un soldato di nome Raimondo<br />

Bellandel. Il giureconsulto Paolo della S<strong>il</strong>va, su<br />

invito del re di Sardegna e del Senato di M<strong>il</strong>ano, venne<br />

a Domo a parlamentare con <strong>il</strong> castellano. Questi avendo<br />

saputo che ormai tutte le città dello Stato di M<strong>il</strong>ano<br />

erano in mano dei Franco-Sardi si dichiarò pronto<br />

alla capitolazione, e le ost<strong>il</strong>ità furono sospese. Venuto in<br />

Ossola a nome del Re di Sardegna <strong>il</strong> cavaliere gerosolimitano<br />

Antonio Grisella, fu sottoscritta la capitolazione;<br />

la resa fu fatta con tutti gli onori m<strong>il</strong>itari. Il Zunica<br />

con la sua guarnigione spagnola se ne andò, lasciando<br />

<strong>il</strong> castello al cavaliere Grisella che lo occupò con pochi<br />

soldati sardi.<br />

Con la susseguente pace di Vienna del 1738, <strong>il</strong> regno<br />

46<br />

di Sardegna si estese a Tortona e Novara. Con <strong>il</strong> ritorno<br />

del M<strong>il</strong>anese all’imperatore Carlo VI, <strong>il</strong> castello di<br />

Domo fu rioccupato da m<strong>il</strong>izie austriache e per qualche<br />

anno si ebbe un po’ di pace.<br />

Morto nel 1740 l’imperatore Carlo VI si riaccese nuovamente<br />

la guerra per la successione al trono austriaco. In<br />

virtù della così detta Prammatica Sanzione su quel trono<br />

era salita l’arciduchessa Maria Teresa che era osteggiata<br />

da Francia, Spagna, Prussia, Sassonia, Baviera ed<br />

anche dal re di Sardegna. Questi però si staccò dagli alleati<br />

quando si accorse che non erano disposti a cedergli<br />

la Lombardia a cui aspirava. Alleatosi con l’Austria con<br />

<strong>il</strong> trattato di Worms (13 settembre 1743), Carlo Emanuele<br />

III, rinunciò al M<strong>il</strong>anese, ma in compenso dei<br />

suoi aiuti all’Austria ottenne <strong>il</strong> Vigevanese, l’Alto Novarese,<br />

l’Oltre Po pavese e la città e territorio di Piacenza<br />

fino al Nure. La notifica alle comunità cedute fu data<br />

con <strong>il</strong> manifesto del 25 gennaio 1744 dal principe di<br />

Koblovitz ed <strong>il</strong> giorno seguente <strong>il</strong> re di Sardegna ne prese<br />

formalmente possesso. Negli anni 1742-1743 <strong>il</strong> castello<br />

di Domo era per lo più presidiato dalle m<strong>il</strong>izie locali<br />

a cui era affidata anche la difesa del Borgo.<br />

Unitamente alle vicende di cui abbiamo parlato l’Ossola<br />

in questo secolo soffrì di nuove e gravi difficoltà.<br />

La prima fu quella ricorrente di un’alta mortalità specialmente<br />

infant<strong>il</strong>e dovuta ad epidemie che infierirono<br />

in alcuni anni: la difterite, l’influenza, ed <strong>il</strong> vaiolo.<br />

Scorrendo i libri dei morti si rinvengono lunghi elenchi<br />

di bambini rapidamente mietuti dal morbo. Per parecchie<br />

settimane, ogni giorno numerose culle di bambini<br />

attendevano nelle chiese la sepoltura. Le attestazioni<br />

che ci sono rimaste sono toccanti. Di tutti <strong>il</strong> più terrib<strong>il</strong>e<br />

era <strong>il</strong> vaiolo che serpeggiava in continuità ricomparendo<br />

improvviso e letale nelle valli ossolane.<br />

Il notaio Cosimo Grossetti di Montescheno annota:<br />

Din di l’anno 1746 fu una gran mortalità di bestie nel<br />

Piemonte, Novarese e M<strong>il</strong>anese, Pavese e Umelina. Basta<br />

solo dire che nelle terre dove erano m<strong>il</strong>le bestie bovine ne<br />

restano solo circa quattro o cinque ed un par di bovi avanzati<br />

dal detto male si prezavano cento doppie, cento zecchini<br />

e cose sim<strong>il</strong>i. Nel qual anno 1746 fu ancora una tal<br />

strepitosa per non dir rabbiosa guerra nello Stato di M<strong>il</strong>ano<br />

che <strong>il</strong> Novarese, Vercellese e parte del Piemonte patì<br />

un gran danno, chiamato quasi la sua somma rovina, non


Strada del Sempione, ponte di Crevola. Da una stampa di Lorry.<br />

potendosi veder altro di peggio, salvo la peste. Per la qual<br />

guerra patì qualche spavento e danno ancor l’Ossola facendosi<br />

delle scorrerie in detta Ossola almeno fino a Vogogna<br />

nel mese di marzo or delli Todeschi or del nostro re parti<br />

avversarie. Pretendevano sottomissione or l’una or l’altra,<br />

mettendo in grande affano li habitanti perché se aderivano<br />

o mostravano accoglienza ad una parte come erano sforzi a<br />

dimostrare anche senza genio, gl’era minacciato <strong>il</strong> saccheggio<br />

dall’altra. Basta dire che uno di Vogogna per aver dato<br />

alloggio ad un oficiale spagnolo fu bastonato severamente<br />

ed andò a rischio d’esser impiccato; altri per aver detto<br />

Viva a una parte furon bastonati e multati dall’altra; sì<br />

che si può immaginare in qual intrico si trovava la povera<br />

gente. Di più <strong>il</strong> detto anno 1746 per essersi i Spagnoli impadroniti<br />

di Pavia e di tutto <strong>il</strong> M<strong>il</strong>anese ed Umelina, impedirono<br />

<strong>il</strong> corso del sale che veniva nel Ossola ed in tutto<br />

<strong>il</strong> Novarese e Vercellese, sì che tali paesi dovettero patir penuria<br />

di sale, per <strong>il</strong> che molti s’ammalavano, massime nella<br />

Valsesia e Valanzasca, ma nella val Antrona stettero ben<br />

alcuni poveri qualche tempo senza, ma essendosi messi alcuni<br />

mercati di Vigezzo ed anche di Pallanzeno, ne facevano<br />

venire dalla parte della Svizzera.<br />

La epizoozia del bestiame bovino era stata importata in<br />

<strong>It</strong>alia da buoi ungheresi venuti in Lombardia per <strong>il</strong> rifornimento<br />

delle armate austriache nel 1711 e si sparse<br />

in tutta l’Europa. Infestò la Francia, la Germania negli<br />

anni 1742-43, poi l’<strong>It</strong>alia fino al 1747 giungendo anche<br />

nell’Ossola, dove causò danni gravissimi al patrimonio<br />

zootecnico, riapparendo nel 1795. Si calcola che in Europa<br />

dal 1711 al 1776 siano andati perduti per questa<br />

pest<strong>il</strong>enza più di sei m<strong>il</strong>ioni di bovini. In Ossola molte<br />

famiglie che perdettero quasi tutto <strong>il</strong> bestiame e non<br />

poterono rinnovarlo, perché troppo povere, dovettero<br />

emigrare. Alla metà del 1700 un buon terzo dei contadini<br />

allevatori di bestiame cambiò mestiere.<br />

E poi le intemperie. Ricordiamo <strong>il</strong> 1740: anno freddissimo,<br />

in cui non poterono maturare non solo le uve,<br />

ma neppure le castagne; <strong>il</strong> 1743, particolarmente sicci-<br />

47


toso, in cui si poté raccogliere solo poca segale e scarso<br />

vino; <strong>il</strong> 1744 in cui alla Madonna del Rosario (7 ottobre)<br />

venne una tal innondatione d’acqua che tra Vogogna<br />

e la Pieve (di Vergonte) non si vedeva più terra ma bensì<br />

v’era un lago. La Toce a Vogogna andò nelle cantine e lasciò<br />

raso fino su le topie. Alla Pieve un riale essendo saltato fuori<br />

dal suo canale portò via alcune case con la gente senza<br />

lasciar segno ove eran piante, con danno di molte migliaia<br />

di lire alle campagne. Lo Strona portò via <strong>il</strong> così bel ponte<br />

di Gravalona ove andò l’acqua nelle case, portò fuor molta<br />

robba, perfino credenze con dentro pane, formaggio ed altri<br />

cibi, bestie ancor attaccate alla presepe. E poi la grande<br />

e generale alluvione del 14 e 15 ottobre 1755 che devastò<br />

tutta l’Ossola.<br />

Il re Carlo Emanuele III, nel tentativo di promuovere<br />

una migliore e moderna amministrazione dello Stato<br />

promulgò nuove costituzioni e leggi, entrate in vigore <strong>il</strong><br />

16 maggio 1770. All’Ossola ne fu data comunicazione<br />

<strong>il</strong> 30 apr<strong>il</strong>e 1770, dichiarando l’ut<strong>il</strong>ità di leggi uniformi<br />

per tutto lo Stato. Gli Ossolani però insistettero presso<br />

<strong>il</strong> Governo per ottenere delle deroghe su alcuni punti.<br />

Queste vennero concesse dal Senato di Torino con decreto<br />

del 27 luglio 1771, estendendole sia all’Ossola Inferiore<br />

che Superiore ed alla val Formazza.<br />

Con le nuove costituzioni scomparve tutto <strong>il</strong> vecchio<br />

ordinamento civ<strong>il</strong>e e criminale.<br />

L’amministrazione della comunità era affidata al consiglio,<br />

<strong>il</strong> quale poteva riunirsi solo con la partecipazione<br />

del pretore, di un suo delegato o di persona di fiducia,<br />

detta «castellano».<br />

Il pretore di Domo con le R. Patenti dell’11 luglio 1771<br />

ebbe autorità di «intendente». L’intendente, capo della<br />

giurisdizione o pretore, poteva annullare ogni delibera<br />

del consiglio, contraria agli interessi del Comune o non<br />

conforme alle leggi. Consiglieri potevano essere eletti<br />

tutti i capifamiglia, sebbene fossero in numero limitato;<br />

ma era ufficio che non si poteva rifiutare.<br />

Il consiglio a sua volta eleggeva <strong>il</strong> sindaco nella persona<br />

del consigliere più anziano, <strong>il</strong> quale durava in carica sei<br />

mesi od un anno secondo che <strong>il</strong> numero dei consiglieri<br />

era di almeno quattro o almeno due. Le spese comunali<br />

erano espressamente controllate e in taluni casi vietate<br />

dalla superiore autorità. Ogni consiglio doveva avere<br />

anche un segretario approvato dall’intendente.<br />

48<br />

Questa prima riforma dell’amministrazione comunale<br />

fece cadere antiche consuetudini, però indusse nei comuni<br />

ossolani istituzioni più moderne ed omogenee.<br />

Non si segnalano importanti avvenimenti nella seconda<br />

metà del secolo XVIII in Ossola fino a quando non<br />

giunsero anche in questa regione le scint<strong>il</strong>le del fuoco<br />

innovatore e distruttore della rivoluzione francese che<br />

nel 1793 rovesciò la monarchia per istituire la repubblica,<br />

scatenando una reazione a catena di rivoluzioni e<br />

guerre in tutta l’Europa.<br />

Il re Vittorio Amedeo III, unitosi ad altre potenze europee,<br />

partecipò alla prima coalizione contro la Repubblica<br />

francese. Lo Stato Sardo si armava in previsione di<br />

un periodo di guerra che non si sarebbe potuto evitare.<br />

L’editto dell’arruolamento del 1793 colpì naturalmente<br />

anche l’Ossola. Questo obbligava ciascuno dei tre dipartimenti<br />

dell’Ossola, Domodossola, Vogogna e val<br />

Vigezzo, a fornire ed armare un contingente di soldati.<br />

Il 20 gennaio 1793 sì riunì a Domo <strong>il</strong> Consiglio provinciale,<br />

<strong>il</strong> quale, prendendo atto della situazione, con un<br />

certo slancio patriottico deliberò di difendere colla maggior<br />

forza questa provincia da ogni invasione che derivar<br />

potesse da parte dei Francesi senza ricever verun stipendio<br />

dalle Regie Finanze, ma a spese di questa Provincia, e ciò<br />

in conferma della dichiarazione già fatta nell’antecedente<br />

Consiglio del 31 ora scorso dicembre (1792), accettando<br />

la graziosa offerta fatta da S.M. delle armi, munizioni<br />

ed attrezzi m<strong>il</strong>itari.<br />

Il Consiglio decise di fornire quattro compagnie, corrispondendo<br />

a ciascun soldato la paga di 30 once di pane.<br />

Capo ed ispettore delle m<strong>il</strong>izie ossolane fu eletto l’avvocato<br />

Giuseppe Maria Facini. Il ministro della guerra<br />

Di Gravanzana con lettera del 30 gennaio 1793 approvò<br />

queste delibere.<br />

Ci fu in quel momento un notevole senso civ<strong>il</strong>e e patriottico,<br />

dovuto in parte alle notizie allarmanti provenienti<br />

dalla Francia circa i disordini che accompagnavano<br />

la rivoluzione in atto.<br />

Si ebbero iniziative particolari a Montecrestese ed in<br />

valle Antigorio per formare corpi speciali per la difesa<br />

dei confini dell’Ossola. Purtroppo <strong>il</strong> Facini, divenuto<br />

per la sua prepotenza e scarsa sensib<strong>il</strong>ità, odioso al popolo,<br />

fu osteggiato da gran parte delle m<strong>il</strong>izie ossolane,<br />

i cui rappresentanti, riunitisi al ponte di Crevola <strong>il</strong> 15


giugno 1795, st<strong>il</strong>arono un vibrato ricorso al Re per esonerarlo<br />

dalla carica di comandante m<strong>il</strong>itare e reggente.<br />

A questa riunione mancarono i rappresentanti di alcune<br />

comunità, fra cui quelli di Domo, di V<strong>il</strong>la e della<br />

valle Antrona. Rispose <strong>il</strong> Re da Moncalieri <strong>il</strong> 4 agosto<br />

1795, delegando <strong>il</strong> prefetto di Pallanza Bellini, secondo<br />

la richiesta, a presiedere i consigli provinciali. Di ciò<br />

informato, <strong>il</strong> Facini, l’8 agosto annunciava la riunione<br />

del consiglio provinciale per <strong>il</strong> giorno 16 seguente e la<br />

sua rinuncia alla carica di reggente e di comandante delle<br />

m<strong>il</strong>izie. Ma i rappresentanti protestatari la disertarono<br />

ed <strong>il</strong> 30 agosto, sotto la presidenza del prefetto Bellini,<br />

si riunirono autonomamente e, dopo aver riprovato<br />

<strong>il</strong> comportamento del Facini e sottopostolo al giudizio<br />

di una commissione amministrativa, elessero un nuovo<br />

reggente e capitano.<br />

Con tutto questo non si deve credere che in Ossola i<br />

principi della rivoluzione francese e le idealità che l’avevano<br />

provocata fossero sconosciuti. La circolazione degli<br />

uomini e delle idee era sempre stata ampia e favorita<br />

dalle emigrazioni stagionali o semipermanenti di una<br />

elevata percentuale degli uomini più attivi ed intraprendenti.<br />

Fra strati di patente conservatorismo f<strong>il</strong>travano<br />

e si muovevano, prima nascostamente, ma poi sempre<br />

più palesemente idee riformistiche, impulsi decisamente<br />

rivoluzionari e idee politiche repubblicane. I successi<br />

dei Francesi, legati alle fortune dell’astro napoleonico,<br />

erano paventati dai conservatori e aspettati ed esaltati<br />

dai repubblicani. La Repubblica Cisalpina, voluta<br />

da Napoleone, favoriva la penetrazione delle idee rivoluzionarie<br />

e fomentava impulsi eversivi anche nell’Ossola.<br />

Un tentativo rivoluzionario fu organizzato a Pallanza<br />

da Giuseppe Antonio Azari. Scoperto <strong>il</strong> complotto,<br />

l’Azari fu condannato a morte per impiccagione <strong>il</strong><br />

29 novembre 1796; <strong>il</strong> suo corpo fu bruciato e le ceneri<br />

sparse al vento. Altre congiure e associazioni rivoluzionarie<br />

pullulavano in quel periodo negli stati del re di<br />

Sardegna, fomentate dalla Francia che tentava di provocare<br />

<strong>il</strong> rovesciamento del trono, tenuto allora da Carlo<br />

Emanuele IV succeduto nel 1796 a Vittorio Amedeo<br />

III, e l’adesione alla Repubblica Cisalpina o addirittura<br />

alla Francia.<br />

Alcuni fuoriusciti piemontesi e patrioti cisalpini ed altri<br />

elementi rivoluzionari internazionali, allo scopo di<br />

accelerare i tempi, con la protezione e l’appoggio della<br />

Repubblica Cisalpina che fornì armi e direttive, si riunirono<br />

in numero di 800 uomini a Varese e fra <strong>il</strong> 13 e <strong>il</strong><br />

14 apr<strong>il</strong>e 1798, da Laveno attraverso <strong>il</strong> lago Maggiore,<br />

giunsero a Intra-Pallanza. Fu prima loro preoccupazione<br />

di imporre la rivoluzione, piantando l’albero della libertà,<br />

stab<strong>il</strong>endo una nuova amministrazione e taglieggiando<br />

i ricchi e nob<strong>il</strong>i locali. Comandava questi così<br />

detti patrioti <strong>il</strong> francese Giovanni Battista Leotaud e i<br />

suoi luogotenenti erano <strong>il</strong> francese Lions ed <strong>il</strong> savoiardo<br />

Seras. Da Pallanza vennero ad Ornavasso, dove posero<br />

<strong>il</strong> campo, cercando di suscitare e ottenere l’adesione<br />

delle popolazioni ossolane. Queste però non si mostrarono<br />

entusiaste, anche perché le contribuzioni m<strong>il</strong>itari<br />

immediatamente imposte risultavano estremamente<br />

sgradite. Un nucleo di partigiani per i Francesi esisteva<br />

in verità a Vogogna dove <strong>il</strong> popolo, sollecitato dall’avvocato<br />

F<strong>il</strong>ippo Grolli, da Giuseppe Antonio Cadorna,<br />

Giulio Albertazzi e Angelo Zaretti, accettò la novità<br />

e ballò la carmagnola attorno all’albero della libertà.<br />

Poi un gruppo di armati, guidati dal capitano Angelo<br />

Zaretti, riuscì a penetrare nel borgo di Domo <strong>il</strong> 20<br />

apr<strong>il</strong>e seguente ed a farsi consegnare <strong>il</strong> castello. Anche<br />

a Domo si cercò di sollecitare adesioni che furono tuttavia<br />

piuttosto scarse. Intanto l’Albertazzi si recava con<br />

alcuni armati ad incontrare <strong>il</strong> comandante Fontana che<br />

con una schiera di sessanta dragoni risaliva la valle Cannobina<br />

per raggiungere la valle Vigezzo. Riunitisi a Santa<br />

Maria Maggiore anche lì si imposero le solite cerimonie<br />

che istituivano la repubblica e la municipalità. Ma<br />

<strong>il</strong> popolo, sebben chiamato dagli insoliti tocchi di campana,<br />

non si mostrò entusiasta. Del resto giunsero subito<br />

notizie allarmanti che consigliavano molta prudenza.<br />

Quattrom<strong>il</strong>a soldati dei reggimenti di Savoia, della Marina,<br />

di Pever Im-Off, di Zimmerman e di Bachman<br />

stavano concentrandosi a Gravellona, inviati dal Re, per<br />

puntare verso Ornavasso dove <strong>il</strong> Leotaud cercò di organizzare<br />

la difesa.<br />

Nell’imminenza della battaglia ben pochi degli Ossolani<br />

che avevano fatto l’atto di adesione accorsero ad Ornavasso.<br />

Il 21 apr<strong>il</strong>e 1798 le prime m<strong>il</strong>izie regie avevano<br />

già raggiunto Gravellona ed <strong>il</strong> giorno seguente erano<br />

pronte alla battaglia.<br />

Lo scontro avvenne a sud di Ornavasso ed ebbe inizio<br />

49


verso le dieci di mattina. Fu una battaglia in piena regola<br />

che ebbe alterne vicende, dove alla fine la netta superiorità<br />

numerica e tattica dei regi ebbe la meglio sui<br />

repubblicani. Appena infatti un corpo di sei compagnie<br />

di granatieri di Savoia e della Marina riuscirono a passare<br />

<strong>il</strong> Toce e prendere alle spalle l’esercizio del Leotaud,<br />

la sorte della battaglia fu definita.<br />

Nonostante <strong>il</strong> valore dei repubblicani, 150 morirono<br />

con le armi in pugno, 400 furono fatti prigionieri<br />

ed <strong>il</strong> resto, completamente sbandato, cercò la salvezza<br />

sui monti di Premosello e Vogogna, tentando di guadagnare<br />

luoghi più sicuri. Alcuni morirono di freddo e<br />

di stenti nel tentativo di raggiungere la valle Vigezzo, e<br />

quelli che vi riuscirono furono fatti prigionieri dalle m<strong>il</strong>izie<br />

locali e tradotti nelle carceri di Domodossola. Anche<br />

i capi furono presi. A Domodossola un consiglio<br />

di guerra pronunciò sentenza capitale contro i rivoltosi.<br />

I giorni 28, 29 e 30 apr<strong>il</strong>e ne furono fuc<strong>il</strong>ati 64. Altri<br />

furono poi tradotti a Casale per subire la stessa sorte.<br />

Dei capi lo Zaretti era stato già proditoriamente colpito<br />

a morte in val Vigezzo <strong>il</strong> 24 apr<strong>il</strong>e a S. Maria Maggiore<br />

quando presumeva di essere ormai salvo. Giulio<br />

Albertazzi fu fuc<strong>il</strong>ato a Pallanza <strong>il</strong> 19 maggio. L’avvocato<br />

Grolli, riportato da Casale a Vogogna, fu giustiziato<br />

sulla piazza del Pretorio <strong>il</strong> 30 maggio. Unico si salvò<br />

dei comandanti ossolani <strong>il</strong> vogognese Giuseppe Antonio<br />

Cadorna che, per merito della coraggiosa moglie,<br />

ottenne la grazia dal Re. Il Leotaud, fatto prigioniero<br />

con <strong>il</strong> Lions fu fuc<strong>il</strong>ato a Casale. Le stragi degli infelici<br />

prigionieri sarebbero continuate se le proteste della<br />

Francia non avessero costretto <strong>il</strong> Re a sospendere le esecuzioni<br />

ed a concedere una amnistia per tutti <strong>il</strong> 20 giugno<br />

di quell’anno 1798.<br />

Il re Carlo Emmanuele IV che con le R. Patenti del 7<br />

marzo e l’Editto del luglio 1797 aveva abolito <strong>il</strong> sistema<br />

feudale con tutte le sue implicazioni, dovette riconfermare<br />

tali leggi con la Patente del 2 marzo 1799 (2<br />

ventoso, anno VII della Repubblica Francese secondo <strong>il</strong><br />

nuovo calendario).<br />

L’8 dicembre seguente Carlo Emmanuele IV fu costretto<br />

a dimettersi e venne proclamato <strong>il</strong> Governo repubblicano.<br />

Fu istituito <strong>il</strong> Dipartimento del Novarese ed istituita<br />

la municipalità nelle città e grossi borghi. In Ossola<br />

fu inviato <strong>il</strong> commissario Giacomo Zuffinetti per<br />

50<br />

la necessaria organizzazione. La municipalità di Domodossola<br />

comprese tutta l’antica giurisdizione e quindi<br />

anche V<strong>il</strong>la e la valle Antrona. La municipalità era diretta<br />

da un presidente, un commissario nazionale e quattro<br />

amministratori i quali rispondevano direttamente<br />

all’Amministrazione centrale di Vercelli.<br />

All’inizio del 1799 fu organizzato un plebiscito allo scopo<br />

di ottenere la bramata unione con la Francia, in verità<br />

bramata solo da pochi fanatici, ma decisa dal Governo<br />

provvisorio. Con ab<strong>il</strong>e propaganda si ottenne l’effetto<br />

desiderato. Anche nell’Ossola molte furono le adesioni.<br />

Ricordiamo a questo proposito che anche a V<strong>il</strong>la<br />

e in valle Antrona non mancarono i fautori della unione<br />

con la Francia. Questo ci sembra almeno dedurre dal<br />

fatto che un certo Cassoletti di V<strong>il</strong>la è l’autore di un Discorso<br />

tipografico in occasione della generale adesione ossolana<br />

all’unione francese, stampato a Torino nel 1799.<br />

Ma l’orizzonte politico era tutt’altro che chiaro. Continuava<br />

con alterne vicende la lotta contro la Francia da<br />

parte delle potenze coalizzate. In una seconda coalizione<br />

si unì anche la Russia ed un esercito austro-russo comandato<br />

dal generale Suwarow venne in <strong>It</strong>alia. M<strong>il</strong>ano<br />

fu presa dagli austro-russi <strong>il</strong> 28 apr<strong>il</strong>e, Novara <strong>il</strong> 3<br />

maggio e Torino <strong>il</strong> 27 maggio 1799. In Ossola si sfaldò<br />

la municipalità stab<strong>il</strong>ita dai repubblicani, si ritornò al<br />

vecchio ordinamento, e si ripeterono le adesioni questa<br />

volta al generale Suwarow, grati di essere stati «liberati».<br />

E naturalmente si rinnovarono le imposizioni di forniture<br />

di bestiame e servizi, le requisizioni e le angherie.<br />

In Ossola, per guardare i passi alpini fu mandato un<br />

corpo di austriaci comandati dal principe Vittorio de<br />

Rohan, con <strong>il</strong> compito di impedire inf<strong>il</strong>trazioni attraverso<br />

<strong>il</strong> Sempione. Le truppe dei generali Laudon<br />

e Wuckassovich stazionavano invece presso Arona; di<br />

queste un distaccamento russo al comando del colonnello<br />

Rosales e seim<strong>il</strong>a austriaci del generale Nob<strong>il</strong>e vennero<br />

a stare in Ossola. Si comprende che con tutta questa<br />

massa di soldati da sfamare gli Ossolani si sentissero<br />

letteralmente in guerra per la sopravvivenza.<br />

Intanto per aprirsi la via a scendere in <strong>It</strong>alia dalla Svizzera,<br />

<strong>il</strong> generale Massena al comando di una armata francese,<br />

inviava verso <strong>il</strong> Vallese ed <strong>il</strong> Sempione <strong>il</strong> generale<br />

Giacobini con 4.500 uomini. Questi non trovarono<br />

molta difficoltà a sloggiare le truppe del Rohan, <strong>il</strong> qua-


le ai primi di settembre, pensando di non poter opporre<br />

sufficiente argine all’avanzata nemica, si ritirò a Vogogna<br />

e poi a Ornavasso, dove organizzò la resistenza. I<br />

Francesi attorno al 20 settembre raggiunsero Piedimulera,<br />

ma avendo ricevuto l’ordine di retrocedere, si limitarono,<br />

pare, a scopo tattico e intimidatorio ad agganciare<br />

gli Austriaci impegnandoli in una scaramuccia a<br />

Migiandone e Gravellona (29 settembre 1799) per ritirarsi<br />

poi al dì là del Sempione. Con <strong>il</strong> ritorno delle truppe<br />

austriache del Rohan che passarono in Ossola tutto<br />

l’inverno si accrebbero i tormenti delle requisizioni di<br />

bestiame, foraggio, viveri, legname e soprattutto di lavoro<br />

coatto per la costruzione di una linea di trincee difensive<br />

fra la punta di Migiandone e Bettola, e relativo<br />

campo trincerato.<br />

Negli ultimi due anni gli Ossolani avevano più volte<br />

piantato, strappato e ripiantato <strong>il</strong> famoso albero della<br />

libertà e giurata obbedienza ripetutamente a questo e<br />

a quello, ai Sardi, agli Austriaci, ai Francesi, ai Cisalpini<br />

ecc., cercando di salvarsi dalle prepotenze di questo<br />

o quel «liberatore», ma la conclusione più ovvia fu<br />

la miseria non solo della povera gente, ma di tutti. Ridotte<br />

a zero le finanze locali, <strong>il</strong> patrimonio zootecnico,<br />

ricostruito con infiniti sforzi, non esisteva più; si fu costretti<br />

a vendere le suppellett<strong>il</strong>i d’oro o d’argento delle<br />

chiese per pagare i contributi imposti dagli occupanti di<br />

turno. Questo stato di cose fu una chiara beffa per tutti,<br />

sia conservatori che rivoluzionari; e furono ben pochi i<br />

fanatici che non se ne accorsero.<br />

Cronache del secolo XIX<br />

Nella primavera del 1800 Napoleone prende l’iniziativa<br />

di tornare alla riconquista dell’<strong>It</strong>alia scendendo attraverso<br />

le Alpi in Piemonte ed in Lombardia. Il 9 maggio<br />

è a Ginevra e punta verso <strong>il</strong> passo del Gran San Bernardo<br />

ancora innevato. Gli eserciti austriaci, comandati<br />

dal generale Melas, tentano invano di impedire l’impresa.<br />

Napoleone riesce, superando difficoltà inimmaginab<strong>il</strong>i,<br />

a raggiungere <strong>il</strong> passo fra <strong>il</strong> 15 ed <strong>il</strong> 21 maggio<br />

e poco dopo si presenta nella pianura piemontese.<br />

Intanto un distaccamento francese, forte di 1000<br />

uomini comandati dal generale Béthencourt, tenta <strong>il</strong><br />

non meno diffic<strong>il</strong>e passo del Sempione ed <strong>il</strong> 26 maggio,<br />

sotto l’incombente pericolo di valanghe, le trup-<br />

pe francesi vengono a contatto a Gondo con quelle austriache<br />

del generale Laudon. Queste però, dopo aver<br />

tagliato o fatto saltare i ponti della diffic<strong>il</strong>e strada fra<br />

Gondo ed Iselle, si ritirano dalla val Divedro lasciando<br />

praticamente libera l’avanzata dei Francesi.<br />

Il principe di Rohan, appena si rende conto di correre<br />

<strong>il</strong> pericolo di essere intrappolato nell’Ossola Superiore,<br />

ordina l’abbandono di Domo e concentra le sue truppe<br />

oltre i trinceramenti di Migiandone e Bettola; anzi,<br />

poco dopo, non sentendosi sicuro neppure in quella<br />

posizione, si ritira completamente dall’Ossola. Infatti<br />

giunge notizia che un grosso contingente di soldati,<br />

quasi tutti italiani, al comando del generale Lecchi, è<br />

prontamente passato dalla val d’Aosta ad Alagna in Valsesia<br />

e sta per giungere sul lago d’Orta da Varallo. Così<br />

<strong>il</strong> 31 maggio l’Ossola è interamente sgombra dagli Austriaci<br />

e m<strong>il</strong>itarmente occupata dai Francesi. Si ricostituisce<br />

la municipalità, si fanno epurazioni e controepurazioni,<br />

si bruciano i documenti compromettenti.<br />

Il 14 giugno Napoleone vince la grande e decisiva battaglia<br />

di Marengo. Il 20 luglio si ricostituisce la Guarda<br />

nazionale. Il 15 ottobre viene ricostituita la Repubblica<br />

Cisalpina che nel 1802 prende <strong>il</strong> nome di Repubblica<br />

d’<strong>It</strong>alia.<br />

Un decreto del 13 ottobre 1800, ma datato dal 7 settembre<br />

precedente, annette alla Repubblica Cisalpina<br />

tutta la regione fra la Sesia ed <strong>il</strong> Ticino, comprendente<br />

anche <strong>il</strong> Novarese e l’Ossola.<br />

Il decreto sopra citato conteneva anche un grosso particolare<br />

che interessava l’Ossola direttamente. Si stab<strong>il</strong>iva<br />

infatti l’immediata apertura di una nuova strada m<strong>il</strong>itare<br />

fra <strong>il</strong> lago Maggiore ed <strong>il</strong> Vallese attraverso l’Ossola ed<br />

<strong>il</strong> Sempione. Era un progetto già espresso da Napoleone<br />

nel 1798 e nelle intenzioni del generale aveva soprattutto<br />

funzione m<strong>il</strong>itare. Doveva infatti essere una strada<br />

capace di sopportare <strong>il</strong> traino pesante delle artiglierie e<br />

dei carriaggi m<strong>il</strong>itari permettendo agli eserciti francesi e<br />

dei loro alleati un rapido spostamento attraverso le tanto<br />

temute Alpi. Le spese, che sarebbero state sostenute<br />

dalla Repubblica Cisalpina e da quella Francese, erano<br />

preventivate in 50.000 franchi al mese fino a lavoro<br />

finito. Il decreto stab<strong>il</strong>iva anche <strong>il</strong> dislocamento in Ossola<br />

di un battaglione di 500 uomini agli ordini del generale<br />

Turreau, incaricato della esecuzione del proget-<br />

51


to. A M<strong>il</strong>ano questo progetto tanto dispendioso non<br />

fu certo visto di buon occhio, ma una volta tanto, sebbene<br />

concepito in funzione puramente m<strong>il</strong>itare, sarebbe<br />

stato proficuo sia per la Lombardia che per l’Ossola.<br />

Il progetto fu messo immediatamente in esecuzione e<br />

portato avanti con incredib<strong>il</strong>e vigoria. Fu naturalmente<br />

requisito molto lavoro sul luogo e gli Ossolani ebbero<br />

da sopportare notevoli angherie non solo per <strong>il</strong> lavoro,<br />

ma anche per le provvigioni di bestiame, foraggi e alloggi<br />

agli operai ed alle truppe. La parte italiana fu completata<br />

nel 1805 ed una iscrizione scolpita sulla viva roccia<br />

della galleria di Gondo presso <strong>il</strong> confine, ricorda quest’opera<br />

voluta dal genio di Napoleone, ma fatta a spese<br />

degli <strong>It</strong>aliani: AERE ITALO. 1805. NAP. IMP.<br />

A titolo informativo giova qui dare alcune notizie su<br />

quest’opera che ai suoi tempi fece enorme impressione.<br />

Vi furono impiegati per la costruzione fino a 3.000<br />

operai al giorno; le rocce furono attaccate con le mine,<br />

consumando oltre 160.000 quintali di polvere da sparo.<br />

La costruzione costò un enorme capitale e molte vite<br />

umane.<br />

La coscrizione m<strong>il</strong>itare obbligatoria, introdotta nel<br />

1802, fu molto mal sopportata dalle popolazioni ossolane<br />

che si sentivano scarsamente invogliate ad accettare<br />

che i giovani diventassero carne da cannone nell’armata<br />

italiana al servizio dell’ambizione di Napoleone.<br />

La Repubblica non ebbe lunga durata. Infatti nel 1805,<br />

Napoleone, divenuto imperatore di Francia, cinse anche<br />

la corona del regno d’<strong>It</strong>alia (23 maggio) dove pose a<br />

governare <strong>il</strong> viceré Eugenio Beauharnais.<br />

L’Ossola durante questo periodo amministrativamente<br />

dipende dal Dipartimento dell’Agogna, <strong>il</strong> quale fu diviso<br />

inizialmente (decreto del 2 novembre 1800) in 17<br />

distretti, fra cui quelli di Domodossola e di Vogogna, e<br />

successivamente (decreto del 13 maggio 1801) in cinque<br />

distretti fra cui quello di Domodossola che si estendeva<br />

a tutta l’Ossola, suddiviso poi (decreto dell’8 giugno<br />

1805) in due cantoni (Domo e Vogogna). Domo<br />

fu quindi sede di sottoprefettura. Nel 1806 fu pubblicato<br />

<strong>il</strong> Codice Napoleonico ed esteso anche al Regno<br />

d’<strong>It</strong>alia con decreto del 22 marzo 1806.<br />

Con decreto del 26 maggio 1807 furono abolite le società<br />

religiose i cui beni furono confiscati dallo Stato;<br />

seguì <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e 1810 un altro decreto che abolì tutte<br />

52<br />

quelle poche che erano riuscite in qualche modo a sopravvivere<br />

al decreto precedente. Questa ondata di giacobinismo<br />

ebbe in Ossola i suoi fanatici e provocò notevoli<br />

fermenti nel popolo che era molto attaccato alla<br />

religione ed alle sue istituzioni. Fu in questo periodo<br />

che in Ossola, come del resto in molte parti d’<strong>It</strong>alia, <strong>il</strong><br />

fanatismo anti-religioso produsse enormi danni culturali<br />

al patrimonio artistico. A titolo di esempio ricordiamo<br />

per l’Ossola la distruzione della chiesa duecentesca<br />

dei Francescani di Domo, con relativo campan<strong>il</strong>e,<br />

la trasformazione del convento dei Cappuccini del<br />

Sacro Monte Calvario in caserma, la sconsacrazione di<br />

chiese e cappelle a Vogogna e la dispersione di arredi sacri,<br />

libri, archivi ed opere d’arte che hanno impoverito<br />

l’Ossola.<br />

Queste ed altre angherie crearono nel popolo ossolano<br />

profonde basi di antipatia per le m<strong>il</strong>izie francesi onnipresenti,<br />

in cui troppi erano costretti a marciare per andare<br />

a morire nella disastrosa campagna di Russia. Furono<br />

molti in questo tempo coloro che disertarono o si<br />

diedero alla macchia, aspettando tempi migliori. Dopo<br />

la ritirata di Russia ed <strong>il</strong> decisivo tramonto della stella<br />

napoleonica (1813) con la battaglia di Lipsia (16-18<br />

ottobre) anche <strong>il</strong> territorio ossolano visse nella incertezza<br />

e si può dire nell’ascolto degli avvenimenti, le cui notizie<br />

erano riportate in patria dai rari sopravvissuti. Proprio<br />

nei primi giorni del 1814 numerose compagnie di<br />

soldati italiani e francesi stanno rientrando attraverso<br />

<strong>il</strong> Sempione in <strong>It</strong>alia, stanchi ed abbattuti, sospinti da<br />

contingenti austriaci e russi che occupano <strong>il</strong> Vallese.<br />

A Domodossola in quell’epoca comandava la piazza <strong>il</strong><br />

generale Bertoletti e questi fece qualche tentativo di difendere<br />

<strong>il</strong> passo del Sempione, ma le truppe non erano<br />

sufficienti. Ci fu qualche scontro di assaggio a Iselle ed<br />

a Gondo, ma non una vera battaglia. Il 1° marzo tuttavia<br />

una colonna al comando del colonnello Ponti riuscì<br />

ad occupare <strong>il</strong> valico del Sempione ed <strong>il</strong> giorno dopo<br />

tentò di scendere fino a Briga. Il Ponti però, credendo<br />

forse di avere dalla sua parte le popolazioni vallesane,<br />

imprudentemente si lasciò circondare dagli Austriaci<br />

forti di 200 cacciatori tirolesi affiancati da almeno<br />

100 Vallesani, e fu fatto prigioniero con la sua truppa.<br />

Gli Austriaci si portarono immediatamente attraverso<br />

la val Divedro a Crevola verso Domo. Il presidio di vo-


lontari abbandonò <strong>il</strong> castello di Domo ritirandosi nella<br />

Bassa Ossola. Il 9 marzo 1814 un piccolo esercito<br />

di 600 uomini, per metà tedeschi e bavaresi e per l’altra<br />

metà disertori italiani e vallesani, come si ha da una<br />

relazione al Ministro della guerra italiano, occupò senza<br />

colpo ferire Domodossola e l’Ossola Superiore fino a<br />

V<strong>il</strong>la e Vogogna. Il 12 marzo a nome del colonnello barone<br />

Seimcheim <strong>il</strong> capo dei cacciatori vallesani lanciò<br />

un proclama roboante alle popolazioni ossolane, che, se<br />

sotto alcuni aspetti pare ridicolo, sotto altri ci <strong>il</strong>lumina<br />

sulla vera situazione, toccando soprattutto gli equivoci<br />

di certe libertà proclamate e la realtà patente delle molte<br />

angherie a cui gli Ossolani erano stati sottoposti, prima<br />

fra tutte la coscrizione obbligatoria.<br />

Il generale Mazzucchelli a cui era stato affidato l’incarico<br />

della difesa dell’Ossola, manteneva la linea di difesa<br />

a Gravellona, ed un posto avanzato ad Ornavasso. Nell’Ossola<br />

Superiore era invece <strong>il</strong> generale Luxen che aveva<br />

<strong>il</strong> comando delle truppe austriache, ma pare che non<br />

avesse precise intenzioni di oltrepassare la linea V<strong>il</strong>la-<br />

Vogogna.<br />

Il 25 marzo 1814 <strong>il</strong> generale Mazzucchelli, avendo ottenuto<br />

<strong>il</strong> rinforzo di un distaccamento di 215 uomini<br />

di fanteria francese ed un altro di dragoni di Napoleone,<br />

affrontò gli Austriaci al ponte della Masone dove ci<br />

fu una piccola battaglia. Ritiratisi da quel luogo gli Austriaci<br />

si concentrarono al ponte di V<strong>il</strong>ladossola dove<br />

pure ci fu uno scontro di fuc<strong>il</strong>eria e di artiglieria. Temendo<br />

però di essere presi alle spalle da un contingente<br />

inviato dal Mazzucchelli verso Beura e Domo dal ponte<br />

della Masone, gli Austriaci si ritirarono ordinatamente<br />

in vai Divedro. In quel medesimo giorno ritornò a Domodossola<br />

<strong>il</strong> Viceprefetto e fu ricostruita la vecchia amministrazione.<br />

Prendeva intanto <strong>il</strong> comando delle truppe dell’Ossola<br />

<strong>il</strong> generale Saint Paul <strong>il</strong> quale però, come appare dalle<br />

sue relazioni inviate al Ministro della guerra, non poté<br />

contrastare <strong>il</strong> fenomeno dei molti disertori che si rifugiavano<br />

nelle valli e che non riusciva a intercettare, soprattutto<br />

per la protezione e l’omertà delle popolazioni<br />

locali e perfino delle autorità ormai stanche di tutte<br />

queste traversie.<br />

In questo periodo i molti scontenti, sbandati, disertori<br />

e insofferenti dell’autorità costituita che si erano ri-<br />

fugiati in Ossola e che provenivano in parte dalle vicine<br />

regioni del lago Maggiore ed Orta, scesero in aperta<br />

ribellione contro lo Stato. Riunitisi in bande, assaltarono<br />

parecchie case municipali dei comuni del lago<br />

Maggiore e circonvicini distruggendo soprattutto le liste<br />

di coscrizione m<strong>il</strong>itare, ma spesso mettendo a fuoco<br />

interi archivi.<br />

L’11 apr<strong>il</strong>e 1814 Napoleone abdicò e poco dopo (23<br />

apr<strong>il</strong>e) anche <strong>il</strong> viceré Eugenio Beauharnais cedette <strong>il</strong><br />

regno. Gli Austriaci rioccuparono la Lombardia.<br />

Eliminato con gli editti del 25 apr<strong>il</strong>e ed 11 maggio<br />

1814 <strong>il</strong> Dipartimento dell’Agogna, l’Ossola ed <strong>il</strong> Novarese<br />

cessarono di essere uniti a M<strong>il</strong>ano e si ricongiunsero<br />

agli Stadi Sardi. Il 20 maggio 1814 <strong>il</strong> re Vittorio<br />

Emanuele I è nuovamente, dalla Sardegna, di ritorno in<br />

Piemonte per riprendere i suoi domini.<br />

La caduta di Napoleone per molti Ossolani significava<br />

anche <strong>il</strong> ritorno all’antico ordinamento. Ci si preoccupava<br />

ancora della salvaguardia di quei famosi priv<strong>il</strong>egi<br />

per i quali erano stato fatte tante lotte e la cui conservazione<br />

era considerata necessaria per la stessa sopravvivenza<br />

del popolo.<br />

La rigida restaurazione voluta dalle potenze vincitrici<br />

pareva propizia per questa richiesta ossolana che infatti<br />

fu accettata. Il 17 marzo 1815 con decreto camerale gli<br />

Ossolani ottennero la conferma dei loro priv<strong>il</strong>egi.<br />

Dal 3 giugno alla fine di luglio l’Ossola è continuamente<br />

attraversata da numerosi corpi di m<strong>il</strong>itari con cariaggi<br />

e cannoni. Sono ben 75.000 uomini, 10.000 cavalli,<br />

2.000 carri, 1.300 buoi, 180 cannoni e 6.000 aus<strong>il</strong>iari<br />

dell’esercito austriaco. Questo attraversamento non fu<br />

senza le contribuzioni e le solite requisizioni di fieno,<br />

bestiame, cibarie ed alloggi a spese degli Ossolani, nonostante<br />

i famosi priv<strong>il</strong>egi tornati in funzione. Fu questa<br />

però l’ultima loro approvazione. II Regio Biglietto<br />

del 23 giugno diede un colpo a tutta la struttura civ<strong>il</strong>e<br />

dei comuni ossolani togliendo l’antica distinzione tra<br />

i vicini e non vicini o appoggiati. Anche questo decreto<br />

non incontrò <strong>il</strong> favore degli Ossolani i quali in qualche<br />

caso si mostrarono renitenti alla sua osservanza, ma<br />

le richieste dei non vicini furono tali che dovette essere<br />

applicato integralmente. E bisogna riconoscere che, nonostante<br />

tutto, era una non piccola riforma ed un passo<br />

notevole in avanti sulla via dell’ammodernamento<br />

53


dell’Ossola.<br />

Con <strong>il</strong> Regio Editto del 10 novembre 1818 l’Ossola Superiore<br />

fu costituita in provincia suddivisa nei mandamenti<br />

di Crodo, S. Maria Maggiore, Bannio e Domodossola.<br />

Al mandamento di Domo furono aggiunte le<br />

Quattro Terre (Masera, Trontano, Beura e Cardezza) e<br />

Pallanzeno. Il Regio Editto del 28 settembre 1822 istituiva<br />

a Domodossola <strong>il</strong> tribunale prefetturale.<br />

Le Regie Patenti del 10 ottobre 1836 vennero a sopprimere<br />

la provincia dell’Ossola che fu aggregata a quella<br />

di Pallanza. Fu però ristab<strong>il</strong>ita con <strong>il</strong> decreto del re Carlo<br />

Alberto (15 nov. 1844). Nel 1861 nasce la provincia<br />

di Novara e l’Ossola si riduce a sottoprefettura che dura<br />

fino al 1927. I priv<strong>il</strong>egi ossolani restarono almeno formalmente<br />

in vigore fino al 1848, allorché con la proclamazione<br />

dello Statuto furono abolite non solo le Costituzioni<br />

del 1770, richiamate in vigore al ritorno in Piemonte<br />

di Vittorio Emanuele I, ma anche tutte le leggi<br />

particolari concesse nel periodo anteriore. Essi caddero<br />

uno dopo l’altro negli anni seguenti senza alcun compenso<br />

per gli Ossolani. I progetti per collegare la Lombardia<br />

ed <strong>il</strong> Piemonte con <strong>il</strong> Vallese ed i paesi transalpini<br />

nacquero abbastanza presto, cioè già nel 1856; tuttavia<br />

passeranno ancora cinquant’anni prima che divengano<br />

realtà con <strong>il</strong> grande traforo del Sempione.<br />

Premeva intanto alla regione ossolana un rapido collegamento<br />

con <strong>il</strong> resto delle regioni subalpine per toglierla<br />

dall’isolamento. Anche le d<strong>il</strong>igenze con i cavalli, tanto<br />

gloriose con l’apertura della strada napoleonica del<br />

Sempione, erano ormai sorpassate. La nuova civ<strong>il</strong>tà industriale<br />

era all’insegna del vapore e della locomotiva.<br />

Nel 1857 <strong>il</strong> Parlamento Subalpino con legge del 12 giugno<br />

concesse alla società Lavallette la costruzione, senza<br />

concorso di spese da parte dello Stato, di una ferrovia<br />

da Arona a Domodossola che prevedeva poi <strong>il</strong> raccordo<br />

con le linee svizzere nel Vallese.<br />

La società Lavallette costruì effettivamente da Domodossola<br />

fino ad Ornavasso un tratto di massicciata con<br />

relative opere murarie, ponti ecc. per sistemare <strong>il</strong> binario<br />

della progettata linea: in tutto 14 km. A V<strong>il</strong>ladossola<br />

erano stati a questo scopo rinforzati gli argini dell’Ovesca<br />

e poste anche le teste del ponte della ferrovia. Ma<br />

nel 1865 la società Lavallette fallì e la costruzione fu sospesa.<br />

Della massicciata se ne impadronirono i rovi.<br />

54<br />

Il 10 febbraio 1877 <strong>il</strong> Municipio di Domodossola presentò<br />

un memoriale al Ministero dei Lavori Pubblici, a<br />

seguito del quale <strong>il</strong> Governo tolse la concessione alla società<br />

fallita, avocando a sé l’impegno di portare avanti<br />

<strong>il</strong> progetto, inserendolo però nel nuovo disegno che<br />

prevedeva <strong>il</strong> collegamento Domodossola-Gozzano per<br />

Gravellona, Omegna ed <strong>il</strong> lago d’Orta. Tuttavia anche<br />

la realizzazione di questo progetto andava molto a r<strong>il</strong>ento<br />

e pareva che non dovesse mai tradursi in realtà. Il<br />

29 luglio 1881 i comuni dell’Alta e Bassa Ossola inviano<br />

una «Petizione al Ministro dei Lavori Pubblici» per <strong>il</strong><br />

sollecito compimento della linea di accesso al Sempione,<br />

congiungente Gozzano con Domodossola. Ci si lamenta<br />

anzitutto che dal 1848 in poi siano stati ad uno<br />

ad uno annullati quei priv<strong>il</strong>egi ossolani che erano giustificati<br />

dalla sfortunata situazione geografica della regione.<br />

Mercé le enumerate esenzioni che aveva acquistate<br />

a peso d’oro, l’Ossola fioriva per agiatezza dei suoi abitanti,<br />

i quali gradatamente vennero spogliati di tutti i benefici,<br />

assoggettati a tutte le tasse erariali senza <strong>il</strong> più lieve<br />

compenso, ed oggi corrisponde allo Stato per imposte di diversa<br />

natura oltre un m<strong>il</strong>ione e mezzo di lire, che, pei sedici<br />

anni trascorsi, dal 1865 epoca in cui cessò l’ultima esenzione<br />

al corrente 1881, sono oltre 24 m<strong>il</strong>ioni di lire versate<br />

nelle casse erariali; ed è fuori di dubbio che conquistò<br />

<strong>il</strong> diritto di reclamare la sua parte di concorso ai benefici<br />

che lo Stato con larga mano sparge a migliorare le condizioni<br />

economiche delle popolazioni; ma non ostante questi<br />

suoi titoli più volte messi in evidenza a chi per lo passato<br />

resse <strong>il</strong> supremo potere della cosa pubblica, fu lasciata in<br />

tale isolamento ed abbandono che ora le popolazioni devono<br />

in maggiori proporzioni emigrare e cercare all’esterno <strong>il</strong><br />

pane loro tolto dalle eccezionali gravezze e dalla decadenza<br />

del commercio un dì fiorentissimo e spostato dal ritrovato<br />

dei rapidi mezzi di comunicazione e di trasporto...<br />

L’Eccellenza vostra rammenti quanto l’Ossola perdetta rassegnata<br />

per <strong>il</strong> benessere generale della nazione; rammenti<br />

la necessità imperiosa che le industrie dell’Ossola provano<br />

di poter usufruire dei mezzi economici di trasporto mercé<br />

i quali potranno ampliarsi, e raddoppiare la loro produzione<br />

con beneficio generale, mentre tantissime altre troveranno<br />

potente convenienza d’impiantarsi usufruendo della<br />

forza motrice che scorre potente ed inoperosa nei fiumi<br />

confluenti del Toce.


Piazza del Mercato a Domodossola (Samuel Prout, 1839).<br />

Il tratto di ferrovia che collega Novara con Gozzano era<br />

<strong>il</strong> più fac<strong>il</strong>e e fu completato nel 1864. Per raggiungere<br />

Orta furono necessari altri 20 anni. Il 30 apr<strong>il</strong>e 1887 fu<br />

aperto <strong>il</strong> tratto Orta-Gravellona.<br />

A Domodossola la ferrovia arrivò solo l’8 settembre<br />

1888 passando per Ornavasso, Cuzzago, Premosello,<br />

Vogogna, Piedimuiera, Pallanzeno e V<strong>il</strong>ladossola. Questa<br />

ferrovia fu <strong>il</strong> primo asse vitale che diede impulso e<br />

vigore all’economia ed alle molteplici attività industriali<br />

e commerciali dell’Ossola. V<strong>il</strong>la ne ebbe grandi vantaggi;<br />

alla fine del secolo ferveva l’industria siderurgica e ci<br />

si avviava allo sfruttamento della nuova fonte di energia<br />

che in Ossola sarà tanto importante. È infatti del 1898<br />

l’entrata in servizio della prima centrale elettrica dell’Ossola<br />

che la ditta Pietro Maria Ceretti costruì in valle<br />

Antrona, alla quale fecero seguito impianti sempre<br />

più grandiosi, talmente che nel secolo seguente l’Ossola<br />

poté fornire una enorme quantità di energia elettrica<br />

non solo alle proprie industrie, ma anche a quelle della<br />

pianura lombarda.<br />

Tempi moderni<br />

All’inizio del secolo XX l’Ossola è tutta un cantiere operoso<br />

e risonante di rumori e di insolite favelle.<br />

Si lavorava alla costruzione della linea ferroviaria Domodossola-Arona<br />

ed al tratto Domodossola-Iselle. Si<br />

sta scavando la galleria del Sempione.<br />

È questo un capitolo di storia ossolana ed internazionale<br />

che merita una trattazione a parte per la sua importanza<br />

e per le enormi conseguenze di cui è stata matrice.<br />

Ci limitiamo ad accennarne appena, rimandando a<br />

pubblicazioni numerose ed esaurienti riguardanti sia <strong>il</strong><br />

lato tecnico che storico della grande impresa.<br />

Se ne parlava già da mezzo secolo. Molti i progetti, gli<br />

studi preliminari, gli approcci ed i trattati fra gli Stati<br />

interessati.<br />

Giunse anche, finalmente, <strong>il</strong> tempo della realizzazione.<br />

Il 1° agosto 1898 a Briga sul versante svizzero si affronta<br />

la dura roccia alpina e si dà inizio alla titanica impresa.<br />

È una grande ed ordinata battaglia guidata da ingegneri<br />

e tecnici e combattuta da schiere di operai che<br />

55


conquistavano <strong>il</strong> cuore della montagna a colpi di mina.<br />

Il 16 agosto si sferra <strong>il</strong> primo attacco anche sul versante<br />

italiano a Iselle. Il lavoro è assunto dall’Impresa Brand-<br />

Brandau che impiega parecchie migliaia di operai, per<br />

la maggior parte italiani, e dispone di nuove e potenti<br />

perforatrici idrauliche. Ogni ch<strong>il</strong>ometro di avanzamento<br />

è una vittoria della scienza, della tecnica e della civ<strong>il</strong>tà,<br />

ma è largamente pagata dalle fatiche degli uomini e<br />

dalle loro stesse vite.<br />

Il 24 febbraio 1905, dopo anni di lavoro ostinato e dispendioso,<br />

le due gallerie di avanzamento si abboccano<br />

nel cuore della montagna ed <strong>il</strong> 2 apr<strong>il</strong>e 1905 due convogli<br />

imbandierati inaugurano <strong>il</strong> percorso incontrandosi<br />

festosamente a metà della galleria, dove mons. Abbet<br />

vescovo di Sion, benedice <strong>il</strong> traforo. La galleria misura<br />

19.803,1 metri. Il 19 maggio 1906 <strong>il</strong> re Vittorio Emanuele<br />

III venne in visita nell’Ossola con i rappresentanti<br />

del governo e, unitamente al Presidente della Confederazione<br />

Elvetica, inaugurò <strong>il</strong> traforo del Sempione.<br />

Anche le linee di accesso erano state completate. Il 15<br />

gennaio 1905 era stata ufficialmente aperta la linea Domodossola-Iselle.<br />

Attraverso l’Ossola cominciava così a<br />

scorrere una delle più importanti correnti del traffico<br />

internazionale europeo.<br />

56<br />

Per la realizzazione del traforo del Sempione vennero in<br />

Ossola molti operai da altre regioni italiane; alcuni di<br />

essi, a lavoro finito, fissarono in questa regione la loro<br />

residenza, inserendosi come elementi attivi nel contesto<br />

ossolano. In occasione dei lavori del traforo del Sempione<br />

sorsero nuove industrie, mentre altre sv<strong>il</strong>upparono la<br />

loro attività, portandosi ad una efficienza competitiva.<br />

Con l’apertura della linea del Sempione, l’Ossola entrò<br />

vivacemente nella storia economica, sociale e politica<br />

d’<strong>It</strong>alia. Crebbero le industrie, vennero sfruttate le sorgenti<br />

di energia idraulica per la produzione di elettricità,<br />

si avviò un processo di industrializzazione che richiamò<br />

lavoratori da ogni parte d’<strong>It</strong>alia, ma specialmente<br />

veneti, romagnoli e calabresi. Anche l’Ossola subì tuttavia<br />

i sacrifici della grande guerra mondiale (1915-1918)<br />

con un forte contributo di vite umane e visse la crisi<br />

post bellica che condusse all’avvento del fascismo e della<br />

successiva guerra disastrosa a fianco della Germania<br />

(1940-1945). Anche nell’Ossola ci furono movimenti<br />

di liberazione in opposizione alle m<strong>il</strong>izie fasciste e tedesche<br />

che condussero alla effimera «repubblica» dell’Ossola;<br />

quindi la liberazione dell’<strong>It</strong>alia per opera degli<br />

Americani e dei loro alleati, ci portò alle soglie dei tempi<br />

più recenti.


La “repubblica” dell’Ossola<br />

Paolo Bologna<br />

La “repubblica” dell’Ossola è certamente la più nota e<br />

prestigiosa delle 18 “zone libere” partigiane che ebbero<br />

vita tra estate e autunno 1944 in piena occupazione<br />

tedesca 1 . L’esperienza ossolana prese l’avvio con la resa<br />

dei presidi nazifascisti 2 alle forze partigiane, conclusa<br />

nel tardo pomeriggio del 9 settembre 1944 al Croppo<br />

di Trontano all’immediata periferia di Domodossola.<br />

La trattativa tra ufficiali partigiani (delle formazioni<br />

“Valdossola” e “Valtoce”), tedeschi e della M<strong>il</strong>izia fascista,<br />

fu ab<strong>il</strong>mente mediata dai parroci di Masera, don<br />

Severino Baldoni, e di Domodossola don Luigi Pellanda.<br />

Questi seppero ben rappresentare alla delegazione<br />

tedesco-fascista la convenienza di venire a un rapido accordo<br />

con le due formazioni “autonome”, considerate<br />

moderate, approfittando dell’assenza dei più temib<strong>il</strong>i<br />

“garibaldini”. Tali argomenti e una voluta esagerazione<br />

del potenziale in uomini e armi dei partigiani risultarono<br />

convincenti evitando così la contrapposizione armata<br />

tra gli opposti schieramenti, prospettiva che non entusiasmava<br />

nessuno.<br />

Così la delegazione partigiana consentì sbrigativamente<br />

che gli ufficiali tedeschi conservassero l’arma individuale,<br />

che la loro truppa si tenesse anche le armi di<br />

accompagnamento di fabbricazione germanica purché<br />

tutti abbandonassero la zona. In mano partigiana, garibaldini<br />

esclusi, cadde comunque un prezioso quantitativo<br />

di armi e munizioni.<br />

Le condizioni della resa vennero poi criticate dagli irritati<br />

garibaldini e successivamente anche dal colonnello<br />

Giuseppe Curreno della Maddalena (Delle Torri) del<br />

“Comando Unico zona Ossola” in una sua relazione al<br />

C.V.L. 3 .<br />

La liberazione del settembre coronava un periodo di<br />

particolare vivacità e combattività delle forze partigiane<br />

della zona, malgrado che nel giugno precedente un<br />

pesante rastrellamento condotto da numerose truppe<br />

tedesche e fasciste nel comprensorio montano della Val<br />

Grande avesse inferto un duro colpo alle formazioni ivi<br />

insediate, la “Valdossola” di Dionigi Superti e le meno<br />

numerose “Giovane <strong>It</strong>alia” e “Cesare Battisti”. Su poco<br />

meno di 500 partigiani impegnati dagli attaccanti, quasi<br />

300 erano caduti in combattimento o nelle allucinanti<br />

fuc<strong>il</strong>azioni (quasi sempre precedute, in questa e in altre<br />

occasioni, da sevizie inferte ai prigionieri) seguite al<br />

rastrellamento. In dieci giorni, dal 17 al 27 giugno e in<br />

nove località diverse i fuc<strong>il</strong>ati furono circa un centinaio<br />

tra cui, <strong>il</strong> giorno 20, le quarantadue vittime di Fondotoce.<br />

Un 43° prigioniero compreso fra i morituri, <strong>il</strong> diciottenne<br />

Carlo Suzzi di Busto Arsizio riuscì a salvarsi<br />

benché ferito, uscendo nottetempo dall’ammasso dei<br />

cadaveri dei compagni.<br />

Contrariamente alle previsioni dei nazifascisti, dopo<br />

quel sanguinoso rastrellamento le forze partigiane avevano<br />

ripreso vigore. La ricostituita “Valdossola”, con<br />

circa 150 uomini, si era insediata sulle alture sovrastanti<br />

Premosello e controllava la sinistra orografica del Toce<br />

da Beura sino a Mergozzo. Nell’Intrese operavano i garibaldini<br />

della 85 a Brigata “Valgrande martire” (nata da<br />

una scissione con la formazione di Superti) comandata<br />

da Mario Muneghina. Tra Intra e Cannero e la retrostante<br />

Valle Cannobina agivano la “Cesare Battisti”<br />

di Armando Calzavara (Arca) con circa 80 uomini e la<br />

“Generale Perotti” 4 di F<strong>il</strong>ippo Frassati (Pippo) con circa<br />

60. Dall’unione operativa di queste due formazioni<br />

nacque nell’agosto la Brigata “Piave”. Sulla destra del<br />

Toce era presente la “Valtoce” di Alfredo Di Dio che<br />

aveva le sue basi operative sopra Ornavasso.<br />

Verso <strong>il</strong> Cusio era tradizionalmente insediata la “F<strong>il</strong>ippo<br />

Beltrami” al comando di Bruno Rutto, che aveva<br />

raccolto l’eredità dell’omegnese capitano Beltrami,<br />

57


caduto a Mégolo nel febbraio precedente. I garibaldini<br />

dal canto loro tenevano da tempo i passi alpini di Baranca<br />

e del Turlo che dalla Valle Anzasca mettevano in<br />

comunicazione con la Val Sesia dove era <strong>il</strong> comando di<br />

tali formazioni, tenuto da Eraldo Gastone (Ciro) e da<br />

Vincenzo Moscatelli (Cino). Dalla Val Sesia i loro reparti<br />

si erano spinti per l’Anzasca nelle Valli di Antrona,<br />

di Bognanco, di Antigorio e assorbiranno poi <strong>il</strong> battaglione<br />

autonomo “Fabbri” organizzato dai fratelli Ugo e<br />

Ottavio Scrittori di V<strong>il</strong>ladossola dando vita alla 83 a Brigata<br />

garibaldina “Comolli”.Con l’aumento degli organici<br />

poco prima della liberazione dell’Ossola, venne costituita<br />

la 2 a Divisione Garibaldi “Redi” 5 .<br />

Tra l’alta Valle Isorno e le valli Antigorio e Vigezzo era<br />

infine presente un’altra formazione autonoma di Pietro<br />

Carlo Viglio; diventerà poi la “Brigata Matteotti”.<br />

In totale le forze partigiane alla vig<strong>il</strong>ia della liberazione<br />

dell’Ossola assommavano a 1500 uomini o poco più,<br />

non tutti armati.<br />

Nell’agosto si intensificò la pressione dei partigiani sui<br />

presidi nazifascisti, sempre più in difficoltà nel contrastare<br />

gli antagonisti delle varie formazioni, che compivano<br />

frequenti colpi di mano, controllavano con improvvisi<br />

blocchi le strade delle valli e la nazionale del<br />

Sempione, interrompevano le comunicazioni ferroviarie<br />

e spesso l’erogazione di energia elettrica prodotta<br />

nell’Ossola e diretta alle industrie. Occupanti e fascisti<br />

si sentirono sempre più isolati, scollegati dai comandi,<br />

costretti a rinchiudersi a difesa nei loro alloggiamenti.<br />

I tedeschi incorporavano oltre a un contingente di efficiente<br />

polizia m<strong>il</strong>itare, parecchi uomini con notevole<br />

anzianità di servizio (la Germania era in guerra da 5<br />

anni) di truppa confinaria-doganale, addirittura alcuni<br />

reparti di ex prigionieri di guerra dei Paesi dell’Est. La<br />

truppa fascista era composta da un coacervo di M<strong>il</strong>izia<br />

Confinaria e ordinaria raggruppate nella G.N.R. 6 , dalla<br />

neonata “Brigata Nera” istituita in luglio, da coscritti<br />

dell’esercito regolare con compiti aus<strong>il</strong>iari. In complesso,<br />

un campionario m<strong>il</strong>itare che proprio sul finire di<br />

quella calda estate accusò rese e diserzioni, individuali e<br />

di gruppo, ma ancora capace di pericolose reazioni, che<br />

purtroppo si verificarono.<br />

Il 26 agosto un picchetto tedesco passò per le armi nel<br />

carcere di Domodossola tre giovani che vi erano stati<br />

58<br />

rinchiusi dalla M<strong>il</strong>izia; l’esecuzione venne messa in relazione<br />

col recente ferimento del comandante del presidio<br />

germanico. Ancora, in quegli ultimi convulsi giorni,<br />

un operaio padre di tre figli venne colpito a morte<br />

da due giovanissimi m<strong>il</strong>iti in una via della città, un partigiano<br />

vigezzino tratto di prigione e ucciso. Il suo corpo<br />

massacrato (frequente <strong>il</strong> ricorso, da parte dei m<strong>il</strong>iti<br />

fascisti, all’orrendo v<strong>il</strong>ipendio dei cadaveri) venne abbandonato<br />

sulle rive del Toce. Infine a Premosello l’ultimo<br />

sanguinoso colpo di coda di fine agosto. Il 29, in<br />

risposta alla cattura di un loro motociclista, numerosi<br />

tedeschi giunsero in paese e uccisero a fuc<strong>il</strong>ate e pugnalate<br />

un partigiano e quattro innocenti anziani (di<br />

cui due donne), incendiarono alcune case e prelevarono<br />

una cinquantina di ostaggi.<br />

Ma nei giorni successivi dal 2 all’8 settembre in rapide<br />

sequenze si strinse infine <strong>il</strong> cerchio attorno a Domodossola.<br />

Alcune fortunate azioni forzarono le chiavi di volta<br />

della difesa nazifascista ponendo così le premesse per<br />

la resa, benchè in città si fosse concentrata una ancor rispettab<strong>il</strong>e<br />

forza di almeno 600 uomini, costretti dunque<br />

ad alzare bandiera bianca. II 2 settembre la “Piave”<br />

riuscì a liberare Cannobio sul Lago Maggiore mentre<br />

i garibaldini della “Valgrande Martire” impegnavano a<br />

scopo diversivo <strong>il</strong> munito presidio di Intra, poi <strong>il</strong> nemico<br />

dovette evacuare Oggebbio e quindi tutta la fascia<br />

rivierasca dal confine di Piaggio Valmara sino alle porte<br />

di Intra. Ancora la “Piave” dalla Cannobina per <strong>il</strong> Passo<br />

di Finero e per la Valle Vigezzo scese nell’Ossola liberando<br />

Malesco, raggiungendo da qui <strong>il</strong> valico di Ponte<br />

Ribellasca da un lato, Santa Maria Maggiore e Druogno<br />

dall’altro e assediando <strong>il</strong> giorno successivo Masera<br />

dove impegnò combattimento.<br />

L’8 i garibaldini, che avevano già sloggiato tedeschi e<br />

m<strong>il</strong>izia dalle altre valli entrarono a Varzo (i tedeschi del<br />

presidio ebbero via libera per la vicina Svizzera) e a Crevoladossola,<br />

mentre “Valtoce” e “Valdossola” attaccarono<br />

e dispersero <strong>il</strong> presidio di Piedimulera forte di oltre<br />

100 uomini fra tedeschi (che alle prime avvisaglie abbandonarono<br />

<strong>il</strong> campo) e fascisti, che sostennero <strong>il</strong> peso<br />

dell’attacco lasciando sul terreno alcuni morti.<br />

Il capoluogo ossolano fu così completamente isolato e<br />

si giunse alla resa del Croppo mentre i partigiani persero<br />

Cannobio sul lago Maggiore, rioccupata agevolmen-


te da un forte contingente di fascisti (paracadutisti dell’Aeronautica<br />

e allievi ufficiali della G.N.R.) appoggiati<br />

da tedeschi e da artiglieria. Dovette quindi venire arretrato<br />

al ponte di Falmenta a circa metà della stretta Valle<br />

Cannobina <strong>il</strong> confine della zona libera; e non riuscì<br />

poi <strong>il</strong> tentativo di allargarla sino all’importante e strategico<br />

crocevia di Gravellona Toce, obiettivo di un azzardato<br />

attacco, dopo che <strong>il</strong> 12 settembre “Garibaldi” e<br />

“Beltrami” erano riuscite a occupare temporaneamente<br />

Omegna. Nei furiosi combattimenti protrattisi per due<br />

giorni i partigiani subirono perdite dolorose e dovettero<br />

infine desistere. Come Cannobio, anche Gravellona<br />

rimase così in mano fascista.<br />

Il territorio della zona liberata comprendeva tutta la<br />

vallata dell’Ossola, con l’appendice della Cannobina<br />

gravitante sul Lago Maggiore. I centri principali della<br />

regione in mano partigiana oltre alla stessa Domodossola<br />

erano V<strong>il</strong>ladossola, Ornavasso e Mergozzo. In<br />

mano nemica restava <strong>il</strong> lato inferiore del grosso triangolo<br />

che configura l’Ossola cioè la fascia rivierasca del<br />

Lago Maggiore dal confine italo-svizzero di Piaggio Valmara<br />

sino a Verbania-Fondotoce e al nodo stradale di<br />

Gravellona Toce.<br />

Domodossola, settembre 1944, durante i funerali dei fratelli Vigorelli e di altri caduti partigiani.<br />

La liberazione dell’Ossola costituì in pratica <strong>il</strong> coronamento<br />

di un progetto abbozzato e discusso nei mesi<br />

precedenti tra <strong>il</strong> capo della Missione inglese a Lugano<br />

(Special Operation’s Service), Mc Caffery ed esponenti<br />

del C.L.N.A.I. 7 che ipotizzava lo sgombero del territorio<br />

ossolano per trasformarlo in una testa di ponte, capace<br />

di ricevere anche aviosbarchi alleati, per un attacco<br />

alla pianura padana. L’iniziativa era caldeggiata dallo<br />

stesso Ettore Tibaldi, noto antifascista e primario dell’ospedale<br />

di Domodossola che dopo l’insurrezione di<br />

V<strong>il</strong>ladossola dell’8 novembre 1943 si era rifugiato a Lugano.<br />

Dal canto suo <strong>il</strong> comandante garibaldino Ciro<br />

(Gastone) aveva proposto l’istituzione di un comando<br />

unico per tutte le formazioni partigiane della fascia alpina<br />

del Biellese, Valsesia, Ossola e Verbano, come passaggio<br />

operativo necessario per giungere alla liberazione<br />

delle suddette vallate. Se <strong>il</strong> progetto alleato non venne<br />

ulteriormente approfondito i garibaldini dalla Val Sesia<br />

spinsero però la loro penetrazione nelle valli dell’Ossola.<br />

A Domodossola la nascita ufficiale della “repubblica” 8<br />

fu annunciata <strong>il</strong> 10 settembre da un manifesto, che ordinava<br />

la costituzione di una Giunta provvisoria amministrativa<br />

per la città di Domodossola e territori circostan-<br />

59


Cippo a ricordo del confine della “Repubblica dell’Ossola”.<br />

ti. Capo indiscusso della Giunta fu <strong>il</strong> socialista Tibaldi<br />

che all’atto di lasciare Lugano per rientrare in Ossola<br />

si preoccupò di intrattenere gli Alleati sollecitandone<br />

l’aiuto. Affiancavano <strong>il</strong> Tibaldi <strong>il</strong> sacerdote Luigi Zoppetti,<br />

<strong>il</strong> comunista Giacomo Roberti (nei giorni successivi<br />

vennero sostituiti rispettivamente da don Gaudenzio<br />

Cabalà e da “Oreste F<strong>il</strong>opanti”, <strong>il</strong> ferroviere Em<strong>il</strong>io<br />

Colombo), l’indipendente ing. Giorgio Ballarini e <strong>il</strong> dr.<br />

Alberto Nob<strong>il</strong>i, liberale.<br />

La Giunta rifletteva nella sua composizione le diverse<br />

forze politiche impegnate nella lotta di liberazione. Nei<br />

giorni successivi, anche su suggerimento del C.L.N.A.I.<br />

che desiderava una maggiore articolazione e rappresentatività<br />

dei Partiti, vennero cooptati altri commissari:<br />

<strong>il</strong> socialista prof. Mario Bonfantini, l’azionista ing. Severino<br />

Cristofoli, <strong>il</strong> democristiano avv. Natale Menotti<br />

e la comunista Gisella Floreanini. In aiuto al segretario<br />

avv. Oreste Barbieri, un funzionario a riposo del Comune<br />

di Domodossola, venne nominato un “aggiunto”<br />

nella persona di Umberto Terracini.<br />

Ogni membro si occupava di diversi settori della vita<br />

amministrativa, dalle finanze ai trasporti, dal lavoro all’istruzione<br />

sino ai collegamenti col C.L.N. e con l’autorità<br />

m<strong>il</strong>itare di occupazione (sic), cioè le formazioni<br />

60<br />

partigiane. Fra le attribuzioni del Presidente c’era anche<br />

quella dei rapporti con l’Estero e ciò provocò una pronta<br />

lagnanza della delegazione luganese del C.L.N.A.I.<br />

che ritenne inammissib<strong>il</strong>e un ministero degli Esteri così<br />

come censurò l’ordine di costituzione emanato dal Superti<br />

dichiarandolo nullo e privo di effetto perché di<br />

competenza del C.L.N. e non dei comandanti m<strong>il</strong>itari<br />

del C.V.L.<br />

Gli scogli furono superati (abbiamo provveduto a mettere<br />

le cose a posto scriveva la delegazione luganese del<br />

C.L.N.A.I. <strong>il</strong> 18 settembre) con buon senso ma nel rispetto<br />

della legalità. La nomina della Giunta venne ratificata<br />

non appena <strong>il</strong> verbale di costituzione e di insediamento<br />

dell’11 settembre giunse a Lugano, mentre per<br />

i contatti con l’estero (in pratica con la Svizzera) <strong>il</strong> conflitto<br />

venne composto con la nomina di un rappresentante<br />

della Giunta nella persona dell’on. Cipriano Facchinetti<br />

residente a Lugano. Tramite la Legazione d’<strong>It</strong>alia<br />

a Berna la Giunta prese contatto col legittimo governo<br />

nazionale di Roma ricevendone un entusiastico telegramma<br />

a firma di Bonomi (un secondo messaggio<br />

venne inviato al comando partigiano) con assicurazioni<br />

e promesse che poi <strong>il</strong> precipitare degli avvenimenti vanificò<br />

completamente.<br />

Intanto in città si ricostituiva <strong>il</strong> C.L.N., composto dal<br />

liberale avv. Tito Chiovenda, dal socialista avv. Ugo<br />

Porzio Giovanola, dall’azionista prof. Gianfranco Contini,<br />

dal comunista Giuseppe Marchioni e dal sacerdote<br />

prof. Luigi Zoppetti per la D.C. Si formava la Giunta<br />

comunale con cinque membri (sindaco <strong>il</strong> socialista<br />

geom. Carlo Lightowler) e anche negli altri comuni della<br />

zona nascevano i C.L.N. e si nominavano sindaci in<br />

sostituzione dei destituiti podestà.<br />

A breve distanza dall’entrata dei partigiani nel capoluogo<br />

gli organismi civ<strong>il</strong>i si dettero così una struttura operativa.<br />

Nel clima di entusiasmo che aveva pervaso gli ossolani<br />

si organizzarono <strong>il</strong> Fronte della Gioventù a Domodossola,<br />

V<strong>il</strong>ladossola e Varzo, l’Unione Donne <strong>It</strong>aliane<br />

col Gruppo difesa Donne, le Camere del Lavoro<br />

a Domodossola e a V<strong>il</strong>ladossola. Si elessero commissioni<br />

interne di fabbrica destituendo quelle nominate durante<br />

<strong>il</strong> fascismo. Risorsero i sindacati liberi che chiesero,<br />

come prima rivendicazione, un miglioramento salariale<br />

di 3 lire giornaliere e aumenti di stipendi per i di-


pendenti del pubblico impiego. Furono tenuti vari comizi<br />

e la stampa ebbe un eccezionale sv<strong>il</strong>uppo. A cura<br />

della Giunta uscirono quattro numeri del settimanale<br />

Liberazione e parecchi numeri del Bollettino di informazione.<br />

I garibaldini pubblicarono Unità e libertà. L’Unità<br />

e L’Avanti! uscirono con un numero speciale, la formazione<br />

di Di Dio dette alle stampe Valtoce e la “Matteotti”<br />

di recente costituzione pubblicò un numero de<br />

Il Patriota. L’installazione di una emittente radiofonica<br />

(se ne erano occupati l’ing. Bruno Zamproni di Domodossola<br />

e <strong>il</strong> radiotecnico Benvenuto Trischetti) dovette<br />

arrestarsi alle prove tecniche per la sopravvenuta rioccupazione<br />

nazifascista della zona.<br />

Nelle dodici sedute tenute nel capoluogo ossolano e nella<br />

13 a ed ultima a Premia quando Domodossola era già<br />

stata evacuata, la Giunta deliberò in materia di economia<br />

e di finanza, sociale e assistenziale, valutaria, in merito<br />

all’approvvigionamento dei viveri necessari alla popolazione<br />

civ<strong>il</strong>e e ai reparti armati; si occupò della toponomastica<br />

cittadina per <strong>il</strong> cambiamento di denomina-<br />

M<strong>il</strong>itari svizzeri e partigiani ossolani alla frontiera Iselle - Gondo.<br />

zione di vie e piazze dedicate a personaggi o avvenimenti<br />

fascisti, approvò la stampigliatura dei francobolli correnti<br />

istruendo regolare pratica con l’U.P.U. (Unione<br />

Postale Universale) di Ginevra. Vennero anche istituite<br />

la commissione di epurazione per esaminare la posizione<br />

di iscritti al P.R.F. 9 , m<strong>il</strong>iti fascisti, collaborazionisti<br />

ecc. rimasti in zona e rinchiusi nelle carceri cittadine,<br />

poi, rivelatesi queste insufficienti, nel teatro “Galletti”<br />

e infine trasferiti nel più ampio campo di concentramento<br />

istituito a Druogno nella “colonia estiva” della<br />

località. La sorveglianza dei detenuti, <strong>il</strong> cui numero<br />

salì in pochi giorni a più di 250, era affidata alla “Guardia<br />

Nazionale”, un organismo di polizia costituito nella<br />

seduta del 14 settembre, che raggruppava gli elementi<br />

già appartenenti a Carabinieri, Finanza, Pubblica Sicurezza,<br />

Forestale oltre a volontari locali. Il nuovo Corpo<br />

era agli ordini del colonnello Att<strong>il</strong>io Moneta e doveva,<br />

tra l’altro, evitare interferenze e iniziative delle varie<br />

polizie m<strong>il</strong>itari delle singole formazioni, che in quei<br />

giorni agirono senza coordinamento, causando lagnan-<br />

61


ze che la Giunta fece proprie e cui cercò di porre rimedio.<br />

L’amministrazione della giustizia fu affidata all’avvocato<br />

m<strong>il</strong>anese Ezio Vigorelli, socialista, con l’incarico<br />

di consulente legale e giudice straordinario. Vigorelli,<br />

i cui due giovani figli Bruno e Adolfo nel giugno precedente<br />

erano morti nel rastrellamento della Val Grande,<br />

dette prova di serena prudenza giuridica e di onestà<br />

personale. I reggitori della “repubblica” non consentirono<br />

vendette né ordinarono alcuna esecuzione, anche se<br />

nell’arco temporale della liberazione ossolana i tribunali<br />

delle formazioni partigiane (sottratti alla giurisdizione<br />

del giudice straordinario) eseguirono alcune fuc<strong>il</strong>azioni.<br />

Vigorelli non fu <strong>il</strong> solo consulente esterno cui la Giunta<br />

si rivolse nel suo esperimento di libero governo: in altri<br />

campi dettero la loro collaborazione oltre al già citato<br />

Facchinetti, Luigi (Gigino) Battisti, figlio dell’eroe<br />

trentino, che curava i rapporti economici con la Svizzera<br />

e che tentò inut<strong>il</strong>mente di ottenere dal governo elvetico<br />

una partita di armi, i commercialisti Mario Malvestiti<br />

e Luigi Padoin per l’amministrazione della Giunta<br />

e la formazione del b<strong>il</strong>ancio, <strong>il</strong> prof. Carlo Calcaterra<br />

e <strong>il</strong> direttore didattico locale Alcide Bara che collabo-<br />

62<br />

rarono con <strong>il</strong> commissario all’istruzione alla stesura di<br />

un progetto di riforma della scuola. L’ordinamento proposto<br />

prevedeva una scuola unica di tre anni, detta ginnasio<br />

inferiore, valida per l’ammissione a tutte le scuole<br />

medio - superiori (ginnasio superiore di 2 anni, liceo di<br />

3, istituto magistrale di 4). Le scuole professionali dovevano<br />

essere strutturate su corsi biennali di avviamento,<br />

su una scuola triennale di avviamento professionale<br />

industriale, sull’avviamento professionale commerciale<br />

di tre anni e sulla scuola tecnica industriale di due anni.<br />

La commissione proponeva anche l’abolizione dei libri<br />

di testo improntati allo spirito del passato regime e poneva<br />

le basi per impedire che la scuola fosse esclusivamente<br />

classica o aristocratica.<br />

A cura di Mario Bonfantini si iniziarono anche i corsi<br />

di una “università popolare” sulla storia dell’Europa<br />

moderna. Dirigenti e operai delle industrie locali dettero<br />

entusiasticamente la loro opera progettando e approntando<br />

rudimentali bombe a mano, un carro blindato,<br />

alcuni lanciafiamme e <strong>il</strong> carburante occorrente all’autoparco<br />

civ<strong>il</strong>e e m<strong>il</strong>itare con ingredienti disponib<strong>il</strong>i<br />

in loco.<br />

Il grave problema dell’approvvigionamento alimentare<br />

della popolazione civ<strong>il</strong>e e delle formazioni partigiane<br />

venne affrontato mediante accordi commerciali con<br />

la Svizzera, avviati da Gigino Battisti. Si ottenne subito<br />

una cessione di 20 tonn. giornaliere di patate attraverso<br />

la Croce Rossa Svizzera e si concordò con <strong>il</strong> governo<br />

di Berna un sistema di compensazioni per ottenere<br />

dal Paese confinante forniture alimentari contro prodotti<br />

industriali degli stab<strong>il</strong>imenti ossolani che avevano<br />

in giacenza partite interessanti l’economia elvetica quali<br />

pirite, acido solforico, abrasivi, cloro liquido, eccetera.<br />

Il crollo della “repubblica” anche in questo caso impedì<br />

<strong>il</strong> perfezionamento delle trattative.<br />

Le cure della Giunta provvisoria dovettero anche rivolgersi<br />

alle questioni m<strong>il</strong>itari connesse alla difesa del territorio.<br />

Il 18 settembre si decise di dare vita a un comando<br />

m<strong>il</strong>itare unico con compiti di coordinamento fra<br />

le varie formazioni. La responsab<strong>il</strong>ità di tale comando<br />

venne affidata al colonnello Federici (avv. Giov. Battista<br />

Stucchi di Monza). Alla costituzione formale si giunse<br />

solo dopo diverse trattative che videro spesso posizioni<br />

di netto contrasto fra i capi partigiani, gelosi delle pro-


prie prerogative e condizionati dalle differenti collocazioni<br />

politiche. Anche se <strong>il</strong> comando unico non riuscì a<br />

svolgere i compiti che si era prefisso, tanto che lo stesso<br />

Federici lo definì una barca che fa acqua da tutte le parti,<br />

costituì comunque un momento di unità politicamente<br />

interessante e la formula verrà ripresa e migliorata all’inizio<br />

del 1945, negli ultimi mesi di lotta.<br />

Già nei primi giorni di ottobre si era saputo che i nazifascisti<br />

stavano organizzando la riconquista dell’Ossola<br />

convogliando a ridosso del “confine” truppe e armamenti.<br />

La notizia dell’attacco che si stava delineando<br />

servì quanto meno a smussare attriti e rivalità tra i<br />

comandanti partigiani che ritrovarono univoca volontà<br />

di reazione che si trasmise ai reparti dove i motivi di sfiducia<br />

non mancavano. Fonte di rammarico e di critica<br />

fu soprattutto l’atteggiamento degli Alleati, che non sostennero<br />

i difensori dell’Ossola, dove erano stati predisposti<br />

due campi per i lanci di materiale bellico, uno a<br />

S. Maria Maggiore in Valle Vigezzo e l’altro alla periferia<br />

di Domodossola.<br />

Gli Alleati effettuarono due unici lanci di armi alla sola<br />

“Valtoce”. La loro aviazione leggera era anche interve-<br />

Frontiera Iselle - Gondo.<br />

nuta verso fine settembre nel Verbano affondando, e<br />

provocando vittime, tre battelli in navigazione: <strong>il</strong> “Torino”,<br />

<strong>il</strong> “M<strong>il</strong>ano”, carico di truppa fascista e <strong>il</strong> “Genova”,<br />

con truppa e passeggeri civ<strong>il</strong>i. Questa azione servì,<br />

nei giorni successivi, a intimorire i giovani m<strong>il</strong>itari dei<br />

Corpi neofascisti impegnati nella riconquista dell’Ossola,<br />

che avanzarono con la costante preoccupazione di<br />

venire attaccati dall’aviazione alleata, cosa che non avvenne.<br />

I comandanti avevano intanto consolidato lo schieramento<br />

che le formazioni avevano assunto sin dai primi<br />

giorni della liberazione mantenendo in pratica <strong>il</strong><br />

controllo delle zone del vecchio insediamento precedente<br />

alla resa. Alla difesa erano interessate anche la<br />

“Beltrami” sul Cusio e la l a e 2 a “Garibaldi”, quest’ultima<br />

prevalentemente in riserva a disposizione del Comando<br />

unico.<br />

La riconquista fascista dell’Ossola fu affidata, dal generale<br />

tedesco W<strong>il</strong>ly Tensfeld che da Monza dirigeva<br />

le operazioni contro i ribelli nel settore “Oberitalien-West”,<br />

al ten. col. Ludwig Buch comandante del<br />

15° SS-Polizei-Regiment <strong>il</strong> cui piano aveva l’obiettivo<br />

63


Domodossola, Comizio del comandante Garibaldino Cino Moscatelli in Piazza Mercato.<br />

di stroncare la resistenza con pronto impiego di tutte le<br />

armi e di impossessarsi delle centrali elettriche e della<br />

linea internazionale del Sempione. Il corpo di spedizione,<br />

con una forza complessiva valutab<strong>il</strong>e in circa 5.000<br />

armati era articolato in 5 gruppi d’attacco, ognuno con<br />

compiti e itinerari ben precisi e tutti guidati da ufficiali<br />

tedeschi. La truppa era composta di tedeschi (in prevalenza<br />

della polizia m<strong>il</strong>itare SS) e di italiani di diversi<br />

Corpi: SS italiane, paracadutisti dell’Aeronautica e della<br />

G.N.R., X Mas, M<strong>il</strong>izia “Venezia Giulia” e altri reparti.<br />

Le armi di accompagnamento erano numerose: cannoni<br />

di vario ca<strong>libro</strong>, mitragliere pesanti; le fanterie erano<br />

inoltre appoggiate da carri armati medi, da autoblinde,<br />

da un treno blindato in retrovia e da (scarsa, ma temib<strong>il</strong>e)<br />

aviazione.<br />

L’attacco iniziò <strong>il</strong> 9 ottobre e fu accompagnato sino alla<br />

sua conclusione da una gelida pioggia autunnale che<br />

mise in evidenza la sommarietà dell’equipaggiamento<br />

dei partigiani, alcuni completamente sprovvisti di indumenti<br />

pesanti. La pressione nemica aumentò grada-<br />

64<br />

tamente di intensità su tre direttrici: verso la Valle Cannobina,<br />

difesa dalla “Piave”, la Valle Strona (“Beltrami”)<br />

e infine lungo l’asse principale della valle del Toce,<br />

tenuto dalla “Valdossola” e dalla ”Valtoce” con qualche<br />

reparto garibaldino.<br />

L’attacco nazifascista riuscì ad avere ben presto ragione<br />

della “Piave”. Il giorno 12 alla galleria di Finero caddero<br />

sotto <strong>il</strong> fuoco delle avanguardie avversarie due prestigiosi<br />

capi partigiani: i comandanti della “Valtoce” Alfredo<br />

Di Dio, e della “Guardia nazionale” Att<strong>il</strong>io Moneta.<br />

L’affacciarsi della colonna nemica al Passo di Finero<br />

mise in crisi tutto <strong>il</strong> dispositivo di difesa, scardinato nel<br />

suo fianco sinistro. Lo schieramento della bassa Ossola<br />

a cavallo della linea Mergozzo-Ornavasso cedette verso<br />

<strong>il</strong> tramonto del giorno 13, anche per lo scarso munizionamento<br />

dei reparti partigiani che peraltro opposero<br />

fiera resistenza, rinunciando poi ad attestarsi su una<br />

linea arretrata di difesa fra Anzola e Vogogna. Il sabato<br />

14 gli ultimi difensori abbandonarono Domodossola<br />

che venne rioccupata nel pomeriggio di quel giorno


dalle avanguardie avversarie (SS tedesche e italiane, paracadutisti<br />

della G.N.R. e m<strong>il</strong>iti del “Venezia Giulia”)<br />

tutti al comando dell’Hauptmann Fritz Noweck.<br />

Per i partigiani, sfuggiti alla “tenaglia” prevista dal piano<br />

tedesco, non restava che cercare la salvezza nella vicina<br />

Svizzera. Con loro anche i membri del governo attraverso<br />

<strong>il</strong> Passo di San Giacomo abbondantemente innevato<br />

<strong>il</strong> 22 ottobre ripararono nel Ticino preceduti da<br />

una cinquantina di prigionieri fascisti e da una ventina<br />

di m<strong>il</strong>iti del “Folgore”, tra cui una donna, catturati dalle<br />

retroguardie partigiane negli ultimi disperati combattimenti<br />

di qualche giorno prima.<br />

Un buon numero di garibaldini (tra essi Gisella Floreanini<br />

che aveva fatto parte della Giunta di governo),<br />

meno provati dalla battaglia di sfondamento perché tenuti<br />

prevalentemente di riserva, e alcune squadre della<br />

“Valtoce”, rifiutarono di espatriare e con una lunga<br />

marcia per erti passi alpini si portarono penosamente<br />

verso <strong>il</strong> Cusio e la bassa Val Sesia, dove vennero riorganizzati.<br />

Oltre ai partigiani e alla Giunta una vera folla di<br />

abitanti dell’Ossola cercò scampo oltre confine. Alcuni<br />

avevano preso parte in diverso modo alle vicende della<br />

“repubblica”, altri avevano congiunti tra i partigiani,<br />

altri infine fuggivano semplicemente davanti alla rioccupazione<br />

fascista e al timore di rappresaglie che <strong>il</strong> prefetto<br />

di Novara Enrico Vezzalini aveva preannunciato e<br />

che si conobbero in Ossola.<br />

Numerosi treni speciali delle due linee internazionali<br />

— Sempione e Centovalli — portarono in salvo gli<br />

esuli preceduti dai numerosi feriti che trovarono assistenza<br />

negli ospedali d’oltre confine e da circa 2500<br />

bambini ospitati dalla Croce Rossa svizzera presso famiglie<br />

elvetiche. Quell’esodo impressionante (una fonte<br />

svizzera ufficiosa valuta, addirittura, in circa 30.000<br />

gli ingressi di quei giorni, tra combattenti e civ<strong>il</strong>i) svuotò<br />

la zona presentando al prefetto, che volle entrare tra i<br />

primi in Domodossola nel tardo pomeriggio del 14 ottobre,<br />

una città deserta.<br />

I fascisti furono così costretti a tenere un atteggiamento<br />

prudente, rinunciando a rappresaglie, anche se non<br />

mancarono di sfogare <strong>il</strong> loro livore nei confronti dell’antico<br />

Ginnasio-Liceo tenuto dai Padri Rosminiani. Il<br />

23 ottobre, mentre era in corso la cerimonia di apertura<br />

dell’anno scolastico, lo stesso Vezzalini la interruppe<br />

bruscamente annunciando la soppressione dell’Istituto<br />

e la contemporanea apertura di corsi statali. Una settimana<br />

dopo <strong>il</strong> superiore generale dei Rosminiani, sacerdote<br />

Giuseppe Bozzetti, venne incarcerato a Novara e<br />

ivi trattenuto pretestuosamente sino al Natale.<br />

Mentre le colonne di rastrellamento rioccupavano le<br />

vallate laterali, spesso impegnate in scontri a fuoco con<br />

le retroguardie partigiane (a Bagni di Craveggia, a Goglio,<br />

a Cimamulera, Ceppomorelli e Macugnaga), che<br />

causarono altre numerose vittime, si concludeva la breve<br />

esistenza della “repubblica” ossolana.<br />

L’esigenza di costituire e difendere un vero e proprio<br />

“fronte” convertendo mentalità e modi di impiego di<br />

combattenti abituati alla guerriglia, per di più con armamento<br />

inadeguato, portò inevitab<strong>il</strong>mente all’impossib<strong>il</strong>ità<br />

di conservare con operazioni m<strong>il</strong>itari <strong>il</strong> territorio<br />

liberato. Come si è visto, mancò l’aiuto degli Alleati che<br />

avrebbero potuto forse mutare le sorti della “repubblica”<br />

sia pure a prezzo di una costosa e rischiosa operazione<br />

basata su costanti e cospicui rifornimenti aerei. Ma<br />

ciò non era più evidentemente nei propositi dei loro<br />

Comandi, la cui attenzione era rivolta ad altre operazioni<br />

sullo scacchiere europeo, né vi era concordanza tra<br />

Inglesi e Americani sul ruolo della Resistenza italiana.<br />

L’esperienza ossolana fu una battaglia decisamente persa<br />

per <strong>il</strong> governo di Salò e la sua immagine, fu e resta<br />

altamente apprezzab<strong>il</strong>e per la sua specificità che le<br />

venne riconosciuta subito, grazie alla vicinanza con la<br />

Svizzera che servì a proiettarne positivamente l’immagine<br />

nel mondo libero. I “quaranta giorni della repubblica<br />

di Domodossola” vennero seguiti dalla stampa d’oltre<br />

confine, specialmente del Ticino più vicino alle cose<br />

italiane per lingua e tradizioni, che si mob<strong>il</strong>itò a favore<br />

dell’Ossola, per cui la vicenda assunse un valore altamente<br />

significativo per la democrazia ancora soffocata,<br />

in quell’autunno 1944, da nazismo e fascismo.<br />

Pure fra gli inevitab<strong>il</strong>i dissensi e contrasti ideologici,<br />

la Giunta operò in modo tale da costituire un positivo<br />

esempio di governo democratico. Ognuno si sforzò<br />

di compiere <strong>il</strong> proprio lavoro al meglio e con notevole<br />

apertura. Per la prima volta nella storia recente del nostro<br />

Paese una donna (la Floreanini) ebbe su piano paritario<br />

responsab<strong>il</strong>ità di governo. I membri del governo,<br />

oltre al normale e gravoso lavoro amministrativo sep-<br />

65


pero dibattere e risolvere, anche se talvolta solo in parte,<br />

argomenti di grande incisività politica che servirono<br />

a coinvolgere la popolazione particolarmente attenta e<br />

quanto si andava svolgendo sotto i propri occhi.<br />

Ovviamente non mancarono attriti, polemiche, prese<br />

di posizione. Come i garibaldini, e quindi i dirigenti<br />

comunisti, lamentarono di essere stati ignorati all’atto<br />

della resa tedesca, anche i democristiani si sentirono<br />

penalizzati nella composizione iniziale della GPG, tanto<br />

che a rappresentare <strong>il</strong> loro partito solo in un secondo<br />

tempo entrò al governo un loro esponente (l’avvocato<br />

Menotti). Così vi furono contrasti tra i comandanti<br />

m<strong>il</strong>itari, pronti a criticare e contestare di volta in volta i<br />

colleghi stessi, <strong>il</strong> governo e la Guardia Nazionale e a ritardare<br />

in definitiva la costituzione del Comando uni-<br />

Note<br />

1 Le “zone libere” che ebbero vita nel 1944 oltre all’Ossola furono,<br />

cronologicamente: Val Ceno (alto Parmense) dal 10-6 all’11-7; Valsesia<br />

da 11-6 a 10-7; Val d’Enza e Val Parma, giugno e luglio; Val<br />

Taro (fra Parma e La Spezia) dal 15-6 al 24-7; Montefiorino (Modena)<br />

dal 17-6 all’1-8; Val Maira e Val Varaita (CN), fine giugno -<br />

21.8; Valli di Lanzo, dal 25-6 a fine settembre; Friuli Orientale, 30-<br />

6 - fine settembre; Bobbio (Piacenza) dal 7-7 al 27-8; Torriglia (Liguria)<br />

primi di luglio - fine agosto; Carnia metà luglio-metà ottobre;<br />

Cansiglio (Belluno) luglio - settembre; Imperia, fine agosto -<br />

metà ottobre; Alba, dal 10 ottobre al 2 novembre; Alto Monferrato,<br />

settembre - 2-12; Varzi fine settembre - 29-11; Alto Tortonese, settembre<br />

- dicembre.<br />

2 Col termine “nazifascisti” si intendono comunemente e complessivamente<br />

le truppe tedesche e italiane, queste organizzate dalla Repubblica<br />

sociale (fascista) vissuta tra <strong>il</strong> settembre 1943 e <strong>il</strong> 25-4-<br />

1945. Tanto la Germania di Hitler quanto la Repubblica di Mussolini,<br />

rette con un sistema totalitario, ammettevano un partito politico<br />

unico: <strong>il</strong> nazionalsocialista in Germania, abbreviato in “nazismo”<br />

e quello fascista in <strong>It</strong>alia. Da qui, riduttivamente, la voce “nazifascista”<br />

per indicare organismi o truppe, operanti congiuntamente,<br />

dei due Stati.<br />

3 Corpo (dei) Volontari (della) Libertà, cioè l’insieme delle Bande o<br />

formazioni partigiane che agivano bellicosamente nel territorio occupato<br />

dai tedeschi e sottoposto all’autorità della Repubblica sociale<br />

italiana di Mussolini. Gli appartenenti (“patrioti” o più comunemente<br />

“partigiani”) non erano tutelati dalla Convenzione di Ginevra<br />

come i m<strong>il</strong>itari degli eserciti regolari belligeranti, essendo considerati<br />

“franchi tiratori”.<br />

4 II generale di Brigata del Genio Giuseppe Perotti (Torino 1895, ivi<br />

1944) componente del primo “comitato m<strong>il</strong>itare” della Resistenza<br />

66<br />

co. Ciò nondimeno, anche per la personalità dei membri<br />

del Governo, segnatamente del presidente Tibaldi<br />

e del segretario Terracini, i dissidi restarono contenuti.<br />

Ognuno fece <strong>il</strong> suo dovere e “<strong>il</strong> banco di prova” dell’esperienza<br />

ossolana resse all’avversa fortuna e al tempo.<br />

In proposito, giova riportare <strong>il</strong> lucido sintetico giudizio<br />

che, a distanza di anni (1989) ne dette <strong>il</strong> nostro<br />

massimo f<strong>il</strong>ologo e critico letterario, <strong>il</strong> domese Gianfranco<br />

Contini: La Resistenza Ossolana è stata un movimento<br />

di popolo, sia nei momenti della clandestinità, sia<br />

in quello palese della collaborazione al Governo provvisorio.<br />

La misura della partecipazione pubblica, in cui ognuno<br />

ebbe qualcosa da pagare o da perdere (e poi da non reclamare),<br />

fu un fatto civ<strong>il</strong>e di rara e non abbastanza sottolineata<br />

r<strong>il</strong>evanza.<br />

piemontese venne catturato a Torino <strong>il</strong> 30-3-1944 e dopo un sommario<br />

processo fuc<strong>il</strong>ato con altri membri del Comitato, <strong>il</strong> 5 apr<strong>il</strong>e<br />

successivo al poligono di tiro del Martinetto.<br />

5 Redi era <strong>il</strong> nome di battaglia, o di copertura, dell’avv. Gianni Citterio<br />

(Monza, 1908, Pieve Vergonte 1944), caduto a Megolo di Pieve<br />

Vergonte col capitano F<strong>il</strong>ippo Beltrami e altri partigiani <strong>il</strong> 13-2-<br />

1944, nel corso di un combattimento sostenuto contro forze tedesche<br />

e di m<strong>il</strong>izia fascista.<br />

6 G.N.R. La “Guardia nazionale repubblicana” istituita dalla Repubblica<br />

sociale italiana di Mussolini raggruppava le forze di polizia,<br />

i carabinieri e le varie “M<strong>il</strong>izie”: confinaria, forestale, ferroviaria<br />

ecc.<br />

7 C.L.N. (A.I.) Comitato di Liberazione Nazionale (Alta <strong>It</strong>alia) costituito<br />

a Roma dai partiti antifascisti all’indomani dell’armistizio<br />

dell’8-9-1943, fu in pratica l’ente di collegamento fra <strong>il</strong> governo legittimo<br />

rimasto nell’<strong>It</strong>alia meridionale, non toccato, per l’andamento<br />

delle operazioni belliche degli Alleati, dall’occupazione tedesca e<br />

i territori dell’<strong>It</strong>alia settentrionale. Il C.L.N. assunse anche autorità<br />

e rappresentatività ufficiale nelle province italiane del Nord man<br />

mano liberate dall’avanzata alleata.<br />

8 Ma più propriamente “territorio liberato” dell’Ossola cioè considerato<br />

come facente parte dello Stato italiano <strong>il</strong> cui governo legittimo<br />

era a Roma, anche se forzatamente con soluzione di continuità<br />

territoriale. In pratica una situazione sim<strong>il</strong>e all’enclave di Campione,<br />

comune italiano a tutti gli effetti anche se completamente inserito<br />

in territorio svizzero.<br />

9 Partito Repubblicano Fascista, che sostituiva <strong>il</strong> P.N.F. (Partito Nazionale<br />

Fascista) cessato <strong>il</strong> 25-7-1943. La nascita del nuovo P.R.F.,<br />

la cui direzione venne assunta da Mussolini, fu da questi annunciata<br />

da Radio Monaco (Germania) <strong>il</strong> 18-9-1943.


Cenni biografici<br />

ANIASI ALDO, Iso. Palmanova (UD) 1921. Comandante della 2 a Garibaldi<br />

«Redi» subentrando a Muneghina. Poi sindaco di M<strong>il</strong>ano, parlamentare,<br />

ministro, presidente F.I.A.P. (Federazione <strong>It</strong>aliana Associazioni<br />

Partigiane). Vive a M<strong>il</strong>ano.<br />

CALZAVARA ARMANDO, Arca, Istrana (TV) 1919 – Roma 2000. Ufficiale<br />

dei Bersaglieri, comandante della «Battisti». Laurea in lingue<br />

estere.<br />

CEFIS EUGENIO, Alberto, Cividale del Friuli 1921 – M<strong>il</strong>ano 2004. Ufficiale<br />

dei Granatieri in s.p.e., comandante della «Valtoce» alla morte<br />

di Di Dio. Laurea in legge, cav. del lavoro, imprenditore.<br />

CURRENO DELLA SANTA MADDALENA GIUSEPPE, colonnello Delle Torri.<br />

Carrù (Cn) 1894 - Torino 1964. Colonnello di Cavalleria in s.p.e.<br />

(poi generale), laurea in legge. Capo di stato maggiore del «Comando<br />

unico di zona Ossola». Un suo giovanissimo figlio, Giacomino<br />

di 16 anni, partigiano nelle Langhe venne catturato e fuc<strong>il</strong>ato dai fascisti<br />

nel marzo 1945.<br />

DI DIO ALFREDO EMMA, Marco, Palermo 1920 - Malesco 1944. Ufficiale<br />

dei Carristi in s.p.e., comandante della «Valtoce», morto al<br />

Sasso di Finero (Malesco) <strong>il</strong> 12-10-44. Il fratello ANTONIO (Palermo<br />

1922 - Pieve Vergonte 1944) era caduto assieme al capitano Beltrami<br />

nel febbraio precedente a Megolo. La tomba di famiglia del Beltrami<br />

a Cireggio di Omegna conserva anche le spoglie dei due sfortunati<br />

fratelli.<br />

FLOREANINI GISELLA, M<strong>il</strong>ano 1906 - ivi 1993. Col nome di copertura<br />

di Amelia Valli partecipò nell’autunno 1944 al governo dell’Ossola<br />

quale commissario all’assistenza, in rappresentanza del Partito<br />

comunista cui aveva aderito nel 1941 dopo una prima giovan<strong>il</strong>e<br />

m<strong>il</strong>itanza nel Partito socialista clandestino. Alla caduta della «repubblica»<br />

ossolana seguì i garibaldini in Val Sesia. Nel dopoguerra venne<br />

nominata presidente del C.L.N. di Novara liberata, poi consigliere<br />

comunale a Domodossola e successivamente a M<strong>il</strong>ano, infine<br />

eletta al Parlamento nelle due prime legislature repubblicane. Rivestì<br />

poi ancora numerose cariche di prestigio sino alla morte. Per suo<br />

espresso desiderio, è sepolta a Domodossola, la città che La fece ricordare<br />

come la prima “donna-ministro” nella storia d’<strong>It</strong>alia.<br />

FRASSATI FILIPPO, Pippo. Pistoia 1920 - ivi 1992. Ufficiale di Fanteria<br />

in s.p.e., comandante della brigata «Perotti». Nel dopoguerra eletto<br />

al consiglio comunale di Verbania, docente di storia m<strong>il</strong>itare all’Università<br />

di Pisa. Per suo espresso desiderio è sepolto a Cannobio,<br />

la città che lo vide protagonista di significativi fatti d’arme nel<br />

periodo della Resistenza.<br />

GASTONE ERALDO, Ciro. Torino 1913 - Novara 1986. Ufficiale di<br />

Aviazione in s.p.e., comandante del Raggruppamento Divisioni<br />

«Garibaldi» del Biellese, Valsesia, Alto Novarese. Poi deputato<br />

al Parlamento, senatore e presidente dell’Istituto storico della Resistenza<br />

di Novara.<br />

MONETA ATTILIO, Malesco 1893 - ivi 1944. Colonnello di Cavalleria<br />

in s.p.e., comandante della «Guardia nazionale». Morto al Sasso di<br />

Finero (Malesco) <strong>il</strong> 12 ottobre.<br />

MOSCATELLI VINCENZO, Cino. Novara 1908 - Borgosesia 1981. Commissario<br />

politico delle formazioni «Garibaldi». Poi sindaco di Novara,<br />

deputato al Parlamento, senatore e infine presidente dell’Istituto<br />

storico della Resistenza di Borgosesia.<br />

MUNEGHINA MARIO, capitano Mario. Cuneo 1900 - Verbania 1987.<br />

Impiegato tecnico. Comandante della «Valgrande martire», poi della<br />

2 a Divis. Garibaldi «Redi» che lasciò entrando con la sua Brigata<br />

nella divisione «Flaim» che operava nell’Intrese.<br />

RUTTO BRUNO, Omegna 1921 - ivi 1986. Impiegato tecnico. Ufficiale<br />

degli Alpini, comandante della divisione alpina «F. Beltrami».<br />

SCRITTORI UGO, Mirko. Lusigny (Francia) 1912 – V<strong>il</strong>ladossola 1996.<br />

Operaio. Soldato del Corpo Automob<strong>il</strong>istico, comandante del Btg.<br />

autonomo “Fabbri” trasformatosi poi nella 83 a Brig. garibaldina<br />

«Comolli».<br />

SUPERTI DIONIGI. Napoli 1902 - Madrid 1968. Comandante della<br />

«Valdossola». Le sue spoglie nel 1988 vennero traslate da Madrid al<br />

cimitero di Premosello Chiovenda, località di origine della formazione<br />

da lui comandata.<br />

STUCCHI GIOV. BATTISTA, colonnello Federici, Monza 1899 - ivi 1980. Ufficiale<br />

degli Alpini, avvocato. Resse <strong>il</strong> «Comando Unico zona Ossola».<br />

VIGLIO PIETRO CARLO, Novara 1919 - M<strong>il</strong>ano 1995. Laurea in scienze<br />

economiche. Comandante brig. «Matteotti».<br />

TIBALDI ETTORE, Bornasco (PV) 1887 - Certosa (PV) 1968. Volontario<br />

nella 1 a guerra mondiale, medico. Nel 1926 abbandona Pavia<br />

per attività antifascista evitando <strong>il</strong> «confino» grazie alla ferita<br />

di guerra. Prende servizio all’Ospedale di Domodossola divenendone<br />

primario medico. Profugo in Svizzera verso la fine del 1943. Presidente<br />

della Giunta provvisoria di governo dell’Ossola libera. Poi<br />

primo sindaco eletto di Domodossola (1946); eletto al Senato nel<br />

1953 e riconfermato nelle legislature successive.<br />

VEZZALINI ENRICO, Ceneselli (RO) 1904 - Novara 1945. Avvocato,<br />

prefetto di Novara dal 22.7.1944 al 15.1.1945, condannato dalla<br />

Corte straordinaria delle Assisi di Novara alla pena capitale mediante<br />

fuc<strong>il</strong>azione alla schiena, eseguita <strong>il</strong> 23.9.1945.<br />

Bibliografia<br />

Anita Azzari “L’Ossola nella Resistenza italiana”, 2 a ed., Ornavasso<br />

2004.<br />

Hubertus Bergwitz. “Una libera Repubblica nell’Ossola partigiana”,<br />

M<strong>il</strong>ano 1979.<br />

Mario Giarda e Guido Maggia. “Il governo dell’Ossola”, 2 a ed., S.<br />

Pietro Mosezzo 1989.<br />

Guido Maggia (a cura di). “I giornali dell’Ossola libera”, Novara<br />

1974.<br />

Ettore Tibaldi. “L’opera della Giunta Provvisoria di Governo nell’Ossola<br />

liberata dall’8 settembre al 22 ottobre 1944”, Domodossola 1945.<br />

67


Archeologia<br />

Alberto De Giuli<br />

Le tracce del passato<br />

L’Ossola, situata nel gruppo delle Alpi Lepontine, con<br />

le sue sette valli laterali è una delle maggiori vallate a<br />

sud dell’arco alpino. Essa è stata interessata da tutte le<br />

glaciazioni, che l’hanno sagomata nella tipica forma ad<br />

U delle valli glaciali, spianando terrazzi, levigando pietre<br />

e ghiaie, cancellando però le eventuali tracce della<br />

presenza umana nel paleolitico.<br />

Dopo l’ultima glaciazione, con la modifica del clima, la<br />

valle si è ricoperta di vegetazione, determinandosi così<br />

l’ambiente che ha favorito la comparsa degli animali<br />

provenienti dalla pianura e, conseguentemente, sulle<br />

loro tracce, la presenza di gruppi di cacciatori durante<br />

le stagioni favorevoli alla caccia; a partire presumib<strong>il</strong>mente<br />

dal neolitico, come è documentato anche per altre<br />

vallate a sud e nord delle Alpi, l’uomo vi si insediò<br />

stab<strong>il</strong>mente.<br />

I primi abitanti della Val d’Ossola provenivano, con<br />

ogni probab<strong>il</strong>ità, dalla vicina pianura Padana che, come<br />

dice Rittatore, fu un crogiolo di popoli antichi. Un sostrato<br />

mesolitico fu gradualmente modificato da influssi<br />

culturali neolitici, che portarono innovazioni decisamente<br />

determinanti, pur restando molto importante<br />

l’economia venatoria.<br />

Con l’avvento dell’età dei metalli, nell’arco alpino e<br />

sensib<strong>il</strong>mente anche nell’Ossola, si avverte un notevole<br />

cambiamento, segnato in particolare, oltre che dalla<br />

importante innovazione tecnologica della metallurgia,<br />

anche dall’introduzione dell’aratro, del carro trainato<br />

da animali e, per quanto riguarda l’industria litica, dalla<br />

presenza di asce a martello e di pietre da lancio.<br />

Tali novità furono portate probab<strong>il</strong>mente da popolazioni<br />

di stirpe ligure e quindi originarie del vicino oriente.<br />

Montecrestese, frazione Roldo: tempietto lepontico (sec. I d.C.) sopraelevato in torre.<br />

Le grandi migrazioni di popoli da oriente a occidente,<br />

avvenute all’inizio dell’età del rame, trovano una suggestiva<br />

eco nei miti greci di Cadmo, Eracle, Giasone e gli<br />

Argonauti e dei loro grandi itinerari alla ricerca del prezioso<br />

metallo.<br />

Rare citazioni di autori di epoca greco-romana tramandano<br />

per la prima volta <strong>il</strong> nome dei Leponzi quali abitanti<br />

della Valle Ossola in età repubblicana, senza però<br />

fornire altre notizie sulla loro entità etnico-politica.<br />

Va ricordato che l’età del ferro fu <strong>il</strong> periodo delle invasioni<br />

galliche, quindi un momento di ulteriore mescolamento<br />

di popoli e culture; è forse in questa epoca che<br />

avvennero le maggiori inf<strong>il</strong>trazioni nelle vallate a quote<br />

più elevate da parte di coloro che cercavano riparo dalle<br />

scorrerie celtiche.<br />

Un dato certo sulla presenza dei Leponzi nella nostra<br />

terra è quello riportato dal trofeo delle Alpi di La Turbie,<br />

fatto innalzare nel 7-6 a.C. dal senato e dal popolo romano<br />

per celebrare la vittoria di Augusto sui popoli alpini<br />

e <strong>il</strong> cui testo è stato riportato per intero da Plinio <strong>il</strong><br />

Vecchio: in esso i Leponzi sono ufficialmente nominati<br />

fra le ...gentes alpinae devictae, cioè tutte le popolazioni<br />

alpine sottomesse dagli eserciti dell’imperatore, elencate<br />

da est a ovest.<br />

Altri autori accennano seppure scarsamente ai Leponzi:<br />

Polibio poco chiaramente; Cesare, nel suo De bello gallico,<br />

colloca <strong>il</strong> loro territorio alle sorgenti del Reno; S<strong>il</strong>io<br />

<strong>It</strong>alico, nel suo poema epico Punica, cita un leponzio<br />

che combatte a fianco di Annibale disceso dalle Alpi<br />

contro i Romani; Tolomeo poi, nel II secolo d.C. indicherà<br />

in Oscela Lepontiorum, l’odierna Domodossola,<br />

la capitale di questo popolo e della provincia romana<br />

delle Alpi Atrezziane, ricordata poi ancora dall’Ano-<br />

69


Ara dedicata a Giove, ritrovata a Candoglia.<br />

nimo ravennate con altre città dell’<strong>It</strong>alia settentrionale,<br />

come Ox<strong>il</strong>ia, e con grafia lievemente diversa da Guidone:<br />

Oss<strong>il</strong>la.<br />

Per sapere di più dobbiamo quindi affidarci ai ritrovamenti<br />

archeologici che da poco più di un secolo a questa<br />

parte sono stati effettuati grazie ad appassionati studiosi<br />

locali, i quali hanno contribuito e contribuiscono<br />

alla scoperta, al recupero o alla segnalazione delle testimonianze<br />

venute alla luce, testimonianze riferib<strong>il</strong>i nella<br />

maggior parte a corredi tombali, forse perché i più fac<strong>il</strong>i<br />

a individuarsi, e datab<strong>il</strong>i per la quasi totalità all’epoca<br />

romana.<br />

Più recenti sono state le scoperte di materiali attribuib<strong>il</strong>i<br />

al mesolitico, al neolitico, all’eneolitico, all’età del<br />

bronzo e alla prima età del ferro e l’individuazione di<br />

incisioni rupestri, costituite per lo più, ad eccezione degli<br />

aff<strong>il</strong>atoi sul colle di Mattarella, della pietra del Merleri<br />

e della roccia della fecondità in Valle Antrona, da<br />

coppelle che, mancando di un preciso contesto archeologico,<br />

non permettono di esprimere per ora dei sicuri<br />

giudizi né sull’epoca, né sui motivi della loro esecuzione.<br />

Del 1986 è la scoperta fatta all’ Alpe Veglia, in comune<br />

di Varzo, di manufatti litici rivelanti stanziamenti<br />

stagionali di cacciatori dell’epipaleolitico (IX-VI m<strong>il</strong>lennio<br />

a.C.), tuttavia tracce di insediamenti preistorici<br />

più o meno antichi sono documentate un po’ dovunque<br />

nella Valle Ossola. Reperti molto interessanti sono<br />

quelli provenienti da Mergozzo; si tratta di ceramica ad<br />

impasto grossolano non lavorata al tornio e di manufatti<br />

litici in selce e, in minor quantità, in quarzo: geometrici,<br />

denticolati, grattatoi, raschiatoi, becchi, lame, pugnali,<br />

cuspidi di freccia e molte altre tipologie di attrezzi,<br />

nonché molti scarti di lavorazione, a testimoniare <strong>il</strong><br />

fatto che la lavorazione della pietra avveniva sul posto.<br />

Si sono pure rinvenute un’ascia in pietra levigata ed una<br />

con foro passante per l’immanicatura, del tipo di quella<br />

proveniente dall’alpe Pontigei, in comune di Baceno.<br />

Tutto questo materiale si può far risalire ad un periodo<br />

che va dal neolitico all’età del bronzo.<br />

Altri manufatti in selce rinvenuti a Gravellona Toce, a<br />

Pedemonte ed a Montecrestese risalgono perlomeno all’età<br />

del bronzo, mentre attribuib<strong>il</strong>i al bronzo medio<br />

sono <strong>il</strong> pugnale e l’ascia a paletta in bronzo rinvenuti rispettivamente<br />

sull’ Arbola ed a Folsogno in VaI Vigezzo.<br />

Della prima età del ferro sono alcuni frammenti fitt<strong>il</strong>i<br />

rinvenuti in località Motto a Gravellona Toce, come<br />

pure alcune tombe della necropoli di Pedemonte e una<br />

sepoltura venuta alla luce a Montecrestese che contenevano<br />

ceramica della fase finale della cultura di Golasecca,<br />

detta Golasecca IIIA (V-IV sec. a.C.).<br />

Lo sv<strong>il</strong>uppo maggiore della zona ossolana avvenne in<br />

età gallo-romana, tra la fine dell’epoca repubblicana ed<br />

<strong>il</strong> primo secolo dell’impero.<br />

Con la romanizzazione si verificò una uniformità culturale<br />

e linguistica che prima non esisteva e che andò aumentando<br />

sempre più in epoca imperiale; ciò è testimoniato<br />

da ritrovamenti, quasi esclusivamente provenienti<br />

da necropoli o da contesti tombali, che vanno da quelli<br />

copiosi di Ornavasso, Gravellona Toce, Mergozzo, Bannio<br />

Anzino, Masera, Malesco, ad altri meno abbondanti,<br />

ma comunque significativi come quelli di Baceno e<br />

Rivera, al punto da poter affermare, osservando sulla<br />

carta topografica la loro distribuzione, che gli abitati attuali<br />

erano già quasi tutti esistenti duem<strong>il</strong>a anni fa.<br />

71


Importanti sono anche alcuni ritrovamenti relativi all’epoca<br />

tardo-romana e paleocristiana: in particolare,<br />

a Candoglia, nel sagrato dell’oratorio romanico di<br />

San Graziano, oltre ad un’ara dedicata a Giove, vennero<br />

messe in luce diverse sepolture ed un edificio a pianta<br />

rettangolare, distrutto nel IV secolo d. C., mentre a<br />

San Giovanni in Montorfano furono reperiti un battistero<br />

paleocristiano (V-VI d.C.) e le fondamenta di una<br />

chiesa triabsidata di epoca carolingia.<br />

Storia dei ritrovamenti e degli scavi in Ossola<br />

L’interesse per le testimonianze del mondo antico in<br />

Ossola si può far risalire almeno al 1600. Sono di quell’epoca<br />

infatti le prime segnalazioni di documenti epigrafici,<br />

considerab<strong>il</strong>i come reperti archeologici: si tratta<br />

dell’epigrafe del ponte dell’Orco di Crevoladossola, citata<br />

dal Morigia e dal Bescapè e di quella del ponte alla<br />

Masone di Vogogna, citata dal Borri.<br />

A partire dall’Ottocento, si ebbero le prime segnalazioni<br />

di ritrovamenti archeologici, per la maggior parte oggetti<br />

riferib<strong>il</strong>i a corredi tombali, segnalazioni generalmente<br />

riportate in studi monografici su paesi, come ad<br />

esempio, quelle relative a Malesco, riportate dal Pollini<br />

nel 1896, riferite a sepolture rinvenute tra <strong>il</strong> 1829 e<br />

<strong>il</strong> 1881. Tra <strong>il</strong> 1800 e <strong>il</strong> 1900, in diverse località ossolane<br />

furono segnalati ritrovamenti, che andarono sempre<br />

aumentando, fino a rappresentare, in una mappa territoriale,<br />

quasi tutti gli attuali centri abitativi; tutti i ritrovamenti<br />

fino al 1993 sono stati riuniti in un volume da<br />

Pierangelo Caramella e Alberto De Giuli.<br />

72<br />

Nell’Ottocento, emergono per importanza le scoperte<br />

archeologiche di Masera, dovute ai cavalieri Francesco<br />

e Felice Mellerio, relative agli anni dal 1853 al 1893 e<br />

già segnalate dal Bazetta e dal Pollini. Nel Novecento si<br />

segnalano come importanti ritrovamenti casuali la scoperta<br />

della necropoli di Bannio Anzino, segnalata nel<br />

1937 e fatta oggetto di ulteriori indagini tra <strong>il</strong> 1953 e <strong>il</strong><br />

1956, da Michele Bionda, contenente materiali datab<strong>il</strong>i<br />

tra la prima metà del I sec. a. C. e la prima metà del I<br />

d. C. e la scoperta, avvenuta nel 1966 da parte di Dario<br />

Zani, del pugnale dell’Arbola, in alta Val Formazza,<br />

attribuib<strong>il</strong>e all’età del bronzo medio.<br />

Solo con Enrico Bianchetti, alla fine del 1800, avvenne<br />

<strong>il</strong> primo scavo sistematico, condotto con metodologie<br />

che si possono considerare scientifiche per quei tempi:<br />

si tratta delle note necropoli di Ornavasso, denominate<br />

di “San Bernardo” e “In Persona”, attribuib<strong>il</strong>i al periodo<br />

dal II sec. a. C. alla prima età imperiale, di cui furono<br />

individuati dal Bianchetti 165 nuclei tombali ciascuna.<br />

La necropoli di S. Bernardo fu oggetto, nel 1941<br />

e nel 1952, di ulteriori indagini di scavo da parte della<br />

Sovrintendenza; gli archeologi Carducci e Lo Porto<br />

riportarono in luce rispettivamente 7 e 9 sepolture. Il<br />

materiale è conservato presso <strong>il</strong> Museo del Paesaggio di<br />

Verbania. Sempre alla fine dell’Ottocento, a Mergozzo,<br />

Egisto Galloni scavava la necropoli de “La Cappella”,<br />

portando alla luce 32 tombe. Seguirono i ritrovamenti<br />

casuali nel 1934 e nel 1968 di altre tre tombe, mentre<br />

nel 1970 <strong>il</strong> Gruppo Archeologico Mergozzo (G.A.M.),<br />

diretto da Alberto De Giuli, completò lo scavo della<br />

Vasellame in vetro dalle necropoli di Mergozzo (I-II secolo d. C.). Olpi di terracotta da corredo funerario.


zona orientale della necropoli, con <strong>il</strong> ritrovamento di<br />

ulteriori 5 sepolture, per un totale di 40; si ipotizza uno<br />

sv<strong>il</strong>uppo della necropoli in un terreno sito ad occidente.<br />

I ritrovamenti fino ad ora reperiti sono datab<strong>il</strong>i ai primi<br />

due secoli dell’era volgare. Ancora a Mergozzo, negli<br />

anni 1939 - 1940, Giovanni Braganti riportò alla luce<br />

49 nuclei tombali appartenenti ad una più vasta necropoli,<br />

denominata di “Praviaccio”, datab<strong>il</strong>e al periodo<br />

compreso tra <strong>il</strong> I e <strong>il</strong> III sec. d. C. Nel 1969, <strong>il</strong> G.A.M.<br />

scavò ulteriori 7 nuclei tombali. Parte del materiale delle<br />

necropoli di Mergozzo è conservato presso l’Antiquarium,<br />

<strong>il</strong> Civico Museo Archeologico di Mergozzo.<br />

Negli anni dal 1954 al 1959, a Gravellona Toce, furono<br />

rinvenuti una necropoli di complessivi 128 nuclei tombali<br />

datab<strong>il</strong>i dal V sec. a. C. al IV d. C. e le fondamenta<br />

di vari edifici di epoca romana imperiale. Il ritrovamento<br />

è da attribuirsi a Felice Pattaroni, che ricevette dalla<br />

Sovrintendenza l’incarico di seguire e coordinare le attività<br />

di scavo. Il materiale è conservato presso la Sovrintendenza<br />

ai Beni Archeologici di Torino; recentemente<br />

una parte ha trovato esposizione presso <strong>il</strong> Museo Archeologico<br />

di Torino. Nell’anno 1967, Alberto De Giuli<br />

scoprì in località Rubianco di Mergozzo i resti di una<br />

fornace per laterizi di epoca romana imperiale; lo scavo<br />

sistematico, che durò fino al 1972, fu condotto dal<br />

G.A.M. su autorizzazione della Sovrintendenza. Presso<br />

la chiesa di San Graziano a Candoglia, furono rinvenuti<br />

in anni diversi tra <strong>il</strong> 1903 e <strong>il</strong> 1965, alcuni importanti<br />

reperti fra i quali primeggia un’ara dedicata a Giove,<br />

di epoca romana imperiale, recante l’iscrizione IS DEI<br />

IOVI AEDEM, scoperta da don Gamallero nel 1964.<br />

Nel 1968, fu eseguito, nel sagrato della medesima chiesa,<br />

uno scavo che mise in luce un edificio a pianta rettangolare<br />

dalle dimensioni interne di metri 20 x 11, diviso<br />

in vari ambienti, distrutto da un incendio non più<br />

tardi della prima metà del IV sec. d.C. L’edificio, di cui<br />

furono eseguiti i r<strong>il</strong>ievi, non è più visib<strong>il</strong>e; i materiali ed<br />

i disegni relativi allo scavo sono conservati presso l’Antiquarium<br />

di Mergozzo.<br />

Nel 1970 <strong>il</strong> G.A.M. promosse <strong>il</strong> restauro della Chiesa di<br />

San Giovanni in Montorfano; nel corso dei lavori furono<br />

effettuati dei sondaggi che permisero di individuare,<br />

nel 1972, all’esterno i resti di una precedente chiesa<br />

triabsidata di epoca preromanica, all’interno un bat-<br />

Chiesa romanica di San Giovanni in Montorfano.<br />

tistero paleocristiano. Gli scavi vennero continuati dal<br />

G.A.M. a partire dal 1980 e ultimati nel 1983 dalla Sovrintendenza<br />

ai Beni Archeologici del Piemonte. Il resti<br />

delle murature del battistero e della chiesa preromanica<br />

sono tuttora visib<strong>il</strong>i. In occasione di lavori di scavo<br />

o di sterro che, per ragioni diverse e in varie località, furono<br />

effettuati nel territorio di Mergozzo, si verificarono<br />

frequenti ritrovamenti casuali e sporadici di elementi<br />

in selce, che indussero Alberto De Giuli ad ipotizzare<br />

un insediamento umano stab<strong>il</strong>e in epoca preistorica.<br />

Il sito ideale venne individuato in località Ronco, per la<br />

sua priv<strong>il</strong>egiata posizione in luogo soleggiato ed ameno<br />

poco discosto dal lago.<br />

Qui <strong>il</strong> De Giuli eseguì sopralluoghi frequenti e sistematici,<br />

fino a ritrovare, nell’inverno del 1972 alcuni manufatti<br />

litici e frammenti di ceramica ad impasto grossolano.<br />

Con l’autorizzazione della Sovrintendenza, <strong>il</strong><br />

G.A.M. nel 1973, eseguì un sondaggio che confermò<br />

73


la possib<strong>il</strong>ità di un insediamento datab<strong>il</strong>e a partire dal<br />

Neolitico. I numerosi manufatti litici reperiti sono conservati<br />

ed esposti presso l’Antiquarium di Mergozzo.<br />

A Craveggia, dove già nell’Ottocento erano stati rinvenuti<br />

reperti di epoca romana imperiale, negli anni 1980<br />

e seguenti, la Soprintendenza eseguì in diverse riprese<br />

scavi sistematici in località Marlé, dove nel 1978 erano<br />

venuti alla luce casualmente alcune sepolture delimitate<br />

da lastre di pietra, ma prive di corredo. I ritrovamenti<br />

di Craveggia consistono in una discreta necropoli di<br />

epoca romana imperiale, protrattasi sino al VI e VII sec.<br />

d.C. All’Alpe Veglia, in comune di Varzo, sono stati effettuati<br />

degli scavi condotti dal prof. Ghiretti dell’Università<br />

di Ferrara che hanno riportato in luce un’ampia<br />

Vogogna: la Rocca Superiore (sec. XIV).<br />

74<br />

gamma di manufatti litici, tali da rivelare la presenza di<br />

uno stanziamento stagionale di cacciatori che frequentarono<br />

la zona nell’ultimo periodo glaciale, vale a dire<br />

nel Mesolitico (IX- VI m<strong>il</strong>lennio a. C.).<br />

Ulteriori sondaggi sono stati effettuati in altre zone dell’Alpe,<br />

precisamente al Balm della Vardaiola, che hanno<br />

rivelato presenze umane anche dell’età del ferro.<br />

Bibliografia<br />

Caramella P.- De Giuli A., Archeologia dell’Alto Novarese, Mergozzo,<br />

1993.<br />

Copiatti F., De Giuli A., Priuli A., Incisioni rupestri e megalitismo nel<br />

Verbano Cusio Ossola, Domodossola, 2003


Ambiente e Natura


Un paesaggio verticale<br />

Renzo Mortarotti<br />

L’Ossola è un’unità geografica<br />

L’Ossola è una regione tipicamente montana; le sue catene<br />

di monti, emerse dal mare in epoche remote, ne<br />

formano interamente lo scheletro, possente e solidissimo.<br />

Tra catena e catena si aprono le valli laterali strette e<br />

tortuose, che confluiscono tutte nell’ampio e basso fondovalle<br />

ossolano, percorso dal Toce e dove si addensa la<br />

maggior parte della popolazione. L’Ossola ha confini<br />

ben tracciati, che seguono quasi ovunque i crinali e le<br />

cime dei monti, e che perciò la delimitano in modo preciso<br />

e rigoroso. Essa occupa una posizione molto importante<br />

nella regione alpina; nell’Ossola infatti, e precisamente<br />

al Passo del Sempione, la muraglia gigantesca<br />

e quasi invalicab<strong>il</strong>e delle Alpi Pennine si incontra con<br />

la catena delle Alpi Lepontine, più bassa e meno ardita<br />

e perciò ricca di fac<strong>il</strong>i valichi: Passi del Sempione (m<br />

2096), dell’Arbola (m 2409), del Gries (m 2463), di S.<br />

Giacomo (m 2313).<br />

Aperta a sud verso la dolce regione dei laghi, l’Ossola è<br />

percorsa da importanti vie di comunicazione che, attraverso<br />

le sue valli laterali, conducono nella vicina Svizzera<br />

e che perciò hanno sempre avuto una grande importanza<br />

nella storia secolare della nostra regione, sia in<br />

campo economico quanto sul piano politico e m<strong>il</strong>itare.<br />

La sua forma vagamente triangolare ha suscitato nelle<br />

fantasie le immagini più diverse: di un cuneo piantato<br />

verso nord in territorio svizzero; di una foglia d’edera<br />

con sette nervature, che formano le valli laterali; di un<br />

albero col ceppo nel Monte Orfano, all’imbocco dell’Ossola,<br />

e col tronco che stende i suoi rami più verso<br />

occidente che verso oriente, e poi si assottiglia fino a<br />

terminare con la punta nel Passo del Gries.<br />

La linea di confine dell’Ossola è piatta e comoda soltanto<br />

a sud verso <strong>il</strong> Verbano e <strong>il</strong> Cusio; per <strong>il</strong> resto corre<br />

quasi sempre alta e impervia sui crinali che la separano<br />

dalle regioni confinanti: la Val Strona e poi la Val Sesia<br />

dal Monte Massone fino al Monte Rosa; <strong>il</strong> Canton Vallese<br />

dal Monte Rosa al Passo del Gries; <strong>il</strong> Canton Ticino<br />

dal Passo del Gries alle rocce del Gridone (Vigezzo);<br />

da ultimo la selvaggia Val Grande, separata dall’Ossola<br />

da un’aspra catena che dal Monte Laurasca, in territorio<br />

di Malesco, corre fino al Monte Faié, in territorio di<br />

Mergozzo. L’Ossola forma così una meravigliosa unità e<br />

un tutto organico, pur nella sua estrema varietà di terreni,<br />

di rocce, di climi e di piante.<br />

Un paesaggio verticale<br />

Se si eccettua <strong>il</strong> tratto pianeggiante da Crevoladossola a<br />

Mergozzo, <strong>il</strong> paesaggio dell’Ossola è tipicamente alpestre:<br />

esso si arrampica ripidamente, con qualche breve<br />

sosta su ripiani e terrazzi, e ci porta in breve tratto dal<br />

piatto fondovalle ossolano alle altezze vertiginose della<br />

grande catena alpina. Quanto erta sia questa arrampicata<br />

lo si può capire se si considera che Domodossola,<br />

a soli 272 metri sul mare, non dista più di 17 km dai<br />

4023 metri della Weissmies e che Piedimulera a 247<br />

metri di altezza è a circa 25 km dalla vetta del Monte<br />

Rosa (m 4637).<br />

In questo paesaggio, movendoci dall’alto verso <strong>il</strong> basso,<br />

distinguiamo tre fasce. La prima, priva di vegetazione e<br />

dai caratteri aspri dell’alta montagna, è <strong>il</strong> dominio delle<br />

nevi eterne, di ghiacci, delle pietraie, dei dirupi precipitosi,<br />

delle piccole e azzurre conche lacustri. La seconda<br />

fascia è quella rivestita di pascoli e boschi: gli alti pascoli<br />

alpini danno <strong>il</strong> loro prodotto di erbe aromatiche<br />

e saporite senza che oggi l’uomo vi impieghi più <strong>il</strong> suo<br />

lavoro di bonifica da sassi e sterpaglie. Anche i boschi,<br />

che succedono ai pascoli, crescono per lo più da sé, quasi<br />

abbandonati alla forza della natura: fino ai 1500 metri<br />

prevalgono le latifoglie (roveri, aceri, betulle e faggi);<br />

77


poi succedono le aghifoglie (abeti e larici), che si spingono<br />

fino ai 2000 metri. La terza fascia, quella dei prati<br />

e dei campi, è la più ridotta in estensione, ma anche<br />

la più redditizia e la più curata dalla mano dell’uomo,<br />

soprattutto nei tempi passati, quando produceva tutto<br />

quanto serviva alla povera alimentazione del montanaro<br />

ossolano.<br />

E quale immenso e faticosissimo lavoro ha fatto l’uomo<br />

per rendere coltivab<strong>il</strong>i i pendii delle nostre montagne!<br />

Osservate un po’ come esse sono intagliate a gradini,<br />

con muretti di pietra che sostengono tanti terrazzetti<br />

artificiali, messi uno sopra l’altro fino ad altezze incredib<strong>il</strong>i.<br />

Ebbene, queste gradinate le hanno fatte i nostri<br />

antenati, che hanno riplasmato la montagna per ricavarne<br />

praticelli e campetti, dove coltivare la vigna e la<br />

segale. Oggi queste terrazzature sono in gran parte brulle<br />

o coperte di boscaglie, che hanno preso <strong>il</strong> sopravvento<br />

sull’opera dell’uomo.<br />

I monti più alti delle valli ossolane sono <strong>il</strong> Blinnenhorn<br />

(m 3375) in Formazza, l’Arbola (m 3235) in Val Devero,<br />

<strong>il</strong> Monte Leone (m 3552) in Val Divedro, lo Straciugo<br />

(m 2712) in Val Bognanco, l’Andolla (m 3656) in<br />

Val Antrona, <strong>il</strong> Monte Rosa (m 4637) in Val Anzasca, la<br />

Scheggia (m 2466) in Val Vigezzo, <strong>il</strong> Pizzo del Lago Gelato<br />

(m 2614) nella spopolata valle dell’Isorno.<br />

Gli insediamenti umani<br />

Un tempo la gente dell’Ossola viveva raggruppata in<br />

piccoli centri abitati, che soprattutto nelle vallate, dove<br />

più intensa ferveva la vita agricola e pastorale, erano di<br />

norma piccoli o piccolissimi; magari solo un pugno di<br />

case. Rarissime le abitazioni isolate. Questi insediamenti<br />

sono sorti dove minore era <strong>il</strong> danno al terreno produttivo:<br />

le case stavano addossate le une alle altre e talora<br />

spuntavano dalla roccia, proprio per risparmiare <strong>il</strong><br />

più possib<strong>il</strong>e la scarsa quantità di terreno agricolo.<br />

La maggior parte di questi v<strong>il</strong>laggi li vediamo ancor<br />

oggi punteggiare di bianco i pendii delle nostre montagne.<br />

Altri sono costruiti nei fondovalle pianeggianti,<br />

come la lunga serie dei v<strong>il</strong>laggi formazzini oppure la<br />

successione dei grossi paesi distesi sull’altopiano vigezzino:<br />

Malesco, Santa Maria Maggiore, Druogno. Nella<br />

Val d’Ossola i paesi più importanti invece sorgono<br />

allo sbocco delle valli laterali, là dove i torrenti scarica-<br />

78<br />

no nel piano i loro detriti formando ammassi di materiale,<br />

che per la loro forma prendono <strong>il</strong> nome di coni di<br />

deiezione. Così Ornavasso, costruito sul cono di deiezione<br />

del torrente S. Carlo, così Pieve Vergonte su quello<br />

del Marmazza, così Domo su quello del Bogna, così<br />

Premosello su quello del Riale, così V<strong>il</strong>la che dalle frazioni<br />

primitive addossate alla montagna è venuta via via<br />

occupando tutto <strong>il</strong> cono di deiezione dell’Ovesca con<br />

officine e case di abitazione. E l’elenco potrebbe continuare,<br />

comprendendo anche Crodo in Val Antigorio,<br />

disteso sul cono dell’Alfenza.<br />

Tutte le vecchie dimore ossolane, comprese le baite di<br />

montagna, sono costruite in pietra. Nell’Ossola la materia<br />

prima, con cui l’uomo ha ricreato l’ambiente su<br />

sua misura, è la pietra. Di pietra sono i muri delle case<br />

e delle chiese, i tetti di grigie piode, le scale, i balconi, i<br />

campan<strong>il</strong>i, i selciati e i lastricati delle case, i muretti di<br />

confine, gli abbeveratoi per <strong>il</strong> bestiame, le fontane, i lavatoi<br />

ecc. La vecchia Ossola è tutta di pietra, eccetto le<br />

case dei Walser di Macugnaga e di Formazza, che dal<br />

natio Vallese hanno portato con sé la tecnica del legno.<br />

Coll’arrivo delle strade e delle ferrovie arriveranno anche<br />

i mattoni, le tegole in cotto e <strong>il</strong> cemento, che pian<br />

piano trasformeranno <strong>il</strong> vecchio paesaggio ossolano.<br />

Le acque sono la fortuna e <strong>il</strong> castigo dell’Ossola<br />

II fiume che attraversa 1’Ossola nel suo bel mezzo prende<br />

<strong>il</strong> nome di Toce a Riale di Formazza, dove confluiscono<br />

i suoi rami sorgentiferi: i torrenti Hohsand, Gries<br />

e Roni. È lungo circa 80 km e a Candoglia registra una<br />

portata media di 68 m 3 al secondo, una massima di m 3<br />

1400 e una minima invernale di m 3 13. Il primo tratto,<br />

che va dalla sorgente alla forra di Pontemaglio, è spesso<br />

incassato in gole profonde e ha carattere torrentizio, con<br />

una pendenza media del 5,6%. Il secondo tratto, che va<br />

da Pontemaglio a Vogogna, con una pendenza media<br />

dello 0,50%, non ha più l’irruenza del torrente montano,<br />

ma neppure la tranqu<strong>il</strong>lità del fiume di pianura.<br />

In questo tratto, modestamente inclinato, scaricano le<br />

loro acque nel Toce i suoi principali affluenti: sulla destra<br />

la Diveria, <strong>il</strong> Bogna, l’Ovesca e l’Anza; sulla sinistra<br />

l’Isorno e <strong>il</strong> Melezzo. Tutti questi corsi di acqua durante<br />

le piene si avventano con grande furia nel piano<br />

dell’Ossola, trascinando una massa enorme di materia-


Monte Rosa, <strong>il</strong> ghiacciaio del Belvedere.<br />

le solido (sassi e ciottoli), che ha inghiaiato e sopraelevato<br />

questo tratto di valle; guardando dall’alto si ha l’impressione<br />

che <strong>il</strong> piano dell’Ossola Superiore sia <strong>completo</strong><br />

dominio dei torrenti. Il terzo e ultimo tratto del<br />

Toce si sv<strong>il</strong>uppa da Vogogna al Lago Maggiore, con una<br />

pendenza media del solo 0,12%; qui <strong>il</strong> Toce è un vero<br />

fiume che serpeggia nella pianura dell’Ossola Inferiore,<br />

scorrendo in un letto abbastanza regolare di ghiaie minute<br />

e di sabbie.<br />

Ma le acque non sono solo una maledizione per l’Ossola<br />

durante le terrib<strong>il</strong>i alluvioni: esse servono per irrigare<br />

i campi; imbottigliate a Crodo e a Bognanco, per <strong>il</strong> loro<br />

ottimo grado di mineralizzazione, compaiono su tutte<br />

le mense italiane; incanalate nelle condotte forzate degli<br />

impianti idroelettrici muovono le turbine di poderose<br />

centrali, che forniscono grande quantità di energia.<br />

Ricordiamo infine che nel passato <strong>il</strong> Toce era navigab<strong>il</strong>e<br />

fino a Beura e che, in mancanza di strade efficienti e<br />

79


sicure, è stato per secoli la principale via di comunicazione<br />

per l’Ossola.<br />

L’Ossola a volo d’uccello<br />

Ed ora compiamo un veloce viaggio nelle valli ossolane,<br />

partendo dal Monteorfano, quell’isola granitica che<br />

sembra sbarrare l’ingresso dell’Ossola, là dove la bassa<br />

valle si spalanca sul Verbano e sul Cusio. Sulla sinistra<br />

del Toce <strong>il</strong> primo paese ossolano a darci <strong>il</strong> saluto è Mergozzo,<br />

a specchio del suo bel lago ovale. Seguono Cuzzago<br />

e Premosello, poi Vogogna, già capitale dell’Ossola<br />

Inferiore (la rocca e <strong>il</strong> castello viscontei sono lì per ricordarcelo),<br />

infine Beura, <strong>il</strong> centro più importante della<br />

lavorazione della pietra chiamata beola dal nome del<br />

paese. Sulla destra del Toce ci viene incontro per primo<br />

l’industre Ornavasso, vecchio paese di origine tedesca;<br />

poi Anzola d’Ossola e <strong>il</strong> vecchio centro chimico di Pieve<br />

Vergonte; seguono Piedimulera allo sbocco della val<br />

Anzasca, poi Pallanzeno e V<strong>il</strong>ladossola, dove sono accentrate<br />

le più grosse industrie della regione.<br />

Il fondovalle ossolano, che abbiamo percorso in questa<br />

prima parte del viaggio, mette capo in un’ampia conca<br />

quasi circolare, dove confluisce un ventaglio di valli. All’intorno,<br />

disposte per lo più sulle ultime pendici di un<br />

vasto cerchio di montagne, occhieggiano le numerose<br />

frazioni di Trontano, Masera, Montecrestese, Cisore e<br />

Vagna. Al centro del bacino siede Domodossola, capitale<br />

dell’Ossola, che, da piccolo borgo tranqu<strong>il</strong>lo con non<br />

più di m<strong>il</strong>le abitanti sulla fine del Settecento, è diventata<br />

ora un centro pulsante di vita, dove si accentra gran<br />

parte della popolazione ossolana (circa 19.000 abitanti).<br />

Di notevole: <strong>il</strong> Monte Calvario, <strong>il</strong> Collegio Rosmini,<br />

<strong>il</strong> Palazzo S<strong>il</strong>va, l’ex chiesa di S. Francesco, la Collegiata,<br />

piazza Mercato e la torretta delle mura trecentesche.<br />

Ad oriente di Domo si apre la Val Vigezzo, una valle trasversale<br />

che si snoda per 25 km fino al confine italosvizzero<br />

della Ribellasca. La parte centrale della valle somiglia<br />

ad un lungo altopiano, costellato di paesi così fitti<br />

e lindi che la fanno sembrare una città-giardino. Craveggia,<br />

Toceno, Buttogno stanno al limitare del bosco<br />

su un ridente terrazzo pieno di sole, che domina dall’alto<br />

<strong>il</strong> verde fondovalle dove spiccano le macchie biancogrigie<br />

di Malesco, Santa Maria Maggiore e Druogno.<br />

80<br />

Verso <strong>il</strong> confine svizzero si incontra Re col suo monumentale<br />

santuario dedicato alla Madonna del Sangue.<br />

A Pontemaglio comincia un’altra lunga valle percorsa<br />

dal Toce, che nella prima parte prende <strong>il</strong> nome di Antigorio<br />

e assume poi quello di Formazza a Foppiano sotto<br />

l’alto gradino delle Casse. Percorrendola, incontriamo<br />

per primo Crodo, celebre per le sue acque, poi Baceno,<br />

dominato da quel monumento d’arte che è la sua<br />

ricchissima chiesa, quindi Premia, sparsa in tante piccole<br />

ridenti frazioni, infine la tedesca Formazza, ricca di<br />

pascoli, di fiori multicolori, di laghetti alpini, di centrali<br />

e di impianti idroelettrici.<br />

Da Crevola, attraverso una magnifica forra scavalcata<br />

da un ponte arditissimo, ci inf<strong>il</strong>iamo nella Val Divedro,<br />

in compagnia della ferrovia internazionale del Sempione<br />

e della grande strada costruita per volere di Napoleone<br />

tra l’<strong>It</strong>alia e la Svizzera attraverso <strong>il</strong> colle del Sempione.<br />

Prima di arrivare alla sbarra di confine a Gondo troviamo<br />

sul percorso <strong>il</strong> grosso paese di Varzo allo sbocco<br />

della valle che scende dalla splendida Alpe Veglia, e poi<br />

Iselle, la stazione di confine dove <strong>il</strong> treno entra in galleria<br />

(m 19.803).<br />

A Domodossola sbocca la più breve delle valli ossolane,<br />

la Val Bognanco, che una volta aveva un’intensissima<br />

vita agricola e pastorale. Ora tutti la conoscono perché<br />

Bognanco Fonti ospita un complesso termale con alberghi<br />

e pensioni. La più appartata e tranqu<strong>il</strong>la tra le valli<br />

ossolane, ma non per questo meno bella delle altre, è la<br />

Val Antrona, che sbocca nel piano presso V<strong>il</strong>ladossola.<br />

Già famosa per le miniere di oro e di ferro, ora lo è per<br />

le sue bellezze naturali e i suoi bacini idroelettrici, tra i<br />

quali ricordiamo <strong>il</strong> Lago di Antrona, formato da un’antica<br />

frana che seppellì un intero v<strong>il</strong>laggio e, sbarrando le<br />

acque del torrente Troncone, diede origine al lago.<br />

La più meridionale delle valli ossolane è anche la più rinomata,<br />

perché alla sua testata si dispiega in tutta la sua<br />

grandiosità l’anfiteatro del Monte Rosa, un massiccio di<br />

ghiacci e di rocce, secondo solo al Monte Bianco in Europa:<br />

la Val Anzasca. Dal suo sbocco a Piedimulera fino<br />

a Macugnaga la valle si sv<strong>il</strong>uppa stretta e tortuosa, ma<br />

punteggiata di paesi puliti e ridenti: Castiglione, sparso<br />

in molte frazioni alpestri; Calasca con la sua splendida<br />

chiesa definita la «Cattedrale fra i boschi»; Bannio<br />

l’antica capitale della valle e sede di una necropoli celti-


Alpe Veglia, lago delle Streghe.<br />

ca; Vanzone con San Carlo, noto per le acque arsenicali;<br />

Ceppomorelli e infine Macugnaga, la regina del Rosa<br />

e sede di una colonia tedesca che va spegnendosi.<br />

Comunicazioni e trasporti nell’antichità<br />

Una volta l’Ossola era priva di grandi vie di comunicazione.<br />

I v<strong>il</strong>laggi alpini erano allacciati tra loro e coi<br />

centri più importanti del fondovalle da una fitta rete<br />

di mulattiere e di sentieri, quelli che oggi frequentiamo<br />

ancora come «scorciatoie» durante le nostre gite. I trasporti<br />

erano fatti a spalla con la scivera (gerla) e con la<br />

caula per la legna. Pochissimi gli asini e i muli, perché<br />

i poveri montanari non potevano mantenere bestie da<br />

soma, e tutto <strong>il</strong> foraggio era destinato agli animali più<br />

ut<strong>il</strong>i: bovini, ovini, caprini.<br />

Le principali vie di comunicazione attraverso le valli<br />

portavano ai valichi alpini, aperti tra l’Ossola da una<br />

parte e <strong>il</strong> Vallese e <strong>il</strong> Ticino dall’altra. Il passo più meridionale<br />

è quello del Monte Moro (m 2868) che si apre<br />

ad est del Monte Rosa e mette in comunicazione Macugnaga<br />

con la valle tedesco-vallesana di Saas. Sull’itinerario<br />

del Moro si vedono ancora i resti di un’antica strada<br />

lastricata, segno evidente che in passato <strong>il</strong> colle era<br />

frequentato e adattato al passaggio dei muli e del bestiame.<br />

Nel secolo XIII attraverso <strong>il</strong> Moro trasmigrarono<br />

le popolazioni walser che fondarono la maggior parte<br />

delle colonie tedesche attorno al massiccio del Monte<br />

Rosa, prima fra tutte Macugnaga.<br />

Un po’ più a nord del Passo del Moro si apre <strong>il</strong> Passo di<br />

Antrona (m 2839). Questi due valichi superano in altezza<br />

tutti gli altri passi dell’Ossola, onde risulta chiaro<br />

che attraverso essi non potevano esistere traffico e transito<br />

regolari, poiché erano percorsi soltanto durante i<br />

pochi mesi della stagione estiva. La vecchia mulattiera<br />

partendo da Antronapiana s’arrampica con cammino<br />

difficoltoso fino al colle per scendere poi ad Almagell<br />

nella Valle di Saas, dove si congiunge con quella del<br />

Moro e prosegue per Visp. Rimangono ancora oggi i resti<br />

lastricati dell’antica mulattiera, che ricordano i tempi<br />

della sua floridezza.<br />

Abbiamo visto come i valichi del Monte Moro e di Antrona<br />

si aprono nelle Alpi Pennine ad altissima quota<br />

e perciò sono diffic<strong>il</strong>mente praticab<strong>il</strong>i ad un traffico di<br />

ampie proporzioni. Ma, là dove terminano le Pennine e<br />

cominciano le meno elevate Alpi Lepontine, la grande<br />

catena alpina s’assottiglia e si abbassa in una larga e comoda<br />

sella, che fa da cerniera tra queste due sezioni delle<br />

Alpi: è <strong>il</strong> Passo del Sempione (m 2006), la principale<br />

porta di comunicazione tra l’Ossola e <strong>il</strong> Vallese. In età<br />

romana e specialmente nell’Alto Medioevo abbiamo testimonianze<br />

che non depongono a favore d’una strada<br />

di grande transito sul nostro colle. Prospettive d’importanza<br />

europea per <strong>il</strong> Passo del Sempione si aprirono soltanto<br />

a partire dal secolo XII, dal tempo cioè delle Crociate.<br />

Il Sempione diventò allora una strada mercant<strong>il</strong>e<br />

di primo ordine e un passaggio obbligato tra le città italiane<br />

e le piazze commerciali dell’Europa occidentale.<br />

Furono aperte al transito le gole di Gondo, fino a quel<br />

tempo impraticab<strong>il</strong>i, mentre le grandi società commerciali<br />

lombarde concludevano trattati col Vallese per <strong>il</strong> libero<br />

passaggio delle merci e, coi pedaggi, contribuivano<br />

in modo determinante al mantenimento della strada,<br />

dei ponti e delle soste, dove tenevano depositi e ma-<br />

81


gazzini per le mercanzie. Lunghe f<strong>il</strong>e di muli, carichi di<br />

fardelli, percorrevano la strada e davano lavoro ai conducenti<br />

ossolani e vallesani. Più tardi, in seguito alle lotte<br />

tra <strong>il</strong> Vallese e l’Ossola, <strong>il</strong> Sempione venne quasi del<br />

tutto abbandonato dai mercanti, finché verso <strong>il</strong> 1630<br />

riacquistò la sua importanza internazionale di strada<br />

commerciale per merito del gran signore vallesano Kaspar<br />

Iodok von Stockalper. La morte dello Stockalper<br />

(1691) segnò la decadenza del Sempione come via di<br />

transito internazionale, sebbene gli interessi congiunti<br />

di Ginevra e di M<strong>il</strong>ano non permisero <strong>il</strong> totale abbandono<br />

di questa via.<br />

Nel 1800 <strong>il</strong> Sempione doveva risorgere a nuova vita. In<br />

quell’anno infatti Napoleone emanava l’ordine di dare<br />

immediata esecuzione alla costruzione d’una grande<br />

strada carrozzab<strong>il</strong>e che doveva avere tutte le qualità per<br />

rispondere alle esigenze m<strong>il</strong>itari del tempo, anzitutto di<br />

rendere possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> passaggio delle artiglierie. Due erano<br />

le condizioni vantaggiose che avevano fatto cadere la<br />

scelta sul Sempione in confronto ad altri valichi alpini:<br />

la maggior brevità del percorso tra M<strong>il</strong>ano e Parigi e la<br />

relativa bassezza del colle. Il 25 settembre 1805 la nuova<br />

strada era transitab<strong>il</strong>e. Sul percorso di 62 km tra Briga<br />

e Domo erano stati eretti in totale 64 ponti tra grandi<br />

e piccoli e scavate sette gallerie per una lunghezza totale<br />

di 525 metri con 250 tonnellate d’esplosivo. Il costo<br />

complessivo di questa arditissima opera ammontò,<br />

tra Ginevra ed Arona, a circa 18 m<strong>il</strong>ioni di franchi, in<br />

gran parte pagati con denaro italiano.<br />

Ad oriente del Sempione, tra le opposte valli di Binn<br />

e del Devero si apre <strong>il</strong> Passo d’Arbola (m 2409), l’Albrunpass<br />

dei Vallesani. A Baceno la mulattiera si dirama<br />

dalla strada di Formazza, tocca <strong>il</strong> valico, discende a<br />

Binn senza grossi ostacoli e sbocca nella valle dell’alto<br />

Rodano a Grengiols.<br />

Questa strada, che conserva ancor oggi qualche tratto<br />

lastricato, pare non sia servita gran che al grosso traffico<br />

commerciale, ma fu sempre ut<strong>il</strong>izzata da Ossolani e<br />

Vallesani per lo scambio dei loro prodotti, nonchè per<br />

operazioni di guerra, fino all’apertura della carrozzab<strong>il</strong>e<br />

del Sempione. Che fosse già anticamente frequentata<br />

ne è prova la colonizzazione dell’Alta Val Devero (Agaro,<br />

Ausone) da parte di pastori vallesani, venuti da Binn<br />

nella seconda metà del secolo XIII.<br />

82<br />

L’ultimo valico, che dall’Ossola porta nell’Alto Vallese,<br />

è quello del Gries (m 2463), senza dubbio <strong>il</strong> più importante<br />

dopo <strong>il</strong> Sempione. Da Formazza la mulattiera,<br />

superando tre successivi gradini, raggiunge <strong>il</strong> passo<br />

e scende poi nella valle del Rodano a Ulrichen; di qui<br />

si dirama la strada che raggiunge <strong>il</strong> Passo del Grimsel<br />

(m 2164), aperto sulla regione di Berna. La strada del<br />

Gries non avrebbe di per sé che un’importanza locale,<br />

ma <strong>il</strong> suo prolungamento attraverso <strong>il</strong> Grimsel ne fa un<br />

itinerario di notevole valore commerciale. L’uso di questo<br />

valico si perde nella notte dei tempi. Il primo passaggio<br />

che storicamente conosciamo, però, è quello delle<br />

popolazioni vallesane che nei primissimi anni del secolo<br />

XIII fondarono la colonia tedesca di Formazza. La<br />

costruzione della ferrovia del Gottardo nel 1882 assestò<br />

a questo passo, già calato d’importanza dopo l’apertura<br />

della strada del Sempione, <strong>il</strong> colpo mortale.<br />

Un altro valico meritevole di menzione è <strong>il</strong> Passo di S.<br />

Giacomo (m 2313), ad oriente del Gries. Esso, è vero,<br />

non porta a nord delle Alpi, ma mette in comunicazione<br />

la Formazza con Airolo nell’Alto Ticino, là dove comincia<br />

la salita del passo importantissimo del S. Gottardo;<br />

ma appunto attraverso quest’ultimo valico dall’Ossola<br />

si potevano raggiungere, al di là del grande spartiacque<br />

alpino, le alte valli del Reuss e del Reno e così<br />

entrare nella rete stradale della Svizzera centro-occidentale.<br />

L’ultima strada, collegante anch’essa l’Ossola con <strong>il</strong><br />

Canton Ticino, attraversa la Val Vigezzo e le successive<br />

Centovalli, portando al Lago Maggiore e a Locarno.<br />

Le vie di comunicazione nei tempi moderni<br />

La prima grande strada carrozzab<strong>il</strong>e, che tolse l’Ossola<br />

dal suo secolare isolamento, fu portata a termine,<br />

come abbiamo detto, nel 1805 per volontà di Napoleone:<br />

essa doveva unire M<strong>il</strong>ano a Parigi e prese <strong>il</strong> nome di<br />

strada del Sempione dal valico che mette in comunicazione<br />

l’Ossola con la Svizzera.<br />

In seguito all’apertura della strada del Sempione le valli<br />

ossolane, una dopo l’altra, provvidero con gravissime<br />

spese ad allacciarsi per mezzo di strade, costruite di sana<br />

pianta, all’arteria principale, che diventò così la spina<br />

dorsale della rete stradale dell’Ossola. Con le nuove vie<br />

i trasporti a spalla sulle lunghe distanze cedettero <strong>il</strong> posto<br />

ai trasporti su carro con gran sollievo dei montanari


e notevole riduzione dei prezzi: le merci circolarono più<br />

fac<strong>il</strong>mente; i prodotti locali, soprattutto i boschi, trovarono<br />

più fac<strong>il</strong>e smercio; <strong>il</strong> servizio postale diventò più<br />

regolare e più veloce; i viaggiatori stranieri e i primi turisti<br />

cominciarono a visitare l’Ossola e sorsero alberghi e<br />

locande. Era un gran passo avanti certamente.<br />

Ma intanto erano già state costruite in Piemonte molte<br />

ferrovie e l’Ossola ne era rimasta priva. Tutti gli Ossolani<br />

ne sentivano la mancanza. Finalmente nel 1888 venne<br />

portata a termine la ferrovia di Novara e l’Ossola fu<br />

così allacciata alla rete ferroviaria italiana. Nel 1905 cadeva<br />

anche l’ultimo diaframma di roccia al traforo del<br />

Sempione e l’anno dopo i treni internazionali correvano<br />

sulla nuova linea ferroviaria che collega M<strong>il</strong>ano a Ginevra<br />

e Parigi.<br />

Alla costruzione del traforo del Sempione furono particolarmente<br />

interessate la Svizzera, l’Ossola e le città<br />

di M<strong>il</strong>ano e di Genova, mentre <strong>il</strong> Governo italiano<br />

non mostrò grande sollecitudine per quest’opera. Quasi<br />

unica sua preoccupazione fu che la galleria avesse <strong>il</strong> suo<br />

sbocco meridionale in territorio italiano, a parecchi ch<strong>il</strong>ometri<br />

di distanza dal confine italo-svizzero. Gli ostacoli<br />

finanziari vennero al fine superati dalla Compagnia<br />

concessionaria, la Jura-Simplon, proprietaria di circa un<br />

terzo delle linee ferroviarie svizzere e grandemente interessata<br />

alla pronta esecuzione del traforo. Appoggiata<br />

da potentissime banche germaniche, essa ebbe l’onore,<br />

dopo tanti sforzi, di portare finalmente a compimento<br />

la grande opera.<br />

Nei quarant’anni di preparazione i progetti s’erano susseguiti<br />

numerosi e multiformi, per incarico di cinque<br />

diverse Società concessionarie e tutti erano caduti per<br />

una ragione o per l’altra. Questi vari progetti, 32 complessivamente,<br />

si possono dividere in tre gruppi, secondo<br />

l’altitudine del punto culminante del tunnel: gallerie<br />

di base, gallerie a medio livello e gallerie di sommità.<br />

Prevalse alfine <strong>il</strong> progetto, preparato dall’ingegnere Dumur,<br />

di una galleria di base della lunghezza di 19.770<br />

metri, molto costosa e tecnicamente diffic<strong>il</strong>e, ma rapidamente<br />

percorrib<strong>il</strong>e e perciò più adatta di altre ad un<br />

intenso traffico internazionale. L’impresa appaltatrice,<br />

la ditta germanica Brandt-Brandau, diede inizio ai lavori<br />

nel 1898 e li portò a compimento nel 1905, mentre<br />

la cerimonia inaugurale si svolse con grandi festeg-<br />

giamenti <strong>il</strong> 19 maggio 1906. Se, come abbiamo detto<br />

gli ingenti mezzi finanziari (78 m<strong>il</strong>ioni di franchi svizzeri)<br />

provennero da oltralpe, i lavoratori addetti a quest’opera<br />

colossale, che superò tutte le precedenti per arditezza<br />

e grandiosità di concezione, furono esclusivamente<br />

italiani.<br />

Provenivano da tutte le regioni d’<strong>It</strong>alia e per sette anni<br />

alloggiarono alla bell’e meglio nelle vicinanze dei due<br />

imbocchi del traforo, presso Briga da un lato e presso<br />

Iselle dall’altro. Come tutte le grandi opere anche<br />

<strong>il</strong> traforo del Sempione ebbe le sue vittime. Ed in proporzione<br />

alla grandiosità dell’opera e ai mezzi d’allora<br />

furono poche, sebbene la morte tendesse agguati di<br />

ogni genere; mine esplose anzi tempo, massi franati dalla<br />

volta delle gallerie, schegge proiettate di fianco, carri<br />

usciti dai binari, membra schiacciate dai propulsori<br />

o tagliate dalle ruote, scoppi di tubazioni, schizzi di acqua<br />

compressa, gas velenosi ed asfissianti. Sessanta vittime,<br />

una ogni 333 metri di galleria, tutte italiane, dal<br />

figlio di Pizzo di Calabria, «robusto come un orso e bello<br />

come un bambino», al minatore piemontese, veterano<br />

dei trafori del Cenisio e del Gottardo.<br />

L’Ossola, e in particolare <strong>il</strong> suo capoluogo, trasse vantaggi<br />

enormi dall’entrata in esercizio della ferrovia del<br />

Sempione, che costituisce, per così dire, l’atto di nascita<br />

della Domodossola moderna. Il vecchio borgo ottocentesco,<br />

pigro e sonnacchioso, divenne un enorme cantiere<br />

di lavoro.<br />

La città s’ingrandì in pochi anni come mai s’era ingrandita<br />

nella sua storia secolare e divenne prosperosa di industrie<br />

e di commerci. Altro passo avanti fece l’Ossola<br />

nel 1923, allorché fu inaugurata la ferrovia vigezzina<br />

tra Domodossola e Locarno, che metteva in diretta comunicazione<br />

i cantoni occidentali della Confederazione<br />

Elvetica col Canton Ticino e toglieva la Val Vigezzo<br />

dal suo isolamento.<br />

Nel corso degli anni Ottanta la stazione ferroviaria internazionale<br />

di Domodossola è stata dotata, a Beura<br />

Cardezza, di un’ampia struttura (Domodue), che ancora<br />

non riesce a decollare per vari motivi, nonostante<br />

i cospicui investimenti effettuati. Vi è poi la superstrada<br />

di scorrimento veloce, che abbrevia le comunicazioni<br />

tra l’Ossola e <strong>il</strong> Lago Maggiore, a rinforzo della ormai<br />

vecchia strada del Sempione.<br />

83


Baceno: la nevicata evidenzia i terrazzamenti ricavati sulle pendici del monte.<br />

Gli uomini abbandonano la montagna<br />

e s’addensano nei fondovalle<br />

Nelle nostre escursioni in montagna avremo trovato tante<br />

vecchie case in rovina e tanti piccoli centri montani<br />

quasi o del tutto abbandonati. Cosa vuol dire? Vuol dire<br />

che nell’Ossola una volta la montagna era molto popolata,<br />

più popolata degli stessi fondovalle, dove adesso<br />

vediamo concentrata quasi tutta la popolazione. I montanari<br />

allevavano molto bestiame e coltivavano innumerevoli<br />

piccoli campi, oggi ingoiati dal bosco, e perciò<br />

vivevano sparsi sulla montagna per meglio accudire<br />

al loro lavoro. Ma già nel secolo scorso, e più ancora<br />

nel Novecento, una serie di cause obbligò molti montanari<br />

a lasciare i loro casolari e ad emigrare all’estero oppure<br />

a trasferirsi nei centri di fondovalle. Quali furono<br />

queste cause? La perdita di antichi priv<strong>il</strong>egi, l’aumento<br />

generale delle tasse, le condizioni diffic<strong>il</strong>issime di vita,<br />

<strong>il</strong> basso reddito soprattutto, inferiore a quello di qualunque<br />

salariato. Mentre la montagna si spopolava, <strong>il</strong><br />

fondovalle dell’Ossola si industrializzava e registrava un<br />

84<br />

continuo aumento della popolazione. Un solo esempio:<br />

V<strong>il</strong>la contava 1035 abitanti nel 1848, nel 1995 ne contava<br />

7469. Anche la popolazione dell’Ossola andò crescendo<br />

di censimento in censimento, dopo essere rimasta<br />

quasi costante per tanti secoli. Dai 47.632 abitanti<br />

nel 1848 era salita a 56.013 nel 1921; nel 1995 gli Ossolani<br />

erano in totale poco meno di 70.000.<br />

La densità non è omogenea. Ci sono veri vuoti umani<br />

nelle zone di alta montagna, regno di ghiacci, nevi e rocce,<br />

dove la vita è impossib<strong>il</strong>e. La popolazione vive sulle<br />

più basse pendici dei monti e nel fondo delle valli, ma<br />

soprattutto nella valle del Toce da Crevola a Mergozzo.<br />

L’ambiente naturale si trasforma e si degrada<br />

II prezzo che l’Ossola ha dovuto pagare al progresso e<br />

al miglioramento delle condizioni di vita è salatissimo.<br />

Oggi godiamo di un benessere che i nostri antenati non<br />

conoscevano, ma viviamo in un ambiente degradato e<br />

inquinato. Anche nei secoli passati sono avvenute delle<br />

trasformazioni nel paesaggio: basti pensare al lonta-


no disboscamento delle foreste primitive, da cui l’uomo<br />

ha ricavato prati e campi, oppure al terrazzamento delle<br />

montagne, del quale abbiamo parlato poc’anzi.<br />

Ma questi interventi umani rimanevano sempre in un<br />

ordine «naturale»: in altre parole l’uomo modificava, sì,<br />

la natura ma senza farle violenza; se mai l’assecondava<br />

e, per così dire, la perfezionava con interventi sapienti e<br />

rispettosi dell’ordine naturale preesistente. Infatti i materiali<br />

usati per gran parte di queste trasformazioni erano<br />

quelli stessi che la natura offriva: la pietra e <strong>il</strong> legno.<br />

Con l’industrializzazione l’uomo ha trasformato <strong>il</strong> paesaggio<br />

naturale in un paesaggio che potremmo definire<br />

«tecnico», perché costruito dall’uomo spesso in disaccordo<br />

stridente con la natura. L’ambiente così è stato<br />

degradato ed inquinato e noi uomini ne siamo le prime<br />

vittime. Facciamo solo qualche esempio per intenderci.<br />

Una volta <strong>il</strong> cielo dell’Ossola era quello terso e purissimo<br />

di montagna; oggi spesso è ricoperto da un velo<br />

di fumo e di esalazioni gassose provenienti dagli stab<strong>il</strong>imenti<br />

industriali. Un tempo le montagne ossolane erano<br />

ricche di acque limpidissime scorrenti in superficie;<br />

ora la maggior parte dei nostri ruscelli e torrenti sono<br />

ridotti a squallide sassaie, mentre si sono inaridite molte<br />

sorgenti, perché l’acqua viene presa e condotta in canali<br />

di derivazione che alimentano le centrali. Ogni vena<br />

di acqua è stata così catturata, sconvolgendo l’equ<strong>il</strong>ibrio<br />

idrico naturale delle nostre vallate. La stessa Cascata del<br />

Toce è oggi regolab<strong>il</strong>e col contagocce. Dighe enormi<br />

hanno sopraelevato di decine di metri <strong>il</strong> livello di vecchi<br />

bellissimi laghi (es. Codelago) o hanno trasformato in<br />

bacini artificiali magnifici pianori alpini (es. Morasco),<br />

col risultato che le rive di questi serbatoi per molti mesi<br />

all’anno altro non sono che depositi di fanghiglia.<br />

Alcune valli, in seguito allo sfruttamento turistico, sono<br />

state invase dal cemento a tal segno che non si riconoscono<br />

più. Le cave, che si aprono sempre più numerose,<br />

danno lavoro, è vero, ma sbriciolano le montagne e vi<br />

producono squarci e ferite che non si potranno più rimarginare.<br />

Molte specie di mammiferi e di uccelli sono<br />

scomparse o in via d’estinzione per l’inquinamento dell’atmosfera,<br />

dell’acqua e del suolo. E l’elenco potrebbe<br />

continuare.<br />

85


L’acqua e la pietra<br />

Aldo G. Roggiani e Marco Cattin<br />

“..Sai tu Giovannino, dove si trova la più grande cascata<br />

delle Alpi?...precisamente in <strong>It</strong>alia”. ”Possib<strong>il</strong>e!” esclamo’<br />

Giovannino. ”Di qual cascata intendi parlare? ”<br />

”Oh bella! della italianissima cascata della Toce.<br />

Essa mi richiama uno dei più deliziosi viaggetti alpini ch’io<br />

m’abbia mai fatti; e se volete che ve ne intrattenga... ”<br />

”Si, si”; dissero in coro gli astanti, ed anche Giovannino si<br />

pose in s<strong>il</strong>enzio ad ascoltare. (A. Stoppani,1914)<br />

L’acqua e la pietra rappresentano un binomio indissolub<strong>il</strong>e<br />

per <strong>il</strong> territorio ossolano, elementi costitutivi del<br />

paesaggio, da cui <strong>il</strong> naturalista trae spunti di riflessione<br />

e che rappresentano allo stesso tempo risorse sfruttab<strong>il</strong>i<br />

per gli abitanti.<br />

Diffic<strong>il</strong>e dire quale sia la più importante ed a quale di<br />

esse si debba la progenitura dell’impronta ossolana dato<br />

che in tempi geologici l’una ha prevalso sull’altra con<br />

alterne vicende.<br />

L’acqua che costituiva <strong>il</strong> magma originario poi cristallizzato<br />

in granito e successivamente divenuto gneiss 1 oppure<br />

la roccia che i ghiacciai modellarono nel Quaternario?<br />

Cerchiamo insieme, guardandoci attorno, i segni dell’acqua<br />

e della pietra descritti minuziosamente da attenti<br />

osservatori quali Stoppani.<br />

La preoccupazione del nostro era di sublimare la scienza<br />

e farla apparire di pari bellezza della poesia; ciò d’altro<br />

canto traspare da queste righe: “...Un <strong>libro</strong> che abbia<br />

per oggetto la cognizione del mondo fisico non caverà<br />

una lagrima, non farà perdere un minuto di sonno.<br />

Tutti gli incanti della natura non valgono un affetto;<br />

tutta la scienza non vale un atto generoso. Una Lucia<br />

inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre<br />

Formazza: Cascata della Toce.<br />

che accomoda colle stesse sue mani sul carro degli appestati<br />

<strong>il</strong> corpo della figlioletta, faranno sempre maggiore<br />

impressione di tutte le più belle descrizioni dell’Universo.”<br />

L’ambiente ossolano è laboratorio naturale dove le rocce<br />

che affiorano sono prevalentemente gneiss 2 meglio conosciute<br />

come beole 3 e serizzi 4 : le prime sono disposte<br />

in strati verticalizzati e le seconde in strati variamente<br />

inclinati 5 ; meno diffusi sul territorio sono i marmi 6 ed<br />

i graniti 7 , rocce pregiate ut<strong>il</strong>izzate per edifici di interesse<br />

storico artistico.<br />

Le rocce appartengono alle falde di ricoprimento 8 , pieghe<br />

a grande scala 9 , formatesi nel corso dell’orogenesi alpina<br />

10 che hanno influenzato la morfologia delle valli 11 .<br />

L’altro elemento caratterizzante <strong>il</strong> nostro territorio,<br />

l’acqua, allo stato solido mediante i ghiacciai ha scavato<br />

la roccia sino a metterne in luce gli strati più antichi<br />

e precedenti all’orogenesi alpina. 12 L’erosione ha inciso<br />

sul fondo vallivo salti morfologici con notevoli dislivelli<br />

che percepiamo se solo percorriamo la val Devero<br />

13 e la val Formazza 14 ; ciò a testimonianza delle soste<br />

che si sono susseguite alle fasi di ritiro dei ghiacciai,<br />

e mirab<strong>il</strong>mente sottolineato dalle cascate, fra tutte<br />

quella del Toce così ben descritta nel racconto seguente<br />

15 : “La scena ha qualche cosa di solenne. Un immenso<br />

anfiteatro di rupi nere si spiega davanti all’attonito sguardo.<br />

Le pareti ignude di granito nero ond’è formato, sparse<br />

di vaste chiazze di gialliccio e di bianco, sono sormontate<br />

a destra e a sinistra da due montagne ignude ugualmente<br />

e nere, ma rotte, irte, dentate. L’arena di quell’anfiteatro,<br />

coperta d’un gran tappeto verde, è sparsa di migliaia<br />

di massi, di rupi prismatiche, a spigoli vivi, strappate dai<br />

87


secoli alle montagne d’intorno, e buttate a giacere alla rinfusa.<br />

Il circo di fronte presenta, in coincidenza colla cascata,<br />

quasi una specie di grande scollatura, per cui l’occhio<br />

s’inoltra liberamente verso lo sfondo della valle. Ove quello<br />

sfondo si apre, una serie di rupi a dorso di montone s’avanza<br />

per gradi sulla destra della valle, a modo di scena, e si<br />

arresta a breve distanza della sinistra. Qui un’altra rupe,<br />

ugualmente arrotondata, le fa riscontro. Al suo piede sorge<br />

l’albergo, edificato sull’orlo dell’abisso. Un vano, un’intaccatura,<br />

quasi un canale aperto da umano scalpello, in<br />

seno a quella barriera di rupi, apre l’unica via alla Toce,<br />

che giunta d’un tratto sull’abisso, vi si precipita senza freno,<br />

orrib<strong>il</strong>mente muggendo, con un salto di 142 metri,<br />

formando una nappa della larghezza di 26 metri, e chi sa<br />

quanto larga nelle piene maggiori. La rupe, da cui si precipita<br />

<strong>il</strong> torrente, non è propriamente a picco, ma forma una<br />

parete un pò inclinata, e ripartita in molti scaglioni, quasi<br />

ciclopica scalea, sui fianchi della quale cresce qualche scarso<br />

f<strong>il</strong>are di abeti. Il torrente, già diviso in più cascate dove<br />

<strong>il</strong> salto incomincia, si suddivide, scendendo, in m<strong>il</strong>le svariatissime<br />

cascatelle. Quale batte la rupe in forma di bianco<br />

fiocco e rimbalza, divisa in un nembo di spruzzi; quale<br />

si lascia sdrucciolare giù giù, lieve lieve, sulla roccia levigata,<br />

come un f<strong>il</strong>o di bambagia, o come nastro ondeggiante<br />

di seta bianca; quale si sparpaglia, disegnando una rete<br />

a maglie d’argento, o cento tessuti diversi che di continuo<br />

si scompongono e si rifanno. Grado grado scendendo, spinte<br />

ora a destra ora a sinistra, s’incontrano, si azzuffano, si<br />

accapigliano. Ma la cascata è una; e a vederla svolgersi, e<br />

rimutarsi sul fondo nero o bigio di quella fantastica scalea,<br />

la non si potrebbe paragonare che a una gran chioma<br />

bianca, disciolta e agitata dal vento. Una nebbia leggiera,<br />

a guisa di aureola perenne, si leva sull’abisso; e quando <strong>il</strong><br />

sole dardeggia, l’iride vi si posa tranqu<strong>il</strong>la, immob<strong>il</strong>e, vero<br />

simbolo di pace in tanta guerra.”<br />

L’erosione ha anche prodotto valli trasversali che si diramano<br />

dal fondo vallivo del Toce in direzione Est Ovest,<br />

dove dalle spianate e dai più dolci pendii degli ampi<br />

bacini superiori esse vanno restringendosi sempre più<br />

verso <strong>il</strong> basso facendosi via via anguste. Il risultato sono<br />

salti morfologici che conferiscono <strong>il</strong> tipico prof<strong>il</strong>o, trasversale<br />

alla valle, a cannocchiale, che ha favorito la successiva<br />

deposizione di morene. In conseguenza a ciò si è<br />

88<br />

avuta la formazione di zone di terrazzi panoramici con<br />

gli insediamenti popolosi 16 o ameni alpeggi frequentati<br />

nel periodo estivo 17 .<br />

Analoghi aspetti e fenomeni morfologici risultato di<br />

azioni erosive, caratterizzano le valli degli affluenti minori,<br />

alcune di queste sono sospese rispetto alla principale,<br />

dove è avvenuta una più intensa attività erosiva:<br />

infatti nelle zone di confluenza tra valle principale e secondaria<br />

si ergono ripidi gradini lungo i quali spumeggiano<br />

pittoresche cascate. 18<br />

L’erosione del ghiaccio a scala minore ha prodotto inoltre<br />

le rocce montonate, gobbe rocciose sagomate secondo<br />

la direzione del movimento glaciale, arrotondate<br />

sopra e sul lato rivolto a monte, scabre sul lato a valle<br />

19 dove spesso l’operazione di levigatura pone in r<strong>il</strong>ievo<br />

minerali di dimensione pluricentimetrica sulla massa<br />

rocciosa più erodib<strong>il</strong>e.<br />

Le valli ossolane scavate dai ghiacciai hanno notoriamente<br />

<strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o trasversale ad U, dovuto all’erosione<br />

lungo tutta la sezione del ghiacciaio, avente forma semicircolare<br />

determinata dal minore attrito durante lo<br />

scorrimento della massa di ghiaccio 20 .<br />

La successiva erosione fluviale ha ulteriormente scavato<br />

valli strette ed incise dette forre 21 , spesso favorite dalla<br />

presenza di fratture, zone di alternanza di strettoie 22 e di<br />

larghe valli a U.<br />

L’associazione di acqua e ciottoli, lungo i corsi d’acqua,<br />

in vorticosi mulinelli ha invece modellato fori di varia<br />

grandezza, circolari o a sezione ellittica ricavati nella<br />

roccia viva sino ad una profondità di 10 metri ed anche<br />

più laddove sono presenti rocce erodib<strong>il</strong>i o fratturate, si<br />

tratta delle marmitte dei giganti. 23<br />

Sim<strong>il</strong>i a marmitte ma di origine mista glaciofluviale<br />

sono i celeberrimi orridi di Uriezzo formatisi in un<br />

settore vallivo dove copiosamente si raccoglievano le acque<br />

di scioglimento dei ghiacci che si distribuivano sull’imponente<br />

salto morfologico tra Premia e Verampio.<br />

L’acqua, oltre a scavare la roccia, svolge anche un’azione<br />

solub<strong>il</strong>e sulle rocce carbonatiche 24 , sia in superficie 25


che in profondità 26 determinando i fenomeni carsici. 27<br />

Tali formazioni sono pressoché sconosciute, sia perché<br />

sul territorio ossolano sono presenti prevalentemente<br />

rocce s<strong>il</strong>icatiche, sia perché localizzate in zone diffic<strong>il</strong>mente<br />

accessib<strong>il</strong>i; sono comunque ampiamente studiate<br />

da alcuni gruppi speleologici 28 .<br />

Consideriamo ancora che in Ossola abbondano i depositi<br />

morenici, risultato della deposizione finale di masse<br />

glaciali ancora attive 29 , che hanno subito arretramenti<br />

consistenti negli ultimi quarant’anni. Flussi e riflussi<br />

come veniva osservato un tempo: “I ghiacciai del Monte<br />

Bianco e del Monte Rosa, i quali verso <strong>il</strong> 1811, si erano<br />

ritirati in angusti confini, progredirono rapidamente<br />

fra <strong>il</strong> 1812 ed <strong>il</strong> 1818. Un sensib<strong>il</strong>e regresso si manifestò<br />

nel 1824, seguito da una fase in cui rimasero stazionari,<br />

poi da un movimento in senso inverso nel 1836 e nel<br />

1837. Un nuovo regresso fu segnalato dal 1839 al 1842;<br />

poi avanzamento irregolare fino al 1854, che corrisponde<br />

al massimo sv<strong>il</strong>uppo raggiunto da tali ghiacciai. D’allora<br />

in poi vi fu una generale retrocessione, la quale durò fin<br />

verso <strong>il</strong> 1878, per accentuarsi negli anni successivi. Siffatte<br />

variazioni non si verificarono simultaneamente in ciascuno,<br />

ma a breve intervallo. Certo è che nel 1890 ben 55<br />

ghiacciai della Svizzera e tutti quelli del Monte Bianco e<br />

del Monte Rosa erano in aumento.” 30<br />

“Quattro le glaciazioni che si sono succedute nei tempi più<br />

recenti (Era Quaternaria); l’ultima (Wurm, della durata<br />

di 90.000 anni ed intervenuta 560.000 anni or sono) lascia<br />

<strong>il</strong> passo alle potenti fiumane che, deposta allo sbocco<br />

delle valli la violenza propria del corso montano, si adagiano<br />

nel piano dando inizio alla pianura alluvionale costruita<br />

dalla Toce e dai suoi affluenti e che si estende piatta<br />

ed uniforme sino al bacino del lago Maggiore. Con la<br />

scomparsa graduale dei ghiacciai si attiva in particolare la<br />

costruzione della piana dell’Ossola. L’aspetto assunto dalla<br />

regione è del tutto nuovo: lisciate le irregolarità dei fianchi<br />

montuosi, conservano i loro aspri contorni solo le cime<br />

che emergono dalla distesa ghiacciata mentre continuo è<br />

<strong>il</strong> deposito di sedimenti alluvionali operato dalla Toce; i<br />

ghiacciai hanno edificato ed abbandonato cumuli talora<br />

Valle Antigorio, gli orridi di Uriezzo.<br />

90<br />

anche ingenti di materiali (morene e massi erratici) e gli<br />

agenti atmosferici degradano in continuazione la superificie<br />

mentre <strong>il</strong> fondovalle si va progressivamente innalzando<br />

sempre più (risulta da documenti certi, ad esempio, che<br />

<strong>il</strong> suolo di Domodossola (conoide di deiezione del torrente<br />

Bogna) si è innalzato, ad opera di quel corso d’acqua, di<br />

ben quattro metri dal 1627 in poi), l’Ossola va, in definitiva,<br />

lentamente assumendo l’aspetto attuale.” 31 Ghiacciai<br />

di estensione minore ormai estinti, hanno depositi<br />

di materiale che vengono lentamente colonizzati dalla<br />

vegetazione ed antropizzati 32 ; diffic<strong>il</strong>e riconoscere l’antico<br />

passaggio della massa glaciale.<br />

Solitari testimoni di antichi sfarzi glaciali sono i massi<br />

erratici 33 , tra di essi i più conosciuti erano quelli del<br />

Passo che hanno rappresentato <strong>il</strong> singolare ed obbligato<br />

passaggio per accedere alla valle Formazza, dando <strong>il</strong><br />

nome alla frazione, finché sono stati rimossi per l’allargamento<br />

della strada. In altri casi gli erratici sono addossati<br />

ai versanti e correlab<strong>il</strong>i a frane postglaciali 34 ; di<br />

tale fenomeno si ha ampia testimonianza in numerose<br />

località 35 dove le case sono spesso costruite tra un masso<br />

ciclopico e l’altro in perfetto mimetismo.<br />

“Tra i luoghi più celebri, come esempi della rovina meteorica,<br />

non esito a porre la valle del Toce, specialmente nel<br />

tratto da Pontemanlio a Foppiano (Valle Antigorio).<br />

I fianchi della valle, quasi a picco per centinaia di metri<br />

e sorgenti da gigantesche scarpe di detrito, rinchiudono la<br />

pianura alluvionale del Toce, dalla quale, sul fondo verdeggiante,<br />

si spiccano enormi monoliti di forme prismatiche,<br />

e in tanta quantità, che destano lo stupore del viandante.<br />

Alcuni fra questi sono di origine glaciale, ossia massi<br />

erratici, ma la maggior parte ruinarono dalle pareti laterali,<br />

come lo dimostra l’eguaglianza mineralogica della<br />

roccia in posto. Molti di cotali massi hanno più di m<strong>il</strong>le<br />

metri cubi di volume. Uno torreggia fra gli altri, che porta<br />

al di sopra gli avanzi di una vecchia costruzione, forse<br />

una torre per segnalazioni ottiche; un altro si erge acuminato<br />

di fianco alla via, e mi preme di qui notarlo, perché<br />

lo credetti altra volta di origine erratica.” 36<br />

Accumuli di altra origine sono da porre in relazione con<br />

l’azione incessante del gelo e disgelo che opera una di-


struzione lenta ma incessante, come si può osservare per<br />

<strong>il</strong> monte Cistella, la cui vetta è formata da un affastellamento<br />

caotico di massi di gneiss.<br />

Gli accumuli 37 , conseguenza di eventi franosi, hanno<br />

anche sbarrato i corsi d’acqua con formazione di specchi<br />

lacustri antichi 38 o recenti così come documentato:<br />

“Frequenti sono in montagna gli esempi di laghi formatisi<br />

in seguito a sbarramento della valle. Nella Val d’Ossola<br />

è celebre <strong>il</strong> Lago di Antronapiana, determinato <strong>il</strong> 27 luglio<br />

1642 da una spaventosa frana, che, staccatasi dal vicino<br />

Monte Pozzoli, si gittò con orrendo fracasso attraverso<br />

la valle, rimontandola in parte dal lato opposto. In pochi<br />

minuti fu seppellito quasi tutto <strong>il</strong> paese di Antronapiana,<br />

con l’eccidio di 150 persone e di numerosi armenti.<br />

Impedito così <strong>il</strong> passo al torrente Troncone, le acque si<br />

accumularono sino al sommo della nuova diga, formando<br />

un bacino quasi circolare di circa tre ch<strong>il</strong>ometri di circuito,<br />

nel quale ogni tanto ancor precipitano nuovi massi,<br />

che si distaccano dalla cicatrice del Monte Pozzoli, ancora<br />

così fresca e ben visib<strong>il</strong>e che non si direbbe vecchia di 257<br />

anni! La massa franata è tanta che richiede per attraversarla<br />

una buona mezz’ora di rapido cammino tra larici ed<br />

abeti secolari, sporgenti fra i macigni accatastati. E’ da notare<br />

però che una parte di questo detrito appartiene a depositi<br />

morenici preesistenti. Analoga è l’origine del piccolo<br />

e poetico Lago d’Andromia, sotto la vetta del Pizzo d’Albione,<br />

pure in Val d’Ossola.” 39 .<br />

Alcuni di essi sono ormai estinti 40 : ne sono testimonianza<br />

le torbiere o gli orizzonti carboniosi o metaniferi<br />

che caratterizzano gli alpeggi di Veglia o Devero. I<br />

resti foss<strong>il</strong>i quali pollini, semi, foglie certamente legati<br />

a deposizioni lacustri di breve durata nel tempo, hanno<br />

registrato le caratteristiche dell’ambiente circostante<br />

ed erano reperib<strong>il</strong>i sul greto del fiume Melezzo Orientale<br />

in valle Vigezzo 41 .<br />

Anche l’acqua dei fiumi ha contribuito alla formazione<br />

di numerosi accumuli fluviali in forma conoidale 42 , poi<br />

con <strong>il</strong> tempo completamente urbanizzati. Gli insediamenti,<br />

posti allo sbocco dei torrenti con la pianura, storicamente<br />

risultarono vulnerati dalle piene; le arginature<br />

sono chiari esempi di tentativi da parte dell’uomo di<br />

opporsi alle forze della natura. D’altronde i più popo-<br />

lati insediamenti ossolani sono localizzati sulle conoidi,<br />

evitando così <strong>il</strong> fondovalle frequentemente oggetto di<br />

inondazione, e scartando la possib<strong>il</strong>ità di insediarsi nelle<br />

aree montane i cui versanti sono spesso molto acclivi.<br />

“Sulla potenza della coltre alluvionale, senza dubbio notevole<br />

anche nelle parti più ristrette della valle, sarà opportuno<br />

ricordare che gli schemi stratigrafici che si riferiscono<br />

ad una serie di pozzi trivellati in questi ultimi decenni<br />

per la ricerca e la cattura delle acque da ut<strong>il</strong>izzare a scopo<br />

industriale, ci hanno fornito dati del massimo interesse:<br />

uno di essi, aperto in territorio di V<strong>il</strong>ladossola in materiale<br />

depositato alla confluenza Ovesca-Toce, ha oltrepassato<br />

i duecento metri di profondità senza raggiungere la roccia<br />

di fondovalle. 43 ”<br />

Abbiamo sin qui osservato quale sia <strong>il</strong> contributo dell’acqua<br />

nella morfologia del nostro territorio. Frequentemente<br />

tale azione avviene al disotto della superficie<br />

terrestre poiché l’acqua segue un percorso nascosto e<br />

non risolvib<strong>il</strong>e, verso le profondità della terra.<br />

A causa di questa circolazione gli elementi ut<strong>il</strong>i si concentrano<br />

a costituire risorse minerarie economicamente<br />

sfruttab<strong>il</strong>i. Infatti l’Ossola fu in passato luogo primario<br />

per le coltivazioni minerarie con l’estrazione di<br />

minerali auriferi ed argentiferi. Di questa consuetudine<br />

sono testimonianza i nomi delle compagnie minerarie<br />

dai suoni inglesi 44 pronti a ricordare epopee estrattive<br />

che ebbero luogo al di là dell’Oceano in giacimenti<br />

ben più estesi, in quanto quelli ossolani rappresentarono<br />

un laboratorio di prova.<br />

La nostra zona viene compresa nella “provincia Aurifera<br />

delle Alpi Occidentali” 45 , areale molto esteso che denota<br />

un fenomeno imponente che ha interessato le Alpi e<br />

che si è sv<strong>il</strong>uppato indipendentemente dalle formazioni<br />

rocciose che racchiudono i f<strong>il</strong>oni. 46<br />

La storia più recente è comunque a sua volta caratterizzata<br />

da ritrovamenti che hanno contraddistinto e reso<br />

assai significativo <strong>il</strong> territorio ossolano per precise e particolari<br />

scoperte mineralogiche. In particolare va segnalata<br />

la presenza di minerali delle terre rare 47 da sempre<br />

ritenuti assai poco frequenti, se non di eccezionale ritrovab<strong>il</strong>ità:<br />

alcuni sono presenti in pegmatiti come la<br />

91


Valle Anzasca: la miniera d’oro della Guia.<br />

tanteuxenite, euxenite, tapiolite, aeschynite, vigezzite,<br />

fersmite od anche in fessure come monazite, xenotimo,<br />

sinchisite, gadolinite, allanite.<br />

Da evidenziare anche specie rare come la roggianite 48 ,<br />

la taramellite e la wenkite, queste ultime contenenti bario,<br />

presenti nella Cava di Candoglia fornitrice del marmo<br />

ut<strong>il</strong>izzato per la costruzione del Duomo di M<strong>il</strong>ano.<br />

Interesse assai considerevole ha assunto la zona del<br />

Monte Cervandone (Valle Antigorio – Formazza) dove<br />

si scoprono con discreta continuità minerali di fessura<br />

ad alto contenuto di arsenico 49 . Essi hanno nomi come<br />

asbecasite, cafarsite, chernovite, agardite, strashimirite,<br />

gasparite, cervandonite, fetiasite, paraniite –<br />

(Y) 50 . Di tutti i minerali sinora citati alcuni sono nuovi<br />

ritrovamenti assoluti, che rendono unica la nostra regione.<br />

Minerali di interesse sono stati estratti durante i<br />

lavori di scavo del traforo del Sempione, completando<br />

l’ampia panoramica offerta.<br />

In questa lenta percolazione attraversando zone frattu-<br />

92<br />

rate, con rocce di varia genesi e composizione, le acque<br />

si arricchiscono in sali minerali e tornano a giorno in<br />

polle sorgive. 51<br />

Le acque minerali, rappresentano ab <strong>il</strong>lo tempore una<br />

ricchezza più duratura di quella dei giacimenti auriferi<br />

cui spesso sono geneticamente strettamente correlate 52 .<br />

La conoscenza delle acque minerali e delle loro proprietà<br />

curative risale alla seconda metà dell’Ottocento, periodo<br />

in cui maturò la convinzione presso gli industriali<br />

che le acque oltre al valore curativo potevano costituire<br />

fonte di reddito 53 . Solo dopo <strong>il</strong> 1906, anno dell’apertura<br />

del Sempione, avvenne un salto qualitativo anche<br />

in questo campo.<br />

Venivano ad esempio ut<strong>il</strong>izzate acque arsenicali presso<br />

le miniere aurifere dei Cani 54 , sorgenti con caratteristiche<br />

idrochimiche differenziate, alcune delle quali presentano<br />

una forte acidità ed elevata mineralizzazione,<br />

con presenza d’arsenico, ferro e numerosi altri metalli.<br />

Queste acque confluiscono in un unico rio, <strong>il</strong> Crotto<br />

Rosso, <strong>il</strong> cui greto è coperto da un deposito ocraceo for-


matosi a seguito della deposizione degli ossidi idrati di<br />

alcuni metalli in soluzione, in particolare ferro.<br />

Il dato più evidente che emerge dalle analisi effettuate<br />

nel marzo 1993 dal Laboratorio Provinciale di Igiene e<br />

Prof<strong>il</strong>assi di Novara è <strong>il</strong> valore di pH (2,42 unità), che<br />

mette in evidenza una fortissima acidità minerale.<br />

Tale valore determina una forte capacità di mineralizzazione<br />

delle acque, a spese delle rocce con le quali vengono<br />

in contatto, e determinano la dissoluzione di metalli<br />

quali alluminio, ferro, manganese, zinco, che costituiscono<br />

la parte più importante dello spettro cationico.<br />

Sono da sottolineare le concentrazioni molto elevate<br />

raggiunte da questi metalli in soluzione, sino a 700<br />

mg l -1 per <strong>il</strong> ferro e 140 mg l -1 per l’alluminio che, uniti<br />

alla forte acidità dell’acqua, rendono necessaria la sua<br />

somministrazione secondo precise prescrizioni mediche.<br />

Sono presenti inoltre molti metalli in concentrazione<br />

minore, quali arsenico, piombo, nichel. La conducib<strong>il</strong>ità<br />

risulta di 4150 µS cm -1 , pressoché interamente<br />

dovuta ai solfati, mentre fra i cationi prevalgono ferro<br />

e alluminio, seguiti da calcio e magnesio. Le cause della<br />

forte acidificazione e mineralizzazione delle acque è<br />

stata identificata in uno studio 55 finalizzato alla valutazione<br />

delle possib<strong>il</strong>ità di ut<strong>il</strong>izzo terapeutico dell’acqua,<br />

nell’azione di dissoluzione delle acque sotterranee sulle<br />

arsenopiriti presenti nelle rocce, che fanno parte del<br />

complesso dei minerali auriferi estratti dalla miniera. In<br />

particolare la forte acidità è determinata dal processo<br />

di ossidazione dei solfuri, uno dei costituenti principali<br />

delle piriti, a solfati.<br />

Iniziò così lo sfruttamento di queste acque che venivano<br />

captate ed, opportunamente d<strong>il</strong>uite, imbottigliate<br />

per cure orali e per anemie; inoltre si effettuarono bagni<br />

per cure dermatologiche con ottimi risultati, mentre di<br />

pari passo analisi chimiche effettuate presso centri universitari<br />

documentavano le proprietà terapeutiche della<br />

sorgente. Con grande soddisfazione gli amministratori<br />

locali possono finalmente captare l’acqua della sorgente<br />

arsenicale e convogliare mediante fanghidotto a valle<br />

per sv<strong>il</strong>uppare un centro di cure termali.<br />

Così pure si racconta che: “Le acque minerali di Bognanco<br />

(Val d’Ossola), da parecchi anni fatte conoscere in <strong>It</strong>a-<br />

lia, come acque da tavola e medicinali. Esse sgorgano da<br />

un vivo masso di gneis micaceo, sorgente quasi isolato nel<br />

letto del fiume. Alcuni anni fa non si conosceva che un’unica<br />

sorgente; ma per mezzo di scavi praticati sapientemente,<br />

fra gli abbondanti st<strong>il</strong>licidi che irrorano la roccia e la tingono<br />

di chiazze gialle e rugginose, si riuscì ad aumentare<br />

l’efflusso della prima e a trovarne parecchie altre dotate di<br />

diverse proprietà. Le principali sono quattro, coi nomi di<br />

Luigia, Ausonia, S. Lorenzo e Adelaide, le quali distanti<br />

di solo pochi metri l’una dall’altra, contengono tutte quasi<br />

gli stessi sali, ma in dosatura assai diversa. Questo fatto,<br />

unito a quello di una temperatura fresca (da 5 gradi a<br />

11 gradi C.) farebbe supporre che la mineralizzazione delle<br />

sorgenti non avvenga ad una grande distanza dal loro<br />

sbocco, ovvero che durante <strong>il</strong> loro percorso sotterraneo, sprigionandosi<br />

in parte quel gran solvente che è l’acido carbonico<br />

(che nelle fonti di Bognanco è straordinariamente abbondante)<br />

alcuni sali si depongano qua e là parzialmente,<br />

ed altri totalmente” 56 .<br />

Le sorgenti che costituiscono le Terme di Crodo sono<br />

ubicate sul fianco destro dell’alta Valle del Toce, nella<br />

zona di radice dei grandi ricoprimenti alpini. Risultano<br />

quattro sorgenti denominate Fonte di Valle d’Oro 57 ,<br />

Cistella 58 , Lisiel 59 e Cesa 60 . Le prime due sgorgano entro<br />

<strong>il</strong> Parco delle Terme; la terza all’estremità settentrionale<br />

del parco, al piede dell’ampia conoide alluvionale del<br />

Rio Alfenza e la quarta sgorga nei depositi morenici a<br />

grossi blocchi che fasciano <strong>il</strong> fianco sinistro del Rio Emo.<br />

Cristallo di quarzo.<br />

93


Non solo acque minerali in Ossola ma termalismo,<br />

considerato nel suo corretto significato quindi acquae<br />

calidae, che vennero ritrovate anche durante <strong>il</strong> perforo<br />

della galleria del Sempione e furono di ostacolo alla realizzazione<br />

dell’opera. Ne dà notizia <strong>il</strong> Malladra: “Quest’acqua<br />

venne scoperta durante lo scavo del traforo del<br />

Sempione. Attorno alla progressiva 4410 dello scavo, dal<br />

versante italiano, in un tratto lungo solo 170 metri si contarono<br />

ben 40 sorgenti di diversa portata, di varia natura,<br />

di diseguale temperatura e regime che crearono notevoli<br />

problemi rallentando i lavori. Un’ ulteriore difficoltà fu<br />

dovuta al fatto che queste acque erano ad altissima pressione.<br />

La prima venuta d’acqua nel tunnel si verificò <strong>il</strong> giorno<br />

1 settembre 1902 quando lo scavo stava attraversando<br />

un banco di calcare saccaroide. Altre sorgenti furono incontrate<br />

ai 9110 m. di avanzamento e avevano una temperatura<br />

superiore ai 40° C; ed altre ancora furono intercettate<br />

dal fronte d’attacco nord, quello sul versante svizzero<br />

e furono tali da dover interrompere l’avanzamento.<br />

Gli scavi seppur con difficoltà si conclusero ma restava da<br />

capire da dove provenisse tutta quest’acqua. Si eseguirono<br />

così prove con la fluorescenza, una sostanza che colora<br />

l’acqua e permette di seguirne <strong>il</strong> percorso. La sostanza fu<br />

messa nel lago d’Avino, nel torrente Diveria e nel Cairasca,<br />

dando però esito negativo, non era da questi che l’acqua<br />

si inf<strong>il</strong>trava fino a raggiungere <strong>il</strong> tunnel. Un’altra ipotesi<br />

era che l’acqua penetrasse nel terreno dalle aree che sovrastavano<br />

la galleria, una zona quella del lago d’Avino,<br />

della valle Vallè, del Passo delle Possette sim<strong>il</strong>e alla regione<br />

del Carso con profonde incisioni, imbuti, avvallamenti<br />

e depressioni” 61 .<br />

Ed ancora ai Bagni di Craveggia 62 di cui si dice: “La<br />

sorgente termo-minerale detta dei bagni di Craveggia,<br />

che sgorga da rupi di gneiss fondamentale in Valle Onsernone,<br />

e segna un punto di confine fra l’Ossola e <strong>il</strong> Canton<br />

Ticino. L’efflusso è di 12 litri al minuto, e la sua temperatura<br />

si mantiene costantemente a 30° C., benchè a 1000<br />

metri circa sul livello del mare. Era nota sino dal 1406,<br />

sotto <strong>il</strong> nome di flumen acquae calidae; l’Amoretti la descrisse<br />

sul finire del secolo scorso.” 63<br />

Ed ai giorni nostri a Cadarese di Premia è stata rinvenuta<br />

una sorgente di acqua calda durante un sondaggio<br />

geotecnico eseguito dall’ENEL nel 1992. E’ la temperatura<br />

la caratteristica sorprendente di questa fonte, in-<br />

94<br />

fatti l’acqua sgorga ad una temperatura che va dai 42,3<br />

C o ai 42,5 C o . L’acqua è stata sottoposta alle analisi previste<br />

dalle normative vigenti, in base alle quali è stata riconosciuta<br />

batteriologicamente pura con caratteristiche<br />

ipertermali, ricca di sali minerali, solfato calcica. Il comune<br />

di Premia per valorizzare questa risorsa naturale<br />

sta realizzando un centro termale dove poter sfruttare<br />

gli effetti terapeutici di queste acque. Dalle analisi<br />

eseguite risulta infatti ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e con metodiche di<br />

balneoterapia e fangoterapia, per la cura di patologie di<br />

pertinenza reumatologica, ortopedica, traumatologica e<br />

dermatologica 63 .<br />

Sempre l’acqua grande risorsa ossolana è stata oggetto<br />

dai primi decenni del Novecento di sfruttamento<br />

per scopi idroelettrici mediante la realizzazione di infrastrutture<br />

quali dighe per lo più realizzate su bacini<br />

lacustri preesistenti, in zone di alta montagna. Si tratta<br />

di zone di circo glaciale quindi di ampi bacini superiori<br />

delle valli che come si è già detto in precedenza<br />

vanno restringendosi sempre più verso <strong>il</strong> basso facendosi<br />

via via anguste e dove sono state posate condotte<br />

forzate e canali di derivazione. Tutto ciò ha determinato<br />

<strong>il</strong> cambiamento dell’aspetto di molte vallate.<br />

La ricca documentazione fotografica raccolta nel <strong>libro</strong><br />

“Girola-un’impresa sulle Alpi” 64 descrive più di qualsiasi<br />

altra cosa quello che fu <strong>il</strong> fermento di quegli anni<br />

dell’idroelettrica italiana. Per la società dell’ingegnere<br />

Ettore Conti 65 , l’impresa Girola e l’arch. Piero Portaluppi<br />

costruiscono le centrali di Verampio, Crego, Valdo,<br />

Sottofrua, Cadarese e Crevoladossola. Conti e Portaluppi<br />

intesero fin dall’inizio questa rete di splendide<br />

centrali elettriche come gioielli che esprimevano luminosamente<br />

l’energia in loro accumulata.<br />

Dalla valle Antigorio Formazza lo sfruttamento idroelettrico<br />

si è esteso ad altre valli che presentano conformazione<br />

morfologica analoga e si possono individuare<br />

dei sistemi idroelettrici omogenei anche in valle Devero,<br />

val Bognanco, valle Antrona, val Divedro, Crevola-Domodossola-Pallanzeno-Piedimulera-Ornavasso,<br />

valle Anzasca.<br />

Di realizzazione recente sono altri impianti quali quello<br />

di Pieve Vergonte con derivazione dall’Anza a Battiggio<br />

e centrale in caverna a Fomarco di Pieve Vergonte,


Alta Valle Formazza: i laghi Kastel e Toggia.<br />

e quello di Varzo con presa sul Diveria a Paglino e centrale<br />

in caverna a Varzo.<br />

Negli anni 90 venne anche presa in considerazione<br />

l’ipotesi di costruire nel comune di Premia, in località<br />

Pied<strong>il</strong>ago un impianto per la produzione di energia<br />

idroelettrica del tipo ad accumulazione mediante pompaggio<br />

a ciclo giornaliero. Il progetto prevedeva la presenza<br />

di due serbatoi, quello superiore esistente (bacino<br />

di Agaro), mentre quello di valle un bacino artificiale<br />

ricavato mediante scavi ed arginature realizzate in sinistra<br />

orografica del fiume Toce, nella Piana di Pissaro. La<br />

particolarità di questo impianto sarebbe stata la possib<strong>il</strong>ità<br />

di accumulare energia (costituita da volumi d’acqua<br />

trasferiti dal serbatoio inferiore a quello superiore) nelle<br />

ore di minore richiesta, in genere quelle notturne e festive,<br />

per restituirla nei momenti di maggiore domanda<br />

elettrica. Purtroppo sembra che non verrà realizzato per<br />

mancanza di fondi.<br />

Sempre relativamente allo sfruttamento dell’acqua<br />

come forza motrice in Ossola esisteva una rete di opifici<br />

66 e strutture produttive “andanti ad acqua” come mulini,<br />

molinetti 67 , segherie 68 , ferriere.<br />

L’uso dell’energia idraulica per mettere in moto “ruote<br />

ad acqua” che potevano azionare macine, magli ed altri<br />

meccanismi semplici destinati alla trasformazione e lavorazione<br />

dei prodotti, risale ad epoche molto antiche,<br />

ma la effettiva diffusione di tali strutture si fa risalire al<br />

periodo medievale.<br />

95


Valle Antigorio, località Maiesso: le erosioni del fiume Toce.<br />

Il mulino ad acqua 69 , è stato per lunghissimo arco di<br />

tempo, una struttura di vitale importanza per la popolazione;<br />

di piccole dimensioni, posto in vicinanza di<br />

fiumi, rii e torrenti, di cui captava le acque mediante<br />

canalizzazione scavata direttamente in roccia o in legno,<br />

macinava 70 segale, castagne 71 , e assicurando le risorse<br />

alimentari alle popolazioni che ne usufruivano.<br />

Si possono distinguere due tipi fondamentali di mulini,<br />

a seconda della posizione della ruota idraulica che li<br />

azionava; <strong>il</strong> mulino orizzontale, con ruota motrice orizzontale,<br />

adatta a sfruttare portate d’acqua limitate, proprie<br />

dei regimi idraulici torrentizi, e <strong>il</strong> mulino “verticale”,<br />

con ruota motrice verticale mossa dalla caduta dell’acqua,<br />

presente sui corsi d’acqua a portata costante e<br />

copiosa. Nelle valli ossolane, visto <strong>il</strong> regime torrentizio<br />

dei diversi corsi d’acqua, si è sempre preferito <strong>il</strong> mulino<br />

con ruota orizzontale formata da 14-16 pale a cucchiaio<br />

realizzate in legno di quercia e saldate ad un albero ver-<br />

96<br />

ticale in grado di trasmettere <strong>il</strong> moto alle macine di pietra<br />

poste superiormente.<br />

La presenza dell’acqua è stata determinante per lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

degli insediamenti umani infatti oltre a essere<br />

fondamentale per l’approvvigionamento idrico, la vicinanza<br />

di corsi d’acqua poteva avere funzioni difensive<br />

e favorire lo sv<strong>il</strong>uppo delle comunicazioni e dei commerci.<br />

D’altro canto, alluvioni e scoscendimenti parteciparono<br />

a rimodellare nel corso dei secoli la mappatura<br />

degli insediamenti, trasformando <strong>il</strong> paesaggio e costringendo<br />

l’uomo a escogitare tecniche per proteggere<br />

le abitazioni e le zone coltivate.<br />

Anticamente le tecniche d’approvvigionamento idrico<br />

erano concentrate in pochi punti e l’accesso all’acqua<br />

potab<strong>il</strong>e era assicurato da pozzi a carrucola e da cisterne<br />

d’acqua piovana soprattutto in zone di montagna<br />

lontane da corsi d’acqua 72 . Quando la gestione dell’acqua<br />

divenne un compito dei comuni essi si dotarono<br />

di condotte che rifornivano fontane e lavatoi pubblici<br />

e privati.<br />

Sistemi di approvvigionamento idrico moderni furono<br />

realizzati nei centri maggiori nella seconda metà del<br />

XIX secolo e con qualche ritardo sorsero anche canalizzazioni<br />

per lo smaltimento delle acque di scarico spesso<br />

realizzate in pietra ollare chiamata anche localmente<br />

con <strong>il</strong> termine di laughera 73 o laveggio ed attualmente<br />

ut<strong>il</strong>izzata per realizzare piastre per riscaldare e cuocere<br />

le vivande. La nostra pietra era molto conosciuta: “In<br />

Piemonte nella val d’Ossola a Vagna (e in val Bognanco)<br />

si ha una serpentina detta ollare di colore variab<strong>il</strong>e dal<br />

plumbeo al verde cupo, è fac<strong>il</strong>mente lavorab<strong>il</strong>e al tornio<br />

e suscettib<strong>il</strong>e di lastratura: se ne fanno tubi per fumo, per<br />

cessi e per condutture d’acqua, come le condutture di Pallanza,<br />

Acqui e S. Remo. A tali usi serve pure la serpentina<br />

d’Oira (Nonio) sul lago d’Orta, detta impropriamente<br />

marmo d’Oira. I tubi di serpentina di Vagna possono avere<br />

lunghezza di m. 1.20, con diametro interno da 0.035 a<br />

0.28, e collo spessore delle pareti da 0.015 a 0.03. La varietà<br />

d’Oira è alquanto inferiore a quella di Vagna perchè<br />

trovandosi intersecata da numerose vene di quarzo è ottenib<strong>il</strong>e<br />

solo in pezzi di limitate dimensioni.” 74


Le canalizzazioni a cielo aperto non sono così diffuse<br />

nel nostro territorio come nel vicino cantone Vallese<br />

povero di precipitazioni dove si sv<strong>il</strong>upparono fin almeno<br />

dal Medioevo complessi sistemi d’irrigazione chiamati<br />

“bisses” in francese, “suonen” in tedesco.<br />

Le “bisses” vallesane sono documentate fin dall’XI secolo,<br />

altri sistemi d’irrigazione medievali sono stati scoperti<br />

nei Grigioni e in Ticino. Nelle regioni più ricche<br />

di precipitazioni, i sistemi d’irrigazione servivano invece<br />

a fert<strong>il</strong>izzare prati e campi di grano.<br />

Le precipitazioni in Ossola sono invece complessivamente<br />

abbondanti, se confrontate con i valori medi nazionali,<br />

perché i suoi monti, ed in particolare quelli che<br />

segnano la linea spartiacque con <strong>il</strong> Canton Ticino ed <strong>il</strong><br />

Verbano, costituiscono, insieme ai r<strong>il</strong>ievi della val Strona<br />

e del bacino del Lago d’Orta, i primi ostacoli che<br />

le masse d’aria umide provenienti dal Mediterraneo incontrano,<br />

dopo aver attraversato la Pianura Padana, riscaldandosi<br />

e raccogliendo inquinanti atmosferici.<br />

L’incontro con <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo alpino, non mitigato dalla presenza<br />

delle prealpi, determina un innalzamento e raffreddamento<br />

delle masse d’aria, con conseguenti precipitazioni,<br />

di intensità variab<strong>il</strong>e a seconda della perturbazione<br />

a determinare spesso piogge intense e prolungate.<br />

Questi fenomeni si verificano durante i massimi primaver<strong>il</strong>e<br />

ed autunnale; le precipitazioni di massima intensità<br />

e breve durata possono essere sia episodi isolati<br />

di carattere temporalesco, sia momenti di particolare<br />

intensità durante eventi piovosi di durata prolungata.<br />

In questo caso possono essere particolarmente pericolosi<br />

perché possono provocare la saturazione di terreni<br />

aventi un già alto contenuto d’acqua con decremento<br />

delle caratteristiche di resistenza e creazione di fenomeni<br />

di dissesto, numerosi in passato 75 e purtroppo sempre<br />

più frequenti come nel mese di ottobre 2000 che<br />

hanno colpito la rete idrografica sia principale che minore,<br />

manifestando importanti portate di piena dei tributati<br />

principali (T. Diveria, T. Bogna, T. Ovesca, T.<br />

Anza,) e inducendo un incremento significativo del livello<br />

del Fiume Toce. Contemporaneamente si sono<br />

verificati una serie di fenomeni di carattere torrentizio<br />

lungo le linee di impluvio secondarie, i quali hanno determinato<br />

sia la riattivazione delle attività erosive che<br />

fenomeni di trasporti in massa in alveo; lo sv<strong>il</strong>uppo di<br />

tali attività ha indotto dapprima la parziale occlusione<br />

di diverse tombinature delle sedi viarie vallive e, successivamente,<br />

l’invasione di alcuni tratti di arteria viaria da<br />

parte di materiali solidi e portate liquide.<br />

Nel contempo, l’incremento di deflusso nei collettori<br />

principali, favorito anche dallo scioglimento delle nevi<br />

in quota, ha innescato i fenomeni di dissesto che hanno<br />

interessato le sponde sia naturali che artificiali, determinando<br />

erosioni di sponda diffuse con inondazione<br />

ad alta e bassa energia. Tali fenomeni sono stati favoriti<br />

sia dal trasporto in massa che, soprattutto, dalla presenza<br />

in alveo di abbondate materiale alluvionale e flottante<br />

di natura vegetale.<br />

Sempre nell’ottobre 2000 si sono verificati gravi danni<br />

alle infrastrutture viarie, con cedimenti delle carreggiate,<br />

asportazione delle porzioni più a rischio (tornanti),<br />

scalzamenti al piede, sifonamenti del sottofondo con<br />

cedimenti del manto bituminoso.<br />

L’azione combinata tra le precipitazioni meteoriche,<br />

i fenomeni di ruscellamento diffuso ed incanalato, la<br />

saturazione dei corpi detritici ha infine innescato una<br />

serie di fenomeni gravitativi delle coperture, i quali si<br />

sono materializzati con scivolamenti e di colata.<br />

Note tecniche<br />

3 Le beole petrograficamente vengono chiamate ortogneiss<br />

della falda Monte Rosa che ha la sua zona di<br />

radice nella piana ossolana. I litotipi sono localizzab<strong>il</strong>i<br />

a Beura, Cardezza, V<strong>il</strong>ladossola, Pallanzeno, alta valle<br />

Antrona. Le cave sono situate nel nucleo della larga antiforme<br />

della zona Monte Rosa, che ha un piano assiale<br />

subverticale con direzione E-W. Tale zona ha subito una<br />

notevolissima deformazione che ha formato rocce con<br />

tessitura scistosa planare e fortissima lineazione, dove i<br />

componenti chiari formano matite lunghe una spanna<br />

con diametro di uno o due centimetri. A Ceppo Morelli<br />

si coltivano invece ortogneiss grossolani ghiandoni<br />

(Serizzo Monte Rosa) che hanno conservato quasi<br />

perfettamente l’aspetto dell’originario granito a grana<br />

grossa. Le colorazioni sono variab<strong>il</strong>i a seconda. del-<br />

97


la grana della roccia e del contenuto in miche, si passa<br />

dalle beole grigie alla cosidetta pietra argentea con<br />

molta muscovite. I materiali coltivati nelle vicinanze del<br />

Monte Calvario ed in valle Vigezzo sono ortogneiss tabulari<br />

<strong>il</strong> cui granito originario era a grana fine, si tratta<br />

di orizzonti verticalizzati aventi caratteristiche sim<strong>il</strong>i<br />

a quelli delle beole ma con minori caratteristiche estetiche.<br />

Analoghi alle beole sono gli gneiss del Monte Leone,<br />

macroscopicamente sono molto sim<strong>il</strong>i alle beole più<br />

muscovitiche (beola Isorno e Favalle).<br />

La quarzite di Vogogna: si tratta di una quarzite permocarbonifera<br />

quindi non è una vera quarzite di derivazione<br />

sedimentaria (derivante da arenaria molto<br />

quarzosa metamorfosata) come quella cavata a Barge<br />

Sanfront (“bargioline”). Ma si tratta di ortogneiss laminati<br />

molto fiss<strong>il</strong>i, tipo beola, con colorazione verdina<br />

data dalla fengite, mentre le varietà più grigie contengono<br />

muscovite. Chiamata degli “scisti di Fobello e Rimella”<br />

ha infatti subito un elevata deformazione essendo<br />

al contatto con la linea Insubrica.<br />

4 I serizzi petrograficamente sono noti come ortogneiss<br />

della falda d’Antigorio che affiora con grande<br />

estensione in valle Antigorio Formazza ed in valle Divedro.<br />

Essa è rovesciata verso verso Nord Ovest con un<br />

fronte arrotondato avente spessore massimo di 1 Km e<br />

nella zona di radice (a meridione) si assottiglia. Le buone<br />

condizioni di affioramento sono legate al fatto che le<br />

valli tagliano la falda. La roccia è di tipo gneissico con<br />

scistosità non tanto efficace da impedirne l’uso come i<br />

materiali granitoidi cioè con taglio e successiva lucidatura.<br />

“Serizzo” è un termine tecnico per indicare litotipi<br />

che provengono da zone settentrionali della val d’Ossola.<br />

A seconda di dove è posizionata la cava all’interno<br />

della falda si estraggono litotipi diversi: quelli meridionali<br />

presentano una foliazione più fitta. I litotipi<br />

tipo beola sono nella zona di radice oppure vicino al<br />

margine della falda a contatto con le falde sottostanti o<br />

sovrastanti. I materiali estratti provengono: da Crodo<br />

(Serizzo Antigorio), ortogneiss a grana media con tessitura<br />

occhiadina, talora porfirica, ricco di biotite viene<br />

anche detto serizzo scuro; da Varzo e dintorni, in<br />

val Divedro (Serizzo Sempione o “Granito” di Varzo).<br />

Si possono considerare due varietà una a fondo bian-<br />

98<br />

co con sott<strong>il</strong>i e brevi livelletti di biotite, localmente anche<br />

solo aggregati puntiformi, detta grigio chiaro; l’altra<br />

con più abbondante e diffusa biotite che scurisce la<br />

roccia, è detta grigio scuro sono coltivati come beole.<br />

Dalla val Formazza (Serizzo Formazza), gneiss granitoide<br />

a grana fine con scistosità rada e poco marcata<br />

biotite presente in debole quantità, roccia a fondo bianco<br />

con leggera macchiettatura nera. Viene chiamato anche<br />

serizzo bianco, si tratta di un bell’ortogneiss biotitico,<br />

a tessitura generalmente occhiadina uniforme, più<br />

scuro delle beole tipiche.<br />

6 Il marmo rosa di Candoglia viene tuttora ut<strong>il</strong>izzato<br />

per <strong>il</strong> restauro del Duomo di M<strong>il</strong>ano. Nella zona di Candoglia<br />

è presente <strong>il</strong> banco di calcare cristallino disposto<br />

verticalmente nelle rocce gneissiche che limitano a Sud<br />

la formazione diorito-kinzigitica. La colorazione rosata<br />

del marmo è imputab<strong>il</strong>e alla presenza di ossido di ferro<br />

diffuso nella roccia. Purtroppo una notevole percentuale<br />

del marmo non può essere ut<strong>il</strong>izzata per la presenza<br />

di solfuri di ferro, diffusi in piccoli noduli o in sciami<br />

di minutissime inclusioni; queste inclusioni alla superficie<br />

delle lastre in opera negli esterni, a contatto con le<br />

acque meteoriche, danno un colore rugginoso con grave<br />

deturpazione cromatica.<br />

Il marmo di Ornavasso o marmo grigio Boden. E’ situato<br />

sul versante destro idrografico della val d’Ossola,<br />

nei pressi di Ornavasso, di fronte a Candoglia e rappresenta<br />

la prosecuzione delle grandi lenti di calcare cristallino.<br />

Il marmo di Crevola. Si tratta di marmi dolomitici facenti<br />

parte di un intercalazione metamorfica mesozoica<br />

della falda Lebendun posta tra la falda Antigorio (inf.)<br />

e la falda Monte Leone superiormente dolomie cristalline<br />

saccaroidi viene estratta a Crevola in val d’Ossola<br />

e commerciata con <strong>il</strong> nome di “marmo di Crevola”. La<br />

roccia è di colore fondamentalmente bianco grigiastro<br />

contiene diffusi letti di mica flogopite di colore marrone<br />

violaceo, e viene cavata in due tipi fondamentali<br />

a fondo grigio ed a fondo bianco; in ambedue i tipi la<br />

presenza della mica flogopite variamente distribuita viene<br />

a creare un interessante effetto cromatico d’assieme.<br />

La dolomia di Crevola d’Ossola, in confronto ai calcari<br />

saccaroidi, presenta una maggiore resistenza all’azio-


ne chimica degli agenti atmosferici oggi particolarmente<br />

aggressivi nelle grandi città industriali. In dolomia di<br />

Crevola è stato realizzato <strong>il</strong> rivestimento dell’Arco della<br />

Pace a M<strong>il</strong>ano.<br />

7 Il granito di Baveno affiora con un complesso roccioso<br />

largo circa tre ch<strong>il</strong>ometri, sv<strong>il</strong>uppato in direzione<br />

NE-S0 per circa 10 km sulla riva piemontese del Lago<br />

Maggiore. La massa granitica è compresa tra gli gneiss<br />

e gli scisti della cosidetta “serie dei Laghi” a Nord, si<br />

trova circoscritta dalle alluvioni quaternarie dei fiumi<br />

Toce e Strona. Il granito di Baveno si presenta in due<br />

colorazioni diverse: rosa e bianco. La roccia granitica<br />

di Baveno ha una granulazione media ed uniforme,<br />

ed è caratterizzata da una elevata compattezza, in alcune<br />

zone l’omogeneità della roccia è interrotta dalla presenza<br />

di geodi che raggiungono anche parecchi decimetri<br />

di diametro, ricoperte di eleganti e ricche cristallizzazioni<br />

di varia natura. Nella massa granitica sono presenti<br />

anche concentrazioni di minerali di ferro e magne-<br />

Lo scoglio granitico del Montorfano arrotondato dai ghiacciai.<br />

sio, vene allungate di granito a struttura grossolana con<br />

grandi lamine di mica biotite, “catene” che terminano<br />

assottigliandosi nella massa del granito. Il granito di<br />

Montorfano di colore nettamente bianco punteggiato<br />

di nero per la presenza della mica biotite. L’omogeneità<br />

della roccia è rotta dalla presenza di zone ricche di quarzo<br />

o di feldspato; si trovano numerose inclusioni di piccoli<br />

frammenti di rocce metamorfiche scistoso-cristalline<br />

che conservano ancora i loro caratteri originari.<br />

Il granito verde di Mergozzo appartiene alle rocce dioritiche,<br />

affiora sulle pendici nord-occidentali del Montorfano.<br />

E’ut<strong>il</strong>izzato per scopi decorativi; le macchioline<br />

verdi diffuse sono dovute a clorite; i granuletti violacei,<br />

meno frequenti, sono costituiti da quarzo. Il “granito”<br />

nero di Anzola, è classificato come granulite metamorfica<br />

di colore nerastro; veniva cavato presso Anzola<br />

ed apprezzato per le notevoli qualità tecniche ed estetiche<br />

tuttavia la presenza di inclusioni diffuse di solfuri<br />

portavano alla formazione di ossidi di ferro che in forma<br />

di macchie gialle deturpavano le superfici lucidate.<br />

99


Note<br />

1 con <strong>il</strong> metamorfismo durante la formazione delle Alpi<br />

2 “La tessitura gneissica (da un nome in uso presso i minatori di Freiberg,<br />

(gneiss o gneuss denominavano colà i minatori la roccia incassante<br />

di vene argentifere. Questo vocabolo si pronuncia gnaiss, non nieis),<br />

è dovuta, come la scistosa, ad una sorta di stratificazione, di orientazione<br />

comune degli elementi.” vedi Gneiss di Beura nell’Ossola”.<br />

ISSEL A. Compendio di Geologia, 1896, parte prima p.336<br />

3 vedi nota tecnica<br />

4 vedi nota tecnica<br />

5 appartenenti a pieghe a grande scala, influenti sulla morfologia di<br />

intere vallate,<br />

6 vedi nota tecnica<br />

7 vedi nota tecnica<br />

8 Nelle catene di tipo alpino, durante le formazioni plastiche connesse<br />

all’orogenesi, si formano delle grandi pieghe coricate. Le continue<br />

deformazioni tendono sempre più ad assottigliare la piega, che<br />

viene man mano sradicata dal suo luogo di formazione e spinta in<br />

avanti. Si ha così una falda di ricoprimento, unità tettonica che è alla<br />

base della struttura delle Alpi.<br />

9 ben visib<strong>il</strong>e la piega ripiegata esposta nella parete orientale del<br />

Monte Leone<br />

10 proprio in Ossola gli studiosi verificarono la corretta interpretazione<br />

della teoria geologica sulla formazione delle Alpi trovando,<br />

durante la realizzazione del traforo del Sempione, conferme e smentite<br />

alle ipotesi fatte. Il percorso denominato “geotraversa del Verbano-Ossola-Formazza”<br />

rappresenta un’escursione classica per le Università<br />

italiane ed estere. In particolare si effettuano degli stop a Fondotoce<br />

Montorfano, Albo di Mergozzo, Nibbio, Loro, V<strong>il</strong>ladossola,<br />

Pontemaglio-Oira, Verampio Centrale Bovera, Baceno, Premia<br />

11 in molti casi ben accessib<strong>il</strong>i dal versante a franapoggio e quasi<br />

inaccessib<strong>il</strong>i da quello a reggipoggio. Di ciò si hanno mirab<strong>il</strong>i esempi<br />

nel piano del Teggiolo o alla Pioda di Crana, esempio di lembo di<br />

sovrascorrimento isolato.<br />

12 a Verampio è visib<strong>il</strong>e la finestra tettonica dove affiorano strati del<br />

basamento roccioso antico, precedente alle Alpi, messo alla luce dall’erosione<br />

glaciale del Toce e del Devero<br />

13 tra Pian Buscagna-Devero, Crampiolo-Devero, Devero-Goglio,<br />

Croveo-Baceno, Baceno-Verampio o meno evidenti in altri punti<br />

quali Goglio-Croveo, Codelago-Crampiolo<br />

14 tra Lago Sabbione-Piano Camosci, Bettelmat-Riale, val Toggia-<br />

Riale, Frua-Sotto Frua, Fondovalle-Foppiano, Uriezzo-Verampio,<br />

Pontemaglio-Oira.<br />

15 dal “BELPAESE” Serata VII di A. Stoppani 1914<br />

16 Mozzio, Viceno, Cravegna, Bannio e Anzino, Trontano, Cardezza,<br />

Montecrestese, Cimamulera.<br />

17 Agua, Coipo, Pescia, Colmine di Crevola<br />

18 Agaro, Alba, val Bianca, val Quarazza, Mondelli, Dagliano<br />

19 Ant<strong>il</strong>lone, San Rocco, Sasso di Premia<br />

20 mirab<strong>il</strong>e esempio è rappresentato dalla forra di Balmafredda, raggiungib<strong>il</strong>e<br />

dalla frazione Centro di Premia, seguendo la strada che<br />

scende in circa dieci minuti in un’ampia conca prativa, per poi addentrarsi<br />

tra due pareti rocciose di mirab<strong>il</strong>e effetto. E’ legata ai piani<br />

di frattura orientati NE-SW.<br />

100<br />

21 Diveria, S<strong>il</strong>ogno, Antolina, Arvera, Balmasurda, Pontepertus,<br />

Morghen<br />

22 dove le strettoie corripondono a soglie rocciose tra un bacino e<br />

l’altro incise dai torrenti.<br />

23 Oira, Croveo, Majesso (questo sito si presenta variegato a causa<br />

dei fenomeni erosivi determinati dalla formazione di rapide, vortici<br />

ad asse sub-verticale che hanno trascinato ciottoli e sabbia. Inoltre<br />

la roccia crea effetti cromatici per la presenza di ferro che si è ossidato.<br />

L’area si sv<strong>il</strong>uppa a più livelli determinando un palcoscenico<br />

di rara bellezza); rio Cianciavero; caratteristiche sono quelle nelle<br />

rocce verdi all’alpe Campo o del torrente Quarazza.<br />

24 Calcari e dolomie metamorfiche<br />

25 Monte Teggiolo, lago Kastel<br />

26 Pojala, Candoglia<br />

27 Non si tratta sempre di fenomeni carsici in senso stretto cioè di<br />

dissoluzioni in rocce carbonatiche ma anche di fratture in rocce s<strong>il</strong>icee.<br />

Nel “Censimento dei Biotopi della Provincia del Verbano Cusio<br />

Ossola” (1999) effettuato da Cattin M. e altri, vengono segnalate<br />

numerose località.<br />

28 la speleologia in val d’Ossola ha avuto sv<strong>il</strong>uppo grazie a Pietro S<strong>il</strong>vestri<br />

studioso locale che ha valorizzato l’area del lago Kastel in alta<br />

valle Formazza. Attualmente <strong>il</strong> Gruppo Grotte Novara (www.gruppogrottenovara.it)<br />

e <strong>il</strong> Gruppo Speleologico Biellese sono impegnati<br />

in campagne di r<strong>il</strong>evamento.<br />

29 morene mediane, laterali: Belvedere, Gries, Hosand, Monte Leone<br />

30 Issel A. ,1896, Compendio di geologia, parte prima p.186<br />

31 Aldo G. Roggiani, “Sull’origine delle Alpi, quindi dell’Ossola” in<br />

Terra d’Ossola Edizione Lions Club 1984<br />

32 Cresta di Premia esempio evidentissimo di morena mediana.<br />

33 massi isolati di dimensioni ciclopiche<br />

34 esse sono conseguenza del ritiro delle masse glaciali che hanno liberato<br />

dal loro peso ammassi rocciosi già evidentemente fratturati<br />

ed hanno le stesse caratteristiche petrografiche della roccia in posto.<br />

35 Croveo, Ceppo Morelli, Cagiogno di Premia.<br />

36 A. Malladra, 1894, Scene e paesaggi dell’Ossola antichissima,<br />

pag.45, M<strong>il</strong>ano<br />

37 “Nel ramo ormai molto più breve di nord-est, l’interrimento pro-<br />

dotto dalle alluvioni riesce, per così dire, ancor più manifesto, colla<br />

netta separazione del Lago di Mergozzo, tagliato fuori dal grosso del<br />

Lago Maggiore per opera del Toce. Questo tranqu<strong>il</strong>lo laghetto, incorniciato<br />

fra le rudi pareti del Montorfano ed i morbidi pendii del<br />

Faie`, apparteneva ancora al gran lago al tempo di Polibio, che visse<br />

nel II secolo a.C., e forse gli appartenne ancora per molti secoli<br />

dopo. Infatti, <strong>il</strong> Macagno nella sua corografia, pubblicata nel 1490,<br />

lo designa semplicemente col nome di Sinus Mergotianus. E’ anzi<br />

opinione di alcuni che <strong>il</strong> Lago Maggiore, anche in tempi storici, si<br />

inoltrasse sino ad Ornavasso; avanzo di questa passata grandezza del<br />

lago sarebbe <strong>il</strong> Lancone, fra Ornavasso e Gravellona, anticamente<br />

assai più sv<strong>il</strong>uppato. (Vedi De Vit, Il Lago Maggiore, ecc., Vol. I,<br />

pag. 23 e segg.; Prato, tip. Alberghetti, 1875)” in Stoppani A.,1900-<br />

1903-1904, Corso di Geologia terza edizione con note aggiunte a<br />

cura di A. Malladra (tre volumi) , M<strong>il</strong>ano, vol.I p 217<br />

38 In età postglaciale, come al di sopra del gradino glaciale di Fondo-


valle, chiamato delle “Casse”, come conseguenza di una frana caduta,<br />

da una cima sovrastante, in epoca postglaciale.<br />

39 Stoppani A.,1900-1903-1904,(op. cit.) p.161.<br />

40 Gli specchi lacustri sono stati i primi ad essere liberati dai ghiacci<br />

ed i fenomeni di interrimento hanno avuto tempo sufficiente per<br />

trasformarsi in palude e poi prato.<br />

41 Durante le ultime glaciazioni, masse moreniche presenti ad Est<br />

di Re costituirono un importante sbarramento cosicchè si formò<br />

un bacino lacustre in cui si deposero r<strong>il</strong>evanti quantità di sedimenti<br />

limosi in strati di colore chiaro (nel periodo estivo) e scuro (nel<br />

periodo invernale) per la presenza di sostanza organica. Successivamente<br />

lo sbarramento morenico fu demolito dalle acque del torrente<br />

Melezzo con conseguente vistoso rimaneggiamento e terrazzamento<br />

dei retrostanti depositi lacustri, ovviamente questo fenomeno<br />

morfologico si è verificato in più cicli con fasi analoghe di deposizione<br />

e demolizione con tale regolarità da permetterne una datazione<br />

relativa.<br />

42 Alfenza, Anza, Anzuno, Bogna, Ogliana, Diveria, Ovesca, Isorno,<br />

Melezzo.<br />

43 A.G. Roggiani, 1984 op.cit.<br />

44 The Pestarena Gold Mining Co. Limited, Antrona Gold Mining<br />

Co. Limited, Anglo <strong>It</strong>alian Co. Limited<br />

45 Giacimenti primari ma anche secondari (nelle alluvioni dei corsi<br />

d’acqua) chiamati “placers”.<br />

46 Le località ossolane segnalate sono le seguenti: Crodo (Alfenza,<br />

Faella), Gondo (Svizzera), valle Antrona (Mottone, Mee), val Bianca<br />

(Cani-Agarè), Pestarena-Lavanchetto, val Quarazza (Quarazzola,<br />

Col Bad<strong>il</strong>e), Vogogna, Val Toppa, Vallaccia, val Segnara, Monte<br />

Capezzone<br />

47 Gli elementi delle terre rare sono poco conosciuti dall’uomo comune<br />

e per molti decenni hanno costituito un grosso problema per<br />

i chimici. Il loro nome deriva dal fatto che erano ritenuti un tempo<br />

particolarmente rari. Essi sono ut<strong>il</strong>izzati per diversi scopi: <strong>il</strong> lantanio<br />

nella costruzione di speciali obiettivi fotografici, <strong>il</strong> samario<br />

per la costruzione di magneti permanenti, l’europio ed <strong>il</strong> samario<br />

come costituenti essenziali del materiale luminescente dei tubi catodici<br />

per televisori a colori, <strong>il</strong> neodimio è usato per vetri di bel colore<br />

violetto, <strong>il</strong> gadolinio in alcune imitazioni del diamante. Alcuni<br />

di tali minerali sono esclusivi dell’Ossola (nelle Alpi): ossidi (cerianite,<br />

tanteuxenite, fersmite, vigezzite, cervandonite, pirocloro-Ce),<br />

fosfati (monazite-Nd) arseniati (gasparite, chernovite), s<strong>il</strong>icati (cascandite,<br />

jervisite).<br />

48 La roggianite deve essere classificata come zeolite, essa è l’unica<br />

che presenta ber<strong>il</strong>lio come costituente fondamentale, inoltre presenta<br />

altre caratteristiche che la rendono molto singolare. La prima determinazione<br />

è stata fatta da Passaglia (1969) che l’ha descritta come<br />

allumos<strong>il</strong>icato di calcio idrato usando i metodi analitici disponib<strong>il</strong>i<br />

a quel tempo: gravimetrico, spettrofotometrico ad emissione, volumetrico<br />

complessimetrico e colorimetrico. Nel 1985 venne fatto<br />

un riesame cristallochimico <strong>completo</strong> usando tecniche più moderne:<br />

microsonda elettronica, spettrofotometro ad assorbimento atomico,<br />

TG, diffrattometro a raggi X. L’esatta determinazione si è resa<br />

necessaria poiché Voloshini et alii (1985) proposero la ginzburgite<br />

come nuovo minerale avente caratteristiche sim<strong>il</strong>i alla roggianite.<br />

49 Viene sottolineata la primaria importanza della zona del Cervandone,<br />

nella quale sono stati rinvenuti numerosi minerali in prevalenza<br />

arseniati come cafarsite, asbecasite, chernovite, clorot<strong>il</strong>o-mixite,<br />

gasparite. La loro genesi è conseguente a processi di rimozione<br />

di un antico (Ercinico) deposito minerario di Cu-As che<br />

durante <strong>il</strong> metamorfismo alpino è stato rimob<strong>il</strong>izzato da soluzioni<br />

idrotermali. Tale ipotesi è stata sostenuta dal Prof. Stefan Graeser<br />

in contrasto con le teorie precedenti che avevano ut<strong>il</strong>izzato in precedenza<br />

per spiegare la presenza di solfosali (solfoarseniuiri di Pb, Cu,<br />

Ag) nelle rocce dolomitiche più a Nord (Lengenbach, Binntal). Ciò<br />

è confermato dalla presenza della sorgente arsenifera dell’Alpe Veglia<br />

che rappresenta un trasporto di arsenico attraverso gli gneiss che<br />

continua ai giorni nostri.<br />

50 minerale scoperto recentemente avente formula chimica Ca2<br />

Y(AsO )(WO ) la cui caratterizzazione è stata effettuata presso<br />

4 4 2<br />

l’Università degli Studi di M<strong>il</strong>ano, Dipartimento di Chimica Strutturistica.<br />

Si tratta di un minerale di colore giallastro di 2 mm ritrovato<br />

sul versante Est del Monte Cervandone<br />

51 favorite ancora da presenza di fratture nelle rocce o dalla differente<br />

permeab<strong>il</strong>ità tra le rocce e la copertura detritica.<br />

52 per Crodo vedi A. Del Boca, (1993) “L’oro della valle Antigorio.<br />

Le acque minerali di Crodo fra realtà e leggenda” Edizioni Centro<br />

Studi “Piero Ginocchi” Crodo.<br />

53 vedi Chiaramonte U., 1985, “Industrializzazione e movimento<br />

operaio in val d’Ossola”, Franco Angeli Editore<br />

54 in Comune di Vanzone con San Carlo in valle Anzasca<br />

55 Quaranta E. & R. Mosello. 1995. Le acque arsenicali-ferruginose<br />

di Vanzone (val Anzasca, Novara). Studi recenti finalizzati all’ut<strong>il</strong>izzo<br />

terapeutico. Oscellana, 25: 230-237.<br />

56 Stoppani A.,1900-1903-1904, (op. cit.) pp. 407-409<br />

57 La forte mineralizzazione, che risulta sensib<strong>il</strong>mente più elevata di<br />

quella delle altre tre sorgenti vicine (Lisiel, Cesa, Cistella), è determinata<br />

prevalentemente dai solfati fra gli anioni e da calcio e magnesio<br />

fra i cationi.<br />

58 Le sperimentazioni cliniche e farmacologiche indicano che le<br />

acque della sorgente Cistella come già indicato per la Fonte Valle<br />

d’Oro sono indicate particolarmente nelle dispepsie e nelle enterocoliti.<br />

59 Le acque della sorgente Lisiel sono particolarmente indicate nelle<br />

manifestazioni cliniche consensuali a ipocinesi e a ipocrinia gastrica<br />

ed in generale nelle dispepsie funzionali gastroduodenali. Quest’acqua<br />

è particolarmente indicata per le diete povere di sodio, può avere<br />

effetti diuretici, favorire l’eliminazione dell’acido urico e stimola<br />

la funzionalità gastrica fac<strong>il</strong>itando la digestione.<br />

60 Le acque della sorgente Cesa sono indicate nel trattamento delle<br />

malattie del rene e delle vie urinarie, delle dispepsie gastroduodenali<br />

e intestinali e delle colecistopatie.<br />

61 Alessandro Malladra, 1902, “L’acqua del Traforo del Sempione”,<br />

M<strong>il</strong>ano Tipografia Cogliati; 1905 “Il Traforo del Sempione”, M<strong>il</strong>ano<br />

Tipografia Cogliati<br />

62 Negri B., Roveri M. e R. Mosello, 1989. “Le acque termali ossolane<br />

2. I bagni di Craveggia”, Oscellana, 19: 225 - 243.<br />

63 Stoppani A.,1900-1903-1904, (op. cit.) pp.402-403<br />

64 M. Jakob, U. Stahel, “Girola-un’impresa sulle Alpi” con foto di A.<br />

101


Paletti Fotomuseum Winterthur Scheidegger & Spiess 1998<br />

65 fondatore nel 1901 della Società per Imprese Elettriche Conti e C.<br />

66 La Roggia dei Borghesi di Domodossola, ha origini antichissime<br />

ed è certamente anteriore alla costruzione delle mura del 1300 e del<br />

relativo fossato <strong>il</strong> quale era peraltro privo d’acqua. Già negli statuti<br />

del 1425 alcune prescrizioni riguardano la roggia che doveva essere<br />

protetta con graticci e non doveva essere inquinata nelle ore diurne.<br />

Analoghe prescrizioni sono contenuti nei Bandi politici della città<br />

di Domodossola del 1830. Lungo <strong>il</strong> suo percorso erano attivi numerosi<br />

mulini. Cfr. Bologna P., F. Ferraris, 1985, “D…come Domodossola”.<br />

Ed. Eco Risveglio<br />

67 “Nel gruppo del M. Rosa la maniera di giacimento dell’oro (in piriti)<br />

non permette <strong>il</strong> trattamento idraulico; si usano invece dei molini<br />

speciali costituiti da due macine sovrapposte e chiuse in una cassa<br />

c<strong>il</strong>indrica. La macina inferiore è fissa e lascia passare a sfregamento<br />

dolce un asse che porta da una parte la macina superiore e dall’altra<br />

una ruota idraulica orizzontale. Fra le due macine si pone <strong>il</strong> minerale<br />

già rotto in pezzi insieme ad un po’ di Hg col quale poi si amalgama<br />

l’oro separato dalla polverizzazione. Quest’amalgama si separa<br />

dalle goccioline liquide che ancor rimangono premendo <strong>il</strong> tutto<br />

in una pelle di camoscio. Una dist<strong>il</strong>lazione separa poi <strong>il</strong> Hg dall’amalgama<br />

dall’oro. All’esposizione di M<strong>il</strong>ano quest’industria figurava<br />

degnamente dimostrando di essere in fiore. Se le piriti contengono<br />

Sb od As allora l’estrazione dell’oro diventa complessa e sovente<br />

non economica, perchè possono formarsi composti di Au che<br />

sono volat<strong>il</strong>i” Jonghi & Landriani, Nozioni di Mineralogia descrittiva<br />

in Sunti di Geologia e Mineralogia p.6<br />

68 Interessante è la segheria idraulica di Salecchio Superiore: si tratta<br />

di un edificio in legname e pietrame ut<strong>il</strong>izzato come segheria a forza<br />

motrice idraulica trasmessa dalla rotazione della ruota esterna ad un<br />

sistema di trasmissione interamente in legno alla sega. L’edificio è in<br />

ottime condizioni di manutenzione ed <strong>il</strong> piano superiore è occupato<br />

dalla segheria con la slitta di avanzamento dei tronchi mentre <strong>il</strong> piano<br />

inferiore è occupato dal sistema di trasmissione della forza dall’albero<br />

collegato alla ruota al movimento della sega.<br />

Anche a Osso di Croveo è da vedere un edificio in legname e pietrame<br />

ut<strong>il</strong>izzato come segheria e falegnameria fino al 1988. Un canale<br />

conduceva l’acqua a mezzo di un tombino. L’acqua faceva girare le<br />

pale collegate ad un albero presente al pian terreno della costruzione.<br />

Attraverso due cinghie <strong>il</strong> movimento dell’albero viene trasmesso<br />

ad un altro albero motore e poi ad una biella che muove la sega verticale.<br />

La velocità del processo poteva essere regolata da grosse leve.<br />

102<br />

Il legname che giungeva veniva portato all’interno dell’edificio attraverso<br />

un sistema di pulegge.<br />

69 Castiglione “Ul mulin dul Gabriel” in “Il Rosa” n.2, 1999 di<br />

Sonzogni M.<br />

70 La macinazione si effettuava due volte l’anno in concomitanza<br />

con le precipitazioni primaver<strong>il</strong>i ed autunnali, in cui era presente<br />

sufficiente acqua per mettere in moto le pale. Interessante a Salecchio<br />

Inferiore un vecchio edificio che come altri 4-5 nelle vicinanze<br />

servivano per la macinatura della farina.<br />

71 La macinazione delle castagne produceva farina per polenta<br />

72 Interessanti opere di captazione che andrebbero recuperate negli<br />

alpeggi della Colmine di Crevoladossola<br />

73 Termine dialettale ossolano per intendere una roccia al confine di<br />

ammassi di serpentinoscisti e serpentiniti, con composizione talcosa<br />

e cloritica fac<strong>il</strong>mente lavorab<strong>il</strong>e al tornio ed alla lama di acciaio presente<br />

in valle Antrona (Montescheno) in valle Vigezzo, val Bognanco,<br />

Isorno. Questo litotipo attualmente estratto da blocchi isolati in<br />

valle Isorno viene lavorato per ricavarne pentolame, recipienti rustici,<br />

lavelli, vasi ornamentali, piastre per cottura di vivande. In passato<br />

veniva ut<strong>il</strong>izzato per tubature e come elemento architettonico.<br />

La serpentina di Cisore: si tratta di una potente massa serpentinosa,<br />

caratteristica per struttura e composizione (olivina, enstatite, talco,<br />

serpentino), detta di Cisore e posta all’imbocco della valle Bognanco,<br />

ebbe una certa notorietà nella seconda metà dello scorso secolo<br />

ed al principio del presente.<br />

Compatta, scagliosa, bruno-violaceo-nerastra, tenera, ma tenace e<br />

con aspetto grasso ed untuoso, venne sottoposta a lavorazione e,<br />

mediante seghe e torni azionati da forza idraulica, se ne ottennero<br />

tubi di ogni ca<strong>libro</strong> e per i più disparati usi. Precedentemente la<br />

serpentina di Cisore era stata largamente usata per ricavarne mensole,<br />

stufe e camini nelle case, statuette ed opere d’arte e colonne,<br />

capitelli e rivestimenti di facciate come in quella dell’antica chiesa<br />

dei Minori Conventuali di San Francesco in Domodossola sui cui<br />

muri perimetrali venne innalzato <strong>il</strong> Palazzo di San Francesco. Facciata<br />

tuttora mirab<strong>il</strong>e per l’elegante assieme della dolomia di Crevoladossola<br />

bianco-paglierina alternata a corsi della serpentina verde<br />

scura di Cisore.<br />

74 Jonghi C., Landriani C. 1887-1888- Sunti di Geologia e Mineralogia<br />

R. Scuola d’applicazione per gli ingegneri Torino Litografia<br />

G. Baccelli<br />

75 Si veda Bertamini T. 1975, Storia delle alluvioni nell’Ossola. Ri-<br />

vista “Oscellana”


Acque termali e acque minerali<br />

Pier Antonio Ragozza<br />

Se l’acqua è sempre stata per l’Ossola una fortuna ed un<br />

castigo 1 , certamente una buona parte della sua fortuna<br />

è quella legata all’esistenza sul suo territorio di fonti di<br />

acque minerali e di acque minerali termali.<br />

Sono chiamate acque minerali quelle acque sorgive che<br />

contengono sciolte diverse sostanze e, fra di esse, una o<br />

più in quantità tali da conferire al liquido uno spiccato<br />

sapore e delle proprietà terapeutiche.<br />

Con la dizione di acque termali, si intendono invece<br />

quelle acque minerali che sgorgano alla superficie ad<br />

una temperatura superiore a quella dell’ambiente.<br />

Fra le acque minerali più note vi sono quelle di Crodo<br />

e di Bognanco, ma pure in passato le sorgenti della<br />

miniera dei Cani di Vanzone e di Veglia, a cui se ne aggiungono<br />

altre minori sfruttate per la produzione e la<br />

commercializzazione di acque da tavola imbottigliate.<br />

Due invece le fonti termali più conosciute, la prima dei<br />

Bagni di Craveggia e ut<strong>il</strong>izzata da antica data, la seconda<br />

della Longia di Premia, scoperta nel 1992.<br />

Per quanto riguarda le diverse acque minerali ossolane,<br />

alcune di esse sono assurte a notorietà sia per <strong>il</strong> loro<br />

sfruttamento a fini terapeutici e conseguentemente<br />

dando avvio ad una connessa industria turistica, sia per<br />

<strong>il</strong> loro ut<strong>il</strong>izzo come acque da tavola e dunque imbottigliate<br />

e commercializzate in ambito anche nazionale.<br />

La prima citazione relativa alle acque minerali di Crodo<br />

appare sul “Dizionario geografico” del Casalis, edito nel<br />

1838, anche se una leggenda locale – priva però di qualsiasi<br />

riferimento storico certo – vuole che dopo <strong>il</strong> M<strong>il</strong>le<br />

un esausto Crociato proveniente da Gerusalemme trovasse<br />

ristoro e forza, così come la sua altrettanto stanca<br />

cavalcatura, bevendo ad una sorgente che sgorgava in<br />

località Salecchio di Crodo.<br />

Si deve in realtà a Giuseppe Gaetano Giovanninetti,<br />

commesso delle Regie poste e proprietario del terreno<br />

dove sgorgava la “fonte Rossa”, <strong>il</strong> primo tentativo di avviare<br />

ricerche su tali acque, affidando le analisi al chimico<br />

e farmacista di Domodossola Giovanni Antonio<br />

Bianchetti.<br />

L’avvio dell’attività termale ed alberghiera, favorita anche<br />

dall’apertura della carrozzab<strong>il</strong>e con Domodossola e<br />

da ulteriori analisi delle acque di Crodo che ne confermarono<br />

le doti terapeutiche, si ebbe ad opera del Giovanninetti,<br />

che fu poi affiancato e sostituito da altri imprenditori<br />

come l’avvocato Carlo Francioni di Domodossola,<br />

a cui si deve la costruzione dell’Albergo dei Bagni<br />

e successivamente da Giacomo Della Macchia e,<br />

dopo un periodo di sostanziale abbandono, da Bernardo<br />

Del Boca e poi dal figlio di questi, Giacomo, che gestirono<br />

le fonti per circa mezzo secolo favorendone <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ancio.<br />

Le due fonti originarie dell’acqua minerale di Crodo<br />

sono denominate “Valle d’Oro” e “Cistella”, a cui si è<br />

poi aggiunta dal 1955 la fonte “Lisiel” e in tempi molto<br />

più recenti la “Crodo Nova” che sgorga dalla sorgente<br />

Cesa a 505 metri di quota.<br />

L’etichetta dell’acqua minerale “Valle d’Oro” – che<br />

come la “Cistella” è di tipo solfato-bicarbonato-calcica<br />

– la dava come “Indicatissima nella terapia delle dispepsie<br />

e nelle enterocoliti ecc.”, mentre su quella della “Lisiel”,<br />

definita acqua mediominerale solfato-bicarbonato-alcalino-ferrosa,<br />

si legge che “Può avere effetti diuretici e favorire<br />

l’eliminazione dell’acido urico”.<br />

Nel 1920 venne sperimentato l’imbottigliamento artigianale<br />

dell’acqua di Crodo, mentre si progettava la realizzazione<br />

di uno stab<strong>il</strong>imento per tale attività, oltre ad<br />

un nuovo albergo e di una kurhaus.<br />

Il progetto rimase tale anche per <strong>il</strong> cambio di proprietà<br />

delle fonti, che dopo alcuni passaggi nel 1928 andarono<br />

103


alla neocostituita “Società Anonima Terme di Crodo” la<br />

quale, fra alterne vicende, negli anni successivi sv<strong>il</strong>uppò<br />

le diverse attività, commercializzando anche una bibita<br />

e specialità chimico-farmaceutiche come le magnesie<br />

ed i “Sali di Crodo”, sotto la guida di Piero Ginocchi,<br />

divenuto in seguito amministratore unico della società<br />

e protagonista del successo delle acque antigoriane<br />

e poi pure del “Crodino”.<br />

Degli anni Ottanta è invece <strong>il</strong> passaggio della “S.p.A.<br />

Terme di Crodo” ad una multinazionale, <strong>il</strong> Gruppo<br />

Bols, che l’ha in seguito ceduta alla Campari S.p.A.<br />

mentre nell’agosto del 1987 un nubifragio ha distrutto<br />

<strong>il</strong> parco delle Terme – ricostruito solo successivamente<br />

– danneggiando la sorgente della “Lisiel”, poi immediatamente<br />

ripristinata.<br />

Sempre in Valle Antigorio, fra le acque minerali commercializzate<br />

è da citare quella della sorgente Uresso in<br />

comune di Baceno, la cui vendita era stata autorizzata<br />

con Decreto del Ministero Sanità nel 1959, gestita dalla<br />

Fonti di Baceno s.r.l., poi divenuta S.p.A, e che fu in<br />

commercio almeno sino ai primi anni Ottanta.<br />

Sgorgante a 720 metri di quota, sulla base dei dati analitici<br />

l’acqua della sorgente Uresso era definita solfatocalcica-magnesiaca<br />

o solfato-alcalino-terrosa.<br />

L’altra famosissima acqua minerale ossolana è quella di<br />

Bognanco, la cui scoperta risale all’Ottocento ad opera<br />

di una ragazza – la cui identità è incerta fra Anna Maria<br />

Possetti o Felicita Pellanda – che per <strong>il</strong> pizzicore dell’acqua<br />

che sgorgava dalla sorgente la scambiò addirittura<br />

per acquavite.<br />

Se Giovanni Pellanda, proprietario del terreno con la<br />

sorgente, ne sottovalutò le potenzialità, non così fece <strong>il</strong><br />

sacerdote e appassionato naturalista bognanchese Fedele<br />

Tichelli, <strong>il</strong> quale intuite le proprietà terapeutiche dell’acqua<br />

fece effettuare dal chimico elvetico H. Brauns<br />

di Sion le opportune analisi, riportate in una precisa relazione<br />

datata 1° dicembre 1863 e confermate sei anni<br />

dopo dal dottor Albasini. Don Tichelli acquistò intanto<br />

la sorgente e insieme ad alcuni soci costituì la “Tichelli<br />

& C.” per raccogliere, imbottigliare e commercializzare<br />

quella che veniva poi venduta come “Acqua gazosa di<br />

Bognanco”, non senza qualche problema per <strong>il</strong> trasporto<br />

a Domodossola delle bottiglie – che sovente si rompevano<br />

– entro gerle portate a spalle.<br />

104<br />

Dal 1888, con l’apertura della strada carrozzab<strong>il</strong>e per<br />

Bognanco, l’area delle fonti venne chiusa e introdotto <strong>il</strong><br />

biglietto a pagamento per accedervi, mentre <strong>il</strong> vero lancio<br />

di Bognanco come stazione termale lo si deve all’avvocato<br />

pavese Em<strong>il</strong>io Cavallini che, avendo trovato beneficio<br />

con le acque bognanchesi, r<strong>il</strong>evò la “Tichelli &<br />

C.” e si attivò per creare una elegante kurhaus che richiamò<br />

nel centro ossolano per “passare le acque” la miglior<br />

borghesia italiana d’inizio Novecento.<br />

Nel 1906 venne costituita la “Società Anonima Acque<br />

e Terme di Bognanco”, dando avvio alla commercializzazione<br />

su scala nazionale delle acque da tavola e favorendo<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo turistico della Val Bognanco, con una<br />

notorietà come stazione termale culminata negli anni<br />

Trenta, ma apprezzata anche nei primi decenni successivi<br />

alla Seconda guerra mondiale.<br />

Numerosi i passaggi di proprietà delle terme bognanchesi<br />

nel dopoguerra, sino all’arrivo nel 2003 dell’imprenditore<br />

greco Haralabos Melenos, amministratore<br />

unico della “Società Bognanco Acque Minerali”, prospettando<br />

un r<strong>il</strong>ancio del centro termale.<br />

Attualmente a Bognanco sono prodotti e commercializzati<br />

tre tipi di acque minerali, ovvero la minerale San<br />

Lorenzo, la mediominerale Ausonia e l’oligominerale<br />

Gaudenziana.<br />

L’acqua della fonte di San Lorenzo ha proprietà purgative<br />

e diuretiche ed è gradevole al gusto, caratterizzata<br />

dall’abbondanza di anidride carbonica libera che la rende<br />

fresca e frizzante.<br />

L’Ausonia è invece un’acqua mediominerale che ha la<br />

caratteristica di stimolare la secrezione gastrica favorendo<br />

i processi digestivi, mentre l’acqua oligominerale<br />

Gaudenziana può essere impiegata allo scopo di promuovere<br />

la diuresi ed è perciò indicata nella cura delle<br />

affezioni renali e delle vie urinarie.<br />

Minor fortuna ha invece avuto l’acqua minerale dell’Alpe<br />

Veglia, la cui scoperta avvenne nel 1875 ad opera di<br />

due alpini ossolani, Falcetta Ratti di Mozzio e Savia di<br />

Piedimulera, che trovarono la sorgente di acqua ferruginosa<br />

nei pressi del rio Mottiscia.<br />

Le prime analisi chimiche furono effettuate nel 1879<br />

dal prof. Cossa di Torino e quattro anni dopo <strong>il</strong> comune<br />

di Varzo concedeva a titolo oneroso alla ditta torinese<br />

Costanzo e Paissa l’autorizzazione alla raccolta, tra-


Alpe Veglia, la sorgente di acqua ferruginosa.<br />

sporto e commercio dell’acqua ferruginosa, mentre sorgevano<br />

i primi insediamenti alberghieri data l’affluenza<br />

di persone che volevano usufruire delle proprietà terapeutiche<br />

della sorgente di Veglia.<br />

L’esigenza, più volte manifestata da parte di potenziali<br />

gestori della risorsa idrica, di incanalare l’acqua della<br />

sorgente ferruginosa non venne mai soddisfatta per diverse<br />

ragioni e nel 1981 si ebbe pure una temporanea<br />

scomparsa della fonte a seguito di un movimento tellurico<br />

con epicentro al Veglia.<br />

Collocata sul territorio del Parco naturale di Veglia-Devero,<br />

la sorgente di acqua bicarbonato-calcica-ferruginosa<br />

sgorga a 1813 metri di quota ad una temperatura<br />

di 7° C. e dal De Maurizi era definita come “la seconda<br />

sorgente minerale più alta d’Europa, dopo quella di Penticosa<br />

nei Pirenei spagnoli” 2 .<br />

Il lungo periodo di innevamento del Veglia, la portata<br />

limitata e le difficoltà di trasporto hanno di fatto impedito<br />

uno sfruttamento commerciale di questa sorgente<br />

di acqua ferruginosa ossolana. La Valle Anzasca annove-<br />

ra invece una sorgente arsenicale-ferruginosa nei pressi<br />

delle miniere aurifere dei Cani, a 1473 metri di quota<br />

sopra San Carlo di Vanzone.<br />

L’acqua minerale “Vanzonis”, come era denominata,<br />

pur nota da epoca antica, è stata fatta oggetto di analisi<br />

solo a partire dall’Ottocento, a cominciare da quelle di<br />

Giovanni Albasini nel 1820 <strong>il</strong> quale r<strong>il</strong>evò la presenza<br />

di notevoli quantitativi di arsenico e dunque la possib<strong>il</strong>ità<br />

di un suo impiego a scopo terapeutico.<br />

Fu invece <strong>il</strong> locale medico condotto, dottor Att<strong>il</strong>io<br />

Bianchi, che fece effettuare una serie di studi su tali acque,<br />

esaminate non solo dal punto di vista chimico, ma<br />

anche idrogeologico ed igienico-biologico.<br />

Costituita la “Società Anonima Miniere e Acque arsenicali”,<br />

<strong>il</strong> dottor Bianchi ne divenne direttore, dando alle<br />

stampe nel 1907 un opuscolo dedicato a queste acque<br />

in cui se ne indicavano le proprietà terapeutiche.<br />

L’acqua della miniera dei Cani era commercializzata in<br />

bottigliette per cure a domic<strong>il</strong>io, la cui etichetta ne raccomandava<br />

l’uso per la cura delle malattie cutanee e<br />

105


nervose e per una serie di altre numerose patologie.<br />

Nel 1916 l’acqua della sorgente arsenicale-ferruginosa<br />

veniva trasportata a mezzo teleferica in appositi contenitori<br />

di vetro e legno sino a Vanzone, dove era poi impiegata<br />

per le cure che si effettuavano presso l’Albergo<br />

“Regina”, ma <strong>il</strong> proseguire del primo conflitto mondiale<br />

portò allo scioglimento della società.<br />

Una iniziativa volta a riprendere lo sfruttamento dell’acqua<br />

arsenicale-ferruginosa venne avviata nel 1961<br />

da parte della “Terme del Monterosa s.p.a.”, nata dalla<br />

volontà del Consiglio della Valle Anzasca, ma per una<br />

serie di concause, tra cui la morte del dott. Piero Fabris<br />

che sosteneva fortemente <strong>il</strong> progetto, non poté avere<br />

seguito.<br />

In tempi recenti l’Amministrazione comunale di Vanzone<br />

con San Carlo ha avviato iniziative concrete per<br />

una valorizzazione e sfruttamento della fonte arsenicale-ferruginosa<br />

della miniera dei Cani, ottenendo i fondi<br />

necessari, e già nel 2003 la Regione Piemonte ha autorizzato<br />

la realizzazione di attraversamenti di alcuni rii,<br />

con tubazioni per <strong>il</strong> trasporto dell’acqua arsenico-man-<br />

106<br />

gano-ferruginosa.<br />

In Valle Vigezzo a Malesco sorge lo stab<strong>il</strong>imento di imbottigliamento<br />

della Acque e Terme Vigezzo S.p.A. che<br />

già dagli anni Sessanta commercializza l’acqua minerale<br />

Alpia, definita in etichetta come “Indicata nelle diete<br />

povere di sodio. Può avere effetti diuretici”.<br />

La sorgente – ora collocata all’interno del territorio del<br />

Parco Nazionale della Val Grande, istituito ufficialmente<br />

con <strong>il</strong> D.M. 2 marzo 1992 – è posta in località Pezzidi<br />

a 875 metri di quota sulle pendici settentrionali della<br />

Costa Orsera ed è già citata dal Pollini 3 nel suo lavoro<br />

pubblicato nel 1896.<br />

Ut<strong>il</strong>izzata sin dal 1895 per alimentare l’acquedotto di<br />

Malesco, la sorgente dai primi anni Sessanta destò l’interesse<br />

di un gruppo di imprenditori ossolani che diedero<br />

vita alla “Società Terme Vigezzo s.n.c.”, la quale<br />

ha provveduto a garantire al Comune una valida sostituzione<br />

di tale risorsa idrica – attingendo ad una ricca<br />

falda d’acqua a 65 metri di profondità – e dando così<br />

<strong>il</strong> via all’attività di imbottigliamento e commercializzazione<br />

dell’acqua vigezzina, oggi distribuita nell’<strong>It</strong>alia<br />

settentrionale, in Svizzera e Germania oltre che, occasionalmente,<br />

anche in altri Paesi europei.<br />

Sempre in Valle Vigezzo sono da citare a Craveggia la<br />

sorgente perenne acidulo-ferruginosa situata sulla destra<br />

del Rio della Vasca a circa 150 metri dalla strada<br />

ed a Re la sorgente ferruginosa posta sulla riva destra<br />

del Melezzo.<br />

Nella bassa Ossola, ad Anzola, vi è la sorgente detta della<br />

Buvera, la cui acqua minerale è stata imbottigliata e<br />

venduta, con autorizzazione r<strong>il</strong>asciata dal Ministero Sanità<br />

nel 1971, per diversi anni e sino a quando lo stab<strong>il</strong>imento<br />

ha cessato la sua attività nel 1996.<br />

L’acqua della Buvera di Anzola d’Ossola, definita oligominerale,<br />

era in etichetta indicata per le diete povere di<br />

sodio e con la possib<strong>il</strong>ità di avere effetti diuretici.<br />

L’ut<strong>il</strong>izzo di acque termali a scopo terapeutico in Ossola<br />

è da secoli collegato alla sorgente dei Bagni di Craveggia,<br />

situata sulla testata italiana della Valle Onsernone,<br />

vallata che ricade per <strong>il</strong> resto sotto la sovranità svizzera e<br />

posta oltre lo spartiacque della Vigezzo.<br />

L’archivio comunale di Toceno conserva un atto di vendita<br />

del 1299 in cui è già citata la sorgente termale detta


Crodo, storica catena d’imbottigliamento.<br />

“flumen de aqua calida” 4 , anche se <strong>il</strong> primo vero e proprio<br />

sfruttamento delle risorse termali dei Bagni di Craveggia<br />

si è avuto solo a partire dal 1770.<br />

A seguito delle analisi effettuate nel 1816 e dei positivi<br />

risultati delle stesse, due anni dopo <strong>il</strong> Comune di Craveggia<br />

deliberò la costruzione di uno stab<strong>il</strong>imento termale<br />

su quattro piani e con sedici bagni a piano terra.<br />

Con l’edificazione nel 1823 dell’albergo e stab<strong>il</strong>imento<br />

termale di proprietà del comune, la località divenne<br />

nota per le sue acque salutari che venivano impiegate<br />

mediante cure fatte prevalentemente sotto forma<br />

di bagni.<br />

I frequentatori dei Bagni di Craveggia dovevano essere<br />

persone con problemi di salute notevoli, in particolare<br />

della pelle, se non si facevano scoraggiare dal lungo<br />

e scomodo tragitto per raggiungere la località, dovendo<br />

fare più di quattro ore a piedi o a dorso di mulo e varcando<br />

ad oltre 1800 metri di quota la Bocchetta di Sant’Antonio,<br />

oppure da Locarno con otto ore di d<strong>il</strong>igenza<br />

sino a Comologno e poi di qui a piedi sulla mulattiera<br />

per quattro ch<strong>il</strong>ometri, con bagagli al seguito.<br />

Scrive infatti lo storico Angelo Del Boca, <strong>il</strong> cui nonno<br />

Bernardo gestì albergo e stab<strong>il</strong>imento sino al 1879, prima<br />

di trasferirsi a Crodo dove assunse la gestione delle<br />

fonti locali, che ai Bagni di Craveggia la clientela non<br />

era composta da “…ospiti qualunque, gitanti o amanti<br />

della quiete e della natura. Erano degli ammalati, alcuni<br />

dei quali giudicati inguarib<strong>il</strong>i dai medici. Al “flumen<br />

aquae calidae”, giungevano con la speranza di essere miracolati,<br />

esattamente come a Lourdes” 5 .<br />

L’albergo fu poi gravemente danneggiato nel 1881 da<br />

un incendio e successivamente ricostruito, continuando<br />

ad operare come stab<strong>il</strong>imento termale nonostante le<br />

citate difficoltà di accesso sino al 1925, quando venne<br />

definitivamente chiuso.<br />

L’edificio fu poi travolto da una valanga nel nevoso inverno<br />

del 1951 e di esso rimangono oggi solo dei ruderi,<br />

mentre la tragica alluvione dell’agosto 1978 ha ulte-<br />

107


iormente danneggiato la zona, compromettendone le<br />

residue possib<strong>il</strong>ità di sfruttamento.<br />

L’acqua termominerale dei Bagni di Craveggia sgorga in<br />

regione Fondo Monfracchio a quota 998 metri s.l.m.,<br />

sulla destra orografica del torrente Onsernone, ad una<br />

temperatura media di circa 30°, risulta untuosa al tatto,<br />

emana odore di idrocarburi ed ha gusto sgradevole,<br />

ma se lasciata raffreddare all’aria diventa inodore, limpida<br />

e bevib<strong>il</strong>e.<br />

In tempi più recenti, nel corso di sondaggio geotecnico<br />

eseguito dall’E.N.E.L. nel 1992, è stata invece scoperta<br />

una nuova sorgente termale, in località Longia nel Comune<br />

di Premia, in Valle Antigorio, caratterizzata fra<br />

l’altro dalla temperatura che supera di poco i 42°.<br />

L’esistenza di fonti di acqua calda in tale area è peraltro<br />

storicamente accertata da diversi secoli ed a circa mezzo<br />

ch<strong>il</strong>ometro a sud dalla sorgente della Longia sgorga un<br />

rivo con temperatura costante di 15°, detto “dell’acqua<br />

calda di Pied<strong>il</strong>ago”, già citato nel 1556 in un documento<br />

papale, mentre un almanacco ossolano del 1846 descrive<br />

le acque di Baceno, segnalate un decennio prima<br />

dal chimico e farmacista Giovanni Antonio Bianchetti<br />

per le loro proprietà terapeutiche, ma a quell’epoca ut<strong>il</strong>izzate<br />

solo dalle lavandaie locali perché “…trovano tiepida<br />

la sorgente e perché le sostanze alcaline che vi si rinchiudono<br />

fanno risparmiare sapone”.<br />

A seguito di approfondite analisi fatte effettuare dal Comune<br />

di Premia, l’acqua della sorgente della Longia è<br />

risultata avere caratteristiche ipertermali, ricca di sali<br />

minerali, solfato-calcica, oltre che riconosciuta come<br />

batteriologicamente pura.<br />

Date le sue proprietà terapeutiche, due Decreti Ministeriali<br />

del 1998 ne hanno consentito l’ut<strong>il</strong>izzo sia per la<br />

terapia inalatoria che per la balneofangoterapia.<br />

Note<br />

1 Mortarotti Renzo “L’Ossola nell’età moderna” pag. 39.<br />

2 De Maurizi Giovanni “L’Ossola e le sue valli” pag. 235.<br />

3 Pollini Giacomo “Malesco” pag. 141.<br />

108<br />

Nel 1999 la Regione Piemonte ha concesso per un ventennio<br />

lo sfruttamento delle acque termali della sorgente<br />

Longia ed <strong>il</strong> Comune di Premia ha dato avvio,<br />

previa acquisizione di una vasta area di terreno, alla realizzazione<br />

di un moderno centro termale dotato di una<br />

piscina terapeutica coperta con vasca di metri 25 x 14<br />

riempita di acqua termale proveniente da apposito pozzo,<br />

oltre che di altri servizi e strutture complementari.<br />

L’apertura di una prima parte del centro termale della<br />

sorgente Longia in Comune di Premia, è prevista nel<br />

2005.<br />

Bibliografia<br />

AA.VV. – Raccolta di studi sull’acqua minerale Uresso – Domodossola<br />

s.d.<br />

Anonimo – Valle Antigorio-Formazza, nuove occasioni di sv<strong>il</strong>uppo<br />

– L’acqua calda di Cadarese in comune di Premia – s.d.<br />

Bologna Paolo – Bognanco, <strong>il</strong> paese delle cento cascate – Bresso<br />

1976<br />

Borgna Aldo – L’acqua medicinale dei Bagni di Craveggia in “La<br />

voce onsernonese” – Locarno ottobre 1982<br />

CCIAA Novara – Le acque minerali in provincia di Novara – Novara<br />

1977<br />

De Maurizi Giovanni - L’Ossola e le sue valli – Domodossola 1931<br />

Del Boca Angelo (a cura di) - L’oro della Valle Antigorio – Le acque<br />

minerali di Crodo fra realtà e leggenda – Bari 1993<br />

Fabris Piero – Breve richiamo sulle acque ferroso mangano arsenicali<br />

di Vanzone Ossola – Varese 1960<br />

Matzig – Richard – I Bagni radioattivi di Craveggia in “Almanacco<br />

ticinese 1939” – Bellinzona 1939<br />

Mortarotti Renzo - L’Ossola nell’età moderna – Domodossola<br />

1985<br />

Norsa Paolo (a cura di) - Invito alla Valle Vigezzo – Domodossola<br />

1970<br />

Pollini Giacomo – Notizie storiche, statuti antichi, documenti di<br />

Malesco – Torino 1896<br />

Una ricchissima bibliografia sino al 1967 di carattere generale e poi<br />

specificatamente riguardante le singole acque minerali e termali dell’Ossola,<br />

è contenuta nel notevole lavoro di Federici P.C., Saccani F.,<br />

Parietti P. – Le acque salutari della Val d’Ossola – Parma 1967.<br />

4 Norsa Paolo (a cura di) “Invito alla Valle Vigezzo” pag. 134.<br />

5 Del Boca Angelo - La Gestione Del Boca: un r<strong>il</strong>ancio a metà. in<br />

“L’oro della Valle Antigorio” pag. 29.


Il clima<br />

Tullio Bertamini e Rosario Mosello<br />

Considerazioni generali<br />

Il clima dell’Ossola è anzitutto determinato dalla posizione<br />

geografica e dalla morfologia del territorio. Essa<br />

infatti è compresa fra i 45°55’ e i 46°28’ di latitudine ed<br />

è quindi inserita in quella fascia che normalmente corrisponde<br />

ad un clima fondamentalmente determinato da<br />

una insolazione e quindi da una certa quantità di calore<br />

solare che la pone nelle regioni temperate. È anche quasi<br />

completamente racchiusa da potenti ed elevati gruppi<br />

di monti, ed essa stessa è una regione eminentemente<br />

montuosa e quindi le altezze variano rapidamente da<br />

luogo a luogo. È percorsa in tutta la sua lunghezza dal<br />

fiume Toce che scende da Nord verso Sud fino a Vogogna,<br />

per poi piegarsi verso Sud-Est e, dopo un viaggio<br />

di circa 80 km, si getta nel Lago Maggiore.<br />

L’Ossola è chiusa a Sud da una catena di monti che<br />

partendo dal Massone (m 2162) si innalza sempre più<br />

fino al Monte Rosa (m 4637). Da quel punto una diramazione<br />

diretta del Monte Rosa la chiude ad Ovest<br />

con una serie di cime elevate: Andolla (m 3656), Weissmiess<br />

(m 4023) Laquinhorn (m 4005), Fletschorn (m<br />

3996) fino al Passo del Sempione, in territorio svizzero.<br />

Qui la catena, comprendente <strong>il</strong> Monte Leone (m<br />

3552), <strong>il</strong> Cervandone (m 3211), la Punta d’Arbola (m<br />

3235) e l’Hosandhorn o Punta del Sabbione (m 3183),<br />

muta leggermente direzione fino a toccare <strong>il</strong> passo di S.<br />

Giacomo (m 2313), che è <strong>il</strong> punto più settentrionale<br />

della regione ossolana. Proseguendo <strong>il</strong> confine dell’Ossola<br />

abbandona <strong>il</strong> grande spartiacque alpino e correndo<br />

sulla linea di displuvio tra <strong>il</strong> Toce ed <strong>il</strong> Ticino, in direzione<br />

Nord-Sud, viene a formare col tratto precedente<br />

quasi un cuneo nel territorio svizzero. Questa catena<br />

orientale perde quota fino a deprimersi nel gran solco<br />

della valle Vigezzo. Qui l’idrografia appare incerta ed <strong>il</strong><br />

confine ossolano non si identifica con quello del baci-<br />

no del Toce, ma scendendo fino al ponte della Ribellasca<br />

incorpora una fetta del bacino imbrifero ticinese. Il<br />

confine risale poi <strong>il</strong> Monte Gridone e, correndo sul crinale<br />

che divide la valle percorsa dal Toce dalla val Grande,<br />

va a terminare sulle alture che delimitano <strong>il</strong> lago di<br />

Mergozzo.<br />

L’Ossola, chiusa fra alti monti, è costretta ad assorbirne<br />

<strong>il</strong> clima. Ma anche altri fattori importanti intervengono<br />

a definirlo più precisamente. I potenti ghiacciai della<br />

catena Monte Rosa-Griess e quelli del vicino Vallese,<br />

distanti solo qualche decina di ch<strong>il</strong>ometri, contribuiscono<br />

in vario modo a rendere <strong>il</strong> clima più rigido. Da<br />

questi monti spira regolarmente un vento fresco e talvolta<br />

gelido sotto forma di brezza notturna. Queste catene<br />

elevate a loro volta, obbligando l’aria umida proveniente<br />

dall’Oceano Atlantico a sollevarsi ed a scaricare<br />

grande quantità di pioggia o neve sui versanti opposti<br />

all’Ossola, contribuiscono al fenomeno del vento<br />

favonico (Foehn). Questo vento caldo ci giunge dai<br />

quadranti nord-occidentali e, anche in pieno inverno,<br />

porta temperature insolitamente elevate nelle valli ossolane,<br />

sciogliendo grandi quantità di neve. Con analogo<br />

processo le stesse alte catene di monti costringono<br />

le grandi masse di aria umida proveniente dai quadranti<br />

meridionali a sollevarsi ed a scaricare sull’Ossola<br />

enormi quantità di precipitazioni per dare poi origine<br />

a vento favonico nelle vallate del versante settentrionale<br />

delle Alpi.<br />

Importantissima risulta inoltre per <strong>il</strong> clima dell’Ossola<br />

la sua vicinanza alla regione dei laghi prealpini ed alla<br />

pianura padana. L’Ossola infatti termina sul lago Maggiore,<br />

con <strong>il</strong> quale comunica anche mediante la valle<br />

Cannobina e Centovalli. Le masse di aria umida che si<br />

formano sulla pianura padana e nella zona lacuale sono<br />

fac<strong>il</strong>mente indotte a risalire le pendici delle Alpi dando<br />

109


luogo a intense precipitazioni e, in alcune situazioni, ad<br />

eventi alluvionali, che contribuiscono a farne una delle<br />

regioni più piovose d’<strong>It</strong>alia .<br />

Le valli ossolane sono in generale, fortemente incise,<br />

nella parte più bassa e percorse da fiumi e torrenti impetuosi,<br />

le cui acque continuano l’opera di scavo e demolizione<br />

iniziatasi molti m<strong>il</strong>lenni fa.<br />

Data la natura del terreno ossolano, molto permeab<strong>il</strong>e<br />

alle acque, e la ripidità delle pendici dei monti, l’opera<br />

di demolizione delle acque meteoriche e di quelle correnti<br />

è stata sempre imponente e nei periodi di lunghe<br />

e intense precipitazioni (büzze), anche fortemente<br />

distruttiva. Le alluvioni sono infatti una delle piaghe<br />

più frequenti dell’Ossola colpendo ora questa ora quella<br />

parte del territorio. L’ultima che ha modificato profondamente<br />

le valli Antrona e Anzasca e soprattutto la<br />

val Vigezzo risale al 1978, ma se ne conosce una lunga<br />

e paurosa serie.<br />

Contribuisce tuttavia ad ammorbidire <strong>il</strong> clima dell’Ossola<br />

ed a renderlo molto salubre la presenza di grandi<br />

estensioni di boschi, che aiutano a mantenere una umidità<br />

quasi ideale nei mesi estivi e si oppongono all’azione<br />

delle acque d<strong>il</strong>uviali che tentano di corrodere le pendici<br />

dei monti.<br />

E’ comunque chiaro che ogni luogo dell’Ossola ha un<br />

suo clima che dipende da fattori generali, ma spesso e<br />

soprattutto da fattori locali, come l’altitudine, l’esposizione<br />

al sole ed ai venti, ecc.<br />

Guardiamo infatti le valli ossolane e consideriamo dove<br />

insorgono gli insediamenti abitati più antichi.<br />

Li troviamo nelle zone a solatio e possib<strong>il</strong>mente non<br />

esposte alle alluvioni dei torrenti, sui balzi delle valli,<br />

dove, anche in inverno, c’è molto sole e non ristagna<br />

l’aria fredda che invece rende più rigido l’inverno del<br />

fondovalle.<br />

Il clima di Domodossola<br />

A Domodossola per circa un secolo è stato in funzione<br />

un Osservatorio Meteorologico presso <strong>il</strong> Collegio Rosmini<br />

ed i dati ottenuti in tanti anni ci permettono di<br />

definire con buona approssimazione <strong>il</strong> clima della capitale<br />

ossolana e dei dintorni. Lo confronteremo poi per<br />

quanto ci è possib<strong>il</strong>e con quello delle vallate ossolane.<br />

110<br />

Eliofania e radiazione solare<br />

Principale responsab<strong>il</strong>e del clima è <strong>il</strong> sole che dà alla terra<br />

<strong>il</strong> calore sottoforma di radiazione.<br />

La eliofania, cioè <strong>il</strong> tempo in cui i raggi solari colpiscono<br />

direttamente <strong>il</strong> suolo, è un elemento molto variab<strong>il</strong>e,<br />

legato all’altitudine, alla posizione ed alla nebulosità.<br />

Limitandoci solamente ai dati medi stagionali si può<br />

affermare che a Domodossola l’eliofania misurata in ore<br />

di sole risulta dalla Tab. 1. L’energia data dal sole distribuita<br />

nelle stagioni misurata in calorie per cm 2 è indicata<br />

nella Tab. 2.<br />

Tab. 1 – Eliofania a Domodossola (ore)<br />

Primavera 433<br />

Estate 603<br />

Autunno 370<br />

Inverno 260<br />

Anno 1666<br />

Tab. 2 – Energia del sole secondo le stagioni a Domodossola (calorie/cm 2 ).<br />

Primavera 35530<br />

Estate 50427<br />

Autunno 24468<br />

Inverno 12982<br />

Anno 123407<br />

Temperatura<br />

La temperatura raggiunge in ogni luogo un valore massimo<br />

ed un valore minimo, in base ai quali si può stab<strong>il</strong>ire<br />

<strong>il</strong> valore medio. I dati medi mens<strong>il</strong>i relativi a Domodossola<br />

nei vari mesi dell’anno: temperatura massima<br />

(Tx), temperatura minima (Tn), temperatura media<br />

(Tm) misurata in gradi centigradi (°C) risultano<br />

dalla Tab. 3.<br />

Tab. 3 – Temperature massime, minime e medie a Domodossola per mese<br />

Tx Tn Tm<br />

Gennaio 6.0 -2.2 1.4<br />

Febbraio 8.6 -1.1 3.3<br />

Marzo 12.7 2.7 6.9<br />

Apr<strong>il</strong>e 16.6 6.3 11.3<br />

Maggio 20.7 9.7 15.0<br />

Giugno 24.7 13.6 19.2<br />

Luglio 27.3 15.9 21.7<br />

Agosto 26.5 15.4 20.7<br />

Settembre 22.4 12.2 16.9<br />

Ottobre 16.2 7.1 11.3<br />

Novembre 10.4 2.0 5.7<br />

Dicembre 6.4 -1.2 2.3<br />

Anno 16.5 6.7 11.3


La temperatura minima assoluta a Domodossola non<br />

ha mai raggiunto i -17 °C, né la massima assoluta ha superato<br />

i 40 °C. Il clima di Domodossola è quindi temperato<br />

anche se variab<strong>il</strong>e come ogni clima alpino.<br />

Intimamente legate allo sv<strong>il</strong>uppo vegetativo sono le<br />

temperature in °C del sottosuolo che sono r<strong>il</strong>evate a varie<br />

profondità, come pure <strong>il</strong> numero di giorni di brina<br />

di gelo che offriamo nella Tab. 4. Conviene ricordare<br />

che <strong>il</strong> gelo non scende mai al di sotto dei 20 cm e che a<br />

2 m di profondità nell’estate <strong>il</strong> suolo raggiunge i 17 °C.<br />

Lo sv<strong>il</strong>uppo vegetativo inizia quando (generalmente nel<br />

mese di marzo) si verifica una inversione delle temperature<br />

del sottosuolo, mentre la seconda inversione (nel<br />

mese di ottobre) segna <strong>il</strong> suo cessare.<br />

Umidità<br />

L’umidità assoluta, misurata mediante la tensione di vapore<br />

acqueo in mm di Hg, e l’umidità relativa, misurata<br />

in % rispetto ai valori di saturazione, sono abbastanza<br />

variab<strong>il</strong>i nell’Ossola. Ovviamente i massimi si registrano<br />

durante i periodi di pioggia; i minimi invece si registrano<br />

quando spira <strong>il</strong> vento favonico dal Nord. In queste<br />

occasioni sono frequentemente raggiunti valori minimi<br />

dell’umidità relativi prossimi al 2%. Ma guardando<br />

i valori medi mens<strong>il</strong>i e annuali, presentati nella Tab.<br />

5, si può osservare che <strong>il</strong> clima ossolano non è né troppo<br />

secco né troppo umido, quindi ottimo per chi ci abita.<br />

Stato del cielo<br />

Può essere ut<strong>il</strong>e conoscere i valori della nebulosità media<br />

mens<strong>il</strong>e misurata in decimi di cielo coperto e classificando<br />

i giorni in sereni, misti e coperti (Tab .6).<br />

Vent<strong>il</strong>azione<br />

I venti predominanti in Ossola corrono lungo le valli. È<br />

predominante quello da Sud seguito da quello da Nord<br />

e da Nord-Ovest. I mesi più ventosi sono novembre, dicembre,<br />

gennaio e febbraio. Il vento è abbastanza forte<br />

in circa 50 giorni, moderato in 100 giorni e in 200<br />

giorni si segnala calma. Normalmente nella notte spira<br />

<strong>il</strong> vento fresco dalla montagna verso la valle, mentre<br />

verso mezzogiorno e nel pomeriggio spira la brezza proveniente<br />

dal Lago Maggiore verso la montagna.<br />

I venti più forti sono sempre quelli favonici da Nord e<br />

Tab. 4 – Temperature del sottosuolo a Domodossola per mese<br />

a 40 cm a 60 cm a 80 cm Gelo Brina<br />

Gennaio 2.0 2.1 2.8 23 14<br />

Febbraio 2.6 2.8 3.1 17 11<br />

Marzo 5.8 5.2 5.0 7 6<br />

Apr<strong>il</strong>e 9.5 8.7 8.3 1 1<br />

Maggio 12.7 12.0 11.6 - -<br />

Giugno 16.3 15.9 15.3 - -<br />

Luglio 18.7 18.2 17.8 - -<br />

Agosto 19.3 19.1 18.9 - -<br />

Settembre 17.0 17.2 17.6 - -<br />

Ottobre 13.0 13.3 14.1 1 2<br />

Novembre 7.9 8.6 9.4 8 11<br />

Dicembre 3.9 4.3 5.2 20 12<br />

Anno 10.7 10.6 10.9 77 57<br />

Tab. 5 – Umidità assoluta e relativa in Ossola per mese<br />

Tensione di vapore<br />

Acqueo in mm Hg<br />

Umidità relativa<br />

in %<br />

Gennaio 4.0 70<br />

Febbraio 4.0 63<br />

Marzo 4.7 58<br />

Apr<strong>il</strong>e 6.2 58<br />

Maggio 8.4 61<br />

Giugno 11.2 62<br />

Luglio 12.5 60<br />

Agosto 12.5 60<br />

Settembre 10.9 71<br />

Ottobre 8.3 76<br />

Novembre 5.4 72<br />

Dicembre 4.2 71<br />

Anno 7.7 66<br />

Tab. 6 – Nebulosità (decimi di cielo coperti) e numero di giorni sereni,<br />

misti o coperti in Ossola.<br />

Nebulosità Sereni Misti Coperti<br />

Gennaio 4 16 10 5<br />

Febbraio 4 15 9 4<br />

Marzo 5 14 10 7<br />

Apr<strong>il</strong>e 5 10 12 8<br />

Maggio 5 9 13 9<br />

Giugno 4 10 14 6<br />

Luglio 4 13 13 5<br />

Agosto 5 15 12 5<br />

Settembre 5 12 11 7<br />

Ottobre 5 12 10 9<br />

Novembre 5 13 10 7<br />

Dicembre 4 16 9 6<br />

Anno 5 155 133 78<br />

111


Nord-Ovest con velocità che superano fac<strong>il</strong>mente i 100<br />

km/ora e talvolta raggiungono i 150 km/ora.<br />

Precipitazioni<br />

I valori medi mens<strong>il</strong>i delle precipitazioni, l’altezza media<br />

della neve ed <strong>il</strong> numero di giorni di precipitazioni<br />

in forma di pioggia, neve, e temporali sono riportati<br />

nella Tab. 7. Le precipitazioni in forma di pioggia<br />

sono abbondanti in Ossola con netta preferenza nei<br />

mesi primaver<strong>il</strong>i ed autunnali. Il mese più piovoso è ottobre<br />

seguito da maggio. Nell’inverno le precipitazioni<br />

sono scarse. Anche la neve non è abbondante a Domodossola<br />

e presenta una notevole variab<strong>il</strong>ità interannuale.<br />

La nebbia è abbastanza rara durante l’intero arco dell’anno.<br />

Non sono infrequenti in Ossola periodi di piogge<br />

intense e continue, che si registrano ogni volta che<br />

cospicue masse di aria umida provenienti dall’Oceano<br />

Atlantico aggirano le Alpi raggiungendo <strong>il</strong> Mediterraneo,<br />

quindi si dirigono verso <strong>il</strong> Nord attraversando la<br />

Pianura Padana fino a raggiungere le Alpi da Sud. Sono<br />

queste situazioni meteorologiche a determinare i periodi<br />

di büzza, che spesso danno origine a disastrose alluvioni.<br />

In queste occasioni non è raro che cadano in un<br />

giorno e talvolta in poche ore anche 100 e 200 e oltre<br />

300 mm di pioggia. La siccità invece è rara; ma se<br />

la pioggia non cade per un mese nel periodo primaver<strong>il</strong>e<br />

o estivo ne comincia a soffrire la vegetazione, giacché<br />

<strong>il</strong> terreno s<strong>il</strong>iceo ossolano subisce una rapida disidratazione<br />

ed ha bisogno di essere frequentemente rifornito<br />

di acqua.<br />

Tab. 7 – Valori medi mens<strong>il</strong>i delle precipitazioni in Ossola<br />

112<br />

Precipit.<br />

in mm<br />

Neve<br />

in cm<br />

Giorni<br />

piovosi<br />

Giorni<br />

nevosi<br />

Temporali<br />

Gennaio 71 20 3 3 -<br />

Febbraio 63 29 4 3 -<br />

Marzo 127 13 7 2 -<br />

Apr<strong>il</strong>e 161 6 11 - 1<br />

Maggio 169 6 13 - 2<br />

Giugno 125 - 12 - 4<br />

Luglio 111 - 12 - 4<br />

Agosto 117 - 10 - 6<br />

Settembre 122 - 9 - 2<br />

Ottobre 216 - 11 - -<br />

Novembre 125 7 6 1 -<br />

Dicembre 85 15 6 2 -<br />

Anno 1492 90 102 10 20<br />

Notizie sul clima delle vallate ossolane<br />

Le notizie sul clima di Domodossola sono estensib<strong>il</strong>i<br />

solo in parte al resto della vallata principale ed alle altre<br />

valli laterali. Le numerose stazioni sparse nell’Ossola<br />

permetterebbero di stab<strong>il</strong>ire con buona approssimazione<br />

i dati termometrici ed udometrici cioè le temperature<br />

e le precipitazioni mens<strong>il</strong>i medie; ma su di esse<br />

vogliamo essere piuttosto brevi. Partendo da Domodossola<br />

(m 272) e scendendo lungo la valle le temperature<br />

medie mens<strong>il</strong>i ed annuali aumentano leggermente<br />

con differenza di qualche decimo di grado centigrado.<br />

Al contrario, le medie trentennali (1971-2000) delle<br />

stazioni gestite dall’ENEL (Fig. 1), dati regolarmente<br />

pubblicati sulla rivista Oscellana, evidenziano che con<br />

l’aumento della quota si verifica una diminuzione delle<br />

temperature medie annuali (Fig. 2), con un valore<br />

di circa 0,54 °C per ogni cento metri di aumento della<br />

quota sul livello del mare.<br />

Fig. 1 – Val d’Ossola e collocazione delle principali stazioni meteorolo-<br />

giche citate nel testo.<br />

Le precipitazioni invece crescono rapidamente passando<br />

dai 1492 mm annuali di Domodossola a quelle di<br />

circa 1600 mm di Pallanzeno e Piedimulera ed a 2600<br />

mm ad Ornavasso. La bassa Ossola infatti entra nell’area<br />

delle massime piovosità alpine. Ma è ut<strong>il</strong>e ripetere<br />

che i fattori locali sono sempre molto importanti.<br />

Così <strong>il</strong> clima di Megolo, Anzola e Migiandone è molto


più rigido di quello di Vogogna, Premosello, Cuzzago<br />

e Mergozzo, essendo questi ultimi paesi bene esposti al<br />

sole mentre i primi ne sono assolutamente privi per un<br />

lungo tratto dell’inverno.<br />

T max<br />

T medie<br />

T min<br />

Fig. 2 – Medie (1971-2002) delle temperature minime, medie e massime<br />

in alcune stazioni ossolane in relazione alla quota e relative rette<br />

di regressione. I dati si riferiscono, da sinistra a destra, alle stazioni<br />

di Pallanzeno, Domodossola Rosmini, Crevoladossola, Rovesca, Ponte<br />

di Formazza, Campliccioli, Alpe Cavalli, Agaro, Codelago, Vannino,<br />

Toggia, Camposecco, Sabbioni (dati raccolti da ENEL Produzione<br />

di Domodossola).<br />

La valle Anzasca<br />

Il clima della valle Anzasca va gradatamente irrigidendosi<br />

da Piedimulera (m 247) fino a Macugnaga (Pecetto<br />

m 1362). La temperatura media annuale a Piedimulera<br />

è di circa 11 °C mentre quella di Macugnaga scende<br />

a 5.5 °C con temperature minime invernali che raggiungono<br />

fac<strong>il</strong>mente i –15 °C e talvolta i –20 °C. Il clima<br />

dunque si irrigidisce salendo da Piedimulera a Macugnaga.<br />

Le precipitazioni sono piuttosto r<strong>il</strong>evanti in<br />

tutta la valle Anzasca: Piedimulera 1600 mm, Anzino<br />

1700 mm, Macugnaga 1400 mm, Macugnaga Belvedere<br />

1700 mm, Passo del Moro 1700 mm. Le precipitazioni<br />

nevose sono abbondanti nella parte superiore<br />

della valle. La neve cade da novembre a marzo nella<br />

parte mediana della valle (Calasca, Bannio, Vanzone,<br />

Ceppomorelli) e da ottobre ad apr<strong>il</strong>e a Macugnaga<br />

dove <strong>il</strong> manto nevoso normale ha uno spessore medio<br />

di un metro.<br />

La valle Antrona<br />

Salendo da V<strong>il</strong>ladossola verso Antronapiana <strong>il</strong> clima<br />

si irrigidisce a causa dell’aumento di altitudine. Tuttavia<br />

tutti i paesi posti sulla sinistra del fiume Ovesca<br />

(Montescheno, Seppiana, Viganella e Schieranco) hanno<br />

temperature medie superiori a quelle dei paesi posti<br />

sulla destra del fiume i quali, specialmente nei mesi invernali,<br />

non vedono <strong>il</strong> sole per molti giorni. La temperatura<br />

media annuale è di circa 10 °C, con minime invernali<br />

che raggiungono i –15 °C. A Rovesca (m 867)<br />

la temperatura media annuale scende a 9 °C ed è uguale<br />

a quella di Antronapiana. Salendo ancora lungo la valle<br />

verso le stazioni più elevate riscontriamo 7 °C a Campliccioli<br />

(m 1355), 6 °C a Cheggio (m 1497), l,2 °C al<br />

Cingino (m 2255). Le precipitazioni decrescono generalmente<br />

salendo da V<strong>il</strong>ladossola verso Antronapiana.<br />

Il totale annuale è di circa 1500 mm a V<strong>il</strong>ladossola ed<br />

a Montescheno, scendendo a circa 1400 mm a Rovesca<br />

(m 867) ed a Campliccioli (m 1355) ed a circa 1300<br />

mm a Camposecco (m 2331). La neve cade soprattutto<br />

nella parte più alta della valle, da Antronapiana in su,<br />

dove <strong>il</strong> manto nevoso nei mesi invernali arriva anche a 3<br />

metri di altezza e dove precipitano numerose valanghe,<br />

alcune delle quali, come quella di Schieranco, scendono<br />

fino a fondovalle. I venti dominanti spirano in direzione<br />

del solco vallivo da e verso Nord-Ovest.<br />

La valle Bognanco<br />

Anche per la valle Bognanco si possono fare considerazioni<br />

analoghe a quelle fatte per la valle Antrona, che<br />

ha lo stesso orientamento. La temperatura media annuale<br />

va diminuendo con l’altezza, ma i paesi posti sulla<br />

sponda sinistra del fiume Bogna (Cisore, Monteossolano,<br />

le alte frazioni di Bognanco-Dentro) hanno un<br />

clima meno rigido di quelli posti sulla sponda destra,<br />

come S. Marco, o nel fondovalle come Bognanco Fonti.<br />

Le minime assolute invernali possono raggiungere i –20<br />

°C. Le precipitazioni sono di circa 1400 mm all’anno<br />

con i massimi primaver<strong>il</strong>i (maggio) ed autunnale (ottobre).<br />

Sugli alti monti cade abbondante la neve da novembre<br />

a maggio ed <strong>il</strong> manto nevoso raggiunge spesso i<br />

3 metri di spessore. Cadono anche numerose valanghe<br />

che talvolta scendono a lambire le frazioni più elevate.<br />

113


La valle Divedro<br />

La valle Divedro è fortemente incassata fra alte montagne<br />

e quindi ha un clima molto rigido. Di fatto <strong>il</strong> paese<br />

di Iselle non ha sole nei mesi invernali e di conseguenza<br />

la temperatura media è molto al di sotto di quella che<br />

competerebbe alla sua altitudine. In migliore condizione<br />

sono Varzo e Trasquera situati, non a caso, in posizione<br />

solatia. Influisce sul clima della valle anche la vicinanza<br />

dei potenti ghiacciai delle Alpi Pennine che superano<br />

i 4000 metri.<br />

La temperatura media annuale a Varzo (m 568) è di circa<br />

8 °C, mentre scende a 5 °C a Gebbo (m 1060), ed<br />

a -0,5 °C al lago d’Avino (m 2246). Le precipitazioni<br />

vanno generalmente diminuendo man mano che si<br />

sale verso le zone più elevate. A Varzo cadono in media<br />

1700 mm annui, 1400 a Iselle ed a Trasquera. Nella valle<br />

del torrente Cairasca la stazione di Gebbo segna una<br />

precipitazione media annuale di circa 1400 mm e quella<br />

del lago d’Avino di 1600 mm. Nella parte alta della<br />

valle, verso <strong>il</strong> Sempione, l’Alpe Veglia ed <strong>il</strong> lago d’Avino,<br />

114<br />

le precipitazioni nevose sono in generale molto abbondanti<br />

e durano fac<strong>il</strong>mente da novembre fino alla fine<br />

di maggio. Anche le valanghe sono frequenti nei luoghi<br />

più ripidi, causando talvolta anche gravi danni ai<br />

boschi. Grandiosa quella del 1951 all’Alpe Veglia che<br />

abbatté cascine e migliaia di larici. Nella valle Divedro<br />

non sono infrequenti le alluvioni, accompagnate anche<br />

da grandiosi franamenti come quelli del Monte Marghino<br />

che ha sbarrato <strong>il</strong> fiume e interrotto ripetutamente<br />

la ferrovia del Sempione nel 1951 e nel 1958.<br />

La valle Antigorio-Formazza<br />

La valle Antigorio-Formazza è percorsa dal Toce che<br />

ha le sue sorgenti nei ghiacciai terminali della valle allo<br />

spartiacque alpino. Entrando dal fondovalle, dopo Pontemaglio,<br />

nella valle Antigorio <strong>il</strong> clima si irrigidisce lentamente<br />

con <strong>il</strong> crescere dell’altitudine per diventare<br />

molto rigido nella valle Formazza, al di sopra del gradino<br />

delle “Casse”. A Crodo la temperatura media annuale<br />

è di circa 10 °C, ma a Mozzio, Viceno e Cravegna,


nonostante l’aumentata altitudine, è pressochè uguale.<br />

La temperatura decresce da Baceno in su sia nel bacino<br />

del Devero che in quello del Toce. È di circa 6 °C a<br />

Goglio (m 1133), 5 °C ad Agaro (m 1600), 4 °C a Devero<br />

(1631 m). A Cadarese di Premia la temperatura è<br />

di circa 7 °C, ma scende a 6 °C a Ponte di Formazza<br />

(m 1280), a 1 °C al Vannino (m 2182), a 0 °C in Valtoggia<br />

(m 2200) ed a -2,5 °C al Sabbione (m 2466);<br />

questa ultima stazione è prossima al ghiacciaio dell’Hosand.<br />

Queste valli sono dominate dai venti impetuosi<br />

che spirano lungo <strong>il</strong> loro asse e risentono fortemente<br />

anche delle perturbazioni che giungono dai quadranti<br />

settentrionali.<br />

Gli stessi venti favonici, secchi e caldi, che nei mesi invernali<br />

giungono a Domodossola sono invece freddi<br />

nella valle Formazza e portano neve e nevischio in tutta<br />

la valle Antigorio. Le precipitazioni risentono di questa<br />

situazione e quindi sono in generale piuttosto diverse<br />

che a Domodossola. Anche in questo caso tuttavia<br />

i totali annuali in generale decrescono con l’altitudine:<br />

1350 mm a Crodo, 1330 mm a Cadarese, 1200<br />

mm a Ponte di Formazza, 1100 mm a Vannino e Valtoggia,<br />

900 a Sabbione. In Val Devero si passa da circa<br />

1500 mm a Goglio, a 1400 mm ad Agaro ed a 1700<br />

mm a Codelago. La neve cade abbondante in tutta la<br />

valle e specialmente nelle zone elevate dello spartiacque<br />

alpino, restando al suolo per molti mesi, da ottobre<br />

a maggio. Cadono anche numerose valanghe, in generale<br />

nei luoghi ben conosciuti dagli alpigiani. Sono rari<br />

i temporali in estate, mentre sono frequenti in inverno<br />

le tempeste di neve.<br />

La valle Vigezzo<br />

Il solco vallivo che congiunge la valle percorsa dal Toce<br />

con quella del Ticino sale da Domodossola fino a Druogno<br />

(m 836) per poi discendere verso <strong>il</strong> territorio svizzero.<br />

Questa valle, orientata da Est verso Ovest, risente<br />

fortemente della diversità di insolazione sui due versanti.<br />

Per tal motivo la maggior parte dei paesi è posta<br />

sul versante esposto al sole, dove le temperature sono<br />

meno rigide d’inverno. La temperatura media annuale<br />

è di circa 9 °C a Malesco, 8 °C a S. Maria Maggiore<br />

e di 10 °C a Craveggia. Il vento predominante è quello<br />

che spira lungo l’asse della valle da Ovest e poi quello<br />

da Est, a seconda della situazione meteorologica generale.<br />

Anche in val Vigezzo è frequente <strong>il</strong> vento favonico<br />

in inverno ed in primavera.<br />

Le precipitazioni cadono molto abbondanti in valle Vigezzo.<br />

Le medie annue sono infatti di oltre 2000 mm.<br />

Sono molto frequenti i temporali estivi accompagnati<br />

solitamente da grossi rovesci di pioggia. La valle Vigezzo<br />

è molto soggetta alle alluvioni; disastrosa quella dell’agosto<br />

1978 che recò enormi danni a tutta la valle. Relativamente<br />

abbondante la neve.<br />

Il clima della valle Vigezzo è tuttavia da considerarsi<br />

molto buono e salubre sia nei mesi estivi che nei mesi<br />

invernali, non eccessivamente rigido, ma ammorbidito<br />

da una certa variab<strong>il</strong>ità che in generale si fa apprezzare<br />

anche dai turisti.<br />

E’ cambiato <strong>il</strong> clima ossolano?<br />

Quasi ogni giorno i mezzi di informazione parlano delle<br />

variazioni climatiche e delle relative conseguenze che<br />

queste hanno o potrebbero avere sull’ambiente e sulle<br />

nostre attività quotidiane. Cosa si può dire, sulla base<br />

di misure sperimentali, di quanto è avvenuto ed è in<br />

evoluzione in Val d’Ossola? Risposte, sia pur parziali,<br />

sono possib<strong>il</strong>i grazie alla serie ultrasecolare di misure<br />

effettuate dall’Osservatorio Meteorologico del Collegio<br />

“Mellerio Rosmini”, collocato alla periferia di Domodossola,<br />

ad una quota di 295 m s.l.m. Le osservazioni<br />

iniziarono nel 1872, grazie alla disponib<strong>il</strong>ità dei Padri<br />

Rosminiani e all’interessamento del Club Alpino <strong>It</strong>aliano,<br />

impegnato in quegli anni ad impostare una rete di<br />

osservatori sulle Alpi e nell’area subalpina.<br />

L’osservatorio è stato ufficialmente inserito nella rete<br />

meteorologica italiana dal 1872 al 1973; i suoi dati<br />

sono stati regolarmente pubblicati su riviste ufficiali<br />

quali gli “Annali Idrologici del Ministero dei Lavori<br />

Pubblici”. Le misure eseguite riguardavano: temperatura<br />

dell’aria, precipitazioni, pressione barometrica, direzione<br />

ed intensità del vento, copertura di nubi del cielo;<br />

per periodi più brevi sono state eseguite anche misure<br />

geofisiche, quali <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo di scosse sismiche, la temperatura<br />

a diverse profondità del suolo, la radioattività<br />

delle deposizioni atmosferiche. Negli anni successivi<br />

al 1973 le misure di temperatura e precipitazione sono<br />

continuate, mentre si sono interrotti gli altri r<strong>il</strong>ievi. In-<br />

115


Fig. 3 – Serie delle temperature di Domodossola con media mob<strong>il</strong>e di<br />

ordine 25 e con linea di tendenza (da Oscellana 32 (1), 2002)<br />

fine, dal 2001, la stazione è gestita dall’Istituto per lo<br />

Studio degli Ecosistemi del Consiglio Nazionale delle<br />

Ricerche di Verbania.<br />

Recentemente le serie ultrasecolari dei dati di temperatura<br />

dell’aria e precipitazioni sono state analizzate per<br />

evidenziarne tendenze statisticamente significative. I risultati<br />

hanno confermato le tendenze a livello regionale<br />

e nazionale evidenziate in altri lavori. Le temperature<br />

mostrano un aumento medio annuo di 0,61±0.14 °C<br />

in 100 anni (Fig. 3), con un aumento massimo in inverno<br />

(1,05±0.28 °C in 100 anni), una variazione non significativa<br />

in estate (0,19±0,23 °C in 100 anni) e valori<br />

intermedi in primavera ed autunno (rispettivamente<br />

0,53±0,23 e 0,63±0,21 °C in 100 anni).<br />

Questi valori risultano leggermente più elevati di quelli<br />

indicati nel 2002 da Maugeri e Mazzucchelli come<br />

medie per <strong>il</strong> Nord <strong>It</strong>alia (T minime e massime annue<br />

0,27±0,07 e 0,44±0,10 °C in 100 anni) e prossimi a<br />

quelli indicati dall’Intergovernamental Panel on Climate<br />

Change (IPCC), organismo fondato nel 1988 dall’Organizzazione<br />

Meteorologica Mondiale, che fornisce<br />

un incremento di temperatura a livello globale per<br />

<strong>il</strong> XX secolo di 0,6±0.20 °C. L’aspetto più preoccupante<br />

deriva dal fatto che l’aumento sembra decisamente<br />

accentuarsi negli ultimi 10-15 anni, quando più volte<br />

sono stati superati i massimi storici secolari in termini<br />

di temperature e eventi di precipitazione.<br />

Una conseguenza ambientale legata all’innalzamento<br />

delle temperature, r<strong>il</strong>evante per l’arco alpino in generale<br />

e quindi anche per l’Ossola, è <strong>il</strong> regresso dei ghiac-<br />

116<br />

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Fig. 4 – Serie pluviometrica di Domodossola con media mob<strong>il</strong>e di ordine<br />

25 e linea di tendenza (da Oscellana 32 (2), 2002).<br />

<br />

<br />

ciai, con la completa scomparsa di quelli di dimensioni<br />

minori, alle quote minori. Il fenomeno non è esente<br />

da rischi idrogeologici, quando la conformazione dei<br />

versanti crea le condizioni per la formazione di sacche<br />

di acque di scioglimento in situazioni di instab<strong>il</strong>ità. Un<br />

esempio si è avuto qualche anno fa in Val Anzasca con<br />

<strong>il</strong> “Lago Effimero”, formatosi sui ghiacciai del Monte<br />

Rosa, che ha mob<strong>il</strong>itato esperti e tecnici del soccorso civ<strong>il</strong>e,<br />

per <strong>il</strong> potenziale pericolo di un brusco e disastroso<br />

deflusso delle acque a valle.<br />

Come per le temperature, anche i risultati dell’analisi<br />

sulla quantità e sul regime delle precipitazioni r<strong>il</strong>evate<br />

all’osservatorio Rosmini di Domodossola appaiono in<br />

linea con altre osservazioni eseguite nel Nord <strong>It</strong>alia. La<br />

quantità globale di precipitazione (Fig. 4) non ha evidenziato<br />

un trend significativo nel periodo considerato,<br />

presentando una media di 1398 mm, con una deviazione<br />

standard di 351 mm, ed estremi di 768 e 2918 mm<br />

(rispettivamente negli anni 1893 e 1872).<br />

A fronte di questo risultato, è stata evidenziata una tendenza<br />

alla diminuzione del numero di giorni di precipitazione<br />

per anno, passati da 100-110 negli ultimi anni<br />

del 1800 a 85-90 negli ultimi venti anni (Fig. 5).<br />

L’evoluzione di queste due componenti della distribuzione<br />

delle precipitazioni indica quindi chiaramente<br />

un aumento della intensità di precipitazione, definita<br />

come rapporto tra quantità e frequenza di precipitazione;<br />

l’analisi su base stagionale mette inoltre in luce<br />

una variazione più accentuata in autunno e, secondariamente,<br />

in primavera ed estate. Aumentano così gli


eventi estremi di precipitazione, con un conseguente<br />

aumento del rischio idrogeologico. E’ superfluo ricordare<br />

che <strong>il</strong> flagello delle alluvioni costituisce una componente<br />

storica della realtà ossolana e che gli eventi dell’ultimo<br />

decennio (anni 1993, 1994, 2000) sono stati<br />

fra i più catastrofici. L’incremento della intensità delle<br />

precipitazioni osservato a Domodossola trova ampio riscontro<br />

nelle osservazioni di altre stazioni del Nord <strong>It</strong>alia<br />

e, più in generale, questo aspetto sembra riflettere<br />

una tendenza globale, associata ad una maggiore “vivacità”<br />

del ciclo dell’acqua connesso con l’aumento della<br />

temperatura.<br />

Poesia della natura: la galaverna.<br />

Fig. 5 – Numero di giorni di precipitazione per anno a Domodossola<br />

con media mob<strong>il</strong>e di ordine 25 e linea di tendenza (da Oscellana<br />

32 (2), 2002).<br />

117


La flora<br />

Cesarina Masini Chieu<br />

Le condizioni altimetriche e morfologiche dell’Ossola,<br />

<strong>il</strong> suo clima di tipo continentale temperato, offrono<br />

all’osservatore una successione di zone di vegetazione,<br />

giustificata via via dall’altitudine, dall’esposizione dei<br />

versanti, dall’insolazione, dal vento, dall’umidità, dalle<br />

precipitazioni nevose, dalle condizioni fisiche, chimiche<br />

e biotiche del suolo.<br />

I paesaggi tanto diversi di cui si compone la fisionomia<br />

dell’Ossola sono improntati da forme caratteristiche di<br />

vegetazione: alberi, boschi, fiori, erbe e prati, ora educati<br />

sapientemente dalla mano dell’ uomo, ora lasciati<br />

crescere in selvaggia libertà, ad arricchire di bellezza e di<br />

colori le prospettive del piano, dei colli, delle cime.<br />

Al piano basale fino a 400 m. di altitudine appartengono<br />

terreni ricchi di seminativi e di colture agricole,<br />

come vari cereali, alberi da frutta e pingui prati. Fra i<br />

cereali soprattutto la Segale, Secale Cereale, una Graminacea<br />

la cui coltivazione era diffusa in tutta l’ Ossola ,<br />

da sempre cibo delle popolazioni più povere e isolate; la<br />

pianta rustica per <strong>il</strong> suo grande adattamento alle avversità<br />

climatiche e alla povertà dei terreni, può essere coltivata<br />

fino a 1300 - 1500 m. di altitudine. Quando nel<br />

paesaggio alpino si alternavano come in una scacchiera<br />

<strong>il</strong> verde dei prati e <strong>il</strong> giallo delle spighe alte e bionde,<br />

erano tempi in cui nei piccoli “campi” gli Ossolani basavano<br />

la loro economia su una agricoltura che potesse<br />

assicurare le necessità primarie come <strong>il</strong> Pane. Tuttora a<br />

Coimo, in Valle Vigezzo, si fa un buon pane di “se<strong>il</strong>a”,<br />

oggi oggetto di tradizione.<br />

Segale e patate furono la ricchezza del montanaro, anche<br />

in tempi di guerra e di carestie. La Patata Solanum<br />

Tuberosum una Solanacea che giunse sulle mense ossolane<br />

solamente dopo <strong>il</strong> 1770, <strong>il</strong> tubero dal grande valore<br />

nutritivo, si adatta ad ogni tipo di clima e fruttifica<br />

anche fino a 1500 m. di altitudine, è tenuta in grande<br />

considerazione nella gastronomia locale, tanto da venire<br />

perfino festeggiata a Montecrestese con una sagra popolare<br />

che si tiene in autunno.<br />

Erano altri tempi quelli in cui veniva coltivata la Canapa,<br />

Cannabis sativa, per ottenere una buona fibra da cui<br />

si ricavava la preziosa “tela da ca’”, prodotto artigianale<br />

a livello domestico adatto a soddisfare le esigenze fam<strong>il</strong>iari<br />

di indumenti e biancheria; ora Canapa, Tabacco e<br />

Frumento non si coltivano più .<br />

Particolare fu in tutti i tempi addirittura da m<strong>il</strong>lenni,<br />

la cura dedicata alla Vite, Vitis vinifera, una Vitacea<br />

coltivata dal piano alle pendici solatie dei monti, anche<br />

su terrazzamenti, realizzati con muretti di sostegno<br />

fino verso i 1000 m.. La pianta che si adatta fac<strong>il</strong>mente<br />

alle difficoltà del clima, richiede un terreno abbastanza<br />

profondo e una buona esposizione al sole per maturare<br />

un frutto ricco di zuccheri in modo da ottenere poi<br />

un buon vino, e in seguito, dall’attività dell’ alambicco,<br />

una profumata grappa.<br />

Un’essenza preziosa che l’uomo ha da sempre coltivata<br />

per goderne tutte le parti: corteccia, legno, foglie, mallo<br />

e seme, è <strong>il</strong> Noce, Juglans Regia famiglia delle Juglandacee.<br />

Si trovano anche Noci cresciuti lontani dalle abitazioni,<br />

non piantati dall’ uomo, ma disseminati da corvi,<br />

gazze, ghiandaie, e da roditori come scoiattoli e topi,<br />

infatti la riproduzione avviene per seme . Il Noce ha esigenze<br />

di terreno morbido e fresco, profondo per affondare<br />

<strong>il</strong> suo robusto apparato radicale, abbisogna di molto<br />

spazio disponib<strong>il</strong>e per sv<strong>il</strong>uppare una folta chioma di<br />

ampie foglie lucide. E’ una pianta dioica che fiorisce in<br />

primavera, a giugno mostra <strong>il</strong> frutto verde e a ottobre lo<br />

regala maturo, ricco di sostanze grasse e zuccherine.<br />

119


Fino agli 800 m. è la zona detta fascia submontana,<br />

propria delle caducifoglie, o latifolie eliof<strong>il</strong>e, piante cioè<br />

a riposo invernale, con foglie a lamina larga, adatte a vivere<br />

in ambiente ad elevata luminosità, quali l’Acero, la<br />

Betulla, <strong>il</strong> Frassino, <strong>il</strong> Salice, <strong>il</strong> Sambuco, la Robinia, <strong>il</strong><br />

Nespolo. Grandi, altissimi alberi distendono i loro rami<br />

nel cielo e sprofondano le radici nel terreno, accanto ad<br />

arbusti, piante, pianticelle, erbe, che si nascondono nell’umido,<br />

e all’ ombra delle grandi e dell’ ombra e con<br />

l’ombra vivono.<br />

L’ Acero più diffuso è <strong>il</strong> Campestre, una Aceracea presente<br />

dalla pianura alla collina, alla bassa montagna,<br />

dove non supera i 1500 m. di altitudine; ma <strong>il</strong> grande<br />

albero che arriva anche ad una altezza di 30 m., è l’Acero<br />

Montano, che si spinge fino quasi a 2000 m. nella<br />

zona del Faggio e dell’ Abete, <strong>il</strong> più longevo, la cui vita<br />

può arrivare fino a 150 –200 anni. Essenza preziosa in<br />

s<strong>il</strong>vicoltura per la formazione dell’ humus forestale dolce<br />

e poroso, in quanto le sue foglie sono ricche di azoto<br />

e povere di cellulosa, sbocciano in maggio numerosi<br />

fiori riuniti in grappoli, che attirano gli insetti a cui è<br />

affidata l’impollinazione, singolare per i suoi frutti alati<br />

detti “samare”, che contengono due semi ciascuna e<br />

che <strong>il</strong> vento d’autunno porterà lontano favorendo così<br />

la disseminazione.<br />

Fiorisce fra maggio e giugno dal piano fin a 1000 m.<br />

di altitudine la Robinia Pseudoacacia albero delle Leguminose<br />

dai rami un po’ tortuosi, dalla bella chioma<br />

ricca di foglie che sono appetite dai conigli selvatici<br />

e dai cervi; i grappoli di fiori bianchi profumatissimi<br />

bottinati dalle api che hanno funzione di insetti<br />

impollinatori, ai fiori succedono i frutti , legumi lunghi<br />

5-8 cm., pendenti, bruno nerastri che contengono<br />

4 - 11 semi neri, tossici per l’uomo, che cadranno<br />

alla fine dell’inverno. Oltre ad essere una pianta pioniera,<br />

consolidante del suolo, presenta fra le sue radici<br />

dei tubercoli dovuti a un batterio che fissa nel terreno<br />

l’azoto atmosferico rendendolo più fert<strong>il</strong>e. La Robinia<br />

è una delle sedi prescelte dal Vischio, ma soffre<br />

di questa forma di parassitismo, fino a morirne.<br />

Quando si dice Salice si pensa a un albero dai rami ele-<br />

120<br />

gantemente spioventi amico dell’acqua e del fresco, che<br />

già in marzo mette le foglie e le lascia cadere per ultimo,<br />

nel tardo autunno. Ancor prima delle foglie compaiono<br />

le infiorescenze, amenti diritti, setosi a cui viene dato <strong>il</strong><br />

nome di “gattini” : all’impollinazione provvedono gli<br />

insetti come calabroni e certe farfalle come la Vanessa<br />

Antiopae, la Nymphalis Antiopa, la Catocala Electa<br />

con abitudini notturne; alla dispersione dei minuscoli<br />

semi, provvisti ciascuno di un ciuffo di peli, provvederà<br />

<strong>il</strong> vento. Nella corteccia, nelle foglie, negli amenti, è<br />

presente un glucoside, la salicina, da cui per idrolisi si<br />

ottiene acido salic<strong>il</strong>ico, lo stesso che si trova nell’ “aspirina”,<br />

dalle proprietà analgesiche e febbrifughe, che furono<br />

note anche agli antichi. Per le condizioni ambientali<br />

favorevoli, sono presenti in Ossola 18 specie, lungo<br />

i torrenti nelle valli Vigezzo, Anzasca, Divedro, nei luoghi<br />

umidi fino ai dintorni di Macugnaga, e al Sempione;<br />

la specie detta “Retusa” dal portamento strisciante<br />

arriva fino al limite dei ghiacciai. Appartengono tutte<br />

alla famiglia delle Salicacee.<br />

Pianta altrettanto comune è <strong>il</strong> Sambuco, una Caprifogliacea<br />

a forma di cespuglio o piccolo albero, dai rami<br />

ricadenti e dalle vistose profumate ombrelle di piccoli<br />

fiori che in agosto- settembre si trasformano in bacche<br />

di colore nero rossastro, piene di succo zuccherino, avidamente<br />

ricercate dagli uccelli soprattutto dai merli, responsab<strong>il</strong>i<br />

poi della disseminazione.<br />

Spontaneo sotto forma di arbusto o di alberello alto da<br />

2 a 3 m., dove sono i boschi radi, non oltre i 1000 di<br />

altitudine, cresce molto lentamente <strong>il</strong> Nespolo Mesp<strong>il</strong>us<br />

Germanica che appartiene alla famiglia delle Rosacee.<br />

Il fusto legnoso ha un andamento tortuoso con numerosi<br />

rami e le foglie ovali lunghe fino a 12 cm. ; fiorisce<br />

da maggio a giugno con grandi fiori bianchi solitari,<br />

preziosa fonte di polline per le api; <strong>il</strong> frutto è una bacca<br />

verde- bruna che maturando acquista una consistenza<br />

pastosa e un sapore asprigno, ma gradevolmente zuccherino.<br />

Il frutto una volta tolto dalla pianta nel tardo<br />

autunno, deve essere riposto nella paglia dove subisce<br />

un processo di fermentazione: modo di maturare detto<br />

“ ammezzire”. I frutti più grossi e succosi si raccolgono<br />

sui pendii assolati di Montecrestse e Oira in Valle


Raro rododendro bianco.<br />

Antigorio. La Quercia, è la Cupolifera m<strong>il</strong>lenaria compagna<br />

dell’uomo, è uno degli alberi più robusti maestosi<br />

per <strong>il</strong> portamento: è alto da 30 a 40 m. molto ramificato,<br />

ha grande espansione della chioma, <strong>il</strong> tronco caratteristico<br />

per la corteccia bruno - nerastra screpolata,<br />

le foglie verdi scure e lucide sopra, ovali, con bordi<br />

a festoni arrotondati. E’ una pianta dioica in primavera<br />

compaiono gli amenti masch<strong>il</strong>i giallastri, penduli,e<br />

quelli femmin<strong>il</strong>i a squame; <strong>il</strong> frutto sarà una ghianda<br />

ovale con la cupola a scaglie. Offre all’uomo la sua ombra,<br />

<strong>il</strong> legno pesante e duro, adatto a molti usi, la scorza<br />

per <strong>il</strong> contenuto in tannino, le foglie e le ghiande per<br />

<strong>il</strong> nutrimento degli animali; cresce lentamente, molto<br />

tempo deve trascorrere prima che maturino i frutti, ma<br />

è pianta longeva e raggiunge i 2000 anni. Sono presenti<br />

in Ossola la Quercus Robur o Farnia, che supera raramente<br />

i 1000 m., la Rossa o Rubra che cresce in un vivaio<br />

della Guardia Forestale nei pressi del Lusentino, la<br />

Sess<strong>il</strong>iflora o Rovere, la più diffusa, presente fino a 1500<br />

m. su terreno soffice e leggero. Il nome dialettale generico<br />

è “Rugul”.<br />

Cresce sulla Quercia affondando nel tronco i suoi austo-<br />

ri succhiatori un semiparassita, <strong>il</strong> Vischio, una Lorantacea,<br />

che essendo priva di radici si rifornisce di acqua e di<br />

sali minerali sfruttando la linfa delle piante ospiti, mentre<br />

ha la sua funzione clorof<strong>il</strong>liana per la presenza di numerose<br />

piccole foglie verdi con le quali può sintetizzare<br />

gli idrati di carbonio. Quando la pianta ospite perde<br />

le foglie, <strong>il</strong> Vischio diventa evidente, un piccolo arbusto<br />

a forma di ciuffo rotondo sempreverde orientato verso<br />

nord perché è igrof<strong>il</strong>o, cioè ha bisogno di molta umidità<br />

per la germinazione dei suoi semi. I fiori compaiono in<br />

primavera, poco vistosi, alla fine dell’autunno compaiono<br />

i frutti, bacche sferiche, bianche traslucide che contengono<br />

un grosso seme immerso in una sostanza viscida,<br />

collosa e gelatinosa. Tordi, merli, cinciallegre si nutrono<br />

di questi frutti e inconsapevolmente, o pulendosi<br />

<strong>il</strong> becco, o con gli escrementi, favoriscono la disseminazione<br />

della pianta, in quanto i semi rivestiti del liquido<br />

appiccicoso, si attaccano ai tronchi degli alberi e <strong>il</strong> ciclo<br />

ricomincia. La pianta è molto tossica per l’uomo e la<br />

sua tossicità varia a seconda della specie arborea parassitata,<br />

cresce generalmente sugli alberi da frutto, ma anche<br />

su Pioppi, Olmi, Betulle, Salici e Castagno, se cresce<br />

sulla Quercia, o sul Pero, è più ricca di principi at-<br />

121


L’Edelweiss o Stella alpina.<br />

tivi, quindi più tossica; la corteccia della Quercia è tanto<br />

consistente che anche se parassitata dal Vischio, non<br />

ne viene danneggiata.<br />

Nel sottobosco del Querceto crescono numerose piante<br />

legnose e arbustive, con esigenze meno eliof<strong>il</strong>e, come<br />

<strong>il</strong> C<strong>il</strong>iegio selvatico, la “cerisa”, una Rosacea che in primavera,<br />

quando le altre piante dormono ancora, mostra<br />

grappoli fitti di fiori candidi, ancor prima dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

delle foglie. In Val Vigezzo quelli risparmiati dalle<br />

alluvioni crescono in riva al torrente Melezzo e in Val<br />

Anzasca si spingono fino a Macugnaga. Sugli alberi da<br />

frutta e in modo particolare sul C<strong>il</strong>iegio, vive <strong>il</strong> fungo<br />

Pholiota squarrosa che parassita la pianta fino a farla<br />

morire.<br />

Un’altra pianta Cupolifera, pioniera, molto diffusa fino<br />

a 1800 m. di altitudine, è <strong>il</strong> Nocciolo Corylus Avellana,<br />

altro antico tenace amico dell’uomo che trova nutrimento<br />

nel suo frutto, ut<strong>il</strong>ità nel suo legno, sollievo dalle<br />

sue proprietà medicinali. L’arbusto non di grande taglia<br />

è alto da 2 a 6 m., con la chioma che si allarga per i<br />

molti polloni che partono da un’unica ceppaia, con numerosi<br />

rami flessib<strong>il</strong>i, la pianta è monoica: gli amenti<br />

masch<strong>il</strong>i presenti già nell’autunno, sono giallastri e<br />

122<br />

penduli e quelli femmin<strong>il</strong>i riuniti in spighe compaiono<br />

in febbraio, sarà <strong>il</strong> vento a provocare l’ impollinazione.<br />

In autunno prima della caduta delle foglie, maturano i<br />

frutti, secchi e chiusi, di solito riuniti a gruppi da una a<br />

quattro. Le nocciole sono protette da un guscio legnoso<br />

liscio e duro e da grandi brattee verdi, contengono un<br />

unico seme dalla polpa bianca e dolce, di elevato potere<br />

nutritivo. Roditori come scoiattoli, ghiri e topi campagnoli,<br />

uccelli come le ghiandaie sono ghiotti consumatori<br />

di questi frutti, quelli che non verranno raccolti,<br />

caduti a terra germineranno in primavera e daranno<br />

origine ad altre piante.<br />

L’ habitat del Biancospino, Crataegus Oxyacantha, libero<br />

e selvaggio è la macchia, la siepe, la scarpata dal piano<br />

fino a 1600 m., in un sottobosco luminoso dove fra<br />

apr<strong>il</strong>e e giugno compaiono i suoi bianchi e profumati<br />

corimbi e in seguito le drupe rosse, ovali, velenose.<br />

Spesso in comune con la Rosa selvatica o Rosa di macchia,<br />

è presente in tutte le valli dal piano fino 1800 m.<br />

in parecchie varietà. Il fungo che lo parassita è l’ Entoloma<br />

clipeato che vive sugli alberi da frutta della famiglia<br />

delle Rosacee, lo visitano farfalle come la Aporia Crataegi<br />

e la Iphiclides Podalirius.<br />

Trovano qui <strong>il</strong> loro ambiente nel sottobosco ricco di<br />

humus e umido <strong>il</strong> Rovo, l’Agrifoglio con i frutti globosi<br />

color rosso vivo e le foglie di un verde lucente, <strong>il</strong> Ligustro<br />

dai fiori bianchi e profumati, <strong>il</strong> Maggiociondolo<br />

con i fiori riuniti in grappoli dorati. Le bacche, i frutti<br />

di molti arbusti, provvidenziale e sostanzioso nutrimento<br />

invernale per molti uccelli, che essendo refrattari<br />

alle sostanze tossiche presenti, se ne nutrono favorendo<br />

in seguito la disseminazione, sono per l’uomo insidiosi<br />

veleni.<br />

Perché i veleni? Quale la loro funzione nella pianta? I<br />

veleni vegetali consistono generalmente in alcaloidi e in<br />

glucosidi ad elevato potere tossico. Gli alcaloidi sono<br />

composti organici azotati di natura basica, prodotti ed<br />

elaborati da piante dicot<strong>il</strong>edoni, originati nelle radici<br />

ed accumulati nelle altre parti, come foglie, frutti, semi.<br />

Escrezioni o secrezioni? Secrezioni, cioè sostanze elaborate<br />

da particolari ghiandole, o escrezioni, cioè sostanze<br />

che una volta elaborate vengono espulse, oppure so-


stanze aventi funzione di difesa? Diversi chimicamente<br />

sono i glucosidi, composti costituiti da uno zucchero,<br />

solitamente <strong>il</strong> glucosio legato a sostanze di varia natura<br />

che si scindono per idrolisi per azione di enzimi, solitamente<br />

già presenti nello stesso tessuto vegetale in cui si<br />

trova <strong>il</strong> glucoside. Quale la funzione fisiologica del glucoside?<br />

Da alcuni autori è considerato materiale nutritivo<br />

di riserva giustificato dalla presenza dello zucchero,<br />

secondo altri si tratterebbe di un prodotto finale del<br />

metabolismo della pianta.<br />

Le chiome degli alberi formano una volta protettiva che<br />

regola la penetrazione della luce e dell’acqua piovana e<br />

poiché durante l’inverno le latifoglie sono nude, grande<br />

è la quantità di luce che giunge al suolo e permette la<br />

vita di molte piante erbacee ora um<strong>il</strong>i, ora appariscenti,<br />

che caratterizzano questo tipo di bosco.<br />

Ecco le Primule, precoci e gent<strong>il</strong>i annunciatrici della<br />

primavera, le varie specie di Viole a fiori più o meno<br />

violacei e bianchi, <strong>il</strong> Geranio sanguigno dai grandi fiori<br />

rosso scuri, la precocissima Anemone epatica: le sue<br />

corolle azzurre costellano le foglie morte del sottobosco<br />

non ancora rinverdito, nel periodo da febbraio ad<br />

apr<strong>il</strong>e; <strong>il</strong> velenoso Elleboro o Rosa di Natale, che ancora<br />

nel freddo inverno apre i grandi fiori bianchi; Orchidee<br />

selvatiche dalle spighe bianche, rosse e gialle, come le<br />

Sambucine, leggermente profumate di Sambuco, fiorite<br />

da maggio a giugno. A queste si accompagnano molto<br />

di frequente le Campanelline di primavera, e <strong>il</strong> Dente<br />

di cane; qui sparge <strong>il</strong> suo grato profumo <strong>il</strong> rosso fiore<br />

velenoso della Daphne mezereum e fioriscono le corolle<br />

azzurrissime delle Genziane, rappresentanti di una flora<br />

tipicamente alpina.<br />

Propria dei grandi spazi, nella solitudine selvaggia dei<br />

pascoli, si erge austera con la sua fioritura solare colorata<br />

di giallo intenso la Genziana Lutea o Maggiore: una<br />

rappresentante della famiglia delle Genzianacee. Arbusteti<br />

dal substrato calcareo, luoghi solitari e franosi, ricchi<br />

di torba, bene esposti al sole, sono <strong>il</strong> suo habitat, fra<br />

gli 800 e 2500 m. di altitudine: frequente nei boschi di<br />

Rosereccio in Valle Anzasca e sui pendii del Moncucco.<br />

Il suo rizoma c<strong>il</strong>indrico, lungo e grosso dal colore bruno<br />

giallastro, è la parte apprezzata dall’uomo, per la pre-<br />

senza di principi attivi amari, sotto forma di glucosidi .<br />

Il prof. Rossi naturalista botanico ha elencato 17 varietà<br />

di Genziane presenti nelle Valli Ossolane, <strong>il</strong> loro habitat<br />

e l’epoca di fioritura ; fra queste le più comuni sono<br />

la G. Acaulis cosidetta per <strong>il</strong> fusto brevissimo, dall’intenso<br />

azzurro delle corolle tubulose, con riflessi metallici;<br />

la G. Verna o genziana di primavera fiorisce da marzo<br />

ad agosto nei prati umidi della Val Formazza e alle<br />

falde del Monte Rosa da 800 fino a 3500 m. di altitudine<br />

dove i piccoli fiori dall’azzurro intenso e br<strong>il</strong>lante<br />

riuniti a chiazze spiccano sui pascoli ancora rinsecchiti<br />

dal gelo.<br />

E’ ancora questo l’orizzonte di una profumata L<strong>il</strong>iacea<br />

<strong>il</strong> Mughetto, messaggero della primavera. Con la bianca<br />

e profumata fioritura abbellisce <strong>il</strong> sottobosco nelle Valli<br />

Vigezzo, Anzasca, Antigorio e Bognanco; i glucosidi<br />

presenti, ad azione cardioattiva sono mortalmente velenosi<br />

per l’uomo.<br />

Nel sottobosco fresco e ombreggiato a volte anche nel<br />

prato soleggiato e scoperto, su terreno calcareo, ricco di<br />

Gli alti boschi ai piedi del Monte Cistella.<br />

123


humus fino ad un’altitudine da 300 a 2200 m. in tutte<br />

le Valli Ossolane trova <strong>il</strong> suo habitat una Primulacea<br />

<strong>il</strong> Ciclamino, Cjclamen purpurescens, dal solitario fiore<br />

rosso violaceo, profumato, presente da giungo a ottobre;<br />

nel tubero sta <strong>il</strong> suo veleno , <strong>il</strong> glucoside detto ciclamina<br />

e alcune saponine, <strong>il</strong> tutto è tossico e fortemente<br />

anemizzante.<br />

Dal piano fino a 2000 m. cresce la Betulla, Betula Alba,<br />

famiglia delle Betulacee dalla caratteristica corteccia<br />

bianco argentea e dalla chioma rada e luminosa, formata<br />

da giovani rami flessib<strong>il</strong>i, e da fogliame leggero e<br />

br<strong>il</strong>lante. In primavera compaiono i fiori masch<strong>il</strong>i sotto<br />

forma di lunghi amenti gialli tremuli e ricadenti, che<br />

differiscono dai femmin<strong>il</strong>i, più corti con gli stigmi rossi,<br />

<strong>il</strong> frutto sarà un piccolo achenio alato<br />

Presente nell’Ossola nelle sue tre varietà: B. alba, B. pubescens,<br />

e B.verrucosa, è pianta adatta ad insediarsi anche<br />

in terreni inospitali e poveri, a resistere alle osc<strong>il</strong>lazioni<br />

di temperatura e di umidità, al congelamento del<br />

suolo: è una pianta pioniera, anche perché ha grandi<br />

capacità di disseminazione e di riproduzione. Sulle vecchie<br />

Betulle ammalate vive un fungo Poliporo, <strong>il</strong> Piptoporus<br />

betulinus, che ne favorisce <strong>il</strong> disfacimento, fungo<br />

parassita annuale che necessita della linfa della Betulla<br />

per sopravvivere, e scompare alle prime gelate. Altri<br />

funghi compagni della Betulla sono <strong>il</strong> Boletus albidus e<br />

<strong>il</strong> Pax<strong>il</strong>lus involutus, <strong>il</strong> Cortinarius arm<strong>il</strong>lato.<br />

Molteplici sono gli usi dei prodotti di questa essenza:<br />

dalla corteccia come combustib<strong>il</strong>e ed isolante, alla linfa<br />

per ricavarne zuccheri e bevande, dal legname nell’industria<br />

dei compensati, o per piccole attività artigianali,<br />

al tannino che si estrae dai suoi tessuti.<br />

E’ questo l’habitat anche di una Cupolifera dal medio<br />

portamento, <strong>il</strong> Carpino, che ama terreni s<strong>il</strong>icei anche<br />

aridi. Si presenta con un tronco dalla corteccia grigia e<br />

liscia, la chioma folta, le radici superficiali, fiori masch<strong>il</strong>i<br />

e femmin<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> frutto è un achenio con un seme protetto<br />

da una membrana. E’ un’essenza di interesse forestale.<br />

Abbastanza diffusa nei piani collinari, fino a 1000 m,<br />

non avendo pred<strong>il</strong>ezioni di terreno, è una T<strong>il</strong>iacea, <strong>il</strong><br />

124<br />

Tiglio, T<strong>il</strong>ia Cordata. Albero alto, dalla chioma notevolmente<br />

espansa, a crescita lenta, assai longevo, fino<br />

a 1000 anni di età. Giugno è <strong>il</strong> suo mese: pendono dai<br />

rami i fiori di colore giallastro, riuniti in radi corimbi,<br />

intensamente profumati per la presenza una essenza, <strong>il</strong><br />

farnesolo che attira le api, che oltre a bottinare polline<br />

in abbondanza, svolgono anche funzione pronuba.<br />

Del Tiglio è prezioso <strong>il</strong> legno tenero usato per utens<strong>il</strong>i<br />

e la corteccia da cui si separa una fibra per funi rustiche<br />

e resistenti.<br />

Ancora l’orizzonte sub montano è la sede del Castagneto:<br />

bosco luminoso, con le fronde chiare e, nel periodo<br />

della fioritura, a giugno, con le chiome dorate degli<br />

amenti. Il Castagno è una Cupolifera, «l’arbul» quando<br />

è da frutto, «ul salvag» quando è ceduo, per la produzione<br />

del legname, è maestoso, raggiunge anche i 30<br />

m di altezza e può vivere secoli; è moderatamente termof<strong>il</strong>o,<br />

legato ad un terreno acido. Prezioso alleato dell’uomo<br />

nella lotta per l’esistenza, produce buoni frutti,<br />

legname ottimo e robusto, foglie per lettiera nella stalla,<br />

ombra tenue e riposante che ospita un ottimo pascolo<br />

ed una buona produzione di funghi: Boletus edulis<br />

o porcino, <strong>il</strong> Cantharellus cibarius o gallinaccio, Russula<br />

Vesca che, intimamente legati agli alberi, sv<strong>il</strong>uppano<br />

<strong>il</strong> loro micelio fino a contatto delle giovani radici vivendo<br />

in simbiosi detta micorrizica; di funghi si nutrono<br />

piccoli animali micofagi, come lumache, chiocciole,<br />

insetti. Quale la funzione del fungo nel sottobosco?<br />

E nell’equ<strong>il</strong>ibrio della natura? Il suo ruolo in collaborazione<br />

con Batteri, è quello di decomporre gran parte<br />

della materia organica distruggendo residui vegetali<br />

e restituendo alla terra cellulosa, lignina, cheratina per<br />

trasformarla in Humus ed elementi e minerali semplici<br />

che saranno riut<strong>il</strong>izzati dai vegetali superiori.<br />

Il Fungo che vediamo spuntare fuoriterra è solamente<br />

<strong>il</strong> corpo fruttifero che ha funzione di diffondere le spore<br />

per la riproduzione, <strong>il</strong> corpo vegetativo vive nel terreno<br />

o nel legno sotto forma di f<strong>il</strong>amenti sott<strong>il</strong>i, le Ife<br />

che con <strong>il</strong> loro intreccio costituiscono <strong>il</strong> Micelio. Il Fungo<br />

è un vegetale eterotrofo che mancando di clorof<strong>il</strong>la<br />

è incapace di fare la fotosintesi ed è destinato a procurarsi<br />

<strong>il</strong> nutrimento sotto forma di composti organici<br />

già sintetizzati da piante superiori, se le sostanze sono


assunte direttamente da altri organismi viventi, siamo<br />

in presenza di Funghi parassiti, che forniti di ramificazioni<br />

dette “ austori “ penetrano nelle cellule dell’ospite<br />

per sottrarne le sostanze, causando alterazioni, malattie<br />

ed anche morte. Se <strong>il</strong> nutrimento è fornito da substrati<br />

morti, i Funghi si dicono saprofiti, sono invece<br />

simbionti quelli in rapporti mutualistici con gli esseri<br />

da cui ricavano <strong>il</strong> nutrimento. La riproduzione può<br />

avvenire per frammentazione del Micelio, e viene detta<br />

vegetativa; la riproduzione sessuata avviene per mezzo<br />

delle spore, formazioni leggerissime della misura di m<strong>il</strong>lesimi<br />

di m<strong>il</strong>limetro, che portate dal vento, una di sesso<br />

masch<strong>il</strong>e e una femmin<strong>il</strong>e e germinando accanto, troveranno<br />

le condizioni necessarie per lo sv<strong>il</strong>uppo di un micelio.<br />

Le spore sono situate sotto <strong>il</strong> cappello del Fungo<br />

o fra le lamelle,o in piccolissimi tubuli.<br />

Nell’ambiente fresco e umido del castagneto <strong>il</strong> sottobosco<br />

non è tipico, ma varia a seconda della luminosità,<br />

delle caratteristiche del suolo, dell’altitudine, dell’esposizione.<br />

Si incontrano cespi di Felci, zolle di Paglietta<br />

odorosa; tappeti di Muschi, come <strong>il</strong> Politrico; graminacee<br />

come la Festuca ovina, la Betonica officinale, arbusti<br />

di Ginestra e di Brugo e nelle zone più fresche <strong>il</strong><br />

Mirt<strong>il</strong>lo nero.<br />

Non si può pensare a un bosco di montagna senza pensare<br />

alle Felci. Delle Felci, Crittogame prive di fiori, di<br />

frutti e di semi, sporgono dal suolo solamente le fronde<br />

verdi che hanno la duplice funzione, la clorof<strong>il</strong>liana<br />

e la riproduttiva; vive nel terreno un rizoma orizzontale<br />

da cui partono numerose radichette. Il segreto della riproduzione<br />

sta infatti sulla pagina inferiore delle fronde,<br />

su cui al momento opportuno, cioè verso la metà<br />

dell’ estate, compaiono piccole sfere di color ruggine,<br />

i sori nel cui interno stanno i minuscoli sporangi che<br />

a loro volta contengono le spore che verranno lanciate<br />

lontano anche portate dal vento e cadendo su un terreno<br />

sufficientemente umido produrranno una piccolissima<br />

lamina di colore verde detta protallo su cui si sv<strong>il</strong>upperanno<br />

gli organi sessuali, gli anteridi e gli archegoni:<br />

quando saranno maturi sarà indispensab<strong>il</strong>e una goccia<br />

d’acqua perché elementi masch<strong>il</strong>i e femmin<strong>il</strong>i si uniscano<br />

per dare origine a una nuova pianta.<br />

Della famiglia delle Leguminose è la Ginestra, Spartium<br />

Junceum, la pianta pioniera per la grande capacità<br />

di colonizzazione su substrati poveri e aridi, sulle scarpate<br />

degradate dove cresce come arbusto dai grandi fiori<br />

gialli, alti sui rami, da cui prendono origine i frutti,<br />

legumi di colore nero che contengono 12- 18 semi lucidi,<br />

marroni, velenosi, ma tutta la pianta , anche corteccia<br />

e radice è velenosa, per la presenza di un alcaloide<br />

tossico, la citisina. Sim<strong>il</strong>e è la Ginestra detta dei carbonai,<br />

Citisus Scoparium dalla cui sommità fiorita si ricava<br />

la sparteina alcaloide ad azione cardioattiva.<br />

Si nutrono dei suoi nettari farfalle come la Callistege<br />

mi, la Callophryis rubi.<br />

Il Brugo è <strong>il</strong> nome celtico dell’Erica, Calluna Vulgaris,<br />

che dà <strong>il</strong> nome alla sua famiglia: Ericacee. Tipica<br />

dei terreni acidi, piccola pianta molto ramificata, dalle<br />

foglioline persistenti, spesso sim<strong>il</strong>i a scaglie e fiorellini<br />

bianchi o rosei molto ricercati dalle api e dalla farfalla<br />

Argo, Plebeius argo. Nelle Brughiere, su terreno s<strong>il</strong>iceo<br />

crescono funghi come <strong>il</strong> Cortinarius arm<strong>il</strong>lato e la<br />

Calvatia Utriformis o Vescia di lupo, saprofita che vive<br />

a spese di resti organici.<br />

Sempre nel sottobosco del Castagneto <strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo Nero,<br />

Vaccinium Myrt<strong>il</strong>lus, piccolo arbusto che copre intere<br />

aree fresche dei boschi anche di Conifere e Faggi, fiorisce<br />

a maggio giugno con piccoli fiori penduli rosa verdastri<br />

che forniscono un ottimo banchetto di nettare<br />

per insetti dalla lunga proboscide, come le api, men-<br />

125


tre larve di svariate farfalle si nutrono delle foglie. In<br />

autunno le dolci bacche nere dalle delicate pruine blu-<br />

grigie, ricche di vitamine e zuccheri offrono un ricco<br />

raccolto all’uomo e agli uccelli. Nel passato dal suo succo<br />

si ricavava <strong>il</strong> colore viola da usare per tingere carta<br />

e tessuti. Cresce sotto gli arbusti di Mirt<strong>il</strong>li un Fungo,<br />

l’Amanita Virosa che ama terreni s<strong>il</strong>icei.<br />

Invece su terreno di preferenza calcareo cresce <strong>il</strong> Sorbo<br />

Selvatico o Sorbus Aucuparia, famiglia delle Rosacee,<br />

alberello dai fiori bianchi, riuniti in corimbi e da frutti<br />

vistosi di colore rosso scarlatto appetiti dagli uccelli che<br />

diffondono poi i semi nelle località più impensate a volte<br />

anche inaccessib<strong>il</strong>i.<br />

Superata la zona delle Querce e del Castagno, nella fascia<br />

detta montana, dove l’ambiente acquista carattere<br />

un po’ più alpino e si incontrano i primi boschi di Faggio,<br />

Fagus S<strong>il</strong>vatica, famiglia delle Cupolifere.<br />

La Faggeta esposta solitamente sul versante nord è la vegetazione<br />

caratteristica di un ambiente ben definito tra<br />

i 900 e 1500 m con condizioni climatiche equ<strong>il</strong>ibrate;<br />

con osc<strong>il</strong>lazioni di temperatura poco accentuate, elevata<br />

umidità, poco vent<strong>il</strong>ato, suolo a carattere sciolto permeab<strong>il</strong>e<br />

e fresco, quando la Faggeta cresce indisturbata<br />

per lungo tempo, diventa per la sua maestosità una<br />

tra le più belle foreste del mondo, anche ultrasecolari;<br />

può essere pura, cioè costituita esclusivamente da alberi<br />

di Faggio, o mista, per la presenza di Abete Bianco<br />

e Rosso.<br />

Il Faggio è un albero imponente che raggiunge anche<br />

30 – 40 m di altezza, <strong>il</strong> fusto è diritto, la corteccia è<br />

grigia, spesso con macchie scure dovute a fitte colonie<br />

di Licheni o di Muschi lungo <strong>il</strong> lato più umido, le foglie<br />

ovali, ondulate, rossastre. In primavera compaiono<br />

i fiori masch<strong>il</strong>i, amenti biancastri e quelli femmin<strong>il</strong>i<br />

eretti protetti da un involucro; <strong>il</strong> frutto sarà la faggiola,<br />

racchiusa in una cupola coriacea spinosa. Molto ut<strong>il</strong>e<br />

all’uomo per <strong>il</strong> legname usato come combustib<strong>il</strong>e ed<br />

anche in falegnameria, per le foglie che servono per <strong>il</strong><br />

bestiame come lettiera, per <strong>il</strong> frutto, prezioso alimento<br />

di animali selvatici, per <strong>il</strong> seme da cui si estrae un olio<br />

ut<strong>il</strong>e per la fabbricazione dei saponi.<br />

Il sottobosco non è molto ricco perché dove la faggeta<br />

è rigogliosa e fitta, l’ombra impedisce l’insediamen-<br />

126<br />

to di molte specie vegetali, è migliore invece dove <strong>il</strong> bosco<br />

è misto.<br />

Fra gli arbusti si trovano <strong>il</strong> Maggiociondolo; i cespugli<br />

di Brugo, di Mirt<strong>il</strong>lo, l’Erba Ginestrina. Fra le piante<br />

erbacee l’Acetosella dai fiori bianco rosati, l’Asperula<br />

dorata o Stellina odorosa, la Viola s<strong>il</strong>vestre non profumata<br />

e pallida, l’Anemone epatica. Soffici tappeti di<br />

Muschi tappezzano le radici che affiorano ed emergono<br />

dallo strame di foglie morte, ed in autunno, al limitare<br />

del bosco di Faggio, abbondano i Funghi come <strong>il</strong> gustoso<br />

Boleto, l’Agarico saponaceo e quello viscoso, <strong>il</strong> Pluteo<br />

Cervino in gruppi numerosi sulle ceppaie, <strong>il</strong> Cantharellus<br />

cinereus che vive in gruppi più o meno fitti<br />

esclusivamente sotto i Faggi, le Colombine, le Rossole,<br />

le velenose Amanite, l’Hygrophorus marzuolus, la tossica<br />

Inocybe.<br />

Nel verde del bosco, da apr<strong>il</strong>e a giugno spiccano i grappoli<br />

dorati dei fiori del Maggiociondolo, o Cjtisus Laburnum<br />

famiglia delle Leguminose che cresce fino ad<br />

un’altitudine di 2000 m. meglio su terreno calcareo. E’<br />

un arbusto alto da 5 a 7 m., la sua chioma consta solamente<br />

di pochi rami eretti e di numerosi getti laterali<br />

molto corti che terminano con un ciuffo di foglie da<br />

cui fra apr<strong>il</strong>e e giugno partirà l’infiorescenza spiovente,<br />

a forma di grappolo, composto da 10 a 30 fiori dalla<br />

corolla pap<strong>il</strong>ionacea, nettariferi, visitati da insetti pronubi.<br />

Dai fiori prenderanno origine i frutti, maturi in<br />

ottobre, legumi di colore bruno, lunghi 5-6 cm. contenenti<br />

7 semi scuri, duri e molto tossici, che se ingeriti<br />

causano vomito violento con presenza di sangue. Mentre<br />

conigli, pecore e capre si cibano impunemente delle<br />

foglie, tutta la pianta è pericolosa per l’uomo per la presenza<br />

di citisina, alcaloide fortemente neurotossico che<br />

dà effetti sim<strong>il</strong>i a quelli della stricnina, prima eccitanti,<br />

poi paralizzanti.<br />

Salendo fino al limite di 2000 m. ci si trova nelle Pinete,<br />

boschi ora bui, ora luminosi, sempre profumati di resina:<br />

qui l’essenza principale è <strong>il</strong> Pino S<strong>il</strong>vestre, uno degli<br />

alberi più comuni e fam<strong>il</strong>iari presente in tutta l’Ossola,<br />

dove crescono le più belle fustaie del Piemonte. Mentre<br />

<strong>il</strong> Faggio cresce sul versante nord, alla stessa altitudine,<br />

sul versante sud, cresce <strong>il</strong> Pino, anche su terreni de-


nudati e rupestri, resistente ai venti dissecanti e ai geli<br />

tardivi. La Conifera dalla caratteristica chioma conica,<br />

dal tronco diritto, dalla corteccia squamosa bruno rossastra<br />

da giovane, poi color cenere, ha una poderosa radice<br />

a fittone e le laterali molto allungate, apparato radicale<br />

così espanso che lo rende resistente all’impeto dei<br />

venti. Diventa alto fino a 40 m., e tanto longevo che<br />

può superare 5 secoli di età. Le foglie aghiformi brevi,<br />

persistenti per 2- 3 anni sono appaiate a due a due, le<br />

infiorescenze masch<strong>il</strong>i assomigliano a piccole pannocchie<br />

di stami gialli che per mezzo del vento diffondono<br />

abbondante polline, che si poserà sui fiori femmin<strong>il</strong>i.<br />

Nella primavera successiva <strong>il</strong> piccolo cono femmin<strong>il</strong>e<br />

fecondato crescerà assumendo la forma di pigna, dapprima<br />

verde, poi dopo <strong>il</strong> secondo inverno le squame diventeranno<br />

scure e infine legnose; quando la pigna sarà<br />

matura le squame si apriranno per liberare i semi che <strong>il</strong><br />

vento porterà lontano: disseminazione anemof<strong>il</strong>a.<br />

E’ <strong>il</strong> più prezioso dei Pini, ricco di olii essenziali, dalle<br />

screpolature della corteccia o da incisioni, cola una<br />

oleo-resina da cui si ricava la trementina poi per dist<strong>il</strong>lazione<br />

si ottiene l’acquaragia. Nelle Pinete <strong>il</strong> sottobosco<br />

può assumere aspetto quasi di steppa con piante frugalissime<br />

adatte all’aridità dell’ambiente, come Graminacee<br />

Cespitose: tappeti di Festuca ovina, buona foraggiera<br />

da pascolo, l’Erica carnea, cespugli di Ononide,<br />

una leguminosa infestante dai fiori rosati e fusti spinosi,<br />

Muschi, e tra i Funghi <strong>il</strong> Boletus luteus, l’Agarico detto<br />

color di terra, <strong>il</strong> Cantharellus cibarius o Gallinaccio<br />

dal dolce profumo e dalla polpa soda e saporita, l’Hygrophorus<br />

pustulatus, Russole e Amanite, l ’Agarico rut<strong>il</strong>ante<br />

esclusivo sui vecchi ceppi di Conifere che colonizza<br />

contribuendo alla loro decomposizione.<br />

Il micelio di tutti i Boleti vive in simbiosi con le radici<br />

degli alberi, ragione per cui essi spuntano solamente<br />

nei boschi o al loro margine. Dove è più puro e più<br />

caratteristico, questo bosco ospita la Rosa Canina con i<br />

rossi Cinnorodi; <strong>il</strong> Crespino Berberis Vulgaris, arbusto<br />

con fiori gialli a grappoli, frutti a forma di bacca bislunga,<br />

ricco di alcaloidi.<br />

Il Ginepro, Juniperus Communis, è l’arbusto pioniere<br />

proprio dei prati incolti, dei pascoli secchi, delle radure<br />

e delle brughiere fino anche al limite della vegetazio-<br />

ne arborea, resistentissimo ai climi freddi e ventosi delle<br />

località di alta quota, fino a 2500 m. di altitudine, dove<br />

in condizioni quasi estreme di vita, <strong>il</strong> cespuglio assume<br />

forma prostrata. E’ anch’esso una Conifera dalle fitte<br />

foglie aghiformi dioica con fiori su piante masch<strong>il</strong>i diverse<br />

da quelle femmin<strong>il</strong>i che impollinati assumeranno<br />

l’aspetto sferico di un pisello e matureranno dopo due<br />

anni delle pseudo-bacche dette coccole, sugose, di colore<br />

verde bluastro ghiotto cibo per gli uccelli come tordi<br />

e gallocedroni che provvederanno così alla dispersione<br />

dei semi. Uccelli, lepri, insetti, i m<strong>il</strong>le deboli del bosco<br />

trovano fra i cespugli as<strong>il</strong>o e cibo.<br />

Nell’intrigo del bosco vive anche <strong>il</strong> Juniperus Sabina:<br />

la pianta è velenosa in tutte le sue parti, è un Ginepro<br />

che differisce dagli altri per le foglie squamiformi, piccolissime,<br />

appiattite e per i frutti detti galbuli, di colore<br />

nero bluastro.<br />

Ad un’altitudine di 1400 m. ambientato fin quasi a<br />

2000. Sempre sul versante nord, cresce una Conifera<br />

maestosa, l’ Abete Bianco, Abies Alba dal tronco diritto,<br />

cupola conica con rami quasi orizzontali, aghi semplici,<br />

di colore verde scuro, persistenti da 8 a 11 anni; fiorisce<br />

in apr<strong>il</strong>e-maggio con amenti masch<strong>il</strong>i gialli e coni femmin<strong>il</strong>i<br />

verdastri, da cui origineranno pigne erette lunghe<br />

fino a 16 cm. che si distinguono per questo da quelle<br />

pendule dell’ Abete rosso. La pianta è longeva, ha le<br />

esigenze climatiche sim<strong>il</strong>i a quelle del Faggio e può vivere<br />

fino a 800 anni, raggiungendo 50 m. di altezza. Gli<br />

estesi fittissimi boschi della Valle Vigezzo sono formati<br />

da Abete Bianco; nel suo sottobosco, detto Pecceta, crescono<br />

piante ombrivaghe come <strong>il</strong> Poliporo o Spugnola,<br />

l’Amanita Phalloide , la specie più pericolosa di tutta la<br />

flora fungina, l’Amanita Panterina, <strong>il</strong> Lactarius Rufus.<br />

Una specie ancora più montana è l’Abete rosso Picea<br />

Abies, conifera propria della fascia subalpina, sul versante<br />

nord fra 1400 e 2300 m. di altitudine. Pur essendo<br />

una pianta mesof<strong>il</strong>a, resiste anche ad una siccità moderata,<br />

tollera basse temperature invernali, gelate primaver<strong>il</strong>i.<br />

Il suo nome deriva dal colore rosso bruno della<br />

corteccia; una delle sue caratteristiche è la chioma<br />

conica costituita da rami lunghi interamente coperti di<br />

piccoli aghi verde scuro e da cui pendono pigne affuso-<br />

127


late lunghe circa 10 cm. I semi alati sono affidati al vento,<br />

e per questo l’ albero si diffonde con fac<strong>il</strong>ità. Il tronco<br />

è diritto e solido come una colonna; i rami spesso ricadenti<br />

si caricano di Licheni dalle lunghe barbe, grigi,<br />

neri, e gialli: barbe di Usnea o barba di bosco, ciocche<br />

di Alectoria jubata, sui tronchi cespuglietti di Evernia<br />

grigia e gialla, e di Pseudoevernia furfuracea.<br />

L’Abete rosso è l’albero più longevo nell’altitudine compresa<br />

fra 800 e 1800 m ed anche <strong>il</strong> più produttivo per<br />

<strong>il</strong> suo pregevole legname. Riunito in boschi, le Peccete,<br />

forma uno degli ambienti più caratteristici e suggestivi<br />

del paesaggio vegetale alpino.<br />

I Licheni, famiglia delle Parmeliacee, Crittogame striscianti,<br />

senza rami, né fusto, né foglie, né fiori, con <strong>il</strong><br />

corpo vegetativo formato da un’Alga e da un Fungo in<br />

perfetta simbiosi, cioè in una convivenza stretta di organismi<br />

diversi che traggono entrambi un vantaggio. In<br />

questo caso le ife del Fungo si localizzano fra le cellule<br />

dell’Alga, all’Alga verde <strong>il</strong> compito della fotosintesi clorof<strong>il</strong>liana<br />

e la formazione di carboidrati, al Fungo quello<br />

di fornire all’Alga l’ambiente umido e l’assunzione di<br />

acqua e di sali minerali disciolti: è così che <strong>il</strong> Lichene<br />

vive dove Alga e Fungo isolati non vivrebbero.<br />

Diversi nell’aspetto per colore e per forma e per habitat,<br />

pionieri per eccellenza, si insediano anche sulle rocce<br />

più impervie e con la presenza di enzimi provocano<br />

<strong>il</strong> disfacimento superficiale delle rocce iniziando così la<br />

formazione dell’humus che permetterà in seguito l’insediamento<br />

di piante più esigenti. La riproduzione può<br />

avvenire in tre modi: o per via vegetativa per distacco<br />

di parti del tallo, o conidiale, per la presenza sul tallo di<br />

picnidi nel cui interno si formano microconidi.<br />

Importanti nell’economia del bosco perché rappresentano<br />

<strong>il</strong> cibo per molti animali, dai piccolissimi invertebrati,<br />

fino alle renne, caribù, alci nei paesaggi artici.<br />

A causa della longevità e crescita assai lenta alcuni Licheni<br />

possono servire a datare i substrati su cui crescono,<br />

<strong>il</strong> più indicato a questa indagine è un Lichene rupicolo<br />

che cresce cioè su un substrato roccioso <strong>il</strong> Lichene<br />

detto Geografico, <strong>il</strong> Rhizocarpum Geographicum, caratteristico<br />

per <strong>il</strong> colore giallo, con <strong>il</strong> tallo che cresce di<br />

mezzo m<strong>il</strong>limetro all’anno in forma circolare: misurando<br />

<strong>il</strong> diametro dei talli si può risalire alla loro età e al<br />

128<br />

momento del loro insediamento sul substrato roccioso.<br />

Il sottobosco è talora quasi desertico solo ricoperto da uno<br />

strato di aghi secchi, oppure dallo spesso e soffice tappeto<br />

di aghi spuntano, dove penetra <strong>il</strong> sole, <strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo nero,<br />

<strong>il</strong> Mirt<strong>il</strong>lo rosso, <strong>il</strong> Rododendro, <strong>il</strong> Lampone, <strong>il</strong> Rovo.<br />

Il Mirt<strong>il</strong>lo rosso, Vaccinium Vitis Idaea, famiglia delle<br />

Ericacee è un piccolo arbusto alto da 10 a 20 cm. che<br />

vive su terreni poveri, meglio se acidi, nel sottobosco<br />

delle conifere fino a 3000 di altitudine formando tappeti<br />

anche molto estesi di colore verde cupo. Dai fiori<br />

bianchi e rosei riuniti in piccoli mazzi all’apice del<br />

ramo, prenderanno origine i frutti, bacche rosse dal sapore<br />

acidulo. Volano sulle piantine di Mirt<strong>il</strong>lo due specie<br />

di farfalle, la Lasiocampa Quercus e la Zigaena Exulanas<br />

che hanno effetto pronubo.<br />

Il Rododendro, Rhododendron ferrugineum, famiglia<br />

delle Ericacee, è molto frequente su terreni acidi, nei<br />

pascoli ricchi di humus e anche su rocce, su burroni<br />

sassosi, purchè ben soleggiati, sono gli arbusti contorti<br />

tipici del piano subalpino e della fascia alpina in versanti<br />

con nevi abbastanza persistenti, che invadono velocemente<br />

anche i pascoli abbandonati. La pianta è legnosa<br />

a forma di cespuglio, con pochi rami e robuste<br />

radici, piccole foglie coriacee resistenti, di colore verde<br />

cupo nella pagina superiore, e color ruggine sotto. In<br />

estate compaiono i fiori di colore roseo tendente al rosso,<br />

riuniti in un corimbo alla sommità dei rami; dai fiori<br />

prenderà origine <strong>il</strong> frutto, una capsula allungata contenente<br />

numerosi piccoli semi. La pianta è velenosa in<br />

tutte le sue parti e in modo particolare lo sono le foglie,<br />

con azione narcotica. Gli acidi speciali che produce<br />

rendono impossib<strong>il</strong>e lo sv<strong>il</strong>uppo alle erbacee circostanti,<br />

è invece chiamata “balsamo alpino” per la ricchezza<br />

delle sostanze volat<strong>il</strong>i contenute nelle sue foglie,<br />

e anche “rosa delle Alpi” per la bellezza della sua fioritura.<br />

Sulle foglie possono essere presenti le Galle, secrezioni<br />

rotondeggianti che si formano in seguito ad una<br />

azione irritante provocata da un fungo, l’Exobasibium<br />

Rhododendri, o da parassiti; sono formazioni dannose<br />

per la pianta.<br />

Chiamati dagli Ossolani “ratagin” i Rododendri sono<br />

molto comuni fino a coprire vaste zone di praterie alpi-


Una varietà di sassifraga.<br />

ne come al Passo del Sempione, sulle sponde del lago di<br />

Codelago in Alpe Devero, o su quelle del lago formato<br />

dalla diga di Cheggio in Valle Antrona, rodoreti in Val<br />

Vigezzo all’alpe Campra, in Valle Anzasca all’Alpe Rausa,<br />

in Valle Antigorio i “Rater” della Colmine , in Val<br />

Bognanco i “Ratagin” dell’Alpe San Bernardo. Il prof.<br />

Rossi nel suo studio sulla Flora ossolana cita la presenza<br />

di due specie: <strong>il</strong> R: Hirsutum presente i Val Divedro e<br />

qualche esemplare alla Cascata del Toce e <strong>il</strong> R. Ferrugineum<br />

<strong>il</strong> più frequente, legato al substrato s<strong>il</strong>iceo. Molto<br />

più rara è la varietà Albiflora presente sul Sempione<br />

e in Devero. Si nutre sul Rododendro una farfalla diurna,<br />

la Zigaena Exulans che può vivere fino a 3000 m.<br />

di altitudine.<br />

Abbastanza comune sono <strong>il</strong> Rovo, Rubus Fruticosus,<br />

e <strong>il</strong> Lampone, Rubus Idaeus, famiglia delle Rosacee.<br />

Sono arbusti con stoloni serpeggianti e rami flessuosi e<br />

ricadenti, spinosi, che formano dei grovigli: dopo la fioritura<br />

estiva compaiono abbondanti i frutti: rosso vivo,<br />

un po’ pelose le drupeole del Lampone, dal delizioso<br />

profumo e dal dolce sapore; rosso-brunastre e acidule le<br />

more del Rovo pronte da cogliere da luglio a settembre.<br />

Fra le scarse piante erbacee è ospite una graziosa frag<strong>il</strong>e<br />

pianticella fiorita di campanelline rosate che per la sua<br />

diffusione assai notevole nelle selve della Svezia, fu dedicata<br />

al botanico Linneo: la Linnea Borealis. (Linneo<br />

naturalista svedese 1707-1778).<br />

La Pecceta con <strong>il</strong> terreno ombreggiato e ricco di humus<br />

è <strong>il</strong> paradiso delle Crittogame: assumono grande importanza<br />

la copertura di Muschi e la presenza di numerose<br />

specie di Funghi a terra o sulla corteccia, che vivono<br />

in simbiosi con le piante forestali: qui <strong>il</strong> Cortinarius<br />

Traganus, la Psalliota S<strong>il</strong>vatica o Agarico dei boschi, lo<br />

Strob<strong>il</strong>us esculenta sulle pigne interrate dell’ Abete rosso,<br />

l’Amanita Muscaria.<br />

I Muschi sono tallofite che per la presenza di piccole foglie<br />

verdi sono autotrofe, e compiendo la funzione clorof<strong>il</strong>liana,<br />

non sono mai dei parassiti, ma quando ricoprono<br />

<strong>il</strong> suolo con fitto intreccio diventano dannosi<br />

alle piante erbacee e quando vivono sui tronchi degli<br />

alberi, recano danno perché ricoprono le lenticelle della<br />

corteccia ostacolando <strong>il</strong> ricambio di aria e di umidità.<br />

Il loro ambiente è <strong>il</strong> sottobosco, dove hanno la loro<br />

129


importanza nell’economia della natura, talora piccolissimi,<br />

talora alti fino a 10 cm. più o meno muniti di rizoidi<br />

che hanno funzioni sim<strong>il</strong>i a quelli delle radici delle<br />

piante superiori, e di minuscole foglie, essi assorbono<br />

acqua in tutto corpo, trattenendone fino a 6-7 volte<br />

<strong>il</strong> loro peso secco e limitano così i d<strong>il</strong>avamenti dovuti<br />

alle impetuose piogge. Costituiscono un microcosmo<br />

cui si collegano fauna e flora microscopiche, sono diffusi<br />

con una infinità di forme, fino alle regioni glaciali,<br />

comprendono circa 12000 specie, dagli Sfagni che vivono<br />

in estesissime formazioni e costituiscono le torbe,<br />

ad altri come <strong>il</strong> Polytricum che formano nelle zone artiche<br />

le immense distese delle tundre. Ogni tipo di substrato<br />

e di roccia ha i propri Muschi che funzionano anche<br />

come indicatori dell’acidità del substrato. La riproduzione<br />

avviene o per via vegetativa per distacco di vari<br />

rametti o di frammenti di fusto su cui si formano piccole<br />

gemme che produrranno nuove piante, oppure per<br />

spore che raccolte nel sacco sporigeno vengono disseminate<br />

da movimenti igroscopici.<br />

Rara nell’Ossola è la presenza del Pino Cembro Pinus<br />

cembra sul versante sud della fascia subalpina, ma esemplari<br />

si trovano fino ai ghiacciai del Sempione, in Valle<br />

Anzasca, in Val Formazza, nei luoghi più aspri dove non<br />

crescono altre specie.<br />

Infatti questa conifera non teme né le altitudini, né i rigori<br />

dell’inverno, cresce lentamente con radici profonde<br />

e vigorose, tronco diritto o contorto, alto fino a 20<br />

m, porta strob<strong>il</strong>i eretti, grossi alla sommità dei rami. La<br />

gazza nocciolaia è <strong>il</strong> valido agente disseminatore: nasconde<br />

i pinoli per cibarsene ed alcuni, nel frattempo,<br />

germinano.<br />

Se la Cembreta è insediata su terreno calcareo, nel suo<br />

sottobosco prevalgono i Ginepri, i Rododendri irsuti,<br />

la Vitalba o Clematide alpina, l’Erica carnea, la Dafne<br />

Striata, <strong>il</strong> dorato Eliantemo, cespuglio delle Cistacee dai<br />

fiori gialli disposti a grappolo.<br />

Ma l’albero alpino per eccellenza è <strong>il</strong> Larice, Abies Larix,<br />

una Conifera che raggiunge le più elevate altitudini,<br />

fino a 2500 m, sopportando inverni rigidi e prolungati.<br />

Amante della grande luce e degli spazi incontrastati,<br />

cresce proteso verso <strong>il</strong> cielo e solidamente abbarbica-<br />

130<br />

to al terreno, con le radici spesso insinuate nelle fessure<br />

della roccia.<br />

È l’unica Conifera che perde le foglie in autunno, difendendosi<br />

così dalla perdita di acqua per traspirazione<br />

fogliare e resistendo ad inverni freddissimi e prolungati,<br />

ma tollerando bene anche temperature estive abbastanza<br />

elevate. Quasi fiabesco è l’aspetto autunnale dei larici,<br />

che appaiono soffusi di un tenue colore giallo e tutto<br />

<strong>il</strong> sottobosco si copre di uno strato soffice e fine di aghi<br />

dorati; forse per queste note di colore <strong>il</strong> Larice è stato<br />

chiamato <strong>il</strong> «sorriso della montagna».<br />

Caratteristico per le sue esigenze di luce, raggiunge 40<br />

m di altezza e due metri di diametro; ha chioma piramidale<br />

leggera e rada, tra <strong>il</strong> cui verde tenero spiccano in<br />

primavera i giovani coni femmin<strong>il</strong>i, rossi. A settembre<br />

sono mature piccole pigne diritte, marroni, con squame<br />

circolari che custodiscono due semi tondi alati. Cresce<br />

sulla corteccia la Letharia vulpina, un Lichene velenoso,<br />

di colore fra <strong>il</strong> giallo intenso e <strong>il</strong> verde. Essenza molto<br />

ut<strong>il</strong>e all’uomo come valido riparo per le valanghe, <strong>il</strong> suo<br />

legname viene usato anche per la travatura delle baite.<br />

La luce che penetra calda e riposante fra le chiome, permette<br />

e ravviva un ricco sottobosco erbaceo, ut<strong>il</strong>izzato<br />

per <strong>il</strong> pascolo; la Festuca, <strong>il</strong> Nardo, <strong>il</strong> Trifolium montanum<br />

con fiori bianco giallastri, <strong>il</strong> Trifolium alpinum<br />

con fiori odorosi rosso porporini, ottimo foraggio ricercato<br />

dai camosci, mentre le marmotte si nutrono volentieri<br />

delle grosse radici dal sapore dolce di liquirizia. Fra<br />

gli arbusti a cespuglio: la Rosa pendulina dalle rosse corolle<br />

prive di spine, <strong>il</strong> Lampone, la Clematide alpina dai<br />

grandi fiori cerulei, la Dafne striata con rossi mazzetti,<br />

Mirt<strong>il</strong>li, Rododendri, Erica carnea, molti Muschi e Licheni<br />

o corticicoli o pendenti dai rami.<br />

Numerose le piante erbacee fiorite: risaltano con particolare<br />

evidenza le Genziane, gialle, punteggiate, rosse,<br />

porporine, azzurre, <strong>il</strong> Giglio martagone, con l’eleganza<br />

dei suoi fiori, l’Arnica dorata, che pur se velenosa trova<br />

molte applicazioni nella medicina popolare.<br />

Il suolo ricco di humus ospita funghi: varie specie di<br />

Boleti, Lattari, l’Hygrophorus lucorum, sulle cortecce<br />

l’Agarico bianco.<br />

Con un graduale diradarsi di alberi, i boschi lasciano <strong>il</strong><br />

posto alla fascia alpina, tipica di vegetazione detta delle


piante legnose contorte, in cui la boscaglia si riduce ad<br />

arbusti, ad una vegetazione ipsof<strong>il</strong>a, amante cioè dell’altitudine,<br />

che può giungere fino a 3000 m.<br />

E’ questa la zona del Pino montano di cui si trovano<br />

esemplari al Sempione. È la conifera più differenziata<br />

nel comportamento, infatti dalle forme arboree alte<br />

fino a 25 m si passa alla forma cespugliosa ed alla forma<br />

strisciante e tortuosa, a significare la lotta incessante<br />

contro le impetuose avversità del clima. Nel sottobosco<br />

dense compagini di Erica carnea, di Juniperus sabina<br />

e Juniperus nana con foglie rigide e pungenti e bacche<br />

aromatiche, crescono nelle zone più soleggiate, dove le<br />

nevi sono meno persistenti appiattendosi al suolo per<br />

raccogliere <strong>il</strong> calore irradiato dalla roccia del substrato.<br />

Altro tipico bosco in miniatura è quello dovuto all’Ontano,<br />

Alnus Glutinosa, una Betulacee.<br />

Alto circa 150 cm con folti rami e foglie che spuntano<br />

presto, al primo sciogliersi delle nevi, ama molto l’umidità<br />

e si insidia preferib<strong>il</strong>mente sulle ripide pendici s<strong>il</strong>icee,<br />

soprattutto sui versanti a nord, dove scendono le<br />

acque dei ghiacciai e nevai disciolti.<br />

Cresce lungo canaloni, su detriti scoperti, su greti di<br />

torrenti, con funzione pioniera, proteggendo ed arrestando<br />

i detriti, non teme infatti la caduta di slavine,<br />

perché i suoi rami elastici si piegano, poi risorgono indenni.<br />

E’ una essenza monoica con amenti masch<strong>il</strong>i e<br />

femmin<strong>il</strong>i sulla medesima pianta; le sue radici presentano<br />

delle nodosità prodotte da uno schizomicete, l’Actinomyces<br />

alni batterio che permette all’albero di fissare<br />

direttamente l’azoto atmosferico. Il tronco è diritto con<br />

corteccia grigiastra, screpolata, grande espansione della<br />

chioma verde fino all’autunno. Dopo l’impollinazione<br />

le infiorescenze femmin<strong>il</strong>i si ingrossano rapidamente<br />

originando coni tozzi, verdi, di 6 mm. di diametro,<br />

che in autunno diverranno scuri e duri, con rigide scaglie<br />

che si apriranno per disperdere i semi. Il sottobosco<br />

ha caratteri di provvisorietà con alte erbe: Lattuga alpina<br />

ispida fiorita intensamente di azzurro, Aconito Napello<br />

dal decorativo elevato racemo fiorifero color indaco<br />

cupo, e dalla sua pericolosa velenosità, la rara Aqu<strong>il</strong>egia<br />

Alpina.<br />

Una vegetazione frugale, altamente specializzata, incapace<br />

di vivere fuori di questo ambiente di isolamento,<br />

esiste sulle rupi e sui detriti e sulle più aspre pietraie, e ai<br />

margini dei nevai perenni come le Stelle Alpine e le Artemisie<br />

del Ginepì, Artemisia Spicata e Artemisia Laxa,<br />

Semprevivi e Sassifraghe, Papaveri Alpini, Primule Alpine<br />

come la Hirsuta, Miosotide nana, e <strong>il</strong> Ranunculus<br />

Glacialis detto Erba dei Camosci, che può giungere alla<br />

massima altitudine di m. 4272 (per curiosità: nelle Alpi<br />

Bernesi). Sulle rocce nude si trovano le Crittogame, microscopiche<br />

Alghe azzurre, Licheni crostosi, tappeti di<br />

piccolissimi Muschi.<br />

Sono vegetali che hanno trovato sistemi di difesa ab<strong>il</strong>issimi:<br />

gli arbusti si fanno striscianti, con rami contorti<br />

seguono le asperità del suolo, con robuste radici si salvano<br />

dalla furia del vento, si ricoprono frettolosamente<br />

di neve per proteggersi dai geli invernali, protezione che<br />

ottengono anche aumentando la quantità di zuccheri<br />

presenti nelle cellule in modo che, con la densità, subiscano<br />

più diffic<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> congelamento: così ad esempio<br />

la S<strong>il</strong>ene Acaule che vive anche a 15° sotto zero, la<br />

Genziana Brachyph<strong>il</strong>la e alcune Androsacee che tollerano<br />

anche i meno 30°.<br />

Un’altra difficoltà è rappresentata dalla scarsità di acqua<br />

che d’inverno è solidificata sotto forma di ghiaccio, e in<br />

estate evapora rapidamente sulle rocce roventi o si disseca<br />

per <strong>il</strong> vento, in questo caso la difesa consiste nel ridurre<br />

la traspirazione rimpicciolendo le foglie, rendendole<br />

impermeab<strong>il</strong>i con cuticole o con lanuggini, immagazzinando<br />

liquidi in speciali organi di riserva.<br />

Sotto la neve vengono preparate le gemme fiorali, perché<br />

l’estate sarà breve, e i fiori avranno colori molto vistosi<br />

per richiamare i pochi insetti pronubi presenti, saranno<br />

i colori azzurri a difendere dalla intensità dei raggi<br />

ultravioletti, e le superfici lucide a riflettere i raggi del<br />

sole. Durerà poco un fiore, sarà sufficiente un acquazzone<br />

o una gelida pioggia a distruggerlo per cui non sempre<br />

<strong>il</strong> ciclo riproduttivo si compirà, anche perché i semi<br />

potranno venire dispersi dal vento o dalle tempeste.<br />

E più in alto nulla?<br />

Finisce qui la vita vegetale appariscente, ma vivono sulle<br />

nevi numerose Alghe microscopiche come Diatomee<br />

e Cloroficee che costituiscono <strong>il</strong> “Crioplancton” o Plancton<br />

dei ghiacciai.<br />

131


Per la vegetazione così impoverita, la quota massima<br />

raggiungib<strong>il</strong>e dipende dalla resistenza propria della singola<br />

specie e dalla possib<strong>il</strong>ità e fortuna di trovare una<br />

nicchia accogliente, dalla capacità di sopravvivere e riprodursi<br />

al di sopra del limite delle nevi perenni, che <strong>il</strong><br />

sole estivo non riesce a disciogliere. Trovano la più eccelsa<br />

e gelida dimora a queste altitudini specie sim<strong>il</strong>i o<br />

addirittura le stesse delle terre polari artiche: delle 47<br />

Fanerogame segnalate alla Capanna Vincent sul Monte<br />

Rosa (m. 3158), 10 sono comuni allo Spitzberg, arcipelago<br />

del Mar Glaciale Artico, 14 alla Lapponia; alla<br />

Punta Gnifetti (m.4559) persistono ancora 12 specie di<br />

Licheni, e alla Dufour (4630), ancora 6 specie, fra cui<br />

<strong>il</strong> Rhizocarpum Geograficum.<br />

(Queste ultime notizie sono tratte dal volume: Conosci<br />

l’<strong>It</strong>alia : La Flora. T.C.I.)<br />

I prati<br />

Sul fondo delle vallate, seguendo <strong>il</strong> corso dei fiumi e dei<br />

torrenti si estendono paesaggi aperti e luminosi, gioiosamente<br />

ricchi di fiori: le praterie che, a seconda dell’altitudine,<br />

dell’umidità, della natura e della coerenza del<br />

substrato, presentano profonde differenze, di aspetto,<br />

di composizione, di valore economico. Infatti servono<br />

all’uomo essenzialmente per la nutrizione del bestiame,<br />

secondo le esigenze, le stagioni, le consuetudini locali,<br />

le specie di animali presenti.<br />

Si può quindi considerare <strong>il</strong> prato come una particolare<br />

associazione condizionata dall’intervento periodico o<br />

costante dell’uomo che nel corso dei secoli ha sottratto<br />

ampie superfici alla vegetazione naturale, eliminando<br />

piante infestanti e favorendo la crescita di foraggiere<br />

in una grande varietà di specie: prato che vai, erbe e<br />

fiori che trovi…<br />

La composizione di un prato è quanto mai eterogenea.<br />

Piante diverse si associano: alle Graminacee, si accompagnano<br />

Leguminose, Ranuncolacee, Composite:<br />

Avena elatior, Erba mazzolina, Paleino odoroso, Coda<br />

di topo con lunghe spighe c<strong>il</strong>indriche, Coda di volpe,<br />

Piantaggine, Gramigna dei prati, Loglierello, Erba del<br />

cucco o S<strong>il</strong>ene inflata dai fiori bianchi e foglie eduli, Trifoglio<br />

pratense che si espande arrossando tutto <strong>il</strong> prato,<br />

Ranuncolacee tutte velenose od irritanti, che danno<br />

una gialla nota festosa. Sono presenti la Vulneraria,<br />

132<br />

<strong>il</strong> Mjosotis di cui si trovano fiorite varie specie, a seconda<br />

delle altitudini, nei campi incolti e nei pascoli o sulle<br />

rive dei ruscelli, nei prati più freschi la Viola tricolore,<br />

Carota selvatica, Cerfoglio, Tarassaco dalla bella fioritura<br />

gialla di cui si raccolgono le giovani foglie e le tenere<br />

radici e con i semi sono dispersi dal vento, Campanule<br />

dalle corolle violette od azzurrine, Pratoline, Margherite<br />

maggiori.<br />

Nei prati e pascoli dove, dopo la fienagione, <strong>il</strong> bestiame<br />

pascola dopo <strong>il</strong> secondo taglio del fieno, tra i corti<br />

monconi e la più modesta vegetazione autunnale, compare<br />

la malinconica fioritura rossoviolacea dei velenosi<br />

Colchici.<br />

Dove <strong>il</strong> prato è più prossimo al bosco fresco ed ombroso,<br />

si vedono varietà più montane: ecco <strong>il</strong> Ranuncolo<br />

di montagna con fiori gialli dorati, la Potent<strong>il</strong>la grandiflora,<br />

la Campanula barbata, la Centaurea montana<br />

con capolini azzurri sim<strong>il</strong>i al Fiordaliso, i Gerani violacei,<br />

i Carici sim<strong>il</strong>i alle Graminacee perchè i riuniti in<br />

spighette.<br />

Nei luoghi più soleggiati, con suolo meno ricco di humus,<br />

cresce l’Erba viperina con foglie e fusti ispidi e fiori<br />

rossastro azzurrini, l’Assenzio profumatissimo ed aromatico,<br />

che cresce fino a 3500 m, la pungente Carlina,<br />

i cuscinetti profumati di Timo, la Camom<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> Mentastro.<br />

Nei prati più umidi ed acquitrinosi: l’Arnica gialla con<br />

le sue proprietà medicinali, la Coda cavallina, l’Agrostide,<br />

gli Eriofori dai fiocchetti serico argentei; cominciano<br />

ad abbondare i muschi.<br />

A queste altitudini, fino ai 1200 m esistono ancora insediamenti<br />

umani con giardini, campi di segale, di patate.<br />

Sui muretti delle mulattiere si arrampicano <strong>il</strong> Caprifoglio,<br />

la Clematide, l’Edera con le sue radici avventizie,<br />

la Pervinca e nei luoghi più umidi cresce la Ruta<br />

dei muri, <strong>il</strong> falso Capelvenere, la Felce dolce o liquirizia<br />

montana, la Veronica persica o scarpetta della Madonna,<br />

la Linarja alpina.<br />

L’arrivo della primavera è annunciato da fugaci fioriture:<br />

ai margini delle nevi fondenti sbuca impaziente la<br />

Soldanella Alpina per affermare la ripresa della vita vegetale,<br />

le fa seguito <strong>il</strong> Croco, fiorito da febbraio a maggio<br />

dai 500 ai 2700 m. Nella fioritura estiva innume-


Cuscini floreali fra le rocce.<br />

revoli specie dai colori più vivi fanno dei prati veri e<br />

propri giardini dagli aspetti molto diversi a seconda del<br />

predominare di una specie o di un’altra che si impone<br />

con i suoi colori: ora è <strong>il</strong> profumato Narciso che salendo<br />

dal basso trova <strong>il</strong> suo luogo ottimale fra 600 e 2000<br />

m per allietare con le sue corolle stellate i prati montani<br />

e freschi; ora è <strong>il</strong> Botton d’oro o Trollius europeus, di<br />

notevole bellezza per i suoi grossi fiori gialli lievemente<br />

odorosi, fioriti da maggio ad agosto, velenosi per <strong>il</strong> bestiame,<br />

ma più raramente, <strong>il</strong> Tulipa australis nei prati<br />

umidi, in val Divedro ed Antigorio.<br />

I fiori propri di questi prati sono le varie specie di Anemoni<br />

(1000-2700 m), decorativi annunciatori della<br />

bella stagione con le delicate corolle, anche l’Aqu<strong>il</strong>egia<br />

dalla collina fino a 2000 m, i Garofanini, la Nigritella<br />

nigra o vaniglia di montagna dal persistente profumo<br />

di vaniglia, i piccoli gigli di monte, Paradisea l<strong>il</strong>iastrum<br />

candidi ed eleganti.<br />

Nei prati più freschi attorno agli acquitrini si alternano<br />

i bianchi piumini dell’Erioforo, le Primule farinose, la<br />

Calta dorata; presso i ruscelli i vari tipi di Orchidee, le<br />

spighe dense e rosee della Poligonum bistorta.<br />

Intorno a quota 2000, ove sui prati si posano le baite<br />

degli alpeggi, la flora alpina si fa particolarmente pregiata,<br />

ricca di fiori e di piante aromatiche e medicinali:<br />

l’Aconito, gli Anemoni, le Viole, le Campanule, l’Arnica,<br />

<strong>il</strong> Ranunculus Pjreneus, le Genziane, l’Ach<strong>il</strong>lea,<br />

la Pinguicola, la Stella alpina da sempre simbolo della<br />

montagna, l’Aster alpinus, la Viola calcarata profuma-<br />

ta di miele. Le vaste praterie naturali, che si estendono<br />

oltre <strong>il</strong> limite superiore del bosco, sono i pascoli alpini<br />

ut<strong>il</strong>izzati dal bestiame transumante: a questi alpeggi<br />

<strong>il</strong> bestiame sale dal piano e vi permane durante i mesi<br />

estivi per sfruttare <strong>il</strong> fieno selvatico. Dove gli animali<br />

sostano a lungo durante la notte, avviene che i liquidi<br />

organici si accumulino sul terreno modificandolo profondamente<br />

e determinando condizioni adatte all’insediamento<br />

di piante nitrof<strong>il</strong>e, o flora ammoniacale, che<br />

sottrae aree al pascolo, in quanto rifiutata dal bestiame;<br />

così: <strong>il</strong> Rumex alpinus, <strong>il</strong> Cardo lanoso, <strong>il</strong> Cirsio spinescente,<br />

l’Urtica dioica. Questi pascoli sono l’ambiente<br />

di Funghi saprofiti e parassiti, sparsi tra le erbe ed i fiori,<br />

o nascosti fra Rododendri e Salici nani: le Vescie, l’Igroforo,<br />

l’Agarico laccato.<br />

Nei fondovalle pianeggianti le acque glaciali rallentano<br />

<strong>il</strong> loro corso, formano laghetti o pozze che ospitano<br />

una vegetazione acquatica: Sassifraghe, Linarie, Androsacee.<br />

Se le acque ristagnano a lungo si determina la formazione<br />

di acquitrini paludosi che col tempo si trasformano<br />

in torbiere dal suolo inzuppato e traballante. Qui fra i<br />

Carici e i Giunchi, affiorano distese di leggeri piumini<br />

dell’Erioforo, cresce l’Utricularia, singolare erba f<strong>il</strong>iforme<br />

con foglie adatte a catturare e digerire piccoli insetti,<br />

e la Drosera con le sue minute pap<strong>il</strong>le protese ad attendere<br />

la minuscola preda.<br />

Questa in sintesi molto succinta la descrizione della flora<br />

ossolana dalla pianura alle vette più alte. Una visio-<br />

Sottobosco.<br />

133


ne simbolica di questa ricchezza, che la natura regala<br />

all’uomo, si ha visitando l’Alpe Veglia, l’Alpe Devero,<br />

l’alta Val Formazza, <strong>il</strong> Sempione, la selvaggia Valgrande,<br />

veri giardini alpini spontanei di notevole valore scientifico,<br />

dove si concentrano le più belle essenze.<br />

E’ meraviglioso scoprire come là dove <strong>il</strong> clima rigido<br />

rende impossib<strong>il</strong>e l’esistenza dell’Uomo, la vita continui<br />

in forme splendide di una flora che, quando viene<br />

raggiunta, incanta.<br />

Secondo un censimento effettuato da ricercatori del<br />

W.W.F., in <strong>It</strong>alia circa 480 piante superiori, 276 meno<br />

evolute come i Licheni, 367 piante di Muschi, 129 specie<br />

di Epatiche, sono vicine all’estinzione.<br />

Scrive Piero Bianucci: Non si tratta di un danno semplicemente<br />

estetico o culturale. La perdita di una specie non<br />

134<br />

è un dramma esclusivo del poeta o del botanico. Ogni specie<br />

è un anello della lunghissima catena di forme viventi<br />

che nel suo insieme costituisce un ambiente. L’evoluzione<br />

ha impiegato m<strong>il</strong>ioni di anni per creare ognuna di queste<br />

specie. Ogni estinzione che non rientri nel processo evolutivo<br />

naturale è un atto di violenza.<br />

…ogni f<strong>il</strong>o d’erba ha la sua storia da raccontare.<br />

Sembra che una delle piante che non vedremo più sia la<br />

Stella Alpina, <strong>il</strong> Leontopodium Alpinum: avviciniamola<br />

in punta di piedi, con conoscenza e rispetto:<br />

Nella neve la sua vita,<br />

Nel vento la sua canzone,<br />

Nella solitudine <strong>il</strong> suo mistero,<br />

Breve desolato canto d’amore di cui solo le stelle conoscono<br />

<strong>il</strong> segreto.


La fauna<br />

Franca Paglino Sgarella<br />

Io sono molto affezionato all’Ossola. Ci torno ogni<br />

anno, a primavera inoltrata, quando laggiù, oltre <strong>il</strong><br />

mare, nel paese delle sconfinate distese di sabbia, <strong>il</strong> mio<br />

orologio interno comincia a tr<strong>il</strong>lare.<br />

Allora so che devo tornare qui. Di muta intesa con altri<br />

miei compagni, dopo esserci data una lustratina alle ali<br />

e un’aff<strong>il</strong>ata ai becchi, decolliamo. La nostra parata aerea<br />

è molto eccitante. In pochi istanti, con un’impennata<br />

a velocità folle, foriamo le nubi e dritto, senza esitazioni,<br />

puntiamo qui.<br />

Il balzo, dalle Piramidi alle Alpi, vien fatto d’un sol fiato,<br />

senza scali e con rifornimenti aerei che noi stessi ci<br />

procuriamo aprendo semplicemente <strong>il</strong> becco e ingollando<br />

un’infinità di piccoli insetti. È come dire che voltate<br />

le ali ad un accecante mare di sabbia, non planiamo se<br />

non in vista di un’altrettanto abbagliante distesa, ma di<br />

neve questa volta. Le Alpi.<br />

Perché io sono un Rondone e precisamente di quelli<br />

che un tale Linneo, fra gli uomini, ha soprannominato<br />

Apus melba. Rondone sì, ma alpino.<br />

Sento un orgoglio di razza che non posso tacere. Quelli<br />

della mia famiglia sono ritenuti all’unanimità (attenzione)<br />

gli animali più veloci del mondo. Sissignori. Nell’aria,<br />

nel mio elemento cioè, schizzo avanti di molte<br />

lunghezze al falco pellegrino e alla superba aqu<strong>il</strong>a reale;<br />

nell’acqua, <strong>il</strong> pesce vela e <strong>il</strong> tonno, che sono tra i più rapidi<br />

sottomarini, non sono in grado di intaccare <strong>il</strong> mio<br />

primato; sulla terra ferma, sorpasso, anzi sorvolo con<br />

largo distacco <strong>il</strong> veloce giaguaro e l’ag<strong>il</strong>e gazzella.<br />

Ho uno scatto di 90 metri al secondo, una velocità di<br />

crociera di 200 km all’ora, ma la prerogativa maggiore è<br />

la mia resistenza a fendere l’aria. Posso volare per ore ed<br />

ore e stando così sospeso riesco a mangiare, a bere, persino<br />

a dormire. Mi sento una creatura dell’aria e a ben<br />

guardarmi si capisce perché. Sono più grande di una co-<br />

mune rondine, ho breve collo, corte e brutte zampe ma<br />

robusti artiglietti e sono tutto ali. Nere, ricurve a falce,<br />

lunghe una volta e mezzo <strong>il</strong> mio corpo. Sono queste che<br />

mi fanno pregustare la libertà dello spazio nel senso più<br />

ampio della parola.<br />

Dall’istante in cui mi tuffo nell’aria non ho bisogno<br />

di rimbalzi per lanciarmi in una traiettoria perforante<br />

come quella di un miss<strong>il</strong>e, poi buttarmi in picchiata<br />

come se mi sfracellassi al suolo, raddrizzare all’ultimo<br />

istante la rotta e andarmene via liscio, sfiorando la cima<br />

di un campan<strong>il</strong>e, la superficie di un lago alpino, un prato<br />

in fiore corteggiato da m<strong>il</strong>le insetti.<br />

Dico tutto questo per spiegare <strong>il</strong> perché abbia deciso di<br />

redigere un giornale di bordo, un diario di questo viaggio<br />

annuale nella mia amata Ossola. Perciò questa volta<br />

non andrò direttamente a casa, in quel nido nella fessura<br />

della roccia, che ritrovo ogni anno puntualmente,<br />

lassù, in montagna.<br />

Ho fatto sapere ai miei compagni di viaggio che quando<br />

sarà <strong>il</strong> momento, mentre loro proseguiranno, io me la<br />

prenderò comoda, una volatina qua, una sosta là, occhi<br />

e orecchi pronti a registrare frammenti della mia terra.<br />

Farò l’osservatore ossolano.<br />

Il momento è giunto, <strong>il</strong> lago Maggiore è in vista, faccio<br />

segno di rallentare, mi stacco dal gruppo, mi abbasso di<br />

quota e disegno nell’aria un arrivederci.<br />

Ecco <strong>il</strong> Toce. Sono sopra alle sue acque grevi e verdastre,<br />

là dove vanno a perdersi nel lago. Per noi uccelli migratori<br />

le vie d’acqua sono un importante punto di riferimento,<br />

<strong>il</strong> più importante direi, dopo <strong>il</strong> sole e le montagne<br />

di giorno, le stelle di notte e i profumi e gli odori<br />

che ci lambiscono dal basso. Il Toce poi è proprio la<br />

grossa arteria dell’Ossola e noi non lo perdiamo mai di<br />

vista, riflettente di giorno, argenteo di notte. I suoi biz-<br />

135


zarri torrentelli che trabalzano giù dalle valli, sono la<br />

nostra indispensab<strong>il</strong>e rete segnaletica. Vado in cerca di<br />

un luogo prominente, un poco solitario e selvaggio che<br />

faccia al caso mio. Mi va bene questa torre sopra Prata,<br />

un avamposto di guardia, una delle numerose torri<br />

per segnalazioni, ora in disuso e un poco sbrecciata. Ho<br />

sentito dire che aveva una specie di garitta che serviva<br />

da piccionaia per <strong>il</strong> lancio di colombi viaggiatori.<br />

Mi guardo in giro e con la mia ottima vista posso esaminare<br />

quasi nei particolari la pianura ossolana, poi alzo<br />

lo sguardo sulla cornice dei monti e osservo l’imponenza<br />

dei primi piani e la dissolvenza degli ultimi nella lontananza.<br />

Ossola di pietra. Non soltanto. Anche verde e<br />

viva. Ho sotto gli occhi ben rappresentati tutti e tre i regni<br />

della natura: minerale, vegetale, animale. Io faccio<br />

parte di quest’ultimo che nella mia piccola mente ho<br />

diviso in tre categorie. Gli uomini propriamente detti,<br />

i loro animali domestici e noi, i selvaggi, l’eterogeneo<br />

gruppo che vive alla macchia. Ci chiamano frettolosamente<br />

«fauna». È di questi che intendo raccontare,<br />

degli individui come me, autonomi, indipendenti, che<br />

devono in ogni modo arrangiarsi da soli, finora senza<br />

protezione alcuna. Anzi. Ci chiamano anche pomposamente<br />

res nullius che in gergo umano vuoi dire «roba<br />

di nessuno», e a questo proposito loro, gli uomini, stanno<br />

ancora blaterando se siamo alla mercé del rispetto di<br />

ognuno oppure dello sfruttamento di tutti.<br />

Per fortuna ho le mie ali che valgono tant’oro quanto<br />

pesano e la statura ridotta che mi fa meno vistoso<br />

di altri volatori più famosi di me. Che fine hanno fatto<br />

quelli! Dove sono finiti l’aqu<strong>il</strong>a, la poiana, l’astore, <strong>il</strong><br />

gufo? Proprio intorno a questa torre dove sono abbarbicato<br />

adesso, tutti questi uccelli una volta vivevano qui,<br />

felici e imboscati. Avevano cibo e quiete, poi un certo<br />

malcostume li scacciò e li eliminò. Qualcuno di loro<br />

riuscì a raggiungere la montagna e faticosamente ricominciò<br />

da capo. È per questo che è solo nell’alta Ossola<br />

che trovo selvatici importanti e di grande mole.<br />

Come gli uccelli, così pure i mammiferi si sono rifugiati<br />

nel luogo che hanno ritenuto inaccessib<strong>il</strong>e al predatore,<br />

cioè lassù dove <strong>il</strong> clima è, sì, severo, le pendici magari<br />

inospitali, ma dove finalmente possono eludere la<br />

loro presenza nella solitudine di un ambiente grandioso<br />

e di diffic<strong>il</strong>e accesso.<br />

136<br />

Ragionandoci un po’ sopra trovo che molti animali che<br />

vedo in pianura sono «ubiquisti» intendendo che li osservo<br />

tanto qui che in montagna. Per esempio la volpe,<br />

<strong>il</strong> fringuello, <strong>il</strong> tasso, lo scoiattolo, <strong>il</strong> ghiro, la donnola, la<br />

faina. Di contro, altri invece hanno preferenze «montane»,<br />

anche se vivono bene alle basse e medie altitudini.<br />

Parlo della beccaccia, del ciuffolotto, delle tordele e infine<br />

di un mammifero importante, la martora. Nella maggioranza<br />

costoro sembrano di gran lunga preferire la foresta<br />

montana al bosco di pianura.<br />

Anche se <strong>il</strong> mio volo è saettante e io sono abituato agli<br />

spazi aperti per le mie acrobazie, pure mi capita, passando<br />

e ripassando sopra <strong>il</strong> medesimo punto, di sorprendere<br />

i miei compaesani nelle loro «animazioni».<br />

È primavera o no? A ben pensarci tutto comincia con <strong>il</strong><br />

profumo dei fiori e del bosco, con le uova e le crisalidi<br />

degli insetti che si schiudono, le tane che si aprono e i<br />

nidi che si riempiono. Ai profumi si abbinano i suoni e<br />

subito è sinfonia, sinfonia pastorale.<br />

In primavera nasce la maggior parte degli animali selvatici<br />

ed è fac<strong>il</strong>e capirlo. È proprio dai fiori e dalle erbe<br />

che si forma <strong>il</strong> primo anello della catena alimentare di<br />

cui è congegnata la Natura. Dapprima l’erbivoro e l’insettivoro,<br />

poi <strong>il</strong> carnivoro. Il ciclo è perfetto e non fa<br />

una grinza. Interrompo le mie argomentazioni per descrivere<br />

<strong>il</strong> primo fotogramma che ho scattato in volo.<br />

Là, ai bordi della radura, ho avuto la fortuna di sorprendere<br />

un insettivoro timido e benefico: <strong>il</strong> riccio. È intento<br />

a cercare insetti, larve, rett<strong>il</strong>i e al primo segnale di allarme<br />

a rinchiudersi nella sua corazza di spine come in<br />

una camera di sicurezza. Nella stessa posizione rimane<br />

nascosto nella tana in inverno, sprofondato in un sonno<br />

pesante fino alla primavera, quando appunto ricompaiono<br />

insetti e larve. Più in là vedo l’imboccatura di un<br />

rifugio più grande. Mi par di intravedere appena affacciati<br />

un paio di musi con teste striate in bianco e nero.<br />

Una famiglia di tassi, grandi dormiglioni anche loro,<br />

ma in modo diverso. Dormono come l’orso e lo scoiattolo,<br />

sono falsi ibernanti, ogni tanto si svegliano, escono<br />

a fare un giretto e poi si riaddormentano. Per osservarli<br />

bene dovrei appostarmi di notte, quando, caracollando<br />

sulle corte zampe, li sentirei avanzare grugnendo<br />

e frugando nel sottobosco.


La marmotta. L’aqu<strong>il</strong>a reale.<br />

Una volta mi è capitato di assistere ad una scena curiosa,<br />

in uno dei miei rapidi spostamenti avevo sconfinato<br />

in valle Vigezzo, in un’alpe ai piedi della Pioda, quando<br />

scendendo a fendente sul prato per acchiappare i miei<br />

insetti preferiti, ho visto una volpe rossa, di quelle che<br />

battono la pianura e la montagna, curiosare sulla soglia<br />

di una tana. Indi l’astuta ladrona depose tranqu<strong>il</strong>lamente<br />

i suoi escrementi proprio lì, all’entrata. Feci qualche<br />

arabesco nel ciclo, poi ritornai più volte accostando la<br />

traiettoria del mio volo al punto di osservazione. Il mio<br />

sospetto risultò fondato. La volpe se n’era andata ed era<br />

spuntato <strong>il</strong> legittimo proprietario, un tasso, <strong>il</strong> quale, da<br />

quell’animale pulito e riservato qual’è, vedendo <strong>il</strong> lordume<br />

fece dietro front e si allontanò. Ancora una volta<br />

e senza fatica alcuna, quella spregiudicata aveva ottenuto<br />

l’<strong>il</strong>legale esproprio di una tana tra le più confortevoli,<br />

costata giorni e giorni di lavoro ad unghioni altrui. Lì,<br />

lei avrebbe partorito, allevato, educato la sua irrequieta<br />

prole di tre, anche otto volpacchiotti.<br />

Udendo ad un tratto <strong>il</strong> canto del merlo, mi sovviene che<br />

non so cantare. La siringe, quell’organo che nella gola<br />

di noi uccelli produce note melodiose, a me fa uscire<br />

una specie di fischio che lacera l’aria mentre mi sposto<br />

come un fulmine. Vorrei saper cantare, non dico come<br />

l’usignolo, <strong>il</strong> fringuello, <strong>il</strong> pettirosso, la tordela, che odo<br />

gorgheggiare nei pressi di questa torre, ma anche solo<br />

come un monotono lui o un cuculo. Vorrei essere come<br />

<strong>il</strong> tordo, che emette suoni flautati e sa imitare con arrangiamenti<br />

personali <strong>il</strong> canto di altri uccelli. Invece non so<br />

che prorompere in questo strido quando le mie ali lassù<br />

vibrano all’impazzata, ma vi assicuro che se potessi im-<br />

primere delle s<strong>il</strong>labe scandirei degli altissimi urrah! Sim<strong>il</strong>i<br />

a me nella povertà dei vocalizzi sono la rondine e <strong>il</strong><br />

balestruccio, miei lontani parenti, anche loro gran viaggiatori<br />

del cielo.<br />

Mi sono incagliato in divagazioni su noi animali alati e<br />

tanto vale che vada alla conclusione. Qui in pianura mi<br />

è capitato di vedere un uccello strano e bello, colorato<br />

di arancione e con una cresta in testa. È l’upupa, antico<br />

abitante della steppa, che credevo di gusti raffinati, fino<br />

al giorno in cui ho scoperto che si nutre degli insetti del<br />

concime animale.<br />

Tanti altri volat<strong>il</strong>i potrei nominare, ma come spiegato<br />

prima, molti di loro li troverò alle più alte quote, dove<br />

risulteranno impreziositi nello sconfinato isolamento.<br />

Sto dunque per decidere di spiccare <strong>il</strong> volo e non avendo<br />

zampe adatte a saltellare in terra come i passeri, mi<br />

butto da questa torre antica che mi è servita da davanzale.<br />

Prima di lasciare la conca ossolana e dirigermi sulle<br />

sue valli, voglio sorvolare a volo d’angelo le anse del<br />

Toce dove <strong>il</strong> fiume si impigrisce in larghi meandri. Pieve<br />

Vergonte, Piedimulera, poi V<strong>il</strong>ladossola. Sfioro la superficie<br />

dell’acqua, ne prelevo una sorsata, mi specchio<br />

di sfuggita. Ho una sagoma a forma d’arco, la gola e <strong>il</strong><br />

ventre bianchi, separati da una banda bruna, <strong>il</strong> corpo<br />

affusolato come quello di un aereo a reazione. Mi inebrio<br />

di velocità. Passo come un bolide sulle dune della<br />

riva, afferro a volo una boccata di insetti e, di colpo, mi<br />

ricordo una vecchia storia.<br />

Queste rive ora deserte, un secolo fa, si racconta fra noi,<br />

sono state visitate da un grosso stormo di cicogne bian-<br />

137


che. Una perturbazione meteorologica aveva dirottato<br />

<strong>il</strong> volo di queste esperte viaggiatrici dirette al nord e<br />

le aveva fatte scendere alla fermata sbagliata. E quanto<br />

lo fosse, lo capirono dopo, quando vennero freddamente<br />

accolte dai domesi, nel senso che furono davvero<br />

freddate a colpi di fuc<strong>il</strong>e e decimate. Non ricomparvero<br />

mai più.<br />

Mi abbasso ad accarezzare l’erba dei prati, mi diverto a<br />

seminare <strong>il</strong> fuggi fuggi fra variopinte farfalle, ancora un<br />

fischio e via in montagna. Subito l’aria si rinfresca, le radiazioni<br />

solari si fanno più penetranti, cambia la topografia<br />

sottostante. Sorvolo foreste, radure, torrenti; alt,<br />

mi fermo in quota. Prima di impennarmi sopra i m<strong>il</strong>le<br />

metri non mi dimentico di fare ogni anno una capatina<br />

fino a quel prato di Bugliaga per ammirare anche quest’anno<br />

la grande fioritura tutta d’oro del mio piccolo,<br />

speciale tulipano, quello che gli uomini chiamano Tulipa<br />

australis. Son qui, sono sul prato dorato, mi azzardo<br />

in spericolate volute a sfiorare le corolle del piccolo tulipano<br />

di montagna. È la mia carezza alla bellezza e alla<br />

primavera: ciao, tulipa!<br />

Adesso devo scegliere un campione di una delle sette<br />

valli ossolane.<br />

Potrebbe essere l’alta val Vigezzo, <strong>il</strong> fondo valle di Formazza,<br />

che dico, i dintorni di Macugnaga, oppure <strong>il</strong><br />

trampolino di lancio della valle Antigorio, ultima tappa<br />

prima del mio capolinea, quella parete di roccia, in<br />

quell’alpe, vicino a quel torrente, nella conca di Devero.<br />

Sorvolo un bosco misto di conifere e latifoglie. La natura<br />

vegetale è assai generosa: lamponi e fragole, mirt<strong>il</strong>li e<br />

rovi; qua e là, le piccole lance verde tenero delle felci. In<br />

questo regno di muschi e cortecce marcescenti, dove si<br />

alternano abeti, faggi, ontani, noccioli, ritrovo gli amici<br />

della bassa. Odo <strong>il</strong> solfeggio del tordo dalla cima di un<br />

abete, <strong>il</strong> tr<strong>il</strong>lo del solitario pettirosso, le note incerte della<br />

passera scopaiola.<br />

Mi apposto su una prominenza e ingaggio tutti i miei<br />

sensi per registrare. Sono fortunato a sorprendere in<br />

pieno giorno un tasso intento a scavare un formicaio,<br />

lui nottambolo e schivo. Per mantenere i suoi 20 kg di<br />

peso deve mangiare una quantità di insetti, molluschi,<br />

uova, radici, bacche e funghi.<br />

La mia vista si sta abituando alla penombra del sottobosco<br />

e l’orecchio si presta al più lieve stormir di fronda.<br />

138<br />

Così, tra i rovi, vicino ad un ceppo marcescente, nell’intreccio<br />

di sterpi ed erbe, vedo un grande occhio aperto,<br />

un bell’occhio nero che mi pare immenso. Concentro<br />

lo sguardo e scopro anche un becco lungo, un petto<br />

di piume, tutti fermi nella più assoluta immob<strong>il</strong>ità. Una<br />

beccaccia! la regina del mimetismo e della riservatezza<br />

sta covando le sue tre-quattro uova giallastre picchiettate<br />

di rosso, ben fiduciosa che <strong>il</strong> suo piumaggio color foglie<br />

morte le assicura una protezione assoluta.<br />

Un grido dissonante esplode non lontano e ferisce i<br />

miei sensib<strong>il</strong>i timpani. Guardo dalla parte del suono e<br />

mi vedo venire incontro un uccello grande come un<br />

piccione, ma con testa e becco più robusti, che mi oltrepassa<br />

in una volata per niente aggraziata. Ho fatto<br />

appena in tempo ad intravedere i colori br<strong>il</strong>lanti rosso,<br />

bianco, nero e sulle ali pennellate di blu, ma ho riconosciuto<br />

egualmente la ghiandaia e so che questa strombazzata<br />

è <strong>il</strong> suo grido d’allarme, <strong>il</strong> suo volo disordinato,<br />

una fuga davanti ad un perturbatore. Forse ha alle costole<br />

lo sparviero o l’astore, oppure ha sentito i passi della<br />

volpe, del cane randagio, del gatto selvatico. Ha drizzato<br />

<strong>il</strong> ciuffo sul capo lanciando le note stonate e ora tutto<br />

<strong>il</strong> bosco è all’erta. Costei è un tipo imprevedib<strong>il</strong>e e non<br />

finisce mai di stupirmi. L’ho sentita imitare alla perfezione<br />

<strong>il</strong> miagolio della poiana, <strong>il</strong> verso del gufo comune<br />

e persino quello della voce umana. In famiglia hanno<br />

tutti la mania di nascondere le prede, siano esse ghiande<br />

o cavallette o altri insetti, nelle fessure della scorsa degli<br />

alberi, sotto <strong>il</strong> fogliame o in qualsiasi altro posto, per ritrovarle<br />

puntualmente qualche tempo dopo.<br />

Ma che cosa è questo strano rintocco che all’improvviso<br />

echeggia nella foresta? Ora è cessato, no, ora riprende.<br />

È un crepitio, un tambureggiamento. Sono disturbato<br />

dagli echi, impiego un po’ di tempo a localizzare.<br />

È lassù, alla cima di quell’abete colpito dal fulmine,<br />

quell’uccello bianco e nero, grosso come un merlo, ma<br />

con del rosso sotto la coda, che se ne sta lì aggrappato.<br />

È lui che mitraglia, lo so, ma voglio accertarmi. Ricomincia<br />

la raffica, lui si puntella con la coda e martella<br />

<strong>il</strong> tronco con <strong>il</strong> becco appuntito, tenendo rigidi collo e<br />

capo. Non poteva chiamarsi se non picchio, e questo, in<br />

particolare, è quello rosso maggiore. Non sta scavando <strong>il</strong><br />

nido, ma marcando <strong>il</strong> proprio territorio con segnali che<br />

in questo caso sono piccole incisioni. Per <strong>il</strong> nido scende


più sotto la cima, dove <strong>il</strong> tronco è più largo, e ci ricava<br />

un orifizio ovale anche di 60 cm di profondità.<br />

Io so per certo che molti uccelli trovano comodo questi<br />

nidi abbandonati. Ho visto insediarvisi civette, cince,<br />

picchi muratori.<br />

Per finirla con i picchi, quello rosso maggiore non è<br />

l’unico, anche se <strong>il</strong> più comune, in montagna, e <strong>il</strong> più<br />

costante nel martellamento.<br />

Suoi congeneri sono <strong>il</strong> picchio nero, <strong>il</strong> più grosso dei picchi,<br />

che sale oltre gli ultimi faggi perché pred<strong>il</strong>ige le<br />

grandi abetaie di abete bianco e rosso; <strong>il</strong> picchio verde e<br />

quello cinerino, più piccolo e meno alpino.<br />

Infine altri due picchi, che si possono confondere per<br />

<strong>il</strong> nome ma non per i colori della livrea e <strong>il</strong> comportamento.<br />

Sono <strong>il</strong> muratore e <strong>il</strong> muraiolo. Il primo è un eccellente<br />

ginnasta, un virtuoso dei saliscendi sui tronchi. Aggrappato<br />

a testa in giù, corre in tutti i sensi sulla corteccia<br />

degli alberi, con <strong>il</strong> solo aiuto delle dita robuste armate<br />

di potenti unghioni. Non scava nicchie, usa, se può,<br />

quelle degli altri picchi, del rosso, del nero, del verde.<br />

Ci apporta solo una variante, una rifinitura di lusso,<br />

rimpicciolendo l’entrata con palline di terra impastate<br />

di saliva. Non per niente è muratore. Non si nutre solo<br />

di insetti che trova nelle fessure delle cortecce, ma specie<br />

in autunno ricerca golosamente i semi delle conifere<br />

e dei noccioli.<br />

Ma di tutti i picchi quello veramente che mi lascia a<br />

bocca aperta è <strong>il</strong> muraiolo. Io, rondone alpino, sono un<br />

abitatore delle rupi, ma lui è lo scalatore delle pareti<br />

rocciose a strapiombo sugli abissi.<br />

Quante volte sfiorando nei miei voli di ricognizione<br />

le creste di granito che incidono arditamente <strong>il</strong> cielo,<br />

le rocce fessurate che st<strong>il</strong>lano rivoli d’acqua, ho notato<br />

come un topino grigio che fa <strong>il</strong> sesto grado sui lastroni<br />

rocciosi, ora correndo ora spiccando piccoli salti. Poi la<br />

sorpresa. Il topo grigio e nero si alza in volo e si trasforma<br />

in una grande farfalla dalle ali rosso carminio imperlate<br />

di candidi fiocchi.<br />

Lo chiamano «ticodromo» che vuoi dire «colui che corre<br />

rapidamente sul muro», ma <strong>il</strong> muro, nei cui interstizi<br />

ricerca gli insetti, è una parete anche a 4.000 metri!<br />

Con <strong>il</strong> pensiero sono volato troppo in alto, mentre fisicamente<br />

sono sempre qui ad esplorare <strong>il</strong> bosco di faggi,<br />

abeti, betulle, con una soleggiata radura ai bordi.<br />

Questo è un bosco prezioso.<br />

Un giorno che temerariamente e contro le mie abitudini<br />

zigzagavo tra i tronchi, ebbi modo di cogliere presenze<br />

singolari. Al mio primo passaggio, vidi dapprima<br />

muoversi su un albero qualcosa che sembrava far parte<br />

dell’albero stesso. Passai e ripassai curioso. Allora scoprii<br />

rannicchiato contro <strong>il</strong> tronco, la testa infossata fra<br />

le spalle, perfetto nella sua omocrimia, <strong>il</strong> più forestale e<br />

misterioso dei tetraonidi, <strong>il</strong> francolino di monte, <strong>il</strong> pollo<br />

dei noccioli.<br />

Le voci del bosco, sommesse, parvero ad un tratto sopraffatte<br />

da un suono rauco, come un singhiozzo che si<br />

arrotava, accelerava e finiva con un sonoro kop! Mi spostai<br />

quasi al limite della radura e fu lì che vidi un uccello,<br />

grande come un gallo, scalpicciare, becco aperto,<br />

collo teso verso l’alto, fare, come un gallo, la ruota.<br />

Le sue penne mandavano superbi riflessi blu verdi<br />

sul petto, mentre le ali erano marroni, <strong>il</strong> collo grigio acciaio,<br />

rosso <strong>il</strong> sopracciglio delle creste. Un gallo cedrone<br />

in amore che chiamava a sé le femmine.<br />

Davanti a quell’esibizione cromatica di grande effetto<br />

mi sentii un piccolo spazzacamino e ricordai, per associazione<br />

d’idee, quell’altra volta di qualche anno prima,<br />

quando sorvolando Agaro nel punto dove <strong>il</strong> bosco<br />

si apre in uno spiazzo di mirt<strong>il</strong>li, ginepri e rododendri,<br />

vidi due volat<strong>il</strong>i grossi come polli che sul terreno, ancora<br />

in parte coperto di neve, con movimenti nervosi<br />

e convulsi giravano in cerchio, le ali cascanti, la coda<br />

spiegata a forma di lira. Li sentivo fischiare con rabbia e<br />

soffiare, poi al colmo dell’eccitazione si erano avventati<br />

con violenza l’un contro l’altro.<br />

Alle solite, due fagiani di monte nelle loro folcloristiche<br />

danze d’amore e di guerra. Sul candore della neve risaltava<br />

<strong>il</strong> colore lucente blu scuro dei loro corpi, <strong>il</strong> bianco<br />

delle remiganti delle ali e della sorprendente coda.<br />

Mi ricordo che allora feci una considerazione. Come<br />

nel gallo cedrone, anche nel fagiano di monte solo <strong>il</strong><br />

maschio è detentore di una così esplosiva livrea. Le femmine<br />

di entrambi hanno colori così mimetici e dimessi<br />

da sembrare appartenenti ad un’altra specie.<br />

Mi accorgo che in tutti questi anni, pur fermandomi<br />

solo la primavera e l’estate, ho accumulato tanti ricordi<br />

139


Il cervo.<br />

della mia Ossola che, a raccontarli per esteso, non basterebbe<br />

la mia breve vita. Il tempo incalzante mi spinge<br />

a sintetizzare e ad apportare tagli al mio lungometraggio.<br />

Sto per spostarmi verso <strong>il</strong> torrente che, laggiù in fondo,<br />

scende a balzelloni dalla montagna, quando sotto la<br />

cupola del bosco un galoppo serrato segue ad un grido<br />

singolare. Faccio appena in tempo a scorgere una sagoma<br />

dalle perfette proporzioni lanciata in corsa su quattro<br />

zampe incredib<strong>il</strong>mente sott<strong>il</strong>i. Per un attimo vedo lo<br />

specchio, la macchia di pelo bianca sul posteriore, prima<br />

che <strong>il</strong> bosco si rinchiuda sulla fugace apparizione.<br />

Indovino che è <strong>il</strong> capriolo che, insieme al cervo, da pochi<br />

anni è comparso in Ossola. A quest’epoca <strong>il</strong> suo capo, se<br />

è un maschio, inalbera le corna con <strong>il</strong> velluto, una specie<br />

di astuccio di pelle grigia, ricca di vasi sanguigni, che fra<br />

poco disseccherà e mostrerà le corna nuove di zecca.<br />

Il medesimo fenomeno tocca anche al cervo. Entrambi<br />

hanno corna piene e caduche che ad una certa epoca, in<br />

autunno per <strong>il</strong> capriolo, in marzo per <strong>il</strong> cervo, si staccano<br />

dal capo lasciandolo curiosamente sguarnito. Ma to-<br />

140<br />

sto ecco ricrescere su un germoglio calloso le nuove corna,<br />

più belle e ramificate.<br />

Quante volte ho visto lo scoiattolo e la volpe rosicchiare<br />

nel bosco queste reliquie di osso compatto, cadute a<br />

questi animali, inconfondib<strong>il</strong>i per la ramificazione e la<br />

grandezza. Quelle del capriolo arrivano al massimo a<br />

tre-quattro punte, quelle del cervo sono palchi pesanti<br />

con otto-nove ramificazioni.<br />

La foresta è <strong>il</strong> vero regno di questi cervidi, <strong>il</strong> luogo che<br />

all’epoca degli amori risuona di eccitati bramiti e di rumorose<br />

lotte per la conquista delle femmine.<br />

Allora si assiste a grandi raduni disordinati, dove questi<br />

individui, ubriachi d’amore, diventano nervosi ed attaccabrighe.<br />

Infine i maschi adulti se ne vanno per i fatti<br />

loro e restano insieme i gruppi famigliari delle femmine<br />

e dei giovani.<br />

Ma torniamo al capriolo che mi è passato sotto <strong>il</strong> naso,<br />

lanciato in una pazza corsa agli ostacoli. Per un attimo<br />

ho creduto di vedere le gazzelle delle calde regioni che<br />

sorvolo nei miei inverni. Il cervo, invece è molto più<br />

grande del capriolo e l’ho veduto rare volte qui in Os-


sola. Ha l’imponenza di un piccolo cavallo e <strong>il</strong> mio occhio<br />

di rondone non crede di sbagliare se gli dà <strong>il</strong> peso<br />

di 200 kg, mentre <strong>il</strong> capriolo rimane sui 40 ch<strong>il</strong>i. Coinvolto<br />

dalle mie divagazioni mi accorgo solo ora dello<br />

scompiglio che <strong>il</strong> fischio e la corsa sfrenata del capriolo<br />

hanno sollevato nel bosco. Si sono interrotti <strong>il</strong> canto<br />

del pettirosso e del lucarino, <strong>il</strong> rampichino alpestre ha<br />

smesso per un attimo di fare <strong>il</strong> topino degli abeti, su e<br />

giù per i tronchi a cercare insetti nelle fessure; si è alzato<br />

in volo <strong>il</strong> più piccolo degli uccelli, <strong>il</strong> regolo, dal capino<br />

a strisce.<br />

Anche la bellissima martora da qualche parte ha sospeso<br />

l’inseguimento accanito allo scoiattolo, che saltato acrobaticamente<br />

su un albero vicino sarà lì con <strong>il</strong> cuore in<br />

gola. Per sua grande fortuna <strong>il</strong> feroce mustelide non sa<br />

saltare, perciò se <strong>il</strong> piccolo tarzan del bosco non cade a<br />

terra è in netto vantaggio sull’inseguitrice. Ma le emozioni<br />

dello scoiattolo non sono finite. Un passo falso e<br />

l’aqu<strong>il</strong>a, che sta setacciando <strong>il</strong> bosco con sguardo penetrante,<br />

può ghermirlo di colpo, oppure la volpe, appostata<br />

pazientemente, lo avrà come premio di consolazione<br />

per la sua costanza.<br />

Si riposerà in inverno, ben protetto nella tana del cavo<br />

di un tronco, dove potrà finalmente r<strong>il</strong>assarsi e cadere<br />

in un sonno intermittente come quello del tasso.<br />

È meglio che mi tolga da questa posizione che non mi è<br />

affatto confacente. So per esperienza che questi boschi<br />

misti, che si trasformano in abetaie e lariceti man mano<br />

che si arrampicano sulle pendici, sono visitati spesso e<br />

volentieri dallo sparviero e dall’astore, che si spostano<br />

dalla pianura alla montagna proprio al seguito di noi<br />

uccelli migratori.<br />

Se devo concludere in bellezza la mia carriera di inviato<br />

speciale, non posso espormi in prima linea, perciò m’involo<br />

al torrente per dissetarmi e procurarmi boccate di<br />

insetti svolazzanti.<br />

Lancio solo un’occhiata fuggevole alla trota, che ancheggia<br />

nell’acqua limpida e mi piacerebbe aspettare<br />

qui la venuta della ballerina bianca e di quella gialla,<br />

che sembrano danzare, osc<strong>il</strong>lando la coda avanti e<br />

indietro, ma soprattutto assistere ancora una volta allo<br />

spettacolo del merlo acquaiolo che, dopo essersi tuffato<br />

nell’acqua gelida, fa <strong>il</strong> sub per interminab<strong>il</strong>i secon-<br />

di, riaffiora su un sasso con una larva in becco, scuote<br />

<strong>il</strong> suo bel petto bianco e si presenta asciutto come prima.<br />

Che campione!<br />

La mia incondizionata ammirazione in fondo va ad un<br />

altro uccello, <strong>il</strong> più piccolo insieme al regolo, che abiti<br />

la montagna. Confesso che <strong>il</strong> mio interesse è intessuto<br />

d’invidia per quello che sa fare questa pallina di piume<br />

rossastre con la coda sempre alzata. Il suo nome è<br />

scricciolo.<br />

Non solo è un poligamo, un dongiovanni impenitente<br />

e furbo, ma anche un gran patriarca. Ai primi di maggio,<br />

scegliendo scarpate di torrenti e canaloni rivestiti di<br />

rododendri, costruisce diversi nidi di muschio, intrecci<br />

sferici con un’apertura centrale. Appena una scricciola è<br />

in vista, lui le si fa incontro, garrulo e svolazzante, e la<br />

induce a visitare <strong>il</strong> nido, convincendola a sistemarsi.<br />

Il piccolo infedele ripete la scena parecchie volte con altre<br />

femmine, fino a collocazione completa di tutti i suoi<br />

nidi. Ma, e qui gli concedo tutto <strong>il</strong> mio rispetto, egli<br />

non abbandona affatto le componenti del suo evoluto<br />

harem, ma assumendosi, per giorni e giorni, <strong>il</strong> ruolo<br />

massacrante del pendolare, le assiste tutte con sollecitudine<br />

durante la cova.<br />

A questo punto uno di maggior corporatura della sua<br />

sarebbe sfinito, ma lui è di tempra speciale e sostiene<br />

per molto tempo la sua famiglia allargata. Appena i pic-<br />

Il lupo.<br />

141


coli sono in grado di volare, alla sera li raduna e se li<br />

porta in giro a svolazzare allegramente nella luce del tramonto.<br />

Dopo di che li consegna puntualmente ai loro<br />

dormitori.<br />

Sotto quei nove grammi di piume batte davvero un<br />

grande cuore.<br />

Sono pronto per <strong>il</strong> balzo finale. Lascio i boschetti misti<br />

e con forti colpi d’ala mi alzo a volo remato fino a raggiungere<br />

le radure e le rupi subalpine. Poi tenendo le ali<br />

immob<strong>il</strong>i mi lascio scivolare, e in questa maniera perlustro<br />

per un largo raggio le foreste superiori fino al limite<br />

degli alberi.<br />

La fauna diventa sempre più interessante e specializzata<br />

e, per le difficoltà climatiche, si fa più pressante la lotta<br />

per la sopravvivenza. Nelle radure vedo le arvicole, la<br />

campestre e l’agreste, intente a scavare le loro gallerie, qui<br />

dove ha inizio <strong>il</strong> dominio dei piccoli e grandi rapaci.<br />

Alcuni stanziano ai bordi delle radure, altri nidificano<br />

sulle rupi.<br />

Anch’io abito qui, gomito a gomito, con questi predoni.<br />

Infatti, anche se so che è la poiana quella che vola a<br />

larghi giri in ciclo, che è lei che miagola come un gatto,<br />

che è specializzata alla caccia al marasso, che si ciba di<br />

topi e talpe come l’astore, pure mi tengo lontano.<br />

Come quando vedo prof<strong>il</strong>arsi lunghe ali triangolari,<br />

tese come una balestra, so bene che è un falco in ricognizione,<br />

pronto a buttarsi in picchiata per artigliare in<br />

volo piccioni, ghiandaie, cornacchie, tordi.<br />

Mi chiedo se sono abbastanza grosso per lui. Ad ogni<br />

buon conto mi affido alla velocità delle mie ali che, è<br />

provato, è di un soffio maggiore della sua, ma faccio attenzione<br />

a non cadere in qualche attacco di sorpresa. So<br />

pertanto che l’Ossola non pullula di falchi, c’è <strong>il</strong> pellegrino,<br />

<strong>il</strong> lodolaio (<strong>il</strong> più pericoloso per me) e l’altro, <strong>il</strong><br />

pecchiaiolo, goloso soprattutto delle larve delle vespe.<br />

Ma, bando alle paure, mi conforta questo tac tac allegro,<br />

scandito dalla cima di un larice. Ciao, stiaccino. Il<br />

suo verso singolare lo sento anche laggiù, in Africa, perché<br />

l’uccello dal petto fulvo e <strong>il</strong> sopracciglio bianco è un<br />

emigrante stagionale come me. Le sue uova di un bel<br />

turchese sono tra le più belle che mi capita di vedere.<br />

Intanto volando e pensando mi ritrovo nei miei paraggi<br />

142<br />

che è <strong>il</strong> sito delle rupi subalpine. Questo è <strong>il</strong> contrafforte<br />

delle ultime foreste fino al limite degli alberi, è <strong>il</strong> gran<br />

piedistallo del piano alpino propriamente detto.<br />

Qui, con i miei compagni, qualche anno fa abbiamo deciso<br />

di costruire i nidi. Le innumerevoli fenditure nella<br />

roccia ci hanno offerto abbondanza di buche, e noi<br />

non abbiamo avuto difficoltà a scegliere cavità grandi<br />

e asciutte.<br />

Tutto ciò che ci serve per costruire <strong>il</strong> nido a forma di<br />

ciotola noi, è <strong>il</strong> caso di dirlo, lo acchiappiamo al volo.<br />

Steli, fuscelli, foglie secche, peli e penne portate in alto<br />

dal vento, vengono da noi ammucchiati e cementati<br />

con la nostra portentosa saliva che si rapprende all’aria<br />

come un mastice. Con la stessa saliva, sempre in volo,<br />

inglobiamo le nostre piccole prede alate e ne facciamo<br />

palline per imboccare i nostri pulcini.<br />

Ma tant’è, sto divagando un po’ troppo avanti, la mia<br />

compagna è lì a riassettare la nostra vecchia dimora, mi<br />

resta poco tempo per guardarmi intorno.<br />

Più in là, sulla stessa parete rocciosa, l’anno scorso ho<br />

visto un nido di un grande corvo imperiale. Udivo <strong>il</strong> suo<br />

rauco rok rok ed erano talmente potenti i suoi battiti<br />

d’ala che li sentivo fendere l’aria, vip vip vip! Come era<br />

nero. Molto più grande della solita cornacchia e diverso<br />

anche <strong>il</strong> grido, una figura alata più imponente e vigorosa.<br />

Faccio fatica a pensarlo strettamente imparentato<br />

con uccelli piccolissimi come le bigiarelle, le cince,<br />

i regoli.<br />

Devo confessare che senza farmi accorgere l’ho osservato<br />

a lungo nelle sue acrobazie aeree, tentando di imitarlo<br />

soprattutto in una: quando in volo planato, all’improvviso<br />

si rigira su se stesso, e pancia all’aria scivola via<br />

così, come su un’amaca volante.<br />

Per questo becchino del bosco, in abito nero pece, noi<br />

tutti proviamo del gran rispetto perché è l’alato più longevo,<br />

potendo vivere oltre i cento anni, ma la mia personale<br />

ammirazione va al coraggio di un altro uccello<br />

ben più piccolo ma temerario alla follia.<br />

Il gheppio. È un falchetto fulvo, grande come una tortora,<br />

ma se un’aqu<strong>il</strong>a, dico, un’aqu<strong>il</strong>a entra nel suo territorio,<br />

è capace, con l’appoggio di qualche compagno, di<br />

affrontarla a viso aperto, di rintuzzarla e alla fine stancarla<br />

a tal punto che la signora dell’aria decide di rientrare<br />

nei suoi confini. Alla fine non riesco a capire come


La vipera aspis. Camosci al pascolo.<br />

faccia a fare così bene lo «spirito santo», stare cioè librato<br />

in aria senza spostarsi, mantenendo le ali aperte e la<br />

coda allargata. Qualche volta mi son detto: ma quello<br />

li è legato ad un f<strong>il</strong>o! Invece ecco ad un tratto che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o<br />

si rompe e lui, <strong>il</strong> gheppio, precipita come un meteorite,<br />

le ali strette ai fianchi, fino al momento in cui, a pochi<br />

passi dal suolo, gli vedo fare la grande frenata con le<br />

remiganti e protendere gli artigli. La sua calda preda è<br />

un’arvicola che lui preleva e si porta via.<br />

Prima di salire al piano alpino dove l’esistenza di animali<br />

e piante ha un eccezionale salto di qualità, voglio<br />

tentare anch’io di librarmi sospeso, di ondeggiare tenendo<br />

distese le ali. Con la mia vista acuta posso ispezionare<br />

a piacimento le rocce circostanti e giù, gli ultimi<br />

larici e abeti e <strong>il</strong> torrente incassato che spumeggia in<br />

quella forra.<br />

Il cielo è immenso, <strong>il</strong> più vasto pascolo che esista, ma<br />

quando vedo, come ora, prof<strong>il</strong>arsi dal costone della<br />

montagna due enormi ali, con le remiganti allargate<br />

come le dita di una mano umana, lo spazio aereo sembra<br />

circoscritto da quella sagoma scura. II suo volo è<br />

maestoso, le spirali larghe, le virate lente, la sua ombra<br />

propaga sconcerto agli animali dell’aria e apprensione a<br />

quelli di terra.<br />

Mi faccio da parte scendendo di quota, con un occhio<br />

là, alla indiscussa sovrana del cielo, l’aqu<strong>il</strong>a. È <strong>il</strong> simbolo<br />

delle altitudini alpine, insieme al camoscio e allo<br />

stambecco, perché al pari di loro non abbandona mai<br />

la montagna, neppure in inverno, quando non solo le<br />

cime ma anche le pendici sono prigioniere delle calotte<br />

nevose e noi animali migratori siamo m<strong>il</strong>le miglia<br />

lontani. Lei rimane lì, nel suo grande nido a piattaforma,<br />

quasi a cielo aperto, nei gelidi s<strong>il</strong>enzi lacerati dallo<br />

schianto della valanga. È <strong>il</strong> più forte e grande uccello<br />

dei nostri monti e le sue prede, per sfamare la famigliola<br />

di uno o due pulcini, devono per forza essere consistenti.<br />

Dalla lepre, alla volpe, alla marmotta, allo scoiattolo,<br />

fino ai piccoli degli ungulati, camoscio, stambecco,<br />

cervo, capriolo. L’aqu<strong>il</strong>a è un predatore ma per la sua supremazia<br />

e le sue abitudini svolge questo ruolo soltanto<br />

di giorno. Ora io sono a conoscenza di operatori specializzati<br />

che questo mestiere lo fanno di notte.<br />

Quando ero più giovane e non ancora coniugato, al calar<br />

della sera mi riunivo con i miei compagni in stormi<br />

numerosi e ci divertivamo ad inseguirci a velocità pazza,<br />

lanciando schiamazzi a non finire. In questi giochi<br />

a nascondino, approfittavo delle scorciatoie inf<strong>il</strong>andomi<br />

arditamente nei canaloni e negli stretti passaggi tra<br />

due pareti di roccia.<br />

Ed è lì che li ho scoperti. Gli occhi, voglio dire. In quegli<br />

anfratti ombrosi in cui l’ultima luce del tramonto se<br />

n’era dipartita da un pezzo, lì, ad ogni mio passaggio<br />

vedevo pulsare piccole luci gialle, arancione, rosse. Sentivo<br />

poi dei versi rauchi, tipo lamenti buhu buhu, poi<br />

brontolii, soffi e richiami nasali. Roba da pelle d’oca se<br />

non fossi un rondone e non mi avessero acculturato circa<br />

le civette, gli assioli, i gufi comuni e i gufi reali.<br />

Gran mangiatori di topi e di insetti, oltre a quegli occhi<br />

speciali per la visione notturna, quelli hanno un udito<br />

fuori del normale che li mette in grado di sentire stormire<br />

una foglia a parecchi metri di distanza.<br />

Noto con sollievo che un’invisib<strong>il</strong>e corrente aerea deve<br />

143


aver convinto la superba aqu<strong>il</strong>a a veleggiare lontano<br />

oltre le nebbie. Adesso posso riprendere <strong>il</strong> mio volo<br />

d’esplorazione, un passo e ripasso sopra gli ultimi avamposti<br />

del bosco.<br />

Ritrovo vecchie conoscenze della bassa e della media<br />

montagna. Saltellano le cince chiacchierone, intravedo<br />

tra i rami di un abete <strong>il</strong> nido di un ciuffolotto con le uova<br />

blu pallido, ai margini del bosco si drizza per un istante<br />

una lepre comune ma subito scompare con pochi balzi<br />

dentro un cespuglio. Sopra un formicaio di formiche<br />

rosse un picchio verde, l’unico tra i picchi che non tambureggia<br />

i tronchi, estroflette la lingua ricoperta da una<br />

sostanza viscosa e accalappia formiche.<br />

Queste fustaie di abeti, larici, cirmoli, sono l’ultimo<br />

campo base per alcuni animali, un rifugio invernale per<br />

altri, una meta solamente estiva per altri ancora.<br />

Ghiotte di pinoli, le nocciolaie, grandi come gazze e grigiastre,<br />

e i crocieri, sim<strong>il</strong>i a variopinti fringuelli, frugano<br />

instancab<strong>il</strong>i tra le pigne delle conifere. La nocciolaia<br />

soprattutto ne fa una copiosa incetta riuscendo ad ingozzare<br />

un centinaio di pinoli alla volta. Dopo di che,<br />

previdente, li rigurgita e li nasconde nelle fessure delle<br />

rocce ben riparate dalla neve, o anche nel suolo sotto<br />

grandi radici o ai piedi dei tronchi.<br />

Una cosa è certa: lei ha bene in mente la mappa del suo<br />

tesoro e saprà ritrovarlo anche a 50 cm sotto la neve,<br />

se... C’è sempre l’imprevisto e in questo caso neppure<br />

molto raro. Può capitare infatti che tra i rami di un abete<br />

uno scoiattolo goloso abbia spiato la scena o che un’arvicola,<br />

scorazzando nei suoi labirinti sotterranei, incappi<br />

per caso nella camera del tesoro. Ma la nocciolaia<br />

non dà a vedere di disperarsi per queste appropriazioni<br />

indebite (non ha forse provveduto a diversi nascondigli?)<br />

e poi in natura è permessa la legge del pioniere:<br />

quello che trovo è mio e me lo tengo.<br />

Mi diverto un mondo ad assistere a queste, diciamo, relazioni<br />

sociali fra i miei conterranei; io non scendo in<br />

lizza con loro perché, come spiegherò, altri sono i miei<br />

appetiti.<br />

Sonori dak dak interrompono <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o dei miei pensieri.<br />

Senza guardare so già chi è che fruga <strong>il</strong> terreno in cerca<br />

di lombrichi. Un merlo in frak, con lo sparato bianco<br />

bene in vista, un merlo dal collare. Diffidente e cauto<br />

non disdegna i dintorni delle baite solitarie, anche<br />

144<br />

se ama starsene in un pascolo di ginepro tutto suo, o<br />

in cima ad una conifera, da dove modula <strong>il</strong> famoso ritornello.<br />

E lì, sullo stesso albero, forse ci sta <strong>il</strong> nido non di un altro<br />

volat<strong>il</strong>e ma di un piccolo roditore arboricolo, <strong>il</strong> topo<br />

quercino. È un topo speciale e merita una breve menzione.<br />

Ha <strong>il</strong> muso buffo, orecchie a sventola, occhi prominenti<br />

e cerchiati di scuro. La coda è lunga come <strong>il</strong> corpo<br />

ma <strong>il</strong> tutto ha un peso osc<strong>il</strong>lante tra <strong>il</strong> mezzo etto e l’etto<br />

a seconda della stagione. Perché come <strong>il</strong> suo stretto<br />

parente ghiro (che non ho mai visto sopra i 1.000 metri)<br />

quando è ben pasciuto, all’inizio dell’inverno, scivola in<br />

un sonno profondo e talmente desiderato da provvedere<br />

da sè medesimo a saldarsi le palpebre con uno speciale<br />

muco. «Prego non disturbare».<br />

Mi chiedo. Sarà comodo dormire quando non si ha da<br />

mangiare e non si hanno i mezzi per migrare come facciamo<br />

noi, ma se non si è ben protetti dentro un nido<br />

con sportello, come lo scoiattolo, o in tane murate come<br />

la marmotta, si è anche alla mercé dei terroristi del bosco,<br />

come la faina, la donnola, la martora, e quell’altra<br />

taccheggiatrice, la più imprevedib<strong>il</strong>e e astuta che conosca,<br />

la volpe.<br />

Potrei stare giorni e giorni a parlare di lei senza riuscire<br />

a dire tutto quello che so sul suo conto. Forse questo<br />

episodio è significativo.<br />

Un giorno che me ne andavo a spigolare i miei insetti<br />

con volo distensivo sulle rive torbose di uno stagno<br />

alpino, vidi una volpe entrare in acqua con un ramo in<br />

bocca. Incuriosito dall’insolito bagnante, mi impennai<br />

in leggere evoluzioni per restare sul posto e vidi la volpe<br />

nuotare a coccodr<strong>il</strong>lo, con solo <strong>il</strong> naso fuori per respirare.<br />

Capii dopo, quando abbandonato <strong>il</strong> ramo che aveva<br />

in bocca, raggiunse la riva e si scrollò a lungo. Aveva<br />

escogitato <strong>il</strong> metodo più rapido e indolore per disinfestarsi<br />

dai parassiti che si erano messi in salvo sul ramo!<br />

Accarezzo con lo sguardo questo bosco di larici e abeti,<br />

sussurrante di vita, profumato di resina e ho la netta<br />

sensazione che sarà l’ultimo agglomerato arboreo che<br />

troverò. A questa altitudine sfiorante i 2.000 metri, c’è<br />

tra i componenti <strong>il</strong> paesaggio, una rarefazione e un ridimensionamento<br />

in vista.<br />

Il larice si fa solitario; sui cespi di rododendro, sui piccoli<br />

abeti arricciati, sui ciuffi di pino mugo, prendono <strong>il</strong>


sopravvento <strong>il</strong> ginepro, <strong>il</strong> salice rampicante, i cuscinetti<br />

di s<strong>il</strong>ene, le sassifraghe di ogni specie. Mentre l’organetto,<br />

passerotto con la cuffia rossa in testa, mi supera con<br />

<strong>il</strong> suo tiu tiu tirr, mi accorgo di volare verso l’ultima stazione<br />

terrestre: <strong>il</strong> piano alpino fino alle nevi eterne.<br />

Eccomi allo scoperto sopra una solitudine fatta di lande,<br />

di pascoli, di piccoli laghi, di ghiaioni e di pietraie.<br />

La vita, o meglio la sopravvivenza, qui si svolge al cospetto<br />

delle forti radiazioni solari, dell’impeto del vento<br />

e degli sbalzi di temperatura. Gli eletti, quelli che qui ci<br />

vivono, devono fare i conti con questi esigenti gabellatori,<br />

perciò, lo dico già fin d’ora, essi sono organismi altamente<br />

perfezionati.<br />

Alcuni sono scesi a necessari compromessi. L’ibernazione,<br />

<strong>il</strong> mimetismo e <strong>il</strong> rinforzo delle strutture naturali<br />

sono le soluzioni ai problemi per chi in montagna resta<br />

comunque e non migra durante <strong>il</strong> periodo invernale.<br />

La mia piccola ombra che si proietta osc<strong>il</strong>lante sul verde<br />

pendio sta suscitando allarmi ingiustificati. Per un attimo<br />

<strong>il</strong> cuculo sospende <strong>il</strong> suo monotono verso e la ricerca<br />

dei bruchi pelosi disdegnati da tutti gli uccelli. È for-<br />

Femmina di stambecco con <strong>il</strong> suo piccolo.<br />

se questa la maniera per farsi perdonare la sventatezza di<br />

deporre le sue uova nei nidi degli ingenui codirossi spazzacamino,<br />

delle passere scopaiole e degli spioncelli?<br />

Su quel sasso piatto e ben esposto al sole, la vipera aspis<br />

(che insieme al marasso sale a queste altezze) è lì acciambellata<br />

a riscaldarsi al sole e per un attimo erige <strong>il</strong> capo<br />

e protende <strong>il</strong> corpo ad arco. Forse soffia e sib<strong>il</strong>a al mio<br />

indirizzo, scambiandomi per un piccolo falco. Non vorrei<br />

essere una rana o un’arvicola nelle sue vicinanze, nel<br />

qual caso avrei un’esperienza, a dir poco, fulminante del<br />

suo gelido sguardo e dei due dentacci velenosi.<br />

Mentre ammiro i bei disegni a zig zag del corpo flessuoso<br />

ne noto <strong>il</strong> turgore. Deve essere in procinto di partorire<br />

una dozzina di viperini già tutti pronti a strisciare<br />

con <strong>il</strong> pieno di veleno, e lei, <strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e ovoviviparo, si sta<br />

comportando come una incubatrice mob<strong>il</strong>e.<br />

Un fischio acuto e limpido proviene dalle pietraie frammiste<br />

ad erba su quel crinale baciato dal sole. Subito altri<br />

fischi si incrociano e l’eco li rimbalza lontano. La<br />

marmotta di vedetta ha segnalato, le altre hanno captato.<br />

Volpe, aqu<strong>il</strong>a, essere umano o semplice esercitazione?<br />

145


I bei gattoni marrone chiaro smettono di brucare e<br />

scompaiono nelle tane. I loro incisivi pronunciati, così<br />

come gli unghioni, sono armi pacifiche per le faccende<br />

quotidiane. Unica loro difesa restano quei complicati<br />

tunnel sotterranei con uscite di sicurezza, dove dall’inizio<br />

dell’inverno e fino a maggio, piombano in un sonno<br />

profondo come un coma.<br />

Mentre sto librando ad ali aperte come un aliante, avverto<br />

in tutto <strong>il</strong> corpo una sensazione ben nota, un impulso<br />

elettrico che mi serpeggia da capo a coda. Punto<br />

lo sguardo all’orizzonte e vedo addensarsi nuvoloni<br />

neri. Per questo la marmotta ha fischiato!<br />

Noi animali selvatici sentiamo in anticipo le perturbazioni<br />

atmosferiche, <strong>il</strong> temporale è per noi un trauma<br />

fisiologico e ci diamo da fare per superarlo indenni.<br />

Scommetto che lo scoiattolo si è già tappato in casa,<br />

vedo l’arvicola delle nevi che ritira in tutta fretta i funghi<br />

e le foglie messi a seccare davanti alla tana, una coturnice<br />

fa un volo basso e breve lungo <strong>il</strong> dorso della montagna<br />

e poi sparisce velocemente fra le rocce. I gracchi, quello<br />

alpino e quello corallino con becco e zampe rosse, smettono<br />

di volare in formazione e si raggruppano in grandi<br />

fessure della roccia.<br />

Mi abbasso in cerca di un tetto roccioso e faccio a tempo<br />

a vedere scivolare tra i massi della grossolana morena<br />

l’ermellino: <strong>il</strong> più famoso dei mustelidi ha già la<br />

livrea estiva marrone chiaro e la macchia bianca sulla<br />

gola. Insieme alla lepre variab<strong>il</strong>e e alla pernice delle nevi<br />

ha adottato un metodo straordinario per annullarsi nell’ambiente<br />

circostante.<br />

Comincia a cadere la prima neve? Sui loro corpi compaiono<br />

macchie bianche che si fanno sempre più larghe<br />

fino a che in pieno inverno, nel candore generale, le<br />

loro candide figure passano inosservate. Si sciolgono le<br />

nevi e arriva l’estate? Spariscono a poco a poco le macchie<br />

bianche e i peli e le piume assumono <strong>il</strong> colore mimetico<br />

delle rocce. In questo modo essi rifiutano <strong>il</strong> letargo<br />

invernale e hanno la preoccupazione di un diffic<strong>il</strong>e<br />

sostentamento.<br />

Non sono i soli. Sono in compagnia dei più grossi mammiferi<br />

di alta montagna, i camosci e gli stambecchi.<br />

Il temporale mette a segno i primi lampi e tuoni e mi<br />

convince ad una ritirata strategica. Mi avvinghio alla<br />

parete di una grotta e mi accorgo che una famiglia di<br />

146<br />

camosci ha scelto lo stesso rifugio. Li osservo da vicino.<br />

Sembrano capre ma di un rango superiore.<br />

Maschi, femmine, piccoli, hanno tutti le corna, che<br />

come quelle degli stambecchi non cadono mai, sono<br />

cave, non composte da sostanza ossea ma di cheratina.<br />

Nelle mie trasvolate ossolane ho sempre visto molti camosci,<br />

pochi stambecchi, cervi, caprioli.<br />

Questo camoscio rupicapra dalle corna ad uncino è <strong>il</strong><br />

simbolo delle nostre montagne perché ne è <strong>il</strong> più antico<br />

abitante. In estate sale alle alte quote fin dove l’erba cresce<br />

ai margini dei nevai e solo in inverno scende nei boschi<br />

per ripararsi e foraggiarsi. Trovo superbo <strong>il</strong> portamento<br />

della testa e nob<strong>il</strong>e <strong>il</strong> muso con la singolare mascherina<br />

bianca e nera.<br />

Osservo gli esemplari qui vicino a me e noto che i loro<br />

spessi mantelli di pelo sono in piena muta e ne vedo dei<br />

brandelli contro la parete rocciosa. Il pelo scuro sta lasciando<br />

<strong>il</strong> posto a quello estivo più leggero e chiaro.<br />

Se <strong>il</strong> camoscio, per me rondone alpino, è la più elegante<br />

e ag<strong>il</strong>e capra della montagna, un’altra capra selvatica,<br />

lo stambecco, detiene <strong>il</strong> primato della robustezza e della<br />

resistenza.<br />

La massiccia figura del maschio, dalle grandi corna ad<br />

arco e la barbetta sotto <strong>il</strong> mento, stagliato su uno strapiombo<br />

da capogiro, non è una visione insolita per me.<br />

Lui è <strong>il</strong> signore degli speroni rocciosi e dei picchi, e non<br />

ama la copertura del bosco. Durante l’epoca degli amori<br />

che cade all’inizio dell’inverno, tanto per i camosci<br />

quanto per gli stambecchi, mi hanno detto che l’eco<br />

propaga rumori di giostre furiose per giorni e giorni.<br />

Immerso nei miei pensieri, non mi sono accorto che <strong>il</strong><br />

temporale ha esaurito, con gli ultimi brontolii, <strong>il</strong> contingente<br />

di acqua, tuoni e fulmini. Tutti gli esseri viventi<br />

si sentono ora rinfrancati, l’arcobaleno solca <strong>il</strong> cielo,<br />

la montagna, rocce e pascoli, br<strong>il</strong>la imperlata. Il torrente<br />

si è ingrossato, gli stagni si sono riempiti, nuove<br />

pozze si sono formate. A festeggiare la presenza dell’acqua<br />

si fanno avanti quei singolari individui che hanno<br />

la doppia vita, terrestre ed acquatica. Chi potrebbe<br />

pensare che anche qui sopra i 2.500 m esistano esemplari<br />

di anfibi?<br />

Eppure proprio dopo un temporale sto a guardare strisciare<br />

sul sentiero la salamandra nera, l’andatura goffa,<br />

<strong>il</strong> corpo, con due f<strong>il</strong>e di tubercoli, nero lucente da sem-


are laccato. La sua vita deve essere talmente irta di<br />

difficoltà, che non depone le uova come la salamandra<br />

pezzata, ma ogni due tre anni mette al mondo due figli<br />

già completamente metamorfosati.<br />

Chi invece non si allontana mai dallo stagno è <strong>il</strong> tritone<br />

alpino che per <strong>il</strong> portamento confondo con la salamandra,<br />

se non fosse per <strong>il</strong> ventre colorato di rosso vivo e la<br />

cresta dorsale nera e gialla.<br />

Intorno allo stagno dove crescono gli equiseti e i giunchi,<br />

vedo per un momento sospesa in aria la libellula alpina,<br />

troppo grande per me, dal momento che le sue ali<br />

misurano cinque centimetri.<br />

Uno spioncello canta la sua gioia di vivere salendo continuamente<br />

verso <strong>il</strong> cielo e scendendo a paracadute, e per<br />

qualche istante distoglie la mia attenzione dalla pozza<br />

d’acqua.<br />

Vengo richiamato da un gracidio gutturale gru gru e<br />

pluf, vedo tuffarsi rane brunastre. Sono le rane temporarie,<br />

così chiamate dalla macchia temporale scura, che<br />

osservo anche in pianura, ma che qui a queste altezze<br />

formano dei clan esclusivi.<br />

Quando in primavera ammassi di neve ricoprono ancora<br />

gli acquitrini, loro sono lì che nuotano nell’acqua gelida<br />

e depongono grappoli di uova. Sono i batraci che<br />

si spingono alle più alte quote e li sorprendo a saltellare<br />

anche lontano dai luoghi umidi.<br />

Una leggera brezza ha spazzato le ultime nubi e <strong>il</strong> sole<br />

torna a scaldare. Mi si presenta l’opportunità di vedere<br />

<strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e che sale più in alto di tutti, la lucertola vivipara,<br />

dal ventre arancione punteggiato di nero. Ha la<br />

coda più corta della lucertola muraiola, se la cava ottimamente<br />

nel nuoto e in caso di pericolo non esita a<br />

buttarsi in acqua. È a detta di tutti <strong>il</strong> rett<strong>il</strong>e più resistente<br />

alle variazioni della temperatura tanto da spingersi<br />

non solo alle altezze di 3.000 m sulle montagne,<br />

ma anche alla latitudini del circolo polare artico. Per<br />

questo la sua specie è predisposta a far nascere ogni volta<br />

5-7 piccoli completamente atti ad affrontare i disagi<br />

di tale particolare esistenza. Da lontano un fringuello<br />

alpino sciorinante la sua strofa interrogativa e, più vicino<br />

nella desolata pietraia, <strong>il</strong> canto sonoro del sordone,<br />

mi riportano alla realtà che mi sono prefisso.<br />

Il tempo a mia disposizione sta per scadere e io voglio<br />

solo accennare al mondo degli insetti, quelli che alla<br />

fine mi danno la maniera di sopravvivere.<br />

Dirò subito che le mie prede alate sono di piccola taglia<br />

e appartenenti in gran parte agli ordini dei ditteri, dei<br />

coleotteri, degli imenotteri. Vale a dire rispettivamente<br />

mosche e zanzare; scarabei e cetonie; api e vespe. Quando<br />

<strong>il</strong> tempo è bello, fa caldo e <strong>il</strong> vento solleva questi insetti<br />

fino a centinaia di metri di altezza dal suolo, noi rondoni<br />

ci raduniamo in stormi a cacciare. Con <strong>il</strong> tempo<br />

cattivo, scendiamo negli strati più bassi dell’atmosfera e<br />

sorvoliamo terreni paludosi, praterie, boschi.<br />

Ci cibiamo anche di ragni, di cavallette e piccole farfalle<br />

che abitano gli alti pascoli e che fanno da corollario<br />

agli insediamenti dei branchi di mammiferi selvatici<br />

e domestici.<br />

Indipendentemente dal mio fabbisogno alimentare,<br />

posso dichiarare che gli insetti più belli e spettacolari<br />

restano, anche in montagna, le farfalle, i lepidotteri.<br />

Ce ne sono di diverse specie, piccole e grandi, di media<br />

o alta montagna. Alcune sono migratrici, altre ibernano<br />

sotto i tetti delle baite o all’interno delle stalle, altre ancora<br />

superano l’inverno trasformandosi in crisalidi. Mi<br />

è permesso citare solo i nomi più importanti.<br />

Una delle prime farfalle che vedo svolazzare in primavera<br />

lungo i sentieri delle radure e dei pascoli è la vanessa<br />

dell’ortica, seguita dopo poche settimane dalla splendida<br />

pavonia minore notturna. Se salgo più in alto e vedo ali<br />

bianche lucenti con magnifici ocelli rossi e punti neri,<br />

so di certo che quella farfalla è un apollo. La sua specie<br />

vola anche a 2.500 m. A questa altezza, durante la bella<br />

stagione e in pieno sole, mi capita di vedere una specie<br />

migratrice di grande effetto, lo splendido macaone.<br />

Nei prati di alta quota, circondati da abeti e larici, fino<br />

alle regioni nivali, volano le erebie, piccole farfalle marrone<br />

scuro, mentre <strong>il</strong> lepidottero più diffuso, dalla pianura<br />

alla montagna, è certamente la melitea aranciata.<br />

Mano a mano che salgono di quota, questi insetti diminuiscono<br />

di grandezza, variano di colore e hanno la<br />

tendenza a ridurre le ali. Questo per motivi climatici:<br />

<strong>il</strong> freddo, <strong>il</strong> vento, le radiazioni solari. Così sui fiori di<br />

cardo e di scabiosa aleggiano le piccole zigene, dalle ali<br />

macchiettate di rosso e nero bluastro, mentre sulle pareti<br />

rocciose e sui ghiaioni al di sopra dei 2.000 m. sono<br />

attirato dai colori tenui della piccola eneide dei ghiacciai.<br />

Quello degli insetti è un mondo non solo misterioso<br />

147


ma popolato di esseri tenaci. Sulle cime, oltre i 4.000<br />

m, dove solo <strong>il</strong> vento può recare granelli di polvere organica,<br />

ho visto coi miei occhi saltellare una pulce, la<br />

pulce dei ghiacciai.<br />

Ancora qualche colpo d’ala e <strong>il</strong> mio capolinea è in vista.<br />

Ma prima che <strong>il</strong> mio attimo fuggente si consumi voglio<br />

ricordare con rispetto quei selvatici che fino a qualche<br />

secolo fa vivevano qui e che ora sono chiamati «gli<br />

estinti». Grossi conflitti di interessi erano sorti fra loro<br />

e gli uomini per via dell’occupazione territoriale, e le<br />

disfide, ad armi impari, si conclusero con una radicale<br />

soppressione dei presenti sul campo. Parlo dell’orso, del<br />

lupo e della lince. Tuttavia in riferimento a quest’ultima<br />

devo raccontare un episodio accadutomi l’anno scorso.<br />

Mentre volavo a bassa quota, per diporto, facendo l’altalena<br />

sui passi dell’Alpe Veglia, mi era parso di vedere<br />

mollemente sdraiato al sole, su una piattaforma rocciosa,<br />

un grosso gattone dal pelo maculato. Ripassai più<br />

volte sull’obiettivo. Più che mai immob<strong>il</strong>e, notai lunghi<br />

ciuffi sulle orecchie, una coda corta, e incuriosito<br />

gli sfrecciai sopra con un grido acuto per attirare la sua<br />

attenzione. Il gattone allora alzò <strong>il</strong> capo e mi fece segno<br />

di un lungo sguardo di valutazione: no, non gli interessavo<br />

come preda. Io, però, ebbi <strong>il</strong> tempo di osservare i<br />

suoi grandi occhi, <strong>il</strong> suo sguardo penetrante e dorato e<br />

dedussi che quel morbido gattone altri non poteva essere<br />

che una lince. Da allora sentii insistentemente vociferare<br />

che qualche esemplare era venuto fra noi dalla vicina<br />

Svizzera, dove è stato immesso da quelli che si chiamano<br />

scienziati ecologici, quelli che sono convinti che<br />

questo grosso felino facendo piazza pulita degli animali<br />

deboli o ammalati, stronchi sul nascere le grandi epidemie.<br />

Chissà se anche quest’anno mi capiterà di ritrovarlo<br />

là tra cielo e roccia!<br />

A proposito di certe nuove interpretazioni e variazioni<br />

sul riassetto ecologico, ho sentito dire che stanno sperimentando<br />

un innesto artificiale di due specie i cui rappresentanti<br />

non si vedevano più da molto tempo da<br />

queste parti: <strong>il</strong> cinghiale e <strong>il</strong> lupo.<br />

Il primo è un suino ingrandito e rinforzato con zanne,<br />

grifo e setole e con una propulsione da carro arma-<br />

148<br />

to. Le sue zanne sono erpici che rivoltano qualsiasi suolo,<br />

prato, pascolo, orto. Già lo incolpano di devastare i<br />

campi, aiutato in questo dalla ruspante prole che si fa<br />

più numerosa ad ogni stagione. Per <strong>il</strong> secondo, <strong>il</strong> lupo,<br />

la faccenda è più delicata. D’accordo che non attacca<br />

1’uomo, sopratutto se è armato di bastone, ma le vittime<br />

designate sono le povere pecore e capre, libere sui<br />

pascoli alti. Prevedo <strong>il</strong> riaccendersi dell’antico conflitto<br />

dove armi tonanti e micidiali trappole opereranno lo<br />

sterminio di queste due specie scomode che hanno perso<br />

<strong>il</strong> loro spazio vitale in questa nostra Valle ormai densamente<br />

antropizzata. Dall’alto dei miei voli di ricognizione<br />

vedo chiaramente tutto questo e me ne dolgo per<br />

questi miei lontanissimi parenti e mi consola <strong>il</strong> fatto<br />

che almeno <strong>il</strong> mio spazio, quello aereo, è ancora vivib<strong>il</strong>e,<br />

senza alcuna limitazione.<br />

Ora <strong>il</strong> mio tempo è davvero scaduto. A chiusura di questo<br />

reportage chiedo una breve licenza, pochi istanti per<br />

sgranchirmi le ali in quest’aria frizzante. Salgo di getto,<br />

su su nel cielo azzurro e infinito. «M’<strong>il</strong>lumino d’immenso»<br />

come dice un poeta. Stop, rientro in picchiata<br />

e scendo di quota in vista del mio nido. La mia compagna<br />

lo ha già riassettato e mi sollecita impaziente. Ci<br />

aspetta un’estate piena zeppa di impegni alimentari e<br />

faticose trasferte ma anche di soddisfazioni. A settembre,<br />

quando i nebbioni scendendo più in basso faranno<br />

intirizzire le ali agli insetti e li scacceranno, sarà tempo<br />

di migrare.<br />

Allora anch’io me ne andrò nel paese dove <strong>il</strong> sole è a<br />

picco sulle nostre teste e l’aria è densa di insetti ronzanti.<br />

Ma una cosa sia chiara: ovunque andrò mi sentirò<br />

uno sfollato, perché <strong>il</strong> mio cuore resterà qui, dove<br />

sono le mie radici, dove sono nato e nascono i figli e i<br />

figli dei miei figli.<br />

Sono pienamente consapevole che questo mio resoconto<br />

sia per molti versi in<strong>completo</strong>. «Tempus fugit» anche<br />

per noi, creature del cielo e poi è per via di quella frenesia<br />

che ho nelle ali. A mia discolpa dirò che, se mi sarà<br />

data l’opportunità, ci riproverò meglio la prossima volta.<br />

Intanto prego di considerare due fatti. Primo che ho<br />

cercato di mettercela tutta, secondo che, alla fine, sono<br />

soltanto un rondone alpino.


I parchi e le riserve naturali<br />

Paolo Crosa Lenz<br />

Dai fondovalle densamente abitati alle vette delle montagne<br />

coperte di ghiacci. Tra questi estremi incontriamo<br />

<strong>il</strong> verde di grandi foreste, le distese d’erba delle praterie<br />

alpine, le grandi pareti di roccia che si innalzano al cielo.<br />

Effervescenza di colori in una natura ancora in larga<br />

parte incorrotta.<br />

E’ un mondo in equ<strong>il</strong>ibrio tra l’ambiente dolce dei laghi<br />

prealpini e le grandi montagne delle Alpi (innanzitutto<br />

<strong>il</strong> Monte Rosa, la seconda montagna d’Europa, poi una<br />

catena ininterrotta di vette dalle Pennine alle Lepontine).<br />

Dai limoni che crescono rigogliosi sulle sponde dei<br />

laghi (e dagli uliveti del Monte Rosso fra Intra e Pallanza)<br />

ai ghiacciai dell’Ossola: lago, collina e montagna.<br />

Sono due i valori ambientali dell’Ossola: la multiforme<br />

varietà di habitat coesistenti in un’area ristretta e la presenza<br />

di molte aree in cui questi hanno conservato un<br />

equ<strong>il</strong>ibrio antico tra uomo e natura. Grandi respiri di<br />

armonia in una zona antropizzata da m<strong>il</strong>lenni.<br />

In questi ultimi quarant’anni anni l’istituzione di aree<br />

naturali protette ha contribuito a definire e consolidare<br />

un sistema di parchi che costituiscono una carta importante<br />

nel disegno futuro di un modello di sv<strong>il</strong>uppo<br />

del territorio.<br />

Non è solo la quantità di territorio tutelato, ma soprattutto<br />

la qualità di esso che definisce l’importanza dell’Ossola<br />

nell’ambito del sistema nazionale delle aree<br />

protette. E la qualità è data dal Parco Nazionale della<br />

Valgrande, l’area w<strong>il</strong>derness più estesa d’<strong>It</strong>alia e una<br />

delle maggiori in Europa, e dal Parco Naturale dell’alpe<br />

Veglia e dell’Alpe Devero, due gioielli delle Alpi in cui<br />

si riconoscono un’armonia assoluta tra <strong>il</strong> secolare lavoro<br />

dell’uomo-montanaro e un ambiente naturale intatto.<br />

Se la Valgrande è <strong>il</strong> selvaggio, la foresta che riprende<br />

un dominio assoluto sulla montagna, Veglia e Devero<br />

sono l’equ<strong>il</strong>ibrio, un modello di uso ecocompatib<strong>il</strong>e<br />

delle risorse e di armonia con l’ambiente.<br />

La Valgrande e Veglia-Devero (i due p<strong>il</strong>astri del sistema<br />

di aree protette dell’Ossola) rappresentano due dimensioni<br />

differenti di una stessa realtà: la Valgrande (cupa,<br />

incassata, opprimente, che si libera solo sulle creste in<br />

ampi sguardi lontani) rappresenta la fatica di penetrare<br />

una natura selvaggia, misteriosa, inafferrab<strong>il</strong>e; Veglia e<br />

Devero (estese praterie alpine d’alta quota, pascoli rigogliosi,<br />

immense giogaie battute dal vento) rappresentano<br />

l’integrazione di natura e cultura.<br />

La storia delle sei aree naturali protette dell’Ossola comincia<br />

da lontano, oltre vent’anni prima che lo Stato si<br />

dotasse, nel 1991, della legge quadro sui Parchi.<br />

Nel 1969 l’allora Ministero dell’Agricoltura istituì l’Oasi<br />

Faunistica di Macugnaga, su un’area di 27,5 kmq nell’ampio<br />

anfiteatro montuoso del versante orientale del<br />

Monte Rosa.<br />

L’Oasi Faunistica, la prima area naturale protetta dell’Ossola,<br />

nacque anche grazie al sostegno delle associazioni<br />

venatorie locali, al fine di favorire la reintroduzione<br />

dello stambecco, ormai quasi scomparso sulle Alpi.<br />

Gli esemplari liberati nell’arco di più anni provenivano<br />

dalla Valsavaranche, nel Parco del Gran Paradiso, dove<br />

viveva una delle ultime colonie delle Alpi. Trovando<br />

idonee condizioni ambientali, gli stambecchi si sono in<br />

seguito riprodotti colonizzando l’alta Valle Anzasca e la<br />

Valle Antrona. Attualmente si stimano circa 120 esemplari<br />

solo a Macugnaga.<br />

Nel 1978 la Regione Piemonte istituisce <strong>il</strong> Parco Naturale<br />

dell’alpe Veglia. E’ <strong>il</strong> primo parco regionale istituito<br />

in Piemonte.<br />

L’alpe Veglia, alla testata della Val Cairasca, è una conca<br />

alpina di origine glaciale circondata da una catena<br />

di monti che costituiscono <strong>il</strong> lembo occidentale delle<br />

Alpi Lepontine (<strong>il</strong> Monte Leone 3553 m ne è la vetta<br />

149


maggiore; nel suo grembo corre <strong>il</strong> tunnel ferroviario del<br />

Sempione). L’alpe Veglia è anche luogo di insediamenti<br />

antichissimi. Recenti scavi archeologici hanno scoperto<br />

i resti di un accampamento di cacciatori nomadi del<br />

Mesolitico, risalente all’VIII M<strong>il</strong>lennio a.C.<br />

L’ambiente dell’alpe Veglia è quello tipico dell’alta montagna,<br />

sebbene <strong>il</strong> fondo pianeggiante della conca rientri<br />

ancora entro <strong>il</strong> limite della vegetazione arborea. I boschi,<br />

radi e con sottobosco di rododendri e mirt<strong>il</strong>li, che<br />

si sv<strong>il</strong>uppano attorno alla piana dell’alpe si spingono<br />

con le frange superiori fino a 2200 metri di quota e<br />

sono costituiti da larici, con rari esempi di pino uncinato<br />

e abete rosso.<br />

È tuttavia <strong>il</strong> pascolo l’elemento dominante <strong>il</strong> paesaggio<br />

di Veglia. La grande piana del Vaccareccio e i pascoli di<br />

Pian Stalaregno (con le baite e le stalle di Cà d’Argnai) e<br />

Pian di Scricc sono destinati ai bovini. In Veglia vengono<br />

monticati essenzialmente bovini di razza bruna particolarmente<br />

adatti ai pascoli d’alta quota in quanto di<br />

notevole rusticità e con attitudine da carne e da latte.<br />

Frutto di un’attività dell’uomo durata m<strong>il</strong>lenni e che ha<br />

strappato ai lariceti e agli arbusteti la piana basale, i pascoli<br />

sono la ricchezza e la fortuna di Veglia. Il loro valore<br />

paesaggistico ed economico (nei secoli scorsi venivano<br />

caricati oltre m<strong>il</strong>le bovini) è dovuto ad un uso razionale<br />

della pastorizia che ha saputo realizzare un complesso<br />

e sapiente equ<strong>il</strong>ibrio con l’ambiente naturale. Veglia,<br />

così com’è, è <strong>il</strong> risultato del lavoro dell’uomo, della<br />

fatica di generazioni infinite di montanari che hanno<br />

spietrato e irrigato i pascoli, canalizzato le acque, regolato<br />

la crescita del bosco, costruito sentieri ed edificato<br />

baite e stalle. In Veglia tuttavia l’azione antropica<br />

è stata nel complesso ridotta: le forze della natura sono<br />

state sempre prevalenti ed hanno fatto di questo territorio<br />

un paradiso della natura in cui hanno vissuto degli<br />

uomini.<br />

Le diffic<strong>il</strong>i condizioni ambientali e l’accesso impervio<br />

hanno sempre limitato l’insediamento umano al periodo<br />

estivo. Veglia è sempre rimasto un “alpe” nel senso<br />

tradizionale del termine, cioè una sede temporanea e<br />

terminale nel complesso itinerario di transumanza dai<br />

centri di fondovalle ai pascoli alti. Ai bordi della va-<br />

Dal rifugio della Bocchetta di Campo in Val Grande al Monte Rosa.<br />

sta piana erbosa, detta Vaccareccio, si distribuiscono sei<br />

nuclei di abitazioni: Cianciavero, Aione, Ponte, Isola,<br />

Cornù e, leggermente discosto alle pendici del Pian Stalaregno,<br />

La Balma. I gruppi di casolari, armonicamente<br />

inseriti nell’ambiente, sono posti su un’unica curva<br />

di livello con <strong>il</strong> fronte rivolto al pascolo. La grigia pietra<br />

locale è <strong>il</strong> materiale costruttivo dominante per cui le<br />

baite e le stalle si confondono con i massi erratici, i dirupi<br />

e le grandi pareti delle montagne. Tutto attorno è<br />

<strong>il</strong> verde dei pascoli.<br />

Pascoli e praterie alpine in cui i naturalisti hanno riconosciuto<br />

319 specie botaniche, di cui <strong>il</strong> 22 % considerate<br />

rare e quattro (Gentiana brachyphylla, Astragalus<br />

leontinus, Kobrenia simpliciscula e Arabis) vengono considerate<br />

rarissime.<br />

Nel 1990 la Regione Piemonte istituisce <strong>il</strong> Parco Naturale<br />

dell’Alpe Devero, contiguo a quello di Veglia.<br />

L’alpe Devero si trova alla testata dell’omonima valle<br />

che scende, quasi parallela ma con uno sv<strong>il</strong>uppo minore<br />

della Val Cairasca, ad innestarsi nel tronco della Valle<br />

Antigorio all’altezza di Baceno.<br />

La valle percorsa dal torrente Devero è molto interessante<br />

dal punto di vista morfologico per le profonde<br />

forre di incisione fluvio-glaciale e per la presenza dei<br />

valloni laterali pens<strong>il</strong>i (Bondolero, Buscagna, Codelago<br />

ed Agaro). Tutta la valle è uno stupendo <strong>libro</strong> aperto<br />

scritto dalla natura per raccontarci la storia delle Alpi e<br />

<strong>il</strong>lustrato dai colori di un ambiente mai monotono.<br />

L’alluvium, <strong>il</strong> terreno di riporto che forma la base di pascoli<br />

e praterie, è diffuso e costituisce <strong>il</strong> fondo della conca<br />

di Devero, di Buscagna, di Codelago (oggi ricoperta<br />

dalle acque del bacino artificiale) e di Agaro. L’ambiente<br />

è quello dell’alta montagna: boschi di larici e abeti<br />

con sottobosco di mirt<strong>il</strong>li e rododendri, pascoli e alpeggi,<br />

praterie alpine fino contro le rocce, immense sassaie,<br />

picchi arditi e creste aff<strong>il</strong>ate.<br />

Come Veglia, Devero è sempre stato un alpeggio (alp<br />

nel dialetto locale). In piena estate vi avveniva uno sfalcio<br />

d’erba mentre le mandrie pascolavano sui pascoli<br />

alti di Buscagna, di Sangiatto, dei Forni.<br />

A differenza di Veglia, aperta nella conca vastissima e<br />

racchiusa da un ampio circolo di montagne che non<br />

151


Domodossola, la Riserva Naturale del Sacro Monte Calvario.<br />

conservano segreti, Devero appare più contenuto e quasi<br />

schiacciato dai grandi monti che sovrastano l’alpe.<br />

La sua morfologia, molto più articolata e complessa di<br />

quella di Veglia, nasconde tuttavia ampi spazi e grandi<br />

distese d’erba nelle valli laterali e sui piani alti. Se Veglia<br />

suscita lo stupore di chi scopre per la prima volta la<br />

vastità del suo Vaccareccio, Devero rivela in alto la sua<br />

grandezza: nell’asprezza delle sue montagne, dominio<br />

incontrastato del camoscio; nelle distese verdi dei pascoli<br />

sparsi sulle innumerevoli balconate; nelle praterie<br />

alpine che salgono al cielo e ospitano cospicue colonie<br />

di marmotte; nelle grandi distanze su cui corrono i sentieri<br />

(è <strong>il</strong> regno del grande escursionismo); negli specchi<br />

raccolti dei suoi laghetti in cui vivono <strong>il</strong> tritone alpestre<br />

e la rana temporaria.<br />

Le praterie alpine in estate offrono un’occasione unica<br />

per conoscere un quadro <strong>completo</strong> della flora alpina<br />

occidentale. Il Monte Cervandone (m 3211) è <strong>il</strong> cuore<br />

di un distretto mineralogico tra i più ricchi d’<strong>It</strong>alia. Sui<br />

monti di Devero sono conosciute 127 specie diverse di<br />

152<br />

minerali, tra cui sette nuove specie rinvenute qui per la<br />

prima volta in natura. Sul solido e compatto serpentino<br />

della Rossa e del Crampiolo si è sv<strong>il</strong>uppata la moderna<br />

arrampicata in Ossola e ancora oggi queste montagne<br />

costituiscono uno straordinario terreno di gioco<br />

per l’alpinismo classico.<br />

Nel 1995 i due Parchi vengono riuniti sotto un unico<br />

ente di gestione: <strong>il</strong> Parco Naturale Veglia Devero. Il<br />

Parco, nelle Alpi Lepontine occidentali al confine tra<br />

<strong>It</strong>alia e Svizzera, tutela una superficie di 86 kmq (più<br />

22,5 kmq di “zona di salvaguardia” in Devero). Il territorio<br />

è tipicamente alpino con un’altitudine tra i 1600<br />

e i 3500 m. Il territorio tutelato è compreso nei comuni<br />

di Baceno, Crodo, Varzo e Trasquera. Compiti principali<br />

del Parco Naturale sono la conservazione della biodiversità<br />

e la promozione di uno sv<strong>il</strong>uppo sostenib<strong>il</strong>e<br />

delle comunità locali. Questa azione avviene in rete con<br />

le altre 280 aree protette delle Alpi.<br />

Nel 1991 la Regione Piemonte istituisce la Riserva Naturale<br />

Speciale del Sacro Monte Calvario di Domodos-


sola su una superficie di 25 ettari. Il complesso devozionale<br />

sorge sul colle di Mattarella, un’altura sovrastante<br />

la città di Domodossola, dove in origine sorgeva un castello<br />

con origini anteriori all’anno M<strong>il</strong>le, distrutto nel<br />

1415 dalle truppe vellesane scese a conquistare l’Ossola.<br />

Su proposta di due frati del convento cappuccino<br />

di Domodossola nel 1657 iniziarono i lavori di edificazione<br />

del Santuario del Santissimo Crocifisso e della<br />

Via Crucis, dedicata alla passione di Cristo e costituita<br />

da quindici stazioni, di cui tre contenute nel Santuario.<br />

Al Calvario di Domodossola, considerato dagli studiosi<br />

come “<strong>il</strong> complesso architettonico e plastico più importante<br />

di tutta l’Ossola”, hanno lavorato grandi artisti<br />

tra cui gli statuari Dionisio Bussola e Giuseppe Rusnati<br />

e i pittori Giovanni Sanpietro e Lorenzo Peracino. L’arrivo<br />

al Calvario domese di Antonio Rosmini (febbraio<br />

1828) determinò un rifiorire della devozione popolare.<br />

Nel 1863 vi si stab<strong>il</strong>ì l’istituto religioso rosminiano che<br />

fece diventare l’edificio eretto nel 1700 accanto al santuario<br />

un centro di formazione e di spiritualità.<br />

Sulla montagna sovrastante <strong>il</strong> Calvario sono situati antichi<br />

borghi rurali oggi abbandonati che si inseriscono<br />

armonicamente nei boschi misti di latifoglie a predominanza<br />

di castagno. Un sentiero natura (“La via dei torchi<br />

e dei mulini”) permette visite autoguidate per la conoscenza<br />

di questa dimensione della civ<strong>il</strong>tà rurale montana<br />

dell’Ossola.<br />

Il Parco Nazionale della Valgrande, inserito nella legge<br />

quadro sui parchi nazionali del 1991, è stato istituito<br />

con decreto del Ministero dell’Ambiente nel marzo<br />

1992 su una superficie di 11733 ettari. È <strong>il</strong> secondo<br />

parco nazionale del Piemonte (dopo quello storico<br />

del Gran Paradiso) ed è <strong>il</strong> riconoscimento, da parte del<br />

Parlamento, che la Valgrande è un bene di grande valore<br />

per tutta l’<strong>It</strong>alia (e per l’Europa). Il territorio del parco<br />

nazionale comprende i bacini idrografici del Rio Valgrande<br />

e del Rio Pogallo, confluenti a valle di Cicogna<br />

nel torrente San Bernardino che sfocia nel Lago Maggiore<br />

a Intra. E’ una valle chiusa, circondata da montagne<br />

non alte (la vetta più alta è <strong>il</strong> Togano, m 2301) che<br />

trova <strong>il</strong> suo unico sbocco nella grande forra a sud di Cicogna.<br />

Racchiusa e definita tra Ossola, Vigezzo e Cannobina<br />

e <strong>il</strong> bacino del Lago Maggiore a sud, può essere<br />

immaginata come un grande cuore con <strong>il</strong> ventricolo si-<br />

nistro (la Valgrande vera e propria) più grande del destro<br />

(la Val Pogallo).<br />

Il valore w<strong>il</strong>derness del parco, cioè la sua natura selvaggia,<br />

nasce dall’assenza, a partire dagli anni ‘50, di ogni<br />

attività antropica sul suo territorio. Dopo secoli di intenso<br />

sfruttamento da parte di boscaioli, carbonai e alpigiani,<br />

questi ultimi cinquant’anni hanno visto <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio<br />

tornare nella valle. E la natura riprendere liberamente<br />

<strong>il</strong> suo corso, riappropriandosi del territorio. E la<br />

foresta, le “immense foreste piantate da Adamo”, coprire<br />

tutto: sentieri e mulattiere, pascoli e casère, teleferiche<br />

e aie carbon<strong>il</strong>i. Qua e là, sommersi da rovi e lamponi<br />

o ingoiati dal bosco, riemergono i segni di quella<br />

civ<strong>il</strong>tà montanara che per secoli è cresciuta in simbiosi<br />

con un ambiente tanto aspro e impervio.<br />

L’importanza del parco è anche in questo. La Valgrande<br />

è un’idea: l’idea del selvaggio, di una natura incorrotta<br />

e libera di seguire le sue leggi. E’ una presenza ancestrale,<br />

sopita in ognuno di noi, che riafferma prepotente la<br />

sua esistenza. “Un’isola sopravvissuta all’incalzare della<br />

civ<strong>il</strong>tà” per dirla con Franco Zunino.<br />

Proprio qui, nel 1967, su un’area di 973 ettari, fu istituita<br />

la “riserva naturale integrale del Pedum”, la prima<br />

delle Alpi.<br />

Completano <strong>il</strong> panorama delle aree protette dell’Ossola<br />

le Oasi Naturali del Bosco Tenso e di Pian dei Sali.<br />

L’oasi naturale didattica del Bosco Tenso, istituita nel<br />

1990 dal comune di Premosello Chiovenda con la collaborazione<br />

della sezione di Verbania del WWF, tutela<br />

l’ultimo residuo del bosco planiziale della valle del<br />

Toce. E’ un tipico bosco igrof<strong>il</strong>o (querco carpineto), residuo<br />

dei grandi boschi che un tempo occupavano l’Ossola,<br />

abbattuti per far posto alle coltivazioni già a partire<br />

dal XII secolo. L’area acquista r<strong>il</strong>ievo naturalistico per<br />

la presenza di una ricca avifauna (40 specie nidificanti e<br />

127 svernanti o di passo).<br />

Il Bosco Tenso era “tensato”, cioè soggetto a vincoli già<br />

nel 1572 (Statuti di Premosello). Essendo sulla riva del<br />

Toce, salvava le coltivazioni dalle piene del fiume. Anche<br />

nei bandi comunali del 1833 <strong>il</strong> Bosco Tenso era<br />

protetto, anche perchè <strong>il</strong> comune potesse approvvigionarsi<br />

di legna con cui riscaldare la scuola e <strong>il</strong> municipio.<br />

Scopo dell’Oasi è di proteggere l’ambiente naturale con<br />

una gestione che mantenga, migliori e rinnovi <strong>il</strong> patri-<br />

153


Immagini del Parco Naturale Veglia - Devero.<br />

monio boschivo, consentendone un ut<strong>il</strong>izzo didattico<br />

lungo sentieri attrezzati con pannelli esplicativi.<br />

L’Oasi Naturale del Pian dei Sali, istituita nel 1998 dai<br />

comuni di Malesco e V<strong>il</strong>lette e dal WWF Verbania, tutela<br />

un tipico ambiente umido di montagna. L’anfibio<br />

più diffuso è sicuramente la Rana temporaria, di colore<br />

bruno-arancione macchiata di scuro. E’ tipica degli am-<br />

154<br />

bienti umidi e si spinge anche fino a 2500 metri e più di<br />

altitudine. Ecco l’Ossola verde. Un territorio dove <strong>il</strong> respiro<br />

della natura è ancora presente e vitale e dove si coniugano<br />

armonicamente la civ<strong>il</strong>tà antica e sapiente dell’uomo-montanaro<br />

con <strong>il</strong> rispetto dell’ambiente. Questo<br />

ambiente che, con la funzione propositiva e di sperimentazione<br />

gestionale del “sistema” dei parchi, può<br />

dare molto agli uomini di oggi.


La Cultura


Ossolani <strong>il</strong>lustri<br />

Angela Preioni Travostino<br />

ADORNA FRANCESCO SAVERIO, aeronauta<br />

V<strong>il</strong>lette 1744 - Bordeaux 1821<br />

Figlio di Giacomo e di Margherita Piffero. Emigrò ragazzino<br />

all’estero in cerca di lavoro e più tardi, attratto<br />

dalle scienze fisiche e dalle novità del tempo, si dedicò<br />

allo studio della nascente aeronautica. Pare che nel<br />

1780, prima dei fratelli Montgolfier, avesse costruito a<br />

Strasburgo un grosso pallone aerostatico con cui poi si<br />

levò su alcune città europee. Stab<strong>il</strong>itosi a Bordeaux non<br />

dimenticò <strong>il</strong> paese nativo al quale donò la casa paterna<br />

perché vi fossero ospitate le scuole elementari, ed alla<br />

parrocchia un ostensorio con inciso <strong>il</strong> proprio nome.<br />

ALBERTAZZI GIACOMO ANTONIO,<br />

scrittore didascalico, giureconsulto<br />

Vogogna 1736 - ivi 1793<br />

Figlio del giureconsulto Giulio Maria e di Anna Romerio,<br />

studiò a M<strong>il</strong>ano nelle scuole Palatine di Brera lettere,<br />

f<strong>il</strong>osofia e diritto. Tornato a Vogogna fu Luogotenente<br />

del Podestà ed esercitò <strong>il</strong> pubblico patrocinio. Essendo<br />

l’Ossola passata al Regno di Sardegna si perfezionò<br />

nello studio delle leggi sabaude ottenendo la laurea<br />

all’Università di Torino. Seguì interessi culturali di genere<br />

scientifico-didascalico che espresse ne Il Padre di<br />

famiglia in sette libri dedicati alla coltura della terra, alla<br />

farmacopea domestica, alla caccia e alla pesca e alla pace<br />

in famiglia. L’opera fu pubblicata a Vercelli nel 1789 e<br />

ristampata a M<strong>il</strong>ano nel 1829.<br />

ALLEGRANZA PIETRO, giornalista, canonico<br />

Vagna 1800 - Montescheno 1874<br />

Figlio del notaio Giuseppe Maria e di Rosalia Giuppa.<br />

Compiuti gli studi classici e teologici in seminario, fu<br />

ordinato sacerdote e insegnò lettere nei seminari della<br />

diocesi di Novara. Studioso di cose ossolane, comp<strong>il</strong>ò<br />

una storia che restò inedita. Canonico della Collegiata<br />

di Domo difese i diritti del Capitolo ed i priv<strong>il</strong>egi ossolani;<br />

giornalista battagliero e instancab<strong>il</strong>e, diresse L’Ossolano<br />

fra <strong>il</strong> 1845 e <strong>il</strong> 1848, scrisse di politica con spirito<br />

di parte, ma anche di religione e di storia. Nei suoi ultimi<br />

anni lasciò Domo e l’attività giornalìstica per fare<br />

<strong>il</strong> parroco a Montescheno, in valle Antrona, costrettovi<br />

da disposizione vescov<strong>il</strong>e.<br />

ALVAZZI DEL FRATE COSTANTINO, medico<br />

Varzo 1850 - ivi 1920<br />

Figlio del geom. Benedetto e di Monica Rigacci. Studi<br />

classici in Collegi Rosminiani e laurea in medicina<br />

nel 1873. Esercitò la professione a Domo, a Torino e<br />

dal 1893 diresse l’Ospedale Civico di Sanremo. Scrisse<br />

una monografia sulla cura dei lebbrosi e L’acqua minerale<br />

dell’Alpe Veglia, studio ricco di dati scientifici per la<br />

valorizzazione delle acque minerali ossolane.<br />

ANTONIETTI MARIA GIOVANNA, religiosa<br />

Baceno 1809 - Borgomanero 1872<br />

Figlia di Martino e di Angela Scavini. Per vocazione religiosa<br />

si rivolse all’abate Rosmini che la inviò a studiare<br />

e a fare <strong>il</strong> noviziato a Locamo, destinandola poi a dirigere<br />

l’as<strong>il</strong>o di Biella. Per le doti eccezionali di prudenza,<br />

um<strong>il</strong>tà, fortezza cristiana e sagacia amministrativa dimostrate,<br />

<strong>il</strong> Rosmini la nominò Superiora Generale dell’Ordine<br />

delle Suore della Provvidenza da lui fondato.<br />

ARCARDINI ALESSANDRO, avvocato<br />

Piedimulera 1895 - Domodossola 1992<br />

Figlio di Rocco e di M. Luigia Coursi, vallesana. Studi<br />

classici al Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />

a Torino. Ufficiale del genio e aviatore nella 1 a guerra<br />

mondiale, ottenne la croce di guerra ed <strong>il</strong> distintivo<br />

d’onore. Durante la br<strong>il</strong>lante carriera forense a Torino,<br />

nel 1944 difese gli avvocati Brosio e Fusi che, con ab<strong>il</strong>i-<br />

157


tà dialettica, sottrasse alla pena capitale richiesta dal Tribunale<br />

fascista e toccata invece agli sfortunati eroi fuc<strong>il</strong>ati<br />

al Martinetto. Dal 1945 continuò la professione a<br />

Domodossola e accettò con grande disponib<strong>il</strong>ità la carica<br />

di presidente della Fondazione Galletti, dell’Azienda<br />

Autonoma di Bognanco, della Pro Domo e della 2 a<br />

Esposizione italo-svizzera del 1950. Fu anche sostenitore<br />

del r<strong>il</strong>ancio del Sempione mediante <strong>il</strong> collegamento<br />

stradale con Genova (autostrada Voltri-Sempione).<br />

Collaborò al buon andamento di enti morali e culturali<br />

con competenza e attiva partecipazione. Per i disinteressati<br />

incarichi umanitari fu nominato grand’ufficiale<br />

della Repubblica.<br />

AZZARI GIUSEPPE ANTONIO, patriota<br />

Re 1767 - Bicocca di Novara 1796<br />

Figlio dei vigezzini Giuseppe Antonio di Re e di M.<br />

Anna Ravelli di Albogno. Studi classici e laurea in giurisprudenza<br />

a Pavia, ove abbracciò ideali repubblicani<br />

che propagandò a Pallanza, luogo di residenza della famiglia,<br />

da anni dedita a fruttuosi commerci, e in Valle<br />

Vigezzo fra parenti e amici. Con <strong>il</strong> nome di Giunio<br />

Bruto fu a capo di un movimento rivoluzionario che,<br />

nell’autunno 1796 tentò l’insurrezione antimonarchica.<br />

Catturato dalle forze regie per delazione, fu condannato<br />

a morte e impiccato a Novara nei pressi della Bicocca.<br />

BAGNOLINI ATTILIO,<br />

Medaglia d’oro al valore m<strong>il</strong>itare<br />

V<strong>il</strong>ladossola 1913 - Mai Ceu (Etiopia) 1936<br />

Alpino del btg. Intra del IV Reggimento, combattente<br />

in Africa Orientale durante la guerra italo-etiopica<br />

(1935-36), difese da ferito la postazione di Passo<br />

Macan, nella battaglia cruciale di Mai Ceu o del lago<br />

Ascianghi, poi con sacrificio della vita sventò <strong>il</strong> tentativo<br />

di accerchiamento dell’esiguo gruppo dei compagni<br />

d’armi. In V<strong>il</strong>ladossola è ricordato con l’intitolazione<br />

della Scuola Media e con un monumento. Un sommergib<strong>il</strong>e<br />

della Marina M<strong>il</strong>itare porta <strong>il</strong> suo nome.<br />

BALCONE GIOVAN BATTISTA, benefattore<br />

S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />

Sacerdote presso la Parrocchia di Zornasco, ricco, br<strong>il</strong>lante<br />

e di scarsa pratica religiosa. Mutò condotta e si ridusse<br />

a vivere poveramente e in penitenza. Eresse un<br />

158<br />

ospedaletto nel quale raccolse derelitti e mendicanti.<br />

BALLARINI GIORGIO, ingegnere, giornalista<br />

Livorno 1903 - Domodossola 1987<br />

Figlio dell’ing. Giovanni e di Clori Solari. Domese<br />

d’adozione essendovi giunto fin dal 1928, diresse la<br />

Ferrovia Vigezzina per un quarantennio. Negli anni del<br />

conflitto bellico si accostò al Partito Socialista e durante<br />

i «quaranta giorni di libertà» fu membro della Giunta<br />

Provvisoria di Governo con <strong>il</strong> compito di far funzionare<br />

i trasporti interni all’Ossola e particolarmente quelli<br />

internazionali diretti nel Vallese e nel Canton Ticino.<br />

Nel 1945 rientrato dalla Svizzera, dove si era rifugiato<br />

dopo la rioccupazione tedesca, fu eletto dal C.L.N. sindaco<br />

di Domodossola, carica che tenne fino alle prime<br />

elezioni. Continuò l’impegno politico fondando e dirigendo<br />

<strong>il</strong> giornale settimanale Il Risveglio Ossolano, e<br />

scrivendo gli articoli di prima pagina in favore di battaglie<br />

sociali. Colto, amante dell’arte, visitò tutti i continenti<br />

per conoscerne anche gli aspetti politici, sociali<br />

e organizzativi.<br />

BALZARDI ANGELO, scultore<br />

Antrona 1892 - Torino 1974<br />

Studi artistici a Torino conclusi nel 1922 con diploma<br />

del Corso superiore di scultura. Partecipò con successo<br />

alla XIX Biennale di Venezia e alle Quadriennali di<br />

Roma. Fu titolare della Cattedra di plastica ornamentale<br />

all’Accademia Albertina. Sue opere di rinomanza:<br />

<strong>il</strong> monumento al fante a Torino; fontana per i giardini<br />

pubblici e sacrario dei caduti di Alessandria, edicole<br />

e monumenti funerari in vari campisanti, busto del<br />

contadino piemontese e la Medusa per <strong>il</strong> campo sportivo<br />

di Domo.<br />

BARATTA GIOVAN BATTISTA,<br />

ufficiale medico, oculista<br />

Orcesco di Druogno 1778 - M<strong>il</strong>ano 1851<br />

Emigrato in Francia con i genitori originari della valle<br />

Vigezzo, a Parigi si laureò in medicina e rientrò in <strong>It</strong>alia<br />

con l’armata del gen. Bonaparte, ottenne <strong>il</strong> grado di<br />

ufficiale medico del 1° Reggimento Ussari della Repubblica<br />

Cisalpina e passò in seguito alla Divisione Victor.<br />

Nel 1805 a Pavia si specializzò in chirurgia e a M<strong>il</strong>ano<br />

fu nominato dirigente del servizio sanitario presso <strong>il</strong>


Collegio M<strong>il</strong>itare. Lasciò numerose pubblicazioni: Memoria<br />

e osservazione sopra una pup<strong>il</strong>la artificiale (1809),<br />

comparsa su L’incoraggiamento di Genova, e l’opera in<br />

due volumi Osservazioni pratiche sulle principali malattie<br />

degli occhi tradotta in tedesco a Lipsia (1848). Fu<br />

membro delle Società mediche di Vienna e Lipsia.<br />

BARBETTA VENANZIO GIUSEPPE, letterato<br />

Baceno 1869 - Quinto (GE) 1910<br />

Figlio di Venanzio e di Domenica Bracchi. Studi classici<br />

al Mellerio Rosmini e laurea in lettere all’Università<br />

di Torino. Insegnante per qualche anno, bibliotecario<br />

a M<strong>il</strong>ano, poi giornalista, critico apprezzab<strong>il</strong>e, scrittore<br />

purtroppo ignorato per la sua ritrosia e modestia.<br />

Le sue opere, pervase di pessimismo esistenziale, videro<br />

la luce tra <strong>il</strong> 1888 e <strong>il</strong> 1903. Ammalato, cercò inut<strong>il</strong>e<br />

sollievo in Liguria.<br />

BARONIO ANTONIO, pittore<br />

Vogogna 1869 - Vogogna 1918<br />

Figlio di Francesco e di Domenica Moro. Dopo gli studi<br />

classici a Domo si iscrisse al Politecnico di Torino<br />

che lasciò per l’Accademia Albertina. La sua produzione<br />

pittorica molto apprezzata dai contemporanei ebbe<br />

spesso per soggetto <strong>il</strong> paesaggio ossolano.<br />

BAZZETTA GIOVANNI (NINO), storico, giornalista<br />

Novara 1880 - ivi 1951<br />

Figlio del col. Giulio, che fu m<strong>il</strong>itare a Domo e benemerito<br />

della Fondazione Galletti, e di Fanny Lampugnani.<br />

Studi classici al Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />

a Pavia. Nel 1901 esordì come giornalista nel foglio<br />

domese L’Indipendente. Nel 1905 fondò La libertà,<br />

e fu poi redattore de Il Popolo dell’Ossola (1910) e corrispondente<br />

di altri giornali, segretario alla Sottoprefettura<br />

di Domo dal 1912 al 1922, combattente valoroso<br />

nella grande guerra, segretario di Prefettura a Novara ed<br />

in seguito al Ministero del Tesoro a Roma. Appassionato<br />

di ricerche storiche, dedicò ai domesi la Storia di Domodossola<br />

e dell’Ossola Superiore (1910) frutto di decennale<br />

fatica. Trattò altri argomenti storici ossolani e pubblicò<br />

le storie di Omegna e di Novara.<br />

BELCASTRO ALFREDO, pittore<br />

Omegna 1893 - S. M. Maggiore 1961<br />

Da genitori omegnesi albergatori in Vigezzo, frequentò<br />

la scuola di belle arti Rossetti Valentini. Dopo aver partecipato<br />

alla 1 a guerra mondiale si perfezionò nella pittura<br />

a Torino e a Roma. Tornato in valle Vigezzo, iniziò<br />

l’attività pittorica acquistando consensi..Dapprima<br />

«divisionista», <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e si fece più libero e personale<br />

e tradusse in colori stati d’animo e la poesia della natura<br />

circostante.<br />

BELLI GIOVANNI, deputato, benefattore<br />

Stradella 1812 - Calasca 1904<br />

Figlio di Antonio e di Marianna Tojetti di Calasca, residenti<br />

a Stradella poi a Pavia commercianti di uve e di<br />

vini dell’Oltrepò pavese. Si laureò in fisica matematica<br />

in quell’Ateneo dove lo zio paterno era <strong>il</strong>lustre cattedratico.<br />

Sindaco di Calasca, fu eletto Deputato subalpino<br />

dal 1852 al 1861 e Consigliere provinciale. Beneficò<br />

le società operaie dell’Ossola, l’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e di Piedimulera,<br />

l’Ospedale San Biagio di Domo e soprattutto<br />

<strong>il</strong> Comune di Calasca a cui lasciò proprietà e denaro<br />

per l’istruzione, l’igiene e la viab<strong>il</strong>ità patrocinando la<br />

strada fino a Macugnaga.<br />

BELLI GIUSEPPE,<br />

fisico, professore universitario<br />

Calasca 1791 - Pavia 1860<br />

Laureato a pieni voti in fisica matematica all’Università<br />

di Pavia, nel 1843 ottenne la cattedra che fu già di Alessandro<br />

Volta presso l’Ateneo pavese. Fu <strong>il</strong> più <strong>il</strong>lustre<br />

rappresentante delle scienze fisiche in <strong>It</strong>alia fra <strong>il</strong> 1845 e<br />

<strong>il</strong> 1860. Un ricordo marmoreo è collocato sotto i portici<br />

dell’Università di Pavia.<br />

BELLI SAVERIO, botanico<br />

Domodossola 1852 -Torino 1919<br />

Figlio di Carlo che fu Deputato al Parlamento subalpino,<br />

Sindaco di Domo e capo divisione al Ministero delle<br />

Finanze, e di Giuditta S<strong>il</strong>vetti di Pallanzeno, nacque<br />

e crebbe nel Palazzo Belli (ex chiesa di San Francesco).<br />

Compiuti gli studi classici al Collegio Mellerio Rosmini,<br />

frequentò a Torino dapprima la facoltà di medicina<br />

poi quella di scienze naturali laureandosi a pieni voti<br />

nel 1887. Libero docente nel 1894, direttore dell’orto<br />

botanico e poi Ordinario all’Università di Cagliari.<br />

Compì e pubblicò studi botanici sulle crittogame e fanerogane.<br />

Fu membro di accademie scientifiche.<br />

159


BIANCHETTI CARLO, medico, agronomo<br />

Ornavasso 1788 - ivi 1840<br />

Studi classici, laurea in medicina a Pavia nel 1810. Medico<br />

condotto al paese nativo, scrisse sull’uso del solfato<br />

di chinino e sulle cure del gozzo. Studiò e scrisse anche<br />

sulla coltivazione dei gelsi, sulla viticoltura, sulle talpe<br />

e sui bachi da seta. Perché i parroci potessero aiutare i<br />

parrocchiani al corretto uso agricolo, dedicò loro <strong>il</strong> trattato<br />

Delle ut<strong>il</strong>ità di unire lo studio scientifico dell’agricoltura<br />

alle discipline ecclesiastiche.<br />

BIANCHETTI ENRICO, storico, archeologo<br />

Domodossola 1834 - Ornavasso 1894<br />

Figlio di Giovanni medico e deputato al Parlamento Subalpino<br />

e di Maria Mantellini di Varzo. Studi classici,<br />

studente a Torino alla facoltà di Giurisprudenza, ma non<br />

si laureò per dedicarsi a studi letterari, artistici, storici approfonditi<br />

con ricerche d’archivio. Diede alle stampe la<br />

pregevolissima Storia dell’Ossola inferiore in due volumi,<br />

uscita a Torino nel 1878. Scoprì, studiò e scrisse sulla necropoli<br />

gallo romana di Ornavasso e ordinò nella propria<br />

abitazione una preziosa raccolta archeologica (ora al Museo<br />

di Pallanza per decisione degli eredi). Si occupò anche<br />

di meteorologia, agricoltura e fotografia. Fu in corrispondenza<br />

con studiosi di storia suoi contemporanei ed<br />

ebbe riconoscimenti ed onorificenze. Sposò una cugina<br />

di Quintino Sella con <strong>il</strong> quale ebbe rapporti culturali.<br />

BIANCHETTI GIOVANNI ANTONIO, chimico<br />

Ornavasso 1785 - Domodossola 1854<br />

Figlio di Giovanni e di Margherita Viola. Dopo gli studi<br />

classici conseguì a Pavia la laurea in chimica farmaceutica<br />

nel 1806. Arruolatosi volontario nella Guardia<br />

d’onore del Regno <strong>It</strong>alico ebbe decorazione dal Principe<br />

Eugenio di Beauharnais. Nel 1813 fu farmacista maggiore<br />

dell’Ospedale di Venezia. Con la caduta di Napoleone<br />

tornò in Ossola e riprese gli studi di chimica lasciando<br />

dotte dissertazioni pubblicate dalla Società dei<br />

farmacisti del Regno di Sardegna.<br />

BIANCHETTI GIOVANNI, medico, politico<br />

Granerolo 1809 - Ornavasso 1890<br />

Figlio del chimico Giovanni Antonio e di Margherita<br />

Galli. Dopo gli studi classici conseguì a Torino la laurea<br />

in medicina e una specializzazione in chimica medica e<br />

160<br />

terapica a Parma. Esercitò a Domo e curò gratuitamente<br />

i carcerati. Fu sindaco del Borgo e dal 1849 Deputato<br />

al Parlamento subalpino per tre legislature.<br />

BIANCHI GENNARO, politico, teologo e letterato<br />

Domodossola 1748 - ivi 1825<br />

Appartenente a ricca famiglia borghese, figlio di Giovanni<br />

Battista e di Fiorenza Bossi. «Doctor utriusque<br />

iuris», insegnante di retorica nel Seminario di Como.<br />

Fu collega e strinse amicizia con Alessandro Volta che<br />

ospitò due volte in Domodossola quando, già famoso<br />

docente di fisica sperimentale a Pavia, era diretto a Ginevra<br />

nel 1787 e a Parigi nel 1801. Aderì alle idee innovatrici<br />

e fu a capo della Municipalità di Domo durante<br />

la 1° Repubblica Cisalpina, poi commissario del<br />

Governo <strong>It</strong>alico nell’Ossola e Delegato revisore della<br />

Cassa pagamenti della costruenda strada del Sempione.<br />

Dopo la caduta di Napoleone si ritirò a vita privata.<br />

BINDA ATTILIO, colonnello, medaglia d’argento<br />

Domodossola 09.02.1894 – Russia 20.01.1943<br />

Osservatore m<strong>il</strong>itare dell’aeronautica nelle due grandi<br />

guerre mondiali. Salvò un gruppo di alpini sul Don attirando<br />

su di sé <strong>il</strong> fuoco nemico. Gli vennero conferite<br />

due medaglie d’argento.<br />

BOITI ANTONIO, chirurgo<br />

Roma 1776 - Firenze 1827<br />

Figlio di Bartolomeo e di Domenica Novaria Todesco<br />

entrambi di Calasca emigrati a Roma. Come altri anzaschini<br />

studiò grazie agli aiuti finanziari dell’archiatra<br />

Giavina di Domo che lo volle con sé come aiuto chirurgo<br />

all’Arcispedale di S. Spirito in Roma. Nel 1803<br />

fu chiamato a Salisburgo da Ferdinando III di Lorena a<br />

prestare l’opera di chirurgo ostetrico. Dopo <strong>il</strong> Congresso<br />

di Vienna seguì a Firenze <strong>il</strong> Granduca con la carica<br />

di capo chirurgo di Corte. Scrisse note di medicina sul<br />

Giornale dei Letterati di Pisa.<br />

BOITI PAOLO, benefattore<br />

Sec. XVIII (2 a metà) – Calasca 1836<br />

Figlio di Bartolomeo e di Domenica Novaria Todesco,<br />

sacerdote, contribuì con <strong>il</strong> proprio patrimonio alla costituzione<br />

del «Monte di pietà» di Calasca. Fondò una<br />

scuola per insegnare alle figliole dagli anni cinque ai do-


dici a leggere, scrivere e imparare la Dottrina Cristiana,<br />

a cucire e a fare calzette.<br />

BONARDI BERNARDINO, scenografo, benefattore<br />

Coimo 1834 - Domodossola 1923<br />

Figlio di Giovanni e di Rosalia Pattaroni. Studiò disegno<br />

sotto la guida di pittori vigezzini poi si recò a Parigi<br />

da una zia cameriera dello scenografo Ferri da cui apprese<br />

l’arte della scenografia. Insieme lavorarono per <strong>il</strong><br />

teatro Regio di Torino. Nel 1857 <strong>il</strong> Bonardi si trasferì in<br />

Spagna dove fu attivo presso i principali teatri finché fu<br />

assunto al R. Teatro di Madrid. Nel 1890 si stab<strong>il</strong>ì definitivamente<br />

a Domo. Regalò al teatro Galletti <strong>il</strong> sipario<br />

riproducente la piazza Mercato e i costumi caratteristici<br />

delle valli ossolane, conservato nel palazzo S. Francesco.<br />

Lasciò una somma all’Ospedale S. Biagio per la<br />

cura agli ammalati di Coimo.<br />

BONARDI GIUSEPPE, benefattore<br />

Coimo 1822 - Parigi 1906<br />

Figlio di Giovanni Andrea e di Domenica Cuccioni,<br />

fece fortuna a Parigi dopo essere stato apprendista fumista.<br />

Fu tra i primi a introdurre <strong>il</strong> riscaldamento con<br />

caloriferi ad aria, ottenendo grandi profitti economici.<br />

Legò a Coimo una rendita annua per pagare cure e<br />

medicine ai poveri, uno stipendio ai maestri elementari,<br />

una dotazione di fontanelle pubbliche e buona parte<br />

della strada fra <strong>il</strong> suo paese e la statale di val Vigezzo.<br />

BONO PIETRO, benefattore<br />

Varzo 1815 - Parigi 1887<br />

Figlio di Domenico e di Maria Mazzurri. Dopo le elementari<br />

raggiunse <strong>il</strong> padre emigrato a Valence sur la Drône e<br />

con impegno e volontà si affermò nel commercio, aprendo<br />

a Parigi una casa di materiale ottico e fotografico con<br />

succursale a Buenos Aires. Fu generoso pittore lasciando<br />

vistosa somma per la costruzione dell’ospedale di Varzo e<br />

aiuti finanziari alla Pia Opera di S. Paolo di Valence.<br />

BORGNIS DOMENICO AGOSTINO, benefattore<br />

Craveggia 1799 – ivi 1843<br />

Arricchitosi con <strong>il</strong> commercio, lasciò una considerevole<br />

somma al suo paese per l’istituzione di una scuola postelementare<br />

che funzionò per oltre un decennio.<br />

BORGNIS GIUSEPPE ANTONIO,<br />

professore universitario<br />

Craveggia 1781 - Monza 1863<br />

Figlio di Giovanni banchiere a Parigi e di Maria Rossetti.<br />

Dedicatosi agli studi scientifici si laureò in ingegneria<br />

prestando poi servizio presso la Marina a Venezia<br />

dove uscì una sua pubblicazione di meccanica. Insegnò<br />

matematica applicata all’Università di Pavia divenendone<br />

nel 1843 Rettore Magnifico. Propugnò la costruzione<br />

della carrozzab<strong>il</strong>e Vigezzo-Domo e di una diramazione<br />

verso la Svizzera e <strong>il</strong> lago Maggiore. Fu membro<br />

effettivo del Regio Istituto Lombardo di Scienze,<br />

lettere e arti.<br />

BORGNIS GIUSEPPE MATTIA, pittore<br />

Craveggia 1701 - West Wycombe (Ingh<strong>il</strong>terra) 1761<br />

Figlio di Giovanni e di Antonia Borgnis. Ricevuti i primi<br />

rudimenti del disegno in Valle, imparò l’affresco e la<br />

pittura a olio a Bologna e a Venezia. Nel 1719 in Vigezzo<br />

iniziò l’attività, notevole per livello artistico e per numero<br />

di committenze, durata un trentennio. Lasciò pitture<br />

sacre e profane in chiese e case della Valle, dell’Ossola,<br />

del Canton Ticino fra cui s’impongono gli affreschi<br />

delle chiese parrocchiali di S. Maria Maggiore, Craveggia<br />

e dell’Oratorio della Madonna della Vita di Mozzio.<br />

Nel 1752 si trasferì in Ingh<strong>il</strong>terra (West Wycombe)<br />

dove propose nello st<strong>il</strong>e «augusteo» molte opere classiche<br />

della pittura italiana componendone variamente <strong>il</strong><br />

contesto. Morì cadendo da un’impalcatura.<br />

BOSSONE CARLO, pittore<br />

Savona 1904 - S. Carlo di Vanzone 1991<br />

Figlio di Raimondo e di Ines Rosa della valle Anzasca.<br />

Allievo del pittore ottocentista Vittorio Cavalieri a Torino,<br />

seguì contemporaneamente corsi serali di figura<br />

all’Accademia Albertina e fu assiduo frequentatore di<br />

musei e gallerie. I soggiorni in valle Anzasca gli fecero<br />

amare e conoscere la montagna e la vita che la circonda,<br />

che espresse nella sua pittura con scelta di forme, luci<br />

e colori non disgiunti dal sentimento. Mostre personali<br />

negli anni Trenta a Torino, M<strong>il</strong>ano, Novara, Parigi e<br />

centri del lago Maggiore lo incoraggiarono a proseguire.<br />

Lavorò come analista in miniera e poi partì per l’Ar-<br />

161


Balcone Giovan Battista, benefattore<br />

S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />

Borgnis Giuseppe Antonio, professore universitario<br />

Craveggia 1781 - Monza 1863<br />

Belli Giuseppe, fisico e professore universitario<br />

Calasca 1791 - Pavia 1860<br />

Borgnis Giuseppe Mattia, pittore<br />

Craveggia 1701 - West Wycombe 1761


gentina (1944). Dipinse con successo a Buenos Aires e<br />

nelle principali città argentine, ispirandosi all’immensità<br />

degli scenari sudamericani. Tornò nel 1949 e si stab<strong>il</strong>ì<br />

a S. Carlo di Vanzone, rinunciando a buone prospettive<br />

torinesi. Insegnò privatamente la pittura a molti allievi<br />

e tenne mostre fino al 1990.<br />

BOTTI GIUSEPPE, egittologo<br />

Vanzone 1889 - Firenze 1968<br />

Figlio di Bartolomeo e di Maria Gorini. Laureato all’Università<br />

di Torino in lettere classiche, si specializzò<br />

in egittologia studiando i papiri della collezione Drovetti<br />

sotto la guida dell’<strong>il</strong>lustre prof. Schiaparelli. Fu<br />

sovrintendente del museo archeologico di Firenze (sezione<br />

egizia) e docente di egittologia all’Università di<br />

Roma. Le sue pubblicazioni superano la settantina. Ultima<br />

fatica due volumi su L’archivio demotico con i quali<br />

inizia <strong>il</strong> catalogo del Museo Egizio di Torino. L’opera<br />

consiste nella trascrizione, traduzione, commento di<br />

papiri inediti scritti in lingua demotica di cui fu fra i<br />

maggiori esperti. Aveva anche intrapreso la traduzione<br />

di papiri conservati nel Museo Gregoriano del Vaticano.<br />

Altra opera importantissima e nota agli studiosi di<br />

tutto <strong>il</strong> mondo la traduzione dei papiri in lingua ieratica<br />

e demotica provenienti dagli scavi di Umm el Breighat.<br />

BOZZO ANGELO, benefattore<br />

Vanzone 1838 -ivi 1912<br />

Figlio di Giovan Battista e di Maddalena Bozzo, emigrò<br />

in Francia con la famiglia. Diventato ricco gestendo<br />

con altri parenti una gioielleria, lasciò notevoli somme<br />

all’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e del paese nativo, alla Congregazione di<br />

carità per pagare medicine ai poveri, all’ospedale di Novara<br />

per assicurare le cure agli indigenti di valle Anzasca<br />

e alla parrocchia per opere di bene.<br />

CABALA’ DON GAUDENZIO, sacerdote, partigiano<br />

Gravellona 1890 – Domodossola 1961<br />

Coadiutore della parrocchia di Domo fin dal 1921, poi<br />

cappellano dell’ospedale S. Biagio, fu tra i primi a dedicarsi<br />

alla Resistenza procurando mezzi ai primi nuclei<br />

armati e aiutando i giovani a sottrarsi ai bandi e<br />

alla cattura da parte di neofascisti e tedeschi. Scoperto<br />

unitamente al fratello e alla sorella esercenti in Domo<br />

<strong>il</strong> “Caffè Cabalà” che collaboravano con lui, stette alla<br />

macchia e poi si rifugiò in Svizzera nel giugno 1944.<br />

Rimpatriò <strong>il</strong> 10 settembre per assumere l’incarico di<br />

Commissario all’Istruzione nella Giunta Provvisoria<br />

di Governo, curò l’invio di circa 500 bambini ossolani<br />

in Svizzera. Alla caduta della Repubblica partigiana accompagnò<br />

a Briga due convogli di fuggiaschi e di feriti.<br />

Dopo <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e riprese l’incarico di cappellano al S.<br />

Biagio fino alla fine dei suoi giorni, avvenuta in seguito<br />

a incidente automob<strong>il</strong>istico.<br />

CALCATERRA CARLO senjor, medico, scrittore<br />

Bellinzago 1843 – Gignese 1894<br />

Medico condotto in valle Antigorio dal 1874, abitò a<br />

Premia per vent’anni, zelante e infaticab<strong>il</strong>e nel prestare<br />

la propria opera nei vari disagiati paesetti. Praticò<br />

le vaccinazioni antivaiolose vincendo i pregiudizi della<br />

popolazione e di qualche collega. Amò l’Ossola e la sua<br />

storia m<strong>il</strong>lenaria e fu autore di racconti storici, tra cui<br />

La bella ossolana (1884).<br />

CALCATERRA CARLO JUNIOR,<br />

docente universitario, critico<br />

Premia 1884 - S. Maria Maggiore 1952<br />

Figlio di Carlo, medico condotto di valle Antigorio e di<br />

Carolina Giovanelli di Cannero, allievo apprezzatissimo<br />

di Arturo Graf, conseguì br<strong>il</strong>lantemente la laurea in<br />

lettere nell’Università di Torino presso la quale fu libero<br />

docente dopo aver combattuto nella 1 a guerra mondiale.<br />

Nel 1927 vinse la cattedra di letteratura italiana all’Università<br />

Cattolica di M<strong>il</strong>ano e due anni dopo fondò<br />

la rivista Convivium e firmò gli articoli con lo pseudonimo<br />

Carlo da Premia in ricordo del paese nativo.<br />

Dal 1935 all’anno della scomparsa fu titolare della prestigiosa<br />

cattedra di letteratura italiana nell’ateneo di Bologna.<br />

Sfollato con la famiglia a Druogno (1943), durante<br />

la «repubblica» dell’Ossola (1944), con Contini e<br />

Bonfantini si impegnò a redigere un piano di riforma<br />

scolastica. Fu presidente del Centro nazionale di studi<br />

Alfieriani, curò numerose edizioni e scrisse opere di critica<br />

fra le quali primeggiano: II Parnaso in rivolta; Barocco<br />

e Antibarocco nella poesia italiana; II Barocco in Arcadia<br />

e altri studi sul Settecento; II nostro imminente Risorgimento;<br />

Con Guido Gozzano e altri poeti e Della lingua<br />

di Gozzano; Alma mater studiorum; Poesia e canto.<br />

163


CALPINI STEFANO, politico<br />

Domodossola 1849 – ivi 1902<br />

Figlio di Francesco e Maria Burla. Avvocato di successo<br />

nella sua città, si occupò con passione di agricoltura<br />

e diede ut<strong>il</strong>i consigli ai concittadini. Scrisse Memorie<br />

sulle condizioni dell’agricoltura del Circondario dell’Ossola<br />

pubblicato nel 1901, premiato con medaglia d’argento.<br />

Fu deputato per quattro legislature nella lista liberaldemocratica,<br />

attivo consigliere della Società Operaia e<br />

della Fondazione Galletti.<br />

CAPIS GIOVAN MATTEO, giureconsulto<br />

Domodossola 1617 – ivi 1681<br />

Figlio dello storico e giureconsulto Giovanni e di Laura<br />

Ferrari, studiò leggi a Pavia dove si laureò. Tornato<br />

a Domo accettò la carica di sindaco della Giurisdizione,<br />

che tenne per molti anni occupandosi di far costruire<br />

ripari al Bogna, e dell’amministrazione dell’ospedale<br />

S. Biagio. Curò la stampa dell’opera storica del padre,<br />

si adoperò per la costruzione del nuovo convento<br />

dei Cappuccini, della chiesa e delle cappelle della via<br />

Crucis del Sacro Monte Calvario. A quest’ultima opera<br />

si dedicò con zelo e pietà destando fervore religioso<br />

tra gli Ossolani che lo secondarono in tale grandiosa<br />

opera con sovvenzioni e aiuti di ogni genere. Morendo<br />

lasciò <strong>il</strong> suo patrimonio all’istituzione del Sacro Monte<br />

Calvario.<br />

CAPIS GIOVANNI, giureconsulto, storico<br />

Domodossola 1582 - ivi 1632<br />

Figlio del conte Matteo e di Elisabetta Borgnis compì<br />

gli studi classici a M<strong>il</strong>ano, presso i Gesuiti di Brera,<br />

poi a Pavia si laureò in diritto civ<strong>il</strong>e ed ecclesiastico nel<br />

1605. In quell’epoca comp<strong>il</strong>ò un dizionarietto etimologico<br />

del dialetto lombardo con traduzione in volgare toscano<br />

noto come Varon m<strong>il</strong>anes. Dopo aver fatto pratica<br />

legale a M<strong>il</strong>ano, in seguito alla morte del padre nel<br />

1608 rientrò a Domo per esercitarvi la professione. Fu<br />

anche titolare delle massime cariche elettive della Comunità<br />

per cui si vide costretto a provvedere alle necessità<br />

gravi del suo tempo quali la peste, le disastrose piene<br />

del Bogna. Ma soprattutto lottò in difesa dei priv<strong>il</strong>egi<br />

dell’Ossola contro l’esosità del fisco spagnolo. In<br />

questa ultima occasione, dovendo ricercare e riordinare<br />

grande quantità di documenti del passato, nacque in<br />

164<br />

lui l’idea di tramandare ai posteri una storia dell’Ossola,<br />

quella appunto da lui comp<strong>il</strong>ata e finita nel 1631 e poi<br />

fatta stampare dal figlio Giovan Matteo nel 1673 sotto<br />

<strong>il</strong> titolo di Memorie della corte di Mattarella. L’opera,<br />

di notevole interesse e importanza, ebbe una ristampa<br />

nel 1968.<br />

CASETTI ANTONIO, benefattore<br />

Caddo 1841 - ivi 1888<br />

Figlio di Giovanni e di Maria Cesconi, fece fortuna a<br />

Parigi, dove si era recato undicenne, con attività commerciali<br />

e industriali. Fu amministratore della Società<br />

di Beneficenza <strong>It</strong>aliana a Parigi e Consigliere della Camera<br />

di Commercio. Rientrato in Ossola ideò la strada<br />

Cisore-Caddo-Preglia alla cui realizzazione destinò<br />

vistosa somma. Provvide anche alla costruzione della<br />

scuola elementare di Preglia. La scuola media di Preglia<br />

è dedicata a lui ed al fratello Giovanni.<br />

CASETTI GIOVANNI ANDREA, astronomo, astrologo<br />

Vogogna 1568 - ivi 1628<br />

Di antica famiglia patrizia, si dedicò allo studio delle<br />

scienze naturali e dell’astronomia che poi insegnò a M<strong>il</strong>ano.<br />

Pubblicò annuali effemeridi in cui sono trattati<br />

argomenti cosmici, meteorologici e astrologici. L’effemeride<br />

del 1596 dedicata alla contessa Tornielli reca osservazioni<br />

sulla luna, sull’epatta e su elementi riguardanti<br />

<strong>il</strong> calendario ecclesiastico e solare. In quella del<br />

1612 augura all’Ossola che la peste non infierisca. In un<br />

manoscritto dedicato al cardinale Federico Borromeo,<br />

conservato all’Ambrosiana di M<strong>il</strong>ano, tratta di pronostici<br />

sul tempo in relazione all’aspetto degli astri, desunti<br />

anche dalla tradizione classica (Plinio, Aristotele)<br />

e dalla propria esperienza di osservatore. Nel 1603 pubblicò<br />

in M<strong>il</strong>ano presso l’editore Giacomo M. Meda Il<br />

presagio infallib<strong>il</strong>e sopra la mutazione de’ tempi, Indisposizione<br />

dei corpi calcolato al meridiano della città di M<strong>il</strong>ano<br />

e altre città d’<strong>It</strong>alia.<br />

CASETTI GIOVAN PIETRO, benefattore<br />

Caddo 1846 – ivi 1918<br />

Emigrato a Parigi, lavorò col fratello Antonio nel mob<strong>il</strong>ificio<br />

dello zio e per la rara ab<strong>il</strong>ità e perspicacia ingrandì<br />

notevolmente l’azienda in cui assumeva preferib<strong>il</strong>mente<br />

operai italiani. Rifiutò la cittadinanza francese


sentendosi legato alla Patria e destinò agli <strong>It</strong>aliani e agli<br />

Ossolani in Francia molto denaro in beneficenza. Lasciti<br />

cospicui andarono a Preglia.<br />

CAVALLI CARLO MARIA, giurista, statista, marchese<br />

1684 - M<strong>il</strong>ano 1765<br />

Figlio di Giovanni e di Maria Tomasina, emigrati in<br />

Lombardia, laureato a Pavia <strong>il</strong> 3 agosto 1705 in utroque<br />

iure, percorse a M<strong>il</strong>ano tutti i gradi della magistratura:<br />

Vicario Pretorio della Corte Senatoria di Pavia (1708),<br />

avvocato del Foro M<strong>il</strong>anese (1710), Vicario generale<br />

del Dominio M<strong>il</strong>anese (1726), Membro della Giunta<br />

di Governo (1733). Carlo VI lo nominò Reggente del<br />

Supremo Consiglio d’<strong>It</strong>alia (1737) presso <strong>il</strong> governo di<br />

Vienna e <strong>il</strong> 1° giugno 1739 lo creò Marchese col feudo<br />

di Ceranova nella campagna di Pavia. Nel 1750 si ritirò<br />

a vita privata col priv<strong>il</strong>egio di partecipare alle attività del<br />

Senato a suo piacimento. Ebbe come sostituto al Senato<br />

<strong>il</strong> consultore Paolo della S<strong>il</strong>va. Il fratello Domenico,<br />

Vicario Generale a M<strong>il</strong>ano del cardinale Pozzo-Bonelli<br />

e Regio Imperiale Economo di Maria Teresa, morì a 57<br />

anni nel 1750 e fu sepolto in Duomo a M<strong>il</strong>ano.<br />

CAVALLI CARLO, medico, storico<br />

Santa Maria Maggiore 1799 - ivi 1860<br />

Studi classici e laurea in medicina e chirurgia presso<br />

l’Università di Pavia e di Torino. Fu medico condotto in<br />

val Vigezzo e corrispondente del Giornale delle scienze<br />

mediche, sindaco di Santa Maria Maggiore, presidente<br />

del Consiglio provinciale dell’Ossola, deputato al Parlamento<br />

Subalpino e fautore della carrozzab<strong>il</strong>e val Vigezzo-Domo.<br />

Va ricordato soprattutto per i Cenni statistico-storici<br />

della Val Vigezzo in tre volumi editi a Torino<br />

nel 1845, primo lavoro accurato e fondamentale sulla<br />

storia generale della Valle, che gli ottenne onorificenze e<br />

l’iscrizione a varie accademie italiane e straniere.<br />

CAVALLI ENRICO, pittore<br />

Santa Maria Maggiore 1849 - ivi 1919<br />

Dal padre Carlo Giuseppe, ritrattista, apprese i primi<br />

rudimenti. Trasferitasi la famiglia a Lione, là frequentò<br />

l’Accademia di belle arti, poi fece la spola tra Parigi<br />

e Marsiglia avendo contatti con artisti del suo tempo e<br />

dipingendo ritratti che mandò alle esposizioni di Parigi<br />

e di Torino. In Francia e nella sua Valle continuò la sua<br />

attività, insegnando saltuariamente alla Scuola Rossetti-<br />

Valentini. Le sue opere sono disperse in città della Francia,<br />

in Piemonte e in Lombardia. Un certo numero di<br />

suoi quadri si trovano alla Galleria Giannoni di Novara<br />

e in valle Vigezzo. Merita un posto di r<strong>il</strong>ievo fra i pittori<br />

italiani della seconda metà dell’Ottocento.<br />

CAVALLI GIOVANNI ANTONIO,<br />

chirurgo, amministratore pubblico<br />

Finero 1779 - Malesco 1866<br />

Crebbe a Vienna presso uno zio e là compì gli studi<br />

fino alla laurea in chirurgia conseguita nel luglio 1799.<br />

Entrato nell’esercito austriaco come sanitario, combatté<br />

e cadde prigioniero nella battaglia di Marengo (1800).<br />

Liberato rientrò a Vienna e si perfezionò in ostetricia.<br />

Nel 1816 rimpatriò ed esercitò la professione in valle<br />

Vigezzo con patente del Governo Piemontese, fissando<br />

a Malesco la residenza. Accettò varie cariche sociali nonostante<br />

l’impegno della professione; da sindaco propugnò<br />

la scuola femmin<strong>il</strong>e e la costruzione della strada<br />

carrozzab<strong>il</strong>e Vigezzo-Domodossola. Uno dei figli, Domenico,<br />

rosminiano nel Collegio di Newport (Ingh<strong>il</strong>terra)<br />

fu stimato da cattolici e protestanti.<br />

CAVALLINI GIOVANNI BATTISTA,<br />

giureconsulto, scrittore<br />

Coimo metà del sec. XVI – M<strong>il</strong>ano primo decennio del<br />

sec. XVII<br />

Come tanti vigezzini si trasferì a M<strong>il</strong>ano con i genitori.<br />

Conseguì la laurea in giurisprudenza e si dedicò alla<br />

riforma della procedura, comp<strong>il</strong>ò un formulario guida<br />

per la stesura degli atti notar<strong>il</strong>i, stampato a M<strong>il</strong>ano<br />

nel 1581 presso l’editore Piscaia. Scrisse L’Attuario della<br />

pratica civ<strong>il</strong>e e L’Attuario della pratica criminale, usciti<br />

nel 1587 e nel 1593. Fece stampare <strong>il</strong> Trattato sui sequestri,<br />

dedicato al cardinale Federico Borromeo. Da<br />

lui attinsero i patrocinatori successivi.<br />

CAZZINI GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />

Toceno 1804 - ivi 1859<br />

Figlio di Francesco e di M. Caterina Francini, da ragazzo<br />

fece lo spazzacamino poi si trasferì a Berna da suoi<br />

congiunti in qualità di garzone. Frequentò una scuola<br />

serale, ma da autodidatta si formò una cultura notevole.<br />

Trasferitosi nel Würtemberg ebbe successo economico.<br />

165


Tornato definitivamente a Toceno, si occupò del Comune<br />

del quale fu sindaco e al quale lasciò una notevole<br />

somma per l’erezione dell’as<strong>il</strong>o d’infanzia e della Scuola<br />

femmin<strong>il</strong>e, che presero <strong>il</strong> suo nome. Di fede mazziniana<br />

fondò «La società degli amici del progresso» mantenendo<br />

rapporti amichevoli con <strong>il</strong> Brofferio.<br />

CERETTI PIETRO MARIA,<br />

mercante in ferro, industriale<br />

Intra 1735 - V<strong>il</strong>ladossola 1801<br />

Formò nel 1796 la prima società per lo sfruttamento<br />

del ferro a Viganella in valle Antrona. Per varie vicende<br />

non ebbe successo economico. Continuatore fortunato<br />

fu <strong>il</strong> figlio sacerdote padre Ignazio che, per soppressione<br />

dei conventi rientrato in famiglia fu tutore dei fratelli<br />

minori dopo la morte dei genitori. Ebbe l’avvedutezza<br />

di trasferire la fonderia a V<strong>il</strong>la presso l’Ovesca e <strong>il</strong> porto<br />

del Toce (1804). Da quel momento la Ditta Ceretti si<br />

ingrandì; con i successori divenne la maggiore del Novarese<br />

e per prima costruì un impianto idroelettrico.<br />

CHIOSSI GlOVAN BATTISTA, generale<br />

Domodossola 1863 - ivi 1926<br />

Figlio di Giuseppe e di Natalia S<strong>il</strong>vetti. Studi classici al<br />

Mellerio Rosmini, accademia m<strong>il</strong>itare di Modena, corso<br />

di perfezionamento a Parma, insegnò storia dell’arte<br />

m<strong>il</strong>itare a Modena e fu studioso di R. Montecuccoli.<br />

Combattente decorato nelle guerre coloniali, nella 1 a<br />

guerra mondiale raggiunse <strong>il</strong> grado di generale comandante<br />

la 22 a divisione sul Piave. Condusse a termine<br />

due missioni diplomatiche con <strong>il</strong> Sultano di Alia in Somalia<br />

e con Enver Bey al campo dei Turchi per l’esecuzione<br />

del Trattato di Losanna (1912). Congedatosi nel<br />

1920 fu sindaco di Domo fino alla morte.<br />

CHIOVENDA CANESTRO BEATRICE, letterata<br />

Roma 1901 – ivi 2002<br />

Figlia dell’<strong>il</strong>lustre giurista prof. Giuseppe Chiovenda e<br />

di Lina Gotelli. Dopo gli studi classici e universitari alla<br />

facoltà di lettere di Roma dove si laureò con Adolfo<br />

Venturi, si specializzò in Storia dell’Arte che fu per tutta<br />

la vita <strong>il</strong> centro dei suoi interessi e la sua grande passione.<br />

Frequentò l’ambiente culturale della Roma del secondo<br />

dopoguerra e in particolare i Bellonci, che la vollero<br />

membro della giuria del Premio Strega, Mario Praz<br />

166<br />

e altri celebri intellettuali fra cui la latinista Lidia Storoni<br />

Mazzolari. Amò trascorrere lunghi soggiorni nella<br />

casa di Premosello, dove radunava i collaboratori della<br />

rivista Oscellana che tenne a battesimo e che arricchì<br />

di suoi studi dal 1971 al 1998, su pittori che operarono<br />

nell’Ossola e nel Cusio. Dedicò particolare impegno<br />

allo studio dell’ambone nell’isola di San Giulio, lavoro<br />

pubblicato nel 1955 che riscosse numerosi consensi.<br />

Collaborò alla mostra dei pittori Baciccio e Gaulli.<br />

Amante della montagna fu la prima donna a scalare <strong>il</strong><br />

Monte Rosa nell’estate del 1922. Lasciò al Comune di<br />

Premosello la casa avita.<br />

CHIOVENDA EMILIO, botanico<br />

Roma 1871 - Bologna 1941<br />

Da famiglia di Premosello, figlio di Andrea. Studi classici<br />

al Mellerio Rosmini e laurea in scienze con specializzazione<br />

in botanica. Titolare di cattedra universitaria,<br />

per incarico governativo studiò la flora dell’Eritrea<br />

e della Somalia. Accademico dei Lincei e d’<strong>It</strong>alia. Il suo<br />

erbario monumentale, di grande rinomanza, è custodito<br />

all’Università di Bari.<br />

CHIOVENDA GIUSEPPE, giurista<br />

Premosello 1872 - ivi 1937<br />

Figlio dell’avv. Pietro e di Leopolda Moglino. Dopo<br />

br<strong>il</strong>lanti studi classici al Mellerio Rosmini si laureò a<br />

pieni voti in giurisprudenza a Roma e in quell’Ateneo<br />

insegnò diritto processuale civ<strong>il</strong>e. I suoi studi giuridici<br />

sono fondamentali in <strong>It</strong>alia e nelle legislazioni straniere.<br />

Per la sua profonda dottrina fu consultato per la<br />

riforma dei codici. Dotato anche di talento letterario,<br />

scrisse una tragedia, Corradino di Svevia, a soli quindici<br />

anni e lasciò raccolte di versi intitolate Agave e Poesie.<br />

Nel 1925 sottoscrisse <strong>il</strong> manifesto antifascista di Benedetto<br />

Croce. Fu uomo di molto prestigio per la dirittura<br />

morale e la grande conoscenza giuridica. Per onorarlo,<br />

nel 1959 Premosello assunse <strong>il</strong> suo cognome con decreto<br />

presidenziale.<br />

CHIOVENDA TITO, diplomatico<br />

Premosello 1877 - Domodossola 1949<br />

Figlio dell’avv. Pietro e di Leopolda Moglino. Dopo gli<br />

studi classici al Mellerio Rosmini e la laurea in giurisprudenza<br />

entrò nella carriera consolare ed ebbe l’inca-


ico di ministro plenipotenziario. Nel 1929 console generale<br />

a Francoforte, non essendo iscritto al P.N.F., dovette<br />

ritirarsi a vita privata. Ebbe l’incarico della «Lectura<br />

Dantis» alle Università di Bas<strong>il</strong>ea e di Francoforte. Fu<br />

anche br<strong>il</strong>lante saggista, autore di versi dal titolo Mirt<strong>il</strong>li;<br />

amante della montagna, si rivelò provetto alpinista.<br />

CICOLETTI GIOVANNI, medico, benefattore<br />

Pieve Vergonte 1811 - ivi 1883<br />

Dopo gli studi classici e la laurea in medicina visse agiatamente<br />

beneficando i poveri, le istituzioni scolastiche<br />

e la Chiesa. Ai poveri del Comune lasciò la sua vistosa<br />

sostanza col nome di «Fondazione Cicoletti».<br />

CIOIA GIACOMO, diplomatico<br />

Malesco 1704 - Parigi 1758<br />

Di Francesco e Caterina Jacca. Studiò e visse a Parigi<br />

dove <strong>il</strong> padre e gli zii erano banchieri. Divenne agente<br />

di fiducia del Duca Francesco III di Modena che lo<br />

nominò poi ministro plenipotenziario presso <strong>il</strong> Re di<br />

Francia e suo rappresentante al congresso di Aquisgrana<br />

(1748). Con ab<strong>il</strong>ità e fine diplomazia ottenne al Duca<br />

la restituzione di rendite, beni e Stato da parte dell’imperatrice<br />

Maria Teresa.<br />

Divenne allora Gent<strong>il</strong>uomo di Camera, Consigliere di<br />

Stato e conte di Monzone e d’Acquaviva.<br />

CIOLINA GIOVANNI BATTISTA, pittore<br />

Toceno 1870 - ivi 1955<br />

Allievo della scuola di belle arti e del Cavalli si dedicò<br />

con successo a svariati generi di pittura e fu anche apprezzato<br />

acquafortista. Dopo essere stato a Lione per<br />

conoscere le espressioni dell’arte moderna fu presente<br />

alla Triennale di M<strong>il</strong>ano. È noto specialmente per i suoi<br />

paesaggi e i ritratti conservati in collezioni private.<br />

CONTINI GIANFRANCO, f<strong>il</strong>ologo, critico letterario,<br />

italianista<br />

Domodossola 1912 - ivi 1990<br />

Figlio di Riccardo e di Maria Cernuscoli. Dopo br<strong>il</strong>lanti<br />

studi classici presso <strong>il</strong> Mellerio Rosmini di Domodossola,<br />

si laureò con lode all’Università di Pavia. Specializzatosi<br />

in f<strong>il</strong>ologia a Torino e a Parigi, già nel 1938 insegnò<br />

f<strong>il</strong>ologia romanza nell’Università di Friburgo in<br />

Svizzera e diede alle stampe un commento alle Rime di<br />

Dante e altri scritti, rivelatori del suo talento. Presente<br />

in Ossola nel 1944, durante i «quaranta giorni di libertà»<br />

partecipò quale rappresentante del Partito d’Azione<br />

alle sedute del C.L.N, per la costituzione della Giunta<br />

e insieme con Carlo Calcaterra studiò una riforma<br />

scolastica. Nel dopoguerra ebbe cattedra di f<strong>il</strong>ologia romanza<br />

nelle Università di Firenze e di Pisa, docente indimenticab<strong>il</strong>e<br />

e affascinante per i discepoli, consigliere<br />

per gli editori. Pubblicò, tra l’altro, Poeti del Duecento,<br />

l’Opera in versi di Montale e studi fondamentali su<br />

Dante, Petrarca, Boccaccio nonché Il Breviario di Ecdotica,<br />

Altri Esercizi, Ultimi Esercizi ed Elzeviri, La letteratura<br />

dell’<strong>It</strong>alia Unita. F<strong>il</strong>ologo di conclamata rinomanza<br />

internazionale, seppe congiungere la f<strong>il</strong>ologia con la<br />

critica letteraria mediante la critica delle varianti e relativi<br />

principii e implicazioni. Ritornò ad abitare a Domodossola<br />

in seguito a grave malattia che non gli impedì<br />

di continuare l’attività intellettuale e gli studi sino<br />

al termine della sua vita. Fece pubblicare nei Rendiconti<br />

dell’Accademia Nazionale dei Lincei gli Statuti quattrocenteschi<br />

dei «disciplinati» del nostro borgo, scritti in un<br />

volgare, che definì «<strong>il</strong>lustre». Con l’occasione catalogò i<br />

dialetti dell’Ossola definiti “un complesso lombardo-alpino<br />

su fondale di isoglosse piemontesi”.<br />

CUROTTI SlLVESTRO,<br />

medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />

Vagna (Domodossola) 1920 - Oira di Nonio 1944<br />

Figlio di Amedeo e di Maria Bellardoni, imbianchino a<br />

Domodossola, nel 1940 artigliere alpino combattente<br />

sul fronte occidentale. Dopo l’8 settembre 1943 rientrò<br />

in Ossola e fece parte dei primi raggruppamenti partigiani,<br />

poi passò nella formazione «Beltrami» operante<br />

sul lago d’Orta. Sorpreso ad Oira e circondato da forze<br />

tedesche, resistette solo dentro una casa del paesetto per<br />

oltre quattro ore e non si arrese, ma quando vide esaurite<br />

le munizioni, serbò per sé l’ultima pallottola.<br />

DAVIA GIOVANNI ANTONIO, cardinale<br />

Bologna 1661 - Roma 1740<br />

Da genitori vicenesi nacque a Bologna nella prima metà<br />

del secolo XVII. Fu internunzio a Bruxelles, nunzio in Polonia<br />

ed a Colonia, arcivescovo di Tebe, vescovo di Rimini<br />

nel 1698 ed infine creato cardinale da Clemente XI.<br />

167


Davia Giovanni Antonio, Cardinale<br />

Bologna 1661 - Roma 1740<br />

Facchinetti Giov. Antonio, Papa Innocenzo IX<br />

Bologna 1519 - Roma 1591<br />

Della S<strong>il</strong>va Paolo jr., consultore, statista, storico e letterato<br />

Crevola 1691 - M<strong>il</strong>ano 1789<br />

Fantonetti Giovan Battista, medico<br />

Pavia 1791 - Piedimulera 1861


DE ALBERTIS ALBERTO VITALE ANDREA,<br />

armatore, benefattore<br />

Vanzone 1703 - Arbon (Costanza) 1782<br />

Figlio di Bartolomeo e di Domenica Falcini. Trasferitosi<br />

con i genitori a Genova, da mozzo divenne proprietario<br />

di navi per <strong>il</strong> trasporto di merci dalle Indie, con profitti<br />

enormi. Fu consigliere commerciale del Vescovo di<br />

Costanza e lasciò alla confraternita della SS. Annunziata<br />

di Vanzone case, terreni e una notevole somma per i<br />

poveri e per l’istruzione religiosa.<br />

DE ANTONIS GIUSEPPE,<br />

avvocato, pubblico amministratore, benefattore<br />

Domodossola 1868 - ivi 1945<br />

Figlio del geom. Luigi De Antonis. Studi classici al Mellerio<br />

Rosmini e laurea in legge a Torino, avvocato penalista,<br />

sindaco di Domo, m<strong>il</strong>itante socialista al tempo<br />

di Turati, collaboratore del giornale L’indipendente.<br />

Presidente della Fondazione Galletti, ne arricchì <strong>il</strong> patrimonio<br />

numismatico e artistico. Durante la l a guerra<br />

mondiale presiedette l’opera di assistenza ai profughi<br />

dalle terre invase. Lasciò in beneficenza alla Parrocchia la<br />

sua casa e ai Padri Rosminiani la sua v<strong>il</strong>la di Mattarella.<br />

DE AUGUSTINIS ENRICO AGOSTINO,<br />

politico, marchese<br />

Pecetto di Macugnaga 1737 - Vallese 1823<br />

Dopo gli studi entrò in diplomazia e fu membro del<br />

corpo diplomatico di Carlo III di Spagna poi membro<br />

della Dieta Generale e Presidente del Consiglio di Stato<br />

del Canton Vallese e per due volte Gran Balivo. Inaugurò<br />

la strada del Sempione nel 1805, in rappresentanza<br />

dei Vallesani.<br />

DE BACENO GASPARE e BALDASSARRE,<br />

condottieri di m<strong>il</strong>izie ossolane<br />

Figli di Bernardino valvassore di valle Formazza vissuti<br />

fra i secoli XV-XVI. Durante la contesa tra Francesco<br />

I e Carlo V parteggiarono per i Francesi come <strong>il</strong> cognato<br />

Paolo della S<strong>il</strong>va e furono valorosi combattenti a Pavia<br />

e alla Rocca di Arona. In Ossola furono fieri avversari<br />

di Benedetto e Francesco Del Ponte sostenitori degli<br />

Spagnoli.<br />

DE BERNARDIS GIORGIO, scultore<br />

Buttogno 1606 circa - sconosciuta la data di morte<br />

Figlio di Giacomo Antonio e di Antonietta Mazzetta.<br />

La sua attività artistica iniziò intorno al 1630 e fino al<br />

1664 tenne bottega e scuola di intaglio a Domo in via<br />

Briona; poi forse si trasferì nei Vallese dove la sua presenza<br />

è attestata da suoi lavori. Fra le sue opere di maggior<br />

pregio ci sono l’altare ligneo e lo splendido armadio<br />

di sacrestia della parrocchiale di Seppiana, <strong>il</strong> grande<br />

crocifisso della collegiata di Domo, le porte della chiesa<br />

di Croveo e di Seppiana.<br />

DE GIORGI GIUSEPPE, pittore e fotografo<br />

Ceppo Morelli 1870 – Vanzone 1946<br />

Emigrato a Bordeaux presso la sorella, seguendo l’inclinazione<br />

partecipò a un corso di preparazione all’arte decorativa<br />

secondo modelli proposti nelle Accademie, ma<br />

soprattutto fu autodidatta. Rientrato in <strong>It</strong>alia mantenne<br />

contatti con la Francia e particolarmente con l’Alta<br />

Savoia dove lavorò nel decennio 1920-30. Precedentemente<br />

aveva realizzato alcune tele per chiese e oratori<br />

della sua valle Anzasca, dell’Ossola e del Novarese. Verso<br />

gli inizi del 1930 aprì bottega a Macugnaga attuando<br />

<strong>il</strong> legame tra pittura e fotografia e stringendo rapporti<br />

con pittori della valle e frequentatori di essa, alcuni dei<br />

quali specialisti in arte sacra. Attinse appunti dai grandi<br />

maestri del passato riproponendoli nelle volte delle<br />

chiese di Vanzone, Piedimulera e poi Vogogna. Durante<br />

<strong>il</strong> periodo della sua attività si avvalse della fotografia<br />

per procurarsi modelli di abitanti della valle, da ut<strong>il</strong>izzare<br />

nelle figure di personaggi biblici e figure allegoriche.<br />

In seguito dipinse paesaggi montani e scattò fotografie<br />

di luoghi pittoreschi che furono oggetto di cartoline<br />

e stampe, fotografie di persone, base di ritratti su<br />

tela emulsionata.<br />

DELL’ANGELO GIOVANNI BATTISTA,<br />

naturalista, benefattore<br />

Parigi 1834 – Craveggia 1911<br />

Figlio di Gian Giacomo e di Maria Cottini residenti in<br />

Francia per attività commerciali. Ricco per eredità paterna,<br />

si dedicò allo studio delle scienze naturali e divenne<br />

raccoglitore di foss<strong>il</strong>i e minerali di pregio cui aggiunse<br />

una sezione di ornitologia. Donò alla Fondazione<br />

Galletti <strong>il</strong> tutto, da lui scientificamente catalogato<br />

perché servisse agli studiosi ossolani. Comp<strong>il</strong>ò anche un<br />

catalogo delle famiglie craveggesi con la loro genealo-<br />

169


gia. Beneficò l’As<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e e lasciò una borsa di studio<br />

per <strong>il</strong> migliore alunno delle elementari del paese.<br />

Fece costruire una fontana pubblica e collaborò al progetto<br />

della realizzazione della ferrovia Vigezzina.<br />

DELLA SILVA PAOLO, condottiero<br />

Crevola 1476 - ivi 1536<br />

Figlio di Giovanni Antonio e di Dorotea Morone, entrò<br />

giovanissimo nella m<strong>il</strong>izia del condottiero G. Trivulzio<br />

al servizio del Re di Francia e prese parte alle guerre<br />

contro la Spagna per <strong>il</strong> possesso del ducato di M<strong>il</strong>ano.<br />

Dopo la battaglia di Marignano, fu custode della piazzaforte<br />

di Cremona e <strong>il</strong> 14 maggio 1516 fu nominato<br />

cittadino onorario di quella città. Nel 1518 lo fu di M<strong>il</strong>ano<br />

e di Pavia. Morto <strong>il</strong> Trivulzio (1518) e nonostante<br />

la sconfitta dei Francesi (1525) egli difese l’Ossola dagli<br />

Spagnoli e poi riparò a Parigi. Nel 1526 fece parte<br />

della spedizione francese a Roma in difesa di Clemente<br />

VII <strong>il</strong> quale lo creò Conte Palatino e Barone Romano.<br />

Tornato a vivere nel castello di Crevola si dedicò a<br />

opere di beneficenza e di fede facendo affrescare la chiesa<br />

parrocchiale di Crevola e la Madonna della Neve di<br />

Domodossola. Diede avvio alla costruzione del palazzo<br />

S<strong>il</strong>va (su area di famiglia nel borgo di Domo) in st<strong>il</strong>e<br />

rinascimentale.<br />

DELLA SILVA PAOLO JUNIOR,<br />

consultore, statista, storico e letterato<br />

Crevola 1691 - M<strong>il</strong>ano 1789<br />

Figlio del nob<strong>il</strong>e Marc’Antonio e di Elena Denti. Studi<br />

classici a M<strong>il</strong>ano e laurea in giurisprudenza a Pavia.<br />

Ricusata la carriera m<strong>il</strong>itare, tradizionale in famiglia, fu<br />

avvocato pubblico della città di M<strong>il</strong>ano e libero professionista,<br />

difensore dei priv<strong>il</strong>egi dell’Ossola che venne<br />

esentata da tasse catastali. Nel 1755 Capitano di Giustizia<br />

a Cremona, nel 1760 Presidente del Supremo Consiglio<br />

di Giustizia a Mantova e Capo della Giunta del<br />

Vice Governo. Nel 1760 Consigliere intimo di Stato<br />

di Maria Teresa, che lo incaricò di trattare con Venezia<br />

un’annosa questione sull’uso delle acque di risorgiva ai<br />

confini dei due Stati. Nel 1763 fu Consultore del Governo<br />

Generale di Lombardia. Scrisse in latino trattati<br />

di giurisprudenza, la storia dei fatti e del costume della<br />

M<strong>il</strong>ano dei suoi tempi, la storia dell’Ossola a continua-<br />

170<br />

zione di quella del Capis e la storia della sua famiglia,<br />

opere tutte inedite.<br />

DEL LONGO BRAGGIO IDA,<br />

cronista, benemerita CRI<br />

Domodossola 1879 - ivi 1965<br />

Insegnò in scuole elementari dell’Ossola poi economia<br />

domestica alla professionale «Galletti». Animatrice e<br />

promotrice di iniziative sociali, nel 1919 ebbe la medaglia<br />

d’oro dal Comune di Domo per aver diretto l’ufficio<br />

notizie e ricerche di m<strong>il</strong>itari prigionieri durante la<br />

guerra 1915-18 e dal Ministro della Guerra quella d’argento<br />

con uguale motivazione. Nel 1935 fondò <strong>il</strong> gruppo<br />

domese Crocerossine volontarie. Fu anche cronista<br />

per un cinquantennio di ogni episodio lieto e triste della<br />

vita cittadina e ossolana e inoltre custode delle tradizioni<br />

e parte attiva in ogni comitato benefico, madrina<br />

degli alpini dell’Ossola. Nel 1944 collaborò con la<br />

Giunta Provvisoria di Governo in campo assistenziale.<br />

Il volumetto Piccolo mondo Ossolano raccoglie <strong>il</strong> meglio<br />

della sua attività giornalistica.<br />

DELL’ORO ARTURO, medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />

Vallenar di Atocama (C<strong>il</strong>e) 1896 - Belluno 1917<br />

Figlio di Alessandro. Studiò in <strong>It</strong>alia diplomandosi all’Istituto<br />

Feltrinelli di M<strong>il</strong>ano. Volontario in aeronautica<br />

nel 1915 ottenne <strong>il</strong> brevetto di p<strong>il</strong>ota e partecipò ad<br />

azioni belliche nel Trentino, nel Tirolo, a Vipacco guadagnando<br />

la medaglia d’argento (1916). Nel 1917 conseguì<br />

<strong>il</strong> brevetto su apparecchi da caccia e dopo molte<br />

audaci imprese si lanciò contro un velivolo nemico che<br />

abbatté urtandolo con <strong>il</strong> proprio e precipitando a sua<br />

volta, consapevole del sacrificio.<br />

DE MAURIZI GIOVANNI BATTISTA,<br />

storico dell’Ossola, sacerdote<br />

Re 1875 - Premia 1939<br />

Figlio di Antonio e di Maria Giovanna Cerioli. Pastorecontadino<br />

entrò in seminario diciottenne. Ordinato sacerdote<br />

nel 1908 , coadiutore a S. Maria Maggiore iniziò<br />

subito le sue ricerche storiche negli archivi della Valle e<br />

l’anno dopo pubblicò una storia documentata sul miracolo<br />

di Re e le vicende del santuario fino ai suoi giorni.<br />

Nel 1910 pubblicò Appunti di storia vigezzina segui


ti da La valle Vigezzo corredate da biografie vigezzine<br />

di dieci <strong>il</strong>lustri personaggi. La Guida della valle Vigezzo<br />

(1911) lo fece conoscere per le notizie storiche, artistiche,<br />

scientifiche e di interesse turistico. Negli anni<br />

della Grande Guerra fu soprattutto vicino alle famiglie<br />

con figli al fronte. Resse poi le parrocchie di Trontano<br />

e quella di Montescheno in valle Antrona. Nel 1919<br />

scrisse la storia di Montescheno comprendente gli statuiti<br />

e gli ordinamenti (1519) di quella comunità. Suggeritore<br />

e fautore di enti associativi e mutue per <strong>il</strong> bene<br />

dei parrocchiani, si interessò anche delle miniere d’oro,<br />

argento, ferro di valle Antrona che descrisse in un articolo<br />

per <strong>il</strong> bollettino del C. A. I. (1923). Nel 1924, parroco<br />

a Premia, avviò studi sui De Rodis Baceno e sugli<br />

statuti di quella comunità. Nel 1927 pubblicò Le valli<br />

Antigorio e Formazza e fra <strong>il</strong> 1928 e <strong>il</strong> 1931 S. Maria<br />

Maggiore e Crana, II nuovo Comune di Craveggia, Buttogno<br />

in valle Vigezzo. Preparò uno studio su V<strong>il</strong>ladossola<br />

(manoscritto) e collaborò al Bollettino storico per la Provincia<br />

di Novara, all’Archivio storico della Svizzera <strong>It</strong>aliana<br />

e accettò l’incarico della S.E.O. di scrivere l’apprezzatissima<br />

guida L’Ossola e le sue valli. Fu membro della<br />

Regia Accademia delle Scienze di Torino ma, privo di<br />

contributi economici, non pubblicò le numerosissime<br />

notizie che aveva continuato a raccogliere e che in parte<br />

fortunatamente finirono nell’archivio di «Oscellana».<br />

DEL PONTE BENEDETTO,<br />

condottiero di m<strong>il</strong>izie ossolane<br />

Domodossola 1430 - ivi 1537<br />

Figlio del conte palatino Giovanni Battista. Studiò lettere<br />

e giurisprudenza ma preferì fare <strong>il</strong> condottiero di<br />

m<strong>il</strong>izie per conto degli Sforza e degli Spagnoli. Dopo alterne<br />

vicende, in seguito alla vittoria di Carlo V, fu nominato<br />

luogotenente del conte Borromeo per l’Ossola<br />

e responsab<strong>il</strong>e della Banca Civ<strong>il</strong>e e Criminale, carica lucrosa<br />

e ambita.<br />

DE PIETRI (DE PETRIS) PIETRO, pittore<br />

S. Rocco di Premia 1663 - Roma 1716<br />

Figlio di Giovanni Antonio e di Caterina Pezetta. Adolescente<br />

emigrò a Roma dove si dedicò al disegno e là<br />

divenne pittore di fama ottenendo la protezione di Clemente<br />

XI Albani che gli commissionò alcuni dipinti<br />

(noto un affresco in S. Clemente). Decorò anche palaz-<br />

zi della nob<strong>il</strong>tà (Pallavicino). Personaggi <strong>il</strong>lustri e ambasciatori<br />

stranieri durante i loro soggiorni romani furono<br />

suoi committenti di quadri e incisioni. Invitato in Ingh<strong>il</strong>terra<br />

non accettò. Fu ammirato per l’armonia delle<br />

grandi composizioni e la soavità delle figure femmin<strong>il</strong>i.<br />

DE REGIBUS LUCA, professore universitario<br />

Vogogna 1895 – Genova 1969<br />

Figlio di Pio e di Angiolina Innocenti. Studi classici e<br />

laurea in lettere a Torino con specializzazione in f<strong>il</strong>ologia<br />

classica; dopo la parentesi m<strong>il</strong>itare, nel 1922 si laureò<br />

anche in legge. Preside del Ginnasio-Liceo a Novara.<br />

Tra <strong>il</strong> 1934-1936 fu Consigliere Nazionale, nel 1940<br />

divenne titolare di storia romana a Genova e poi Preside<br />

della facoltà di lettere e f<strong>il</strong>osofia. Lasciò numerose pubblicazioni<br />

di storia romana in parte a cura dell’Ateneo<br />

genovese. Il fratello maggiore don Adalgiso, sacerdote<br />

laureato in lettere, preside del liceo classico a Novara e<br />

dell’Istituto Magistrale di Bobbio di Val Trebbia, raccolse<br />

notizie di storia vogognese e pubblicò brevi cenni<br />

sui fatti del 1798.<br />

DE RODIS GUIDO, feudatario di Premia, benefattore<br />

Nel 1250 fece costruire a proprie spese la chiesa di S.<br />

Michele di Premia e all’interno <strong>il</strong> sepolcreto di famiglia.<br />

Di lui resta <strong>il</strong> ritratto in un medaglione incastonato nella<br />

parete in cornu epistulae.<br />

DI SALVATORE NINO,<br />

artista, maestro del design italiano<br />

Verbania Pallanza 1924 – M<strong>il</strong>ano 2001<br />

Frequenta <strong>il</strong> liceo artistico a M<strong>il</strong>ano ma è affettivamente<br />

legato a Domodossola dove vivono i suoi genitori e<br />

dove torna sempre. Studia i capolavori dell’arte e nel<br />

1948 approda all’astrattismo. Nel 1949 apre una scuola<br />

di belle arti a Domodossola alla quale fa seguito quella<br />

di Novara. Introduce materie nuove quali ‘psicologia<br />

della forma’ e ‘f<strong>il</strong>osofia dell’estetica’. Aderisce al MAC,<br />

<strong>il</strong> movimento di arte concreta che ha come esponenti<br />

Munari, Soldati, Dorfles e altri maestri. Nel 1954 si<br />

trasferisce a M<strong>il</strong>ano dove apre con felice intuito la prima<br />

scuola di design industriale da lui diretta con maestrìa<br />

fino al 1998. Ad essa si iscrissero in numero grandissimo<br />

studenti italiani e stranieri ai quali egli insegnò<br />

fisiologia e scienza della visione, affidando a rinomati<br />

maestri le altre materie nuove. La sua scuola ottenne la<br />

171


Medaglia d’oro della X Triennale Internazionale di M<strong>il</strong>ano,<br />

<strong>il</strong> Compasso d’oro dell’Adi. Si distinse per la ricerca<br />

di nuove sperimentazioni, coltivò la pittura astrattogeometrica<br />

con successo, espose sue opere alla Biennale<br />

di Venezia, alla Triennale di M<strong>il</strong>ano e al Moma di New<br />

York, commentate con favore da critici italiani e stranieri,<br />

citato nei testi di storia dell’arte moderna. Sono<br />

da ricordare le sue felici intuizioni nel rapporto tra geometria,<br />

pittura e musica. Sul finire degli anni Novanta<br />

“La Fabbrica” di V<strong>il</strong>ladossola ospitò una mostra antologica<br />

delle opere del Maestro che volle essere presente a<br />

spiegare e <strong>il</strong>lustrare <strong>il</strong> significato della sua ricerca pittorica<br />

ai molti visitatori accorsi.<br />

ERBA GIUSEPPE BARTOLOMEO,<br />

matematico, benefattore<br />

Domodossola 1819 - Torino 1895<br />

Figlio del banchiere Giuseppe e di Maria Azzari figlia<br />

dello sfortunato cospiratore Giuseppe Antoni. Dopo gli<br />

studi classici nelle scuole melleriane si laureò nel 1841<br />

al Politecnico di Torino con <strong>il</strong> plauso del celebre matematico<br />

Plana e nello stesso anno conseguì <strong>il</strong> diploma<br />

di architetto. Nel 1848 fece parte della Guardia Nazionale<br />

a capo degli Ossolani residenti nella capitale piemontese.<br />

Nel 1850 ebbe nell’Ateneo Torinese la cattedra<br />

di calcolo infinitesimale. Nel 1857 passò alla cattedra<br />

di Meccanica razionale che tenne fino al 1891 e per<br />

qualche tempo fu Rettore Magnifico. Progettò palazzi<br />

(Palazzo Mogni in Domodossola e V<strong>il</strong>la Franzi in Pallanza)<br />

e chiese. Profuse ingenti somme in beneficenza<br />

ma volle mantenere l’anonimato.<br />

FACCHINETTI GIOV. ANTONIO,<br />

Papa Innocenzo IX<br />

Bologna 1519 – Roma 1591<br />

Dopo studi ecclesiastici e giuridici br<strong>il</strong>lanti, fu segretario<br />

del Papa Paolo III Farnese che lo promosse governatore<br />

di Parma. Partecipò al Conc<strong>il</strong>io di Trento, di là<br />

<strong>il</strong> Papa Pio V Ghislieri lo mandò ambasciatore a Venezia<br />

per porre le basi di quella alleanza fra Stati Cristiani<br />

che vinse a Lepanto la flotta dei Turchi. Creato Cardinale,<br />

portò a termine delicati incarichi diplomatici. Nel<br />

1591 fu eletto Papa e scelse <strong>il</strong> nome di Innocenzo IX.<br />

Non riuscì ad effettuare le riforme che aveva progettato<br />

perché morì dopo due soli mesi di pontificato.<br />

172<br />

FACINI BENEDETTO, medico, benefattore<br />

Domodossola 1741 - ivi 1826<br />

Figlio del giureconsulto Martino e di Teresa Cairati,<br />

laureato in medicina presso l’Università di Pavia esercitò<br />

a Domo la professione medica. Sopraintendente alla<br />

sanità e medico dell’Ospedale S. Biagio fino al 1809,<br />

dove ebbe in cura i m<strong>il</strong>itari napoleonici e italici. Lasciò<br />

le proprie cospicue sostanze e quelle avute dal fratello<br />

Giuseppe (1739-1805 già Capitano delle m<strong>il</strong>izie<br />

paesane e giudice-pretore di S. Maria Maggiore) per la<br />

costruzione del ricovero di vecchiaia e mendicità e al<br />

Comune di Domo una notevole somma per pagare un<br />

maestro elementare.<br />

FALCIONI ALFREDO, Senatore, ministro<br />

Cuzzego (Beura Cardezza) 1868 - Ghiffa 1936<br />

Figlio di Giovanni e di Giuditta Moro. Studi classici<br />

e laurea in legge a Torino, avvocato a Domo, deputato<br />

al Parlamento dal 1900, Sottosegretario agli Interni,<br />

membro della delegazione internazionale del Sempione<br />

a Berna, Ministro dell’agricoltura, Ministro di Grazia<br />

e Giustizia, Presidente della Commissione Internazionale<br />

degli stupefacenti. Nel 1925 si ritirò a vita privata<br />

e fu nominato consigliere delegato della Edison e<br />

della Gondrand. Nel 1929 fu eletto senatore per nomina<br />

regia. Diresse con <strong>il</strong> fratello avvocato Ernesto <strong>il</strong> giornale<br />

L’Ossola.<br />

FALCIONI GIOVANNI, avvocato, politico<br />

Domodossola 1916 – ivi 2003<br />

Figlio dell’avvocato Ernesto e di Maria Rapetti.<br />

Br<strong>il</strong>lanti studi classici al Mellerio Rosmini e universitari<br />

a M<strong>il</strong>ano conclusi lodevolmente con laurea in giurisprudenza.<br />

Praticante presso lo studio legale paterno,<br />

nel 1942 come Ufficiale del Commissariato m<strong>il</strong>itare<br />

prese parte alla campagna di Russia nell’ARMIR –<br />

Divisione Ravenna. Durante la Repubblica dell’Ossola<br />

fu assessore nella giunta cittadina, di nomina del CLN,<br />

quale esponente del P.L.I. Coadiuvò <strong>il</strong> giudice straordinario<br />

avv. Vigorelli nella sorveglianza del campo di<br />

concentramento di Druogno. Membro responsab<strong>il</strong>e del<br />

partito liberale provinciale, fu sindaco di Domodossola<br />

negli anni Sessanta. Svolse l’attività professionale con<br />

pieno successo e fu per un decennio presidente stimato<br />

e capace della Banca Popolare di Intra.


FALCIONI GIOVANNI BATTISTA, ingegnere<br />

Cuzzego (Beura Cardezza) 1839 - Udine 1899<br />

Figlio di Giuseppe e Linda Porazzi. Studi classici al Collegio<br />

Mellerio Rosmini di Domodossola, laurea in ingegneria<br />

al Politecnico di Torino nel 1865. Nel 1866 <strong>il</strong><br />

ministro Quintino Sella gli affidò la cattedra di meccanica<br />

all’Istituto tecnico di Udine, città da poco entrata a<br />

far parte del Regno d’<strong>It</strong>alia. Esercitò anche la libera professione<br />

progettando as<strong>il</strong>i, chiese, scuole, officine per <strong>il</strong><br />

Friuli e diresse la Esposizione Friuliana nel 1883. Pubblicò<br />

opere di divulgazione scientifica.<br />

FANTONETTI GIOVAN BATTISTA, medico<br />

Pavia 1791 – Piedimulera 1861<br />

Da genitori di valle Anzasca, laureato in medicina e chirurgia<br />

all’Università di Pavia vi insegnò patologia e chimica.<br />

Trasferitosi a M<strong>il</strong>ano esercitò la professione medica<br />

con successo. Nel 1836 pubblicò le Effemeridi delle<br />

scienze mediche che lo fecero stimare anche all’estero.<br />

Diresse a Venezia un’importante pubblicazione medica<br />

e tradusse e commentò opere mediche straniere. Fu<br />

membro di accademie europee. Tornato in Ossola ed<br />

eletto presidente del Consiglio Provinciale, promosse lo<br />

sfruttamento delle miniere aurifere. Lasciò la propria<br />

biblioteca alla città di Domodossola.<br />

FARINA GIOVANNI MARIA, industriale<br />

Santa Maria Maggiore 1685 - Colonia 1766<br />

Emigrato a Colonia presso congiunti produsse e diffuse<br />

l’«acqua admirab<strong>il</strong>is» usando la formula, avuta dal vigezzino<br />

Feminis con <strong>il</strong> nome Johan Maria Farina gegenüber<br />

dem Julichsplatz-Koeln. Nel 1742 comparve sulle<br />

confezioni la dicitura in francese Eau de Cologne e la<br />

diffusione in tutto <strong>il</strong> mondo procurò fama e ricchezza a<br />

lui, ai suoi successori, e dal 1877 alla casa Roger et Gallet<br />

di Parigi che ne acquistò i diritti.<br />

FEMINIS GIOVANNI PAOLO,<br />

inventore dell’acqua di Colonia, benefattore<br />

Crana 1670 circa - Colonia 1736<br />

Emigrato presso parenti a Magonza, imparò l’arte dell’erborista<br />

e a Colonia fabbricò un’acqua odorosa chiamata<br />

«aqua admirab<strong>il</strong>is» che mise in commercio dal<br />

1727. Contribuì con ingenti somme alla costruzione<br />

della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maggiore, del-<br />

la casa comunale, di un oratorio a Crana, di una scuola<br />

per i ragazzi del paese. Trasmise la formula dell’acqua<br />

di colonia ai conterranei Giovanni Antonio e Giovan<br />

Maria Farina.<br />

FERINO PIETRO MARIA, generale<br />

Craveggia 1747 - Parigi 1816<br />

Avviato al commercio dal padre uomo d’affari a Parigi,<br />

preferì scegliere la carriera m<strong>il</strong>itare. Combatté valorosamente<br />

al servizio della Francia repubblicana e poi nell’esercito<br />

imperiale di Napoleone che lo promosse generale<br />

e Grand’Ufficiale della Legion d’onore. Anche Luigi<br />

XVIII lo onorò con pari grado.<br />

FERRARI BALDASSARRE, cavaliere di Malta<br />

Sec. XVI<br />

Appartenente alla <strong>il</strong>lustre famiglia domese dei Ferrari.<br />

Il 14 apr<strong>il</strong>e 1580 venne iscritto nel ruolo generale dei<br />

Cavalieri italiani dell’Ordine di Malta presso <strong>il</strong> Gran<br />

Priorato di Lombardia e assegnato alla casa generalizia.<br />

Rimpatriò nel 1586 con speciale licenza del Gran Maestro<br />

Ugo Daubex De Verdala per gravi motivi di famiglia.<br />

Fu caro a Papa Innocenzo IX che gli rivolse lettere<br />

amichevoli (in particolare quella dell’11-2-1589). In<br />

Domo <strong>il</strong> cav. Ferrari aveva una sua Corte con uomini<br />

d’armi pronti a intervenire a difesa della giusta causa e<br />

della chiesa, ma non per conflitti politici. Invitato dal<br />

Podestà di Mattarella a intervenire nelle lotte politiche,<br />

oppose netto rifiuto. Promosse con i fratelli e i consanguinei<br />

l’erezione di una confraternita (del S. Cordone)<br />

a scopi benefici presso la chiesa di S. Francesco di<br />

Domo nella quale era <strong>il</strong> sepolcreto dei Ferrari indicato<br />

con otto F. (Fratres Ferrarii Franciscanae Fraternitatis<br />

Fam<strong>il</strong>iae Ferrariae Fecerunt Fieri).<br />

FERRARIS ADOLFO SEBASTIANO, storico<br />

Pontemaglio di Crevola 1901 - Domodossola 1954<br />

Figlio di Giulio e di Maria Ferraris, studi classici al Mellerio<br />

Rosmini e laurea in lettere e f<strong>il</strong>osofia all’Università<br />

di Torino. Insegnò per qualche anno; scelta la carriera<br />

amministrativa, fu titolare della segreteria dell’ospedale<br />

S. Biagio di Domo. Coltivò gli studi storici e con profonda<br />

competenza portò a termine la Bibliografia Ossolana,<br />

opera indispensab<strong>il</strong>e, frutto di ricerche impegnative.<br />

Collaborò al Bollettino storico per la Provincia di<br />

173


Feminis Giovanni Paolo, inventore dell’acqua di Colonia e benefattore<br />

Crana 1670 (circa) - Colonia 1736<br />

Ferrari Baldassarre, Cavaliere di Malta<br />

secolo XIV<br />

Ferino Pietro Maria, Generale<br />

Craveggia 1747 - Parigi 1816<br />

Guattani Carlo, chirurgo e archiatra pontificio<br />

Pontegrande 1709 - Roma 1773


Novara e ai giornali locali con argomenti vari. Pubblicò<br />

Novelle e leggende ossolane (1927), L’Ospedale di S. Biagio<br />

con appendice di pergamene inedite (1935), e La<br />

Società di Mutuo soccorso e istruzione fra Operai di Domo<br />

(1937). Usò Io pseudonimo Adolfo da Pontemaglio.<br />

FIZZOTTI GERMANA, giornalista, scrittrice<br />

Parigi 1911 – Domodossola 2003<br />

Trasferitasi con i genitori a Domodossola, fu impiegata<br />

di buon livello in una casa di spedizioni. Iscritta all’albo<br />

dei giornalisti dal 1947, acquistò notorietà come<br />

collaboratrice del Risveglio Ossolano e di alcune riviste<br />

con saggi e novelle. Coltivò amicizie con persone di cultura<br />

fra le quali Virginia Galante Garrone (sorella dei<br />

più noti Alessandro e Carlo) che scrisse la prefazione<br />

del suo romanzo autobiografico La casa del buon Dio<br />

stampato nel 1985. Nel 1978 era già uscito <strong>il</strong> suo testo<br />

di accompagnamento ai disegni di Remy Paggi, raccolte<br />

nel volume Dal Sempione al Lago Maggiore, mentre<br />

nel 1983 aveva dato alle stampe Valle Anzasca nel passato<br />

e nel presente. Con <strong>il</strong> suo ultimo lavoro Centonovantatré<br />

cassette del 1990 ricorda scene del passato e <strong>il</strong> fratello<br />

Piero.<br />

FORNARA CARLO, pittore<br />

Prestinone di Craveggia 1871 – ivi 1968<br />

Figlio di Giuseppe Antonio e di Anna M. Nicolai, fu allievo<br />

del Cavalli che lo accostò alla grande pittura veneta<br />

e fiamminga e alla moderna maniera degli Impressionisti<br />

francesi. Ventenne mandò un suo quadro, La<br />

bottega del calderaio, alla Triennale di M<strong>il</strong>ano e ottenne<br />

successo. Incontrò Segantini e come lui usò la tecnica<br />

divisionista. Soggiornò e lavorò a Parigi e dal 1922<br />

si stab<strong>il</strong>ì a Prestinone per dipingere in solitudine, senza<br />

più partecipare a esposizioni nonostante i molti riconoscimenti.<br />

Lasciò una vasta e ammirata produzione.<br />

La luce è protagonista dei suoi dipinti dedicati alla valle<br />

nativa studiata in ogni aspetto, in ogni stagione, in ogni<br />

ora del giorno e realizzata con rara magistrale efficacia.<br />

FORNARI GIOVANNI ANTONIO,<br />

giardiniere, benefattore<br />

Bannio, inizio sec. XVII - Roma, fine sec. XVII<br />

Emigrato a Roma come tanti compaesani, divenne capo<br />

giardiniere del Vaticano e poi maestro di Casa del Papa<br />

Innocenzo X che lo creò Conte Palatino. Desideroso<br />

di rendersi ut<strong>il</strong>e verso i suoi conterranei di valle Anzasca<br />

assicurò vitto, alloggio e lavoro a quanti si recassero<br />

in cerca di occupazione nella città eterna affidandoli<br />

alla Confraternita della S.S. Trinità. La discendenza del<br />

Fornari “romani” si estinse nel 1875 dopo aver tenuto<br />

per alcune generazioni la custodia e la cura dei giardini<br />

vaticani.<br />

FRADELIZIO GIOVANNI BATTISTA, benefattore<br />

Trontano 1793 - Parigi 1859<br />

Figlio di Leonardo e di Domenica Bar<strong>il</strong>etta, lavorò a<br />

Parigi nella fumisteria dello zio di cui fu l’erede. Per la<br />

sua intraprendenza divenne fumista esclusivo dei Castelli<br />

reali di Fontainebleu e di S. Claud e impresario generale<br />

di tutte le caserme di Parigi, con enorme vantaggio<br />

economico. Non dimenticò <strong>il</strong> suo paese dove tornava<br />

volentieri. Alla sua generosità si devono la scuola<br />

femmin<strong>il</strong>e, le fontane d’acqua potab<strong>il</strong>e e buona parte<br />

della prima strada carrozzab<strong>il</strong>e fra Trontano e la piana<br />

di Domodossola.<br />

GALLETTI GIAN GIACOMO,<br />

finanziere, benefattore<br />

Bognanco 1789 - Parigi 1873<br />

Figlio di Giacomo e di Domenica Giovangrande, manovale<br />

poco più che dodicenne nella costruenda strada<br />

napoleonica del Sempione; merciaio ambulante in<br />

Svizzera, affermato commerciante a M<strong>il</strong>ano, infine banchiere<br />

a Parigi e socio dei Rothsch<strong>il</strong>d. Lasciò le proprie<br />

enormi sostanze ai comuni di Domo e di Bognanco<br />

e ancora vivente diede un considerevole anticipo alla<br />

Fondazione a lui intestata (1869). A sue spese furono<br />

costruiti la strada Domo-Bognanco, <strong>il</strong> teatro Galletti,<br />

edifici scolastici a Bognanco. Procurò inoltre l’assistenza<br />

medica gratuita per i suoi compaesani. Con i suoi lasciti<br />

furono comprati <strong>il</strong> palazzo S. Francesco e <strong>il</strong> palazzo<br />

S<strong>il</strong>va, terreni al Gibellino ed edificata e finanziata la<br />

scuola per artigiani a lui intitolata. Gli Ossolani lo elessero<br />

deputato al Parlamento nel 1872.<br />

GENNARI LUCIANO,<br />

letterato, amministratore pubblico<br />

Parigi 1892 - Lanzo Torinese 1979<br />

Figlio di Giovanni Battista e di Annetta Zanni, vigez-<br />

175


zini proprietari a Parigi della nota Casa Ponti-Gennari.<br />

Studiò lettere alla Sorbona, insegnò letteratura francese<br />

a M<strong>il</strong>ano e a Parigi tenne un corso sul romanzo italiano<br />

dell’Ottocento. Fondò e diresse in <strong>It</strong>alia la rivista Arte e<br />

Vita. Fece parte del movimento cattolico francese, amico<br />

di Maritain e di Claudel. Drammaturgo, critico e<br />

saggista sulla lingua italiana e francese, scrisse Il romanzo<br />

di una Valle dedicato anche alle celebrità vigezzine,<br />

alla parentesi della guerra partigiana e a sue vicende personali.<br />

Si interessò alla vita della val Vigezzo come consigliere<br />

comunale di Santa Maria Maggiore e come presidente<br />

di opere altamente benefiche per la Valle, sull’esempio<br />

dei molti emigrati vigezzini.<br />

GENTINETTA GIOVANNI, politico<br />

Vagna 1817 - Domodossola 1900<br />

Figlio di Giovanni e di Maria Lorenzetti, studiò nel Collegio<br />

Mellerio di Domo poi, dedicatosi al commercio,<br />

guadagnò un’ingente fortuna. Promotore della Società<br />

Operaia procurò lavoro ai concittadini facendo dissodare<br />

vasti terreni incolti alla Siberia, alle Nosere e sul<br />

versante sud del colle di Mattarella favorendo la frutticoltura<br />

e la piscicoltura. Sindaco di Domo dal 1867 al<br />

1871, consigliere provinciale e poi deputato al Parlamento<br />

dal 1873 al 1890. Ispiratore ed esecutore del testamento<br />

di G.G. Galletti, amico dello statista francese<br />

Leon Gambetta, fin da giovane fu iscritto al partito<br />

mazziniano.<br />

GIAVINA PIETRO MARIA,<br />

archiatra pontificio, benefattore<br />

Domodossola 1722 - Roma 1779<br />

Figlio del chirurgo Francesco e di Antonia Grazioli.<br />

Esercitò la professione del chirurgo presso l’Ospedale<br />

di S. Spirito in Roma pertanto fu promosso di archiatra<br />

di Clemente XIII e di Pio VI che gli fece erigere nella<br />

chiesa di S. Spirito un monumento funerario. Lasciò<br />

i suoi beni in Ossola all’Ospedale S. Biagio e quelli romani<br />

all’Ospedale di S. Spirito.<br />

GIOIA GIACOMO, industriale, benefattore<br />

Ceppo Morelli 1842 - Firenze 1907<br />

Figlio di Giuseppe e di Maria Piccoli, garzone a Firenze,<br />

poi proprietario di una bottega di lattoniere. Per primo<br />

introdusse in <strong>It</strong>alia macchinari appositi per la fabbrica-<br />

176<br />

zione di barattoli in latta battendo la concorrenza straniera.<br />

Fornì all’esercito scatole per carne, con notevole<br />

guadagno. Lasciò un generoso legato alla Congregazione<br />

di carità di Ceppo Morelli.<br />

GIROLA UMBERTO,<br />

impresario, benefattore<br />

M<strong>il</strong>ano 1887 - ivi 1940<br />

Ossolano d’adozione, sposò un’ossolana, a Domo fissò<br />

la residenza ed ebbe l’Ossola come campo delle sue<br />

prime attività (centrali di Formazza, serbatoi del Kastel<br />

e del Toggia, galleria dei condotti della centrale di Calice).<br />

L’impresa Girola da ossolana e nazionale divenne<br />

internazionale dando lavoro principalmente a generazioni<br />

di Ossolani. Fu generoso benefattore dell’Ospedale<br />

S. Biagio.<br />

GROLLI FILIPPO, avvocato, politico<br />

Vogogna 1741 – ivi 1798<br />

Figlio del dottore in legge Pietro e di Angela M. Innocenti.<br />

Laurea in giurisprudenza a Pavia. In Vogogna<br />

esercitò la professione legale con successo. Sposò<br />

Giovanna Pizzardi ved. Zaretti, i cui figli aderirono alle<br />

nuove idee venute dalla Francia sull’esempio del patrigno<br />

F<strong>il</strong>ippo. Uomo di notevole ascendente politico,<br />

nella primavera del 1798 fu proclamato capo dei democratici<br />

repubblicani del borgo. Durante l’occupazione<br />

da parte degli insorti piemontesi e dei m<strong>il</strong>itari della<br />

Cisalpina della sponda occidentale del lago Maggiore,<br />

e poi dell’Ossola, primo passo verso la proclamazione<br />

della repubblica in Piemonte, fu presidente della Municipalità<br />

vogognese e Commissario interinale delle due<br />

Ossole. Dopo la sconfitta dei “giacobini” nella battaglia<br />

di Ornavasso (22 apr<strong>il</strong>e 1798), non adeguatamente<br />

sostenuti dalla Repubblica Cisalpina per intrighi politici,<br />

<strong>il</strong> Grolli fu catturato in seguito a delazione e, per<br />

sentenza emessa a Casale Monferrato dal regio tribunale<br />

m<strong>il</strong>itare, ed eseguita in Vogogna <strong>il</strong> 30 apr<strong>il</strong>e mediante<br />

fuc<strong>il</strong>azione a esempio e ammonimento ai suoi concittadini.<br />

La repressione costò la vita ad altri 64 insorti,<br />

fuc<strong>il</strong>ati a Domodossola <strong>il</strong> 28-29-30 apr<strong>il</strong>e 1798 e al<br />

vogognese Giulio Albertazzi fuc<strong>il</strong>ato a Pallanza. Così si<br />

concluse <strong>il</strong> moto insurrezionale che mirava all’annullamento<br />

dei priv<strong>il</strong>egi feudali e a maggiori libertà per la<br />

borghesia.


GUALIO GIULIO, scultore<br />

Antronapiana 1632 - ivi 1712<br />

Allievo del maestro De Bernardis con laboratorio in<br />

via Briona, attivo nell’Ossola e in Valsesia, fu autore di<br />

splendide opere lignee di carattere religioso.<br />

GUATTANI CARLO, chirurgo, archiatra pontificio<br />

Pontegrande di Bannio Anzino 1709 - Roma 1773<br />

Studi classici e poi di medicina e chirurgia a Roma. Primario<br />

negli Ospedali di S. Spirito e S. Gallicano (1741),<br />

nel 1751 fu nominato archiatra pontificio da Benedetto<br />

XIV. In Francia approfondì i suoi studi di chirurgia e<br />

divenne ab<strong>il</strong>e nell’eseguire l’esofagotomia, che descrisse<br />

in latino. Si recò per studi in Ingh<strong>il</strong>terra e in Germania<br />

e al rientro in <strong>It</strong>alia soggiornò a Bannio. Fu medico<br />

di fiducia di Clemente XIII e Clemente XIV e socio<br />

delle Accademie di Parigi. Roma lo onorò con un monumento.<br />

GUBETTA GIACOMO, medico, storico<br />

Parigi 1823 - Craveggia 1893<br />

Figlio di Carlo Bartolomeo e di Antonia Mozzanino.<br />

Dopo gli studi classici a Domo e a Pavia ritornò a Parigi<br />

dove nel 1847 conseguì la laurea in medicina, convalidata<br />

dall’Università di Torino. Esercitò la professione<br />

medica nella sua valle Vigezzo, fu consigliere provinciale<br />

e scrisse Le memorie antiche e moderne di Craveggia.<br />

GUGLIELMI FRANCESCO E PASQUALE,<br />

benefattori<br />

Francesco: Crodo 1793 - ivi 1864<br />

Figlio di Giuseppe e di Maria Amodei, divenne sacerdote<br />

e visse a Crodo beneficando i poveri, le patrie istituzioni<br />

e la chiesa parrocchiale.<br />

Pasquale: Crodo 1801 - ivi 1866<br />

Fratello del precedente. A sua volta beneficò <strong>il</strong> comune<br />

di Crodo, di cui fu sindaco, facendo erigere una scuola<br />

per l’istruzione delle fanciulle.<br />

GUGLIELMINI DOMENICO,<br />

professore di idraulica, fisico-matematico<br />

Bologna 1655 - Padova 1710<br />

Di genitori di Cravegna (Crodo) studiò fisica, matematica,<br />

idraulica e idrometria ed ebbe cattedra a Bologna<br />

dal 1694. Successivamente si trasferì a Padova per<br />

insegnare matematica in quell’Ateneo. Pubblicò, in ele-<br />

gante lingua latina, un trattato di idrostatica e Della natura<br />

dei fiumi, opera che ebbe varie ristampe per l’ut<strong>il</strong>ità<br />

e la profondità del contenuto.<br />

IACCHINI BARTOLOMEO, pittore<br />

Macugnaga 1695 - ivi 1747<br />

Figlio del nob<strong>il</strong>e notaio Bartolomeo e di Cristina Creda,<br />

fu ab<strong>il</strong>e e ammirato pittore di soggetto religioso. Di<br />

lui rimangono quattro quadri nelle chiese di Macugnaga<br />

e la volta della parrocchiale. Sue opere incomplete<br />

furono ultimate dal Borgnis vigezzino.<br />

INNOCENTI PIETRO MASSIMO,<br />

magistrato, senatore<br />

Vogogna 1792 - ivi 1860<br />

Figlio del dr. Gerolamo e di Giuseppina Albertazzi. Fu<br />

m<strong>il</strong>itare nell’esercito napoleonico; si laureò in giurisprudenza<br />

ed entrato in magistratura divenne Consigliere di<br />

Corte d’appello. Fu senatore del Regno di Sardegna.<br />

INNOCENZO IX (Giovanni Antonio Nocetti),<br />

Sommo Pontefice<br />

Bologna 1519 - Roma 1591<br />

Figlio di Antonio e di Francesca Cini entrambi di Cravegna<br />

in valle Antigorio. Il padre, gerente un’agenzia di<br />

trasporti, era conosciuto come Facchinetto da cui <strong>il</strong> cognome<br />

Facchinetti dato alla famiglia. Dopo l’ordinazione<br />

sacerdotale conseguì la laurea in diritto civ<strong>il</strong>e e canonico.<br />

Fu vicario in Avignone, governatore di Parma, vescovo<br />

di Nicastro, patriarca di Gerusalemme, Cardinale<br />

e poi Papa <strong>il</strong> 29 ottobre 1591. Il suo pontificato durò<br />

pochissimo tempo.<br />

IONGHI LAVARINI CESARE, ingegnere, erudito<br />

Ornavasso 1864 - ivi 1934<br />

Studi classici a Domo, laurea in ingegneria a Torino.<br />

Scrisse: Ornavasso nella sua storia sacra e civ<strong>il</strong>e, Novara,<br />

1934 (con biografia completa di Enrico Bianchetti<br />

e della sua attività storiografica); Origine della colonia<br />

tedesco-vallesana; Dizionarietto dei vocaboli ornavassesi e<br />

della toponomastica locale.<br />

LANTI PIETRO ANTONIO, intagliatore, scultore<br />

Macugnaga 1679 – ivi 1729<br />

Figlio di Giacomo Antonio, ebbe contatti sia con gli<br />

artisti vallesani che con quelli ossolani e fu egli stesso<br />

177


maestro di altri intagliatori. La sua opera è volta soprattutto<br />

alla decorazione di altari che elaborò con ricchezza<br />

di invenzione e di effetto nello st<strong>il</strong>e dell’arte barocca.<br />

Le opere più note sono gli altari lignei della chiesa<br />

di Macugnaga, dell’oratorio della Madonna della Neve<br />

di Borca, e numerose statue di soggetto religioso. Inoltre<br />

intagliò per molte chiese nell’Ossola splendidi reliquiari<br />

in forma di busti con decorazioni dorate e dipinte<br />

di grande effetto.<br />

LEONI GIOVANNI (TOROTOTELA),<br />

poeta dialettale<br />

Domodossola 1846 – Mozzio 1920<br />

Figlio di Giuseppe e di Lucia Burla, interruppe gli studi<br />

al Liceo Mellerio Rosmini ricongiungendosi alla famiglia<br />

residente a Ferrara per commercio e là ebbe primo<br />

impiego. Si trasferì a Genova poi emigrò a Montevideo<br />

(1870) dove aprì un negozio di tessuti. Con intuito<br />

e iniziativa amministrò alcune case di commercio di<br />

altri e sue ed <strong>il</strong> successo economico gli consentì di rientrare<br />

in patria nel 1886. Alternò <strong>il</strong> suo soggiorno invernale<br />

fra Torino e Domo, mentre Mozzio fu l’amata sede<br />

della v<strong>il</strong>leggiatura. Uomo colto, poté dedicarsi alla letteratura<br />

ed ebbe in Carlo Porta <strong>il</strong> suo poeta ideale a cui<br />

si ispirò quando si decise a scrivere in apprezzab<strong>il</strong>i rime<br />

dialettali le sue osservazioni pungenti e satiriche sul costume<br />

e sui personaggi del suo tempo. Le Rime Ossolane<br />

uscite postume nel 1929 a Udine, a cura dei cugini<br />

Boni con prefazione di Ida Braggio, raccolgono solo<br />

una parte della poesia del «Torototela», pseudonimo del<br />

Leoni. Durante l’ultima traversata per Montevideo, effettuata<br />

nel 1902, scrisse Sull’Atlantico-Diario di viaggio,<br />

pagine di critica sociale in accordo con <strong>il</strong> suo sentire<br />

di ispirazione liberal-socialista-anticlericale.<br />

LINCIO GABRIELE,<br />

professore universitario, mineralogo<br />

Varzo 1874 - ivi 1938<br />

Figlio di Domenico e di Giuditta Alvazzi. Studiò chimica<br />

e mineralogia all’Università di Torino, frequentò<br />

l’Istituto mineralogico dell’Università di Monaco di Baviera<br />

ottenendo la libera docenza. Si perfezionò in cristallografia<br />

ad Heidelberg conseguendo <strong>il</strong> dottorato a<br />

Marburg. Nel 1905 fu addetto all’Ufficio geologico di<br />

Roma. Tornato in Germania assunse la direzione scien-<br />

178<br />

tifica della sezione ottico-mineralogica, e costruì un microscopio<br />

ancora oggi in uso per ricerche mineralogiche<br />

e petrografiche. A Torino nel 1909 conseguì la libera<br />

docenza. Insegnò mineralogia e geologia nelle Università<br />

di Cagliari, di Modena e di Genova dove diresse<br />

anche l’Istituto di mineralogia e litologia. Scrisse Della<br />

autunite della Lurisia che lo rivelò pioniere in <strong>It</strong>alia della<br />

ricerca dell’uranio.<br />

LORETTI GIOVANNI GIUSEPPE, pittore<br />

Bognanco 1816 – Mocogna 1879<br />

Figlio di Giuseppe e Maria Traveletti, preparatosi con<br />

maestri vigezzini al disegno, si rivelò presto valente ritrattista.<br />

Lavorò per parecchi anni a Ginevra ottenendo<br />

rinomanza e poi in Domodossola, dove fu anche primo<br />

presidente della Società Operaia sorta <strong>il</strong> 21 ottobre<br />

1855 per opera dell’avv. Trabucchi e del dr. Benedetto<br />

Burla. Caldeggiò anche la creazione di una cassa pensione<br />

per gli operai anziani e invalidi che fu realizzata<br />

dopo la sua morte.<br />

LOSSETTI GIOVAN BATTISTA, marchese, m<strong>il</strong>itare<br />

Vogogna 1600 circa - ivi 1663<br />

Figlio del giureconsulto Giuseppe. Dedicatosi alla vita<br />

m<strong>il</strong>itare, nel 1636 fu nominato Capitano Generale dell’Ossola<br />

dal Governo Spagnolo di M<strong>il</strong>ano per difendere<br />

i confini dai Francesi. F<strong>il</strong>ippo IV di Spagna lo creò marchese<br />

di Busto Garolfo per i servigi resigli. Divenne anche<br />

feudatario di Dairago e Briga Novarese. In seguito<br />

a rovesci di fortuna dovette alienare <strong>il</strong> suo patrimonio,<br />

ma F<strong>il</strong>ippo IV lo risarcì con <strong>il</strong> Marchesato di Inveruno.<br />

LOSSETTI LUCA, magistrato, diplomatico<br />

Vogogna inizio sec. XVI - Madrid 1574<br />

Figlio di Michele podestà di Asso e Valassina e luogotenente<br />

a Vogogna di Lodovico <strong>il</strong> Moro. Dal 1547 in poi<br />

trattò gli affari civ<strong>il</strong>i del Ducato Lombardo a Madrid<br />

presso Carlo V e F<strong>il</strong>ippo II. Nel 1557 fu fiscale generale<br />

in tutto lo Stato di M<strong>il</strong>ano.<br />

LOSSETTI LUCA, medico<br />

Vogogna 1799 - ivi 1874<br />

Figlio del giureconsulto Giacomo Giuseppe e di Francesca<br />

Zardetti di Piedimulera. Laureato a Pavia in medicina,<br />

nominato medico primario all’Ospedale Maggiore<br />

di M<strong>il</strong>ano, scrisse negli Annali Universali di Me-


dicina sulla varicella e sul vaiolo, sulla sif<strong>il</strong>ide e sulle acque<br />

minerali.<br />

LOSSETTI MANDELLI GABRIELE,<br />

storico, benefattore<br />

Vogogna 1821 - ivi 1886<br />

Figlio di don Pietro e di donna Giuseppina Marinoni.<br />

Dopo gli studi classici a M<strong>il</strong>ano conseguì la laurea<br />

in giurisprudenza a Pavia (25.4.1845). Fece pratica legale<br />

a M<strong>il</strong>ano e nel 1848 fece parte della Guardia civica<br />

(2° btg. S. Bab<strong>il</strong>a). Sposò in quell’estate donna Elisa<br />

Melzi d’Er<strong>il</strong> e in seguito al rientro a M<strong>il</strong>ano degli Austriaci<br />

ritornò a Vogogna definitivamente. Fu sindaco<br />

del borgo per circa vent’anni e contribuì con <strong>il</strong> proprio<br />

denaro all’erezione delle scuole elementari, della nuova<br />

chiesa con campan<strong>il</strong>e, dell’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e, della stazione<br />

ferroviaria e all’ingrandimento di piazze e vie e affrancò<br />

i Vogognesi dalle decime dovute alla Parrocchia. Lasciò<br />

considerevole somma per l’ospedale e per restauri<br />

del teatro. Dedicatosi con passione alle ricerche storiche,<br />

scrisse la biografia dei vogognesi avv. F<strong>il</strong>ippo Grolli<br />

e Angelo Zaretti, Notizie sui fatti del 1798, Cenno storico<br />

sui Settari di Cimamulera, Note sulla lapide romana<br />

della via del Sempione e La Cronaca del borgo di Vogogna<br />

dall’anno 1751 al 1885, pubblicata nel 1926 dalla figlia<br />

Pia. Per suo merito molte notizie su fatti e famiglie del<br />

passato sono giunte a noi.<br />

LUPETTI CARLO GAUDENZIO, pittore<br />

Prestinone di Craveggia 1827 - Nantes 1862<br />

Figlio del geom. Bartolomeo e di M. Domenica Fuccio.<br />

Allievo a Torino dell’Accademia Albertina tornò diplomato<br />

con medaglie nella sua Valle e vi eseguì lavori<br />

a fresco. Nel 1853 frequentò a Parigi lo studio del pittore<br />

Cogniet allora in auge e l’anno successivo mandò<br />

alla «Promotrice» di Torino La zingara e i suoi animali,<br />

riscuotendo grande consenso. Per parecchi anni fu uno<br />

dei pochi pittori di animali e rientrato a Prestinone restò<br />

fedele a quei soggetti pur dedicandosi anche alla ritrattistica.<br />

Stab<strong>il</strong>itosi definitivamente a Nantes vi lavorò<br />

con successo.<br />

LUSARDI ANTONIO, scultore<br />

Varallo Sesia 1860 – Domodossola 1926<br />

A Torino frequenta l’Accademia Albertina dedicandosi<br />

in particolare all’intaglio e alla plastica. Al termine dei<br />

corsi inizia la sua attività di scultore. Nel 1901 si trasferisce<br />

a Domodossola perché incaricato dell’insegnamento<br />

della plastica e dell’intaglio presso la scuola gestita<br />

dalla Fondazione Galletti e non lascerà più la città divenendo<br />

ossolano d’adozione. Stimato per le sue capacità<br />

artistiche, ricevette l’incarico di eseguire delle formelle<br />

per la chiesa della Madonna della Neve, <strong>il</strong> Cristo<br />

con i fanciulli per <strong>il</strong> frontone dell’edificio dell’as<strong>il</strong>o tenuto<br />

dalla suore Rosminiane, <strong>il</strong> medaglione con l’effigie<br />

di Giuseppe Belli per Calasca e quello di Giorgio Spezia,<br />

collocato nella casa natale di Piedimulera, e inoltre<br />

le effigi del conte Giacomo Mellerio e dell’abate Rosmini,<br />

poste sulla facciata del palazzo melleriano. Degna di<br />

nota anche la produzione funeraria.<br />

MELLERIO FRANCESCO, gioielliere, benefattore<br />

Craveggia 1772 - ivi 1848<br />

Figlio di Giovanni Francesco e di M. Caterina Borgnis,<br />

seguì <strong>il</strong> padre e lo zio, rivenditori di gioielli a Parigi.<br />

Scoppiata la Rivoluzione, mentre <strong>il</strong> padre rimpatriava<br />

con oltre duecento vigezzini, egli, seppure giovanissimo,<br />

continuò l’attività, ma nel 1793 con la fuga dalla<br />

capitale evitò la ghigliottina e per salvarsi si arruolò nell’armata<br />

francese del Nord. Nel 1795 rientrò a Craveggia<br />

e nel 1796 lavorò a M<strong>il</strong>ano per i Francesi della Cisalpina.<br />

Ritornato a Parigi ingrandì <strong>il</strong> negozio ed ebbe<br />

come clienti la moglie di Napoleone e molti membri<br />

della Corte imperiale. La gioielleria Mellerio di Rue de<br />

la Paix è ancora oggi fra le più rinomate della capitale<br />

francese. Generoso di offerte alla val Vigezzo, pagò la<br />

costruzione del ponte fra Craveggia e Vocogno.<br />

MELLERIO GIACOMO SENIOR, fermiere, conte<br />

Malesco 1711 - M<strong>il</strong>ano 1782<br />

Figlio del medico Giovanni Battista e di Giovanna<br />

Cioja, crebbe con gli zii Cioja, negozianti e banchieri a<br />

M<strong>il</strong>ano e per far pratica nel commercio. Messosi a lavorare<br />

in proprio accumulò grandi ricchezze con forniture<br />

agli eserciti di Maria Teresa e poi con la ferma generale<br />

(appalti generali) per <strong>il</strong> M<strong>il</strong>anese e per <strong>il</strong> Mantovano.<br />

Ritiratosi a vita privata ottenne cariche onorifiche e<br />

<strong>il</strong> titolo di conte di Albiate e Agliate (1776). Beneficò i<br />

poveri di M<strong>il</strong>ano e Malesco.<br />

179


Guglielmini Domenico, professore di idraulica, fisico - matematico<br />

Bologna 1655 - Padova 1710<br />

Lossetti Giovan Battista, marchese, m<strong>il</strong>itare<br />

Vogogna 1600(ca.) - ivi 1663<br />

Balcone Giovan Battista, benefattore<br />

S. Maria Maggiore 1703 - ivi 1750<br />

Palletta Giovan Battista, chirurgo emerito, f<strong>il</strong>antropo<br />

Montecrestese 1748 - M<strong>il</strong>ano 1832


MELLERIO GIACOMO, statista, benefattore<br />

Domodossola 1777 – M<strong>il</strong>ano 1847<br />

Figlio del giureconsulto Carlo Giuseppe e di Rosa Sbaraglini<br />

di Oira (Crodo), orfano di padre fu chiamato a<br />

M<strong>il</strong>ano presso <strong>il</strong> ricchissimo zio paterno Giovanni Battista,<br />

già fermiere di Maria Teresa d’Austria e da lei creato<br />

conte per censo. Studiò nel Collegio Tolomei di Siena,<br />

poi viaggiò in Europa per istruzione. Sposò la contessa<br />

Elisabetta Castelbarco Visconti e condusse vita br<strong>il</strong>lante<br />

nella M<strong>il</strong>ano capitale del Regno <strong>It</strong>alico fino alla<br />

morte prematura della moglie e di tre figlioletti. Caduto<br />

Napoleone, parteggiò per <strong>il</strong> ritorno in Lombardia<br />

degli Austriaci (1814) dai quali fu nominato vice Reggente,<br />

e consigliere intimo di Sua Maestà. Nel 1817 divenne<br />

Cancelliere del Lombardo Veneto, carica che tenne<br />

fino al 1819. Non avendo ottenuto quell’autonomia<br />

amministrativa auspicata dai Lombardi, lasciò Vienna e<br />

si ridusse a vita privata. Mortagli la figlia superstite trovò<br />

conforto nella religione e nello studio. Uomo coltissimo<br />

fu mecenate e collezionista di opere d’arte ospitate<br />

nella grande v<strong>il</strong>la in Brianza. Beneficò Domodossola<br />

con l’istituzione delle scuole superiori classiche che<br />

ospitò nel palazzo da lui fatto costruire appositamente<br />

(1818) e la cui direzione affidò successivamente all’amico<br />

Rosmini, fondatore dell’Istituto della Carità (1828)<br />

al Calvario e l’insegnamento ai padri rosminiani. Provvide<br />

inoltre all’istruzione femmin<strong>il</strong>e acquistando i locale<br />

delle ex monache Orsoline e insediandovi le figlie<br />

della Carità, ordine monastico fondato dall’abate Rosmini.<br />

Con testamento (1847) <strong>il</strong> Mellerio lasciò al Comune<br />

di Domo i fabbricati nel borgo, proprietà terriere<br />

nel Lodigiano, una somma per l’ospedale S. Biagio e<br />

altri legati per la continuità degli studi liceali. Non dimenticò<br />

<strong>il</strong> Comune di Malesco, luogo di origine della<br />

famiglia. Con <strong>il</strong> suo lascito fu pagata la costruzione<br />

a fine Ottocento della grande porta centrale in bronzo<br />

per <strong>il</strong> Duomo di M<strong>il</strong>ano, opera insigne dello scultore<br />

Pogliaghi.<br />

MELLERIO GIOVANNI BATTISTA,<br />

fermiere, benefattore, conte<br />

Domodossola 1725 - M<strong>il</strong>ano 1809<br />

Figlio del medico vigezzino Giovanni Giacomo e di<br />

Anna Tichelli di Vagna, fece pratica di commercio a Mi-<br />

lano presso <strong>il</strong> cugino Giacomo Mellerio e fu suo braccio<br />

destro e socio nell’attività di fermiere, occupandosi<br />

degli appalti generali per <strong>il</strong> Governo austriaco nel territorio<br />

di Mantova dove, nel 1771 fu eletto regio consigliere<br />

del Magistrato Camerale. Erede delle sostanze<br />

del cugino Giacomo, che si aggiunsero al suo già consistente<br />

patrimonio, fu considerato uno dei più ricchi<br />

m<strong>il</strong>anesi. Con <strong>il</strong> cugino Giacomo affidò all’architetto<br />

Cantoni l’ampliamento del palazzo acquistato a M<strong>il</strong>ano<br />

e la sistemazione della v<strong>il</strong>la «II Gernetto» nei pressi<br />

di Monza, diventata di loro proprietà. Ebbe <strong>il</strong> titolo di<br />

Conte con sovrano attestato del 1783. Lasciò una rendita<br />

annua ai poveri di Malesco e una notevole somma<br />

all’Ospedale Maggiore di M<strong>il</strong>ano.<br />

MELLERIO GOTTARDO, professore di lettere classiche<br />

Santa Maria Maggiore 1884 - Novara 1943<br />

Figlio di Matrobio, maniscalco della Valle Vigezzo e di<br />

Annamaria Nicolai. Dopo studi classici e laurea in lettere<br />

a Torino si dedicò all’insegnamento, intervallato<br />

dalla partecipazione alla 1 a Guerra Mondiale. Si stab<strong>il</strong>ì<br />

a Novara, titolare di cattedra al Ginnasio e trascorse<br />

le estati nella sua Valle Vigezzo con la famiglia, traducendo<br />

classici, comp<strong>il</strong>ando una grammatica latina, collaborando<br />

anche a giornali francesi, scrivendo un romanzo<br />

inedito II palanchino della Madonna ambientato<br />

a S. Maria Maggiore, giudicato «preziosa testimonianza<br />

storica e di costume» della Vallata. Socialista, iscritto<br />

alla Massoneria ebbe contrasti politici ma non rinunciò<br />

alle proprie convinzioni. Fu amico dei pittori vigezzini<br />

Cavalli, Fornara, Peretti e del mecenate Michele Barbieri<br />

di Crana e con essi propugnò le conquiste sociali<br />

della amata Valle e diede vita a un foglio satirico ora<br />

introvab<strong>il</strong>e.<br />

MELLERIO Famiglia (ramo di Craveggia)<br />

FRANCESCO (1772-1834), fondatore della celeberrima<br />

«gioielleria Mellerio dits Meller» di Rue de la Paix<br />

a Parigi; GIANFRANCESCO (1815-1886), fornitore<br />

della corte di Francia e di altre corti europee, fondatore<br />

della succursale di Madrid, autore di famosi gioielli<br />

per regine, chiese e gemme per <strong>il</strong> Santuario di Montes;<br />

MICHELE, benefico verso i poveri, gli ammalati, <strong>il</strong> comune<br />

e la chiesa dell’amata Craveggia; FELICE (1831-<br />

181


1905) benefattore di Craveggia e particolarmente di<br />

Masera dove pagò gran parte della strada per Rivoria,<br />

fece costruire l’as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e e restaurare la parrocchiale;<br />

DOMENICO, munifico verso <strong>il</strong> comune di Masera<br />

a cui donò un grande stab<strong>il</strong>e e terreno per le scuole<br />

elementari con annesso alloggio per le maestre e terreni<br />

per l’as<strong>il</strong>o; FRANCESCO fu Giangiacomo, deputato al<br />

Parlamento per la XIV legislatura e benefattore.<br />

MERZAGORA GIOVANNI ANDREA, scultore<br />

Craveggia sec. XVI - ivi 1603<br />

Autore dello splendido coro ligneo della Madonna di<br />

Campagna a Pallanza, dell’ancona dell’altare di S. Bartolomeo<br />

a V<strong>il</strong>ladossola. Altre opere sono sparse nel Vallese,<br />

nell’Ossola, nella Valsesia.<br />

MOALLI MARIA, titolare e direttrice di azienda<br />

Vergiate (VA) 1891 - Domodossola 1960<br />

Diresse con fermezza e ab<strong>il</strong>ità la Società Corriere Moalli<br />

e annessa officina; fu Crocerossina volontaria in Africa<br />

Orientale durante <strong>il</strong> conflitto <strong>It</strong>alo-Etiopico del 1935-<br />

36. La torretta di via Montegrappa, di sua proprietà, fu<br />

regalata al Comune per desiderio suo e dei fratelli e da<br />

allora è diventata emblema cittadino.<br />

MOLINARI GIACOMO, rosminiano<br />

Domodossola 1807 - Sacra di S. Michele 1864<br />

Ordinato sacerdote a Novara, nel 1830 entrò nell’Istituto<br />

della Carità da poco fondato dall’abate Rosmini.<br />

Rettore del Calvario e del Collegio Melleriano, fu poi<br />

arciprete a San Zeno di Verona da cui fu allontanato<br />

perché non gradito alla polizia austriaca. Nel febbraio<br />

1861 Cavour personalmente lo inviò a Roma, latore di<br />

carte e lettere riservate al diplomatico Rappresentante<br />

dell’appena proclamato Regno d’<strong>It</strong>alia, destinate alle<br />

prime trattative con la Santa Sede.<br />

MONETA ATTILIO,<br />

colonnello, medaglia d’oro al valor m<strong>il</strong>itare<br />

Malesco 1893 - Finero 1944<br />

Lasciati gli studi al Rosmini, scelse la carriera m<strong>il</strong>itare<br />

e frequentò la scuola d’equitazione a Pinerolo. Dopo la<br />

1 a guerra mondiale fu ufficiale del Centro rifornimento<br />

quadrupedi di Grosseto, di cui divenne Colonnello Direttore.<br />

Con l’8 settembre 1943 rientrò a Malesco portando<br />

armi e, preso contatto con le prime formazioni<br />

182<br />

partigiane e <strong>il</strong> C.L.N. di Lugano, tenne <strong>il</strong> collegamento<br />

fra i reparti armati dell’Ossola e la missione alleata in<br />

Svizzera. Nel settembre 1944 disciplinò la resa dei Tedeschi<br />

in val Cannobina e organizzò la difesa in Vigezzo.<br />

Essendo la Repubblica dell’Ossola in pericolo, <strong>il</strong> 12<br />

ottobre con Alfredo di Dio e l’ufficiale alleato Patterson<br />

uscì in avanscoperta sotto Finero per conoscere la posizione<br />

nemica, ma cadde in una imboscata colpito mortalmente<br />

con <strong>il</strong> Di Dio.<br />

MONTI ENRICO, architetto, arredatore, benefattore<br />

Anzola d’Ossola 1873-1949<br />

Frequentò scuole serali all’Accademia di Brera a M<strong>il</strong>ano<br />

poi a prezzo di sacrifici conseguì la laurea in architettura.<br />

Si specializzò nella produzione di mob<strong>il</strong>i e arredamenti<br />

di lusso a M<strong>il</strong>ano (sale Biblioteca Ambrosiana,<br />

studio di Toscanini) con f<strong>il</strong>iali in altre città, impiegando<br />

oltre seicento operai. Arredò <strong>il</strong> palazzo di Montecitorio<br />

a Roma, i Parlamenti di Buenos Aires e Montevideo,<br />

<strong>il</strong> palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra,<br />

un’aula del palazzo reale di Amsterdam. Tra <strong>il</strong> 1920-30<br />

si dedicò agli arredamenti navali (Rex e Roma) e allestì<br />

i padiglioni italiani delle Grandi Esposizioni all’estero.<br />

Già nel 1914 ebbe la nomina a Cavaliere del Lavoro. Fu<br />

socio onorario di molte Accademie. Beneficò <strong>il</strong> suo paese,<br />

di cui fu sindaco, costruendo a proprie spese la passerella<br />

sul Toce e impiegò le medaglie d’oro di benemerenza<br />

per far decorare la chiesa parrocchiale.<br />

MONTI PAOLO, uomo di cultura, fotografo<br />

Novara 1908 - M<strong>il</strong>ano 1982<br />

Figlio di Romeo da Anzola d’Ossola. Laurea in economia<br />

politica, dirigente industriale a Venezia. Appassionato<br />

di fotografia, fondò un gruppo d’avanguardia per<br />

<strong>il</strong> rinnovamento dell’arte fotografica. Nel 1953 lasciò la<br />

carriera di dirigente e a M<strong>il</strong>ano divenne esponente significativo<br />

della cultura legata alla fotografia, collaborò<br />

alle principali riviste di architettura e si dedicò alla fotografia<br />

d’arte e ambienti e al censimento dei centri storici<br />

di molte città italiane. Insegnante di tecnica ed estetica<br />

dell’immagine all’Università di Bologna, promosse e<br />

diffuse <strong>il</strong> restauro conservativo delle città italiane. Eseguì<br />

<strong>il</strong> censimento fotografico dell’architettura e dell’ambiente<br />

del Lago d’Orta e della Bassa Ossola. La morte<br />

gli impedì di estendere <strong>il</strong> lavoro all’Alta Ossola.


MORGANTINI GIOVANNI, benefattore<br />

Crevoladossola 1841 - ivi 1889<br />

Figlio di Giovanni e di Domenica Zanoni. Emigrò a<br />

Parigi e da imbianchino-garzone divenne impresariodecoratore<br />

con appalto di lavori per <strong>il</strong> governo (1870).<br />

Membro della Società di beneficenza e consigliere della<br />

camera di Commercio d’<strong>It</strong>alia a Parigi, aiutò i connazionali<br />

e i bisognosi. Fondò a Crevola un as<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e<br />

e donò arredi e denaro alla chiesa.<br />

MORIGIA VALENTINO<br />

(Frate Francesco da Domodossola), vescovo, politico<br />

Domodossola 1340? - 1409?<br />

Entrò nel convento dei frati minori francescani di<br />

Domo e ivi compì gli studi per <strong>il</strong> sacerdozio. Per le sue<br />

doti e capacità diplomatiche, nob<strong>il</strong>i ed ecclesiastici ossolani<br />

lo inviarono dal Papa ad Avignone, nell’inverno<br />

1373-74, a dichiarare la loro disponib<strong>il</strong>ità alla ribellione<br />

ai Visconti signori dell’Ossola. Rientrato in Ossola<br />

con lettere papali di credito e un «breve» rivolto<br />

agli Ossolani, si impegnò nella propaganda antiviscontea<br />

suscitando la lotta dell’Ossola Superiore guidata dagli<br />

Spelorci contro i Ferrari della Bassa Ossola, fedeli ai<br />

Visconti. Ci fu guerra e poi pace in Ossola con nuova<br />

dedizione ai Visconti, ma frate Francesco Valentino<br />

Morigia lasciò <strong>il</strong> convento di Domo per quello più importante<br />

di Vercelli. Nel 1396 Bonifacio IX lo elesse Vescovo<br />

di Sarda (Schurda) in Albania, però, in effetti fu<br />

aus<strong>il</strong>iare del Vescovo di Novara e verso <strong>il</strong> 1408 di quello<br />

di Costanza con l’incarico di fondare chiese anche in<br />

Ossola (Craveggia, Formazza).<br />

MORTAROTTI RENZO, studioso dell’Ossola<br />

Torino 1920 - Domodossola 1988<br />

Religioso rosminiano, laureato in lettere classiche nella<br />

Università Cattolica di M<strong>il</strong>ano; titolare ordinario di<br />

lettere nel Ginnasio del Collegio Mellerio Rosmini di<br />

Domodossola. Profondo conoscitore dell’Ossola, a cui<br />

dedicò numerose ricerche, pubblicate nelle riviste Illustrazione<br />

Ossolana e Oscellana, fu autore di pregevoli libri<br />

dal titolo:Il Traforo del Sempione nel Cinquantenario<br />

(1956); I Walser nella Val d’Ossola (1979); L’Ossola<br />

nell’età moderna dall’annessione al Piemonte al Fascismo<br />

(1743-1922) (1985); G.R.- Grazia Ricevuta (1987).<br />

Domodossola, dove trascorse la maggior parte della sua<br />

vita, fu la sua vera patria.<br />

ORSI MOSÈ, imprenditore, pubblico amministratore<br />

Beura 1849 - Domodossola 1918<br />

Figlio di Antonio e di Caterina Mancini. Prima dell’avvento<br />

delle ferrovie, organizzò <strong>il</strong> trasporto dei passeggeri<br />

e dei primi turisti da e per <strong>il</strong> Sempione e nelle nostre<br />

valli, essendo state aperte da poco tempo le carrozzab<strong>il</strong>i<br />

dell’Ossola. Erano al suo servizio molti vetturali, trenta<br />

cavalli per <strong>il</strong> traino di carrozze, d<strong>il</strong>igenze e slitte, ed<br />

<strong>il</strong> suo albergo accolse anche ospiti di riguardo. Consigliere<br />

comunale e sindaco stimato e amato di Beura e di<br />

Domodossola, diede lavoro e aiuto a molti ossolani.<br />

PALLETTA GIOVAN BATTISTA,<br />

chirurgo emerito, f<strong>il</strong>antropo<br />

Montecrestese 1748 - M<strong>il</strong>ano 1832<br />

Figlio di Giacomo e di Maria Leonardi. Dopo gli studi<br />

classici a Briga nel Vallese presso i Gesuiti, si iscrisse<br />

a M<strong>il</strong>ano a una scuola di giurisprudenza che lasciò per<br />

entrare nel collegio degli allievi chirurghi dell’Ospedale<br />

Maggiore. Avendolo frequentato con intelligenza e<br />

passione gli fu consigliata l’iscrizione al corso di anatomia<br />

e patologia dell’Università di Padova dove nel 1773<br />

conseguì la laurea «summa cum laude». Nel 1777 a M<strong>il</strong>ano<br />

fu nominato assistente chirurgo e nel 1780 a Pavia<br />

conseguì la specializzazione in chirurgia tanto che<br />

nel 1787 ebbe l’incarico di capo chirurgo, cioè primario<br />

della Ca’ Granda. In questi anni scrisse trattati di<br />

grande valore scientifico i quali gli valsero onorificenze<br />

da parte di istituzioni accademiche italiane e straniere<br />

che lo vollero membro effettivo. Sostenne <strong>il</strong> metodo<br />

sperimentale, espressione del positivismo del suo tempo.<br />

Per le sue grandi capacità diagnostiche e terapeutiche<br />

Napoleone lo consultò e lo insignì del cavalierato<br />

della «Corona ferrea». Con la Restaurazione fu Rettore<br />

della facoltà di chirurgia e medicina ed ebbe riconoscimenti<br />

anche dall’imperatore d’Austria. Nel 1816 organizzò<br />

i primi ambulatori. Durante una lunga degenza<br />

in seguito alla rottura del femore scrisse in latino <strong>il</strong> suo<br />

ultimo lavoro in due volumi dal titolo Exercitationes patologicae<br />

(1820).<br />

PANIGHETTI GIOVANNI ANTONIO, calzolaio<br />

Varzo 1739 - Moncalieri 1785<br />

Figlio di Giorgio e di Giacomina Borri. Orfano di pa-<br />

183


dre, emigrò in Piemonte e dopo aver trascorso follemente<br />

la prima giovinezza si ravvide dandosi a opere<br />

di carità e di um<strong>il</strong>tà. È noto come «<strong>il</strong> santo calzolaio<br />

di Moncalieri» ed è sepolto nella parrocchiale di quella<br />

città.<br />

PARNISARI ARRIGO, pittore<br />

Stresa 1926 – Domodossola 1975<br />

Figlio di Ottorino e Letizia Molinari. A Domodossola<br />

apprende i primi rudimenti della pittura e negli anni<br />

1945-46 a M<strong>il</strong>ano frequenta <strong>il</strong> liceo artistico di Brera,<br />

abbandonato presto per insofferenza ai metodi e ai programmi<br />

di quella scuola. Nel 1947 si trasferisce a Firenze<br />

dove partecipa al movimento Arte d’oggi, di cui<br />

condivide <strong>il</strong> linguaggio post-cubista. In seguito prende<br />

contatti con <strong>il</strong> Movimento d’arte concreta che sta vivacizzando<br />

l’ambiente artistico m<strong>il</strong>anese e fonda con altri artisti<br />

la rivista Base e numero. Nel 1951 rientra forzatamente<br />

a Domodossola per curare un forte esaurimento,<br />

ma inefficaci terapie non riescono a liberarlo da fobie e<br />

frustrazioni. Lasciata la pittura per tali motivi, si dedica<br />

alla produzione di ceramica artistica. Nel 1960 soggiorna<br />

in Svizzera, poi riallaccia i rapporti con i compagni<br />

fiorentini trasferitisi a Parigi. La malattia lo riprende e<br />

non lo abbandona fino alla fine dei suoi giorni.<br />

PELLANDA LUIGI, arciprete di Domodossola, storico<br />

Crodo 1885 - Domodossola 1961<br />

Ordinato sacerdote nel 1908, iniziò la sua attività pastorale<br />

come coadiutore e poi fu titolare di parrocchia a<br />

Varzo e a Domo. Visse i tragici avvenimenti che sconvolsero<br />

l’Ossola fra <strong>il</strong> 1943 e <strong>il</strong> 1945 con coraggio e rischio<br />

personale per difendere la giustizia, i deboli e i<br />

perseguitati e lasciò memoria obiettiva dei fatti, vissuti<br />

in prima persona, nella rievocazione storica L’Ossola<br />

nella tempesta (volumetto uscito nel 1955) fonte insostituib<strong>il</strong>e<br />

di notizie. Fu in gioventù pioniere del motociclismo,<br />

delle proiezioni luminose e del cinema, considerati<br />

come mezzo educativo, inoltre animatore del<br />

canto gregoriano nelle funzioni parrocchiali. Fu studioso<br />

di Innocenzo IX e scrisse la storia della chiesa parrocchiale<br />

di Domo. È ricordato come custode attento e zelante<br />

delle tradizioni locali e degli oggetti sacri. Gli Ossolani<br />

lo giudicarono un santo prete e un gran galantuomo.<br />

184<br />

PERETTI BERNARDINO, pittore<br />

Buttogno 1828 - ivi 1889<br />

Figlio del pittore Lorenzo, si perfezionò all’Accademia<br />

di Belle Arti di Lione. Partecipò alle Esposizioni di Torino<br />

del 1867, 1868, 1870 e 1871 e tornò in <strong>It</strong>alia nel<br />

1872. Lasciò molti quadri ad olio e buoni affreschi in<br />

Francia e nelle chiese ossolane.<br />

PERETTI GIACOMO, generale, benefattore<br />

Santa Maria Maggiore 1838 - ivi 1912<br />

Figlio dell’avv. Giovan Battista e di Giacomina Sbaraglini<br />

di Oira. Dopo gli studi classici a Domodossola frequentò<br />

la facoltà di matematica all’Università di Torino<br />

poi l’Accademia m<strong>il</strong>itare. Combatté nel 1866 a Custoza.<br />

Fu insegnante alla Scuola m<strong>il</strong>itare di Pinerolo. Concluse<br />

la carriera col grado di generale e, ritiratosi a Santa<br />

Maria Maggiore, ricoprì cariche pubbliche portando<br />

a termine alcune iniziative.<br />

PERETTI LORENZO, pittore<br />

Buttogno 1774 - ivi 1851<br />

Figlio del pittore Carlo Giuseppe, allievo del padre e<br />

del vigezzino G. Rossetti, andò a perfezionarsi a Torino<br />

dove ebbe fra i committenti <strong>il</strong> re Carlo Felice per lavori<br />

e restauri nel palazzo Reale. Notevole una crocifissione<br />

(Chiesa di S. Francesco di Paola a Torino). Lavorò<br />

in Ossola, nell’Astigiano e nel Canton Ticino. Fu anche<br />

valente ritrattista.<br />

PINAUDA FRANCESCO, studioso di cose ossolane<br />

Beura Cardezza 1864 - Roma 1934<br />

Sacerdote rosminiano, laureato in matematica e fisica<br />

all’Università di Torino fu insegnante e preside del Liceo-Ginnasio<br />

Mellerio Rosmini. Scrisse Meteorologia ossolana.<br />

Cenni sulle miniere, cave e acque minerali della<br />

regione ossolana (1928). Cenni storici della chiesa della<br />

Madonna della Neve (1918), e molti articoli di storia,<br />

meteorologia, religione, sui giornali locali dal 1910<br />

al 1928. Il suo Almanacco ossolano (1914-1926) ricco di<br />

notizie storiche-statistiche-geografiche fu una specie di<br />

enciclopedia popolare per gli ossolani.<br />

PIOLINI GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />

Colloro di Premosello 1835 - ivi 1915<br />

Figlio di Antonio e di Teresa Borri, emigrò tredicenne<br />

a Parigi per fare <strong>il</strong> fumista e da garzone divenne im-


presario di agiata condizione. Scoppiata la guerra Franco-Prussiana<br />

nella Parigi assediata (1870-71) fu membro<br />

della Commissione <strong>It</strong>aliana e Capo Divisione della<br />

Compagnia Umanitaria per <strong>il</strong> soccorso dei feriti sui<br />

campi di battaglia. Il Governo francese gli dedicò due<br />

medaglie. Tornato in patria fu eletto sindaco di Premosello.<br />

Lasciò una vistosa somma per l’erezione delle<br />

scuole.<br />

PIRAZZI MAFFIOLA ALCIDE, deputato<br />

Baceno 1897 - ivi 1965<br />

Figlio di Plinio e di Cesarina Cominoli, frequentò dai<br />

Salesiani a Torino scuole tecniche professionali e si impiegò<br />

come tipografo. Aderì al Partito Socialista e per la<br />

sua posizione politica fu condannato a due anni di reclusione<br />

che scontò nel carcere torinese con Gramsci ed<br />

altri antifascisti. Stab<strong>il</strong>itosi a V<strong>il</strong>ladossola, lavorò presso<br />

la centrale «Edison» di Pallanzeno, continuando l’attività<br />

politica. Durante la Repubblica dell’Ossola rappresentò<br />

<strong>il</strong> partito socialista in seno al C.L.N. e al ritorno<br />

dei Tedeschi si rifugiò a Locarno con Tibaldi ed altri antifascisti.<br />

Nel 1948 fu eletto deputato per <strong>il</strong> Fronte delle<br />

Sinistre, rimanendo a Roma fino al 1953. Dal 1955<br />

al 1960 fu sindaco stimato di V<strong>il</strong>ladossola.<br />

PIRAZZI MAFFIOLA PLINIO,<br />

amministratore pubblico, sindacalista<br />

V<strong>il</strong>ladossola 1927 – ivi 1994<br />

Figlio dell’onorevole deputato Alcine e di Albina Bussa.<br />

Conseguito <strong>il</strong> diploma di perito chimico si iscrive alla<br />

C.G.L. Per l’impegno dimostrato viene eletto membro<br />

della Commissione nazionale giovan<strong>il</strong>e dei chimici e responsab<strong>il</strong>e<br />

del sindacato chimici della zona Ossola. A<br />

partire dal 1960, per quattro volte, è sindaco di V<strong>il</strong>ladossola.<br />

Stimato per la sua attività instancab<strong>il</strong>e, dapprima<br />

attiva <strong>il</strong> collegamento delle frazioni con <strong>il</strong> centro,<br />

poi cura la costruzione di un edificio atto ad ospitare<br />

la scuola media e <strong>il</strong> liceo scientifico statale, che qui<br />

ebbe la sua sede prima del trasferimento definitivo a<br />

Domodossola. Promuove la costruzione delle case popolari<br />

e cooperative sorte su un progetto dell’ing. Marcello<br />

Bologna e consente la realizzazione di case unifam<strong>il</strong>iari.<br />

Nel 1962 requisisce la grande acciaieria Sisma,<br />

centro delle lotte sindacali. Viene eletto presidente della<br />

Comunità Montana Valle Ossola e dell’Assemblea de-<br />

gli amministratori dell’USL n. 56. Queste sue esperienze<br />

di vita politica e amministrativa sono ricordate in un<br />

<strong>libro</strong>, scritto in collaborazione con l’amico Franco Michetti,<br />

dal titolo V<strong>il</strong>la, cenni storici, amministrativi, di<br />

lavoro, di vita e di curiosità.<br />

PIROIA MODINI GIOVANNI, benefattore<br />

Vagna 1816 - ivi 1899<br />

Emigrante dodicenne, divenne rappresentante di commercio<br />

in Francia e nel 1839 di là passò a Cuba dove ingrandì<br />

una oreficeria dello zio rendendola la prima dell’isola.<br />

Comperò vaste piantagioni e per un ventennio<br />

fu vice console dei Regno di Sardegna. Rientrato in Ossola<br />

nel 1860, beneficò <strong>il</strong> suo paese con sovvenzioni.<br />

POLLINI GIACOMO, medico, storico, benefattore<br />

Parigi 1827 - Torino 1902<br />

Figlio di Maurizio e di Maria Giovanna Sotta. Primi<br />

studi e laurea in medicina in Francia dove diresse un<br />

sif<strong>il</strong>ocomio. Trasferitosi in <strong>It</strong>alia, a Torino gli fu convalidato<br />

<strong>il</strong> titolo accademico (1854). Nel 1859 divenne<br />

medico dell’Ambasciata francese a Torino e dirigente<br />

del reparto oftalmico dell’Ospedale. Nel 1866 medico<br />

chirurgo dell’esercito italiano nella 3 a guerra d’Indipendenza.<br />

Durante i soggiorni a Malesco si diede alla ricerche<br />

storiche, che raccolse nel volume Notizie storiche di<br />

Malesco (1896). Lasciò tutto <strong>il</strong> suo patrimonio in beneficenza<br />

sotto <strong>il</strong> titolo di «Opera pia Pollini», regolata da<br />

tavole di fondazione da lui dettate.<br />

PONTI GIOVANNI, benefattore<br />

Santa Maria Maggiore 1849 - Domodossola 1916<br />

Figlio di Angelo Antonio dell’<strong>il</strong>lustre famiglia dei Ponti<br />

gioiellieri in Francia, generoso benefattore dei poveri, a<br />

Santa Maria Maggiore istituì una «Scuola industriale» e<br />

lasciò un legato per la Scuola Rossetti-Valentini.<br />

PORTA ANTONIO, tipografo, pubblico amministratore<br />

Domodossola 1819 - ivi 1893<br />

Figlio di Giuseppe e di Teresa Pagani. Studi ginnasiali<br />

a Domo e pratica tipografica a Varallo Sesia. Direttore<br />

della tipografia Calpini, ne divenne proprietario ingrandendola<br />

con vantaggio economico che gli consentì<br />

liberalità verso i bisognosi. Stampò i principali giornali<br />

locali del tempo e le pubblicazioni storico-scientifiche<br />

a vantaggio della cultura locale, nonché i bigliet-<br />

185


Panighetti Giovani Antonio, calzolaio<br />

Varzo 1739 - Moncalieri 1785<br />

Sala Giuseppe, Cardinale<br />

Bologna 1762 - Roma 1839<br />

Prinsecchi Carlo Giuseppe, padre Emanuele postulatore apostolico<br />

Domodossola 1710 - Roma 1808<br />

Tojetti Giovanni, frate alcantarino, venerab<strong>il</strong>e<br />

Calasca 1680 - Napoli 1764


ti da 50 centesimi che lo resero celebre. Accettò cariche<br />

amministrative pubbliche per dovere e fu socio fondatore<br />

dell’As<strong>il</strong>o infant<strong>il</strong>e, della Società operaia e consigliere<br />

della Fondazione Galletti.<br />

POSCIO FERDINANDO BARTOLOMEO,<br />

impresario, benefattore<br />

V<strong>il</strong>ladossola 1900 - ivi 1971<br />

Figlio di Bartolomeo e di Rosa Secondini. Iniziò dodicenne<br />

l’attività lavorativa nel piccolo cantiere paterno,<br />

fornitore di pietrisco per le strade locali. Subentrato al<br />

padre, nel 1930 diede nuovo impulso all’azienda divenuta<br />

costruttrice di strade, ponti, dighe, v<strong>il</strong>laggi operai.<br />

Nel dopoguerra, con m<strong>il</strong>le dipendenti, ricostruì la<br />

SISMA di V<strong>il</strong>ladossola, lavorò per la Edison, costruì <strong>il</strong><br />

Santuario di Re e <strong>il</strong> palazzo Borsa Merci di Novara. Dotato<br />

di grande umanità, fu sempre disponib<strong>il</strong>e ad aiutare<br />

chi ricorreva a lui.<br />

POZZI GIOVANNI ORESTE, scultore<br />

Vogogna 1892 - ivi 1980<br />

Si diplomò a pieni voti all’Accademia di Brera. Eseguì<br />

numerosi monumenti ai caduti e sculture tombali per <strong>il</strong><br />

Monumentale di M<strong>il</strong>ano. Nel 1925 <strong>il</strong> suo bozzetto su S.<br />

Francesco fu premiato. Il suo «Gladiatore» in marmo di<br />

Candoglia fu acquistato dal re Vittorio Emanuele III.<br />

PRESBITERO FERDINANDO, avvocato, benefattore<br />

Vogogna 1848 - S. Germano di Pinerolo 1909<br />

Figlio dell’avv. Vittorio e di Maria Spezia. Studi classici<br />

al collegio Mellerio Rosmini e laurea in giurisprudenza<br />

a Torino dove poi visse esercitando la professione legale.<br />

Lasciò molti dei suoi beni all’as<strong>il</strong>o e ai poveri di Vogogna<br />

oltre che al Cottolengo di Torino. A Vogogna la<br />

casa di riposo per anziani porta <strong>il</strong> nome «Presbitero» a<br />

ricordo del benefattore.<br />

PRINSECCHI CARLO GIUSEPPE<br />

(Padre Emanuele) Postulatore apostolico<br />

Domodossola 1710 – Roma 1808<br />

Figlio di Antonio e di Maria Giovanna Ghisoli. Entrò<br />

nell’ordine dei Cappuccini e divenne sacerdote nel convento<br />

di Rieti. Per la profonda preparazione teologica<br />

fu trasferito a Roma verso <strong>il</strong> 1764 e là ricoprì l’alta carica<br />

di postulatore, cioè di promotore della beatificazione<br />

e santità di alcuni frati cappuccini. Inoltre con la fa-<br />

condia dell’eloquio e la forza delle sue argomentazioni<br />

contestò gli errori dei f<strong>il</strong>osofi <strong>il</strong>luministi mediante<br />

le Dissertazioni in forma di dialoghi intorno ai vari dogmi<br />

cattolici per dimostrare la loro verità, contro li così detti<br />

spiriti forti e specialmente contro li seguaci degli errori<br />

di Voltaire, opera uscita nel 1780. Scrisse anche Della<br />

Chiesa e della gerarchia Ecclesiastica che dedicò a Pio VI,<br />

amareggiato per la diffusione dei principii giansenistici.<br />

A Roma fu tenuto in grande stima, in particolare dagli<br />

Ossolani cardinale Sala, Prefetto della Congregazione<br />

dell’Indice e assistente al soglio Pontificio, e Benedetto<br />

Fenaia da Formazza, arcivescovo di F<strong>il</strong>ippi.<br />

PROTASI GIAN DOMENICO, ingegnere, politico<br />

Piedimulera 1810 - Arona 1873<br />

Laurea a Torino in ingegneria. Ideò e promosse la costruzione<br />

della carreggiab<strong>il</strong>e di valle Anzasca. Deputato<br />

al Parlamento Subalpino si batté per la ferrovia M<strong>il</strong>ano-Domodossola-Sempione.<br />

Dopo l’Unità d’<strong>It</strong>alia fu<br />

presidente dell’Amministrazione Provinciale di Novara<br />

e sindaco di Arona.<br />

RAGOZZA ERMINIO,<br />

sacerdote, benefattore, studioso<br />

Colloro di Premosello 1918 – Quarona (VC) 1984<br />

Ordinato sacerdote nel 1941, fu parroco di Gignese e<br />

insegnante di lettere italiane, latine e greche presso <strong>il</strong> seminario<br />

di Arona. Nel 1954 fu trasferito nella parrocchia<br />

di Quarona (VC) e là rimase sino alla morte. Diede<br />

alla stampa i suoi studi di storia valsesiana e sulla<br />

parrocchia quaronese. Tuttavia non allentò mai i legami<br />

affettivi con <strong>il</strong> suo paese d’origine, contribuendo finanziariamente<br />

ai lavori della strada Premosello-Colloro<br />

e lasciando parte delle sue sostanze alla parrocchia,<br />

alla Casa di riposo e parecchi suoi libri alla biblioteca<br />

comunale. Collaborò al bollettino parrocchiale premosellese.<br />

Nel 1969 la Pro Loco gli pubblicò Aria di casa<br />

nostra e postumo nel 1985 <strong>il</strong> volume U Libar d’la cà vegia<br />

d’Clor e d’Cravaga, contenente anche un vocabolario<br />

del vecchio dialetto locale.<br />

RASTELLINI GIOVANNI BATTISTA,<br />

pittore, pubblico amministratore<br />

Buttogno 1860 - ivi 1926<br />

Figlio di Gian Giacomo, ritrattista, studiò alla Scuola<br />

Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore e si perfe-<br />

187


zionò a M<strong>il</strong>ano nella pittura e nel restauro che eseguiva<br />

con tecnica particolare. Fu per un ventennio sindaco<br />

del suo paese.<br />

RASTELLINI GIAN MARIA,<br />

pittore, pubblico amministratore<br />

Buttogno 1869 - ivi 1927<br />

Figlio di Gian Giacomo, frequentò la scuola Rossetti<br />

Valentini di Santa Maria Maggiore e si perfezionò a M<strong>il</strong>ano<br />

come <strong>il</strong> fratello Giovan Battista. Tenne studio a<br />

M<strong>il</strong>ano ed ebbe committenti fra gli aristocratici e i ricchi<br />

borghesi lombardi, ottenendo un premio alla triennale<br />

di M<strong>il</strong>ano del 1888 e all’Esposizione di Monaco di<br />

Baviera nel 1913. Fu sindaco di Buttogno e presidente<br />

della Società Elettrica Vigezzina.<br />

RAVASENGA CARLO, musicista<br />

Torino 1891 - Roma 1964<br />

Ossolano per parte materna amò l’Ossola e trascorse<br />

lunghi periodi a Vogogna. Lasciati gli studi giuridici,<br />

per vocazione frequentò <strong>il</strong> conservatorio a Torino e<br />

nel 1915 eseguì musica da camera di sua composizione.<br />

Nel 1916 riportò caloroso successo con l’opera Una tragedia<br />

fiorentina. A M<strong>il</strong>ano diresse <strong>il</strong> settimanale L’araldo<br />

musicale, svolse attività didattica e di compositore. La<br />

sua musica da camera ebbe successo in tutta <strong>It</strong>alia. In<br />

un concorso a New York con giuria diretta da Toscanini,<br />

ebbe <strong>il</strong> 2° premio per la Suite in quattro tempi. Compose<br />

quattro opere sinfoniche, oltre a musiche inedite.<br />

Manoscritti, spartiti, edizioni rare furono donati dalla<br />

figlia Evelina (1921 - 1993) per desiderio del padre alla<br />

fondazione Galletti insieme al suo pregevole pianoforte.<br />

Svolse attività didattica e con <strong>il</strong> maestro Toni fondò<br />

<strong>il</strong> sindacato musicisti.<br />

ROABBIO GIOVANNI ANTONIO, benefattore<br />

Nato a Baceno nel sec. XVII<br />

Canonico della Collegiata di Domo, dispose un lascito<br />

alla comunità del Borgo perché fosse istituita una scuola<br />

elementare per i ragazzi poveri, la quale fu di grande<br />

ut<strong>il</strong>ità e funzionò fino all’apertura delle scuole fondate<br />

e finanziate dal conte Giacomo Mellerio.<br />

ROABBIO PIETRO PAOLO, benefattore<br />

Vissuto a Baceno nel sec. XVII, dove fu parroco fino al<br />

1671. Istituì una cappellania a Baceno con l’obbligo di<br />

188<br />

una scuola gratuita per i fanciulli poveri del luogo.<br />

RONDOLINI GIOVANNI, medico benemerito<br />

Pallanzeno 1870 – V<strong>il</strong>ladossola 1954<br />

Figlio di Luigi e di Teresa De Regibus. Laurea in medicina<br />

e chirurgia a Torino. A V<strong>il</strong>ladossola svolse la professione<br />

medica come missione da compiere a vantaggio<br />

della popolazione. Si prodigò anche per quella dei<br />

paesi di valle Antrona che raggiungeva due volte per<br />

settimana e più in caso di urgenza. Specializzato nella<br />

cura di malattie dell’apparato respiratorio, ai pazienti<br />

offrì assistenza con qualunque tempo, a qualunque<br />

ora anche nei paesetti più lontani portando le medicine<br />

agli indigenti, sempre prodigo di insegnamenti e consigli<br />

igienico sanitari alle famiglie. Convinto dell’ut<strong>il</strong>ità<br />

dell’esercizio fisico all’aria aperta organizzò nell’immediato<br />

primo dopoguerra (1919) escursioni e camminate<br />

che propagandò dapprima nelle osterie, in attesa di<br />

una sede in cui riunire gli aderenti all’Unione Operaia<br />

Escursionisti <strong>It</strong>aliani (sorta nel 1911 a Monza) allo scopo<br />

di sottrarre all’alcolismo e al gioco d’azzardo i giovani.<br />

Non dimenticò i ragazzini organizzando per loro<br />

apposite camminate dopo l’ascolto della Messa, e continuò<br />

questa attività anche con <strong>il</strong> C. A. I. fino al termine<br />

del secondo conflitto mondiale.<br />

ROGGIANI ALDO GIUSEPPE,<br />

mineralogo, petrografo<br />

Domodossola 1914 - ivi 1986<br />

Figlio di Giuseppe e di Rosa Ponzio. Studi classici al<br />

Mellerio Rosmini, laurea in scienze naturali a M<strong>il</strong>ano,<br />

docente di scienze, chimica e geografia astronomica nei<br />

Licei rosminiani. Fu studioso insigne della mineralogia<br />

generale e in particolare di quella dell’Ossola. Fin dal<br />

1938 in valle Vigezzo individuò e per anni coltivò in<br />

proprio un giacimento di feldspato situato a Druogno-<br />

Orcesco-Gagnone. Là nel 1946, si accorse della presenza<br />

di un minerale sconosciuto, che risultò essere s<strong>il</strong>icato<br />

di alluminio e calcio, <strong>il</strong> quale fu catalogato in suo onore<br />

con <strong>il</strong> nome di ROGGIANITE. L’ufficializzazione della<br />

scoperta avvenne durante <strong>il</strong> XXV Congresso di mineralogia<br />

e petrografia svoltosi a Napoli nel 1968. Patrocinò<br />

la costituzione di un gruppo mineralogico ossolano<br />

(1972). Collaborò a riviste e periodici fra cui Rendiconti<br />

della S.I.M.P.. Fra le numerose pubblicazioni:


Corindone, torbenite, morenosite. Specie minerali nuove<br />

per l’Ossola (1967); Ossola minerale. Indice delle specie e<br />

dei principali ritrovamenti, con un saggio di bibliografia<br />

mineralogica ossolana (1975); La tarumellite di Candoglia<br />

e altri studi r<strong>il</strong>evanti. La sua preziosa collezione si<br />

trova ora a Torino presso <strong>il</strong> Museo regionale di Storia e<br />

Scienze naturali.<br />

Benemerito nel campo delle ricerche scientifiche, fu insignito<br />

di medaglia d’oro, dal comune di Domodossola<br />

(1970) e dal Presidente della Repubblica <strong>It</strong>aliana Pertini<br />

(1979).<br />

ROSSETTI VALENTINI GIOVANNI MARIA,<br />

pittore, benefattore<br />

Santa Maria Maggiore 1796 - ivi 1878<br />

Figlio di Giacomo Antonio e Angela Menabene, a M<strong>il</strong>ano<br />

frequentò i corsi di ornato e figura nell’Accademia<br />

di Brera. A Mompellier insegnò in scuola governativa e<br />

si dedicò alla pittura. Fu insignito della Legion d’Onore<br />

da Napoleone III. Ritornato a S. Maria nel 1870 insegnò<br />

gratuitamente ai convalligiani nella scuola di disegno<br />

istituita a proprie spese ed alla quale lasciò in eredità<br />

<strong>il</strong> proprio patrimonio. Regalò un ostensorio alla parrocchia,<br />

un lascito per la messa festiva a Crana e l’autoritratto<br />

alla Fondazione Galletti.<br />

ROSSI GIUSEPPE ANTONIO, benefattore<br />

Premosello 1805 - ivi 1877<br />

Fece fortuna a Parigi con <strong>il</strong> commercio dei tessuti di<br />

seta. Dopo <strong>il</strong> 1870 si stab<strong>il</strong>ì al paese d’origine al quale<br />

regalò un terreno e una cospicua somma per l’erezione<br />

di un as<strong>il</strong>o d’infanzia e l’istituzione delle due classi del<br />

corso elementare superiore.<br />

RUGA-SILVA GIOVANNI ANTONIO,<br />

diplomatico, magistrato<br />

Domodossola 1731 - ivi 1800<br />

Figlio del giureconsulto Carlo Giuseppe e di Isabella<br />

Ruga. Studi classici, poi commerciante in Parigi e insegnante<br />

di italiano. Tornato a Domo fu segretario del<br />

Conte Borromeo. Ripresi gli studi giuridici si laureò a<br />

Pavia nel 1765. Ambasciatore del Duca di Modena a<br />

Madrid, nel 1769 Reggente la Signoria di Varese per<br />

Francesco III di Modena e poi Presidente del Consiglio<br />

Supremo di giustizia. Per incauta accettazione di<br />

un compenso meritato ma male inteso, perse l’alto incarico<br />

e rientrò a Domo a esercitare l’avvocatura. Con<br />

l’occupazione francese del Regno di Sardegna fu nominato<br />

Presidente della municipalità di Domo ma cadde<br />

in disgrazia con l’avvento degli Austro-Russi.<br />

SALA GIUSEPPE, cardinale<br />

Bologna 1762 - Roma 1839<br />

Figlio di Giuseppe, emigrato da Baceno a Bologna. Studi<br />

classici a Roma e laurea in teologia. Dotato di intelligenza<br />

e capacità, resse la Delegazione Apostolica alla<br />

partenza da Roma di Pio VI, travolto dalle vicende rivoluzionarie.<br />

Con Pio VII fu segretario della Legazione<br />

presso Bonaparte 1° Console a Parigi e ancora nel<br />

1809 presso Napoleone Imperatore. Dopo <strong>il</strong> 1814 riprese<br />

l’attività diplomatica e curiale e nel 1831 ottenne<br />

la dignità cardinalizia.<br />

SALATI GIOVAN MARIA,<br />

primo attraversatore a nuoto della Manica<br />

Malesco 1796 - Saint Brice sous Forêt 1879<br />

Figlio di Domenico e Anna Maria Salati. Nel 1812 è<br />

soldato nell’armata italiana comandata dal gen. Pino e<br />

poi marinaio sulla «Belle Poule». Come fuc<strong>il</strong>iere di marina<br />

combatte a Waterloo dove, ferito, viene fatto prigioniero<br />

e recluso a Dover su una vecchia nave adibita<br />

a campo di concentramento. Dopo alcuni mesi di vita<br />

impossib<strong>il</strong>e si butta nella Manica e l’attraversa a nuoto<br />

raggiungendo Boulogne. A Parigi trova lavoro presso i<br />

parenti Polino che hanno fatto fortuna come fumisti e<br />

da semplice spazzacamino diventa fumista impresario.<br />

Nel 1850 <strong>il</strong> Salati si trasferisce a Soissons, poi al seguito<br />

del figlio prete dimora in varie parrocchie e muore in<br />

quella di Saint Brice sous Forêt a 12 km da Parigi.<br />

SALINA GIUSEPPE (VITTORIO D’AVINO),<br />

poeta, scrittore<br />

Domodossola 1877 - Varzo 1949<br />

Studiò in seminario e ordinato sacerdote (1899) intraprese<br />

la sua missione di parroco, ma si dedicò anche con<br />

passione ed estro alla poesia in dialetto e in lingua italiana,<br />

a scritti sul paesaggio e sull’arte ossolana. Fu ottimo<br />

latinista e grecista, buon oratore e diede alle stampe<br />

parecchie pubblicazioni.<br />

189


SALINA LUIGI, politico, benefattore<br />

Bologna 1762 - ivi 1845<br />

Figlio di Giovanni Antonio di Mozzio in valle Antigorio.<br />

Laureato in giurisprudenza a Bologna, nel 1784 fu<br />

eletto presidente dell’Annona e con l’avvento dei Francesi<br />

membro del Governo Provvisorio della Cisalpina.<br />

Partecipò alla Consulta di Lione e divenne membro del<br />

Corpo legislativo quale rappresentante del Collegio dei<br />

Possidenti Bolognesi. Dirigente dell’amministrazione<br />

del Dipartimento, dal Governo Pontificio, subentrato<br />

ai Francesi, fu mantenuto nella carica. Leone XII nel<br />

1825 lo creò conte. Fu Presidente del Tribunale d’appello<br />

delle Legazioni. Cultore della lingua latina, scrisse<br />

epigrammi apprezzati. Quando l’alluvione devastò<br />

Crodo e distrusse <strong>il</strong> Pretorio, mise a disposizione della<br />

comunità le case e i poderi di Mozzio.<br />

SAMONINI ACHILLE, pubblico amministratore<br />

Domodossola 1873 - ivi 1939<br />

Figlio di Giacomo, farmacista, e di Angiolina Garbagni.<br />

Studi classici al Mellerio Rosmini, laurea in chimica<br />

farmaceutica all’Università di Modena, farmacista<br />

a Domo subentrato al padre, consigliere provinciale<br />

e sindaco di Domo al tempo dell’inaugurazione del<br />

Sempione e del volo di Chavez. Commendatore per benemerenze<br />

e dedizione al pubblico interesse, di ideali liberali<br />

giolittiani lasciò l’amministrazione del Comune e<br />

ogni carica con l’avvento del Fascismo.<br />

SANDRETTI AGOSTINO,<br />

commerciante, pubblicista<br />

Calasca 1891 - Domo 1954<br />

Figlio di Martino e di Annunziata Francini. Interrotti<br />

gli studi liceali per ragioni di famiglia, si dedicò al commercio.<br />

Fu cultore di memorie locali, autore di Zibaldone<br />

1 e Zibaldone 2 sulla storia di Calasca, podestà del<br />

paese nativo, promotore di iniziative sociali in valle Anzasca,<br />

proprietario e direttore del giornale Il Commercio<br />

ossolano e organizzatore della I a Esposizione italo-svizzera<br />

nel 1925.<br />

SARTORIO GIOVANNI, chirurgo, benefattore<br />

Domodossola 1745 - ivi 1841<br />

Figlio del chirurgo Felice e di F<strong>il</strong>iberta Javernier. Laureato<br />

in medicina e chirurgia a Pavia, si dedicò alla cura,<br />

spesso gratuita, degli infermi. Fu chirurgo al S. Biagio<br />

190<br />

negli anni della costruenda strada napoleonica. Morendo<br />

lasciò <strong>il</strong> suo patrimonio ai «poveri vergognosi», persone<br />

un tempo agiate ridotte all’indigenza per <strong>il</strong> mutamento<br />

degli eventi.<br />

SCACIGA DELLA SILVA FRANCESCO,<br />

storico, giornalista<br />

Mozzio 1810 - Domodossola 1874<br />

Figlio di Diovole e di Teresa Albertazzi. Studi classici e<br />

laurea in legge a Torino. A Domo si dedicò alla professione<br />

legale e alla ricerca storica sull’Ossola Superiore<br />

pubblicando Storia di Val d’Ossola (1842) e Vite di Ossolani<br />

<strong>il</strong>lustri con quadro storico delle eresie (1847). Collaborò<br />

a giornali locali e diresse: Il Moderato (1851),<br />

L’Agogna (1845), L’Ossolano (1854). Scrisse novelle e articoli<br />

di vario argomento per almanacchi a partire dal<br />

1846. Fu Provveditore agli studi nell’Ossola dal 1848<br />

al 1854. Curò la pubblica istruzione aprendo scuole<br />

elementari in alcuni comuni. Si occupò di amministrazione<br />

pubblica e favorì la formazione di biblioteche<br />

pubbliche nelle vallate e la costruzione della strada Crevola-Pontetto<br />

di Montecrestese.<br />

SILVETTI MICHELE, naturalista<br />

Pallanzeno 1746 - ivi 1815<br />

Figlio di Francesco Antonio e di Maria Teresa Testoni<br />

di Piedimulera, compì gli studi a M<strong>il</strong>ano dai Gesuiti di<br />

Brera dove <strong>il</strong> fratello sacerdote Giuseppe Luigi (1730-<br />

1807) insegnava retorica e f<strong>il</strong>osofia.<br />

Dedicatosi alla ricerca scientifica si appassionò alle<br />

scienze naturali occupandosi anche di flora e fauna dell’Ossola.<br />

Tradusse dal francese la monumentale storia<br />

del naturalista Buffon dedicata allo studio della terra,<br />

dei minerali e di ogni specie di animali. Perché una materia<br />

di tanto interesse risultasse in st<strong>il</strong>e chiaro ed esemplare,<br />

egli si valse dell’aiuto del fratello Luigi che aveva<br />

lasciato forzatamente l’insegnamento per la venuta dei<br />

Francesi a M<strong>il</strong>ano.<br />

SIMONIS GIOVAN BATTISTA, pittore<br />

Morto a Buttogno nel 1868<br />

Lavorò a lungo nel Delfinato e nella Franca Contea e<br />

fu ritenuto buon pittore. Rientrato a Buttogno insegnò<br />

disegno e colore seguendo la tradizione di altri membri<br />

della famiglia Simonis che già dal 1650 tenevano una<br />

scuola di disegno e pittura.


SOTTA FRANCESCO MARIA, pittore<br />

Malesco 1764 - ivi 1841<br />

Ritrattista di buona fama in Francia prima e dopo la<br />

Rivoluzione, fu iniziatore di una dinastia di pittori. Ricordiamo<br />

i figli CARLO GIUSEPPE (1796-1872) attivo<br />

a Roma e in Francia (soggetti religiosi, autoritratto a<br />

palazzo S<strong>il</strong>va) e <strong>il</strong> più famoso LUIGI (1777-1860) ottimo<br />

e ricercato ritrattista a Parigi, dove frequentò l’atelier<br />

di Ingres. Lavorò a Pietroburgo, a New Orleans, a<br />

Roma e in Francia.<br />

SPEZIA ANTONIO, architetto<br />

Calasca 1814 – ivi 1892<br />

Figlio di Pietro e di Teresa Patroni Zambonini. Dopo<br />

studi classici a Domo divenne ingegnere architetto. Tra<br />

le sue opere è famosa la Chiesa di Maria Aus<strong>il</strong>iatrice a<br />

Torino la cui progettazione gli fu affidata da don Bosco<br />

che nel 1865, dopo la posa della prima pietra, gli regalò<br />

un bac<strong>il</strong>e d’argento con dedica. Si occupò delle miniere<br />

d’oro di valle Anzasca e progettò gratuitamente la<br />

cupola della chiesa di Calasca.<br />

SPEZIA GIORGIO, mineralogo, docente universitario<br />

Piedimulera 1842 - Torino 1911<br />

Figlio di Valentino e di Maria Angelotti. Studi classici,<br />

universitario a Pavia, si arruolò volontario e combatté<br />

al Volturno (1860) con la divisione Cosenz. Nel 1867<br />

a Torino si laureò in ingegneria, con lode, sulla Vent<strong>il</strong>azione<br />

delle miniere. Perfezionati gli studi di mineralogia<br />

ad Heidelberg, insegnò al Politecnico di Torino<br />

dove realizzò <strong>il</strong> Museo mineralogico, primo per importanza<br />

in <strong>It</strong>alia. Fama internazionale ebbero i suoi studi<br />

di mineralogia sperimentale. Presidente generale del<br />

C.A.I., diede i disegni per la capanna Sella al Weisthorn<br />

e cooperò ai preparativi scientifici per la spedizione al<br />

Polo Nord.<br />

STIGLIO CARLO GIORGIO, ingegnere, architetto<br />

Pallanzeno 1836 - ivi 1898<br />

Studi classici al Mellerio Rosmini poi, per merito, ospite<br />

nel Collegio delle Province a Torino. Nel 1859 volontario<br />

con Garibaldi. Si laureò in ingegneria a Torino<br />

e fu professionista in Ossola. Sue opere <strong>il</strong> teatro municipale<br />

di Domodossola, l’Albergo Sempione, la casa<br />

Ponti, l’ampliamento dell’Ospedale S. Biagio, le v<strong>il</strong>le<br />

Se<strong>il</strong>er, Mosoni e Casetti a Caddo, gli as<strong>il</strong>i di Piedimulera<br />

e Premosello, le carreggiab<strong>il</strong>i di Bognanco, di Vogogna,<br />

Masera, di valle Antrona, Mocogna-Preglia e lavori<br />

vari a Craveggia.<br />

TAMI ARMANDO, benefattore<br />

V<strong>il</strong>ladossola 1926 – ivi 1999<br />

Frequentò a Novara l’Istituto per Ragionieri “Mossotti”<br />

e uscì diplomato con ottima votazione. Collaboratore<br />

amministrativo presso l’industria meccanica P. M.<br />

Ceretti, fu poi professionista aggiornato e molto consultato<br />

da scelta clientela. Fu anche incaricato dal Tribunale<br />

di Verbania di consulenza contab<strong>il</strong>e e di curatore<br />

fallimentare. Coltivò le amicizie, fu arguto conversatore,<br />

amò le varie espressioni della cultura; fece parte attiva<br />

di un “movimento culturale ossolano” con i concittadini<br />

dott. <strong>It</strong>alo Pistoia e Gianfranco Bianchetti. Scrisse<br />

poesie in dialetto di V<strong>il</strong>ladossola che raccolse sotto <strong>il</strong><br />

titolo Alegar e grazia che ebbero l’ambita prefazione del<br />

f<strong>il</strong>ologo Gianfranco Contini. Risparmiatore oculato e<br />

ab<strong>il</strong>e moltiplicatore delle sostanze con sapienti operazioni,<br />

fu generosissimo elargitore del grande patrimonio<br />

accumulato al paese natale (Comune e parrocchia)<br />

e all’ospedale S. Biagio di Domodossola, dove ricevette<br />

cure attente e umana comprensione, purtroppo senza<br />

possib<strong>il</strong>ità di buon esito.<br />

TESTORE ANDREA,<br />

promotore della ferrovia Domodossola-Locarno<br />

Toceno 1855 - ivi 1941<br />

Figlio di Giuseppe Antonio e di Maria Cazzini. Maestro<br />

elementare nella sua Toceno, lavorò poi per qualche<br />

anno in Argentina. Dopo <strong>il</strong> rimpatrio si batté con<br />

zelo instancab<strong>il</strong>e per migliorare <strong>il</strong> tenore di vita dei valligiani<br />

fondando la Società Operaia di Mutuo Soccorso<br />

e organizzando corsi serali per lavoratori. Promosse la<br />

Società Elettrica Vigezzina, la «Società pro montibus et<br />

fluminibus» di carattere ecologico e lo Sci Club Valle<br />

Vigezzo. Il suo nome è essenzialmente legato all’impresa<br />

non fac<strong>il</strong>e di procurare alla propria vallata la ferrovia<br />

Domodossola-Locarno che entrò in funzione nel<br />

1923 dopo un ventennio di suo impegno assiduo contro<br />

ostacoli di ogni genere. A riconoscimento delle sue<br />

benemerenze nel 1982 gli fu intitolata la scuola media<br />

di Santa Maria Maggiore.<br />

191


TIBALDI ETTORE, vice Presidente del Senato<br />

Bornasco (PV) 1887 - Certosa di Pavia 1968<br />

Studi classici, laurea in medicina, assistente di patologia<br />

a Pavia fu combattente decorato nella l a guerra mondiale.<br />

Di ideali mazziniani dagli anni studenteschi, responsab<strong>il</strong>e<br />

nel 1923-24 del movimento politico “<strong>It</strong>alia<br />

libera”, antifascista, allontanato dalla carriera universitaria<br />

e costretto a lasciare Pavia, si trasferì, nel 1925, a<br />

Domodossola, vincitore del concorso a Primario medico<br />

del S. Biagio e vi dimorò per quarant’anni. Ossolano<br />

d’adozione, mantenne contatti con l’antifascismo clandestino,<br />

legò <strong>il</strong> suo nome alla Resistenza, fu presidente<br />

della Giunta di Governo della Repubblica partigiana<br />

dell’Ossola. Eletto sindaco di Domo nel dopoguerra,<br />

senatore socialista dal 1953, tenne la Vice Presidenza<br />

del Senato fino al 1965.<br />

TITOLI ALFONSO, medico, benefattore<br />

Anzino 1847 - ivi 1919<br />

Figlio di Pietro e di Brigida Spadina, dopo gli studi classici<br />

nei collegi rosminiani si laureò in medicina a Torino<br />

nel 1872 e fu medico nella sua valle Anzasca. A proprie<br />

spese fece costruire un tratto di strada per Anzino<br />

e lasciò poi al Comune una cospicua somma a beneficio<br />

dei concittadini.<br />

TOJETTI GIOVANNI, frate alcantarino, venerab<strong>il</strong>e<br />

Calasca 1680 - Napoli 1764<br />

Figlio di Giovanni e di Maria Del Barba. Emigrato a<br />

Pavia e poi in Germania, nel 1716 entrò nel convento<br />

dei Frati alcantarini e destinato a Piedimonte di Alife<br />

(Caserta) come fratello terziario, prendendo <strong>il</strong> nome di<br />

frate Francesco di Sant’Antonio. Poi andò a Napoli, nel<br />

convento di Santa Lucia dove, trascorsi quarantacinque<br />

anni come um<strong>il</strong>e questuante, morì in concetto di santità.<br />

La Chiesa lo ha dichiarato venerab<strong>il</strong>e.<br />

TONNA CARLO MARIA, benefattore<br />

Calasca 1746 - ivi 1827<br />

Figlio di Giovanni Battista e di Maria Spezia. Compì gli<br />

studi classici e teologici nel seminario diocesano e ordinato<br />

sacerdote, fu prevosto a Romagnano Sesia e poi a<br />

Calasca. Attaccatissimo al suo paese nativo, ideò la fondazione<br />

del «Monte di pietà di Calasca», con sostanze<br />

proprie e con <strong>il</strong> concorso di altri benefattori calasche-<br />

192<br />

si. Ottenuto in data 4-6-1796 <strong>il</strong> permesso del Vescovo<br />

di Novara Buronzo Delsignore, dettò al notaio Donzelli<br />

di Novara <strong>il</strong> 9-11-1796 le tavole di fondazione a favore<br />

dei parrocchiani di Calasca e poi di quelli delle altre<br />

parrocchie della valle Anzasca, con lo scopo di favorire<br />

gli emigranti che avessero urgenza di prestiti per <strong>il</strong><br />

viaggio e <strong>il</strong> sostentamento della famiglia, preservandoli<br />

dagli usurai, con condizioni di favore dettate da spirito<br />

di carità cristiana.<br />

TRABATTONI BONO ISOLINA, pittrice<br />

Buenos Aires 1896 - Parigi 1978<br />

Di famiglia ossolana varzese. In <strong>It</strong>alia compì gli studi<br />

secondari e fu allieva del pittore verbanese Bolongaro.<br />

Si distinse per paesaggi, ritratti e disegni di soggetto religioso.<br />

Fu <strong>il</strong>lustratrice di leggende ossolane e collaboratrice<br />

con disegni e scritti delle riviste Illustrazione Ossolana<br />

e Oscellana.<br />

TRABUCATI MARTINO ETTORE,<br />

banchiere, benefattore<br />

Ceppo Morelli 1842 - Firenze 1907<br />

Figlio di Giovan Battista e di Elisabetta Ch<strong>il</strong>li. Emigrato<br />

a Montevideo creò una fiorente casa commerciale.<br />

Fu poi presidente del Banco <strong>It</strong>aliano in Uruguay, Consigliere<br />

dell’Ospedale italiano e benefattore dei compatrioti.<br />

Durante i frequenti soggiorni nella sua valle beneficò<br />

i poveri e gli infermi. La sua opera ebbe un degno<br />

continuatore nel figlio Ettore.<br />

TRABUCCHI FRATELLI, benefattori<br />

Titolari a Parigi di una fiorente casa di fumisteria, combattenti<br />

nelle armate della Repubblica francese. Gioacchino<br />

(1758-1832) e Giuseppe (1769-1846), <strong>il</strong> quale<br />

ottenne la “sciabola d’onore”, furono i più importanti.<br />

Ebbero incarichi governativi di lavori a M<strong>il</strong>ano, a Roma,<br />

in Germania e misero insieme un grande capitale. Istituirono<br />

a Parigi nell’ospedale Beaujon dei posti letto<br />

perpetui per i fumisti vigezzini e piemontesi ammalati.<br />

Lasciarono in beneficenza a Malesco una cospicua somma<br />

con la quale furono sovvenzionati l’ospedale a loro<br />

intestato (1834) e altre opere benefiche.<br />

TRABUCCHI GIACOMO, avvocato pubblicista<br />

Domodossola 1829 - ivi 1893<br />

Di Giovanni Antonio e Maria Gugliminetti. Studi clas-


sici al Mellerio Rosmini e a Novara, laurea in giurisprudenza<br />

all’Università di Genova. Simpatizzante di Mazzini,<br />

iscritto nella “Giovane <strong>It</strong>alia” repubblicana per tutta<br />

la vita, fondò nel 1855 la Società Operaia domese,<br />

<strong>il</strong> corpo dei pompieri nel 1859, <strong>il</strong> Comizio agrario e <strong>il</strong><br />

CAI ossolano. Cooperò alla sistemazione della biblioteca<br />

della Fondazione Galletti nel 1873, alla creazione<br />

della Scuola di arti e mestieri «G.G. Galletti» e del Ricovero<br />

vecchi. Fu giornalista e rievocò memorie storiche<br />

ossolane con epigrafi marmoree.<br />

VEGGIA ALFONSO, medico, benefattore<br />

Domodossola 1858 – ivi 1921<br />

Figlio del causidico Giacomo e di Giovannina Matli.<br />

Studi classici a Domo e laurea con lode in medicina e<br />

chirurgia a Torino. Diresse con abnegazione <strong>il</strong> lazzaretto<br />

per colerosi a Iselle, fu primario all’ospedale S. Biagio.<br />

Visitava a domic<strong>il</strong>io i malati delle vallate e gratuitamente<br />

i poveri. Nel 1894 fondò l’Associazione medica<br />

ossolana, ancora oggi attiva e presiedette un importante<br />

convegno sulle intossicazioni nelle miniere (1902). Durante<br />

la l a guerra mondiale fu direttore dell’Ospedale<br />

m<strong>il</strong>itare territoriale, istituì la scuola Samaritana e diresse<br />

la C.R.I. Sv<strong>il</strong>uppò l’indagine epidemiologica della tisi<br />

nell’Ossola, studiò i molti casi di dissenteria e tifo che<br />

attribuì alle scarse condizioni igieniche degli acquedotti<br />

battendosi perché venissero migliorate. Aiutò i lavoratori<br />

del Sempione a superare i malanni dovuti all’ambiente<br />

in cui operavano. Per la solerte lotta contro la<br />

malaria in Ossola fu insignito della Croce dell’Ordine<br />

dei Santi Maurizio e Lazzaro. Si preoccupò di trattare<br />

con i sindaci per una più adeguata retribuzione ai medici<br />

condotti miseramente compensati nonostante i sacrifici<br />

notevoli richiesti dalla professione. Fu affiancato<br />

nell’attività da altri medici fra cui vanno ricordati Morandini,<br />

Gubetta e Negri. Notevole <strong>il</strong> suo studio Storia<br />

clinica dell’aviatore Geo Chavez, con alcune considerazioni<br />

sullo shock (1911). Lasciò al S. Biagio la sua ricca biblioteca<br />

medica e l’armamentario chirurgico servito per<br />

le operazione da lui eseguite per primo a Domo.<br />

VIETTI VIOLI PAOLO, architetto<br />

Grandson (Svizzera) 1882 - Vogogna 1965<br />

Figlio di Paolo e di Anna Zanoni, ossolani, si laureò in<br />

Architettura a Parigi nel 1905. Rientrato in <strong>It</strong>alia, nel<br />

1914 si laureò in ingegneria civ<strong>il</strong>e al Politecnico di M<strong>il</strong>ano.<br />

Durante la guerra 1915-1918 fu tenente di artiglieria<br />

nelle officine m<strong>il</strong>itari a Genova. Si specializzò nella<br />

progettazione e costruzione di ippodromi raggiungendo<br />

fama internazionale (S. Siro, Capannelle, Merano,<br />

Grosseto, Alessandria d’Egitto, Istanbul, Belgrado, Addis<br />

Abeba). Costruì scuderie da corsa e da allevamento<br />

e impianti sportivi diversi. Realizzò lo stadio di Genova,<br />

lo stadio olimpico di Ankara e quello di Domodossola.<br />

Sono sue opere <strong>il</strong> V<strong>il</strong>laggio SISMA e la chiesa nuova<br />

di V<strong>il</strong>ladossola.<br />

ZANNA BARTOLOMEO, inventore<br />

Zornasco sec. XIX<br />

Industriale geniale, inventò (1842) un tipo di calorifero<br />

e divenne fornitore della Casa Imperiale di<br />

Vienna e della Casa Reale di Torino.<br />

ZANOIA GIUSEPPE ANTONIO, medico, benefattore<br />

Domodossola 1767 - ivi 1848<br />

Figlio di Paolo e di Costanza Zanoia. Studiò medicina a<br />

Pavia, si perfezionò nell’Ospedale di M<strong>il</strong>ano e a Domo<br />

fu medico dell’Ospedale S. Biagio. Si occupò dei carcerati<br />

ammalati e alleviò le condizioni dei detenuti poveri<br />

alle cui famiglie provvide con suo denaro. Fu rappresentante<br />

del Protomedicato della Sanità di Torino per la<br />

prevenzione e la cura del colera e lottò contro i pregiudizi<br />

incontrati nella pratica della vaccinazione antivaiolosa<br />

a cui si opponevano alcuni colleghi. Lasciò i propri<br />

beni al S. Biagio.<br />

ZARDETTI CARLO, numismatico, archeologo<br />

M<strong>il</strong>ano 1778 - ivi 1849<br />

Da genitori di Piedimulera. Si laureò in giurisprudenza<br />

a Pavia ma si curò di numismatica negli anni del Regno<br />

italico e cooperò alla nascita a M<strong>il</strong>ano del Gabinetto<br />

numismatico. Scrisse articoli sulle antichità di Sic<strong>il</strong>ia,<br />

sul Duomo di Monreale, su S. Zeno di Verona, su monumenti<br />

etruschi ed egiziani. Tradusse dall’inglese e dal<br />

francese opere sull’antichità. Comp<strong>il</strong>ò <strong>il</strong> catalogo della<br />

libreria Reina. Lasciò la casa di Piedimulera alla parrocchia.<br />

Fu membro di accademie scientifico-letterarie italiane<br />

e straniere.<br />

ZARDETTI OTTONE, arcivescovo, benefattore<br />

Rorsch (CH) 1847 - Roma 1902<br />

193


Figlio di Giuseppe nativo di Bannio, negoziante in telerie<br />

in Svizzera. Studiò teologia all’università di Innsbruck,<br />

insegnò nel Seminario di S. Gallo e in quello<br />

americano del Minnesota. Fu a Londra ospite del card.<br />

Manning, poi Vicario Generale della diocesi del Dakota.<br />

Nel 1889 fu consacrato vescovo del Minnesota. Nel<br />

1894 divenne arcivescovo metropolita a Bucarest. Tornato<br />

a Roma fu assistente al soglio pontificio. Beneficò<br />

<strong>il</strong> paese d’origine della famiglia.<br />

ZOPPETTI LUIGI,<br />

sacerdote, professore di liceo e patriota<br />

Monteossolano 1888 - Domodossola 1970<br />

Ordinato sacerdote, si laureò in scienze naturali all’Università<br />

di Torino e insegnò scienze e chimica al Liceo<br />

Classico Mellerio Rosmini. Dopo <strong>il</strong> 1943 entrò nella<br />

Resistenza mettendo in salvo sbandati e perseguitati politici<br />

grazie alla sua conoscenza e a quella di amici montanari<br />

dei passi diretti in Svizzera. Fece parte del C.L.N.<br />

di zona. Con <strong>il</strong> ritorno dei Tedeschi riparò nella Confederazione<br />

Elvetica e fu affettuosamente vicino agli Ossolani<br />

esuli nel Canton Vaud. Fu anche animatore e<br />

parte attiva di ogni attività benefica ossolana.<br />

194


Antonio Rosmini<br />

Anna Pagani<br />

Il nome di Antonio Rosmini è indissolub<strong>il</strong>mente legato a<br />

Domodossola: qui, sul Sacro Monte Calvario, <strong>il</strong> grande f<strong>il</strong>osofo<br />

ottocentesco fondò <strong>il</strong> suo Istituto della Carità; qui<br />

diede concretezza, sv<strong>il</strong>uppo e grande futuro all’idea del<br />

Conte Mellerio, realizzando la più importante istituzione<br />

scolastica dell’Ossola, quel Collegio nel quale sono state<br />

educate ed istruite tante generazioni. Nel 1994 ha avuto<br />

inizio presso la Santa Sede <strong>il</strong> processo di beatificazione<br />

dell’abate roveretano che all’inizio del 2005 appare avviato<br />

all’esito positivo da tanti auspicato.<br />

Antonio Rosmini nacque a Rovereto, vivace centro culturale<br />

del Trentino, <strong>il</strong> 24 marzo 1797; i Rosmini di Rovereto<br />

erano un casato di alto lignaggio le cui origini risalivano<br />

alla fine del XIV secolo ed erano una delle famiglie<br />

più benestanti della città. Antonio Rosmini era<br />

nato in una famiglia in cui la cultura e lo studio avevano<br />

un ruolo predominante: la madre era una donna<br />

colta ed un’appassionata lettrice, mentre <strong>il</strong> padre si<br />

d<strong>il</strong>ettava a scrivere ed a comporre poesie; in particolar<br />

modo lo zio Ambrogio nutriva numerosi interessi culturali<br />

e rappresentò indubbiamente un punto di riferimento<br />

ed una figura centrale nella vita del ragazzo.<br />

Gli anni dell’infanzia e della giovinezza rimasero per lo<br />

più circoscritti entro l’orizzonte degli affetti fam<strong>il</strong>iari: <strong>il</strong><br />

clima di serenità e di amore che si respirava in casa Rosmini<br />

può essere sicuramente considerato determinante<br />

per la formazione spirituale ed intellettuale del giovane<br />

Antonio. La felice adolescenza sarà la base sulla quale<br />

Antonio Rosmini edificherà una vita straordinaria per<br />

opere, intuizioni, ingegno, santità di comportamento.<br />

Egli mostrò presto di possedere un’intelligenza acuta,<br />

coltivando molteplici interessi culturali e dedicandosi<br />

assiduamente a quelle letture che poteva reperire all’interno<br />

della biblioteca paterna; fervido amante dei clas-<br />

sici, si sentì fortemente coinvolto dalla saggezza dei padri<br />

e dall’armonia del loro st<strong>il</strong>e. Le letture, lo studio, le<br />

prime riflessioni maturate negli anni dell’adolescenza lo<br />

invogliarono a scrivere riflessioni nelle quali spesso sottolineava<br />

l’umano bisogno di trovare un tempo in cui<br />

poter guardare dentro la propria anima e saper ritrovare,<br />

in totale solitudine, la voce divina.<br />

In uno di questi momenti di s<strong>il</strong>enzio interiore riconobbe<br />

chiaramente di essere chiamato da Dio al sacerdozio;<br />

una sera del 1813, annotò queste parole nel suo diario<br />

personale: “Quest’anno fu per me anno di grazia: Iddio<br />

mi aperse gli occhi sopra molte cose e capii che non vi<br />

era altra sapienza che in lui”. Lo studioso rosminiano<br />

Remo Bessero Belti ha definito questo appunto come<br />

“la cosa più grande della sua adolescenza, una nota che<br />

squarcia tutto l’orizzonte, quasi un’esperienza intima di<br />

Dio che gli si rivelava come tutto <strong>il</strong> Bene, come <strong>il</strong> solo<br />

vero compimento di quell’anelito all’infinito che <strong>il</strong> giovane<br />

Rosmini sentiva in sé”. L’iniziale opposizione dei<br />

genitori alla scelta del figlio venne superata quando si<br />

resero conto che né un capriccio né un eccessivo entusiasmo<br />

lo stavano spingendo ad intraprendere questa<br />

strada: la vocazione sacerdotale appariva infatti in lui<br />

già ben definita. Dopo aver terminato gli studi ginnasiali<br />

Antonio Rosmini si iscrisse alla facoltà di teologia<br />

all’università di Padova: durante questi anni <strong>il</strong> roveretano<br />

si dedicò ad uno studio di tipo enciclopedico e fra le<br />

varie discipline emerse distintamente <strong>il</strong> suo amore per la<br />

f<strong>il</strong>osofia. Nel 1819 fondò la “Società degli Amici”, una<br />

sorta di prologo di quello che sarebbe stato l’Istituto<br />

della Carità, testimonianza certa che egli era un uomo<br />

concreto, capace di guardare alla società in modo innovativo<br />

e propositivo: <strong>il</strong> pensiero doveva sempre essere<br />

affiancato dai progetti e dall’azione.<br />

L’amicizia con <strong>il</strong> grande scrittore Niccolò Tommaseo ri-<br />

195


sale proprio a questi anni: Rosmini aveva letto alcune<br />

poesie ed intuito la genialità dell’uomo; fra i due era<br />

poi nata una frequentazione assidua, contrastata talvolta<br />

dall’atteggiamento scostante dello scrittore m<strong>il</strong>anese.<br />

Rosmini fu ordinato sacerdote a Chioggia <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e<br />

1821: fece poi ritorno a Rovereto, dividendo le sue<br />

giornate fra lo studio e la preghiera.<br />

Negli anni trascorsi a Rovereto si dimostrò particolarmente<br />

colpito dai problemi e dalle necessità che si manifestavano<br />

all’interno della società di quel tempo e, nel<br />

raccoglimento del suo animo, abbozzò <strong>il</strong> progetto di un<br />

istituto religioso che sapesse rispondere alle esigenze ed<br />

ai bisogni degli uomini; nel 1825 cominciò ad esporre<br />

lo schema di una nuova società religiosa, primo abbozzo<br />

dell’Istituto della Carità; ma, non volendo precorrere<br />

i tempi, continuò a maturare questo progetto nell’intimità<br />

del suo cuore.<br />

La decisione definitiva venne presa durante gli anni trascorsi<br />

a M<strong>il</strong>ano: vi si era recato al fine di approfondire<br />

i suoi studi sulla politica e per potersi dedicare agli<br />

scritti di f<strong>il</strong>osofia; questo centro di vita culturale e questo<br />

ambiente ricco di suggestioni gli offrì quegli stimoli<br />

intellettuali e quelle frequentazioni sociali che gli erano<br />

mancati durante gli anni a Rovereto. In particolar<br />

modo strinse due amicizie importanti con Alessandro<br />

Manzoni e con <strong>il</strong> conte Giacomo Mellerio, con i quali<br />

nacque un’intimità di legami destinata ad approfondirsi<br />

nel tempo.<br />

L’assidua frequentazione fra Antonio Rosmini ed Alessandro<br />

Manzoni fece emergere quegli aspetti che essi<br />

avevano in comune, mettendo in luce una grande condivisione<br />

di ideali quali l’amore per la verità, un elevato<br />

concetto di moralità, l’appassionata lettura delle Sacre<br />

Scritture; dal loro profondo legame di amicizia ebbero<br />

origine quelle reciproche influenze e quelle comuni linee<br />

di pensiero che si possono trovare nelle loro opere<br />

e per cui <strong>il</strong> Manzoni riconoscerà in Rosmini “<strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo<br />

della sua mente”, questi in Manzoni “<strong>il</strong> poeta del<br />

suo cuore”.<br />

Il legame fra Antonio Rosmini e Giacomo Mellerio fu<br />

invece determinante per la storia dell’Istituto della Carità<br />

in quanto <strong>il</strong> Conte sostenne ed incoraggiò <strong>il</strong> progetto<br />

di Rosmini di fondare un istituto religioso, prima<br />

196<br />

ancora che questo disegno assumesse una precisa definizione.<br />

Il Mellerio era originario di Domodossola e, sebbene<br />

avesse viaggiato molto e si fosse poi trasferito a vivere a<br />

M<strong>il</strong>ano, aveva conservato un amore profondo e sincero<br />

nei confronti della sua città natale, prodigandosi in numerose<br />

opere di beneficenza e donazioni destinate all’istituzione<br />

di as<strong>il</strong>i e di scuole ed all’assistenza sanitaria<br />

e sociale.<br />

Si comincia così ad intravedere in che modo Domodossola<br />

entri a far parte della vita di Antonio Rosmini prima<br />

ancora di divenire sede del suo istituto; Domodossola<br />

è infatti al centro di molti discorsi del Conte e delle<br />

rievocazioni di un passato che è sempre presente nei<br />

suoi ricordi perché ricco di affetti e di legami.<br />

Proprio in casa Mellerio <strong>il</strong> 9 giugno 1827 Rosmini incontrò<br />

<strong>il</strong> sacerdote lorenese Giovanni Battista Loewenbruck,<br />

colui che diede <strong>il</strong> decisivo impulso alla nascita<br />

della congregazione; questi aveva infatti intenzione di<br />

fondare una società religiosa volta al miglioramento del<br />

clero e domandò al roveretano di aiutarlo nella realizzazione<br />

di questo progetto; udita la medesima intenzione<br />

nelle parole di Antonio Rosmini, <strong>il</strong> lorenese si mostrò<br />

entusiasta e disposto ad incominciare immediatamente<br />

l’impresa. Questo incontro fu <strong>il</strong> segno provvidenziale<br />

che Rosmini attendeva.<br />

L’idem sentire fra <strong>il</strong> sacerdote lorenese ed <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo roveretano<br />

e la singolare coincidenza dei loro progetti li indusse<br />

a disporre le modalità di attuazione di una sim<strong>il</strong>e<br />

opera caritatevole.<br />

Dopo aver dibattuto i principi e le regole del nascente<br />

istituto ed averne abbozzato le linee guida, si cominciò<br />

a ricercare un luogo appartato dove, in un clima di<br />

meditazione e di solitudine contemplativa, poter gettare<br />

le basi della nuova fondazione. L’indicazione provenne<br />

dall’abate Luigi Polidori, cappellano di casa Mellerio<br />

a M<strong>il</strong>ano; egli, dopo essersi raccomandato alla Vergine<br />

Maria nella Chiesa di San Celso, dichiarò di aver avuto<br />

un’ispirazione sul posto adatto per fondare <strong>il</strong> nuovo<br />

ordine: <strong>il</strong> Sacro Monte Calvario di Domodossola. Rosmini<br />

gioì di questa indicazione: l’Istituto sarebbe sorto<br />

nel luogo dove Cristo, per salvare <strong>il</strong> mondo, aveva<br />

compiuto <strong>il</strong> più grande atto di carità, sarebbe germogliato,<br />

secondo quel presagio che la Canossa gli aveva


fatto “sul Calvario tra Gesù Crocifisso e Maria Santissima<br />

Addolorata”.<br />

L’impaziente Loewenbruck si recò immediatamente a<br />

visitare <strong>il</strong> Calvario e lo trovò appropriato per divenire la<br />

sede di un ordine religioso; nonostante gli anni dell’abbandono<br />

e della trascuratezza avessero inciso sul luogo,<br />

la sua natura e la sua essenza erano rimasti incontaminati<br />

e lasciavano trasparire, sotto una patina di fatiscenza,<br />

lo splendore del passato.<br />

Il 20 febbraio 1828 Antonio Rosmini arrivò al Sacro<br />

Monte Calvario, situato sul colle che sovrasta Domodossola;<br />

immerso nella solitudine e nel s<strong>il</strong>enzio del luogo,<br />

su quel monte diede inizio ad un sodalizio religioso<br />

destinato ad affermarsi nella Chiesa romana. Vi rimase<br />

alcuni mesi, vi scrisse le Regole del nascente Istituto<br />

della Carità, vi affinò le sue teorie metafisiche: al<br />

Calvario le doti di pensatore, di asceta, di organizzatore<br />

si fondarono in un unicum che fece di Antonio Rosmini<br />

una delle personalità più affascinanti e complete<br />

dell’Ottocento europeo. Colpisce la serenità con la<br />

quale Rosmini si apprestò a fondare un istituto trovandosi<br />

solo, in un luogo isolato, lontano dalla vita m<strong>il</strong>anese<br />

così ricca di incontri, di contatti, di stimoli culturali,<br />

criticato dagli amici che non comprendevano la<br />

sua scelta di volontario allontanamento ed isolamento.<br />

Colpisce ancora di più <strong>il</strong> forte contrasto fra la piccola<br />

cella in cui aveva deciso di abitare e la grandiosità delle<br />

opere da lui concepite in questi mesi. Antonio Rosmini<br />

espresse in una lettera le seguenti considerazioni dalla<br />

sua cella al Sacro Monte Calvario: “La solitudine mi è<br />

cara perché immerge in profondi pensieri. Tuttavia non<br />

sono già questi monti e queste valli, e questa pace e questo<br />

s<strong>il</strong>enzio che posseggono <strong>il</strong> mio cuore. I luoghi materiali<br />

sono troppo angusti per noi, <strong>il</strong> nostro luogo è Dio;<br />

ma quanto è stretta la via che conduce alla vita! L’ampiezza<br />

infinita, ove si d<strong>il</strong>ata infinitamente <strong>il</strong> gaudio del<br />

cuore, viene dopo la strettezza”.<br />

Al Calvario Rosmini era solo ed <strong>il</strong> Loewenbruck tardava<br />

ad arrivare; si erano dati appuntamento per <strong>il</strong> giorno<br />

delle Ceneri, per cominciare insieme la Quaresima in<br />

preghiera ed in penitenza; partito misteriosamente per<br />

la Francia, <strong>il</strong> compagno lorenese non inviava sue notizie:<br />

Rosmini era addolorato dall’inaspettata assenza del<br />

A. Rosmini ritratto da Francesco Hayez.<br />

suo unico compagno, ma intuiva che lo zelo, la fede e<br />

l’entusiasmo del Loewenbruck erano minati da un’incostanza<br />

e da un’instab<strong>il</strong>ità di carattere.<br />

Come si legge nel Diario degli scritti, tra <strong>il</strong> 24 febbraio<br />

ed <strong>il</strong> 23 apr<strong>il</strong>e 1828 risulta annotata la stesura delle Costitutiones<br />

societatis a Charitate nuncupatae (Costituzioni<br />

della Società consacrata dalla Carità); nonostante<br />

Antonio Rosmini in questo periodo avesse provveduto<br />

a comp<strong>il</strong>are le costituzioni dell’istituto, ancora piuttosto<br />

incerta restava la natura che avrebbe dovuto assumere:<br />

questi primi mesi di permanenza al Calvario appaiono<br />

più improntati alla solitudine contemplativa ed<br />

alla ricerca interiore che alla fondazione stab<strong>il</strong>e di una<br />

società religiosa.<br />

Nel nome “carità” dato al suo istituto erano riassunti i<br />

grandi obiettivi del f<strong>il</strong>osofo roveretano: la carità sarà infatti<br />

sv<strong>il</strong>uppata ed esplicata in tutte le sue accezioni e si<br />

manifesterà sotto le tre forme di carità corporale, spirituale<br />

ed intellettuale; proprio quest’ultima contraddistinguerà<br />

e differenzierà l’ordine rosminiano da tutti gli<br />

altri. L’8 luglio 1828 Loewenbruck giunse finalmente<br />

al Calvario: l’attesa era terminata ed <strong>il</strong> suo arrivo segnò<br />

197


l’inizio di un importante capitolo della storia dell’Istituto<br />

della Carità. In questo momento è possib<strong>il</strong>e intravedere<br />

<strong>il</strong> futuro del Sacro Monte: dopo l’arrivo del Loewenbruck,<br />

Rosmini non considerava più questo luogo<br />

soltanto come la sede provvisoria di un soggiorno limitato<br />

nel tempo e nell’importanza, ma piuttosto come<br />

la sede ideale della sua congregazione. Aveva così inizio<br />

la vita di luce del Calvario di Domodossola, vero cuore<br />

della spiritualità rosminiana.<br />

Dopo aver lasciato <strong>il</strong> Loewenbruck a capo della casa del<br />

Calvario e a coordinare i lavori di restauro, Rosmini si<br />

recò a Roma per ottenere dal Papa l’approvazione per <strong>il</strong><br />

suo nuovo Istituto e per pubblicare <strong>il</strong> Nuovo Saggio sulla<br />

origine delle idee e le Massime di perfezione cristiana, due<br />

grandi sintesi, la prima del suo pensiero f<strong>il</strong>osofico, la seconda<br />

della sua spiritualità. Nel novembre 1828 ottenne<br />

udienza da papa Leone XII, dal quale venne trattato<br />

con grande benevolenza: <strong>il</strong> Papa si dimostrò interessato<br />

alle idee di Rosmini e lo esortò a consegnare a due religiosi<br />

le Costituzioni del nascente Istituto, perché potessero<br />

essere esaminate e, qualora fossero in linea con le<br />

normative canoniche, approvate. L’improvvisa morte di<br />

Leone XII nel febbraio del 1829 vanificò la speranza di<br />

ottenere in tempi brevi l’approvazione da Roma. Rosmini<br />

attese pazientemente che <strong>il</strong> Conclave nominasse <strong>il</strong><br />

nuovo papa: venne eletto Pio VIII, <strong>il</strong> cui breve pontificato<br />

appare improntato da prudenza e saggezza.<br />

Nell’udienza pontificia del 15 maggio 1829 <strong>il</strong> Papa dichiarò<br />

a Rosmini di avere intuito che la sua reale vocazione<br />

era quella di attendere alla f<strong>il</strong>osofia, giudizio questo<br />

che avrebbe influito per sempre sulla sua vita; per<br />

quello che riguardava l’Istituto, <strong>il</strong> Papa gli suggerì di<br />

operare inizialmente “in piccolo”, lasciandosi guidare<br />

in seguito dalla volontà divina.<br />

Terminata la sua missione a Roma, nel maggio del 1830<br />

Rosmini tornò al Calvario e vi rimase un anno intero<br />

iniziando <strong>il</strong> noviziato con i primi compagni che si erano<br />

uniti a lui ed al Loewenbruck; fu questo un periodo<br />

di fervida attività per la piccola comunità del Calvario:<br />

vennero innanzitutto fissate le regole, venne stab<strong>il</strong>ita la<br />

distribuzione degli uffici al Calvario e suddivisa la giornata<br />

fra i momenti dedicati allo studio, alla preghiera,<br />

alle opere di carità.<br />

198<br />

Recatosi a Trento, Rosmini accettò la richiesta rivoltagli<br />

nell’agosto del 1830 da don Pietro Riegler, rettore del<br />

Seminario e da don Giulio Todeschi, professore di teologia:<br />

essi speravano che da un’unione con l’Istituto della<br />

Carità sarebbe potuto derivare un rinnovamento spirituale<br />

del clero trentino. Lo stesso vescovo Luschin si<br />

era rivolto al Rosmini chiedendogli di recarsi a lavorare<br />

nel seminario di Trento: questi, che aveva per lo più<br />

rifiutato le precedenti richieste di espandere l’Istituto<br />

in altre zone, riconoscendo la priorità di un consolidamento<br />

della piccola comunità, scelse di accettare questo<br />

invito.<br />

La nuova fondazione di Trento, agli inizi apparentemente<br />

favorita, incontrò presto l’opposizione del governo<br />

austriaco; <strong>il</strong> vescovo Luschin cercò di mediare proponendo<br />

a Rosmini di incontrarsi con l’Imperatore per<br />

ottenere da lui l’approvazione dell’Istituto. L’Imperatore<br />

ricevette Rosmini per due volte, prima a Bressanone,<br />

poi a Innsbruck, dimostrandosi favorevole al progetto,<br />

anche se impose alcune condizioni. Quando però monsignor<br />

Luschin venne nominato vescovo di Leopoli, i<br />

problemi e le opposizioni già esistenti si moltiplicarono<br />

e la situazione divenne insostenib<strong>il</strong>e. Lo stesso Rosmini<br />

venne sottoposto a vig<strong>il</strong>anza perché considerato<br />

“uomo dai principi pericolosi”; egli a questo punto non<br />

poté che prendere una decisione, l’unica saggia e possib<strong>il</strong>e,<br />

anche se dolorosa: chiudere l’istituto di Trento. Da<br />

questa e da altre amare esperienze nacque <strong>il</strong> <strong>libro</strong> Delle<br />

cinque Piaghe della Santa Chiesa, scritto a Corezzola<br />

nel novembre 1832, in cui erano descritte non tanto le<br />

colpe, quanto piuttosto le ferite che la Chiesa aveva subito:<br />

la scelta di non pubblicarlo subito, ma di aspettare<br />

<strong>il</strong> 1848 si sarebbe poi rivelata errata, perché anche in<br />

quell’anno i tempi non sarebbero stati maturi per un’effettiva<br />

comprensione delle sue parole. Il <strong>libro</strong> fu infatti<br />

travisato, messo al bando e divenne per lui fonte di<br />

grande sofferenza.<br />

Nello stesso periodo in cui Antonio Rosmini si apprestava<br />

a dar origine all’Istituto di Trento, Loewenbruck<br />

decise di dar seguito ad una sua felice intuizione: in<br />

Francia vi era una congregazione, le Suore della Provvidenza,<br />

che aveva lo scopo di garantire l’assistenza alle<br />

persone malate e di provvedere all’educazione delle giovani;<br />

<strong>il</strong> sacerdote lorenese pensò di introdurre un ana-


logo istituto in <strong>It</strong>alia. Per questo motivo mandò alcune<br />

giovani ossolane a Portieux in Francia dove aveva sede la<br />

Casa Madre di questa congregazione ed in seguito inviò<br />

un altro gruppo di suore a Locarno e a Torino, accondiscendendo<br />

così alle richieste che gli erano state rivolte.<br />

Ancora una volta l’impulsività del Loewenbruck aveva<br />

preso <strong>il</strong> sopravvento sulla prudenza che sarebbe stata<br />

invece opportuno ut<strong>il</strong>izzare in questo frangente: aveva<br />

impegnato le suore in missioni che si erano dimostrate<br />

superiori alle loro forze, senza provvedere a dar loro<br />

un’adeguata formazione ed un sostentamento economico.<br />

Antonio Rosmini, inizialmente all’oscuro di tutto,<br />

aveva in seguito cercato di rimediare ai danni provocati<br />

dall’imprudente generosità del lorenese: erano state così<br />

fissate le norme per l’ammissione delle suore nell’Istituto,<br />

era stata data loro una regola, affine a quella dell’Istituto<br />

della Carità; questo perché Rosmini, accettando la<br />

richiesta del Loewenbruck di prendere la direzione delle<br />

suore, voleva fondarle sui medesimi principi su cui era<br />

nato <strong>il</strong> suo Istituto: “come due rami d’un solo albero,<br />

traenti <strong>il</strong> succo da unica radice, viventi della stessa vita”.<br />

In pochi anni le Suore della Provvidenza aprirono case<br />

a Torino, Casale, Stresa, Domodossola e Biella, mentre<br />

la Casa Madre del nuovo ordine ebbe sede nel Convento<br />

delle ex Orsoline a Domodossola.<br />

Nel 1834 Rosmini divenne arciprete a Rovereto, si impegnò<br />

a fondo nell’educazione del clero e dei giovani,<br />

ma la sua opera venne fortemente ostacolata dal governo<br />

austriaco attraverso la Curia di Trento, tanto da costringerlo<br />

ad interrompere la sua missione nell’ottobre<br />

del 1835: ritornò così stab<strong>il</strong>mente in Piemonte dove<br />

per vent’anni ebbe la sua dimora abituale tanto da definirlo<br />

in una lettera come la sua “seconda Patria”.<br />

Opinione comune fra gli studiosi è <strong>il</strong> considerare come<br />

elemento fondamentale per <strong>il</strong> Rosmini studioso e uomo<br />

di cultura l’aver trascorso gli ultimi venti anni della sua<br />

vita in Piemonte, anziché in Trentino. L’Austria esercitava<br />

infatti un duro controllo ed una pesante censura<br />

non solo nella stampa ma anche sul modo di pensare,<br />

proibendo quella costruttiva libertà di dialogo che<br />

era necessaria per uno sv<strong>il</strong>uppo ed una maturazione del<br />

pensiero rosminiano. Sebbene avesse deciso di sottrarsi<br />

a numerose richieste che aveva ricevuto per mancanza<br />

di uomini o perché queste non gli erano sembrate in<br />

accordo con lo spirito dell’Istituto, la sua attività negli<br />

anni tra <strong>il</strong> 1835 e <strong>il</strong> 1839 appare straordinaria; <strong>il</strong> suo<br />

Istituto attraversò una fase di espansione e di consolidamento:<br />

oltre alla fondazione delle Suore della Provvidenza,<br />

venne dato inizio ad alcune opere tra le più significative<br />

della storia della congregazione rosminiana,<br />

importanti anche perché destinate a propagare l’Istituto<br />

in direzioni differenti.<br />

Intrapresa nel 1835, grande fortuna ebbe innanzitutto<br />

la missione in Ingh<strong>il</strong>terra, che rappresenta una pietra<br />

m<strong>il</strong>iare nella storia dell’Istituto della Carità, poiché<br />

diede inizio alla propagazione dell’ordine anche in terra<br />

straniera, aprendo così l’orizzonte verso nuovi confini.<br />

Il biennio 1835-1836 vide l’opera rosminiana indirizzarsi<br />

verso due abbazie: Tamié e San Michele. La prima<br />

missione aveva infiammato gli animi dei sacerdoti dell’Istituto:<br />

lo stesso Rosmini, recatosi in Savoia nell’estate<br />

del 1835, aveva mostrato un acceso entusiasmo per la<br />

possib<strong>il</strong>ità di impiantare una missione a Tamié e di fondarvi<br />

un collegio per missionari. Ma l’entusiasmo iniziale<br />

suo e dei religiosi inviati in questa abbazia si era<br />

lentamente affievolito, soffocato dalle preoccupazioni,<br />

dalle tensioni interne e dai continui tentennamenti del<br />

Loewenbruck; Rosmini decise quindi di ritirare i suoi<br />

sacerdoti dalla casa di Tamié, che ritornava all’arcivescovo<br />

monsignor Martinet, segnando così la fine della<br />

missione. Ma Rosmini subì la più grande delusione a<br />

causa dell’improvviso abbandono dell’Istituto della Carità<br />

da parte del compagno lorenese: l’incostanza ed i<br />

fac<strong>il</strong>i entusiasmi avevano condotto <strong>il</strong> Loewenbruck verso<br />

altre avventurose strade.<br />

All’orizzonte si delineava però una nuova impresa: Carlo<br />

Alberto, re del Piemonte, aveva concepito <strong>il</strong> progetto<br />

di fondare una casa di ospitalità e di ritiro all’abbazia<br />

di San Michele della Chiusa per coloro che desiderassero<br />

trascorrere un periodo di solitudine e di preghiera;<br />

<strong>il</strong> re aveva proposto ad Antonio Rosmini di affidare la<br />

cura dell’abbazia e l’attuazione della missione al suo ordine<br />

religioso.<br />

Rosmini si dimostrò favorevole all’impresa e, superate<br />

alcune difficoltà iniziali, mandò alla Sacra di San Michele<br />

dodici religiosi, sotto la direzione di don Francesco<br />

Puecher.<br />

199


Questo periodo così denso di avvenimenti e di fondazioni<br />

sembrò trovare ideale coronamento con l’approvazione<br />

dell’Istituto da parte della Santa Sede. Papa Gregorio<br />

XVI, succeduto a Pio VIII nel 1830, aveva affidato<br />

l’esame delle Costituzioni alla Congregazione pontificia<br />

dei Vescovi e dei Regolari.<br />

L’approvazione dell’Istituto aveva inizialmente incontrato<br />

degli ostacoli ed erano pervenute alcune critiche<br />

dall’ambiente gesuita; <strong>il</strong> 20 dicembre 1838 però, grazie<br />

ad un intervento di papa Gregorio XVI, 1 venne firmato<br />

<strong>il</strong> decreto che approvava le regole del nuovo Istituto.<br />

Il 25 marzo 1839 diciannove religiosi al Calvario<br />

e sei sacerdoti in Ingh<strong>il</strong>terra pronunciarono i voti<br />

perpetui: una grande distanza li separava, ma lo spirito<br />

di carità che faceva da fondamento all’Istituto li univa<br />

idealmente. Questo fu infatti un giorno di festa “spiritualmente<br />

grande, ma esteriormente modesta, secondo<br />

lo spirito um<strong>il</strong>e della società”, come afferma <strong>il</strong> Garioni<br />

Bertolotti.<br />

Negli anni successivi all’approvazione dell’Istituto sono<br />

almeno tre gli ambiti in cui si può dividere l’operato di<br />

Antonio Rosmini: 1) la fondazione di collegi, di scuole,<br />

di orfanotrofi, di as<strong>il</strong>i e la preparazione accurata degli<br />

insegnanti in accordo all’importanza attribuita da lui al<br />

ruolo degli educatori; 2) la pubblicazione di numerose<br />

opere f<strong>il</strong>osofiche e le dispute che lo vedono coinvolto;<br />

3) l’esperienza della politica e l’inevitab<strong>il</strong>e intreccio con<br />

gli avvenimenti del Risorgimento italiano.<br />

A partire dalla fine degli anni Trenta, Stresa divenne la<br />

residenza prescelta dal grande roveretano per trascorrere<br />

lunghi periodi immerso nella pace e nella serenità del<br />

luogo. Qui, circondato dalla poetica cornice di questa<br />

tranqu<strong>il</strong>la cittadina affacciata sul Lago Maggiore, accoglieva<br />

gli amici, approfondiva gli studi, concepiva grandi<br />

opere; tra queste occorre ricordare Storia dei sistemi<br />

morali (1837); La società e <strong>il</strong> suo fine (1839); Trattato<br />

della coscienza morale (1839); Risposta al finto Eusebio<br />

(1841); F<strong>il</strong>osofia del diritto (1841-1845); Teodicea<br />

(1845); Psicologia (1845).<br />

Nel 1837 Rosmini aveva accettato la proposta del conte<br />

Giacomo Mellerio di affidare al suo ordine <strong>il</strong> collegio<br />

di Domodossola, ampliando la scuola ginnasiale che era<br />

stata fondata nel 1818; agli inizi degli anni Quaranta<br />

era stato aggiunto anche <strong>il</strong> Liceo ed erano stati acquista-<br />

200<br />

ti alcuni terreni ed edifici confinanti con <strong>il</strong> Collegio per<br />

consentire un ampliamento della scuola. Rosmini aveva<br />

provveduto a st<strong>il</strong>are delle norme per gli allievi e per<br />

i docenti del collegio; a questi ultimi spettava l’importante<br />

compito di formare gli alunni seguendo un unitario<br />

progetto educativo: grande attenzione venne infatti<br />

prestata dal Padre Fondatore al campo dell’istruzione,<br />

un’opera tra le più consone allo spirito dell’Istituto<br />

e alla personalità del roveretano.<br />

L’istruzione era da lui considerata come un elemento<br />

fondamentale e pertanto era necessario disporre di educatori<br />

ben preparati all’interno dei collegi: gli insegnanti<br />

dovevano infatti saper nutrire lo spirito, mirando alla<br />

crescita interiore degli allievi. Allo scopo di indicare <strong>il</strong><br />

metodo educativo da pred<strong>il</strong>igere egli scrisse in questi<br />

anni <strong>il</strong> trattato: Del principio supremo della metodica e<br />

di alcune sue applicazioni in servizio dell’umana educazione.<br />

Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta<br />

si trovò a dover fronteggiare duri attacchi alle sue<br />

teorie f<strong>il</strong>osofiche: un primo gli era stato sferrato da Vincenzo<br />

Gioberti, al cui testo “Degli errori f<strong>il</strong>osofici di Antonio<br />

Rosmini” avevano dato fiera risposta i discepoli del<br />

roveretano; ma se in questo campo si può ricondurre la<br />

questione a divergenze fra esponenti di scuole di pensiero<br />

differenti, di natura diversa risultava essere la critica<br />

pesante, ancor più grave in quanto anonima, alle<br />

sue dottrine sulla coscienza morale. Su un libretto firmato<br />

con lo pseudonimo di Eusebio Cristiano vennero<br />

non solo confutate le dottrine rosminiane, ma ne venne<br />

anche stravolto <strong>il</strong> contenuto, individuando delle analogie<br />

con le tesi luterane, calviniste o gianseniste. Ciò<br />

che stupisce è la sistematicità con la quale venne portato<br />

avanti questo tentativo denigratorio nei confronti di<br />

Antonio Rosmini: irreperib<strong>il</strong>e nelle librerie, <strong>il</strong> testo venne<br />

fatto circolare contemporaneamente a Roma, Genova,<br />

Lucca e Torino attraverso una distribuzione all’interno<br />

dei seminari, dei collegi, delle scuole, giungendo<br />

nelle mani di molti conoscenti e amici di Antonio<br />

Rosmini; dietro le osservazioni contenute nell’opuscolo<br />

non sarà però diffic<strong>il</strong>e riconoscere un gruppo di gesuiti<br />

che da tempo cercava di osteggiare <strong>il</strong> nascente Istituto<br />

della Carità. Questo opuscolo ottenne un’eco inaspettata<br />

rimbalzando da un ambiente all’altro e, sebbene


privo di una valida analisi critica, produsse vasti effetti<br />

grazie alla sott<strong>il</strong>e ab<strong>il</strong>ità denigratoria con cui era stato<br />

concepito. La Risposta al finto Eusebio Cristiano scritta<br />

da Antonio Rosmini risulta essere un testo forte, volto<br />

a mettere in luce la menzogna e gli errori contenuti nel<br />

libello; intervenendo poi con un decreto in favore dell’abate<br />

roveretano, papa Gregorio XVI impose la fine<br />

delle accese controversie.<br />

Rosmini partecipò agli entusiasmi e alle speranze che<br />

erano sorte in <strong>It</strong>alia nella primavera del 1848; egli si era<br />

interessato di politica fin dalla prima giovinezza e, nell’arco<br />

di un ventennio, i suoi scritti avevano mostrato<br />

un approfondimento e un’evoluzione della sua posizione:<br />

avendo analizzato attentamente la situazione politica<br />

italiana, si era trovato allineato sulle posizioni di<br />

molti patrioti che, riscoprendo <strong>il</strong> concetto di “nazionalità”,<br />

auspicavano l’indipendenza dallo straniero e la nascita<br />

di governi costituzionali. Egli si era dichiarato favorevole<br />

alla concessione della Costituzione negli Stati<br />

italiani a patto che questa fosse una creazione spontanea<br />

del popolo e che non mutuasse concetti e osservazioni<br />

da precedenti forme di costituzioni estere.<br />

Il 2 agosto 1848 Rosmini si recò a Torino su invito di<br />

Gabrio Casati, presidente del Consiglio piemontese;<br />

prendendo parte ad una riunione del Consiglio dei Ministri,<br />

gli venne affidata una delicata missione diplomatica<br />

a Roma presso <strong>il</strong> papa Pio IX nella speranza di poter<br />

dar vita ad un concordato tra la Chiesa ed <strong>il</strong> Piemonte<br />

e ad una confederazione di stati affidandone la presidenza<br />

allo stesso Santo Padre. Pio IX nutriva un sentimento<br />

di profonda stima e di fiducia nei confronti del<br />

sacerdote roveretano, tanto da volerlo nominare Cardinale<br />

e successivamente Segretario di Stato. Rosmini si<br />

vide però costretto a rassegnare le dimissioni al governo<br />

piemontese quando, <strong>il</strong> nuovo esecutivo cominciò a sostenere<br />

una linea politico-diplomatica differente, ossia<br />

la nascita di una lega legittimata dal papa in funzione<br />

antiaustriaca: constatando che le trattative avviate per <strong>il</strong><br />

Concordato e la Confederazione non avevano più l’appoggio<br />

del governo piemontese, <strong>il</strong> roveretano considerò<br />

esaurito <strong>il</strong> suo compito.<br />

Per desiderio del Pontefice Rosmini restò a Roma, ma<br />

improvvisamente anche qui la situazione precipitò<br />

quando <strong>il</strong> 15 novembre venne ucciso <strong>il</strong> primo ministro<br />

Pellegrino Rossi. Nell’entourage papale dominavano la<br />

confusione e la paura ed <strong>il</strong> palazzo del Quirinale venne<br />

assalito dai rivoltosi che volevano veder accettate le loro<br />

proposte. 2 Il Papa <strong>il</strong> 24 novembre fuggì a Gaeta e Rosmini,<br />

rispondendo al suo invito, lo raggiunse due giorni<br />

dopo, ma sebbene tra di loro continuasse ad esserci<br />

un legame di affetto e di stima, sorsero i primi dissensi:<br />

Rosmini temette che la posizione papale potesse generare<br />

un insanab<strong>il</strong>e dissidio fra la Chiesa e lo Stato perché<br />

ritenuta contraria alla causa dell’unità e delle libertà<br />

costituzionali. Nella primavera 1849, approfittando<br />

dell’assenza di Rosmini da Gaeta, i suoi avversari ottennero<br />

che venissero messe all’indice due opere del roveretano,<br />

La Costituzione civ<strong>il</strong>e secondo la giustizia sociale e<br />

Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa, isolandolo sempre<br />

più dal Papa e di fatto impedendogli di ottenere la porpora.<br />

Rosmini, deluso, sospettato dalla polizia borbonica,<br />

preoccupato più che per sé per la posizione assunta<br />

dal Santo Padre, lasciò definitivamente Gaeta <strong>il</strong> 15<br />

giugno. Apprese del decreto dell’Indice solo due mesi<br />

dopo: <strong>il</strong> colpo alle sue dottrine e al suo giovane Istituto<br />

si rivelò da subito tremendo, ma Rosmini commentò<br />

i fatti con serenità d’animo e con un sentimento di obbedienza<br />

al volere della Provvidenza. Paradossalmente è<br />

forse la sua ora più alta e più bella.<br />

Senza recriminazioni fece ritorno a Stresa dove si dedicò<br />

alle cure del suo Istituto e alla stesura di nuove opere;<br />

qui scrisse lettere serene, incontrò ed ospitò innumerevoli<br />

amici e confratelli, la sua casa divenne un cenacolo<br />

come un tempo lo era stata casa Mellerio a M<strong>il</strong>ano.<br />

Soprattutto in questi ultimi anni Manzoni divenne<br />

per lui un fratello spirituale a cui affidare <strong>il</strong> suo testamento<br />

morale.<br />

Mentre le sue teorie si diffondevano nelle università italiane,<br />

studiate e spiegate da insigni docenti, a Roma<br />

prendeva nuovo vigore la controversia teologica: ai libretti<br />

ed alle calunnie Rosmini non rispose più, sdegnato<br />

ed amareggiato.<br />

Fu proprio Pio IX, ormai lontano dal Rosmini in politica,<br />

ma fedele ammiratore del suo ingegno, a proporre<br />

un esame serio, approfondito di tutte le opere pubblicate,<br />

nominando quindici consultori; dopo quattro anni<br />

di analisi osteggiate dai nemici di Rosmini, <strong>il</strong> 3 luglio<br />

201


1854 si riunì la Congregazione dell’Indice, presieduta<br />

dal Santo Padre. L’assoluzione delle sue opere e delle<br />

sue dottrine fu totale ed <strong>il</strong> Papa chiese che fosse definitiva:<br />

Rosmini la accolse con serenità e con pacatezza,<br />

senza alcun spirito di rivalsa. Solo molti anni dopo<br />

la morte del roveretano, nel 1888, <strong>il</strong> Sant’Uffizio tornerà<br />

a condannare Rosmini estrapolando 40 proposizioni<br />

dalle sue opere postume in modo da aggirare <strong>il</strong> decreto<br />

pontificio: occorrerà giungere al 1 luglio 2001 perché<br />

questa posizione venga cancellata e Rosmini compiutamente<br />

riab<strong>il</strong>itato.<br />

Purtroppo <strong>il</strong> male che aveva tormentato Rosmini in alcuni<br />

momenti della sua gioventù, riapparve in forma<br />

più acuta e dolorosa; dalla primavera del 1855 non si allontanò<br />

più dalla v<strong>il</strong>la di Stresa. I giorni della sofferenza<br />

ultima furono contrassegnati dall’affettuosa partecipazione<br />

dei suoi fedeli e dei tanti amici che ricevettero<br />

Note<br />

1 Il 12 settembre 1839 licenziando la Regola dell’Istituto della Carità<br />

papa Gregorio XVI scrisse di sua mano un commento elogiativo<br />

per <strong>il</strong> fondatore: “Essendo cosa a Noi ben conosciuta e sperimentata<br />

che <strong>il</strong> nostro d<strong>il</strong>etto figlio sacerdote Antonio Rosmini, fondatore<br />

di questo Istituto, è uomo fornito di ingegno eccellente e singolare,<br />

ornato l’animo di egregie doti, per scienza, delle cose divine e<br />

umane soprammodo <strong>il</strong>lustre, chiaro per esimia pietà, religione, virtù,<br />

probità, prudenza, integrità, splendente per meraviglioso amore<br />

e attaccamento alla cattolica religione e a questa Sede Apostolica,<br />

e che nel fondare l’Istituto della Carità a questo principalmente intese,<br />

che la carità di Cristo maggiormente diffusa nei cuori di tutti,<br />

tutti stringesse, e la Chiesa cattolica raccogliesse frutti ogni dì più<br />

ubertosi, e i popoli con più acuti stimoli fossero eccitati all’amore<br />

di Dio e alla d<strong>il</strong>ezione scambievole, Noi abbiamo giudicato di preporre<br />

<strong>il</strong> medesimo d<strong>il</strong>etto figlio al governo di detta Società. Eleggiamo<br />

e costituiamo lo stesso Antonio Rosmini Preposito Generale a<br />

vita del nominato Istituto con tutte le facoltà necessarie e opportune”<br />

(tratto dalle Lettere Apostoliche di approvazione dell’Istituto della<br />

Carità emanate <strong>il</strong> 12 settembre 1839). Il Garioni Bertolotti sottolinea<br />

come un elogio papale di una persona vivente rappresenti un<br />

unicum nella storia della Chiesa: Gregorio XVI mostrava di stimare<br />

a tal punto l’operato di Antonio Rosmini da decidere di inserire<br />

delle parole di lode che non sono solo rivolte all’Istituto fondato,<br />

ma anche all’uomo, la cui grandezza lo fa assurgere a superiore del<br />

suo ordine religioso.<br />

2 Pio IX, nel tentativo di sedare i tumulti, aveva accettato <strong>il</strong> ministero<br />

voluto dai rivoluzionari: nella lista st<strong>il</strong>ata <strong>il</strong> papa sembra aver inserito<br />

anche <strong>il</strong> nome di Antonio Rosmini, come Presidente del Consiglio<br />

e come Ministro della Pubblica Istruzione. Ma la posizione offertagli<br />

era troppo equivoca, fatta di compromessi con un Gabinetto<br />

202<br />

come un’ultima benedizione <strong>il</strong> suo testamento spirituale,<br />

composto di parole e comportamenti sublimi.<br />

Si spense <strong>il</strong> 1 luglio 1855 in una s<strong>il</strong>enziosa notte d’estate;<br />

<strong>il</strong> primo ministro conte di Cavour ne diede notizia<br />

all’<strong>It</strong>alia e all’Europa come di un avvenimento di<br />

importanza nazionale. Queste poche parole di Ruggero<br />

Bonghi fanno comprendere la grande natura dell’uomo:<br />

“Si è d<strong>il</strong>eguata quaggiù la più gran mente e la più<br />

sant’anima che vivesse in <strong>It</strong>alia. Lascia eredità grande<br />

di affetti e d’idee; i suoi confratelli e i suoi amici nutriranno<br />

gli uni; spetta ai giovani italiani di fecondare le<br />

altre. Tutti ci sentiremo migliori e più grandi nella sua<br />

memoria”.<br />

Le sue ultime parole affidate al Manzoni, sono la sintesi<br />

di una vita dedita all’uomo e alla Chiesa, per unificare<br />

la loro strada che sale a Dio: “Adorare, Tacere, Godere”.<br />

Valgono anche oggi, immutab<strong>il</strong>mente.<br />

che Rosmini considerava non costituzionale: domandando al Santo<br />

Padre quale fosse la sua sincera volontà, non aveva trovato nelle<br />

sue parole la fiducia necessaria per fargli accettare l’incarico. Il giorno<br />

seguente <strong>il</strong> suo rifiuto venne comunicato al neo eletto ministro<br />

Galletti, che subito gli sostituì monsignor Muzzarelli. La nomina<br />

di Rosmini a ministro è un episodio sfuggito all’attenzione di molti<br />

poiché <strong>il</strong> suo nome, comparso solo in un comunicato del giornale<br />

Il contemporaneo, era stato sostituito nell’elenco ufficiale dei ministri<br />

diffuso <strong>il</strong> giorno successivo dal Galletti.<br />

Bibliografia<br />

-R. Bessero Belti, Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa<br />

1989<br />

-G. Bozzetti, Prof<strong>il</strong>o di Antonio Rosmini, Libraria Editoriale Sodali-<br />

tas, Stresa 1985<br />

-M. De Paoli, Antonio Rosmini. Una lunga storia d’amore, Edizioni<br />

San Paolo, Cinisello Balsamo 1997<br />

-G. Garioni Bertolotti, Antonio Rosmini, Libraria Editoriale Soda-<br />

litas, Stresa 1981<br />

-U. Muratore, Rosmini profeta obbediente, Paoline Editoriale Libri,<br />

M<strong>il</strong>ano 1995<br />

-Pagine di una vita. Note biografiche su Antonio Rosmini, a cura di M.<br />

Murdocca, Longo Editore, Rovereto 1986<br />

-G. Rossi, Vita di Antonio Rosmini, in 2 voll., Arti Grafiche Manfri-<br />

ni, Rovereto 1959


I monumenti e i segni d’arte<br />

Gian Franco Bianchetti<br />

Le opere, i monumenti, i segni d’arte depositati dal<br />

tempo nella valle della Toce sono molti, pertanto nelle<br />

poche pagine seguenti non potrò ricordarli tutti, mi<br />

limiterò invece ad indicare quelli particolarmente rappresentativi<br />

di periodi storici, di scuole artistiche locali<br />

o di personalità che hanno creato felici momenti d’arte<br />

nel fluire della storia ossolana.<br />

La baita, con i suoi muri a secco solidamente costruiti<br />

per reggere le travature impostate a sostegno della pesante<br />

copertura di piode è, probab<strong>il</strong>mente, l’opera prima<br />

creata dal genio degli abitatori dell’Ossola al tempo<br />

della colonizzazione iniziale. Immutata nella tecnica costruttiva<br />

e nei materiali, è un monumento archeologico<br />

che ha conservato nei m<strong>il</strong>lenni valori di funzionalità e<br />

bellezza anche nella collocazione appropriata alle diverse<br />

situazioni presentate dal terreno e dalle risorse ambientali.<br />

Ma con la baita non si esaurì la capacità creativa<br />

di quella cultura primordiale, giacché ad essa vanno<br />

ascritti anche i muri a secco megalitici innalzati per sostenere<br />

i ripiani coltivab<strong>il</strong>i sulle pendici delle valli, collegati<br />

fra essi, altresì, da un sistema di scale, a volte incassate<br />

a volte aggettanti, che tuttora rappresentano la<br />

più vasta e persistente testimonianza della fatica iniziale<br />

dell’uomo volta ad adattare l’ambiente alpestre alle esigenze<br />

della propria sopravvivenza. A riprova dell’evoluzione<br />

tecnica raggiunta nel trattamento e nell’impiego<br />

di materiali spontaneamente offerti dall’ambiente naturale,<br />

un altro fenomeno, meno diffuso, ma tecnicamente<br />

significativo, sopravvive concomitante alle opere<br />

megalitiche, ossia le camere sotterranee ricavate nei<br />

muri a secco (dette sotto fascia) frequentemente ampliate<br />

nel sottosuolo retrostante, coperte talvolta da false<br />

cupole (a tholos), tal altra da spesse lastre oppure costruite<br />

sotto massi erratici di grandi dimensioni inglobati<br />

nel tessuto murario. La presenza delle camere sot-<br />

terranee si concentra prevalentemente a Montecrestese,<br />

sui declivi alle spalle della località Castelluccio, e soprattutto<br />

a Varchignoli, località al confine fra i territori di<br />

V<strong>il</strong>ladossola e Montescheno, dove si manifesta associata a<br />

canalizzazioni di drenaggio, a tratti sotterranee, a tratti<br />

a cielo aperto, r<strong>il</strong>evate pure a Castelluccio, che, correlate<br />

allo sv<strong>il</strong>uppo dei muri megalitici e alla dislocazione<br />

delle scale suggeriscono l’effetto di un sistema complessivo<br />

progettato per bonificare l’area comprendente<br />

anche territori limitrofi di altre località a oriente di Varchignoli<br />

1 . Camere sotterranee che, ponendo oggi interrogativi<br />

sulla loro ut<strong>il</strong>izzazione, pare aprano un passaggio<br />

sul versante spirituale di quella cultura di un tempo<br />

precedente la storia a cui appartengono anche altri segni,<br />

funzionali, questi, alla religiosità di quella gente lepontica<br />

che per prima abitò le valli ossolane. Sono infatti<br />

segni rivelatori del culto praticato nei secoli antecedenti<br />

alla diffusione del Cristianesimo: la stele cruciforme<br />

trovata alla Colma di Craveggia, e ivi conservata<br />

nell’oratorio di San Rocco, simbolo solare invocato per<br />

ottenere la fecondità della terra e degli armenti; i bassor<strong>il</strong>ievi<br />

antropomorfi murati all’esterno della parete meridionale<br />

di San Quirico a Calice e <strong>il</strong> mascherone della<br />

fontana affacciata sul sagrato dell’oratorio di San Pietro<br />

a Dresio di Vogogna 2 . Il tempietto lepontico a Roldo di<br />

Montecrestese, datato al primo secolo dopo Cristo, introduce<br />

l’Ossola nei tempi storici. Unico esempio, quasi<br />

intatto, che documenti <strong>il</strong> connubio fra la tecnica costruttiva<br />

romana e le esigenze religiose e estetiche della<br />

cultura lepontica, è <strong>il</strong> solo edificio rimasto in tutta l’area<br />

gallo-romana a testimoniare l’influsso della civ<strong>il</strong>tà romana<br />

sulle popolazioni alpine. È costituito da una cella<br />

e da un atrio, con volta a botte, sulla quale si posava direttamente<br />

una copertura di tegoloni in beola foggiati<br />

su modulo romano, ora scomparsa, sim<strong>il</strong>e a quella an-<br />

203


cora esistente nella zona absidale della chiesa di S. Giorgio<br />

a Varzo; dovuto a tecnica romana è anche <strong>il</strong> pavimento,<br />

in parte ancora conservato, composto da minuti<br />

frammenti di marmo legati da malta marmorea; è invece<br />

lepontico l’orientamento, su un asse nord-sud, che<br />

rivela la dedicazione del tempietto a una divinità solare.<br />

Sebbene siano emersi altri resti a testimonianza della<br />

dominazione romana in Ossola, <strong>il</strong> tempietto di Roldo<br />

è certamente <strong>il</strong> monumento più significativo giunto<br />

a noi da quegli anni 3 .<br />

Quando la disgregazione dell’Impero Romano, causata,<br />

almeno in parte, dalle invasioni barbariche, privò<br />

le popolazioni dell’Occidente europeo dell’organizzazione<br />

sociale nella quale si identificava la loro civ<strong>il</strong>tà, <strong>il</strong><br />

Cristianesimo offrì un nuovo modello di vita attraverso<br />

le organizzazioni ecclesiastiche. Di quegli anni diffic<strong>il</strong>i<br />

della Chiesa nascente l’Ossola conserva una testimonianza<br />

nel fonte battesimale scoperto di recente sotto <strong>il</strong><br />

presbiterio della chiesa di San Giovanni a Montorfano di<br />

Mergozzo. Datato al V-VI secolo, mostra una vasca ottagonale,<br />

incassata nel pavimento, formata da mattoni sesquipedali<br />

di modulo tipicamente romano, che ricorda<br />

come nella liturgia di allora <strong>il</strong> battesimo fosse impartito<br />

con l’immersione del catecumeno 4 .<br />

La notte di Natale dell’anno Ottocento, nella bas<strong>il</strong>ica<br />

di S. Pietro a Roma, ponendo sul capo di Carlo Magno<br />

la corona dell’Impero d’Occidente, Papa Leone III sanciva<br />

la nascita del Sacro Romano Impero e confermava<br />

<strong>il</strong> potere dei Franchi su gran parte dell’Occidente europeo.<br />

Sotto <strong>il</strong> regno carolingio l’Europa visse un tempo<br />

di rinnovamento culturale ispirato alla civ<strong>il</strong>tà romana,<br />

al quale si univa <strong>il</strong> gusto tradizionale per la decorazione<br />

minuta delle popolazioni barbariche, ormai stab<strong>il</strong>ite<br />

nella nuova organizzazione politica. Anche l’Ossola<br />

conobbe la «Renovatio» carolingia e lo dimostra la cappella<br />

settentrionale inferiore della chiesa di Santa Maria<br />

Assunta del Piaggio a V<strong>il</strong>ladossola. Sebbene ora sia inclusa<br />

nel più ampio edificio romanico, la chiesuola primitiva<br />

è ancora riconoscib<strong>il</strong>e: una piccola navata orientata<br />

sull’asse est-ovest con l’abside semi c<strong>il</strong>indrica a oriente.<br />

Semplice struttura che ripete <strong>il</strong> tipo bas<strong>il</strong>icale romano,<br />

presenta sulla parete esterna dell’abside elementi tipici<br />

della decorazione architettonica di st<strong>il</strong>e carolingio:<br />

la superficie curva è divisa in tre specchiature da larghe<br />

204<br />

lesene; coronata da una serie di archetti pens<strong>il</strong>i, ha nelle<br />

specchiature laterali due finestrelle a feritoia, definite da<br />

profonde strombature e concluse in alto da uno stretto<br />

arco, e nella specchiatura centrale è evidenziata, da un<br />

leggero r<strong>il</strong>ievo, una croce latina, che nell’estremità inferiore<br />

s’apre a V capovolta a simboleggiare <strong>il</strong> calvario,<br />

simbolo quest’ultimo di derivazione longobarda 5 .<br />

Con la caduta della dinastia carolingia l’impero passa<br />

alla casa germanica di Sassonia (962) che, durante <strong>il</strong> regno<br />

dei tre imperatori di nome Ottone, ridesta in Europa<br />

l’esigenza di un’arte monumentale, emblema dell’Impero<br />

rinnovato. Si affermarono in quegli anni del<br />

X secolo costruttori ed<strong>il</strong>i lombardi, che nella letteratura<br />

artistica vengono sovente denominati maestri comacini<br />

organizzati in maestranze capaci di edificare e ornare<br />

un edificio ovunque li chiamasse un pio mecenate<br />

o una comunità. Sono essi che, portando nell’Ossola<br />

lo st<strong>il</strong>e ottoniano, caratteristico della seconda metà del<br />

X secolo, costruirono la chiesa di San Bartolomeo a V<strong>il</strong>ladossola.<br />

Ora l’edificio si presenta gravato dalle strutture<br />

aggiunte dal secolo XIV al XVII che hanno modificato<br />

la costruzione primitiva. La chiesa, nata con <strong>il</strong> titolo<br />

dei Santi Fabiano e Sebastiano, costituisce l’esempio<br />

più nitido dello st<strong>il</strong>e architettonico scelto e accolto<br />

per più di tre secoli dalla gente ossolana. Il San Bartolomeo<br />

era costruito su pianta bas<strong>il</strong>icale occupando all’incirca<br />

lo spazio dell’attuale navata centrale, con la facciata<br />

a occidente e l’abside semi c<strong>il</strong>indrica a oriente. All’esterno<br />

i muri, parte in vista, parte celati nei sottotetti<br />

dalle navate laterali, sono animati da strette lesene che<br />

scandiscono le superfici in specchiature, delimitate in<br />

alto da un corso di archetti pens<strong>il</strong>i sotto la stretta gronda<br />

del tetto in piode. La decorazione, incisa sui capitelli<br />

delle lesene, sui beccatelli degli archetti, sugli archivolti<br />

degli stessi archetti e delle finestre, costituisce l’aspetto<br />

più interessante del monumento, perché in essa si ravvisa<br />

l’espressione esemplare di quell’arte simbolica, colta<br />

— forse dovuta all’intervento diretto dell’abate Guglielmo<br />

di Volpiano — tipica del periodo ottoniano,<br />

che attraverso segni di apparenza astratta, derivati dal<br />

repertorio ornamentale della tradizione barbarica, rivela<br />

i concetti teologici della dottrina cristiana. Un esempio<br />

tipico di sintesi simbolica si ha nella lunetta appartenente<br />

all’antico portale — ora sopra la porta di fac-


ciata — dove, in poche incisioni astratte, è rappresentata<br />

la venuta di Cristo giudice alla fine dei tempi, ossia<br />

la Parusia 6 .<br />

Il risveglio culturale e religioso sorto in Francia agli<br />

inizi del secolo XI, guidato dagli abati benedettini di<br />

Cluny, si riflette anche in Ossola con <strong>il</strong> rinnovamento<br />

delle chiese esistenti e la costruzione di nuove, erette<br />

non solo per appagare un rinnovato spirito religioso,<br />

ma anche per assecondare esigenze sorte in conseguenza<br />

dell’incremento demografico in atto durante tutto <strong>il</strong> secolo<br />

7 . Sono sempre i maestri comacini che lungo <strong>il</strong> secolo<br />

XI, costantemente ispirati ai canoni fondamentali del<br />

San Bartolomeo, apriranno cantieri in diversi centri ossolani<br />

per soccorrere al bisogno e all’ambizione di nuove<br />

chiese. L’intervento dei maestri lombardi differisce<br />

però da cantiere a cantiere: eseguono la costruzione per<br />

intero negli edifici di maggiore importanza, in quelli<br />

minori l’affidano a maestranze locali cresciute alla loro<br />

scuola. Gli stessi maestri, presenti in Ossola per costruire<br />

<strong>il</strong> San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola, sono attivi a Trontano,<br />

cinquant’anni dopo, per edificare la chiesa della<br />

Natività di Santa Maria; ma alcune differenze nella decorazione<br />

segnano <strong>il</strong> mutare del gusto, che, affiancando<br />

sculture ai segni incisi, rivela una nuova propensione<br />

per i valori plastici. Oltre alla Natività di Santa Maria<br />

a Trontano vengono edificate anche le chiese di San<br />

Giorgio a Varzo, di Santo Stefano a Crodo, della Beata<br />

Vergine Assunta di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di<br />

Seppiana. Ancora alla prima metà del XI secolo risalgono<br />

i resti romanici, recentemente scoperti nei sottotetti<br />

delle navate laterali, della chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />

di Crevoladossola, dove per la prima volta viene impiegato<br />

<strong>il</strong> marmo locale per eseguire l’ornamento dei<br />

beccatelli di sostegno agli archetti pens<strong>il</strong>i. Anche <strong>il</strong> tipo<br />

di ornato, dominato da protome di cavalieri ricoperte<br />

da una variante dell’elmo normanno, fornito di nasale,<br />

si differenzia dal repertorio ornamentale romanico diffuso<br />

in Ossola e sembra celebrare, con austero fasto, i<br />

committenti, forse quei m<strong>il</strong>es oblati alla difesa dei diritti<br />

feudali della Chiesa novarese, governata da Pietro III<br />

<strong>il</strong> prudente (994-1032), primo vescovo Conte insediato<br />

sulla cattedra di San Gaudenzio 8 . Anche i campan<strong>il</strong>i<br />

del San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola — ritenuto l’esempio<br />

più compiuto di torre campanaria romanica in tut-<br />

ta l’area coperta dall’attività dei maestri lombardi — del<br />

San Brizio di Vagna, dei Santi Pietro e Paolo a Crevola<br />

e del San Giorgio di Varzo vennero edificati nello stesso<br />

secolo. Costruiti con minore rigore st<strong>il</strong>istico e tecnica<br />

più rudimentale, perciò attribuib<strong>il</strong>i a maestranze locali,<br />

sono contemporanee a quelle citate in precedenza<br />

le chiese di San Quirico a Calice di Domodossola, di<br />

Santa Maria al Piaggio di V<strong>il</strong>ladossola — con <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e<br />

— di San Graziano a Candoglia — con campan<strong>il</strong>e<br />

a vela — di San Giacomo al Basso di Mergozzo e <strong>il</strong><br />

campan<strong>il</strong>e di San Pietro a Pallanzeno. Durante <strong>il</strong> secolo<br />

XII sono sempre aperti in Ossola i cantieri dei maestri<br />

lombardi che nelle decorazioni di alcune chiese introducono<br />

un materiale usato in precedenza solo a Crevola,<br />

ossia <strong>il</strong> marmo locale, nell’alta Ossola, e quello di<br />

Candoglia, nella bassa Ossola. Esempi che documentano<br />

l’innovazione si hanno con Santa Maria al cimitero<br />

di Bracchio, <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e della Beata Vergine Annunciata<br />

di Albo e i rimaneggiamenti delle chiese dell’Assunta<br />

di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di Seppiana. Al<br />

secolo XII sono datate anche le chiese della Beata Vergine<br />

Assunta di Santa Maria Maggiore, di Santa Marta<br />

a Mergozzo, <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e di Montecrestese — all’interno<br />

di quello costruito nei secoli XVI- XVII — quelli<br />

del Sant’Ambrogio di Seppiana, del Sant’Abbondio di<br />

Masera e del San Lorenzo di Megolo. Le primitive chiese<br />

di San Martino a Masera, di San Giulio a Cravegna e<br />

di San Gaudenzio di Baceno, ora mutate dalle ricostruzioni<br />

posteriori, venivano edificate nello stesso secolo.<br />

L’edificio sacro più importante — perché più complesso<br />

e più aderente alle soluzioni adottate nei grandi centri<br />

metropolitani — fra quelli costruiti nel XII secolo è<br />

San Giovanni a Montorfano di Mergozzo. Sorto nello<br />

stesso sito dove già esisteva una chiesa a tre navate absidate,<br />

è l’unico esempio nell’Ossola di edificio romanico<br />

costruito su pianta a croce latina ed è anche <strong>il</strong> solo<br />

che abbia la navata e <strong>il</strong> transetto coperti da volte a crocera<br />

raccordate all’incrocio dalla cupola del tiburio. Gli<br />

elementi decorativi che contornano la chiesa e coronano<br />

l’abside con un seguito di archetti a fornice, sono<br />

in parte provenienti dalla chiesa preesistente e in parte<br />

opera dei lapicidi che l’edificarono. Il tempo ci ha conservato<br />

due sole sculture romaniche e anch’esse giungono<br />

a noi, in stato frammentario, dal XII secolo. La pri-<br />

205


ma, più nota e già ampiamente studiata, fungeva da architrave<br />

nell’antico portale della chiesa dei Santi Gervasio<br />

e Protasio a Domodossola, dove ora è conservata all’interno,<br />

scolpita in serpentino, rappresenta una scena<br />

del poema trovadorico de «La canzone di Orlando», celebrativo<br />

delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini.<br />

La seconda è un Crocifisso scolpito in marmo di Crevola,<br />

incassato in un muro di sostegno a monte dell’antica<br />

strada antronesca a Seppiana, che pare possa essere attribuita<br />

a un anonimo maestro locale, autore di altri frammenti<br />

scultorei inseriti nella ornamentazione del Sant’Ambrogio<br />

di Seppiana 9 .<br />

Poco più ricco è <strong>il</strong> catalogo della pittura romanica 10 che,<br />

probab<strong>il</strong>mente, un tempo decorava l’interno di molte<br />

chiese ossolane. Le più antiche risalgono agli inizi dell’XI<br />

secolo e sono sei frammenti di figure affrescate di<br />

cui rimangono tre busti, una testa, un volto e un braccio,<br />

ora conservate nella sacrestia del San Giorgio di Varzo<br />

e provenienti dalla navata centrale della stessa chiesa<br />

corrispondente alla precedente aula romanica. A Santa<br />

Maria di Trontano, nella navata centrale, un frammento<br />

decorativo ricorda l’antica ornamentazione affrescata<br />

a metà dell’XI secolo su tutte le pareti, di cui rimangono<br />

tracce anche nelle strombature delle finestre e, infine,<br />

a V<strong>il</strong>ladossola, nella chiesa di Santa Maria al Piaggio,<br />

nell’abside settentrionale è conservata gran parte<br />

delle immagini affrescate alla fine del secolo XII: sopra<br />

una serie di sei apostoli dipinti sul tamburo dell’abside,<br />

nel catino è rappresentata la SS. Trinità secondo un<br />

tipo iconografico inconsueto. Ultimi nel tempo, rimasti<br />

a testimoniare l’estinguersi dell’età romanica ossolana,<br />

sono i resti della chiesa di San Francesco a Domodossola,<br />

della seconda metà del XIII secolo, ora inglobati<br />

nel palazzo Galletti, fra i quali spiccano i capitelli figurati,<br />

scolpiti in serpentino, che mostrano come lo st<strong>il</strong>e<br />

romanico-lombardo abbia avuto lunga vita nel gusto<br />

ossolano.<br />

Giustamente a Vogogna è affidata la testimonianza del<br />

Trecento in Ossola, perché proprio durante la prima<br />

metà del secolo <strong>il</strong> centro ossolano assunse <strong>il</strong> ruolo di capitale<br />

dell’Ossola inferiore e venne potenziato con <strong>il</strong> castello<br />

eretto dal Vescovo di Novara Giovanni Visconti e<br />

dotato di palazzo pretorio, costruito nel 1348, che manifestava<br />

la nuova dignità del borgo 11 .<br />

206<br />

L’arte ossolana fra la fine del Trecento e gli inizi del<br />

Quattrocento assume la fisionomia degli affreschi sgargianti<br />

di colori, fittamente decorati, del Pittore della<br />

Madonna di Re 12 . Attivo durante l’ultimo ventennio<br />

del Trecento lungo la valle della Toce, è presente nell’area<br />

dell’Alto Novarese per tutto <strong>il</strong> primo ventennio<br />

del Quattrocento. I suoi modi attardati, ancora legati<br />

alla pittura romanica, ingent<strong>il</strong>iti da apporti gotici, sembrano<br />

identificarsi con la semplicità di sentimento della<br />

devozione popolare che, riconoscendosi nella nitida<br />

ingenuità delle immagini affrescate e riconoscendo con<br />

chiarezza le valenze simboliche, dottrinali e culturali,<br />

delle iconografie, volentieri s’affida al pennello del pittore<br />

della Madonna di Re e lo chiama a frescare sulle<br />

case — a Ronco di Trontano circa nel 1380, una Crocefissione,<br />

Sant’Antonio abate e la Madonna del latte —<br />

e nelle chiese — nel San Quirico di Calice a Domodossola,<br />

prima l’Ultima Cena e quindi nel 1391 San Michele,<br />

San Giulio e la Madonna; <strong>il</strong> paliotto della Natività<br />

per la chiesa di Santa Maria al Piaggio a V<strong>il</strong>ladossola,<br />

eseguito fra <strong>il</strong> 1390 e <strong>il</strong> 1400; la Madonna di Re, da cui<br />

prende <strong>il</strong> nome, ora nel santuario omonimo, attorno al<br />

1400. Mentre s’avviava <strong>il</strong> quarto decennio del Quattrocento<br />

un frescante, attivo nel novarese, quasi ricalcando<br />

gli itinerari del pittore della Madonna di Re, si volgeva<br />

alle valli ossolane: Giovanni De Campo, anzi la ampia<br />

sezione di un suo affresco, raffigurante la Madonna<br />

del Latte affiancata, sulla destra, dalla coppia dei Santi<br />

Pietro e Antonio Abate, staccato da una casa di Oira, in<br />

valle Antigorio, e ora conservato nel convento del Sacro<br />

Monte Calvario di Domodossola, si pone, allo stato attuale<br />

delle ricerche, quale opera prima del pittore, giacché<br />

graffito, dalla invadenza di un devoto sprovveduto,<br />

sulla superficie di sfondo tra la Madonna e San Pietro,<br />

si legge <strong>il</strong> m<strong>il</strong>lesimo 1433, termine ante quem quindi<br />

per la datazione della opera, che anticipa pressoché di<br />

un decennio l’anno 1440 dal quale si faceva iniziare la<br />

cronologia concernente l’attività di Johannes De Campis.<br />

Oltre ai caratteri st<strong>il</strong>istici, peculiari all’opera del De<br />

Campo, garantisce l’autografia dell’affresco la sigla dipinta,<br />

poco sopra <strong>il</strong> margine inferiore, sullo sfondo fra<br />

la Madonna del latte e San Pietro, YO, sovrastata da<br />

un segno di imbreviatura, perciò trascrivib<strong>il</strong>e per esteso<br />

Johannes. Altre opere ossolane attribuib<strong>il</strong>i con sicurez-


Giovanni de Campo, Serie di Santi, affresco ca. 1450. Vogogna, Oratorio di san Pietro a Dresio.<br />

za alla mano del De Campo sono: l’affresco dell’oratorio<br />

di san Pietro a Vogogna raffigurante San Pietro, assiso<br />

sul soglio pontificio, a cui San Martino, in figura di<br />

cavaliere cortese, presenta un devoto adolescente inginocchiato,<br />

seguito dai santi Antonio Abate e Bernardino da<br />

Siena; gli affreschi sulle superfici absidali nel San Quirico<br />

di Calice a Domodossola, dall’Annunciazione, sul<br />

fronte dell’arco trionfale, al Pantocratore, attorniato dai<br />

simboli degli evangelisti, nel catino, alla serie degli Apostoli<br />

e della Crocefissione ai lati dei Santi titolari Quirico<br />

e Giulitta sul registro superiore del tamburo, che nella<br />

parte inferiore è decorato con le Opere di misericordia<br />

corporali. Altre immagini di Santi e della Beata Vergine<br />

sono dipinte sulle pareti laterali della navata. In altre<br />

sedi ossolane si sono ritrovate opere del De Campo,<br />

come la Madonna del Latte di Santa Maria Maggiore<br />

e i resti di una Annunciazione affrescata sul fronte<br />

dell’arco absidale del Sant’Abbondio di Masera che<br />

mostrano <strong>il</strong> maestro novarese attivo in Ossola fino al<br />

VI decennio del secolo XV 13 . Opere che, lasciano supporre<br />

come <strong>il</strong> soggiorno in Ossola dell’artista novarese<br />

non fosse sporadico, ma duraturo, determinato dalle richieste<br />

di committenti di rango formati al gusto corte-<br />

se diffuso dalla capitale lombarda. I richiami ai preziosismi<br />

decorativi degli sfondi miniati da Michelino da<br />

Besozzo, l’eleganza degli abbigliamenti e dei panneggi,<br />

accomodati in pieghe ricadenti e fluenti attorno alle figure,<br />

rivelano un ritardo st<strong>il</strong>istico dell’autore, ancorato<br />

alle ricercatezze del decorativismo gotico, persistente<br />

nella cultura provinciale, attestata in Ossola ancora negli<br />

ultimi decenni del secolo, segnati dalla comparsa dei<br />

pittori “Seregnesi” provenienti da Lugano, dove tennero<br />

bottega dal sesto all’ultimo decennio del secolo XV 14 .<br />

Cristoforo e Nicolao da Seregno, zio e nipote, seppero<br />

accendere vivo interesse nella committenza vigezzina,<br />

come dimostra l’alto numero degli affreschi che furono<br />

incaricati di eseguire in parecchi centri della valle, per<br />

lo più da una committenza privata desiderosa di ornare<br />

case o cappelle rurali con immagini sacre di gusto arcaico,<br />

attardate in moduli figurali e ornamentali ancorati<br />

a st<strong>il</strong>emi gotici. La devozione del popolo chiedeva<br />

immagini ieratiche, eloquenti nel rappresentare <strong>il</strong> soppranaturale,<br />

ma nel contempo semplici e fac<strong>il</strong>mente riconoscib<strong>il</strong>i.<br />

A tali attese i Seregnesi corrisposero dipingendo<br />

con grazia devota e persuasiva semplicità <strong>il</strong> panteon<br />

della devozione locale, in forme asciutte, ancorché<br />

207


mosse da una elementare eleganza, esatte nell’associare<br />

ad ogni figura sacra gli attributi iconografici atti a riconoscerla<br />

al primo sguardo. Danno chiara testimonianza<br />

di questo momento tardo gotico la Madonna in Maestà<br />

di Santa Maria Maggiore, proveniente da Toceno, l’Uomo<br />

dei Dolori, all’esterno dell’oratorio di Sant’Antonio<br />

sempre a Toceno; le tre Madonne in Maestà a Craveggia;<br />

gli affreschi di Sasseglio sv<strong>il</strong>uppati in due riquadri con<br />

la Madonna in Maestà affiancata dai Santi Giulio e Antonio<br />

Abate e i Santi Sebastiano e Rocco, e ancora a Druogno<br />

la Madonna del Latte affrescata a Gagnone; la delicata<br />

suggestione della Madonna della Misericordia nel<br />

Sant’Ambrogio e la Madonna col Bambino nella cappella<br />

di San Bernardino ambedue a Coimo. Lasciata la Valle<br />

Vigezzo, dopo una puntata verso settentrione a Montecrestese<br />

nella v<strong>il</strong>la di Cardone, dove i Seregnesi affrescavano<br />

una esemplare Madonna in Maestà, ora conservata<br />

al Sacro Monte Calvario di Domodossola, i pittori volgevano<br />

i passi verso le Quattro Terre per affrescare l’interno<br />

e <strong>il</strong> fronte dell’oratorio di Santa Marta a Cosasca<br />

di Trontano e raggiungere, in un secondo tempo, Vogogna,<br />

chiamati ad arricchire l’interno dell’oratorio di San<br />

Pietro a Dresio con una fascia affrescata nello spazio sottostante<br />

all’affresco steso in precedenza da Giovanni De<br />

Campo. Forse sulla via del ritorno, i frescanti vengono<br />

incaricati di ornare in parte le absidi inferiori del Santuario<br />

v<strong>il</strong>lese del Piaggio, dedicato alla Beata Vergine Assunta,<br />

dove fra i lacerti rimasti del decoro pittorico è ancora<br />

leggib<strong>il</strong>e la data 6 luglio 1477.<br />

Quasi in sintonia st<strong>il</strong>istica con i frescanti novaresi e luganesi<br />

si affaccia alla ribalta ossolana, durante l’ultimo<br />

quarto del XV secolo, uno scultore, Antonio fu Francesco<br />

da Domodossola, in antecedenza indicato come Maestro<br />

di Crevola 15 , interprete del faticoso passaggio dal<br />

tradizionale repertorio tardogotico all’emergente lezione<br />

rinascimentale che dai grandi cantieri lombardi, per<br />

via d’acqua, perveniva agli approdi della Toce. Antonio<br />

da Domodossola lavorò nell’alta Ossola per committenti<br />

del patriziato locale legati alle famiglie dei Baceno<br />

e della S<strong>il</strong>va. Oltre ad alcune Madonne in trono con <strong>il</strong><br />

bambino, sono attribuite alla sua mano le sculture della<br />

facciata appartenenti al primo rifacimento della chiesa<br />

dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola, datata 1475,<br />

che in semplificata sintesi si ispira alla partitura decora-<br />

208<br />

tiva della facciata della Certosa di Pavia. La via d’acqua<br />

era priv<strong>il</strong>egiata per trasportare a M<strong>il</strong>ano e a Pavia i marmi<br />

provenienti dalle cave ossolane di Candoglia, Ornavasso<br />

e Crevola e proprio a Pavia Antonio da Domodossola<br />

dava inizio a una dinastia di scultori per tre generazioni<br />

presenti nel cantiere del Duomo pavese, ma altresì<br />

nella valle d’origine, in cui, portando <strong>il</strong> cognome Degli<br />

Arrigoni, torneranno sporadicamente a lavorare. È una<br />

vicenda esemplare quella Degli Arrigoni poiché documenta<br />

a quali fonti si è venuta formando la cultura artistica<br />

che in Ossola seppe esprimere in scultura e architettura<br />

la stagione rinascimentale, aperta dai contatti,<br />

documentati daI 1491 al 1520, che Giovanni Antonio<br />

Amadeo ebbe con l’ambiente delle cave ossolane, dove,<br />

<strong>il</strong> suo ruolo dominante di architetto ducale, l’aveva portato<br />

per provvedersi dei materiali lapidei di cui necessitavano<br />

le imprese che, sotto la sua direzione erigevano a<br />

M<strong>il</strong>ano e a Pavia edifici fra i più significativi del Rinascimento<br />

lombardo.<br />

Quel poco della cultura rinascimentale pavese e m<strong>il</strong>anese,<br />

tenuemente f<strong>il</strong>trato dall’impianto della facciata dei<br />

Santi Pietro e Paolo di Crevola o dai finti nicchioni da<br />

cui s’affacciano le compatte figure dei Santi eseguiti da<br />

Antonio da Domodossola, viene portato a maturazione<br />

da suo nipote, Lorenzo degli Arrigoni figlio di Giovannino<br />

architetto e scultore, autore dell’ampliamento<br />

della navata della parrocchiale di Crevola (ante 1521-<br />

1526) e architetto della nuova chiesa dei Santi Giacomo<br />

e Cristoforo di Vogogna (1527-1532), crollata nel 1975,<br />

nonché scultore dello splendido tabernacolo marmoreo<br />

conservato nella Parrocchiale di Santa Maria Maggiore<br />

firmato e datato: MDXXXV XVIII KAL. AUG. LAU-<br />

RENTIO ARIGONIO ARTEFICE PAPIENSE 16 . Lorenzo<br />

Arrigoni, oltre a una nuova concezione dei parametri<br />

e degli spazi architettonici, introduce in valle un<br />

proprio approccio al Rinascimento lombardo dagli accenti<br />

pavesi, rivelato, in particolare, dal tipo di ornato<br />

dei capitelli, dal fusto delle colonne ancora c<strong>il</strong>indrico,<br />

e dalla inelegante spessezza, e dal disegno dei r<strong>il</strong>ievi ornamentali,<br />

scolpiti solitamente nelle cornici dei portali,<br />

ancorché eseguiti con mano greve imputab<strong>il</strong>e in parte<br />

al materiale lapideo, in parte al trattamento dei lapicidi<br />

locali esecutori dei bassor<strong>il</strong>ievi.<br />

Veramente in questa valle alpina non s’ebbe mai l’au-


tentico Rinascimento di lezione albertiana, ma piuttosto<br />

uno pseudorinascimento m<strong>il</strong>anese d’orientamento<br />

solariano, accolto per rinnovare forme ormai logorate<br />

da una tradizione secolare e non più confacenti ai<br />

nuovi modi di vita imposti dal mutamento culturale in<br />

atto. Qualche primo segno da taluni portali e acquasantiere<br />

della valle Antigorio — Baceno, Cravegna, Crodo<br />

— opere di uno scultore dipendente dalla Fabbriceria<br />

del Duomo di Pavia, Giovan Pietro di Castello del<br />

Lambro, avverte che già <strong>il</strong> gusto è mutato, ma <strong>il</strong> mutamento<br />

è totale nel rinascimentale palazzo dei Della S<strong>il</strong>va<br />

a Domodossola, edificato nel 1516. Esempio st<strong>il</strong>istico,<br />

che si rifletterà nella rustica ed<strong>il</strong>izia signor<strong>il</strong>e ossolana<br />

con l’introduzione di nuove soluzioni formali, soprattutto<br />

nella incorniciatura di porte e finestre, e strutturali,<br />

come la scala a chiocciola, di gusto francesizzante<br />

variata negli sv<strong>il</strong>uppi dal genio creativo delle maestranze<br />

locali, modello designato a segnare profondamente<br />

l’immagine architettonica della Valle, come si può osservare<br />

nelle numerose case cinquecentesche ancora esistenti.<br />

L’esito più compiuto, sebbene tardo, della lezione<br />

rinascimentale lombarda è ravvisab<strong>il</strong>e nella facciata<br />

marmorea della chiesa di San Nicolao a Ornavasso, costruita<br />

fra <strong>il</strong> 1542 e <strong>il</strong> 1587, con lo stesso marmo locale<br />

apprezzato in particolare dai costruttori lombardi del<br />

Quattro e Cinquecento 17 . Ma non tutti e non sempre i<br />

committenti ossolani, fautori delle opere di rinnovo attuate<br />

nei molti cantieri aperti durante <strong>il</strong> Cinquecento,<br />

accettarono <strong>il</strong> dominio culturale della corte m<strong>il</strong>anese di<br />

intonazione bramantesca, anzi parrebbe che una parte<br />

politica, identificab<strong>il</strong>e con l’esteso parentado dei Baceno-De<br />

Rodis, a cui furono legati i Della S<strong>il</strong>va, i Campieno<br />

e altri ceppi fam<strong>il</strong>iari da essi derivati, professando<br />

la loro adesione alla religiosità francescana con opere<br />

orientate dalla predicazione dei Minori Conventuali di<br />

Domodossola, manifestassero, tramite le commissioni<br />

artistiche da essi patrocinate, inequivocab<strong>il</strong>e propensione<br />

per quell’arte cortese di tradizione medievale presente<br />

negli esiti del rinnovo architettonico m<strong>il</strong>anese presieduto<br />

dall’autorità della dinastia dei Solari. I committenti<br />

della consorteria nob<strong>il</strong>iare antigoriese, prendendo<br />

culturalmente parte, si rivolsero a maestranze ossolane<br />

capaci di mediare con vigore <strong>il</strong> loro intento, come tutt’oggi<br />

testimonia la maggior parte delle opere esegui-<br />

te in quell’ambito territoriale durante i primi decenni<br />

del Cinquecento. In architettura, particolarmente accogliendo<br />

lo schema gotico, stigmatizzato dall’impiego<br />

dell’arco a sesto acuto, vennero ampliate le chiese romaniche<br />

del San Giulio di Cravegna e del San Gaudenzio<br />

di Baceno, dell’Assunta di Montecrestese e della Natività<br />

di Maria Vergine di Trontano.<br />

Attribuzione d’opere architettoniche, in precedenza lasciate<br />

nell’anonimato, a maestranze locali solo oggi possib<strong>il</strong>e<br />

perché accertata dalla recente pubblicazione di un<br />

<strong>il</strong>luminante saggio sull’opera svolta, nel territorio della<br />

città Umbra di Spello, da maestranze ed<strong>il</strong>i provenienti<br />

dall’Ossola e particolarmente dall’alta valle Antigorio,<br />

costituite dall’aggregazione, su base parentale, di “sotii”<br />

provenienti dal territorio di Premia e segnatamente dalla<br />

frazione di Pied<strong>il</strong>ago (anticamente Pidelata) 18 . “Magister”<br />

della prima generazione furono Bertolino di Andrea<br />

di Bertolino e Giovanni di Domenico di Bartolomeo<br />

da Domodossola che, guidando la compagnia degli<br />

Antigoresi, edificarono fra <strong>il</strong> primo e <strong>il</strong> quarto decennio<br />

del cinquecento, nell’agro di Spello, la chiesa di<br />

Santa Maria della consolazione di Vico, detta Tonda, e<br />

l’adiacente convento dei Servi di Maria, o Serviti, oltre<br />

ad altri edifici religiosi e civ<strong>il</strong>i in città. E’ plausib<strong>il</strong>e ritenere<br />

come proprio a queste maestranze venisse affidato<br />

l’ampliamento e la ristrutturazione degli edifici di culto<br />

romanici siti nella valle della Toce, giacché riunite in<br />

compagnia di “sotii” ossolani, sul modello statutario dei<br />

“maestri comacini” o degli “Antelami” – già disciplinati<br />

dagli editti alto medievali dei re longobardi Rotari, del<br />

643, e Liutprando, del 713 – si proponessero come continuatori<br />

dell’arte edificatoria medievale, trasmessa di<br />

generazione in generazione, e rinnovata con la frequentazione<br />

operativa dei cantieri aperti nell’area m<strong>il</strong>anese<br />

attivi nel XV secolo. Sintomatiche del rinnovo rinascimentale<br />

m<strong>il</strong>anese, sotto l’egida della dinastia degli architetti<br />

Solari, Giovanni (1400 c.-1484 c.), Guiniforte<br />

(1429-1481) e Pietro Antonio (1450 c. – 1493), sono<br />

talune caratteristiche d’esso passate nelle ristrutturazioni<br />

ossolane: la composizione unitaria dello spazio liturgico,<br />

che priv<strong>il</strong>egia la continuità orizzontale delle navate;<br />

alcuni elementi formali, quali l’uso, non esclusivo,<br />

dell’arco a sesto acuto; l’applicazione di ornati scultorei<br />

sui portali e sulle nervature delle finestre ogivali (Bace-<br />

209


Hans Funck, Madonna in trono venerata da Santi e donatori, vetrate<br />

istoriate e dipinte (Berna) 1526. Crevoladossola, Santi Pietro e Paolo.<br />

no) e la formazione delle colonne, dal capitello, di tipo<br />

corinzio dalla fogliatura corposa ed elementare, al fusto<br />

c<strong>il</strong>indrico, sovente massiccio, alla base “unghiata”, ossia<br />

posata su un plinto parallelepipedo ornato da elementi<br />

fogliari ricadenti agli angoli. E’ probab<strong>il</strong>e che, in concomitanza<br />

alla chiusura dei cantieri ossolani, si manifestasse<br />

<strong>il</strong> fenomeno migratorio verso l’Umbria delle maestranze<br />

ed<strong>il</strong>i antigoresi, alla ricerca di committenze necessitanti<br />

di costruttori competenti per realizzare opere<br />

murarie anche di complessa struttura.<br />

Acme espressivo della reazione oppositiva posta in essere<br />

dai “laudatores temporis acti”, memori dei prev<strong>il</strong>egi<br />

e delle origini feudali della loro nob<strong>il</strong>tà, sembra porsi<br />

<strong>il</strong> presbiterio dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />

riedificato, completando l’ingrandimento terminato<br />

nel 1526, per volontà dei committenti Paolo e Andreina<br />

Della S<strong>il</strong>va, che conferirono l’incarico del progetto e<br />

della direzione dei lavori a Ulrich Ruffiner, architetto di<br />

origine valsesiana molto attivo al servizio delle più potenti<br />

personalità politiche del vicino Vallese, interprete<br />

fra i più austeri e dotati di quel tardo gotico internazionale<br />

diffuso nei paesi di lingua tedesca e bene accetto<br />

alla corte di Francia 19 . Nel 1526 l’integrazione della<br />

parrocchiale crevolese era terminata, completata, secon-<br />

210<br />

do la progettazione caratteristica del Gotico internazionale,<br />

dai diaframmi vitrei istoriati incassati nei finestroni<br />

e nel rosone dell’abside, splendidamente eseguiti da<br />

Hans Funck, uno dei massimi maestri vetrai bernesi del<br />

tempo. Anche a Baceno, ultimati i lavori di ampliamento<br />

nel quinto decennio, si provvide a chiudere le luci<br />

dei finestroni gotici e dei rosoni con vetrate dipinte,<br />

ma queste, datate 1547, vennero eseguite nella bottega<br />

di Anton Schiterberger maestro vetraio zelatore di quel<br />

manierismo che a Lucerna, dove operava, e nei cantoni<br />

cattolici, si opponeva, in decori e figure, di ricchissimo<br />

sv<strong>il</strong>uppo ed elegante fattura, alla castigatezza iconoclastica<br />

dei cantoni riformati 20 .<br />

La pittura del Cinquecento ossolano dimostra quanto<br />

forte fosse, anche culturalmente, la dipendenza di questa<br />

valle dal Ducato di M<strong>il</strong>ano a cui apparteneva; tuttavia<br />

nei primi decenni del secolo è ancora una famiglia<br />

di pittori novaresi, quella di Tommaso Cagnola e dei<br />

suoi figli Giovanni, Francesco e Sperindio a detenere <strong>il</strong><br />

controllo delle più prestigiose commissioni sia pubbliche,<br />

sia private. Al padre Tommaso vanno attribuiti <strong>il</strong><br />

ritratto ad affresco di un signore v<strong>il</strong>lese appartenente<br />

alla famiglia dei Baceno e una Madonna in Trono con <strong>il</strong><br />

Bambino, datati 1502, provenienti da una casa di Sogno<br />

— frazione di V<strong>il</strong>ladossola — ora conservati al Sacro<br />

Monte Calvario di Domodossola 21 , ascrivib<strong>il</strong>i all’opera<br />

del maestro novarese per <strong>il</strong> garbo rinascimentale<br />

del limpido disegno e pei decori ad arabesco che campiscono<br />

gli sfondi; del figlio Francesco sono l’immagine<br />

mariana, piuttosto ingenua, affrescata nel Santuario di<br />

Antonio Schiterberger, rosone della Trinità, vetrata dipinta e istoriata,<br />

(Lucerna) 1547. Baceno, San Gaudenzio.


Sperindio Cagnola, Tentazione di Adamo, affresco inizi sec. XVI. Baceno, San Gaudenzio.<br />

Viganale 2 2 , firmata e datata 1516, e la Adorazione del<br />

Bambino proveniente da una casa di Montecrestese conservata<br />

accanto ai lavori del padre al Sacro Monte Calvario<br />

di Domodossola, datata 1513, ai quali maggiormente<br />

si accosta per <strong>il</strong> lindore esecutivo e per l’armoniosa<br />

composizione; problematiche invece sono le attribuzioni<br />

a Sperindio, poiché dei suoi lavori citati nella<br />

documentazione diplomatica nessuno è rimasto ad accertare<br />

quali fossero i suoi modi espressivi, tuttavia, essendo<br />

documentata la sua associazione ad alcune imprese<br />

pittoriche di Gaudenzio Ferrari, si possono attribuirgli<br />

alcune opere improntate dalla maniera novarese<br />

dei Cagnola, animate però da un naturalismo più convincente<br />

e nordicizzante di lezione gaudenziana, come<br />

mostrano gli affreschi stesi sulle volte del Presbiterio,<br />

nella cappella della Madonna del Rosario e la Tentazione<br />

di Adamo sulla parete di fondo, a destra dell’altare maggiore<br />

23 , nel San Gaudenzio di Baceno e una Madonna in<br />

Trono col Bambino nella casa parrocchiale di Crodo, che<br />

sono al più alto livello raggiunto in Ossola dalla pittura<br />

dei Cagnola, nei quali è ipotizzab<strong>il</strong>e che Sperindio, <strong>il</strong><br />

fratello dalla mano più colta, si fosse valso per eseguirli<br />

dell’aiuto di Francesco e forse anche di Giovanni. Il primo<br />

dei pittori lombardi giunto in Ossola è <strong>il</strong> varesino<br />

Francesco de’ Tatti, chiamato dal capitano reale Paolo<br />

Della S<strong>il</strong>va, si ha fondato motivo di supporre su suggerimento<br />

dello zio materno Giovan Francesco Origoni,<br />

per dipingere intorno alla venerata immagine della Madonna<br />

della Neve, affrescata nel Santuario di Domodossola,<br />

gli elementi figurali di contorno, stesi su tavola, della<br />

nuova pala, siglata e datata 1516 che, con la Pietà<br />

conservata nell’oratorio di Santa Marta a Craveggia,<br />

reca in Ossola l’eco di quei fermenti immessi nel Rinascimento<br />

m<strong>il</strong>anese dall’aulica classicità vagheggiata e<br />

proposta dal Bramantino 24 . Chiamato dallo stesso committente<br />

Paolo Della S<strong>il</strong>va, giunge in Ossola, quasi contemporaneamente,<br />

Fermo Stella da Caravaggio per affrescare<br />

fra <strong>il</strong> 1518 e <strong>il</strong> 1526 <strong>il</strong> presbiterio, appena ricostruito,<br />

nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />

e, dopo qualche anno, l’ex battistero per la stessa<br />

comunità parrocchiale, mentre dipinge su tavola <strong>il</strong><br />

trittico per l’altare della cappella Mellerio nel San Mar-<br />

211


tino di Masera 25 . Con l’artista caravaggino la cultura artistica<br />

ossolana acquisisce l’esperienza di una versione<br />

diversificata dell’influenza gaudenziana, in cui i portati<br />

della cultura d’oltralpe accentuano <strong>il</strong> carattere realistico<br />

delle figure e introducono nuove soluzioni compositive<br />

per soggetti tradizionali, come nell’ Ultima Cena di<br />

Crevoladossola. A metà, all’incirca, del terzo decennio<br />

del secolo <strong>il</strong> San Gaudenzio di Baceno venne dotato di<br />

un organo e con esso le quattro tele, tese a foderare le<br />

facciate esterne e interne delle ante mob<strong>il</strong>i applicate allo<br />

strumento, dipinte nella bottega m<strong>il</strong>anese di Bernardino<br />

Luini per raffigurarvi i Santi Gaudenzio, Luigi IX di<br />

Francia, Ambrogio e Maurizio, ora custodite, come quadri<br />

distinti, nel San Mattia di Oira 26 . L’apporto del maestro<br />

m<strong>il</strong>anese ebbe certamente risonanza in valle, anche<br />

perché associato a un organo, suppellett<strong>il</strong>e rara nelle<br />

chiese ossolane del tempo, destinata a suscitare molta<br />

curiosità, che diede modo agli Ossolani di accostarsi a<br />

un esempio della più pura e rigorosa interpretazione del<br />

Rinascimento data nelle botteghe m<strong>il</strong>anesi del primo<br />

quarto del Cinquecento. Più estesa è l’opera di Giovanni<br />

Battista da Legnano giunto dalla residenza di Varese<br />

in Ossola mentre iniziava <strong>il</strong> secondo quarto del Cinquecento<br />

27 . L’esordio del pittore in valle Vigezzo, chiamato<br />

ad affrescare <strong>il</strong> presbiterio del Sant’Antonio Abate di Toceno,<br />

non precluse la sua disponib<strong>il</strong>ità all’accettazione<br />

di commissioni private, di cui rimangono gli affreschi<br />

per la cappella di Garavà ad Albogno (1527) e quelli<br />

della cappella della P<strong>il</strong>a a Craveggia (circa 1534), che intervallano<br />

gli incarichi affidatigli da committenti pubblici,<br />

quali gli affreschi per le Logge dei Bandi di Craveggia,<br />

datati 1531, e di Toceno, posteriori di qualche<br />

anno, lavori che lo porteranno, nel 1534, alla conclusione<br />

della sua attività in Vigezzo con gli affreschi stesi<br />

a campire le pareti laterali dell’oratorio di San Rocco a<br />

Crana, dei quali restano, in esecuzione originale, solamente<br />

quelli della parete occidentale, a rappresentare in<br />

scene edificanti i fatti narrati dalla Vita del santo titolare.<br />

Con la medesima disponib<strong>il</strong>ità riservata ai committenti<br />

vigezzini, anche in valle Antigorio Battista da Legnano,<br />

svolgendo durante <strong>il</strong> quarto e <strong>il</strong> quinto decennio<br />

del Cinquecento una impressionante mole di lavoro,<br />

assume commissioni pubbliche e private. Entro <strong>il</strong> 1537<br />

dipinge immagini devozionali di soggetto mariano su<br />

212<br />

dimore patrizie a Pontemaglio e a Cruppo di Crodo, mentre<br />

ha già avviato l’impresa pittorica più impegnativa<br />

portata a compimento nel 1539 ossia le Scene della Passione<br />

nel presbiterio del San Giulio di Cravegna e nel<br />

contempo, ancora a Cravegna esegue gli affreschi che <strong>il</strong><br />

committente Antonio Nocetti, padre di Innocenzo IX,<br />

gli aveva dato incarico di dipingere nell’oratorio di Santa<br />

Croce. L’attività di Battista da Legnano in Ossola si<br />

conclude, sempre in valle Antigorio, dove nel 1542 affresca<br />

una Madonna del Latte con Sant’Antonio Abate<br />

per l’abitazione di Giovanni De Campieno a Smeglio di<br />

Mozzio e la Madonna del Latte coi Santi Pietro e Paolo<br />

nella cappella ai Piani Superiori di Crodo. Ancorchè artista<br />

radicato alla versione foppesca del Rinascimento<br />

lombardo, osservata nella bottega comacina dello zio<br />

Alvise De Donati, di cui è allievo e talvolta procuratore,<br />

si mostra pronto ad aggiornare l’apprendimento scolastico<br />

volgendosi al magistero di quelle grandi personalità<br />

artistiche che avevano scosso la tradizione rinascimentale<br />

lombarda: Leonardo e <strong>il</strong> Bramantino, come<br />

s’avverte con particolare evidenza, seguendo la successione<br />

cronologica di stesura delle scene affrescate nel<br />

San Giulio di Cravegna. Il 1542 è altresì l’anno in cui<br />

Antonio Bugnate di Borgomanero firma e data la vasta<br />

opera affrescata per <strong>il</strong> San Gaudenzio di Baceno 28 , che<br />

porta <strong>il</strong> realismo di Gaudenzio Ferrari a estremi vernacoli,<br />

accesi da impulsi riformatori, scesi dall’oltralpe luterano<br />

gravati da fantasiose cupezze, come quelle spiranti<br />

dall’immagine demoniaca che dalla volta sovrasta<br />

la grande Crocefissione, stesa, con suggestiva animazione,<br />

sulla parete occidentale del presbiterio. Degli affreschi<br />

eseguiti nella cappella, ora dell’Assunta, in capo alla<br />

navata orientale, rimangono, discretamente conservati,<br />

i decori della volta a finti trafori gotici, <strong>il</strong> fronte della lunetta<br />

sopra l’arco settentrionale, raffiguranti la Conversione<br />

di Saulo, e i fatti della vita di San Gaudenzio sotto<br />

<strong>il</strong> finestrone orientale, mentre è appena rintracciab<strong>il</strong>e la<br />

figurazione della grande Crocefissione di San Pietro stesa<br />

sulla parete di fondo, dietro la pala dell’altare. Ancora<br />

visib<strong>il</strong>e rimane in facciata la gigantesca figura di San<br />

Cristoforo, testimonianza conclusiva dell’attività del Bugnate<br />

in Ossola. Il 1542 è un anno nodale per la cultura<br />

artistica locale, poiché durante <strong>il</strong> suo corso giungono<br />

all’ep<strong>il</strong>ogo le vicende artistiche ossolane di Battista da


Antonio Bugnate, Crocefissione, affresco 1542. Baceno, San Gaudenzio.<br />

Legnano e di Antonio Bugnate e nel contempo si ha<br />

l’esordio di un pittore, ad essi culturalmente collegab<strong>il</strong>e,<br />

discendente da un nob<strong>il</strong>e casato di Montecrestese,<br />

che firma e data Jacobus de Cardone/Nomine Antonii Petri<br />

Mellini/Pinxit 1542 la sua prima opera: una Madonna<br />

in Trono col Bambino nella cappella a Castelluccio di<br />

Montecrestese 29 . Le numerose opere site in Ossola attribuib<strong>il</strong>i<br />

a Giacomo De Cardone, caratterizzate da una<br />

maniera decisamente originale, fac<strong>il</strong>mente riconoscib<strong>il</strong>e,<br />

ancorché diseguale per <strong>il</strong> variare delle tipologie figurali<br />

e decorative assunte durante i quattro decenni in<br />

cui l’artista lavorando sv<strong>il</strong>uppò la sua personalità, hanno<br />

l’avvio st<strong>il</strong>isticamente riconoscib<strong>il</strong>e nell’intervento<br />

profano, eseguito ad affresco nel 1547 ad Alteno di<br />

Montecrestese, nella abitazione del Presbiter Giovanni<br />

De Rodis, ora diroccata, sacerdote che probab<strong>il</strong>mente<br />

aprì l’accesso alle commissioni affidate al Cardone per<br />

decorare l’interno della parrocchiale, dedicata alla Bea-<br />

ta Vergine Assunta, con le due figure dei Santi Giovanni<br />

Battista e Sebastiano nel 1547 e, intorno al 1550, con gli<br />

affreschi eseguiti nella cappella della Confraternita di<br />

Santa Marta – ora del Battistero – dei quali rimangono<br />

i finti trafori gotici della volta e la grande Crocefissione,<br />

sulla parete di fondo, dagli aspri accenti settentrionali,<br />

probab<strong>il</strong>mente dipendenti sia dalla lezione del Bugnate,<br />

sia dalla frequentazione dei circoli amadeiti m<strong>il</strong>anesi.<br />

Nel 1553 <strong>il</strong> pittore è a Premia incaricato di completare<br />

<strong>il</strong> decoro del presbiterio nella chiesa di San Michele con<br />

le figure dei Santi Barbara e Antonio Abate e la solenne<br />

Beata Vergine in gloria venerata da San Rocco, su uno<br />

sfondo paesistico ispirato a luoghi del natio Montecrestese,<br />

mentre con la stessa data è segnata la Beata Vergine<br />

in Maestà affiancata da Sant’Antonio Abate eseguita<br />

ad affresco all’esterno di una casa nella frazione di Rozzaro<br />

sempre a Premia. Il Cardone è ormai pronto, con<br />

chiarezza di pensiero e maturità di st<strong>il</strong>e, per affrontare <strong>il</strong><br />

suo ruolo di autore dominante la fase conclusiva dei<br />

cantieri antigoresi, nei quali, ultimate le opere architettoniche<br />

venivano apportate le finiture degli interni con<br />

la decorazione delle volte e delle pareti ricostruite o aggiunte.<br />

Ruolo confermato intorno al 1554 quando assunse<br />

la commissione più importante eseguita da un artista<br />

nel corso del secolo XVI, l’intera decorazione ad<br />

affresco sulle volte e sui sottarchi delle navate laterali nel<br />

San Gaudenzio di Baceno, nonché l’Ultima Cena sulla<br />

parete di controfacciata, a destra dell’entrata settentrionale,<br />

e sulle pareti della navata orientale, nella prima<br />

campata, <strong>il</strong> Transitus Animae di Santa Maria Maddalena,<br />

l’Adorazione dei Magi, recentemente liberata dalla<br />

scialbatura sovrapposta, e, presso <strong>il</strong> battistero, la Deposizione<br />

della Croce. Ma tanta operosità subì un traumatico<br />

intervallo quando, nel febbraio 1561 venne arrestato<br />

a M<strong>il</strong>ano dal tribunale della Sacra Inquisizione, pendente<br />

l’accusa di eresia, e <strong>il</strong> sette apr<strong>il</strong>e seguente, dopo<br />

formale abbiura, venne assolto con la riserva precauzionale<br />

di eseguire nei cinque anni seguenti le penitenze<br />

comminate dall’Inquisitore. Durante la sospensione penitenziale,<br />

ritiratosi a vita privata, ebbe modo di costruire<br />

una nuova ala aggiunta alla casa paterna e di decorarla<br />

all’esterno e all’interno con splendidi fregi graffiti<br />

a grottesche e ad affresco come la Predicazione del<br />

Battista sulle rive del Giordano, datata 1564, sulla cap-<br />

213


pa del camino nel saloncino d’onore. E’ probab<strong>il</strong>e che<br />

l’atto di accusa sia stato motivato dalle scene dell’Infanzia<br />

di Gesù affrescate sulla volta della terza campata nella<br />

navata orientale, ispirate da soggetti tratti dalle <strong>il</strong>lustrazioni<br />

s<strong>il</strong>ografiche della luterana Leien Bibel. Fra <strong>il</strong><br />

1564 e <strong>il</strong> 1565, o poco oltre, saranno affrescate anche le<br />

restanti volte e i sott’archi della navata occidentale. L’interludio<br />

profano, anticipato dai decori di Alteno datati<br />

1547, culminò nel fregio eseguito per decorare <strong>il</strong> saloncino<br />

di rappresentanza della casa Marini al Boarengo di<br />

Crodo, composto da scene mitologiche alternate a<br />

stemmi di casate della consorteria nob<strong>il</strong>iare antigorese e<br />

da grottesche, affrescate nei primi anni del sesto decenio<br />

del secolo XVI, sim<strong>il</strong>e a quello perduto eseguito<br />

nella sala verde del castello Della S<strong>il</strong>va di Crevoladossola.<br />

I fregi a graffito e ad affresco stesi nel 1564 per ornare<br />

la sua abitazione sembrano, per ora, concludere <strong>il</strong> ciclo<br />

di opere profane eseguite dal Cardone, se nel 1566,<br />

affrescando <strong>il</strong> 18 giugno la Beata Vergine in Maestà col<br />

Figlio venerata da San Rocco sulla facciata di una casa all’alpe<br />

Salera di Crodo e <strong>il</strong> 28 luglio inserendo fra i decori<br />

esistenti della cappella ai piani superiori di Crodo le<br />

immagini dei Santi Antonio Abate e Sebastiano, mostra<br />

d’essere tornato nell’alveo della pittura sacra. A riprova<br />

va ricordato <strong>il</strong> lavoro del Cardone nella cappella cimiteriale<br />

di Cardezza dedicato agli Atti della vita di San Rocco,<br />

affrescati sulla volta poco dopo <strong>il</strong> 1570. L’ultimo intervento<br />

di Giacomo de Cardone è ancora conseguente<br />

all’esigenza di ornare una delle grandi chiese rinnovate<br />

in area antigorese, ossia quella dei Santi Pietro e Paolo di<br />

Crevoladossola, infatti, committente la “Compagnia degli<br />

Huomini che lavoravano a Roma” gli venne assegnato<br />

l’incarico di affrescare <strong>il</strong> dossale dell’altare Dell’Annunziata<br />

con i Santi Gervasio e Protasio, sulle paraste anteriori,<br />

e, sulla parete incurvata sopra l’altare, la Beata Vergine<br />

in Trono affiancata dai Santi Sebastiano e Rocco al<br />

centro, tra le scene laterali del Battesimo di Gesù e della<br />

Disputa coi dottori nel Tempio, dove sulle pagine del <strong>libro</strong><br />

aperto davanti a Gesù è dipinta, in forma abbreviata,<br />

la scritta “1573 7embris Jacobus de Montecristesio<br />

pingebat”, così datando e firmando <strong>il</strong> suo ultimo lavoro<br />

in Ossola superiore.<br />

E’ lecito supporre che <strong>il</strong> Cardone si valesse di aiuti per<br />

realizzare la vasta produzione attribuitagli e a sostegno<br />

214<br />

dell’ipotesi avanzata si potrà citare l’esempio del “Dominus<br />

Magister Johannes depintor f.q. Domini Andree dicti<br />

Mauri de Vogonia” nominato in un contratto del 1552,<br />

che data e firma “1563 DIE SEPTIMO JUNY JOAN-<br />

NES MAURUS VOGONIENSIS PINX.” i quattro<br />

Profeti, affrescati nell’infradosso dell’arco che distingue<br />

la prima campata della navata occidentale dalla navata<br />

centrale del San Giorgio di Varzo, unico resto noto della<br />

pittura eseguita dal maestro vogognese, fortemente inclinante<br />

ai tipi e alla maniera del Cardone, tanto da poterne<br />

ipotizzare <strong>il</strong> discepolaggio. Forse fu <strong>il</strong> Mauro, residente<br />

a Vogogna, centro podestar<strong>il</strong>e dell’Ossola inferiore<br />

e delle Quattro Terre, ad aprire i contatti del Cardone<br />

con la commmittenza di quell’area ossolana, che<br />

lo volle autore delle manifestazioni pittoriche attestanti<br />

la devozione locale. Sono infatti attribuite al Cardone<br />

le immagini devozionali affrescate: nella cappella dell’abitato<br />

di Battiggio a Vanzone, datata 1552; sulla parete<br />

esterna della casa appartenuta al notaio Giovanni<br />

Mora di Anzino del 1552 ca.; la Madonna in Trono col<br />

figlio, datata 1559, e l’analoga Maestà Mariana affiancata<br />

da Santa Lucia e devoto, datata 1576, entrambe perdute,<br />

ma documentate da riprese fotografiche risalenti<br />

agli anni sessanta dello scorso secolo; nella cappella nell’agro<br />

di Molini, frazione di Calasca, datata 1576; nella<br />

cappella in località La Piana in val Baranca, nel territorio<br />

di Bannio, del 1576 ca.. Ancora contemporanea,<br />

pare, ai primi affreschi di Montecrestese del 1547,<br />

la Maestà Mariana affrescata un tempo in una cappella<br />

rurale a Vaciago di Ameno, sopra <strong>il</strong> lago d’Orta, ora<br />

venerata nel Santuario della Bocciola, eretto ed ampliato<br />

nello stesso sito nel corso di tre secoli dal XVII al XIX.<br />

Gli esiti di una attività creativa tanto estesa rivelano la<br />

personalità complessa dell’autore: edotto dall’esperienza<br />

lombarda, che, principiando dai contatti col mondo<br />

accademico frequentato negli anni giovan<strong>il</strong>i, maturò<br />

a confronto coi lavori di Battista da Legnano e del<br />

Bugnate, aggiustò poi alla propria poetica volgendosi,<br />

controcorrente, alla pittura dell’Oltralpe di lingua tedesca,<br />

forse prendendone visione diretta, certamente conoscendone<br />

la produzione a stampa. Né si potrà concludere<br />

la breve escursione attraverso <strong>il</strong> patrimonio pittorico<br />

voluto in Ossola durante <strong>il</strong> XVI secolo dai committenti<br />

locali senza osservare come esso sia, assieme


alle altre espressioni artistiche, la conferma cinquecentesca,<br />

di entità stupefacente, del promettente avvento<br />

quattrocentesco di quella volontà d’arte che, persistente,<br />

alimenterà la produzione artistica dei secoli seguenti,<br />

nè, chiudendo, si dimenticherà <strong>il</strong> modesto, ma significativo<br />

trittico, annidato nella sacrestia dell’oratorio di<br />

San Rocco a Crego, dipinto a tempera su tavola per figurarvi<br />

la Madonna di Loreto coi Santi Rocco e Sebastiano,<br />

firmato Antonio de la Todesca e datato 1563 e l’esempio<br />

più tardo di pittura profana, datato 1598, forse dovuto<br />

alla moda diffusa nelle residenze gent<strong>il</strong>izie ossolane<br />

dallo spunto iniziale di Giacomo de Cardone, dato<br />

dal fregio eseguito da un ignoto pittore di cultura tedesca,<br />

nella sala all’ultimo piano della Torre di Piedimulera,<br />

dove però piccola parte è riservata a un mitico Trionfo,<br />

mentre piacevoli scene di caccia occupano la quasi totalità<br />

della superficie affrescata 30 .<br />

Gli avvii e le tendenze dianzi notate in architettura e<br />

in pittura si avvertono persistenti anche in scultura, soprattutto<br />

nella scultura lignea rifinita da apporti policromi<br />

dipinti e da dorature stese in foglia o in polvere.<br />

Gli avvii su accennati, però si radicano in una tradizione<br />

già operativa nel medioevo, quando venne scolpita<br />

la superba Madonna in Trono col Figlio, conservata<br />

a Macugnaga, esemplare paradigmatico della versione<br />

schematica inventata dalla sensib<strong>il</strong>ità romanica per raffigurare<br />

la Maestà mariana, ieratica, eppure umana, nello<br />

splendore della doratura rifinita dalla policromia degli<br />

ornati. Ancora in Ossola inferiore, due gruppi scultorei<br />

della Beata Vergine col Figlio: una regale, custodita<br />

nel museo parrocchiale di Ornavasso, detta dell’uccellino,<br />

raffigura la Maestà Mariana nella versione tipica<br />

del Quattrocento m<strong>il</strong>anese, ancorché presenti l’inconsueta<br />

iconografia della madre allattante, rinascimentale<br />

nelle anatomie e nell’impianto del trono, ma gotica<br />

nella sinuosa cadenza delle pieghe e nel preziosismo degli<br />

ornati; l’altra, della parrocchia di Piedimulera, benché<br />

mancante del Figlio e sia in pessimo stato di conservazione,<br />

si propone coi caratteri spiccati del Tardo<br />

Gotico lombardo, caratteristico del Quattrocento, nel<br />

rappresentare la madre in umanissimo abbandono. La<br />

ricca tradizione consolidata in Ossola 31 , episodicamen-<br />

Giacomo di Cardone, Predicazione del Battista, affresco 1564. Montecrestese, casa del pittore Cardone.<br />

216<br />

te testimoniata dalle sculture citate, si arricchisce nell’ultimo<br />

quarto del secolo XV della produzione uscita<br />

da una bottega vigezzina, aperta a Craveggia, dalla famiglia<br />

dei Merzagora, che di generazione in generazione<br />

la gestirono fino all’esordio del secolo XVII. Imponenti<br />

sono i capolavori eseguiti a cominciare dai gruppi<br />

statuari dedicati al Compianto sul Cristo Morto, sia<br />

quello esposto al Museo Civico d’Arte Antica di Torino,<br />

sia quello conservato al Sacro Monte di Orselina,<br />

presso Locarno nonché le due statue del Cristo morto<br />

e di una Dolente, custodito a Cosasca, appartenenti<br />

ad altro Compianto andato disperso, le sole conservate<br />

in valle dei Compianti attribuiti a Domenico Merzagora.<br />

Alla generazione seguente quella di Domenico, assieme<br />

al Crocifisso di Masera, vanno invece attribuiti <strong>il</strong><br />

Compianto nel San Martino di Masera e <strong>il</strong> Crocefisso sull’altare<br />

maggiore nella Chiesa di Cristo Risorto a V<strong>il</strong>ladossola,<br />

spiranti maggiore sentimentalità espressa dalla<br />

ricerca delle agitate posture e dalla acuita attenzione<br />

nella finitura delle anatomie per inverare con naturalezza<br />

l’espressione degli affetti. Autore dei due monumenti<br />

lignei Cinquecenteschi di maggior spicco in provincia<br />

fu Andrea Merzagora: nel 1582 del coro ligneo<br />

nel presbiterio della chiesa detta Madonna di Campagna<br />

a Pallanza 32 e nel 1596, assieme al fratello Domenico,<br />

dell’ancona posta come dossale dell’altare maggiore nel<br />

San Bartolomeo di V<strong>il</strong>ladossola 33 , che intorno al pannello<br />

della Crocefissione celebra in cinque altor<strong>il</strong>ievi gli atti<br />

salienti della Vita di San Bartolomeo, ora deturpata da<br />

un furto sacr<strong>il</strong>ego che infama <strong>il</strong> nostro tempo. Se l’impronta<br />

lombarda perdurerà nella tradizione famigliare<br />

dei maestri craveggesi fino alla fine del Cinquecento<br />

quando Andrea, ultimo maestro della bottega vigezzina,<br />

porterà ad esiti geniali di vigoroso manierismo l’eredità<br />

raccolta dalle precedenti generazioni, sarà anche a<br />

causa dei contatti che queste ebbero con una delle più<br />

apprezzate botteghe m<strong>il</strong>anesi attiva dall’ultimo quarto<br />

del Quattrocento al terzo decennio del Cinquecento,<br />

ossia la bottega dei De Donati. Il collegamento d’avvio<br />

con la bottega m<strong>il</strong>anese dei fratelli De Donati, Giovan<br />

Pietro e Giovan Ambrogio, già attivi nel cantiere del<br />

Duomo di Pavia gestito dall’Amadeo, si istituì intorno


al 1510 quando assunsero l’incarico di fornire all’oratorio<br />

conventuale dei Cavalieri di Malta, alla Masone di<br />

Vogogna, l’ancona della Annunciazione, a cui era dedicata<br />

la mansione giovannita, della quale, dopo la soppressione<br />

del 1797, rimane la statua della Beata Vergine<br />

nella chiesa di San Giorgio di Varzo venerata come Madonna<br />

del Rosario, e mediante l’analoga commissione<br />

accettata nel 1514 di eseguire l’ancona della Beata Vergine<br />

Immacolata in Adorazione del Bambino per la chiesa<br />

di Santa Maria degli Angeli annessa al convento vogognese<br />

dei Padri Serviti soppresso nel 1797, della quale<br />

si è conservata la sola statua della Beata Vergine, ora invocata,<br />

nell’oratorio di Santa Marta con <strong>il</strong> titolo di Addolorata<br />

34 . Sebbene dell’opera dei De Donati in Ossola<br />

non rimangano che parti frammentarie di complessi<br />

andati dispersi, quali l’Eterno Padre benedicente assieme<br />

a due Gruppi d’angeli nel Museo di Palazzo S<strong>il</strong>va a Domodossola<br />

e <strong>il</strong> Cristo Risorto nel San Vincenzo di Pieve<br />

Vergonte, si deve probab<strong>il</strong>mente alla loro influenza l’accentuazione<br />

naturalistica e umanistica, propria del Rinascimento<br />

m<strong>il</strong>anese, passata per confronto alla cultura<br />

della seconda generazione dei Merzagora. Con l’opera<br />

dei Merzagora la cultura artistica lombarda perdura<br />

con ruolo primario in Ossola; tuttavia non mancherà<br />

d’apparire, anche nelle vicende della scultura lignea<br />

cinquecentesca, la dissidenza antigoriese francesizzante<br />

con l’apporto di manufatti tedeschi, scolpiti in botteghe<br />

dell’alta Svevia secondo i canoni del Gotico fiorito,<br />

introdotti in valle Antigorio, durante <strong>il</strong> secondo e <strong>il</strong> terzo<br />

decennio del secolo, dal flusso proveniente dai centri<br />

mercant<strong>il</strong>i della Svizzera centrale. Di tali importazioni<br />

si citerà, oltre ad alcuni esempi frammentari nel Museo<br />

di Palazzo S<strong>il</strong>va a Domodossola, l’ancona conservata<br />

nel coro del San Gaudenzio a Baceno, datata 1525, quale<br />

esemplare che, per qualità esecutiva e coerenza st<strong>il</strong>istica,<br />

altamente testimonia <strong>il</strong> gusto cortese sopravvissuto<br />

nei committenti antigoriesi di Parte Brennesca; vanno<br />

inoltre considerate le opere commesse ad artisti di<br />

cultura germanica dalle enclave etniche walser, sculture<br />

ancora presenti in val Formazza, nella parrocchiale dedicata<br />

a San Bernardo e in alcuni oratori, e a Macugnaga,<br />

dove nella Chiesa Vecchia di Santa Maria <strong>il</strong> soffitto<br />

ligneo del presbiterio, opera lavorata ad intaglio e datata<br />

1513 del maestro friburghese Peter Mory, documen-<br />

ta, quale unico esemplare superstite del suo genere e del<br />

suo tempo, come anche nell’aspra esistenza di quelle<br />

comunità alpestri avesse posto la volontà d’arte mediatrice<br />

di valori spirituali e civ<strong>il</strong>i.<br />

L’età barocca durante <strong>il</strong> Seicento e <strong>il</strong> Settecento porta<br />

un profondo mutamento nella immagine artistica delle<br />

valli ossolane, poichè, sullo stimolo iniziale della Controriforma,<br />

di cui fu grande interprete <strong>il</strong> vescovo novarese<br />

Carlo Bascapè, molti edifici sacri esistenti vengono<br />

modificati, se non addirittura ricostruiti, per adeguarli<br />

ai dettami del Conc<strong>il</strong>io tridentino e i nuovi, che la pietà<br />

e l’aumento della popolazione esigono, s’uniscono ai<br />

precedenti rinnovati per coprire tutto <strong>il</strong> territorio ossolano<br />

con una ricca varietà di tipi architettonici, comprendente<br />

chiese, oratori, cappelle, edicole, che, pure<br />

nel variare delle forme, sono tutti improntati al nuovo<br />

linguaggio st<strong>il</strong>istico. Il Barocco ossolano s’esprime però<br />

in forme classicheggianti, anche negli edifici più ricchi,<br />

dove la ricercatezza degli effetti decorativi non mira al<br />

virtuosismo, ma a creare nuove, caute, gioiose armonie<br />

fra stucchi dorati e affreschi dai chiari colori br<strong>il</strong>lanti.<br />

Il lungo elenco di edifici, sculture, pitture e decorazioni<br />

non può essere contenuto in queste pagine, perciò solo<br />

qualche opera verrà citata quale esempio di quel tempo.<br />

Fra le parrocchiali ricostruite <strong>il</strong> San Brizio di Vagna<br />

(1666) e <strong>il</strong> San Rocco a San Rocco di Premia durante<br />

<strong>il</strong> Seicento, nel Settecento i Santi Giacomo e Cristoforo<br />

di Craveggia (1733) e la Santa Maria Assunta di Santa<br />

Maria Maggiore (1733-1742).<br />

Esempi di nuove costruzioni si hanno con la Beata Vergine<br />

del Rosario alla Noga di V<strong>il</strong>ladossola (1633-1692),<br />

la Beata Vergine Assunta e San Giuseppe di Macugnaga<br />

(1709-1717). Nei santuari settecenteschi della Madonna<br />

della Guardia a Ornavasso, della Madonna della<br />

Vita di Mozzio e di Santa Marta a Craveggia i caratteri<br />

armoniosi del più ricco Barocchetto ossolano sono apprezzab<strong>il</strong>i<br />

nel gaudioso gioco che in dispiegate eleganze<br />

fonde spazi e colori, strutture e decori.<br />

Le modificazioni più profonde al paesaggio ossolano<br />

s’ebbero con la costruzione dei Sacri Monti, che aprirono<br />

parchi o giardini della devozione, alcune volte in<br />

luoghi remoti, attorno al sacro itinerario della Via Regia<br />

da percorrere processionalmente in preghiera e ascetica<br />

meditazione.<br />

217


Il Sacro Monte Calvario, tracciato sul colle di Mattarella<br />

a Domodossola, per la ricchezza delle architetture e degli<br />

arredi, dovuti a noti artisti, che dal secolo XVII fino<br />

ai nostri giorni vi operarono, quali Dionisio Bussola, interprete<br />

sensib<strong>il</strong>issimo della lezione berniniana appresa<br />

a Roma, e Giuseppe Rusnati, entrambi protostatuari del<br />

Duomo di M<strong>il</strong>ano, è certamente <strong>il</strong> più cospicuo realizzato<br />

in Ossola 35 , ma non vanno dimenticati quelli minori<br />

che la devozione popolare con grandi fatiche ha<br />

eretto intorno ai suoi santuari, quali quello della Madonna<br />

della Neve a Bannio — (1622 <strong>il</strong> santuario, 1721-<br />

1722 le cappelle) 36 —; della Madonna di San Luca alla<br />

Salera di Cravegna (santuario 1729, cappelle 1738) 37 ;<br />

di Sant’Antonio da Padova a Anzino nel Settecento.<br />

Se nell’architettura o nella pittura <strong>il</strong> Seicento è povero<br />

di autori ossolani, nella scultura la presenza di artisti locali<br />

è dominante. Non c’è chiesa al piano o nelle valli<br />

che non conservi almeno un segno di scultura lignea intagliata<br />

da mano ossolana. Il fasto che impronta la produzione<br />

artistica dell’età barocca nella valle della Toce<br />

ebbe nella scultura lignea delle ancone, r<strong>il</strong>ucente di dorature<br />

e dai vividi colori, l’espressione più alta e più significativa.<br />

Dalla bottega di Giorgio De Bernardis (1606<br />

— post 1663) in via Briona a Domodossola — attiva alla<br />

metà del Seicento — uscirono lavori ricchi, ma solenni,<br />

legati al Manierismo lombardo e aperti a esperienze<br />

centro europee colte dal maestro durante i suoi soggiorni<br />

in Vallese, dove aveva legato salda amicizia con<br />

Gaspare Stockalper. Suoi lavori rimangono: a Seppiana<br />

— altare della Madonna del Rosario del 1645 e l’armadio<br />

di sacrestia nel Sant’Ambrogio —; a Vagna — altare<br />

del Nome di Gesù del 1646 nel San Brizio —; a Domodossola<br />

— Crocifisso del 1652-54 sull’altare maggiore<br />

dei Santi Gervasio e Protasio —; a Croveo — la porta<br />

della Natività di Maria —; a Naters, nel Vallese — l’ancona<br />

dell’altare maggiore nella parrocchiale — per elencarne<br />

solo alcuni fra i più indicativi 38 . Fra gli allievi cresciuti<br />

alla scuola di Giorgio de Bernardis <strong>il</strong> più dotato<br />

fu Giulio Gualio di Antrona (1630-1712) tanto che <strong>il</strong><br />

maestro lo scelse quale continuatore della sua bottega.<br />

Il Gualio fu maestro, a sua volta, valente, tanto da foggiare<br />

discepoli come Francesco Antonio Alberti di Boccioleto<br />

in Valsesia, attivissimo, capace di diffondere in<br />

Ossola e nel Vallese un vasto numero di opere duran-<br />

218<br />

te la seconda metà del secolo, negli ultimi anni aiutato<br />

dal figlio Paolo. Il lungo catalogo dei suoi lavori non è<br />

ancora compiuto, ma la misura di questo scultore ossolano<br />

la si potrà cogliere visitando <strong>il</strong> San Lorenzo di Antronapiana,<br />

dove, fra <strong>il</strong> 1660 e <strong>il</strong> 1694, costruì, scolpì<br />

e indorò cinque altari, quasi un campionario delle sue<br />

capacità di scultore barocco, armonioso e sobrio, ancora<br />

fedele ai canoni classici appresi dal maestro, ma largo<br />

di pensiero nell’inventare le scenografiche architetture<br />

dove allogherà statue di squisita fattura 39 . Il Seicento<br />

si conclude e s’apre <strong>il</strong> Settecento con l’ultima grande<br />

personalità della scuola ossolana di scultura: Pietro Antonio<br />

Lanti di Macugnaga (1679-1729). Già nel suo primo<br />

lavoro documentato, del 1724, nella Madonna della<br />

Neve a Borca di Macugnaga, scolpendo l’ancona dell’altare,<br />

<strong>il</strong> Lanti libera <strong>il</strong> suo genio creativo per elevare nello<br />

spazio un gioco fantasioso di nastri e fogliame, che accoglie<br />

putti e piccole immagini, per incorniciare la pala<br />

dipinta. Il carattere del suo st<strong>il</strong>e è già rivelato in questa<br />

scultura così come lo si ritrova nell’altare della chiesa<br />

nuova di Macugnaga, con una cadenza più solenne e,<br />

più appassionato, nel monumentale Crocefisso sito nella<br />

stessa chiesa. Altre sono le opere del Lanti sparse nell’Ossola<br />

e altri sarebbero gli scultori da menzionare che<br />

hanno dato immagini alla pietà e arredi alle case ossolane,<br />

opere e autori che <strong>il</strong> lettore curioso potrà trovare citati<br />

in studi monografici da tempo pubblicati 40 .<br />

Si dovrà però almeno segnalare <strong>il</strong> ruolo avuto in tale<br />

contesto, dopo l’annessione dell’Ossola al Regno di Sardegna,<br />

dallo scultore di Viganella Giovan Pietro Vanni<br />

(Viganella, 1744 - ?, 1813/1822) che, compiuto l’apprendistato<br />

in Valsesia, seppe inserirsi, nella seconda<br />

metà del Settecento, nei circuiti artistici locali e, al soppraggiungere<br />

del nuovo secolo, quando <strong>il</strong> vigore della<br />

tradizione scultorea ossolana stava ormai scemando,<br />

ebbe l’impulso, primo fra gli scultori ossolani, di volgere<br />

l’attenzione a modelli trascelti dalla cultura artistica<br />

Piemontese durante <strong>il</strong> passaggio dal Classicismo ai<br />

canoni estetici del Neoclassicismo, in particolare guardando<br />

alle opere scultoree e decorative degli artisti impegnati<br />

a fornire arredi di rappresentanza alle residenze<br />

della corte sabauda 41 .<br />

Chiuderò <strong>il</strong> discorso sulla scultura Seicentesca locale citando<br />

<strong>il</strong> famoso Crocefisso di bronzo collocato nel San


Bartolomeo di Bannio, giunto in valle Anzasca dalla<br />

Spagna, attribuito da Giovanni Romano allo scultore di<br />

Norimberga Georg Schweigger (1613-1680). Come lo<br />

splendido bronzo tedesco, e le avvivate terracotte dipinte<br />

di Dionisio Bussola, pare che anche i grandi dipinti<br />

giunti in Ossola nel corso del Seicento abbiano avuto<br />

poca influenza sugli artisti locali. Opere quali l’Assunzione<br />

della Beata Vergine nel San Gaudenzio di Baceno,<br />

dipinta nel 1604 da Avanzino Nucci (1552-1629), uno<br />

dei pittori assunti insieme alla schiera d’artisti mob<strong>il</strong>itata<br />

da Sisto V per riformare <strong>il</strong> volto di Roma 42 , o la Vergine<br />

che presenta <strong>il</strong> Bambino a San Felice da Cantalice,<br />

con l’autoritratto dell’autore accosciato ai piedi del<br />

gruppo sacro, preludio barocco del 1609 dipinto nel<br />

balenante spazio di 13 ore dal cappuccino fra Cosimo da<br />

Castelfranco, al secolo Paolo Piazza, come era solito firmarsi,<br />

per l’oratorio del Piaggio di Craveggia, paese da<br />

cui l’artista, famoso e conteso dai potentati del suo tempo,<br />

traeva le origini, unita alla sua Madonna delle Grazie<br />

col Bambino e i Santi Carlo e Rocco pala della cappella<br />

di San Carlo nella Santa Maria Assunta di Montecrestese<br />

43 , oppure <strong>il</strong> San Carlo che comunica gli appestati e<br />

la Visitazione di Tanzio da Varallo (1626), magistrale<br />

quanto efficace erede del fervore immaginifico suscitato<br />

dalla pietà borromaica, presenti già all’inizio del secolo,<br />

l’uno nella collegiata di Domodossola, l’altra nel<br />

San Brizio di Vagna 44 , con la possente tela, dall’aggressivo<br />

virtuosismo anatomico, attribuita al Cerano, un<br />

tempo pala dell’altare dedicato al SS. Nome di Gesù e<br />

la pala dell’altare di San Pietro nel Santo Stefano di Crodo,<br />

celebrante La Consegna delle Chiavi, superbo esempio<br />

di classicismo e naturalismo carracesco, forse giunto<br />

in valle dalla bottega romana di Domenico Zampieri<br />

(1581-1641), oppure quell’altra pala donata nel 1684<br />

da emigrati bolognesi all’altare dell’Epifania nel San<br />

Giulio di Cravegna “che rinvia all’ambito della bottega<br />

bolognese di Lorenzo Pasinelli” e suggerisce l’intervento<br />

dei suoi allievi Giavanni Antonio Burrini e Giovan<br />

Gioseffo Dal Sole, rispettivamente richiamati dai dettagli<br />

accuratamente rifiniti e da altri dalla fattura più<br />

sciolta di timbro neoveneto 45 , avrebbero dovuto scuotere<br />

l’animo e l’intelligenza dei pittori ossolani, ma forse<br />

fu loro più congeniale <strong>il</strong> quieto accademismo della tela<br />

dipinta ad olio inviata dai Mozziesi emigrati a Bologna<br />

Maestro anonimo sec. XII-XIII, Madonna in trono col figlio, legno<br />

scolpito dorato e dipinto al naturale. Macugnaga, chiesa parrocchiale.<br />

per la cappella di San Carlo nella parrocchiale di San<br />

Giacomo a Mozzio, eseguita nel 1613, con accenti veristici,<br />

da Giovanni Battista Gennari di Cento per narrare<br />

di San Carlo che risuscita un bambino mentre visita gli<br />

appestati, o di Stefano Delfina ab insula di Orta, autore<br />

della Santissima Trinità dipinta a olio su tela nel 1628<br />

per <strong>il</strong> Sant’Agostino di Premosello 46 , della pala dell’Annunciazione<br />

per l’oratorio giovannita di Santa Maria<br />

Annunziata ora custodita nella parrocchiale di San Giorgio<br />

a Piedimulera e <strong>il</strong> dossale dell’altare maggiore, in<br />

olio su tavola dell’oratorio dell’Annunciazione a Bannio<br />

47 , oppure quello, più studiato e incisivo, del fiorentino<br />

Luigi Reali 48 , attivo dal quarto al settimo decennio<br />

del secolo, che, segnato dal lombardismo dei Quadroni<br />

del Duomo di M<strong>il</strong>ano, con l’aiuto occasionale del pittore<br />

Francesco Negri di Mozzio, distribuì esempi del decoro<br />

tridentino, consonanti con la pietà popolare ossolana,<br />

in chiese e oratori da San Giovanni a Montorfano<br />

ad Ant<strong>il</strong>lone in valle Formazza. Uscito dalla bottega fio-<br />

219


entina di Francesco Curradi, <strong>il</strong> Reali, sostando dapprima<br />

a M<strong>il</strong>ano, per adeguare <strong>il</strong> proprio apprendistato al<br />

gusto lombardo, e poi sulle rive del Verbano, per lavorarvi,<br />

si volse al settentrione alpino in cerca di committenti,<br />

e non solo nelle valli ossolane, giacché, diramando<br />

l’itinerario operativo verso occidente, trovò commissioni<br />

in Valsesia e in valle Strona, e verso oriente, nella<br />

provincia comasca, dove assunse lavori in Valtellina e in<br />

Valsassina. Due tele votive, entrambe dedicate a San<br />

Giuseppe e raffiguranti, su uno schema compositivo ripreso<br />

dal Morazzone, lo Sposalizio della Beata Vergine,<br />

segnano i termini, iniziale e finale, del lasso di tempo<br />

impiegato dal pittore fiorentino nelle opere ossolane: la<br />

prima, datata 1639, nella Madonna della Neve di Domodossola;<br />

l’ultima, datata 1660 per la pala sull’altare<br />

di San Giuseppe nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria<br />

a Vocogno di Craveggia. Ma la composizione<br />

replicata con maggiore frequenza dal Reali per le pale<br />

degli altari è quella di tipo piramidale costituita dalla<br />

Beata Vergine delle Grazie, levitante al vertice su un<br />

nembo di nubi, fra due santi, palesatori del culto locale,<br />

che alla base, sullo sfondo di un paesaggio, la venerano<br />

e la assistono. Così si presentano le pale negli oratori<br />

di Montecrestese: a Nava, coi Santi Antonio Abate e<br />

Sebastiano datata 1640; ad Altoggio, coi Santi Giovanni<br />

Battista e Giacomo Maggiore, datata 1645. Analoghe<br />

sono la pala per <strong>il</strong> San Giovanni a Montorfano coi Santi<br />

Giovanni Battista e Rocco; quella a Pizzanco di Bognanco<br />

coi Santi Uguccione e Lorenzo, affiancata dalla<br />

tela dedicata alla Immacolata coi Santi Giuseppe e Antonio<br />

da Padova; infine <strong>il</strong> dipinto del 1644 nei Santi Pietro<br />

e Paolo di Crevoladossola dedicato alla Madonna del<br />

Rosario coi Santi Domenico e Caterina da Siena, capif<strong>il</strong>a<br />

delle due schiere di santi ai piedi della Vergine. Allo<br />

stesso disegno compositivo si può avvicinare anche la<br />

pala della Incoronazione della Beata Vergine coi Santi Andrea<br />

e Carlo che venerano la Croce sull’altare omonimo<br />

nella Santa Caterina d’Alessandria di Vocogno e San<br />

Carlo Borromeo che venera la Regina Coeli, del 1650, dipinto<br />

per la chiesa di Santa Maria Assunta di Mergozzo.<br />

Altre due pale per altari laterali di San Rocco, dove <strong>il</strong><br />

santo è figurato in primo piano, sempre sullo sfondo di<br />

un paesaggio, quasi eseguendo <strong>il</strong> tipo del ritratto a figura<br />

intera, sono collocate nel San Zenone di Tappia e nel<br />

220<br />

San Carlo di Bracchio, alle quali va aggiunta la tela votiva<br />

dedicata a San Zenone nell’oratorio di San Giovanni<br />

Evangelista a Valpiana di V<strong>il</strong>ladossola. Alle opere ricordate<br />

si devono aggiungere i cicli narrativi per le cappelle<br />

minori dedicate a San Carlo Borromeo di cui rimangono:<br />

integro quello eseguito a tempera grassa, nel<br />

1655, sulla volta della cappella nella Santa Maria Assunta<br />

di Montecrestese; ridotto invece alle due tele rimaste<br />

ai lati della pala, quello dipinto per <strong>il</strong> San Lorenzo<br />

di Bognanco. Dei lavori eseguiti ad affresco restano<br />

l’Annunciazione, San Giovanni Battista e Sant’Antonio<br />

da Padova sulla facciata dell’oratorio di Giosio a Montecrestese<br />

e <strong>il</strong> ciclo steso nel presbiterio dell’oratorio di<br />

Ant<strong>il</strong>lone, in val Formazza, dedicato alla Visitazione.<br />

Luigi Reali era ancora operoso in Ossola quando Carlo<br />

Mellerio, nato nel 1620 da famiglia patrizia craveggese<br />

trasferitosi da poco a Domodossola dove contava amicizie<br />

ed entrature presso la nob<strong>il</strong>tà cittadina, compiuto<br />

l’apprendistato all’ombra dell’Accademia Ambrosiana e<br />

avviatosi nella pratica dell’arte come maestro apprezzato<br />

e ben introdotto nell’ambiente artistico m<strong>il</strong>anese, ritornava<br />

nel capoluogo ossolano, eleggendolo a centro<br />

della propria attività 49 , ottenendo la prima commissione<br />

del 1649 per affrescare le volte del protiro e le figure<br />

di San Vitale e Santa Valeria sulla facciata della collegiata<br />

domese. Influenzato dai manieristi lombardi dell’età<br />

borromaica, in particolare dalla personalità del Cerano e<br />

successivamente del Procaccini, <strong>il</strong> Mellerio recò aggiornamenti<br />

alla cultura artistica ossolana acclimandola agli<br />

orientamenti accademici federiciani tendenti alla «verità<br />

delle cose» e dei «moti e affetti» mediante <strong>il</strong> rigore costruttivo<br />

e <strong>il</strong> controllo plastico della forma. Si adoprò<br />

inoltre perché opere e artisti portassero in Ossola significativi<br />

termini di confronto, come le grandi tele del<br />

San Giovanni Battista e del San Gerolamo dipinte nel<br />

1641 dallo spagnolo Bartolamé Roman per la chiesa dei<br />

santi Pietro e Paolo di Malesco 50 , o, più mordente nell’immaginazione<br />

popolare, l’opera di Dionisio Bussola<br />

plasmata per l’arredo scultoreo delle cappelle al Sacro<br />

Monte Calvario, che veniva realizzato in quegli anni a<br />

cura del fiduciario episcopale Giovanni Matteo Capis,<br />

zio d’acquisto di Carlo. Peraltro nello stesso tempo e<br />

proprio al Calvario, <strong>il</strong> Mellerio, assieme allo scultore<br />

Giulio Gualio, s’impegnò a dipingere le statue del Bus-


sola e del Volpini e intorno al 1660, ancora col Gualio<br />

che ne intagliava la cornice, replicò in copia la Visitazione<br />

del Tanzio per la chiesa conventuale dei Cappuccini,<br />

ora custodita a Palazzo S<strong>il</strong>va. Pienamente integrato nella<br />

vita valligiana concorse al rinnovamento seicentesco<br />

degli edifici di culto ossolani, sia in città e nei dintorni,<br />

sia nei paesi dislocati nelle valli. A Domodossola affrescava<br />

<strong>il</strong> medaglione con l’Eterno Padre per la volta della<br />

Madonna di Loreto al Calvario e nel 1674 <strong>il</strong> Miracolo<br />

della Neve in facciata al santuario della Madonna della<br />

Neve, nonché <strong>il</strong> trittico con la Beata Vergine affiancata<br />

dai Santi Domenico e Caterina da Siena per l’oratorio<br />

gent<strong>il</strong>izio della Madonna di Loreto; ad Anzuno nel<br />

1683 dipingeva su tela la pala per l’altare dell’oratorio<br />

di Sant’Antonio da Padova; a Crevoladossola nel 1682-<br />

83 la pala dell’altare e gli affreschi nell’oratorio di San<br />

Vitale. Ancora in collaborazione con <strong>il</strong> Gualio, autore<br />

delle opere lignee d’ornamentazione, dipingeva nel<br />

1683 la pala per l’altare del Santo Rosario nel San Lo-<br />

Giulio Guaglio, Altare a ciborio, legno scolpito e dorato 1686.<br />

Antronapiana, San Lorenzo.<br />

renzo di Bognanco. In valle Antrona, nel Sant’Ambrogio<br />

di Seppiana, eseguiva, per la cappella del Santo Rosario,<br />

gli affreschi dedicati alla Vita della Beata Vergine<br />

ossia la Nascita, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi<br />

e l’Assunzione, in un tempo di poco posteriore al 1660,<br />

anno conclusivo delle opere ed<strong>il</strong>i. A Montecrestese fra <strong>il</strong><br />

1660 e <strong>il</strong> 1670 è impegnato nella parrocchiale della<br />

Beata Vergine Assunta a decorarne <strong>il</strong> presbiterio: la volta,<br />

con gli Evangelisti e le Virtù Teologali, e le pareti, con<br />

i Misteri dell’infanzia, ossia l’Annunciazione, l’Adorazione<br />

dei Pastori e la Presentazione al Tempio; le volte della<br />

navata centrale con le figurazioni di alcune invocazioni<br />

litaniche lauretane e l’Incoronazione della Beata Vergine,<br />

per concludere con l’Assunta dipinta in facciata. Nello<br />

stesso centro, oltre agli affreschi per l’Assunta, dipingeva<br />

nella volta del santuario di Viganale, nell’oratorio di<br />

Sant’Antonio da Padova a Roledo e l’esterno e l’interno<br />

della cappella rurale di Piccioledo. Nè mancò di assumere<br />

incarichi in valle Vigezzo, dove, intorno al 1670,<br />

affrescava la volta del presbiterio nel santuario di Re raffigurandovi<br />

gli Evangelisti e l’Eterno Padre; nel 1672 è a<br />

Druogno per dipingere al centro della volta l’immagine<br />

del Santo Pontefice S<strong>il</strong>vestro; eseguiva inoltre un affresco<br />

nell’oratorio di San Michele ad Albogno, la pala con la<br />

Nascita di Maria per l’oratorio del Piaggio di Craveggia<br />

e le volte nell’oratorio dei Santi Antonio Abate e Antonio<br />

da Padova nel 1685, probab<strong>il</strong>mente la sua ultima opera.<br />

Infine va ricordato <strong>il</strong> dipinto votivo offerto, nell’ottavo<br />

decennio del secolo, al San Gaudenzio di Baceno, dal<br />

capitano Ludovico Scaciga, dedicato alla Sacra Famiglia<br />

e a Sant’Antonio da Padova. La laboriosa continuità accademica<br />

impegnata a «riformare» l’immagine seicentesca<br />

dell’arte sacra ossolana ebbe probab<strong>il</strong>mente un sussulto<br />

quando, a metà degli anni ottanta del secolo, venne<br />

esposta nel San S<strong>il</strong>vestro di Druogno la grande tela<br />

raffigurante un Miracolo di Sant’Antonio da Padova, firmata<br />

Godefrigo Maes Anteverpia 1685 51 , donata da emigrati<br />

druognesi saliti nella società fiamminga a posizioni<br />

altolocate, tali da potersi rivolgere, nell’alto rango di<br />

committenti facoltosi, alla bottega di Anversa del maestro<br />

Godefrigo Maes (1649-1700), autore significativo,<br />

ancorché poco noto, di un Seicento fiammingo dall’elegante<br />

eloquenza formale dispiegata nei soggetti raffigurati<br />

con invenzione indipendente dalle correnti artisti-<br />

221


che allora in auge nelle Fiandre. Si deve arguire che <strong>il</strong><br />

confronto con l’opera del Maes ebbe valore esclusivamente<br />

episodico per gli artisti locali, poiché durante <strong>il</strong><br />

ventennio conclusivo del secolo l’ambiente artistico ossolano<br />

esprimerà solamente autori ligi alla tradizione<br />

accademica, ancora disposti ad accettare suggerimenti<br />

da modelli manieristici superati dalla temperie seguita<br />

altrove in quei decenni.<br />

E’ <strong>il</strong> caso del pittore vogognese Antonio Valentino Caviggioni<br />

(1653-post 1733) detto Valentino Rossetti 52 , autore<br />

oggi riconoscib<strong>il</strong>e in due opere bisognose di pulitura<br />

e restauro: l’Ultima Cena nell’oratorio di Santa Marta a<br />

Vogogna, datab<strong>il</strong>e al 1680, e la pala d’altare dipinta nel<br />

1696 per l’oratorio di San Rocco a Cimamulera. Oltre<br />

ai dipinti ossolani citati sono rimasti in valle Strona e in<br />

Valsesia sia affreschi, sia dipinti ad olio del Caviggioni,<br />

che ebbe nel figlio Pietro e nel nipote Luca, residenti ad<br />

Orta, i continuatori della bottega avviata dal pittore a<br />

Vogogna. Dall’incontro col manierismo romano del vasariano<br />

riminese Livio Agresti, studiato, parrebbe, con<br />

attenta solerzia, Valentino Rossetti trasse schizzi e bozzetti<br />

ut<strong>il</strong>izzati in seguito per comporre figurazioni accademiche<br />

dipendenti dall’opera dell’Agresti, debito risultante<br />

in particolare con inequivocab<strong>il</strong>e evidenza dall’<br />

Ultima Cena di Vogogna, più che ispirata, replicata dal<br />

medesimo soggetto trattato ad affresco dal pittore riminese<br />

nell’oratorio romano del Gonfalone. Contemporaneo<br />

del Caviggioni <strong>il</strong> vigezzino Giacomo Antonio Minoli<br />

53 , nato a Gagnone di Druogno nel 1657, completò<br />

la propria formazione ossolana a Roma, dove soggiornò<br />

fra <strong>il</strong> 1670 e <strong>il</strong> 1679, senza trarne significativi benefici,<br />

si direbbe, considerando le quattro grandi tele inviate<br />

dal Minoli alla nativa Druogno da Rastiglione in Valsesia,<br />

dove nel frattempo, si era trasferito. Infatti i dipinti<br />

destinati alla Confraternita del SS. Sacramento, eretta<br />

nella cappella dei Santi Carlo e Giuseppe del San S<strong>il</strong>vestro,<br />

mostrano, tranne <strong>il</strong> Miracolo della mula inginocchiata<br />

innanzi all’ostia ostensa da Sant’Antonio da Padova,<br />

di dipendere strettamente da soggetti già presenti in<br />

chiese ossolane: l’Ultima Cena, con <strong>il</strong> cartiglio in calce<br />

recante la dedicatoria dell’autore, riprende la composizione<br />

gaudenziana dipinta da Fermo Stella per la par-<br />

Tanzio da Varallo, Visitazione, olio su tela 1626. Vagna, San Brizio.<br />

rocchiale di Crevoladossola; <strong>il</strong> San Carlo che comunica<br />

gli appestati è debole copia di quello del Tanzio nella<br />

Collegiata di Domodossola; lo Sposalizio della Vergine<br />

ricalca la versione del medesimo soggetto data da<br />

Luigi Reali nella pala di Vocogno. Analogo comportamento<br />

si osserva nell’opera di Francesco Antonio Antonietti<br />

di Beula di Baceno (1668-1752), artista dalla biografia<br />

ancora in corso di ricerca (Tullio Bertamini), finora<br />

conosciuto solamente quale autore delle due grandi<br />

tele dipinte nel 1696 per la cappella di San Carlo nel<br />

San Gaudenzio di Baceno, diffic<strong>il</strong>mente leggib<strong>il</strong>i perché<br />

offuscate dalla sporcizia e dal tempo, tuttavia rivelatrici<br />

di buon mestiere, esercitato nel disegno e sciolto<br />

nel comporre, ancorché limitato da carenza d’invenzione,<br />

giacché I’Ultima Cena mostra i suggerimenti ripresi<br />

da quella donata dal Minoli al San S<strong>il</strong>vestro di Druogno<br />

e la Preghiera nell’Orto si rifà a quella stesa da Battista da<br />

Legnano nel San Giulio di Cravegna sulla traccia della<br />

scena düreriana intagliata per la Grande Passione 54 .<br />

Contemporaneo dei secentisti ossolani citati l’antigoriese<br />

Pietro De Pietri (Cadarese 1663-Roma 1716) ben<br />

altro livello toccò durante la sua vicenda, fin dagli inizi,<br />

quando quindicenne venne accolto a Roma nella prestigiosa<br />

bottega del Maratti e quindi, entro pochi anni,<br />

seppe raccogliere intorno alla sua opera <strong>il</strong> consenso dei<br />

più qualificati committenti romani, tanto da attrarre<br />

l’attenzione di Clemente XI, che gli commise importanti<br />

lavori e lo volle membro della Accademia di San<br />

Luca 55 . In Ossola non rimangono che lievi tracce, in<br />

mano privata, della vasta produzione stesa ad affresco,<br />

dipinta ad olio, disegnata o incisa che diede fama al De<br />

Pietri fra i maestri romani fautori del Classicismo, ma<br />

forse un collegamento locale, sia pure appena proponib<strong>il</strong>e,<br />

lo si può rintracciare nella modesta pala dell’oratorio<br />

di San Rocco a Pioda di Premia, «fatta dipingere»<br />

a Roma nel 1740 dalla Compagnia di Pioda che ricorse<br />

al pennello di Isidoro Reali: forse un discendente<br />

antigoriese di Luigi Reali, posto sotto la protezione del<br />

De Pietri dalla potente Compagnia romana degli emigrati<br />

antigoriesi, come suggerirebbe la delicata Madonna<br />

delle Grazie che dall’alto delle nubi guarda col Figlio<br />

ai Santi Sebastiano, Rocco e Francesco da Paola in estati-<br />

223


ca venerazione 56 .<br />

Aperto l’accesso al XVIII secolo dalla personalità di Pietro<br />

De Pietri e di un suo pallido, eventuale riflesso, lasciandosi<br />

alle spalle «i moti e gli affetti» dell’accademismo<br />

seicentesco per inoltrarsi nel panorama settecentesco<br />

della pittura ossolana, non sarà più necessario soffermarsi<br />

in puntigliose soste su autori e opere, poiché<br />

l’interesse ridestatosi in tempi recenti sui pittori del<br />

XVIII e XIX secolo ha ampliato gli orizzonti storiografici<br />

promuovendo monografie e studi fac<strong>il</strong>mente reperib<strong>il</strong>i,<br />

che, delineando un corretto quadro d’assieme dell’attività<br />

artistica di quei secoli, hanno risaltato al giusto<br />

livello gli autori, le inclinazioni st<strong>il</strong>istiche, nonché la<br />

volontà d’arte dei committenti, che li caratterizzarono.<br />

Perciò su tali artisti, scelti dalla maggioranza dei committenti<br />

contemporanei come interpreti fedeli delle<br />

loro esigenze estetiche, motivate dalla religione, dal decoro<br />

sociale o dal gusto, sia collettivo che individuale, si<br />

tratterà l’attenzione considerandoli, per ingegno e operosità,<br />

personalità determinanti la cultura artistica del<br />

loro tempo.<br />

Se Pietro de Pietri fu <strong>il</strong> primo degli ossolani ad accedere<br />

alla poetica del Classicismo romano mediante <strong>il</strong> magistero<br />

di Carlo Maratta, <strong>il</strong> secondo ossolano ammesso<br />

fra gli allievi della medesima bottega romana fu l’anzaschino<br />

Girolamo Ferroni (Bannio 1687-? post 1740)<br />

finora ricordato dalla letteratura artistica erroneamente<br />

originario di M<strong>il</strong>ano o di Parma 57 . Il Classicismo romano,<br />

di ascendenza raffaellesca, rafforzato dall’alito spirante,<br />

con linguaggio barocco, dall’area cortonesca, si<br />

palesa fin dai primi esiti nella pittura del Ferroni, già<br />

esplicito nell’opera prima, almeno per ora ritenuta tale,<br />

firmata e datata “OPUS FERRONI 1704 a Roma”, inviata<br />

in patria per fungere da pala sull’altare dell’Immacolata<br />

nel San Bartolomeo di Bannio. Nella stessa chiesa,<br />

ma più tarde, perché dipinte dopo <strong>il</strong> suo rientro a<br />

M<strong>il</strong>ano in seguito alla morte di Carlo Maratta nel dicembre<br />

del 1713, oltre alla pala dell’altare dedicato a<br />

San Francesco Saverio vi sono esposte la lunetta dipinta<br />

a olio su tela con <strong>il</strong> Battesimo di Gesù sullo sfondo della<br />

piazza di Bannio con l’oratorio di Santa Marta, del<br />

San Bartolomeo, e più arretrata la fuga delle cappelle<br />

dedicate alla via crucis, conclusa dal santuario della<br />

Madonna della Neve; San Giuseppe col Gesù Bambino;<br />

224<br />

La Trinità implorata dalla Vergine a suffragio delle anime<br />

purganti con, inparergo, la messa di San F<strong>il</strong>ippo Neri.<br />

Al Gruppo di opere citate va aggiunta la tela conservata<br />

nel San Mattia di Oira, raffigurante La Trinità Implorata<br />

dalla Vergine e San Giuseppe sopra un angelo che trae<br />

un’anima al cielo dal folto delle anime purganti, affiancato,<br />

tre per lato, da sei scene <strong>il</strong>lustranti casi di “morte<br />

improvvisa”. Il Ferroni dovrebbe avere dipinto le opere<br />

citate nel decennio seguente <strong>il</strong> suo rientro a M<strong>il</strong>ano,<br />

quando assunse fra le prime commissioni quella di eseguire,<br />

intorno al 1714, per la chiesa di San Eustorgio la<br />

pala dell’altare di San Giuseppe, raffigurandovi <strong>il</strong> Transito<br />

del Santo, rapporto evidenziato dalle consonanze st<strong>il</strong>istiche<br />

e tipologiche ravvisab<strong>il</strong>i nella stesura delle pitture<br />

elencate. A M<strong>il</strong>ano <strong>il</strong> Ferroni ebbe però particolare<br />

successo quale autore di disegni, volti in incisioni, richiesti<br />

dall’editoria m<strong>il</strong>anese, per <strong>il</strong>lustrare pubblicazioni<br />

anche di grande prestigio, oppure, se di soggetto sacro,<br />

destinate alla devozione privata 58 . Gli affreschi firmati<br />

e datati “H. Ferronius baniensis pinxit 1736 ” sulla<br />

cupola centrale nell’oratorio dell’Annunciazione di Bannio<br />

concludevano <strong>il</strong> decoro pittorico dell’edificio sacro<br />

iniziato nel 1715, nel lasso di tempo intercorrente fra<br />

queste date l’autore aveva accettato anche l’incarico di<br />

eseguire affreschi per la Via Crucis, l’ultimo nel 1736,<br />

affiancata al percorso sacro che porta al santuario della<br />

Beata Vergine della Neve, dall’interno decorato dal Ferroni<br />

tra <strong>il</strong> 1723 e <strong>il</strong> 1725 59 .<br />

All’operosità degli scultori ossolani, capaci di soddisfare<br />

appieno e a notevole livello la domanda locale di suppellett<strong>il</strong>i<br />

artistiche, destinate all’arredo ecclesiastico o<br />

domestico, va affiancata la capacità e l’ingegno dominante<br />

di un pittore vigezzino: Giuseppe Mattia Borgnis<br />

(Craveggia 1701-West Wycombe 1761), che con la sua<br />

produzione in ogni genere pittorico, dalle vaste superfici<br />

affrescate alle tavolette degli ex voto, dalle più complesse<br />

figurazioni ai ritratti, o dai sistemi decorativi di<br />

interi edifici allo schema della più semplice ornamentazione,<br />

saprà appagare ogni richiesta dei committenti locali,<br />

sia pubblici, sia privati, dal terzo al sesto decennio<br />

del Settecento 60 .<br />

Si è voluto richiamare l’incisiva presenza della tradizione<br />

scultorea locale per sottolineare come la stessa aura<br />

classicheggiante, a cui inclina la scultura lignea ossola-


na, spira nelle opere del Borgnis, così vivamente da farne<br />

la sua fortuna in Ingh<strong>il</strong>terra, dove, apprezzato interprete<br />

di scene allegoriche e temi mitologici tratti da<br />

modelli del Classicismo romano, morirà famoso 61 . Attento<br />

alla lezione dei grandi maestri del classicismo cinquecentesco,<br />

ai quali poté accostarsi, fra adolescenza e<br />

giovinezza, risiedendo e studiando a Bologna, a Venezia<br />

e, probab<strong>il</strong>mente a Roma, seppe da essi emanciparsi<br />

per affermare una propria cifra st<strong>il</strong>istica, esposta da una<br />

tavolozza dai colori luminosi, vibranti a cui attinse per<br />

le grandi composizioni affrescate a gloria di Dio, della<br />

Vergine e dei santi, nelle cupole, nelle volte o sulle pareti,<br />

oppure dipinte sulle grandi tele, che ancora oggi numerose<br />

lo ricordano autore felice di un animato Classicismo<br />

(si potrà dire?) ossolano. Menzionato nella storia<br />

dell’arte quale primo maestro di Giuliano da Parma,<br />

fu architetto, pittore e decoratore di br<strong>il</strong>lante ingegno,<br />

che nelle immagini sacre, condotte con rigoroso rispetto<br />

dell’ortodossia tridentina, e nelle figurazioni mitiche<br />

o allegoriche si rivela colto iconografo. Nella impossib<strong>il</strong>ità<br />

anche solo di compendiare <strong>il</strong> catalogo della vasta<br />

produzione del Borgnis si proporrà, quale esempio fra i<br />

più significativi delle sue capacità creative, la chiesa dei<br />

Santi Giacomo e Cristoforo di Craveggia, ricostruita durante<br />

<strong>il</strong> quarto decennio del Settecento su progetto del<br />

maestro craveggese, autore altresì delle opere pittoriche<br />

e dei programmi decorativi eseguiti nella marginale ornamentazione<br />

degli arredi.<br />

Saltati dieci anni nel repertorio della pittura settecentesca<br />

ossolana, fitti di nomi vigezzini 62 , è inevitab<strong>il</strong>e ricadere<br />

in valle Vigezzo per incontrare <strong>il</strong> nome del pittore<br />

più influente sulla cultura artistica ossolana dagli ultimi<br />

decenni del Settecento alla prima metà dell’Ottocento,<br />

ossia Lorenzo Peretti (Buttogno 1774 — ivi 1851), che<br />

seppe evolvere l’eredità classicistica del Borgnis nella rigorosa<br />

cognizione dell’Antico quale fonte formale della<br />

teorica Neoclassica. Trascorsa l’adolescenza e la prima<br />

gioventù a Torino, <strong>il</strong> pittore ebbe modo di frequentare<br />

i corsi di Lorenzo Pecheux presso l’Accademia di<br />

Belle Arti e acquisirvi quel carattere neoclassico, derivato<br />

dal classicismo romano del Batoni e del Mengs, trasmessogli<br />

dal maestro, in seguito, ammesso fra gli artisti<br />

al servizio della corte Sabauda, ottenne commesse<br />

a volte modeste, a volte impegnative per eseguire la-<br />

vori sia nelle residenze reali, sia in alcuni edifici di culto<br />

torinesi. Allontanato dalle turbolenze politiche suscitate<br />

nella capitale piemontese dalla invasione francese,<br />

riparò, con la famiglia, nel paese natio, eletto a residenza<br />

permanente, alla quale ritornare negli intervalli<br />

tra gli impegni di lavoro che numerosi committenti<br />

gli affidarono in molti centri ossolani, dal capoluogo<br />

agli abitati montani dislocati nelle alte valli, nonché<br />

nel confinante Ticino e in Piemonte. La versione personale<br />

della poetica neoclassica, a cui <strong>il</strong> pittore vigezzino<br />

sempre si attenne, si manifesta, in compendio esemplare,<br />

come opera della sua maturità, nella collegiata dai<br />

Santi Gervasio e Protasio di Domodossola: dagli affreschi<br />

stesi nelle volte a quelli del presbiterio raffiguranti<br />

Il martirio e <strong>il</strong> ritrovamento dei Corpi Santi dei giovani<br />

martiri m<strong>il</strong>anesi 63 .<br />

Giunti alla metà del XIX secolo, non si uscirà dalla valle<br />

Vigezzo trattenuti dal fascino di tre nomi che, con altri<br />

validi artisti, l’hanno posta nella mitologia artistica<br />

ad vocem «La Valle dei Pittori». Se Lorenzo Peretti<br />

fu <strong>il</strong> primo fra i pittori vigezzini di spiccato talento ad<br />

accettare la condizione di suddito degli Stati Sardi e di<br />

conseguenza ad aprire la strada verso l’Accademia della<br />

capitale sabauda, Carlo Gaudenzio Lupetti (Prestinone<br />

1827 — Nantes 1862) fu <strong>il</strong> primo vigezzino, di livello<br />

europeo, a muovere l’ulteriore passo dalla periferia<br />

piemontese verso <strong>il</strong> centro della cultura francese, incardinato<br />

nella sua capitale, Parigi, per conoscere dal vivo<br />

gli uomini che stavano foggiando idee libertarie e visioni<br />

realistiche capaci di sovvertire, e di sostituire, <strong>il</strong> polveroso<br />

apparato didattico delle Accademie. A Torino <strong>il</strong><br />

Lupetti giunse dopo l’apprendistato elementare, presso<br />

le botteghe vigezzine dei Sotta 64 a Malesco e dei Simonis<br />

a Buttogno, per concludere nel 1849 <strong>il</strong> corso degli<br />

studi regolari all’Accademia, da poco (1833) divenuta<br />

Regia Albertina, ma fu l’approdo alle scuole dei maestri<br />

parigini di metà Ottocento a condurlo verso «<strong>il</strong> perfetto<br />

raggiungimento di quell’equ<strong>il</strong>ibrio tra la visione e<br />

<strong>il</strong> sentimento che costituiva la massima aspirazione degli<br />

artisti del suo tempo» (B. Canestro Chiovenda). Durante<br />

<strong>il</strong> soggiorno parigino <strong>il</strong> Lupetti fu allievo di Leon<br />

Cogniet, studiò <strong>il</strong> classicista Thomas Couture, l’animalier<br />

Jacques Raymont Bracassat e <strong>il</strong> realismo di Gustave<br />

Courbet, che segnano momenti diversi della sua vicen-<br />

225


da di artista, tuttavia confluenti in un itinerario identico<br />

a quello percorso dagli impressionisti, come dimostrano<br />

gli esiti dei suoi ultimi dipinti, dove la luce trascolorante<br />

di un istante è fermata dal colore a riprodurre<br />

liricamente la realtà. Quella realtà fissata ne La Zingara<br />

e i suoi animali d’ambulanza (Museo Galletti di Domodossola)<br />

descritta dalla luce trascorrente, che, «bagnando»,<br />

increspata da sfumati e ombre, i pelami e i panni,<br />

evoca intorno all’accento esotico posto dalla figura gitana,<br />

l’intimistica atmosfera del ricovero e forse anche<br />

l’infant<strong>il</strong>e sensazione, nel ricordo dell’autore, di crogiolarsi<br />

nel tepore e nell’afrore di una stalla, protetto dal rigore<br />

di una lontana notte invernale a Prestinone 65 . Enrico<br />

Cavalli (Santa Maria Maggiore 1849 — ivi 1919)<br />

portò nella valle natia i frutti raccolti dalla esperienza<br />

francese degli anni giovan<strong>il</strong>i: dapprima allievo di Joseph<br />

Guichard alla Ecole des Beaux Arts di Lione, negli<br />

anni seguenti a Marsiglia a diretto contatto con l’opera<br />

e gli insegnamenti di Adolphe Monticelli ebbe la chiave<br />

di lettura per interpretare la lezione di Guichard, le<br />

suggestioni della pittura di Diaz de la Peña e le vigorose<br />

ricerche cromatiche del contemporaneo Françòis Auguste<br />

Ravier, ma in particolare <strong>il</strong> Monticelli trasmise all’apprendista<br />

vigezzino la densa vitalità tonale e coloristica<br />

della propria tavolozza. Esperienza condotta senza<br />

sottrarsi alle indagini sul colorismo degli antichi veneti<br />

e fiamminghi e in cui crebbe pittore dalle idee nuove<br />

che seppe comunicare ai suoi allievi della Scuola Rossetti<br />

Valentini di Santa Maria Maggiore, aggiornando,<br />

così, la tradizione artistica locale sulle nuove teorie pittoriche<br />

praticate in Francia negli ultimi decenni del secolo.<br />

L’ardita ricerca coloristica nelle nature morte e nei<br />

paesaggi, l’approfondimento psicologico nei ritratti —<br />

i migliori sono in raccolte private — fanno uscire l’opera<br />

del Cavalli dall’ambito ossolano e lo confermano autore<br />

degno di comparire fra i pochi veramente significativi<br />

dell’Ottocento pittorico italiano 66 .<br />

Carlo Fornara (Prestinone 1871 — ivi 1968) allievo del<br />

Cavalli conobbe e vide <strong>il</strong> mondo dell’arte attraverso gli<br />

occhi del maestro, sempre puntati sul colore, dai pittori<br />

veneziani del Rinascimento agli impressionisti francesi,<br />

da Monticelli a Monet a Cézanne, ma fu con la rivelazione<br />

della pittura di Fontanesi che capì come <strong>il</strong> colore<br />

poteva diventare materia luminosa e, infatti, nel-<br />

226<br />

la sua pittura divenne luce, quella luce scint<strong>il</strong>lante che<br />

dalla tavolozza trascorse alle tele per fissare <strong>il</strong> poema pittorico<br />

dedicato dal Fornara, durante la lunga vita, alla<br />

sua valle: la valle dei Pittori 67 . Segna <strong>il</strong> passaggio dall’ultimo<br />

quarto dell’Ottocento al Novecento <strong>il</strong> costume di<br />

introdurre nell’arredo urbano dei centri abitati ossolani<br />

opere scultoree d’intento o dimensioni monumentali,<br />

collocate o erette in luoghi pubblici, per commemorare<br />

eventi o personaggi di spicco accaduti o vissuti per<br />

la maggior parte nel corso dei decenni a cavallo tra Ottocento<br />

e Novecento. Tali attestazioni celebrative volute<br />

dalle Comunità ossolane, ebbero significativo incremento<br />

negli anni successivi all’unità del Regno d’<strong>It</strong>alia<br />

e alla conclusione della prima guerra mondiale, affidate<br />

per lo più a scultori locali, o originari dell’Ossola.<br />

Le ricerche pubblicate, o quelle in atto 68 , prossime alla<br />

stampa, sapranno offrire al lettore ben più dell’elenco<br />

seguente, necessariamente scarno, qui incluso con l’intento<br />

di ricordare gli scultori, mediatori, in pietra, marmo<br />

o bronzo, della comune gratitudine o ammirazione.<br />

Primo nel tempo Luigi Guglielmi (Roma, 1836- ivi<br />

1907) oriundo di Crodo, frequentò i corsi tenuti da F<strong>il</strong>ippo<br />

Gnaccarini alla Accademia di San Luca a Roma,<br />

autore del busto che ritrae Gian Giacomo Galletti esposto<br />

nell’Istituto Professionale Galletti; Antonio Lusardi<br />

(Varallo Sesia, 1860- Domodossola, 1927) si formò<br />

alla Accademia Albertina di Torino sotto <strong>il</strong> magistero di<br />

Odoardo Tabacchi e poi, collaborando con Pietro della<br />

Vedova e Giacomo Ginocchi, giunse a quella maturazione<br />

artistica che gli valse la docenza presso la scuola<br />

domese di Intaglio e Plastica, capace altresì di attrarre<br />

una ragguardevole committenza sia pubblica che privata,<br />

indotta dall’apprezzamento del suo lavoro ad assegnargli<br />

numerose commissioni, quali: <strong>il</strong> monumento<br />

commemorativo di Martino Trabucati, <strong>il</strong> Famedio del<br />

Camposanto di Domodossola con <strong>il</strong> monumento funebre<br />

di Gian Giacomo Galletti, <strong>il</strong> bassor<strong>il</strong>ievo commemorativo<br />

del Conte Giacomo Mellerio sul fronte del<br />

Palazzo Mellerio a Domodossola e i pannelli bronzei<br />

della porta maggiore della Madonna della Neve a Domodossola;<br />

Francesco Ricci (Crana, 1877- Santa Maria<br />

Maggiore, 1950) allievo di Odoardo Tabacchi presso<br />

l’Accademia Albertina di Torino, autore del busto di<br />

Giuseppe Garibaldi, del monumento a Gian Giacomo


Galletti e di quello dedicato ai Caduti del Traforo del<br />

Sempione in facciata della Stazione Internazionale, tutti<br />

a Domodossola; Giovanni Battista Tedeschi (Mergozzo,<br />

1883- ?, ?) alunno nelle classi dell’Accademia di Brera<br />

affidate all’insegnamento di Eugenio Pellini e di Giuseppe<br />

Cavenaghi, eseguì i Monumenti ai Caduti della<br />

prima guerra Mondiale per le Comunità di Mergozzo.<br />

Ornavasso e Quarna; Angelo Balzardi (Schieranco<br />

di Antrona, 1892- Torino 1974) dapprima a Domodossola<br />

fu allievo di Antonio Lusardi poi, per completare<br />

gli studi si trasferì a Torino dove, valendosi del magistero<br />

di Leonardo Bistolfi conseguì <strong>il</strong> diploma presso<br />

l’Accademia Albertina, che in seguito lo ebbe come docente,<br />

le Comunità ossolane di Domodossola, Pallanzeno<br />

e San Pietro di Antrona gli commisero l’erezione dei<br />

monumenti ai Caduti della prima Guerra Mondiale 69 ;<br />

Giovanni Oreste Pozzi (Vogogna, 1892- ivi 1980) compì<br />

gli studi alla Accademia di Brera a M<strong>il</strong>ano, seguendo<br />

i corsi tenuti da Enrico Butti, e quindi entrò come aiuto<br />

228<br />

nello studio di Adolfo W<strong>il</strong>dt, testimoniano la sua attività<br />

in Ossola i Monumenti ai Caduti della prima Guerra<br />

Mondiale di Vogogna, Varzo e Premosello Chiovenda,<br />

dove è tuttora esposto presso <strong>il</strong> palazzo municipale <strong>il</strong><br />

busto di Giuseppe Chiovenda 70 ; Eraldo Baldioli (Omegna,<br />

1897- Domodossola 1954) fu allievo nello studio<br />

domese di Antonio Lusardi, a testimonianza della sua<br />

opera rimangono a Domodossola, in facciata della collegiata<br />

dei Santi Gervasio e Protasio, le statue dei titolari,<br />

patroni della città, nonché al Sacro Monte Calvario<br />

la Grotta di Lourdes, con le statue della Beata Vergine<br />

e di Santa Bernadette, e nel convento <strong>il</strong> Monumento<br />

commemorativo di Antonio Rosmini. Se la lettura di<br />

questi cenni storici può essere ut<strong>il</strong>e per avviare la conoscenza<br />

dell’arte in Ossola, per capirla è indispensab<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />

contatto visivo, ma, ancora più, gli incontri con le opere<br />

citate si moltiplicheranno, poiché <strong>il</strong> territorio ossolano<br />

è ben più ricco di fenomeni artistici di quanti possano<br />

contenerne queste poche pagine.<br />

Gerolamo Ferroni, pala dell’Immacolata, olio su tela, firmata e datata: OPUS FERRONI 1704 a Roma. Bannio, San Bartolomeo.


Note<br />

1 Si veda <strong>il</strong> fascicolo monografico di “Oscellana” n.4, 2003, dedicato<br />

alla riproduzione integrale del catalogo pubblicato in occasione<br />

della mostra “Varchignoli, alle origini dell’Ossola di pietra”, allestita<br />

alla “Fabbrica” di V<strong>il</strong>ladossola nell’agosto del 1999 dalle Associazioni<br />

ASTO e V<strong>il</strong>larte corredato da ampia bibliografia.<br />

2 T. Bertamini, San Quirico di Calice in, “Oscellana”, n.2, 1974, pp.<br />

57-62; P. Piana Agostinetti, l’Ossola Pre Romana, in “Oscellana”,<br />

n.4, 1991, pp. 193-263.<br />

3 T. Bertamini, Tempietto Lepontico a Montecrestese, in “Oscellana”,<br />

n.1, 1976, pp. 1-11.<br />

4 B. Beccaria, Montorfano di Mergozzo, Dalla Chiesa Battesimale alla<br />

Pieve (secoli V – XII), in “Storia di Mergozzo Dalle Origini ad Oggi”<br />

a cura del Gruppo Archeologico di Mergozzo, Mergozzo 2003, pp.<br />

115-116.<br />

5 T. Bertamini Storia di V<strong>il</strong>ladossola, Domodossola 1976, pp. 197,<br />

203.<br />

6 Ibidem, pp. 117-189.<br />

7 Si veda <strong>il</strong> catalogo della Mostra, Novara e la sua Terra nei Secoli XI<br />

e XII Storia Documenti Architettura, M<strong>il</strong>ano 1980 tenutasi a Novara<br />

nel Palazzo del Broletto dal 15 maggio al 15 giugno 1980, con ampio<br />

corredo bibliografico.<br />

8 T. Bertamini, Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana” n.2<br />

1998, pp. 67-78.<br />

9 G.F. Bianchetti, Il Maestro del Crocefisso di Seppiana, in “Oscellana”<br />

n.1, 1985, pp. 15-24.<br />

10 G.F. Bianchetti, Affreschi Romanici in Ossola in “Oscellana” n.3,<br />

1982, pp. 131-144.<br />

11 A. Airoldi, Storia di Vogogna, Domodossola 1992, vol.1°.<br />

12 T. Bertamini, Il Pittore della Modonna di Re, in “Re e <strong>il</strong> Santuario<br />

della Madonna del Sangue” Domodossola 1996 pp. 330- 356.<br />

13 G.F. Bianchetti, Una “Madonna del Latte” di Giovanni De Campo,<br />

in “Oscellana” n.4, 1994 pp. 193, 194; Quattrocento Lombardo nel<br />

San Pietro di Dresio, in “Oscellana” n.2, 1996; Il Quattrocento Lombardo<br />

in San Quirico di Calice, in “Oscellana” n.1, 1997, pp. 49-62;<br />

n.2, 1997, pp. 80-92.<br />

14 T. Bertamini, I Pittori Seregnesi (Cristoforo e Nicolao) del’400 in Ossola<br />

in “Oscellana” n.2, 1996, pp. 78-90: G.F. Bianchetti, Il Quattrocento<br />

Lombardo nel San Pietro di Dresio, cit. pp. 95,96.<br />

15 G.F. Bianchetti, Madonne Ossolane Quattrocentesche dalla Pietra<br />

di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1973 pp. 177-182; Il Capolavoro del<br />

Maestro di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1976; pp. 145-158; Le Opere<br />

Civ<strong>il</strong>i del Maestro di Crevola in “Oscellana” n.2, 1977 pp. 113-122.<br />

16 T. Bertamini, Le Cave del marmo di Crevola, in “Oscellana” n.1-2,<br />

1987 pp. 106-107; San Giacomo nella Storia di Vogogna in “Oscellana”<br />

n.1, 1998, pp. 9-18; Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana”<br />

n.2, 1998 pp. 86-89.<br />

17 A. Longo Dorni, E Ronchi, Le Vicende della Comunità parrocchiale<br />

e della sua Chiesa, in “Ornavasso Luoghi e Memorie (1587-<br />

1987)” Ornavasso 1987, pp. 17-31.<br />

18 P. Negri, Magistri ossolani a Spello, in terra d’Umbria, nel secolo<br />

XVI, le vicende della Madonna di Vico detta Tonda, in “Oscellana”<br />

n.4, 2001, pp. 128-189.<br />

19 C. Debiaggi, La chiesa parrocchiale di Crevoladossola e l’Architetto<br />

Ulrich Ruffiner, in “Oscellana” n.1, 1991, pp. 2-10.<br />

20 G.F. Bianchetti, Vetrate dipinte nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />

di Crevoladossola, in “Oscellana” n.1-2, 1987, pp. 135-153; Vetrate<br />

del Cinquecento Svizzero in Ossola, in “Oscellana” n.1, 1990,<br />

pp. 33-58.<br />

21 G.F. Bianchetti, Frammenti di Arte Ossolana Domodossola 1999,<br />

pp. 16-19.<br />

22 B. Canestro Chiovenda, Franciscus de Cagnolis de Novaria Pinxit,<br />

in “Oscellana” n.1, 1974 pp. 41-43.<br />

23 T. Bertamini, La Cappella degli Esorcismi nella Chiesa di<br />

S.Gaudenzio di Baceno, in “Oscellana” n.1, 2004, pp. 3-14.<br />

24 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />

1988, pp. 66 e n.6, pp. 82.<br />

25 B. Canestro Chiovenda, Fermo Stella da Caravaggio in val d’Ossola<br />

in Arte Lombarda 1969, 2°, pp. 94-110.<br />

26 G.F. Bianchetti, Tracce di Bernardino Luini in Ossola, Le Ante di<br />

un Organo scomparso, in “Oscellana” n.1, 1992, pp. 47-58.<br />

27 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />

1988, pp. 65-82; e n.3, 1988, pp. 130-154; idem, Giovanni Battista<br />

da Legnano recentissime, in “Oscellana” n.2, 1994, pp. 75-88.<br />

28 L. Chironi Temporelli, Antonio de Bugnate Pittore del Cinquecento,<br />

in “Novarien” 1988, n.18, pp. 95-124.<br />

29 G.F. Bianchetti, Il Pittore Giacomo di Cardone, in “Oscellana” n.1-<br />

2, 2000, pp. 3-68; idem, Giacomo de Cardone recentissime Anzaschine,<br />

in “Oscellana” n.2, 2004, pp. 26-40.<br />

30 L. Arioli, Ciclo pittorico Cinquecentesco nella Torre di Piedimulera,<br />

in “Illustrazione Ossolana” n.2, 1964, pp. 1-4.<br />

31 A. Guglielmetti, Scultura lignea nella Diocesi di Novara tra ‘400 e<br />

500, Novara, 2000, con ampia bibliografia precedente.<br />

32 G.F. Bianchetti, Il coro ligneo Cinquecentesco dello Scultore Ossolano<br />

Andrea Merzagora nella chiesa della Madonna di Campagna di<br />

Pallanza, in “Oscellana” n.4, 1980, pp. 181-208.<br />

33 T. Bertamini, I Merzagora di Craveggia, in “Illustrazione Ossolana”<br />

n. 1, 1964, pp. 7-12.<br />

34 G.F. Bianchetti, Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine m<strong>il</strong>itare<br />

e ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta della<br />

Masone di Vogogna, in C’era una volta..” Domodossola, 2000,<br />

pp. 51-79.<br />

35 T. Bertamini, Il Sacro Monte Calvario, Domodossola, 2000.<br />

36 T. Bertamini, Il Santuario della Madonna della Neve a Bannio, in<br />

“Oscellana” n.3, 1999, pp. 145-174.<br />

37 T. Bertamini, Storia di Cravegna, Cravegna, 2002, pp. 94-109.<br />

38 T. Bertamini, Maestro Giorgio de Bernardis di Buttogno, in “Illustrazione<br />

Ossolana” n. 1, 1966, pp. 7-18.<br />

39 T. Bertamini, Maestro Giulio Gualio di Antronapiana, in “Illustrazione<br />

Ossolana” n.2, 1964, pp. 5-12; idem, Antronapiana, in<br />

“Oscellana” n.1, 1975, pp. 39-53.<br />

40 T. Bertamini, Pietro Antonio Lanti di Macugnaga intagliatore e<br />

scultore, in “Illustrazione Ossolana” n.3, 1968, pp. 1-7.<br />

41 G.F. Bianchetti, Giovan Pietro Vanni in “Arte lignea e devozione<br />

nel cuore di una Comunità“ schede n. 34-38, pp. 99-111; P. Volorio,<br />

catalogo disegni, in “Arte lignea e devozione nel cuore di una<br />

Comunità“ cit. pp. 115-120.<br />

229


42 G.F. Bianchetti, Una pala di Avanzino Nucci a Baceno, in “Oscellana”<br />

n.3, pp. 129-136; idem, Avanzino Nucci a V<strong>il</strong>ladossola?, in<br />

“Oscellana” n. 4, 1997, pp. 215-229.<br />

43 R.Contini, Paolo Piazza ovvero collusione di periferia Veneta e modulo<br />

ridolfino, in “Paolo Piazza Pittore Cappuccino nell’età della<br />

Controriforma tra conventi e corti d’Europa” a cura di S. Martinelli<br />

e A. Mazza, Verona, 2002, fig. 53,54 pp. 106-110.<br />

44 G. Testori, Tanzio da Varallo, Torino, 1959, Tav. 3, 52, pp. 34-36;<br />

catalogo della mostra “Tanzio da Varallo, realismo fervore e contemplazione<br />

in un pittore del 600”, tenutasi nel palazzo Reale di M<strong>il</strong>ano<br />

dal 13 apr<strong>il</strong>e al 16 luglio 2000, M<strong>il</strong>ano 2000, sch. 6, pp. 80-84, sch.<br />

25, pp. 121-124 di R. Contini.<br />

45 G.F. Bianchetti, La pietà che porta l’ali, in “I compagni di Sant’Antonio<br />

in Roma e Bologna” a cura di E. Ferrari, Crodo 2000,<br />

pp. 140-141.<br />

Devo alla cortesia del Dr. Angelo Mazza dirigente della Soprintendenza<br />

per <strong>il</strong> Patrimonnio Storico Artistico e Demo Etno Antropologico<br />

di Modena e Reggio Em<strong>il</strong>ia le indicazioni circa l’attribuzione<br />

dell’Adorazione dei Magi.<br />

46 B. Canestro Chiovenda, Stephanus Delphinus ab Insula, in “Oscellana”<br />

n. 3, 1986, pp. 178-181; idem, I pittori Rocco e Stefano Delfina<br />

ab Insula e <strong>il</strong> Morazzone, in “Oscellana” n. 1, 1992, pp. 25-29.<br />

47 G.F. Bianchetti Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine M<strong>il</strong>itare<br />

e Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta alla<br />

Masone di Vogogna, cit. pp. 67-72.<br />

48 G.F. Bianchetti, Luigi Reali Pittore Fiorentino in Ossola, in “Oscellana”,<br />

n. 4, 1986, pp. 182-221.<br />

49 T. Bertamini Carlo Mellerio pittore del 600 in “Oscellana” n. 3,<br />

1990, pp. 129-152.<br />

50 B. Canestro Chiovenda, Un pittore Spagnolo in val Vigezzo: Bartolomè<br />

Romàn (Cordova 1596- madrid 1647), in “Oscellana” n. 4,<br />

1976, pp. 207-217.<br />

51 B. Canestro Chiovenda, Un quadro del Fiammingo Godefridus<br />

Maes (1649- 1700) in val Vigezzo, in “Oscellana” n.3, 1981, pp.<br />

146-154.<br />

52 B. Canestro Chiovenda, “Rossettus Pinxit” Antonio Valentino Cavigioni<br />

detto Valentino Rossetti (Vogogna 1653- post 1733), in “Oscellana”<br />

n.2, 1985, pp. 76-91.<br />

53 B. Canestro Chiovenda, Giacomo Antonio Minoli (Pittore) – Gagnone<br />

1657-?, in “Oscellana” n. 1, 980 pp. 27-31.<br />

54 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />

in “Oscellana” n.3, 2003, tav. 5 a p. 130 e p. 136.<br />

230<br />

55 B. Canestro Chiovenda, Petrus de Petris Pictor natus Antigorio, in<br />

“Oscellana” n.2, 1971, pp. 63-69.<br />

56 G.F. Bianchetti, La Pietà che porta l’Ali, cit. pp. 155, 156.<br />

57 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />

cit. pp. 316-142.<br />

58 E. V<strong>il</strong>lani, Contributi per l’opera artistica di Gerolamo Ferroni, in<br />

“Rassegna di Studi e di Notizie” vol. X, 1982, pp. 389-409.<br />

59 T. Bertamini, Confraternita ed Oratorio dell’Annunciazione di Bannio,<br />

in “Oscellana” n.1, 1999, <strong>il</strong>. P. 62, p. 61; idem, Il Santuario della<br />

Madonna Della Neve di Bannio, in “Oscellana” n. 3, 1999, pp.<br />

153-157.<br />

60 T. Bertamini, Giuseppe Mattia Borgnis pittore, in “Oscellana” n.3<br />

– 4, 1983.<br />

61 D. Gnemmi, Borgnis in England, Ornavasso 2001.<br />

62 B. Canestro Chiovenda, La valle dei pittori, in “Invito alla valle<br />

Vigezzo” a cura di P. Norsa, Domodossola 1970, pp. 295-330; D.<br />

Gnemmi, L’arte ossolana dal sec. XVIII al XX (la Pittura), in “Oscellana”<br />

n.3, 1991 pp. 187-191.<br />

63 T. Bertamini, Lorenzo Peretti Pittore (1774-1851), in “Oscellana”<br />

n.4, 1974.<br />

64 D. Gnemmi, La pittura dei Sotta, Malesco 2002.<br />

65 B. Canestro Chiovenda, Uno strano autoritratto giovan<strong>il</strong>e di Carlo<br />

Gaudenzio Lupetti, in “Oscellana” n.3, 1986, pp. 123-127; idem,<br />

Jaques Raymond Bracassat, Rosa Bonheur e Carlo Gaudenzio Lupetti,<br />

in “Oscellana” n.4, 1996, pp. 205-216.<br />

66 G. Cesura, Enrico Cavalli Pittore (Santa Maria Maggiore 1849-<br />

1919), Domodossola, 1993.<br />

67 N. Valsecchi, F. Vercellotti, Carlo Fornara pittore, M<strong>il</strong>ano 1971.<br />

68 Devo alla generosa cortesia dell’amico arch . Paolo Volorio le notizie<br />

biografiche riguardanti gli scultori ossolani qui di seguito nominati,<br />

oggetto delle sue attuali ricerche che verranno quanto prima<br />

pubblicate accrescendo e approfondendo i temi in argomento già<br />

trattati in: A. Volorio, Antonio Lusardi Sculpsit, in “Rivista del Verbano<br />

Cusio Ossola” n.7, 1998, pp. 55-57; idem, Tributo d’artista [Antonio<br />

Lusardi per Federico Ashton], in, copertine di M.me Webb, Domodossola<br />

2000; idem, Il senso fisico della bellezza (Oreste Pozzi Scultore)<br />

in “Rivista del Verbano Cusio Ossola” n.2, 2000, pp. 60-61.<br />

69 A. Dragone, Angelo Balzardi scultore, in “Oscellana” n.1, 1974,<br />

pp. 3-5; A. Arcardini, Angelo Balzardi nel ricordo di un vecchio amico,<br />

in “Oscellana” n.1, 1974, pp. 6-9.<br />

70 C. Morganti, Giovanni Oreste Pozzi un grande artista ossolano dimenticato,<br />

in “Oscellana” n.3, 1995, pp. 130-139.


I letterati ossolani<br />

Enrico Margaroli<br />

II più antico documento ossolano redatto in «volgare»<br />

che ci sia pervenuto è rappresentato dagli statuti della<br />

confraternita di Santa Marta, la quale si costituì e si diede<br />

le proprie regole nel 1459.<br />

Naturalmente tale documento, studiato e pubblicato da<br />

Gianfranco Contini nel 1963, riveste qualche importanza<br />

per la storia locale, mentre <strong>il</strong> suo interesse è pressoché<br />

nullo non solo sotto l’aspetto letterario, ma anche<br />

linguistico, essendo composto in un volgare comune a<br />

tutta l’area lombarda occidentale. Afferma Contini: ... i<br />

dialetti dell’Ossola appaiono un complesso lombardo-alpino<br />

su un fondale di isoglosse piemontesi; e la situazione degli<br />

statuti riesce simbolica di quella della regione.<br />

Per trovare un’opera scritta esplicitamente per la posterità<br />

e con la volontà dichiarata di porvi dell’ingegnoso,<br />

occorre giungere al secolo XVII, nel quale visse <strong>il</strong> capostipite<br />

degli scrittori ossolani, Giovanni Capis (1582-<br />

1632). Questo scrittore nacque da nob<strong>il</strong>e e ricca famiglia<br />

originaria di Mozzio e compì gli studi a Novara,<br />

M<strong>il</strong>ano e Pavia, dove si laureò in giurisprudenza nel<br />

1605.<br />

Alla morte del padre, nel 1608, tornò a Domodossola<br />

e assunse l’incarico di Procuratore della Comunità.<br />

Divenne così un benemerito cittadino che seppe dimostrare<br />

<strong>il</strong> proprio amore per la piccola patria in due<br />

modi. Innanzi tutto impegnandosi con onestà e competenza<br />

nella difesa dei priv<strong>il</strong>egi e delle libertà dell’Ossola<br />

Superiore (Domodossola, Val Divedro, Bognanco<br />

e Antrona) contro le pretese degli Spagnoli che governavano<br />

nel Ducato di M<strong>il</strong>ano, offrendosi anche, come<br />

dice un documento del 1609, di soccorrerla dei suoi propri<br />

denari.<br />

Memorab<strong>il</strong>e è al riguardo la magistrale e coraggiosa difesa<br />

che scrisse nel 1620 per dimostrare l’<strong>il</strong>legittimità<br />

dell’infeudamento dell’Ossola che gli Spagnoli voleva-<br />

no cedere per la modesta somma di diecim<strong>il</strong>a scudi.<br />

Ma l’affetto per la piccola patria trabocca soprattutto<br />

dalla sua opera storica, intitolata Memorie della Corte<br />

di Mattarella o sia del Borgo di Domo d’Ossola e sua<br />

giurisdizione, conclusa nel 1631 e pubblicata dal figlio<br />

nel 1673.<br />

In quest’opera che gli meritò <strong>il</strong> nome di padre della patria<br />

e per la quale gli Ossolani debbono serbargli grande<br />

riconoscenza, <strong>il</strong> Capis ci trasmette tutte quelle notizie<br />

che ai suoi tempi gli fu possib<strong>il</strong>e raccogliere.<br />

Particolarmente interessanti sono le pagine dedicate alla<br />

peste del 1630 (quella stessa descritta dal Manzoni nei<br />

Promessi Sposi), durante la quale <strong>il</strong> Capis fu Commissario<br />

di Sanità. Altre pagine interessanti sono quelle dedicate<br />

alla battaglia di Crevola del 1487 contro gli svizzeri;<br />

ma forse non è giusto fare una scelta, poiché ogni pagina<br />

del Capis è piena di interesse per gli Ossolani, e la<br />

sua piccola storia, scritta in uno st<strong>il</strong>e spontaneo e semplice,<br />

ma non trasandato, parlandoci delle fatiche e delle<br />

sofferenze degli abitanti delle nostre valli, ci aiuta meglio<br />

a comprendere la storia «grande».<br />

Curiosa è un’altra opera del Capis, scritta negli anni<br />

della prima giovinezza, <strong>il</strong> Varon M<strong>il</strong>anes — De la lingua<br />

de M<strong>il</strong>an, in cui studia l’etimologia di circa centocinquanta<br />

parole del dialetto m<strong>il</strong>anese, delle quali vuole<br />

dimostrare la derivazione dal latino e dal greco. Al<br />

Capis spetta così anche <strong>il</strong> merito, non trascurab<strong>il</strong>e, di<br />

essere stato uno dei primi studiosi del dialetto, anche se<br />

la materia è da lui affrontata in modo del tutto estemporaneo<br />

e con un certo spirito goliardico.<br />

Per trovare un secondo scrittore ossolano di r<strong>il</strong>ievo occorre<br />

fare un balzo di duecento anni e trasferirsi nel secolo<br />

XIX, <strong>il</strong> secolo che vide dovunque una straordinaria<br />

fioritura di scrittori di storia locale.<br />

Il primo in ordine cronologico di questi scrittori fu<br />

231


Francesco Scaciga della S<strong>il</strong>va (1810-1874), <strong>il</strong> quale esercitò<br />

la professione di avvocato in Domodossola. Nel<br />

corso della sua esistenza ricoperse le cariche di Vice-<br />

Giudice del Mandamento e di Regio Provveditore agli<br />

studi per la Provincia dell’Ossola. Intensa fu la sua attività<br />

di giornalista. Fondò Il Moderato nel 1851; L’Agogna<br />

nel 1854 e La voce del Lago Maggiore nel 1866.<br />

Il lavoro per cui gli Ossolani lo ricordano è la Storia di<br />

Val d’Ossola, pubblicata nel 1842. La validità dell’opera<br />

è purtroppo limitata, sotto l’aspetto scientifico, dalla<br />

mancata citazione delle fonti; ma rammarica ancor di<br />

più <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> <strong>libro</strong> non sia stato corredato dalla riproduzione<br />

dei documenti originali che lo Scaciga consultò<br />

in gran numero e che sono con <strong>il</strong> passare del tempo<br />

andati perduti.<br />

Di questo scrittore merita di essere ricordato un altro<br />

lavoro dal titolo Vite di Ossolani Illustri. Con un quadro<br />

storico delle eresie (Domodossola, 1847), nel quale<br />

vi sono, tra le altre, le biografie dei due Paolo Della<br />

S<strong>il</strong>va di Crevoladossola; di Innocenzo IX, oriundo di<br />

Cravegna; del pittore Giuseppe Borgnis di Craveggia;<br />

di Feminis Giovanni Paolo di Santa Maria Maggiore,<br />

inventore dell’acqua di Colonia; del Conte Giacomo<br />

Mellerio di Domodossola; del medico Giovanni Palletta<br />

di Montecrestese.<br />

Lo Scaciga ebbe anche qualche pretesa letteraria e fu autore<br />

di tre Almanacchi (Il Pescatore d’Andromia, 1846-<br />

1847-1848) nei quali incluse novelle e racconti storici.<br />

Piuttosto vasta fu la sua cultura e amò indulgere al piacere<br />

dell’erudizione e del riferimemo dotto. Il suo st<strong>il</strong>e<br />

è concettoso ed elegante.<br />

Seconda gloria ossolana del secolo XIX è <strong>il</strong> vigezzino<br />

Carlo Cavalli (1799-1860), <strong>il</strong> quale secondo quanto<br />

scrisse egli stesso nel frontespizio della sua opera, fu<br />

dottore in F<strong>il</strong>osofia, Medicina e Chirurgia, Membro corrispondente<br />

della Società Medico-Chirurgica di Torino e<br />

della Giunta Provinciale di Statistica - Sindaco da ventanni<br />

di Santa Maria Maggiore.<br />

Nel 1845, a coronamento di un intenso lavoro di ricerca,<br />

<strong>il</strong> Cavalli pubblicò i Cenni Statistico-Storici della<br />

Valle Vigezzo, con i quali, spinto da una forza irresistib<strong>il</strong>e,<br />

volle testimoniare <strong>il</strong> proprio amore alla terra che lo aveva<br />

visto nascere, raccogliendo ed ordinando, con sufficiente<br />

spirito critico, tutto quanto era possib<strong>il</strong>e cono-<br />

232<br />

scere sulla Valle Vigezzo; servendosi in particolar modo<br />

per tale lavoro dei sette grossi volumi che contenevano<br />

le deliberazioni del Consiglio Generale della Valle e gli<br />

avvenimenti più importanti dal 1550 al 1818.<br />

Un difetto molto evidente (se lo vogliamo chiamare<br />

così) del suo st<strong>il</strong>e, ma che tuttavia non intacca l’obiettività<br />

storica, è costituito dallo spirito campan<strong>il</strong>istico e<br />

dal patetismo, che furono una caratteristica comune a<br />

quasi tutti gli scrittori di storia locale del secolo XIX.<br />

Un grandissimo suo merito consiste nell’aver dedicato<br />

l’ultimo dei tre volumi ad una ricca s<strong>il</strong>loge di documenti<br />

originali, i quali possono così essere fac<strong>il</strong>mente<br />

consultati dagli studiosi.<br />

Una terza ragguardevole personalità di scrittore e di<br />

studioso ossolano del secolo XIX fu Enrico Bianchetti<br />

(1834-1894), appartenente ad una facoltosa famiglia<br />

che si era trasferita dal Cusio nell’Ossola durante <strong>il</strong> secolo<br />

XVIII. Frequentò la facoltà di legge all’Università<br />

di Torino, senza conseguire la laurea. Ricoperse alcune<br />

cariche pubbliche, fra le quali quella di Consigliere provinciale<br />

per <strong>il</strong> mandamento di Ornavasso.<br />

Nutrì vasti interessi, ma soprattutto studiò e approfondì<br />

gli aspetti della storia ossolana. A lui si deve pure lo<br />

scavo nel territorio di Ornavasso di numerose tombe<br />

gallo-romane, che catalogò e descrisse in un’opera che<br />

uscì postuma I sepolcreti di Ornavasso.<br />

Il Bianchetti pubblicò nel 1878 la sua opera più importante,<br />

L’Ossola Inferiore - Notizie Storiche e Documenti,<br />

in due volumi, <strong>il</strong> secondo dedicato alla raccolta dei documenti<br />

originali. In questo lavoro egli ci narra con uno<br />

st<strong>il</strong>e limpido ed elegante le vicende che nel corso dei secoli<br />

interessarono l’Ossola Inferiore, ossia i territori a<br />

sud di Piedimulera, con la Valle Anzasca e quelle che<br />

erano chiamate la «quattro terre», cioè Cardezza, Beura,<br />

Trontano e Masera.<br />

Il Bianchetti rispetto agli scrittori precedenti rivela una<br />

più acuta mentalità di storico e possiede un maggior<br />

senso critico: è <strong>il</strong> primo ad avanzare sospetti sull’autenticità<br />

di antichi documenti, è <strong>il</strong> primo che introduce <strong>il</strong><br />

confronto fra le fonti e che applica con rigore <strong>il</strong> metodo<br />

deduttivo. Probab<strong>il</strong>mente alla formazione di questa<br />

più matura coscienza storiografica giovò l’amicizia con<br />

<strong>il</strong> dottissimo padre rosminiano Vincenzo De-Vit, da lui<br />

definito «carissimo e venerato».


Enrico Bianchetti (1834 - 1894).<br />

Vincenzo De-Vit, dopo aver insegnato nel seminario di<br />

Rovigo, entrò nel 1849 nell’Istituto della Carità fondato<br />

da Antonio Rosmini, e del grande f<strong>il</strong>osofo roveretano<br />

fu assistente agli studi a Stresa, dove soggiornò dal<br />

1850 al 1860. Passò trent’anni della sua vita a Roma,<br />

conservando l’abitudine di trascorrere le vacanze estive<br />

a Stresa e a Domodossola.<br />

Si dedicò per ben trentacinque anni al rifacimento del<br />

Totius Latinitatis Lexicon del Forcellini e alla comp<strong>il</strong>azione<br />

dei quattro volumi di Onomastica, acquistando<br />

con questi lavori fama internazionale e diventando uno<br />

dei più grandi lessicografi del XIX secolo.<br />

Sterminata fu pertanto la sua erudizione lessicografica,<br />

epigrafica e storica.<br />

Gli Ossolani lo ricordano per un’opera molto impegnata,<br />

La provincia romana dell’Ossola, ossia delle Alpi<br />

Atrezziane, pubblicata nel 1892 a Firenze, con la qua-<br />

le <strong>il</strong> De-Vit propose l’esistenza di una provincia romana<br />

della quale nessun storico antico ha mai fatto menzione.<br />

Questo s<strong>il</strong>enzio lo costrinse ad applicare in larga<br />

misura <strong>il</strong> metodo deduttivo, a spaziare ampiamente nel<br />

campo della epigrafia e della storiografìa, fino a polemizzare<br />

con <strong>il</strong> sommo Teodoro Mommsen. Il De-Vit afferma<br />

di essere riuscito a trarre luce dove si credeva che non<br />

potesse venire che tenebra, ed è questa una stupenda definizione<br />

del vero storico. Infatti con <strong>il</strong> De-Vit la storia<br />

locale ossolana per la prima volta non è più esposizione,<br />

qualche volta acritica, dei fatti, ma tesi, ricerca e dimostrazione,<br />

perseguita con proprietà di linguaggio e rigore<br />

di argomentazione.<br />

Altri scrittori del secolo XIX furono legati in vario modo<br />

all’Ossola. Pietro Prada (1838-1890) uno dei rettori del<br />

Collegio Rosmini è autore, fra l’altro, di una monografia<br />

su Domodossola e <strong>il</strong> Monte Calvario che fu premiata<br />

all’Esposizione di Torino.<br />

Francesco Pinauda (1864-1934), rosminiano, scrisse<br />

molti articoli, fra cui Le piaghe dell’Ossola e Notizie sulle<br />

traslazioni dei corpi dei SS. Martiri venerati nell’Ossola,<br />

nonché i Cenni sulle miniere, cave e acque minerali<br />

della regione ossolana, ma è ricordato soprattutto per<br />

i suoi almanacchi storico-<strong>il</strong>lustrati che ha redatto dal<br />

1914 al 1926.<br />

Guido Bustico, nato a Pavia nel 1876, studioso assai<br />

versat<strong>il</strong>e, pubblicò numerosissimi saggi di storia, di letteratura<br />

e di pedagogia. Insegnò nelle scuole professionali<br />

di Domodossola. Nel 1909 fu nominato direttore<br />

della Biblioteca e del Museo Galletti. Fondò la rivista<br />

Illustrazione Ossolana sulla quale pubblicò molti lavori<br />

che interessano la nostra Valle.<br />

Venanzio Barbetta (1869-1910) si laureò in lettere presso<br />

l’Università di Torino. Fu autore di varie opere teatrali<br />

e di alcuni romanzi (Giovani, Mulini al vento), permeati<br />

da un profondo ed irrequieto pessimismo. Una<br />

lapide lo ricorda sulla casa natale di Baceno. Giuseppe<br />

Chiovenda (1872-1937) giurista di fama mondiale,<br />

ebbe una giovan<strong>il</strong>e inclinazione per la poesia, tanto da<br />

meritarsi l’inclusione in una raccolta di poeti minori<br />

dell’Ottocento. Pubblicò nel 1891 un volumetto di<br />

Poesie f<strong>il</strong>trate attraverso lo st<strong>il</strong>e e la sensib<strong>il</strong>ità carducciana,<br />

e nel 1894 un secondo dal titolo Agave. In molte<br />

delle sue poesie rievoca momenti di amore con un lin-<br />

233


guaggio limpido e semplice.<br />

Gabriele Lossetti Mandelli d’Inveruno (1821-1886)<br />

scrisse una Cronaca del Borgo di Vogogna dall’anno 1751<br />

al 1885 molto ricca di notizie, che fu pubblicata solo<br />

nel 1926.<br />

Passando dal secolo XIX al XX non si interruppe la feconda<br />

tradizione degli scrittori ossolani. Il primo che ci<br />

viene incontro è l’avvocato Nino Bazzetta (1880-1951),<br />

<strong>il</strong> quale pubblicò nel 1911 la Storia di Domodossola e<br />

dell’Ossola Superiore dai primi tempi all’apertura del traforo<br />

del Sempione.<br />

Questo lavoro non si può propriamente chiamare opera<br />

storica, se intendiamo per storia l’interpretazione dinamica<br />

e collegata dei fatti, o anche solo la descrizione<br />

cronologica degli eventi; <strong>il</strong> lavoro è infatti spezzettato<br />

in numerosi capitoletti che trattano diversi argomenti:<br />

i primi abitanti dell’Ossola, <strong>il</strong> cristianesimo nell’Ossola,<br />

l’antico Comune di Domodossola, <strong>il</strong> torrente Bogna, la<br />

peste a Domodossola, <strong>il</strong> Monte Calvario, e così via; <strong>il</strong> <strong>libro</strong><br />

si presenta dunque come una sorta di repertorio di<br />

notizie storiche e di curiosità.<br />

La narrazione è lucida, pacata e di carattere chiaramente<br />

divulgativo, tale da costituire una lettura d<strong>il</strong>ettosa e<br />

da essere consigliata a chi si vuole avvicinare senza soverchia<br />

fatica alla storia dell’Ossola.<br />

Un secondo scrittore di storia locale di r<strong>il</strong>ievo nel nostro<br />

secolo è Giovanni De Maurizi (1875-1939). Nato<br />

da famiglia povera, <strong>il</strong> De Maurizi divise la prima giovinezza<br />

tra l’aspro lavoro dell’alpe e la ricerca instancab<strong>il</strong>e,<br />

di paese in paese, di notizie riguardanti la storia e <strong>il</strong><br />

folklore della Valle Vigezzo. Nel 1908 fu ordinato sacerdote<br />

ed inviato coadiutore a Santa Maria Maggiore.<br />

Unì all’attività sacerdotale la sua innata passione di storico<br />

e di ricercatore. Pubblicò nel 1911 la prima monografia<br />

<strong>il</strong>lustrata, La Valle Vigezzo, della quale uscì nel<br />

1934 la terza edizione presso Rizzoli, M<strong>il</strong>ano. A questa<br />

seguirono studi sulle valli Antigorio e Formazza,<br />

sui De Rodis-Baceno, su numerosi comuni vigezzini<br />

(Buttogno, Crana e Santa Maggiore, Craveggia), studi<br />

che l’autore definiva modestamente briciole o noterelle.<br />

La sua opera più conosciuta si intitola L’Ossola e le sue<br />

valli ed è una guida turistica, storica ed artistica scritta<br />

per incarico della Società Escursionisti Ossolani e pubblicata<br />

nel 1931. Questo testo, giunto alla terza edizio-<br />

234<br />

ne con gli opportuni aggiornamenti nel 1977, è ancora<br />

fondamentale per chi voglia farsi una conoscenza d’assieme<br />

dell’Ossola.<br />

Altri scrittori del XX secolo meritano di essere ricordati.<br />

Don Giuseppe Salina (Vittorio D’Avino, 1877-1949),<br />

per molti anni parroco a Cimamulera, diede alla stampe<br />

numerose pubblicazioni che nel 1994 sono state raccolte<br />

in un unico volume. Nelle sue poesie <strong>il</strong> D’Avino<br />

esprime <strong>il</strong> proprio amore per l’ Ossola bella, di cui sa cogliere<br />

in modo efficace gli aspetti più pittoreschi, sia che<br />

si tratti dei tumultuanti gorghi dei torrenti o delle nevi<br />

pure delle vette. Vittorio D’Avino si dedicò con passione<br />

anche alla poesia in dialetto, soprattutto nel dvarûn<br />

di Varzo.<br />

Accanto a don Salina merita di essere ricordato <strong>il</strong> canonico<br />

Luigi Rossi (1885-1956), prevosto di Castiglione<br />

d’Ossola dal 1910 al 1930. Insieme con Vittorio<br />

D’Avino firmò una nuova edizione di Ossola bella<br />

(1913), non più di sole poesie; nel 1928 pubblicò la<br />

guida Valle Anzasca e Monte Rosa. Questa guida forse<br />

per la prima volta reca notizie interessanti sugli archivi<br />

parrocchiali e comunali e per la prima volta si occupa<br />

dei documenti manoscritti, conservati nei piccoli<br />

centri.<br />

Adolfo Sebastiano Ferraris (Adolfo da Pontemaglio,<br />

1901-1954) si dedicò con grande tenacia alla comp<strong>il</strong>azione<br />

di una ponderosa Bibliografia Ossolana che raccoglieva<br />

ben 3760 titoli e che fu pubblicata dal 1938<br />

al 1952 sul Bollettino Storico per la provincia di Novara.<br />

Ma questo suo importante lavoro è stato ingiustamente<br />

dimenticato; infatti <strong>il</strong> Ferraris è più noto per aver pubblicato<br />

nel 1927 un volumetto di Novelle e leggende ossolane,<br />

che aveva appreso, come dice egli stesso, da ragazzo<br />

nelle incantevoli serate di settembre, mentre si stigliava<br />

la canapa giù in cort<strong>il</strong>e, o durante le lunghe veglie invernali<br />

fra <strong>il</strong> rumorio dei f<strong>il</strong>atoi.<br />

La voluta semplicità dello st<strong>il</strong>e ci conserva in qualche<br />

modo <strong>il</strong> sapore e la spontaneità dei poveri e incolti novellatori<br />

ossolani.<br />

Luigi Pellanda (1885-1961), Arciprete di Domodossola,<br />

fu uno dei primi cronisti delle tragiche vicende che insanguinarono<br />

l’Ossola durante la seconda guerra mondiale,<br />

vicende alle quali assistette non passivamente,<br />

m<strong>il</strong>itando, in conformità alla missione sacerdotale, dal-


Giovanni Leoni, Torototela (1846 - 1920).<br />

la parte dell’Uomo, della fraternità e della vita. Nel settembre<br />

del 1944 fu mediatore e garante dell’accordo fra<br />

partigiani e nazifascisti per lo sgombero di Domodossola.<br />

Di questi avvenimenti ci ha lasciato la propria testimonianza<br />

ne L’Ossola nella tempesta.<br />

Ida Braggio Del Longo (1879-1965), benemerita cittadina,<br />

si occupò durante la sua vita di attività benefiche<br />

e di pubblicistica, con numerosi articoli sulla stampa locale.<br />

È autrice di un volumetto, Piccolo mondo ossolano,<br />

che ci permette di conoscere personaggi, costumi e vicende<br />

della Domodossola della prima metà del secolo.<br />

Luciano Gennari (1892-1979), figlio di emigrati vigezzini,<br />

conobbe ugualmente bene la letteratura italiana<br />

e francese, cosa che gli permise di stringere amicizia<br />

con letterati di spicco di entrambe le nazioni. In<br />

Valle Vigezzo fu consigliere comunale e presidente di<br />

varie società. La sua produzione b<strong>il</strong>ingue annovera sag-<br />

gi, drammi e romanzi, fra i quali ultimi quello che ci interessa<br />

come Ossolani è Il romanzo di una valle, nel quale<br />

mette in evidenza la magnificenza e la pace della terra<br />

degli avi.<br />

Ma la personalità più geniale che l’Ossola abbia espresso<br />

è sicuramente quella di Giovanni Leoni (Torototela,<br />

1846-1920). Questo poeta nacque dal pittore mozziese<br />

Giuseppe e da Lucia Giacomina Burla. Frequentò <strong>il</strong><br />

Collegio Rosmini dal 1857 al 1863, già allora rivelando<br />

una natura ricca ed estroversa, ma a causa della povertà<br />

fu costretto, come molti altri Ossolani, ad emigrare nell’America<br />

Latina, dove esercitò varie attività commerciali.<br />

Nel 1886 prese una decisione ammirevole e rara:<br />

rinunciò, appena quarantenne, ai lauti guadagni e ritornò<br />

nella natia Ossola per godersi la libertà, le amicizie e<br />

le montagne, né scìor né gnanca povar, fino alla morte.<br />

Fu presidente della Sezione Ossolana del CAI; e promotore<br />

della «Pro Devero»; progettò e curò la costruzione<br />

dell’attuale rifugio sul Monte Cistella.<br />

La fama del Leoni è legata al volume di Rime Ossolane<br />

(Belluno, 1929), una raccolta di satire dialettali, nelle<br />

quali, armato di buon senso e seguendo da lontano<br />

le orme del poeta m<strong>il</strong>anese Carlo Porta, sottopone alla<br />

sua critica divertente e mordace tutti coloro che vengono<br />

meno al loro dovere, siano essi sacerdoti o uomini<br />

politici.<br />

Tipico esempio di borghese del tempo, amante dell’ordine,<br />

del lavoro e del risparmio, non seppe comprendere<br />

abbastanza le esigenze e i diritti dei ceti meno fortunati<br />

e la loro lotta per una esistenza migliore; bisogna<br />

però riconoscere che più che le forze di sinistra in quanto<br />

tali, egli avversò gli atteggiamenti demagogici, non<br />

negando al proletariato <strong>il</strong> diritto di essere rappresentato<br />

in Parlamento:<br />

S’agh fassum dent na bona sedazaa<br />

ad quij cinq cent e vott... ugh an sares apena<br />

tra ross e negar giust una trentena.<br />

I suoi versi sono importantissimi sia da un punto di vista<br />

storico-sociale, perché ci offrono un vivissimo spaccato<br />

della vita ossolana del tempo; sia da un punto di<br />

vista linguistico, poiché tramandano nel tempo <strong>il</strong> dialetto<br />

ossolano della fine del secolo; e infine da un punto<br />

di vista artistico, poiché nei componimenti risplende<br />

la capacità del Leoni nel riprodurre realisticamente la<br />

235


psicologia e gli ambienti della gente ossolana, e nell’infondere<br />

nei personaggi <strong>il</strong> soffio della vita e della poesia.<br />

Restando fra i poeti merita una menzione Pietro<br />

Pianav<strong>il</strong>la (1897-1979), autore di Businà d’Antrona, in<br />

cui la originale poesia ha <strong>il</strong> sapore di una scoperta personale<br />

ed autentica, lontana dalle influenze letterarie.<br />

Il suo sguardo non si spinge oltre <strong>il</strong> microcosmo antronese<br />

del quale coglie gli aspetti con acutezza ed umorismo,<br />

in un dialetto che conserva integralmente la sua<br />

diffic<strong>il</strong>e purezza.<br />

Francesco Savio (1917-1986), è autore di Il vento delle<br />

sette valli, che ha <strong>il</strong> sapore di un addio pacato e sereno<br />

alla vita dopo le innumerevoli sofferenze. Nel <strong>libro</strong><br />

si alternano a delicati versi di amore e ad altri dedicati<br />

ad un’Ossola ancora favolosa, prose con descrizioni<br />

di v<strong>il</strong>laggi e di persone legate all’esperienza dell’autore<br />

e che ci fanno sentire Il gusto amaro e buono del nostro<br />

vivere.<br />

Francesco Zoppis (1919-1992), è autore di Ossola nostra<br />

e de I racconti della Rocca. In questi lavori le notizie<br />

storiche risultano d<strong>il</strong>uite nell’invenzione romanzesca,<br />

poiché lo scrittore indulge al gusto del raccontare<br />

e di conseguenza l’amore per la bella pagina e la «libertà<br />

di creare» rendono interessanti per <strong>il</strong> lettore ossolano<br />

in quanto tale i suoi racconti di discreta fattura<br />

letteraria. Allo Zoppis va anche <strong>il</strong> merito di aver curato<br />

nel 1977 l’aggiornamento de L’Ossola e le sue valli<br />

del De Maurizi.<br />

Erminio Ragozza (1918-1984), pubblicò nel 1969<br />

Aria di casa nostra, un lavoro riguardante Premosello<br />

Chiovenda. L’autore vi dispiega un autentico gusto del<br />

raccontare, presentando, accanto agli avvenimenti «importanti»,<br />

piccoli fatti, notizie curiose, che di solito lo<br />

studioso accigliato disdegna, frammischiate a commenti<br />

spiritosi, f<strong>il</strong>astrocche e divertite riproduzioni del parlato<br />

locale, in capitoletti dal titolo spesso stimolante,<br />

con un equ<strong>il</strong>ibrio fra <strong>il</strong> serio e <strong>il</strong> faceto capace sia di interessare<br />

che di divertire.<br />

Don Angelo Airoldi (1923-1993), è autore di una<br />

Storia di Vogogna in due volumi, <strong>il</strong> primo concernente<br />

le vicende politiche e sociali, <strong>il</strong> secondo quelle religiose<br />

dell’antico borgo, un tempo capitale dell’Ossola<br />

Inferiore. Anche se la materia non ha ricevuto una perfetta<br />

elaborazione critica e st<strong>il</strong>istica, non è a questo che<br />

236<br />

Gianfranco Contini (1912 - 1990).<br />

dobbiamo guardare, bensì alla completezza delle informazioni<br />

e soprattutto all’intenso spirito di servizio nei<br />

confronti della Comunità che ha spinto l’autore a compulsare<br />

tutte le opere, dalle più ponderose ai più um<strong>il</strong>i<br />

opuscoli, per trarne con cura meticolosa tutte le notizie<br />

e tutte le opinioni sui punti controversi.<br />

Renzo Mortarotti (1920-1988), per <strong>il</strong> quale chi scrive<br />

conserva un reverente ricordo di alunno, è uno degli<br />

studiosi di maggior r<strong>il</strong>ievo di questi ultimi anni, autore<br />

di due notevoli opere: L’Ossola nell’età moderna, nella<br />

quale con st<strong>il</strong>e elegante e piacevole fornisce un quadro<br />

esauriente non solo delle vicende storiche, ma anche<br />

dell’ambiente, dell’economia, della cultura e dei costumi<br />

della popolazione, per cui questa opera si raccomanda<br />

come una lettura veramente indispensab<strong>il</strong>e per<br />

coloro che non vogliono che la parola Ossola rimanga<br />

una espressione puramente geografica. La seconda


opera è I Walser nella Val d’OssoIa, in cui la storia di<br />

questa popolazione alpina è presentata con dovizia di<br />

documentazione in uno st<strong>il</strong>e esemplare con pagine di<br />

grande efficacia descrittiva. Ma non si deve dimenticare<br />

GR-Grazia Ricevuta, con la quale Mortarotti, peregrinando<br />

di Santuario in Santuario e di oratorio in oratorio,<br />

propone gli ex voto più significativi, presenti nel<br />

territorio ossolano con un commento puntuale sul piano<br />

interpretativo e artistico.<br />

Sono queste opere la chiara testimonianza di un amore<br />

e di un interesse vasto e non occasionale per l’Ossola,<br />

in linea con la tradizione ormai più che secolare dei<br />

docenti rosminiani. Non possiamo inoltre non ricordare<br />

per <strong>il</strong> lustro che ne deriva all’Ossola Gianfranco<br />

Contini (1912-1990), <strong>il</strong> quale, sebbene sia stato portato<br />

dal suo genio di letterato lontano dagli interessi<br />

per l’Ossola (alla quale fu legato dalla vicende della<br />

Resistenza in qualità di membro della commissione didattica<br />

consultiva per la Zona liberata dell’Ossola), non<br />

dimenticò tuttavia la sua terra natia dando alle stampe,<br />

nei Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei,<br />

Gli statuti volgari Quattrocenteschi dei Disciplinati di<br />

Domodossola, già ricordati, e per compiervi l’ultimo approdo<br />

e restituirsi al suo grembo materno.<br />

Ma tra gli scrittori della seconda metà del XX secolo occupa<br />

un posto di primo piano <strong>il</strong> rosminiano Don Tullio<br />

Bertamini (nato nel 1924). A questo studioso, dotato di<br />

una vasta cultura e di molteplici competenze, dobbiamo<br />

la storia di V<strong>il</strong>ladossola (1976), di Tappia (1985),<br />

Montecrestese (1991), Castiglione (1995), Re (1996),<br />

Cimamulera (2001), Masera e i suoi statuti trecenteschi<br />

(2001), Cravegna (2002), Viganella (2003) e del<br />

Castello di Mattarella (2004). Da ricordare anche gli<br />

innumerevoli studi comparsi sull’Illustrazione Ossolana<br />

ed in seguito su Oscellana, la rivista da lui fondata nel<br />

1971. Degno di attenzione è anche l’Almanacco Storico<br />

che, dal 1984 esce annualmente e nel quale numerosi<br />

studiosi si occupano dei più diversi argomenti.<br />

237


“Walser”: gli uomini dell’alta montagna<br />

Enrico Rizzi<br />

Discendenti degli antichi “alemanni” di Tacito, i “Walser”<br />

sono scesi nel medioevo a ridosso delle Alpi Centrali,<br />

si sono acclimatati alle grandi altitudini nell’Alto<br />

Vallese (da cui derivarono <strong>il</strong> nome di “Walser”), e, tra <strong>il</strong><br />

XIII e <strong>il</strong> XV secolo, hanno dato vita alla più singolare<br />

delle imprese di colonizzazione.<br />

Dall’Alto Vallese piccoli gruppi di coloni si spinsero alla<br />

testata delle valli meridionali alpine, tra valle d’Aosta,<br />

Piemonte e Lombardia, e di qui via via nelle Alpi Retiche,<br />

nel Vorarlberg (Austria), fino al Tirolo. Cercavano<br />

contratti “nuovi”, più vantaggiosi di quanto non consentisse<br />

la tradizione feudale dell’asservimento dei contadini<br />

alla terra, per sfruttare le loro particolarissime ed<br />

ormai perfezionate capacità e tecniche di vita in alta<br />

quota. Grandi e piccoli monasteri alpini, mense vescov<strong>il</strong>i,<br />

capitoli canonicali – non meno che la nob<strong>il</strong>tà feudale<br />

arroccata alle montagne – fecero a gara nell’affidare<br />

ai Walser luoghi ancora largamente spopolati, affinché<br />

li dissodassero e riducessero a coltura.<br />

Con una diaspora durata tre secoli, che si allargò a macchia<br />

d’olio dall’Alta Savoia al Tirolo, i Walser fondarono<br />

i loro piccoli insediamenti sparsi alle falde delle<br />

grandi montagne, dove nascono i fiumi, strappando pascoli<br />

ai ghiacciai, costruendo casolari invernali e baite<br />

estive, ad una quota altimetrica considerata impossib<strong>il</strong>e<br />

dall’uomo di quel tempo, lungo le vie transalpine,<br />

sulle aeree terrazze delle “alte Alpi”, dentro valloni<br />

irraggiungib<strong>il</strong>i dalla pianura attraverso le gole tenebrose<br />

dei torrenti, in “valli divise dal resto del mondo per<br />

rupi tagliate a picco – come le descrive, ammirato, uno<br />

storico grigionese dell’ottocento – che accolgono coloni<br />

ai quali la primavera non offre alcun albero fiorito, né<br />

l’autunno delle spighe, ma le cui capanne sono piene di<br />

fieno prodotto da un’estate di pochi giorni”.<br />

La mappa delle colonie fondate dai Walser segue un an-<br />

damento dinamico tra <strong>il</strong> XII e <strong>il</strong> XV secolo, quando la<br />

loro diaspora può considerarsi storicamente conclusa.<br />

Una prima fase spinge dall’originario Vallese i Walser<br />

nell’Ossola, alla testata della valle della Toce (Formazza)<br />

e delle valli meridionali del Monte Rosa. Le fasi via<br />

via successive li spingono verso la fondazione di nuovi<br />

insediamenti, perpetuando un modello di migrazione<br />

ininterrotto per tre secoli, lungo itinerari che li hanno<br />

condotti a fondare oltre 150 colonie nell’odierno territorio<br />

di 5 stati alpini: Francia, Svizzera, <strong>It</strong>alia, Liechten-<br />

Architettura Walser.<br />

239


stein e Austria. La colonia di Formazza, la cui fondazione<br />

risale alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo, è<br />

stata a sua volta “colonia madre” di gran parte della colonizzazione<br />

orientale (nel territorio, oggi, dei Cantoni<br />

svizzeri del Ticino e dei Grigioni). Nell’alta val d’Ossola,<br />

accanto a Formazza, vanno annoverate le colonie di<br />

Salecchio (Premia) e di Agàro (Baceno). Tutt’attorno al<br />

massiccio del Monte Rosa, <strong>il</strong> popolamento in alta quota<br />

è stato opera dei Walser: da Ayas, Gressoney e Issime<br />

in val d’Aosta ad Alagna in val Sesia (con Riva Valdobbia,<br />

Rima, Carcoforo, Rimella, Campello Monti); e soprattutto<br />

con l’antica colonia di Macugnaga, sul versante<br />

ossolano, la cui fondazione risale alla metà del XIII<br />

secolo. La mappa walser nell’Ossola ricomprende anche<br />

la colonia di Ornavasso, nella Bassa Ossola, fondata<br />

a cavallo del XVIII-XIV secolo, e di Migiandone<br />

(un tempo comune autonomo, oggi frazione di Ornavasso).<br />

Quella dei Walser delle alte montagne, che<br />

vivono da otto secoli al cospetto delle grandi altitudini,<br />

rappresenta la più elevata (altimetricamente) componente<br />

del popolo alpino. Sepolti nell’isolamento del-<br />

Valle Anzasca: <strong>il</strong> museo Walser di Borca.<br />

240<br />

le alte valli, i Walser conservano ancora oggi la loro antica<br />

parlata germanica e tradizioni di vita che affondano<br />

in età remote. Mirab<strong>il</strong>i lo st<strong>il</strong>e di costruzione delle case<br />

in legno a tronchi sovrapposti, la loro fedeltà alle attività<br />

della terra, al diritto consuetudinario, alla lingua degli<br />

avi. La lingua walser appartiene al mondo linguistico<br />

tedesco ed è anzi una delle sue espressioni più arcaiche.<br />

Fa parte della famiglia linguistica “alto alemanna”, corrispondente<br />

all’area germanofona posta grosso modo a<br />

sud del Reno tra Svizzera e Foresta Nera. Apparentato<br />

all’ alemanno alpino e svizzero-tedesco delle montagne, <strong>il</strong><br />

walser ha mantenuto, chiuso tra le montagne, caratteri<br />

del tedesco delle origini e si caratterizza per una forte<br />

sonorità. Ma i Walser sono molto più di quella che può<br />

essere definita una minoranza di lingua tedesca in aree<br />

linguistiche diverse. Minoranza nelle minoranze, quella<br />

dei Walser non è una “enclave”, bensì un complesso<br />

di “enclaves” linguistiche ed etniche sparse in gran parte<br />

dell’arco alpino, che fa della loro antica piccola civ<strong>il</strong>tà<br />

un caso unico: quasi <strong>il</strong> prototipo degli uomini dell’alta<br />

montagna.


L’Ossola e <strong>il</strong> Sempione nei diari di viaggio<br />

Raffaele Fattalini<br />

Dalla sommità del passo del Sempione, la catena alpina<br />

con <strong>il</strong> suo enorme ammasso di cime innevate e rocce a<br />

picco sulle quali svettano la Jungfrau e <strong>il</strong> Finsteraarhorn<br />

delle Alpi Bernesi, offre a chi la contempla una visione<br />

della natura primordiale, tanto che al favolista Hans<br />

Christian Andersen parve addirittura di trovarsi di fronte<br />

la “spina dorsale del mondo”, “cimiteri di mastodonti<br />

e di animali antid<strong>il</strong>uviani” rincarò Théoph<strong>il</strong>e Gautier.<br />

Questo valico, che si apre a duem<strong>il</strong>a metri di altitudine<br />

tra le Alpi Pennine e quelle abitate dagli antichi Leponzi,<br />

era noto anche nell’antichità, benché la strada che vi<br />

saliva sia rimasta per lungo tempo nulla più di un semplice<br />

sentiero, dove potevano passare solo pedoni, muli<br />

e cavalli, e non senza rischio. I Romani, che assoggettarono<br />

l’Ossola pochi anni prima di Cristo, solo due secoli<br />

dopo - come ricorda la lapide di Vogogna - sistemarono<br />

<strong>il</strong> sentiero del Sempione lastricandolo con grandi<br />

pietre, di cui rimane ancora oggi qualche tratto.<br />

I primi “viaggiatori stranieri”, se così si possono chiamare,<br />

che attraversarono <strong>il</strong> Sempione - a parte i cacciatori<br />

che in epoca preistorica si istallarono all’Alpe Veglia<br />

- furono in epoca storica i Cimbri, almeno stando<br />

all’interpretazione che del famoso passo di Plutarco dà<br />

<strong>il</strong> rosminiano De Vit, al cui fianco si schiera - contro<br />

l’opinione del Mommsen - Carlo Carena, grande studioso<br />

dei classici. Leggiamo con Carena Plutarco (Vita<br />

di Caio Mario, 23), dove narra la traversata del Sempione<br />

di quei giganteschi e biondi germanici: “I barbari,<br />

per far mostra del loro vigore, sostenevano nudi le nevicate<br />

e si arrampicavano sulle cime attraverso i ghiacci<br />

e la neve alta; di lassù, ponendo sotto i corpi le ampie<br />

targhe (scudi) si lasciavano andare e scivolavano lungo<br />

i pendii delle rocce lisce, di cui non si vedeva <strong>il</strong> fondo”.<br />

Per poi scontrarsi vicino a Domodossola con i Romani<br />

del console Catulo, sconfiggendoli.<br />

Da escludere invece l’ipotesi suggestiva del passaggio di<br />

Giulio Cesare diretto in Gallia (De Bello Gallico, I, 10),<br />

ipotesi suggerita dall’assonanza dei nomi tra “Òcelum<br />

Lepontiorum” e Ossola dei Leponzi. Come pure quella<br />

dalla visita di San Francesco, nonostante <strong>il</strong> convento di<br />

Domodossola e l’affresco nella chiesa di Varzo.<br />

Nel Medioevo, dopo <strong>il</strong> transito di Papa Gregorio X <strong>il</strong><br />

quale, di ritorno dal Conc<strong>il</strong>io di Lione nell’autunno del<br />

1275, si inerpicò “discriminosis montis Brigiae pontibus<br />

se exponens” (rischiando la vita sui pericolosi ponti<br />

del monte di Briga”, come ha rivelato su Oscellana don<br />

Bertamini), è la volta di Francesco Petrarca. Che <strong>il</strong> poeta<br />

di Laura sia passato per <strong>il</strong> Sempione non è cosa certa,<br />

ma anche Gianfranco Contini non lo escludeva, citando<br />

<strong>il</strong> Borgese. Lo fa supporre <strong>il</strong> sonetto (CCVIII) che <strong>il</strong><br />

poeta dedicò al Rodano, che scorre nell’omonima valle<br />

al di là del passo.<br />

Fu nel Seicento che la strada del passo venne allargata.<br />

A pagare le spese fu <strong>il</strong> Barone Gaspar Stockalper di Briga,<br />

affinché potessero passare con maggiore sicurezza<br />

e fac<strong>il</strong>ità i suoi muli, stracarichi dei prodotti che quell’ab<strong>il</strong>e<br />

e ricchissimo uomo d’affari acquistava e rivendeva<br />

in vari paesi d’Europa. In quegli anni di meta Seicento,<br />

transitò per <strong>il</strong> Sempione e per l’Ossola <strong>il</strong> sacerdote<br />

inglese Richard Lassels, inventore dell’espressione<br />

Grand Tour, <strong>il</strong> quale comprese questo valico tra le cinque<br />

migliori via d’accesso all’<strong>It</strong>alia.<br />

Ma <strong>il</strong> valico del Sempione assurge a fama internazionale<br />

ai primi dell’Ottocento, precisamente nell’anno 1806,<br />

quando fu inaugurata la strada carrozzab<strong>il</strong>e voluta da<br />

Napoleone per motivi strategici. A pagare le spese, stavolta,<br />

furono gli <strong>It</strong>aliani, immortalati nell’epigrafe incisa<br />

nella roccia della galleria vecchia di Gondo. Il valico<br />

divenne da allora uno dei più frequentati delle Alpi,<br />

pred<strong>il</strong>etto dai viaggiatori del “Grand Tour”, che trova-<br />

241


Sempione. Galleria e Ponte di Ganther da un’incisione del Lorry.<br />

vano ospitalità e rifugio nell’Ospizio dei buoni e soccorrevoli<br />

Frati di San Bernardo, “un’oasi di pace circondata<br />

da cattedrali naturali”, secondo la felice espressione<br />

di Louis Tissonnier, giornalista dei nostri anni.<br />

Nel 1828 Stendhal, che vi era passato più volte, raccomandava<br />

senza esitazione questa strada, voluta dal suo<br />

idolo Napoleone, come la migliore tra Parigi e M<strong>il</strong>ano:<br />

“La strada del Sempione non è costeggiata da precipizi<br />

come quella del Moncenisio. Un’eccellente d<strong>il</strong>igenza vi<br />

conduce da Losanna a Domodossola, al di là del Sempione.<br />

Il conducente è persona compitissima; <strong>il</strong> solo<br />

aspetto della faccia tranqu<strong>il</strong>la di questo buon svizzero<br />

allontana ogni idea di pericolo”. E più avanti: “Nulla di<br />

più pittoresco che gli aspetti della vallata di Iselle, che si<br />

segue per giungere fino al ponte di Crevola, dove incomincia<br />

la bella <strong>It</strong>alia”. Lo stesso Stendhal, però, precisa<br />

in altra pagina: “Non bisogna nascondersi, lasciando<br />

Baveno per Domodossola, che <strong>il</strong> viaggio in <strong>It</strong>alia è terminato:<br />

si va verso <strong>il</strong> brutto”. Infelice apprezzamento.<br />

Lunga è la teoria dei viaggiatori <strong>il</strong>lustri che valicarono<br />

<strong>il</strong> Sempione per o dall’<strong>It</strong>alia. Ne hanno raccolto le testimonianze<br />

Marino Ferraris, Edgardo Ferrari, Enrico<br />

242<br />

Rizzi; anche le riviste locali “Oscellana”, “Almanacco<br />

storico ossolano”, “Lo Strona” e “Le Rive”, hanno pubblicato<br />

alcune di queste pagine “odeporiche”; ultima,<br />

ma non per importanza, è l’opera dello studioso ticinese<br />

Piero Bianconi, “Elogio del Lago Maggiore”, sontuoso<br />

volume mecenatizzato dalla Banca d’Intra nel suo<br />

primo centenario (1975).<br />

Ascoltiamo Lord Byron (1816): “Il Sempione è magnifico<br />

come natura e arte, Iddio e gli uomini vi hanno<br />

compiuto miracoli (chiaro riferimento alla strada napoleonica,<br />

ndr), per non dire del Diavolo, <strong>il</strong> quale deve<br />

certamente averci messo mano, o meglio uno zoccolo,<br />

in certe rupi e burroni tra le quali e sopra i quali passa la<br />

strada”. Tutto questo lasciò indifferente <strong>il</strong> giovane Chateaubriand,<br />

ma non John Ruskin, critico d’arte, che al<br />

cospetto delle Alpi Pennine, Bernesi e Lepontine svettanti<br />

intorno al valico si sentì allargare <strong>il</strong> cuore.<br />

Era triste Alfred de Musset quando, di ritorno da Venezia<br />

dove aveva subito <strong>il</strong> cocente tradimento della Sand<br />

con un giovane medico, saliva verso <strong>il</strong> Sempione. Giunto<br />

al ponte della Masone, a Vogogna, si fermò a contemplare<br />

<strong>il</strong> Monte Rosa, maestosa visione che si può


godere solo da quel punto della piana ossolana. Ancora<br />

oggi, naturalmente, chi passa in treno o in auto, lo può<br />

ammirare, rosea visione fugace di pochi istanti.<br />

Il più bel notturno che sia mai stato scritto sul Sempione<br />

lo dobbiamo a Charles Dickens, che vi salì in una<br />

notte di fine novembre del 1844, con la neve alta. Accompagniamo<br />

in d<strong>il</strong>igenza l’autore del David Copperfield<br />

(dove compare pur senza nome un riconoscib<strong>il</strong>issimo<br />

Sempione) lungo le Gole di Gondo: “La stupenda<br />

strada, dopo aver traversato <strong>il</strong> torrente su di un ponte,<br />

penetrò tra due muri massicci di rocce perpendicolari,<br />

i quali ci tolsero interamente la luce della luna e ci lasciarono<br />

solo la vista di alcune stelle, che br<strong>il</strong>lavano nella<br />

stretta striscia di cielo al di sopra di noi”. Una splendida<br />

alba rosa e azzurra accoglie al passo lo scrittore, che<br />

scende verso Briga: “Davanti a noi apparvero, scint<strong>il</strong>lando<br />

come oro e argento, le cupole e le guglie coperte<br />

di metallo e gialle, verdi e rosse di una città svizzera”.<br />

Gustave Flaubert valicò <strong>il</strong> Sempione alla vig<strong>il</strong>a del Corpus<br />

Domini del 1845 (<strong>il</strong> 22 maggio), notando che nei<br />

boschi che coprono i monti lungo la strada “non ci sono<br />

né orsi né lupi”. “Nelle vetture postali - scrisse seduto<br />

a fianco di “Madame Bovary” - sotto azzurre cortine<br />

di seta, si va su, al passo, per strade scoscese, ascoltando<br />

<strong>il</strong> canto del postiglione che si frange contro la montagna,<br />

con lo scampanio delle capre e <strong>il</strong> sordo rumore<br />

della cascata”.<br />

Benché fosse amico sincero di Rosmini, che su questo<br />

Sacro Monte aveva fondato <strong>il</strong> suo Ordine religioso nell’inverno<br />

del 1828, <strong>il</strong> Manzoni non venne mai a Domodossola,<br />

dove <strong>il</strong> suo grande sacerdote f<strong>il</strong>osofo aveva<br />

fondato <strong>il</strong> suo Istituto, e dove pure era nato un altro<br />

suo amico, <strong>il</strong> conte Giacomo Mellerio, Gran Cancelliere<br />

del Lombardo Veneto nei primi anni della Restaurazione<br />

(che Stendhal, per la verità, definì “un ricco bigotto<br />

m<strong>il</strong>anese” e ritrasse nella “Certosa di Parma” nella<br />

figura del vecchio marchese del Dongo). Si può aggiungere<br />

che <strong>il</strong> Manzoni soggiornò a lungo a Lesa, sul Lago<br />

Maggiore, nella v<strong>il</strong>la della sua seconda moglie, impegnandosi<br />

a difenderla dal passaggio della progettata linea<br />

ferroviaria Arona Domodossola, che avrebbe tagliato<br />

<strong>il</strong> parco retrostante.<br />

Un accenno almeno ai celebri disegnatori Lory, autori del<br />

“Voyage pittoresque de Genève a M<strong>il</strong>an par le Simplon”,<br />

e Brockedon, che con le loro raffinate stampe celebrarono<br />

la bellezza di questa valle in molti paesi del nord Europa.<br />

Un’eco internazionale <strong>il</strong> Sempione l’ebbe grazie all’impresa<br />

di Geo Chavez, pioniere dell’aviazione, che nel<br />

settembre 1910 trasvolò le Alpi per la prima volta, nel<br />

tragico volo Briga-Domodossola sopra “forre e gole e<br />

vortici e spavento / di precipizi dei ghiacciai e giganteggiar<br />

d’erte / roccie e improvvisi sib<strong>il</strong>i di vento!”, scrisse<br />

<strong>il</strong> Pascoli nell’inno all’“uomo alato”, che passò tra le<br />

aqu<strong>il</strong>e stupite e sulla testa di curiosi e giornalisti, tra cui<br />

Luigi Barzini del Corriere della Sera.<br />

Grande passo dunque <strong>il</strong> Sempione, attraverso <strong>il</strong> quale<br />

dal nord si scende verso <strong>il</strong> “paese del sole” e da sud<br />

si sale nel cuore dell’Europa. Domodossola deve parte<br />

della sua vitalità a questo passo, alla sua strada aperta<br />

nel 1805 e alla galleria ferroviaria inaugurata un secolo<br />

dopo, nel 1906. Nel poco noto Museo Sempioniano,<br />

custodito grazie alle cure dei Padri Rosminiani nel Collegio<br />

Rosmini di Domodossola, sono conservati cimeli<br />

delle titanica impresa: la perforatrice Brant-Brandau,<br />

Il ponte di Gondo.<br />

243


<strong>il</strong> teodolite, strumento ut<strong>il</strong>e per l’esatta direzione dello<br />

scavo, campioni di rocce e persino i menu del pranzo di<br />

festeggiamento, in cui figura la “pasta alla dinamite”.<br />

Oggi la cadenza secolare delle nuove vie di comunicazione<br />

sta per essere rispettata: è un augurio per <strong>il</strong> potenziamento<br />

dei due tunnel ferroviari attraverso i quali<br />

passerà presto <strong>il</strong> “Pendolino Transalpino”, figlio affrettato<br />

del mitico “Orient Express” e nipote della d<strong>il</strong>igenza.<br />

L’Ossola e i laghi Maggiore e d’Orta attendono i turisti,<br />

oggi come nell’Ottocento: rinnovati gli alberghi e<br />

La posta sulla strada napoleonica d’estate (acquerello di R. Salvadori).<br />

244<br />

le strade, immutata l’antica, elegante bellezza.<br />

“L’<strong>It</strong>alia incomincia a Domodossola”, scrissero, venendo<br />

dal Nord, i fratelli Goncourt, raffinati studiosi e resocontisti<br />

bizzarri. Coi tempi che corrono, viene da domandarsi<br />

dove finisca, l’<strong>It</strong>alia. Cesare Angelini, sacerdote<br />

e letterato, declinando l’invito a venire quassù, dove<br />

peraltro abitava <strong>il</strong> “letterato e amico Gianfranco Contini”<br />

e dove aveva “salutato l’ultima volta <strong>il</strong> poeta Clemente<br />

Rebora”, scrisse di non potere, per l’età, salire a<br />

“Domodossola, cioè dove finisce l’<strong>It</strong>alia”.


Tradizione, folclore e leggende<br />

Germana Fizzotti<br />

Ho cominciato <strong>il</strong>ludendomi di non dover far altro che<br />

pescare nelle numerose pagine di appunti tratti da scrittori<br />

non soltanto ossolani in precedenti laboriose ricerche.<br />

Poi, più volte ho abbandonato scoraggiata le mani sulla<br />

tastiera della macchina per scrivere che, essendo elettrica,<br />

durante <strong>il</strong> lungo lavoro «scottava» davvero, non soltanto<br />

eufemisticamente.<br />

Innumerevoli sono, in questa nostra piccola terra, le<br />

cose curiose, vere e fantastiche, dalle origini a giorni<br />

non molto lontani. Anche limitandosi al tema del titolo,<br />

tacendo le meraviglie naturali e della storia complicatissima,<br />

i dialetti molto interessanti, diversi da una<br />

valle all’altra, da una paese all’altro, oltre a quello inventato<br />

dagli emigrati di Varzo, che all’estero volevano essere<br />

capiti solo dai compaesani, molto resta ancora da<br />

dire. E spero che sarà detto in avvenire.<br />

Domodossola «piccola città» per tradizione<br />

Le più belle leggende e tradizioni si trovano in alto, sulle<br />

montagne e nelle valli; diminuiscono di numero, di<br />

stranezza, di «altezza» man mano che si scende al piano.<br />

Ma cominciamo naturalmente dal capoluogo che anche<br />

se circondato da cime innevate, è soltanto a 272 m.<br />

di altitudine. La nostra Domodossola in tutti i tempi è<br />

stata variamente guardata e descritta. Nei secoli scorsi<br />

un certo N.N. trovava che era una povera, piccola città,<br />

non trattata bene né dalla natura né dagli uomini;<br />

sparirà un giorno dal suol dove nessuna città importante<br />

potrà mettere radice. Appartenuta a tutti, spogliata delle<br />

foreste che la proteggevano, soggetta alle inondazioni,<br />

esposta nuda e debole al primo scontro con le acque,<br />

si nota perché vicino c’è una montagna sacra, oggetto<br />

di pii pellegrinaggi: si dice che alcuni fanno la metà del<br />

cammino sulle ginocchia, forse per guadagnare <strong>il</strong> perdono<br />

di grandi colpe: quelli che hanno solo dei peccatucci fan-<br />

no <strong>il</strong> pellegrinaggio sui loro piedi. Oggi i peccati si sono<br />

motorizzati.<br />

Un altro, Fréderic Mercey dice: Domo non offre niente<br />

di bello, la Valle d’Oscella è triste: (per lui gli Ossolani<br />

hanno facce patibolari, ma l’ex carcerato del quale racconta<br />

è di Varese); Louis Vignet assicura che si direbbe<br />

emigrata tutta di un pezzo dal profondo della Calabria<br />

ai piedi delle Alpi; ma si riferiva, allora, ai colori vivaci<br />

degli abiti e alle nostre processioni. Un altro scrittore,<br />

Paul Mie<strong>il</strong>le, la trova una bella città, soprattutto colpito<br />

dalla stranezza dei marciapiedi: due vie parallele formate<br />

da lastre bianche perfettamente unite, come si vede nella<br />

Piazza Mercato del sipario del Teatro Galletti esposto al<br />

Museo, dipinto dal pittore del Teatro Reale di Madrid,<br />

l’ossolano Bernardino Bonardi di Coimo. Il <strong>libro</strong> Le<br />

Simplon et l’<strong>It</strong>alie septentrionale scrive che la cittadina di<br />

Domo d’Ossola ha un aspetto curioso con le sue case ornate<br />

di colonnati, le sue strade con tende di tutti i colori, i muli<br />

bizzarramente bardati, le donne coperte da una mantella<br />

alla moda spagnola, e Théobald Wash la definisce semplicemente<br />

una bellissima piccola città.<br />

Per noi, è la nostra città. Scarsamente industrializzata,<br />

con un commercio che si avvantaggia ingannevolmente<br />

della posizione di frontiera, con una stazione e una<br />

dogana internazionali potenzialmente ma criticamente<br />

interessanti, è nel frattempo impoverita di alberghi che<br />

una volta, quando Domodossola aveva 4000 abitanti,<br />

erano grandiosi, imponenti e ricchi, mentre dal 1954,<br />

con 14.440 abitanti, a oggi con 18.865, gli alberghi si<br />

sono ridotti. Ma non è mai stata e non è assolutamente<br />

provinciale.<br />

Un artigianato “signore”<br />

Malgrado i secoli e i cambiamenti, ha conservato un’atmosfera<br />

aristocratica di tempi in cui l’artigianato era<br />

245


arte e i ricchi erano signori. I suoi operai-lavoratori specializzati,<br />

fabbri, orefici, falegnami, bottai, peltrai, orologiai,<br />

fotografi, che facevano degna corona a scienziati,<br />

medici, letterati, pittori, scultori e storici, da tutti<br />

le valli dell’Ossola si sparpagliavano in Germania,<br />

in Svizzera, in Francia, in America, in Spagna, e all’«estero»<br />

italiano. Avevamo perfino degli inventori:<br />

un Don Giovanni Bedone, morto a Bannio, costruttore<br />

del velivolo detto aerodinamo, un Cav. Bartolomeo<br />

Zanna di Zornasco, benemerito dei caloriferi, un Paolo<br />

Feminis di Crana creatore della famosa Acqua di Colonia<br />

di Giovanni Maria Farina, per accennare soltanto<br />

a qualcuno. Riportavano in Patria censo, onori, elargizioni<br />

e l’ambizione di fabbricare nei propri paesi palazzine<br />

con termosifoni, alte finestre incorniciate di<br />

stucchi, sale e camere ampie foderate di legno, arredate<br />

in liberty o con autentici mob<strong>il</strong>i ossolani antichi, o<br />

addirittura, come <strong>il</strong> Giovanni Jachetti del v<strong>il</strong>laggio di<br />

Mondelli, una piccola riproduzione della famosa Sala<br />

degli Specchi del palazzo reale in Versa<strong>il</strong>les. Avevano<br />

casa a Domodossola e v<strong>il</strong>lini o fattorie in campagna, a<br />

Bacenetto, S. Defendente, Calice, Caddo, al Roccolo,<br />

al Croppo, sul colle della Mattarella. Da Vagna scendeva<br />

a cavallo Giovanni Piroia Modini che dopo aver percorso<br />

a piedi tutta l’isola di Cuba con una cassetta di<br />

chincaglieria al collo, era divenuto vice-console del governo<br />

sardo-piemontese, prima di ritirarsi qui fra i «furmig<br />

rus».<br />

Molti i grandi benefattori, come <strong>il</strong> Gian Giacomo<br />

Galletti di Colorio in Bognanco S. Lorenzo, un genio<br />

della finanza, creatore della Fondazione Galletti dai<br />

molteplici scopi sociali, artigianali, culturali, che così<br />

dispose di aiutare oculatamente i compaesani, perché<br />

l’obolo del ricco non estingue la povertà. Anche <strong>il</strong> fumista<br />

Giuseppe Trabucchi di Malesco (già combattente con<br />

Napoleone <strong>il</strong> Grande) che con un lascito all’ospedale<br />

Beaujon di Parigi favorì gli operai vigezzini e piemontesi<br />

là emigrati. E altri. I nostri riportavano dall’estero<br />

oltre a onori e ricchezze anche priv<strong>il</strong>egi. I Vigezzini di<br />

Parigi, abitanti in «Rue des Lombards», nel 1613 ottenevano<br />

dalla regina Maria de Medici <strong>il</strong> libero traffico<br />

per i poveri merciai ambulanti. Uno spazzacamino<br />

al lavoro nel 1600 in un camino di Versa<strong>il</strong>les, raccontò<br />

al sovrano Luigi XIII di aver udito i dignitari congiura-<br />

246<br />

re ai suoi danni, e ne ottenne protezione per i compagni<br />

di lavoro; i suoi discendenti poi divennero gioiellieri<br />

di corte.<br />

Import-export di altri tempi<br />

Tutti riportano al paese d’origine valori che abbelliscono<br />

e arricchiscono le chiese. Gli scalpellini di Colloro,<br />

secondo la tradizione, portarono dalla Germania, nel<br />

1877, la nuova statua di S. Gottardo; da Roma una<br />

Madonna Nera di Loreto che frodò la dogana a Genova,<br />

perché la sua cassa venne dichiarata contenente fiori, e<br />

all’apertura fiori si videro, non si sa se per miracolo o<br />

se messi dai nostri a coprire l’opera d’arte. La Chiesa<br />

Maggiore di Craveggia fra i preziosi conta <strong>il</strong> manto funebre<br />

del Re Sole, alcuni pezzi della «Vita di Gesù» dipinti<br />

su tavole di rame dal fiammingo Franck, un ostensorio<br />

che ha l’uguale solo in Notre Dame di Parigi, un<br />

Crocefisso del 1300, ecc. Gli scalpellini di Mergozzo<br />

scavarono e lavorarono le 82 colonne di S. Paolo fuori<br />

le mura di Roma, ordinate da Papa Leone XII che<br />

diede la preferenza al granito bianco di Montorfano.<br />

Trasportate a mezzo di rulli alle grandi zattere della<br />

Toce, che fino alla prima metà dell’800 era navigab<strong>il</strong>e, e<br />

su queste al Lago Maggiore, proseguirono per <strong>il</strong> Ticino,<br />

<strong>il</strong> Naviglio, <strong>il</strong> Canale Martesana, <strong>il</strong> Po, fino a Venezia.<br />

Qui furono caricate su navi pontificie che costeggiando<br />

la Penisola, attraversato lo Stretto di Messina, giunsero<br />

al Lido di Ostia: dopo quattro anni. Di Candoglia,<br />

invece, è <strong>il</strong> marmo al quale si deve quella meraviglia<br />

del mondo che è <strong>il</strong> Duomo di M<strong>il</strong>ano, al quale la cava<br />

è stata esclusivamente destinata da Giovanni Galeazzo<br />

Visconti, nel 1386. La Società di San Giulio ad Anzola<br />

era l’antica confraternita degli scalpellini che nelle celebrazioni<br />

espongono un grande quadro del Santo, dono<br />

dei compaesani emigrati, i quali portarono anche, nel<br />

1858, una statua di Maria Assunta in rame e argento,<br />

in sostituzione del simulacro in legno antichissimo della<br />

Beata Vergine della Cintura. La storia dell’artigianato<br />

nell’Ossola è già una leggenda.<br />

Le vere leggende nascono in alto<br />

Cominciamo dunque dal Ghiacciaio del Gries, dove<br />

inizia la Toce «Toccia», «Tauxa», «Athison», «Tosa», che<br />

si forma poi a Riale di Formazza dalla confluenza dei


La m<strong>il</strong>izia di Calasca. La m<strong>il</strong>izia di Bannio.<br />

torrenti Hohsand, Gries e Roni. Si racconta di una città<br />

scomparsa, ricca e popolosa. Con salde mura, torri<br />

massicce, cupole ardite, palazzi, piazze animate, era una<br />

città opulenta che richiamava in folla mercanti di pelli,<br />

stoffe, tappeti, vasellame d’oro e d’argento, prodotti del<br />

Mediterraneo e d’Oriente. Tutti vi vivevano felici e contenti,<br />

ma nell’ovatta degli agi gli abitanti finirono per scordare<br />

la legge armoniosa che regge <strong>il</strong> mondo. Erano stati avvertiti<br />

che danzavano sull’orlo dell’abisso da colui che<br />

sempre deve camminare senza soste, forse l’Ebreo Errante<br />

dell’altra leggenda, <strong>il</strong> quale, ripassando m<strong>il</strong>lenni dopo,<br />

trovò solo le ultime vestigia della metropoli che, consunta<br />

da inguarib<strong>il</strong>e vecchiezza, era morta lentamente.<br />

L’ambiente però è rimasto impregnato di incantesimo.<br />

Non molti secoli fa un pastore fu attirato da una fata<br />

nel palazzo di cristallo sotto <strong>il</strong> ghiacciaio, e poi salvato<br />

dall’amore terreno della moglie, che lo aveva seguito<br />

grazie a un gomitolo srotolato del quale gli aveva annodato<br />

un capo alla cintura.<br />

Più sotto, è un incanto anche la Cascata della Toce, della<br />

Frua, sincope di Fruda, voce celtica che suona «cascata<br />

di fiume», 143 metri in tre salti, la più bella cascata<br />

dell’<strong>It</strong>alia settentrionale, ammirata anche da Wagner<br />

come uno straordinario spettacolo. Un’altra leggenda di<br />

ghiacciai, quella di Aurona, parla di un uomo scomparso<br />

misteriosamente trasportando dell’oro, forse in<br />

Svizzera.<br />

Anche l’oro è di casa nelle nostre montagne<br />

Come le fate, i folletti, le streghe, i nani. Pare che tutti<br />

i nostri monti ne celino, oltre quelli di Pestarena, le<br />

cui miniere erano sfruttate fin dal tempo dei romani, e<br />

quelle dei Cani, a Battiggio, proprietà di Facino Cane.<br />

Nelle miniere di Pestarena, si racconta, i fuochi fatui<br />

traggono luce dai luoghi dove esistono f<strong>il</strong>oni: ma forse<br />

quelle «fasèle» erano le lanterne di cercatori notturni<br />

clandestini, i quali dichiaravano di andare a pescare,<br />

tanto che una delle gallerie si chiama «Peschiera».<br />

Tra valle Antigorio e valle Divedro, <strong>il</strong> Cistella (tanto<br />

cantato al poeta G. Venanzio Barbetta dalla satira triste,<br />

che la leggenda dice morto sul Cistella e qui rimasto),<br />

oltre le streghe del lago di Crampiolo e le fate che stendono<br />

di notte <strong>il</strong> bucato, dicono che celi, sotto la neve<br />

mai disciolta completamente, molto oro e «cristalli carichi<br />

di luce dentro caverne e anfratti, granati, cornioli,<br />

zaffiri, turchesi».<br />

247


In Alpe Veglia, invece, <strong>il</strong> lago copre una povera fanciulla<br />

che camminando da Quartina a Nembro e a Punta<br />

Maror alla ricerca dell’innamorato perduto, qui cadde<br />

vittima del Maligno.<br />

In val Bognanco, addirittura era una grotta tutta<br />

d’oro, con un letto di sassi ma d’oro perfetto, scrive Don<br />

Biancossi, la dimora di un eremita misterioso che scendeva<br />

in paese solo per la festa.<br />

Nani, folletti, fate e streghe<br />

Si dice che i nani sono malvagi o buoni, le fate e le streghe<br />

sono spiriti della natura o dell’inferno, a seconda<br />

di come li guardiamo e vediamo: in un lampo di veggente<br />

immaginazione, o in uno specchio di cattiva coscienza.<br />

Gli alpigiani di Formazza, per esempio, quando<br />

passavano l’estate all’alpe con <strong>il</strong> bestiame, erano aiutati<br />

dagli «zwärgji», i nani, che davano una mano nei lavori<br />

di stalla. Ed era d’oro <strong>il</strong> carbone regalato alla donna<br />

di Macugnaga che aveva aiutato una nana a mettere<br />

al mondo un figlio; peccato che quella non vi credette<br />

e lo buttò.<br />

In Antrona, dove si dice che dalla Punta di Traggia all’Andolla,<br />

ai laghi di Camposecco e di Gingino, fin sulle<br />

creste di Lancino e di Lonzano gli spiriti del maltempo<br />

sghignazzano felici e maligni, e lottano fra loro<br />

scagliando fulmini e ghiaccioli, la tragedia della frana<br />

enorme del 1642 staccatasi dalla cima del Pozzuolo che<br />

seppellì la Chiesa, 42 case e 95 persone, è stata poetizzata<br />

dalla leggenda che la campana sommersa suoni dal<br />

fondo del lago per avvertire dei pericoli.<br />

In genere le leggende tristi e i loro misteriosi personaggi<br />

cupi e cattivi sono quelle d’influenza walser, ma anche<br />

in Val Vigezzo le streghe del «Pian di Stri», alle falde<br />

del Monte Gridone, sono descritte come malvagie megere<br />

grinzose. Ad Anzola, abitata da colonizzatori walser<br />

fuggiti da Migiandone e Ornavasso dopo la peste del<br />

1630, le streghe erano collegate al brutto tempo, abitavano<br />

sugli alberi della Tocetta e per preparare i temporali<br />

scivolavano a valle sedute su un’altissima pioda liscia<br />

a picco, «la pioda di strii». Ma vi erano anche gli allegri<br />

«cusch» burloni nascosti nella valle del Riale, forse<br />

non lontano dalla «Cà di donn», dove tenne bottega<br />

<strong>il</strong> primo calzolaio, un Cara, che un folletto invidioso<br />

costrinse a cambiare mestiere, rendendolo incapace,<br />

248<br />

dopo aver fatto la scarpa destra, di riuscire a fare l’altra:<br />

una leggenda che stranamente riecheggia molto la fiaba<br />

irlandese del Leprecano «<strong>il</strong> calzolaio singolo» che faceva<br />

una sola scarpa, la sinistra.<br />

Sono allegre anche le streghe che saltellano sulla neve<br />

ghiacciata, cantando melodie magiche, nel bosco della<br />

Sotta, a Trasquera, la cui chiesa è dedicata ai SS.<br />

Gervasio e Protasio come quella di Domodossola. Alla<br />

Pioda di Crana prendono forma di bellissime giovani e<br />

si riuniscono in varie notti della settimana, dopo l’Ave<br />

Maria, per chiassose riunioni. Scrive Riana a proposito<br />

de «ul pian di Lutt», tra S. Maria e Druogno, che si<br />

dice infestato: La paura è una potente creatrice di streghe<br />

e di fantasmi, così la superstizione; ma tutto ha una spiegazione<br />

e dove non si vede si deve aver fede. Il fallo che si<br />

attribuiscano alle streghe le grandinate e in genere tutte le<br />

disgrazie e le cose cattive, discende dagli antichissimi timori<br />

per i disastri causati dagli elementi, inspiegab<strong>il</strong>i, perciò<br />

attribuiti a entità malefiche. All’avvicinarsi della grandine<br />

si bruciavano i rami dell’ulivo benedetto la domenica<br />

delle palme e si suonavano le campane.<br />

Mostri, rett<strong>il</strong>i e fantasmi<br />

II fantasma di Cimav<strong>il</strong>la non è che <strong>il</strong> ritorno d’un uomo<br />

esoso e disonesto condannato a sorvegliare in eterno la<br />

«roba» alla quale era stato troppo attaccato: l’oro di Val<br />

Toppa, che da vivo aveva ceduto a una società mineraria<br />

inglese.<br />

In quanto ai mostri, Riana scrive che in valle Vigezzo la<br />

credenza di serpenti e rett<strong>il</strong>i favolosi forse derivava dai<br />

tempi preistorici in cui animali giganteschi vivevano in<br />

questi boschi. Due giovani di Albione assicurarono, alcuni<br />

secoli fa, di aver ucciso <strong>il</strong> drago di Genuina, mentre<br />

tornava dall’Ovigo dov’era volato a dissetarsi: aveva<br />

colori vivacissimi e ali di pipistrello. E ne mostrarono<br />

lo scheletro.<br />

Di fronte a Re e Folsogno v’era «l serpent d’la cresta» con<br />

quattro alette e la cresta rossa; sui monti di Malesco, la<br />

«Spersuria», temutissima dagli alpigiani; sotto Dissimo,<br />

in «la Costa», «l serpent da jugiàj» con testa quadrangolare<br />

e due occhiaie smisurate. In località Ca<strong>il</strong>ina di<br />

V<strong>il</strong>lette serpenti che con <strong>il</strong> loro sib<strong>il</strong>o incantavano gli<br />

uccelli. Sopravvivenza di ancestrali ricordi, di brontosauri<br />

che hanno lasciato tracce, come <strong>il</strong> drago di S. Giulio,


Macugnaga, battesimo Walser.<br />

del quale una gigantesca vertebra si trova nella bas<strong>il</strong>ica<br />

dell’Isola.<br />

Ancora di un mostro si parla ad Agaro, <strong>il</strong> bel paesino di<br />

valle Antigorio, dove si racconta anche di un tesoro nascosto,<br />

e vive una leggenda quasi uguale a quella, pure<br />

walser, di Quarazza di Macugnaga: «Hirli Herli», in cui<br />

un «gotwäegini» (nano) è innamorato di una bella ragazza<br />

che deve scoprire <strong>il</strong> suo nome per essere lasciata<br />

libera. È una fiaba che, con <strong>il</strong> «nanin Pirimpinella»<br />

si trova anche nelle classiche Vecchie e nuove storie dei<br />

più grandi favoleggiatori europei. Ad Agaro <strong>il</strong> mostro<br />

è <strong>il</strong> «Rapruaf», un animale fantastico che viene vinto<br />

da un toro, e un corteo di spettri che portano lo zaino<br />

sulle spalle forse rappresenta le anime di coloro che,<br />

partiti con un fardello di peccati, si recano in pellegrinaggio<br />

a deporli sulla vetta della misericordia divina.<br />

In questo paese la notte del 6 gennaio si festeggiava la<br />

«Bubriniaba» o sera delle maschere, durante la quale<br />

accadevano fatti strani e curiosi, per esempio parlavano<br />

le bestie.<br />

La leggenda dell’Uomo Selvatico<br />

Affini ai mostri e di origine pagana sono anche le leg-<br />

gende sugli Uomini Selvatici. Nella valle d’Isorno, la<br />

valle dell’Impossib<strong>il</strong>e, erano uomini che camminavano<br />

per ore senza parlare, fino al Larone, al Porcareggio, al<br />

Medaro: barbuti e pelosi erano in piena dimestichezza<br />

con tutti gli animali dei boschi. Non possedevano niente,<br />

eppure sapevano molto, l’arte di cuocere i formaggi,<br />

di far lievitare <strong>il</strong> pane, di guarire le bestie, di conciare le<br />

pelli, di fondere i metalli, e certe volte regalavano agli<br />

alpigiani pezzi di oro purissimo, del quale essi non sapevano<br />

che farsi, i saggi e intelligenti Uomini Selvaggi.<br />

Forse sono ancora essi che difendono la valle dell’Impossib<strong>il</strong>e<br />

dalle invasioni. Infatti la valle dell’Isorno, malgrado<br />

le centrali elettriche o forse per i loro divieti di<br />

accesso, è poco nota. Ha case antiche, un paesaggio orrido<br />

e maestoso all’inizio, poi dolce e riposante, e lo<br />

splendido pianoro Agarina, l’ultimo paradiso terrestre<br />

dai fiori strani e sconosciuti, in miniatura, e dai laghetti<br />

ignorati. Gli Uomini Selvatici, che si divertivano ai balli<br />

delle marmotte, stavano in dimestichezza con i camosci,<br />

ed erano più timidi delle lepri, assalivano i cacciatori<br />

quando li vedevano con i loro fuc<strong>il</strong>i. Ai monti Ri di<br />

Fuori, in val Calanca, un uomo selvatico regalava certe<br />

erbe che, messe in poca dose nel pentolone, davano al<br />

249


formaggio un sapore ed un profumo deliziosi.<br />

In valle Bognanco gli Uomini Selvatici abitavano ne «la<br />

cà di cusciui», e sono descritti come strani esseri dalle<br />

sembianze umane ma ricoperti di pelo. Non erano cattivi,<br />

ma era meglio non stuzzicarli. Come per gli uomini<br />

comuni, del resto. In questa valle si diceva anche che vagassero<br />

le anime del Purgatorio, «anim d’la frova d’Trignun»,<br />

la cascata dell’alpe Trignini, in cerca di una preghiera,<br />

un deprofundis, che anche altrove si recita per i<br />

morti apparsi in sogno.<br />

Ad Agro di Varzo l’Uomo Selvatico che non parlava<br />

con nessuno e solo ogni tanto si recava in Veglia, ma a<br />

casa aveva una moglie che teneva rinchiusa, è forse, reso<br />

leggendario, un personaggio vero, che assomiglia addirittura<br />

a Bertoldo; durante <strong>il</strong> bel tempo si mostrava triste<br />

per l’attesa delle intemperie, e quando queste arrivavano si<br />

rallegrava nell’attesa del bel tempo.<br />

A Ceppo Morelli, l’om salvac, grande e grosso, si faceva<br />

ospite della tana dei «Cucitt» un profondo pozzo tra<br />

Castiglione e Calasca, dalla quale usciva quando non<br />

c’era vento, per riscaldarsi al sole.<br />

A Salecchio gli Uomini Selvatici si chiamavano<br />

«Pubrina».<br />

Baceno della sua antica storia ha ritrovato due suole<br />

chiodate nella tomba di un uomo altissimo.<br />

Una magia particolare<br />

In quanto alla «lacomagìa», <strong>il</strong> sort<strong>il</strong>egio di Anzola che<br />

provocava grandi piogge, era opera di mercanti di legname<br />

egoisti, i quali, incuranti dei danni altrui, si servivano<br />

dell’acqua alta per trascinare a valle i loro tronchi<br />

d’alberi. Contro la «lacomagìa» si fece una causa a<br />

M<strong>il</strong>ano in Senato.<br />

In val Segnara di Anzasca la difficoltà del trasporto<br />

del legname era superata con «la serra», che incanalava<br />

i corsi d’acqua elevati con dighe senza causare danni.<br />

Esiste una leggenda che racconta d’un capo borratto<br />

ignorante e superstizioso <strong>il</strong> quale, prima di aprire la<br />

diga, si recò a fare la comunione e invece di inghiottire<br />

l’Ostia sacr<strong>il</strong>egamente mise la particola in tasca e la incastrò<br />

nella borra-guida persuaso di ottenere una buona<br />

riuscita del convoglio; invece <strong>il</strong> carico, giunto alla<br />

Cappella del Signore, puntando tutto in giro sgretolò <strong>il</strong><br />

terreno, dividendo in due <strong>il</strong> torrente che provocò molti<br />

250<br />

danni, lasciando però <strong>il</strong>lesa e isolata la Cappella.<br />

Invece nell’alta valle Anzasca, tra Macugnaga e Ceppo<br />

Morelli, <strong>il</strong> trasporto veniva effettuato grazie alla «cioenda»,<br />

ammirata e poi rimpianta da Antonio Stoppani.<br />

Era una via pens<strong>il</strong>e a piano inclinato, che aveva la forma<br />

di un palco senza fine e senza parapetto aggrappato alla<br />

roccia, composto di tronchi coperti da uno strato di terra e<br />

sostenuto da una puntellatura di altri tronchi. D’inverno,<br />

quando gelava, <strong>il</strong> pavimento terroso della loggia, che correva<br />

per ch<strong>il</strong>ometri e ch<strong>il</strong>ometri, coperto di neve, o anche<br />

semplicemente inzuppato d’acqua, si conveniva in un piano<br />

sdrucciolevole, lungo <strong>il</strong> quale scorrevano le borre. In<br />

fondo alla Valle <strong>il</strong> trasporto proseguiva sui barconi della<br />

Toce, che risalivano e scendevano la corrente trainati<br />

da cavalli sgroppanti sulle alzaie, guidati dai «navarui»<br />

scamiciati.<br />

Un mostro d’altro genere<br />

Ma a proposito di mostri, uno ben peggiore faceva a intervalli<br />

la sua apparizione in tutta l’Ossola, la peste.<br />

Nel 1513 la peste aveva distrutto in val Vigezzo le frazioni<br />

di Sagrogno e quella di Vallero di V<strong>il</strong>lette. Qui<br />

un palazzetto apparteneva a una famiglia ora estinta<br />

le cui origini risalivano al sacro romano impero, e<br />

si era rifugiato Calvino. Questi, in regione Rivoira di<br />

Masera, nella casa di certi Croppi, ora chiamata «la torre<br />

di Calvino», avrebbe trovato rifugio per tre giorni,<br />

dopo aver predicato la Riforma, minacciato dal popolo<br />

mentre era diretto, al principio del 1536, a Ferrara,<br />

alla corte di Ercole II d’Este. Olgia, dirimpetto al cupo<br />

Gridone, che oltre la peste subì frequenti incursioni vallesane,<br />

ed era sede di un corpo di guardia stipendiato da<br />

tutta la valle, ebbe addirittura un lazzaretto. Così Prestinone,<br />

la patria del grande pittore Carlo Fornara, dove<br />

<strong>il</strong> lazzaretto era «la cà an tè cu s’sént». È invece una leggenda<br />

che più in basso, nei pressi di Trontano, in frazione<br />

Creggio, la torre di segnalazione del XIII secolo<br />

abbia ospitato Fra’ Dolcino, da alcuni considerato «uno<br />

sfratato bastardo», da altri un riformatore che predicava<br />

la penitenza e <strong>il</strong> digiuno, bruciato vivo con la sua compagna<br />

dopo la tortura.<br />

La peste del 1630 seminò la morte a Crevola, <strong>il</strong> paese<br />

dove ai piedi del torrazzo di sei piani v’era <strong>il</strong> ponte<br />

di legno teatro di aspre battaglie tra ducali e vallesani,


sul quale 2000 di questi caddero nel 1487. Qui si racconta<br />

di due donne che si salvarono mettendosi in una<br />

buca coperta da un enorme pane bianco a peste finita.<br />

La leggenda del Diavolo e del Vento dice che avevano<br />

fatto <strong>il</strong> viaggio insieme, e sul ponte nuovo si fermarono<br />

perché <strong>il</strong> diavolo disse al suo compagno di aspettarlo<br />

mentre andava a prendere un’anima dannata. Ebbene,<br />

ne trovò talmente tante, che <strong>il</strong> Vento è ancora lì a soffiare<br />

sempre, spazzando iroso <strong>il</strong> ponte una delle rare opere<br />

dell’uomo che non risulti insignificante in mezzo a quelle<br />

della natura.<br />

Ad Anzola, nel 1364 per scongiurare la peste venne costruito<br />

l’Oratorio di S. Rocco (con la fontana che sopravvive).<br />

Fra le spese previste per la manutenzione della<br />

navigab<strong>il</strong>ità della Toce, per la difesa contro i torrenti<br />

e i Vallesani, per i tributi ai feudatari, erano preventivate<br />

anche quelle per i «bollettari», i monatti. Un oratorio<br />

al Santo della peste esisteva anche a Domodossola,<br />

in via degli Osci, dove sulla parete dell’ex-castello rimane<br />

ancora la scritta «Piazza S. Rocco».<br />

A Mergozzo, all’Età della Pietra, 4000 anni fa, un piccolo<br />

v<strong>il</strong>laggio su palafitte, dove si sono scoperte tre piccole<br />

necropoli, la piazzetta Marconi fu «la chiesa della<br />

peste». Nel 1630 <strong>il</strong> prete vi officiava la Messa per tutti<br />

gli ammalati che assistevano dietro i vetri delle finestre<br />

chiuse nelle case intorno. Alla fine i capifamiglia firmarono<br />

la pergamena del voto, con un atto civ<strong>il</strong>e che invocando<br />

la misericordia presentava la Comunità al Cielo<br />

e impegnava anche i figli e i figli dei figli a santificare<br />

la festa di S. Rocco, ogni 16 agosto, con una processione<br />

fino all’Oratorio presso la chiesa di S. Maria a<br />

Prato Scopello, e a celebrare ogni anno perpetuamente<br />

la festa di S. Carlo <strong>il</strong> 4 novembre. A Mergozzo allora<br />

si reinstaurò l’uso di presentare all’altare i «ginostri»,<br />

rami abbelliti con nastri variopinti e fiori, sui quali<br />

venivano infissi due limoni, simbolo della disinfezione<br />

dopo la peste e due scudi d’argento. La tradizione<br />

che dura tuttora antichissima, si dice risalga al culto romano<br />

della dea Cibele, fecondatrice delle forze della natura.<br />

I Romani, infatti, sembra fossero ben presenti sul<br />

Montorfano, dove, poco più in alto del v<strong>il</strong>laggio di S.<br />

Giovanni dalla bellissima chiesa romanica in pietra del<br />

XII secolo sorta sul luogo di una antecedente del VII si<br />

dice che sorgesse Stazzona, <strong>il</strong> municipio romano dive-<br />

nuto poi ducato longobardo verso <strong>il</strong> 584.<br />

Si salvò dal «cancro volante» la valle Anzasca, in quanto<br />

lo spettro della peste, affacciandosi sul Monte Moro,<br />

fu addolcito dal buon odore che saliva da Macugnaga,<br />

di pane (qui lo si cuoceva solo una volta all’anno) con<br />

siero di latte, profuso in elemosina, e tornò indietro. In<br />

definitiva, <strong>il</strong> merito si può attribuire ai nani, perché furono<br />

essi che insegnando ai Macugnaghesi l’arte di fare<br />

<strong>il</strong> burro, <strong>il</strong> formaggio, la ricotta, gli nascosero quella di<br />

ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> siero, proprio perché lo dessero ai poveri.<br />

Un’altra leggenda assicura che al v<strong>il</strong>laggio del Sempione,<br />

quello che vide <strong>il</strong> passaggio di tanti personaggi <strong>il</strong>lustri,<br />

come Maria Mancini nipote del Cardinale Mazzarino<br />

e Erasmo da Rotterdam che attraversando <strong>il</strong> passo diede<br />

inizio al suo Elogio della pazzia, la peste del 1630 infierì<br />

talmente che fu ordinato a ogni abitante ammalato<br />

di trasferirsi direttamente al cimitero per morirvi. A<br />

Cardezza i superstiti quasi pazzi buttavano i morti in<br />

un burrone. Anche la chiesa della Madonna della Neve<br />

di Domodossola ebbe fra i numerosi ex-voto un tempo<br />

esposti i quadretti della peste, perché la Vergine aveva<br />

compiuto molti miracoli. Il più noto è quello dei<br />

tempi in cui <strong>il</strong> Bogna scorreva tra <strong>il</strong> borgo e <strong>il</strong> colle di<br />

Mattarella, causando ripetute rovine. Quando la chiesetta<br />

rimase quasi sepolta dalla ghiaia alluvionale, <strong>il</strong> dipinto<br />

della Madonna dovette essere staccato dal muro<br />

e trasportato sopra, nella chiesa ricostruita; ebbene, per<br />

miracolo vi giunse assolutamente intatto fra lo stupore<br />

di tutti. I Domesi avevano fatto voto di celebrare ogni<br />

anno, <strong>il</strong> 19 marzo, alla Madonna della Neve, una Messa<br />

cantata in onore di S. Giuseppe, con processione del<br />

clero, delle autorità e del popolo.<br />

Il Diavolo e i Santi<br />

Dopo i mostri vennero i diavoli, che si trovano un po’<br />

dappertutto, perfino in un muro misteriosissimo in valle<br />

Antigorio, fra i pascoli di Arvenolo: un antico muraglione<br />

costruito con enormi blocchi e lastroni in pietra<br />

greggia d’una imponenza impressionante. La leggenda<br />

dice che fu <strong>il</strong> diavolo a costruirlo per collegare <strong>il</strong><br />

luogo con l’opposta sponda di Cravegna onde portarvi<br />

un’intera montagna sulle spalle per schiacciare i ribelli<br />

di Viceno e Mozzio. Stranamente, i diavoli in genere<br />

si sono collegati ai ponti: si appoggiano d’abitudine<br />

251


Valle Antigorio, Salecchio: la processione della Candelora.<br />

a quello del Riale dell’Inferno ad Anzola, e hanno dato<br />

<strong>il</strong> nome al magnifico ponte di Bugliaga di Trasquera, a<br />

1230 m alto sulla voragine, dove si racconta che nelle<br />

rocce e in quelle del Gnim vi sarebbero ancora gli anelli<br />

ai quali si attraccavano le barche quando la valle era<br />

un lago.<br />

A tutti i diavoli si contrappongono i Santi, ai quali l’Ossola<br />

è molto devota per una sua profonda religiosità che<br />

accoglie anche quelli nazionali e stranieri: S. Giulio e S.<br />

Giuliano erano greci; i patroni di Domodossola, Santi<br />

Gervasio e Protasio, furono i primi martiri della Chiesa<br />

M<strong>il</strong>anese; San Feliciano, del quale la Collegiata di<br />

Domo conserva <strong>il</strong> corpo, venne dal S. Castolo di Roma;<br />

e Sant’Antonio da Padova placa <strong>il</strong> maltempo e ferma le<br />

acque durante le piene ad Anzola, dove per S. Martino,<br />

l’11 novembre, giorno dei traslochi, in cui «us paga ul<br />

ficc di prai», già dal 1066 Grimaldo da Anzola portava<br />

venti libbre di formaggio al palazzo o castello del vescovo,<br />

a Domodossola. Dei S. Bernardo onorati nell’Ossola,<br />

quello di Mentone è nato ad Aosta, l’altro in<br />

252<br />

Francia, a Chiaravalle. A Capraga, dove per secoli, fino<br />

al 1967, durò la tradizione di distribuire in quel giorno<br />

<strong>il</strong> pane benedetto ai fedeli, S. Bernardo, nell’oratorio<br />

anteriore al 1500, si festeggia <strong>il</strong> 13 giugno. Qui nacque<br />

<strong>il</strong> Venerab<strong>il</strong>e Padre Generoso Fontana, che in una notte,<br />

sognando <strong>il</strong> Giudizio Universale, ebbe i capelli bianchi.<br />

Il Fondatore dell’Ospizio del Gran San Bernardo è<br />

patrono di Zornasco, che ottenne un osso del corpo del<br />

Santo. Nessuno l’ha mai visto, ma la tradizione assicura<br />

che l’osso misterioso al calar del sole del 15 giugno, festa<br />

del Santo, passi di casa in casa, restandovi un anno<br />

per famiglia. S. Abbondio di Masera, dell’abbandonata<br />

chiesa del 1000 con <strong>il</strong> campan<strong>il</strong>e romanico, è di Como.<br />

L’altro campan<strong>il</strong>e romanico famoso è quello della chiesa<br />

di V<strong>il</strong>ladossola dedicata a S. Bartolomeo, l’israelita<br />

apostolo di Gesù.<br />

Ma l’Ossola ebbe anche i suoi Santi locali, nonché i suoi<br />

Papi: <strong>il</strong> venerab<strong>il</strong>e Giovanni Toietti nato nel 1680 nella<br />

casa ancora esistente a Pianezza di Calasca; <strong>il</strong> Beato<br />

francescano Giovannino Minoia di Croveo; <strong>il</strong> Beato


Giovanni Testone di Bannio, le cui ossa vennero riportate<br />

al paese da Alessandria nella tasca del nipote, senza<br />

testa (aggiunta in seguito per la generosità di un marchese<br />

Gh<strong>il</strong>ini che la custodiva), <strong>il</strong> Beato G.B. Balconi,<br />

parroco a Zornasco dal 1732 al 1750, che dormiva in<br />

una bara; Don Lorenzo Dresco di Varzo, la cui nascita<br />

venne annunciata a una donna che raccoglieva foglie<br />

secche dal canto soave di un’anima del Purgatorio.<br />

Egli con le proprie mani, sasso su sasso costruì la curiosa<br />

e interessante chiesa di Crego, poi morì a Mozzio di<br />

Cravegna, dove la Madonna della Vita, nel Santuario<br />

in frazione Smeglio ha un quadro portato processionalmente<br />

dai Mozziesi emigrati nello stato pontificio, da<br />

Bologna, lungo la pianura padana, su un carro trainato<br />

da buoi. È venerato anche <strong>il</strong> Santo ciabattino di Varzo,<br />

Antonio Panighetti, sepolto nella parrocchiale di S.<br />

Eligio. I Papi sarebbero due: Innocenzo IX dei Nocetti,<br />

nato nel 1519 da genitori di Cravegna, che non volle<br />

mai lasciare <strong>il</strong> nome di Facchinetto, compiacendosi dell’um<strong>il</strong>e<br />

mestiere del padre, e quando fu in parrocchia a<br />

Domodossola, secondo la tradizione, ma non i documenti,<br />

avrebbe procurato alla nostra città <strong>il</strong> priv<strong>il</strong>egio di<br />

portare <strong>il</strong> SS. Sacramento nella processione del Venerdì<br />

Santo, durante la quale sembra che un confratello regolatore<br />

sollecitasse i partecipanti gridando: a vèghi mia<br />

che ul Signur l’è già su a cà dul diavul? Poi Papa Sisto V,<br />

già cardinale Felice Peretti, che si dice traesse origine<br />

dalla famiglia Peretti di Bracchio di Mergozzo.<br />

Feste religiose e processioni<br />

In tutta l’Ossola, per tradizione per assolvere ad antichi<br />

voti, per invocare l’aiuto divino contro i flagelli che dall’antichità<br />

hanno cambiato nome ma non frequenza, le<br />

processioni sono numerose. Quella da Domodossola a<br />

Bognanco, per devozione alle sante reliquie lasciate da<br />

un Vescovo di passaggio (abolita nel 1778, quando furono<br />

proibite le processioni fuori porta), è <strong>il</strong>lustrata nel<br />

quadro che si trova nella parrocchiale di S. Lorenzo,<br />

sullo sfondo della città circondata da mura quale era<br />

nel 1690.<br />

Dovevano essere, le processioni, una risposta cristiana<br />

alle superstizioni e alle paure di tutti i tempi.<br />

Gli Anzolesi, nel giorno di S. Marco, per antichissimo<br />

voto legato alla liberazione dai lupi che si trovava-<br />

no ancora sulle montagne, dedicavano a S. Giulio, uno<br />

splendido pellegrinaggio notturno, con tanti lumi tremolanti,<br />

che in barca faceva <strong>il</strong> giro dell’isola prima di<br />

sbarcarvi. Da Ornavasso, invece, <strong>il</strong> pellegrinaggio della<br />

Comunità annuale dell’8 maggio si recava alla Chiesa<br />

di S. Vittore, sull’Isola Bella del Lago Maggiore. Da<br />

Mergozzo, fino al 1600 inoltrato, <strong>il</strong> pellegrinaggio della<br />

comunità alla tomba di S. Giulio fu periodico per riconoscenza<br />

alla sua evangelizzazione. Secondo la leggenda,<br />

poi S. Giulio <strong>il</strong> 22 settembre del 344 celebrò la<br />

Messa a Pecetto, e un suo condiscepolo, nel 355, venne<br />

da certi giovinastri di Anzinell affisso a una pianta di<br />

castagne con un sasso al collo, così co là col capo in giù<br />

morì. Però ad Antrogna la prima chiesa di Calasca, la<br />

Chiesa Vecchia di Sant’Antonio Abate, sorse soltanto<br />

1000 anni dopo la morte dei Santi gemelli. In questo<br />

paese la superstizione, per chiedere acqua o dopo lunghe<br />

piogge, faceva deviare <strong>il</strong> Riale e scorrere <strong>il</strong> torrente<br />

per le strade fino a circondare chiesa e cimitero.<br />

Così per fede, alle processioni si aggiungevano le<br />

Rogazioni, un singolare cerimoniale che evocava <strong>il</strong> ricordo<br />

delle antichissime origini pagane delle piccole comunità<br />

contadine, con visite a oratori e cappelle nei confini<br />

della Parrocchia. A volte duravano giorni, e lungo<br />

i percorsi di questi riti propiziatori per la fert<strong>il</strong>ità della<br />

campagna, si distribuivano pane, risotto, formaggio. Ad<br />

Anzola, per le rogazioni di giugno, le donne portavano<br />

appesi al collo dei bozzoli di bachi da gelso come invocazione<br />

di una buona annata per la seta.<br />

Spettacolare era la solenne cerimonia che a Pontegrande,<br />

per la venuta del Vescovo, riuniva le processioni di tutta<br />

la valle, che giungevano con le donne in costume, le<br />

ragazze vestite di bianco e coronate di fiori, gli uomini<br />

delle confraternite che alzavano stendardi, croci, lanterne<br />

dorate e decorate, cantando. Se pioveva, le lunghe<br />

f<strong>il</strong>e acquistavano un particolare colore per lo sbocciare<br />

di centinaia di ombrelli rossi, verdi, arancione, gialli,<br />

a righe. Il sacerdote D. Giuseppe Salina, in arte <strong>il</strong> poeta<br />

Vittorio D’Avino, definiva queste processioni anche<br />

pericolose, perché costeggiavano burroni e precipizi e<br />

sovente i confratelli dovevano sospendere le litanie per<br />

correre in fondo a qualche vallone o internarsi in una<br />

forra a raccattare una vecchia o un bambino che vi erano<br />

precipitati rompendosi qualche osso. Non meno pe-<br />

253


Vagna, la tradizionale festa del Bambin Gesù con le cavagnette.<br />

ricolosa doveva essere la processione che da S. Lorenzo<br />

per <strong>il</strong> Passo del Fornalino si recava ad Antrona, e viceversa,<br />

per festeggiare <strong>il</strong> comune Patrono. L’ultima da<br />

San Lorenzo ad Antrona è del 1945; da Antrona a San<br />

Lorenzo si fece anche nel 1952, sotto la pioggia.<br />

Per non parlare di quella celebre che via Macugnaga da<br />

SaasFee - Zermatt si recava a Varallo, al Sacro Monte,<br />

per <strong>il</strong> Passo del Monte Moro. Il naturalista svizzero<br />

Désor avrebbe voluto seguire quel percorso, ma la guida<br />

Brauschen si rifiutò di accompagnarlo perché la strada<br />

era riservata ai pellegrini: per gli altri <strong>il</strong> ghiaccio sarebbe<br />

stato pericoloso. Ancora oggi, tanto suggestiva e<br />

folcloristica, si snoda ogni 3 febbraio la processione della<br />

Candelora, che sale a Salecchio di Formazza, <strong>il</strong> paesino<br />

d’origine antichissima, così caratteristico e strano,<br />

con le sue case vuote, <strong>il</strong> cimiterino abbandonato, come<br />

impietrito nel s<strong>il</strong>enzio. In quel giorno <strong>il</strong> v<strong>il</strong>laggio disabitato<br />

si anima di tutti i salecchiesi emigrati nel mondo<br />

che ritornano per continuare la tradizione, partecipare<br />

alla Messa, alla benedizione delle candele e al pranzo<br />

caldo a base di polenta, salamini e formaggio.<br />

Note in tutta <strong>It</strong>alia sono le processioni di Re, in devoto<br />

omaggio all’affresco miracoloso della Madonna dal<br />

254<br />

quale sgorgò <strong>il</strong> sangue quando Giovanni Zuccone di<br />

Londrago, <strong>il</strong> 29 apr<strong>il</strong>e 1494, giocando alle piastrelle sulla<br />

piazzetta, lo aveva colpito con rabbia. Numerosi furono<br />

anche i pellegrinaggi dalla valle Anzasca alla Svizzera<br />

tedesca, a piedi, per devozione alla Madonna d’Einsiedeln<br />

o di Valdo, che qui stranamente ha diverse cappelle,<br />

con le effigi di San Meinrado assassinato dai briganti<br />

e San Corrado, che furono i fondatori del convento e<br />

del santuario di Einsiedeln.<br />

Ceppo Morelli, poi, si può dire <strong>il</strong> paese delle processioni:<br />

quella piccola la terza domenica di ogni mese, quella<br />

grande, per la Festa della B.V. Immacolata, che trasporta<br />

la bella statua, l’ultima domenica di giugno, attraverso<br />

<strong>il</strong> paese infiorato e addobbato, fino alla Madonna<br />

di Lourdes, poi per i prati, dietro antiche case; l’altra<br />

grande, delle Reliquie, la prima domenica di settembre,<br />

con <strong>il</strong> prezioso reliquiario. Poi, per la tradizionale<br />

commemorazione dei morti, che sono invocati quasi<br />

come Santi (o meurt jutèm) la processione al cimitero è<br />

seguita nel buio crepuscolo dal rosario recitato in corso,<br />

suggestivamente, dai parenti raccolti intorno alle tombe<br />

dei loro cari, infiorate dalle innumerevoli luci degli<br />

«ufiz<strong>il</strong>», i lumini di cera attorcigliati. Del resto, in tema


eligioso, Ceppo non è famoso solo per le processioni,<br />

ma anche per <strong>il</strong> sacrista che quando si svegliava, a qualunque<br />

ora della notte, andava a suonare l’Ave Maria<br />

e le donnine devote correvano fino alla chiesa, a lume<br />

di luna, e per l’organista che durante la Messa suonava<br />

Tutte le feste al tempio, e Libiam nei lieti calici, credendoli<br />

inni sacri.<br />

Le fonti e le erbe miracolose<br />

Oltre le processioni, i pellegrinaggi, le rogazioni, gli<br />

Ossolani hanno come rimedio ai loro mali fisici le acque<br />

minerali. Quelle di Bognanco, fatte conoscere dal<br />

Dr. Giacomo Albasini con un opuscolo pubblicato nel<br />

1849, per curare tutte le malattie di fegato; quelle ricostituenti<br />

del sangue e del sistema nervoso di S. Carlo<br />

in valle Anzasca, attualmente non ancora sfruttate benché<br />

Stoppani nel 1914 credesse nella loro efficacia e nel<br />

loro avvenire; la fonte termale nelle vicinanze dell’Alpe<br />

Monfracchio di Craveggia, già citata nel 1352, contro<br />

affezione rachitiche e malattie linfatico-glandolari; la<br />

sorgente dell’Alpe Veglia di Varzo, scoperta casualmente<br />

da due soldati nel 1879, la più elevata sorgente minerale<br />

d’Europa (m. 1813) dopo quella di Penticosa nei<br />

Pirenei, dalle acque acidule-ferrose-arsenicali; le buone<br />

acque di Baceno e Uresso; quelle ferruginose e famose<br />

di Crodo.<br />

E poi, da sempre gli Ossolani hanno fatto ricorso alla<br />

medicina popolare. Naturalmente, ai tempi in cui l’esercizio<br />

della chirurgia era affidato al barbiere che era anche<br />

sarto, trovava posto la superstizione, come nel caso<br />

delle ragnatele sulle ferite, dei pidocchi contro <strong>il</strong> mal<br />

di fegato, le lumache vive contro <strong>il</strong> mal di denti, ecc.<br />

Ma in genere si faceva uso di erbe medicinali di provata<br />

esperienza e reale beneficio. Non so del brodo di pollo<br />

per non fare la pipì a letto, ma è un fatto vero che<br />

l’alcool di arnica e <strong>il</strong> grasso di marmotta sono efficaci<br />

contro i dolori reumatici, l’olio di ipérico contro le<br />

scottature, le punture delle api contro la sciatica, <strong>il</strong> latte<br />

di donna contro <strong>il</strong> mal d’orecchi, l’aglio e l’erba ruta<br />

contro i vermi, <strong>il</strong> tiglio e la camom<strong>il</strong>la di montagna per<br />

guarire i raffreddori e <strong>il</strong> nervosismo, la menta per la digestione,<br />

i semi di lino macerati nell’acqua per rinfrescare<br />

l’intestino, l’olio di ricino caldo in impacco sulla<br />

pancia, e altri ancora. Del resto, l’uso di Bognanco<br />

di attaccare al collo, con uno spago, un pezzetto di carne<br />

di capra secca e salata, che <strong>il</strong> bambino succhiava, trovandolo<br />

saporito e gli rinforzava le gengive, è ben durato<br />

nei secoli con lo stesso principio e la sola sostituzione<br />

della carne secca con l’osso di seppia.<br />

Gli alberi sacri al popolo<br />

Anche gli alberi hanno sempre avuto molta importanza<br />

nell’Ossola, oltre <strong>il</strong> loro valore ecologico e materiale: una<br />

specie di culto faceva dei più imponenti <strong>il</strong> Municipio<br />

all’aperto in molti paesi. A Vigino era un enorme albero<br />

di noce. A Macugnaga presso la bellissima Chiesa<br />

Vecchia costruita dai Walser e <strong>il</strong> cimiterino delle guide<br />

alpine con le tombe <strong>il</strong>luminate di edelweiss e fiorite<br />

di picozze, un grande tiglio piantato nel 1200 raccoglieva<br />

sulla panchina attorno al suo tronco gli anziani<br />

a Consiglio. L’Università degli Uomini della terra di<br />

Anzola, al suono della campanella sedeva sul sagrato del<br />

S. Rocco costruito per scongiurare la peste del 1364,<br />

all’ombra sacrale del tiglio in mezzo alla piazzetta del<br />

«parlamento rustico». A Mergozzo, che risulta come<br />

Communitas Mergotii negli Statuti del 1378, l’olmo ai<br />

piedi del quale sedettero un tempo i Consoli, i dignitari,<br />

i magistrati del Borgo e i Credenzieri, è stato immortalato<br />

dal Pittore Carlo Cani di Novara nel quadro del<br />

1623 con la Madonna del Rosario ora in parrocchiale.<br />

Anche a Toceno le adunanze si tenevano all’aperto e alle<br />

sedute plenarie del Consiglio di Vicinanza erano ammesse<br />

anche le donne. Purché fossero vedove. Qui esiste<br />

ancora l’edificio costruito nel Medioevo per dar più<br />

solennità alla promulgazione degli Statuti. La Loggia<br />

de’ Bandi.<br />

Gli statuti<br />

I Comuni, infatti, a un certo momento della complicata<br />

storia ossolana, erano retti da Statuti interessantissimi.<br />

Quelli di Crodo comprendono anche norme di diritto<br />

pubblico, disposizioni di polizia rurale e forestale;<br />

quelli di Craveggia stab<strong>il</strong>iscono beneficenze, sovvenzioni<br />

ai poveri, letti all’ospedale di Domo; a Salecchio prevedono<br />

la pena del taglione per i feritori, la decapitazione<br />

per gli omicidi, la berlina e le catene per i bestemmiatori,<br />

l’amputazione delle mani e la forca per i ladri,<br />

la pubblica fustigazione in piazza per le adultere. A<br />

255


Bognanco, non per Statuto ma per usanza, fino al 1960<br />

i capifamiglia si assoggettavano alla «Giornata di prestazione»,<br />

dando un uomo per «fuoco» o pagando un sostituto,<br />

tre giornate all’anno, per la manutenzione delle<br />

alpi, delle corti e delle strade frazionali. Formazza,<br />

con gli Statuti del 1486, aveva giurisdizione autonoma<br />

con un proprio giudice chiamato Aman, coadiuvato<br />

da un consiglio di dodici credenzieri, detto Consiglio<br />

dei Dodici: un insieme di orientale, di biblico, di<br />

veneziano. A Premosello gli Statuti esistevano dal 1400;<br />

quelli nuovi del 1571 furono approvati dall’Università<br />

o Consiglio Maggiore all’ombra del tiglio secolare, in<br />

piazza, e vi si parla fra l’altro dell’esportazione di concime,<br />

del commercio di lumache, del divieto di gettare<br />

immondizie nel Riale.<br />

Usanze per battesimi, nozze, funerali e temporali<br />

In quanto alle usanze, che sono vecchie di secoli e alcune<br />

durano tuttora, molte sono comuni a quasi tutti i<br />

paesi. Per i matrimoni e i battesimi vigono i banchetti,<br />

la distribuzione di confetti, i doni. Dai funerali è quasi<br />

sparito <strong>il</strong> pranzo di chiusura, una volta giustificato dalla<br />

lontananza dei cimiteri, dal fatto che le bare erano<br />

portate a spalla e lungo <strong>il</strong> percorso per sentieri impervi<br />

era necessario sostentare i portatori con pane, formaggio<br />

e grappa; ma resta l’uso della distribuzione del sale.<br />

A Bognanco le massaie rimestando la polenta insaporita<br />

con quel sale recitano un requiem a suffragio del defunto.<br />

Qui si benedivano le salme, prima di rinchiudere<br />

la cassa, con tre spighe di grano intinte nell’acqua benedetta.<br />

Altrove si distribuiva anche riso e pane di segale<br />

(a Malesco perfino pasta arrostita) o «ris e lacc di<br />

meurt» ai poveri. A Calasca, la sera della vig<strong>il</strong>ia i ragazzi<br />

si recano di casa in casa recitando Calandrin, calandròt,<br />

oppure arsgignin, arsgignòt, par l’amur dul bambinot,<br />

ricevendo pere, mele, noci, castagne, torroni. La<br />

tradizione della «Carcavègia», manifestazione folcloristica<br />

di Colloro e Premosello, è un corteo di fine anno.<br />

Il nome si spiega a Calasca dove per antichissima tradizione<br />

si svolge alla vig<strong>il</strong>ia dell’Epifania e trae origine da<br />

una storia di Re Magi che giunti a Betlemme, seguendo<br />

la cometa, cercavano la capanna di Gesù chiedendo<br />

informazioni a una vecchia che li indirizzò in direzione<br />

opposta. Accortisi i magi ritornarono indietro e bru-<br />

256<br />

ciarono la casa della vecchia: se ti sevàt nuta, ti ghévat da<br />

sta citu. Nella stessa occasione in valle Vigezzo i ragazzi<br />

mettevano una scodella sul davanzale o una calza appesa<br />

alla cappa del camino per trovarvi, l’indomani, dei<br />

doni. Il rosario della sera dei Morti si recitava nelle stalle,<br />

mangiando castagne e, in valle Vigezzo, lasciandone<br />

per i defunti. In valle Anzasca quando muore un bambino<br />

le campane suonano a festa perché un nuovo Angelo<br />

è salito al cielo; una volta le salme dei piccoli venivano<br />

seppellite in un reparto riservato ad essi e ai sacerdoti.<br />

A Mergozzo, ai funerali di una ragazza nub<strong>il</strong>e venivano<br />

distribuiti dei confetti da sposa, una espressione così patetica<br />

e così alta a indicare con realismo la mancata festa<br />

di nozze per la vergine estinta o forse le nozze eterne alle<br />

quali la vergine è evangelicamente arrivata. A S. Lorenzo<br />

esisteva «la funtana di meurt», dove si lavavano esclusivamente<br />

gli ultimi indumenti e le lenzuola dei defunti.<br />

Anche a Domodossola, una volta, <strong>il</strong> due novembre i<br />

ragazzi della Motta uscivano a scèrcà par i povar mort e<br />

non si sa bene cosa ne ricavavano i morti, ma i ragazzi<br />

raccoglievano qualche spicciolo vendendo, per i cavalli,<br />

i pezzi di pane raccolti. Nella Settimana Santa, invece,<br />

da venerdì a domenica, quando le campane sono legate,<br />

per l’annuncio delle funzioni sacre i ragazzi portavano<br />

nelle strade, scuotendola, una specie di raganella,<br />

«la tarapèla», che si chiamava «tiratap» ad Anzola. In<br />

questo paese, nella chiesa di San Tomaso v’erano due<br />

soli banchi, per i notab<strong>il</strong>i; le donne più assidue si portavano<br />

l’inginocchiatoio da casa, e la sera di S. Giovanni,<br />

24 giugno, recavano in chiesa, nel grembiule del costume,<br />

un mazzetto raccolto secondo tradizionali criteri di<br />

scelta, per farlo benedire. I più rari erano i fiur di bèi<br />

oman. Un pizzico di quei fiori si bruciava sul «barnasc»<br />

(la paletta del camino) davanti all’uscio di casa per tenere<br />

lontana la losna (<strong>il</strong> fulmine). In Antrona funzionava<br />

la Elemosina di Santo Spirito (soppressa nel 1887) a<br />

favore della Congregazione di Carità e della cappellania,<br />

con l’obbligo al cappellano di far scuola ai più poveri,<br />

nella parrocchia di Montescheno.<br />

Per Ognissanti, di carnevale, e anche per S. Biagio,<br />

2 febbraio (dopo aver benedetto la gola all’altare) a<br />

Malesco ci si riuniva a mangiare i «runditt» chiamati<br />

anche «stinchèd», un impasto di farina di grano o frumento,<br />

sale e acqua, disteso in frittelle su pietra olla-


e leggermente scaldata, poi spalmate di burro e servite<br />

con bucalina ad vin da Pèl. In diversi paesi, come a<br />

Domodossola, si distribuisce per carnevale pulenta e sciriui,<br />

mentre a Cimamulera invece dei salamini v’è lo<br />

zampone. E via dicendo.<br />

E per chiudere...<br />

Nella Settimana Santa, i Frati del S. Monte Calvario di<br />

Domo, che abitavano a metà costa nel convento poi diventato<br />

caserma e ora rovina, offrivano un pranzo tutto<br />

di magro; per la Quaresima, invece, tra i priv<strong>il</strong>egi<br />

ossolani esisteva quello concesso dal cardinale Matteo<br />

Schinner, verso <strong>il</strong> 1515, di potersi cibare di latticini.<br />

A proposito del Calvario, così trascuratamente caro,<br />

Bazzetta assicura che esisteva una strana nota spese per<br />

un restauro nel XVIII secolo delle pitture e delle rimarchevoli<br />

statue nella Via Crucis che culmina, in alto, con<br />

<strong>il</strong> Paradiso e <strong>il</strong> convento dei Padri Rosminiani:<br />

“Corretti e verniciati i Dieci Comandamenti di Dio”; “abbellito<br />

Ponzio P<strong>il</strong>ato”... “Rimessa la coda al gallo di S.<br />

Pietro e raccomodata la cresta”; “riattaccato <strong>il</strong> buon la-<br />

drone alla sua croce e rimesso un dito nuovo”; “Dorata<br />

l’orecchia sinistra dell’Angelo Gabriele”; “pulita la serva<br />

del gran prete Caifa e messo del rossetto sulle guance”; “rinnovato<br />

<strong>il</strong> cielo, aggiunto due stelle, dorato <strong>il</strong> sole e pulita<br />

la luna”; “ravvivate le fiamme del Purgatorio e restaurate<br />

alcune anime”; “Rimesso a Lucifero una coda nuova”...<br />

“pulite le orecchie e riferrato l’asino di Balaam”; “rimesso<br />

alcuni denti a Erode”; “messa una pietra sulla fionda di<br />

Davide”; “ingrandita la testa di Golia e retrocesse le gambe<br />

dello stesso”; “rimessi i denti nella mandibola di Sanson”;<br />

“rattoppata la camicia del Figliuol Prodigo”; “lavati i porci<br />

e rimessa l’acqua sul loro truogolo”...<br />

“Totale £. 850”<br />

Ecco, questa è una piccolissima insignificante parte delle<br />

leggende, delle tradizioni, degli usi e del folclore di<br />

questa nostra piccola Ossola.<br />

Condensarli è stato un lavoro improbo; eliminare è stato<br />

penoso. Quindi, dell’incompletezza del sunto non ci<br />

scusiamo, ma ci serviamo per incitare altri a perfezionarlo<br />

e integrarlo in un’opera degna.<br />

257


Storia dei costumi<br />

Rina Chiovenda Bensi<br />

Una delle prime documentazioni sui Costumi femmin<strong>il</strong>i<br />

dell’Ossola, la dobbiamo ad Antonio Maria Stagnon,<br />

un artista del quale in Val d’Ossola è quasi sconosciuto<br />

anche <strong>il</strong> nome, pur essendo nato a Mondelli,<br />

piccola località della Valle Anzasca, ora appartenente al<br />

Comune di Ceppomorelli.<br />

Antonio Maria Stagnon nacque <strong>il</strong> 2 luglio 1751 1 , unico<br />

figlio maschio di Pietro Antonio.<br />

Il padre, dopo avergli insegnato l’arte dell’ “Incisione di<br />

sig<strong>il</strong>li” lo mandò a Parigi a perfezionarsi. Alla fine del<br />

1772 Antonio Maria tornò a Torino dove <strong>il</strong> padre gli<br />

cedette la sua Bottega per rientrare in Valle Anzasca.<br />

Con <strong>il</strong> trattato di Worms del 1743, l’Ossola fu incorporata<br />

agli Stati del Re di Sardegna e dopo questi avvenimenti<br />

politici, gli Stagnon specializzati in “sfragistica” 2 ,<br />

che già lavoravano a M<strong>il</strong>ano, e quelli provenienti dalla<br />

Valle Anzasca, si trasferirono a Torino per svolgere la<br />

loro particolare attività.<br />

“Antonio Maria Stagnon con patente del 4 apr<strong>il</strong>e 1774,<br />

ebbe <strong>il</strong> titolo di Regio Incisore di Sig<strong>il</strong>li…Come incisore<br />

in rame trattò molti generi; la geografia, <strong>il</strong> ritratto,<br />

l’araldica, <strong>il</strong> costume, i fregi, la vignetta”. 3<br />

Nel 1789 incise in 88 tavole a colori, le uniformi delle<br />

truppe del Re di Sardegna; ma <strong>il</strong> lavoro più importante<br />

per noi è:<br />

“Récue<strong>il</strong> Général des modes d’ hab<strong>il</strong>lements des femmes<br />

des Etats de Sa Majesté le Roi de Sardaigne”, un volume<br />

di 43 tavole, pubblicato in due edizioni e dedicato ad<br />

Adelaide Clot<strong>il</strong>de di Francia, Principessa di Piemonte<br />

dal 1775, per <strong>il</strong> matrimonio con <strong>il</strong> futuro Re Carlo<br />

Emanuele IV . Una copia, rarissima di questa opera è<br />

custodita presso l’Archivio Storico della città di Torino,<br />

e da una dedica conservata nella Miscellanea Vernazza<br />

presso la Biblioteca Reale, sempre a Torino, si desume la<br />

data della presentazione del primo volume, 1780.<br />

In questa pubblicazione Antonio Maria Stagnon dedicò<br />

all’Ossola ben 5 tavole, con i Costumi incisi in bianco<br />

e nero e a colori, ricche di particolari, che danno la<br />

possib<strong>il</strong>ità di studiarle e di imitare anche oggi i Costumi.<br />

I colori dei tessuti sono importanti perché permettono<br />

di evidenziare le singole peculiarità e come scrive<br />

Antonio Maria Stagnon alla Principessa, in una lettera<br />

di presentazione di questo suo lavoro, “i diversi colori<br />

ed i modelli contribuiscono a far conoscere i diversi caratteri<br />

della popolazione”.<br />

Alla Valle Anzasca, la sua Valle, l’artista dedicò due incisioni<br />

“Siora Marianna, habit de cerémonie de Ceppomorelli<br />

dans la Vallée Anzasca”, e “Manghin, boulangere<br />

de la Vallée Anzasca”.<br />

Poi incise “Barbna de Varzo dans la Vallée Dovedro<br />

dans l’haut Novarois au Semplon”, e “Brighita de Formazza<br />

pres le Canton d’Urj”, ed infine “la Siora Peppa<br />

de Craveggia dans la Vallée de Vigezzo”.<br />

I tratti del viso variano secondo l’atteggiamento della<br />

persona ritratta. La Siora Marianna, elegante e distinta<br />

è serena, indossa sul vestito una lunga giacca di colore<br />

rosso, guarnita come <strong>il</strong> grembiule ed <strong>il</strong> cappello con<br />

passamaneria dorata; la camicia è bianca e allo scollo si<br />

intravede una piccola croce, anche le scarpe con fibbia<br />

sono un elemento di distinzione come l’orologio ed <strong>il</strong><br />

cappello.<br />

Manghin, la portatrice di pane, invece è stanca ed affaticata,<br />

indossa un costume più modesto: <strong>il</strong> grembiule<br />

inizia all’altezza delle ascelle ed è fermato in vita da<br />

una fettuccia di lana a più colori, tessuta in casa, detta<br />

“Curungia”; sotto <strong>il</strong> grembiule si intravede la gonna,<br />

con uno spacco profondo sul davanti, presumib<strong>il</strong>mente<br />

necessario per affrontare una eventuale gravidanza; ai<br />

piedi Manghin porta delle calzature di stoffa, “Scufui”,<br />

e calze senza soletta, dette “Trausciuin”, che venivano<br />

259


usate in tutte le Valli dalle donne per non scivolare andando<br />

in montagna e per la raccolta del fieno.<br />

Barbna di Varzo, in Val Divedro, indossa un elegante<br />

Costume con un lungo grembiule che inizia all’altezza<br />

delle ascelle; la camicia e la cuffia sono di colore bianco,<br />

la giacca di mezzalana è rossa come <strong>il</strong> bordo del vestito.<br />

Anche <strong>il</strong> Costume di Brighita di Formazza è importante<br />

sia per <strong>il</strong> colore, sia per <strong>il</strong> modello: Brighita porta in<br />

testa una cuffia bianca e sopra uno spiritoso cappellino,<br />

secondo le usanze locali, come si può vedere anche<br />

nell’affresco della prima metà del 1600, nell’Oratorio<br />

di S. Maria ad Ant<strong>il</strong>lone, raffigurante un pellegrinaggio<br />

al S. Gottardo, affresco che rimane <strong>il</strong> documento<br />

più importante sul modo di vestire di questa comunità<br />

a quel tempo. Questa acconciatura causò nel 1718<br />

grosse liti religiose e diplomatiche tra <strong>il</strong> curato di Formazza<br />

Giacomo Costantino Jachino e le donne ed <strong>il</strong><br />

Procuratore della Valle, per “l’intollerab<strong>il</strong>e uso di certi<br />

cappelletti… cò quali appena cuoprono la sommità del<br />

capo con troppa abominevole indecenza al Sagro luogo<br />

e fonzioni ecclesiastiche…” Molte donne accettarono<br />

260<br />

subito <strong>il</strong> rimprovero del curato andando in Chiesa velate,<br />

con fazzoletti bianchi, mentre i Procuratori del Consiglio<br />

di Valle, risposero che “le donne di Valle Formazza<br />

vestono un abito che tutte le copre… e sogliono per<br />

costumanza loro, antichissima, a causa della rigidezza<br />

dell’aria, coprirsi <strong>il</strong> capo con una scuffia di tela bianca<br />

che… vi soprapongono una berettina di lana che copre<br />

la somità del capo… e con questo apparato sono state<br />

admesse alli sacramenti… e mai fu proibito l’uso di detta<br />

scuffia e berettina…”<br />

Questa controversia provocò spese e proteste. Venne<br />

nominato alla fine come arbitro, <strong>il</strong> marchese Paravicini,<br />

che <strong>il</strong> 2 maggio 1719 sapientemente eseguì le istruzioni<br />

del curato di Formazza, proponendo alle donne di<br />

aderire volontariamente alla Confraternita del S.S. Sacramento<br />

e di portare nelle funzioni “ <strong>il</strong> sodetto panno<br />

nel modo prescritto”. Con questo arbitrato del 1719,<br />

entrò nel costume di Formazza, da parte delle donne<br />

l’uso di portare in testa un telo bianco durante le cerimonie<br />

religiose.<br />

Il Costume più ricercato e ricco è quello della Siora


Peppa di Craveggia in Valle Vigezzo: ha <strong>il</strong> bustino stretto<br />

in vita da una preziosa cintura con la fibbia dorata;<br />

la giacchetta è decorata sia davanti, sia alle maniche con<br />

galloni ancora dorati; in testa sopra <strong>il</strong> foulard, annodato<br />

dietro la nuca, la Siora Peppa porta un cappello di<br />

feltro nero con la cupola “a testa piena “, bordato sempre<br />

con nastro dorato. Questi cappelli di forme diverse<br />

: a staio, a c<strong>il</strong>indro, acquistati in Francia e Germania,<br />

dove gli uomini emigravano per lavoro, in estate venivano<br />

sostituiti con altri di paglia finissima.<br />

I Costumi della Valle Vigezzo, la Valle dei Pittori, consistono<br />

in abiti eleganti, con gli stessi particolari incisi<br />

dallo Stagnon, ma confezionati con tessuti preziosi<br />

e come tali riprodotti dai Pittori locali, nei ritratti delle<br />

mogli, e di donne appartenenti a famiglie ricche, dipinti<br />

realizzati da:<br />

G. M. Borgnis (1701 - 1761), C. G. Borgnis detto Sparsicin<br />

(1734 - 1804), G. Rossetti (1759 - 1840-41), F.<br />

Giorgis (1828 - 1904) e da altri non meno importanti.<br />

Durante la ricerca presso gli antiquari, è stato possib<strong>il</strong>e<br />

conoscere quattro acqueforti, che ripetono gli stessi<br />

soggetti dello Stagnon, incise nel 1790 circa da Teodoro<br />

Viero, veneziano. Queste incisioni, pur ripetendo<br />

gli stessi soggetti, sono molto diverse: le donne hanno<br />

atteggiamenti eleganti, i colori ed i tratti sono pastosi<br />

e morbidi, mentre quelle incise dall’artista ossolano<br />

sono più rigide, meno espressive, ma più aderenti<br />

al modello.<br />

Sono sempre degli ultimi decenni del 1700 alcuni piccoli<br />

dipinti, custoditi presso <strong>il</strong> Museo del Paesaggio di<br />

Verbania, che riproducono i Costumi popolari di varie<br />

località 4 e tre riguardano l’Ossola: Donna di Macugnaga,<br />

la Paesana d’Introna Piana ( Antrona Piana), la Paesana<br />

di Bani (Bannio).<br />

Con <strong>il</strong> titolo “Donne di Val Anzasca” troviamo ancora<br />

una incisione del 1820 di Sergent Marceau (1751<br />

- 1847) che raffigura Manghin e la Siora Marianna in<br />

Costume, uguale a quelli incisi dallo Stagnon.<br />

Nel 1824 durante uno dei suoi annuali “viaggi di disegno”<br />

attraverso le Alpi, lo svizzero Samuel Birmann<br />

(Bas<strong>il</strong>ea 1793 - 1847), giunse in Val Formazza, dove disegnò<br />

e dipinse ad acquarello <strong>il</strong> Costume della donna di<br />

Formazza. Nell’ anno successivo raggiunse Macugnaga,<br />

e attratto dalla maestosità del Monte Rosa, disegnò la<br />

donna del luogo, con <strong>il</strong> vestito da lavoro 5 . Per la Serie<br />

Costumi Piemontesi, nel 1835, Francesco Gonin (Torino<br />

1808 - Giaveno 1889) incise la Donna di Bannio<br />

(d’Ossola) in costume, con un elegante grembiule, di<br />

colore azzurro-blu, decorato all’altezza del seno da una<br />

striscia orizzontale. Questa striscia detta “lista”, in alcuni<br />

grembiuli è ricamata, come si può vedere nel costume<br />

inviato nel 1881 a M<strong>il</strong>ano per l’ Esposizione Industriale<br />

<strong>It</strong>aliana, e attualmente conservato presso i Musei<br />

Civici G. G. Galletti di Domodossola, ed in quelli ancora<br />

gelosamente custoditi dalle donne della media Valle<br />

Anzasca e usati nelle più importanti festività 6 .<br />

Con grande sorpresa ad una mostra tenutasi presso <strong>il</strong><br />

Museo Cantonale d’Arte di Lugano nel 1994, comparvero<br />

alcuni disegni di Cam<strong>il</strong>le Corot sul modo di vestire<br />

delle contadine di Domodossola: “Paisanne de Domodossola<br />

vu de dos” conservato a Parigi, presso la Biblioteca<br />

Nazionale di Francia ed esposto a Lugano.<br />

“Contadina di Domodossola” vista davanti, riprodotta<br />

nel catalogo; ed un terzo disegno, solo descritto, depositati<br />

entrambi presso <strong>il</strong> Louvre; un quarto disegno è segnalato<br />

alla Yale University, ma non è descritto 7 .<br />

Sono disegni di estrema importanza sia per l’autore sia<br />

per <strong>il</strong> soggetto. J.B. C. Corot venne in <strong>It</strong>alia tre volte,<br />

nel 1825, nel 1834 e nel 1843; in un taccuino da viaggio<br />

accanto ai disegni, l’artista, come era sua abitudine,<br />

annotò l’itinerario, gli alberghi dove aveva alloggiato e<br />

le date. Giunto a Domodossola nel 1834, prima di passare<br />

<strong>il</strong> Sempione, diretto a Ginevra, prese alloggio presso<br />

l’Hotel di Spagna nell’antica piazza Castello <strong>il</strong> 6- 7<br />

ottobre. Pensiamo che si sia recato nella vicina piazza<br />

del Mercato e vedendo le contadine, ne abbia disegnato<br />

<strong>il</strong> vestiario, annotando i colori di ogni componente,<br />

annotazioni che permettono di avere un’idea precisa di<br />

come fosse l’abbigliamento nella forma e nel colore. E’<br />

interessante vedere <strong>il</strong> modello del cappotto a redingote,<br />

di colore verde scuro, aderente, con tre pieghe che iniziano<br />

sopra la vita e arrivano fino all’orlo; sotto la redingote<br />

si intravede una gonna lunga, blu chiaro, a larghe<br />

pieghe, che termina con una balza in fondo di colore<br />

rosso; ai piedi la donna porta calzature di stoffa, ed<br />

in testa un fazzoletto annodato dietro la nuca.<br />

Questo modello di cappotto lo si trova riprodotto nella<br />

litografia “Piazza Mercato a Domodossola” di I. Dol-<br />

261


y del 1839, e nella stampa “Femmes de Domod’Ossola”<br />

del 1830 circa, che ha come soggetto tre donne<br />

di cui una anziana, che indossa una redingote di colore<br />

verde scuro, uguale come modello al disegno di J.B.C.<br />

Corot.<br />

Infine è importante osservare la litografia “Domodossola”<br />

di A. Colin del 1830, che raffigura una giovane<br />

donna con un Costume, uguale come modello a quello<br />

indossato dalle due giovani riprodotte nella stampa<br />

“Femmes de Domod’Ossola”.<br />

Per celebrare un avvenimento tanto importante come<br />

l’inaugurazione della Galleria del Sempione, nel 1906,<br />

l’Illustrazione <strong>It</strong>aliana, Treves editore, pubblicò un numero<br />

speciale, “Il Sempione”, ricco di documenti e con<br />

la riproduzione di pastelli, dipinti e disegni. Il dipinto:<br />

“A Balmalonesca. La sposa del minatore” di Antonio<br />

Piatti, ed i pastelli “Ragazza dell’ Ossola” e “Contadina<br />

di Valle Anzasca” di Arnaldo Ferraguti 8 sono un’importante<br />

curiosità e servono a farci conoscere i Costumi<br />

ancora presenti in quel periodo ed indossati dalle donne<br />

della Valle Divedro e Valle Anzasca.<br />

Nel 1911 ricorrendo <strong>il</strong> cinquantenario dell’Unità d’<strong>It</strong>alia,<br />

venne organizzata a Roma, la mostra di etnografia<br />

italiana, per cui vennero raccolti ed esposti i Costumi<br />

di varie regioni italiane, alcuni autentici ed altri rifatti,<br />

tutti attualmente conservati presso <strong>il</strong> Museo Nazionale<br />

delle Arti e Tradizioni popolari di Roma. Per l’Ossola<br />

vennero raccolti i Costumi di Montecrestese, della Valle<br />

Antigorio, di Macugnaga, di Antrona Schieranco e di<br />

Antronapiana, di Masera e della Valle Vigezzo.<br />

Le donne in genere avevano un vestito che serviva per <strong>il</strong><br />

matrimonio e per le varie occasioni e come tale veniva<br />

conservato e tramandato, mentre per i lavori domestici<br />

usavano parti di qualche vecchio vestito.<br />

Alla fine del 1800 e all’inizio del 1900, i costumi dell’Ossola<br />

vennero fotografati, riprodotti in cartoline di<br />

vario tipo, quindi divulgati: troviamo quelle a colori del<br />

dr. Trenkler di Lipsia, che ci documentano ancora una<br />

volta sul modo di vestire delle donne della Valle Antigorio,<br />

della media Valle Anzasca, di Antronapiana, di<br />

Schieranco in Valle Antrona, di Masera, di Montecrestese<br />

e di Varzo.<br />

Generalmente queste cartoline erano in bianco e nero e<br />

quasi tutte portavano <strong>il</strong> nome dello stampatore o di chi<br />

le aveva ordinate: Pirola di Intra, Fumagalli di M<strong>il</strong>ano,<br />

Menapace e la Cartografica Antonioli di Domodossola,<br />

sono i nomi di alcuni stampatori. In particolare <strong>il</strong> Costume<br />

di Macugnaga riprodotto in bianco e nero da C.<br />

Colombo, in una cartolina dell’ inizio del 1900, è uguale<br />

non solo come modello, ma anche nelle singole parti,<br />

a quello che le donne indossano attualmente per le<br />

processioni, le riunioni e per ogni avvenimento importante:<br />

si tratta di uno scamiciato nero di tessuto raffinato<br />

con un “corpetto” di velluto ricamato con f<strong>il</strong>i d’oro,<br />

riproducenti spighe, stelle alpine, non ti scordar di me,<br />

i fiori che crescono in quella località. I corpetti antichi<br />

invece hanno ricami baroccheggianti oppure recano le<br />

cifre della proprietaria e fiori riuniti alla base in una coroncina.<br />

Questo scamiciato viene indossato su camicie<br />

bianche, con <strong>il</strong> colletto ed i polsini di merletto fatto a<br />

mano; un soprabito aperto davanti, un fiocco con un<br />

nastro vivacemente colorato, uno scialle appoggiato sul<br />

fianco sinistro, completano l’abbigliamento.<br />

Ma <strong>il</strong> costume più interessante per noi è quello di Antronapiana,<br />

usato fino al 1930 circa, prima che venisse<br />

sostituito da quello che le donne di una certa età portano<br />

ancora oggi: “la vesta”.<br />

“Arcum” o “Awsti” era <strong>il</strong> nome dialettale del vecchio<br />

scamiciato di colore marrone, con l’orlo rifinito da una<br />

fettuccia di lana color senape, tagliato e cucito da un<br />

sarto residente in paese. Il tessuto usato era la mezzalana<br />

(ordito di canapa e trama di lana) che veniva follato<br />

in Valle e tinto secondo l’usanza popolare, per mezzo<br />

di un bagno prolungato in acqua in cui era stato bollito<br />

<strong>il</strong> mallo di noce. Questo scamiciato liscio davanti e ricco<br />

di pieghe nella parte dorsale, veniva indossato su rustiche<br />

camicie bianche, di canapa, coltivata, f<strong>il</strong>ata e tessuta<br />

in Valle, decorate sulle spalle e all’attaccatura delle<br />

maniche con strisce di congiunzione di “Puncèt - Riséla”;<br />

davanti veniva messo un grembiule che iniziava sotto<br />

le ascelle, boleri (giacot), giacche (trakuté), cappotti<br />

(giaca), e scarpe (cauzeramin) completavano questo<br />

singolare vestiario di cui si conservano in paese molti<br />

esemplari.<br />

Fa parte del costume di Antronapiana “<strong>il</strong> Puncetto” la<br />

preziosa trina ad ago che le Antronesi usavano ed usano<br />

per decorare le camicie e parte della biancheria di casa,<br />

trina ricca di fascino propria della Val Sesia, dove viene<br />

263


chiamata “Puncèt” perché è un insieme di tanti piccoli<br />

punti: in un centimetro quadrato di finissima trina,<br />

si contano innumerevoli nodi, è detto Riséla ad Antronapiana,<br />

unica località della Val d’Ossola, dove è conosciuta,<br />

lavorata ed usata.<br />

Con <strong>il</strong> progresso, l’industrializzazione, i mezzi di trasporto<br />

ed <strong>il</strong> lavoro femmin<strong>il</strong>e, le donne delle valli alpine<br />

hanno abbandonato questo modo di vestire che rappresentava<br />

un impegno, adeguandosi all’abbigliamento<br />

del fondovalle o della città.<br />

Dopo un periodo di stasi, sono tornati <strong>il</strong> desiderio e la<br />

moda del Costume, che viene indossato con entusiasmo<br />

anche dalle donne giovani. Sono Costumi Folk,<br />

diversi da ogni località o gruppo; prevale nel vestiario<br />

la camicia bianca ed elemento comune rimane <strong>il</strong> grembiule,<br />

ricamato con fiori, che a volte si identifica con <strong>il</strong><br />

gruppo stesso.<br />

Questa moda stimola la ricerca e compaiono “pezzi di<br />

vestiario” che appartenevano alle madri e alle nonne,<br />

che si sostituiscono a quelli recenti.<br />

Scrive G. P. Gri: “ci si veste operando delle scelte e obbedendo<br />

a dei modelli. L’ abbigliamento di una comunità<br />

alpina è uno specchio che rimanda ai confini, ai<br />

valori e agli orientamenti dei diversi gruppi che la co-<br />

264<br />

stituiscono. Dietro <strong>il</strong> quadro del vestire, si può leggere<br />

<strong>il</strong> linguaggio della comunità tradotto in forme, colori,<br />

tessuti…”<br />

Note<br />

1 Nato nel 1751 - morto 1805. Gli ultimi Stagnon risiedevano a<br />

Moncalieri (To)<br />

2 Sfragistica: disciplina che studia i sig<strong>il</strong>li dal punto di vista tecnico,<br />

artistico e storico, sig<strong>il</strong>lografia. Garzanti D. 1993 p. 1786<br />

3 Schede Wesme, L’Arte in Piemonte dal 16° al 18° secolo vol. 3°<br />

p. 1007<br />

4 Kannès Gianluca, Costumi popolari e Ricerche etnografiche in<br />

Piemonte, precedenti alla mostra del 1911 in Abbigliamento tradizionale<br />

e Costumi popolari delle Alpi. Torino 1994 p. 159<br />

5 Rizzi Enrico, I Walser, Fondazione Monti, Tip. Saccardo 2003,<br />

p. 133<br />

6 Esposizione Industriale <strong>It</strong>aliana 1881 M<strong>il</strong>ano.<br />

7 Pomarède Vincent, Corot (Parigi 1796 - 1875) Leonardo Arte,<br />

M<strong>il</strong>ano 1996. p. 101<br />

M. Kahn-Rossi, <strong>It</strong>inerari sublimi, Viaggi d’ Artisti tra <strong>il</strong> 1750 -<br />

1850. Skira edit. M<strong>il</strong>ano 1998 pp. 247- 267<br />

8 Antonio Piatti Viggiù (Varese 1873 - vivente nell’ anno 1934)<br />

Arnaldo Ferraguti (Ferrara 1862 - Forlì 1925)<br />

Riccardo Salvadori (Piacenza 1866 - M<strong>il</strong>ano 1927)<br />

9 Tutte le note bibliografiche inerenti le ricerche sono pubblicate<br />

nella Rivista Oscellana.<br />

10 Gri G.P. “Il Costume specchio della Comunità” in “L’ Alpe” n. 4<br />

Priuli e Verlucca Editori 2001 To


Attività umane e tempo libero


Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />

Umberto Chiaramonte e Sergio Lucchini<br />

Premessa<br />

Nel ricostruire la storia della Val d’Ossola alcuni autori<br />

hanno messo in r<strong>il</strong>ievo l’esistenza di attività lavorative<br />

di un certo spessore sin dai tempi più remoti. Basandosi<br />

su documenti scritti o su ritrovamenti archeologici,<br />

l’Ossola è stata descritta come una regione di antichissima<br />

tradizione mineraria di ferro, di oro, di cave di pietra<br />

e marmo e di acque minerali. In altra parte di questo<br />

volume si potranno trovare i riferimenti di quanto qui<br />

si va dicendo, tenendo conto che c’è disparità di vedute<br />

sulla datazione di questo sfruttamento minerario. 1<br />

L’esistenza sin dai tempi antichi di un gran numero di<br />

ruote idrauliche ad asse orizzontale, dimostra che nel<br />

territorio furono attivi magli, seghe per la lavorazione<br />

del legname, mantici per forni fusori e mulini per la<br />

macinazione di cereali, grazie ai numerosi corsi d’acqua<br />

della regione. Certamente nel XVII secolo queste attività<br />

erano molto elevate per numero. 2 Accanto ad esse,<br />

<strong>il</strong> sistema agricolo ossolano risentiva di una perenne staticità<br />

dovuta a oggettivi limiti posti dalla morfologia del<br />

territorio montano e dalla chiusura ad ogni innovazione.<br />

Se l’allevamento del bestiame, accanto al patrimonio<br />

boschivo, costituì per secoli una fonte di reddito,<br />

non sempre esso ebbe un impulso adeguato.<br />

Resta da sciogliere <strong>il</strong> nodo della mancata affermazione<br />

della sericoltura con la coltivazione del gelso per i bachi<br />

da seta, che in Piemonte e nella confinante Lombardia<br />

era stata causa dell’impulso economico. È certo che le<br />

ragioni del mancato sv<strong>il</strong>uppo agrario ossolano siano da<br />

ricercare anche nella scarsa disponib<strong>il</strong>ità di capitali dei<br />

quali, in una zona montana, impervia e irrigua, occorreva<br />

una discreta quantità per le anticipazioni fondiarie.<br />

Gli investimenti degli agricoltori si erano limitati sempre<br />

alla costruzione delle abitazioni, delle stalle e ad alcuni<br />

indispensab<strong>il</strong>i arnesi da lavoro, mentre mancarono<br />

i lavori di arginatura dei fiumi e la scelta qualitativa per<br />

la riproduzione dei capi di bestiame. 3<br />

A ragion veduta si può parlare di un lungo periodo caratterizzato<br />

da una arretratezza economica che trovava<br />

qualche attenuazione soltanto nella emigrazione verso<br />

i paesi europei più vicini (Francia e Svizzera). Eppure<br />

la Val d’Ossola possedeva alcune risorse naturali che<br />

avrebbero potuto consentire uno sv<strong>il</strong>uppo ancora impensab<strong>il</strong>e<br />

se a quanto si è detto si aggiungono altri fattori:<br />

l’essere al confine con la Svizzera e trovarsi sulla direttrice<br />

di traffici commerciali legali alla Lombardia e al<br />

Piemonte; poter contare su una mano d’opera che da<br />

secoli aveva avuto una tradizione nella lavorazione del<br />

ferro e dell’oro.<br />

Ragioni di spazio non consentono di presentare un<br />

quadro sintetico della dinamica dello sv<strong>il</strong>uppo ossolano<br />

dall’antichità in poi, per cui tralascerò <strong>il</strong> lungo periodo<br />

caratterizzato dalla stagnazione e dalla arretratezza<br />

e mi soffermerò sugli ultimi cento anni di storia nazionale,<br />

quelli che coincidono con <strong>il</strong> «decollo industriale»<br />

del Paese.<br />

I «prerequisiti» dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

Preliminarmente è bene dire che è diffic<strong>il</strong>e collocare con<br />

precisione <strong>il</strong> periodo in cui ci fu <strong>il</strong> passaggio dalla forma<br />

artigianale a quella che Franklin Mendels ha definito<br />

protoindustria. Con la dovuta cautela e con l’accortezza<br />

che ogni territorio ha storia e situazioni singolari,<br />

si potrebbe ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> modello studiato da Maths Isacson<br />

e Lars Magnusson per la parrocchia di Mora (Svezia).<br />

Come in quel territorio così in Val d’Ossola si poteva<br />

ritrovare la presenza centenaria di attività artigianali,<br />

la lavorazione del ferro, un progressivo, anche se lento,<br />

incremento demografico, un’agricoltura assai povera<br />

con piccoli appezzamenti e molti eredi. 4<br />

267


A ben guardare, le attività minerarie nel nostro caso erano<br />

ancora più accentuate se alle già citate si aggiungono<br />

le risorse idrauliche che con lo sfruttamento per l’energia<br />

elettrica diverranno un altro punto di forza per lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo industriale. Diciamo che <strong>il</strong> salto di qualità cominciò<br />

ad aversi con l’affermarsi di alcune idee innovative<br />

da parte della borghesia di recente formazione che<br />

aveva accumulato capitali ed esperienze nell’emigrazione<br />

o nella proprietà boschiva. Entrarono allora nell’Ossola<br />

capitali freschi che si trasformarono in lavori ed<strong>il</strong>i,<br />

in scuole e chiese, ma anche in nuove risorse finanziarie<br />

per le ricerche minerarie.<br />

Alla fine del ‘700, grazie all’intraprendenza di Pietro<br />

Maria Ceretti, si verificò una decisiva svolta nell’economia<br />

locale quando fu costituita la prima società e fu<br />

fondato <strong>il</strong> primo stab<strong>il</strong>imento per la lavorazione della<br />

ghisa in un forno di Viganella, alimentato dal carbone a<br />

legna. A quell’esperienza, continuata e migliorata negli<br />

anni successivi, noi possiamo attribuire quel ruolo decisivo<br />

che lo storico Luciano Cafagna ha definito partenza<br />

da lontano dell’industrializzazione italiana. Il Ceretti<br />

è senz’altro da annoverare tra quegli imprenditori che<br />

nella storia d’<strong>It</strong>alia sono stati visti come gli artefici della<br />

modernizzazione del nostro paese 5 .<br />

Non è compito mio definire qui <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o imprenditoriale<br />

del Ceretti (cosa che non coincide soltanto con<br />

la ricostruzione delle vicende della sua fabbrica, come<br />

è stato finora tentato), ma si deve sottolineare che uno<br />

dei suoi meriti fu quello di poter contare su capitali personali<br />

e su una dose cospicua di rischio. La sua azione<br />

non va decontestualizzata dalla schiera di imprenditori<br />

lombardi e piemontesi che si misero alla testa di attività<br />

acquisendo con tenacia una cultura industriale mediante<br />

contatti ricercati e voluti, specie del M<strong>il</strong>anese. A lui si<br />

deve quella prima mano di vernice industriale che certamente<br />

non fu di r<strong>il</strong>evanti proporzioni perché non si collegò<br />

ai circuiti nazionali ed europei, ma costituì <strong>il</strong> tessuto<br />

che proveniva inevitab<strong>il</strong>mente da lontano. 6<br />

Il merito della P.M. Ceretti fu quello di essere la prima<br />

esperienza di fabbrica e di stimolare l’estrazione del minerale<br />

ferroso ossolano, lo studio e l’adozione di nuovi<br />

metodi di lavorazione della ghisa, oltre a far scoprire<br />

l’immensa ricchezza di energia a portata di mano: i boschi<br />

e le acque. Ma si trattò sempre di produzioni ridot-<br />

268<br />

te che fino all’Unità nazionale avevano avuto un mercato<br />

locale nel contesto della siderurgia dell’area alpina.<br />

Anche le miniere d’oro erano state esercitate da famiglie<br />

ricche delle valli con una discreta quantità di mano<br />

d’opera, ma senza ambizioni industrialiste. 7<br />

L’attività estrattiva delle cave di marmo, che lavorarono<br />

molto, se non esclusivamente, per la Fabbrica del<br />

Duomo di M<strong>il</strong>ano (cave di Candoglia), o della Certosa<br />

di Pavia (cave di Crevoladossola) e del Duomo di Pavia<br />

(cave di Ornavasso), era una vera e propria protoindustria<br />

che diede lavoro a centinaia di cavatori e scalpellini.<br />

Il sistema di conduzione sarebbe da sottoporre a verifica<br />

storica per accertare la presenza di forme precapitalistiche<br />

nell’organizzazione del lavoro.<br />

In sostanza, questa caratteristica continuò a manifestarsi<br />

anche a cavallo dell’unità d’<strong>It</strong>alia e fino alla fine dell’Ottocento<br />

quando si realizzarono le condizioni che<br />

consentirono la rivalutazione delle risorse naturali locali.<br />

Nel 1861, con l’Esposizione universale di Parigi, la<br />

Val d’Ossola mise in mostra i prodotti delle sue miniere<br />

aurifere. Nel 1863, da sola, essa produsse kg 125,401<br />

d’oro, per un valore complessivo di £. 236.331, dando<br />

lavoro a 80 operai che poterono contare su 23.500 lire<br />

di salari; ma per <strong>il</strong> resto la produzione ossolana rimaneva<br />

di tipo artigianale. Nel 1875 l’Ossola partecipò all’Esposizione<br />

regionale di Novara con prodotti che fotografavano<br />

uno stato complessivo di arretratezza: pece<br />

prodotta a Trasquera, fruste a V<strong>il</strong>ladossola, rastrelli a<br />

Crodo, cannelle e ferri agricoli a Domodossola. Eppure,<br />

i 31 espositori ossolani presentarono oltre 60 specie<br />

di manufatti dimostrando che era possib<strong>il</strong>e avviare nuove<br />

prove e studii 8 .<br />

Ma già con <strong>il</strong> 1881 all’Esposizione nazionale di M<strong>il</strong>ano<br />

la qualità del lavoro ossolano venne messa in r<strong>il</strong>ievo: vi<br />

comparvero i prodotti delle cave e delle miniere, laverie<br />

e mulini per minerali, campioni di rame e di piombo<br />

argentifero, amianto, cristalli e oro. Accanto ad altre<br />

produzioni di tipo artigianale, fu presentata la lavorazione<br />

del ferro dello stab<strong>il</strong>imento della P.M. Ceretti<br />

che, nello stesso anno, aveva prodotto 460 t di ghisa.<br />

All’Esposizione nazionale di Torino nel 1884 l’Ossola<br />

e la sua produzione confermarono l’attivismo di un<br />

ceto produttivo che aspirava a migliorare e a estendere<br />

la tipologia della produzione, anche se non fu presen-


tato nulla di straordinario e di nuovo, ma certamente si<br />

trattò di una presenza che faceva sperare per la volontà<br />

di misurare le proprie energie con i 14.237 espositori<br />

con più vasta esperienza. Il risultato immediato lo si<br />

ebbe con <strong>il</strong> progetto di organizzare una Mostra ossolana<br />

nel 1895 che subì rinvii e non andò in porto per varie<br />

ragioni, ma i comitati cittadini che venivano eletti<br />

per queste esposizioni e l’interesse tra i produttori erano<br />

segnali precisi di una mentalità e di una realtà in movimento,<br />

necessarie per creare i presupposti dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico. Non a caso l’Ossola partecipò a tutte le<br />

Esposizioni regionali e nazionali che si organizzarono<br />

dopo l’Unità nazionale.<br />

Se, dunque, non si possono trascurare da parte dello<br />

storico queste tappe di lento avvicinamento al vero e<br />

proprio sv<strong>il</strong>uppo economico, se non si deve trascurare<br />

la presenza di un ceto attivo e stimolatore del progresso,<br />

occorre anche affermare che <strong>il</strong> fattore decisivo che avviò<br />

nel territorio <strong>il</strong> take off (decollo) industriale, va ricercato<br />

nelle infrastrutture ferroviarie, a partire da quella progettata<br />

dal parlamento subalpino sin dal 1857, con l’obiettivo<br />

di collegare Domodossola con Arona, sul lago<br />

Maggiore, dove terminava <strong>il</strong> troncone che collegava <strong>il</strong><br />

lago a Torino.<br />

Di fatto l’Ossola fu al centro di un lungo e approfondito<br />

dibattito tecnico e politico sulla necessità di collegare<br />

l’<strong>It</strong>alia all’Europa attraverso i trafori delle Alpi. Una<br />

ricca bibliografia documenta la vastità e la versat<strong>il</strong>ità di<br />

questo dibattito nel quale si inserirono politici, intellettuali<br />

e tecnici di grande livello. L’Ossola si trovò al<br />

centro di questa attenzione per le evidenti implicazioni<br />

di carattere economico che ne avrebbe avuto. Vegezzi<br />

Ruscalla, nel farsi paladino di un collegamento ferroviario<br />

attraverso la Val d’Ossola, scriveva: Fate una strada<br />

ferrata e l’Ossola vedrà sorgere fabbriche ed usine, perché<br />

i bassi prezzi dei salari e le costruzioni poco dispendiose<br />

vi chiameranno i capitali degli imprenditori d’industrie<br />

9 .Il Ruscalla, anche se le sue argomentazioni e<br />

<strong>il</strong> suo progetto per un tronco ferroviario Arona-Domodossola<br />

in quel periodo non trovarono ascolto, e anche<br />

se alla base del suo ragionamento si poteva cogliere <strong>il</strong> vizio<br />

di una visione «colonialista» della Valle, fu un fac<strong>il</strong>e<br />

profeta. La vaporiera arrivò a Domodossola <strong>il</strong> 19 settembre<br />

1888, molto in ritardo rispetto ai progetti po-<br />

litici e al dibattito; e vi arrivò da Novara-Borgomanero<br />

anziché, come avrebbero preferito i m<strong>il</strong>anesi, da M<strong>il</strong>ano-Arona.<br />

Non mancarono le perplessità di chi denunciava<br />

che si erano preferiti gli interessi genovesi e torinesi<br />

a quelli lombardi-m<strong>il</strong>anesi, se non altro per collegare<br />

quell’area siderurgica padana che s’apprestava a svolgere<br />

un ruolo cardine nell’ossatura dell’industrializzazione<br />

a nord di M<strong>il</strong>ano.<br />

La rivincita i m<strong>il</strong>anesi se la presero dieci anni dopo<br />

quando, <strong>il</strong> 1 agosto 1898 dal versante svizzero e <strong>il</strong> 16<br />

agosto da quello italiano, iniziarono i lavori di scavo<br />

per <strong>il</strong> traforo del Sempione che richiese anch’esso lunghi<br />

studi e defatiganti dibattiti. Esso costituì non solo<br />

una tappa nella politica dei trafori alpini, ma fu anche<br />

<strong>il</strong> trionfo della tecnologia del Politecnico di Zurigo dal<br />

quale provenivano i dirigenti dei lavori e degli accorgimenti<br />

tecnico-sanitari che evitarono o ridussero gli incidenti,<br />

pur aumentando i ritmi di avanzamento. Con<br />

<strong>il</strong> traforo, aperto nel maggio 1906, fu realizzata la ferrovia<br />

Arona-Domodossola e fu collegata questa città con<br />

<strong>il</strong> confine svizzero realizzando <strong>il</strong> sogno m<strong>il</strong>anese di accorciare<br />

le distanze con Ginevra e Parigi.<br />

Era appena stato iniziato <strong>il</strong> traforo del Sempione quando<br />

in Val d’Ossola, <strong>il</strong> 19 ottobre 1898, i sindaci dei<br />

16 Comuni della Valle Vigezzo costituirono un comitato<br />

per promuovere un collegamento ferroviario internazionale<br />

tra Domodossola, Vigezzo e Locarno. Il progetto,<br />

al quale parteciparono italiani e svizzeri, fu visto<br />

nel quadro di un più ampio rosone di collegamenti ferroviari,<br />

in particolare esso avrebbe collegato <strong>il</strong> Sempione<br />

al Gottardo raggiungib<strong>il</strong>e da Locarno. Ma dai primi<br />

progetti all’inizio dei lavori, nel 1912, e all’attraversamento<br />

della Valle della prima locomotiva, nel novembre<br />

1923, trascorsero molti anni di discussioni, relazioni,<br />

ricerca di capitali e di adesioni ministeriali.<br />

La ferrovia divenne, nell’immaginario collettivo, ma<br />

prima ancora della classe dirigente locale, la materializzazione<br />

del progresso tecnico e <strong>il</strong> simbolo della possib<strong>il</strong>e<br />

industrializzazione. Nel 1908 la stampa diede notizia<br />

di un collegamento ferroviario a trazione elettrica<br />

tra Domodossola e la cascata del fiume Toce; nel 1910<br />

si ideò la ferrovia della Valle Anzasca, terra mineraria di<br />

antica tradizione, con lo scopo di raccordare Gornergrat<br />

e Zermatt e la Valle di Saas attraverso <strong>il</strong> passo del<br />

269


monte Moro, con Gletsh e la Furka, mentre nel versante<br />

italiano si sarebbe collegata Domodossola al Gottardo<br />

e alla Valle Formazza. Per queste linee si ipotizzavano<br />

un flusso turistico di almeno 100.000 persone e<br />

entrate per complessive 1.036.000 lire comprese alcune<br />

iniziative alberghiere. Dello stesso tenore era <strong>il</strong> progetto<br />

di una linea che avrebbe collegato Domodossola<br />

e la Svizzera attraverso le valli Antigorio e Formazza nel<br />

quadro di un accesissimo dibattito sullo Spluga e sulla<br />

Greina, con <strong>il</strong> vantaggio, secondo i progettisti, di costare<br />

otto volte meno di questi.<br />

Se una caratteristica va evidenziata, di sicuro occorre<br />

dire che la classe politica locale, sostenuta dai tecnici<br />

e dalla borghesia, prese parte attiva alla progettazione<br />

e al reperimento dei capitali per sostenere progetti che<br />

poi non si poterono realizzare. Parlarne costituisce un<br />

modo per evidenziare una mentalità che si era aperta<br />

al nuovo e al rischio con la partecipazione di piccoli risparmiatori<br />

e società che si andarono costituendo nel<br />

territorio. Ed è anche opportuno riflettere come si andò<br />

modificando la mentalità con <strong>il</strong> farsi strada, in ampi<br />

strati anche popolari, dell’idea di una diversa concezione<br />

dell’«industria del forestiero», come veniva chiamata<br />

allora l’industria turistica. In altre parole, si andò radicando<br />

una nuova opportunità della modernizzazione<br />

data dal turismo, senza alcun dubbio sulla scia dell’esperienza<br />

della vicina Svizzera.<br />

Il «decollo» industriale<br />

Non vi possono essere dubbi sul fatto che <strong>il</strong> «caso Ossola»<br />

si inserisce in modo paradigmatico tra i modelli dello<br />

sv<strong>il</strong>uppo economico che storici ed economisti hanno<br />

studiato. Secondo i tre indici della produzione, elaborati<br />

da Gerschenkron, da Fenoaltea e dall’Istat, che<br />

collocano al 1896-1908 <strong>il</strong> momento più alto della crescita<br />

industriale, lo sv<strong>il</strong>uppo sarebbe caratterizzato da<br />

fasi cicliche di un unico processo iniziato alla fine degli<br />

anni 1870 per i primi due, mentre si potrebbe parlare<br />

di un decollo industriale avvenuto a cavallo del secolo per<br />

l’Istat. 10 Gli storici economici oggi propendono più per<br />

un modello «ciclico» con fasi alterne; per l’Ossola si può<br />

parlare di un vero e proprio «decollo» verificatosi attorno<br />

al 1888-1906 quando si ebbero le infrastrutture ferroviarie<br />

e quindi si ampliarono gli impianti, arrivarono<br />

270<br />

i capitali, s’incrementarono produzione, livelli occupazionali<br />

e popolazione in percentuali di gran lunga superiori<br />

ai periodi precedenti.<br />

In che misura, allora, le infrastrutture ferroviarie costituirono,<br />

come era stato detto all’inizio, un «prerequisito»<br />

per l’industrializzazione ossolana?<br />

Si è visto come di per sé la realizzazione della rete ferroviaria<br />

ossolana costituì la prima forma di modernizzazione<br />

o, meglio, di industrializzazione se a questo<br />

termine riconosciamo un sinonimo di crescita economica<br />

sostenuta. 11 Se concordiamo con Wrigley, l’industrializzazione<br />

si verifica quando <strong>il</strong> reddito reale per<br />

abitante comincia ad aumentare regolarmente e senza limite<br />

apparente e ciò in relazione con cambiamenti importanti<br />

e continui nella tecnologia, fra i quali l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />

di nuove fonti energetiche.<br />

Che l’industrializzazione ossolana cominci nei periodo<br />

della realizzazione delle ferrovie lo si può dimostrare attraverso<br />

una breve analisi dei più importanti fatti economici.<br />

Per cominciare, si pensi che dalla Pietro Maria<br />

Ceretti nel 1892, subito dopo la prima realizzazione<br />

ferroviaria, si costituì la Fratelli Vittore ed Enrico Ceretti<br />

per bulloneria, con un capitale iniziale minimo di<br />

appena 40.000 lire. Come spiegare una scissione «fam<strong>il</strong>iare»<br />

nel momento in cui si realizzavano le concentrazioni<br />

di complessi più agguerriti? Certamente influirono<br />

alcune incomprensioni e divergenze sulla politica<br />

aziendale nella siderurgia ossolana e non è da escludere<br />

che non fosse condiviso l’isolamento scelto dalla P.M.<br />

Ceretti di fronte alla creazione del «Sindacato del ferro»<br />

che in seguito diede vita alla «Agenzia commissionaria<br />

metallurgica», con sede a Firenze, con l’obiettivo di razionalizzare<br />

vendite e specializzazioni siderurgiche.<br />

Ma la costruzione del Sempione aveva già fatto modificare<br />

la mentalità aziendalista delle due imprese siderurgiche:<br />

nel 1899 la Ceretti costruì un impianto idroelettrico<br />

di 400 hp sfruttando <strong>il</strong> fiume Ovesca, e lo stesso<br />

indirizzo di priv<strong>il</strong>egiare l’energia elettrica lo ebbero Vittore<br />

ed Enrico Ceretti. Le innovazioni introdotte determinarono<br />

un incremento di produzione di ghisa, di<br />

ferro omogeneo, di verghe e vergella, di bulloni e viti<br />

consentendo alle due imprese di partecipare alle commesse<br />

per la costruzione della linea Arona-Domodossola-Iselle<br />

(confine) e per <strong>il</strong> traforo del Sempione. E fu


questo che convinse l’industria siderurgica ossolana a<br />

rivedere la politica industriale per arginare la concorrenza.<br />

In <strong>It</strong>alia <strong>il</strong> «cartello» siderurgico si andava rafforzando<br />

vistosamente con la creazione di un trust e con la nascita<br />

della società Ilva ed in questo contesto di concentrazioni<br />

industriali andava inserito <strong>il</strong> progetto di un Consorzio<br />

siderurgico che fu ideato tra la P.M. Ceretti e la<br />

Fratelli Ceretti nel 1906. 12<br />

L’intento della famiglia Ceretti era quello di riunire le<br />

loro aziende e formare un unico grandioso stab<strong>il</strong>imento<br />

colla costituzione di una società anonima col capitale di £<br />

2.500.000. Scopo precipuo [... era] dare incremento alla<br />

produzione rispettiva attese le circostanze tutte sia riguardanti<br />

i rispettivi Enti industriali, sia dipendenti del mercato<br />

siderurgico, eccezionalmente favorevole...”<br />

Insieme le due aziende aspiravano ad un ruolo più dinamico<br />

all’interno della siderurgia nazionale dell’area padana-m<strong>il</strong>anese<br />

(in particolare delle Acciaierie e Ferriere<br />

Lombarde, delle molteplici attività sv<strong>il</strong>uppate dai Falk,<br />

dai Vanzetti, dai Fratelli Redaelli) che doveva reggere la<br />

forte concorrenza della siderurgia tirrenica (Piombino)<br />

Stab<strong>il</strong>imento Pietro Maria Ceretti, nei primi ’900.<br />

e ligure che aveva <strong>il</strong> vantaggio di godere di forti legami<br />

con le commesse statali ed una forte tendenza a sottrarsi<br />

alle leggi della concorrenza. 14 La società dei Fratelli Ceretti,<br />

con l’apporto di nuovi capitali affluiti dalle Officine<br />

Reggiane, si trasformò — alla fine del 1906 — in<br />

Società anonima La Metallurgica Ossolana approntando<br />

una nuova acciaieria su un terreno di 30.000 mq;<br />

l’antica P.M. Ceretti si trasformò anch’essa in Società<br />

anon. Industriale P.M. Ceretti per l’esercizio dell’attività<br />

metallurgica, minerallurgica e idroelettrica rafforzando<br />

<strong>il</strong> proprio capitale fino a 1.500.000 lire di cui i Ceretti<br />

acquisirono un terzo.<br />

Le due società non si fusero, ma <strong>il</strong> loro consorzio le<br />

avrebbe fatte collaborare per dieci anni. I dati in possesso<br />

dimostrano la crescita progressiva e costante delle<br />

due società, sia come ammodernamento tecnologico dei<br />

macchinari, sia come investimenti e sia come produttività.<br />

Del resto fu tutto <strong>il</strong> settore metallurgico italiano a<br />

registrare un incremento produttivo di ghisa dal 1911<br />

al 1926, ad eccezione degli anni 1919-1923; lo stesso<br />

incremento si ebbe nella produzione del ferro e dell’acciaio<br />

che nel 1922 aveva recuperato le perdite postbelli-<br />

271


che. L’Alto Novarese, che contava due stab<strong>il</strong>imenti siderurgici<br />

nell’Ossola e uno ad Omegna (Soc. Metallurgica<br />

Cobianchi), non fu da meno acquisendo incrementi<br />

di tutto rispetto: nel 1912, ad esempio, la produzione<br />

di ferro era stata di 3.400 t e quella di acciaio di 21.120<br />

t; nel 1913 la produzione era stata rispettivamente di<br />

2.500 t e di 29.020 t. 15 La siderurgia ossolana agì nel<br />

territorio come fattore primario di urbanizzazione tanto<br />

che V<strong>il</strong>ladossola registrò un incremento demografico<br />

del 55,1% medio annuo nel 1901-11, e del 26,2% nel<br />

1911-21. 16 Che questa grande immigrazione fosse dovuta<br />

specialmente agli insediamenti siderurgici era r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e<br />

dal dato sull’occupazione: nel censimento industriale<br />

del 1911 nel comune di V<strong>il</strong>ladossola gli addetti<br />

all’industria risultavano 1.002 unità, di cui 524 nel solo<br />

settore metallurgico (52,3%),<br />

Se la siderurgia rappresentò <strong>il</strong> motore trainante dell’industrializzazione<br />

ossolana non bisogna trascurare altre<br />

iniziative imprenditoriali. Il tradizionale settore minerario<br />

dell’oro, che si era distinto per i repentini e soverchi<br />

passaggi di proprietà tra famiglie benestanti senza<br />

alcuna cultura imprenditoriale, era stato preso di mira<br />

dai capitali stranieri (belgi, svizzeri, inglesi e francesi),<br />

ma continuò a soffrire di carenza di modernizzazione.<br />

Nell’età del «decollo industriale» l’oro ossolano risentì<br />

della crisi generale: costi alti, eccessivo carico fiscale,<br />

scarsa redditività del minerale. Se fino al 1896 l’occupazione<br />

nel settore era stata in media di 470 unità,<br />

prima della grande guerra gli addetti scesero sotto<br />

<strong>il</strong> centinaio. 17 In questo contesto l’ingresso della famiglia<br />

Ceretti nella proprietà mineraria costituì una novità<br />

in quel 1906 che si può assumere come anno di addio<br />

del grande r<strong>il</strong>ancio industriale della Valle. In realtà,<br />

l’ingresso dei Ceretti nel settore minerario ebbe come<br />

primo scopo l’acquisto dei macchinari, mentre i venditori<br />

(la The Pestarena United Gold Mining Co.) avevano<br />

messo una clausola «capestro» che mirava a disattivare<br />

la miniera, cosa che l’Ufficio delle miniere proibì<br />

imponendo ai Ceretti la coltivazione della miniera pena<br />

la decadenza.<br />

Lentamente ripresero gli investimenti e l’ammodernamento<br />

dei macchinari finché, nel 1917, la proprietà fu<br />

acquisita direttamente dalla Soc. An. P.M. Ceretti. Il<br />

passaggio costituiva la grande novità nel settore minera-<br />

272<br />

rio ossolano in quanto era la prima volta che una società<br />

per azioni italiana se ne interessava. Nel 1920 ripresero<br />

i lavori di ristrutturazione che durarono tre anni. La società,<br />

col tempo, intuì la possib<strong>il</strong>ità di uno sfruttamento<br />

alternativo di acque arsenicali con virtù terapeutiche<br />

evidenziando come soltanto investimenti adeguati<br />

e continui avrebbero potuto consentire uno sfruttamento<br />

remunerativo. Il settore andò contraendosi proprio<br />

nel momento in cui la grande industria e nuove<br />

esperienze produttive entrarono in Val d’Ossola, ma rimaneva<br />

attivo <strong>il</strong> settore delle cave di pietra e di marmo<br />

che da sempre erano state un importante fattore di sv<strong>il</strong>uppo,<br />

malgrado le vicende non sempre positive.<br />

Dal 1904 al 1909 le cave di granito rosso erano 4, mentre<br />

quelle di gneiss erano salite da 305 a 347 nello stesso<br />

periodo, e la produzione era passata da t 76.400 a<br />

t 106.500; <strong>il</strong> valore complessivo del prodotto era salito<br />

dalle 275.000 lire al 1.548.000; l’occupazione era rimasta<br />

sempre molto alta a causa della scarsa meccanizzazione:<br />

dai 1.383 addetti (di cui 133 fanciulli) si era<br />

giunti ai 1.875 (con 98 ragazzi). I dati dimostrano l’importanza<br />

del settore nell’economia del territorio soprattutto<br />

dal momento in cui si realizzarono interventi di<br />

modernizzazione. Anche qui, come nella siderurgia, si<br />

avvertì la necessità di costituire un Consorzio per ridurre<br />

gli effetti della concorrenza, tanto che nel 1912 le 10<br />

società consorziate produssero da sole t 23.000 contro<br />

le 7.000 t delle aziende rimaste fuori. Anche dopo l’ammodernamento<br />

<strong>il</strong> numero degli addetti rimase sempre<br />

attorno al migliaio.<br />

Sebbene le acque minerali fossero conosciute da antica<br />

data, è certo che solo con la fine del XIX secolo e soprattutto<br />

con l’età giolittiana ci fu una particolare attenzione<br />

dei capitalisti verso questo settore. Le acque di<br />

Bognanco erano state scoperte nel 1863, ma erano rimaste<br />

senza un vero sfruttamento commerciale; a Craveggia<br />

si censiva uno stab<strong>il</strong>imento per le cure termali<br />

verso la fine dell’Ottocento, ma le sue proporzioni<br />

erano poca cosa potendo accogliere 24 persone. A questo<br />

richiamo non furono estranei gli studi e gli esami di<br />

laboratorio presentati da alcuni studiosi in memorie e<br />

opuscoli. Non a caso nel 1906 si costituì nella Valle Anzasca<br />

un comitato per la costituzione di una potente società<br />

anonima per l’esercizio delle miniere, per l’indivi-


duazione degli alberghi e per lo sfruttamento delle sorgenti<br />

arsenicali mangano ferruginose ed infine ut<strong>il</strong>izzare una<br />

forza d’acqua di 280 cavalli per l’<strong>il</strong>luminazione elettrica<br />

[del comune di Vanzone] ed altri Comuni o per l’impianto<br />

di eventuali industrie. 18<br />

Appare evidente come si stesse sv<strong>il</strong>uppando una nuova<br />

mentalità aperta all’impresa non con progetti astratti,<br />

ma con la costituzione di vere e proprie società anonime<br />

con azionariato di piccoli e medi risparmiatori decisi<br />

a farsi avanti e di rischiare. In questo caso si raccolsero<br />

600.000 lire per <strong>il</strong> capitale iniziale che fu appoggiato<br />

dal Banco dell’Ossola, dalla Banca Popolare di Intra<br />

e dal Credito <strong>It</strong>aliano di M<strong>il</strong>ano. Ma ad entrare nella<br />

società fu anche la Ceretti che acquisì la maggioranza<br />

del pacchetto azionario della nuova Società An. Sorgenti<br />

Minerali e Miniere di Vanzone. Insomma, <strong>il</strong> patrimonio<br />

ossolano fu recuperato dal capitale locale prima<br />

che da quello forestiero, con risultati non esaltanti,<br />

ma di tutto rispetto. D’altra parte un grande progetto<br />

di portare l’acqua sino a Stresa mediante una tubazione<br />

di gres, dove si sarebbe dovuto costruire un moderno albergo,<br />

uno stab<strong>il</strong>imento termale e le infrastrutture per <strong>il</strong><br />

soggiorno termale, non andò in porto perché mancarono<br />

le risorse necessarie, ma la società ebbe sempre ut<strong>il</strong>i<br />

e dividendi, tanto che nel 1910 <strong>il</strong> capitale sociale era salito<br />

a £. 1.100.000.<br />

Sempre nel 1906 le acque di Bognanco ebbero la loro<br />

prima rivalutazione con la costruzione di uno stab<strong>il</strong>imento<br />

termale; mentre nel 1908 fu costruito un albergo<br />

dando l’avvio all’attività termale e alla commercializzazione<br />

delle acque. Come per un «effetto alone» anche<br />

a Crodo nel 1909 si cominciarono a commercializzare<br />

le acque di quella stazione termale, note sin dal 1841.<br />

Nella Val d’Ossola sorsero piccole aziende che producevano<br />

attrezzi da lavoro (G. Bentivoglio a Piedimulera),<br />

di carpenteria meccanica e impianti industriali (E.<br />

Moise a Domodossola), per la fabbricazione di bulloni,<br />

dadi, rivetti per caldaie, porta isolatori, chiavarde per<br />

armamentario ferroviario e tramviario (Morino-Sacchi<br />

a Vogogna), e sorsero tante piccole imprese artigianali<br />

che, in fondo, si riconnettevano alle antiche tradizioni<br />

ossolane, ma con nuovo spirito di impresa. Lo stesso<br />

si deve aggiungere per <strong>il</strong> settore tess<strong>il</strong>e dove i 213 telai<br />

domestici per la tessitura del lino e della canapa, censi-<br />

ti dalla statistica industriale del 1899 nella provincia di<br />

Novara, diffusi in tanti piccoli comuni delle valli ossolane,<br />

davano lavoro alternativo a molte donne. Era una<br />

dotazione non vistosa, ma che in provincia si collocava<br />

dopo Novara (1.087 telai), Biella (531 più 1.139 per la<br />

lana) e Varallo Sesia (380).<br />

Con <strong>il</strong> 1900 alcuni industriali m<strong>il</strong>anesi accettarono di<br />

trasferire nell’Ossola lo stab<strong>il</strong>imento Pietro Frattini per<br />

la lavorazione della juta che aveva intenzione di chiudere.<br />

Si trattava di un settore produttivo giovane per l’<strong>It</strong>alia<br />

essendo comparso soltanto nel 1870 e che risentiva<br />

di una completa dipendenza dall’estero per la materia<br />

prima. 19 Raggiunto un accordo con Vittore Ceretti,<br />

sindaco di V<strong>il</strong>ladossola e industriale, fu costituita la nuova<br />

Soc. An. Jutificio Ossolano con un capitale sociale di<br />

£ 700.000 al quale aveva aderito una cordata di industriali<br />

m<strong>il</strong>anesi ed ossolani (tra i quali ultimi Maffioli e<br />

figlio della omonima banca, e Mogni proprietario del<br />

Banco dell’Ossola, nonché la famiglia Ceretti), più altri<br />

azionisti di Intra. Anche questa iniziativa era una spia di<br />

quella nuova volontà industrialista che si stava diffondendo<br />

nella Valle. Certo, come si vedrà, a far propendere<br />

per una ubicazione nel territorio, oltre ai nuovi capitali,<br />

avevano contribuito altre ragioni, tra cui la possib<strong>il</strong>ità<br />

di reperire energia elettrica in loco a costi inferiori.<br />

La possib<strong>il</strong>ità occupazionale si rivelò subito alta: 328 al<br />

1° settembre 1902, quasi tutte donne, di cui molte immigrate<br />

da fuori provincia e con una età compresa tra i<br />

14 e i 52 anni. 20 Se però l’andamento occupazionale fu<br />

ragguardevole fu anche soggetto a mob<strong>il</strong>ità, e lo Jutificio<br />

conobbe momenti diffic<strong>il</strong>i sin dall’inizio, dovuti sia<br />

alla mancanza di ammodernamenti, sia alla scarsità di<br />

materie prime e di commesse.<br />

L’impresa volle assicurarsi una mano d’opera stab<strong>il</strong>e<br />

contribuendo alla costituzione di una «pensione» o<br />

«ospizio» che fu affidato alle suore del Buon Gesù. L’andamento<br />

della produzione fu discontinuo, ma decisamente<br />

positivo a cavallo della prima guerra mondiale<br />

quando le commesse statali lo incrementarono. Quello<br />

che mancò fu una politica aziendale propulsiva con<br />

<strong>il</strong> risultato che nel 1927 lo stab<strong>il</strong>imento dovette chiudere.<br />

In <strong>It</strong>alia, a fronte di una produzione di 50 m<strong>il</strong>ioni<br />

di manufatto, <strong>il</strong> mercato riusciva ad assorbirne appena<br />

la metà; non si riuscì a rafforzare l’esportazione che<br />

273


fino al 1913 era stata di q 90.617, né si riuscì a trovare<br />

un accordo fra gli industriali per ridurre la sovraproduzione.<br />

21<br />

La nuova fonte energetica: l’elettricità<br />

Ma i fattori del take off andavano oltre a quelli descritti<br />

sin qui. Come ha sostenuto Cafagna, l’energia elettrica<br />

è stata la terza grande direttrice strategica dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico italiano [...], di tutte forse la più importante<br />

22 , dopo la conquista del mercato interno da parte<br />

dell’industria tess<strong>il</strong>e e la nascita della siderurgia a ciclo<br />

integrale. Ebbene, l’Ossola fu coinvolta nell’industrializzazione<br />

anche grazie alle sue risorse idriche che<br />

attirarono l’attenzione di banche e capitalisti italiani e<br />

stranieri per uno sfruttamento idroelettrico dei bacini<br />

imbriferi in modo globale, accelerando ulteriormente i<br />

fattori dello sv<strong>il</strong>uppo.<br />

Il «mito» dell’elettricità era giunto nella Valle nel 1896,<br />

vale a dire tre anni dopo la istituzione della stazione elettrica<br />

di Santa Radegonda a M<strong>il</strong>ano. Sin d’allora a Domodossola<br />

si avviò <strong>il</strong> dibattito sulla necessità di <strong>il</strong>luminare<br />

la città e furono studiati i primi progetti che si conclusero<br />

nel 1890 quando la luce elettrica arrivò grazie<br />

soprattutto all’impulso dato dalla municipalità che era<br />

costituita da un ceto borghese molto aperto all’innovazione<br />

e al progresso. Nel 1894 la prima appaltatrice dell’<strong>il</strong>luminazione,<br />

la Soc. Marazza, Castiglioni e Mantica,<br />

avvalendosi di nuovi capitali bresciani, si trasformò in<br />

Società in accomandita semplice Fraschini, Porta & C.,<br />

con un capitale iniziale di £ 600.00, r<strong>il</strong>evando oneri e<br />

patrimonio dalla precedente. Ma la prova fu così positiva<br />

che qualche anno dopo gli Ossolani crearono una<br />

loro società elettrica che r<strong>il</strong>everà l’appalto dell’<strong>il</strong>luminazione<br />

cittadina grazie agli appoggi degli amministratori<br />

locali non del tutto estranei al patrimonio societario.<br />

Tra le prime aziende ad arrivare nell’Ossola, nel 1899,<br />

ci fu la Soc. per le Forze Motrici dell’Anza, con sede a<br />

M<strong>il</strong>ano e amministrazione a Novara, iniziando lo sfruttamento<br />

del fiume Anza, in località Fomarco, con lo<br />

scopo di produrre l’energia elettrica da trasportare a<br />

Novara e giungere fino ad Arona sul lago Maggiore e in<br />

Valsesia passando dalle stazioni di Gravellona e di Borgomanero.<br />

Ma per la Val d’Ossola <strong>il</strong> salto qualitativo si<br />

verifìcò — come si è detto — quando nel 1901 si co-<br />

274<br />

stituì la Soc. An, Idroelettrica Ossolana con <strong>il</strong> modesto<br />

capitale iniziale di £ 360.000 che faceva capo al Banco<br />

dell’Ossola. Era la riprova che non si voleva restare ad<br />

aspettare gli investimenti del capitale forestiero, indice<br />

di un mutamento di mentalità nuova e della nascita di<br />

una imprenditorialità ancora acerba, ma che stupiva per<br />

<strong>il</strong> fervore con cui riusciva a trovare capitali per le iniziative<br />

industriali.<br />

Con finalità industriali, invece, la P.M. Ceretti aveva<br />

iniziato a sfruttare le acque dell’Ovesca nel 1898 per ridurre,<br />

almeno in parte, la dipendenza dal carbone. Costruì<br />

un impianto di 400 hp che servì al funzionamento<br />

di un laminatoio, tra i primi d’<strong>It</strong>alia. Nello stesso anno<br />

a Novara si costituì la Soc. Elettrica Ossolana con un<br />

capitale di £ 1.600.000 proveniente specialmente dal<br />

Verbano, per lo sfruttamento di una centrale elettrica in<br />

Valle Antrona, che avrebbe servito la zona di Intra.<br />

Un’altra iniziativa si ebbe con la nascita della Soc. Idroelettrica<br />

Vigezzina, <strong>il</strong> 17 novembre 1901, con capitali<br />

esclusivamente dei «capi famiglia del mandamento» 23 ,<br />

iniziando con un capitale sociale di £ 112.000. Tutte<br />

queste centrali a carattere locale, se pure di non elevate<br />

dimensioni, davano una produzione di 3.000 kw, vale<br />

a dire un quarto dei 12.000 kw che si producevano nel<br />

Piemonte in quel periodo.<br />

Tuttavia, <strong>il</strong> grande balzo nello sfruttamento idroelettrico<br />

ossolano si deve far iniziare con l’ingresso delle grandi<br />

imprese elettriche: la Soc. Ettore Conti, la Edison e<br />

la Dinamo. Ettore Conti fondò con Gadda la Società<br />

Gadda & C. per la costruzione di materiale elettrico<br />

e fu per questa sua professionalità che la locale Soc.<br />

Idroelettrica Vigezzina lo scelse come consulente aziendale.<br />

Nel 1901 egli fondò la Soc. An. Imprese Elettriche<br />

Conti con un capitale di 3 m<strong>il</strong>ioni di lire. La sua politica<br />

di assorbimento di piccole aziende locali non urtò<br />

mai con i piccoli azionisti del luogo che spesso venivano<br />

lasciati nei consigli di amministrazione. Lo sfruttamento<br />

delle acque ossolane da parte della Conti interessava<br />

una superficie non inferiore ai 300 kmq e partiva da<br />

Crevoladossola terminando al confine con la Svizzera.<br />

Può dare un’idea degli interessi elettrici della Conti un<br />

breve elenco: essa costruì l’impianto di Valdo che, con<br />

lo sbarramento del lago Vannino, dava una potenzialità<br />

di 9 m<strong>il</strong>ioni di mc di invaso; un altro impianto,


formato dal lago Busin inferiore, interessava un invaso<br />

di 4.800.000 mc e un altro ancora, con <strong>il</strong> lago Obersee,<br />

aveva un invaso di 1.500.000 mc; quello di Rivasco<br />

sfruttava un bacino idrografico di 119 kmq ai quali<br />

si aggiungevano altri 19 kmq con le acque del torrente<br />

Vova. Questi impianti furono realizzati nell’età<br />

giolittiana, mentre sotto <strong>il</strong> fascismo fu portato a termine<br />

l’impianto di Cadarese che aveva un bacino di 151<br />

kmq, mentre più a valle si trovava l’impianto di Crego<br />

con un bacino di 182 kmq. Nel sistema idrico del Devero<br />

gli impianti divennero molti e tutti di livello superiore:<br />

a Goglio la Conti ne costruì uno nel 1911; a Verampio<br />

nel 1915 e altri sull’affluente Rivo d’Arbola, a<br />

Crampiolo, a Rivo Buscagna.<br />

Attorno al primo conflitto mondiale la potenza degli<br />

impianti della Conti non era inferiore ai 42.000 kw e<br />

lo stesso Ettore Conti nelle sue memorie valutò l’Ossola<br />

come <strong>il</strong> primo esempio in <strong>It</strong>alia, e forse anche altrove,<br />

Immagine storica della fonderia di V<strong>il</strong>ladossola.<br />

di sfruttamento integrale di un grande bacino imbrifero,<br />

in modo che nessuna parte della ricchezza idraulica contenutavi<br />

vada perduta. 24<br />

La Società Dinamo sfruttò <strong>il</strong> fiume Diveria e <strong>il</strong> torrente<br />

Cairasca nei comuni di Varzo e Trasquera con due impianti<br />

e sei gruppi complessivi di potenza pari a 14.430<br />

hp e 11.000 kw di elettricità che serviva per la elettrificazione<br />

della ferrovia Iselle (confine) — Domodossola<br />

e per la città di Novara, oltre che per sostentare i macchinari<br />

di alcune industrie.<br />

La Società Edison, sorta nel 1884, partecipò allo sfruttamento<br />

del fiume Toce (con la Conti); costruì diverse<br />

dighe, come quella di Crevoladossola; di Campliccioli<br />

in valle Antrona dove, nel 1916, iniziò lo sfruttamento<br />

del fiume Ovesca. Il ruolo della Edison divenne<br />

predominante quando iniziò la politica degli assorbimenti<br />

di piccole aziende elettriche e della E. Conti.<br />

Per avere un’idea del volume ut<strong>il</strong>e degli invasi di pro-<br />

275


prietà della società basterebbe ricordare che si trattava<br />

di 33.450.000 mc di invaso. 25<br />

I tre colossi elettrici ricavarono molti ut<strong>il</strong>i dai loro interessi<br />

nell’Ossola. La Conti incrementò <strong>il</strong> capitale sociale<br />

del 1911, che era di 16 m<strong>il</strong>ioni, arrivando ai 22 m<strong>il</strong>ioni<br />

e mezzo del 1916 e ai 27 m<strong>il</strong>ioni del 1917; la Dinamo<br />

nel 1911 aveva un capitale di 5 m<strong>il</strong>ioni di lire, rimasto<br />

invariato fino al 1916, ma fu raddoppiato nel<br />

1917; e la Edison, che nel 1916 aveva un capitale di 18<br />

m<strong>il</strong>ioni di lire, nel 1917 lo elevò a 24 m<strong>il</strong>ioni. Altrettanto<br />

cospicui furono i dividendi distribuiti agli azionisti,<br />

mentre l’intera produzione di energia era aumentata:<br />

nel 1898 in <strong>It</strong>alia la potenza idroelettrica installata<br />

era di 40.441 kw, nel 1911 era di 500.000 kw e nel<br />

1918 di 901.617 kw. Ciò fu possib<strong>il</strong>e grazie al crescente<br />

consumo di elettricità sia per i bisogni dell’industria<br />

che per quelli domestici.<br />

I benefici che derivarono agli Ossolani furono r<strong>il</strong>evanti<br />

almeno per due ordini di motivi: primo, la regione<br />

divenne un’area altamente remunerativa per l’ubicazione<br />

di impianti industriali a causa del fac<strong>il</strong>e reperimento<br />

dell’energia elettrica a basso costo; secondo, a costruire<br />

gli impianti erano state incaricate l’ossolana Impresa<br />

Umberto Girola che diverrà una specialista in grandi<br />

opere pubbliche a livello nazionale e internazionale<br />

e altre ditte (fra cui l’Impresa Poscio di V<strong>il</strong>ladossola<br />

che sorse nel 1902) che per i loro lavori impiegarono<br />

mano d’opera locale dando inizio a installazioni di cantieri<br />

con caratteristiche di veri e propri opifici industriali<br />

tali da consentire una produzione muraria di ottima qualità<br />

ed in quantità giornaliere impensate per /’addietro. 26<br />

Ma altri vantaggi derivarono dalla costruzione di strade<br />

e gallerie che servirono per <strong>il</strong> trasporto dei macchinari<br />

per le centrali elettriche, che poi restarono in uso alle<br />

comunità locali. Un autore calcolò un reddito lordo annuo<br />

di circa 2.000 lire prebelliche per ogni ha sotto forma<br />

di energia elettrica, vale a dire circa 7 volte <strong>il</strong> reddito<br />

agrario-forestale-pastorizio di quelle terre. 27<br />

A riprova di quanto si è affermato basterebbe presentare<br />

la proliferazione di attività piccole e grandi che si insediarono<br />

nella Val d’Ossola nel periodo del «decollo»<br />

industriale, oltre a quelle già esposte. Sorsero soprattutto<br />

industrie chimiche che avevano bisogno di molta<br />

energia elettrica. Nel 1908 a Domodossola sorse la<br />

276<br />

Ditta Pazzaglia per la galvanoplastica, argentatura, doratura<br />

e cromatura dei metalli; nello stesso anno a Varzo<br />

sorsero la Smalteria Sempione fra le primissime in <strong>It</strong>alia<br />

per ampiezza dei forni, trasferita da M<strong>il</strong>ano sia per<br />

la fac<strong>il</strong>e reperib<strong>il</strong>ità dell’energia, sia per la vicinanza del<br />

traforo del Sempione, e la Ditta D. Giovanna e C. per<br />

la fabbricazione di una specialità di lima detta fresatrice,<br />

nel 1913 sempre a Varzo si installò la Società Fratelli<br />

Galtarossa di Verona, specializzata nella fabbricazione<br />

del carburo di calcio, che ut<strong>il</strong>izzava dal fiume Diveria<br />

una forza idraulica di oltre 200 cavalli e che per molti<br />

decenni divenne un punto fermo della realtà produttiva<br />

ossolana. Ad Ornavasso nel 1914 sorse la fabbrica di<br />

pietrine per orologi degli svizzeri Fratelli Thur<strong>il</strong>lant.<br />

Nel 1918 la Galtarossa impiantò anche a Domodossola<br />

uno stab<strong>il</strong>imento per la produzione della ghisa e delle<br />

ferroleghe.<br />

Nel 1915 a Rumianca di Pieve Vergonte sorse lo stab<strong>il</strong>imento<br />

chimico della Soc. <strong>It</strong>aliana Prodotti Esplodenti<br />

(Sipe), con sede a M<strong>il</strong>ano, che contava su un capitale<br />

di £ 2.500.000, per la fabbricazione del monocloruro<br />

e del diclorobenzolo ut<strong>il</strong>izzati durante <strong>il</strong> conflitto<br />

mondiale. Nel primo dopoguerra a Domodossola<br />

fu costituito un altro stab<strong>il</strong>imento della Società Agraria<br />

di Roma per la fabbricazione di calciocianamide e<br />

di carburo di calcio. Nel 1918 a V<strong>il</strong>ladossola ne fu costruito<br />

un altro dalla Società <strong>It</strong>aliana Prodotti Sintetici<br />

(Sips) per la produzione dell’acido acetico ottenuto<br />

sinteticamente. L’ingresso della chimica in Valle si sarebbe<br />

rafforzato negli anni: nel 1911 nei circondari di<br />

Novara, Pallanza e Domodossola si censirono 118 stab<strong>il</strong>imenti<br />

con 419 addetti, di cui 8 stab<strong>il</strong>imenti con 58<br />

unità si trovavano nell’Ossola.<br />

In questo panorama di iniziative aziendali non aveva<br />

minore significato la visita di alcuni tecnici della Società<br />

Mannesman di M<strong>il</strong>ano che fabbricava tubi, con<br />

lo scopo di verificare la possib<strong>il</strong>ità di installare nel territorio<br />

un grande stab<strong>il</strong>imento siderurgico su un terreno<br />

di 500.000 mq tra Piedimulera e V<strong>il</strong>ladossola o alla<br />

periferia di Domodossola. Questo tentativo da una parte<br />

avrebbe consolidato <strong>il</strong> sistema industriale ossolano,<br />

ma dall’altra avrebbe forse stravolto <strong>il</strong> territorio montano.<br />

In quell’occasione fu la classe politica locale con la<br />

borghesia a porsi alla testa di un comitato che aiutasse


l’azienda a trovare, a prezzo di favore, <strong>il</strong> suolo per lo stab<strong>il</strong>imento,<br />

chiamando i piccoli proprietari in Comune<br />

per convincerli alla cessione, discutendo la questione in<br />

consiglio comunale e nominando una commissione di<br />

studio per appoggiare l’iniziativa della Mannesman che,<br />

però, alla fine decise di installarsi a Dalmine.<br />

Il periodo fra le due guerre mondiali<br />

Durante la prima guerra mondiale, con la mob<strong>il</strong>itazione<br />

industriale, lo Stato divenne <strong>il</strong> più grande cliente<br />

della produzione nazionale: nel Piemonte gli stab<strong>il</strong>imenti<br />

dichiarati aus<strong>il</strong>iari furono 371, tra cui 19 minerari,<br />

30 metallurgici, 141 meccanici, 61 chimici. In questo<br />

contesto anche l’Ossola fece la sua parte. Come si è<br />

detto, la chimica trovò nel territorio le condizioni più<br />

favorevoli allo sv<strong>il</strong>uppo: elettricità e vie di comunicazioni<br />

ferroviarie. Durante la guerra, su 18 stab<strong>il</strong>imenti<br />

chimici della provincia, 7 erano in Valle: oltre a quelli<br />

già menzionati, vi erano la Sidl (Soc. <strong>It</strong>aliana Dist<strong>il</strong>lazione<br />

Legno) di Finero (acetato di calcio e alcool met<strong>il</strong>ico<br />

greggio), la Ing. A. Vitale di Rumianca (fosfogenecloro<br />

liquido-idrogeno), la Soc. An. Cooperativa per <strong>il</strong><br />

Gas di Domodossola. Anche <strong>il</strong> sistema idroelettrico si<br />

rafforzò potendo contare su una relativa calma in quanto<br />

<strong>il</strong> fronte bellico era spostato ad est e gli impianti ossolani<br />

poterono produrre a pieno ritmo grazie anche ai<br />

consumi elettrici che durante la guerra quadruplicarono.<br />

Certo, se <strong>il</strong> settore industriale fu favorito dallo sforzo<br />

bellico, non si vuol dire che la guerra non causò crisi<br />

e disoccupazione in alcuni settori produttivi.<br />

Più diffic<strong>il</strong>e fu <strong>il</strong> periodo postbellico, ma le industrie ossolane<br />

seppero riconvertirsi in tempo o continuarono a<br />

servire i loro mercati tradizionali. Per <strong>il</strong> periodo tra le<br />

due guerre mondiali i più recenti studi di storia economica<br />

sembrano concordare sul fatto che <strong>il</strong> fascismo non<br />

segnò una battuta d’arresto nel processo di industrializzazione<br />

del paese, 28 ma anzi, sia pure con i limiti e <strong>il</strong> divario<br />

economico con le nazioni più avanzate, in quel periodo<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo andò consolidandosi e le ambizioni<br />

imperialistiche di Mussolini portarono alla nascita di una<br />

serie di novità nel campo delle industrie tecnologicamente<br />

più avanzate. 29 Premettendo che ciò non significa dare<br />

un giudizio positivo sulla politica del regime dittatoriale,<br />

per quanto ci riguarda cerchiamo di verificare <strong>il</strong> livello<br />

di sv<strong>il</strong>uppo raggiunto dall’Ossola.<br />

Manufatto di fonderia.<br />

Il settore agricolo continuò a soffrire dei vecchi mali:<br />

piccole aree coltivab<strong>il</strong>i, molti proprietari con insufficienti<br />

porzioni di terra, mancanza di investimenti. Su<br />

6.200 ha di terra a fondo valle, solo 3.000 ha erano coltivab<strong>il</strong>i,<br />

8.000 ha erano i prati posti tra i 400-800 m sul<br />

livello del mare; e i più ricchi proprietari, dopo i Comuni,<br />

erano Carlo Lightoweler che aveva 15 ha di pascolo<br />

e 5 di coltura, e Dall’Oro. Insomma, la proprietà<br />

privata, su 154.000 ha ne possedeva un quinto. È chiaro<br />

che a queste condizioni non era possib<strong>il</strong>e una conduzione<br />

capitalistica dei fondi, né era pensab<strong>il</strong>e l’inserimento<br />

nelle iniziative del regime fascista come la «battaglia<br />

del grano» e la «bonifica integrale» anche se non<br />

mancarono i tentativi. 30 La zootecnia, settore che avrebbe<br />

potuto essere trainante nei pascoli alpini, andò depauperandosi<br />

dopo che nel periodo bellico l’intero Novarese<br />

aveva pagato un contributo di 98.841 bovini.<br />

I dati in possesso sul settore industriale confermano che<br />

durante <strong>il</strong> fascismo si andarono rafforzando le aziende<br />

già costituite e si realizzò <strong>il</strong> predominio della Edison<br />

e della Montecatini, ma anche le industrie siderurgiche<br />

e meccaniche tradizionali continuarono <strong>il</strong> loro incremento.<br />

In aumento fu la produzione mineraria del-<br />

277


l’oro nella quale la P.M. Ceretti investì forti somme per<br />

l’ammodernamento delle attrezzature con macchinari<br />

importati da Bochum (Germania). Fu così che dai 3-4<br />

kg di oro degli anni ’20 si arrivò a produrne 15-16 kg<br />

con una resa dell’80% e anche del 90% nelle 100 t giornaliere<br />

di minerale; inoltre, furono scoperti altri f<strong>il</strong>oni<br />

nella concessione Pozzone Speranza dove i macchinari<br />

erano azionati da un impianto compressore della potenza<br />

di 1.000 hp. Prima della seconda guerra mondiale<br />

a Pestarena si estraevano 300.000 t di minerale con<br />

una produzione di 10 gr d’oro per t. È stato calcolato<br />

che nel solo ampliamento della miniera Ribasso Morghen<br />

furono spesi circa 9 m<strong>il</strong>ioni di lire per l’ammodernamento<br />

delle infrastrutture e degli impianti.<br />

Ci fu anche un aumento occupazionale (da 151 addetti<br />

nel 1930 si passò a 200 nel 1935) e di produzione aurifera<br />

(da 60 kg nel 1937 a 407,8 kg nel 1942 e 365,4<br />

nel 1943). Ciò convinse <strong>il</strong> Ministero della guerra a sollecitare<br />

una estromissione del capitale estero e un coinvolgimento<br />

diretto dello Stato mediante <strong>il</strong> passaggio di<br />

proprietà dalla P.M. Ceretti all’Azienda Minerali Metallici<br />

<strong>It</strong>aliani (AMMI) nel 1939. Nelle cave di pietra,<br />

graniti e marmo ci fu una costante espansione r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e<br />

dagli aumenti di capitale sociale e dalla produzione<br />

(con alcune differenze tra marmi, gneiss e quarzi), e si<br />

può dire che nel periodo si rafforzarono le condizioni<br />

capitalistiche di molte aziende.<br />

Le stesse valutazioni potremmo fare per <strong>il</strong> settore siderurgico<br />

che fu in continuo incremento a partire dal<br />

1929. Nell’Ossola, oltre alla P.M. Ceretti che continuava<br />

a soddisfare un suo mercato, la Metallurgica Ossolana,<br />

dopo un periodo di crisi senza la possib<strong>il</strong>ità di un<br />

intervento diretto dello Stato, nel 1939 ebbe un r<strong>il</strong>ancio<br />

con l’ingresso del capitale della Soc. Edison, ma dovette<br />

mutare la ragione sociale in Sisma (Soc. Industrie<br />

Siderurgiche Meccaniche ed Affini) e spostare la sede<br />

centrale da V<strong>il</strong>ladossola a M<strong>il</strong>ano. Da piccola azienda<br />

fam<strong>il</strong>iare di interesse locale si trasformò in uno stab<strong>il</strong>imento<br />

di livello nazionale con un capitale sociale di<br />

£ 30 m<strong>il</strong>ioni nel 1939, aumentato a £ 100 m<strong>il</strong>ioni nel<br />

1940 e poi a 110 m<strong>il</strong>ioni. Nel 1938 l’Annuario metallurgico<br />

segnalava in <strong>It</strong>alia una ripresa produttiva per i<br />

104 forni elettrici per ghisa e per i 134 forni elettrici<br />

per acciaio. Durante la guerra la produzione della ghi-<br />

278<br />

sa ebbe <strong>il</strong> suo massimo trend produttivo: 259.000 t pari<br />

al 25% del totale e nella sola Domodossola si censirono<br />

15 forni elettrici per ghisa, cioè <strong>il</strong> più alto numero tra i<br />

restanti stab<strong>il</strong>imenti siderurgici dell’area alpina.<br />

Le minori aziende crebbero anch’esse: la Galtarossa di<br />

Varzo e quella di Domodossola, sebbene conoscessero<br />

momenti di crisi, ebbero un r<strong>il</strong>ancio fino a raggiungere,<br />

nel 1941, un capitale di £ 15 m<strong>il</strong>ioni, quando la società<br />

ebbe un ut<strong>il</strong>e di 1.500.000 di lire. Semmai, la Galtarossa<br />

dal fascismo subì una compressione che ancora oggi<br />

risulta di diffic<strong>il</strong>e lettura. Orientata la propria specializzazione<br />

verso <strong>il</strong> carburo e <strong>il</strong> calciocianamide, fu proprio<br />

<strong>il</strong> Consorzio italiano di carburo e ferroleghe ad assegnarle<br />

una quota limitata pari al 16% della sua potenzialità.<br />

A nulla valsero i progetti di ampliamento e di<br />

ammodernamento presentati dalla società al Consorzio<br />

senza chiedere alcun finanziamento potendo far fronte<br />

alle spese di £ 750.000 con mezzi propri. Eppure, i consumi<br />

dei concimi erano in aumento e lo sarebbero stati<br />

di più nel contesto della campagna ruralista del regime.<br />

Le scelte economiche del fascismo, come è stato ampiamente<br />

dimostrato, vanno inserite nel «piano regolatore»<br />

dell’economia italiana, annunciato da Mussolini nel<br />

marzo 1936, che prevedeva un maggiore coinvolgimento<br />

dello Stato nel settore industriale mediante le Corporazioni<br />

che decidevano sulle politiche aziendali.<br />

Da una parte <strong>il</strong> progetto si attuò con l’allineamento della<br />

nostra moneta alle divise estere; dall’altra, si progettò<br />

un rafforzamento della siderurgia a ciclo integrale con<br />

l’obiettivo autarchico di far fronte al fabbisogno nazionale<br />

entro <strong>il</strong> 1940. 31 È da questo disegno economico-finanziario<br />

che sorse l’IMI (Istituto Mob<strong>il</strong>iare <strong>It</strong>aliano)<br />

con lo scopo di aiutare le imprese private, e nacque, nel<br />

1933, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale)<br />

che divenne una vera e propria holding r<strong>il</strong>evando capitali<br />

azionari di banche e industrie. Il peso dell’intervento<br />

pubblico con <strong>il</strong> fascismo divenne massiccio tanto che<br />

la nascita e <strong>il</strong> consolidamento di nuovi settori produttivi<br />

si accompagnano storicamente a forme crescenti di intervento<br />

statale: queste si articolano tanto in forti protezioni<br />

doganali [...] quanto in interventi finanziari diretti. 32 A<br />

ben guardare, <strong>il</strong> fascismo tutelò la grande industria più<br />

che la media e piccola o l’artigianato.<br />

Il settore chimico moderno si può dire che nacque nel-


la provincia di Novara dall’incontro di Guido Donegani<br />

con <strong>il</strong> novarese Giacomo Fauser; nel maggio 1921,<br />

i due diedero vita alla Società Elettrochimica Novarese<br />

(£3 m<strong>il</strong>ioni di capitale) con la partecipazione della<br />

Montecatini. A V<strong>il</strong>ladossola questa aveva uno stab<strong>il</strong>imento<br />

che produceva acetato di piombo, soda, acetone,<br />

acido acetico, anidride acetica e cloroformio, e ben presto<br />

ne aprì un altro a Domodossola per la fabbricazione<br />

del carburo di calcio e di calciocianamide. La Rumianca<br />

era cresciuta per capitali e produzione durante tutto<br />

<strong>il</strong> fascismo: da £ 2.500.000 di capitale nel 1915 aveva<br />

raggiunto i 14 m<strong>il</strong>ioni nel 1927, i 34 m<strong>il</strong>ioni nel 1935<br />

e i 48 m<strong>il</strong>ioni nel 1938 sfondando la quota di 142,5 m<strong>il</strong>ioni<br />

nel 1941.<br />

Il settore idroelettrico ossolano nel 1927 era composto<br />

da 116 esercizi che davano lavoro a 1.309 persone realizzando<br />

ut<strong>il</strong>i e dividendi. La Edison divenne una presenza<br />

r<strong>il</strong>evante acquisendo compartecipazioni e incroci<br />

azionari; anche la Dinamo e la Soc. Idroelettrica Ossolana<br />

continuarono a rafforzarsi. Quest’ultima nel 1921<br />

elevò <strong>il</strong> capitale a 2 m<strong>il</strong>ioni, nel 1928 a 5, nel 1931 a 8 e<br />

nel 1935 finì con <strong>il</strong> trasferire la sede sociale a Torino.<br />

Meno bene andarono le cose per lo Jutificio Ossolano,<br />

divenuto Jutificio Nazionale, che nel 1927 chiuse lo<br />

stab<strong>il</strong>imento di V<strong>il</strong>ladossola per mancanza di commesse<br />

lasciando a casa 307 operai, per lo più donne. 33 Il podestà<br />

Ceretti si interessò del problema, come dimostra<br />

la corrispondenza intercorsa con Genova, sede centrale<br />

della società, perché venisse ripresa l’attività. A questo<br />

scopo si prodigò perché la Dinamo offrisse a prezzi<br />

molto competitivi l’energia elettrica necessaria, e così<br />

lo Jutificio nazionale riaprì lo stab<strong>il</strong>imento per poi richiuderlo<br />

nel 1933. 34 Complessivamente l’Ossola continuò<br />

durante <strong>il</strong> fascismo ad essere al centro di una rimarchevole<br />

industrializzazione, ma <strong>il</strong> ruolo del Sempione<br />

e della stazione internazionale di Domodossola non<br />

avevano avuto l’importanza che ci si aspettava. Durante<br />

<strong>il</strong> regime le importazioni furono sette volte superiori<br />

alle esportazioni e <strong>il</strong> volume dei traffici cominciò a diminuire.<br />

Comparato agli altri passi alpini, <strong>il</strong> Sempione<br />

acquisì un ruolo di importanza sempre maggiore rispetto<br />

a Ventimiglia, Modane, Luino, Brennero, San Candido,<br />

Fiume, Piedicolle e Fusine Laghi piazzandosi subito<br />

dopo Chiasso e Tarvisio, ma le esportazioni furo-<br />

no inferiori a quelle transitate dai passi suddetti. Le ragioni<br />

erano da ricercare nel ritardo verificatosi per renderlo<br />

competitivo rispetto ai costi: mancò <strong>il</strong> raddoppio<br />

e l’elettrificazione della linea ferroviaria Gallarate-Domodossola,<br />

mentre nella parte svizzera ciò era avvenuto<br />

già per 300 km. Inoltre, non bisogna dimenticare che<br />

durante <strong>il</strong> fascismo i commerci furono intensificati soprattutto<br />

verso l’Europa centrale (Germania e Austria)<br />

e meno verso la Francia e la Gran Bretagna. Carattere<br />

eminentemente locale o di raccordo tra la Svizzera tedesca<br />

(Vallese) e quella italiana (Ticino) ebbe la linea Domodossola-Locarno:<br />

durante <strong>il</strong> fascismo aumentarono<br />

le merci in transito e diminuirono i viaggiatori a causa<br />

di una minore mob<strong>il</strong>ità degli italiani.<br />

Un altro segnale del progresso era dato dalla presenza<br />

del sistema bancario che nella provincia si rafforzò<br />

soprattutto con la politica espansionistica della Banca<br />

Popolare di Novara e con quella più raccolta, ma sempre<br />

in espansione, della Banca Popolare di Intra. Le due<br />

banche locali, <strong>il</strong> Banco dell’Ossola e la Banca Maffioli,<br />

erano state cancellate. Infine, se i dati della riscossione<br />

di imposta sono un sintomo di sv<strong>il</strong>uppo, c’è da sottolineare<br />

che a Domodossola la raccolta per i consumi si<br />

raddoppiò tra <strong>il</strong> 1929 e <strong>il</strong> 1930, passando dalle 22.876<br />

lire alle 42.960 lire. Così pure erano cresciute le imposte<br />

indirette che sono la manifestazione mediata della<br />

ricchezza, e ciò causò alcune risentite proteste e la richiesta<br />

di revisione del sistema catastale che puniva le<br />

magre risorse agricole del territorio. Non può essere trascurata,<br />

in questo quadro, un’altra iniziativa della classe<br />

borghese <strong>il</strong>luminata in favore della classe operaia in<br />

quanto conferma una cultura innovativa negli imprenditori.<br />

Partendo dalla constatazione che più della metà<br />

della mano d’opera della Ceretti era senza casa e domic<strong>il</strong>io<br />

nel centro siderurgico o viveva in case fatiscenti e<br />

antigieniche, la società nel 1937 si fece carico della costruzione<br />

di case igieniche ed a prezzi che [fossero] alla<br />

portata di tutti i lavoratori. 35 Nel gennaio 1937 <strong>il</strong> prefetto<br />

Letta aveva riunito a V<strong>il</strong>ladossola i rappresentanti<br />

delle industrie cittadine più grandi e delle autorità civ<strong>il</strong>i<br />

e sanitarie. Emerse che occorrevano almeno 2.000<br />

vani per una spesa di non inferiore a 14 m<strong>il</strong>ioni di lire.<br />

Il piano che fu elaborato prevedeva 500 alloggi entro <strong>il</strong><br />

1938, 500 entro <strong>il</strong> 1939 e 1.000 entro <strong>il</strong> 1940. Le spese<br />

279


avrebbero dovuto essere sopportate in rapporto al numero<br />

degli operai: per i 14/30 dalla Metallurgica Ossolana<br />

(poi Sisma), per i 7/30 dalla Ceretti e per i restanti<br />

9/30 dalla Sips e dalla Set. Gli industriali della Ceretti<br />

e della M.O. aderirono subito a condizione che venisse<br />

offerto loro <strong>il</strong> terreno con l’esproprio per pubblica ut<strong>il</strong>ità,<br />

mentre i delegati delle altre due società presero tempo<br />

per riferire ai rispettivi consigli di amministrazione.<br />

La Ceretti scelse la zona Pedemonte, in periferia, ma vicina<br />

allo stab<strong>il</strong>imento e individuò per le case operaie<br />

mq 42.136 di terreno di proprietà di 42 persone, tra cui<br />

la stessa Ceretti. La spesa per i terreni fu di £ 126.408,<br />

mentre le spese complessive furono £ 430.000 compresa<br />

la costruzione dei fabbricati. 36 Alcuni proprietari dei<br />

terreni intralciarono l’opera facendo ricorso, ma <strong>il</strong> prefetto<br />

aderì alla richiesta dell’impresa, le difficoltà furono<br />

superate e le 185 case vennero costruite assieme ad<br />

un as<strong>il</strong>o nido e ad un ricovero per anziani.<br />

Anche La Metallurgica Ossolana costruì un proprio v<strong>il</strong>laggio<br />

operaio lungo la strada del Sempione, a ridosso<br />

della ferrovia, per complessivi 213 alloggi in casette a<br />

due piani con chiesa, scuola e servizi.<br />

Ricostruzione e «miracolo economico»<br />

Con la seconda guerra mondiale <strong>il</strong> processo di sv<strong>il</strong>uppo<br />

subì un gravissimo contraccolpo di cui risentì anche<br />

l’Ossola per la difficoltà di reperire le materie prime.<br />

Durante <strong>il</strong> conflitto la Sips di V<strong>il</strong>ladossola fu incorporata<br />

dalla Dist<strong>il</strong>lerie <strong>It</strong>aliane che aveva la sede a M<strong>il</strong>ano<br />

e quindi dal 1944 poté contare su un rafforzamento<br />

degli investimenti. Durante <strong>il</strong> periodo della «repubblica<br />

partigiana», nel settembre-ottobre 1944 l’Ossola<br />

costituì un punto di riferimento politico e industriale<br />

proprio per l’alta concentrazione produttiva che fu salvaguardata<br />

a costo di non pochi sacrifici. Diffic<strong>il</strong>e fu <strong>il</strong><br />

periodo della ricostruzione per la mancanza di materie<br />

prime e di mercati di espansione. La produzione idroelettrica<br />

raddoppiò nel dopoguerra e crebbe l’offerta di<br />

energia che, se di per sé non è indice della ripresa industriale<br />

o di incremento dell’occupazione, precede la domanda<br />

e costituisce un’ottimistica previsione delle generali<br />

condizioni economiche. 37<br />

Gli storici economici hanno distinto tre fasi dal dopoguerra<br />

ad oggi: la prima è quella della ripresa, denomi-<br />

280<br />

nata «miracolo economico», che va dal 1953 al 1962;<br />

la seconda è quella della «congiuntura» che va dal 1963<br />

agli anni ’70; la terza è quella dei nostri giorni.<br />

Agli inizi degli anni ’50 rispuntò l’interesse per le miniere<br />

d’oro di Pestarena di proprietà dell’Ammi. Con<br />

una certa forzatura <strong>il</strong> monte Rosa fu valutato come un<br />

serbatoio d’oro inesaurib<strong>il</strong>e, ma forse non si tenne conto<br />

degli oneri finanziari che una ripresa dell’attività avrebbe<br />

comportato, <strong>il</strong> prezzo dell’oro era aumentato anche<br />

per effetto della guerra della Corea, ma la produzione<br />

delle miniere ossolane era solo di 400 kg annui<br />

e vi lavoravano 500 addetti in due turni quotidiani per<br />

i quali la società aveva creato un v<strong>il</strong>laggio, un cinema<br />

e un dopolavoro. 38 Ma queste provvidenze non avevano<br />

eliminato la temib<strong>il</strong>e s<strong>il</strong>icosi che falcidiava la classe<br />

operaia attorno ai 40-50 anni di età. Comunque <strong>il</strong><br />

problema era di verificare la redditività delle miniere:<br />

a Pestarena si estraevano 7-8 gr d’oro da una t di micasciste<br />

e ogni mese si estraevano 180 t circa di minerale<br />

che veniva lavorato da ditte specializzate di M<strong>il</strong>ano,<br />

mentre <strong>il</strong> fabbisogno nazionale si calcolava in 27,5 t d’oro<br />

per gli scambi ufficiali con l’estero. Gli eccessivi costi<br />

fecero desistere dall’impresa di scavare, ma a fasi alterne<br />

non mancano i fautori di un impegno minerario<br />

nell’Ossola. 39<br />

Il settore tradizionalmente trainante, <strong>il</strong> siderurgico, nella<br />

prima fase qui presa in esame risentì della favorevole<br />

congiuntura nazionale e internazionale. Tuttavia, delineare<br />

un breve panorama della siderurgia italiana non<br />

è possib<strong>il</strong>e senza accennare al Piano Sinigaglia del 1947<br />

che si basava su alcuni punti fondanti: ritenendo sottodimensionati<br />

i consumi di acciaio e prevedendo una<br />

loro espansione, esso ipotizzava una graduale diminuzione<br />

dell’ut<strong>il</strong>izzo dei rottami per avviare, invece, un<br />

processo di produzione integrale. Ciò avrebbe comportato<br />

un ammodernamento di alcuni impianti con grossi<br />

investimenti, ma ne avrebbe chiusi altri. In sostanza,<br />

<strong>il</strong> Piano rafforzava la siderurgia tirrenica e ligure, cioè<br />

quella che faceva capo alla società Finsider (Iri) mentre<br />

comprimeva quella dell’area alpina e padana. C’è da aggiungere<br />

che in tutta Europa dal 1960 in poi si priv<strong>il</strong>egiò<br />

una localizzazione costiera abbandonando i centri<br />

di antica tradizione siderurgica. Si trattò di una politica<br />

industriale attenta a fac<strong>il</strong>itare e ridurre i costi del tra-


sporto delle materie prime, ma non fu esente la scelta di<br />

industrializzare <strong>il</strong> Mezzogiorno. 40<br />

In questo contesto, la siderurgia minore venne penalizzata;<br />

decrebbe l’importazione dei rottami di cui 1’Ossola<br />

faceva largo consumo, anche se <strong>il</strong> Piano Sinigaglia<br />

portò la nostra produzione a livelli di tutto rispetto e<br />

mai ipotizzab<strong>il</strong>i. Nel 1958 in Piemonte si era registrata<br />

una produzione del 20% sul totale nazionale con 17<br />

stab<strong>il</strong>imenti, mantenendo la quota che aveva nel 1938.<br />

Nel 1965 se ne censirono 21 che si ponevano, nel panorama<br />

nazionale, come stab<strong>il</strong>imenti di media grandezza:<br />

15 davano una produzione tra 20.000 e 50.000 t, 2<br />

di 100.000 t, 3 di 200.000 t e soltanto uno superava la<br />

produzione di 700.000 t di laminati. Nella produzione<br />

della ghisa <strong>il</strong> Piemonte ebbe una flessione passando<br />

dal 25% sul totale nazionale del 1938 al 16% del 1953,<br />

al 13% del 1958, al 10% del 1961 e al 13% del 1966-<br />

71. Nella statistica del 1966 lo stab<strong>il</strong>imento di Domodossola<br />

non compariva più tra quelli che producevano<br />

ghisa con <strong>il</strong> processo elettrico, mentre in <strong>It</strong>alia ne restavano<br />

ancora 13. Nel 1961, nella produzione dell’acciaio<br />

la Sisma di V<strong>il</strong>ladossola veniva tra le prime cinque<br />

che producevano 200-300.000 t annue con <strong>il</strong> forno<br />

Martin-Siemens e quindi <strong>il</strong> suo ruolo nella siderurgia<br />

alpina rimaneva importante malgrado si andasse intensificando<br />

<strong>il</strong> duro confronto tra la siderurgia privata e<br />

quella parastatale. 41<br />

Il settore idroelettrico in questa prima fase andò consolidandosi<br />

grazie al colosso Edison che aveva nell’Ossola<br />

una potenza installata di 600.000 kw, pari al 92% sul<br />

totale della potenza in Valle, e una produzione media<br />

annua di 1.630.000.000 kwh. Ma proprio questo settore<br />

costituì una delle ragioni del disimpegno industriale.<br />

Come è noto, in quel periodo si sv<strong>il</strong>uppò un intenso<br />

dibattito sul ruolo delle imprese elettriche nel quadro<br />

dello sv<strong>il</strong>uppo e sulla necessità della nazionalizzazione. I<br />

«baroni elettrici» vennero accusati di intascare lauti profitti,<br />

ma non erano stati in grado di stimolare lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

industriale, anzi lo avevano frenato. 42 Quando nel<br />

1963 si ebbe la nazionalizzazione dell’energia elettrica,<br />

la società di Stato, l’Enel, ereditò i 27 impianti ossolani<br />

che davano una potenza installata di 706.000 kw ed<br />

La nuova viab<strong>il</strong>ità stradale ha collegato l’Ossola con l’Europa.<br />

282<br />

una produzione annua di 1.780.000.000 kwh, mentre<br />

una decina di altre piccole centrali furono lasciate alle<br />

industrie locali per la produzione esclusiva di energia<br />

per gli stab<strong>il</strong>imenti. Ma se la nazionalizzazione portò<br />

indiscussi vantaggi ai consumi, l’unificazione delle tariffe<br />

fece mancare uno dei vantaggi-cardine su cui poggiava<br />

<strong>il</strong> favore delle localizzazioni industriali nel territorio<br />

ossolano.<br />

Secondo qualche autore <strong>il</strong> declino del secondario cominciò<br />

a delinearsi a partire dal 1951 in quanto, se<br />

crebbero le unità lavorative, diminuì la media degli addetti.<br />

43 Ma non sembra che <strong>il</strong> vero problema sia stato<br />

soltanto quello della diminuzione della grandezza delle<br />

imprese perché le piccole e medie aziende hanno sempre<br />

costituito <strong>il</strong> nerbo dell’industrializzazione nazionale.<br />

Analizzando <strong>il</strong> periodo 1951-1961 la realtà ossolana<br />

si presentava in modo più complesso: chiusero diverse<br />

attività piccole e piccolissime del tess<strong>il</strong>e (-130 u.l., pari<br />

al 41,2%); nel settore pelli e cuoio ci fu uno sv<strong>il</strong>uppo di<br />

piccolissime aziende ( + 68); nel meccanico si sv<strong>il</strong>upparono<br />

aziende di dimensioni più consistenti ( + 49); aumentarono<br />

le unità lavorative nella lavorazione dei minerali<br />

non metallici ( + 27, pari al 52,9%), e invece nel<br />

chimico le 11 unità del 1951 scesero a 8 nel 1961; infine,<br />

nel settore delle costruzioni si registrò un continuo<br />

incremento: 762 addetti in più nel 1961, pari a un<br />

+136,5% rispetto al 1951. 44 La Tabella n. 1 conferma<br />

questo andamento altalenante.<br />

Dunque, <strong>il</strong> processo di sottosv<strong>il</strong>uppo è stato costante<br />

soprattutto per <strong>il</strong> cedimento delle tradizionali industrie<br />

siderurgiche e chimiche, solo in parte compensato dallo<br />

sv<strong>il</strong>uppo di altri settori.<br />

Il periodo della crisi<br />

La Tabella n. 2 fotografa l’andamento dell’occupazione<br />

nella grande industria ossolana lungo un arco di tempo<br />

che va dal 1963 al 1982. Stando a questi dati, <strong>il</strong> declino<br />

della grande industria ossolana si verificò dopo <strong>il</strong><br />

1971 con una perdita di circa un quarto dell’occupazione<br />

compensata, in parte, nelle grandi strutture del terziario<br />

dove ci fu un generale incremento occupazionale:<br />

nelle Ferrovie dello Stato i 750 impiegati del 1971


erano divenuti 970; nella Ferrovia Vigezzina, i 97 impiegati<br />

del 1961 erano divenuti 105 nel 1971 e 116 nel<br />

1982; solo nell’Enel i 771 addetti del 1961 erano scesi<br />

a 666 nel 1971 e a 636 nel 1982. Un certo squ<strong>il</strong>ibrio<br />

tra le varie zone delle valli si andava accentuando in<br />

quanto l’ubicazione dell’apparato industriale si andava<br />

concentrando sulla riva destra del fiume Toce: nel 1951<br />

con 447 unità lavorative e 6.767 addetti; nel 1961 con<br />

478 unità e 7.724 addetti; nel 1969 con 582 unità e<br />

7.716 addetti. Ormai nella piana della Toce si collocava<br />

<strong>il</strong> 90% delle aziende manifatturiere e degli addetti e,<br />

per quanto possa sembrare strano, Domodossola era <strong>il</strong><br />

centro con più unità lavorative (215 nel 1951, 234 nel<br />

1961 e 243 nel 1969), mentre V<strong>il</strong>ladossola e Pieve Vergonte<br />

restavano i centri con la più alta concentrazione<br />

operaia rispetto al numero degli stab<strong>il</strong>imenti. Il fenomeno<br />

è importante per comprendere <strong>il</strong> lento spopolamento<br />

alpino e in che modo si sono assestati i flussi migratori<br />

all’interno della Val d’Ossola. 45 Particolare menzione<br />

meritano le discontinue vicende di alcune grandi<br />

aziende per la loro r<strong>il</strong>evanza storica nel settore industriale<br />

ossolano. La Ceretti nel 1972 aveva iniziato la costruzione<br />

di un nuovo stab<strong>il</strong>imento in vista di un progettato<br />

sv<strong>il</strong>uppo, ma nel 1974 fu frenata dalla crisi che<br />

Stab<strong>il</strong>imenti chimici in Val d’Ossola.<br />

sembrò risolta con l’ingresso di nuovi azionisti, con la<br />

vendita della parte sud del vecchio opificio alla Fomas<br />

di Osnago e con l’introduzione di nuove tecnologie.<br />

Ma nel 1979 fu chiesta l’amministrazione controllata<br />

e la cassa integrazione; e negli anni ‘80 ci fu la cessione<br />

alla Società FERDO di Torino per 19 m<strong>il</strong>iardi di lire. 46<br />

La Ferriera dell’Ossola sorse nel 1977 con l’acquisto<br />

di parte del vecchio stab<strong>il</strong>imento Ceretti. I 189 addetti<br />

divennero 264 nel 1978 con prospettive confortanti,<br />

ma nel 1979 l’azienda venne posta in liquidazione. Anche<br />

la Sisma entrò in crisi nel 1972 con l’ingresso delle<br />

partecipazioni statali (EGAM) che, al di là delle attese,<br />

si rivelò improduttivo perché l’ente statale fu sciolto.<br />

Molti furono gli oneri finanziari mentre i debiti aumentarono<br />

sensib<strong>il</strong>mente e l’occupazione diminuì del<br />

23%. Più confortanti sono stati i risultati della Tonolli<br />

di Pieve Vergonte che aveva assorbito l’ALP e che riuscì<br />

ad aumentare l’occupazione malgrado abbia avvertito<br />

qualche difficoltà. La Clifford sorse nel 1968 per iniziativa<br />

di imprenditori inglesi e <strong>il</strong> contributo municipale,<br />

ma <strong>il</strong> capitale inglese nel 1973 si ritirò dall’attività che<br />

venne r<strong>il</strong>evata da un gruppo finanziario. Nacque così la<br />

Clifford Bongiasca Spa, ma la crisi cominciò a farsi sentire<br />

a fasi cicliche, finché l’impresa non fu r<strong>il</strong>evata dalla<br />

283


Manifatture di V<strong>il</strong>ladossola. Un mutamento continuo<br />

di nomi e di ragione sociale ebbe la Rhodiatoce di V<strong>il</strong>ladossola<br />

(Montefibre, SICMA chimica, Resem, Monte/<br />

Dipe, Vinav<strong>il</strong>, Anic), in quanto la sua storia dipese molto<br />

dall’andamento del settore chimico italiano. In particolare<br />

sin dal 1970 la crisi dell’azienda fu legata all’inserimento<br />

della Montedison nella proprietà.<br />

Il periodo della «congiuntura» coincise con uno sforzo<br />

di elaborazione teorica e tecnica di dati e di progetti per<br />

individuare le ragioni del malessere nel settore produttivo.<br />

In questo quadro si inseriva uno dei primi studi dell’Unione<br />

Regionale delle Province Piemontesi, a cura<br />

dell’IRES, sulla struttura industriale torinese. 47 L’azione<br />

degli imprenditori privati, soprattutto nella piccola<br />

e media impresa, veniva ritenuta insufficiente sin dai<br />

tempi antichi per l’inadeguatezza della forza finanziaria;<br />

come pure insufficiente era ritenuto l’apporto delle<br />

grandi banche della regione perché non potevano contribuire<br />

alla formazione del capitale di rischio e fac<strong>il</strong>itare<br />

l’innovazione; nuovi compiti erano individuati per le<br />

pubbliche amministrazioni.<br />

Con l’istituzione delle regioni <strong>il</strong> dibattito divenne ancor<br />

più intenso e si cominciò a riconsiderare l’accentramento<br />

industriale nell’area torinese individuando come<br />

strumenti strategici la creazione di poli industriali affidati<br />

al ruolo trainante dell’industria motrice. 48 L’interesse<br />

per i piani di sv<strong>il</strong>uppo sembrava contagiare classe politica<br />

e tecnici. Per <strong>il</strong> territorio ossolano acquista particolare<br />

r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> convegno promosso dal CIPE (Centro<br />

Informazione politiche ed economiche) sulle Comunità<br />

montane istituite con la legge del 1971. Il convegno<br />

faceva <strong>il</strong> punto sulla legislazione più recente mirante a<br />

rivalutare l’economia montana per eliminare gli squ<strong>il</strong>ibri<br />

di natura sociale ed economica tra le zone montane<br />

e <strong>il</strong> territorio nazionale. 49 Alle Comunità montane veniva<br />

data la competenza del coordinamento degli interventi<br />

e quindi <strong>il</strong> loro ruolo veniva collocato nella logica<br />

della programmazione che non poteva prescindere<br />

dal più ampio quadro della programmazione regionale.<br />

Naturalmente si chiedeva ad esse un compito non semplice<br />

e non sempre chiaro perché a capo delle comunità<br />

non c’erano professionisti della politica economica e<br />

perché si rischiava di far produrre semplici elencazioni<br />

di opere pubbliche ed interventi settoriali, nel quadro di<br />

284<br />

un rituale pianto della montagna abbandonata. 50 Insomma,<br />

permaneva <strong>il</strong> rischio di sempre, e cioè di dire ciò<br />

che una zona montana era e non saper definire ciò che<br />

avrebbe dovuto e potuto essere in futuro.<br />

La legge regionale individuò nell’Ossola 5 Comunità<br />

montane e non una sola grande comunità, esaltando,<br />

così, la suddivisione geografica anziché la conformazione<br />

di tipo culturale, politico ed economico. Vennero costituite<br />

le Comunità Valle Ossola con 18 comuni, Valle<br />

Vigezzo con 7, Valle Antigorio e Formazza con 4, Valle<br />

Anzasca con 5 e Valle Antrona con 4. Probab<strong>il</strong>mente<br />

fu persa una buona occasione per dare forza e coesione<br />

ad un progetto di r<strong>il</strong>ancio economico della montagna e<br />

i minuscoli «parlamentini» valligiani spesso furono costretti<br />

a dibattersi nell’ordinaria gestione.<br />

La legge regionale 21/1975 propose <strong>il</strong> decentramento<br />

industriale con la concessione di contributi ai Comuni<br />

e ai consorzi di Comuni che avrebbero presentato piani<br />

di sv<strong>il</strong>uppo industriale e artigianale, ma non si registrarono<br />

contributi per <strong>il</strong> Novarese. Uno studio sulle aree<br />

depresse in Piemonte accertò che nella provincia novarese<br />

vi erano 65 Comuni dichiarati depressi e 76 montani<br />

con notevoli problemi. L’inchiesta accertò anche<br />

che <strong>il</strong> 57% dei Comuni piemontesi depressi incoraggiava<br />

gli insediamenti industriali con alcune provvidenze,<br />

mentre nel Novarese la percentuale di questi Comuni<br />

fu più alta, ma è diffic<strong>il</strong>e sostenere che gli aiuti promessi<br />

dai Comuni avrebbero incentivato automaticamente<br />

gli insediamenti produttivi. 51<br />

Un’attenzione particolare ebbe l’analisi sul ruolo del<br />

Sempione per un r<strong>il</strong>ancio dello sv<strong>il</strong>uppo territoriale<br />

partendo dalla premessa che l’Ossola era un’area ponte,<br />

elemento di congiunzione fra le aree forti dell’Europa centro-occidentale<br />

e quella m<strong>il</strong>anese. 52 All’attenzione degli<br />

operatori economici si sottoponeva la necessità di r<strong>il</strong>anciare<br />

la linea ferroviaria del Sempione sia con la costruzione<br />

di una stazione supplementare per le merci (Domodue),<br />

sia con alcuni interventi normativi.<br />

Nel contesto ambientalista fu pubblicato un altro piano<br />

sul parco naturale dell’Alpe Veglia, situato tra le valli<br />

Devero e Formazza, allo scopo di affrontare un piano di<br />

sv<strong>il</strong>uppo che doveva quindi essere valutato nella prospettiva<br />

indicata dall’ecologia, al fine di evitare che l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />

a breve termine delle risorse incidesse negativamente


sulla produttività a lungo termine. 53 Guardando alle potenzialità<br />

del turismo come industria integrativa dei settori<br />

produttivi in declino, si rifiutavano alcune soluzioni<br />

che avrebbero stravolto l’ambiente ecologico. Il turismo<br />

entrava nell’indagine economica come fattore risolutivo<br />

dello sv<strong>il</strong>uppo anche in considerazione dell’incremento<br />

del passaggio degli stranieri dai transiti della<br />

provincia. Se la società civ<strong>il</strong>e si preoccupava di una rivalutazione<br />

«controllata» della montagna, l’Amministrazione<br />

provinciale, sia pure senza contraddizione con la<br />

prima, presentò uno Studio sul potenziamento delle risorse<br />

idriche dell’Alto Novarese che faceva intravvedere nuove<br />

prospettive per rivalutare la montagna attraverso lo<br />

sfruttamento cap<strong>il</strong>lare dei piccoli salti idrici forniti dai<br />

ruscelli montani a vantaggio di piccole imprese agricole.<br />

54 Dall’indagine risultava che nella montagna novarese<br />

vi erano le condizioni per favorire la permanenza o la<br />

costituzione di nuove aziende montane una volta elettrificate<br />

e rese autosufficienti. Nessuno però ha mai creduto<br />

che l’agricoltura ossolana avrebbe potuto aspirare<br />

ad un ruolo che andasse al di là di una attività integrativa<br />

rispetto ad altri settori produttivi. Un altro studio,<br />

affidato all’Università Bocconi di M<strong>il</strong>ano, analizzava i<br />

fatti economici fornendo diagnosi e proposte operative<br />

per uscire dalla stagnazione. 55 La causa della crisi fu addebitata<br />

all’incapacità di far fronte alla divisione nazionale<br />

e internazionale del lavoro, allo spostamento dell’area<br />

economica del Paese verso oriente, all’incremento<br />

del mercato tedesco, alla mancanza di ammodernamento<br />

delle vie di comunicazione. La conclusione a cui<br />

perveniva la ricerca, analizzando l’approvazione sociale<br />

dell’imprenditore nell’Ossola, era che questi non veniva<br />

accolto da un sistema favorevole in quanto gli atteggiamenti<br />

socio-culturali dominanti erano tali da inibire<br />

<strong>il</strong> manifestarsi diffuso di orientamenti imprenditoriali<br />

costruendo un quadro di valori al cui interno l’emergere<br />

dell’imprenditore diventava altamente improbab<strong>il</strong>e.<br />

La causa del problema sarebbe l’aver convissuto con attività<br />

economiche che avevano all’interno schemi limitati<br />

sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o di tre dimensioni: quella del rischio, quella<br />

dell’innovazione e quella dell’organizzazione. 56 Pertanto,<br />

l’imprenditore — abituato a sfruttare ciò che è già dato<br />

— sv<strong>il</strong>upperebbe minori propensioni a comportarsi come<br />

agente di trasformazione, di creazione tendendo a ripie-<br />

gare su schemi ripetitivi e a discostarsi sensib<strong>il</strong>mente dal<br />

prototipo schumpeteriano che accetta <strong>il</strong> rischio.<br />

In altri termini, ai nostri giorni mancherebbe nell’Ossola<br />

l’imprenditore capitalista che accetta <strong>il</strong> rischio accanto<br />

alla razionalizzazione dei fattori della produzione,<br />

per colpa di un individualismo e di un localismo che farebbero<br />

rinchiudere nel proprio mondo culturale senza<br />

aperture verso l’esterno innovativo.<br />

Se è vera questa analisi per i nostri giorni, c’è da osservare<br />

che nel passato le cose andarono diversamente tanto<br />

che in più occasioni si è avuto modo di sottolineare la<br />

presenza di una imprenditorialità privata e di una apertura<br />

all’innovazione da parte della classe politica locale.<br />

Per avvalorare quanto si va dicendo vale la pena riferire<br />

la vicenda esemplare avvenuta dopo che la Mannesman<br />

declinò l’invito ad insediarsi nell’Ossola. La classe<br />

politica locale e i ceti abbienti costituirono un comitato<br />

Pro Industria nel quale furono inseriti i nomi più prestigiosi<br />

di Ossolani con lo scopo di bandire un concorso<br />

per fare installare a Domodossola uno stab<strong>il</strong>imento<br />

industriale che desse occupazione e reddito. Il Comune<br />

avrebbe incentivato qualsiasi iniziativa con un premio<br />

di £ 10.000.<br />

Non mancarono le proposte: uno stab<strong>il</strong>imento di flaconeria<br />

e di chimica da Somma Lombardo; un cotonificio<br />

da Garesio; un’attività meccanica offerta dall’ingegnere<br />

De Benedetti di Torino; altre proposte giunsero<br />

da Vado Ligure (officina meccanica), da M<strong>il</strong>ano (calzettificio),<br />

da altri stab<strong>il</strong>imenti tess<strong>il</strong>i. Il dibattito non fu di<br />

semplice portata, così come oggi non è semplice valutare<br />

l’insediamento industriale che alla fine si realizzò alla<br />

periferia della città con una fabbrica di funi e generi affini<br />

dei Fratelli Zanelli di Palazzolo sull’Oglio. La scelta<br />

era stata affidata ad un consulente aziendale, tale Cesare<br />

Boccardo di Intra, che scartò le offerte del cotonificio<br />

e della meccanica finendo col valutare la produzione di<br />

cordami ottimamente inserib<strong>il</strong>e nel contesto produttivo<br />

pel suo genere di manufatti e per la vastità dei suoi articoli<br />

e del loro impiego industriale consentendo l’occupazione<br />

a 100 addetti come aveva previsto <strong>il</strong> capitolato del<br />

Comune. 57 Certo non fu esente la valutazione di certi<br />

ambienti restii ad ammassare un gran numero di mano<br />

d’opera e forse si volle scegliere un settore produttivo<br />

nuovo. Il capitale azionario della società bresciana fu<br />

285


fortemente integrato da quello locale per complessive<br />

£ 310.000. Dunque, in più occasioni la borghesia locale<br />

aveva messo le mani al portafogli per acquistare azioni<br />

di società note o per dare vita a nuove imprese. Così<br />

fu per le società elettriche locali, per la Fratelli Zanelli<br />

e per la costituzione di una Soc. An. per la Condotta<br />

di Acque Potab<strong>il</strong>i che raccolse 157 azionisti di Domodossola<br />

e dei centri valligiani. Qualche anno dopo, nel<br />

1907, si verificò lo stesso quando fu costituita una società<br />

cooperativa per la distribuzione del gas. Gli Ossolani<br />

preferirono costituire una loro società piuttosto che<br />

accettare l’offerta di un servizio di altre ditte più esperte<br />

e consolidate come quella di Carl Francke di Zurigo.<br />

Anche a Vogogna fu r<strong>il</strong>evata un’impresa industriale<br />

per la fabbricazione di f<strong>il</strong>ati di canapa, spaghi e corda,<br />

la Corderia Ossolana, che occupava 53 operai. Alcuni<br />

ricchi notab<strong>il</strong>i del posto raccolsero 5.000 azioni da £<br />

100, sicuri di entrare nei mercati con un ut<strong>il</strong>e netto di £<br />

56.382 che avrebbe consentito dividendi dell’11,25%.<br />

Se l’atteggiamento degli Ossolani un tempo fu più dinamico<br />

e spregiudicato, quali furono le ragioni di questo<br />

protagonismo?<br />

A mio parere, tra le tante, due furono le principali. In<br />

primo luogo, l’emigrazione che aveva arricchito non pochi<br />

personaggi che erano tornati per investire e per fare<br />

lasciti benefici. Tra questi va certamente segnalato Gian<br />

Giacomo Galletti che nel 1869, dopo essere stato eletto<br />

deputato, lasciò al comune di Domodossola la rendita<br />

annua di £ 40.000 in Cartelle del debito pubblico<br />

per la creazione di una Fondazione con <strong>il</strong> suo nome. In<br />

un altro saggio ho già analizzato gli aspetti finanziari dei<br />

lascito e gli errori commessi dagli amministratori della<br />

rendita in quanto solo in parte riuscirono a realizzare<br />

i progetti del Galletti. 58 L’ingente somma che sarebbe<br />

maturata negli anni avrebbe dovuto servire, secondo <strong>il</strong><br />

Galletti, che era stato al servizio dei Rothsch<strong>il</strong>d di Parigi,<br />

alla creazione di un istituto tecnico, di una scuola di<br />

arti e mestieri, di un istituto di belle arti, di un imprecisato<br />

Politecnico, di una biblioteca, di musei, giardini<br />

botanici, alla istituzione di una Esposizione annua dei<br />

prodotti dell’agricoltura e della manifattura locale, alla<br />

partecipazion e e alla stimolazione di attività industriale.<br />

Nel contesto ossolano, la Fondazione Galletti operò<br />

286<br />

come una cassa di risparmio o come una «società finanziaria<br />

di soccorso» che avrebbe dovuto fac<strong>il</strong>itare e incrementare<br />

la ripresa economica. Sebbene gli amministratori<br />

negli anni successivi non riuscissero a dar corpo<br />

ad un progetto per una vera e propria banca di prestito<br />

e di credito (nel 1884), gli interventi dell’Opera<br />

pia agirono da motore dello sv<strong>il</strong>uppo sia creando alcune<br />

infrastrutture educative che si sarebbero rivelale dei<br />

«prerequisiti» all’industrializzazione, sia mettendo a disposizione<br />

alcuni terreni per gli insediamenti industriali,<br />

sia con la partecipazione all’azionariato nelle imprese<br />

locali, malgrado alcuni limiti ed errori commessi dagli<br />

amministratori. Una seconda ragione del mutamento<br />

della mentalità mi sembra debba farsi risalire all’istruzione.<br />

Numerosi studiosi hanno messo in correlazione<br />

<strong>il</strong> tasso di istruzione con lo sv<strong>il</strong>uppo economico; e se alcuni<br />

sostengono che l’istruzione è una conseguenza della<br />

modernizzazione, certamente per l’Ossola avvenne <strong>il</strong><br />

contrario. 59 Alla vig<strong>il</strong>ia dell’Unità <strong>il</strong> 50% degli Ossolani<br />

era alfabetizzato, percentuale alta rispetto a molte altre<br />

situazioni negli stati preunitari; su 60 Comuni soltanto<br />

uno non aveva una scuola masch<strong>il</strong>e e 5 non avevano<br />

quella femmin<strong>il</strong>e. Nel 1911 in Val d’Ossola l’alfabetizzazione<br />

era quasi totale (come a Viceno) e solo in Valle<br />

Antrona si registrava un tasso molto basso rispetto alle<br />

altre valli (80%), ma sempre più alto che in altre regioni<br />

italiane. Nelle valli erano state istituite scuole grazie<br />

ai numerosissimi lasciti benefici, a Domodossola erano<br />

state istituite scuole dalla Società operaia e scuole professionali<br />

dal Comune nelle quali furono preparati al lavoro<br />

industriale centinaia di ragazzi, anche se con piani<br />

di studio e metodi didattici non sempre coerenti con<br />

l’innovazione a cui si tendeva. 60<br />

Se si accettano queste analisi, si potrebbe concludere<br />

dicendo che, se l’innovazione e <strong>il</strong> rischio furono i fattori<br />

dello sv<strong>il</strong>uppo ossolano nel periodo del decollo industriale,<br />

oggi la mancanza di una aggiornata cultura<br />

imprenditoriale e di una apertura alla modernizzazione<br />

costituisce <strong>il</strong> vero freno alla ripresa economica. Forse<br />

a questa carenza potrebbe far fronte una classe politica<br />

locale <strong>il</strong>luminata, accorta e aperta al nuovo come<br />

fu quella liberaldemocratica che l’Ossola ebbe prima e<br />

dopo l’Unità nazionale.


Note<br />

1 Alcuni collocano queste attività in epoca pre-romana ed altri in<br />

epoca medievale. Cfr. T. BERTAMINI, Il centro siderurgico di V<strong>il</strong>ladossola<br />

nelle antiche e recenti attività ossolane, Domodossola, Cartografica<br />

Antonioli, 1967; IDEM, Storia di V<strong>il</strong>ladossola, Verbania, 1976,<br />

cap. 10; A. G. ROGGIANI, L’oro italiano è oro ossolano, in «Illustrazione<br />

ossolana», 1960, n. 1, pp. 17-28.<br />

2 Cfr. Li Molini & Edificj d’Acque d’Ossola e terre vicine, Mergozzo,<br />

Antiquarium, 1982. Si vedano i bei saggi ivi compresi di T. BER-<br />

TAMINI, Le ruote che hanno macinato la storia nell’Ossola Superiore,<br />

pp. 45-53; E. RIZZI, La visita delle acque, pp. 55-60; C. MAFFIOLI,<br />

La lite fra gli ossolani e <strong>il</strong> Fisco Spagnolo per la tassa sul macinato,<br />

pp. 61-68; P.G. PISONI, «Masnadori» di grano e di oro, pp. 69-86.<br />

3 C. CAVALLI, Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo, Torino, Mussano,<br />

1845, tomo I; N. BAZZETTA, Storia di Domodossola e dell’Ossola<br />

Superiore, Domodossola, La Cartografica, 1911.<br />

4 S. CIRIACONO, La protoindustna rivisitata: the fìrst workshop of<br />

Warwick University, in «Quaderni storici», a. XX, 59, n. 2; pp.<br />

513-19. Cfr. Soprattutto SIDNEY POLLARD, La conquista pacifica.<br />

L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Bologna, II Mulino,<br />

1984, pp. 111-134 secondo cui «i territori meno adatti allo<br />

sfruttamento agricolo si trovano a giocare un ruolo chiave nell’industrializzazione<br />

europea» in quanto non avevano altre prospettive<br />

al di fuori della fame e dell’emigrazione (p. 123).<br />

5 Rinvio ai saggi, oggi raccolti in volume, di L. CAFAGNA, Dualismo e<br />

sv<strong>il</strong>uppo nella storia d’<strong>It</strong>alia, Venezia, Mars<strong>il</strong>io, 1989.<br />

6 Cfr. M. POZZOBON, L’industria padana dell’acciaio nel primo trentennio<br />

del Novecento, in F. BONELLI (a cura di). Acciaio per l’industrializzazione,<br />

Torino, Einaudi, 1982, p. 169. La prima frase virgolettata<br />

è di L. CAFAGNA, Op. cit., p. 288.<br />

7 Per un approfondimento di quanto qui si va dicendo rinvio al mio<br />

vol. Industrializzazione e movimento operaio in Val d’Ossola. Dall’Unità<br />

alla prima guerra mondiale, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1985, ricco di<br />

dati e di bibliografia. Da questo vol. si intendono tratti i riferimenti<br />

statistici quando non sono diversamente indicati.<br />

8 U. CHIARAMONTE, L’Ossola e le Esposizioni industriali fino alla prima<br />

guerra mondiale, in «Novara -notiziario economico», Camera di<br />

Commercio, 1983, n. 5, pp. 47-55. Sull’importanza delle Esposizioni<br />

come indice dello sv<strong>il</strong>uppo cfr. G. ARE, II problema dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

industriale nell’età della Destra, Pisa, Nistri-Lischi, 1964, pp. 45-<br />

73; L. CAFAGNA (a c. di), Il Nord nella gloria d’<strong>It</strong>alia, Bari, Laterza,<br />

1962; R. ROMANO, Le Esposizioni industriali italiane: linee di metodologia<br />

interpretativa, in «Società e storia», a. III. 1980, pp. 215-228.<br />

9 G. VEGEZZI RUSCAGLIA, Esame della già progettata linea di strada ferrata<br />

fra Genova e la Germania e proposizione di altra più conveniente,<br />

Domodossola, Vercellesi. 1850.<br />

10 V. ZAMACINI, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica<br />

dell’<strong>It</strong>alia: 186I-1981, Bologna, II Mulino, 1990, p. 107; cfr. anche<br />

L. CAFAGNA, Prof<strong>il</strong>o della storia industriale italiana, in Dualismo<br />

e sv<strong>il</strong>uppo, cit., pp. 297 ss.<br />

11 Si dà qui la definizione E. A. WRIGLEY, Processo di modernizzazione<br />

e Rivoluzione industriale in Ingh<strong>il</strong>terra, in «The Journal of Interdisciplinary<br />

History», vol. III, n. 2, 1972, pp. 225-59.<br />

l2 Su questo tema rinvio al mio saggio La reazione della sinistra alla<br />

formazione del trust siderurgico (1911), Relazione al Convegno su<br />

«La storia del movimento operaio nell’area siderurgico-mineraria<br />

della Toscana dalla fine dell’800 al secondo dopoguerra», Piombino,<br />

11-12 febbraio 1983; e U. CHIARAMONTE, Gli scioperi nella siderurgia<br />

a Piombino (1910-1911), Domodossola, Ambiente, 1983.<br />

13 Riportano in U. CHIARAMONTE, Industrializzazione e movimento<br />

operaio, cit,, p. 132.<br />

14 Cfr. V. ZAMAGNI, Industrializzazione e squ<strong>il</strong>ibri regionali in <strong>It</strong>alia.<br />

B<strong>il</strong>ancio dell’età giolittiana, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 48-49.<br />

15 Per un panorama sulla siderurgia nazionale, accanto al classico G.<br />

SCAGNETTI, La siderurgia in <strong>It</strong>alia, Roma, Ind. Tip. Romana, 1923.<br />

si vedano: La siderurgia italiana dall’Unità ad oggi, in «Ricerche storiche»,<br />

(n. speciale sulla metallurgia) a. VIII, 1978, n. 1; Associazione<br />

fra le Soc. <strong>It</strong>aliane per Azioni, L’economia italiana dal 1911 al<br />

1926, Roma, X Congresso Geografico <strong>It</strong>aliano, 1927.<br />

16 E. FLORIDIA, Le attività siderurgiche quali fattori di urbanizzazione<br />

di V<strong>il</strong>ladossola e di equ<strong>il</strong>ibrio socioeconomico nella regione ossolana,<br />

in «Notiziario di Geografia economica», scritti di F. M<strong>il</strong>one, a. II,<br />

1971, p. 147. Nell’archivio di V<strong>il</strong>ladossola (abbreviato d’ora in poi<br />

in ACV), Faldone 117, è possib<strong>il</strong>e ricavare alcuni dati sull’immigrazione<br />

operaia dall’Em<strong>il</strong>ia Romagna, da Piombino, da Genova, da<br />

Udine, da Omegna e da altre zone notoriamente con esperienze siderurgiche.<br />

Un elenco di operai ci indica nomi, età e provenienza.<br />

17 Mentre nel 1909 nelle due miniere d’oro ancora attive si estrassero<br />

t 2.890 di minerale ricavando kg 15.136, nel 1914 <strong>il</strong> minerale<br />

ammontò a t 206, l’oro a kg 1,10 e l’argento a kg 2,06. Nel periodo<br />

1872-1912 si pagarono £ 86.130 di tasse, costituendo la gran parte<br />

del gettito fiscale minerario del Piemonte.<br />

18 L’industria ossolana, in «L’Ossola», settimanale, 4 agosto 1906 riportato<br />

in Industrializzazione, pp. 116-21.<br />

19 P. LANINO, La nuova <strong>It</strong>alia industriale, Roma, L’<strong>It</strong>aliana, 1916.<br />

20 Oltre al mio vol. Industrializzazione, pp. 142-145, ho ut<strong>il</strong>izzato<br />

nuove fonti dell’ACV, Faldone 117: Jutificio Ossolano (1903-1939).<br />

21 ACV, Faldone 117, cit., lettera dello Jutificio Nazionale al sindaco<br />

di V<strong>il</strong>ladossola, Ceretti, Genova 12 apr<strong>il</strong>e 1928.<br />

22 L. CAFAGNA, L’industrializzazione italiana. La formazione di una<br />

«base industriale» fra <strong>il</strong> 1896 e <strong>il</strong> 1914, in «Studi storici», a. II, 1961,<br />

n. 3-4, p. 711.<br />

23 U. CHI ARA MONTE, Industrializzazione, cit. p. 331 e tutto <strong>il</strong> cap. 10.<br />

24 E. CONTI, Dal taccuino di un borghese, M<strong>il</strong>ano, Garzanti, 1946, p. 51.<br />

25 Cfr. i voll. Nel cinquantenario della Società Edison, M<strong>il</strong>ano,<br />

1934.<br />

26 A. FORTI, Le costruzioni idrauliche applicate alla produzione di forza<br />

motrice, in Nel cinquantenario, cit., p. 55. Cfr. anche Le dighe di<br />

ritenuta degli impianti idroelettrici italiani, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1951,<br />

in 7 voll.<br />

27 F. MILONE, L’economia italiana nelle sue regioni, Torino, 1955, p.<br />

216.<br />

28 V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro, cit., p. 344. Questa è la tesi<br />

di altri tra cui G. GUALERNI. Industria e fascismo, M<strong>il</strong>ano, Vita e Pensiero,<br />

1976.<br />

29 V. ZAMAGNI, Op. cit., p. 345.<br />

30 Sugli aspetti economici mi permetto rinviare al mio vol. Economia<br />

e società in provincia di Novara durante <strong>il</strong> Fascismo (1919-1943),<br />

M<strong>il</strong>ano. F. Angeli, 1987 al quale mi rifarò per tutti i dati non altrimenti<br />

specificati.<br />

287


31 Cfr. V. CASTRONOVO, L’industria siderurgica e <strong>il</strong> piano di coordinamento<br />

dell’IRI (I936-I939), in «Ricerche storiche», cit., pp. 163-188.<br />

32 R. PRODI, Sistema industriale e sv<strong>il</strong>uppo economico in <strong>It</strong>alia, nel vol.<br />

dallo stesso titolo che raccoglie gli atti del convegno di Bologna, 14<br />

apr<strong>il</strong>e 1973, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 11.<br />

33 ACV, Faldone 117, Jutificio, cit., lettera del podestà Mario Ceret-<br />

ti al prefetto, 17 agosto 1927.<br />

34 Ivi, lettera dello Jutificio nazionale al podestà del 3 settembre<br />

1928; <strong>il</strong> podestà interessò <strong>il</strong> prefetto con lettera del 21 dicembre<br />

1928; una lettera dell’ing. Ferrari della società al podestà Ceretti annunciò<br />

la definitiva chiusura (3 giugno 1933).<br />

35 ACV, Faldone 210 bis. Case popolari P. M. Ceretti e V<strong>il</strong>laggio Sisma,<br />

Relazione, 5 giugno 1938. La Relazione sulla insufficienza delle<br />

abitazioni e sulle condizioni igienico-sanitarie delle abitazioni esistenti<br />

(I8 dicembre 1937) dava questi dati: famiglie n. 1.382; abitazioni<br />

5.034; case igieniche abitab. 217, fam. 540; case adattab<strong>il</strong>i 156,<br />

fam. 356; case inabitab<strong>il</strong>i 227, fam. 486; fam. con 4 pers. in case di<br />

2 vani 207; fam. con 5 pers. in 2 vani 135; di 5 pers. in 3 vani 161.<br />

36 ACV, Faldone 210 bis, cit., lettera della società Ceretti al prefet-<br />

to, 29 marzo 1938.<br />

37 COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA, La disoccupazione in<br />

<strong>It</strong>alia. Monografie regionali. Atti della Commissione, vol. III, tomo I,<br />

Roma, 1953, p. 120. Per un panorama complessivo della ricostruzione<br />

rinvio al mio recente saggio. Secondo dopoguerra in Val d’Ossola:<br />

ricostruzione e nuova classe politica, in «Boll. storico per la provincia<br />

di Novara». a. LXXVII, 1994, n. 2.<br />

38 D. PARISET, L’oro di Pestarena, in «Risveglio ossolano». 13 settembre<br />

1950. Così aveva scritto l’A. riferendo una conversazione tenuta<br />

a «Rete azzurra» della Rai. Il prezzo dell’oro nel 1948-49 era stato<br />

£ 1.100-1.130 al gr. mentre dopo una flessione, nel 1950 si era<br />

portato a £ 880 al gr.<br />

39 Al tema dell’oro è stato dedicato un interessante convegno. Cfr.<br />

Le miniere d’oro e le acque arsenico-ferruginose della Valle Anzasca, in<br />

«Suolo-sottosuolo», Notiziario dell’Associazione Mineraria Subalpina,<br />

a. VII (1981), n. 1, Atti del simposio del 29 novembre 1980.<br />

40 In quest’ottica si giustificavano <strong>il</strong> IV centro siderurgico di Taranto<br />

e <strong>il</strong> V di Gioia Tauro, mai realizzato. Cfr. L. DE Rosa, La siderurgia<br />

italiana dalla ricostruzione al V centro siderurgico, in «Ricerche storiche»,<br />

a. VIII, cit., pp. 251-275.<br />

41 L’Ossola partecipava alla produzione nazionale con un 9% assieme<br />

agli stab<strong>il</strong>imenti di minore entità. Cfr. A. FRUMENTO, / baricentri<br />

siderurgici italiani fra <strong>il</strong> 1949 e <strong>il</strong> 1971, in «Rivista internazionale<br />

di scienze economiche e commerciali», a. XV (1968), n. 3; E. MAS-<br />

SI, Tipi geografico-economici nell’evoluzione della siderurgia italiana,<br />

in «Ricerche storiche», cit. pp. 307-330.<br />

42 Cfr. E. Rossi, Elettricità senza baroni. Bari, Laterna, 1962; E. SCAL-<br />

FARI, Storia segreta dell’industria elettrica, Bari, Laterna, 1963.<br />

43 P. G. LANDINI, Attività industriali antiche e recenti nell’Ossola,<br />

estratto dagli «Atti del XXI congresso geografico italiano», Verbania,<br />

1971, p. 8.<br />

44 Per le statistiche del periodo risulta importante consultare COMI-<br />

288<br />

TATO COMPRENSORIALE VERBANO Cusio OSSOLA, Piano socio-economico<br />

di Comprensorio, Torino, Regione Piemonte, 1980.<br />

45 Problematiche dei flussi migratori in provincia di Novara, Atti del<br />

convegno di Borgomanero del 26 Ottobre 1983, Amministrazione<br />

Provinciale, Borgomanero, 1984. Cfr., in particolare, P. CROSA LENZ,<br />

Elementi di demografia storica delle Valli dell’Ossola: spopolamento alpino<br />

e mutamenti culturali, pp. 187-212.<br />

46 Per un panorama industriale contemporaneo rinvio a C. SQUIZZI,<br />

Congresso eucaristico ossolano, cit., pp. 21 ss; cfr. anche FEDERAZIONE<br />

LAVORATORI METALMECCANICI - NOVARA, Ricerca sulla struttura della<br />

industria metalmeccanica nella provincia di Novara, Novara, s.d. (ma<br />

1978) condotta in 222 aziende metalmeccaniche. «Un segnale allarmante<br />

della crisi industriale si ebbe con la requisizione, da parte del<br />

sindaco di V<strong>il</strong>ladossola, della SISMA nel 1962, e con altre lotte sindacali».<br />

Cfr. P. PIRAZZI MAFFIOLA, V<strong>il</strong>la operaia. Appunti per una storia<br />

della Camera del lavoro di V<strong>il</strong>ladossola. V<strong>il</strong>ladossola, 1993: REGIONE<br />

PIEMONTE - COMUNE DI VERBANIA, Il mercato del lavoro nel VCO, Verbania,<br />

1993 (ciclost<strong>il</strong>ato).<br />

47<br />

URPP, Piano di sv<strong>il</strong>uppo del Piemonte. Studi e documenti. Gli strumenti<br />

per la programmazione regionale. I. L’istituto finanziario per lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo industriale, a cura dell’Ires, Torino, 1965.<br />

48 A. CASSONE - A. PIANO, La localizzazione industriale e programmazione<br />

regionale. Il caso Piemonte, M<strong>il</strong>ano, F. Angeli, 1983, p. 12.<br />

49<br />

CIPE, Comunità montane e piani di sv<strong>il</strong>uppo. Atti del convegno, Torino,<br />

2 marzo 1974, supplemento a «Note informative di politica<br />

economica regionale», N.S., a. I, n. 3-4, 1974.<br />

50 Cfr. l’intervento di C. SIMONELLI nel convegno cit., pp. 21-29.<br />

51 Cfr. ECRIS, Lo sv<strong>il</strong>uppo industriale delle aree depresse del Piemonte,<br />

Torino, LIED ed., 1966.<br />

52 E. FERRARI, Lo scalo di Domodue e <strong>il</strong> ruolo dell’Ossola nel sistema<br />

dei trasporti internazionali, in Vent’anni della rivista Novara; 1966-<br />

1985, Novara, CCIAA, 1985, p. 74.<br />

53 G. M. CAPUANI, Presentazione, in Alpe Veglia parco naturale, estratto<br />

da «Novara - mens<strong>il</strong>e economico della CCIAA», dicembre 1970.<br />

54 Provincia di Novara, Studio sul potenziamento delle risorse idriche<br />

nell’Alto Novarese, Novara, 1983 (ciclost<strong>il</strong>ato).<br />

55 Scuola di Direzione Aziendale. Università Bocconi - M<strong>il</strong>ano, Per<br />

un recupero della imprenditorialità nel Verbano-Cusio-Ossola. Cause<br />

della crisi e ipotesi di soluzione, Novara, Amministrazione Provinciale,<br />

1984.<br />

56 Idem, p. 172. Ivi anche la citazione successiva.<br />

57 ACD, Cat 11, cartella 4: Pro Industria, cit. da U. CHIARAMONTE,<br />

Industrializzazione, cit., pp. 278-290.<br />

58 U. CHIARAMONTE, Capitali e investimenti di un’Opera pia dell’Ottocento:<br />

la Fondazione Galletti di Domodossola, in «Boll. storico per la<br />

provincia di Novara», a. LXXV, 1984, n. 2, pp. 325-372.<br />

59 M. BARBAGLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in<br />

<strong>It</strong>alia, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 106.<br />

60 U. CHIARAMONTE, Istruzione tecnico-professionale e sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />

in Val d’Ossola: 1856-1916, estratto da «Boll. storico per la<br />

provincia di Novara», a. LXXXI, 1990, n. 2, pp. 402-453.


Gli ultimi dieci anni<br />

Il testo del prof. Umberto Chiaramonte “Economia e<br />

sv<strong>il</strong>uppo industriale” <strong>il</strong>lustra in modo esauriente la storia<br />

delle principali attività ossolane dalla loro nascita<br />

fino alla metà degli anni Novanta. Di seguito, con queste<br />

brevi note, s’intende evidenziare i cambiamenti che<br />

le principali industrie storiche hanno subito negli ultimi<br />

dieci anni.<br />

Settore siderurgico<br />

- La società Sisma s.p.a., nata nel 1892 a V<strong>il</strong>ladossola<br />

come piccola bulloneria, nel tempo diventò una delle<br />

prime società siderurgiche italiane comprendendo<br />

un’acciaieria, un laminatoio, una traf<strong>il</strong>a, le fucine e arrivando,<br />

nel suo periodo migliore, ad occupare una media<br />

di 1600 dipendenti nel solo stab<strong>il</strong>imento ossolano.<br />

Negli anni Settanta entrò nell’ambito delle partecipazioni<br />

statali. Nel 1989, a seguito delle dismissioni da<br />

parte dell’IRI nel settore siderurgico, fu acquistata dalla<br />

società Leali S.p.a. di Odolo: nel medesimo anno contava<br />

circa 550 dipendenti. Nel 1999 <strong>il</strong> Gruppo Leali, al<br />

centro di una consistente ristrutturazione e concentrazione<br />

dei poli produttivi, ha cercato e trovato nel gruppo<br />

Beltrame una realtà che desse affidamento per <strong>il</strong> futuro.<br />

Attualmente la società Ferriera Siderscal S.p.A. del<br />

gruppo Beltrame produce a V<strong>il</strong>ladossola, con <strong>il</strong> treno di<br />

laminazione T. 650/450, circa 55.000 ton/anno di prof<strong>il</strong>i<br />

speciali per cantieristica e per macchine per movimento<br />

terra, occupando 75 addetti.<br />

- La Ceretti, nel nuovo stab<strong>il</strong>imento costruito a Pallanzeno<br />

nel 1972, ed entrato in crisi nel 1974, produceva<br />

parte dell’acciaio occorrente al laminatoio che lavorava<br />

in trasformazione per la società Eumit del Gruppo<br />

Regis. Nell’81 si decise, per motivi strategici aziendali,<br />

di fermare l’acciaieria e di importare le b<strong>il</strong>lette dall’est<br />

e, contemporaneamente, subentrò <strong>il</strong> Gruppo Regis<br />

al 100% alla Eumit. Negli anni successivi fu ceduta dal<br />

Gruppo Regis alla Duferco finché recentemente è subentrato<br />

<strong>il</strong> gruppo francese Arcelor, uno dei più grandi<br />

produttori di acciaio nel mondo. Nell’attuale situazione<br />

<strong>il</strong> laminatoio Travi e prof<strong>il</strong>ati di Pallanzeno - gruppo<br />

Arcelor, produce 500.000 tonnellate all’anno di prof<strong>il</strong>i<br />

con un organico di 200 addetti.<br />

- Il Laminatoio del Sempione, nato nel 1961 a Crevoladossola,<br />

produce laminati mercant<strong>il</strong>i di piccole dimensioni<br />

in acciaio; la produzione attuale è di circa 15.000<br />

tonnellate all’anno con 12 addetti.<br />

Le Fonderie<br />

- Nel corso degli anni Novanta la Fonderia Coppi di V<strong>il</strong>ladossola<br />

cessò la produzione.<br />

- Attualmente lavora soltanto la Fonderia Ossolana di<br />

Zambelli. Questa azienda, nata nel 1937 con un piccolo<br />

capannone/tettoia, venne registrata ufficialmente<br />

presso l’Ufficio commerciale delle corporazioni di Novara<br />

<strong>il</strong> 1° luglio 1943 come Fonderia Ossolana di Zambelli<br />

e Novemi, per produrre sem<strong>il</strong>avorati in metalli<br />

non ferrosi: alluminio, bronzo e ottone. Nel 1943 nella<br />

nuova sede in Regione Nosere nacque un moderno capannone<br />

con un cub<strong>il</strong>otto e poche unità lavorative. Attualmente,<br />

con un moderno cub<strong>il</strong>otto, un forno rotativo<br />

ad ossigeno e metano e con 20 addetti nei reparti<br />

modelleria e fonderia, produce dalle 80 alle 100 tonnellate<br />

al mese di sem<strong>il</strong>avorati in piccola serie per industria<br />

della carta, plastica, cuoio e macchine utens<strong>il</strong>i, in ghisa<br />

comune legata e sferoidale.<br />

La Fonderia Erregi di Ricca e Lomonte s.n.c. si è trasferita<br />

nell’anno 2000 da Gravellona a Ornavasso. Produce<br />

con due forni, fondendo pani di alluminio e impiegando<br />

sei addetti per forno, circa 60 tonnellate all’anno<br />

di caldaiette per caffettiere, che vengono rifinite presso<br />

altre ditte della zona.<br />

Metallurgia di rame e leghe di rame<br />

- La Sitindustrie International nacque nel 1909 come<br />

Falegnameria Tabachi; nel 1933 divenne Fratelli Bialetti<br />

(pentolame in alluminio) e nel 1949 venne assorbita<br />

da Tonolli come fonderia in alluminio, stagno, caldareria<br />

ecc. Nella seconda metà degli anni Sessanta vennero<br />

affiancate altre produzioni, tra cui quella di sem<strong>il</strong>avorati<br />

di rame e leghe di rame. Attualmente la Sitindustrie<br />

International s.r.l. del gruppo Bocciolone di Valduggia<br />

produce sem<strong>il</strong>avorati in rame e leghe di rame con ciclo<br />

integrale da rottami a prodotto finito prevalentemente<br />

per <strong>il</strong> settore elettromeccanico. Produce 15.000<br />

289


tonnellate all’anno, di cui <strong>il</strong> 40% per <strong>il</strong> mercato europeo,<br />

con 155 addetti. È entrata ultimamente nel mercato<br />

dei tubi in cupronickel ut<strong>il</strong>izzati su navi e piattaforme<br />

marine.<br />

Settore abrasivi<br />

- La Treibacher Schleifmittel S.p.A. nacque nel 1917 con<br />

la denominazione di società Galtarossa (dal nome del<br />

proprietario) e iniziò la produzione di ferroleghe. Come<br />

per altre attività industriali, la scelta del sito produttivo<br />

nel bacino ossolano dipese dal basso costo dell’energia<br />

elettrica, materia prima per la produzione di ferroleghe.<br />

Negli anni Trenta si aggiunsero le produzioni di<br />

carburo di s<strong>il</strong>icio e di corindone, abrasivi indispensab<strong>il</strong>i<br />

per la lavorazione dei metalli. Negli anni Sessanta, conseguentemente<br />

all’aumentato costo dell’energia elettrica,<br />

si fermò la produzione di ferroleghe e di carburo di<br />

s<strong>il</strong>icio potenziando la produzione di corindone, caratterizzata<br />

da minor fabbisogno energetico. Anche questa<br />

società fu per un certo periodo nelle partecipazioni<br />

statali. Dal 1992 è stata assorbita al 100% dal gruppo<br />

Treibacher. Lo stab<strong>il</strong>imento di Domodossola, che conta<br />

100 addetti, produce attualmente 45.000 tonnellate all’anno<br />

(di cui <strong>il</strong> 75% per l’esportazione) sulle 250.000<br />

tonnellate all’anno che produce <strong>il</strong> gruppo con 10 stab<strong>il</strong>imenti<br />

nel mondo.<br />

- L’International Chips opera a Domodossola nel campo<br />

del trattamento delle superfici a partire dal 1975. Attualmente<br />

l’azienda è in grado di produrre ben 32 dimensioni<br />

e forme diverse di preformati abrasivi con legante<br />

di resina poliestere da ut<strong>il</strong>izzarsi nel campo della<br />

vibrofinitura, di cui <strong>il</strong> 60% viene esportato all’estero.<br />

Attualmente opera con l’impiego complessivo di 45<br />

addetti.<br />

Settore chimico<br />

- Il primo nucleo chimico nacque a V<strong>il</strong>ladossola fra <strong>il</strong><br />

1918-19 come società Elettrochimica del Toce, che nel<br />

1924 entrò a far parte del Gruppo Montecatini. Dall’iniziale<br />

produzione di carburo di calcio, si passò alla<br />

produzione di Rayon Acetato; nel 1928 la Montecatini<br />

passò alla produzione di Anidride Acetica per ottenere<br />

l’Acetato. Successivamente prese accordi con <strong>il</strong> grup-<br />

290<br />

po francese della Rhone Poulenc e si costituì la società<br />

Rhodiaceta, che iniziò la costruzione dello stab<strong>il</strong>imento<br />

di Pallanza. Nel corso degli anni lo stab<strong>il</strong>imento di<br />

V<strong>il</strong>ladossola, che aveva sempre vissuto in simbiosi con<br />

quello di Pallanza, entrò in crisi e subì diversi cambiamenti<br />

di ragione sociale e di proprietà, per arrivare nel<br />

1991 alla richiesta di chiusura da parte di Enichem, ultimo<br />

proprietario. Forti pressioni politiche e sindacali<br />

imposero la ricerca di un acquirente. Nel luglio 1994<br />

la Mapei acquisì da Enichem Synthesis l’attività Resine<br />

Acetovin<strong>il</strong>iche con le unità di V<strong>il</strong>ladossola e Ravenna.<br />

La nuova società ribattezzata Vinav<strong>il</strong> S.p.A. iniziò<br />

l’opera di risanamento strutturale, impiantistico e ambientale.<br />

Nel 1995 l’impianto EVA, per la produzione<br />

di emulsioni copolimere acetato di vin<strong>il</strong>e-et<strong>il</strong>ene, venne<br />

rimesso in marcia e ad oggi produce circa 90.000 tonnellate<br />

all’anno con 190 unità. Attualmente si sono aggiunte<br />

le linee produttive Vinav<strong>il</strong> in polvere con l’impianto<br />

Spray driers e le linee emulsioni acr<strong>il</strong>iche e Stirolo-Acr<strong>il</strong>iche.<br />

Notevoli interventi sono stati fatti per<br />

l’adeguamento alle normative di sicurezza e igiene ambientale.<br />

- Lo stab<strong>il</strong>imento Rumianca S.p.A. nacque a Pieve Vergonte<br />

intorno al 1915 e si sv<strong>il</strong>uppò con produzioni collegate<br />

alle linee principali di clorosoda e acido solforico<br />

con forni di arrostimento di pirite. Negli anni Settanta<br />

fu assorbito dal Gruppo SIR per essere successivamente<br />

trasferito alla società Anic e poi all’Enichem. Nel 1995<br />

l’assetto produttivo comprendeva i seguenti impianti:<br />

clorosoda, acido solforico, cloroaromatici, DDT. L’impianto<br />

DDT fu fermato nel 1996. Nel luglio 1997 gli<br />

impianti furono ceduti dalla società Enichem a Tessenderlo<br />

<strong>It</strong>alia e dal gennaio 1997 l’assetto produttivo<br />

comprende gli impianti clorosoda, acido solforico, cloroaromatici.<br />

Attualmente gli addetti sono 250. Nell’anno<br />

2002 la Tessenderlo ha installato un impianto per la<br />

produzione di fotocloruranti.<br />

Settore metalmeccanico<br />

- La Marini Quarries Group di V<strong>il</strong>ladossola, nata nel<br />

1975, progetta e costruisce una vasta gamma di macchine<br />

quali carotatrici per sondaggi, perforatrici pneumatiche<br />

e oleodinamiche, tagliatrici a f<strong>il</strong>o diamantato,


unità di perforazione semovente radiocomandata e tutti<br />

gli accessori in grado di affrontare problematiche nelle<br />

cave di marmo e granito. Esegue studi geologici e<br />

piani di coltivazione di cave, elabora progetti finanziari,<br />

forma <strong>il</strong> personale in loco. L’impegno nella costruzione<br />

di strumenti di lavoro efficaci e sicuri ha consentito<br />

alla Marini di guadagnarsi un posto di primo piano<br />

nel panorama mondiale della tecnologia di coltivazione<br />

di cave. Attualmente occupa circa 150 addetti di cui 50<br />

nella propria officina.<br />

- La società A.M.E.A., attrezzature meccaniche e affini<br />

s.r.l. è presente da quasi 50 anni sui mercati nazionale<br />

ed internazionale delle attrezzature per bulloneria, per<br />

stampaggio a caldo o a freddo, per punzonatura-tranciatura<br />

e perforatura. Occupa 40 operai.<br />

- La Nugo Romano S.p.A. opera dal 1968 ed ha assunto<br />

l’attuale veste giuridica nel 1980. Opera nello stab<strong>il</strong>imento<br />

di Piedimulera, località Sassonia, su un’area di<br />

95.000 mq. di cui oltre 50.000 coperti con un punto<br />

di secondaria importanza a Pieve Vergonte su un’area<br />

di 12.000 mq. di cui 3.500 coperti. Occupa 150 di-<br />

Lo scalo internazionale “Domo Due” con la sede delle Dogane del Verbano Cusio Ossola.<br />

pendenti e crea indotto in zona per oltre 150/170 posti<br />

di lavoro. L’officina meccanica è attrezzata per produrre<br />

e collaborare nella realizzazione di macchinari per<br />

i più diversi settori industriali, sia su progettazioni dirette,<br />

sia su specifiche richieste della clientela, che annovera<br />

i nomi più significativi delle industrie europee<br />

operanti nella industria cartaria, delle condotte forzate,<br />

dell’energia elettrica e degli impianti automatizzati<br />

in genere.<br />

- La società Officine Lorenzina s.r.l. porta <strong>il</strong> nome del<br />

socio fondatore che nel 1968 avviò un’attività artigiana<br />

di carpenterie metalliche ampliandola successivamente<br />

al settore meccanico. Nel 1985 ha assunto l’attuale veste<br />

giuridica. Nello stab<strong>il</strong>imento di Masera, su un’area<br />

di 30.000 mq., di cui 7.000 coperti, occupa circa 70 dipendenti,<br />

supportati da un indotto di circa 50/70 posti<br />

di lavoro in zona. Produce parti di carpenteria meccanica<br />

per impianti industriali diversi destinati alla movimentazione<br />

di merci, alle condotte forzate, alla realizzazione<br />

di forni per acciaieria e forni a gas ed alla industria<br />

elettrica.<br />

291


- La Carpenteria Vanoli Valter opera dal 1971 ed è specializzata<br />

nella fabbricazione di carpenteria metallica di<br />

macchine per la lavorazione della lamiera e fabbricazione<br />

di strutture di carpenteria metallica media-pesante,<br />

in particolare presse piegatrici, cesoie e presse per stampaggio.<br />

Conta 13 addetti, oltre ad un indotto equivalente.<br />

La struttura industriale, sita a Vogogna, è costituita<br />

da 3 capannoni per una superficie totale di 7.700<br />

mq. serviti da 8 carri ponte di portate varie. Dispone di<br />

un’area esterna per deposito di 22.000 mq.<br />

Settore manifatturiero<br />

- La Manifattura di Domodossola, fondata nel 1913 da<br />

Giuseppe Polli, negli anni Venti e Trenta dava lavoro a<br />

circa 300 persone, per la maggior parte manodopera<br />

femmin<strong>il</strong>e che si occupava di intrecciare funi e cordami<br />

per navi. Oggi l’azienda si occupa di tessuti intrecciati<br />

per calzature, pelletteria e abbigliamento per l’alta<br />

moda, impiegando circa 55 persone ed esportando gran<br />

parte della propria produzione.<br />

Settore bancario<br />

- Tra gli istituti bancari presenti in Ossola ricordiamo la<br />

Banca Popolare di Intra costituita nel 1873 e autorizzata<br />

all’esercizio dell’attività <strong>il</strong> 1° marzo 1874. L’11 maggio<br />

1874 l’istituto, presieduto dal cav. Lorenzo Cobianchi,<br />

iniziò la sua attività a Intra. L’assemblea del 3 ottobre<br />

1915 autorizzò <strong>il</strong> consiglio ad istituire f<strong>il</strong>iali e agenzie e<br />

nel 1916 fu aperta a Omegna la prima dipendenza.<br />

La prima f<strong>il</strong>iale ossolana della BPI fu la dipendenza di<br />

V<strong>il</strong>ladossola, aperta <strong>il</strong> 15 settembre 1919 e <strong>il</strong> 15 dicembre<br />

dello stesso anno fu attivata anche la sede di Domodossola.<br />

In seguito la banca, oltre ad affrancare la presenza<br />

sul territorio di tradizionale appartenenza (province<br />

di Novara e Vco) si è sv<strong>il</strong>uppata nelle province limitrofe<br />

di M<strong>il</strong>ano, Varese e Como. Negli ultimi dieci<br />

anni la BPI ha attivato 30 f<strong>il</strong>iali, di cui 3 in Ossola: Baceno<br />

nel 1996, Druogno nel 1997, Varzo nel 1998. Attualmente<br />

la rete operativa della banca è strutturata su<br />

72 dipendenze, di cui 26 nella provincia di Novara, 25<br />

in quella del Vco (9 in Ossola), 12 in quella di Varese, 7<br />

in quella di M<strong>il</strong>ano e 2 in quella di Como. Dagli iniziali<br />

286 soci che parteciparono alla costituzione della banca,<br />

si è passati a oltre 37.000. Il capitale sociale ha supe-<br />

292<br />

rato i 142,5 m<strong>il</strong>ioni di euro. Complessivamente la BPI<br />

conta attualmente oltre 113.000 clienti, di cui 13.000<br />

nell’Ossola e <strong>il</strong> personale occupato è pari a 980 persone,<br />

di cui 124 residenti in Ossola.<br />

Settore doganale<br />

Dal 1993 con l’istituzione della Comunità, <strong>il</strong> lavoro è<br />

diminuito di circa <strong>il</strong> 60%, ma alla dogana sono stati assegnati<br />

altri compiti: oltre alla riscossione dei diritti di<br />

confine, la lotta alla contraffazione, alle attività usurpative,<br />

ai traffici <strong>il</strong>leciti vecchi e nuovi; <strong>il</strong> contrasto alle<br />

frontiere alla criminalità organizzata e la sicurezza, specie<br />

dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001. L’ufficio<br />

doganale, di importanza strategica per l’intera provincia,<br />

ha competenza sulla circoscrizione doganale di<br />

Domodossola e sull’ufficio tecnico di finanza di Novara,<br />

relativamente alla provincia del Vco ed ha alle sue<br />

dipendenze la sezione operativa territoriale di Piaggio<br />

Valmara e quella di Iselle. La circoscrizione doganale<br />

di Domodossola, con sede nello scalo ferroviario di<br />

Domo2 a Beura Cardezza, è composto attualmente di<br />

42 unità che operano in tutta la provincia del Vco.<br />

Settore ed<strong>il</strong>e<br />

- Nel 1902 i fratelli Bartolomeo e Antonio Poscio fondarono<br />

l’omonima società ed effettuarono le prime forniture<br />

di pietrisco per strade. Dal 1912 l’azienda si occupò<br />

anche di legnami e trasporti. Dal 1925 iniziarono<br />

i primi lavori murari, pur continuando la fornitura<br />

di materiale e la costruzione di strade. In questi anni<br />

la forza era di circa 100 persone. Dalla fine degli anni<br />

Trenta la manodopera raggiunse le 400/500 unità e la<br />

società iniziò ad effettuare i primi grandi lavori come<br />

stab<strong>il</strong>imenti, impianti funiviari, strade e ponti e società<br />

idroelettriche ossolane e di altre località.<br />

- Numerose ditte operano in Ossola, tra le più note per<br />

anzianità, capacità produttiva e storia sul territorio citiamo<br />

le ditte Frua, Cattaneo, Giacomini e Rolandi. Attualmente<br />

<strong>il</strong> settore occupa in Ossola circa 1000 persone.<br />

Settore trasporti<br />

- Ferrovie dello Stato: <strong>il</strong> futuro traffico e la capacità<br />

della linea del Sempione, con la prevista apertura nel<br />

2006/2007 del Loetschberg, che avrà una capacità di


390 treni al giorno, con convogli lunghi anche 1.500<br />

m., capacità destinata ad interessare <strong>il</strong> tunnel del Sempione<br />

e le linee ferroviarie italiane (<strong>il</strong> tunnel ha capacità<br />

attuale di 280 treni al giorno), imporrà una serie di<br />

interventi in grado di supportare tale volume di traffico,<br />

anche prevedendo che i lavori sulla linea del Gottardo<br />

possano slittare dall’anno 2014 al 2017. Il potenziamento<br />

risulterebbe importante anche alla luce delle<br />

previsioni di aumento continuo del traffico merci, che<br />

potrebbe sacrificare <strong>il</strong> traffico passeggeri. I lavori che<br />

da recenti convegni risultano necessari sono la variante<br />

Iselle-Domodossola ed <strong>il</strong> potenziamento con adeguamenti<br />

della linea Domodossola-Novara e Domodossola-M<strong>il</strong>ano;<br />

tali adeguamenti dovranno considerare i disagi<br />

attuali (rumori, passaggi a livello) cui sono sottoposte<br />

tutte le aree di passaggio, quali le zone turistiche dei<br />

laghi Maggiore e Orta.<br />

- La ferrovia Vigezzina nacque da un’idea del maestro vigezzino<br />

Andrea Testore, che si concretizzò con l’inizio<br />

lavori del 1912. Il 25 novembre del 1923 venne inaugurata<br />

la ferrovia che aveva lo scopo principale di unire<br />

le due direttrici del Sempione e del Gottardo. Nel corso<br />

degli anni la linea ferroviaria dimostrò la sua indispensab<strong>il</strong>ità<br />

come collegamento col capoluogo ossolano, soprattutto<br />

in occasione dell’alluvione del 1978, durante<br />

la quale la Vigezzina rappresentò l’unica via d’accesso<br />

e di trasporto di generi di prima necessità. Attualmente<br />

sono in esercizio 11 elettrotreni e i dipendenti delle<br />

AREE<br />

INDUSTRIALI<br />

AREE<br />

ARTIGIANALI<br />

SSIF sono un centinaio. Il traffico internazionale viene<br />

gestito anche con personale della società FART che, per<br />

<strong>il</strong> comparto ferroviario, occupa circa 75 persone. I viaggiatori<br />

trasportati sono circa 500.000 all’anno, di cui <strong>il</strong><br />

40% italiani e <strong>il</strong> 60% stranieri.<br />

- L’Autoservizi Comazzi della famiglia Galli nacque nel<br />

1925 come “Accomo e Comazzi” nell’area del borgomanerese,<br />

successivamente sv<strong>il</strong>uppatasi sia verso Novara<br />

che verso Verbania, Omegna e Domodossola. Attualmente<br />

è <strong>il</strong> maggiore operatore privato del settore nelle<br />

province di Novara e Vco e di recente ha assunto<br />

la gestione diretta della Navigazione sul lago d’Orta e<br />

di importanti partecipazioni societarie nella Alma Tour<br />

di Verbania e nella società Trasporti Novaresi (STN di<br />

Novara). Dispone di un parco automezzi che conta 100<br />

autobus di tutte le dimensioni ed in grado di soddisfare<br />

qualsiasi esigenza del trasporto pubblico e dei servizi turistici<br />

privati. Particolare sv<strong>il</strong>uppo hanno assunto le attività<br />

localizzate in Ossola, dove nel 1977 è stata inaugurata<br />

la nuova sede di Domodossola comprendente un<br />

vasto deposito che ospita al coperto 40 autobus, oltre a<br />

officina, uffici e locali di servizio. Ogni anno gli autobus<br />

con i colori dell’Autoservizi Comazzi percorrono<br />

oltre 3,5 m<strong>il</strong>ioni di ch<strong>il</strong>ometri.<br />

- L’Eliossola s.r.l. è nata nel 1993 con lo scopo di ottenere<br />

le licenze per effettuare <strong>il</strong> lavoro aereo ed <strong>il</strong> trasporto<br />

pubblico passeggeri. La società è stata fondata in Ossola,<br />

luogo dove spesso è necessario ricorrere all’uso del-<br />

STATISTICA SAIA ( SOCIETA’ AREE INDUSTRIALI ED ARTIGIANALI spa) (tabella 1)<br />

Località Tot.<br />

Area fondiar.<br />

Tot.<br />

Area ceduta<br />

% Area da<br />

cedere<br />

Aziende<br />

al 2003<br />

Addetti<br />

iniz/a reg<br />

V<strong>il</strong>ladossola 210.800 25.222 11,%96 185.578 1 25/30<br />

Vogogna/Pied<br />

Ossola 371.800 219.443 59% 152.357 43 347/613<br />

Totali 582.600 244.665 41,99% 337.935 44<br />

Località Tot.<br />

Area fondiar.<br />

Tot.<br />

Area ceduta<br />

% Area da<br />

cedere<br />

Aziende<br />

al 2003<br />

Addetti<br />

iniz/a reg<br />

Domodossola 41.422 39.730 95,94% 1688 14 124/160<br />

Piedimulera 50.754 50.754 100% 15 102/174<br />

Trontano 123.718 102.588 83,14% 20.730 29 185/251<br />

Totali 215.894 193.072 89,43% 22418 58<br />

293


l’elicottero per lavori quali la costruzione e la manutenzione<br />

degli impianti idroelettrici, di funivie ed impianti<br />

di risalita, la costruzione e la manutenzione di rifugi,<br />

stalle e baite e la costruzione di opere in luoghi inaccessib<strong>il</strong>i<br />

con altri mezzi. L’attività dell’Eliossola si è poi<br />

estesa su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale, comprendendo lavori<br />

di antincendi boschivi e lavori di ispezione aerea<br />

su linee elettriche di alta e media tensione. Attualmente<br />

la flotta è composta da 3 elicotteri SA 315 B “Lama”<br />

e 2 elicotteri ECUREUIL AS 350 B3. Ha un totale di<br />

15 dipendenti.<br />

Case di spedizione e trasporti internazionali<br />

La realtà odierna di questo settore nell’alta Ossola è <strong>il</strong> risultato<br />

dell’evoluzione del sistema trasporti e servizi annessi<br />

e della trasformazione politica ed economica europea.<br />

Dal primo decennio postbellico, in cui i trasporti<br />

internazionali via Sempione erano totalmente ferroviari<br />

e vincolati allo sdoganamento presso la stazione di<br />

Domodossola, si è passati negli anni successivi al trasferimento<br />

del traffico merci su strada. Questo ha prodotto<br />

una trasformazione delle case di spedizione operanti<br />

in loco, da organizzatrici di raccolta e trasporto merci,<br />

servizi groupage, magazzinaggio ecc., a pure e semplici<br />

agenzie di sdoganamento. L’atto finale si ebbe poi<br />

a partire dal 1° gennaio 1993, con la nascita del Mercato<br />

unico europeo e la liberalizzazione delle merci in<br />

ambito comunitario. Oggi sono presenti nello scalo di<br />

Domo2 due case di spedizione, la DHL Express s.r.l. con<br />

5 addetti e la <strong>It</strong>alsempione S.p.A. con due addetti. Altri<br />

due operatori locali sono la Transnova s.n.c. con 7 addetti<br />

e la ditta Zoni s.a.s. con 4 addetti.<br />

Fatto nuovo è stato <strong>il</strong> recente insediamento nello scalo<br />

di Domo2 di due operatori nel traffico combinato<br />

strada-ferrovia. La prima ad insediarsi nel 2001 è stata<br />

la ditta Hangartner Spedizioni Internazionali s.r.l. che<br />

oggi ha 29 dipendenti e movimenta 46 treni la settimana<br />

con capacità di trasporto di import/export di 1220<br />

camion. Nel gennaio del 2004 ha iniziato ad operare<br />

la Cargo Drome s.r.l. che attualmente movimenta circa<br />

200 treni all’anno e ha 11 dipendenti.<br />

294<br />

Altri settori<br />

- La Locatelli U. & S. S.p.A. fu fondata nei primi ‘900<br />

a Baveno e si trasferì negli anni ’70 a Premosello Chiovenda,<br />

specializzandosi nella fabbricazione di accessori<br />

per capelli. Attualmente <strong>il</strong> gruppo è costituito da tre<br />

stab<strong>il</strong>imenti che occupano 45 dipendenti più 60 terzisti.<br />

I prodotti vengono esportati per <strong>il</strong> 65% in tutti i<br />

paesi del mondo.<br />

- La Penta s.r.l., con sede a Piedimulera, fu fondata<br />

nel 1994 come azienda produttrice di lavorati in marmo,<br />

granito e agglomerati sintetici. E’ specializzata nella<br />

produzione di complementi di arredo e le lavorazioni<br />

vengono effettuate mediante ut<strong>il</strong>izzo di macchine a<br />

controllo numerico che effettuano <strong>il</strong> taglio con utens<strong>il</strong>i<br />

diamantati o con la tecnica dell’idrogetto. Attualmente<br />

occupa 11 persone ed ha un mercato che si estende dal<br />

nord <strong>It</strong>alia alla Svizzera.<br />

Situazione occupazionale<br />

In base ai dati elaborati dall’Osservatorio regionale<br />

del mercato del lavoro, risulta alla data del censimento<br />

2001 per l’area ossolana un totale di 1.352 industrie<br />

operanti che occupano 7.801 addetti. Il totale di occupati,<br />

in tutte le attività economiche dell’Ossola, comprensive<br />

di attività commerciali, servizi e istituzione,<br />

frontalieri e pendolari, è di 27.284 unità su un totale di<br />

67.700 abitanti. (vedi tabella 2)<br />

Negli ultimi anni, nelle aree reperite dalla società Saia<br />

per l’insediamento di attività produttive di piccola, media<br />

industria e artigianato, sono sorte numerose attività<br />

localizzate nei comuni di Vogogna, Piedimulera,<br />

Trontano, V<strong>il</strong>ladossola e Domodossola. Su un totale di<br />

582.600 mq. di aree industriali disponib<strong>il</strong>i, sono stati<br />

ad oggi ceduti 244.665 mq. (42%) con insediamento<br />

di 44 aziende che occupano ad oggi 375 persone.<br />

Per quanto riguarda le aree artigianali, su un totale di<br />

215.694 mq. sono stati ceduti 193.042 mq. (89%) per<br />

59 aziende insediate. (vedi tabella 1)


CENSIMENTO UNITA’ LOCALI E ADDETTI PER SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA - OSSOLA (tabella 2)<br />

CENSIMENTO 2001 IMPRESE ISTITUZIONI TOTALE<br />

NUMERO<br />

Industria Commercio Altri Servizi<br />

ADDETTI<br />

NUMERO<br />

ADDETTI<br />

C.M.ANT.FORM.DIVED. 181 1.013 254 661 357 1.020 127 638 919 3.332<br />

C.M.VALLE ANTRONA 50 769 157 387 250 531 50 436 507 2.123<br />

C.M.VALLE OSSOLA 853 4.400 817 2.112 1.008 3.977 261 2.939 2939 13.428<br />

C.M. MONTE ROSA 223 1.462 143 278 235 790 97 200 698 2.730<br />

C.M.VALLE VIGEZZO 45 157 186 343 273 777 90 250 594 1.527<br />

TOTALE GENERALE 1.352 7.801 1557 3781 2123 7.095 625 4463 5657 23.140<br />

FRONTALIERI<br />

C.M.ANT.FORM.DIVED. 397<br />

C.M.VALLE ANTRONA 120<br />

C.M.VALLE OSSOLA 658<br />

C.M. MONTE ROSA 44<br />

C.M.VALLE VIGEZZO 925<br />

TOTALE GENERALE 2144<br />

SITUAZIONE PENDOLARI VERSO MILANO,NOVARA,VERBANIA,OMEGNA<br />

ED ALTRE ZONE. DATI STIMATI<br />

A TUTTO SETTEMBRE 2004 RISULTANO IMPIEGATI N° 192 EXTRACOMUNITARI<br />

DI CUI 156 UOMINI<br />

+36 DONNE<br />

Fonte: Regione Piemonte - Provincia V.C.O. - Centro per l’impiego.<br />

NUMERO<br />

ADDETTI<br />

NUMERO<br />

ADDETTI<br />

TOTALE<br />

OCCUPATI<br />

TOTALE<br />

ABITANTI<br />

NUMERO<br />

ADDETTI<br />

circa 2.000<br />

27.284<br />

67.700<br />

295


L’agricoltura, l’allevamento e i prodotti tipici<br />

Giacomo Zerbini<br />

L’ambiente ossolano, essenzialmente montano, fornisce<br />

limitate quantità di alimenti provenienti da caccia, pesca<br />

e produzione spontanea, così che l’uomo vi si è insediato<br />

solo quando ha potuto esercitarvi l’agricoltura<br />

che qui ha assunto le caratteristiche di attività agro-s<strong>il</strong>vo-pastorale.<br />

L’espansione più consistente dell’attività agricola, considerata<br />

negli aspetti del numero delle persone addette<br />

e dei beni prodotti interscambiati ed esportati, si ritiene<br />

debba essere individuata nel primo decennio del<br />

‘900. Allora l’Ossola produceva in eccedenza per <strong>il</strong> fabbisogno<br />

degli abitanti burro, formaggi, carne bovina<br />

- ovina, caprina, lana, cuoio ed ovviamente legname.<br />

Per contro la produzione locale di cereali in genere (frumento,<br />

segale, orzo, mais, riso) era insufficiente, anche<br />

se parte della loro funzione alimentare era coperta dal<br />

consumo abbondante di patate e fagioli prodotti sul posto;<br />

la produzione di frutta, verdura, vino, animali di<br />

bassa corte veniva tutta autoconsumata; zucchero e sale<br />

si importavano totalmente.<br />

Stefano Calpini nelle Memorie sulle condizioni dell’agricoltura<br />

e della classe agricola nel circondario dell’Ossola afferma<br />

che nel 1879 <strong>il</strong> rapporto numerico tra popolazione<br />

urbana e rurale era di 1 a 9.<br />

Oggi tale rapporto non solo si è capovolto ma dalle r<strong>il</strong>evazioni<br />

censuarie del 1990 risultava che le persone addette<br />

all’agricoltura a tempo pieno nell’Ossola a stento<br />

arrivavano al 3% della popolazione attiva, inoltre si<br />

calcolava che i beni prodotti dall’agricoltura in Ossola<br />

concorrevano a formare appena <strong>il</strong> 2% del reddito globale<br />

goduto dagli abitanti.<br />

Nel passato l’uomo si assicurava la sopravvivenza mediante<br />

l’autoconsumo di prodotti agricoli, ne conseguiva<br />

evidente lo stimolo a diversificare al massimo la produzione<br />

fino al limite imposto dal clima. L’Ossola è si-<br />

tuata nel bacino del Mediterraneo, ma gran parte delle<br />

tipiche colture mediterranee qui non maturano o maturano<br />

troppo tardi allorquando <strong>il</strong> mercato è saturo e<br />

la merce non trova apprezzamento; anche nel raffronto<br />

con altri territori montani l’Ossola compare come ambiente<br />

climaticamente più svantaggiato. L’orografia della<br />

Valdossola evidenzia la disposizione nord-sud della<br />

vallata principale, mentre le vallate principali del Vallese,<br />

della Val d’Aosta, della Valtellina e parte anche dell’Alto<br />

Adige sono disposte nel senso est-ovest in modo<br />

che un versante è <strong>il</strong>luminato dal sole nell’intero arco<br />

della giornata; anche la presenza di vastissimi ghiacciai<br />

a corona dell’Ossola ne influenza negativamente la<br />

temperatura media annua che risulta inferiore rispetto<br />

a quelle delle vallate citate. L’Ossola, sorta di triangolo<br />

geografico, è composta prevalentemente da un fondovalle,<br />

Anzola-Domodossola-Crevoladossola, in cui risiede<br />

oltre <strong>il</strong> 60% degli abitanti, nel quale corrono una<br />

superstrada, una strada statale, due strade intercomunali,<br />

due ferrovie (M<strong>il</strong>ano e Novara), un fiume (Toce), insediamenti<br />

umani e relative aree per attività civ<strong>il</strong>i, religiose,<br />

scolastiche, sportive, del tempo libero e commerciale.<br />

Perciò ora l’agricoltura del nostro ambiente riveste<br />

una modestissima presenza nel moderno concetto di<br />

industria alimentare, ma si evidenzia per altre caratteristiche<br />

e funzioni quali la tutela e la conservazione di<br />

un ambiente così come è pervenuto ai nostri tempi, difesa<br />

del patrimonio boschivo da incendi e salvaguardia<br />

del terreno da dissesti idrogeologici, presenza dell’uomo<br />

indigeno che ha capacità, esperienza ed interesse a promuovere<br />

nuove iniziative integrate con la tradizione.<br />

Vediamo più in dettaglio l’evoluzione dell’attività agricola<br />

negli ultimi cento anni.<br />

Popolazione. I 34.719 abitanti dell’Ossola censiti nel<br />

1879 sono oggi raddoppiati. È estremamente conforte-<br />

297


I vigneti a Pello di Trontano.<br />

vole notare che nel 1857 gli analfabeti risultavano appena<br />

<strong>il</strong> 7,3%, vero primato di un servizio sociale che è<br />

conservato ai nostri giorni. Nel settore prepara i futuri<br />

agronomi l’Istituto Professionale Statale “E.G. Cavallini”<br />

di Crodo, orientato all’insegnamento della S<strong>il</strong>vicoltura,<br />

Alpicoltura ed Economia Montana; gli allievi<br />

vi accedono dopo la terza media per conseguirvi in un<br />

biennio la licenza di operatori specializzati presso aziende<br />

zootecniche montane, e in un quinquennio <strong>il</strong> diploma<br />

di “Agrotecnico” con l’idoneità a dirigere aziende<br />

singole o cooperativistiche montane, all’insegnamento,<br />

allo svolgimento di assistenza tecnica a disposizione<br />

delle Comunità Montane, della Regione, dello Stato.<br />

Se l’attività agricola non forma più la parte principale<br />

del reddito fam<strong>il</strong>iare, concorre tuttavia ancora a consolidare<br />

<strong>il</strong> benessere; <strong>il</strong> fenomeno del “part-time farming”<br />

è diffusissimo ed appare in espansione.<br />

Produzioni vegetali - Il seminativo, chiamato anche<br />

campo, caratterizza l’agricoltura locale per l’ampia<br />

gamma di colture che può ospitare. Dei 2105 ettari di<br />

cent’anni fa sono rimasti appena 200 ettari di patate e<br />

mais. Sono scomparsi <strong>il</strong> tabacco, <strong>il</strong> frumento e la canapa,<br />

stanno per scomparire la segale, l’orzo, <strong>il</strong> grano saraceno<br />

ridotto agli ultimi campi a Coimo di Druogno.<br />

298<br />

Furono, e sono tuttora ben apprezzate dal consumatore<br />

le patate ottenute in Valle Vigezzo per la gradevole farinosità<br />

e la delicatezza del profumo e sapore; la rinomanza<br />

si diffuse fuori Ossola grazie anche alle piccole<br />

scorte che recavano con sé gli spazzacamini vigezzini.<br />

Nel 1954 gli agricoltori si organizzarono per la produzione<br />

di patate da seme ottenendo <strong>il</strong> marchio ufficiale<br />

del Ministero dell’Agricoltura. Negli anni 70 <strong>il</strong> centro<br />

sementiero cessò di funzionare a causa dell’esodo dall’agricoltura,<br />

del passaggio dei campi ad aree fabbricab<strong>il</strong>i,<br />

della comparsa di una rara malattia, l’angu<strong>il</strong>lula, che<br />

si combatte bene solo con la rotazione agraria, pratica<br />

agronomica ormai scomparsa dalle nostre zone.<br />

La viticoltura - I 759 ettari di campi vignati stimati in<br />

passato, si sono ridotti a 50. I campi con vite sono piccoli<br />

terrazzi sostenuti da muri formati da sassi accatastati<br />

a secco e rappresentano un intelligente lavoro di formazione<br />

e conservazione del terreno ottenuto nei secoli<br />

con incredib<strong>il</strong>e impiego di forze e fatica umana.<br />

In passato i vini ottenuti in talune zone ben esposte<br />

ed in annate favorevoli raggiungevano 11-11,5 gradi alcoolici,<br />

ma la gran massa del vino prodotto in Ossola<br />

possedeva un tenore alcoolico che andava da 9 a 10 gradi<br />

e quindi poco serbevole; da taluni vigneti posti ai li-


miti climatici della coltura si sono riscontrati i 6-7 gradi<br />

alcolici nel vino non più degno di essere denominato<br />

tale ed ecco che a Coimo veniva scherzosamente chiamato<br />

“strafulun”.<br />

Raggiunse rinomanza anche fuori Ossola <strong>il</strong> “Prunent”<br />

di Pello di Trontano, vino ottenuto dal vitigno Nebiolo<br />

e quindi di lunga maturazione, imparentato coll’Inferno<br />

ed <strong>il</strong> Sassella valtellinesi, col Gattinara e col Barolo.<br />

Eliminata la malattia f<strong>il</strong>lossera agli inizi del secolo<br />

mediante l’innesto dei nostri vitigni su piede americano,<br />

i contadini impararono a combattere tempestivamente<br />

sia la peronospora che l’oidio. Il canonico Nicolao<br />

Sott<strong>il</strong>e nel suo Quadro dell’Ossola pubblicato a Novara<br />

nel 1810 annotava: “l’Ossola ha viti e fa vini anche<br />

buoni. Si vendono nelle valli che ne sono prive ma la maggior<br />

parte si smercia nella Svizzera e nel Vallese”. Ma poi<br />

<strong>il</strong> prodotto a mano a mano è scaduto di qualità a causa<br />

dell’introduzione non programmata di diversi ottimi<br />

vitigni le cui produzioni venivano mescolate senza conoscenze<br />

sulle loro affinità.<br />

Dal 1990 la Comunità Montana Valle Ossola ha avviato,<br />

in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza,<br />

<strong>il</strong> recupero della viticoltura con un’azione tendente<br />

a modificare la forma tradizionale di allevamento<br />

a pergolato, la “toppia”, od anche a sostituirla col sistema<br />

a controspalliera per meglio fruire della luce solare.<br />

È stata avviata pure la selezione del vitigno locale,<br />

<strong>il</strong> “Prunent”, in collaborazione con l’Istituto Sperimentale<br />

della Viticoltura di Asti e poi col Centro CNR<br />

I vini ossolani.<br />

Fiera bovina in Valle Antigorio.<br />

di Torino. Ora assistenza tecnica continua viene fornita<br />

a tutti i soci dell’Associazione Produttori Agricoli Ossolani,<br />

un sodalizio nato nel 1994. E’ stata intrapresa<br />

quindi un’opera di miglioramento delle produzioni: dal<br />

1990 ad oggi sono state acquistate tramite la Comunità<br />

Montana Valle Ossola circa 50.000 barbatelle di cloni<br />

pregiati, certificate, virus esenti, ut<strong>il</strong>izzate per costituire<br />

circa 40 piccoli vigneti specializzati in grado di fornire<br />

produzioni di alta qualità, da 40 a 60 quintali per<br />

ettaro. Negli ultimi dieci anni la viticoltura ossolana ha<br />

assunto un’importanza sempre crescente, tanto da calamitare<br />

l’attenzione anche dei giovani, che si sono avvicinati<br />

numerosi a questo tipo di attività. Dal 1997<br />

una ventina di soci produttori delle zone di Pello, Masera<br />

e Crevoladossola, conferiscono una parte delle loro<br />

uve Nebbiolo, Croatina e Prunent ad una cantina privata<br />

per vinificarle in comune. E dei 50 ettari di territorio<br />

vignato, stimati in Ossola, almeno 30 sono coltivati<br />

proprio dai soci. Attualmente i vini commercializzati<br />

con l’etichetta dell’associazione sono <strong>il</strong> Prunent, <strong>il</strong> Balòss<br />

(pinot nero vinificato in purezza), <strong>il</strong> Tarlap (Merlot<br />

monovitigno), <strong>il</strong> Cà d’Matè (uvaggio di Nebbiolo,<br />

Croatina e Prunent), <strong>il</strong> Noev Bruschett, un vino giovane<br />

da un uvaggio di Croatina, Nebbiolo e Barbera e <strong>il</strong><br />

Cà d’Susana (uvaggio di Nebbiolo e Cabernet Sauvignon).<br />

Questi i dati dell’annata 2003: sono stati pro-<br />

299


Mungitura all’alpeggio.<br />

dotti circa 15.000 litri di Noev Bruschett, 2.500 litri di<br />

Prunent, 5.000 litri di Cà d’Matè, 3.500 litri di Tarlàp<br />

e 240 litri di Pinot nero Balòss. Insomma, la viticoltura<br />

ossolana è destinata ad affermarsi come produzione<br />

di nicchia e ad ampliarsi per raggiungere mercati non<br />

soltanto locali.<br />

La frutticoltura - Quasi tutti i fruttiferi più comuni<br />

sono diffusi in Ossola quali pero, melo, pesco, c<strong>il</strong>iegio,<br />

albicocco, susino, fico, nespolo ed anche l’actinidia sinensis,<br />

ovvero <strong>il</strong> kiwi, di recente introduzione; <strong>il</strong> limite<br />

climatico condiziona in talune annate la pezzatura<br />

del frutto, ma l’ambiente montano ne esalta sempre <strong>il</strong><br />

colore e la sapidità. Nel passato l’uomo ut<strong>il</strong>izzava <strong>il</strong> fogliame<br />

del gelso per l’alimentazione del baco da seta, <strong>il</strong><br />

frutto del noce per propria alimentazione e per estrazione<br />

di olio, <strong>il</strong> frutto del castagno per alimentazione<br />

propria e del bestiame, nonché la scorza per estrazione<br />

del tannino o <strong>il</strong> frutto della quercia per l’alimenta-<br />

300<br />

zione dei suini. Oggi, parallelamente al rinnovamento<br />

della viticoltura, è stato avviato un programma d’incremento<br />

della melicoltura mediante la distribuzione di<br />

circa 50.000 piante di mele innestate su portainnesti<br />

nanizzanti da impiantare per la costituzione di meleti<br />

specializzati con forme di allevamento a spindel su<br />

modello trentino. Pertanto sono state introdotte varietà<br />

come la Golden, la Elstar, la Royal Gala, la Red Delicious,<br />

la Summered, la Jonagold, la Granny Smith e la<br />

Renetta del Canada. La mela ossolana potrebbe quindi<br />

costituire un altro prodotto tipico, ma manca ancora<br />

un coordinamento per la sua commercializzazione.<br />

Il clima alpino e la qualità del terreno sembrano giocare<br />

a favore della coltivazione dei piccoli frutti le cui piante,<br />

per godere di buona salute, necessitano lunghi periodi<br />

di riposo in ambienti freddi. Il mirt<strong>il</strong>lo gigante, <strong>il</strong> “vaccinum<br />

corymbosus” originario del Nord America è ora<br />

in fase di espansione nella nostra zona. Si tratta di una<br />

pianta praticamente immune da funghi, quindi coltivab<strong>il</strong>e<br />

evitando qualsiasi tipo di intervento antiparassitario<br />

e funghicida e la sua coltivazione, ideale in un terreno<br />

molto acido, esige anche un buon periodo di freddo<br />

durante l’inverno per poter fruttificare abbondantemente.<br />

Infine, con fragole e mirt<strong>il</strong>li, non mancano lamponi,<br />

more, ribes gialli o rossi, uva spina e l’uva giapponese.<br />

L’allevamento - Il patrimonio zootecnico, bovino-ovino-caprino,<br />

costituisce <strong>il</strong> grande capitale, <strong>il</strong> grande investimento<br />

dal quale l’agricoltore-allevatore trae quasi<br />

tutta la remunerazione del suo lavoro; in cento anni ha<br />

subito le variazioni seguenti:<br />

anno 1879<br />

bovini n. 12.373 - ovini n. 7.369 - caprini n. 14.626<br />

anno 1930<br />

bovini n. 16.267 - ovini n. 6.158 - caprini n. 10.824<br />

anno 1982<br />

bovini n. 6.494 - ovini n. 13.750 - caprini n. 9.569<br />

anno 1990<br />

bovini n. 4.771 - ovini n. 8.707 - caprini n. 8.888<br />

Nella primavera del 2004 in Ossola sono stati controllati<br />

dal Servizio Veterinario n. 743 allevamenti comprendenti<br />

8.044 caprini e 5.488 ovini e, nello stesso periodo,<br />

sono stati controllati n. 347 allevamenti di bovini,<br />

con almeno 3.000 vacche da latte. La presenza di


una così modesta quantità di allevamenti significa che<br />

la popolazione ossolana è dedita per la maggior parte<br />

ad altri settori, secondiario e terziario, diversamente da<br />

quanto r<strong>il</strong>evato dal Calpini nel 1880, allorchè affermava<br />

che la popolazione ossolana dedita all’agricoltura e<br />

all’allevamento si aggirava attorno all’80% (su 34.000<br />

abitanti). Secondo i dati Istat per l’anno 2000 i bovini<br />

totali nella provincia del Vco sarebbero 5.771, i caprini<br />

13.510, gli ovini 10.015, i suini 439, gli equini 941<br />

e gli struzzi 61.<br />

Ci sarebbe quindi una notevole riduzione dei bovini,<br />

cioè degli animali che richiedono maggiori cure e mungitura,<br />

e un incremento di ovini e caprini, che richiedono<br />

scarso impegno della manodopera e sfruttamento<br />

sovente incustodito di grandi estensioni pascolive di<br />

proprietà comunale.<br />

Alla fine dell’800 i bovini dell’Ossola si presentavano<br />

con piccola taglia e con mantello pezzato in vari colori;<br />

ora sono uniformati in una sola razza: la Bruna o Bruna<br />

Alpina. All’inizio del ’900 Serafino Rolandi di Mozzio,<br />

Salumi tipici ossolani.<br />

a conoscenza dei risultati raggiunti dalla selezione della<br />

razza di Svitto (l’attuale Bruna Alpina) per la mole dei<br />

tori e la quantità di latte prodotta dalle vacche, avviò<br />

l’introduzione di torelli via Passo S. Giacomo.<br />

L’incrocio di tali torelli sui nostri bovini suscitò vero interesse<br />

ed infatti si diffuse rapidamente; la “nuova” razza<br />

venne dapprima chiamata la “razza di Mozzio”, poi<br />

fu accettata come vera e propria Bruna Alpina. E’ stata<br />

poi incrociata con la razza Bruna selezionata nel nord-<br />

America detta Brown Swiss per ottenere bovini ancora<br />

più pesanti e più produttivi di latte.<br />

È rimasta famosa nell’ambiente degli allevatori la vacca<br />

Fiera di Ferdinando D’Andrea di V<strong>il</strong>ladossola per essere<br />

stata classificata nel 1967 “Vice Campionessa Nazionale”<br />

della Mostra di Verona.<br />

Mostre, mercati e rassegne sono iniziative per valorizzare<br />

e vendere <strong>il</strong> bestiame mediante classifiche e gare tra<br />

gli animali presenti e attraverso <strong>il</strong> gran richiamo di allevatori,<br />

commercianti e tecnici. E’ ormai nota tra gli addetti<br />

ai lavori “Domobruna”, la Mostra Interregiona-<br />

301


le dei bovini di razza Bruno alpina che si tiene in primavera<br />

a Domodossola. Nel 2004 la mostra ha inserito,<br />

come novità di prestigio, <strong>il</strong> 1° Concorso Internazionale<br />

di bovini di razza bruna iscritti al <strong>libro</strong> genealogico,<br />

divenendo così di respiro internazionale. Avviata nel<br />

2002, la fiera si è confermata punto d’incontro annuale<br />

tra professionisti del comparto zootecnico ed è la prima<br />

mostra internazionale che si svolge in Piemonte.<br />

Per quanto riguarda l’allevamento delle capre, gli allevatori<br />

ottengono buone remunerazioni con la vendita<br />

del capretto, del latte e latticini, delle pelli. Ha fruito di<br />

buona rinomanza la razza di capre denominata “Vallesana”<br />

o “Sempionina” dal mantello pezzato di bianco e<br />

nero; di buon peso ed ottima lattifera la Vallesana allevata<br />

nell’Ossola è stata venduta nelle province vicine e<br />

nel Sud <strong>It</strong>alia. Ma <strong>il</strong> gruppo più consistente del patrimonio<br />

caprino è formato da popolazione meticcia, cioè<br />

di razza non ben definita, con soggetti più piccoli o leggeri<br />

idonei a pascolare nei territori più magri ed impervi.<br />

La gran massa delle pecore è di derivazione dalle<br />

razze biellese e bergamasca, aumenta di consistenza<br />

grazie ai buoni pascoli disponib<strong>il</strong>i perché abbandonati<br />

dai bovini in regresso. L’allevatore vende a buon prezzo<br />

l’agnello, ma non trova mercato per la lana che nel passato<br />

veniva ut<strong>il</strong>izzata direttamente dalle famiglie locali<br />

per indumenti. L’Ossola è annoverata tra le prime zone<br />

di <strong>It</strong>alia ove sono state debellate le malattie della tubercolosi<br />

e brucellosi pericolose sia per <strong>il</strong> bestiame che per<br />

l’uomo. Anche se, purtroppo, nel 2001 <strong>il</strong> morbo della<br />

bse, la cosiddetta “mucca pazza”, ha infettato un bovino<br />

di razza bruna allevato in Valle Vigezzo: <strong>il</strong> primo<br />

caso piemontese è toccato proprio ad un allevamento<br />

di Malesco.<br />

Altri allevamenti – Patrimonio zootecnico a parte, veniamo<br />

ora alle novità nel settore. Nel comune di Crevoladossola<br />

nel 2003 è stato allestito un impianto di allevamento<br />

di Helix Pomatia, più conosciuta come lumaca<br />

alpina, mentre a Ornavasso esiste un allevamento<br />

di gamberi di fiume o, come li chiamano gli esperti,<br />

di Austropotamobius italicus. Considerati una specie<br />

protetta e catalogati dal Wwf nella top ten degli invertebrati<br />

italiani a rischio di estinzione, i gamberi di fiume<br />

sono un indicatore biologico del buono stato di salute<br />

dei nostri torrenti.<br />

302<br />

I prodotti tipici<br />

Il formaggio – E’ soprattutto <strong>il</strong> “Bettelmatt” <strong>il</strong> formaggio<br />

sul quale gli ossolani hanno riposto speranze di crescita<br />

e notorietà. Questo formaggio, che ora ha un marchio<br />

regolarmente registrato e dal 2003 ha marchiatura<br />

a fuoco, si produce in sette alpeggi: Morasco, Kastel,<br />

Val Toggia, Vannino, Poiala, Forno, Sangiatto ad un’altitudine<br />

che va da 1800 a 2400 metri.<br />

Il Bettelmatt originale ha sullo scalzo la data di produzione<br />

e contiene l’indicazione dell’alpeggio di provenienza.<br />

Si tratta di un formaggio ottenuto dal latte crudo<br />

intero di una mungitura, prevalentemente di vacche<br />

di razza Bruna con stagionatura minima di 60 giorni.<br />

Le forme sono c<strong>il</strong>indriche, di 4/6 kg. di peso, di colore<br />

giallo oro o paglierino e viene prodotto tra la fine di<br />

giugno ed i primi di settembre. Vengono prodotte circa<br />

3.800-4.000 forme all’anno.<br />

Più consistente risulta la produzione dell’altro formaggio,<br />

chiamato comunemente “Ossolano”. Attualmente<br />

tutto <strong>il</strong> latte prodotto in provincia viene destinato,<br />

tranne una piccola quota per autoconsumo, alla trasformazione<br />

in formaggio e, per quanto riguarda l’Ossola,<br />

in formaggio “Ossolano”. Nella tradizione alpina <strong>il</strong> formaggio<br />

ha rappresentato una preziosa merce di scambio<br />

per acquistare prodotti introvab<strong>il</strong>i sul territorio. In passato<br />

con i prodotti caseari si pagavano le tasse, si faceva<br />

carità, si pagava l’affitto e <strong>il</strong> burro era considerato re dei<br />

condimenti, al posto dell’olio d’oliva, prodotto d’importazione.<br />

Questo mondo ormai scomparso, nel quale<br />

<strong>il</strong> formaggio era parte integrante dell’economia alpina,<br />

ha lasciato <strong>il</strong> posto ad una nuova f<strong>il</strong>osofia del prodotto,<br />

che necessita di ricerche, analisi, valorizzazioni, classificazioni<br />

e certificazioni. Insomma, nel nuovo m<strong>il</strong>lennio<br />

<strong>il</strong> formaggio “Ossolano” per essere gustoso deve sottoporsi<br />

ad un’analisi tecnico scientifica che ne dimostri la<br />

buona qualità e sia strumento di supporto per ottimizzare<br />

<strong>il</strong> ciclo produttivo. Il cosiddetto “progetto di caratterizzazione<br />

del formaggio Ossolano” è un’opera complessa,<br />

sintesi di tre anni di lavoro di tecnici, divulgata<br />

attraverso una pubblicazione a disposizione dei produttori.<br />

Si tratta di una ricerca che ha fornito un preciso<br />

orientamento per ottenere <strong>il</strong> tanto atteso riconoscimento<br />

della denominazione di origine protetta (Dop).<br />

L’Ossolano, che vanta un’origine antica, dal 1990 può


vantare anche un proprio consorzio di tutela, costituito<br />

da una ventina di soci produttori, che ha istituito un<br />

marchio di origine e qualità per la sua identificazione.<br />

Nel 1993 <strong>il</strong> consorzio ha presentato la richiesta di denominazione<br />

d’origine al Ministero dell’Agricoltura; la<br />

proposta fu accettata nel 1996 dal Comitato nazionale<br />

per la tutela delle Denominazioni di Origine Tipiche<br />

dei Formaggi. Tutt’oggi, in attesa del riconoscimento<br />

europeo della Dop, <strong>il</strong> disciplinare di produzione steso<br />

dal Consorzio rappresenta <strong>il</strong> regolamento ufficiale del<br />

formaggio Ossolano.<br />

Le latterie turnarie, chiamate anche sociali al loro sorgere<br />

nel secolo scorso, sono scomparse per fondersi in stab<strong>il</strong>imenti<br />

specializzati. Le latterie turnarie, cioè centri<br />

per la lavorazione del latte ad opera di un allevatore-casaro<br />

addetto a turno, vanno ricordate quale altro primato<br />

dell’Ossola nel settore; sono sorte tra le prime in <strong>It</strong>alia<br />

ed hanno raggiunto la maggiore diffusione cap<strong>il</strong>lare<br />

in tutti i centri abitati rispetto ad altre zone dell’arco alpino<br />

ed hanno contribuito alla formazione di abitudini<br />

alla cooperazione. Nell’apr<strong>il</strong>e del 2002 è stata inaugurata<br />

a Oira di Crevoladossola la struttura che ospita<br />

<strong>il</strong> nuovo caseificio ossolano. La nuova Latteria Sociale<br />

Antigoriana è frutto dell’impegno assunto congiuntamente<br />

da quattro comunità montane interessate: Valle<br />

Ossola, Valle Antigorio-Divedro-Formazza, Antrona<br />

e Monterosa, che hanno scelto di concentrare gli sforzi<br />

in un progetto unico, evitando la frammentazione<br />

in caseifici minori. Nel 2002 <strong>il</strong> caseificio lavorava circa<br />

30.000 quintali di latte ritirati annualmente ai circa 70<br />

soci, pari a oltre <strong>il</strong> 70 per cento dell’intera produzione<br />

provinciale. (Questi e altri dati sulle nuove attività agricole<br />

e sull’entità della loro produzione sono stati tratti<br />

da articoli apparsi in questi ultimi anni su testate giornalistiche<br />

locali, a firma di Paola Caretti).<br />

Il miele - Anche l’apicoltura ha seguito le vicende di<br />

altri settori, cioè larga diffusione nell’800 e inizi ‘900,<br />

calo di interesse nell’ultimo dopoguerra, attuale r<strong>il</strong>ancio<br />

degli allevamenti. Si ottiene un ottimo miele per <strong>il</strong><br />

consumo diretto proveniente prevalentemente dal nettare<br />

dei fiori di castagno, o altro miele più pregiato proveniente<br />

dai fiori alpini ove predominano le piante aromatiche.<br />

Le valli Antigorio e Formazza, e l’Ossola in genere,<br />

rappresentano <strong>il</strong> punto di forza del settore apisti-<br />

co nella provincia: <strong>il</strong> maggior numero di aziende, sebbene<br />

per la gran parte operino a livello amatoriale, sono<br />

collocate infatti in queste vallate. L’apicoltura in tutta<br />

la provincia del Vco conta 163 aziende, che possiedono<br />

complessivamente 3.787 alveari, ma <strong>il</strong> potenziale<br />

produttivo, secondo gli esperti del settore, sarebbe superiore<br />

di quello attualmente conseguito. Le tipologie<br />

di miele prodotte sono molteplici: acacia, m<strong>il</strong>lefiori, tiglio,<br />

castagno, melata e m<strong>il</strong>lefiori di montagna, questi<br />

ultimi ottenuti esclusivamente oltre i 1000 metri di<br />

quota. Dal 1984 è attiva l’associazione produttori apistici<br />

delle Vallate Ossolane che impegna oltre 200 soci<br />

ad una produzione di alta qualità.<br />

Il pane - In Ossola <strong>il</strong> pane nero di segale è legato ad una<br />

tradizione antica e negli ultimi anni è stato avviato un<br />

progetto per ottenere, anche in questo caso, <strong>il</strong> riconoscimento<br />

d.o.p., la denominazione di origine protetta.<br />

Fino a pochi decenni fa <strong>il</strong> pane bianco di frumento appariva<br />

di rado sulla mensa degli ossolani, mentre <strong>il</strong> pane<br />

nero a base di farina di segale - abbondante grazie alle<br />

coltivazioni in loco - non mancava mai. Il pane veniva<br />

cotto all’inizio dell’inverno nel forno comune del paese<br />

ed era una festa alla quale partecipavano intere famiglie<br />

che si assicuravano così <strong>il</strong> pane per almeno sei mesi.<br />

Nell’Ottocento Orazio de Saussure, nel <strong>libro</strong> “Voyages<br />

dans les Alpes” scrisse che gli abitanti “... si nutrono solo<br />

di latticini e di pane di segale che cuociono sei mesi o addirittura<br />

un anno prima e che si può tagliare solo per mezzo<br />

di una scure”. Oggi le pagnotte escono dai forni di alcuni<br />

panettieri con frequenza quasi quotidiana, ma restano<br />

soffici e fragranti per diversi giorni, a differenza<br />

del pane bianco che s’indurisce in breve tempo. Accanto<br />

al pane nero, apprezzato è anche <strong>il</strong> famoso credenzitt<br />

(o cradenzin), che anticamente veniva cotto in occasione<br />

delle feste o importanti ricorrenze. Il credenzitt<br />

è una sorta di pane rituale dolce e si può gustare in tutte<br />

le sue varianti, che racchiudono nel suo impasto noci,<br />

uvetta e fichi secchi.<br />

Erbe Aromatiche e Officinali – Nel 1997 la Comunità<br />

Montana Valle Cannobina ha avviato un progetto<br />

di sperimentazione per la coltura di erbe officinali con<br />

tecniche produttive biologiche. Nel 2002 è nata l’associazione<br />

“Erba Bona del Vco” che raggruppa i tutti<br />

i coltivatori, con lo scopo di contribuire alla diffusione<br />

303


Il pane nero di Coimo. Forme di bettelmatt in stagionatura.<br />

di questo tipo di coltivazione nel territorio montano, e<br />

che ha prodotto e commercializzato una particolare tisana<br />

composta da melissa, menta, salvia e lippa.<br />

Carni e Salumi – Un’ampia varietà di carne è prodotta<br />

in Ossola. Dopo i tradizionali salumi, da non dimenticare<br />

la pancetta, <strong>il</strong> prosciutto crudo affumicato, la bresaola,<br />

<strong>il</strong> lardo, la mocetta, i violini di agnello, di camoscio<br />

e di capra. Insieme ai prelibati e numerosi insaccati<br />

prodotti in Ossola, merita un cenno la mortadella,<br />

che è da poco entrata a far parte dei presidi di Slow<br />

Food. Si tratta di un prodotto realizzato con le carni<br />

crude di suino alle quali si aggiunge una piccola percentuale<br />

di fegato e in alcuni casi vino tiepido insaporito<br />

da spezie, una sorta di vin brulé. Il tutto viene insaccato<br />

nel budello del maiale. Segue una stagionatura<br />

di circa due mesi.<br />

Tendenze attuali e prospettive. I terreni seminativi ed<br />

i prati di fondovalle sono destinati ad ospitare gli insediamenti<br />

abitativi, le vie di comunicazione, le attività<br />

produttive non agricole e ricreative. Sui pascoli più<br />

impervi si ridiffonderà <strong>il</strong> bosco. Le foraggere dei pasco-<br />

304<br />

li ed i boschi monopolizzeranno sempre più <strong>il</strong> concetto<br />

di “risorsa” nel territorio montano, risorse che potranno<br />

interessare anche allevatori e imprenditori non residenti.<br />

Si sta infatti scardinando l’ordinata integrazione<br />

tra le ristrette aree di seminativo dei fondovalle con<br />

prati, prati-pascoli e pascoli degli altipiani, fra le piccole<br />

proprietà private dei terreni coltivati e la proprietà comunale<br />

dei pascoli e dei boschi, fra le attività primarie<br />

e quelle derivate.<br />

Si ripropongono i soliti problemi però in forma nuova:<br />

turismo, artigianato, penetrazione di massa, tutela del<br />

paesaggio, territorio inteso come città-regione, ecc. Perciò<br />

l’intervento pubblico, che finora ha priv<strong>il</strong>egiato la<br />

montagna quale sede ideale di foreste e di equ<strong>il</strong>ibri fra<br />

vegetazione, acque e terreno, si è orientato, secondo le<br />

richieste reali dei montanari, a promuovere la perequazione<br />

dei redditi e dei servizi sociali fra zone montane e<br />

territorio nazionale.<br />

In tale prospettiva l’uomo non abbandonerà la montagna,<br />

ma vi permarrà per esercitare le più diversificate<br />

attività unitamente all’agricoltura.


L’artigianato e <strong>il</strong> commercio<br />

Paola Caretti<br />

L’artigianato tipico ossolano nel corso dei secoli ha saputo<br />

modificarsi. Dalla iniziale produzione di oggetti<br />

destinati a proprio consumo, forgiati ut<strong>il</strong>izzando i limitati<br />

materiali disponib<strong>il</strong>i, ben presto diventò un’attività<br />

prevalente che consentì alle genti di montagna di garantirsi<br />

una fonte di entrata, seppur modesta, attraverso la<br />

commercializzazione dei manufatti sui principali mercati.<br />

In alcuni casi, l’artigianato fece un salto di qualità<br />

e divenne una vera e propria forma d’arte.<br />

La pratica della lavorazione del legno in Ossola si perde<br />

nella notte dei tempi. Di fac<strong>il</strong>e reperib<strong>il</strong>ità nei boschi,<br />

<strong>il</strong> legno rappresentò la materia prima per intagliare oggetti<br />

di uso quotidiano o per mettere in opera creatività,<br />

fantasia, arte. In epoche remote grande commercio dovevano<br />

avere i bravi artigiani del legno se, come sappiamo<br />

“vi era un singolare diritto di decima che aveva l’arciprete<br />

di Domodossola sui lavori in legno che venivano portati<br />

a vendere sul mercato (di Domo) dai vigezzini (…)<br />

Una volta all’anno l’incaricato dell’arciprete si faceva consegnare<br />

la così detta “Collaria dei legnami”, la decima cioè<br />

di tutti i lavori in legno, elencati in alcuni inventari ed<br />

evidentemente venduti al mercato del sabato: scodelle, cucchiai<br />

e mestoli di legno, rastrelli, gerli, caule, e perfino mob<strong>il</strong>i<br />

come letti e armadietti di uso comune. Verso la fine del<br />

‘600 questa decima venne concordata in danaro”. 1 Dall’artigianato<br />

all’arte, <strong>il</strong> passo non è breve, presuppone<br />

doti eccelse, sapienza, ab<strong>il</strong>i mani e senso estetico. Così<br />

nei secoli si affermarono artisti a tutto campo, molti dei<br />

quali originari proprio della “valle dei pittori” che secoli<br />

fa avrebbe potuto essere definita “valle dei ‘maestri legnamari’<br />

a causa del proliferare delle scuole d’intaglio che,<br />

a partire dal 1400 (ma fiorente attività artigianale della<br />

lavorazione del legno esisteva in loco da prima del XII secolo),<br />

si imposero in tutta l’Ossola contribuendo notevolmente<br />

all’arricchimento ed all’abbellimento di chiese, ora-<br />

tori e dimore signor<strong>il</strong>i, con una produzione che in alcuni<br />

casi sarebbe riduttivo definire meramente artigianale.<br />

(…) Dell’intaglio e della scultura lignea delle nostre vallate<br />

si è scritto poco. Studi approfonditi sono stati avviati<br />

solo negli anni 60 dal prof. Bertamini <strong>il</strong> quale si è occupato<br />

dei Merzagora di Craveggia, del Gualio di Antronapiana,<br />

del de Bernardis di Buttogno e del Lanti di Macugnaga…”<br />

2 . La sapienza degli artigiani del legno si tramanda<br />

tutt’ora di padre in figlio, sebbene ormai siano sulla<br />

via di estinzione le antiche tecniche di confezionamento<br />

di gerle, zoccoli, rastrelli o attrezzi vari. Uno degli ultimi<br />

sciviràt (gerlai) svelando i segreti della pratica artigianale,<br />

afferma che i legni di castagno, nocciolo e betulla,<br />

che servono per la sua attività “vengono raccolti, seguendo<br />

la tradizione locale, durante la luna calante, per<br />

evitare i tarli e, quando non fosse possib<strong>il</strong>e lavorarli subito,<br />

devono essere conservati in luogo umido e fresco, legati<br />

in fasci ed appiattiti”. 3<br />

Le scarpe vigezzine portano in giro per <strong>il</strong> mondo un<br />

pezzo di storia delle genti ossolane; le calzature sono<br />

state anche compagne di viaggio degli intraprendenti<br />

spazzacamini che partirono numerosi dalla Valle Vigezzo<br />

alla volta di Francia, Germania, Austria o Svizzera,<br />

alla ricerca di canne fumarie da raspare, armati di tutti<br />

gli attrezzi del mestiere. Naturalmente tra i rari oggetti<br />

personali non mancavano le calzature confezionate in<br />

casa con brandelli di stoffa d’avanzo. In montagna tutto<br />

è prezioso e la vita quotidiana spesso si trova a dover<br />

fare i conti con la povera economia rurale, in cui vige la<br />

legge del nulla si distrugge. Così, tra realtà e leggenda,<br />

sono nate le celebri scarpe “Vigezzine”, create inizialmente<br />

come prodotto puramente artigianale e funzionale<br />

alle ristrettezze monetarie di casa, ed ora divenuto<br />

accessorio ricercato e alla moda. A continuare l’antica<br />

tradizione è un ab<strong>il</strong>e artigiano di Domodossola che<br />

305


Le calzature “Vigezzine”.<br />

da oltre vent’anni le produce e commercializza. I paviui<br />

o scufùn o peduli, come venivano una volta chiamate<br />

le scarpe, sono ora realizzate con una tomaia in velluto<br />

trapuntato e imbottito, mentre l’interno è in tessuto<br />

st<strong>il</strong>e provenzale. I colori sono gli stessi che si possono<br />

trovare sulle pendici dei monti: <strong>il</strong> verde del sottobosco,<br />

<strong>il</strong> bordeaux delle foglie autunnali, <strong>il</strong> marrone delle cortecce<br />

e comprendono una vasta gamma cromatica, tinte<br />

che hanno ispirato nei secoli i famosi pittori della scuola<br />

d’arte della valle di provenienza.<br />

Un altro prodotto artigianale, che tutt’ora si confeziona<br />

con moderni telai, è la tradizionale pezzotta multicolore,<br />

ut<strong>il</strong>izzata come singolare tappeto. La pezzotta<br />

sembrerebbe prendere spunto dalle kwèrte, le coperte<br />

di lana infeltrita e ordito in canapa che le paesane tessevano<br />

sui propri telai in periodo invernale. “Nella prima<br />

metà dell’Ottocento la lana f<strong>il</strong>ata, lavata, pesata, portata<br />

dalle donne a piedi, nel gerlo fino a V<strong>il</strong>ladossola o alla<br />

frazione della Noga, veniva sottoposta a tessitura e follatura.<br />

Dopo questo trattamento le pezze, riportate ad Antro-<br />

306<br />

napiana, venivano tagliate e cucite insieme con grossi punti,<br />

in modo da formare le coperte da letto “kwèrte”. Da un<br />

‘Censimento delle comunità di V<strong>il</strong>a’ del 1848 risulta che a<br />

V<strong>il</strong>ladossola vivevano e lavoravano due tintori e tredici tessitori.<br />

(…) Le operose donne antronesi nei ritagli di tempo<br />

che concedeva la dura vita agreste, oltre a confezionare<br />

gli indumenti necessari alla famiglia riuscivano a lume di<br />

candela a ricamare a puncetto, a punto croce ed a tessere le<br />

loro preziose coperte”. 4 Le donne si dedicavano alla f<strong>il</strong>atura<br />

in periodo invernale. La canapa era coltivata in abbondanza<br />

e <strong>il</strong> f<strong>il</strong>ato che le donne ne ricavavano, avvolto<br />

in matasse e lavato con bollitura in acqua e cenere, veniva<br />

sciacquato al lavatoio e poi avvolto in gomitoli.<br />

“L’ “urdi” montato su telaio poteva essere di cotone o canapa;<br />

veniva unto con la bozzima, impasto di farina di castagne<br />

e fagioli cotti nel grasso, operazione necessaria affinchè<br />

<strong>il</strong> f<strong>il</strong>o non si sfacesse. Una specie di appretto era fatto<br />

anche con cruschello di grano bollito in acqua. Terminata<br />

la tela veniva messa al sole per imbiancare. Se l’ordito era<br />

di cotone la tela era chiamata da “fign” (fine); se era di ca-


napa la tela da “gross”, più rustica, veniva usata per pagliericci”.<br />

5 Secondo alcuni dati, forse non del tutto completi<br />

considerata l’esistenza di numerosi telai di casa,<br />

nel 1889 erano in funzione in Ossola circa 180 telai<br />

(solo Baceno e Premia ne contavano 80) più 31 nell’Ossola<br />

Inferiore. Tutto sommato la lavorazione della lana,<br />

del cotone, del lino e della canapa era di tipo casalingo<br />

e serviva più all’autoconsumo che alla vendita. Occorre<br />

attendere <strong>il</strong> 1900 per assistere alla nascita di uno stab<strong>il</strong>imento<br />

industriale nel settore tess<strong>il</strong>e. La Società Anonima<br />

Jutificio Ossolano nacque a V<strong>il</strong>ladossola nel luglio<br />

del 1900 e arrivò presto ad occupare 350 addetti, per la<br />

maggior parte manodopera femmin<strong>il</strong>e.<br />

E a proposito del ricamo, in tutte le vallate del Rosa le<br />

montanare usavano dedicarsi alla creazione di un particolare<br />

e laborioso merletto, <strong>il</strong> puncetto, realizzato con<br />

punti a nodi. Accanto ai più conosciuti merletti valsesiani,<br />

scopriamo che anche la valle Antrona si dedicava<br />

alla fine trina ad ago, in particolare le donne di Antronapiana<br />

che lo applicavano su tovaglie, lenzuola e<br />

sulle camicie sia masch<strong>il</strong>i che femmin<strong>il</strong>i. Ad Antrona<br />

l’arte del puncetto, chiamato anche punto alpino, ebbe<br />

grande fioritura all’inizio del ‘900 quando la moglie di<br />

Carlo Nigra, architetto e storico dell’arte di Miasino, vi<br />

fondò una scuola di ricamo.<br />

Un’altra scuola, quella di fabbricazione dei merletti istituita<br />

nel 1870 a Bognancodentro da Gian Giacomo<br />

Galletti, ebbe minore fortuna: non ebbe seguito e morì<br />

sul nascere tra l’indifferenza delle ragazze della valle alle<br />

quali era dedicata.<br />

Dopo la metà del Settecento molto diffuso nella Bassa<br />

Ossola era anche l’allevamento dei bachi da seta, che<br />

ebbe <strong>il</strong> suo apice verso <strong>il</strong> 1820. Nel 1768 esisteva a Piedimulera<br />

una fabbrica per la f<strong>il</strong>atura dei bozzoli di proprietà<br />

di un certo Francesco Antonio Falcini, ma già nel<br />

1811 le fabbriche erano diventate quattro, una a Vogogna<br />

e tre a Mergozzo. Intanto anche l’Alta Ossola sv<strong>il</strong>uppò<br />

la coltivazione dei gelsi e si dedicarono a tale attività<br />

le genti di Varzo e Crodo: la bachicoltura diventò<br />

quindi un settore redditizio e promettente, considerata<br />

anche l’alta qualità del prodotto fornito. La f<strong>il</strong>anda<br />

costruita a Vogogna da Francesco De Regibus contava,<br />

nel 1854, dodici fornelli e una cinquantina di persone<br />

impiegate; a Domodossola, invece, tra <strong>il</strong> 1865 e <strong>il</strong> 1871<br />

esercitò la f<strong>il</strong>anda di Francesco Maffioli e figlio che, nel<br />

1883, impiegava 16 operai e produceva 4 quintali di f<strong>il</strong>ato.<br />

Per avere un’idea di questa pratica, che da artigianale<br />

divenne quasi industriale, basti pensare che nel periodo<br />

migliore un normale raccolto di bozzoli nell’alta<br />

Ossola si aggirava intorno ai 4000 kg., mentre nell’Ossola<br />

Inferiore superava i 15.000 kg. Era stata anche selezionata<br />

una razza speciale di bachi, detta appunto ‘ossolana’,<br />

pregevole per la finezza della seta che se ne ricavava.<br />

Verso la fine dell’Ottocento scomparvero del tutto<br />

le f<strong>il</strong>ande e gli allevamenti dei bachi continuarono,<br />

in misura notevolmente ridotta, fino al 1920, per poi<br />

scomparire del tutto.<br />

La lavorazione del peltro portò numerosi ossolani a cercare<br />

fortuna all’estero, girando per l’Europa con ogni<br />

genere di mercanzia. Le prime testimonianze di questa<br />

emigrazione massiccia risalgono al 16° secolo e, destinazione<br />

degli artigiani venditori ossolani, era soprattutto<br />

l’area tedesca e francese, in cui la cultura del peltro<br />

si era guadagnata notevole spazio tra i costosi oggetti<br />

in argento e quelli in legno, di maggiore deperib<strong>il</strong>ità.<br />

Nel XVIII e XIX sec. alcuni emigrati ossolani erano<br />

diventati veri produttori, che davano garanzia di qualità<br />

imprimendo sugli oggetti un proprio marchio personalizzato.<br />

Tra le famiglie più antiche si ricordano i Trivelli,<br />

i Sartoris, i Molo e Plino di Varzo, e poi ancora le<br />

famiglie Alasia, Beltrami, Bozzo-Bey, Dell’Ava, Dresco,<br />

Giovanna, Nante, Prini, Pellanda, Della Bianca e Ferra-<br />

Ceramista al lavoro.<br />

307


L’arte dello sbalzo.<br />

ris; tutti apponevano un proprio sig<strong>il</strong>lo sugli oggetti per<br />

certificare l’alta qualità della lega. I prodotti andavano<br />

dagli oggetti sacri (calici, candelabri, reliquiari), a quelli<br />

di uso quotidiano (lampade, scatole, calamai, posate<br />

e boccali). “Dai primi anni dell’800 prodotti in terraglia<br />

o porcellana soppiantarono gli oggetti in peltro che, verso<br />

la fine dell’800, scomparvero quasi del tutto dall’uso quotidiano<br />

dopo secoli di splendore”. 6<br />

Altro mestiere affascinante che coniuga arte e ab<strong>il</strong>ità<br />

manuale si sostituì quindi all’ab<strong>il</strong>e tecnica dei peltrai.<br />

L’antica arte delle ceramiche in Ossola risale agli inizi<br />

dell’Ottocento, ma ancora oggi, a distanza di due secoli,<br />

troviamo artigiani che ricalcano gli antichi modelli<br />

di buona fattura, creando articoli unici e ben diversi<br />

dalle produzioni su vasta scala che ingombrano le nostre<br />

case. Sono manufatti con fondo bianco e decorazioni<br />

azzurre e marroni, con un tratto apparentemente<br />

semplice e originale, che rende le ceramiche ossolane riconoscib<strong>il</strong>i<br />

anche dai meno esperti: una testimonianza<br />

della tradizione artigianale esportab<strong>il</strong>e anche fuori dai<br />

confini, grazie anche al lavoro di recupero di alcuni arti-<br />

308<br />

giani. Così le ceramiche dal sapore antico hanno ripreso<br />

vita, ripulite dalla polvere del ricordo, sotto la quale<br />

sono rimaste sepolte a lungo. E grazie all’ag<strong>il</strong>e lavoro di<br />

mani esperte che lavorano l’arg<strong>il</strong>la, è possib<strong>il</strong>e guardarsi<br />

indietro, verso un angolo di mondo dell’Ossola ottocentesca:<br />

<strong>il</strong> paese di Premia. Da questo piccolo comune<br />

della Valle Antigorio, nel lontano 1808, <strong>il</strong> parroco don<br />

Giovanni Bartolomeo Toietti fondò la prima fabbrica,<br />

che continuò la sua produzione con grande fortuna<br />

fino al 1862. Nel 1819 l’attività fu r<strong>il</strong>evata dall’esperto<br />

vasaro comasco Domenico Baronio, che diede vita<br />

ad un’intensa produzione di acquasantiere, calamai, alzate,<br />

brocche e vasi ornamentali fino al 1862, data della<br />

chiusura dell’attività. In cinquant’anni, la maiolica<br />

lasciò comunque un segno tangib<strong>il</strong>e nella storia di Premia.<br />

Alla qualità del prodotto si affiancava una gran varietà<br />

di articoli che andavano a sostituire i peltri e i manufatti<br />

in legno ut<strong>il</strong>izzati nelle case ossolane. Piatti, ciotole,<br />

marmitte, insalatiere, zuppiere, ma soprattutto le<br />

classiche boccaline di ogni misura erano oggetti nuovi<br />

che segnavano l’inesorab<strong>il</strong>e declino delle vecchie stoviglie.<br />

Il materiale base per la loro produzione, l’arg<strong>il</strong>la,<br />

veniva estratto lungo <strong>il</strong> torrente Alfenza, nei pressi di<br />

Viceno e poi trasportato a dorso di mulo fino alla fornace.<br />

Dosando <strong>il</strong> materiale con una percentuale di caolino,<br />

don Toietti riuscì ad ottenere una base ottimale.<br />

Ma ciò che maggiormente attrae in queste ceramiche<br />

sono le decorazioni, fatte di abbondanti fioriture con<br />

ornati del colore del cielo e della terra: principalmente<br />

di colore blu e marrone, ma anche ocra o rosso vinaccia.<br />

Sono tinte calde, parole per un linguaggio artistico<br />

senz’altro non estremamente raffinato o accademico,<br />

ma semplice e di buon gusto.<br />

Il lucido rame, accanto alle pezze di tela di casa, era<br />

considerato non soltanto oggetto ut<strong>il</strong>e per la cucina domestica,<br />

ma anche utens<strong>il</strong>e da mettere in mostra. Il Bazzetta<br />

ricorda le botteghe artigiane della Domodossola di<br />

fine Ottocento in cui si potevano ammirare “le lucenti<br />

padelle, i parjoeu rut<strong>il</strong>anti, i bronz orgoglio delle famiglie<br />

antiche; in un angolo era la tipica fucina del ramaio, col<br />

largo camino a cappa, dove salivano le scint<strong>il</strong>le” 7 .<br />

Nel 1882 Domodossola contava ben 26 fabbri ferrai e<br />

5 maniscalchi. Nelle botteghe dei fabbri non mancava<br />

l’olio di scorpione, ut<strong>il</strong>izzato contro le scottature, e nel-


la boccetta di unguento naturalmente faceva mostra di<br />

sé <strong>il</strong> temib<strong>il</strong>e insetto. Il ferro battuto per la creazione<br />

di oggetti decorativi compare nel XIX secolo, affiancandosi,<br />

e poi sostituendo, la vecchia produzione di ferri di<br />

cavallo, chiavistelli e serrature. E’ di epoca più recente<br />

l’arte del metallo sbalzato, avviata nel secondo decennio<br />

del ‘900 da un fabbro vigezzino, Remigio Covetta.<br />

Partendo da una lastra di metallo - di rame, ottone o alpacca<br />

– l’artigiano creava oggetti diversi, in particolare<br />

piatti e vassoi. La decorazione, che consisteva nella sola<br />

martellatura, era impreziosita da disegni che si rifacevano<br />

ad antichi oggetti rustici della valle 8 .<br />

La lavorazione del vetro raggiunse notevole sv<strong>il</strong>uppo:<br />

agli inizi dell’Ottocento fu infatti aperta a Crevoladossola<br />

la fabbrica dei soci Minetti e Morgantini che, ben<br />

presto, divenne una delle più r<strong>il</strong>evanti del Regno Sabaudo,<br />

esportando prodotti anche nella zona di Modena,<br />

Parma e nella Svizzera italiana. Nel 1856 la vetreria<br />

occupava 160 operai, per la maggior parte manodopera<br />

tedesca.<br />

Sulle piccole attività di lavorazione di candele sappiamo<br />

che nel 1840 ne esistevano quattro a Domodossola<br />

e due a Pallanzeno. Nel corso dell’esposizione internazionale<br />

di M<strong>il</strong>ano del 1881, la ditta Luigi Maffioli<br />

di Domo, produttrice di candele di cera e di sego, cera<br />

vergine e sego in pani, fu premiata con medaglia d’argento.<br />

Notevole r<strong>il</strong>evanza nei secoli ebbe la concia delle pelli,<br />

testimoniata dalla via tuttora esistente nel centro storico<br />

di Domodossola, la via delle Concerie dove, nei primi<br />

Novecento, esisteva una fiorente attività di Francesco<br />

Maffioli e figlio. Necessitando di molta acqua, le<br />

concerie erano collocate in prossimità della Roggia dei<br />

Borghesi: nel 1813 se ne contavano 12 nel solo territorio<br />

domese e nel 1889 le quattro esistenti occupavano<br />

una cinquantina di operai e producevano prevalentemente<br />

suole e tomaie. A fine Ottocento esisteva a Piedimulera<br />

la conceria di Ferdinando Pirazzi Maffiola che<br />

impiegava 18 operai.<br />

Antiche stampe e ritratti documentano l’esistenza di<br />

mon<strong>il</strong>i forgiati di metallo nob<strong>il</strong>e già in epoche antiche;<br />

gioielli, orecchini e anelli finemente cesellati, sottolineavano<br />

l’eleganza semplice delle donne ossolane. “Notizie<br />

storiche non scritte ma tramandate a voce testimonia-<br />

no di una fabbrica di oreficeria sita in Masera, fondata e<br />

diretta dai fratelli Nicolaj, che impiegò una cinquantina<br />

di operai; uno di questi, certo Renzo Azzali, ancora intorno<br />

agli anni ’30 esercitava la professione in una casa a Vagna:<br />

nel suo laboratorio la saldatura in oro era ancora eseguita<br />

soffiando con la bocca in un tubetto di ottone fatto a<br />

tromba, ut<strong>il</strong>izzando una lampada a petrolio <strong>il</strong> cui stoppino<br />

emanava una fiamma giallognola e fumo nero”. 9 Oggi,<br />

seguendo antichi modelli, sono nati nuovi gioielli: tra<br />

i più richiesti vi sono gli orecchini delle valli e, in particolare,<br />

la fede ossolana in oro rosso, una riproduzione<br />

originale del XVIII secolo sulla quale sono cesellati<br />

quattro simboli: la stella alpina rappresenta la purezza,<br />

<strong>il</strong> grano saraceno significa abbondanza e prosperità, i<br />

nastri intrecciati sono emblema di perpetuità nell’unione<br />

e le mezze sfere augurio di prolificità.<br />

Certamente la carrellata sull’artigianato ossolano potrebbe<br />

continuare, se volessimo ricordare anche i numerosi<br />

calzolai, carradori, bottai, scalpellini (per i quali<br />

si rimanda al capitolo dedicato alla pietra), materassai,<br />

restauratori e decoratori, per arrivare ai più moderni<br />

fotografi.<br />

Ma sembra doveroso concludere <strong>il</strong> lungo elenco con<br />

una tipologia di artigiano - impresario che ha permesso<br />

di conservare la memoria di quanto ci ha preceduto e di<br />

tramandarla intatta fino ai nostri giorni : <strong>il</strong> tipografo.<br />

Questa attività fu avviata per la prima volta a Domodossola<br />

nel 1837 dai soci Coda e Bedoni, seguiti poi da<br />

Giuseppe Vercellini di Pallanza. Una seconda tipografia<br />

fu aperta nel 1851 da Giuseppe Calpini di Vanzone<br />

e diretta dall’esperto Antonio Porta di Domodossola,<br />

personaggio quest’ultimo che segnerà la storia della<br />

stampa ossolana. Nel 1856 <strong>il</strong> Porta divenne proprietario<br />

della tipografia, che condusse ab<strong>il</strong>mente per altri 36<br />

anni, fino alla sua morte. L’attività continuò per tutto<br />

<strong>il</strong> Novecento e chiuse definitivamente i battenti intorno<br />

agli anni ’90. Intanto, nel 1896, si ritagliò uno spazio<br />

la Tipografia Ossolana dei fratelli Allegra di Vagna;<br />

nel 1908 approdò in Ossola, dal Cusio, la Cartografica<br />

dei fratelli Antonioli, Caccini e C. e nel 1919 partirono<br />

le macchine da stampa della Tipografia Zonca. La<br />

vivacità culturale di quegli anni, evidentemente, richiedeva<br />

l’esistenza a Domodossola di ben quattro tipografie.<br />

Altri tempi!<br />

309


Il commercio<br />

Il mercato settimanale di Domodossola fu <strong>il</strong> principale<br />

centro di smercio per tutti i prodotti artigianali creati<br />

dalle mani ab<strong>il</strong>i dei maestri ossolani e dei loro apprendisti.<br />

Lo storico Tullio Bertamini ipotizza che le due fazioni<br />

che, dal 1200 al 1500, si combatterono aspramente,<br />

ovvero gli Spelorci e i Ferrari, non fossero altro che<br />

“due corporazioni o associazioni di artigiani che attraverso<br />

<strong>il</strong> potere politico tentavano di accrescere i propri interessi<br />

economici”. 10 Ancora oggi lo “spettacolo” del mercato si<br />

ripete. Oggi come allora, da epoca immemorab<strong>il</strong>e: sembra<br />

infatti che ancora prima dello storico anno 917, in<br />

cui pare che l’imperatore Berengario I abbia concesso <strong>il</strong><br />

diritto di tenere <strong>il</strong> mercato nel sabato di ogni settimana<br />

in Domodossola, già esistesse un luogo di scambio di<br />

prodotti. “Anche prima dell’era cristiana esisteva un mercato<br />

nella capitale ossolana, dove artigiani, allevatori, contadini<br />

e mercanti proponevano i propri prodotti ed erano<br />

vendute e comperate merci non solo di provenienza locale,<br />

ma anche lontana. I reperti archeologici ed in particolare i<br />

corredi tombali ossolani ci convincono che questo commercio<br />

non solo esisteva, ma dovette essere fiorente”. 11<br />

Luogo d’incontro e appuntamento irrinunciab<strong>il</strong>e, <strong>il</strong><br />

mercato rappresenta tuttora <strong>il</strong> lato più vivace della città,<br />

nonostante abbia perso quel suo sapore caratteristico,<br />

uniformandosi e globalizzandosi come vuole la moderna<br />

società. Eppure ‘soltanto’ mezzo secolo fa i bei<br />

paesani con i loro genuini prodotti animavano la piazza<br />

e riempivano l’aria di profumi d’alpeggio. Così li trat-<br />

Bibliografia<br />

- Industrializzazione e movimento operaio in Val d’Ossola, Umber-<br />

to Chiaramonte, ed. Franco Angeli, M<strong>il</strong>ano 1985.<br />

- Storia di Domodossola e dell’Ossola Superiore, Nino Bazzetta de<br />

Vemenia, 1908 (ripr. anastatica ed. Rizzardi, Domodossola 1978)<br />

- Ossola. Storia, arte e civ<strong>il</strong>tà, Fondazione Enrico Monti, Anzola<br />

1993<br />

- La civ<strong>il</strong>tà del legno in Val Vigezzo, Benito Mazzi, ed. Comunità<br />

Montana Valle Vigezzo 2000.<br />

- D… come Domodossola, Paolo Bologna e Franco Ferraris, ed.<br />

Eco Risveglio, Domodossola 1985<br />

- Guida storico-turistica all’artigianato del Novarese e del Verbano<br />

Cusio Ossola, a cura di Renzo Fiammetti, ed. Interlinea Novara<br />

310<br />

teggia Ida Braggio: “Le contadine che al sabato scendono<br />

dal monte coi prodotti del caseificio, dell’orto e del pollaio<br />

s’allineano di buon mattino in due f<strong>il</strong>e in mezzo al piazzale;<br />

nei gerli odorosi di maggiorana e salvia e nei bianchi<br />

cestelli dispongono i bei pani di burro fresco, i formaggi, le<br />

uova, i grossi asparagi, gli spinaci montani ed in primavera<br />

mazzi di mughetti e di viole”. 12<br />

Oggi l’artigianato rappresenta una risposta spontanea<br />

al calo delle prospettive occupazionali e alla crisi industriale;<br />

in Ossola si registra un incremento, moderato<br />

ma costante, nel numero delle attività che, nell’anno<br />

2000 secondo i dati d’archivio dell’Albo delle Imprese<br />

Artigiane, risultano 1.863, di cui 460 nel solo capoluogo.<br />

Alterne fortune ha vissuto negli anni, invece, <strong>il</strong> settore<br />

commerciale: <strong>il</strong> progressivo e graduale spopolamento<br />

delle montagne costringe i gestori delle attività decentrate<br />

a chiudere i battenti, mentre i piccoli negozi<br />

di città devono fare i conti con le grandi catene di distribuzione<br />

che installano centri commerciali di ampie<br />

dimensioni nell’immediata periferia del capoluogo. Attualmente<br />

in tutta l’Ossola <strong>il</strong> commercio al dettaglio,<br />

secondo i dati aggiornati della Camera di Commercio,<br />

conta 1.119 attività per un totale di 1.539 addetti e<br />

<strong>il</strong> commercio all’ingrosso conta 328 localizzazioni per<br />

434 addetti. A contendersi i clienti troviamo addirittura<br />

140 tra supermercati, ipermercati, minimercati, discount<br />

e grandi magazzini, 29 dei quali situati nel solo<br />

comune di Domodossola.<br />

- Artigianato Ossolano, ed. Comunità Montana Valle Ossola 2004<br />

- L’Ossola nell’età moderna, Renzo Mortarotti, ed. Grossi, Domo-<br />

dossola 1985<br />

- La nostra vecchia Domodossola, Nino Bazzetta de Vemenia 1933.<br />

(ripr. anastatica ed. Grossi, Domodossola)<br />

- Immagini dell’artigianato ossolano, Ass. Artigiani dell’Ossola, ed.<br />

Grossi, Domodossola 1998<br />

- Artigianato Piemontese, Istituto Geografico De Agostini, Nova-<br />

ra 1978<br />

- I racconti del nonno, Marino Ferraris, ed. Rizzardi, Domodosso-<br />

la 1999<br />

- Bachi da seta, gelsi e f<strong>il</strong>ande nelle due Ossole, Renzo Mortarotti,<br />

Bollettino Storico Provincia di Novara 1984


- Il puncetto, catalogo della 7 a rassegna di cultura materiale, Antro-<br />

napiana 1985<br />

Note<br />

1 Tullio Bertamini, Piazza Mercato di Domodossola, Lions Club,<br />

1990<br />

2 Benito Mazzi, Civ<strong>il</strong>tà del legno in Val Vigezzo, Comunità Monta-<br />

na Valle Vigezzo, 2000<br />

3 Rina Chiovenda Bensi, “Intervista ad uno “sciviràt”, Oscellana,<br />

n.1/1998<br />

4 Rina Chiovenda Bensi “Le kwèrte di Antonapiana”, Oscellana n.<br />

1/1997<br />

Lavorazione artistica del vetro.<br />

5 Cesarina Masini Chieu, Oscellana n.4/1985, pagg. 218-219<br />

6 “La via del peltro”, Le Rive, VII 1993.<br />

7 “La nostra vecchia Domodossola”, Nino Bazzetta de Vemenia,<br />

1933, pag. 38, ristampa anastatica Grossi<br />

8 “L’arte dello sbalzo in Vigezzo”, Benito Mazzi, in Novara n.<br />

1/1987, pagg. 59-74<br />

9 “Ossola: un paradiso a portata di mano”, ed. Comunità Montana<br />

Valle Ossola, 1989<br />

10 “Immagini dell’artigianato ossolano”, ed. Grossi, pag. 12<br />

11 Tullio Bertamini, op. cit. pag. 9.<br />

12 Ida Braggio Del Longo, Piccolo mondo ossolano, 1949, pag. 335.<br />

311


L’Energia Idroelettrica<br />

Ettore Radici<br />

Cenni storici<br />

La valorizzazione nella nostra Provincia delle risorse<br />

idroelettriche per uso collettivo su grande scala, ha inizio<br />

nei primi anni del ‘900 e nell’Ossola vede come uno<br />

dei principali protagonisti l’imprenditore m<strong>il</strong>anese ing.<br />

Ettore Conti (1871-1972).<br />

Appena laureato entra nel 1895 nella soc. Edison, allora<br />

impegnata nello sfruttamento idroelettrico dell’Adda,<br />

ma già nel 1898 si rende autonomo fondando una<br />

sua società, la soc. Imprese Elettriche Conti che tuttavia,<br />

in uno scenario imprenditoriale molto dinamico,<br />

sarà dapprima compartecipata dalla Edison nel 1912<br />

(azionista di maggioranza) e poi assorbita nel 1926.<br />

In questi primi anni del ‘900 la sua attenzione è attratta<br />

dalla val d’Ossola, in particolare dalla valle del Devero e<br />

dall’alta valle del Toce, dove esegue personalmente prospezioni<br />

e sopralluoghi, che lo porteranno ad impostare<br />

la base dell’attuale struttura produttiva che sarà poi<br />

completata dalla Edison subentrata successivamente e<br />

gradualmente ad altre società minori. Nei suoi progetti,<br />

è già ampiamente sv<strong>il</strong>uppato <strong>il</strong> concetto di avere grandi<br />

serbatoi di testa sulle principali aste idrauliche per compensare<br />

la diversa idraulicità nell’anno.<br />

Il primo impianto ad entrare in esercizio è quello di<br />

Foppiano, nel 1909, con una potenza di circa 7,5 MW.<br />

Nel 1910 nella vicina valle del Devero entra dapprima<br />

in servizio Goglio vecchia con circa 15 MW e successivamente<br />

nel 1912 la diga di Codelago, poi sopraelevata<br />

nel 21, mentre è del 1915 Verampio posto in cascata<br />

e con la stessa potenza.<br />

Nel 1911 un’altra società, la Dinamo, costruisce l’impianto<br />

di Varzo ed <strong>il</strong> correlato serbatoio dell’Avino, poi<br />

sopraelevato nel 1916.<br />

Nel pieno della prima guerra mondiale, nel 1917, viene<br />

costruito l’impianto di Crego con circa 10 MW di po-<br />

tenza. Nell’alta val Formazza, si costruisce nel 1922 la<br />

diga del Vannino ed <strong>il</strong> sottostante impianto di Valdo e<br />

nel 1925 Crevola Toce nella bassa valle.<br />

Sempre a metà degli anni 20 la Edison dà l’avvio allo<br />

sfruttamento idroelettrico della valle Antrona, con la<br />

centrale di Pallanzeno (26) e di Rovesca con i tre serbatoi<br />

di Cavalli (26), Antrona (26) e Campliccioli (28)<br />

mentre è del 1930 la centrale di Campliccioli coi suoi<br />

due serbatoi di Cingino e Camposecco, tutti costruiti<br />

dall’impresa Pedruzzi di Olgiate Olona.<br />

La fusione del 1926 della Conti con la soc. Edison, amplia<br />

ulteriormente gli orizzonti e consente la costruzione<br />

nel 28 di Cadarese, che soppianta Foppiano e nel 33<br />

di Ponte nuovo salto Vannino e salto Toggia con la costruzione<br />

dell’omonima diga.<br />

Occorre qui ricordare che di questi primi impianti, si<br />

è conservata generalmente la struttura architettonica<br />

mentre <strong>il</strong> macchinario e le derivazioni idrauliche hanno<br />

subito successive modifiche ed ampliamenti.<br />

Con la seconda guerra mondiale si dà un forte impulso<br />

all’autonomia energetica ed è così che nel 41 si inaugura<br />

Calice, mentre nel 38-40 viene costruito l’attuale impianto<br />

di Goglio col sovrastante serbatoio di Agaro, la<br />

nuova derivazione di Ponte salto Morasco, con la relativa<br />

diga e Fondovalle. ll sovrastante impianto di Morasco<br />

e la diga dei Sabbioni potranno essere costruiti solo<br />

nel 49-53 a guerra ultimata. Ultimo degli impianti storici<br />

è Crevola Diveria (60), in cascata sotto Varzo.<br />

Merita qui un cenno particolare la figura dell’architetto<br />

P. Portaluppi che curerà per Ettore Conti dal 1910<br />

al 1930 l’aspetto civ<strong>il</strong>e ed architettonico dei principali<br />

impianti (Crevola, Verampio, Crego, Cadarese, Valdo,<br />

Sottofrua) nonché dell’albergo della Cascata Toce e<br />

di alcune v<strong>il</strong>le (Baceno e Ponte) caratterizzando <strong>il</strong> tutto<br />

con uno st<strong>il</strong>e molto particolare di arte Decò.<br />

313


La centrale di Pallanzeno.<br />

Dei primi anni ‘30 è sua l’iniziativa del rifugio-ristorante,<br />

pensato e realizzato all’interno di due vagoni ferroviari<br />

posti in fregio al bacino del Toggia appena costruito.<br />

Un posto di primo piano spetta in questa prima<br />

metà del 900 all’impresa Umberto Girola che realizza<br />

alcuni impianti ed i serbatoi di Codelago, Toggia,<br />

Agaro, Morasco e Sabbione.<br />

Va inoltre ricordato l’impulso dato dalla costruzione<br />

degli impianti allo sv<strong>il</strong>uppo del sistema viario, specie<br />

verso la testata delle valli. Vorrei qui ricordare l’asse viario<br />

del fondovalle dell’alta val Formazza ed in particolare<br />

la Ponte-Morasco, Furculty e Toggia, la Goglio Ausone<br />

e Devero, la S.Domenico Ponte Campo, la Iselle<br />

Trasquera, la Varzo alpe Salviggia, l’Antrona Cheggio e<br />

Campliccioli, ecc.<br />

La realtà produttiva attuale<br />

L’Enel è attualmente presente a livello nazionale nel<br />

comparto idroelettrico con 495 impianti di cui 214,<br />

per circa 13 GW di potenza, del Grande Idroelettrico<br />

e 281, per 1,3 GW circa, del Piccolo Idroelettrico;<br />

si ricordi che la potenza installata di competenza ENEL<br />

ammonta globalmente, con i 46 impianti termoelettri-<br />

314<br />

ci, a 40 GW circa. A livello provinciale la prima struttura,<br />

di maggiori dimensioni, gestisce i grandi impianti<br />

idroelettrici, ubicati tutti in Ossola, ha sede a Domodossola<br />

ed è articolata su quattro Unità distaccate sul<br />

territorio a Pallanzeno, Crevola, Verampio e Ponte.<br />

Ha competenza su 19 impianti con una potenza installata<br />

di circa 670 MW, 43 gruppi ed una produzione<br />

media di oltre 2000 GWh. Alla testa delle aste idrauliche<br />

sono presenti numerosi serbatoi d’accumulo con<br />

una capacità d’invaso di 171 m<strong>il</strong>ioni di metri cubi e di<br />

questi ben 13 cadono sotto l’autorità tutoria del Registro<br />

<strong>It</strong>aliano Dighe. Completano <strong>il</strong> tutto 6 grossi sbarramenti<br />

fluviali, 135 km di gallerie di derivazione, 6<br />

km di canali, 22 km di condotte forzate e numerosi impianti<br />

a fune tra cui 3 funivie.<br />

La seconda struttura gestisce nel VCO 16 impianti più<br />

piccoli, i cosiddetti mini-idro, distribuiti principalmente<br />

tra la bassa Ossola e la val Strona per una potenza di<br />

37 MW e con una produzione di 130 GWh, relativamente<br />

modesta ma particolarmente pregiata stante gli<br />

incentivi di cui gode questa categoria d’impianti.<br />

La sede operativa è a Gravellona Toce che dipende da<br />

una Unità Territoriale posta a Novara che ha competen-


za anche su alcuni impianti del m<strong>il</strong>anese e vercellese.<br />

La produzione, la conduzione e gli sv<strong>il</strong>uppi<br />

Tutta l’energia prodotta nel VCO è da fonte rinnovab<strong>il</strong>e<br />

ed in particolare d’origine idroelettrica ed ammonta<br />

mediamente a circa 2440 GWh, di cui 2130 prodotti<br />

da ENEL come precedentemente ricordato ed indicativamente<br />

sufficienti al fabbisogno energetico delle<br />

province del VCO e di Novara. E’ da r<strong>il</strong>evare come<br />

quest’energia sia di particolare pregio perché per circa<br />

<strong>il</strong> 50% è, direttamente o indirettamente, da serbatoio<br />

e quindi collocab<strong>il</strong>e nelle ore di maggior fabbisogno<br />

energetico. Gli impianti sono sempre stati periodicamente<br />

aggiornati tecnologicamente con quanto di meglio<br />

offriva <strong>il</strong> mercato.Va in particolare ricordata negli<br />

anni 60-70 la prima automazione con tecnologia a relé<br />

di centrali e prese, seguita a partire dagli anni 80 dalla<br />

riautomazione con logiche statiche ed alla fine degli<br />

anni 90 da quella a logica programmab<strong>il</strong>e con i PLC.<br />

Parallelamente all’automazione si è sv<strong>il</strong>uppata la teleconduzione<br />

degli impianti da posti via via più centralizzati<br />

fino all’attuale unico PT di Verampio per tutti gli<br />

impianti Enel delle regione Piemonte.<br />

In tema di una sempre maggior sicurezza è stato instal-<br />

La centrale di Crevoladossola, opera dell’arch. P. Portaluppi.<br />

lato per le dighe un sistema di telesorveglianza dei principali<br />

parametri, denominato ESSDI, quasi completato.<br />

Da ultimo è da ricordare l’impegno di Enel nel VCO<br />

nel campo delle energie rinnovab<strong>il</strong>i per ottimizzare e<br />

mantenere efficiente questa preziosa fonte energetica<br />

nazionale. Sono stati recentemente messi in esercizio<br />

2 nuovi impianti, Pieve e Varzo, è terminato <strong>il</strong> rinnovo<br />

di Cadarese (02), sono in fase avanzata i rinnovi<br />

di Campliccioli (04) e Rovesca salto Campliccioli (05),<br />

mentre è in fase istruttoria <strong>il</strong> potenziamento di Crevola<br />

che consentirà soprattutto una migliore collocazione<br />

oraria dell’energia già attualmente prodotta dall’asta<br />

del Toce.<br />

Dalla S.I.S.M.A. ad oggi<br />

Gli impianti idrolettrici ex S.I.S.M.A. nascono nel lontano<br />

1926 con la centrale Pontetto per sfruttare le acque<br />

del torrente Melezzo con una presa in zona Maglietto<br />

(val Vigezzo), e dei torrenti Isorno e Fenecchio,<br />

con una presa nella località Laghetto (val Isorno).<br />

Entra in esercizio nel 1930 la Centrale Ceretti in località<br />

Laghetto (val Isorno) e nel 1939 si costruisce la diga<br />

di Larecchio per una regolazione stagionale della portata.<br />

Nel 1946, a fine guerra, entra in funzione la centra-<br />

315


le di Montecrestese e nel 1945, con l’entrata in esercizio<br />

della centrale Cipata e con <strong>il</strong> nuovo bacino di regolazione<br />

di Agrasina si completa <strong>il</strong> sistema per l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />

delle acque dei torrenti Isorno-Fenecchio-Melezzo.<br />

Fino al 7 agosto 1978, con una potenza installata complessiva<br />

di 44,42 GVA, con <strong>il</strong> complesso degli impianti<br />

produce mediamente 100 m<strong>il</strong>ioni Kwh/anno, di cui<br />

circa 70 m<strong>il</strong>ioni di Kwh ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i dallo stab<strong>il</strong>imento.<br />

A seguito dell’alluvione la potenza installata si riduce<br />

a 23,64 GVA con una produzione media di 50 m<strong>il</strong>ioni<br />

di Kwh, di cui solo <strong>il</strong> 75% sono ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i dallo stab<strong>il</strong>imento.<br />

Dalla data dell’alluvione, 7 agosto 1978, alla<br />

data della cessione alla Società Leali, l’IRI, in previsione<br />

della vendita di tutto <strong>il</strong> complesso S.I.S.M.A. (centrali<br />

idroelettriche della valle Isorno + Stab<strong>il</strong>imento di<br />

V<strong>il</strong>ladossola), non ha eseguito alcun lavoro di ripristino<br />

degli impianti distrutti. Il settore Impianti Idroelettrici<br />

(Isorno/Melezzo) viene successivamente ceduto dalla<br />

Soc. Leali al gruppo Beltrami di Vicenza (1992) che<br />

procede alla ricostruzione di tutti gli impianti distrutti.<br />

Oggi la società “Idroelettriche Riunite” di Longane<br />

(VC), gruppo Beltrame, con una potenza installata di<br />

Valle Formazza, sbarramento artificiale di Morasco.<br />

318<br />

40,64 GVA produce mediamente 100 GWh/anno che<br />

vengono direttamente venduti all’ENEL.<br />

Tutte le centrali delle aste Isorno e Melezzo sono telecomandate<br />

dal centro di comando e controllo della Centrale<br />

di Pontetto.<br />

Altri produttori<br />

Altre Società in Ossola producono energia elettrica da<br />

fonte idraulica e tra di esse occorre ricordare:<br />

- La Società Edison con gli impianti ex SELM di Battiggio<br />

in valle Anzasca e di Pieve Vergonte, sempre con le<br />

acque dell’Anza, con una produzione media complessiva<br />

di circa 95 Gwh.<br />

- La Società Tessenderlo con gli impianti ex Rumianca<br />

di Ceppo Morelli in valle Anzasca e di Megolo sul<br />

Toce che sfruttano anche lo scarico di Pieve Vergonte<br />

della Edison. La produzione complessiva media è di<br />

90 Gwh.<br />

- La Società Idreg Piemonte con gli impianti ex Ceretti<br />

di Montescheno, Boschetto e Gaggiolo in val Antrona.<br />

Sono inoltre presenti numerosi privati con centraline di<br />

piccola potenza.


Attività estrattiva<br />

Mauro Proverbio<br />

Su tutto <strong>il</strong> territorio provinciale si riscontra come qualsiasi<br />

pietra disponib<strong>il</strong>e sia stata ut<strong>il</strong>izzata per costruire,<br />

come si può ben vedere percorrendo le contrade del<br />

Verbano Cusio Ossola.<br />

Spesso l’arte del costruire ha acquisito nel corso dei secoli<br />

particolarità e peculiarità proprio in funzione delle<br />

pietre a disposizione. Così, accanto ad esempi di acciottolati,<br />

costituiti da pietre rotondeggianti reperite<br />

nei greti dei torrenti (le antiche pavimentazioni di Domodossola<br />

e di altri centri importanti), si trovano pavimentazioni<br />

costituite da pietre di forma lastroide messe<br />

di costa (molte mulattiere che portano ad alpeggi una<br />

volta r<strong>il</strong>evanti) reperite sezionando i massi che si incontravano<br />

lungo <strong>il</strong> tracciato; o, ancora, pavimenti in opus<br />

incertum fatti di pietre tal quali reperite in vicinanza.<br />

Una maggior cura era riservata alle costruzioni in elevazione,<br />

anche se non mancano esempi di manufatti, anche<br />

importanti, costruiti con pietre di fiume (per esempio,<br />

alcune parti delle mura di Domodossola). In tali<br />

casi le pietre erano squadrate e provenivano da cave o<br />

da massi di grosse dimensioni (i “trovanti”) appositamente<br />

lavorati.<br />

Un discorso a parte meritano le coperture dei tetti. Tutti<br />

i tetti antichi, sia nelle città e nei centri più importanti,<br />

sia nelle vallate, erano costruiti con travi di legno<br />

e da lastre di pietra (le cosiddette “piode”). I più fortunati<br />

potevano ut<strong>il</strong>izzare la beola, materiale scistoso che<br />

si può suddividere in lastre di piccolo spessore presente<br />

nella bassa Ossola fino a Crevoladossola, gli altri si<br />

dovevano arrabattare ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong> serizzo, che solo in<br />

particolari zone ha proprietà sim<strong>il</strong>i (cave di Trasquera).<br />

Di pietra erano, e sono, tutta una serie di opere minori:<br />

i marciapiedi, i cordoli stradali, i muretti e le loro copertine,<br />

le recinzioni (costituite da schegge infisse verticalmente<br />

una accanto all’altra), i sostegni della vite,<br />

le pietre m<strong>il</strong>iari, i paracarri, le panchine, le fontane, gli<br />

abbeveratoi, i tubi di scarico dei servizi (ormai rarissimi<br />

da vedere), le cappelle dei caratteristici funghi su cui<br />

poggiano le case Walser, le macine, le stufe (caratteristica<br />

la “fornetta” formazzina), i “laveggi” (pentolame fatto<br />

di “laugera”, una roccia serpentinosa verde molto tenera),<br />

ecc.<br />

Ma anche in tempi più moderni, inizio del 1900, la<br />

pietra locale è stata massicciamente ut<strong>il</strong>izzata per grandi<br />

opere quali le dighe, sia come inerte per <strong>il</strong> calcestruzzo,<br />

sia per i riempimenti, sia per i rivestimenti, tuttora<br />

visib<strong>il</strong>i.<br />

Ha assunto la dignità quasi di opera d’arte nell’impiego<br />

come ornamento delle imponenti costruzioni connesse<br />

ai grandi impianti idroelettrici progettate dall’arch.<br />

Portaluppi: le centrali di Cadarese, Verampio e Crevoladossola<br />

sono solo alcuni degli esempi più notevoli<br />

e conosciuti.<br />

Anche se con l’andar del tempo la pietra ha assunto<br />

sempre più un ruolo ornamentale piuttosto che di materia<br />

prima da costruzione, <strong>il</strong> suo continuo impiego<br />

ha dato luogo ad un patrimonio che va ben al di là del<br />

semplice patrimonio immob<strong>il</strong>iare: è diventato un patrimonio<br />

culturale di vastità tale da pretendere di essere<br />

conservato nel migliore dei modi. E <strong>il</strong> modo migliore<br />

di conservarlo è senza dubbio, innanzitutto, poter<br />

disporre delle stesse materie prime con le quali è stato<br />

realizzato.<br />

Le pietre del VCO nel mondo 1<br />

Le pietre del VCO non si fermano nella nostra Provincia.<br />

Il marmo di Candoglia è scelto nel 1387 da Gian<br />

Galeazzo Visconti, duca di M<strong>il</strong>ano, per la costruzione<br />

del Duomo. Ancora oggi si scava per fornire <strong>il</strong> materiale<br />

per la sostituzione o <strong>il</strong> restauro delle parti rotte o degra-<br />

319


date. I blocchi di marmo viaggiavano su barconi lungo<br />

<strong>il</strong> Toce (allora navigab<strong>il</strong>e), <strong>il</strong> lago Maggiore, <strong>il</strong> Ticino<br />

e <strong>il</strong> Naviglio, attraversando una serie di territori dove<br />

ogni merce pagava una tassa di passaggio, <strong>il</strong> dazio. Non<br />

così per i blocchi di marmo, in quanto questi, destinati<br />

“ad usum Fabricae” (ovvero occorrenti alla Fabbrica del<br />

Duomo), godevano di totale esenzione. Al fine di individuare<br />

subito tale materiale su di esso veniva apposta<br />

ben visib<strong>il</strong>e la scritta AUF. Tant’è che nella parlata lombarda<br />

- e anche in italiano, benché ormai poco usato –<br />

<strong>il</strong> termine “auf” significa gratis, senza spese.<br />

Nello stesso secolo, verso <strong>il</strong> 1400 (ma pare che tale materiale<br />

fosse ut<strong>il</strong>izzato già in epoca romana), la cava di<br />

marmo di Crevola (una dolomia cristallina) detta “Baulina”<br />

vede come uno dei proprietari la Veneranda Fabbriceria<br />

della Chiesa Maggiore di Pavia, come risulta da<br />

atto pubblico del notaio Pavesi di quella città. Nel 1662<br />

<strong>il</strong> marmo di Crevola è ut<strong>il</strong>izzato per la costruzione del<br />

Duomo di Pavia e nel primo decennio dell’800 vengono<br />

ricavate le 8 colonne monolitiche di 10,78 m di altezza<br />

e 1,27 m di diametro ed i monoliti per le quattro<br />

statue simboliche dei fiumi Po, Ticino, Mincio e Tagliamento<br />

che costituiscono l’Arco della Pace a M<strong>il</strong>ano.<br />

Con questo materiale sono state realizzate le gradinate<br />

elicoidali del Monumento ai Caduti in guerra a M<strong>il</strong>ano,<br />

le colonne esterne del Planetario di M<strong>il</strong>ano, le parti<br />

marmoree della chiesa parrocchiale di Castellanza e del<br />

Duomo di Monza, <strong>il</strong> portico bramantesco di S. Ambrogio<br />

in M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> palazzo “Zentrum” a Zurigo.<br />

In M<strong>il</strong>ano si r<strong>il</strong>eva un ut<strong>il</strong>izzo notevole delle pietre del<br />

VCO, sia di quelle meno pregiate (serizzo e beola) sia di<br />

quelle più pregiate (marmi e graniti). Il serizzo si ritrova<br />

a Porta Nuova, Porta Ticinese, nella costruzione di casa<br />

Borromeo, nella parte muraria strutturale del Duomo,<br />

nelle torri del castello Sforzesco. Di granito rosa di Baveno<br />

sono le colonne del cort<strong>il</strong>e di Brera, quelle del Senato,<br />

quelle nel cort<strong>il</strong>e del Seminario di corso Venezia,<br />

quelle dell’Ospedale Maggiore (ora sede dell’Università<br />

Statale). Il rosa di Baveno è visib<strong>il</strong>e nella parte esterna<br />

del Palazzo Serbelloni e nella chiesa di S. Carlo, dove<br />

si ritrovano 36 colonne di questo materiale, e come elemento<br />

strutturale di facciata al Teatro alla Scala. Si è<br />

fatto, invece, uso del granito bianco Montorfano nella<br />

chiesa di S. Angelo e nei chiostri del convento di S. Vit-<br />

320<br />

tore, oggi Museo della Scienza e della Tecnica.<br />

A Roma sono di granito rosa di Baveno alcune colonne<br />

esterne della Bas<strong>il</strong>ica Lateranense.<br />

Di granito bianco Montorfano sono le ottocentesche<br />

colonne (più di duecento) che Carlo Felice, Re di Sardegna,<br />

donò per la ricostruzione della romana Bas<strong>il</strong>ica<br />

di San Paolo fuori le mura - seconda solo a quella di San<br />

Pietro – ridotta in rovine da un incendio: 84 le colonne<br />

esterne e 136 le colonne del quadriportico antistante<br />

la bas<strong>il</strong>ica. Le colonne più grandi misurano 1,5 m di<br />

diametro e 14 m d’altezza, pesanti ben 60 tonnellate. Il<br />

trasporto avveniva via acqua: dalla cava fino ad Ostia e<br />

quindi a Roma. Ci vollero più di quattro anni per completare<br />

la fornitura. Si dice che una delle colonne arrivate<br />

a Roma fu contestata dai tecnici che dirigevano i<br />

lavori di ricostruzione e <strong>il</strong> ragioniere del Re si rifiutò di<br />

pagarla. Il fornitore se la fece rimandare e la colonna fa<br />

bella mostra di sé sul molo del porto di Intra.<br />

A Torino i porticati stradali più belli sono contrassegnati<br />

dalle pietre del VCO: corso Vinzaglio, via Pietro Micca,<br />

via Roma (dove troviamo colonne di serizzo, granito<br />

rosa e bianco), corso Vittorio Emanuele II, via Sacchi.<br />

A Pompei le colonne interne del Santuario della Madonna<br />

sono in granito bianco Montorfano.<br />

Da tempo immemorab<strong>il</strong>e con <strong>il</strong> granito vengono costruite<br />

le macine, ut<strong>il</strong>izzate per molteplici usi. Quando<br />

non c’erano le macchine utens<strong>il</strong>i, gli specialisti delle<br />

mole partivano da un blocco grezzo e in quattro giorni<br />

tiravano fuori un pezzo da un metro e mezzo di diametro,<br />

spesso mezzo metro, dotato del foro centrale nel<br />

quale inf<strong>il</strong>are <strong>il</strong> perno: una cosina che pesava un paio<br />

di tonnellate! Dalla Toscana in giù si ordinavano mole<br />

da frantoio per l’olio d’oliva, con diametri sempre superiori<br />

al metro, che lavoravano in coppia su basamenti,<br />

sempre di granito, da due metri e mezzo. Dalla Liguria,<br />

invece, dove le olive sono più piccole, si richiedevano<br />

mole dalla forma particolare, più spesse attorno al<br />

perno e più sott<strong>il</strong>i verso la circonferenza esterna, con <strong>il</strong><br />

foro del perno a tronco di cono. Le richieste provenivano<br />

anche dall’estero, da Svizzera, Belgio e Ingh<strong>il</strong>terra, e<br />

a seconda del prodotto da macinare c’era la appropriata<br />

forma della macina (mole per <strong>il</strong> cacao, per <strong>il</strong> mais, per<br />

l’industria orafa, ecc.). Tali manufatti vengono tuttora<br />

prodotti, naturalmente a macchina, in quanto le maci-


ne di granito danno, nonostante la tecnologia, i migliori<br />

risultati nell’industria molitoria.<br />

Una certa ditta Remuzzi di Bergamo, poco prima del<br />

1940, fu incaricata di procurare ben 60.000 metri cubi<br />

di granito rosa per la Cancelleria del terzo Reich. La Remuzzi<br />

subappaltò sia l’escavazione sia la lavorazione del<br />

granito ad alcune ditte locali, le quali dovevano produrre<br />

parallelepipedi di 2-3 mc con le facce perfettamente<br />

levigate. Le forniture si protrassero fino al settembre del<br />

1943, data in cui la Germania non fu più alleata dell’<strong>It</strong>alia<br />

e si rivolse ad altri fornitori. Molti pezzi giacevano<br />

ancora nel 1945 sul lungolago tra Baveno e Feriolo<br />

di cui si perse ogni traccia.<br />

Ai giorni nostri non mancano esempi eclatanti di impiego<br />

delle pietre nostrane. Il serizzo ha trovato largo<br />

impiego nelle metropolitane di M<strong>il</strong>ano, Bruxelles e Singapore<br />

e negli aeroporti di Malpensa e Francoforte. Per<br />

<strong>il</strong> pavimento dell’aeroporto di Amsterdam è stata impiegata<br />

la beola bianca. Il celebre monumento a Cristoforo<br />

Colombo a New York e <strong>il</strong> Palazzo Reale di Bangkok<br />

sono in granito rosa di Baveno mentre le facciate<br />

di alcuni grattacieli di Manhattan sono in serizzo.<br />

Con 27 tonnellate di marmo di Crevola (del tipo commercialmente<br />

denominato “Palissandro”) è stata realizzata<br />

una importante scultura per l’UNICEF intitolata<br />

“L’Uovo della Pace”.<br />

Caratterizzazione geologica dei giacimenti 2<br />

La geologia del territorio della provincia del VCO, nel<br />

quadro geologico-strutturale delle Alpi Occidentali, è<br />

un argomento troppo vasto e complesso perché se ne<br />

possa fornire qui una visione soddisfacente. Ci si limiterà<br />

pertanto a fornire alcuni elementi, inevitab<strong>il</strong>mente<br />

lacunosi e molto sommari, che hanno lo scopo di inquadrare<br />

in modo semplificato <strong>il</strong> significato e la pertinenza<br />

geologico-strutturale dei bacini estrattivi e le essenziali<br />

caratteristiche geolitologiche e strutturali dei<br />

materiali lapidei estratti.<br />

Le rocce e le complesse architetture della catena alpina<br />

occidentale, osservate lungo la sezione strutturale Ossola-Verbano,<br />

consentono di ricostruire i principali processi<br />

geologici avvenuti nella regione alpina in centinaia<br />

di m<strong>il</strong>ioni di anni, dall’orogenesi 3 paleozoica allo sv<strong>il</strong>uppo<br />

delle Alpi, iniziato con l’apertura dell’oceano me-<br />

sozoico (Tetide) ed evoluto con la sua progressiva chiusura<br />

fino alla collisione, ancora in atto, tra <strong>il</strong> continente<br />

europeo e quello africano. Non a caso la regione ossolana<br />

ha svolto un ruolo decisivo, tra la fine del ‘800<br />

e i primi del ‘900, nello sv<strong>il</strong>uppo del pensiero geologico<br />

moderno e nella definitiva affermazione delle teorie<br />

mob<strong>il</strong>iste 4 : qui, oltre che nell’intero settore alpino occidentale,<br />

furono infatti ideati i primi modelli di una catena<br />

a falde di ricoprimento e furono poste le basi metodologiche<br />

per l’analisi cinematica e le ricostruzioni<br />

degli ambienti paleogeografici. In tempi più recenti <strong>il</strong><br />

territorio del VCO ha rappresentato <strong>il</strong> laboratorio naturale<br />

per gli ulteriori progressi delle Scienze della Terra,<br />

dalle applicazioni alla catena alpina della tettonica delle<br />

placche 1 , allo sv<strong>il</strong>uppo di più avanzate ricostruzioni<br />

cinematiche e geodinamiche basate sull’interpretazione<br />

integrata dei nuovi dati geologico-geofisici, petrologici,<br />

geochimici e chimico-fisici.<br />

Non è semplice parlare della geologia della zona in esame<br />

vista la complessità della sovrapposizione dei processi<br />

nel tempo.<br />

A partire da circa 400 m<strong>il</strong>ioni di anni fa (dal Devoniano,<br />

un periodo dell’era Paleozoica) inizia la storia ercinica<br />

(cfr. tabella) in senso stretto (o varisica), con l’orogenesi<br />

collisionale, tettonica a falde, ispessimento crostale<br />

e metamorfismo 5 regionale a più fasi, passando da<br />

condizioni iniziali di pressione relativamente elevata<br />

(relitti cianite 6 ) verso condizioni di bassa pressione (andalusite<br />

7 ).<br />

Nel tardo Paleozoico (da circa 300 a 250 m<strong>il</strong>ioni di<br />

anni fa) si registra una complessa attività magmatica,<br />

con manifestazioni vulcaniche, subvulcaniche e plutoniche<br />

8 . Nel complesso esse si protraggono dal Carbonifero<br />

superiore al Permiano o sono di esclusiva età<br />

permiana e ad affinità calcalcalina 9 ; quest’ultimo è <strong>il</strong><br />

caso dei Graniti di Baveno-Mottarone-Montorfano, o<br />

Graniti dei Laghi, incassati in un basamento cristallino<br />

preesistente (Scisti dei Laghi), metamorfosato e strutturato<br />

durante <strong>il</strong> ciclo ercinico. Essi, così come gli scisti 10<br />

in cui sono incassati, non sono stati più ripresi dal metamorfismo<br />

e dalla deformazione dutt<strong>il</strong>e successivi, occupando,<br />

durante lo sv<strong>il</strong>uppo degli elevati gradienti termo-deformativi<br />

alpini, un livello strutturale superficiale<br />

e una posizione non assiale e non metamorfica nel-<br />

321


l’ambito della catena alpina.<br />

Il sollevamento e l’erosione finale della catena paleozoica<br />

producono, a partire dal Carbonifero superiore, una<br />

diffusa superficie di erosione. La successiva distensione<br />

crostale permo-mesozoica e l’impostazione di un margine<br />

continentale divergente hanno condotto all’apertura<br />

dell’oceano ligure-piemontese (paleogeografia giurassica),<br />

sino ad arrivare alla formazione della catena alpina<br />

attuale come prodotto dell’evoluzione – nel periodo<br />

compreso dal Cretaceo (130 m<strong>il</strong>ioni di anni fa) all’era<br />

nostra - del margine convergente compressivo Europa/microplacca<br />

Adria 11 .<br />

Proprio nella zona aostana e piemontese si raggiunsero,<br />

dal Cretaceo all’Oligocene Inferiore (30 m<strong>il</strong>ioni di<br />

anni fa), durante l’acme della fase orogenetica alpina, le<br />

massime temperature e pressioni le quali, oltre a provocare<br />

la trasformazione metamorfica di rocce preesistenti,<br />

hanno generato deformazioni dei litotipi 12 , rovesciamenti<br />

e ripiegamenti dei materiali esistenti, nonché la<br />

messa in posto di una serie di plutoni 13 .<br />

Dal Cretaceo l’evoluzione dell’orogene alpino nel settore<br />

occidentale è quella che ha condotto alla struttura<br />

deformativa e al sollevamento osservab<strong>il</strong>i attualmente.<br />

II risultato di questa evoluzione e degli avvenimenti ad<br />

essa connessi comporta una grande difficoltà di lettura<br />

della situazione geologica esistente, che, ai fini di un<br />

inquadramento dei bacini estrattivi lapidei, può essere<br />

semplificata suddividendo la zona analizzata in due domini<br />

strutturali principali che da sud verso nord sono:<br />

1) La zona del Basamento Cristallino Sudalpino, o Serie<br />

dei Laghi, caratterizzata da metasedimenti 14 di crosta<br />

superiore interessati da intrusioni calcalcaline 15 acido-intermedie<br />

tardo-varisiche di età permiana a chimismo<br />

16 variab<strong>il</strong>e da granodioritico a granitico (Graniti<br />

dei Laghi della bassa Ossola, del Verbano e del Cusio);<br />

verso nord, ancora nell’ambito dell’orogene Sudalpino<br />

SE-vergente 17 , affiora una sezione di crosta profonda<br />

della Zona Ivrea-Verbano (bassa Ossola, da Candoglia<br />

a Vogogna), in contatto con la Serie dei Laghi attraverso<br />

la Linea del Pogallo (presso Mergozzo); tale zona è<br />

costituita dal cosiddetto Complesso Kinzigitico (metasedimenti<br />

ad alto grado metamorfico) e da abbondanti<br />

rocce basiche con locali peridotiti di mantello.<br />

2) La zona dell’Edificio Alpino a Falde o Sistema Oro-<br />

322<br />

genico a Vergenza Europea, esposto, nel settore mediaalta<br />

Ossola, ai livelli strutturali più profondi e radicali<br />

di quelli della Valsesia e della val d’Aosta e con livello<br />

strutturale via via più profondo da sud verso nord.<br />

Come già detto, tale zona è separata verso sud dal Sudalpino<br />

attraverso la Linea del Canavese (Insubrica), un<br />

sistema di faglie 18 regionali che attraversano la val d’Ossola<br />

all’altezza dell’allineamento Vogogna-Loro. In sezione<br />

verticale, dall’alto verso <strong>il</strong> basso della struttura,<br />

lungo <strong>il</strong> versante sinistro della val d’Ossola ritroviamo:<br />

da Vogogna a Cardezza, le unità Austroalpine 19 di pertinenza<br />

continentale africana (unità Sesia-Lanzo); da<br />

Cardezza alla località Quarata (poco a nord di Beura)<br />

<strong>il</strong> dominio Pennidico 20 Superiore (falda Monte Rosa) e<br />

<strong>il</strong> Pennidico Medio (unità Camughera-Moncucco-Orselina),<br />

separati da un livello assottigliato delle Ofioliti<br />

mesozoiche di Antrona, rocce di fondo oceanico; a<br />

nord di Domodossola <strong>il</strong> Pennidico Inferiore, costituito,<br />

a sua volta, dall’alto verso <strong>il</strong> basso, dalle falde gneissiche<br />

21 Monte Leone, Lebendun, Antigorio sovrascorse<br />

sulla “cupola di Verampio” e separate, le une dalle altre,<br />

dalle “sinclinali 22 mesozoiche”, così definite da Argand,<br />

costituite da metasedimenti; la cupola di Verampio, affiorante<br />

poco a nord di Crodo, è l’elemento strutturale<br />

più profondo di tutta la catena alpina. A NW di Domodossola,<br />

la falda Monte Leone del sistema Pennidico<br />

Inferiore viene a contatto verso sud con la zona Camughera-Moncucco-Orselina<br />

(Pennidico Medio) attraverso<br />

<strong>il</strong> sistema di faglie dutt<strong>il</strong>i/frag<strong>il</strong>i della Linea del Sempione,<br />

la quale prosegue verso est nella linea delle Centovalli.<br />

Il suo movimento distensivo recente ha fac<strong>il</strong>itato<br />

la denudazione tettonica della zona Pennidica Inferiore<br />

in fase di sollevamento. Le falde pennidico-inferiori<br />

sono costituite da prevalenti ortogneiss 23 granitici<br />

(protoliti 24 tardo paleozoici a metamorfismo alpino)<br />

e sono caratterizzate da grandi pieghe isoclinali 25 , a tratti<br />

coricate, formate dopo la fase di accavallamento eoalpino<br />

26 .<br />

Questa complessa situazione macroscopica si può tradurre<br />

di fatto nella suddivisione del comparto estrattivo<br />

in tre aree: l’area meridionale dei graniti e dei marmi<br />

paleozoici (Sudalpino), l’area centrale delle beole (Pennidico<br />

Medio-Inferiore) e l’area settentrionale del serizzo<br />

e dei marmi mesozoici (Pennidico Inferiore).


ERE PERIODI EVENTI FONDAMENTALI OROGENESI<br />

QUATER<br />

NARIO<br />

C<br />

E<br />

N<br />

O<br />

Z<br />

O<br />

I<br />

C<br />

O<br />

M<br />

E<br />

S<br />

O<br />

Z<br />

O<br />

I<br />

C<br />

O<br />

P<br />

A<br />

L<br />

E<br />

O<br />

Z<br />

O<br />

I<br />

C<br />

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P<br />

R<br />

E<br />

C<br />

A<br />

M<br />

B<br />

R<br />

I<br />

A<br />

N<br />

O<br />

OLOCENE<br />

PLEISTOCENE<br />

PLIOCENE<br />

MIOCENE<br />

OLIGOCENE<br />

EOCENE<br />

PALEOCENE<br />

CRETACEO<br />

GIURASSICO<br />

TRIASSICO<br />

PERMIANO<br />

CARBONIFERO<br />

DEVONIANO<br />

SILURIANO<br />

ORDOVICIANO<br />

CAMBRIANO<br />

PROTEROZOICO<br />

ARCHEOZOICO<br />

Flora e fauna moderne<br />

Grandi glaciazioni - Sv<strong>il</strong>uppo e diffusione dell’uomo<br />

Evoluzione degli ominidi<br />

Sollevamento delle Ande<br />

Inizia <strong>il</strong> sollevamento di Alpi e Appennini<br />

Foreste di tipo moderno<br />

Inizia <strong>il</strong> sollevamento della Himalaya<br />

Sv<strong>il</strong>uppo dei mammiferi<br />

Si forma l’Atlantico settentrionale<br />

Separazione della Australia dall’Antartide<br />

Diffusione delle Angiosperme<br />

Alla fine del periodo si estinguono i dinosauri, le ammoniti<br />

e numerose altre specie<br />

Culmine dell’evoluzione dei rett<strong>il</strong>i<br />

Compaiono i primi uccelli<br />

La Pangea inizia a fratturarsi<br />

Si forma l’Atlantico meridionale<br />

Comparsa dei primi mammiferi<br />

Prime conifere<br />

Sv<strong>il</strong>uppo dei rett<strong>il</strong>i e prime ammoniti<br />

I continenti sono riuniti in un solo blocco, la Pangea<br />

Grandi foreste, sv<strong>il</strong>uppo degli insetti alati, primi rett<strong>il</strong>i<br />

Sv<strong>il</strong>uppo dei pesci - Comparsa degli anfibi - Diffusione delle felci<br />

Primi animali in grado di respirare aria<br />

Primi vertebrati e pesci<br />

Diffusione di invertebrati marini forniti di guscio<br />

L’ossigeno contenuto nell’atmosfera supera <strong>il</strong> 3%<br />

Rapida evoluzione organica – Grande glaciazione “eocambriana”<br />

Evoluzione degli invertebrati - Eucarioti macroscopici<br />

Prime forme di vita pluricellulari (sv<strong>il</strong>uppo della riproduzione sessuata)<br />

L’ossigeno nell’atmosfera raggiunge l’1% della sua concentrazione attuale<br />

Comparsa di cellule eucariote - Diversificazione dei procarioti<br />

Produzione di ossigeno fotosintetico e formazione dello strato di ozono<br />

Orogenesi alpina<br />

Orogenesi ercinica<br />

Orogenesi caledoniana<br />

Le maggiori formazioni ferrifere a bande - I più antichi episodi glaciali conosciuti<br />

Sv<strong>il</strong>uppo di cellule procariote aerobie<br />

Sv<strong>il</strong>uppo di ossigeno libero nell’atmosfera – Indizi più antichi di attività fotosintetica<br />

Prime stomatoliti<br />

Sv<strong>il</strong>uppo di cellule procariote anaerobie<br />

Prime rocce sedimentarie<br />

Prime microstrutture di probab<strong>il</strong>e origine organica<br />

Sv<strong>il</strong>uppo degli oceani - Prime rocce magmatiche note<br />

Consolidamento della prima crosta terrestre<br />

MILIONI<br />

DI ANNI<br />

1,8<br />

65<br />

230<br />

570<br />

1.000<br />

2.000<br />

2.600<br />

3.000<br />

3.500<br />

4.000<br />

FORMAZIONE DELLA TERRA 4.600<br />

323


Nell’area meridionale, tra <strong>il</strong> Cusio, <strong>il</strong> Verbano e l’estremità<br />

sud-orientale dell’Ossola, sono coltivati i plutoni<br />

di Mottarone-Baveno e Montorfano, corpi granitoidi<br />

calcalcalini a struttura generalmente equigranulare,<br />

caratterizzati da grana media o medio-fine. Essi, unitamente<br />

agli altri corpi granitici dell’area, appartengono<br />

ad un batolite 27 composito di età permiana (275÷283<br />

m<strong>il</strong>ioni di anni fa), allungato in direzione NE-SW ed<br />

esposto per circa 30 kmq da Biella al Lago Maggiore.<br />

Essi sono intrusi, con contatto netto e discordante, negli<br />

Scisti dei Laghi, l’unità di basamento paleozoico che<br />

si estende sino alle linee Cossato-Mergozzo-Brissago e<br />

del Pogallo.<br />

Poco a nord di tale zona si estraggono i marmi calcitici<br />

di Candoglia costituiti da lenti e bancate di limitato<br />

spessore, variab<strong>il</strong>e tra gli 8 ed i 30 metri, e ad andamento<br />

trasversale rispetto l’asse vallivo; sono formati da sedimenti<br />

metamorfosati di età paleozoica intercalati ai<br />

paragneiss 28 del Complesso Kinzigitico Ivrea-Verbano.<br />

Dalla media val d’Ossola fino a Crevoladossola provengono<br />

gli ortogneiss più o meno compatti e più o meno<br />

anfibolici ut<strong>il</strong>izzati per rivestimenti e coperture (beole).<br />

Vengono estratti dalla Falda Monte Rosa (Pennidico<br />

Superiore), nel territorio dei comuni di Beura e V<strong>il</strong>ladossola,<br />

e dalle falde Camughera e Orselina-Moncucco<br />

e Monte Leone (Pennidico Medio-Inferiore) nei comuni<br />

di Trontano, Crevola e Montecrestese.<br />

L’area più settentrionale è invece quella caratterizzata<br />

dalla presenza di falde di ricoprimento pennidico-inferiori<br />

che definiscono la geologia strutturale alpina dell’Ossola<br />

Superiore. Il serizzo, ortogneiss biotitico localmente<br />

ad anfiboli, proviene dalla struttura denominata<br />

Falda Ortogneissica di Antigorio a composizione granodioritica-granitica<br />

e avente spessore di 1.200-1.300<br />

metri. II materiale ha colore grigio più o meno chiaro,<br />

foliato con locali presenze di minerali feldspatici di notevoli<br />

dimensioni. Può essere compatto, nel qual caso<br />

viene coltivato in blocchi e successivamente segato in<br />

lastre, oppure, se caratterizzato da elevata fiss<strong>il</strong>ità 29 , può<br />

essere lavorato a spacco.<br />

Intercalati tra le falde ortogneissiche di Antigorio (strutturalmente<br />

sottostante) e del Monte Leone (sovrastante),<br />

che rappresentano lembi deformati e imp<strong>il</strong>ati di basamento<br />

paleozoico, si r<strong>il</strong>evano e si estraggono, poco a<br />

324<br />

nord di Domodossola, i marmi dolomitici di Crevoladossola,<br />

appartenenti ad un insieme di copertura costituito<br />

da sedimenti calcarei e calcareo-s<strong>il</strong>icei metamorfosati<br />

in età alpina e risalenti al mesozoico.<br />

Le cave di pietra ornamentale<br />

Le cave di pietra ornamentale si ritrovano ubicate per<br />

la maggior parte lungo la direttrice nord-sud che segue,<br />

grosso modo, l’asta del fiume Toce.<br />

In numero molto minore si trovano poi lungo la valle<br />

del torrente Devero e Diveria. Qualche cava singola è<br />

ubicata in altre valli.<br />

Dal punto di vista dei litotipi, si hanno:<br />

• a nord gli gneiss massicci (serizzi), le cui cave sono<br />

concentrate per lo più nelle valli Antigorio, Formazza,<br />

Devero e Divedro;<br />

• nella parte centrale del territorio provinciale (da Crevoladossola<br />

a Vogogna) gli gneiss tabulari (beole),<br />

con notevoli concentrazioni di cave a Trontano e<br />

Beura;<br />

• ancora nella parte centrale e a sud i marmi (dolomia<br />

a Crevoladossola; marmo grigio Boden e rosa Valtoce<br />

a Ornavasso);<br />

• a sud, nel Verbano (Mergozzo, Baveno), i graniti<br />

(rosa, bianco, verde).<br />

Si discosta dal panorama tracciato una cava di gneiss<br />

(serizzo Monte Rosa) ubicata, unica, in valle Anzasca.<br />

Le cave attualmente in attività (anno 2004) sono 81<br />

mentre 34 sono inattive.<br />

Pur essendo in numero notevole (115 in totale), <strong>il</strong> territorio<br />

effettivamente occupato da questa attività (zona<br />

di escavazione vera e propria, discarica e piazzali di servizio)<br />

è di 2.401.806 mq.<br />

Paragonandolo alla estensione totale del territorio provinciale,<br />

che è di 2.262 Kmq (2.262 x 106 mq), esso rappresenta<br />

solo l’1,1 per m<strong>il</strong>le o, se si vuole, lo 0,11%!<br />

Anche togliendo tutta la superficie di territorio sopra i<br />

1.600 m di quota, che si può definire montana a tutti<br />

gli effetti e in cui diventa problematico, per vari aspetti,<br />

aprire una cava, restano 1.250 Kmq, a confronto dei<br />

quali l’area autorizzata per le cave rappresenta ancora<br />

solamente l’1,9 per m<strong>il</strong>le (0,19%).<br />

In termini di metri cubi estraib<strong>il</strong>i (cioè i volumi che<br />

possono essere estratti in funzione di autorizzazioni vi-


genti), nel 2004 si può stimare una quantità totale di<br />

899.000 mc così suddivisa:<br />

1) 670.000 mc di serizzo;<br />

2) 132.000 mc di beola;<br />

3) 36.000 mc di granito bianco;<br />

4) 5.000 mc di granito rosa;<br />

5) 56.000 mc di marmo.<br />

Naturalmente tali quantità sono destinate a variare con<br />

<strong>il</strong> mutare delle condizioni autorizzative.<br />

Caratteristiche delle cave del VCO<br />

Nella Provincia del VCO le cave sono praticamente tutte<br />

di pietra ornamentale. Questa circostanza già fa intuire<br />

che le differenze tra cava e cava non possono essere<br />

sostanziali. Ed in effetti le differenze più evidenti si<br />

riscontrano per lo più nella loro ubicazione che non per<br />

altre peculiarità (le diverse tecniche di estrazione, che<br />

pure sono caratteristiche dei litotipi estratti, non si discostano<br />

in effetti così tanto l’una dall’altra).<br />

Ormai in tutte le cave la tecnica di coltivazione abbina<br />

l’estrazione con l’esplosivo e con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o diamantato<br />

30 . Le doti di quest’ultimo vengono sempre più esaltate,<br />

soprattutto laddove si impone s<strong>il</strong>enziosità e scarsa<br />

emissione di polveri, anche in considerazione degli<br />

enormi progressi che i costruttori hanno fatto nel fabbricare<br />

perline adatte ai materiali s<strong>il</strong>icei (si ricorda che<br />

questa tecnologia è derivata dalla cave di marmo, materiale<br />

molto più tenero dello gneiss e del granito).<br />

Sostanzialmente le cave si possono suddividere in: cave<br />

a fossa, a mezza costa, di culmine, pedemontane.<br />

Le cave a fossa<br />

Si definisce cava a fossa quell’unità estrattiva dove <strong>il</strong><br />

materiale viene scavato dall’alto verso <strong>il</strong> basso, abbassando<br />

conseguentemente <strong>il</strong> tetto del giacimento.<br />

Si presentano come trincee, contornate su tre lati da<br />

pareti e si ritrovano usualmente nella coltivazione della<br />

beola (cave del Croppo di Trontano, alcune cave del bacino<br />

di Beura, cava Favalle a Crevoladossola).<br />

Presentano <strong>il</strong> vantaggio di poter lavorare agevolmente<br />

su piani orizzontali e verticali nonché fac<strong>il</strong>itare gli interventi<br />

di recupero ambientale; per contro, si possono<br />

avere spazi di manovra limitati e occorre una attenta e<br />

periodica perlustrazione delle pareti circostanti.<br />

Attività estrattiva<br />

Le cave a mezza costa<br />

La maggioranza delle cave è a mezza costa, cioè inserita<br />

ad una certa quota nel versante. E’ <strong>il</strong> caso ricorrente delle<br />

cave di serizzo, nelle quali si sfrutta la pendenza naturale<br />

della pioda 31 per far scivolare sul piazzale le bancate<br />

32 staccate dall’ammasso roccioso. Spesso presentano<br />

<strong>il</strong> vantaggio di avere due lati liberi, una pendenza della<br />

pioda che aiuta lo stacco delle bancate, un ampio piazzale<br />

di servizio. Di contro, le operazioni di perforazione e<br />

taglio possono essere malagevoli e spesso, per rispettare<br />

le geometrie di coltivazione, si creano fronti in aggetto<br />

che devono successivamente essere prof<strong>il</strong>ati. Le operazioni<br />

di recupero ambientale al di fuori dei piazzali possono<br />

essere difficoltose. Anche la maggioranza delle cave<br />

di granito sono a mezza costa (cave del Montorfano). A<br />

differenza delle cave di serizzo, però, la coltivazione avviene<br />

su piani orizzontali e verticali, non avendo <strong>il</strong> granito<br />

piani di pioda e trincante. La coltivazione è quindi,<br />

normalmente, fac<strong>il</strong>itata ed i vantaggi sono evidenti.<br />

325


Le cave di culmine<br />

Si definiscono cave di culmine quelle poste alla sommità<br />

di r<strong>il</strong>ievi. Se ne riscontrano pochissime (cave di granito<br />

rosa del Monte Camoscio, un paio di cave di serizzo<br />

a Formazza).<br />

Sono sicuramente quelle nelle condizioni migliori di<br />

coltivazione, avendo ampi spazi di manovra, i lati liberi,<br />

assenza o quasi di pareti incombenti.<br />

Alla fac<strong>il</strong>ità di coltivazione si contrappone la grande visib<strong>il</strong>ità,<br />

con i relativi problemi di recupero ambientale.<br />

Le cave pedemontane<br />

Sono quelle che si trovano ubicate in corrispondenza<br />

del piede del versante.<br />

Si r<strong>il</strong>evano sia nella estrazione del serizzo (bacini di Crodo<br />

e Premia) che della beola (bacini di Beura e V<strong>il</strong>ladossola).<br />

Pur presentando i vantaggi e gli svantaggi caratteristici<br />

delle cave <strong>il</strong>lustrate ai paragrafi precedenti, a seconda<br />

della inclinazione della pioda, della stratificazione,<br />

ecc., presentano l’innegab<strong>il</strong>e vantaggio di essere più<br />

fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>i, fac<strong>il</strong>itando quindi anche i lavori<br />

di recupero ambientale. Per contro, possono essere più<br />

visib<strong>il</strong>i di quelle a fossa o a mezza costa.<br />

Le imprese estrattive 33<br />

Sebbene ci siano documenti che riportano che scalpellini<br />

bavenesi erano operativi sin dal 1460 – tale Giovanni<br />

Bartolomeo esercitava in quel di S. Pietro a Roma – e<br />

che da una lista del 3 Apr<strong>il</strong>e 1643 risulta che le due professioni<br />

di gran lunga prevalenti a Baveno erano quella<br />

di “cavagnaro” (cavatore) e “pichapreda” (scalpellino),<br />

<strong>il</strong> che dimostra la plurisecolare dedizione alla lavorazione<br />

della pietra locale, è necessario risalire almeno fino<br />

alla fine del ’700 per trovare tracce di vere e proprie imprese<br />

lapidee. Dal 1800, cominciano ad essere disponib<strong>il</strong>i<br />

documenti che parlano di cave sfruttate con criteri<br />

industriali, soprattutto per quanto riguarda i graniti,<br />

materiali più pregiati. Nel 1823 Giovanni Battista Galli<br />

affittò una cava di granito bianco dalla comunità bavenese<br />

e le ditte Adami e Croppi, che avevano rispettivamente<br />

una cava di “granito rosso”, risultano attive almeno<br />

dal 1836. Intorno a quegli anni lo sfruttamento<br />

cominciò a crescere e le ditte si moltiplicarono. Nel<br />

1865 risultano attive nell’Ossola 7 cave di beola con 35<br />

326<br />

operai cavatori e 200 scalpellini; tra Baveno e Mergozzo<br />

sono attive 4 cave di granito rosa con 24 cavatori e<br />

400 scalpellini e 6 cave di granito bianco con 50 cavatori<br />

e 600 scalpellini. Le cronache riportano che le suddette<br />

cave di granito sono in grado di fornire blocchi da<br />

20 a 50 mc e ogni anno si estraggono da 1.500 a 2.000<br />

mc di materiale.<br />

Nella seconda metà dell’ottocento diventa di uso corrente<br />

l’esplosivo, sebbene <strong>il</strong> suo ut<strong>il</strong>izzo per mine da parete<br />

risalga almeno al ’700.<br />

Le prime due grandi mine eseguite in cunicolo di cui<br />

si abbia notizia risalgono al 1863, a Montorfano, e al<br />

1865, a Baveno; sebbene non fossero state coronate da<br />

<strong>completo</strong> successo, servirono sicuramente per affinare<br />

la tecnica, tanto che la mina fatta br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 3 Dicembre<br />

1866 rispettò e anzi sorpassò le aspettative.<br />

La tecnica delle mine in galleria (atta a staccare, con<br />

<strong>il</strong> contributo dei piani di discontinuità naturali, grandi<br />

quantità di materiale che si abbattono sul versante<br />

sottostante) prese piede e “La Voce del Lago Maggiore”<br />

riporta, <strong>il</strong> 9 Luglio 1886, del br<strong>il</strong>lamento nella cava<br />

di granito del Della Casa di una mina effettuata con<br />

150 quintali di polvere nera, seguita, <strong>il</strong> 20.03.1887, da<br />

un’altra mina preparata con 70 quintali di polvere nera.<br />

Una mina analoga venne fatta br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 1° Novembre<br />

1890 nella cava di granito della ditta Pirovano e Adami<br />

fratelli. Un vero record deve essere stata quella fatta<br />

br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 17 Agosto 1886 dal Della Casa nella propria<br />

cava di granito: costata un lavoro durato due anni, alle<br />

tre pomeridiane furono innescate 17 tonnellate di polvere<br />

nera e dinamite! Lo spettacolo fu visto da una gran<br />

quantità di spettatori e riportato sui giornali.<br />

Sempre con tale tecnica, nella cava Seula (di granito)<br />

dei fratelli Adami nel 1909 fu fatta br<strong>il</strong>lare una mina<br />

che procurò ben 90.000 mc di granito, disseminato sul<br />

versante e successivamente (nel giro di qualche anno)<br />

lavorato.<br />

Anche la cave di gneiss proliferano, sebbene si abbiano<br />

minori testimonianze dirette, forse perché molti produttori<br />

di serizzo e beola lavoravano su commissione<br />

delle imprese che commerciavano <strong>il</strong> granito (e che avevano<br />

probab<strong>il</strong>mente una più vasta e organizzata rete<br />

commerciale), che comunque fornivano manufatti anche<br />

di altri materiali. Dal 1904 al 1909 (secondo “Eco-


nomia e sv<strong>il</strong>uppo industriale” di Umberto Chiaramonte)<br />

le cave di gneiss (serizzo e beola) avevano raggiunto<br />

<strong>il</strong> ragguardevole numero di 347 e la produzione era passata<br />

da 76.400 a 106.500 tonnellate, impiegando 1.875<br />

addetti (di cui 98 ragazzi). Significativo <strong>il</strong> fatto che nel<br />

1912, per ridurre gli effetti della concorrenza, le ditte<br />

sentirono <strong>il</strong> bisogno di costituire un consorzio, che, si<br />

riscontrò, fece sentire i suoi benefici effetti.<br />

Fin verso la fine dell’800 tutte le lavorazioni erano fatte<br />

a mano, raggiungendo comunque traguardi eccezionali,<br />

come dimostrano, per esempio, le 10 colonne di<br />

granito prodotte nel 1868 dalle cave Cardini-Pirovano,<br />

delle dimensioni di 10,40 m di altezza per un diametro<br />

di 1,30 m. Dall’inizio del ’900 ci fu un vero e proprio<br />

salto di qualità causato dall’inizio della meccanizzazione<br />

di alcuni processi di lavorazione. Fecero la loro prima<br />

comparsa torni e “resighe” (prime seghe per materiali<br />

lapidei, antesignane dei moderni telai), che sfruttavano<br />

la forza motrice dell’acqua e del vapore.<br />

Nel corso del XX secolo, soprattutto nella sua seconda<br />

parte, si sono affermate tutte le maggiori imprese estrattive<br />

tuttora in attività.<br />

Inevitab<strong>il</strong>mente la meccanizzazione, sia in cava, unita a<br />

tecniche di coltivazione innovative, che nei laboratori<br />

ha ridotto di molto la manodopera impiegata, pur aumentando<br />

incredib<strong>il</strong>mente le produzioni.<br />

Nelle cave la tecnica delle mine in galleria è stata soppiantata<br />

a favore di interventi molto meno dirompenti<br />

che salvaguardano <strong>il</strong> giacimento; oggi all’esplosivo -<br />

che viene ut<strong>il</strong>izzato con molta parsimonia, si pensi che<br />

usualmente non sono necessari più di 25-60 grammi di<br />

esplosivo per metro cubo di banco staccato, a seconda<br />

della giacitura, delle geometrie e dei volumi in gioco –<br />

è affiancata la tecnica del taglio al monte con <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o diamantato.<br />

I laboratori sono dotati di macchine all’avanguardia<br />

per la segagione dei blocchi (i telai raggiungono<br />

ormai i 4 m di larghezza, che permettono di segare anche<br />

tre blocchi appaiati in 48 ore); hanno frese in grado<br />

di tagliare in qualsiasi piano; le lucidatrici lucidano<br />

i pacchi di lastre, in modo completamente automatico,<br />

appena uscite dai telai; possiedono macchine a controllo<br />

numerico in grado di riprodurre qualsiasi disegno.<br />

La Provincia del VCO copre, con le sue 300.000 tonnellate<br />

di prodotti commerciati, circa <strong>il</strong> 60% del quan-<br />

titativo di pietre ornamentali di tutto <strong>il</strong> Piemonte. Se si<br />

pensa che <strong>il</strong> Piemonte è quotato come produttore del 1%<br />

della produzione mondiale, la nostra Provincia si attesta<br />

sicuramente come una delle più importanti in <strong>It</strong>alia.<br />

Sono 73 le aziende di estrazione, che occupano direttamente<br />

circa 300 addetti (tra personale di cava e impiegatizio),<br />

e una cinquantina le aziende che si occupano<br />

della lavorazione dei materiali estratti, nelle quali sono<br />

impiegati dai 350 ai 450 addetti.<br />

Se a ciò si aggiunge l’occupazione indotta (addetti alle<br />

officine, alla fornitura di macchine specialistiche e movimento<br />

materiali, alla fornitura di esplosivo e materiale<br />

di consumo, trasportatori, ecc.) si arriva con fac<strong>il</strong>ità a<br />

parlare di almeno 1.000 addetti nel settore lapideo.<br />

Tali dati contribuiscono egregiamente a far sì che l’<strong>It</strong>alia<br />

mantenga la leadership mondiale di Paese produttore<br />

e trasformatore della pietra e giustificano <strong>il</strong> dovere di<br />

mantenere e incentivare questa attività, che va peraltro<br />

gestita in maniera compatib<strong>il</strong>e con l’ambiente di alto<br />

pregio proprio del VCO.<br />

E’ anche doveroso evidenziare l’ab<strong>il</strong>ità raggiunta dalle<br />

imprese nella escavazione. Tutti i visitatori, addetti ai lavori<br />

e non, restano meravigliati dalla perizia con la quale<br />

i nostri cavatori riescono ad estrarre in maniera ordinata<br />

e precisa la pietra in luoghi e situazioni oggettivamente<br />

molto diffic<strong>il</strong>i (cave con piode molto inclinate<br />

o abbarbicate su pareti vertiginose nelle quali sono<br />

pure stati installati gli immancab<strong>il</strong>i derrick 34 ). Ciò ha<br />

fatto sì che siano stati chiamati in diverse parti del mondo<br />

(Spagna, Portogallo, Bras<strong>il</strong>e, Sudafrica, India, Corea,<br />

Russia, Cina, ecc.) a valutare i giacimenti e ad impostare<br />

le coltivazioni. Alcune ditte hanno aperto e coltivano<br />

tuttora cave di materiali pregiati in Canada, Sudafrica,<br />

Bras<strong>il</strong>e.<br />

Sull’indotto, invece, si deve evidenziare che imprenditori<br />

locali (ad esempio le Officine Meccaniche Marini<br />

di V<strong>il</strong>ladossola) hanno avuto un ruolo di primo piano<br />

nella costruzione di macchine utens<strong>il</strong>i, sia da ut<strong>il</strong>izzare<br />

direttamente in cava (tagliablocchi 35 , aspiratori per<br />

le polveri, perforatori s<strong>il</strong>enziati, f<strong>il</strong>o diamantato, ecc.),<br />

sia da ut<strong>il</strong>izzare nei laboratori di lavorazione (dischi diamantati<br />

36 e macchine utens<strong>il</strong>i complete). Diversi sono<br />

i brevetti detenuti e le macchine sono esportate in tutto<br />

<strong>il</strong> mondo.<br />

327


Deposito blocchi di granito.<br />

Importanza dell’attività estrattiva<br />

Come si è capito nei paragrafi precedenti, la ricchezza<br />

mineraria del territorio del VCO è costituita dalle pietre<br />

ornamentali, presenti con una varietà estetica veramente<br />

notevole.<br />

La atavica cultura della pietra e la tecnologia sv<strong>il</strong>uppata<br />

proprio in questa area, che mette in grado gli operatori<br />

di estrarre la roccia nelle condizioni più diffic<strong>il</strong>i, unita<br />

alle varietà di pietre e alla capacità di lavorazione fa sì<br />

che le nostre pietre siano conosciute e richieste in tutto<br />

<strong>il</strong> mondo.<br />

L’estrazione della materia prima e la sua successiva lavorazione<br />

hanno creato un tessuto socio economico sul<br />

quale oggi è in larga misura basato <strong>il</strong> benessere della<br />

Provincia. E ciò è un valore determinante se si pensa<br />

che in quelle vallate dove risiedono le cave, e dove per<br />

conseguenza sono sorti i laboratori, non esiste praticamente<br />

altra ricchezza.<br />

Quanto possa contare questa attività in termini economici<br />

è fac<strong>il</strong>mente desumib<strong>il</strong>e, seppure sia necessario<br />

328<br />

adottare una certa cautela poichè le quantità di materiale<br />

disponib<strong>il</strong>e (cfr. paragrafo 4) non sono quelle effettivamente<br />

cavate ma quelle estraib<strong>il</strong>i; si ha cioè <strong>il</strong> computo<br />

di una ricchezza potenziale. L’ordine di grandezza di<br />

questa ricchezza, riferita al 2004, si ha moltiplicando le<br />

quantità annue dei vari materiali estraib<strong>il</strong>i per <strong>il</strong> prezzo<br />

medio di vendita. Non è fac<strong>il</strong>e valutare <strong>il</strong> prezzo medio,<br />

dato che si parla di quantità estraib<strong>il</strong>i, quindi comprensive<br />

di percentuali di scarto, di materiale di 1 a scelta, di<br />

2 a scelta, etc. In base all’esperienza e ai prezzi di mercato<br />

correnti dei vari materiali, si può ragionevolmente<br />

stimare che tale citata ricchezza potenziale sia dell’ordine<br />

di circa 110-120 m<strong>il</strong>ioni di Euro. E’ doveroso puntualizzare<br />

che, dimostrato dalla esperienza di tanti anni,<br />

<strong>il</strong> materiale veramente estratto annualmente rispetto a<br />

quello estraib<strong>il</strong>e è di circa <strong>il</strong> 50%; la ricchezza reale potrebbe<br />

quindi aggirarsi sui 55-60 m<strong>il</strong>ioni di Euro.<br />

A questa cifra va inoltre sommato <strong>il</strong> valore aggiunto<br />

prodotto dalle lavorazioni, capace di aumentare da 3 a<br />

5 volte (a seconda del prodotto finale) <strong>il</strong> valore iniziale


del materiale. Benché i concetti sopraesposti non possano<br />

sicuramente definirsi una analisi di mercato, tuttavia<br />

dimostrano che le cifre in gioco sono di tutto rispetto,<br />

soprattutto se rapportate alla superficie del territorio<br />

provinciale e alle popolazioni dei Comuni con vocazione<br />

estrattiva.<br />

Conclusioni<br />

La cultura del “sasso”, la grande varietà e bellezza delle<br />

nostre pietre ornamentali, la perizia raggiunta nella<br />

loro escavazione, la loro importanza socio economica<br />

sono caratteristiche che di primo acchito porterebbero<br />

a pensare ad un fac<strong>il</strong>e mantenimento e ad un incremento<br />

dell’attività estrattiva e di lavorazione. In realtà, invece,<br />

sono parecchi e non di poco conto gli ostacoli che si<br />

debbono superare anche solo per mantenere questa importante<br />

attività ai livelli attuali.<br />

In primo luogo bisogna tenere presente che ormai <strong>il</strong><br />

mercato è diventato veramente globale. Tale vocabolo,<br />

del cui uso si è spesso abusato, negli ultimi anni ha assunto<br />

<strong>il</strong> suo vero valore: oggi chiunque, dalla grande<br />

azienda al privato cittadino, è in grado, stando seduto<br />

nel proprio ufficio o nella propria casa, di sapere quali<br />

sono i materiali offerti da tutti i Paesi produttori, per<br />

che cosa possono essere ut<strong>il</strong>izzati, quanto costano, da<br />

dove vengono, dove si possono reperire, ecc.; tutto ciò<br />

grazie a quella meravigliosa invenzione che si chiama<br />

Internet. In queste circostanze non esistono più, o si<br />

stanno rapidamente esaurendo, quelle nicchie di mercato<br />

alle quali era abituata la maggioranza delle aziende<br />

del settore. La concorrenza, dunque, non è più interna<br />

(a livello regionale o tuttalpiù nazionale) ma è a livello<br />

di pianeta, globale appunto.<br />

A ciò si deve aggiungere che molti dei concorrenti sono<br />

in grado di offrire materiali anche molto belli a prezzi<br />

assolutamente inferiori dei nostri. Basti pensare ai cosiddetti<br />

Paesi emergenti (la Cina innanzitutto, se ancora<br />

si può definire emergente, <strong>il</strong> Bras<strong>il</strong>e, i Paesi dell’Est<br />

europeo) che hanno un costo del lavoro molto basso e<br />

hanno, almeno per ora, costi legati alla sicurezza e all’ambiente<br />

molto meno elevati dei nostri.<br />

A livello europeo l’introduzione dell’Euro ha tolto le fac<strong>il</strong>itazioni<br />

di vendita che la svalutazione della Lira periodicamente<br />

determinava nei confronti delle valute<br />

forti (soprattutto <strong>il</strong> marco tedesco). Sul fronte amministrativo<br />

sicuramente le leggi non aiutano. Sono tante,<br />

faragginose, poco chiare, tra loro sovrapposte. Gli iter<br />

per ottenere le autorizzazioni per coltivare cave raccontati<br />

dagli imprenditori che le hanno aperte in altri Paesi<br />

(non del terzo mondo ma in Spagna, Portogallo, Canada)<br />

paiono veramente racconti di fantascienza! Senza<br />

contare che per ut<strong>il</strong>izzare l’esplosivo, insostituib<strong>il</strong>e ferro<br />

del mestiere, si devono rispettare rigide procedure con<br />

risvolti spesso penali.<br />

Gli imprenditori locali, pur avendo costituito l’Assocave<br />

un trentennio fa (correva l’anno 1974) e più recentemente,<br />

nel 2001, l’Assograniti, associazioni di cavatori<br />

e lavoratori della pietra, per fronteggiare alcune problematiche<br />

comuni (ottimo <strong>il</strong> metodo studiato e adottato<br />

per la distribuzione quotidiana dell’esplosivo in tutte<br />

le cave a prezzi vantaggiosi, ancora oggi ut<strong>il</strong>izzato) non<br />

hanno quello “spirito di corpo” che contraddistingue,<br />

invece, altri distretti della pietra (Carrara e Verona). Ciò<br />

si traduce in almeno due svantaggi:<br />

• Diffic<strong>il</strong>mente si riesce a concorrere per le forniture<br />

più importanti e remunerative, che presuppongono<br />

uno sforzo comune di diverse aziende temporaneamente<br />

consorziate di produttori di materia prima (cave) e<br />

di laboratori.<br />

• Non si riesce a fare “lobby”, cioè a creare un soggetto<br />

che ha chiare le proprie esigenze e si muove in tutte<br />

le direzioni per salvaguardare le proprie legittime rendite<br />

(in <strong>It</strong>alia tale termine evoca qualcosa di disdicevole,<br />

mentre nel mondo anglosassone è assolutamente normale<br />

che una categoria di imprenditori si adoperi, ovviamente<br />

in modo lecito, per difendere i propri interessi).<br />

Così non solo non si riesce a condizionare, almeno<br />

per quanto possib<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> mercato, le scelte politiche, i<br />

prezzi, la valorizzazione dei prodotti, ecc., ma neppure<br />

si ottengono nelle negoziazioni i vantaggi determinati<br />

dal potere contrattuale derivante dalle grandi quantità<br />

di merce che si devono acquistare; si pensi a tutti i materiali<br />

di consumo che necessitano in cava (come esempio<br />

ci si può riferire ai fioretti 37 , di cui se ne consumano<br />

ingenti quantità) e nei laboratori (si pensi solamente a<br />

quanti dischi diamantati vengono ut<strong>il</strong>izzati).<br />

Non è fac<strong>il</strong>e rispondere efficacemente alle problematiche<br />

prospettate. Alla spietata concorrenza cinese (e non<br />

329


solo) non si può senz’altro pensare di far fronte con<br />

l’abbassamento dei prezzi, bensì con identificazioni certe<br />

dei nostri materiali e con la loro ripetib<strong>il</strong>ità (ovvero la<br />

possib<strong>il</strong>ità di fornire materiale di uguali caratteristiche<br />

anche a distanza di tempo) e con la qualità di produzione<br />

e lavorazione. In tal senso bisogna dire che le istituzioni<br />

e gli imprenditori si sono già mossi. La Provincia<br />

del VCO ha finanziato borse di studio universitarie<br />

per la caratterizzazione dei nostri materiali e per trovare<br />

una formulazione di “marchio d’origine”. Con fondi<br />

provinciali e contributo regionale è in fase di costituzione<br />

a Crevoladossola <strong>il</strong> “Centro per la qualificazione<br />

dei materiali lapidei del VCO”, società pubblico-privata<br />

(formata da Provincia, Comune di Crevoladossola,<br />

CCIAA, associazioni di categoria, imprese e Università)<br />

che ha per fine la marchiatura CE sui prodotti lapidei<br />

nonché lo sv<strong>il</strong>uppo di tutte quelle iniziative tese alla valorizzazione<br />

dei materiali (marketing, ricerca applicata,<br />

studi di settore, sv<strong>il</strong>uppo della f<strong>il</strong>iera del lapideo, ecc.).<br />

Siamo certi che anche le aziende sapranno superare le<br />

incomprensioni e le particolarità a vantaggio del bene<br />

comune.<br />

Se tutti faranno la loro parte, e non ne dubitiamo, questo<br />

affascinante mondo continuerà a vivere permettendo<br />

a tutti di godere delle bellezze che con la pietra si<br />

possono creare e potrà essere conservato quel patrimonio<br />

culturale e di conoscenze acquisite in secoli di esperienze.<br />

Perderlo anche solo per un attimo potrebbe voler<br />

dire perderlo per sempre, perché <strong>il</strong> frettoloso mon-<br />

Note<br />

1 M. Braga, Dizionario dei picasass, inedito – A.G. Roggiani, Appunti<br />

per una mineralogia dell’Ossola, La dolomia di Creola alla<br />

cava Baulina, Domodossola 1968 – Pietre ornamentali del Piemonte,<br />

pubblicazione ICE (Istituto Nazionale per <strong>il</strong> Commercio Estero)<br />

e Regione Piemonte, 1 a edizione Gennaio 2000.<br />

2 Pietre ornamentali del Piemonte, pubblicazione ICE (Istituto Nazionale<br />

per <strong>il</strong> Commercio Estero) e Regione Piemonte, 1 a edizione<br />

Gennaio 2000.<br />

3 E’ la formazione dei r<strong>il</strong>ievi terrestri. Tra le molte teorie, attualmente<br />

è ritenuta valida l’ipotesi della tettonica a zolle (o a placche), interpretazione<br />

moderna e controllata della teoria di Wegener o della deriva<br />

dei continenti, secondo la quale parti di crosta terrestre, muo-<br />

330<br />

do odierno, con i frenetici ritmi che impone, non permetterebbe<br />

recuperi.<br />

Candoglia, la Cava del Duomo.<br />

vendosi, si scontrano sollevandosi.<br />

4 Si riferiscono alla teoria della deriva dei continenti di cui alla nota 1.<br />

5 Complesso di trasformazioni di struttura e costituzione mineralogica<br />

e di composizione chimica che le rocce subiscono dopo o durante<br />

<strong>il</strong> loro processo di formazione.<br />

6 Minerale di colore azzurro pallido costituito da s<strong>il</strong>icato di alluminio<br />

che cristallizza nel sistema triclino.<br />

7 Minerale di colore rossiccio-grigiastro a lucentezza vitrea costituito<br />

da s<strong>il</strong>icato di alluminio, strutturalmente appartenente ai neos<strong>il</strong>icati,<br />

che cristallizza nel sistema rombico.<br />

8 Con attività plutonica si intende <strong>il</strong> fenomeno di parziale o totale<br />

fusione di porzioni della crosta terrestre sialica (dove vi è prevalenza<br />

di s<strong>il</strong>icio e alluminio) e successiva risolidificazione.<br />

9 I fenomeni di questo periodo rendono le rocce generalmente so-


vrasature (la saturazione si intende nei confronti della s<strong>il</strong>ice [SiO ]) 2<br />

e caratterizzate da valori bassi del rapporto ferro magnesio [FeOtot/MgO].<br />

10 Rocce metamorfiche formate da minerali lamellari e fibrosi a stratificazione<br />

parallela. Tenendo conto della loro composizione chimica<br />

e mineralogica si distinguono: gli gneiss, che sono rocce scistoso-cristalline<br />

costituite prevalentemente da quarzo, ortosio e mica;<br />

i micascisti, costituiti da quarzo e mica; le quarziti, costituite essenzialmente<br />

da quarzo.<br />

11 Vedi nota 1.<br />

12 Diversi tipi di rocce.<br />

13 Enormi masse rocciose della crosta sialica che, dopo una parziale<br />

o totale fusione dovuta a fenomeni di palingenesi (rifusione di rocce<br />

in zone profonde dovuta o a penetrazione di magma o all’azione<br />

combinata del calore e di gas dei magmi sottostanti), ritornano<br />

allo stato solido.<br />

14 Sedimenti o rocce sedimentarie che mostrano evidenze di essere state<br />

soggette a processi metamorfici (evidenze metamorfiche poco accentuate<br />

che rendono riconoscib<strong>il</strong>e la struttura originaria della roccia).<br />

15 Intrusioni all’interno della crosta terrestre a carattere calcalcalino<br />

(vedi nota 7).<br />

16 E’ l’insieme dei caratteri chimici delle rocce eruttive che permettono<br />

di distinguerle.<br />

17 Si definisce vergenza di una piega l’inclinazione o <strong>il</strong> coricamento<br />

del suo piano assiale verso un determinato punto cardinale. Nella<br />

fattispecie la piega è vergente a sud est.<br />

18 Si definisce faglia la frattura di masse rocciose accompagnata dallo<br />

spostamento relativo degli strati lungo <strong>il</strong> piano di frattura stesso<br />

(piano di faglia).<br />

19 Il risultato dello scontro continentale ha dato luogo a una struttura<br />

a falde di ricoprimento. Lo schema classico di Argand (1924) mette<br />

in evidenza, a nord delle Alpi Meridionali, i gruppi di falde Pennidi,<br />

Austridi, Elvediti e Ultraelvetidi. Le unità Austroalpine sono<br />

un sistema composito di falde appartenenti a quelle Austridi che,<br />

nel loro spostamento verso l’esterno della catena, si sono sovrapposte<br />

alle Pennidi.<br />

20 Il dominio Pennidico è quello delle falde Pennidi, che si estende<br />

nelle Alpi occidentali dal mar Ligure fino al passo dello Spluga e al<br />

gruppo del Bernina.<br />

21 Con <strong>il</strong> termine gneiss si indicano le rocce metamorfiche (cioè che<br />

si sono trasformate) olocristalline contenenti uno o più feldspati<br />

come costituenti essenziali e altri minerali diversi che li distinguono,<br />

per es., in gneiss anfibolici, biotitici, ecc..<br />

22 Strato geologico piegato con la convessità verso <strong>il</strong> basso.<br />

23 Gneiss derivante da roccia eruttiva.<br />

24 Rocce arcaiche.<br />

25 Sono quelle che hanno i fianchi della piega tra loro paralleli, cioè<br />

formanti un angolo pari a 0 gradi con l’asse della piega stessa. Sono<br />

pieghe molto accentuate con forma ad “U”.<br />

26 L’evento eoalpino, verificatosi tra 130 e 50 m<strong>il</strong>ioni di anni fa, fa<br />

parte della complessa evoluzione dell’orogene alpino e ne costituisce<br />

la prima fase. Le altre fasi sono l’evento mesoalpino (da 50 a 30 m<strong>il</strong>ioni<br />

di anni fa) e l’evento neoalpino (da 30 m<strong>il</strong>ioni di anni fa ad oggi).<br />

27 Grande massa di roccia intrusiva a struttura olocristallina dai contorni<br />

irregolari posta a profondità inaccessib<strong>il</strong>e all’indagine diretta.<br />

28 Gneiss derivante da rocce sedimentarie.<br />

29 E’ la proprietà di sfaldarsi fac<strong>il</strong>mente lungo piani preferenziali,<br />

piode, in lastre di piccolo spessore.<br />

30 E’ costituito da un cavo di acciaio sul quale sono montate le perline,<br />

c<strong>il</strong>indretti di diamante sintetico, tenute ferme nella loro posizione<br />

dai distanziatori, c<strong>il</strong>indretti di plastica posti tra una perlina e l’altra.<br />

Il f<strong>il</strong>o è chiuso ad anello tra la macchina che gli imprime <strong>il</strong> movimento<br />

e la roccia, provocando così <strong>il</strong> taglio.<br />

31 E’ <strong>il</strong> piano di discontinuità principale, che si ripete con regolarità<br />

nell’ammasso roccioso.<br />

32 Si intende la porzione isolata, con i vari tagli, dall’ammasso roccioso<br />

che sarà successivamente sezionata in blocchi di dimensioni<br />

commerciali.<br />

33 G. Margarini e C.A. Pisoni, Il granito di Baveno. Un pioniere:<br />

Nicola Della Casa, Alberti Libraio Editore, Verbania Intra 1995 –<br />

U. Chiaramonte, Economia e sv<strong>il</strong>uppo industriale – ECOSP (European<br />

Conference on Stone product Protection) Conference, Carrara<br />

30 Maggio 2004.<br />

34 Gru a struttura a traliccio costituita da una colonna (spesso alta<br />

più di 30 m), un braccio in grado di inclinarsi e brandeggiare per<br />

270°, due tiranti formanti tra loro un angolo di 90°, di lunghezza<br />

opportuna a seconda delle condizioni morfologiche, spesso ancorati<br />

direttamente sulla roccia. La lunghezza del braccio può arrivare<br />

ad oltre 70 m e la portata a 30 t (dipende dalla inclinazione del<br />

braccio: più ci si avvicina all’orizzontale più la portata diminuisce,<br />

e viceversa).<br />

35 Slitte costituite da prof<strong>il</strong>ati metallici che permettono la traslazione<br />

orizzontale e verticale dei perforatori su di esse montati. Permettono<br />

di eseguire perforazioni perfettamente allineate lungo direzioni<br />

predefinite.<br />

36 Dischi sulla cui circonferenza sono riportati degli inserti diamantati<br />

(prodotti artificialmente) che, girando velocemente, sono capaci<br />

di tagliare i blocchi di roccia. Hanno diametri che vanno da 300-<br />

400 mm (per le frese) a 3.600 mm (per <strong>il</strong> taglio di blocchi da telaio).<br />

Possono essere montati singolarmente o a pacchi con determinato<br />

interasse tra loro (nei tagliablocchi sono montati 30-40 dischi<br />

per volta).<br />

37 Aste a sezione esagonale di acciaio molto resistente con punta<br />

in “widia” (acciaio speciale) a forma di scalpello, forate all’interno<br />

per consentire <strong>il</strong> passaggio dell’aria compressa e dell’acqua. I fioretti<br />

sono montati su perforatrici che gli imprimono un moto rotatorio<br />

e una forza assiale e quindi consentono la perforazione della roccia.<br />

Le lunghezze dei fioretti vanno da 60 cm a circa 12 m ed hanno<br />

diametri variab<strong>il</strong>i, a partire da 32 mm (normalmente usato). Per<br />

fori più lunghi si possono, con speciali manicotti, congiungere più<br />

aste fino a raggiungere la lunghezza voluta (più <strong>il</strong> foro è lungo e più<br />

aumenta <strong>il</strong> diametro).<br />

331


L’architettura tradizionale<br />

Galeazzo Conti e G<strong>il</strong>berto Oneto<br />

L’architettura spontanea rappresenta la perfetta sintesi<br />

dell’equ<strong>il</strong>ibrato rapporto fra le caratteristiche del territorio<br />

e le espressioni formali, culturali e simboliche della<br />

nostra gente. Essa costituisce un patrimonio culturale<br />

che si è costruito nel corso dei secoli, attraverso aggiustamenti<br />

e verifiche continue.<br />

L’Ossola è ricchissima di monumenti e di architetture<br />

importanti, ma soprattutto è costellata di una enorme<br />

quantità di opere minori, di tanti piccoli interventi<br />

che hanno costruito un continuum, unico per ricchezza<br />

e armonia. È proprio questo patrimonio che oggi corre<br />

i maggiori rischi di degrado, abbandono e distruzione:<br />

non è difeso da leggi o vincoli ed è affidato solo al<br />

buon senso e alla cultura dei suoi abitanti. Un tempo le<br />

cose si facevano secondo certi criteri e certe immagini<br />

(che sono oggi percepite come la cultura architettonica<br />

locale) perché era normale farle così, perché erano le<br />

sole maniere praticate per affrontare e risolvere i correnti<br />

problemi costruttivi: oggi ci sono cento altre alternative<br />

industriali, prefabbricate, esotiche. Forse sono più<br />

semplici, più rapide o più economiche, ma sicuramente<br />

sono meno adatte a preservare la bellezza e la salute del<br />

paesaggio. La naturalezza degli antichi legami che univano<br />

i nostri antenati con la terra su cui (e di cui) vivevano<br />

è in larga parte venuta meno. Siamo spesso distratti<br />

dalle grandi opere e ci dimentichiamo di quelle<br />

piccole, ci affanniamo sui massimi sistemi e trascuriamo<br />

quei dettagli che, invece, costituiscono la quasi totalità<br />

di ciò che percepiamo guardandoci intorno. Tanti<br />

piccoli interventi bene eseguiti fanno un bel paesaggio,<br />

tanti piccoli pasticci lo distruggono.<br />

In tutta l’Ossola, fatta salva la parziale eccezione delle<br />

alte valli Walser, nelle espressioni di architettura popolare<br />

e di gestione del paesaggio sono fac<strong>il</strong>mente riscon-<br />

trab<strong>il</strong>i alcuni caratteri comuni, condivisi e costanti.<br />

Il primo è riconducib<strong>il</strong>e alla antichità e stab<strong>il</strong>ità degli<br />

insediamenti. Gran parte dei centri abitati hanno origini<br />

antichissime e dimostrano l’inossidab<strong>il</strong>ità di quella<br />

che <strong>il</strong> Lavedan ha definito “legge di persistenza dei luoghi”:<br />

sugli stessi siti si sono sovrapposti con continuità<br />

insediamenti di epoche e di culture diverse, che hanno<br />

tratto vantaggio da tutti gli elementi funzionali e simbolici<br />

che ne avevano favorito la scelta originaria. Infatti,<br />

non si ha notizia di spostamenti consistenti e tutti<br />

gli agglomerati abitativi hanno continuato a essere ricostruiti<br />

e mantenuti sul sito inizialmente scelto, anche<br />

se ciò è avvenuto in epoca antichissima, generalmente<br />

in base a ragioni quali l’esposizione, la difendib<strong>il</strong>ità,<br />

la visib<strong>il</strong>ità, la disponib<strong>il</strong>ità di acqua o di altre risorse,<br />

oppure anche per fattori magici, simbolici e religiosi.<br />

In generale, anche <strong>il</strong> tipo di insediamento è complessivamente<br />

omogeneo, caratterizzato da agglomerati<br />

di dimensioni piuttosto limitate che vengono circondati<br />

da abitazioni sparse, usate tutto l’anno oppure solo<br />

stagionalmente, in uno schema che ricorda la propensione<br />

per <strong>il</strong> diradamento sul territorio tipico delle popolazioni<br />

di origine celtica e germanica.<br />

Il secondo criterio di comunanza è dato dal tipo di agglomerazione:<br />

si tratta quasi sempre di insediamenti<br />

compatti, costruiti attorno a un elemento di comunicazione<br />

primario come una strada, una piazza o un ponte.<br />

È interessante notare come gli edifici religiosi e –dove<br />

ci sono– quelli m<strong>il</strong>itari si trovino con grande costanza<br />

ai margini dell’insediamento, quando non addirittura<br />

al suo esterno, mentre sono rarissimi i casi in cui chiese<br />

importanti e antiche siano al centro del paese: esse<br />

sono quasi sempre poste in posizione importante o dominante,<br />

ma fuori dal nucleo abitativo più antico. Gli<br />

esempi in Ossola sono molteplici, dal tempietto di Le-<br />

333


ponzo di Roldo alle chiese di Crevola o Trasquera; oppure<br />

la chiesetta di Masera che presidia l’imbocco della<br />

valle Vigezzo, a cui fa riscontro la ex chiesa di San Giulio,<br />

posta in corrispondenza della fine dell’altipiano, un<br />

modo da prospettare la discesa verso <strong>il</strong> fondovalle e che<br />

ricorda, con la cappelletta “dell’addio”, la tradizione di<br />

accompagnare gli emigranti che lasciavano la loro terra<br />

diretti in Francia, in Germania, nel Nord Europa o<br />

nelle Americhe.<br />

Valle Anzasca, frazione Colombetti di Castiglione.<br />

334<br />

Un terzo elemento è costituito dallo speciale rapporto<br />

instaurato con <strong>il</strong> paesaggio: non solo gli insediamenti<br />

sono solitamente collocati in posizioni di preminenza<br />

paesaggistica, ma spesso appaiono collocati con attenta<br />

coerenza all’interno di un preciso disegno di sacralizzazione<br />

del territorio che, rispetto alle specifiche fattezze<br />

orografiche, coinvolge edifici religiosi maggiori, sacri<br />

monti e una miriade di elementi devozionali minori<br />

(santelle, cappelle, croci stazionali, eccetera).


Una quarta forma di stretta condivisione culturale è<br />

data dalla preminenza dei fattori cromatici e decorativi<br />

nella costruzione complessiva del paesaggio urbano.<br />

Gli edifici sono colorati e decorati anche con manifestazioni<br />

piuttosto sgargianti e disinvolte: si va dalle sfolgoranti<br />

tinteggiature degli intonaci alle finte architetture,<br />

fino a decorazioni pittoriche che trasformano le facciate<br />

degli edifici in veri e propri quadroni decorativi. Si tratta<br />

di una condizione costante e ripetitiva, che è comune<br />

a tutto <strong>il</strong> mondo alpino e che risale sicuramente all’antica<br />

predisposizione per la decorazione artistica delle<br />

culture di origine celtica e germanica.<br />

Un ulteriore elemento di comunanza è riscontrab<strong>il</strong>e<br />

nella costante presenza di alberi e di verde, sia nei pressi<br />

degli edifici sia all’interno degli agglomerati più densamente<br />

edificati. Questo stretto rapporto fra architettura<br />

e mondo vegetale si basa su elementi ut<strong>il</strong>itaristici<br />

(la presenza di orti e di frutteti e la necessità di averli<br />

a portata di mano), microclimatici (l’ombra, la freschezza<br />

dell’aria e la difesa dal vento), estetici (le decorazioni<br />

floreali) o simbolici come <strong>il</strong> tiglio di Macugnaga<br />

o i grandi alberi lasciati crescere per indicare la presenza<br />

degli alpeggi più importanti (per esempio a Pogallo,<br />

dove un grande faggio si riconosce ben prima di intravedere<br />

l’abitato dal sentiero).<br />

In generale gli edifici dell’Ossola sono di foggia semplice,<br />

parallelepipedi elementari e massicci (a volte con<br />

qualche minuscolo corpo annesso) che limitano le superfici<br />

esposte e contengono le dispersioni termiche;<br />

sono in di regola orientati verso valle, oppure verso sud.<br />

Nel caso di piccoli edifici con frontone aperto, <strong>il</strong> lato<br />

minore è spesso esposto a meridione, per favorire la penetrazione<br />

dei raggi solari nel locale sottotetto. Il diffu<br />

so orientamento verso valle delle case che compongono<br />

un agglomerato crea un costante contrasto con gli edifici<br />

religiosi principali, che generalmente sono liturgicamente<br />

“orientati” (nel senso etimologico più corretto,<br />

cioè “rivolti con l’abside a oriente”).<br />

Le murature sono in pietra, quasi sempre intonacate e<br />

tinteggiate con colori vivaci. In molti casi le colorazioni<br />

sono addirittura sfacciate: è infatti frequente trovare<br />

sgargianti campiture azzurre, verdi, o viola. A volte<br />

interi fronti edificati sono caratterizzati dall’unitarietà<br />

dell’architettura e dal contrasto delle pitturazioni, come<br />

Cravegna, la casa del Papa Innocenzo IX.<br />

per esempio la frazione di Sagrogno in Val Vigezzo.<br />

Le coperture sono realizzate con travi di legno e manto<br />

di piode, di spessore variab<strong>il</strong>e a seconda della disponib<strong>il</strong>ità<br />

locale del materiale e delle sue caratteristiche<br />

geologiche: in generale si tratta di lastre di scisti piuttosto<br />

spesse, che conferiscono alle falde una pendenza<br />

molto accentuata. Gli aggetti sono contenuti, addirittura<br />

inconsistenti sulle fiancate laterali delle coperture<br />

a due falde. Coperture a tre o a quattro falde si ritrovano<br />

quasi esclusivamente in edifici più grandi e pretenziosi,<br />

quasi sempre costruiti ai margini degli agglomerati<br />

più importanti.<br />

Le aperture sono regolari e di dimensioni contenute,<br />

con bassi rapporti fra altezza e larghezza. Le protezioni<br />

–ove esistono– consistono generalmente in antoni di<br />

legno ciechi, decorati con piccole aperture intagliate al<br />

centro. Molto spesso le facciate sono vivacizzate da logge<br />

ad archi e colonnine in pietra (in genere in posizione<br />

centrale), o da balconate continue che circondano del<br />

335


Casa del XIII secolo.<br />

tutto o in consistente parte l’ultimo piano dell’edificio;<br />

gli aggetti sono in pietra con ringhiere in ferro battuto<br />

di forma semplice.<br />

Le finestre sono molto spesso decorate da cornici dipinte<br />

o da finte architetture affrescate o eseguite in r<strong>il</strong>ievo.<br />

Anche gli accostamenti cromatici sono coerenti<br />

con l’obiettivo di arricchimento formale delle facciate.<br />

In generale i disegni delle finte architetture tendono<br />

a complicarsi, in perfetta coerenza con un patrimonio<br />

di immagini diffuso in tutta l’area alpina. La simmetria<br />

e la vivacità sono tradizionalmente assicurate dalla collocazione<br />

di finte finestre, che evitano <strong>il</strong> “peso” di pareti<br />

cieche o di campiture troppo vuote.<br />

Nella composizione delle facciate, porte e portoni di<br />

ingresso costituiscono un elemento di forte caratterizzazione.<br />

Le ante –semplici, doppie o con portella interna–<br />

sono in legno, quasi sistematicamente realizzate<br />

con fasce orizzontali. Le cornici possono essere anche<br />

piuttosto complesse, in muratura o in pietra scolpita.<br />

Le rostre di chiusura dei lunotti sopraluce sono in ferro<br />

battuto dalle fogge più disparate.<br />

Il gusto per la decorazione è una costante dell’architettura<br />

tradizionale. Questo ha prodotto pitture di facciata,<br />

sculture, trompe l’oe<strong>il</strong>, ghirlande, finte architetture,<br />

elementi di arredo vegetale, banderuole, battacchi, spal-<br />

336<br />

tatori, numerazioni civiche, insegne, iscrizioni, mosaici,<br />

eccetera. Assai spesso sulle facciate degli edifici ci sono<br />

edicole religiose o riquadri dipinti con soggetti sacri.<br />

Un elemento di costante caratterizzazione dell’architettura<br />

popolare è dato da presenze apotropaiche, magiche<br />

o di espressività religiosa di tipo naturalistico. Queste<br />

sono formate da oggetti e figurazioni collocati sulle<br />

facciate degli edifici e, soprattutto, sulle porte di ingresso.<br />

Si tratta in genere di elementi che servono a portare<br />

fortuna o a proteggere ritualmente gli abitanti, gli animali<br />

e anche gli stessi edifici.<br />

Quasi sempre i collegamenti fra i diversi piani sono<br />

esterni ai fabbricati. Soprattutto negli agglomerati più<br />

alti queste conformazioni creano interessanti, e a volte<br />

complessi, intrichi di scale e archi di pietra che costituiscono<br />

uno degli elementi percettivamente più evidenti.<br />

Gli edifici di civ<strong>il</strong>e (e stab<strong>il</strong>e) abitazione sono spesso dotati<br />

di fumaioli di foggia elegante e di buona altezza, generalmente<br />

collocati alle estremità del colmo di copertura<br />

o sulle facciate laterali: in quest’ultimo caso la loro<br />

altezza viene evidenziata e sono usati come importanti<br />

elementi decorativi.<br />

Anche la gestione del paesaggio è caratterizzata da una<br />

forte presenza di manufatti in pietra a secco, che modificano<br />

la morfologia locale per soddisfare esigenze produttive.<br />

La diffusa presenza di giardini è una condizione<br />

piuttosto recente: in passato gli spazi esterni erano<br />

ut<strong>il</strong>izzati per colture orticole e fruttifere, sempre presidiate<br />

dalla rassicurante presenza di essenze da fiore.<br />

Larga parte degli spazi aperti degli agglomerati era occupata<br />

da topie (sorrette da pali vegetali ma anche da<br />

portapassoni verticali in pietra) e da viti sorrette dai<br />

muri degli edifici. Questo ut<strong>il</strong>izzo interessava anche le<br />

strade e i vicoli nei quali penetrava abbastanza luce solare:<br />

restano testimonianze di questa diffusa usanza in<br />

taluni residui di colture e nei portapassoni a forma di<br />

mensola in pietra che sono rimasti sulle facciate di molte<br />

case ossolane.<br />

Gli insediamenti Walser si trovano nelle testate della<br />

Valle Anzasca e della Val Formazza, oltre alle enclave di<br />

Ornavasso e di Migiandone. Nelle comunità della Bassa<br />

Ossola le tipologie ed<strong>il</strong>izie sono estremamente sim<strong>il</strong>i<br />

a quelle del resto dell’area. I soli elementi di apporto


esterno sono costituiti dalla presenza di grandi architravi<br />

monolitici, da una meno sistematica presenza di pareti<br />

esterne intonacate e da taluni motivi decorativi mutuati<br />

direttamente dal prevalente ut<strong>il</strong>izzo del legno tipico<br />

della cultura Walser.<br />

Nelle comunità di Macugnaga-Makanà e della Formazza-Pomat<br />

gli edifici sono principalmente in legno e<br />

sono organizzati in insediamenti sparsi, secondo le caratteristiche<br />

presenti in una vasta porzione di area alpina<br />

settentrionale, nella quale l’influenza Walser è piuttosto<br />

diffusa.<br />

Gli edifici sono quasi sempre costruiti con tecniche a<br />

blockbau (tronchi sgrossati tenuti assieme a incastro, o<br />

con chiodi e cunei di legno) con tetti di piode o assai<br />

più raramente di scandole di legno. Gli edifici sono<br />

spesso circondati da balconate e da loggiati in legno<br />

(soprattutto sulle facciate principali esposte a valle o a<br />

sud), arredati con rastrelliere ut<strong>il</strong>izzate per l’essiccazione<br />

dei prodotti agricoli o per sostenere vasi di fiori. Le balconate<br />

sono protette da listoni in legno intagliati e parte<br />

delle travature esposte è spesso decorata.<br />

Per proteggere la struttura di legno dall’umidità e per<br />

aumentarne la durata nel tempo, gli edifici sono poggiati<br />

su muri e basamenti in pietra, che possono arrivare<br />

fino a contenere tutta l’altezza del piano terreno:<br />

in questi casi la parte in legno tende a sporgere rispetto<br />

alle murature, conferendo alle abitazioni la forma di<br />

un “cassero” di nave.<br />

In altri casi (soprattutto quando gli edifici sono destinati<br />

a deposito di derrate agricole), la struttura di legno<br />

poggia sui caratteristici “funghi” di pietra, che garantiscono<br />

l’isolamento dal terreno, proteggono <strong>il</strong> legname<br />

dall’umidità, impediscono l’accesso agli animali (bloccati<br />

dal largo disco appiattito) e consentono la concentrazione<br />

del peso sui p<strong>il</strong>astri di sostegno.<br />

Nella cultura tradizionale l’ambiente fisico è visto come<br />

un insieme <strong>completo</strong>, fatto di interventi architettonici,<br />

di schemi agricoli, di sistemazioni urbane, di elementi<br />

di arredo e di presenze vegetali e naturalistiche.<br />

Tutto è gestito con lo stesso linguaggio, con lo stesso<br />

senso delle proporzioni, con identici materiali e con<br />

schemi formali che si ripetono con rassicurante famigliarità.<br />

I volumi architettonici non sono mai calati sul<br />

terreno (come fa, purtroppo normalmente, la peggiore<br />

architettura moderna) ma appaiono come una emanazione<br />

dello stesso suolo, quasi fossero un prolungamento<br />

umano dei ritmi naturali. La stessa condizione vale<br />

per le sistemazioni viarie e per gli interventi di supporto<br />

alle attività agricole.<br />

L’impiego pressoché esclusivo di materiali locali consente<br />

di fare delle costruzioni una sorta di continuazione<br />

formale e percettiva dei segni naturali: questa condizione<br />

è particolarmente presente nelle opere di razionalizzazione<br />

del territorio (terrazzamenti, strutture viarie,<br />

opere di controllo dei corsi d’acqua), negli interventi<br />

di supporto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame<br />

(recinzioni, muri, topie, recinti, ricoveri), nei segni<br />

di sacralizzazione (santelle, cappelle, croci stazionali),<br />

nella gestione degli spazi interni agli agglomerati (pavimentazioni,<br />

scalinate e gradonate, arredi) e nella formazione<br />

di orti e di giardini.<br />

Per secoli e m<strong>il</strong>lenni la vicenda dell’architettura popolare<br />

e della gestione del paesaggio si è svolta con lentezza,<br />

con misurati cambiamenti evolutivi sottoposti alla<br />

tranqu<strong>il</strong>la verifica dei tempi lunghi. Le mutazioni seguivano<br />

i cambiamenti economici e sociali delle comunità<br />

e metabolizzavano gli apporti culturali provenienti<br />

dall’esterno.<br />

Durante <strong>il</strong> secolo scorso questo antico e consolidato<br />

equ<strong>il</strong>ibrio si è rotto sotto la concomitante pressione della<br />

rivoluzione industriale, del rapido incremento demografico,<br />

degli sconvolgimenti sociali e produttivi, della<br />

motorizzazione. Inoltre l’arrivo di “mode” esterne, assieme<br />

a un generalizzato processo di globalizzazione dei<br />

modi di vita e delle immagini ambientali, ha di fatto<br />

provocato la distribuzione degli st<strong>il</strong>emi antichi.<br />

La gestione del territorio, prima regolata dal rispetto<br />

della natura e dal puntiglioso ut<strong>il</strong>izzo (e riut<strong>il</strong>izzo) di<br />

tutte le risorse, ha preso a seguire altre necessità e regole,<br />

molte delle quali conseguenti all’esclusiva ricerca della<br />

soddisfazione di esigenze immediate e slegate dal contesto<br />

generale territoriale ed ecologico.<br />

La pianificazione urbanistica ha sostituito antiche prudenze<br />

e manifestazioni di buon senso con tecnicismi e<br />

ipocrisie che hanno d<strong>il</strong>atato le aree costruite, ribaltato<br />

antichi rapporti fra natura e costruito, e intaccato aree<br />

337


che <strong>il</strong> rispetto e la saggezza avevano sino allora risparmiato.<br />

Consolidate abitudini espressive sono state abbandonate,<br />

spesso con disprezzo, e sostituite da tecnologie imprudenti<br />

e da st<strong>il</strong>emi privi di ogni verifica; la tradizione,<br />

tacciata di passatismo e di sottocultura, è stata soppiantata<br />

da modernismi, da mode passeggere, dalla più<br />

totale mancanza di riferimenti che ha prodotto –in termini<br />

architettonici– la più colossale confusione di st<strong>il</strong>emi<br />

e di segni e –in termini ambientali– dissesti faticosamente<br />

rimediab<strong>il</strong>i.<br />

La sostanza edificata più antica è stata abbandonata,<br />

sottoposta a restauri disastrosi e banalizzanti, oppure<br />

sostituita da nuovi interventi di nessuna qualità. Molti<br />

centri abitati hanno perso omogeneità e organicità, devastati<br />

da inserimenti imprudenti e da uno st<strong>il</strong>licidio di<br />

piccoli interventi incolti e improvvidi che hanno modificato<br />

i rapporti dimensionali consolidati, sf<strong>il</strong>acciando<br />

preziosi tessuti formali.<br />

L’oratorio di Crego di Premia.<br />

338<br />

L’imposizione delle recinzioni a giorno ha distrutto elementi<br />

di grande bellezza e funzionalità come i muri pieni,<br />

che fornivano un apporto eccezionale alla complessa<br />

formazione della percezione spaziale degli antichi agglomerati.<br />

Il paesaggio si è riempito di condomini, capannoni, v<strong>il</strong>lette<br />

di molteplici st<strong>il</strong>i, recinzioni stravaganti, brani di<br />

viab<strong>il</strong>ità insensata: le antiche e rassicuranti coperture in<br />

pietra sono state sostituite da banalizzanti elementi di<br />

cemento, l’intonaco plastico ha preso <strong>il</strong> posto del fascino<br />

(e della durevolezza) delle tinte a terre naturali e calce.<br />

Nel complesso i nostri paesaggi sono diventati disordinati,<br />

costipati e tristi, i nostri centri si sono trasformati<br />

in agglomerati banali e anonimi, le architetture<br />

appaiono sgradevoli e senza alcun legame con <strong>il</strong> posto<br />

e con la sua cultura.<br />

I nostri vecchi ci avevano consegnato un paesaggio che<br />

era la somma organica delle qualità naturali e delle loro<br />

fatiche continue e intelligenti, di tutti i loro interventi


che per secoli si erano sv<strong>il</strong>uppati in totale coerenza e rispetto<br />

per le leggi della natura e per le vocazioni intrinseche<br />

del paesaggio. Ne era risultato un territorio bello<br />

e sano, in grado di sostentare generazioni di uomini che<br />

con esso si erano completamente identificate.<br />

Ancora non tutto è perduto e ci troviamo in una condizione<br />

- dopo avere riconosciuto i nostri errori - che ci<br />

permette di cercare <strong>il</strong> modo per ricostruire un territorio<br />

sano e bello da riconsegnare ai nostri discendenti.<br />

Il ricco patrimonio e repertorio dell’architettura popolare<br />

è parte integrante e determinante dell’armonia ambientale<br />

che dobbiamo ricostruire. Serve innanzitutto<br />

conoscere i suoi caratteri ed analizzarne <strong>il</strong> valore.<br />

Antiche case a Montecrestese.<br />

Questo nuovo modo di operare deve prestare innanzitutto<br />

attenzione al paesaggio e alle sue vocazioni e repulsioni,<br />

deve tornare ad operare in sintonia e non più in<br />

contrapposizione con esso. Deve essere rispettoso della<br />

tradizione, delle sue forme espressive e delle sue lunghe<br />

esperienze. Fare stravaganze e forzature comporta quasi<br />

sicuramente dei rischi; seguire le linee del linguaggio<br />

tradizionale è invece sicura garanzia di successo.<br />

L’obbiettivo deve essere quello di fare tornare l’Ossola<br />

bella, ricca, prospera e gradevole. Il recupero e la rivitalizzazione<br />

del linguaggio architettonico tradizionale è<br />

forse lo strumento più efficace per raggiungere questo<br />

importantissimo traguardo.<br />

339


Il turismo<br />

Carmine Gaudiano e Paola Caretti<br />

Ogni racconto di vicende storiche che si rispetti dovrebbe<br />

cominciare almeno dal tempo dei Romani. Tuttavia,<br />

costoro, come turisti nell’Ossola sembra proprio<br />

che non ci siano mai venuti. E’ peraltro noto come essi<br />

preferissero trascorrere le loro vacanze nelle lussuose v<strong>il</strong>le<br />

in riva al mare o nelle amene campagne prossime a<br />

Roma. Gli insediamenti romani ed i passaggi di truppe<br />

che vi furono nell’Ossola non avevano scopi turistici,<br />

ma m<strong>il</strong>itari.<br />

Scarsi gli scambi turistici anche nel periodo medievale<br />

quando i viaggiatori si spostavano tra difficoltà e pericoli<br />

di ogni genere, quasi esclusivamente per ragioni di<br />

commercio o di fede.<br />

Per quanto fossero frequentati i passi tra le valli Anzasca<br />

e Antrona con la Svizzera, i transiti avvenivano certamente<br />

con altri scopi che non quelli turistici.<br />

Non si possono definire turistiche neppure le frequenti<br />

calate di Svizzeri che nei secoli XV e XVI avevano per<br />

scopo fondamentale quello di prendere (non comperare,<br />

si noti) ciò che di ut<strong>il</strong>e e commestib<strong>il</strong>e si trovava nell’Ossola.<br />

Si può ritenere che i primi viaggiatori che vennero nell’Ossola<br />

con scopi veramente turistici, nel senso in cui<br />

si intende oggi <strong>il</strong> termine, furono i viaggiatori che, attraverso<br />

<strong>il</strong> Sempione, venivano in <strong>It</strong>alia o la lasciavano.<br />

Ciò avvenne alla fine del 1700, quando apparve sulla<br />

scena del mondo dei trasporti la carrozza come normale<br />

mezzo per effettuare viaggi a grande distanza, così da<br />

consentire a viaggiatori abbienti (nob<strong>il</strong>i, letterati, studiosi)<br />

di affrontare <strong>il</strong> viaggio senza ut<strong>il</strong>izzare né muli,<br />

né cavalli, né le lente e scomode d<strong>il</strong>igenze.<br />

La costruzione della strada napoleonica del Sempione,<br />

che Napoleone volle far aprire per fac<strong>il</strong>itare i contatti<br />

tra Ginevra e M<strong>il</strong>ano (l’ordine venne dato <strong>il</strong> 7 set-<br />

Rifugio “Maria Luisa” in alta Val Formazza.<br />

tembre 1800 con lo scopo dichiarato pour faire passer<br />

le cannon, si noti che l’Imperatore non vide mai l’opera<br />

realizzata in quanto per i suoi viaggi in <strong>It</strong>alia percorse<br />

sempre altre vie), rese più fac<strong>il</strong>e <strong>il</strong> transito attraverso<br />

<strong>il</strong> passo e fece perciò confluire nell’Ossola un numero<br />

r<strong>il</strong>evante di viaggiatori. Molti di loro furono celebri nei<br />

campi più disparati ed ognuno d’essi, come era uso allora,<br />

lasciò in suoi scritti le impressioni ed i ricordi del<br />

viaggio. Non se ne possono citare che alcuni i cui nomi<br />

per la fama da essi acquisita per le loro opere sono noti<br />

a tutti noi.<br />

Transitarono e, seppur brevemente, soggiornarono nell’Ossola<br />

<strong>il</strong> poeta Alfredo De Musset, <strong>il</strong> grande Lord<br />

Byron, la scrittrice Aurore Dupin, la più nota con lo<br />

pseudonimo George Sand, Richard Wagner, Charles<br />

Dickens, W<strong>il</strong>liam Brockedon (viaggiatore appassionato<br />

che dal 1821 al 1829 attraversò le Alpi circa 60 volte<br />

e che descrisse i suoi viaggi in un celebre <strong>libro</strong> Journal<br />

of excursions in the Alps, dal quale sono tratte gran parte<br />

delle stampe dell’Ossola che oggi sono raccolte dagli<br />

appassionati), Alessandro Volta (che sostò a Domodossola,<br />

non in albergo ma in casa di amici nel novembre<br />

del 1787), Alessandro Dumas (<strong>il</strong> quale lasciò le sue impressioni<br />

in un <strong>libro</strong> Impressions de voyage), Felix Mendelsohn<br />

Bartholdy.<br />

Alcuni di questi viaggiatori (e furono molti se i passaggi<br />

in d<strong>il</strong>igenza attraverso <strong>il</strong> Sempione negli anni dal 1850<br />

al 1905 furono di ben 152.806 persone) non si limitarono<br />

ad attraversare l’Ossola ed a sostare <strong>il</strong> tempo necessario<br />

per un riposo notturno ed un ristoro, estesero<br />

<strong>il</strong> loro viaggio alle valli laterali.<br />

Particolarmente furono oggetto di visite turistiche la<br />

valle Anzasca e Macugnaga e la valle Formazza con la<br />

Cascata del Toce.<br />

341


Purtroppo, negli scritti di questi viaggiatori l’immagine<br />

dell’Ossola turistica che ne esce è piuttosto deprimente.<br />

“Sfogliando i diari dei viaggiatori dell’Ottocento ci<br />

si accorge che sottolineano lo stridente contrasto fra lo<br />

splendore artistico del paese e la sua miseria civ<strong>il</strong>e. Tuttavia,<br />

se <strong>il</strong> caso del viaggiatore prevenuto e deliberatamente<br />

malevolo è piuttosto raro, molto frequente, invece,<br />

è quello del viaggiatore superficiale, convinto di<br />

potere trinciare giudizi definitivi in capo a pochi giorni<br />

di soggiorno. In generale, le lamentele somigliano abbastanza<br />

a quelle che si sentono al giorno d’oggi: sporcizia,<br />

disordine, importunità degli accattoni, malafede<br />

degli esercenti, le strade rumorose e la più imbarazzante<br />

mancanza di installazioni igieniche”. (da: Ladies and<br />

Gentlemen nell’Ossola di Marino Ferraris).<br />

Si salvano da queste critiche ben pochi alberghi, in particolare<br />

uno che oggi non esiste più: l’albergo Albasini<br />

di Domodossola (che era situato nell’immob<strong>il</strong>e ove ora<br />

sono gli uffici del San Biagio).<br />

Sul finire dell’800 ebbe notevole sv<strong>il</strong>uppo anche l’al-<br />

Mergozzo, la porta dell’Ossola.<br />

342<br />

pinismo, che già all’inizio del secolo aveva portato alle<br />

scalate delle cime del Monte Rosa dal versante di Alagna,<br />

per cui si ebbero presenze “turistiche” di alpinisti<br />

particolarmente a Macugnaga.<br />

Le quattro cime del Rosa sono scalate rispettivamente<br />

da Giordani di Alagna (1801), Vincent e Zumstein<br />

(1820), don Gnifetti (1842), Smith, Hudson, Birkbeck<br />

e Stevenson (1855). Il 30 e 31 luglio 1889 compiva la<br />

prima scalata della punta Dufour don Ach<strong>il</strong>le Ratti che<br />

divenne poi Papa Pio XI.<br />

I valligiani più esperti nelle scalate venivano assunti<br />

quali guide e portatori per i forestieri, spesso stranieri<br />

e abitualmente inglesi, i quali soggiornavano in Macugnaga<br />

presso gli alberghi che esistevano già in buon<br />

numero sia quali hotel veri e propri (<strong>il</strong> Monte Moro<br />

ad esempio) sia come pensioni fam<strong>il</strong>iari gestite talora<br />

da parenti di quelle stesse guide che vi indirizzavano i<br />

clienti nell’attesa di affrontare la montagna.<br />

Evidentemente anche le cime delle altre valli ossolane<br />

attirarono gli alpinisti, ma nessuna vetta ebbe la sugge-


stione della parete est del Monte Rosa che seppe attrarre<br />

scalatori da tutta Europa.<br />

Era certamente quello alpinistico un turismo d’élite che<br />

spesso muoveva al seguito dello scalatore vero e proprio<br />

una piccola corte di amici e sostenitori.<br />

Una scalata di un certo impegno comportava poi un<br />

notevole impiego di guide e portatori, questi ultimi effettivamente<br />

addetti al trasporto di vettovaglie e attrezzature<br />

(sacchi, tende, scale, macchine fotografiche, altimetri,<br />

ecc.) che accompagnavano in grande quantità<br />

le spedizioni che all’epoca avevano forse una caratterizzazione<br />

scientifica più che non di puro divertimento.<br />

Erano “esplorazioni” oltre che escursioni, paragonab<strong>il</strong>i<br />

a quest’effetto quelle che, in epoca più prossima a<br />

noi ed ancor oggi, sono le imprese alpinistiche extraeuropee.<br />

Alla fine dell’800, primi del ‘900 <strong>il</strong> turismo diviene anche<br />

per altre motivazioni non più soltanto alloggio di<br />

viaggiatori in transito, ma soggiorno prolungato.<br />

E si deve pensare che albergatori ed osti avessero ben<br />

migliorato la capacità ricettiva dei loro locali, rispetto ai<br />

padri che avevano ospitato i viaggiatori di un secolo prima,<br />

se l’attività turistica riuscì ad avere lo sv<strong>il</strong>uppo che<br />

ebbe in tutta la valle.<br />

Ovunque sorsero nuovi alberghi di ogni categoria, anche<br />

se lo sv<strong>il</strong>uppo più significativo lo ebbe proprio Macugnaga.<br />

Formazza, da parte sua, salì alla ribalta con<br />

un’attrattiva nuova in cui i suoi valligiani si distinsero<br />

più degli altri: correre sulla neve con sott<strong>il</strong>i tavole di legno<br />

ai piedi, detti ski.<br />

Questo mezzo di trasporto, non ancora sport, incuriosì<br />

da prima pochi ardimentosi che si cimentarono<br />

a loro volta provando l’ebbrezza di folli discese e attirò<br />

poi un numero sempre maggiore di appassionati che,<br />

per quanto possib<strong>il</strong>e, si portarono in loco per vedere<br />

dal vivo le tecniche dei Formazzini e per carpirne qualche<br />

segreto. Si diceva ad esempio (questo però all’epoca<br />

della celebre gara di fondo detta trofeo “Valligiani”<br />

perché disputata tra sciatori residenti nelle valli alpine)<br />

che le migliori prestazioni dei Formazzini derivassero<br />

anche dal fatto che essi durante le gare non indossavano…<br />

mutande!<br />

Al turismo dei viaggiatori, degli sportivi e dei v<strong>il</strong>leggianti,<br />

come allora erano chiamati gli ospiti estivi (e ta-<br />

Sentieri nella natura.<br />

lora lo sono ancor oggi in alcune località, ad esempio<br />

in Vigezzo) si aggiunse quello degli interessati alle cure<br />

termali. Si affermarono: Bognanco, le cui acque scoperte<br />

nel 1863 dal sacerdote Tichelli ebbero <strong>il</strong> loro primo<br />

sfruttamento commerciale nel 1893 quando le sorgenti<br />

divennero di proprietà dell’avv. Em<strong>il</strong>io Cavallini,<br />

<strong>il</strong> quale fece costruire un Kurhaus e le fece conoscere in<br />

tutta Europa; Crodo, le cui acque erano conosciute dalla<br />

metà dell’Ottocento.<br />

In special modo Bognanco ebbe notevole sv<strong>il</strong>uppo alberghiero<br />

e sotto tale aspetto fu la località ossolana,<br />

dopo Macugnaga, ad avere <strong>il</strong> maggior numero di alberghi<br />

di ogni categoria, dal grand hotel alla pensione fam<strong>il</strong>iare.<br />

Parlando di terme non si possono tralasciare le aquae<br />

calidae dei Bagni di Craveggia, già note nel 1300 che,<br />

tuttavia, non ebbero mai la rinomanza e l’ut<strong>il</strong>izzazione<br />

turistica che meritano.<br />

In tutte le valli ossolane, esclusa forse Antrona dove una<br />

certa attività turistica si sv<strong>il</strong>uppò molto più tardi, nel<br />

periodo successivo alla prima guerra mondiale, sorsero<br />

attrezzature alberghiere che in gran parte sono quelle<br />

tuttora esistenti.<br />

Ma all’Alpe Veglia l’Albergo Monte Leone, a Devero<br />

l’Albergo Alpino, in Formazza alla Frua l’Hotel Cascata<br />

del Toce erano già aperti negli ultimi decenni dell’Ottocento.<br />

Una struttura particolare e curiosa venne installata vicino<br />

al passo San Giacomo, in alta Val Formazza: su p<strong>il</strong>oni<br />

in cemento, all’inizio degli anni Trenta vennero po-<br />

343


Domobianca, piste da sci.<br />

sati due vagoni ristorante, di quelli normalmente circolanti<br />

sulle ferrovie, ed erano appunto ut<strong>il</strong>izzati come<br />

ristorante (vennero distrutti durante l’ultima guerra e<br />

non sostituiti).<br />

Particolarmente in valle Vigezzo, ma anche un po’<br />

ovunque, per accogliere i “v<strong>il</strong>leggianti”, oltre al potenziamento<br />

delle strutture alberghiere, ebbe sv<strong>il</strong>uppo l’affitto<br />

di case private per la stagione estiva. Si affermò in<br />

tal modo anche un turismo meno élitario e più popolare.<br />

Contribuì a tal fine anche la comodità di comunicazioni<br />

con la Valle data dalla Vigezzina (ufficialmente<br />

Ferrovia Domodossola-Locarno, gestita dalla Società<br />

Subalpina di Imprese Ferroviarie).<br />

Sorsero in quegli anni le Aziende Autonome di Soggiorno<br />

e Cura di Bognanco, Santa Maria Maggiore e Macugnaga<br />

senza, tuttavia, che una struttura pubblica o privata<br />

si imponesse per organizzare, indirizzare, guidare<br />

uno sv<strong>il</strong>uppo unitario del turismo.<br />

344<br />

Fino a tempi recenti, in verità, poche persone credevano<br />

nel turismo come mezzo per risolvere i problemi<br />

economici della nostra Valle. Lo sv<strong>il</strong>uppo industriale<br />

con la creazione di nuovi stab<strong>il</strong>imenti e l’ampliamento<br />

di quelli esistenti, la costruzione delle dighe e delle<br />

centrali idroelettriche, permettevano di considerare<br />

<strong>il</strong> turismo unicamente come un’attività complementare<br />

la cui realizzazione fosse puramente spontanea ed affidata<br />

a quei pochi privati che, come i parenti delle prime<br />

guide alpine, trasformavano le loro case in pensioni<br />

o alberghi. Tutto ciò, spesso nell’indifferenza più totale<br />

dei valligiani che vedevano nei v<strong>il</strong>leggianti soltanto dei<br />

potenziali disturbatori della quiete dei loro paesi e danneggiatori<br />

di raccolti.<br />

Si dice che qualcuno a Formazza, ai tempi della costruzione<br />

della strada carrozzab<strong>il</strong>e, abbia detto che, per <strong>il</strong><br />

bene del paese, sarebbe stato opportuno poter arrotolare<br />

<strong>il</strong> nastro stradale come un tappeto e riportarlo a Domodossola…<br />

Privo di ogni coordinamento, di un minimo di programmazione<br />

ed anche di un forte apporto economico<br />

unitario, lo sv<strong>il</strong>uppo dell’attività turistica ossolana sentì<br />

<strong>il</strong> difetto dell’incremento spontaneo.<br />

Seppure in alcune località ebbe sv<strong>il</strong>uppo la capacità ricettiva,<br />

ben raramente fu accompagnata da strutture<br />

pubbliche adeguate (cinema, teatro, palestra, campo<br />

sportivo, campi da tennis) così che rispetto ad altre località<br />

turistiche di altre valli alpine (Valle d’Aosta, Valtellina,<br />

Trentino) quelle ossolane restarono sempre in<br />

secondo piano e non ebbero quella notorietà che altre<br />

località, non più notevoli dal punto di vista ambientale,<br />

seppero raggiungere.<br />

Venne la guerra del 1940 e di turismo si parlò poco anche<br />

se l’Ossola fu frequentata da quei particolari turisti<br />

che erano gli “sfollati” delle città della pianura, sottoposte<br />

a bombardamenti aerei e quegli altri, anche più<br />

disperati che, ricercati dalle autorità m<strong>il</strong>itari per motivi<br />

razziali o politici (ebrei ed antifascisti), tentavano di<br />

raggiungere la Svizzera.<br />

Con <strong>il</strong> dopoguerra, riprendendo la vita normale, prese<br />

nuovamente fiato <strong>il</strong> turismo, ma ancora una volta l’Ossola<br />

si presentò a questo appuntamento con l’economia<br />

senza un progetto unitario, non si dice per tutta la valle,<br />

ma almeno valle per valle.


In ogni paese ogni iniziativa turistica venne lasciata a se<br />

stessa. Sorse qualche impianto di risalita sciistica (lo sci<br />

cominciava a conoscere quelle fortune che oggi ne fanno<br />

un polo economico eccezionale) ma sempre senza<br />

essere inserito in un adeguato piano. Si pensi ad esempio<br />

che <strong>il</strong> primo ski-lift venne installato al Devero, località<br />

servita allora, simo negli anni ’50, da una funivia<br />

con portata di circa 50-60 persone all’ora e ciò mentre<br />

in località della Valsesia erano già in funzione impianti<br />

da almeno 1.000 persone all’ora!<br />

Ancora una volta Macugnaga fu all’avanguardia rispetto<br />

alle altre località ossolane e installò da prima una<br />

seggiovia e successivamente due funivie e numerosi sk<strong>il</strong>ift,<br />

seguì poi una seggiovia anche a Formazza e un po’<br />

ovunque sorsero impianti di risalita alla Piana di Vigezzo,<br />

in Val Baranca a Bannio, a Cheggio in Antrona, a<br />

Goglio, a San Domenico, Domobianca.<br />

Tuttavia, questi impianti ebbero ed hanno la caratteristica<br />

di non essere integrati in una stazione turistica<br />

vera e propria. Anche <strong>il</strong> più recente e moderno impianto<br />

di San Domenico Neve, pur avendo innegab<strong>il</strong>i pregi<br />

di modernità ed efficienza ha, a giudizio di chi scrive, <strong>il</strong><br />

grave difetto di non essere stato programmato e realizzato<br />

in un contesto più <strong>completo</strong> di attività. Nell’epoca<br />

dello ski-totale non è più possib<strong>il</strong>e creare stazioni sciistiche<br />

che non abbiano capacità ricettiva sufficiente per<br />

ospitare un numero di persone proporzionato alla portata<br />

degli impianti, oppure assoluta insufficienza di posti<br />

macchina o pullman nei parcheggi. Lo sv<strong>il</strong>uppo turistico<br />

degli anni ’60-’70 è stato caratterizzato dalla corsa<br />

degli <strong>It</strong>aliani alla “seconda casa”. Anche l’Ossola è<br />

entrata in questo grande affare ed ancora una volta la<br />

mancanza di piani, di programmazione e di organizzazione<br />

(molti comuni erano privi di piani regolatori), le<br />

ha impedito di sfruttare appieno questa occasione per<br />

dare un’impronta veramente moderna al suo turismo.<br />

La mancanza di visione unitaria del problema, non si<br />

dice in tutta l’Ossola, ma almeno in ogni valle, e la<br />

mancanza di una programmazione moderna e “scientifica”<br />

del fenomeno, ha permesso <strong>il</strong> sorgere di agglomerati<br />

abitativi o l’incremento ed<strong>il</strong>izio di paesi e frazioni<br />

senza la creazione di quelle infrastrutture, anche minime,<br />

indispensab<strong>il</strong>i per rendere adeguatamente sfruttab<strong>il</strong>e<br />

turisticamente un complesso di edifici.<br />

Ma allora la visione del turismo ossolano è solo pessimistica?<br />

Certamente non è tutto negativo, molte cose sono state<br />

fatte e bene e c’è la capacità dei singoli di impegnarsi<br />

per migliorare le strutture esistenti (molti alberghi sono<br />

stati rimodernati); impianti di risalita, forse non perfettamente<br />

integrati, ma sono stati costruiti un po’ ovunque,<br />

e di tutto ciò si devono ringraziare quegli operatori<br />

che, fiduciosi del loro impegno, non si sono arresi davanti<br />

alle difficoltà e alla crisi.<br />

Qualche serio ed organico progetto di struttura turistica<br />

venne fatto, purtroppo non seguito dalla sua realizzazione,<br />

vedasi <strong>il</strong> progetto VE.DE-FOR che avrebbe<br />

dovuto interessare l’Alpe Veglia, <strong>il</strong> Devero e l’alta Formazza,<br />

ma che per mancanza di finanziamento adeguato<br />

alla grandiosità delle idee non decollò mai.<br />

Dieci anni dopo: luci e ombre<br />

Dal 1995 ad oggi molto è cambiato. La deindustrializzazione<br />

del territorio ossolano e <strong>il</strong> progressivo spopolamento<br />

delle montagne hanno modificato gli assetti economici<br />

e trasformato <strong>il</strong> tessuto sociale dell’intera valle.<br />

Tutto questo ha reso indispensab<strong>il</strong>e ricercare idee e spazi<br />

nuovi, percorrere strade mai finora percorse per rivitalizzare<br />

i comparti produttivi e commerciali. Ed <strong>il</strong> turismo<br />

è stato da più parti individuato come un settore<br />

di notevoli potenzialità.<br />

Un certo vigore ed uno sforzo innovativo si sono in parte<br />

sostituiti alla ben nota carenza di iniziativa locale, che<br />

in passato ha ostacolato l’armonioso sv<strong>il</strong>uppo di settori<br />

economici portanti. Se ciò ha favorito un trend positivo<br />

del settore terziario (modesto ma costante), in special<br />

modo nel turismo e nel commercio ad esso correlato,<br />

ancora non sembrano raggiunti quegli standard<br />

“sostenuti e sostenib<strong>il</strong>i” che possano offrire significative<br />

garanzie di crescita.<br />

Le antiche ombre continuano ad offuscare le nuove<br />

luci.<br />

Certo si è radicalmente modificato anche <strong>il</strong> concetto di<br />

“turismo”, vocabolo coniato nell’Ingh<strong>il</strong>terra di fine Settecento<br />

per designare una pratica aristocratica, <strong>il</strong> Gran<br />

Tour, che portò gli intellettuali più curiosi ed intraprendenti<br />

del periodo a spasso per i paesi europei. La parola<br />

“turismo”, in fondo, venne accolta nel vocabolario ita-<br />

345


Equitazione in riva al lago delle fate in Val Quarazza.<br />

liano solo intorno agli anni ’50: stiamo parlando quindi<br />

di un concetto relativamente giovane soprattutto per<br />

le popolazioni alpine che, chiuse in un territorio periferico<br />

e di confine, hanno imparato gradualmente a condividere<br />

i loro territori con <strong>il</strong> mondo esterno. E a comprendere<br />

la necessità di confrontarsi con altre realtà, ad<br />

uscire loro stessi dai confini naturali per ritornarci con<br />

nuove conoscenze ed esperienze.<br />

Già, <strong>il</strong> turismo in un decennio è cambiato. Oggi si presenta<br />

sempre di più una tipologia di turista dagli interessi<br />

diversificati, “di nicchia”, che pretende risposte<br />

professionali ed adeguate in tema di turismo ecologico,<br />

naturalistico, ambientale, escursionistico, termale, religioso,<br />

eno-gastronomico, culturale, congressuale, estivo<br />

ed invernale…<br />

L’eco-turismo<br />

Gli anni ’90 hanno visto l’istituzione delle più grandi<br />

aree protette ossolane.<br />

Nel 1992 l’istituzione del Parco Nazionale della Val<br />

346<br />

Grande riconobbe <strong>il</strong> valore “w<strong>il</strong>derness” dell’area selvaggia<br />

più grande d’<strong>It</strong>alia; nel 1995 furono unificate le aree<br />

del Veglia e del Devero, dando vita ad un parco regionale<br />

di 108 kmq. di territorio salvaguardato; nel 1991<br />

la Regione Piemonte istituì la Riserva Naturale Speciale<br />

del Sacro Monte Calvario di Domodossola, nel luglio<br />

del 2003 divenuto Patrimonio mondiale dell’Unesco;<br />

e poi ancora nel 1990 l’oasi Naturale del Bosco Tenso<br />

di Premosello Chiovenda fu istituita dal Comune e dal<br />

Wwf per tutelare <strong>il</strong> residuo di bosco nella valle del Toce;<br />

infine nel 1998 <strong>il</strong> Comune di Malesco e di V<strong>il</strong>lette con<br />

<strong>il</strong> Wwf istituirono l’Oasi Naturale del Pian dei Sali per<br />

la tutela di un tipico ambiente umido di montagna.<br />

Queste aree, unite a quelle già esistenti in provincia (la<br />

Riserva Naturale Speciale di Fondotoce, la Riserva Naturale<br />

Speciale del Sacro Monte di Ghiffa, l’Oasi Faunistica<br />

di Macugnaga e <strong>il</strong> Giardino botanico Alpinia di<br />

Stresa) hanno consentito, a ragione, di battezzare <strong>il</strong> Vco<br />

come “Provincia Parco”, grazie ai suoi 280 kmq. di territorio<br />

protetto, pari al 12,5% dell’intera superficie pro-


vinciale. Le aree protette diventano quindi punto di riferimento<br />

per i cosiddetti “eco-turisti”, coloro i quali<br />

scelgono come meta di vacanza zone amene, lontane<br />

dalla modernità esasperata e che soprattutto conservano<br />

intatti gli ecosistemi e le risorse ambientali. Indispensab<strong>il</strong>i<br />

compagni di viaggio sono diventati i numerosi<br />

libri-guida e manuali di sentieristica locale che, per<br />

completezza di dati tecnici e perizia degli autori, hanno<br />

avuto buona diffusione. Il turismo sostenib<strong>il</strong>e, quindi,<br />

inteso come creazione di reddito per la comunità locale,<br />

unito alla protezione degli ecosistemi, diventa un’opportunità<br />

da non lasciarsi sfuggire. Le aree protette più<br />

attive nell’ultimo decennio sono state in grado di investire<br />

nella sistemazione dei sentieri, hanno realizzato<br />

percorsi didattici, centri visita, serate a tema e progetti<br />

legati alla salvaguardia della flora e della fauna.<br />

Nel parco Veglia-Devero, per esempio, sono stati finanziati<br />

due progetti per <strong>il</strong> recupero di edifici storici, che<br />

hanno lo scopo di incrementare la ricezione alberghiera<br />

senza stravolgere <strong>il</strong> paesaggio originale: <strong>il</strong> “Monte Leone”<br />

al Veglia, inaugurato nel 1884, ha ottenuto un cospicuo<br />

finanziamento dalla Regione Piemonte per la<br />

sua ristrutturazione; <strong>il</strong> “Cervandone” al Devero, chiuso<br />

dal 1973, è ora stato acquistato dall’ente parco e dal<br />

Comune di Baceno con lo scopo dichiarato di riportarlo<br />

in vita. Certo questi ambienti di alta montagna hanno<br />

ancora difficoltà di accesso, legate alla mancanza di<br />

adeguate infrastrutture viarie. Ma per ovviare in parte<br />

alla carenza di parcheggi, dall’anno 2000 a Devero<br />

è stato messo a disposizione un servizio di bus-navetta<br />

ed è tuttora in corso di realizzazione un ampio parcheggio<br />

interrato.<br />

Nell’area w<strong>il</strong>derness della Val Grande, per citare un altro<br />

esempio, l’ente ha optato per una politica differente,<br />

concentrando gli sforzi anche su un Centro di Educazione<br />

Ambientale, nato a Cossogno con <strong>il</strong> nome di “Acquamondo”<br />

e sul Museo di Malesco, considerato che la<br />

natura del territorio è caratterizzata per la gran parte da<br />

sentieri adatti ad escursionisti esperti<br />

Gli sforzi degli enti parco e degli operatori sono giustificati<br />

anche dalla costante crescita della domanda di<br />

ecoturismo in <strong>It</strong>alia: si stima infatti che questa nicchia<br />

di mercato assorba circa <strong>il</strong> 2% del turismo globale, con<br />

una crescita annua elevata e costante, per certi versi sor-<br />

prendente. A dimostrazione del fatto che, quando i finanziamenti<br />

si riferiscono a progetti credib<strong>il</strong>i e realizzab<strong>il</strong>i,<br />

i risultati sono concreti, anche in Val d’Ossola.<br />

Il turismo enogastronomico<br />

Ma veniamo ora al turismo “eno-gastronomico”, direttamente<br />

collegato al precedente.<br />

Il desiderio dichiarato di aria aperta, natura e genuinità<br />

ha fatto crescere un altro settore, legato alle produzioni<br />

tipiche agroalimentari. I prodotti lattiero-caseari,<br />

con <strong>il</strong> formaggio Bettelmatt che ha assunto un ruolo di<br />

prim’ordine nel settore grazie alla notorietà che ha acquisito,<br />

in attesa di avere <strong>il</strong> riconoscimento di denominazione<br />

d’origine protetta, sono ancora considerati dai<br />

turisti prelibatezze da acquistare prima di tornare in città.<br />

Ma non solo. I turisti e i v<strong>il</strong>leggianti sono presi per la<br />

gola da una gastronomia che, seppur fatta con prodotti<br />

“di nicchia”, ha fatto passi da gigante, perfezionandosi<br />

nella qualità. Dai vini ossolani come <strong>il</strong> vecchio Prunent,<br />

accompagnato dal Ca’ d’Matè, dal Merlot, Balòss, Noev<br />

Bruschett, e Cà d’Susana, che da dieci anni a questa<br />

parte sono sottoposti ad un progetto di valorizzazione<br />

curato dalla Comunità Montana Valle Ossola, fino ad<br />

arrivare ai gustosi insaccati, al miele, al pane nero di segale,<br />

ai prosciutti vigezzini, i ristoratori hanno materia<br />

prima a sufficienza per proporre menù esclusivamente<br />

ossolani. Una nuova tipologia di turismo si è quindi<br />

sv<strong>il</strong>uppata grazie alla periodica realizzazione di rassegne<br />

gastronomiche itineranti nelle diverse vallate, nelle<br />

quali si propongono menù tematici. Ricordiamo, tanto<br />

per citarne alcune, le rassegne “I sentieri del gusto”, per<br />

iniziativa del parco Val Grande, “A…mico fungo”, per<br />

conoscere le specie commestib<strong>il</strong>i dei boschi ossolani, e<br />

poi ancora “Riso e lago”, che negli ultimi anni ha fatto<br />

tappa nell’Ossola. E a perpetrare <strong>il</strong> piacere della degustazione<br />

delle cose buone di montagna continuano, in<br />

estate, a dispensare cibi nostrani le varie sagre dei mirt<strong>il</strong>li<br />

a Bognanco, della patata a Montecrestese, dell’uva<br />

a Masera, del fungo a Trontano...<br />

Il turismo termale<br />

Una nicchia di mercato tuttora in fase di studio, ma ancora<br />

lontano dal possib<strong>il</strong>e sfruttamento a livello economico<br />

sembra essere <strong>il</strong> “termalismo”, considerato dagli<br />

347


amministratori provinciali nel 2003 obiettivo primario<br />

per una provincia “salutistica”. Le stazioni termali presenti<br />

nel Vco possono infatti costituire un polo di benessere,<br />

un valore aggiunto all’offerta del territorio.<br />

In totale sono undici le località di tutto <strong>il</strong> Vco (nove<br />

delle quali in Ossola) che vantano una risorsa di acque<br />

minerali: si tratta di Bognanco, Crodo, Baceno, Premia,<br />

Trasquera, Craveggia, Malesco, Vanzone con S. Carlo,<br />

Macugnaga, Baveno e Cannobio. Undici punti di forza,<br />

la cui qualità delle acque che sgorgano dalle fonti rappresenta<br />

un patrimonio da sfruttare.<br />

Alcune di queste sono state oggetto di massicci interventi<br />

pubblici e privati: Bognanco si candida a divenire<br />

un polo d’eccellenza, grazie all’imprenditoria privata<br />

che ha acquisito di recente la società delle terme. Anche<br />

a Premia, in Valle Antigorio, è in fase di costruzione<br />

un moderno stab<strong>il</strong>imento termale che prevede una<br />

potenzialità ricettiva di almeno 150 utenti al giorno. A<br />

Vanzone, in Valle Anzasca, esiste una vasta area a disposizione<br />

per la costruzione di una struttura termale e un<br />

centro benessere, che potrebbe sfruttare la sorgente di<br />

acqua arsenicale-ferruginosa che contiene acido carbonico,<br />

detta “Vanzonis”. L’acqua Vanzonis agli inizi del<br />

Novecento era venduta in piccole bottiglie e le sue proprietà<br />

terapeutiche erano ben note ai turisti inglesi. Per<br />

La ferrovia Domodossola - Locarno.<br />

348<br />

non parlare di Crodo, luogo che ha dato i natali al conosciuto<br />

aperitivo biondo, <strong>il</strong> “Crodino”, o di Craveggia,<br />

in Valle Vigezzo, la cui sorgente ha un’acqua termominerale<br />

che sgorga ad una temperatura di 28°C.<br />

Qui sorse nel 1823 uno stab<strong>il</strong>imento dei Bagni, poi distrutto<br />

da un incendio nel 1881, ricostruito e ridistrutto<br />

da una valanga nel 1951. Ora esiste quindi soltanto<br />

l’area disponib<strong>il</strong>e alla ricostruzione. Sono undici realtà<br />

che rappresentano un bene naturalistico invidiab<strong>il</strong>e,<br />

ma che necessitano ancora di incentivi e di imprenditori<br />

lungimiranti in grado di operare per sfruttare al meglio<br />

le caratteristiche uniche delle acque.<br />

Il turismo religioso<br />

E vediamo ora <strong>il</strong> punto di svolta del turismo “religioso”.<br />

I sentieri della fede realizzati all’interno del Sacro<br />

Monte Calvario, <strong>il</strong> sito nominato dall’Unesco <strong>il</strong> 3 luglio<br />

del 2003 “Patrimonio dell’umanità”, hanno attirato<br />

in questi ultimi anni un numero sempre crescente<br />

di visitatori. L’ente che gestisce l’intera area ha messo a<br />

punto una rete di offerte che soddisfano le richieste di<br />

un’utenza sempre più sofisticata ed esigente, alla ricerca<br />

di spiritualità e pace in un ambiente che, dal punto di<br />

vista storico ed artistico, ha tesori inestimab<strong>il</strong>i da offrire<br />

allo sguardo. Il complesso monumentale delle 15 cap-


pelle, i resti del Castello Mattarella, i reperti archeologici<br />

e la Via dei Torchi e dei Mulini, ripristinata in questi<br />

anni, hanno reso la Riserva naturale un luogo dinamico<br />

e vivo, al riparo da impatti ambientali negativi, e<br />

meta pred<strong>il</strong>etta non solo di pellegrini, ma anche di scolaresche.<br />

Trend in crescita dunque anche per questo settore che,<br />

con la spinta propulsiva dell’anno del Giub<strong>il</strong>eo e grazie<br />

al sempre frequentato Santuario di Re, che richiama<br />

ogni anno decine di migliaia di pellegrini, non ci sta a<br />

fare <strong>il</strong> fanalino di coda del comparto, ma si è ritagliato<br />

di anno in anno una fetta consistente della torta. L’incremento<br />

di presenze al Sacro Monte Calvario è andato<br />

al di là di ogni aspettativa: nel 1999 si sono contati circa<br />

4.400 visitatori, cresciuti a 9.415 nel 2000, a 14.300<br />

nel 2001, a 16.590 nel 2002, fino ad arrivare a 17.500<br />

presenze nel 2003. Ancora una volta, quindi, <strong>il</strong> cambio-marcia<br />

è stato effettuato da un’area protetta che ha<br />

convenientemente saputo sfruttare appieno le proprie<br />

potenzialità, imponendosi in un contesto che supera i<br />

confini locali, moltiplicando e diversificando l’offerta.<br />

Certamente l’onorificenza ottenuta dall’Unesco fornisce<br />

un’occasione che dev’essere da più parti riconosciuta<br />

e raccolta, affinché <strong>il</strong> Calvario non rimanga relegato<br />

nel suo “splendido isolamento”, ma possa interpretare<br />

<strong>il</strong> ruolo di centro di proposta ogni giorno più fruib<strong>il</strong>e<br />

da un pubblico colto e rispettoso, da cittadini del<br />

mondo attenti ed esigenti nei confronti dei valori artistici<br />

e culturali.<br />

Il turismo invernale ed estivo<br />

Se prendiamo in considerazione <strong>il</strong> turismo invernale,<br />

l’iniziativa più lodevole, sebbene realizzata con decenni<br />

di ritardo rispetto ad altre località dell’arco alpino, è<br />

l’istituzione del comprensorio sciistico “Neveazzurra”,<br />

che include le ossolane Macugnaga, Domobianca, San<br />

Domenico-Ciamporino, l’alpe Devero, la Valle Vigezzo<br />

e la Valle Formazza, oltre al Pian di Sole di Premeno<br />

e al Mottarone.<br />

Neveazzurra, dal 2001, si è proposta di effettuare<br />

un’azione di marketing su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale,<br />

promuovendo lo sport alpino con l’aiuto delle nuove<br />

tecnologie, in vista dell’auspicato r<strong>il</strong>ancio atteso per le<br />

Olimpiadi invernali di Torino 2006. Gli otto compren-<br />

sori con i loro 140 km. di piste da discesa e 42 impianti<br />

di risalita si propongono su un sito internet <strong>completo</strong><br />

di webcam per dare in tempo reale le immagini di ogni<br />

località, le condizioni meteo e di innevamento. La passione<br />

per lo sci di fondo può essere espressa in cinque<br />

comprensori dotati di oltre 80 km. di piste: a Macugnaga,<br />

San Domenico, Devero, Vigezzo e Formazza. A<br />

completare l’offerta le piste di snow-board, pattinaggio<br />

su ghiaccio o le pareti di arrampicata. E’ la prima volta<br />

che in Ossola si tenta un approccio più moderno.<br />

Si tenta di far dialogare, con un unico linguaggio di<br />

marketing, le genti delle valli e, finalmente, si propone<br />

in via sperimentale una sorta di ski-pass unico ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>e<br />

nelle differenti stazioni. Nonostante <strong>il</strong> passo avanti,<br />

siamo ahimè in ritardo e, in un quadro altamente<br />

concorrenziale, rappresentato da stazioni sciistiche all’avanguardia<br />

e fac<strong>il</strong>mente accessib<strong>il</strong>i, continuiamo a<br />

far la parte del “parente povero”. Eppure i denari sono<br />

giunti in abbondanza.<br />

Cospicui finanziamenti sono stati promessi, per esempio,<br />

per realizzare opere di accompagnamento alle Olimpiadi<br />

del 2006 e, fra le più significative, vale la pena ricordare<br />

<strong>il</strong> nuovo centro di fondo agonistico di Formazza,<br />

l’impianto antivalanghe di Macugnaga, i nuovi impianti<br />

di Domobianca e <strong>il</strong> collegamento sciab<strong>il</strong>e Bognanco-Domobianca.<br />

Quest’ultimo, a dire <strong>il</strong> vero, oggetto<br />

di perplessità e di polemiche che, non a torto, <strong>il</strong><br />

progetto ha suscitato se si considera la scarsa fruib<strong>il</strong>ità<br />

dell’area e giustificato appare lo scetticismo che gli ossolani<br />

hanno dimostrato nei confronti dell’opera. Tutto<br />

sommato, pare che l’Ossola godrà di benefici marginali<br />

in occasione dei giochi olimpici invernali. La speranza<br />

è che tali finanziamenti promessi si traducano in opere<br />

valide che restino a disposizione della gente. E’ questo<br />

che fa la differenza… staremo a vedere.<br />

Altri denari sono giunti come finanziamenti europei di<br />

progetti Interreg, per incentivare i rapporti transfrontalieri<br />

tra <strong>It</strong>alia e Svizzera. L’argomento meriterebbe un<br />

capitolo a parte, che dovrebbe trattare, tra l’altro, i fantomatici<br />

mega-progetti di metrò alpini. Uno studio di<br />

fattib<strong>il</strong>ità ha interessato <strong>il</strong> versante italiano di Macugnaga<br />

e quello svizzero di Saas Fee e avrebbe previsto un<br />

tunnel lungo 3 km. e mezzo per un costo complessivo<br />

di 300 m<strong>il</strong>iardi di vecchie lire.<br />

349


Un altro studio ha interessato la Valle Formazza e Bosco<br />

Gurin: <strong>il</strong> Walser Metrò avrebbe rappresentato un<br />

collegamento veloce mediante funicolare: costo previsto<br />

50 m<strong>il</strong>iardi di lire. Considerata l’ovvia impraticab<strong>il</strong>ità,<br />

questi ed altri numerosi progetti sono rimasti sulla<br />

carta e possiamo quindi affermare senza possib<strong>il</strong>ità di<br />

smentita che non sempre <strong>il</strong> denaro pubblico è stato speso<br />

al meglio…<br />

Ma vediamo qualche dato. Secondo un’indagine sulla<br />

stagione invernale 2002-2003, promossa dall’Osservatorio<br />

turistico regionale, l’Ossola nell’inverno del 2002<br />

avrebbe mantenuto un terzo posto nella graduatoria regionale,<br />

dopo Val di Susa e Cuneese, contando su quasi<br />

36.000 presenze e un mercato estero proveniente da<br />

Regno Unito, Francia, Germania e Svizzera.<br />

Le presenze turistiche sono comunque scarse, variab<strong>il</strong>i<br />

e dipendenti dalle condizioni d’innevamento e, senza<br />

dubbio, in ribasso rispetto alle stagioni invernali del<br />

1992, 1997 e 1998 in cui si sono toccate le 60.000 presenze.<br />

Per quanto riguarda la stagione estiva, vanno<br />

presi in considerazione, oltre al turismo più tradizionale,<br />

residenziale, decisamente influenzato dalle variab<strong>il</strong>i<br />

meteorologiche, anche quello “sportivo”, calamitato<br />

dai numerosi eventi organizzati e da attività praticab<strong>il</strong>i<br />

in zona.<br />

Mountain bike, gare ciclistiche e podistiche, trekking,<br />

parapendio, arrampicate si affiancano ora alle attività<br />

tradizionali di caccia e pesca, tutti settori in crescita<br />

promettente.<br />

Dati e numeri su arrivi e presenze<br />

Analizzando alcuni dati, forniti dall’Osservatorio del<br />

Turismo della Provincia del Vco e relativi agli arrivi e<br />

alle presenze turistiche nelle cinque Comunità Montane<br />

– Valle Ossola, Monte Rosa, Valle Vigezzo, Antrona,<br />

Antigorio-Divedro-Formazza – risulta che l’anno nero<br />

è stato <strong>il</strong> 2002, con un b<strong>il</strong>ancio che segna un totale di<br />

64.362 arrivi e 259.886 presenze, mentre anno decisamente<br />

positivo è stato <strong>il</strong> 1997, che ha registrato 72.234<br />

arrivi e ben 329.006 presenze. Il grafico sottostante potrebbe<br />

chiarire quali siano state, dal 1995 al 2003, le<br />

destinazioni ossolane prescelte dai turisti.<br />

I numeri non sono confortanti specialmente per quelle<br />

zone, come la Valle Anzasca, che in un passato non<br />

350<br />

Comunità<br />

Montana<br />

arrivi<br />

complessivi<br />

presenze<br />

complessive<br />

Monte Rosa 135.400 648.519<br />

Valle Antrona 7.000 34.816<br />

Valle Ossola 213.373 777.247<br />

Valle Vigezzo 151.622 813.882<br />

Valli Antigorio Formazza 110.331 468.474<br />

(Presenze e arrivi complessivi per Comunità Montana dal 1995 al<br />

2003 compresi. Fonte: Osservatorio del turismo provincia del Vco).<br />

lontano godettero di fama internazionale. Di sicuro<br />

ha finito col pesare negativamente l’evidente ritardo di<br />

rinnovamento dell’intera stazione di Macugnaga, con<br />

un’offerta assai poco diversificata e poco attenta ai bisogni<br />

del nuovo turista che, in altre zone alpine, trova ben<br />

altre infrastrutture.<br />

Le strutture ricettive e le infrastrutture<br />

Per quanto riguarda l’offerta di posti letto in Ossola,<br />

tra alberghieri ed extra-alberghieri, l’osservatorio turistico<br />

regionale nel 2002 li stima in 6.555; i posti letto<br />

nelle altre tipologie di abitazione sarebbero <strong>il</strong> doppio:<br />

12.443. Il turismo legato alla “seconda casa” è ancora<br />

quello trainante e le strutture alberghiere esistenti<br />

sarebbero sottout<strong>il</strong>izzate, o meglio, funzionanti a pieno<br />

regime solo in alcuni brevi periodi dell’anno. Non mancano<br />

però segnali di crescita, in particolare per quei ricoveri<br />

che garantiscono buona ospitalità a basso costo:<br />

basti pensare al circuito di bed & breakfast, di agriturismi<br />

e al numero di ristrutturati bivacchi e rifugi alpini<br />

che da qualche anno si propongono sul mercato. Il turismo<br />

“mordi e fuggi” caratterizza ancora le montagne<br />

ossolane e <strong>il</strong> periodo di soggiorno medio in zona non<br />

arriva ai tre giorni.<br />

Certo i nostri turisti sono spesso maltrattati da una rete<br />

stradale vecchia e sgangherata. Pensiamo quali danni ha<br />

subito l’Ossola in seguito all’alluvione del 2000: Macugnaga<br />

isolata per settimane, Bognanco e le sue frazioni<br />

colpite duramente, così come i paesi della valle Divedro.<br />

Ma a ricordare la paura di quei giorni resta una<br />

ferita che pare insanab<strong>il</strong>e: la strada statale 33 del Sempione.<br />

Crollata per un lungo tratto nei pressi di Masera,<br />

quella ferita è ancora lì – e pare vittima di un bombardamento<br />

- a mostrare ai turisti <strong>il</strong> nostro misero biglietto


da visita. A quattro anni di distanza, nel corso dell’estate<br />

2004 sembra che si sia dato avvio ai lavori. Il condizionale<br />

è d’obbligo. Maltrattati sono anche i viaggiatori<br />

che decidono di sostare a Domodossola anche solo per<br />

poche ore: arrivando alla stazione “internazionale” non<br />

troveranno ahimè neppure un deposito in cui lasciare i<br />

propri bagagli. Il moderno ‘movicentro’, ben organizzato<br />

con la nuova stazione di servizio bus, ne è purtroppo<br />

sprovvisto.<br />

La cultura dell’accoglienza<br />

Insomma, sul turismo come via di scampo da un’economia<br />

in crisi d’identità qualcuno ci ha sperato e ci spera<br />

tuttora. Qualcuno ha sperato persino d’incrementare<br />

conoscenze e professionalità varando un corso di Laurea<br />

triennale in promozione e gestione del turismo, con<br />

sede nella prestigiosa residenza del Collegio Rosmini<br />

di Domodossola. Sembrerebbe però che, dopo soli tre<br />

anni accademici, l’Università del Piemonte Orientale<br />

sia destinata a trasferire <strong>il</strong> corso a Stresa. E così un’altra<br />

bolla di sapone scoppia tra le mani degli ossolani.<br />

A vegliare sui turisti stanziali e di passaggio restano sempre<br />

le vetuste associazioni e una ventina di pro loco che<br />

mantengono vivo quel contatto quotidiano con chi in<br />

Ossola ci viene per trascorrere <strong>il</strong> proprio tempo libero.<br />

Nel 1983 furono sciolti gli enti provinciali per <strong>il</strong> turismo<br />

e le aziende autonome di cura soggiorno e turismo<br />

e istituite le A.p.t., aziende di promozione turistica. Negli<br />

anni ’90 anche le A.p.t. furono messe in liquidazione<br />

e, nel 2000, prese <strong>il</strong> loro posto <strong>il</strong> Distretto Turistico<br />

dei laghi e delle Valli dell’Ossola, una società a capitale<br />

misto pubblico-privato con lo scopo di promuovere<br />

congiuntamente le risorse turistiche di laghi e monti.<br />

Un obiettivo forse non perfettamente raggiunto, considerato<br />

che, pubblicazioni e siti internet a parte, non si<br />

è ancora visto nei fatti un circuito coordinato che possa<br />

unire a doppio f<strong>il</strong>o turismo lacustre e turismo montano.<br />

Ed è questo forse <strong>il</strong> punto di partenza – o la tappa<br />

fondamentale – per pianificare sulla carta, prima di<br />

testare sul campo, un vero e proprio decollo del turismo<br />

moderno. Certamente la vivacità degli ossolani è<br />

Sport del cielo.<br />

sotto gli occhi di tutti: la spinta creativa e i motivi di richiamo<br />

non mancano, ma i m<strong>il</strong>le rivoli di questo entusiasmo<br />

troppo spesso finiscono con l’esaurirsi. Le molte<br />

energie, nel privato e nel pubblico, andrebbero selezionate<br />

e raccolte in un unico collettore perché diventino<br />

caleidoscopio di iniziative di pregio da offrire a 360<br />

gradi. Se è vero che <strong>il</strong> turismo è ormai considerato ‘industria’<br />

e costituisce uno dei p<strong>il</strong>astri economici del nostro<br />

Paese, come ogni industria va organizzato, pensato<br />

e sorretto da piani strategici di investimenti, di analisi<br />

delle disponib<strong>il</strong>ità di risorse umane, di territorio e di<br />

buona volontà. Tutto questo significa coltivare la ‘cultura<br />

dell’accoglienza’, un sistema in cui non dovrebbero<br />

trovare più spazi vitali l’autodidattica, <strong>il</strong> fai-da-te, l’improvvisazione.<br />

Ci vorrà ancora tempo, ma siamo sulla buona strada. E<br />

quando arriveremo, <strong>il</strong> vecchio e fortunato slogan “Ossola,<br />

un mondo speciale” acquisterà <strong>il</strong> suo più forte significato.<br />

351


Lo Sport<br />

Cesare Melchiorri<br />

Alpinismo<br />

La vallata ossolana, circondata da monti, non poteva<br />

che essere, come tuttora è, una fert<strong>il</strong>e fucina di alpinisti<br />

e di appassionati di montagna. Ne è prova che a Domodossola<br />

nel dicembre 1889 venne fondata la sezione<br />

C.A.I., una fra le prime in <strong>It</strong>alia. Nel settembre 1954<br />

ospitò i lavori del 66° Congresso Nazionale del Club<br />

Alpino <strong>It</strong>aliano.<br />

Attive sono le sezioni C.A.I. di V<strong>il</strong>ladossola, Piedimulera,<br />

Macugnaga, Vigezzo, Bognanco, Formazza, organizzatrici<br />

di escursioni e scuole di alpinismo e sci alpinismo.<br />

Nel 1899 nasce la Società Escursionisti Ossolani (S.E.O)<br />

con sede a Piedimulera e dal 1926 a Domodossola, che<br />

raccolse intorno a sé <strong>il</strong> fior fiore dell’alpinismo ossolano<br />

(Ettore Allegra, Gian Domenico Ferrari, Tito Chiovenda,<br />

Giovanni Rigotti, Francesco Zani, Ettore Rigotti<br />

e altri) e pubblicò già nel 1901 a proprie spese la Guida<br />

delle Alpi Ossolane del Brusoni, nel 1910 Verso l’Azzurro<br />

e nel 1931 L’Ossola e le sue valli di Giovanni De<br />

Maurizi.<br />

Recentemente le cronache alpinistiche italiane si sono<br />

occupate delle doti tecniche e del coraggio di alcune<br />

guide ossolane. Lungo sarebbe elencarle tutte: vi è la<br />

soddisfazione che fra i molti appassionati che dedicano<br />

<strong>il</strong> loro tempo libero alla montagna stiano emergendo alcuni<br />

giovani promettenti come scalatori e rocciatori.<br />

Per andar un poco oltre la notorietà nazionale, possiamo<br />

citare, per aver partecipato a spedizioni alpinistiche<br />

extra-europee, S<strong>il</strong>vio Borsetti, Claudio Schranz, Giuseppe<br />

Oberto, Mauro Rossi, Walter Berardi, Claudio<br />

Giorgis, Fabrizio Manoni, Graziano Masciaga, Paolo<br />

Stoppini, Roberto Pè, Valerio Poggiani, Rinaldo Dell’Ava,<br />

Carlo Tabarini, Ugo Cova, Giorgio Giudici, Dan<strong>il</strong>o<br />

Bev<strong>il</strong>acqua e Carlo Benedetti.<br />

Molteplici le iniziative per i giovani rendendoli partecipi<br />

a passeggiate ed escursioni secondo le età. Emerge su<br />

tutte la realizzazione da qualche decennio della Scuola<br />

di sci che si effettua agli inizi di ogni anno con guide ed<br />

istruttori della sezione e larga partecipazione.<br />

Attuale presidente è Giuseppe Bonzani, succeduto all’infaticab<strong>il</strong>e<br />

Dino Del Custode in carica dal 1994,<br />

dopo la gestione di Antonio Galtarossa.<br />

Fiore all’occhiello della sezione è la costruzione del Rifugio<br />

Margaroli, al Vannino nell’alta Val Formazza, oltre<br />

ai miglioramenti effettuati a quello di Vallaro in Valle<br />

Bognanco, dedicato a ricordo del socio Marigonda .<br />

Non va dimenticata la valida e solerte attività dei finanzieri<br />

componenti la Stazione di Soccorso Alpino G.d.F.<br />

(SAGF) che nel 1985, assieme alle altre sparse lungo<br />

l’arco alpino, festeggiò i 20 anni di interventi.<br />

Arti Marziali<br />

In questi ultimi anni la pratica delle arti marziali, è andata<br />

sv<strong>il</strong>uppandosi fra gli sportivi di varie età che, soprattutto<br />

giovani, hanno conquistato risultati di tutto<br />

rispetto grazie alla apertura di varie palestre dedite a<br />

questo genere di sport.<br />

La Società Fudoshin Karate Ossola , sorta in Domodossola<br />

nel 1976, non ha tardato, gestita con passione dal<br />

maestro Giuseppe Zambelli, a rafforzarsi con <strong>il</strong> potenziamento<br />

della palestra “Atletica Domodossola” per<br />

l’insegnamento agonistico e amatoriale delle categorie:<br />

Karate, Kick Boxing, Thai Boxe, Full Contract e Pug<strong>il</strong>ato.<br />

Negli sport di combattimento (Kick Boxing, Thai Contact,<br />

Full Contact) la società è ai massimi livelli mondiali<br />

con gli innumerevoli campionati italiani vinti ed è<br />

tuttora detentrice del campionato professionisti di Kick<br />

Boxing con Corrado Sestito di Domodossola, anche<br />

353


campione europeo di Thai Boxe, e Full Contact e terzo<br />

ai campionati italiani di pug<strong>il</strong>ato.<br />

Altro campione del mondo nella categoria d<strong>il</strong>ettanti per<br />

<strong>il</strong> Thai Boxing è Maurizio Sestito.<br />

Una trentina di bambini dai 6 ai 12 anni ed altrettanti<br />

adulti, uomini e donne, seguono i corsi a livello diversificato.<br />

Nutrita la schiera di appassionati devoti delle diverse<br />

discipline delle arti marziali: citiamo ad esempio Paolo<br />

Cemmi, vice campione del mondo di Kung-fu, mentre<br />

sul Kiy-Boxing e Thi Box, si sono messi in luce: Carolino<br />

Perazzi, Luigi Meneghel, Aldo Lucarella. Nel 1995<br />

Marco Neri (cat. Kg. 80) e Carlo Bonanno (Kg. 54) si<br />

aggiudicavano <strong>il</strong> titolo italiano della categoria.<br />

Atletica<br />

Diverse società ossolane, oltre al calcio, all’alpinismo,<br />

allo sci, si sono dedicate saltuariamente all’atletica.<br />

Dopo <strong>il</strong> G.S. Pievese di Pieve Vergonte che ha mandato<br />

due atlete alle finali dei Giochi della Gioventù (Paola<br />

S<strong>il</strong>vera negli 80 m e Nicoletta Rosetti nei 400 m) i risultati<br />

più lusinghieri sono stati ottenuti dalla Associazione<br />

Atletica Ossolana fondata da un gruppo di appassionati<br />

<strong>il</strong> 30 marzo 1966, adottando come colori sociali<br />

<strong>il</strong> rosso e <strong>il</strong> giallo-cromo. A presiederla fin dall’inizio <strong>il</strong><br />

dinamico rag. Piero Vecchietti coadiuvato da amici ed<br />

appassionati di ciclismo. I dirigenti riescono ad impostare<br />

una organizzazione cap<strong>il</strong>lare che non ha riscontro<br />

nella zona, ottenendo affermazioni anche in campo regionale<br />

e nazionale. Nel 1968 i ragazzi dell’Associazione<br />

Atletica Ossolana conquistano <strong>il</strong> 2° posto assoluto come<br />

società fra le piemontesi; alle finali di Cagliari dei campionati<br />

italiani Allievi, partecipano gli ossolani: Bellone<br />

(peso), Cavagnino (velocità), Marini (2000 m).<br />

Il 1969 è l’anno migliore per l’atletica ossolana che organizza<br />

53 manifestazioni, di cui una internazionale. L’organico<br />

tocca punte record: 600 atleti-soci (di cui 450<br />

giovanissimi), 31 giudici di gara Fidal, di cui sei effettivi,<br />

11 organizzazioni in altrettanti Comuni dei Giochi<br />

della Gioventù. Da ricordare negli anni successivi <strong>il</strong> titolo<br />

nazionale che la società Atletica Ossolana ha conquistato<br />

nella corsa su strada a Fabriano per merito dei<br />

Sport estremi ai piedi del Monte Rosa.<br />

giovani: Allegranza Aldo, Ramoni Romualdo, Barbieri<br />

Piergiorgio, Venturelli Franco, Della Bianca Franco, Petrucciani<br />

Emis, Rech Francesco, Chiozza Ettore.<br />

Dopo una pausa dovuta a mancanza di idonee attrezzature,<br />

la pratica di questo sport è tornata a diffondersi<br />

fra i giovani che possono disporre allo Stadio Curotti<br />

di Domodossola oltre che di una ottima pista, anche<br />

di altri impianti. Questo risveglio è dovuto in massima<br />

parte alla d<strong>il</strong>igente e positiva attività di nuove giovani<br />

società: G.S. Alpini di Domodossola, <strong>il</strong> G.A. Tartaruga,<br />

l’Atletica Ossolana Vigezzo, l’Atletica Valli Ossolane,<br />

<strong>il</strong> G.S. Atletica Cistella. Intensa l’attività fino alla<br />

metà degli anni ’70 per poi ripartire nel novembre 1984<br />

con nuovi programmi e la denominazione “Atletica Valli<br />

Ossolane” (AVO) su iniziativa di Egidio Masciaga, già<br />

dirigente e atleta.<br />

Nel 1995 grazie all’interessamento dei fratelli Pizzi e Severino<br />

Bernardini (uno dei più prestigiosi atleti dell’Ossola)<br />

continua l’attività con la soc. COVER ottenendo<br />

risultati a livello mondiale.<br />

Non va dimenticato <strong>il</strong> cap<strong>il</strong>lare lavoro svolto dal GSH<br />

Sempione ‘82 di Pallanzeno per i disab<strong>il</strong>i ottenendo lusinghieri<br />

risultati, fra i quali <strong>il</strong> titolo di campione italiano<br />

conquistato da Paolo Rossi nel luglio 1994 con tre<br />

medaglie d’oro vincendo negli 800, 200 e 100 metri.<br />

Si sono succeduti altri strepitosi successi grazie all’impegno<br />

dei dirigenti e degli attivi instancab<strong>il</strong>i atleti disab<strong>il</strong>i<br />

che hanno collezionato senza sosta risultati esaltanti:<br />

nel luglio 1996 allo Stadio Curotti di Domodossola<br />

ai campionati italiani di atletica, <strong>il</strong> GHS Sempione<br />

82, organizzatore della manifestazione, conquistava<br />

con i suoi atleti, nelle diverse specialità, ben 9 medaglie<br />

d’oro, 7 d’argento e 2 di bronzo, bissando poi lo<br />

stesso risultato ai campionati italiani svoltisi nel 1999<br />

a Cagliari. Infine è doveroso chiudere questa rassegna<br />

di successi citando la conquista del titolo di “campione<br />

d’<strong>It</strong>alia disab<strong>il</strong>i” nel 2002.<br />

Automob<strong>il</strong>ismo<br />

L’Automob<strong>il</strong>e Club di Domodossola, rispetto alla popolazione<br />

dell’Ossola, è fra i Club con <strong>il</strong> maggior numero<br />

di soci rispetto a tutti gli altri d’<strong>It</strong>alia. La passio-<br />

355


Il Rally Valli Ossolane.<br />

ne di una larga parte della popolazione per questo sport<br />

è l’organizzazione di una fra le più note e migliori manifestazioni<br />

sportive della zona: l’annuale “Rally delle<br />

Valli Ossolane”, giunto nel 1994 alla sua 30 a edizione,<br />

con la consueta partecipazione di 150 p<strong>il</strong>oti di ogni<br />

parte d’<strong>It</strong>alia (limite massimo consentito dalla competente<br />

federazione) e conclusosi con la vittoria di Franco<br />

Uzzeni (al suo settimo successo) e Gaetano Orlando (su<br />

lancia Delta Int.) del Vaemenia Team. La competizione<br />

ebbe risonanza particolare per essere stata abbinata all’omonima<br />

Lotteria Nazionale, che fruttò al possessore<br />

del biglietto la bella somma di 2 m<strong>il</strong>iardi di lire.<br />

La competizione si svolge quasi sempre nel mese di giugno<br />

richiamando lungo <strong>il</strong> percorso stradale della zona<br />

migliaia di appassionati che trascorrono all’aperto una<br />

intera notte per assistere lungo i tornanti delle strade ove<br />

sono previste le prove speciali, <strong>il</strong> passaggio delle vetture.<br />

Veterana dei partecipanti la coppia dei coniugi Decè-<br />

356<br />

Dufey di Domodossola. In passato un p<strong>il</strong>ota ossolano<br />

aveva fatto parlare di sé nel 1927: Pietro Moalli, che<br />

partecipò alla “Coppa delle M<strong>il</strong>le Miglia”, arrivando<br />

primo nella categoria della sua auto, che era una Fiat<br />

509; percorse <strong>il</strong> tragitto Brescia-Roma-Brescia di 1600<br />

km. in ore 24.23’41”, alla media di Km. 66,743.<br />

Parecchie le vittorie riportate da Franco Uzzeni, Andrea<br />

Saglio e Massimo Canella.<br />

Fra i p<strong>il</strong>oti ossolani che hanno ottenuto piazzamenti a<br />

livello nazionale figura Giacomo Pelganta, campione<br />

italiano del Trofeo Nazionale dei Rally nel 1973.<br />

Bocce<br />

E’ questa una attività sportiva che ha più attori che<br />

spettatori.<br />

Un primo cenno che le bocce sostituiscono un sano e<br />

costoso svago lo si trova nelle cronache locali del 1910:<br />

<strong>il</strong> 1° maggio di quell’anno si svolse a Domodossola una


tra le prime gare bocciof<strong>il</strong>e al ristorante Roma (in via<br />

Garibaldi) organizzata dal proprietario Augusto Romignoli.<br />

Nel 1926, <strong>il</strong> 23 maggio, rinasce a nuova vita la Bocciof<strong>il</strong>a<br />

Domese nelle cui f<strong>il</strong>e non tardano ad emergere ottimi<br />

elementi che saranno i p<strong>il</strong>astri sui quali ruoterà l’intensa<br />

attività boccistica ossolana.<br />

Nascono altre società bocciof<strong>il</strong>e tra le quali <strong>il</strong> G.S. Terme<br />

Bognanco nel 1927, la sezione bocciof<strong>il</strong>a della U.S. Juventus<br />

Domo nel 1930 e, dopo la seconda guerra mondiale,<br />

la Caddo Sportiva, Crevola (Preglia), Virtus V<strong>il</strong>la,<br />

Verde Azzurra, Chiodo (Casa del Popolo), Concordia<br />

Sportiva, Pur<strong>il</strong>lo, La Boccia, Masera, Fonti Baceno, Oscella,<br />

Arci Varzo, Graniti Piretti, Acque Vigezzo, Dopolavoro<br />

Ferroviario, Centro Opere Cappuccina.<br />

Conquistano <strong>il</strong> titolo di campione italiano individuale<br />

categoria B gli ossolani Vittorio Di Orazio (nel 1948)<br />

e Eugenio Del Zoppo (nel 1949); altri titoli italiani si<br />

aggiudicano, sempre nella cat. B, la terna Licht-Boghi-<br />

Ferrero (nel 1949). Le coppie Montagna-Ceralli (1952-<br />

53), Durione-Suini (1963). Nel 1951 a Vercelli, <strong>il</strong> domese<br />

Giosuè Bartoli conquista <strong>il</strong> titolo italiano della<br />

bocciata cat. A (nella sua lunga carriera ha preso parte<br />

a 21 campionati italiani con 11 piazzamenti nei semifinalisti).<br />

Seguendo le orme del padre Carlo, che fu uno<br />

dei più affermati giocatori di bocce, <strong>il</strong> giovane Mario<br />

Suini – autentica rivelazione in questo campo – ha raggiunto<br />

la massima vetta di campione mondiale: è stato<br />

colui che ha portato <strong>il</strong> maggior lustro alla sua terra natale<br />

in questo sport. Dal 1960, quando vinse proprio a<br />

Domodossola <strong>il</strong> campionato italiano “allievi”, la marcia<br />

di Mario Suini è stata travolgente fino al 1975, quando,<br />

con l’altro asso nazionale delle bocce, Umberto Granaglia,<br />

ha vinto <strong>il</strong> Campionato Mondiale a coppie. Ma<br />

non si è fermato bissando un altro strepitoso successo<br />

nell’ottobre 1987, conquistando con la squadra azzurra<br />

<strong>il</strong> titolo di campione europeo a Saluzzo.<br />

Tutta l’attività boccistica della zona faceva parte al Comitato<br />

U.B.I (Unione Bocciof<strong>il</strong>a <strong>It</strong>aliana) al quale aderivano<br />

le società esistenti con i giocatori tesserati, che<br />

sono parecchie centinaia.<br />

A dirigerlo dal settembre 1984 e fino al 1993 (anno della<br />

sua scomparsa) è stato lo zelante e attivo Carlo Martelli,<br />

che ha saputo dare a questa attività una imposta-<br />

zione organizzativa di prim’ordine.<br />

La partecipazione ai campionati provinciali, regionali e<br />

nazionali costituiva <strong>il</strong> miglior premio per gli appassionati<br />

bocciof<strong>il</strong>i, alcuni dei quali hanno ottenuto anche<br />

ottimi risultati, come S<strong>il</strong>vano Donati (nel 1989) che ha<br />

conquistato <strong>il</strong> titolo di campione italiano individuale<br />

cat. C e nel 1992, ad Albisola, Andrea Cagnacci lo stesso<br />

titolo nella propria categoria.<br />

Attualmente svolgono attività 10 società: <strong>il</strong> nuovo Valli<br />

Ossolane, che fa capo a Cosasca, Oirese (Valle Antigorio),<br />

La Boccia V<strong>il</strong>la (un ritorno dopo parecchi anni),<br />

Juve Domo, Caddo, Masera, Varzese, Valle Vigezzo, Bognanco<br />

e Concordia.<br />

Consistente <strong>il</strong> numero di tesserati e cartellinati: circa<br />

350 (in media 100 soci per società), di cui 17 giocatori<br />

categoria B, 150 cat. C e 183 cat. D. Organizzate trenta<br />

gare ufficiali all’anno con presenze di circa 400 bocciof<strong>il</strong>i<br />

ognuna. Tutta l’attività è ora guidata dal Comitato<br />

Provinciale VCO Domodossola, con Primo Zanelli<br />

presidente dal 2001, subentrato a Piero Fobelli, che nel<br />

1993 aveva assunto l’incarico con la scomparsa dell’indimenticato<br />

Carlo Martelli.<br />

Due nuovi bocciodromi si sono aggiunti a quelli già<br />

esistenti: nel 1989 a Malesco e nel 1991 a Pallanzeno,<br />

mentre quello che in Via Romita attende di aprire<br />

i battenti ai bocciof<strong>il</strong>i, dalla Comunità Valle Ossola, è<br />

bloccato da cinque anni per questioni finanziarie.<br />

Meritevoli gli sforzi per <strong>il</strong> funzionamento di una “Scuola<br />

bocce” per esordienti, ragazzi e allievi con gli istruttori<br />

Bartolomeo Ferrari ed Ermanno Borromeo.<br />

Caccia<br />

Dal 1996 è modificato <strong>il</strong> metodo di gestione del territorio<br />

ai fini venatori: sono stati istituiti i Comprensori Alpini,<br />

in applicazione della Legge Regionale.<br />

Nell’Ossola questo ha comportato la divisione del Consorzio<br />

Ossola, istituito nel primo dopoguerra e gestito<br />

per anni dall’allora presidente Paolo Manera. Scioltosi<br />

per circa un decennio, fu ricostituito alla fine degli anni<br />

’70 e retto dal Presidente Mario Ravandoni sino al definitivo<br />

scioglimento.<br />

I due Comprensori in cui l’Ossola è suddivisa sono<br />

VCO 2 Ossola Nord, comprendente le valli Antigorio,<br />

Formazza e Vigezzo compreso <strong>il</strong> Comune di Tron-<br />

357


tano; VCO 3 Ossola Sud, comprendente le valli Divedro,<br />

Bognanco, Antrona, Anzasca ed i comuni della<br />

piana ossolana.<br />

I Comprensori sono retti da comitati di gestione: per <strong>il</strong><br />

VCO 2 si sono succeduti alla presidenza Fausto Braito<br />

nel periodo 1996-99 e Mauro Fava, attuale presidente.<br />

Nel VCO 3 è presidente dalla costituzione Aldo<br />

Girlanda.<br />

La capienza faunistica è rispettivamente 650 e 900 per<br />

VCO 2 e VCO 3, mentre i cacciatori effettivamente<br />

iscritti sono nell’ordine 400 e 700.<br />

La caccia viene praticata secondo i piani di abbattimento,<br />

redatti da tecnici faunistici e approvati dalla Regione<br />

Piemonte, suddivisi in tipica alpina (gallo forcello,<br />

pernice bianca, coturnice, lepre variab<strong>il</strong>e) ed ungulati<br />

(cervo, camoscio, capriolo). Negli ultimi anni tali piani<br />

prevedono, per ogni Comprensorio, mediamente: 200<br />

camosci, 100 cervi, 130 caprioli; 40 galli forcelli, 10<br />

pernici bianche, 10 coturnici, 10 lepri variab<strong>il</strong>i).<br />

Il periodo di caccia, per due giornate settimanali, è dal<br />

primo ottobre al 30 novembre, nel VCO 2 per gli ungulati<br />

dalla metà di settembre. Poiché i piani di abbattimento<br />

vengono saturati anticipatamente, la stagione<br />

venatoria ha una durata complessiva non superiore alle<br />

dieci giornate.<br />

Da qualche anno, seppur con diversità di opinione tra<br />

i cacciatori stessi, viene praticata la caccia al cinghiale,<br />

specie di mammifero non certo autoctona per l’Ossola<br />

che trova un consolidato numero di praticanti nel<br />

comprensorio VCO 3, mentre nel comprensorio VCO<br />

2 è praticamente disincentivata essendo previsto un piano<br />

di abbattimento generale di soli due capi.<br />

Calcio<br />

Si può dire che al gioco del calcio gli ossolani si sono dedicati<br />

con una certa regolarità ed organizzazione poco<br />

dopo l’inizio di questo secolo. Si trova qualche sporadica<br />

società già nel 1909 quando <strong>il</strong> 12 dicembre i giornali<br />

locali annunciano la nascita della società Forti e Veloci.<br />

Nel 1910 nasce, sempre a Domodossola, un’altra società<br />

sportiva denominata Forza e Coraggio. Non si hanno<br />

elementi ufficiali sicuri per stab<strong>il</strong>ire quando nacque<br />

<strong>il</strong> Domo Foot Ball Club, è certo comunque che svolgesse<br />

la sua attività calcistica prima della guerra mondia-<br />

358<br />

le del 1915. Nel 1914 si svolse un incontro triangolare<br />

fra le squadre: Unione Calciatori Boys/Domo – Juventus<br />

F.C. Domo e U.S. Domese.<br />

Fra <strong>il</strong> 1919 e <strong>il</strong> 1923 sorgono altre società fra le quali<br />

l’Unione Sportiva V<strong>il</strong>la di V<strong>il</strong>ladossola e <strong>il</strong> G. S. Rumianca<br />

di Pieve Vergonte.<br />

Il Domo Foot Ball Club si rafforza e nel 1927 conquista<br />

<strong>il</strong> titolo di campione della zona Verbano Cusio Ossola<br />

(in 13 partite segna 52 reti e ne subisce solo 5), poi lentamente<br />

entra in crisi e nel marzo 1929 si scioglie. Nasce<br />

l’Unione Sportiva Juventus Domo che negli anni seguenti<br />

conseguirà i migliori risultati arrivando a partecipare<br />

a campionati che mai nessun’altra società ossolana<br />

riuscirà ad ottenere.<br />

Il 28 ottobre 1934 viene inaugurato <strong>il</strong> campo sportivo,<br />

l’attuale Stadio Curotti, ideato dall’arch. ing. Vietti<br />

Violi di Vogogna e costruito in due mesi dall’impresa<br />

Girola. Nel 1938 la Juventus Domo viene chiamata dalla<br />

Federazione a far parte del Campionato Nazionale di<br />

serie C, ove rimarrà, escluso <strong>il</strong> periodo bellico, per sette<br />

anni, fino al 1948, anno in cui, anche per le sue limitate<br />

possib<strong>il</strong>ità finanziarie, torna fra i d<strong>il</strong>ettanti. Da<br />

ricordare che nella stagione 1940-41, la Juventus Domo<br />

vince la Coppa Anonima Infortuni Disciplina fra tutte<br />

le società di serie A-B-C (con due sole penalità). Nel<br />

1954-55 è promossa in Quarta Serie, retrocede e ritorna<br />

nel 1956-57. Nel 1970-71, dopo una lotta accanita<br />

con Virtus V<strong>il</strong>la e Albese, la Juve Domo viene ammessa<br />

al campionato di Serie D, ove rimane fino al 1973.<br />

Dopo diverse stagioni con modesti risultati in campionati<br />

inferiori, la Juve Domo esplode negli anni ’80 fra<br />

l’entusiasmo dei “Fedelissimi”. Nel maggio 1985, battendo<br />

allo stadio Curotti <strong>il</strong> Grignasco, davanti a 2000<br />

spettatori, i domesi sono promossi al campionato Interregionale<br />

(presidente Citrini, allenatore Zanetti). Sempre<br />

nel maggio, ma del 1988, dopo 50 anni, la Juve<br />

Domo torna fra i semiprofessionisti, salendo in C 2<br />

(presidente geom. Ezio Della Piazza) fra <strong>il</strong> tripudio dei<br />

tifosi e l’appoggio dell’amministrazione comunale che<br />

rimette a nuovo lo stadio Curotti, collocandolo tra i<br />

migliori della provincia. In C 2 vi rimane per soli due<br />

anni, poi <strong>il</strong> bel sogno svanisce e ritorna fra i d<strong>il</strong>ettanti<br />

nell’Interregionale e nel 1991 retrocede in Promozione<br />

per risalire l’anno successivo nel nuovo campionato


U.S. Juventus Domo, la prestigiosa formazione degli anni Cinquanta.<br />

denominato “Eccellenza”, ove rimane per quattro anni,<br />

scendendo in “Promozione” nel 1996-97 con la Crevolese<br />

promossa a tavolino.<br />

Un’altra società ossolana vanta un glorioso passato calcistico:<br />

<strong>il</strong> Virtus V<strong>il</strong>la, la cui nuova denominazione risale<br />

al 1945 per iniziativa del comm. Rizzoli, un industriale<br />

di Bologna trasferitosi a V<strong>il</strong>la, che trasformò l’esistente<br />

Unione Sportiva Voluntas (sorta nel 1924 con la<br />

fusione dell’Unione Sportiva V<strong>il</strong>ladossolese con <strong>il</strong> Gruppo<br />

Sportivo Voluntas).<br />

Il taccuino della società calcistica di V<strong>il</strong>ladossola è costellato<br />

di lusinghieri risultati. Fra questi l’ammissione<br />

al girone unico di Eccellenza e della Promozione alla<br />

fine della stagione 1967-68. Nel 1987 retrocede dalla<br />

Promozione per risalire nel 1990 e vincere anche la<br />

Coppa Piemonte battendo l’Asti ai calci di rigore. Nel<br />

1991 è ammessa al campionato di Eccellenza e si comporta<br />

bene, piazzandosi al quinto posto, poi, dopo una<br />

stagione sfortunata, retrocede in Promozione.<br />

Altre società calcistiche ossolane hanno partecipato e<br />

partecipano ai campionati federali di calcio. Si è arrivati<br />

ad avere in Ossola ben 21 squadre nelle diverse categorie,<br />

scese attualmente a 17 dopo <strong>il</strong> ritiro o la cessazione<br />

dell’attività di alcune.<br />

A Pieve Vergonte <strong>il</strong> G.S. Rumianca, ora G. S. Pievese,<br />

la soc. Sportiva Crevolese fondata nel 1956, l’A.C. Domodossola<br />

(sorta dopo la cessata attività della soc. Inter<br />

Club Domo fondata nel 1964), che passando di vittoria<br />

in vittoria dalla Terza Categoria, ha vinto nella stagione<br />

1983-84 <strong>il</strong> campionato di Seconda, conquistandosi<br />

così la promozione alla Prima Categoria, a fianco della<br />

Crevolese salita in seguito in Promozione.<br />

Parecchi giocatori di calcio sono passati dalle società ossolane<br />

a squadre superiori. Citiamo per esempio: Gigi<br />

Balzarini che giocò nel M<strong>il</strong>an e partecipò con quella<br />

squadra alla Coppa Mondiale; <strong>il</strong> terzino Piero Scesa che<br />

passò nelle f<strong>il</strong>e del Torino; <strong>il</strong> mediano Gianni Tellini al<br />

Varese; l’ala Guido Vivarelli al Monza; <strong>il</strong> centrattacco<br />

Migliorati alla Casertana e Ternana; F<strong>il</strong>ippini al Venezia;<br />

Beppe Scienza alla Reggiana e al Torino. In tem-<br />

359


pi meno recenti <strong>il</strong> portiere Felice Rinolfi al Como; l’ala<br />

Franco Torricelli al M<strong>il</strong>an e Gino Barbieri (mezz’ala)<br />

di Santa Maria Maggiore (Vigezzo) al Novara ai tempi<br />

di Piola. Si avvicendarono diversi presidenti negli ultimi<br />

anni sia a Domodossola: Cesare Margaroli, Eugenio<br />

Citrini, Ezio Della Piazza, Dario Cattaneo, Enrico<br />

Pelletti, Luigi Atripaldi, Andrea Toscano, come a V<strong>il</strong>ladossola<br />

che ha festeggiato nel 1988 i 75 anni di attività:<br />

Poscio e Molteni, Vittorino Battro, Franco Hartmann,<br />

Piero Sangallo, Franco Poscio, Renato Azzoni,<br />

Franco Martinetti.<br />

Nel 1997 nasce <strong>il</strong> “Crevolamasera” dalla fusione fra<br />

Crevolese e Masera con Remigio Minoggio primo presidente,<br />

affiancato da due vice. Nel 1998 la Juve Domo<br />

è ripescata dalla Lega in Promozione e nel giugno 2000<br />

avviene la oramai storica “fusione” con <strong>il</strong> Crevolamasera,<br />

dando vita, tra non poche critiche da parte dei<br />

suoi tifosi, alla nuova società “Valdossola” (con maglia<br />

granata-giallo-azzurro) con presidente Andrea Toscano,<br />

vice presidenti: Remigio Minoggio, Tiziano Negri<br />

e Manuela Margaroli, figlia del comm. Cesare, già presidente<br />

per molti anni della Juve Domo. Muore così la<br />

gloriosa Juventus Domo dopo 75 anni di attività ricchi<br />

di entusiasmo ed esaltanti risultati.<br />

La nuova squadra viene presentata <strong>il</strong> 17 agosto 2000<br />

allo stadio Curotti e inizia <strong>il</strong> suo cammino prima in<br />

“Promozione” poi nel 2002-03 in “Eccellenza” e infine<br />

nel 2003, con <strong>il</strong> disinteresse del pubblico e la mancanza<br />

di fondi <strong>il</strong> crollo: la nuova società retrocede in Promozione<br />

con una classifica finale desolante: 15 punti in<br />

trenta partite (4 vittorie e 3 pareggi). Peggio non poteva<br />

festeggiare la ricorrenza del suo 75° anno di vita.<br />

Ad attenuare l’amarezza comprensib<strong>il</strong>e degli sportivi<br />

domesi giungono ora i risultati promettenti delle squadre<br />

allievi e femmin<strong>il</strong>e delle società “Azzurra VCO” sorta<br />

nel 2001 e che quest’anno è balzata in serie C, ma soprattutto<br />

della rinascita della squadra titolare allenata<br />

dal domese Oliva. Il rinnovato Valdossola è balzato nel<br />

dicembre 2004 in vetta alla classifica con la comprensib<strong>il</strong>e<br />

soddisfazione della Presidente Manuela Margaroli,<br />

dei dirigenti e tifosi.<br />

Queste le squadre ossolane in campo per <strong>il</strong> 2004-<br />

2005:<br />

Promozione: Valdossola, Gravellona, Mergozzo, Stresa;<br />

360<br />

1 a categoria: Virtus V<strong>il</strong>la, Varzese, Pro Vigezzo, Vogogna,<br />

Pievese, Omegna, Feriolo, Fondotoce;<br />

2 a categoria: Crevolese, Piedimulera, Ornavassese, Crodo,<br />

Fomarco, Montecrestese;<br />

3 a categoria: Beurese, Mergozzo, Cosasca.<br />

Dal 2002 <strong>il</strong> Dopolavoro Ferroviario Domese, oltre alle altre<br />

attività sportive, ha iniziato quella calcistica amatoriale<br />

per campionati CSI a 7; responsab<strong>il</strong>e Gaetano S<strong>il</strong>vestro.<br />

Ciclismo<br />

Nel 1946, grazie all’iniziativa di alcuni appassionati<br />

sportivi capeggiati dal noto tifoso Mars<strong>il</strong>io Scagliotti<br />

e Mario Durione, si costituisce la Soc. Ciclistica Pedale<br />

Ossolano.<br />

Si formano due società di maggior r<strong>il</strong>ievo: <strong>il</strong> G. Sportivo<br />

Rumianca, sorto attorno al 1920 e trasformatosi poi<br />

nel 1956 in G.S. Pievese , e la Soc. Ciclistica Pedale Ossolano,<br />

nata nel maggio 1946, la quale, dopo aver raggiunto<br />

fama e notorietà, è piombata in un periodo di<br />

letargo (causa anche le ristrettezze finanziarie) per riprendere<br />

in questi ultimi anni <strong>il</strong> cammino glorioso di<br />

un tempo. Dalle vecchie cronache si r<strong>il</strong>eva che <strong>il</strong> 29 ottobre<br />

1899 si svolsero due corse ciclistiche in Ossola:<br />

una a V<strong>il</strong>ladossola di 12 Km, vinta da Giuseppe Muzio<br />

di Domo e l’altra a Vogogna di 24 Km. vinta da un<br />

certo Broglia in 44 minuti. L’entusiasmo per la bicicletta<br />

portò negli anni seguenti alla nascita e alla scomparsa<br />

di società come la Forti e Veloci e Forza e Coraggio, entrambe<br />

di Domo, <strong>il</strong> G.S. Rumianca, la sezione dell’U.<br />

S. Juventus Domo ed infine <strong>il</strong> Pedale Ossolano, che esordì<br />

<strong>il</strong> 23 giugno 1946 con una gara per allievi di 70 km.<br />

Nel periodo 1952-1960 i dirigenti del Pedale Ossolano,<br />

oltre all’attività su strada, puntano anche a quella su<br />

“pista”. Adattano l’anello dello Stadio Curotti consentendo<br />

così lo svolgimento di riunioni che destano interesse<br />

in tutta la provincia per la presenza di campioni<br />

come Bartali, Coppi, Kubler, Koblet, Magni, Bev<strong>il</strong>acqua,<br />

ecc.<br />

Molti i giovani corridori ossolani che si mettono in<br />

luce in campo provinciale e regionale: due di essi, i fratelli<br />

Germano e Giuseppe Barale assurgono a fama nazionale<br />

e internazionale.<br />

Negli anni successivi al 1960, la società viene assorbita


Il giro d’<strong>It</strong>alia fa tappa in Ossola.<br />

dal G.S. Luoni di Somma Lombardo, finchè nel 1979<br />

presso <strong>il</strong> circolo Arci del Badulerio, un gruppo di 17<br />

appassionati, capitanati da Michele Pizzicoli, ridaranno<br />

vita al Pedale Ossolano, concentrando tutti gli sforzi<br />

ai giovani e ai giovanissimi che aumentano di anno in<br />

anno e fra questi emerge Florindo Barale (buon sangue<br />

non mente) che passa al professionismo in una società<br />

toscana. Il fiore all’occhiello arriva <strong>il</strong> 5 giugno 1985<br />

quando la società ossolana è chiamata alla organizzazione<br />

per ricevere a Domodossola <strong>il</strong> 68° Giro d’<strong>It</strong>alia, quale<br />

sede della diciottesima tappa da Monza.<br />

Sempre più intensa l’attività giovan<strong>il</strong>e dopo l’abbinamento<br />

nel 1987 con la denominazione Centro Arredamento<br />

<strong>il</strong> Quadrifoglio di Piedimulera. Nel 1988 i “giovanissimi”<br />

ottengono 31 vittorie, 36 secondi posti e 34<br />

terzi. Nel novembre 1993 a Pieve Vergonte nasce <strong>il</strong> G.S.<br />

VCO Ciclomania Barale. Alla fine del 2004, dopo sette<br />

anni di intenso lavoro, Serafino Molteni (succeduto<br />

a Michele Pizzicoli) lascia la presidenza della società ad<br />

un altro ossolano: Enzo Albanese, appassionato di ciclismo<br />

da molti anni, già vicepresidente e membro del<br />

Consiglio Direttivo.<br />

Sono molti i ragazzi che si appassionano alla bicicletta<br />

ed i risultati si moltiplicano: fra questi uno dei primi<br />

esempi del ciclismo al femmin<strong>il</strong>e nell’Ossola con Elena<br />

Boggio. Ben tre juniores ed un allievo si qualificano<br />

per i campionati italiani. Identico risultato per la<br />

squadra dei giovanissimi. Arriva nel 2003 la conquista<br />

del titolo regionale G3 da parte di Andrea Provera<br />

(anni 10) che ha spopolato e continua a farlo in ogni<br />

gara che lo vede sbaragliare tutti gli avversari: bastano<br />

a confermarlo <strong>il</strong> suo titolo regionale G3 e la valanga di<br />

medaglie d’oro conquistate ( 25 solo lo scorso anno!).<br />

Non a torto è stato definito <strong>il</strong> “fulmine del ciclismo”<br />

unitamente al fratello Marco (anni 12). Brava anche<br />

Elisa Lamborghini seconda ai campionati regionali. Altre<br />

società sono presenti, fra le quali la Soc. Unione Ciclistica<br />

Val d’Ossola, con sede a V<strong>il</strong>ladossola e con presidente<br />

da cinque anni Alberto Zanni, promotore della<br />

Gran Fondo con De Zan, la Soc. Team 2001, presidente<br />

<strong>il</strong> prof. Francesco Miguidi, ed a Masera la Domo Bike<br />

(presidente Renato Angioi) organizzatore della classica<br />

gara denominata “Stokalper”.<br />

Corsa in montagna<br />

Le società ossolane che si sono dedicate a queste attività<br />

sportive hanno visto lievitare di anno in anno <strong>il</strong> numero<br />

degli iscritti e le loro doti tecniche. Il G.S. Genzianella,<br />

<strong>il</strong> G.S. Alpini di Domodossola, <strong>il</strong> G.S. Bognanco,<br />

<strong>il</strong> San Domenico, <strong>il</strong> G.S. Valdivedro e la Soc. Caddese<br />

fondata nel 1978 e presieduta da Franco Trapani, subentrato<br />

a Mario Possetti, tuttora presidente onorario<br />

hanno preparato autentici campioni. Nell’ultimo decennio<br />

sono aumentate le società specialmente dedicate<br />

all’attività giovan<strong>il</strong>e masch<strong>il</strong>e e femmin<strong>il</strong>e annoverando<br />

sempre più praticanti, organizzando e partecipando<br />

a competizioni di r<strong>il</strong>ievo (campionati provinciali, regionali,<br />

nazionali, sia individuali che a squadre). In primo<br />

piano la sorprendente Nives Curti di Premia, campionessa<br />

italiana, europea e mondiale che tuttora colleziona<br />

allori nelle più importanti competizioni internazionali.<br />

Sono balzati ai primi posti nelle classifiche anche<br />

Severino Bernardini, pluricampione vincitore nel<br />

1990 in Austria della gara di cross corto (Km 9,8) per<br />

<strong>il</strong> titolo mondiale a squadre ed altri lusinghieri risultati<br />

fra i quali la maratona di Boston nel 1993 (8°posto)<br />

361


e secondo ai mondiali di maratona in Spagna e Claudio<br />

Galeazzi, campione italiano della specialità e pochi<br />

anni or sono, Andrea Zanoli, campione italiano a soli<br />

15 anni. L’attività della Caddese è concentrata sulla corsa<br />

in montagna, campestre e di strada, si è sempre aggiudicata<br />

<strong>il</strong> Memorial “Vecchietti”, <strong>il</strong> memorial “Giorgio<br />

Longa” (fondatore del G.S. Genzianella) come pure<br />

tutti i titoli di società in campo giovan<strong>il</strong>e dal 1993 ad<br />

oggi. Oltre 110 tesserati della società hanno salutato lo<br />

scorso anno un altro proprio campione italiano nella<br />

categoria “Promesse”: Roberto Piana di 22 anni e con<br />

lui la vittoria degli “Allievi” nella staffetta. Alloro anche<br />

per <strong>il</strong> G.S. Genzianella nel campionato regionale di allievi<br />

di staffetta a Chiomonte (To). Attive sul piano organizzativo<br />

di competizioni locali, di partecipazione ai<br />

campionati provinciali e regionali, le società ossolane<br />

svolgono una accurata preparazione dei giovani dediti<br />

a questa attività sportiva. I risultati confermano tuttora<br />

gli ottimi piazzamenti di alcuni fra i numerosi: Monica<br />

Bottinelli, Marco Rainelli, Renato Badini, Ivano Cartini,<br />

Moreno Nocera, ecc..<br />

Hockey<br />

Attività sportiva per <strong>il</strong> momento sv<strong>il</strong>uppatasi solo in<br />

zone ove risultano in attività l’Hockey Club Ossola “Tritagiash”<br />

che ha partecipato al campionato italiano a Genova,<br />

l’Hockey Club Vigezzo, Antrona, Premia, Macugnaga<br />

e la squadra del Dopolavoro Ferroviario (DLF),<br />

organizzatrice del torneo zonale nel 1995.<br />

Judo<br />

Questo sport sta diffondendosi fra i giovani e non più<br />

giovani (vedi karatè) con la frequenza nelle palestre di<br />

diversi Club di Judo (Libertas, V<strong>il</strong>la, Mergozzo, Valle Ossola,<br />

Crodo, Preglia e le società Samurai e Kodokan). I risultati<br />

conseguiti nei primi anni, hanno portato al conseguimento<br />

di parecchi titoli con ottime prestazioni dei<br />

partecipanti fra i quali Debora Dei Giudici (sesta alle finali<br />

nazionali), Giorgio Galvanico per la cintura nera I<br />

Dan, Roberto Zanalda, Moreno Petrulli (campione regionale<br />

di karatè), Arianna Rodoquino. Il Judo Club<br />

Domo nel 1994 si laurea campione provinciale per la seconda<br />

volta, mentre negli anni 2000-2004 parecchi sono<br />

gli appassionati che conseguono la cintura nera I Dan.<br />

362<br />

Lotta libera e greco - romana<br />

Prima e dopo la prima guerra mondiale (1918) alcuni<br />

praticanti preferivano recarsi all’estero ove questo sport<br />

richiamava un pubblico più numeroso.<br />

A Domodossola sia la lotta libera che quella greco-romana<br />

non tardarono a richiamare un numero di praticanti<br />

tanto da favorire la nascita di una società, la “Forti<br />

e Veloci” che organizzò anche un campionato ossolano<br />

di lotta greco-romana che laureò i primi campioni domesi:<br />

Alfredo Lusardi (pesi massimi) Maurizio Albertoni<br />

(pesi medi) ed Em<strong>il</strong>io Dell’Oro (pesi “minimi” così<br />

chiamati a quell’epoca).<br />

Motociclismo<br />

Nell’apr<strong>il</strong>e dl 1929 venne costituito a Domodossola <strong>il</strong><br />

Moto Club Ossola per interessamento di due appassionati,<br />

Alberto Meda<strong>il</strong> e Mario Guastini, incoraggiati dalle<br />

ottime prove sostenute nella gara svoltasi a Napoli fra<br />

le sezioni italiane del Dopolavoro. In quella circostanza<br />

Tranqu<strong>il</strong>lo Bovini (domese) conquistò <strong>il</strong> secondo posto<br />

nelle moto cat. 500 alla media di 73 Km. orari sul<br />

percorso di 123 Km. Negli anni dopo la seconda guerra<br />

mondiale questo sport si è diffuso grazie all’impianto<br />

“Felino Poscio” realizzato a V<strong>il</strong>ladossola (1964), primo<br />

in provincia di Novara. L’entusiasmo specialmente<br />

fra i giovani, favorisce l’incremento dei soci, fino a toccare,<br />

nel 1966 i 250 iscritti, che partecipano in parecchie<br />

gare anche fuori zona.<br />

Non tardano a primeggiare <strong>il</strong> “motocross e <strong>il</strong> “trial” con<br />

lusinghieri risultati ovunque per gli ossolani, che poi<br />

non esitano a dare vita al “Moto Club Domo 70” che,<br />

valorizza parecchi campioni, fra i quali Dan<strong>il</strong>o Galeazzi<br />

(campione italiano per parecchi anni), Giuliano Marini,<br />

Ettore Baldini, Antonio Amoretti .<br />

Entusiasmanti le prove annuali per i campionati italiani<br />

nel campo di Montecrestese, battezzato “Capitale<br />

del trial”. Si sono messi in luce conquistando titoli<br />

regionali e nazionali in questi ultimi anni i giovanissimi<br />

Dan<strong>il</strong>o Afri, Pierluigi Ronchi, Luca Cotone, Moreno<br />

Ramponi, Samuele Antonietti, Matteo Fantone, Fabio<br />

Lenzi, Alessio Dresco.<br />

Mountain bike<br />

Nel 1990, <strong>il</strong> 17 giugno, si svolse la prima edizione di


questo genere di sport: la Bognanco –Monscera di Km<br />

27, che non tardò ad aumentare gli appassionati e le<br />

competizioni.<br />

Nel 1994, Fabio Calvetti inizia la sua serie di vittorie<br />

aggiudicandosi la 3 a prova nel campionato Piemonte-<br />

Valle d’Aosta vincendo altri campionati regionali che<br />

vantano le affermazioni di nuovi atleti ossolani: Alessandro<br />

Peruzzo, Alessio Vincler, Matteo Crosa Lenz e,<br />

in questi ultimi anni (2001-2003) S<strong>il</strong>via Giovanna, Alberto<br />

Vesci, Matteo Caffi, Gianluca Comazzi, Stefano<br />

Rinaldi e Stefano Carminati.<br />

Nuoto<br />

In crescendo gli appassionati del nuoto nelle diverse categorie<br />

giovan<strong>il</strong>i non ancora molto pubblicizzate. Con<br />

la squadra del Dopolavoro Ferroviario (DFL) di Domodossola,<br />

svolge attività agonistica giovan<strong>il</strong>e anche la<br />

“Gymnuoto Domo”, sorta nel 2001, che non tarda ad<br />

annoverare parecchi giovani di ambo i sessi che si pongono<br />

in evidenza, fra questi Sabrina Giorgetti, domese,<br />

tesserata per la Cover Verbania che al meeting di Bergamo<br />

nella specialità “st<strong>il</strong>e libero” conquista la medaglia<br />

d’oro. Altre giovanissime nuotatrici colgono lusinghieri<br />

successi tra questi S<strong>il</strong>via Bertolami di Pieve Vergonte,<br />

10 anni, primeggia ai campionati regionali nel “farfalla,<br />

st<strong>il</strong>e libero e misti”.<br />

La domese Sabina Giorgetti al meeting di nuoto a Bergamo<br />

ha conquistato la medaglia d’oro nei 50 metri.<br />

Al nuoto dedicano particolari attenzioni i dirigenti della<br />

società GSH Sempione 82 di Pallanzeno, che nel 2003<br />

partecipa con 5 atleti (allenati da Mario Ferrari) al 3°<br />

Meeting Interregionale, svoltosi ad Omegna, aggiudicandosi<br />

3 medaglie d’oro, 2 d’argento e 2 di bronzo.<br />

Pallacanestro<br />

Uno sport che in passato aveva incontrato molte difficoltà<br />

per affermarsi. Nella zona, dopo diversi tentativi e<br />

brevi periodi di attività, alcune società sono scomparse<br />

come ad esempio <strong>il</strong> G.S. Rumianca, la Concordia Sportiva,<br />

V<strong>il</strong>ladossola, la Tecnigomma, La Negri Ford, l’U.S.<br />

Rosmini. A difendere i colori dell’Ossola è sorta la U.S.<br />

Basket Rosmini (Biemme), aff<strong>il</strong>iata alla Federazione Pallacanestro<br />

che rivolge i propri sforzi a tutte le categorie<br />

giovan<strong>il</strong>i con un centinaio di atleti dalla categoria Pul-<br />

cini agli Aqu<strong>il</strong>otti (minibasket), Esordienti, Allievi, Ragazzi,<br />

Cadetti, Juniores fino ai Seniores impegnati, questi<br />

ultimi, nel campionato di Promozione che li ha visti<br />

promossi al campionato nazionale C 1 al termine di<br />

una annata ricca di partite esaltanti. Una promozione<br />

che ha premiato gli sforzi del presidente Ennio Leonardi,<br />

che ha passato le redini dirigenziali a Matteo Zanni,<br />

affiancandolo come “onorario”. E’ la prima volta<br />

che in Ossola una squadra conquista la promozione in<br />

serie nazionale in questo sport. Al campionato promozione<br />

partecipa anche la neonata società Ossola Basket<br />

V<strong>il</strong>ladossola.<br />

Pallavolo<br />

Da parecchi anni questo sport va affermandosi anche<br />

nell’Ossola con squadre masch<strong>il</strong>i e femmin<strong>il</strong>i impegnate<br />

nei diversi campionati giovan<strong>il</strong>i con prestazioni<br />

di buon livello tecnico ed agonistico. Nel 1989 (ottobre)<br />

nasce la “Ossola Pallavolo”, con sede al Circolo Acli<br />

del Badulerio con presidente Daniele Ferrari e direttore<br />

sportivo Ubaldo Righetti. Non tarda a mettersi in luce<br />

<strong>il</strong> Dopolavoro Ferroviario (DLF) Domo per i piazzamenti<br />

lusinghieri delle proprie squadre giovan<strong>il</strong>i di ambo i sessi<br />

(oltre 120). Il presidente Giuseppe Mancuso, i suoi<br />

diretti collaboratori, gli allenatori Giovanni De Vito e<br />

Cuda seguono la metodica preparazione di tutte le categorie:<br />

Under 18, Allievi, etc. e una trentina di giovanissimi<br />

che stanno raggiungendo risultati incoraggianti.<br />

Esaltante la promozione in serie D conquistata dalla<br />

squadra masch<strong>il</strong>e Under 18 e quella in prima e seconda<br />

divisione dalla formazione femmin<strong>il</strong>e Under 17.<br />

Attualmente sono in attività le squadre Volley dei centri<br />

di Domodossola, Varzo, Preglia, Vogogna, Premia.<br />

Paracadutismo, freestyle e freefly<br />

La domese Gigliola Borgnis è la più giovane paracadutista<br />

italiana brevettata, avendo conseguito <strong>il</strong> brevetto<br />

di lancio a soli 16 anni. Nel 1998 con Marco Tiezzi sv<strong>il</strong>uppa<br />

una nuova tecnica di volo denominata “Atmonauti”,<br />

ovvero navigatori dell’atmosfera, riscuotendo<br />

grande consenso; questa disciplina viene introdotta nei<br />

regolamenti internazionali delle competizioni di freestyle<br />

e freefly. Dopo aver ottenuto successi in campionati<br />

nazionali, nel 2000 vince <strong>il</strong> Campionato Europeo<br />

363


di Freestyle e ottiene la medaglia d’argento alla Coppa<br />

del Mondo. Nel 2002 si riconferma campionessa europea<br />

di freestyle ed è medaglia di bronzo alla Coppa<br />

del Mondo. Prima e unica donna ad essere ammessa<br />

nell’ Xteam americano, Gigliola vince nel 2003 <strong>il</strong> primo<br />

premio della categoria Music/Video nel F<strong>il</strong>m Festival<br />

di Perris Valley, in California. Il medagliere di Gigliola<br />

comprende 8 medaglie d’oro, 6 d’argento e 3 di<br />

bronzo.<br />

Pesca<br />

Presieduta da Umberto Grossi svolge attualmente in<br />

Ossola una intensa attività allo scopo di gestire le acque<br />

e gli impianti sportivi di proprietà, in affitto o a qualunque<br />

titolo concessi. Si tratta dell’associazione denominata<br />

“Sezione Provinciale Pescatori del VCO”, che è praticamente<br />

la continuità di una associazione che ha scritto<br />

un pezzo di storia per quanto riguarda la gestione<br />

delle acque in Ossola, cioè l’AVMPO (Associazione Volontaria<br />

Pescatori Montanari Ossolani). Grazie alle inziative<br />

e al lavoro dei presidenti succedutisi con l’attivo<br />

e solerte segretario da parecchi anni Franco Gentinetta<br />

e con una numerosa schiera di tesserati che raggiunse<br />

anche le 4.000 unità. Ha sede a V<strong>il</strong>ladossola, in via<br />

Boccaccio n. 2. Il suo lavoro è quasi tutto basato sul volontariato<br />

attraverso <strong>il</strong> quale si sono tracciate alcune linee<br />

fondamentali per la gestione delle acque e per la valorizzazione<br />

della pesca sportiva come fenomeno sociale,<br />

in funzione della potenzialità del territorio.<br />

La Sezione Provinciale conta oltre 2.600 soci residenti<br />

nella provincia del VCO ed oltre 1.700 soci provenienti<br />

da altre province.<br />

All’interno dell’Associazione vi sono diversi settori con<br />

relative commissioni di gestione ed esattamente: Semine,<br />

Recuperi, Incubatoio, Vig<strong>il</strong>anza, Agonistica, per<br />

una attività promozionale ed amatoriale nel campo della<br />

pesca sportiva.<br />

Pug<strong>il</strong>ato<br />

Anche questo sport, dopo un inizio incoraggiante, ha<br />

avuto sempre vita breve e saltuaria.<br />

Per qualche anno un gruppo pug<strong>il</strong>istico organizzò in<br />

Domodossola alcuni incontri a livello provinciale e regionale,<br />

poi scomparve.<br />

364<br />

Pesca sportiva.<br />

Va ricordato in questa attività <strong>il</strong> vigezzino Vittoriano<br />

Femminis di Druogno, che arrivò a conquistare titolo<br />

di campione svizzero dei pesi welter d<strong>il</strong>ettanti.<br />

Scherma<br />

Casuale la nascita di questo sport e assai breve la sua<br />

durata. Verso <strong>il</strong> 1950 Nicola De Romita, un colonnello<br />

in pensione, decise di insegnare l’uso della sciabola<br />

ad un giovane suo vicino di casa, <strong>il</strong> quale, dopo la fine<br />

della guerra concretizzò la sua passione con altri amici<br />

formando un gruppo che battezzò “G.G. Galletti” con<br />

lo stemma composto da tre teste di gallo inf<strong>il</strong>ate da un<br />

fioretto con le creste che formavano le tre G (Gian Giacomo<br />

Galletti).<br />

Il gruppo prese parte anche ad alcuni campionati regionali,<br />

ma dopo una decina di anni si sciolse e di questo<br />

sport non si sentì più parlare nell’Ossola.<br />

A titolo di cronaca si ricorda che già in tempi più lontani<br />

(1895), una ristretta attività era svolta dalla società<br />

Ginnastica e Scherma guidata dal maestro Vincenzo<br />

Prandini.<br />

Sci<br />

Lo sci è stato, e rimane tuttora, lo sport che ha dato all’Ossola<br />

le migliori glorie in campo sportivo, non solo a<br />

livello nazionale, ma anche internazionale.


Centro del fondo in Valle Vigezzo.<br />

Culla dello sci ossolano è stata la valle Formazza. Si dice<br />

che nel 1909, tre turisti, forse svizzeri, saliti da Airolo<br />

attraverso <strong>il</strong> Passo San Giacomo, giunsero in Formazza<br />

e precisamente a Canza, calzando rudimentali sci. Un<br />

falegname formazzino, certo Guido Matli, vedendo la<br />

fac<strong>il</strong>ità con cui si poteva camminare sulla neve con quegli<br />

attrezzi, pensò bene di acquistarne un paio in Svizzera,<br />

quasi uguali, e con quel modello ne fabbricò altri in<br />

legno d’acero con uno zoccolo al centro e delle cinghie<br />

per tenere fermo <strong>il</strong> piede. Il parroco di Formazza, don<br />

Rocco Beltrami (che diverrà poi l’artefice delle future<br />

glorie formazzine) ebbe un’idea geniale: ordinò due<br />

paia di sci in Norvegia e quasi contemporaneamente Sisto<br />

Ferrera, figlio del maestro del paese, che si era arruolato<br />

negli alpini, tornando dal servizio m<strong>il</strong>itare iniziò a<br />

propagandare <strong>il</strong> nuovo sport che in altre zone d’<strong>It</strong>alia<br />

stava espandendosi. Lui stesso era divenuto un provetto<br />

sciatore saltatore. Il parroco si entusiasmò a questo<br />

sport e con un altro appassionato, certo Antonio Della<br />

Vedova, fondò lo Sci Club Formazza con 25 soci che<br />

pagavano cinque lire all’anno. Nel 1911 ai campionati<br />

m<strong>il</strong>itari internazionali svoltisi nei Pirenei arrivò primo<br />

Sisto Ferrera, seguito da Sebastiano Valci.<br />

Nel 1915 <strong>il</strong> Touring Club <strong>It</strong>aliano lancia l’iniziativa di<br />

una grande “Adunata degli Sciatori Valligiani” a Courmayeur.<br />

Alla prima, svoltasi a Courmayeur <strong>il</strong> 25 febbraio<br />

1915, parteciparono le squadre di molte zone<br />

alpine dell’alta <strong>It</strong>alia: la squadra di Formazza, formata<br />

da Ferrera Benigno, Ferrera Giuseppe, Imboden Sisto,<br />

Matli Domenico, Matli Efisio, giunse prima al traguardo<br />

con un quarto d’ora di vantaggio sulla seconda,<br />

quella di Bardonecchia. Nello stesso anno Ferrera<br />

Benigno si laurea in Valsassina campione italiano nella<br />

gara di fondo di 18 Km.<br />

Dopo la parentesi della prima guerra mondiale, la seconda<br />

“Valligiani” ebbe luogo nel 1920 in Val Gardena<br />

sempre sulla distanza dei 30 Km. Anche questa volta<br />

la squadra di Formazza giunge prima al traguardo<br />

con 21 minuti di vantaggio sulla squadra di Cortina<br />

d’Ampezzo.<br />

365


Per altre sei volte la squadra di Formazza vinse la “Valligiani”<br />

e precisamente negli anni 1922, 1923, 1926,<br />

1927, 1928 e 1932.<br />

Altri titoli italiani vennero conquistati nel 1922 e 1923<br />

da Ferrera Giuseppe e nel 1924 da Imboden Pio e, sempre<br />

nel 1924, quattro formazzini partecipano alle Olimpiadi<br />

di Chamonix. Nel 1929 Ach<strong>il</strong>le Bacher è campione<br />

italiano di fondo (18 km), nel 1936 Sc<strong>il</strong>ligo Sisto<br />

conquista l’alloro olimpico a Garmish e l’elenco dei successi<br />

è ancora lungo: nel 1950 Valci Em<strong>il</strong>io è campione<br />

italiano della massacrante 50 Km., nel 1959 e 1960 Bacher<br />

Mario è campione italiano juniores di combinata<br />

nordica e di fondo sui 10 km., nel 1952 Nino Anderlini<br />

partecipa alle Olimpiadi di Oslo e così pure Mario<br />

Bacher nel 1966.<br />

Numerosi Sci Club di vecchia data e molti quelli fondati<br />

in questi ultimi anni. Tra i più anziani lo Sci Club Bognanco<br />

(1920), lo Sci Club Divedro (1923) divenuto poi<br />

Sempione, lo Sci Club Monte Rosa (1924) che prende<br />

poi <strong>il</strong> nome di Macugnaga, lo Sci Club Vigezzo (1924)<br />

ed ultimamente altri, fra i quali lo Sci Club Domo Bianca,<br />

lo Sci Club Ossola 2000 e Trubi Ski Team Seven.<br />

Anche in tutti questi Sci Club non sono mancati sciatori<br />

che si sono conquistati notorietà in campo nazionale<br />

confermando le tradizioni sciistiche dell’Ossola.<br />

Nel 1936 Ettore Schranz partecipò ai Giochi Olimpici<br />

di Garmisch con la pattuglia m<strong>il</strong>itare italiana che vinse<br />

la medaglia d’oro; la notissima Roberta Schranz (Beba)<br />

per le sue doti di discesista nel 1970 venne chiamata a<br />

far parte della squadra italiana per la Coppa del Mondo;<br />

Ciocca Isolina campionessa nel 1953 in campo nazionale<br />

di fondo alle gare ENAL. Infine Walter Caffoni<br />

campione mondiale nel K.L. (ch<strong>il</strong>ometro lanciato).<br />

I bognanchesi Felice Darioli (campione italiano nella<br />

squadra di staffetta), <strong>il</strong> fratello Adriano, vincitore di ben<br />

sei titoli nazionali individuali e tre titoli pure nella staffetta.<br />

I vigezzini Gian Carlo Gubetta (della squadra nazionale<br />

fondisti), Oliviero Ramoni (di quella juniores),<br />

Leopoldo Comaita (discesista con la squadra nazionale<br />

ai mondiali del 1975). Molti giovani hanno vinto campionati<br />

giovan<strong>il</strong>i regionali e nazionali, facendo da contorno<br />

ai successi conseguiti dalla valanga di atleti ossolani<br />

nelle numerose gare che ogni anno si svolgono sui<br />

campi delle vallate adeguate alle esigenze degli atleti.<br />

366<br />

Dalla val Divedro Paolo Vairoli, Osvaldo Pletti, Dario<br />

Del Pedro e Marco Giovanna campioni juniores.<br />

Parecchi ossolani fanno parte delle squadre nazionali<br />

m<strong>il</strong>itari di sci dell’Esercito, delle Fiamme Gialle, dei<br />

Carabinieri, della Polizia.<br />

Particolare risonanza ha avuto dopo <strong>il</strong> 1980 la costituzione<br />

dello Sci Club Valdossola, sotto l’egida della Comunità<br />

Montana Valle Ossola, allo scopo di raggruppare<br />

in una unica squadra di ambo i sessi i migliori atleti<br />

di ogni Sci Club.<br />

Fra i numerosi campioni italiani ossolani negli ultimi<br />

anni ne citiamo alcuni: Adriano Darioli e Michele Vairoli<br />

nel 1985; Walter Caffoni nel 1988 per la terza volta<br />

campione italiano di slalom gigante. Autentica promessa<br />

è Maurizio Feller, secondo ai mondiali juniores<br />

nel super G e convocato nella squadra nazionale B. A<br />

grandi passi è emersa sulla scena mondiale la punta di<br />

diamante dello sci ossolano: Guidina Dal Sasso di Ornavasso,<br />

pluricampionessa, vincitrice di tre Olimpiadi e<br />

campionessa mondiale di ski-roll.<br />

Da qualche anno nell’alta val Formazza si svolge <strong>il</strong> campionato<br />

italiano di motoslitte, organizzato dal Moto<br />

Club Val Formazza. Lungo sarebbe l’elenco dei vincitori<br />

di titoli regionali, nazionali e mondiali. Attorno alla<br />

schiera di campioni, consistente è la massa degli appassionati<br />

a questo sport, confermato dal successo ottenuto<br />

dalle Scuole di Sci svoltesi per anni in Formazza, con<br />

direttore la guida di prima classe S<strong>il</strong>vio Borsetti, coadiuvato<br />

dalle guide Stefano Zani e Dino Del Custode.<br />

Una particolare citazione merita <strong>il</strong> successo conseguito recentemente<br />

dal Lions Club Domese a Bormio, al campionato<br />

italiano al quale parteciparono una cinquantina di<br />

Club da tutta <strong>It</strong>alia. Quello di Domodossola si è classificato<br />

al secondo posto dietro quello di Bormio. Nelle categorie<br />

“giovani” si sono affermati Tommaso Falcioni, nella categoria<br />

donne seconda Daniela Possa e in quella per i soci,<br />

ottimi piazzamenti di Falcioni, Falciola, Crugnola, Galli,<br />

Grossi, Zanaria, V<strong>il</strong>lani, Brizio, Siena, Verdi, Fornaroli.<br />

Per la prima volta nella sua storia <strong>il</strong> Club domese ha conquistato<br />

un prestigioso trofeo.<br />

Fra le molte iniziative realizzate dai Club ossolani, va<br />

citata la “Sgamelà ‘d Vigezz” di 25 Km a tecnica libera<br />

sulle nevi delle piste di S. Maria Maggiore, che si ripete<br />

dal 1999.


Il fiore all’occhiello dello sci in Ossola da qualche anno<br />

è Massim<strong>il</strong>iano Blardone, campione nella squadra nazionale<br />

italiana, detentore di br<strong>il</strong>lanti risultati nelle discese<br />

sulle piste mondiali.<br />

Sollevamento Pesi<br />

Nel periodo ante guerra mondiale qualche disciplina<br />

annoverò alcuni appassionati in zona, fra questi va ricordato<br />

Andrea Borgnis, vigezzino, residente a Prestinone<br />

(Craveggia) che arrivò a conquistare <strong>il</strong> titolo di<br />

campione italiano sollevamento pesi massimi - leggeri<br />

per ben sette anni consecutivi; primatista italiano della<br />

categorie prese parte ai campionati europei, mondiali<br />

e alle Olimpiadi. Nel maggio 1986 si svolse a Formazza<br />

una gara di sollevamento per <strong>il</strong> trofeo memorial<br />

Borgnis.<br />

Tennistavolo<br />

Il tennistavolo nell’Ossola, strutturalmente, nasce ufficialmente<br />

<strong>il</strong> 2 gennaio 1977, con la fondazione dell’A.S.<br />

Arci UISP La Lucciola di V<strong>il</strong>ladossola, grazie all’iniziativa<br />

di due appassionati a questo sport: Stefano Mura e<br />

Bruno Colusso. Successivamente trasformata in Tennis<br />

Tavolo Domodossola, si è fusa con <strong>il</strong> Tennis Tavolo Piedimulera<br />

(sorto nel frattempo) <strong>il</strong> 1° gennaio 1982, per assumere<br />

definitivamente la denominazione di Tennis Tavolo<br />

Ossola 2000 Domodossola, <strong>il</strong> 4 gennaio 1986.<br />

Rimasto da solo nella conduzione del T.T. Ossola 2000,<br />

<strong>il</strong> presidente Stefano Mura segue con particolare cura la<br />

formazione giovan<strong>il</strong>e, giovani che col tempo diventeranno<br />

l’ossatura delle squadre partecipanti ai vari campionati<br />

ed ai tornei individuali.<br />

Nei campionati a squadre <strong>il</strong> T.T. Ossola 2000, riesce<br />

nell’intento di raggiungere i vertici nazionali fino alla<br />

serie A1 nel 1995 (campionato al quale poi rinuncia<br />

per motivi finanziari), disputando per tre anni di seguito,<br />

dal 1994 al 1997, <strong>il</strong> campionato di serie A2 e successivamente<br />

nel 2003/2004. Alla fine di questo campionato<br />

<strong>il</strong> T.T. Ossola 2000 è costretto, sempre per motivi<br />

finanziari, a cedere <strong>il</strong> diritto di partecipazione alla serie<br />

A2, ridimensionando le proprie velleità, continuando<br />

comunque l’attività nei campionati minori.<br />

In 27 anni di attività gli atleti del T.T. Ossola 2000 hanno<br />

vinto 277 tornei, dei quali: 13 internazionali, 25<br />

tornei a squadre e 38 campionati a squadre. Ai campionati<br />

italiani hanno conquistato: 8 medaglie d’oro, 3<br />

d’argento e 4 di bronzo.<br />

Nel 1998 <strong>il</strong> T.T. Ossola 2000 viene insignito dalla F.I.T.<br />

e T. della medaglia di bronzo al merito sportivo e, nel<br />

2001, <strong>il</strong> C.O.N.I. assegna al Presidente Stefano Mura la<br />

“Stella d’argento al merito sportivo”.<br />

Tiro a segno<br />

La sistemazione di una parte del vecchio poligono al<br />

rione Badulerio per interessamento di un gruppo di appassionati<br />

al tiro a segno, ha riacceso la passione per<br />

questo sport in molti giovani e non più giovani.<br />

Già nel maggio 1927 a Roma per le gare nazionali di<br />

tiro a segno, la squadra ossolana si comporta assai bene:<br />

su 4.000 iscritti, <strong>il</strong> caposquadra ing. Mario Dell’Angelo<br />

si piazzò al 37° posto, Gustavo Croppi al 39° ed Ettore<br />

Canuti al 43°.<br />

La partecipazione a competizioni regionali e nazionali<br />

hanno rafforzato gli sforzi dei dirigenti soprattutto nei<br />

riguardi dei giovani. Nel 1996 i tiratori ossolani conquistano<br />

a Legnano <strong>il</strong> primo posto nella specialità donne<br />

pistola e carabina a 10 metri, Lucia Piazzi accede<br />

alla finale Coppa <strong>It</strong>alia; a Bra nei Giochi della Gioventù<br />

per “giovanissimi” con Simone Boxler (Macugnaga),<br />

Moreno Ribecchi (Varzo). I successi vanno di pari passo<br />

con l’entusiasmo degli ossolani: 2000 ragazzi nel dicembre<br />

2000 provenienti da tutta l’<strong>It</strong>alia si affrontano<br />

al poligono di Brescia per <strong>il</strong> trofeo Regioni e Campionati<br />

<strong>It</strong>aliani. Fra i rappresentanti del Piemonte, quattro<br />

giovani tiratori dell’Ossola: Maurizio Ravasio (già<br />

vincitore del Campionato Regionale Giovan<strong>il</strong>e), Alessio<br />

Valent, Fabrizio Munegato e Moreno Rebecchi.<br />

Aumentano gli iscritti: 80 in Ossola (80 m<strong>il</strong>a a M<strong>il</strong>ano):<br />

4 giorni di gare a Biella e successo del Tiro a Segno<br />

Domo al primo posto con 8552 punti.<br />

367


Finito di stampare nel mese di apr<strong>il</strong>e 2005<br />

dalla Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli s.n.c.<br />

di Ornavasso (VB)

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