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Economia e sviluppo industriale

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<strong>Economia</strong> e <strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong><br />

Umberto Chiaramonte e Sergio Lucchini<br />

Premessa<br />

Nel ricostruire la storia della Val d’Ossola alcuni autori<br />

hanno messo in rilievo l’esistenza di attività lavorative<br />

di un certo spessore sin dai tempi più remoti. Basandosi<br />

su documenti scritti o su ritrovamenti archeologici,<br />

l’Ossola è stata descritta come una regione di antichissima<br />

tradizione mineraria di ferro, di oro, di cave di pietra<br />

e marmo e di acque minerali. In altra parte di questo<br />

volume si potranno trovare i riferimenti di quanto qui<br />

si va dicendo, tenendo conto che c’è disparità di vedute<br />

sulla datazione di questo sfruttamento minerario. 1<br />

L’esistenza sin dai tempi antichi di un gran numero di<br />

ruote idrauliche ad asse orizzontale, dimostra che nel<br />

territorio furono attivi magli, seghe per la lavorazione<br />

del legname, mantici per forni fusori e mulini per la<br />

macinazione di cereali, grazie ai numerosi corsi d’acqua<br />

della regione. Certamente nel XVII secolo queste attività<br />

erano molto elevate per numero. 2 Accanto ad esse,<br />

il sistema agricolo ossolano risentiva di una perenne staticità<br />

dovuta a oggettivi limiti posti dalla morfologia del<br />

territorio montano e dalla chiusura ad ogni innovazione.<br />

Se l’allevamento del bestiame, accanto al patrimonio<br />

boschivo, costituì per secoli una fonte di reddito,<br />

non sempre esso ebbe un impulso adeguato.<br />

Resta da sciogliere il nodo della mancata affermazione<br />

della sericoltura con la coltivazione del gelso per i bachi<br />

da seta, che in Piemonte e nella confinante Lombardia<br />

era stata causa dell’impulso economico. È certo che le<br />

ragioni del mancato <strong>sviluppo</strong> agrario ossolano siano da<br />

ricercare anche nella scarsa disponibilità di capitali dei<br />

quali, in una zona montana, impervia e irrigua, occorreva<br />

una discreta quantità per le anticipazioni fondiarie.<br />

Gli investimenti degli agricoltori si erano limitati sempre<br />

alla costruzione delle abitazioni, delle stalle e ad alcuni<br />

indispensabili arnesi da lavoro, mentre mancarono<br />

i lavori di arginatura dei fiumi e la scelta qualitativa per<br />

la riproduzione dei capi di bestiame. 3<br />

A ragion veduta si può parlare di un lungo periodo caratterizzato<br />

da una arretratezza economica che trovava<br />

qualche attenuazione soltanto nella emigrazione verso<br />

i paesi europei più vicini (Francia e Svizzera). Eppure<br />

la Val d’Ossola possedeva alcune risorse naturali che<br />

avrebbero potuto consentire uno <strong>sviluppo</strong> ancora impensabile<br />

se a quanto si è detto si aggiungono altri fattori:<br />

l’essere al confine con la Svizzera e trovarsi sulla direttrice<br />

di traffici commerciali legali alla Lombardia e al<br />

Piemonte; poter contare su una mano d’opera che da<br />

secoli aveva avuto una tradizione nella lavorazione del<br />

ferro e dell’oro.<br />

Ragioni di spazio non consentono di presentare un<br />

quadro sintetico della dinamica dello <strong>sviluppo</strong> ossolano<br />

dall’antichità in poi, per cui tralascerò il lungo periodo<br />

caratterizzato dalla stagnazione e dalla arretratezza<br />

e mi soffermerò sugli ultimi cento anni di storia nazionale,<br />

quelli che coincidono con il «decollo <strong>industriale</strong>»<br />

del Paese.<br />

I «prerequisiti» dello <strong>sviluppo</strong><br />

Preliminarmente è bene dire che è difficile collocare con<br />

precisione il periodo in cui ci fu il passaggio dalla forma<br />

artigianale a quella che Franklin Mendels ha definito<br />

protoindustria. Con la dovuta cautela e con l’accortezza<br />

che ogni territorio ha storia e situazioni singolari,<br />

si potrebbe utilizzare il modello studiato da Maths Isacson<br />

e Lars Magnusson per la parrocchia di Mora (Svezia).<br />

Come in quel territorio così in Val d’Ossola si poteva<br />

ritrovare la presenza centenaria di attività artigianali,<br />

la lavorazione del ferro, un progressivo, anche se lento,<br />

incremento demografico, un’agricoltura assai povera<br />

con piccoli appezzamenti e molti eredi. 4<br />

267


A ben guardare, le attività minerarie nel nostro caso erano<br />

ancora più accentuate se alle già citate si aggiungono<br />

le risorse idrauliche che con lo sfruttamento per l’energia<br />

elettrica diverranno un altro punto di forza per lo<br />

<strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong>. Diciamo che il salto di qualità cominciò<br />

ad aversi con l’affermarsi di alcune idee innovative<br />

da parte della borghesia di recente formazione che<br />

aveva accumulato capitali ed esperienze nell’emigrazione<br />

o nella proprietà boschiva. Entrarono allora nell’Ossola<br />

capitali freschi che si trasformarono in lavori edili,<br />

in scuole e chiese, ma anche in nuove risorse finanziarie<br />

per le ricerche minerarie.<br />

Alla fine del ‘700, grazie all’intraprendenza di Pietro<br />

Maria Ceretti, si verificò una decisiva svolta nell’economia<br />

locale quando fu costituita la prima società e fu<br />

fondato il primo stabilimento per la lavorazione della<br />

ghisa in un forno di Viganella, alimentato dal carbone a<br />

legna. A quell’esperienza, continuata e migliorata negli<br />

anni successivi, noi possiamo attribuire quel ruolo decisivo<br />

che lo storico Luciano Cafagna ha definito partenza<br />

da lontano dell’industrializzazione italiana. Il Ceretti<br />

è senz’altro da annoverare tra quegli imprenditori che<br />

nella storia d’Italia sono stati visti come gli artefici della<br />

modernizzazione del nostro paese 5 .<br />

Non è compito mio definire qui il profilo imprenditoriale<br />

del Ceretti (cosa che non coincide soltanto con<br />

la ricostruzione delle vicende della sua fabbrica, come<br />

è stato finora tentato), ma si deve sottolineare che uno<br />

dei suoi meriti fu quello di poter contare su capitali personali<br />

e su una dose cospicua di rischio. La sua azione<br />

non va decontestualizzata dalla schiera di imprenditori<br />

lombardi e piemontesi che si misero alla testa di attività<br />

acquisendo con tenacia una cultura <strong>industriale</strong> mediante<br />

contatti ricercati e voluti, specie del Milanese. A lui si<br />

deve quella prima mano di vernice <strong>industriale</strong> che certamente<br />

non fu di rilevanti proporzioni perché non si collegò<br />

ai circuiti nazionali ed europei, ma costituì il tessuto<br />

che proveniva inevitabilmente da lontano. 6<br />

Il merito della P.M. Ceretti fu quello di essere la prima<br />

esperienza di fabbrica e di stimolare l’estrazione del minerale<br />

ferroso ossolano, lo studio e l’adozione di nuovi<br />

metodi di lavorazione della ghisa, oltre a far scoprire<br />

l’immensa ricchezza di energia a portata di mano: i boschi<br />

e le acque. Ma si trattò sempre di produzioni ridot-<br />

268<br />

te che fino all’Unità nazionale avevano avuto un mercato<br />

locale nel contesto della siderurgia dell’area alpina.<br />

Anche le miniere d’oro erano state esercitate da famiglie<br />

ricche delle valli con una discreta quantità di mano<br />

d’opera, ma senza ambizioni industrialiste. 7<br />

L’attività estrattiva delle cave di marmo, che lavorarono<br />

molto, se non esclusivamente, per la Fabbrica del<br />

Duomo di Milano (cave di Candoglia), o della Certosa<br />

di Pavia (cave di Crevoladossola) e del Duomo di Pavia<br />

(cave di Ornavasso), era una vera e propria protoindustria<br />

che diede lavoro a centinaia di cavatori e scalpellini.<br />

Il sistema di conduzione sarebbe da sottoporre a verifica<br />

storica per accertare la presenza di forme precapitalistiche<br />

nell’organizzazione del lavoro.<br />

In sostanza, questa caratteristica continuò a manifestarsi<br />

anche a cavallo dell’unità d’Italia e fino alla fine dell’Ottocento<br />

quando si realizzarono le condizioni che<br />

consentirono la rivalutazione delle risorse naturali locali.<br />

Nel 1861, con l’Esposizione universale di Parigi, la<br />

Val d’Ossola mise in mostra i prodotti delle sue miniere<br />

aurifere. Nel 1863, da sola, essa produsse kg 125,401<br />

d’oro, per un valore complessivo di £. 236.331, dando<br />

lavoro a 80 operai che poterono contare su 23.500 lire<br />

di salari; ma per il resto la produzione ossolana rimaneva<br />

di tipo artigianale. Nel 1875 l’Ossola partecipò all’Esposizione<br />

regionale di Novara con prodotti che fotografavano<br />

uno stato complessivo di arretratezza: pece<br />

prodotta a Trasquera, fruste a Villadossola, rastrelli a<br />

Crodo, cannelle e ferri agricoli a Domodossola. Eppure,<br />

i 31 espositori ossolani presentarono oltre 60 specie<br />

di manufatti dimostrando che era possibile avviare nuove<br />

prove e studii 8 .<br />

Ma già con il 1881 all’Esposizione nazionale di Milano<br />

la qualità del lavoro ossolano venne messa in rilievo: vi<br />

comparvero i prodotti delle cave e delle miniere, laverie<br />

e mulini per minerali, campioni di rame e di piombo<br />

argentifero, amianto, cristalli e oro. Accanto ad altre<br />

produzioni di tipo artigianale, fu presentata la lavorazione<br />

del ferro dello stabilimento della P.M. Ceretti<br />

che, nello stesso anno, aveva prodotto 460 t di ghisa.<br />

All’Esposizione nazionale di Torino nel 1884 l’Ossola<br />

e la sua produzione confermarono l’attivismo di un<br />

ceto produttivo che aspirava a migliorare e a estendere<br />

la tipologia della produzione, anche se non fu presen-


tato nulla di straordinario e di nuovo, ma certamente si<br />

trattò di una presenza che faceva sperare per la volontà<br />

di misurare le proprie energie con i 14.237 espositori<br />

con più vasta esperienza. Il risultato immediato lo si<br />

ebbe con il progetto di organizzare una Mostra ossolana<br />

nel 1895 che subì rinvii e non andò in porto per varie<br />

ragioni, ma i comitati cittadini che venivano eletti<br />

per queste esposizioni e l’interesse tra i produttori erano<br />

segnali precisi di una mentalità e di una realtà in movimento,<br />

necessarie per creare i presupposti dello <strong>sviluppo</strong><br />

economico. Non a caso l’Ossola partecipò a tutte le<br />

Esposizioni regionali e nazionali che si organizzarono<br />

dopo l’Unità nazionale.<br />

Se, dunque, non si possono trascurare da parte dello<br />

storico queste tappe di lento avvicinamento al vero e<br />

proprio <strong>sviluppo</strong> economico, se non si deve trascurare<br />

la presenza di un ceto attivo e stimolatore del progresso,<br />

occorre anche affermare che il fattore decisivo che avviò<br />

nel territorio il take off (decollo) <strong>industriale</strong>, va ricercato<br />

nelle infrastrutture ferroviarie, a partire da quella progettata<br />

dal parlamento subalpino sin dal 1857, con l’obiettivo<br />

di collegare Domodossola con Arona, sul lago<br />

Maggiore, dove terminava il troncone che collegava il<br />

lago a Torino.<br />

Di fatto l’Ossola fu al centro di un lungo e approfondito<br />

dibattito tecnico e politico sulla necessità di collegare<br />

l’Italia all’Europa attraverso i trafori delle Alpi. Una<br />

ricca bibliografia documenta la vastità e la versatilità di<br />

questo dibattito nel quale si inserirono politici, intellettuali<br />

e tecnici di grande livello. L’Ossola si trovò al<br />

centro di questa attenzione per le evidenti implicazioni<br />

di carattere economico che ne avrebbe avuto. Vegezzi<br />

Ruscalla, nel farsi paladino di un collegamento ferroviario<br />

attraverso la Val d’Ossola, scriveva: Fate una strada<br />

ferrata e l’Ossola vedrà sorgere fabbriche ed usine, perché<br />

i bassi prezzi dei salari e le costruzioni poco dispendiose<br />

vi chiameranno i capitali degli imprenditori d’industrie<br />

9 .Il Ruscalla, anche se le sue argomentazioni e<br />

il suo progetto per un tronco ferroviario Arona-Domodossola<br />

in quel periodo non trovarono ascolto, e anche<br />

se alla base del suo ragionamento si poteva cogliere il vizio<br />

di una visione «colonialista» della Valle, fu un facile<br />

profeta. La vaporiera arrivò a Domodossola il 19 settembre<br />

1888, molto in ritardo rispetto ai progetti po-<br />

litici e al dibattito; e vi arrivò da Novara-Borgomanero<br />

anziché, come avrebbero preferito i milanesi, da Milano-Arona.<br />

Non mancarono le perplessità di chi denunciava<br />

che si erano preferiti gli interessi genovesi e torinesi<br />

a quelli lombardi-milanesi, se non altro per collegare<br />

quell’area siderurgica padana che s’apprestava a svolgere<br />

un ruolo cardine nell’ossatura dell’industrializzazione<br />

a nord di Milano.<br />

La rivincita i milanesi se la presero dieci anni dopo<br />

quando, il 1 agosto 1898 dal versante svizzero e il 16<br />

agosto da quello italiano, iniziarono i lavori di scavo<br />

per il traforo del Sempione che richiese anch’esso lunghi<br />

studi e defatiganti dibattiti. Esso costituì non solo<br />

una tappa nella politica dei trafori alpini, ma fu anche<br />

il trionfo della tecnologia del Politecnico di Zurigo dal<br />

quale provenivano i dirigenti dei lavori e degli accorgimenti<br />

tecnico-sanitari che evitarono o ridussero gli incidenti,<br />

pur aumentando i ritmi di avanzamento. Con<br />

il traforo, aperto nel maggio 1906, fu realizzata la ferrovia<br />

Arona-Domodossola e fu collegata questa città con<br />

il confine svizzero realizzando il sogno milanese di accorciare<br />

le distanze con Ginevra e Parigi.<br />

Era appena stato iniziato il traforo del Sempione quando<br />

in Val d’Ossola, il 19 ottobre 1898, i sindaci dei<br />

16 Comuni della Valle Vigezzo costituirono un comitato<br />

per promuovere un collegamento ferroviario internazionale<br />

tra Domodossola, Vigezzo e Locarno. Il progetto,<br />

al quale parteciparono italiani e svizzeri, fu visto<br />

nel quadro di un più ampio rosone di collegamenti ferroviari,<br />

in particolare esso avrebbe collegato il Sempione<br />

al Gottardo raggiungibile da Locarno. Ma dai primi<br />

progetti all’inizio dei lavori, nel 1912, e all’attraversamento<br />

della Valle della prima locomotiva, nel novembre<br />

1923, trascorsero molti anni di discussioni, relazioni,<br />

ricerca di capitali e di adesioni ministeriali.<br />

La ferrovia divenne, nell’immaginario collettivo, ma<br />

prima ancora della classe dirigente locale, la materializzazione<br />

del progresso tecnico e il simbolo della possibile<br />

industrializzazione. Nel 1908 la stampa diede notizia<br />

di un collegamento ferroviario a trazione elettrica<br />

tra Domodossola e la cascata del fiume Toce; nel 1910<br />

si ideò la ferrovia della Valle Anzasca, terra mineraria di<br />

antica tradizione, con lo scopo di raccordare Gornergrat<br />

e Zermatt e la Valle di Saas attraverso il passo del<br />

269


monte Moro, con Gletsh e la Furka, mentre nel versante<br />

italiano si sarebbe collegata Domodossola al Gottardo<br />

e alla Valle Formazza. Per queste linee si ipotizzavano<br />

un flusso turistico di almeno 100.000 persone e<br />

entrate per complessive 1.036.000 lire comprese alcune<br />

iniziative alberghiere. Dello stesso tenore era il progetto<br />

di una linea che avrebbe collegato Domodossola<br />

e la Svizzera attraverso le valli Antigorio e Formazza nel<br />

quadro di un accesissimo dibattito sullo Spluga e sulla<br />

Greina, con il vantaggio, secondo i progettisti, di costare<br />

otto volte meno di questi.<br />

Se una caratteristica va evidenziata, di sicuro occorre<br />

dire che la classe politica locale, sostenuta dai tecnici<br />

e dalla borghesia, prese parte attiva alla progettazione<br />

e al reperimento dei capitali per sostenere progetti che<br />

poi non si poterono realizzare. Parlarne costituisce un<br />

modo per evidenziare una mentalità che si era aperta<br />

al nuovo e al rischio con la partecipazione di piccoli risparmiatori<br />

e società che si andarono costituendo nel<br />

territorio. Ed è anche opportuno riflettere come si andò<br />

modificando la mentalità con il farsi strada, in ampi<br />

strati anche popolari, dell’idea di una diversa concezione<br />

dell’«industria del forestiero», come veniva chiamata<br />

allora l’industria turistica. In altre parole, si andò radicando<br />

una nuova opportunità della modernizzazione<br />

data dal turismo, senza alcun dubbio sulla scia dell’esperienza<br />

della vicina Svizzera.<br />

Il «decollo» <strong>industriale</strong><br />

Non vi possono essere dubbi sul fatto che il «caso Ossola»<br />

si inserisce in modo paradigmatico tra i modelli dello<br />

<strong>sviluppo</strong> economico che storici ed economisti hanno<br />

studiato. Secondo i tre indici della produzione, elaborati<br />

da Gerschenkron, da Fenoaltea e dall’Istat, che<br />

collocano al 1896-1908 il momento più alto della crescita<br />

<strong>industriale</strong>, lo <strong>sviluppo</strong> sarebbe caratterizzato da<br />

fasi cicliche di un unico processo iniziato alla fine degli<br />

anni 1870 per i primi due, mentre si potrebbe parlare<br />

di un decollo <strong>industriale</strong> avvenuto a cavallo del secolo per<br />

l’Istat. 10 Gli storici economici oggi propendono più per<br />

un modello «ciclico» con fasi alterne; per l’Ossola si può<br />

parlare di un vero e proprio «decollo» verificatosi attorno<br />

al 1888-1906 quando si ebbero le infrastrutture ferroviarie<br />

e quindi si ampliarono gli impianti, arrivarono<br />

270<br />

i capitali, s’incrementarono produzione, livelli occupazionali<br />

e popolazione in percentuali di gran lunga superiori<br />

ai periodi precedenti.<br />

In che misura, allora, le infrastrutture ferroviarie costituirono,<br />

come era stato detto all’inizio, un «prerequisito»<br />

per l’industrializzazione ossolana?<br />

Si è visto come di per sé la realizzazione della rete ferroviaria<br />

ossolana costituì la prima forma di modernizzazione<br />

o, meglio, di industrializzazione se a questo<br />

termine riconosciamo un sinonimo di crescita economica<br />

sostenuta. 11 Se concordiamo con Wrigley, l’industrializzazione<br />

si verifica quando il reddito reale per<br />

abitante comincia ad aumentare regolarmente e senza limite<br />

apparente e ciò in relazione con cambiamenti importanti<br />

e continui nella tecnologia, fra i quali l’utilizzazione<br />

di nuove fonti energetiche.<br />

Che l’industrializzazione ossolana cominci nei periodo<br />

della realizzazione delle ferrovie lo si può dimostrare attraverso<br />

una breve analisi dei più importanti fatti economici.<br />

Per cominciare, si pensi che dalla Pietro Maria<br />

Ceretti nel 1892, subito dopo la prima realizzazione<br />

ferroviaria, si costituì la Fratelli Vittore ed Enrico Ceretti<br />

per bulloneria, con un capitale iniziale minimo di<br />

appena 40.000 lire. Come spiegare una scissione «familiare»<br />

nel momento in cui si realizzavano le concentrazioni<br />

di complessi più agguerriti? Certamente influirono<br />

alcune incomprensioni e divergenze sulla politica<br />

aziendale nella siderurgia ossolana e non è da escludere<br />

che non fosse condiviso l’isolamento scelto dalla P.M.<br />

Ceretti di fronte alla creazione del «Sindacato del ferro»<br />

che in seguito diede vita alla «Agenzia commissionaria<br />

metallurgica», con sede a Firenze, con l’obiettivo di razionalizzare<br />

vendite e specializzazioni siderurgiche.<br />

Ma la costruzione del Sempione aveva già fatto modificare<br />

la mentalità aziendalista delle due imprese siderurgiche:<br />

nel 1899 la Ceretti costruì un impianto idroelettrico<br />

di 400 hp sfruttando il fiume Ovesca, e lo stesso<br />

indirizzo di privilegiare l’energia elettrica lo ebbero Vittore<br />

ed Enrico Ceretti. Le innovazioni introdotte determinarono<br />

un incremento di produzione di ghisa, di<br />

ferro omogeneo, di verghe e vergella, di bulloni e viti<br />

consentendo alle due imprese di partecipare alle commesse<br />

per la costruzione della linea Arona-Domodossola-Iselle<br />

(confine) e per il traforo del Sempione. E fu


questo che convinse l’industria siderurgica ossolana a<br />

rivedere la politica <strong>industriale</strong> per arginare la concorrenza.<br />

In Italia il «cartello» siderurgico si andava rafforzando<br />

vistosamente con la creazione di un trust e con la nascita<br />

della società Ilva ed in questo contesto di concentrazioni<br />

industriali andava inserito il progetto di un Consorzio<br />

siderurgico che fu ideato tra la P.M. Ceretti e la<br />

Fratelli Ceretti nel 1906. 12<br />

L’intento della famiglia Ceretti era quello di riunire le<br />

loro aziende e formare un unico grandioso stabilimento<br />

colla costituzione di una società anonima col capitale di £<br />

2.500.000. Scopo precipuo [... era] dare incremento alla<br />

produzione rispettiva attese le circostanze tutte sia riguardanti<br />

i rispettivi Enti industriali, sia dipendenti del mercato<br />

siderurgico, eccezionalmente favorevole...”<br />

Insieme le due aziende aspiravano ad un ruolo più dinamico<br />

all’interno della siderurgia nazionale dell’area padana-milanese<br />

(in particolare delle Acciaierie e Ferriere<br />

Lombarde, delle molteplici attività sviluppate dai Falk,<br />

dai Vanzetti, dai Fratelli Redaelli) che doveva reggere la<br />

forte concorrenza della siderurgia tirrenica (Piombino)<br />

Stabilimento Pietro Maria Ceretti, nei primi ’900.<br />

e ligure che aveva il vantaggio di godere di forti legami<br />

con le commesse statali ed una forte tendenza a sottrarsi<br />

alle leggi della concorrenza. 14 La società dei Fratelli Ceretti,<br />

con l’apporto di nuovi capitali affluiti dalle Officine<br />

Reggiane, si trasformò — alla fine del 1906 — in<br />

Società anonima La Metallurgica Ossolana approntando<br />

una nuova acciaieria su un terreno di 30.000 mq;<br />

l’antica P.M. Ceretti si trasformò anch’essa in Società<br />

anon. Industriale P.M. Ceretti per l’esercizio dell’attività<br />

metallurgica, minerallurgica e idroelettrica rafforzando<br />

il proprio capitale fino a 1.500.000 lire di cui i Ceretti<br />

acquisirono un terzo.<br />

Le due società non si fusero, ma il loro consorzio le<br />

avrebbe fatte collaborare per dieci anni. I dati in possesso<br />

dimostrano la crescita progressiva e costante delle<br />

due società, sia come ammodernamento tecnologico dei<br />

macchinari, sia come investimenti e sia come produttività.<br />

Del resto fu tutto il settore metallurgico italiano a<br />

registrare un incremento produttivo di ghisa dal 1911<br />

al 1926, ad eccezione degli anni 1919-1923; lo stesso<br />

incremento si ebbe nella produzione del ferro e dell’acciaio<br />

che nel 1922 aveva recuperato le perdite postbelli-<br />

271


che. L’Alto Novarese, che contava due stabilimenti siderurgici<br />

nell’Ossola e uno ad Omegna (Soc. Metallurgica<br />

Cobianchi), non fu da meno acquisendo incrementi<br />

di tutto rispetto: nel 1912, ad esempio, la produzione<br />

di ferro era stata di 3.400 t e quella di acciaio di 21.120<br />

t; nel 1913 la produzione era stata rispettivamente di<br />

2.500 t e di 29.020 t. 15 La siderurgia ossolana agì nel<br />

territorio come fattore primario di urbanizzazione tanto<br />

che Villadossola registrò un incremento demografico<br />

del 55,1% medio annuo nel 1901-11, e del 26,2% nel<br />

1911-21. 16 Che questa grande immigrazione fosse dovuta<br />

specialmente agli insediamenti siderurgici era rilevabile<br />

dal dato sull’occupazione: nel censimento <strong>industriale</strong><br />

del 1911 nel comune di Villadossola gli addetti<br />

all’industria risultavano 1.002 unità, di cui 524 nel solo<br />

settore metallurgico (52,3%),<br />

Se la siderurgia rappresentò il motore trainante dell’industrializzazione<br />

ossolana non bisogna trascurare altre<br />

iniziative imprenditoriali. Il tradizionale settore minerario<br />

dell’oro, che si era distinto per i repentini e soverchi<br />

passaggi di proprietà tra famiglie benestanti senza<br />

alcuna cultura imprenditoriale, era stato preso di mira<br />

dai capitali stranieri (belgi, svizzeri, inglesi e francesi),<br />

ma continuò a soffrire di carenza di modernizzazione.<br />

Nell’età del «decollo <strong>industriale</strong>» l’oro ossolano risentì<br />

della crisi generale: costi alti, eccessivo carico fiscale,<br />

scarsa redditività del minerale. Se fino al 1896 l’occupazione<br />

nel settore era stata in media di 470 unità,<br />

prima della grande guerra gli addetti scesero sotto<br />

il centinaio. 17 In questo contesto l’ingresso della famiglia<br />

Ceretti nella proprietà mineraria costituì una novità<br />

in quel 1906 che si può assumere come anno di addio<br />

del grande rilancio <strong>industriale</strong> della Valle. In realtà,<br />

l’ingresso dei Ceretti nel settore minerario ebbe come<br />

primo scopo l’acquisto dei macchinari, mentre i venditori<br />

(la The Pestarena United Gold Mining Co.) avevano<br />

messo una clausola «capestro» che mirava a disattivare<br />

la miniera, cosa che l’Ufficio delle miniere proibì<br />

imponendo ai Ceretti la coltivazione della miniera pena<br />

la decadenza.<br />

Lentamente ripresero gli investimenti e l’ammodernamento<br />

dei macchinari finché, nel 1917, la proprietà fu<br />

acquisita direttamente dalla Soc. An. P.M. Ceretti. Il<br />

passaggio costituiva la grande novità nel settore minera-<br />

272<br />

rio ossolano in quanto era la prima volta che una società<br />

per azioni italiana se ne interessava. Nel 1920 ripresero<br />

i lavori di ristrutturazione che durarono tre anni. La società,<br />

col tempo, intuì la possibilità di uno sfruttamento<br />

alternativo di acque arsenicali con virtù terapeutiche<br />

evidenziando come soltanto investimenti adeguati<br />

e continui avrebbero potuto consentire uno sfruttamento<br />

remunerativo. Il settore andò contraendosi proprio<br />

nel momento in cui la grande industria e nuove<br />

esperienze produttive entrarono in Val d’Ossola, ma rimaneva<br />

attivo il settore delle cave di pietra e di marmo<br />

che da sempre erano state un importante fattore di <strong>sviluppo</strong>,<br />

malgrado le vicende non sempre positive.<br />

Dal 1904 al 1909 le cave di granito rosso erano 4, mentre<br />

quelle di gneiss erano salite da 305 a 347 nello stesso<br />

periodo, e la produzione era passata da t 76.400 a<br />

t 106.500; il valore complessivo del prodotto era salito<br />

dalle 275.000 lire al 1.548.000; l’occupazione era rimasta<br />

sempre molto alta a causa della scarsa meccanizzazione:<br />

dai 1.383 addetti (di cui 133 fanciulli) si era<br />

giunti ai 1.875 (con 98 ragazzi). I dati dimostrano l’importanza<br />

del settore nell’economia del territorio soprattutto<br />

dal momento in cui si realizzarono interventi di<br />

modernizzazione. Anche qui, come nella siderurgia, si<br />

avvertì la necessità di costituire un Consorzio per ridurre<br />

gli effetti della concorrenza, tanto che nel 1912 le 10<br />

società consorziate produssero da sole t 23.000 contro<br />

le 7.000 t delle aziende rimaste fuori. Anche dopo l’ammodernamento<br />

il numero degli addetti rimase sempre<br />

attorno al migliaio.<br />

Sebbene le acque minerali fossero conosciute da antica<br />

data, è certo che solo con la fine del XIX secolo e soprattutto<br />

con l’età giolittiana ci fu una particolare attenzione<br />

dei capitalisti verso questo settore. Le acque di<br />

Bognanco erano state scoperte nel 1863, ma erano rimaste<br />

senza un vero sfruttamento commerciale; a Craveggia<br />

si censiva uno stabilimento per le cure termali<br />

verso la fine dell’Ottocento, ma le sue proporzioni<br />

erano poca cosa potendo accogliere 24 persone. A questo<br />

richiamo non furono estranei gli studi e gli esami di<br />

laboratorio presentati da alcuni studiosi in memorie e<br />

opuscoli. Non a caso nel 1906 si costituì nella Valle Anzasca<br />

un comitato per la costituzione di una potente società<br />

anonima per l’esercizio delle miniere, per l’indivi-


duazione degli alberghi e per lo sfruttamento delle sorgenti<br />

arsenicali mangano ferruginose ed infine utilizzare una<br />

forza d’acqua di 280 cavalli per l’illuminazione elettrica<br />

[del comune di Vanzone] ed altri Comuni o per l’impianto<br />

di eventuali industrie. 18<br />

Appare evidente come si stesse sviluppando una nuova<br />

mentalità aperta all’impresa non con progetti astratti,<br />

ma con la costituzione di vere e proprie società anonime<br />

con azionariato di piccoli e medi risparmiatori decisi<br />

a farsi avanti e di rischiare. In questo caso si raccolsero<br />

600.000 lire per il capitale iniziale che fu appoggiato<br />

dal Banco dell’Ossola, dalla Banca Popolare di Intra<br />

e dal Credito Italiano di Milano. Ma ad entrare nella<br />

società fu anche la Ceretti che acquisì la maggioranza<br />

del pacchetto azionario della nuova Società An. Sorgenti<br />

Minerali e Miniere di Vanzone. Insomma, il patrimonio<br />

ossolano fu recuperato dal capitale locale prima<br />

che da quello forestiero, con risultati non esaltanti,<br />

ma di tutto rispetto. D’altra parte un grande progetto<br />

di portare l’acqua sino a Stresa mediante una tubazione<br />

di gres, dove si sarebbe dovuto costruire un moderno albergo,<br />

uno stabilimento termale e le infrastrutture per il<br />

soggiorno termale, non andò in porto perché mancarono<br />

le risorse necessarie, ma la società ebbe sempre utili<br />

e dividendi, tanto che nel 1910 il capitale sociale era salito<br />

a £. 1.100.000.<br />

Sempre nel 1906 le acque di Bognanco ebbero la loro<br />

prima rivalutazione con la costruzione di uno stabilimento<br />

termale; mentre nel 1908 fu costruito un albergo<br />

dando l’avvio all’attività termale e alla commercializzazione<br />

delle acque. Come per un «effetto alone» anche<br />

a Crodo nel 1909 si cominciarono a commercializzare<br />

le acque di quella stazione termale, note sin dal 1841.<br />

Nella Val d’Ossola sorsero piccole aziende che producevano<br />

attrezzi da lavoro (G. Bentivoglio a Piedimulera),<br />

di carpenteria meccanica e impianti industriali (E.<br />

Moise a Domodossola), per la fabbricazione di bulloni,<br />

dadi, rivetti per caldaie, porta isolatori, chiavarde per<br />

armamentario ferroviario e tramviario (Morino-Sacchi<br />

a Vogogna), e sorsero tante piccole imprese artigianali<br />

che, in fondo, si riconnettevano alle antiche tradizioni<br />

ossolane, ma con nuovo spirito di impresa. Lo stesso<br />

si deve aggiungere per il settore tessile dove i 213 telai<br />

domestici per la tessitura del lino e della canapa, censi-<br />

ti dalla statistica <strong>industriale</strong> del 1899 nella provincia di<br />

Novara, diffusi in tanti piccoli comuni delle valli ossolane,<br />

davano lavoro alternativo a molte donne. Era una<br />

dotazione non vistosa, ma che in provincia si collocava<br />

dopo Novara (1.087 telai), Biella (531 più 1.139 per la<br />

lana) e Varallo Sesia (380).<br />

Con il 1900 alcuni industriali milanesi accettarono di<br />

trasferire nell’Ossola lo stabilimento Pietro Frattini per<br />

la lavorazione della juta che aveva intenzione di chiudere.<br />

Si trattava di un settore produttivo giovane per l’Italia<br />

essendo comparso soltanto nel 1870 e che risentiva<br />

di una completa dipendenza dall’estero per la materia<br />

prima. 19 Raggiunto un accordo con Vittore Ceretti,<br />

sindaco di Villadossola e <strong>industriale</strong>, fu costituita la nuova<br />

Soc. An. Jutificio Ossolano con un capitale sociale di<br />

£ 700.000 al quale aveva aderito una cordata di industriali<br />

milanesi ed ossolani (tra i quali ultimi Maffioli e<br />

figlio della omonima banca, e Mogni proprietario del<br />

Banco dell’Ossola, nonché la famiglia Ceretti), più altri<br />

azionisti di Intra. Anche questa iniziativa era una spia di<br />

quella nuova volontà industrialista che si stava diffondendo<br />

nella Valle. Certo, come si vedrà, a far propendere<br />

per una ubicazione nel territorio, oltre ai nuovi capitali,<br />

avevano contribuito altre ragioni, tra cui la possibilità<br />

di reperire energia elettrica in loco a costi inferiori.<br />

La possibilità occupazionale si rivelò subito alta: 328 al<br />

1° settembre 1902, quasi tutte donne, di cui molte immigrate<br />

da fuori provincia e con una età compresa tra i<br />

14 e i 52 anni. 20 Se però l’andamento occupazionale fu<br />

ragguardevole fu anche soggetto a mobilità, e lo Jutificio<br />

conobbe momenti difficili sin dall’inizio, dovuti sia<br />

alla mancanza di ammodernamenti, sia alla scarsità di<br />

materie prime e di commesse.<br />

L’impresa volle assicurarsi una mano d’opera stabile<br />

contribuendo alla costituzione di una «pensione» o<br />

«ospizio» che fu affidato alle suore del Buon Gesù. L’andamento<br />

della produzione fu discontinuo, ma decisamente<br />

positivo a cavallo della prima guerra mondiale<br />

quando le commesse statali lo incrementarono. Quello<br />

che mancò fu una politica aziendale propulsiva con<br />

il risultato che nel 1927 lo stabilimento dovette chiudere.<br />

In Italia, a fronte di una produzione di 50 milioni<br />

di manufatto, il mercato riusciva ad assorbirne appena<br />

la metà; non si riuscì a rafforzare l’esportazione che<br />

273


fino al 1913 era stata di q 90.617, né si riuscì a trovare<br />

un accordo fra gli industriali per ridurre la sovraproduzione.<br />

21<br />

La nuova fonte energetica: l’elettricità<br />

Ma i fattori del take off andavano oltre a quelli descritti<br />

sin qui. Come ha sostenuto Cafagna, l’energia elettrica<br />

è stata la terza grande direttrice strategica dello <strong>sviluppo</strong><br />

economico italiano [...], di tutte forse la più importante<br />

22 , dopo la conquista del mercato interno da parte<br />

dell’industria tessile e la nascita della siderurgia a ciclo<br />

integrale. Ebbene, l’Ossola fu coinvolta nell’industrializzazione<br />

anche grazie alle sue risorse idriche che<br />

attirarono l’attenzione di banche e capitalisti italiani e<br />

stranieri per uno sfruttamento idroelettrico dei bacini<br />

imbriferi in modo globale, accelerando ulteriormente i<br />

fattori dello <strong>sviluppo</strong>.<br />

Il «mito» dell’elettricità era giunto nella Valle nel 1896,<br />

vale a dire tre anni dopo la istituzione della stazione elettrica<br />

di Santa Radegonda a Milano. Sin d’allora a Domodossola<br />

si avviò il dibattito sulla necessità di illuminare<br />

la città e furono studiati i primi progetti che si conclusero<br />

nel 1890 quando la luce elettrica arrivò grazie<br />

soprattutto all’impulso dato dalla municipalità che era<br />

costituita da un ceto borghese molto aperto all’innovazione<br />

e al progresso. Nel 1894 la prima appaltatrice dell’illuminazione,<br />

la Soc. Marazza, Castiglioni e Mantica,<br />

avvalendosi di nuovi capitali bresciani, si trasformò in<br />

Società in accomandita semplice Fraschini, Porta & C.,<br />

con un capitale iniziale di £ 600.00, rilevando oneri e<br />

patrimonio dalla precedente. Ma la prova fu così positiva<br />

che qualche anno dopo gli Ossolani crearono una<br />

loro società elettrica che rileverà l’appalto dell’illuminazione<br />

cittadina grazie agli appoggi degli amministratori<br />

locali non del tutto estranei al patrimonio societario.<br />

Tra le prime aziende ad arrivare nell’Ossola, nel 1899,<br />

ci fu la Soc. per le Forze Motrici dell’Anza, con sede a<br />

Milano e amministrazione a Novara, iniziando lo sfruttamento<br />

del fiume Anza, in località Fomarco, con lo<br />

scopo di produrre l’energia elettrica da trasportare a<br />

Novara e giungere fino ad Arona sul lago Maggiore e in<br />

Valsesia passando dalle stazioni di Gravellona e di Borgomanero.<br />

Ma per la Val d’Ossola il salto qualitativo si<br />

verifìcò — come si è detto — quando nel 1901 si co-<br />

274<br />

stituì la Soc. An, Idroelettrica Ossolana con il modesto<br />

capitale iniziale di £ 360.000 che faceva capo al Banco<br />

dell’Ossola. Era la riprova che non si voleva restare ad<br />

aspettare gli investimenti del capitale forestiero, indice<br />

di un mutamento di mentalità nuova e della nascita di<br />

una imprenditorialità ancora acerba, ma che stupiva per<br />

il fervore con cui riusciva a trovare capitali per le iniziative<br />

industriali.<br />

Con finalità industriali, invece, la P.M. Ceretti aveva<br />

iniziato a sfruttare le acque dell’Ovesca nel 1898 per ridurre,<br />

almeno in parte, la dipendenza dal carbone. Costruì<br />

un impianto di 400 hp che servì al funzionamento<br />

di un laminatoio, tra i primi d’Italia. Nello stesso anno<br />

a Novara si costituì la Soc. Elettrica Ossolana con un<br />

capitale di £ 1.600.000 proveniente specialmente dal<br />

Verbano, per lo sfruttamento di una centrale elettrica in<br />

Valle Antrona, che avrebbe servito la zona di Intra.<br />

Un’altra iniziativa si ebbe con la nascita della Soc. Idroelettrica<br />

Vigezzina, il 17 novembre 1901, con capitali<br />

esclusivamente dei «capi famiglia del mandamento» 23 ,<br />

iniziando con un capitale sociale di £ 112.000. Tutte<br />

queste centrali a carattere locale, se pure di non elevate<br />

dimensioni, davano una produzione di 3.000 kw, vale<br />

a dire un quarto dei 12.000 kw che si producevano nel<br />

Piemonte in quel periodo.<br />

Tuttavia, il grande balzo nello sfruttamento idroelettrico<br />

ossolano si deve far iniziare con l’ingresso delle grandi<br />

imprese elettriche: la Soc. Ettore Conti, la Edison e<br />

la Dinamo. Ettore Conti fondò con Gadda la Società<br />

Gadda & C. per la costruzione di materiale elettrico<br />

e fu per questa sua professionalità che la locale Soc.<br />

Idroelettrica Vigezzina lo scelse come consulente aziendale.<br />

Nel 1901 egli fondò la Soc. An. Imprese Elettriche<br />

Conti con un capitale di 3 milioni di lire. La sua politica<br />

di assorbimento di piccole aziende locali non urtò<br />

mai con i piccoli azionisti del luogo che spesso venivano<br />

lasciati nei consigli di amministrazione. Lo sfruttamento<br />

delle acque ossolane da parte della Conti interessava<br />

una superficie non inferiore ai 300 kmq e partiva da<br />

Crevoladossola terminando al confine con la Svizzera.<br />

Può dare un’idea degli interessi elettrici della Conti un<br />

breve elenco: essa costruì l’impianto di Valdo che, con<br />

lo sbarramento del lago Vannino, dava una potenzialità<br />

di 9 milioni di mc di invaso; un altro impianto,


formato dal lago Busin inferiore, interessava un invaso<br />

di 4.800.000 mc e un altro ancora, con il lago Obersee,<br />

aveva un invaso di 1.500.000 mc; quello di Rivasco<br />

sfruttava un bacino idrografico di 119 kmq ai quali<br />

si aggiungevano altri 19 kmq con le acque del torrente<br />

Vova. Questi impianti furono realizzati nell’età<br />

giolittiana, mentre sotto il fascismo fu portato a termine<br />

l’impianto di Cadarese che aveva un bacino di 151<br />

kmq, mentre più a valle si trovava l’impianto di Crego<br />

con un bacino di 182 kmq. Nel sistema idrico del Devero<br />

gli impianti divennero molti e tutti di livello superiore:<br />

a Goglio la Conti ne costruì uno nel 1911; a Verampio<br />

nel 1915 e altri sull’affluente Rivo d’Arbola, a<br />

Crampiolo, a Rivo Buscagna.<br />

Attorno al primo conflitto mondiale la potenza degli<br />

impianti della Conti non era inferiore ai 42.000 kw e<br />

lo stesso Ettore Conti nelle sue memorie valutò l’Ossola<br />

come il primo esempio in Italia, e forse anche altrove,<br />

Immagine storica della fonderia di Villadossola.<br />

di sfruttamento integrale di un grande bacino imbrifero,<br />

in modo che nessuna parte della ricchezza idraulica contenutavi<br />

vada perduta. 24<br />

La Società Dinamo sfruttò il fiume Diveria e il torrente<br />

Cairasca nei comuni di Varzo e Trasquera con due impianti<br />

e sei gruppi complessivi di potenza pari a 14.430<br />

hp e 11.000 kw di elettricità che serviva per la elettrificazione<br />

della ferrovia Iselle (confine) — Domodossola<br />

e per la città di Novara, oltre che per sostentare i macchinari<br />

di alcune industrie.<br />

La Società Edison, sorta nel 1884, partecipò allo sfruttamento<br />

del fiume Toce (con la Conti); costruì diverse<br />

dighe, come quella di Crevoladossola; di Campliccioli<br />

in valle Antrona dove, nel 1916, iniziò lo sfruttamento<br />

del fiume Ovesca. Il ruolo della Edison divenne<br />

predominante quando iniziò la politica degli assorbimenti<br />

di piccole aziende elettriche e della E. Conti.<br />

Per avere un’idea del volume utile degli invasi di pro-<br />

275


prietà della società basterebbe ricordare che si trattava<br />

di 33.450.000 mc di invaso. 25<br />

I tre colossi elettrici ricavarono molti utili dai loro interessi<br />

nell’Ossola. La Conti incrementò il capitale sociale<br />

del 1911, che era di 16 milioni, arrivando ai 22 milioni<br />

e mezzo del 1916 e ai 27 milioni del 1917; la Dinamo<br />

nel 1911 aveva un capitale di 5 milioni di lire, rimasto<br />

invariato fino al 1916, ma fu raddoppiato nel<br />

1917; e la Edison, che nel 1916 aveva un capitale di 18<br />

milioni di lire, nel 1917 lo elevò a 24 milioni. Altrettanto<br />

cospicui furono i dividendi distribuiti agli azionisti,<br />

mentre l’intera produzione di energia era aumentata:<br />

nel 1898 in Italia la potenza idroelettrica installata<br />

era di 40.441 kw, nel 1911 era di 500.000 kw e nel<br />

1918 di 901.617 kw. Ciò fu possibile grazie al crescente<br />

consumo di elettricità sia per i bisogni dell’industria<br />

che per quelli domestici.<br />

I benefici che derivarono agli Ossolani furono rilevanti<br />

almeno per due ordini di motivi: primo, la regione<br />

divenne un’area altamente remunerativa per l’ubicazione<br />

di impianti industriali a causa del facile reperimento<br />

dell’energia elettrica a basso costo; secondo, a costruire<br />

gli impianti erano state incaricate l’ossolana Impresa<br />

Umberto Girola che diverrà una specialista in grandi<br />

opere pubbliche a livello nazionale e internazionale<br />

e altre ditte (fra cui l’Impresa Poscio di Villadossola<br />

che sorse nel 1902) che per i loro lavori impiegarono<br />

mano d’opera locale dando inizio a installazioni di cantieri<br />

con caratteristiche di veri e propri opifici industriali<br />

tali da consentire una produzione muraria di ottima qualità<br />

ed in quantità giornaliere impensate per /’addietro. 26<br />

Ma altri vantaggi derivarono dalla costruzione di strade<br />

e gallerie che servirono per il trasporto dei macchinari<br />

per le centrali elettriche, che poi restarono in uso alle<br />

comunità locali. Un autore calcolò un reddito lordo annuo<br />

di circa 2.000 lire prebelliche per ogni ha sotto forma<br />

di energia elettrica, vale a dire circa 7 volte il reddito<br />

agrario-forestale-pastorizio di quelle terre. 27<br />

A riprova di quanto si è affermato basterebbe presentare<br />

la proliferazione di attività piccole e grandi che si insediarono<br />

nella Val d’Ossola nel periodo del «decollo»<br />

<strong>industriale</strong>, oltre a quelle già esposte. Sorsero soprattutto<br />

industrie chimiche che avevano bisogno di molta<br />

energia elettrica. Nel 1908 a Domodossola sorse la<br />

276<br />

Ditta Pazzaglia per la galvanoplastica, argentatura, doratura<br />

e cromatura dei metalli; nello stesso anno a Varzo<br />

sorsero la Smalteria Sempione fra le primissime in Italia<br />

per ampiezza dei forni, trasferita da Milano sia per<br />

la facile reperibilità dell’energia, sia per la vicinanza del<br />

traforo del Sempione, e la Ditta D. Giovanna e C. per<br />

la fabbricazione di una specialità di lima detta fresatrice,<br />

nel 1913 sempre a Varzo si installò la Società Fratelli<br />

Galtarossa di Verona, specializzata nella fabbricazione<br />

del carburo di calcio, che utilizzava dal fiume Diveria<br />

una forza idraulica di oltre 200 cavalli e che per molti<br />

decenni divenne un punto fermo della realtà produttiva<br />

ossolana. Ad Ornavasso nel 1914 sorse la fabbrica di<br />

pietrine per orologi degli svizzeri Fratelli Thurillant.<br />

Nel 1918 la Galtarossa impiantò anche a Domodossola<br />

uno stabilimento per la produzione della ghisa e delle<br />

ferroleghe.<br />

Nel 1915 a Rumianca di Pieve Vergonte sorse lo stabilimento<br />

chimico della Soc. Italiana Prodotti Esplodenti<br />

(Sipe), con sede a Milano, che contava su un capitale<br />

di £ 2.500.000, per la fabbricazione del monocloruro<br />

e del diclorobenzolo utilizzati durante il conflitto<br />

mondiale. Nel primo dopoguerra a Domodossola<br />

fu costituito un altro stabilimento della Società Agraria<br />

di Roma per la fabbricazione di calciocianamide e<br />

di carburo di calcio. Nel 1918 a Villadossola ne fu costruito<br />

un altro dalla Società Italiana Prodotti Sintetici<br />

(Sips) per la produzione dell’acido acetico ottenuto<br />

sinteticamente. L’ingresso della chimica in Valle si sarebbe<br />

rafforzato negli anni: nel 1911 nei circondari di<br />

Novara, Pallanza e Domodossola si censirono 118 stabilimenti<br />

con 419 addetti, di cui 8 stabilimenti con 58<br />

unità si trovavano nell’Ossola.<br />

In questo panorama di iniziative aziendali non aveva<br />

minore significato la visita di alcuni tecnici della Società<br />

Mannesman di Milano che fabbricava tubi, con<br />

lo scopo di verificare la possibilità di installare nel territorio<br />

un grande stabilimento siderurgico su un terreno<br />

di 500.000 mq tra Piedimulera e Villadossola o alla<br />

periferia di Domodossola. Questo tentativo da una parte<br />

avrebbe consolidato il sistema <strong>industriale</strong> ossolano,<br />

ma dall’altra avrebbe forse stravolto il territorio montano.<br />

In quell’occasione fu la classe politica locale con la<br />

borghesia a porsi alla testa di un comitato che aiutasse


l’azienda a trovare, a prezzo di favore, il suolo per lo stabilimento,<br />

chiamando i piccoli proprietari in Comune<br />

per convincerli alla cessione, discutendo la questione in<br />

consiglio comunale e nominando una commissione di<br />

studio per appoggiare l’iniziativa della Mannesman che,<br />

però, alla fine decise di installarsi a Dalmine.<br />

Il periodo fra le due guerre mondiali<br />

Durante la prima guerra mondiale, con la mobilitazione<br />

<strong>industriale</strong>, lo Stato divenne il più grande cliente<br />

della produzione nazionale: nel Piemonte gli stabilimenti<br />

dichiarati ausiliari furono 371, tra cui 19 minerari,<br />

30 metallurgici, 141 meccanici, 61 chimici. In questo<br />

contesto anche l’Ossola fece la sua parte. Come si è<br />

detto, la chimica trovò nel territorio le condizioni più<br />

favorevoli allo <strong>sviluppo</strong>: elettricità e vie di comunicazioni<br />

ferroviarie. Durante la guerra, su 18 stabilimenti<br />

chimici della provincia, 7 erano in Valle: oltre a quelli<br />

già menzionati, vi erano la Sidl (Soc. Italiana Distillazione<br />

Legno) di Finero (acetato di calcio e alcool metilico<br />

greggio), la Ing. A. Vitale di Rumianca (fosfogenecloro<br />

liquido-idrogeno), la Soc. An. Cooperativa per il<br />

Gas di Domodossola. Anche il sistema idroelettrico si<br />

rafforzò potendo contare su una relativa calma in quanto<br />

il fronte bellico era spostato ad est e gli impianti ossolani<br />

poterono produrre a pieno ritmo grazie anche ai<br />

consumi elettrici che durante la guerra quadruplicarono.<br />

Certo, se il settore <strong>industriale</strong> fu favorito dallo sforzo<br />

bellico, non si vuol dire che la guerra non causò crisi<br />

e disoccupazione in alcuni settori produttivi.<br />

Più difficile fu il periodo postbellico, ma le industrie ossolane<br />

seppero riconvertirsi in tempo o continuarono a<br />

servire i loro mercati tradizionali. Per il periodo tra le<br />

due guerre mondiali i più recenti studi di storia economica<br />

sembrano concordare sul fatto che il fascismo non<br />

segnò una battuta d’arresto nel processo di industrializzazione<br />

del paese, 28 ma anzi, sia pure con i limiti e il divario<br />

economico con le nazioni più avanzate, in quel periodo<br />

lo <strong>sviluppo</strong> andò consolidandosi e le ambizioni<br />

imperialistiche di Mussolini portarono alla nascita di una<br />

serie di novità nel campo delle industrie tecnologicamente<br />

più avanzate. 29 Premettendo che ciò non significa dare<br />

un giudizio positivo sulla politica del regime dittatoriale,<br />

per quanto ci riguarda cerchiamo di verificare il livello<br />

di <strong>sviluppo</strong> raggiunto dall’Ossola.<br />

Manufatto di fonderia.<br />

Il settore agricolo continuò a soffrire dei vecchi mali:<br />

piccole aree coltivabili, molti proprietari con insufficienti<br />

porzioni di terra, mancanza di investimenti. Su<br />

6.200 ha di terra a fondo valle, solo 3.000 ha erano coltivabili,<br />

8.000 ha erano i prati posti tra i 400-800 m sul<br />

livello del mare; e i più ricchi proprietari, dopo i Comuni,<br />

erano Carlo Lightoweler che aveva 15 ha di pascolo<br />

e 5 di coltura, e Dall’Oro. Insomma, la proprietà<br />

privata, su 154.000 ha ne possedeva un quinto. È chiaro<br />

che a queste condizioni non era possibile una conduzione<br />

capitalistica dei fondi, né era pensabile l’inserimento<br />

nelle iniziative del regime fascista come la «battaglia<br />

del grano» e la «bonifica integrale» anche se non<br />

mancarono i tentativi. 30 La zootecnia, settore che avrebbe<br />

potuto essere trainante nei pascoli alpini, andò depauperandosi<br />

dopo che nel periodo bellico l’intero Novarese<br />

aveva pagato un contributo di 98.841 bovini.<br />

I dati in possesso sul settore <strong>industriale</strong> confermano che<br />

durante il fascismo si andarono rafforzando le aziende<br />

già costituite e si realizzò il predominio della Edison<br />

e della Montecatini, ma anche le industrie siderurgiche<br />

e meccaniche tradizionali continuarono il loro incremento.<br />

In aumento fu la produzione mineraria del-<br />

277


l’oro nella quale la P.M. Ceretti investì forti somme per<br />

l’ammodernamento delle attrezzature con macchinari<br />

importati da Bochum (Germania). Fu così che dai 3-4<br />

kg di oro degli anni ’20 si arrivò a produrne 15-16 kg<br />

con una resa dell’80% e anche del 90% nelle 100 t giornaliere<br />

di minerale; inoltre, furono scoperti altri filoni<br />

nella concessione Pozzone Speranza dove i macchinari<br />

erano azionati da un impianto compressore della potenza<br />

di 1.000 hp. Prima della seconda guerra mondiale<br />

a Pestarena si estraevano 300.000 t di minerale con<br />

una produzione di 10 gr d’oro per t. È stato calcolato<br />

che nel solo ampliamento della miniera Ribasso Morghen<br />

furono spesi circa 9 milioni di lire per l’ammodernamento<br />

delle infrastrutture e degli impianti.<br />

Ci fu anche un aumento occupazionale (da 151 addetti<br />

nel 1930 si passò a 200 nel 1935) e di produzione aurifera<br />

(da 60 kg nel 1937 a 407,8 kg nel 1942 e 365,4<br />

nel 1943). Ciò convinse il Ministero della guerra a sollecitare<br />

una estromissione del capitale estero e un coinvolgimento<br />

diretto dello Stato mediante il passaggio di<br />

proprietà dalla P.M. Ceretti all’Azienda Minerali Metallici<br />

Italiani (AMMI) nel 1939. Nelle cave di pietra,<br />

graniti e marmo ci fu una costante espansione rilevabile<br />

dagli aumenti di capitale sociale e dalla produzione<br />

(con alcune differenze tra marmi, gneiss e quarzi), e si<br />

può dire che nel periodo si rafforzarono le condizioni<br />

capitalistiche di molte aziende.<br />

Le stesse valutazioni potremmo fare per il settore siderurgico<br />

che fu in continuo incremento a partire dal<br />

1929. Nell’Ossola, oltre alla P.M. Ceretti che continuava<br />

a soddisfare un suo mercato, la Metallurgica Ossolana,<br />

dopo un periodo di crisi senza la possibilità di un<br />

intervento diretto dello Stato, nel 1939 ebbe un rilancio<br />

con l’ingresso del capitale della Soc. Edison, ma dovette<br />

mutare la ragione sociale in Sisma (Soc. Industrie<br />

Siderurgiche Meccaniche ed Affini) e spostare la sede<br />

centrale da Villadossola a Milano. Da piccola azienda<br />

familiare di interesse locale si trasformò in uno stabilimento<br />

di livello nazionale con un capitale sociale di<br />

£ 30 milioni nel 1939, aumentato a £ 100 milioni nel<br />

1940 e poi a 110 milioni. Nel 1938 l’Annuario metallurgico<br />

segnalava in Italia una ripresa produttiva per i<br />

104 forni elettrici per ghisa e per i 134 forni elettrici<br />

per acciaio. Durante la guerra la produzione della ghi-<br />

278<br />

sa ebbe il suo massimo trend produttivo: 259.000 t pari<br />

al 25% del totale e nella sola Domodossola si censirono<br />

15 forni elettrici per ghisa, cioè il più alto numero tra i<br />

restanti stabilimenti siderurgici dell’area alpina.<br />

Le minori aziende crebbero anch’esse: la Galtarossa di<br />

Varzo e quella di Domodossola, sebbene conoscessero<br />

momenti di crisi, ebbero un rilancio fino a raggiungere,<br />

nel 1941, un capitale di £ 15 milioni, quando la società<br />

ebbe un utile di 1.500.000 di lire. Semmai, la Galtarossa<br />

dal fascismo subì una compressione che ancora oggi<br />

risulta di difficile lettura. Orientata la propria specializzazione<br />

verso il carburo e il calciocianamide, fu proprio<br />

il Consorzio italiano di carburo e ferroleghe ad assegnarle<br />

una quota limitata pari al 16% della sua potenzialità.<br />

A nulla valsero i progetti di ampliamento e di<br />

ammodernamento presentati dalla società al Consorzio<br />

senza chiedere alcun finanziamento potendo far fronte<br />

alle spese di £ 750.000 con mezzi propri. Eppure, i consumi<br />

dei concimi erano in aumento e lo sarebbero stati<br />

di più nel contesto della campagna ruralista del regime.<br />

Le scelte economiche del fascismo, come è stato ampiamente<br />

dimostrato, vanno inserite nel «piano regolatore»<br />

dell’economia italiana, annunciato da Mussolini nel<br />

marzo 1936, che prevedeva un maggiore coinvolgimento<br />

dello Stato nel settore <strong>industriale</strong> mediante le Corporazioni<br />

che decidevano sulle politiche aziendali.<br />

Da una parte il progetto si attuò con l’allineamento della<br />

nostra moneta alle divise estere; dall’altra, si progettò<br />

un rafforzamento della siderurgia a ciclo integrale con<br />

l’obiettivo autarchico di far fronte al fabbisogno nazionale<br />

entro il 1940. 31 È da questo disegno economico-finanziario<br />

che sorse l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano)<br />

con lo scopo di aiutare le imprese private, e nacque, nel<br />

1933, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale)<br />

che divenne una vera e propria holding rilevando capitali<br />

azionari di banche e industrie. Il peso dell’intervento<br />

pubblico con il fascismo divenne massiccio tanto che<br />

la nascita e il consolidamento di nuovi settori produttivi<br />

si accompagnano storicamente a forme crescenti di intervento<br />

statale: queste si articolano tanto in forti protezioni<br />

doganali [...] quanto in interventi finanziari diretti. 32 A<br />

ben guardare, il fascismo tutelò la grande industria più<br />

che la media e piccola o l’artigianato.<br />

Il settore chimico moderno si può dire che nacque nel-


la provincia di Novara dall’incontro di Guido Donegani<br />

con il novarese Giacomo Fauser; nel maggio 1921,<br />

i due diedero vita alla Società Elettrochimica Novarese<br />

(£3 milioni di capitale) con la partecipazione della<br />

Montecatini. A Villadossola questa aveva uno stabilimento<br />

che produceva acetato di piombo, soda, acetone,<br />

acido acetico, anidride acetica e cloroformio, e ben presto<br />

ne aprì un altro a Domodossola per la fabbricazione<br />

del carburo di calcio e di calciocianamide. La Rumianca<br />

era cresciuta per capitali e produzione durante tutto<br />

il fascismo: da £ 2.500.000 di capitale nel 1915 aveva<br />

raggiunto i 14 milioni nel 1927, i 34 milioni nel 1935<br />

e i 48 milioni nel 1938 sfondando la quota di 142,5 milioni<br />

nel 1941.<br />

Il settore idroelettrico ossolano nel 1927 era composto<br />

da 116 esercizi che davano lavoro a 1.309 persone realizzando<br />

utili e dividendi. La Edison divenne una presenza<br />

rilevante acquisendo compartecipazioni e incroci<br />

azionari; anche la Dinamo e la Soc. Idroelettrica Ossolana<br />

continuarono a rafforzarsi. Quest’ultima nel 1921<br />

elevò il capitale a 2 milioni, nel 1928 a 5, nel 1931 a 8 e<br />

nel 1935 finì con il trasferire la sede sociale a Torino.<br />

Meno bene andarono le cose per lo Jutificio Ossolano,<br />

divenuto Jutificio Nazionale, che nel 1927 chiuse lo<br />

stabilimento di Villadossola per mancanza di commesse<br />

lasciando a casa 307 operai, per lo più donne. 33 Il podestà<br />

Ceretti si interessò del problema, come dimostra<br />

la corrispondenza intercorsa con Genova, sede centrale<br />

della società, perché venisse ripresa l’attività. A questo<br />

scopo si prodigò perché la Dinamo offrisse a prezzi<br />

molto competitivi l’energia elettrica necessaria, e così<br />

lo Jutificio nazionale riaprì lo stabilimento per poi richiuderlo<br />

nel 1933. 34 Complessivamente l’Ossola continuò<br />

durante il fascismo ad essere al centro di una rimarchevole<br />

industrializzazione, ma il ruolo del Sempione<br />

e della stazione internazionale di Domodossola non<br />

avevano avuto l’importanza che ci si aspettava. Durante<br />

il regime le importazioni furono sette volte superiori<br />

alle esportazioni e il volume dei traffici cominciò a diminuire.<br />

Comparato agli altri passi alpini, il Sempione<br />

acquisì un ruolo di importanza sempre maggiore rispetto<br />

a Ventimiglia, Modane, Luino, Brennero, San Candido,<br />

Fiume, Piedicolle e Fusine Laghi piazzandosi subito<br />

dopo Chiasso e Tarvisio, ma le esportazioni furo-<br />

no inferiori a quelle transitate dai passi suddetti. Le ragioni<br />

erano da ricercare nel ritardo verificatosi per renderlo<br />

competitivo rispetto ai costi: mancò il raddoppio<br />

e l’elettrificazione della linea ferroviaria Gallarate-Domodossola,<br />

mentre nella parte svizzera ciò era avvenuto<br />

già per 300 km. Inoltre, non bisogna dimenticare che<br />

durante il fascismo i commerci furono intensificati soprattutto<br />

verso l’Europa centrale (Germania e Austria)<br />

e meno verso la Francia e la Gran Bretagna. Carattere<br />

eminentemente locale o di raccordo tra la Svizzera tedesca<br />

(Vallese) e quella italiana (Ticino) ebbe la linea Domodossola-Locarno:<br />

durante il fascismo aumentarono<br />

le merci in transito e diminuirono i viaggiatori a causa<br />

di una minore mobilità degli italiani.<br />

Un altro segnale del progresso era dato dalla presenza<br />

del sistema bancario che nella provincia si rafforzò<br />

soprattutto con la politica espansionistica della Banca<br />

Popolare di Novara e con quella più raccolta, ma sempre<br />

in espansione, della Banca Popolare di Intra. Le due<br />

banche locali, il Banco dell’Ossola e la Banca Maffioli,<br />

erano state cancellate. Infine, se i dati della riscossione<br />

di imposta sono un sintomo di <strong>sviluppo</strong>, c’è da sottolineare<br />

che a Domodossola la raccolta per i consumi si<br />

raddoppiò tra il 1929 e il 1930, passando dalle 22.876<br />

lire alle 42.960 lire. Così pure erano cresciute le imposte<br />

indirette che sono la manifestazione mediata della<br />

ricchezza, e ciò causò alcune risentite proteste e la richiesta<br />

di revisione del sistema catastale che puniva le<br />

magre risorse agricole del territorio. Non può essere trascurata,<br />

in questo quadro, un’altra iniziativa della classe<br />

borghese illuminata in favore della classe operaia in<br />

quanto conferma una cultura innovativa negli imprenditori.<br />

Partendo dalla constatazione che più della metà<br />

della mano d’opera della Ceretti era senza casa e domicilio<br />

nel centro siderurgico o viveva in case fatiscenti e<br />

antigieniche, la società nel 1937 si fece carico della costruzione<br />

di case igieniche ed a prezzi che [fossero] alla<br />

portata di tutti i lavoratori. 35 Nel gennaio 1937 il prefetto<br />

Letta aveva riunito a Villadossola i rappresentanti<br />

delle industrie cittadine più grandi e delle autorità civili<br />

e sanitarie. Emerse che occorrevano almeno 2.000<br />

vani per una spesa di non inferiore a 14 milioni di lire.<br />

Il piano che fu elaborato prevedeva 500 alloggi entro il<br />

1938, 500 entro il 1939 e 1.000 entro il 1940. Le spese<br />

279


avrebbero dovuto essere sopportate in rapporto al numero<br />

degli operai: per i 14/30 dalla Metallurgica Ossolana<br />

(poi Sisma), per i 7/30 dalla Ceretti e per i restanti<br />

9/30 dalla Sips e dalla Set. Gli industriali della Ceretti<br />

e della M.O. aderirono subito a condizione che venisse<br />

offerto loro il terreno con l’esproprio per pubblica utilità,<br />

mentre i delegati delle altre due società presero tempo<br />

per riferire ai rispettivi consigli di amministrazione.<br />

La Ceretti scelse la zona Pedemonte, in periferia, ma vicina<br />

allo stabilimento e individuò per le case operaie<br />

mq 42.136 di terreno di proprietà di 42 persone, tra cui<br />

la stessa Ceretti. La spesa per i terreni fu di £ 126.408,<br />

mentre le spese complessive furono £ 430.000 compresa<br />

la costruzione dei fabbricati. 36 Alcuni proprietari dei<br />

terreni intralciarono l’opera facendo ricorso, ma il prefetto<br />

aderì alla richiesta dell’impresa, le difficoltà furono<br />

superate e le 185 case vennero costruite assieme ad<br />

un asilo nido e ad un ricovero per anziani.<br />

Anche La Metallurgica Ossolana costruì un proprio villaggio<br />

operaio lungo la strada del Sempione, a ridosso<br />

della ferrovia, per complessivi 213 alloggi in casette a<br />

due piani con chiesa, scuola e servizi.<br />

Ricostruzione e «miracolo economico»<br />

Con la seconda guerra mondiale il processo di <strong>sviluppo</strong><br />

subì un gravissimo contraccolpo di cui risentì anche<br />

l’Ossola per la difficoltà di reperire le materie prime.<br />

Durante il conflitto la Sips di Villadossola fu incorporata<br />

dalla Distillerie Italiane che aveva la sede a Milano<br />

e quindi dal 1944 poté contare su un rafforzamento<br />

degli investimenti. Durante il periodo della «repubblica<br />

partigiana», nel settembre-ottobre 1944 l’Ossola<br />

costituì un punto di riferimento politico e <strong>industriale</strong><br />

proprio per l’alta concentrazione produttiva che fu salvaguardata<br />

a costo di non pochi sacrifici. Difficile fu il<br />

periodo della ricostruzione per la mancanza di materie<br />

prime e di mercati di espansione. La produzione idroelettrica<br />

raddoppiò nel dopoguerra e crebbe l’offerta di<br />

energia che, se di per sé non è indice della ripresa <strong>industriale</strong><br />

o di incremento dell’occupazione, precede la domanda<br />

e costituisce un’ottimistica previsione delle generali<br />

condizioni economiche. 37<br />

Gli storici economici hanno distinto tre fasi dal dopoguerra<br />

ad oggi: la prima è quella della ripresa, denomi-<br />

280<br />

nata «miracolo economico», che va dal 1953 al 1962;<br />

la seconda è quella della «congiuntura» che va dal 1963<br />

agli anni ’70; la terza è quella dei nostri giorni.<br />

Agli inizi degli anni ’50 rispuntò l’interesse per le miniere<br />

d’oro di Pestarena di proprietà dell’Ammi. Con<br />

una certa forzatura il monte Rosa fu valutato come un<br />

serbatoio d’oro inesauribile, ma forse non si tenne conto<br />

degli oneri finanziari che una ripresa dell’attività avrebbe<br />

comportato, il prezzo dell’oro era aumentato anche<br />

per effetto della guerra della Corea, ma la produzione<br />

delle miniere ossolane era solo di 400 kg annui<br />

e vi lavoravano 500 addetti in due turni quotidiani per<br />

i quali la società aveva creato un villaggio, un cinema<br />

e un dopolavoro. 38 Ma queste provvidenze non avevano<br />

eliminato la temibile silicosi che falcidiava la classe<br />

operaia attorno ai 40-50 anni di età. Comunque il<br />

problema era di verificare la redditività delle miniere:<br />

a Pestarena si estraevano 7-8 gr d’oro da una t di micasciste<br />

e ogni mese si estraevano 180 t circa di minerale<br />

che veniva lavorato da ditte specializzate di Milano,<br />

mentre il fabbisogno nazionale si calcolava in 27,5 t d’oro<br />

per gli scambi ufficiali con l’estero. Gli eccessivi costi<br />

fecero desistere dall’impresa di scavare, ma a fasi alterne<br />

non mancano i fautori di un impegno minerario<br />

nell’Ossola. 39<br />

Il settore tradizionalmente trainante, il siderurgico, nella<br />

prima fase qui presa in esame risentì della favorevole<br />

congiuntura nazionale e internazionale. Tuttavia, delineare<br />

un breve panorama della siderurgia italiana non<br />

è possibile senza accennare al Piano Sinigaglia del 1947<br />

che si basava su alcuni punti fondanti: ritenendo sottodimensionati<br />

i consumi di acciaio e prevedendo una<br />

loro espansione, esso ipotizzava una graduale diminuzione<br />

dell’utilizzo dei rottami per avviare, invece, un<br />

processo di produzione integrale. Ciò avrebbe comportato<br />

un ammodernamento di alcuni impianti con grossi<br />

investimenti, ma ne avrebbe chiusi altri. In sostanza,<br />

il Piano rafforzava la siderurgia tirrenica e ligure, cioè<br />

quella che faceva capo alla società Finsider (Iri) mentre<br />

comprimeva quella dell’area alpina e padana. C’è da aggiungere<br />

che in tutta Europa dal 1960 in poi si privilegiò<br />

una localizzazione costiera abbandonando i centri<br />

di antica tradizione siderurgica. Si trattò di una politica<br />

<strong>industriale</strong> attenta a facilitare e ridurre i costi del tra-


sporto delle materie prime, ma non fu esente la scelta di<br />

industrializzare il Mezzogiorno. 40<br />

In questo contesto, la siderurgia minore venne penalizzata;<br />

decrebbe l’importazione dei rottami di cui 1’Ossola<br />

faceva largo consumo, anche se il Piano Sinigaglia<br />

portò la nostra produzione a livelli di tutto rispetto e<br />

mai ipotizzabili. Nel 1958 in Piemonte si era registrata<br />

una produzione del 20% sul totale nazionale con 17<br />

stabilimenti, mantenendo la quota che aveva nel 1938.<br />

Nel 1965 se ne censirono 21 che si ponevano, nel panorama<br />

nazionale, come stabilimenti di media grandezza:<br />

15 davano una produzione tra 20.000 e 50.000 t, 2<br />

di 100.000 t, 3 di 200.000 t e soltanto uno superava la<br />

produzione di 700.000 t di laminati. Nella produzione<br />

della ghisa il Piemonte ebbe una flessione passando<br />

dal 25% sul totale nazionale del 1938 al 16% del 1953,<br />

al 13% del 1958, al 10% del 1961 e al 13% del 1966-<br />

71. Nella statistica del 1966 lo stabilimento di Domodossola<br />

non compariva più tra quelli che producevano<br />

ghisa con il processo elettrico, mentre in Italia ne restavano<br />

ancora 13. Nel 1961, nella produzione dell’acciaio<br />

la Sisma di Villadossola veniva tra le prime cinque<br />

che producevano 200-300.000 t annue con il forno<br />

Martin-Siemens e quindi il suo ruolo nella siderurgia<br />

alpina rimaneva importante malgrado si andasse intensificando<br />

il duro confronto tra la siderurgia privata e<br />

quella parastatale. 41<br />

Il settore idroelettrico in questa prima fase andò consolidandosi<br />

grazie al colosso Edison che aveva nell’Ossola<br />

una potenza installata di 600.000 kw, pari al 92% sul<br />

totale della potenza in Valle, e una produzione media<br />

annua di 1.630.000.000 kwh. Ma proprio questo settore<br />

costituì una delle ragioni del disimpegno <strong>industriale</strong>.<br />

Come è noto, in quel periodo si sviluppò un intenso<br />

dibattito sul ruolo delle imprese elettriche nel quadro<br />

dello <strong>sviluppo</strong> e sulla necessità della nazionalizzazione. I<br />

«baroni elettrici» vennero accusati di intascare lauti profitti,<br />

ma non erano stati in grado di stimolare lo <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>industriale</strong>, anzi lo avevano frenato. 42 Quando nel<br />

1963 si ebbe la nazionalizzazione dell’energia elettrica,<br />

la società di Stato, l’Enel, ereditò i 27 impianti ossolani<br />

che davano una potenza installata di 706.000 kw ed<br />

La nuova viabilità stradale ha collegato l’Ossola con l’Europa.<br />

282<br />

una produzione annua di 1.780.000.000 kwh, mentre<br />

una decina di altre piccole centrali furono lasciate alle<br />

industrie locali per la produzione esclusiva di energia<br />

per gli stabilimenti. Ma se la nazionalizzazione portò<br />

indiscussi vantaggi ai consumi, l’unificazione delle tariffe<br />

fece mancare uno dei vantaggi-cardine su cui poggiava<br />

il favore delle localizzazioni industriali nel territorio<br />

ossolano.<br />

Secondo qualche autore il declino del secondario cominciò<br />

a delinearsi a partire dal 1951 in quanto, se<br />

crebbero le unità lavorative, diminuì la media degli addetti.<br />

43 Ma non sembra che il vero problema sia stato<br />

soltanto quello della diminuzione della grandezza delle<br />

imprese perché le piccole e medie aziende hanno sempre<br />

costituito il nerbo dell’industrializzazione nazionale.<br />

Analizzando il periodo 1951-1961 la realtà ossolana<br />

si presentava in modo più complesso: chiusero diverse<br />

attività piccole e piccolissime del tessile (-130 u.l., pari<br />

al 41,2%); nel settore pelli e cuoio ci fu uno <strong>sviluppo</strong> di<br />

piccolissime aziende ( + 68); nel meccanico si svilupparono<br />

aziende di dimensioni più consistenti ( + 49); aumentarono<br />

le unità lavorative nella lavorazione dei minerali<br />

non metallici ( + 27, pari al 52,9%), e invece nel<br />

chimico le 11 unità del 1951 scesero a 8 nel 1961; infine,<br />

nel settore delle costruzioni si registrò un continuo<br />

incremento: 762 addetti in più nel 1961, pari a un<br />

+136,5% rispetto al 1951. 44 La Tabella n. 1 conferma<br />

questo andamento altalenante.<br />

Dunque, il processo di sotto<strong>sviluppo</strong> è stato costante<br />

soprattutto per il cedimento delle tradizionali industrie<br />

siderurgiche e chimiche, solo in parte compensato dallo<br />

<strong>sviluppo</strong> di altri settori.<br />

Il periodo della crisi<br />

La Tabella n. 2 fotografa l’andamento dell’occupazione<br />

nella grande industria ossolana lungo un arco di tempo<br />

che va dal 1963 al 1982. Stando a questi dati, il declino<br />

della grande industria ossolana si verificò dopo il<br />

1971 con una perdita di circa un quarto dell’occupazione<br />

compensata, in parte, nelle grandi strutture del terziario<br />

dove ci fu un generale incremento occupazionale:<br />

nelle Ferrovie dello Stato i 750 impiegati del 1971


erano divenuti 970; nella Ferrovia Vigezzina, i 97 impiegati<br />

del 1961 erano divenuti 105 nel 1971 e 116 nel<br />

1982; solo nell’Enel i 771 addetti del 1961 erano scesi<br />

a 666 nel 1971 e a 636 nel 1982. Un certo squilibrio<br />

tra le varie zone delle valli si andava accentuando in<br />

quanto l’ubicazione dell’apparato <strong>industriale</strong> si andava<br />

concentrando sulla riva destra del fiume Toce: nel 1951<br />

con 447 unità lavorative e 6.767 addetti; nel 1961 con<br />

478 unità e 7.724 addetti; nel 1969 con 582 unità e<br />

7.716 addetti. Ormai nella piana della Toce si collocava<br />

il 90% delle aziende manifatturiere e degli addetti e,<br />

per quanto possa sembrare strano, Domodossola era il<br />

centro con più unità lavorative (215 nel 1951, 234 nel<br />

1961 e 243 nel 1969), mentre Villadossola e Pieve Vergonte<br />

restavano i centri con la più alta concentrazione<br />

operaia rispetto al numero degli stabilimenti. Il fenomeno<br />

è importante per comprendere il lento spopolamento<br />

alpino e in che modo si sono assestati i flussi migratori<br />

all’interno della Val d’Ossola. 45 Particolare menzione<br />

meritano le discontinue vicende di alcune grandi<br />

aziende per la loro rilevanza storica nel settore <strong>industriale</strong><br />

ossolano. La Ceretti nel 1972 aveva iniziato la costruzione<br />

di un nuovo stabilimento in vista di un progettato<br />

<strong>sviluppo</strong>, ma nel 1974 fu frenata dalla crisi che<br />

Stabilimenti chimici in Val d’Ossola.<br />

sembrò risolta con l’ingresso di nuovi azionisti, con la<br />

vendita della parte sud del vecchio opificio alla Fomas<br />

di Osnago e con l’introduzione di nuove tecnologie.<br />

Ma nel 1979 fu chiesta l’amministrazione controllata<br />

e la cassa integrazione; e negli anni ‘80 ci fu la cessione<br />

alla Società FERDO di Torino per 19 miliardi di lire. 46<br />

La Ferriera dell’Ossola sorse nel 1977 con l’acquisto<br />

di parte del vecchio stabilimento Ceretti. I 189 addetti<br />

divennero 264 nel 1978 con prospettive confortanti,<br />

ma nel 1979 l’azienda venne posta in liquidazione. Anche<br />

la Sisma entrò in crisi nel 1972 con l’ingresso delle<br />

partecipazioni statali (EGAM) che, al di là delle attese,<br />

si rivelò improduttivo perché l’ente statale fu sciolto.<br />

Molti furono gli oneri finanziari mentre i debiti aumentarono<br />

sensibilmente e l’occupazione diminuì del<br />

23%. Più confortanti sono stati i risultati della Tonolli<br />

di Pieve Vergonte che aveva assorbito l’ALP e che riuscì<br />

ad aumentare l’occupazione malgrado abbia avvertito<br />

qualche difficoltà. La Clifford sorse nel 1968 per iniziativa<br />

di imprenditori inglesi e il contributo municipale,<br />

ma il capitale inglese nel 1973 si ritirò dall’attività che<br />

venne rilevata da un gruppo finanziario. Nacque così la<br />

Clifford Bongiasca Spa, ma la crisi cominciò a farsi sentire<br />

a fasi cicliche, finché l’impresa non fu rilevata dalla<br />

283


Manifatture di Villadossola. Un mutamento continuo<br />

di nomi e di ragione sociale ebbe la Rhodiatoce di Villadossola<br />

(Montefibre, SICMA chimica, Resem, Monte/<br />

Dipe, Vinavil, Anic), in quanto la sua storia dipese molto<br />

dall’andamento del settore chimico italiano. In particolare<br />

sin dal 1970 la crisi dell’azienda fu legata all’inserimento<br />

della Montedison nella proprietà.<br />

Il periodo della «congiuntura» coincise con uno sforzo<br />

di elaborazione teorica e tecnica di dati e di progetti per<br />

individuare le ragioni del malessere nel settore produttivo.<br />

In questo quadro si inseriva uno dei primi studi dell’Unione<br />

Regionale delle Province Piemontesi, a cura<br />

dell’IRES, sulla struttura <strong>industriale</strong> torinese. 47 L’azione<br />

degli imprenditori privati, soprattutto nella piccola<br />

e media impresa, veniva ritenuta insufficiente sin dai<br />

tempi antichi per l’inadeguatezza della forza finanziaria;<br />

come pure insufficiente era ritenuto l’apporto delle<br />

grandi banche della regione perché non potevano contribuire<br />

alla formazione del capitale di rischio e facilitare<br />

l’innovazione; nuovi compiti erano individuati per le<br />

pubbliche amministrazioni.<br />

Con l’istituzione delle regioni il dibattito divenne ancor<br />

più intenso e si cominciò a riconsiderare l’accentramento<br />

<strong>industriale</strong> nell’area torinese individuando come<br />

strumenti strategici la creazione di poli industriali affidati<br />

al ruolo trainante dell’industria motrice. 48 L’interesse<br />

per i piani di <strong>sviluppo</strong> sembrava contagiare classe politica<br />

e tecnici. Per il territorio ossolano acquista particolare<br />

rilievo il convegno promosso dal CIPE (Centro<br />

Informazione politiche ed economiche) sulle Comunità<br />

montane istituite con la legge del 1971. Il convegno<br />

faceva il punto sulla legislazione più recente mirante a<br />

rivalutare l’economia montana per eliminare gli squilibri<br />

di natura sociale ed economica tra le zone montane<br />

e il territorio nazionale. 49 Alle Comunità montane veniva<br />

data la competenza del coordinamento degli interventi<br />

e quindi il loro ruolo veniva collocato nella logica<br />

della programmazione che non poteva prescindere<br />

dal più ampio quadro della programmazione regionale.<br />

Naturalmente si chiedeva ad esse un compito non semplice<br />

e non sempre chiaro perché a capo delle comunità<br />

non c’erano professionisti della politica economica e<br />

perché si rischiava di far produrre semplici elencazioni<br />

di opere pubbliche ed interventi settoriali, nel quadro di<br />

284<br />

un rituale pianto della montagna abbandonata. 50 Insomma,<br />

permaneva il rischio di sempre, e cioè di dire ciò<br />

che una zona montana era e non saper definire ciò che<br />

avrebbe dovuto e potuto essere in futuro.<br />

La legge regionale individuò nell’Ossola 5 Comunità<br />

montane e non una sola grande comunità, esaltando,<br />

così, la suddivisione geografica anziché la conformazione<br />

di tipo culturale, politico ed economico. Vennero costituite<br />

le Comunità Valle Ossola con 18 comuni, Valle<br />

Vigezzo con 7, Valle Antigorio e Formazza con 4, Valle<br />

Anzasca con 5 e Valle Antrona con 4. Probabilmente<br />

fu persa una buona occasione per dare forza e coesione<br />

ad un progetto di rilancio economico della montagna e<br />

i minuscoli «parlamentini» valligiani spesso furono costretti<br />

a dibattersi nell’ordinaria gestione.<br />

La legge regionale 21/1975 propose il decentramento<br />

<strong>industriale</strong> con la concessione di contributi ai Comuni<br />

e ai consorzi di Comuni che avrebbero presentato piani<br />

di <strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong> e artigianale, ma non si registrarono<br />

contributi per il Novarese. Uno studio sulle aree<br />

depresse in Piemonte accertò che nella provincia novarese<br />

vi erano 65 Comuni dichiarati depressi e 76 montani<br />

con notevoli problemi. L’inchiesta accertò anche<br />

che il 57% dei Comuni piemontesi depressi incoraggiava<br />

gli insediamenti industriali con alcune provvidenze,<br />

mentre nel Novarese la percentuale di questi Comuni<br />

fu più alta, ma è difficile sostenere che gli aiuti promessi<br />

dai Comuni avrebbero incentivato automaticamente<br />

gli insediamenti produttivi. 51<br />

Un’attenzione particolare ebbe l’analisi sul ruolo del<br />

Sempione per un rilancio dello <strong>sviluppo</strong> territoriale<br />

partendo dalla premessa che l’Ossola era un’area ponte,<br />

elemento di congiunzione fra le aree forti dell’Europa centro-occidentale<br />

e quella milanese. 52 All’attenzione degli<br />

operatori economici si sottoponeva la necessità di rilanciare<br />

la linea ferroviaria del Sempione sia con la costruzione<br />

di una stazione supplementare per le merci (Domodue),<br />

sia con alcuni interventi normativi.<br />

Nel contesto ambientalista fu pubblicato un altro piano<br />

sul parco naturale dell’Alpe Veglia, situato tra le valli<br />

Devero e Formazza, allo scopo di affrontare un piano di<br />

<strong>sviluppo</strong> che doveva quindi essere valutato nella prospettiva<br />

indicata dall’ecologia, al fine di evitare che l’utilizzazione<br />

a breve termine delle risorse incidesse negativamente


sulla produttività a lungo termine. 53 Guardando alle potenzialità<br />

del turismo come industria integrativa dei settori<br />

produttivi in declino, si rifiutavano alcune soluzioni<br />

che avrebbero stravolto l’ambiente ecologico. Il turismo<br />

entrava nell’indagine economica come fattore risolutivo<br />

dello <strong>sviluppo</strong> anche in considerazione dell’incremento<br />

del passaggio degli stranieri dai transiti della<br />

provincia. Se la società civile si preoccupava di una rivalutazione<br />

«controllata» della montagna, l’Amministrazione<br />

provinciale, sia pure senza contraddizione con la<br />

prima, presentò uno Studio sul potenziamento delle risorse<br />

idriche dell’Alto Novarese che faceva intravvedere nuove<br />

prospettive per rivalutare la montagna attraverso lo<br />

sfruttamento capillare dei piccoli salti idrici forniti dai<br />

ruscelli montani a vantaggio di piccole imprese agricole.<br />

54 Dall’indagine risultava che nella montagna novarese<br />

vi erano le condizioni per favorire la permanenza o la<br />

costituzione di nuove aziende montane una volta elettrificate<br />

e rese autosufficienti. Nessuno però ha mai creduto<br />

che l’agricoltura ossolana avrebbe potuto aspirare<br />

ad un ruolo che andasse al di là di una attività integrativa<br />

rispetto ad altri settori produttivi. Un altro studio,<br />

affidato all’Università Bocconi di Milano, analizzava i<br />

fatti economici fornendo diagnosi e proposte operative<br />

per uscire dalla stagnazione. 55 La causa della crisi fu addebitata<br />

all’incapacità di far fronte alla divisione nazionale<br />

e internazionale del lavoro, allo spostamento dell’area<br />

economica del Paese verso oriente, all’incremento<br />

del mercato tedesco, alla mancanza di ammodernamento<br />

delle vie di comunicazione. La conclusione a cui<br />

perveniva la ricerca, analizzando l’approvazione sociale<br />

dell’imprenditore nell’Ossola, era che questi non veniva<br />

accolto da un sistema favorevole in quanto gli atteggiamenti<br />

socio-culturali dominanti erano tali da inibire<br />

il manifestarsi diffuso di orientamenti imprenditoriali<br />

costruendo un quadro di valori al cui interno l’emergere<br />

dell’imprenditore diventava altamente improbabile.<br />

La causa del problema sarebbe l’aver convissuto con attività<br />

economiche che avevano all’interno schemi limitati<br />

sotto il profilo di tre dimensioni: quella del rischio, quella<br />

dell’innovazione e quella dell’organizzazione. 56 Pertanto,<br />

l’imprenditore — abituato a sfruttare ciò che è già dato<br />

— svilupperebbe minori propensioni a comportarsi come<br />

agente di trasformazione, di creazione tendendo a ripie-<br />

gare su schemi ripetitivi e a discostarsi sensibilmente dal<br />

prototipo schumpeteriano che accetta il rischio.<br />

In altri termini, ai nostri giorni mancherebbe nell’Ossola<br />

l’imprenditore capitalista che accetta il rischio accanto<br />

alla razionalizzazione dei fattori della produzione,<br />

per colpa di un individualismo e di un localismo che farebbero<br />

rinchiudere nel proprio mondo culturale senza<br />

aperture verso l’esterno innovativo.<br />

Se è vera questa analisi per i nostri giorni, c’è da osservare<br />

che nel passato le cose andarono diversamente tanto<br />

che in più occasioni si è avuto modo di sottolineare la<br />

presenza di una imprenditorialità privata e di una apertura<br />

all’innovazione da parte della classe politica locale.<br />

Per avvalorare quanto si va dicendo vale la pena riferire<br />

la vicenda esemplare avvenuta dopo che la Mannesman<br />

declinò l’invito ad insediarsi nell’Ossola. La classe<br />

politica locale e i ceti abbienti costituirono un comitato<br />

Pro Industria nel quale furono inseriti i nomi più prestigiosi<br />

di Ossolani con lo scopo di bandire un concorso<br />

per fare installare a Domodossola uno stabilimento<br />

<strong>industriale</strong> che desse occupazione e reddito. Il Comune<br />

avrebbe incentivato qualsiasi iniziativa con un premio<br />

di £ 10.000.<br />

Non mancarono le proposte: uno stabilimento di flaconeria<br />

e di chimica da Somma Lombardo; un cotonificio<br />

da Garesio; un’attività meccanica offerta dall’ingegnere<br />

De Benedetti di Torino; altre proposte giunsero<br />

da Vado Ligure (officina meccanica), da Milano (calzettificio),<br />

da altri stabilimenti tessili. Il dibattito non fu di<br />

semplice portata, così come oggi non è semplice valutare<br />

l’insediamento <strong>industriale</strong> che alla fine si realizzò alla<br />

periferia della città con una fabbrica di funi e generi affini<br />

dei Fratelli Zanelli di Palazzolo sull’Oglio. La scelta<br />

era stata affidata ad un consulente aziendale, tale Cesare<br />

Boccardo di Intra, che scartò le offerte del cotonificio<br />

e della meccanica finendo col valutare la produzione di<br />

cordami ottimamente inseribile nel contesto produttivo<br />

pel suo genere di manufatti e per la vastità dei suoi articoli<br />

e del loro impiego <strong>industriale</strong> consentendo l’occupazione<br />

a 100 addetti come aveva previsto il capitolato del<br />

Comune. 57 Certo non fu esente la valutazione di certi<br />

ambienti restii ad ammassare un gran numero di mano<br />

d’opera e forse si volle scegliere un settore produttivo<br />

nuovo. Il capitale azionario della società bresciana fu<br />

285


fortemente integrato da quello locale per complessive<br />

£ 310.000. Dunque, in più occasioni la borghesia locale<br />

aveva messo le mani al portafogli per acquistare azioni<br />

di società note o per dare vita a nuove imprese. Così<br />

fu per le società elettriche locali, per la Fratelli Zanelli<br />

e per la costituzione di una Soc. An. per la Condotta<br />

di Acque Potabili che raccolse 157 azionisti di Domodossola<br />

e dei centri valligiani. Qualche anno dopo, nel<br />

1907, si verificò lo stesso quando fu costituita una società<br />

cooperativa per la distribuzione del gas. Gli Ossolani<br />

preferirono costituire una loro società piuttosto che<br />

accettare l’offerta di un servizio di altre ditte più esperte<br />

e consolidate come quella di Carl Francke di Zurigo.<br />

Anche a Vogogna fu rilevata un’impresa <strong>industriale</strong><br />

per la fabbricazione di filati di canapa, spaghi e corda,<br />

la Corderia Ossolana, che occupava 53 operai. Alcuni<br />

ricchi notabili del posto raccolsero 5.000 azioni da £<br />

100, sicuri di entrare nei mercati con un utile netto di £<br />

56.382 che avrebbe consentito dividendi dell’11,25%.<br />

Se l’atteggiamento degli Ossolani un tempo fu più dinamico<br />

e spregiudicato, quali furono le ragioni di questo<br />

protagonismo?<br />

A mio parere, tra le tante, due furono le principali. In<br />

primo luogo, l’emigrazione che aveva arricchito non pochi<br />

personaggi che erano tornati per investire e per fare<br />

lasciti benefici. Tra questi va certamente segnalato Gian<br />

Giacomo Galletti che nel 1869, dopo essere stato eletto<br />

deputato, lasciò al comune di Domodossola la rendita<br />

annua di £ 40.000 in Cartelle del debito pubblico<br />

per la creazione di una Fondazione con il suo nome. In<br />

un altro saggio ho già analizzato gli aspetti finanziari dei<br />

lascito e gli errori commessi dagli amministratori della<br />

rendita in quanto solo in parte riuscirono a realizzare<br />

i progetti del Galletti. 58 L’ingente somma che sarebbe<br />

maturata negli anni avrebbe dovuto servire, secondo il<br />

Galletti, che era stato al servizio dei Rothschild di Parigi,<br />

alla creazione di un istituto tecnico, di una scuola di<br />

arti e mestieri, di un istituto di belle arti, di un imprecisato<br />

Politecnico, di una biblioteca, di musei, giardini<br />

botanici, alla istituzione di una Esposizione annua dei<br />

prodotti dell’agricoltura e della manifattura locale, alla<br />

partecipazion e e alla stimolazione di attività <strong>industriale</strong>.<br />

Nel contesto ossolano, la Fondazione Galletti operò<br />

286<br />

come una cassa di risparmio o come una «società finanziaria<br />

di soccorso» che avrebbe dovuto facilitare e incrementare<br />

la ripresa economica. Sebbene gli amministratori<br />

negli anni successivi non riuscissero a dar corpo<br />

ad un progetto per una vera e propria banca di prestito<br />

e di credito (nel 1884), gli interventi dell’Opera<br />

pia agirono da motore dello <strong>sviluppo</strong> sia creando alcune<br />

infrastrutture educative che si sarebbero rivelale dei<br />

«prerequisiti» all’industrializzazione, sia mettendo a disposizione<br />

alcuni terreni per gli insediamenti industriali,<br />

sia con la partecipazione all’azionariato nelle imprese<br />

locali, malgrado alcuni limiti ed errori commessi dagli<br />

amministratori. Una seconda ragione del mutamento<br />

della mentalità mi sembra debba farsi risalire all’istruzione.<br />

Numerosi studiosi hanno messo in correlazione<br />

il tasso di istruzione con lo <strong>sviluppo</strong> economico; e se alcuni<br />

sostengono che l’istruzione è una conseguenza della<br />

modernizzazione, certamente per l’Ossola avvenne il<br />

contrario. 59 Alla vigilia dell’Unità il 50% degli Ossolani<br />

era alfabetizzato, percentuale alta rispetto a molte altre<br />

situazioni negli stati preunitari; su 60 Comuni soltanto<br />

uno non aveva una scuola maschile e 5 non avevano<br />

quella femminile. Nel 1911 in Val d’Ossola l’alfabetizzazione<br />

era quasi totale (come a Viceno) e solo in Valle<br />

Antrona si registrava un tasso molto basso rispetto alle<br />

altre valli (80%), ma sempre più alto che in altre regioni<br />

italiane. Nelle valli erano state istituite scuole grazie<br />

ai numerosissimi lasciti benefici, a Domodossola erano<br />

state istituite scuole dalla Società operaia e scuole professionali<br />

dal Comune nelle quali furono preparati al lavoro<br />

<strong>industriale</strong> centinaia di ragazzi, anche se con piani<br />

di studio e metodi didattici non sempre coerenti con<br />

l’innovazione a cui si tendeva. 60<br />

Se si accettano queste analisi, si potrebbe concludere<br />

dicendo che, se l’innovazione e il rischio furono i fattori<br />

dello <strong>sviluppo</strong> ossolano nel periodo del decollo <strong>industriale</strong>,<br />

oggi la mancanza di una aggiornata cultura<br />

imprenditoriale e di una apertura alla modernizzazione<br />

costituisce il vero freno alla ripresa economica. Forse<br />

a questa carenza potrebbe far fronte una classe politica<br />

locale illuminata, accorta e aperta al nuovo come<br />

fu quella liberaldemocratica che l’Ossola ebbe prima e<br />

dopo l’Unità nazionale.


Note<br />

1 Alcuni collocano queste attività in epoca pre-romana ed altri in<br />

epoca medievale. Cfr. T. BERTAMINI, Il centro siderurgico di Villadossola<br />

nelle antiche e recenti attività ossolane, Domodossola, Cartografica<br />

Antonioli, 1967; IDEM, Storia di Villadossola, Verbania, 1976,<br />

cap. 10; A. G. ROGGIANI, L’oro italiano è oro ossolano, in «Illustrazione<br />

ossolana», 1960, n. 1, pp. 17-28.<br />

2 Cfr. Li Molini & Edificj d’Acque d’Ossola e terre vicine, Mergozzo,<br />

Antiquarium, 1982. Si vedano i bei saggi ivi compresi di T. BER-<br />

TAMINI, Le ruote che hanno macinato la storia nell’Ossola Superiore,<br />

pp. 45-53; E. RIZZI, La visita delle acque, pp. 55-60; C. MAFFIOLI,<br />

La lite fra gli ossolani e il Fisco Spagnolo per la tassa sul macinato,<br />

pp. 61-68; P.G. PISONI, «Masnadori» di grano e di oro, pp. 69-86.<br />

3 C. CAVALLI, Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo, Torino, Mussano,<br />

1845, tomo I; N. BAZZETTA, Storia di Domodossola e dell’Ossola<br />

Superiore, Domodossola, La Cartografica, 1911.<br />

4 S. CIRIACONO, La protoindustna rivisitata: the fìrst workshop of<br />

Warwick University, in «Quaderni storici», a. XX, 59, n. 2; pp.<br />

513-19. Cfr. Soprattutto SIDNEY POLLARD, La conquista pacifica.<br />

L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Bologna, II Mulino,<br />

1984, pp. 111-134 secondo cui «i territori meno adatti allo<br />

sfruttamento agricolo si trovano a giocare un ruolo chiave nell’industrializzazione<br />

europea» in quanto non avevano altre prospettive<br />

al di fuori della fame e dell’emigrazione (p. 123).<br />

5 Rinvio ai saggi, oggi raccolti in volume, di L. CAFAGNA, Dualismo e<br />

<strong>sviluppo</strong> nella storia d’Italia, Venezia, Marsilio, 1989.<br />

6 Cfr. M. POZZOBON, L’industria padana dell’acciaio nel primo trentennio<br />

del Novecento, in F. BONELLI (a cura di). Acciaio per l’industrializzazione,<br />

Torino, Einaudi, 1982, p. 169. La prima frase virgolettata<br />

è di L. CAFAGNA, Op. cit., p. 288.<br />

7 Per un approfondimento di quanto qui si va dicendo rinvio al mio<br />

vol. Industrializzazione e movimento operaio in Val d’Ossola. Dall’Unità<br />

alla prima guerra mondiale, Milano, F. Angeli, 1985, ricco di<br />

dati e di bibliografia. Da questo vol. si intendono tratti i riferimenti<br />

statistici quando non sono diversamente indicati.<br />

8 U. CHIARAMONTE, L’Ossola e le Esposizioni industriali fino alla prima<br />

guerra mondiale, in «Novara -notiziario economico», Camera di<br />

Commercio, 1983, n. 5, pp. 47-55. Sull’importanza delle Esposizioni<br />

come indice dello <strong>sviluppo</strong> cfr. G. ARE, II problema dello <strong>sviluppo</strong><br />

<strong>industriale</strong> nell’età della Destra, Pisa, Nistri-Lischi, 1964, pp. 45-<br />

73; L. CAFAGNA (a c. di), Il Nord nella gloria d’Italia, Bari, Laterza,<br />

1962; R. ROMANO, Le Esposizioni industriali italiane: linee di metodologia<br />

interpretativa, in «Società e storia», a. III. 1980, pp. 215-228.<br />

9 G. VEGEZZI RUSCAGLIA, Esame della già progettata linea di strada ferrata<br />

fra Genova e la Germania e proposizione di altra più conveniente,<br />

Domodossola, Vercellesi. 1850.<br />

10 V. ZAMACINI, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica<br />

dell’Italia: 186I-1981, Bologna, II Mulino, 1990, p. 107; cfr. anche<br />

L. CAFAGNA, Profilo della storia <strong>industriale</strong> italiana, in Dualismo<br />

e <strong>sviluppo</strong>, cit., pp. 297 ss.<br />

11 Si dà qui la definizione E. A. WRIGLEY, Processo di modernizzazione<br />

e Rivoluzione <strong>industriale</strong> in Inghilterra, in «The Journal of Interdisciplinary<br />

History», vol. III, n. 2, 1972, pp. 225-59.<br />

l2 Su questo tema rinvio al mio saggio La reazione della sinistra alla<br />

formazione del trust siderurgico (1911), Relazione al Convegno su<br />

«La storia del movimento operaio nell’area siderurgico-mineraria<br />

della Toscana dalla fine dell’800 al secondo dopoguerra», Piombino,<br />

11-12 febbraio 1983; e U. CHIARAMONTE, Gli scioperi nella siderurgia<br />

a Piombino (1910-1911), Domodossola, Ambiente, 1983.<br />

13 Riportano in U. CHIARAMONTE, Industrializzazione e movimento<br />

operaio, cit,, p. 132.<br />

14 Cfr. V. ZAMAGNI, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia.<br />

Bilancio dell’età giolittiana, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 48-49.<br />

15 Per un panorama sulla siderurgia nazionale, accanto al classico G.<br />

SCAGNETTI, La siderurgia in Italia, Roma, Ind. Tip. Romana, 1923.<br />

si vedano: La siderurgia italiana dall’Unità ad oggi, in «Ricerche storiche»,<br />

(n. speciale sulla metallurgia) a. VIII, 1978, n. 1; Associazione<br />

fra le Soc. Italiane per Azioni, L’economia italiana dal 1911 al<br />

1926, Roma, X Congresso Geografico Italiano, 1927.<br />

16 E. FLORIDIA, Le attività siderurgiche quali fattori di urbanizzazione<br />

di Villadossola e di equilibrio socioeconomico nella regione ossolana,<br />

in «Notiziario di Geografia economica», scritti di F. Milone, a. II,<br />

1971, p. 147. Nell’archivio di Villadossola (abbreviato d’ora in poi<br />

in ACV), Faldone 117, è possibile ricavare alcuni dati sull’immigrazione<br />

operaia dall’Emilia Romagna, da Piombino, da Genova, da<br />

Udine, da Omegna e da altre zone notoriamente con esperienze siderurgiche.<br />

Un elenco di operai ci indica nomi, età e provenienza.<br />

17 Mentre nel 1909 nelle due miniere d’oro ancora attive si estrassero<br />

t 2.890 di minerale ricavando kg 15.136, nel 1914 il minerale<br />

ammontò a t 206, l’oro a kg 1,10 e l’argento a kg 2,06. Nel periodo<br />

1872-1912 si pagarono £ 86.130 di tasse, costituendo la gran parte<br />

del gettito fiscale minerario del Piemonte.<br />

18 L’industria ossolana, in «L’Ossola», settimanale, 4 agosto 1906 riportato<br />

in Industrializzazione, pp. 116-21.<br />

19 P. LANINO, La nuova Italia <strong>industriale</strong>, Roma, L’Italiana, 1916.<br />

20 Oltre al mio vol. Industrializzazione, pp. 142-145, ho utilizzato<br />

nuove fonti dell’ACV, Faldone 117: Jutificio Ossolano (1903-1939).<br />

21 ACV, Faldone 117, cit., lettera dello Jutificio Nazionale al sindaco<br />

di Villadossola, Ceretti, Genova 12 aprile 1928.<br />

22 L. CAFAGNA, L’industrializzazione italiana. La formazione di una<br />

«base <strong>industriale</strong>» fra il 1896 e il 1914, in «Studi storici», a. II, 1961,<br />

n. 3-4, p. 711.<br />

23 U. CHI ARA MONTE, Industrializzazione, cit. p. 331 e tutto il cap. 10.<br />

24 E. CONTI, Dal taccuino di un borghese, Milano, Garzanti, 1946, p. 51.<br />

25 Cfr. i voll. Nel cinquantenario della Società Edison, Milano,<br />

1934.<br />

26 A. FORTI, Le costruzioni idrauliche applicate alla produzione di forza<br />

motrice, in Nel cinquantenario, cit., p. 55. Cfr. anche Le dighe di<br />

ritenuta degli impianti idroelettrici italiani, Milano, F. Angeli, 1951,<br />

in 7 voll.<br />

27 F. MILONE, L’economia italiana nelle sue regioni, Torino, 1955, p.<br />

216.<br />

28 V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro, cit., p. 344. Questa è la tesi<br />

di altri tra cui G. GUALERNI. Industria e fascismo, Milano, Vita e Pensiero,<br />

1976.<br />

29 V. ZAMAGNI, Op. cit., p. 345.<br />

30 Sugli aspetti economici mi permetto rinviare al mio vol. <strong>Economia</strong><br />

e società in provincia di Novara durante il Fascismo (1919-1943),<br />

Milano. F. Angeli, 1987 al quale mi rifarò per tutti i dati non altrimenti<br />

specificati.<br />

287


31 Cfr. V. CASTRONOVO, L’industria siderurgica e il piano di coordinamento<br />

dell’IRI (I936-I939), in «Ricerche storiche», cit., pp. 163-188.<br />

32 R. PRODI, Sistema <strong>industriale</strong> e <strong>sviluppo</strong> economico in Italia, nel vol.<br />

dallo stesso titolo che raccoglie gli atti del convegno di Bologna, 14<br />

aprile 1973, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 11.<br />

33 ACV, Faldone 117, Jutificio, cit., lettera del podestà Mario Ceret-<br />

ti al prefetto, 17 agosto 1927.<br />

34 Ivi, lettera dello Jutificio nazionale al podestà del 3 settembre<br />

1928; il podestà interessò il prefetto con lettera del 21 dicembre<br />

1928; una lettera dell’ing. Ferrari della società al podestà Ceretti annunciò<br />

la definitiva chiusura (3 giugno 1933).<br />

35 ACV, Faldone 210 bis. Case popolari P. M. Ceretti e Villaggio Sisma,<br />

Relazione, 5 giugno 1938. La Relazione sulla insufficienza delle<br />

abitazioni e sulle condizioni igienico-sanitarie delle abitazioni esistenti<br />

(I8 dicembre 1937) dava questi dati: famiglie n. 1.382; abitazioni<br />

5.034; case igieniche abitab. 217, fam. 540; case adattabili 156,<br />

fam. 356; case inabitabili 227, fam. 486; fam. con 4 pers. in case di<br />

2 vani 207; fam. con 5 pers. in 2 vani 135; di 5 pers. in 3 vani 161.<br />

36 ACV, Faldone 210 bis, cit., lettera della società Ceretti al prefet-<br />

to, 29 marzo 1938.<br />

37 COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA, La disoccupazione in<br />

Italia. Monografie regionali. Atti della Commissione, vol. III, tomo I,<br />

Roma, 1953, p. 120. Per un panorama complessivo della ricostruzione<br />

rinvio al mio recente saggio. Secondo dopoguerra in Val d’Ossola:<br />

ricostruzione e nuova classe politica, in «Boll. storico per la provincia<br />

di Novara». a. LXXVII, 1994, n. 2.<br />

38 D. PARISET, L’oro di Pestarena, in «Risveglio ossolano». 13 settembre<br />

1950. Così aveva scritto l’A. riferendo una conversazione tenuta<br />

a «Rete azzurra» della Rai. Il prezzo dell’oro nel 1948-49 era stato<br />

£ 1.100-1.130 al gr. mentre dopo una flessione, nel 1950 si era<br />

portato a £ 880 al gr.<br />

39 Al tema dell’oro è stato dedicato un interessante convegno. Cfr.<br />

Le miniere d’oro e le acque arsenico-ferruginose della Valle Anzasca, in<br />

«Suolo-sottosuolo», Notiziario dell’Associazione Mineraria Subalpina,<br />

a. VII (1981), n. 1, Atti del simposio del 29 novembre 1980.<br />

40 In quest’ottica si giustificavano il IV centro siderurgico di Taranto<br />

e il V di Gioia Tauro, mai realizzato. Cfr. L. DE Rosa, La siderurgia<br />

italiana dalla ricostruzione al V centro siderurgico, in «Ricerche storiche»,<br />

a. VIII, cit., pp. 251-275.<br />

41 L’Ossola partecipava alla produzione nazionale con un 9% assieme<br />

agli stabilimenti di minore entità. Cfr. A. FRUMENTO, / baricentri<br />

siderurgici italiani fra il 1949 e il 1971, in «Rivista internazionale<br />

di scienze economiche e commerciali», a. XV (1968), n. 3; E. MAS-<br />

SI, Tipi geografico-economici nell’evoluzione della siderurgia italiana,<br />

in «Ricerche storiche», cit. pp. 307-330.<br />

42 Cfr. E. Rossi, Elettricità senza baroni. Bari, Laterna, 1962; E. SCAL-<br />

FARI, Storia segreta dell’industria elettrica, Bari, Laterna, 1963.<br />

43 P. G. LANDINI, Attività industriali antiche e recenti nell’Ossola,<br />

estratto dagli «Atti del XXI congresso geografico italiano», Verbania,<br />

1971, p. 8.<br />

44 Per le statistiche del periodo risulta importante consultare COMI-<br />

288<br />

TATO COMPRENSORIALE VERBANO Cusio OSSOLA, Piano socio-economico<br />

di Comprensorio, Torino, Regione Piemonte, 1980.<br />

45 Problematiche dei flussi migratori in provincia di Novara, Atti del<br />

convegno di Borgomanero del 26 Ottobre 1983, Amministrazione<br />

Provinciale, Borgomanero, 1984. Cfr., in particolare, P. CROSA LENZ,<br />

Elementi di demografia storica delle Valli dell’Ossola: spopolamento alpino<br />

e mutamenti culturali, pp. 187-212.<br />

46 Per un panorama <strong>industriale</strong> contemporaneo rinvio a C. SQUIZZI,<br />

Congresso eucaristico ossolano, cit., pp. 21 ss; cfr. anche FEDERAZIONE<br />

LAVORATORI METALMECCANICI - NOVARA, Ricerca sulla struttura della<br />

industria metalmeccanica nella provincia di Novara, Novara, s.d. (ma<br />

1978) condotta in 222 aziende metalmeccaniche. «Un segnale allarmante<br />

della crisi <strong>industriale</strong> si ebbe con la requisizione, da parte del<br />

sindaco di Villadossola, della SISMA nel 1962, e con altre lotte sindacali».<br />

Cfr. P. PIRAZZI MAFFIOLA, Villa operaia. Appunti per una storia<br />

della Camera del lavoro di Villadossola. Villadossola, 1993: REGIONE<br />

PIEMONTE - COMUNE DI VERBANIA, Il mercato del lavoro nel VCO, Verbania,<br />

1993 (ciclostilato).<br />

47<br />

URPP, Piano di <strong>sviluppo</strong> del Piemonte. Studi e documenti. Gli strumenti<br />

per la programmazione regionale. I. L’istituto finanziario per lo<br />

<strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong>, a cura dell’Ires, Torino, 1965.<br />

48 A. CASSONE - A. PIANO, La localizzazione <strong>industriale</strong> e programmazione<br />

regionale. Il caso Piemonte, Milano, F. Angeli, 1983, p. 12.<br />

49<br />

CIPE, Comunità montane e piani di <strong>sviluppo</strong>. Atti del convegno, Torino,<br />

2 marzo 1974, supplemento a «Note informative di politica<br />

economica regionale», N.S., a. I, n. 3-4, 1974.<br />

50 Cfr. l’intervento di C. SIMONELLI nel convegno cit., pp. 21-29.<br />

51 Cfr. ECRIS, Lo <strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong> delle aree depresse del Piemonte,<br />

Torino, LIED ed., 1966.<br />

52 E. FERRARI, Lo scalo di Domodue e il ruolo dell’Ossola nel sistema<br />

dei trasporti internazionali, in Vent’anni della rivista Novara; 1966-<br />

1985, Novara, CCIAA, 1985, p. 74.<br />

53 G. M. CAPUANI, Presentazione, in Alpe Veglia parco naturale, estratto<br />

da «Novara - mensile economico della CCIAA», dicembre 1970.<br />

54 Provincia di Novara, Studio sul potenziamento delle risorse idriche<br />

nell’Alto Novarese, Novara, 1983 (ciclostilato).<br />

55 Scuola di Direzione Aziendale. Università Bocconi - Milano, Per<br />

un recupero della imprenditorialità nel Verbano-Cusio-Ossola. Cause<br />

della crisi e ipotesi di soluzione, Novara, Amministrazione Provinciale,<br />

1984.<br />

56 Idem, p. 172. Ivi anche la citazione successiva.<br />

57 ACD, Cat 11, cartella 4: Pro Industria, cit. da U. CHIARAMONTE,<br />

Industrializzazione, cit., pp. 278-290.<br />

58 U. CHIARAMONTE, Capitali e investimenti di un’Opera pia dell’Ottocento:<br />

la Fondazione Galletti di Domodossola, in «Boll. storico per la<br />

provincia di Novara», a. LXXV, 1984, n. 2, pp. 325-372.<br />

59 M. BARBAGLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in<br />

Italia, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 106.<br />

60 U. CHIARAMONTE, Istruzione tecnico-professionale e <strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong><br />

in Val d’Ossola: 1856-1916, estratto da «Boll. storico per la<br />

provincia di Novara», a. LXXXI, 1990, n. 2, pp. 402-453.

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