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Economia e sviluppo industriale

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A ben guardare, le attività minerarie nel nostro caso erano<br />

ancora più accentuate se alle già citate si aggiungono<br />

le risorse idrauliche che con lo sfruttamento per l’energia<br />

elettrica diverranno un altro punto di forza per lo<br />

<strong>sviluppo</strong> <strong>industriale</strong>. Diciamo che il salto di qualità cominciò<br />

ad aversi con l’affermarsi di alcune idee innovative<br />

da parte della borghesia di recente formazione che<br />

aveva accumulato capitali ed esperienze nell’emigrazione<br />

o nella proprietà boschiva. Entrarono allora nell’Ossola<br />

capitali freschi che si trasformarono in lavori edili,<br />

in scuole e chiese, ma anche in nuove risorse finanziarie<br />

per le ricerche minerarie.<br />

Alla fine del ‘700, grazie all’intraprendenza di Pietro<br />

Maria Ceretti, si verificò una decisiva svolta nell’economia<br />

locale quando fu costituita la prima società e fu<br />

fondato il primo stabilimento per la lavorazione della<br />

ghisa in un forno di Viganella, alimentato dal carbone a<br />

legna. A quell’esperienza, continuata e migliorata negli<br />

anni successivi, noi possiamo attribuire quel ruolo decisivo<br />

che lo storico Luciano Cafagna ha definito partenza<br />

da lontano dell’industrializzazione italiana. Il Ceretti<br />

è senz’altro da annoverare tra quegli imprenditori che<br />

nella storia d’Italia sono stati visti come gli artefici della<br />

modernizzazione del nostro paese 5 .<br />

Non è compito mio definire qui il profilo imprenditoriale<br />

del Ceretti (cosa che non coincide soltanto con<br />

la ricostruzione delle vicende della sua fabbrica, come<br />

è stato finora tentato), ma si deve sottolineare che uno<br />

dei suoi meriti fu quello di poter contare su capitali personali<br />

e su una dose cospicua di rischio. La sua azione<br />

non va decontestualizzata dalla schiera di imprenditori<br />

lombardi e piemontesi che si misero alla testa di attività<br />

acquisendo con tenacia una cultura <strong>industriale</strong> mediante<br />

contatti ricercati e voluti, specie del Milanese. A lui si<br />

deve quella prima mano di vernice <strong>industriale</strong> che certamente<br />

non fu di rilevanti proporzioni perché non si collegò<br />

ai circuiti nazionali ed europei, ma costituì il tessuto<br />

che proveniva inevitabilmente da lontano. 6<br />

Il merito della P.M. Ceretti fu quello di essere la prima<br />

esperienza di fabbrica e di stimolare l’estrazione del minerale<br />

ferroso ossolano, lo studio e l’adozione di nuovi<br />

metodi di lavorazione della ghisa, oltre a far scoprire<br />

l’immensa ricchezza di energia a portata di mano: i boschi<br />

e le acque. Ma si trattò sempre di produzioni ridot-<br />

268<br />

te che fino all’Unità nazionale avevano avuto un mercato<br />

locale nel contesto della siderurgia dell’area alpina.<br />

Anche le miniere d’oro erano state esercitate da famiglie<br />

ricche delle valli con una discreta quantità di mano<br />

d’opera, ma senza ambizioni industrialiste. 7<br />

L’attività estrattiva delle cave di marmo, che lavorarono<br />

molto, se non esclusivamente, per la Fabbrica del<br />

Duomo di Milano (cave di Candoglia), o della Certosa<br />

di Pavia (cave di Crevoladossola) e del Duomo di Pavia<br />

(cave di Ornavasso), era una vera e propria protoindustria<br />

che diede lavoro a centinaia di cavatori e scalpellini.<br />

Il sistema di conduzione sarebbe da sottoporre a verifica<br />

storica per accertare la presenza di forme precapitalistiche<br />

nell’organizzazione del lavoro.<br />

In sostanza, questa caratteristica continuò a manifestarsi<br />

anche a cavallo dell’unità d’Italia e fino alla fine dell’Ottocento<br />

quando si realizzarono le condizioni che<br />

consentirono la rivalutazione delle risorse naturali locali.<br />

Nel 1861, con l’Esposizione universale di Parigi, la<br />

Val d’Ossola mise in mostra i prodotti delle sue miniere<br />

aurifere. Nel 1863, da sola, essa produsse kg 125,401<br />

d’oro, per un valore complessivo di £. 236.331, dando<br />

lavoro a 80 operai che poterono contare su 23.500 lire<br />

di salari; ma per il resto la produzione ossolana rimaneva<br />

di tipo artigianale. Nel 1875 l’Ossola partecipò all’Esposizione<br />

regionale di Novara con prodotti che fotografavano<br />

uno stato complessivo di arretratezza: pece<br />

prodotta a Trasquera, fruste a Villadossola, rastrelli a<br />

Crodo, cannelle e ferri agricoli a Domodossola. Eppure,<br />

i 31 espositori ossolani presentarono oltre 60 specie<br />

di manufatti dimostrando che era possibile avviare nuove<br />

prove e studii 8 .<br />

Ma già con il 1881 all’Esposizione nazionale di Milano<br />

la qualità del lavoro ossolano venne messa in rilievo: vi<br />

comparvero i prodotti delle cave e delle miniere, laverie<br />

e mulini per minerali, campioni di rame e di piombo<br />

argentifero, amianto, cristalli e oro. Accanto ad altre<br />

produzioni di tipo artigianale, fu presentata la lavorazione<br />

del ferro dello stabilimento della P.M. Ceretti<br />

che, nello stesso anno, aveva prodotto 460 t di ghisa.<br />

All’Esposizione nazionale di Torino nel 1884 l’Ossola<br />

e la sua produzione confermarono l’attivismo di un<br />

ceto produttivo che aspirava a migliorare e a estendere<br />

la tipologia della produzione, anche se non fu presen-

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