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Economia e sviluppo industriale

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l’oro nella quale la P.M. Ceretti investì forti somme per<br />

l’ammodernamento delle attrezzature con macchinari<br />

importati da Bochum (Germania). Fu così che dai 3-4<br />

kg di oro degli anni ’20 si arrivò a produrne 15-16 kg<br />

con una resa dell’80% e anche del 90% nelle 100 t giornaliere<br />

di minerale; inoltre, furono scoperti altri filoni<br />

nella concessione Pozzone Speranza dove i macchinari<br />

erano azionati da un impianto compressore della potenza<br />

di 1.000 hp. Prima della seconda guerra mondiale<br />

a Pestarena si estraevano 300.000 t di minerale con<br />

una produzione di 10 gr d’oro per t. È stato calcolato<br />

che nel solo ampliamento della miniera Ribasso Morghen<br />

furono spesi circa 9 milioni di lire per l’ammodernamento<br />

delle infrastrutture e degli impianti.<br />

Ci fu anche un aumento occupazionale (da 151 addetti<br />

nel 1930 si passò a 200 nel 1935) e di produzione aurifera<br />

(da 60 kg nel 1937 a 407,8 kg nel 1942 e 365,4<br />

nel 1943). Ciò convinse il Ministero della guerra a sollecitare<br />

una estromissione del capitale estero e un coinvolgimento<br />

diretto dello Stato mediante il passaggio di<br />

proprietà dalla P.M. Ceretti all’Azienda Minerali Metallici<br />

Italiani (AMMI) nel 1939. Nelle cave di pietra,<br />

graniti e marmo ci fu una costante espansione rilevabile<br />

dagli aumenti di capitale sociale e dalla produzione<br />

(con alcune differenze tra marmi, gneiss e quarzi), e si<br />

può dire che nel periodo si rafforzarono le condizioni<br />

capitalistiche di molte aziende.<br />

Le stesse valutazioni potremmo fare per il settore siderurgico<br />

che fu in continuo incremento a partire dal<br />

1929. Nell’Ossola, oltre alla P.M. Ceretti che continuava<br />

a soddisfare un suo mercato, la Metallurgica Ossolana,<br />

dopo un periodo di crisi senza la possibilità di un<br />

intervento diretto dello Stato, nel 1939 ebbe un rilancio<br />

con l’ingresso del capitale della Soc. Edison, ma dovette<br />

mutare la ragione sociale in Sisma (Soc. Industrie<br />

Siderurgiche Meccaniche ed Affini) e spostare la sede<br />

centrale da Villadossola a Milano. Da piccola azienda<br />

familiare di interesse locale si trasformò in uno stabilimento<br />

di livello nazionale con un capitale sociale di<br />

£ 30 milioni nel 1939, aumentato a £ 100 milioni nel<br />

1940 e poi a 110 milioni. Nel 1938 l’Annuario metallurgico<br />

segnalava in Italia una ripresa produttiva per i<br />

104 forni elettrici per ghisa e per i 134 forni elettrici<br />

per acciaio. Durante la guerra la produzione della ghi-<br />

278<br />

sa ebbe il suo massimo trend produttivo: 259.000 t pari<br />

al 25% del totale e nella sola Domodossola si censirono<br />

15 forni elettrici per ghisa, cioè il più alto numero tra i<br />

restanti stabilimenti siderurgici dell’area alpina.<br />

Le minori aziende crebbero anch’esse: la Galtarossa di<br />

Varzo e quella di Domodossola, sebbene conoscessero<br />

momenti di crisi, ebbero un rilancio fino a raggiungere,<br />

nel 1941, un capitale di £ 15 milioni, quando la società<br />

ebbe un utile di 1.500.000 di lire. Semmai, la Galtarossa<br />

dal fascismo subì una compressione che ancora oggi<br />

risulta di difficile lettura. Orientata la propria specializzazione<br />

verso il carburo e il calciocianamide, fu proprio<br />

il Consorzio italiano di carburo e ferroleghe ad assegnarle<br />

una quota limitata pari al 16% della sua potenzialità.<br />

A nulla valsero i progetti di ampliamento e di<br />

ammodernamento presentati dalla società al Consorzio<br />

senza chiedere alcun finanziamento potendo far fronte<br />

alle spese di £ 750.000 con mezzi propri. Eppure, i consumi<br />

dei concimi erano in aumento e lo sarebbero stati<br />

di più nel contesto della campagna ruralista del regime.<br />

Le scelte economiche del fascismo, come è stato ampiamente<br />

dimostrato, vanno inserite nel «piano regolatore»<br />

dell’economia italiana, annunciato da Mussolini nel<br />

marzo 1936, che prevedeva un maggiore coinvolgimento<br />

dello Stato nel settore <strong>industriale</strong> mediante le Corporazioni<br />

che decidevano sulle politiche aziendali.<br />

Da una parte il progetto si attuò con l’allineamento della<br />

nostra moneta alle divise estere; dall’altra, si progettò<br />

un rafforzamento della siderurgia a ciclo integrale con<br />

l’obiettivo autarchico di far fronte al fabbisogno nazionale<br />

entro il 1940. 31 È da questo disegno economico-finanziario<br />

che sorse l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano)<br />

con lo scopo di aiutare le imprese private, e nacque, nel<br />

1933, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale)<br />

che divenne una vera e propria holding rilevando capitali<br />

azionari di banche e industrie. Il peso dell’intervento<br />

pubblico con il fascismo divenne massiccio tanto che<br />

la nascita e il consolidamento di nuovi settori produttivi<br />

si accompagnano storicamente a forme crescenti di intervento<br />

statale: queste si articolano tanto in forti protezioni<br />

doganali [...] quanto in interventi finanziari diretti. 32 A<br />

ben guardare, il fascismo tutelò la grande industria più<br />

che la media e piccola o l’artigianato.<br />

Il settore chimico moderno si può dire che nacque nel-

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