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Economia e sviluppo industriale

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avrebbero dovuto essere sopportate in rapporto al numero<br />

degli operai: per i 14/30 dalla Metallurgica Ossolana<br />

(poi Sisma), per i 7/30 dalla Ceretti e per i restanti<br />

9/30 dalla Sips e dalla Set. Gli industriali della Ceretti<br />

e della M.O. aderirono subito a condizione che venisse<br />

offerto loro il terreno con l’esproprio per pubblica utilità,<br />

mentre i delegati delle altre due società presero tempo<br />

per riferire ai rispettivi consigli di amministrazione.<br />

La Ceretti scelse la zona Pedemonte, in periferia, ma vicina<br />

allo stabilimento e individuò per le case operaie<br />

mq 42.136 di terreno di proprietà di 42 persone, tra cui<br />

la stessa Ceretti. La spesa per i terreni fu di £ 126.408,<br />

mentre le spese complessive furono £ 430.000 compresa<br />

la costruzione dei fabbricati. 36 Alcuni proprietari dei<br />

terreni intralciarono l’opera facendo ricorso, ma il prefetto<br />

aderì alla richiesta dell’impresa, le difficoltà furono<br />

superate e le 185 case vennero costruite assieme ad<br />

un asilo nido e ad un ricovero per anziani.<br />

Anche La Metallurgica Ossolana costruì un proprio villaggio<br />

operaio lungo la strada del Sempione, a ridosso<br />

della ferrovia, per complessivi 213 alloggi in casette a<br />

due piani con chiesa, scuola e servizi.<br />

Ricostruzione e «miracolo economico»<br />

Con la seconda guerra mondiale il processo di <strong>sviluppo</strong><br />

subì un gravissimo contraccolpo di cui risentì anche<br />

l’Ossola per la difficoltà di reperire le materie prime.<br />

Durante il conflitto la Sips di Villadossola fu incorporata<br />

dalla Distillerie Italiane che aveva la sede a Milano<br />

e quindi dal 1944 poté contare su un rafforzamento<br />

degli investimenti. Durante il periodo della «repubblica<br />

partigiana», nel settembre-ottobre 1944 l’Ossola<br />

costituì un punto di riferimento politico e <strong>industriale</strong><br />

proprio per l’alta concentrazione produttiva che fu salvaguardata<br />

a costo di non pochi sacrifici. Difficile fu il<br />

periodo della ricostruzione per la mancanza di materie<br />

prime e di mercati di espansione. La produzione idroelettrica<br />

raddoppiò nel dopoguerra e crebbe l’offerta di<br />

energia che, se di per sé non è indice della ripresa <strong>industriale</strong><br />

o di incremento dell’occupazione, precede la domanda<br />

e costituisce un’ottimistica previsione delle generali<br />

condizioni economiche. 37<br />

Gli storici economici hanno distinto tre fasi dal dopoguerra<br />

ad oggi: la prima è quella della ripresa, denomi-<br />

280<br />

nata «miracolo economico», che va dal 1953 al 1962;<br />

la seconda è quella della «congiuntura» che va dal 1963<br />

agli anni ’70; la terza è quella dei nostri giorni.<br />

Agli inizi degli anni ’50 rispuntò l’interesse per le miniere<br />

d’oro di Pestarena di proprietà dell’Ammi. Con<br />

una certa forzatura il monte Rosa fu valutato come un<br />

serbatoio d’oro inesauribile, ma forse non si tenne conto<br />

degli oneri finanziari che una ripresa dell’attività avrebbe<br />

comportato, il prezzo dell’oro era aumentato anche<br />

per effetto della guerra della Corea, ma la produzione<br />

delle miniere ossolane era solo di 400 kg annui<br />

e vi lavoravano 500 addetti in due turni quotidiani per<br />

i quali la società aveva creato un villaggio, un cinema<br />

e un dopolavoro. 38 Ma queste provvidenze non avevano<br />

eliminato la temibile silicosi che falcidiava la classe<br />

operaia attorno ai 40-50 anni di età. Comunque il<br />

problema era di verificare la redditività delle miniere:<br />

a Pestarena si estraevano 7-8 gr d’oro da una t di micasciste<br />

e ogni mese si estraevano 180 t circa di minerale<br />

che veniva lavorato da ditte specializzate di Milano,<br />

mentre il fabbisogno nazionale si calcolava in 27,5 t d’oro<br />

per gli scambi ufficiali con l’estero. Gli eccessivi costi<br />

fecero desistere dall’impresa di scavare, ma a fasi alterne<br />

non mancano i fautori di un impegno minerario<br />

nell’Ossola. 39<br />

Il settore tradizionalmente trainante, il siderurgico, nella<br />

prima fase qui presa in esame risentì della favorevole<br />

congiuntura nazionale e internazionale. Tuttavia, delineare<br />

un breve panorama della siderurgia italiana non<br />

è possibile senza accennare al Piano Sinigaglia del 1947<br />

che si basava su alcuni punti fondanti: ritenendo sottodimensionati<br />

i consumi di acciaio e prevedendo una<br />

loro espansione, esso ipotizzava una graduale diminuzione<br />

dell’utilizzo dei rottami per avviare, invece, un<br />

processo di produzione integrale. Ciò avrebbe comportato<br />

un ammodernamento di alcuni impianti con grossi<br />

investimenti, ma ne avrebbe chiusi altri. In sostanza,<br />

il Piano rafforzava la siderurgia tirrenica e ligure, cioè<br />

quella che faceva capo alla società Finsider (Iri) mentre<br />

comprimeva quella dell’area alpina e padana. C’è da aggiungere<br />

che in tutta Europa dal 1960 in poi si privilegiò<br />

una localizzazione costiera abbandonando i centri<br />

di antica tradizione siderurgica. Si trattò di una politica<br />

<strong>industriale</strong> attenta a facilitare e ridurre i costi del tra-

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