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3.3) I monumenti e i segni d'arte - Terradossola.It

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I <strong>monumenti</strong> e i <strong>segni</strong> d’arte<br />

Gian Franco Bianchetti<br />

Le opere, i <strong>monumenti</strong>, i <strong>segni</strong> d’arte depositati dal<br />

tempo nella valle della Toce sono molti, pertanto nelle<br />

poche pagine seguenti non potrò ricordarli tutti, mi<br />

limiterò invece ad indicare quelli particolarmente rappresentativi<br />

di periodi storici, di scuole artistiche locali<br />

o di personalità che hanno creato felici momenti d’arte<br />

nel fluire della storia ossolana.<br />

La baita, con i suoi muri a secco solidamente costruiti<br />

per reggere le travature impostate a sostegno della pesante<br />

copertura di piode è, probabilmente, l’opera prima<br />

creata dal genio degli abitatori dell’Ossola al tempo<br />

della colonizzazione iniziale. Immutata nella tecnica costruttiva<br />

e nei materiali, è un monumento archeologico<br />

che ha conservato nei millenni valori di funzionalità e<br />

bellezza anche nella collocazione appropriata alle diverse<br />

situazioni presentate dal terreno e dalle risorse ambientali.<br />

Ma con la baita non si esaurì la capacità creativa<br />

di quella cultura primordiale, giacché ad essa vanno<br />

ascritti anche i muri a secco megalitici innalzati per sostenere<br />

i ripiani coltivabili sulle pendici delle valli, collegati<br />

fra essi, altresì, da un sistema di scale, a volte incassate<br />

a volte aggettanti, che tuttora rappresentano la<br />

più vasta e persistente testimonianza della fatica iniziale<br />

dell’uomo volta ad adattare l’ambiente alpestre alle esigenze<br />

della propria sopravvivenza. A riprova dell’evoluzione<br />

tecnica raggiunta nel trattamento e nell’impiego<br />

di materiali spontaneamente offerti dall’ambiente naturale,<br />

un altro fenomeno, meno diffuso, ma tecnicamente<br />

significativo, sopravvive concomitante alle opere<br />

megalitiche, ossia le camere sotterranee ricavate nei<br />

muri a secco (dette sotto fascia) frequentemente ampliate<br />

nel sottosuolo retrostante, coperte talvolta da false<br />

cupole (a tholos), tal altra da spesse lastre oppure costruite<br />

sotto massi erratici di grandi dimensioni inglobati<br />

nel tessuto murario. La presenza delle camere sot-<br />

terranee si concentra prevalentemente a Montecrestese,<br />

sui declivi alle spalle della località Castelluccio, e soprattutto<br />

a Varchignoli, località al confine fra i territori di<br />

Villadossola e Montescheno, dove si manifesta associata a<br />

canalizzazioni di drenaggio, a tratti sotterranee, a tratti<br />

a cielo aperto, rilevate pure a Castelluccio, che, correlate<br />

allo sviluppo dei muri megalitici e alla dislocazione<br />

delle scale suggeriscono l’effetto di un sistema complessivo<br />

progettato per bonificare l’area comprendente<br />

anche territori limitrofi di altre località a oriente di Varchignoli<br />

1 . Camere sotterranee che, ponendo oggi interrogativi<br />

sulla loro utilizzazione, pare aprano un passaggio<br />

sul versante spirituale di quella cultura di un tempo<br />

precedente la storia a cui appartengono anche altri <strong>segni</strong>,<br />

funzionali, questi, alla religiosità di quella gente lepontica<br />

che per prima abitò le valli ossolane. Sono infatti<br />

<strong>segni</strong> rivelatori del culto praticato nei secoli antecedenti<br />

alla diffusione del Cristianesimo: la stele cruciforme<br />

trovata alla Colma di Craveggia, e ivi conservata<br />

nell’oratorio di San Rocco, simbolo solare invocato per<br />

ottenere la fecondità della terra e degli armenti; i bassorilievi<br />

antropomorfi murati all’esterno della parete meridionale<br />

di San Quirico a Calice e il mascherone della<br />

fontana affacciata sul sagrato dell’oratorio di San Pietro<br />

a Dresio di Vogogna 2 . Il tempietto lepontico a Roldo di<br />

Montecrestese, datato al primo secolo dopo Cristo, introduce<br />

l’Ossola nei tempi storici. Unico esempio, quasi<br />

intatto, che documenti il connubio fra la tecnica costruttiva<br />

romana e le esigenze religiose e estetiche della<br />

cultura lepontica, è il solo edificio rimasto in tutta l’area<br />

gallo-romana a testimoniare l’influsso della civiltà romana<br />

sulle popolazioni alpine. È costituito da una cella<br />

e da un atrio, con volta a botte, sulla quale si posava direttamente<br />

una copertura di tegoloni in beola foggiati<br />

su modulo romano, ora scomparsa, simile a quella an-<br />

203


cora esistente nella zona absidale della chiesa di S. Giorgio<br />

a Varzo; dovuto a tecnica romana è anche il pavimento,<br />

in parte ancora conservato, composto da minuti<br />

frammenti di marmo legati da malta marmorea; è invece<br />

lepontico l’orientamento, su un asse nord-sud, che<br />

rivela la dedicazione del tempietto a una divinità solare.<br />

Sebbene siano emersi altri resti a testimonianza della<br />

dominazione romana in Ossola, il tempietto di Roldo<br />

è certamente il monumento più significativo giunto<br />

a noi da quegli anni 3 .<br />

Quando la disgregazione dell’Impero Romano, causata,<br />

almeno in parte, dalle invasioni barbariche, privò<br />

le popolazioni dell’Occidente europeo dell’organizzazione<br />

sociale nella quale si identificava la loro civiltà, il<br />

Cristianesimo offrì un nuovo modello di vita attraverso<br />

le organizzazioni ecclesiastiche. Di quegli anni difficili<br />

della Chiesa nascente l’Ossola conserva una testimonianza<br />

nel fonte battesimale scoperto di recente sotto il<br />

presbiterio della chiesa di San Giovanni a Montorfano di<br />

Mergozzo. Datato al V-VI secolo, mostra una vasca ottagonale,<br />

incassata nel pavimento, formata da mattoni sesquipedali<br />

di modulo tipicamente romano, che ricorda<br />

come nella liturgia di allora il battesimo fosse impartito<br />

con l’immersione del catecumeno 4 .<br />

La notte di Natale dell’anno Ottocento, nella basilica<br />

di S. Pietro a Roma, ponendo sul capo di Carlo Magno<br />

la corona dell’Impero d’Occidente, Papa Leone III sanciva<br />

la nascita del Sacro Romano Impero e confermava<br />

il potere dei Franchi su gran parte dell’Occidente europeo.<br />

Sotto il regno carolingio l’Europa visse un tempo<br />

di rinnovamento culturale ispirato alla civiltà romana,<br />

al quale si univa il gusto tradizionale per la decorazione<br />

minuta delle popolazioni barbariche, ormai stabilite<br />

nella nuova organizzazione politica. Anche l’Ossola<br />

conobbe la «Renovatio» carolingia e lo dimostra la cappella<br />

settentrionale inferiore della chiesa di Santa Maria<br />

Assunta del Piaggio a Villadossola. Sebbene ora sia inclusa<br />

nel più ampio edificio romanico, la chiesuola primitiva<br />

è ancora riconoscibile: una piccola navata orientata<br />

sull’asse est-ovest con l’abside semi cilindrica a oriente.<br />

Semplice struttura che ripete il tipo basilicale romano,<br />

presenta sulla parete esterna dell’abside elementi tipici<br />

della decorazione architettonica di stile carolingio:<br />

la superficie curva è divisa in tre specchiature da larghe<br />

204<br />

lesene; coronata da una serie di archetti pensili, ha nelle<br />

specchiature laterali due finestrelle a feritoia, definite da<br />

profonde strombature e concluse in alto da uno stretto<br />

arco, e nella specchiatura centrale è evidenziata, da un<br />

leggero rilievo, una croce latina, che nell’estremità inferiore<br />

s’apre a V capovolta a simboleggiare il calvario,<br />

simbolo quest’ultimo di derivazione longobarda 5 .<br />

Con la caduta della dinastia carolingia l’impero passa<br />

alla casa germanica di Sassonia (962) che, durante il regno<br />

dei tre imperatori di nome Ottone, ridesta in Europa<br />

l’esigenza di un’arte monumentale, emblema dell’Impero<br />

rinnovato. Si affermarono in quegli anni del<br />

X secolo costruttori edili lombardi, che nella letteratura<br />

artistica vengono sovente denominati maestri comacini<br />

organizzati in maestranze capaci di edificare e ornare<br />

un edificio ovunque li chiamasse un pio mecenate<br />

o una comunità. Sono essi che, portando nell’Ossola<br />

lo stile ottoniano, caratteristico della seconda metà del<br />

X secolo, costruirono la chiesa di San Bartolomeo a Villadossola.<br />

Ora l’edificio si presenta gravato dalle strutture<br />

aggiunte dal secolo XIV al XVII che hanno modificato<br />

la costruzione primitiva. La chiesa, nata con il titolo<br />

dei Santi Fabiano e Sebastiano, costituisce l’esempio<br />

più nitido dello stile architettonico scelto e accolto<br />

per più di tre secoli dalla gente ossolana. Il San Bartolomeo<br />

era costruito su pianta basilicale occupando all’incirca<br />

lo spazio dell’attuale navata centrale, con la facciata<br />

a occidente e l’abside semi cilindrica a oriente. All’esterno<br />

i muri, parte in vista, parte celati nei sottotetti<br />

dalle navate laterali, sono animati da strette lesene che<br />

scandiscono le superfici in specchiature, delimitate in<br />

alto da un corso di archetti pensili sotto la stretta gronda<br />

del tetto in piode. La decorazione, incisa sui capitelli<br />

delle lesene, sui beccatelli degli archetti, sugli archivolti<br />

degli stessi archetti e delle finestre, costituisce l’aspetto<br />

più interessante del monumento, perché in essa si ravvisa<br />

l’espressione esemplare di quell’arte simbolica, colta<br />

— forse dovuta all’intervento diretto dell’abate Guglielmo<br />

di Volpiano — tipica del periodo ottoniano,<br />

che attraverso <strong>segni</strong> di apparenza astratta, derivati dal<br />

repertorio ornamentale della tradizione barbarica, rivela<br />

i concetti teologici della dottrina cristiana. Un esempio<br />

tipico di sintesi simbolica si ha nella lunetta appartenente<br />

all’antico portale — ora sopra la porta di fac-


ciata — dove, in poche incisioni astratte, è rappresentata<br />

la venuta di Cristo giudice alla fine dei tempi, ossia<br />

la Parusia 6 .<br />

Il risveglio culturale e religioso sorto in Francia agli<br />

inizi del secolo XI, guidato dagli abati benedettini di<br />

Cluny, si riflette anche in Ossola con il rinnovamento<br />

delle chiese esistenti e la costruzione di nuove, erette<br />

non solo per appagare un rinnovato spirito religioso,<br />

ma anche per assecondare esigenze sorte in conseguenza<br />

dell’incremento demografico in atto durante tutto il secolo<br />

7 . Sono sempre i maestri comacini che lungo il secolo<br />

XI, costantemente ispirati ai canoni fondamentali del<br />

San Bartolomeo, apriranno cantieri in diversi centri ossolani<br />

per soccorrere al bisogno e all’ambizione di nuove<br />

chiese. L’intervento dei maestri lombardi differisce<br />

però da cantiere a cantiere: eseguono la costruzione per<br />

intero negli edifici di maggiore importanza, in quelli<br />

minori l’affidano a maestranze locali cresciute alla loro<br />

scuola. Gli stessi maestri, presenti in Ossola per costruire<br />

il San Bartolomeo di Villadossola, sono attivi a Trontano,<br />

cinquant’anni dopo, per edificare la chiesa della<br />

Natività di Santa Maria; ma alcune differenze nella decorazione<br />

segnano il mutare del gusto, che, affiancando<br />

sculture ai <strong>segni</strong> incisi, rivela una nuova propensione<br />

per i valori plastici. Oltre alla Natività di Santa Maria<br />

a Trontano vengono edificate anche le chiese di San<br />

Giorgio a Varzo, di Santo Stefano a Crodo, della Beata<br />

Vergine Assunta di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di<br />

Seppiana. Ancora alla prima metà del XI secolo risalgono<br />

i resti romanici, recentemente scoperti nei sottotetti<br />

delle navate laterali, della chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />

di Crevoladossola, dove per la prima volta viene impiegato<br />

il marmo locale per eseguire l’ornamento dei<br />

beccatelli di sostegno agli archetti pensili. Anche il tipo<br />

di ornato, dominato da protome di cavalieri ricoperte<br />

da una variante dell’elmo normanno, fornito di nasale,<br />

si differenzia dal repertorio ornamentale romanico diffuso<br />

in Ossola e sembra celebrare, con austero fasto, i<br />

committenti, forse quei miles oblati alla difesa dei diritti<br />

feudali della Chiesa novarese, governata da Pietro III<br />

il prudente (994-1032), primo vescovo Conte insediato<br />

sulla cattedra di San Gaudenzio 8 . Anche i campanili<br />

del San Bartolomeo di Villadossola — ritenuto l’esempio<br />

più compiuto di torre campanaria romanica in tut-<br />

ta l’area coperta dall’attività dei maestri lombardi — del<br />

San Brizio di Vagna, dei Santi Pietro e Paolo a Crevola<br />

e del San Giorgio di Varzo vennero edificati nello stesso<br />

secolo. Costruiti con minore rigore stilistico e tecnica<br />

più rudimentale, perciò attribuibili a maestranze locali,<br />

sono contemporanee a quelle citate in precedenza<br />

le chiese di San Quirico a Calice di Domodossola, di<br />

Santa Maria al Piaggio di Villadossola — con il campanile<br />

— di San Graziano a Candoglia — con campanile<br />

a vela — di San Giacomo al Basso di Mergozzo e il<br />

campanile di San Pietro a Pallanzeno. Durante il secolo<br />

XII sono sempre aperti in Ossola i cantieri dei maestri<br />

lombardi che nelle decorazioni di alcune chiese introducono<br />

un materiale usato in precedenza solo a Crevola,<br />

ossia il marmo locale, nell’alta Ossola, e quello di<br />

Candoglia, nella bassa Ossola. Esempi che documentano<br />

l’innovazione si hanno con Santa Maria al cimitero<br />

di Bracchio, il campanile della Beata Vergine Annunciata<br />

di Albo e i rimaneggiamenti delle chiese dell’Assunta<br />

di Montecrestese e del Sant’Ambrogio di Seppiana. Al<br />

secolo XII sono datate anche le chiese della Beata Vergine<br />

Assunta di Santa Maria Maggiore, di Santa Marta<br />

a Mergozzo, il campanile di Montecrestese — all’interno<br />

di quello costruito nei secoli XVI- XVII — quelli<br />

del Sant’Ambrogio di Seppiana, del Sant’Abbondio di<br />

Masera e del San Lorenzo di Megolo. Le primitive chiese<br />

di San Martino a Masera, di San Giulio a Cravegna e<br />

di San Gaudenzio di Baceno, ora mutate dalle ricostruzioni<br />

posteriori, venivano edificate nello stesso secolo.<br />

L’edificio sacro più importante — perché più complesso<br />

e più aderente alle soluzioni adottate nei grandi centri<br />

metropolitani — fra quelli costruiti nel XII secolo è<br />

San Giovanni a Montorfano di Mergozzo. Sorto nello<br />

stesso sito dove già esisteva una chiesa a tre navate absidate,<br />

è l’unico esempio nell’Ossola di edificio romanico<br />

costruito su pianta a croce latina ed è anche il solo<br />

che abbia la navata e il transetto coperti da volte a crocera<br />

raccordate all’incrocio dalla cupola del tiburio. Gli<br />

elementi decorativi che contornano la chiesa e coronano<br />

l’abside con un seguito di archetti a fornice, sono<br />

in parte provenienti dalla chiesa preesistente e in parte<br />

opera dei lapicidi che l’edificarono. Il tempo ci ha conservato<br />

due sole sculture romaniche e anch’esse giungono<br />

a noi, in stato frammentario, dal XII secolo. La pri-<br />

205


ma, più nota e già ampiamente studiata, fungeva da architrave<br />

nell’antico portale della chiesa dei Santi Gervasio<br />

e Protasio a Domodossola, dove ora è conservata all’interno,<br />

scolpita in serpentino, rappresenta una scena<br />

del poema trovadorico de «La canzone di Orlando», celebrativo<br />

delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini.<br />

La seconda è un Crocifisso scolpito in marmo di Crevola,<br />

incassato in un muro di sostegno a monte dell’antica<br />

strada antronesca a Seppiana, che pare possa essere attribuita<br />

a un anonimo maestro locale, autore di altri frammenti<br />

scultorei inseriti nella ornamentazione del Sant’Ambrogio<br />

di Seppiana 9 .<br />

Poco più ricco è il catalogo della pittura romanica 10 che,<br />

probabilmente, un tempo decorava l’interno di molte<br />

chiese ossolane. Le più antiche risalgono agli inizi dell’XI<br />

secolo e sono sei frammenti di figure affrescate di<br />

cui rimangono tre busti, una testa, un volto e un braccio,<br />

ora conservate nella sacrestia del San Giorgio di Varzo<br />

e provenienti dalla navata centrale della stessa chiesa<br />

corrispondente alla precedente aula romanica. A Santa<br />

Maria di Trontano, nella navata centrale, un frammento<br />

decorativo ricorda l’antica ornamentazione affrescata<br />

a metà dell’XI secolo su tutte le pareti, di cui rimangono<br />

tracce anche nelle strombature delle finestre e, infine,<br />

a Villadossola, nella chiesa di Santa Maria al Piaggio,<br />

nell’abside settentrionale è conservata gran parte<br />

delle immagini affrescate alla fine del secolo XII: sopra<br />

una serie di sei apostoli dipinti sul tamburo dell’abside,<br />

nel catino è rappresentata la SS. Trinità secondo un<br />

tipo iconografico inconsueto. Ultimi nel tempo, rimasti<br />

a testimoniare l’estinguersi dell’età romanica ossolana,<br />

sono i resti della chiesa di San Francesco a Domodossola,<br />

della seconda metà del XIII secolo, ora inglobati<br />

nel palazzo Galletti, fra i quali spiccano i capitelli figurati,<br />

scolpiti in serpentino, che mostrano come lo stile<br />

romanico-lombardo abbia avuto lunga vita nel gusto<br />

ossolano.<br />

Giustamente a Vogogna è affidata la testimonianza del<br />

Trecento in Ossola, perché proprio durante la prima<br />

metà del secolo il centro ossolano assunse il ruolo di capitale<br />

dell’Ossola inferiore e venne potenziato con il castello<br />

eretto dal Vescovo di Novara Giovanni Visconti e<br />

dotato di palazzo pretorio, costruito nel 1348, che manifestava<br />

la nuova dignità del borgo 11 .<br />

206<br />

L’arte ossolana fra la fine del Trecento e gli inizi del<br />

Quattrocento assume la fisionomia degli affreschi sgargianti<br />

di colori, fittamente decorati, del Pittore della<br />

Madonna di Re 12 . Attivo durante l’ultimo ventennio<br />

del Trecento lungo la valle della Toce, è presente nell’area<br />

dell’Alto Novarese per tutto il primo ventennio<br />

del Quattrocento. I suoi modi attardati, ancora legati<br />

alla pittura romanica, ingentiliti da apporti gotici, sembrano<br />

identificarsi con la semplicità di sentimento della<br />

devozione popolare che, riconoscendosi nella nitida<br />

ingenuità delle immagini affrescate e riconoscendo con<br />

chiarezza le valenze simboliche, dottrinali e culturali,<br />

delle iconografie, volentieri s’affida al pennello del pittore<br />

della Madonna di Re e lo chiama a frescare sulle<br />

case — a Ronco di Trontano circa nel 1380, una Crocefissione,<br />

Sant’Antonio abate e la Madonna del latte —<br />

e nelle chiese — nel San Quirico di Calice a Domodossola,<br />

prima l’Ultima Cena e quindi nel 1391 San Michele,<br />

San Giulio e la Madonna; il paliotto della Natività<br />

per la chiesa di Santa Maria al Piaggio a Villadossola,<br />

eseguito fra il 1390 e il 1400; la Madonna di Re, da cui<br />

prende il nome, ora nel santuario omonimo, attorno al<br />

1400. Mentre s’avviava il quarto decennio del Quattrocento<br />

un frescante, attivo nel novarese, quasi ricalcando<br />

gli itinerari del pittore della Madonna di Re, si volgeva<br />

alle valli ossolane: Giovanni De Campo, anzi la ampia<br />

sezione di un suo affresco, raffigurante la Madonna<br />

del Latte affiancata, sulla destra, dalla coppia dei Santi<br />

Pietro e Antonio Abate, staccato da una casa di Oira, in<br />

valle Antigorio, e ora conservato nel convento del Sacro<br />

Monte Calvario di Domodossola, si pone, allo stato attuale<br />

delle ricerche, quale opera prima del pittore, giacché<br />

graffito, dalla invadenza di un devoto sprovveduto,<br />

sulla superficie di sfondo tra la Madonna e San Pietro,<br />

si legge il millesimo 1433, termine ante quem quindi<br />

per la datazione della opera, che anticipa pressoché di<br />

un decennio l’anno 1440 dal quale si faceva iniziare la<br />

cronologia concernente l’attività di Johannes De Campis.<br />

Oltre ai caratteri stilistici, peculiari all’opera del De<br />

Campo, garantisce l’autografia dell’affresco la sigla dipinta,<br />

poco sopra il margine inferiore, sullo sfondo fra<br />

la Madonna del latte e San Pietro, YO, sovrastata da<br />

un segno di imbreviatura, perciò trascrivibile per esteso<br />

Johannes. Altre opere ossolane attribuibili con sicurez-


Giovanni de Campo, Serie di Santi, affresco ca. 1450. Vogogna, Oratorio di san Pietro a Dresio.<br />

za alla mano del De Campo sono: l’affresco dell’oratorio<br />

di san Pietro a Vogogna raffigurante San Pietro, assiso<br />

sul soglio pontificio, a cui San Martino, in figura di<br />

cavaliere cortese, presenta un devoto adolescente inginocchiato,<br />

seguito dai santi Antonio Abate e Bernardino da<br />

Siena; gli affreschi sulle superfici absidali nel San Quirico<br />

di Calice a Domodossola, dall’Annunciazione, sul<br />

fronte dell’arco trionfale, al Pantocratore, attorniato dai<br />

simboli degli evangelisti, nel catino, alla serie degli Apostoli<br />

e della Crocefissione ai lati dei Santi titolari Quirico<br />

e Giulitta sul registro superiore del tamburo, che nella<br />

parte inferiore è decorato con le Opere di misericordia<br />

corporali. Altre immagini di Santi e della Beata Vergine<br />

sono dipinte sulle pareti laterali della navata. In altre<br />

sedi ossolane si sono ritrovate opere del De Campo,<br />

come la Madonna del Latte di Santa Maria Maggiore<br />

e i resti di una Annunciazione affrescata sul fronte<br />

dell’arco absidale del Sant’Abbondio di Masera che<br />

mostrano il maestro novarese attivo in Ossola fino al<br />

VI decennio del secolo XV 13 . Opere che, lasciano supporre<br />

come il soggiorno in Ossola dell’artista novarese<br />

non fosse sporadico, ma duraturo, determinato dalle richieste<br />

di committenti di rango formati al gusto corte-<br />

se diffuso dalla capitale lombarda. I richiami ai preziosismi<br />

decorativi degli sfondi miniati da Michelino da<br />

Besozzo, l’eleganza degli abbigliamenti e dei panneggi,<br />

accomodati in pieghe ricadenti e fluenti attorno alle figure,<br />

rivelano un ritardo stilistico dell’autore, ancorato<br />

alle ricercatezze del decorativismo gotico, persistente<br />

nella cultura provinciale, attestata in Ossola ancora negli<br />

ultimi decenni del secolo, segnati dalla comparsa dei<br />

pittori “Seregnesi” provenienti da Lugano, dove tennero<br />

bottega dal sesto all’ultimo decennio del secolo XV 14 .<br />

Cristoforo e Nicolao da Seregno, zio e nipote, seppero<br />

accendere vivo interesse nella committenza vigezzina,<br />

come dimostra l’alto numero degli affreschi che furono<br />

incaricati di eseguire in parecchi centri della valle, per<br />

lo più da una committenza privata desiderosa di ornare<br />

case o cappelle rurali con immagini sacre di gusto arcaico,<br />

attardate in moduli figurali e ornamentali ancorati<br />

a stilemi gotici. La devozione del popolo chiedeva<br />

immagini ieratiche, eloquenti nel rappresentare il soppranaturale,<br />

ma nel contempo semplici e facilmente riconoscibili.<br />

A tali attese i Seregnesi corrisposero dipingendo<br />

con grazia devota e persuasiva semplicità il panteon<br />

della devozione locale, in forme asciutte, ancorché<br />

207


mosse da una elementare eleganza, esatte nell’associare<br />

ad ogni figura sacra gli attributi iconografici atti a riconoscerla<br />

al primo sguardo. Danno chiara testimonianza<br />

di questo momento tardo gotico la Madonna in Maestà<br />

di Santa Maria Maggiore, proveniente da Toceno, l’Uomo<br />

dei Dolori, all’esterno dell’oratorio di Sant’Antonio<br />

sempre a Toceno; le tre Madonne in Maestà a Craveggia;<br />

gli affreschi di Sasseglio sviluppati in due riquadri con<br />

la Madonna in Maestà affiancata dai Santi Giulio e Antonio<br />

Abate e i Santi Sebastiano e Rocco, e ancora a Druogno<br />

la Madonna del Latte affrescata a Gagnone; la delicata<br />

suggestione della Madonna della Misericordia nel<br />

Sant’Ambrogio e la Madonna col Bambino nella cappella<br />

di San Bernardino ambedue a Coimo. Lasciata la Valle<br />

Vigezzo, dopo una puntata verso settentrione a Montecrestese<br />

nella villa di Cardone, dove i Seregnesi affrescavano<br />

una esemplare Madonna in Maestà, ora conservata<br />

al Sacro Monte Calvario di Domodossola, i pittori volgevano<br />

i passi verso le Quattro Terre per affrescare l’interno<br />

e il fronte dell’oratorio di Santa Marta a Cosasca<br />

di Trontano e raggiungere, in un secondo tempo, Vogogna,<br />

chiamati ad arricchire l’interno dell’oratorio di San<br />

Pietro a Dresio con una fascia affrescata nello spazio sottostante<br />

all’affresco steso in precedenza da Giovanni De<br />

Campo. Forse sulla via del ritorno, i frescanti vengono<br />

incaricati di ornare in parte le absidi inferiori del Santuario<br />

villese del Piaggio, dedicato alla Beata Vergine Assunta,<br />

dove fra i lacerti rimasti del decoro pittorico è ancora<br />

leggibile la data 6 luglio 1477.<br />

Quasi in sintonia stilistica con i frescanti novaresi e luganesi<br />

si affaccia alla ribalta ossolana, durante l’ultimo<br />

quarto del XV secolo, uno scultore, Antonio fu Francesco<br />

da Domodossola, in antecedenza indicato come Maestro<br />

di Crevola 15 , interprete del faticoso passaggio dal<br />

tradizionale repertorio tardogotico all’emergente lezione<br />

rinascimentale che dai grandi cantieri lombardi, per<br />

via d’acqua, perveniva agli approdi della Toce. Antonio<br />

da Domodossola lavorò nell’alta Ossola per committenti<br />

del patriziato locale legati alle famiglie dei Baceno<br />

e della Silva. Oltre ad alcune Madonne in trono con il<br />

bambino, sono attribuite alla sua mano le sculture della<br />

facciata appartenenti al primo rifacimento della chiesa<br />

dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola, datata 1475,<br />

che in semplificata sintesi si ispira alla partitura decora-<br />

208<br />

tiva della facciata della Certosa di Pavia. La via d’acqua<br />

era privilegiata per trasportare a Milano e a Pavia i marmi<br />

provenienti dalle cave ossolane di Candoglia, Ornavasso<br />

e Crevola e proprio a Pavia Antonio da Domodossola<br />

dava inizio a una dinastia di scultori per tre generazioni<br />

presenti nel cantiere del Duomo pavese, ma altresì<br />

nella valle d’origine, in cui, portando il cognome Degli<br />

Arrigoni, torneranno sporadicamente a lavorare. È una<br />

vicenda esemplare quella Degli Arrigoni poiché documenta<br />

a quali fonti si è venuta formando la cultura artistica<br />

che in Ossola seppe esprimere in scultura e architettura<br />

la stagione rinascimentale, aperta dai contatti,<br />

documentati daI 1491 al 1520, che Giovanni Antonio<br />

Amadeo ebbe con l’ambiente delle cave ossolane, dove,<br />

il suo ruolo dominante di architetto ducale, l’aveva portato<br />

per provvedersi dei materiali lapidei di cui necessitavano<br />

le imprese che, sotto la sua direzione erigevano a<br />

Milano e a Pavia edifici fra i più significativi del Rinascimento<br />

lombardo.<br />

Quel poco della cultura rinascimentale pavese e milanese,<br />

tenuemente filtrato dall’impianto della facciata dei<br />

Santi Pietro e Paolo di Crevola o dai finti nicchioni da<br />

cui s’affacciano le compatte figure dei Santi eseguiti da<br />

Antonio da Domodossola, viene portato a maturazione<br />

da suo nipote, Lorenzo degli Arrigoni figlio di Giovannino<br />

architetto e scultore, autore dell’ampliamento<br />

della navata della parrocchiale di Crevola (ante 1521-<br />

1526) e architetto della nuova chiesa dei Santi Giacomo<br />

e Cristoforo di Vogogna (1527-1532), crollata nel 1975,<br />

nonché scultore dello splendido tabernacolo marmoreo<br />

conservato nella Parrocchiale di Santa Maria Maggiore<br />

firmato e datato: MDXXXV XVIII KAL. AUG. LAU-<br />

RENTIO ARIGONIO ARTEFICE PAPIENSE 16 . Lorenzo<br />

Arrigoni, oltre a una nuova concezione dei parametri<br />

e degli spazi architettonici, introduce in valle un<br />

proprio approccio al Rinascimento lombardo dagli accenti<br />

pavesi, rivelato, in particolare, dal tipo di ornato<br />

dei capitelli, dal fusto delle colonne ancora cilindrico,<br />

e dalla inelegante spessezza, e dal disegno dei rilievi ornamentali,<br />

scolpiti solitamente nelle cornici dei portali,<br />

ancorché eseguiti con mano greve imputabile in parte<br />

al materiale lapideo, in parte al trattamento dei lapicidi<br />

locali esecutori dei bassorilievi.<br />

Veramente in questa valle alpina non s’ebbe mai l’au-


tentico Rinascimento di lezione albertiana, ma piuttosto<br />

uno pseudorinascimento milanese d’orientamento<br />

solariano, accolto per rinnovare forme ormai logorate<br />

da una tradizione secolare e non più confacenti ai<br />

nuovi modi di vita imposti dal mutamento culturale in<br />

atto. Qualche primo segno da taluni portali e acquasantiere<br />

della valle Antigorio — Baceno, Cravegna, Crodo<br />

— opere di uno scultore dipendente dalla Fabbriceria<br />

del Duomo di Pavia, Giovan Pietro di Castello del<br />

Lambro, avverte che già il gusto è mutato, ma il mutamento<br />

è totale nel rinascimentale palazzo dei Della Silva<br />

a Domodossola, edificato nel 1516. Esempio stilistico,<br />

che si rifletterà nella rustica edilizia signorile ossolana<br />

con l’introduzione di nuove soluzioni formali, soprattutto<br />

nella incorniciatura di porte e finestre, e strutturali,<br />

come la scala a chiocciola, di gusto francesizzante<br />

variata negli sviluppi dal genio creativo delle maestranze<br />

locali, modello designato a segnare profondamente<br />

l’immagine architettonica della Valle, come si può osservare<br />

nelle numerose case cinquecentesche ancora esistenti.<br />

L’esito più compiuto, sebbene tardo, della lezione<br />

rinascimentale lombarda è ravvisabile nella facciata<br />

marmorea della chiesa di San Nicolao a Ornavasso, costruita<br />

fra il 1542 e il 1587, con lo stesso marmo locale<br />

apprezzato in particolare dai costruttori lombardi del<br />

Quattro e Cinquecento 17 . Ma non tutti e non sempre i<br />

committenti ossolani, fautori delle opere di rinnovo attuate<br />

nei molti cantieri aperti durante il Cinquecento,<br />

accettarono il dominio culturale della corte milanese di<br />

intonazione bramantesca, anzi parrebbe che una parte<br />

politica, identificabile con l’esteso parentado dei Baceno-De<br />

Rodis, a cui furono legati i Della Silva, i Campieno<br />

e altri ceppi familiari da essi derivati, professando<br />

la loro adesione alla religiosità francescana con opere<br />

orientate dalla predicazione dei Minori Conventuali di<br />

Domodossola, manifestassero, tramite le commissioni<br />

artistiche da essi patrocinate, inequivocabile propensione<br />

per quell’arte cortese di tradizione medievale presente<br />

negli esiti del rinnovo architettonico milanese presieduto<br />

dall’autorità della dinastia dei Solari. I committenti<br />

della consorteria nobiliare antigoriese, prendendo<br />

culturalmente parte, si rivolsero a maestranze ossolane<br />

capaci di mediare con vigore il loro intento, come tutt’oggi<br />

testimonia la maggior parte delle opere esegui-<br />

te in quell’ambito territoriale durante i primi decenni<br />

del Cinquecento. In architettura, particolarmente accogliendo<br />

lo schema gotico, stigmatizzato dall’impiego<br />

dell’arco a sesto acuto, vennero ampliate le chiese romaniche<br />

del San Giulio di Cravegna e del San Gaudenzio<br />

di Baceno, dell’Assunta di Montecrestese e della Natività<br />

di Maria Vergine di Trontano.<br />

Attribuzione d’opere architettoniche, in precedenza lasciate<br />

nell’anonimato, a maestranze locali solo oggi possibile<br />

perché accertata dalla recente pubblicazione di un<br />

illuminante saggio sull’opera svolta, nel territorio della<br />

città Umbra di Spello, da maestranze edili provenienti<br />

dall’Ossola e particolarmente dall’alta valle Antigorio,<br />

costituite dall’aggregazione, su base parentale, di “sotii”<br />

provenienti dal territorio di Premia e segnatamente dalla<br />

frazione di Piedilago (anticamente Pidelata) 18 . “Magister”<br />

della prima generazione furono Bertolino di Andrea<br />

di Bertolino e Giovanni di Domenico di Bartolomeo<br />

da Domodossola che, guidando la compagnia degli<br />

Antigoresi, edificarono fra il primo e il quarto decennio<br />

del cinquecento, nell’agro di Spello, la chiesa di<br />

Santa Maria della consolazione di Vico, detta Tonda, e<br />

l’adiacente convento dei Servi di Maria, o Serviti, oltre<br />

ad altri edifici religiosi e civili in città. E’ plausibile ritenere<br />

come proprio a queste maestranze venisse affidato<br />

l’ampliamento e la ristrutturazione degli edifici di culto<br />

romanici siti nella valle della Toce, giacché riunite in<br />

compagnia di “sotii” ossolani, sul modello statutario dei<br />

“maestri comacini” o degli “Antelami” – già disciplinati<br />

dagli editti alto medievali dei re longobardi Rotari, del<br />

643, e Liutprando, del 713 – si proponessero come continuatori<br />

dell’arte edificatoria medievale, trasmessa di<br />

generazione in generazione, e rinnovata con la frequentazione<br />

operativa dei cantieri aperti nell’area milanese<br />

attivi nel XV secolo. Sintomatiche del rinnovo rinascimentale<br />

milanese, sotto l’egida della dinastia degli architetti<br />

Solari, Giovanni (1400 c.-1484 c.), Guiniforte<br />

(1429-1481) e Pietro Antonio (1450 c. – 1493), sono<br />

talune caratteristiche d’esso passate nelle ristrutturazioni<br />

ossolane: la composizione unitaria dello spazio liturgico,<br />

che privilegia la continuità orizzontale delle navate;<br />

alcuni elementi formali, quali l’uso, non esclusivo,<br />

dell’arco a sesto acuto; l’applicazione di ornati scultorei<br />

sui portali e sulle nervature delle finestre ogivali (Bace-<br />

209


Hans Funck, Madonna in trono venerata da Santi e donatori, vetrate<br />

istoriate e dipinte (Berna) 1526. Crevoladossola, Santi Pietro e Paolo.<br />

no) e la formazione delle colonne, dal capitello, di tipo<br />

corinzio dalla fogliatura corposa ed elementare, al fusto<br />

cilindrico, sovente massiccio, alla base “unghiata”, ossia<br />

posata su un plinto parallelepipedo ornato da elementi<br />

fogliari ricadenti agli angoli. E’ probabile che, in concomitanza<br />

alla chiusura dei cantieri ossolani, si manifestasse<br />

il fenomeno migratorio verso l’Umbria delle maestranze<br />

edili antigoresi, alla ricerca di committenze necessitanti<br />

di costruttori competenti per realizzare opere<br />

murarie anche di complessa struttura.<br />

Acme espressivo della reazione oppositiva posta in essere<br />

dai “laudatores temporis acti”, memori dei previlegi<br />

e delle origini feudali della loro nobiltà, sembra porsi<br />

il presbiterio dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />

riedificato, completando l’ingrandimento terminato<br />

nel 1526, per volontà dei committenti Paolo e Andreina<br />

Della Silva, che conferirono l’incarico del progetto e<br />

della direzione dei lavori a Ulrich Ruffiner, architetto di<br />

origine valsesiana molto attivo al servizio delle più potenti<br />

personalità politiche del vicino Vallese, interprete<br />

fra i più austeri e dotati di quel tardo gotico internazionale<br />

diffuso nei paesi di lingua tedesca e bene accetto<br />

alla corte di Francia 19 . Nel 1526 l’integrazione della<br />

parrocchiale crevolese era terminata, completata, secon-<br />

210<br />

do la progettazione caratteristica del Gotico internazionale,<br />

dai diaframmi vitrei istoriati incassati nei finestroni<br />

e nel rosone dell’abside, splendidamente eseguiti da<br />

Hans Funck, uno dei massimi maestri vetrai bernesi del<br />

tempo. Anche a Baceno, ultimati i lavori di ampliamento<br />

nel quinto decennio, si provvide a chiudere le luci<br />

dei finestroni gotici e dei rosoni con vetrate dipinte,<br />

ma queste, datate 1547, vennero eseguite nella bottega<br />

di Anton Schiterberger maestro vetraio zelatore di quel<br />

manierismo che a Lucerna, dove operava, e nei cantoni<br />

cattolici, si opponeva, in decori e figure, di ricchissimo<br />

sviluppo ed elegante fattura, alla castigatezza iconoclastica<br />

dei cantoni riformati 20 .<br />

La pittura del Cinquecento ossolano dimostra quanto<br />

forte fosse, anche culturalmente, la dipendenza di questa<br />

valle dal Ducato di Milano a cui apparteneva; tuttavia<br />

nei primi decenni del secolo è ancora una famiglia<br />

di pittori novaresi, quella di Tommaso Cagnola e dei<br />

suoi figli Giovanni, Francesco e Sperindio a detenere il<br />

controllo delle più prestigiose commissioni sia pubbliche,<br />

sia private. Al padre Tommaso vanno attribuiti il<br />

ritratto ad affresco di un signore villese appartenente<br />

alla famiglia dei Baceno e una Madonna in Trono con il<br />

Bambino, datati 1502, provenienti da una casa di Sogno<br />

— frazione di Villadossola — ora conservati al Sacro<br />

Monte Calvario di Domodossola 21 , ascrivibili all’opera<br />

del maestro novarese per il garbo rinascimentale<br />

del limpido disegno e pei decori ad arabesco che campiscono<br />

gli sfondi; del figlio Francesco sono l’immagine<br />

mariana, piuttosto ingenua, affrescata nel Santuario di<br />

Antonio Schiterberger, rosone della Trinità, vetrata dipinta e istoriata,<br />

(Lucerna) 1547. Baceno, San Gaudenzio.


Sperindio Cagnola, Tentazione di Adamo, affresco inizi sec. XVI. Baceno, San Gaudenzio.<br />

Viganale 2 2 , firmata e datata 1516, e la Adorazione del<br />

Bambino proveniente da una casa di Montecrestese conservata<br />

accanto ai lavori del padre al Sacro Monte Calvario<br />

di Domodossola, datata 1513, ai quali maggiormente<br />

si accosta per il lindore esecutivo e per l’armoniosa<br />

composizione; problematiche invece sono le attribuzioni<br />

a Sperindio, poiché dei suoi lavori citati nella<br />

documentazione diplomatica nessuno è rimasto ad accertare<br />

quali fossero i suoi modi espressivi, tuttavia, essendo<br />

documentata la sua associazione ad alcune imprese<br />

pittoriche di Gaudenzio Ferrari, si possono attribuirgli<br />

alcune opere improntate dalla maniera novarese<br />

dei Cagnola, animate però da un naturalismo più convincente<br />

e nordicizzante di lezione gaudenziana, come<br />

mostrano gli affreschi stesi sulle volte del Presbiterio,<br />

nella cappella della Madonna del Rosario e la Tentazione<br />

di Adamo sulla parete di fondo, a destra dell’altare maggiore<br />

23 , nel San Gaudenzio di Baceno e una Madonna in<br />

Trono col Bambino nella casa parrocchiale di Crodo, che<br />

sono al più alto livello raggiunto in Ossola dalla pittura<br />

dei Cagnola, nei quali è ipotizzabile che Sperindio, il<br />

fratello dalla mano più colta, si fosse valso per eseguirli<br />

dell’aiuto di Francesco e forse anche di Giovanni. Il primo<br />

dei pittori lombardi giunto in Ossola è il varesino<br />

Francesco de’ Tatti, chiamato dal capitano reale Paolo<br />

Della Silva, si ha fondato motivo di supporre su suggerimento<br />

dello zio materno Giovan Francesco Origoni,<br />

per dipingere intorno alla venerata immagine della Madonna<br />

della Neve, affrescata nel Santuario di Domodossola,<br />

gli elementi figurali di contorno, stesi su tavola, della<br />

nuova pala, siglata e datata 1516 che, con la Pietà<br />

conservata nell’oratorio di Santa Marta a Craveggia,<br />

reca in Ossola l’eco di quei fermenti immessi nel Rinascimento<br />

milanese dall’aulica classicità vagheggiata e<br />

proposta dal Bramantino 24 . Chiamato dallo stesso committente<br />

Paolo Della Silva, giunge in Ossola, quasi contemporaneamente,<br />

Fermo Stella da Caravaggio per affrescare<br />

fra il 1518 e il 1526 il presbiterio, appena ricostruito,<br />

nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Crevoladossola<br />

e, dopo qualche anno, l’ex battistero per la stessa<br />

comunità parrocchiale, mentre dipinge su tavola il<br />

trittico per l’altare della cappella Mellerio nel San Mar-<br />

211


tino di Masera 25 . Con l’artista caravaggino la cultura artistica<br />

ossolana acquisisce l’esperienza di una versione<br />

diversificata dell’influenza gaudenziana, in cui i portati<br />

della cultura d’oltralpe accentuano il carattere realistico<br />

delle figure e introducono nuove soluzioni compositive<br />

per soggetti tradizionali, come nell’ Ultima Cena di<br />

Crevoladossola. A metà, all’incirca, del terzo decennio<br />

del secolo il San Gaudenzio di Baceno venne dotato di<br />

un organo e con esso le quattro tele, tese a foderare le<br />

facciate esterne e interne delle ante mobili applicate allo<br />

strumento, dipinte nella bottega milanese di Bernardino<br />

Luini per raffigurarvi i Santi Gaudenzio, Luigi IX di<br />

Francia, Ambrogio e Maurizio, ora custodite, come quadri<br />

distinti, nel San Mattia di Oira 26 . L’apporto del maestro<br />

milanese ebbe certamente risonanza in valle, anche<br />

perché associato a un organo, suppellettile rara nelle<br />

chiese ossolane del tempo, destinata a suscitare molta<br />

curiosità, che diede modo agli Ossolani di accostarsi a<br />

un esempio della più pura e rigorosa interpretazione del<br />

Rinascimento data nelle botteghe milanesi del primo<br />

quarto del Cinquecento. Più estesa è l’opera di Giovanni<br />

Battista da Legnano giunto dalla residenza di Varese<br />

in Ossola mentre iniziava il secondo quarto del Cinquecento<br />

27 . L’esordio del pittore in valle Vigezzo, chiamato<br />

ad affrescare il presbiterio del Sant’Antonio Abate di Toceno,<br />

non precluse la sua disponibilità all’accettazione<br />

di commissioni private, di cui rimangono gli affreschi<br />

per la cappella di Garavà ad Albogno (1527) e quelli<br />

della cappella della Pila a Craveggia (circa 1534), che intervallano<br />

gli incarichi affidatigli da committenti pubblici,<br />

quali gli affreschi per le Logge dei Bandi di Craveggia,<br />

datati 1531, e di Toceno, posteriori di qualche<br />

anno, lavori che lo porteranno, nel 1534, alla conclusione<br />

della sua attività in Vigezzo con gli affreschi stesi<br />

a campire le pareti laterali dell’oratorio di San Rocco a<br />

Crana, dei quali restano, in esecuzione originale, solamente<br />

quelli della parete occidentale, a rappresentare in<br />

scene edificanti i fatti narrati dalla Vita del santo titolare.<br />

Con la medesima disponibilità riservata ai committenti<br />

vigezzini, anche in valle Antigorio Battista da Legnano,<br />

svolgendo durante il quarto e il quinto decennio<br />

del Cinquecento una impressionante mole di lavoro,<br />

assume commissioni pubbliche e private. Entro il 1537<br />

dipinge immagini devozionali di soggetto mariano su<br />

212<br />

dimore patrizie a Pontemaglio e a Cruppo di Crodo, mentre<br />

ha già avviato l’impresa pittorica più impegnativa<br />

portata a compimento nel 1539 ossia le Scene della Passione<br />

nel presbiterio del San Giulio di Cravegna e nel<br />

contempo, ancora a Cravegna esegue gli affreschi che il<br />

committente Antonio Nocetti, padre di Innocenzo IX,<br />

gli aveva dato incarico di dipingere nell’oratorio di Santa<br />

Croce. L’attività di Battista da Legnano in Ossola si<br />

conclude, sempre in valle Antigorio, dove nel 1542 affresca<br />

una Madonna del Latte con Sant’Antonio Abate<br />

per l’abitazione di Giovanni De Campieno a Smeglio di<br />

Mozzio e la Madonna del Latte coi Santi Pietro e Paolo<br />

nella cappella ai Piani Superiori di Crodo. Ancorchè artista<br />

radicato alla versione foppesca del Rinascimento<br />

lombardo, osservata nella bottega comacina dello zio<br />

Alvise De Donati, di cui è allievo e talvolta procuratore,<br />

si mostra pronto ad aggiornare l’apprendimento scolastico<br />

volgendosi al magistero di quelle grandi personalità<br />

artistiche che avevano scosso la tradizione rinascimentale<br />

lombarda: Leonardo e il Bramantino, come<br />

s’avverte con particolare evidenza, seguendo la successione<br />

cronologica di stesura delle scene affrescate nel<br />

San Giulio di Cravegna. Il 1542 è altresì l’anno in cui<br />

Antonio Bugnate di Borgomanero firma e data la vasta<br />

opera affrescata per il San Gaudenzio di Baceno 28 , che<br />

porta il realismo di Gaudenzio Ferrari a estremi vernacoli,<br />

accesi da impulsi riformatori, scesi dall’oltralpe luterano<br />

gravati da fantasiose cupezze, come quelle spiranti<br />

dall’immagine demoniaca che dalla volta sovrasta<br />

la grande Crocefissione, stesa, con suggestiva animazione,<br />

sulla parete occidentale del presbiterio. Degli affreschi<br />

eseguiti nella cappella, ora dell’Assunta, in capo alla<br />

navata orientale, rimangono, discretamente conservati,<br />

i decori della volta a finti trafori gotici, il fronte della lunetta<br />

sopra l’arco settentrionale, raffiguranti la Conversione<br />

di Saulo, e i fatti della vita di San Gaudenzio sotto<br />

il finestrone orientale, mentre è appena rintracciabile la<br />

figurazione della grande Crocefissione di San Pietro stesa<br />

sulla parete di fondo, dietro la pala dell’altare. Ancora<br />

visibile rimane in facciata la gigantesca figura di San<br />

Cristoforo, testimonianza conclusiva dell’attività del Bugnate<br />

in Ossola. Il 1542 è un anno nodale per la cultura<br />

artistica locale, poiché durante il suo corso giungono<br />

all’epilogo le vicende artistiche ossolane di Battista da


Antonio Bugnate, Crocefissione, affresco 1542. Baceno, San Gaudenzio.<br />

Legnano e di Antonio Bugnate e nel contempo si ha<br />

l’esordio di un pittore, ad essi culturalmente collegabile,<br />

discendente da un nobile casato di Montecrestese,<br />

che firma e data Jacobus de Cardone/Nomine Antonii Petri<br />

Mellini/Pinxit 1542 la sua prima opera: una Madonna<br />

in Trono col Bambino nella cappella a Castelluccio di<br />

Montecrestese 29 . Le numerose opere site in Ossola attribuibili<br />

a Giacomo De Cardone, caratterizzate da una<br />

maniera decisamente originale, facilmente riconoscibile,<br />

ancorché diseguale per il variare delle tipologie figurali<br />

e decorative assunte durante i quattro decenni in<br />

cui l’artista lavorando sviluppò la sua personalità, hanno<br />

l’avvio stilisticamente riconoscibile nell’intervento<br />

profano, eseguito ad affresco nel 1547 ad Alteno di<br />

Montecrestese, nella abitazione del Presbiter Giovanni<br />

De Rodis, ora diroccata, sacerdote che probabilmente<br />

aprì l’accesso alle commissioni affidate al Cardone per<br />

decorare l’interno della parrocchiale, dedicata alla Bea-<br />

ta Vergine Assunta, con le due figure dei Santi Giovanni<br />

Battista e Sebastiano nel 1547 e, intorno al 1550, con gli<br />

affreschi eseguiti nella cappella della Confraternita di<br />

Santa Marta – ora del Battistero – dei quali rimangono<br />

i finti trafori gotici della volta e la grande Crocefissione,<br />

sulla parete di fondo, dagli aspri accenti settentrionali,<br />

probabilmente dipendenti sia dalla lezione del Bugnate,<br />

sia dalla frequentazione dei circoli amadeiti milanesi.<br />

Nel 1553 il pittore è a Premia incaricato di completare<br />

il decoro del presbiterio nella chiesa di San Michele con<br />

le figure dei Santi Barbara e Antonio Abate e la solenne<br />

Beata Vergine in gloria venerata da San Rocco, su uno<br />

sfondo paesistico ispirato a luoghi del natio Montecrestese,<br />

mentre con la stessa data è segnata la Beata Vergine<br />

in Maestà affiancata da Sant’Antonio Abate eseguita<br />

ad affresco all’esterno di una casa nella frazione di Rozzaro<br />

sempre a Premia. Il Cardone è ormai pronto, con<br />

chiarezza di pensiero e maturità di stile, per affrontare il<br />

suo ruolo di autore dominante la fase conclusiva dei<br />

cantieri antigoresi, nei quali, ultimate le opere architettoniche<br />

venivano apportate le finiture degli interni con<br />

la decorazione delle volte e delle pareti ricostruite o aggiunte.<br />

Ruolo confermato intorno al 1554 quando assunse<br />

la commissione più importante eseguita da un artista<br />

nel corso del secolo XVI, l’intera decorazione ad<br />

affresco sulle volte e sui sottarchi delle navate laterali nel<br />

San Gaudenzio di Baceno, nonché l’Ultima Cena sulla<br />

parete di controfacciata, a destra dell’entrata settentrionale,<br />

e sulle pareti della navata orientale, nella prima<br />

campata, il Transitus Animae di Santa Maria Maddalena,<br />

l’Adorazione dei Magi, recentemente liberata dalla<br />

scialbatura sovrapposta, e, presso il battistero, la Deposizione<br />

della Croce. Ma tanta operosità subì un traumatico<br />

intervallo quando, nel febbraio 1561 venne arrestato<br />

a Milano dal tribunale della Sacra Inquisizione, pendente<br />

l’accusa di eresia, e il sette aprile seguente, dopo<br />

formale abbiura, venne assolto con la riserva precauzionale<br />

di eseguire nei cinque anni seguenti le penitenze<br />

comminate dall’Inquisitore. Durante la sospensione penitenziale,<br />

ritiratosi a vita privata, ebbe modo di costruire<br />

una nuova ala aggiunta alla casa paterna e di decorarla<br />

all’esterno e all’interno con splendidi fregi graffiti<br />

a grottesche e ad affresco come la Predicazione del<br />

Battista sulle rive del Giordano, datata 1564, sulla cap-<br />

213


pa del camino nel saloncino d’onore. E’ probabile che<br />

l’atto di accusa sia stato motivato dalle scene dell’Infanzia<br />

di Gesù affrescate sulla volta della terza campata nella<br />

navata orientale, ispirate da soggetti tratti dalle illustrazioni<br />

silografiche della luterana Leien Bibel. Fra il<br />

1564 e il 1565, o poco oltre, saranno affrescate anche le<br />

restanti volte e i sott’archi della navata occidentale. L’interludio<br />

profano, anticipato dai decori di Alteno datati<br />

1547, culminò nel fregio eseguito per decorare il saloncino<br />

di rappresentanza della casa Marini al Boarengo di<br />

Crodo, composto da scene mitologiche alternate a<br />

stemmi di casate della consorteria nobiliare antigorese e<br />

da grottesche, affrescate nei primi anni del sesto decenio<br />

del secolo XVI, simile a quello perduto eseguito<br />

nella sala verde del castello Della Silva di Crevoladossola.<br />

I fregi a graffito e ad affresco stesi nel 1564 per ornare<br />

la sua abitazione sembrano, per ora, concludere il ciclo<br />

di opere profane eseguite dal Cardone, se nel 1566,<br />

affrescando il 18 giugno la Beata Vergine in Maestà col<br />

Figlio venerata da San Rocco sulla facciata di una casa all’alpe<br />

Salera di Crodo e il 28 luglio inserendo fra i decori<br />

esistenti della cappella ai piani superiori di Crodo le<br />

immagini dei Santi Antonio Abate e Sebastiano, mostra<br />

d’essere tornato nell’alveo della pittura sacra. A riprova<br />

va ricordato il lavoro del Cardone nella cappella cimiteriale<br />

di Cardezza dedicato agli Atti della vita di San Rocco,<br />

affrescati sulla volta poco dopo il 1570. L’ultimo intervento<br />

di Giacomo de Cardone è ancora conseguente<br />

all’esigenza di ornare una delle grandi chiese rinnovate<br />

in area antigorese, ossia quella dei Santi Pietro e Paolo di<br />

Crevoladossola, infatti, committente la “Compagnia degli<br />

Huomini che lavoravano a Roma” gli venne assegnato<br />

l’incarico di affrescare il dossale dell’altare Dell’Annunziata<br />

con i Santi Gervasio e Protasio, sulle paraste anteriori,<br />

e, sulla parete incurvata sopra l’altare, la Beata Vergine<br />

in Trono affiancata dai Santi Sebastiano e Rocco al<br />

centro, tra le scene laterali del Battesimo di Gesù e della<br />

Disputa coi dottori nel Tempio, dove sulle pagine del libro<br />

aperto davanti a Gesù è dipinta, in forma abbreviata,<br />

la scritta “1573 7embris Jacobus de Montecristesio<br />

pingebat”, così datando e firmando il suo ultimo lavoro<br />

in Ossola superiore.<br />

E’ lecito supporre che il Cardone si valesse di aiuti per<br />

realizzare la vasta produzione attribuitagli e a sostegno<br />

214<br />

dell’ipotesi avanzata si potrà citare l’esempio del “Dominus<br />

Magister Johannes depintor f.q. Domini Andree dicti<br />

Mauri de Vogonia” nominato in un contratto del 1552,<br />

che data e firma “1563 DIE SEPTIMO JUNY JOAN-<br />

NES MAURUS VOGONIENSIS PINX.” i quattro<br />

Profeti, affrescati nell’infradosso dell’arco che distingue<br />

la prima campata della navata occidentale dalla navata<br />

centrale del San Giorgio di Varzo, unico resto noto della<br />

pittura eseguita dal maestro vogognese, fortemente inclinante<br />

ai tipi e alla maniera del Cardone, tanto da poterne<br />

ipotizzare il discepolaggio. Forse fu il Mauro, residente<br />

a Vogogna, centro podestarile dell’Ossola inferiore<br />

e delle Quattro Terre, ad aprire i contatti del Cardone<br />

con la commmittenza di quell’area ossolana, che<br />

lo volle autore delle manifestazioni pittoriche attestanti<br />

la devozione locale. Sono infatti attribuite al Cardone<br />

le immagini devozionali affrescate: nella cappella dell’abitato<br />

di Battiggio a Vanzone, datata 1552; sulla parete<br />

esterna della casa appartenuta al notaio Giovanni<br />

Mora di Anzino del 1552 ca.; la Madonna in Trono col<br />

figlio, datata 1559, e l’analoga Maestà Mariana affiancata<br />

da Santa Lucia e devoto, datata 1576, entrambe perdute,<br />

ma documentate da riprese fotografiche risalenti<br />

agli anni sessanta dello scorso secolo; nella cappella nell’agro<br />

di Molini, frazione di Calasca, datata 1576; nella<br />

cappella in località La Piana in val Baranca, nel territorio<br />

di Bannio, del 1576 ca.. Ancora contemporanea,<br />

pare, ai primi affreschi di Montecrestese del 1547,<br />

la Maestà Mariana affrescata un tempo in una cappella<br />

rurale a Vaciago di Ameno, sopra il lago d’Orta, ora<br />

venerata nel Santuario della Bocciola, eretto ed ampliato<br />

nello stesso sito nel corso di tre secoli dal XVII al XIX.<br />

Gli esiti di una attività creativa tanto estesa rivelano la<br />

personalità complessa dell’autore: edotto dall’esperienza<br />

lombarda, che, principiando dai contatti col mondo<br />

accademico frequentato negli anni giovanili, maturò<br />

a confronto coi lavori di Battista da Legnano e del<br />

Bugnate, aggiustò poi alla propria poetica volgendosi,<br />

controcorrente, alla pittura dell’Oltralpe di lingua tedesca,<br />

forse prendendone visione diretta, certamente conoscendone<br />

la produzione a stampa. Né si potrà concludere<br />

la breve escursione attraverso il patrimonio pittorico<br />

voluto in Ossola durante il XVI secolo dai committenti<br />

locali senza osservare come esso sia, assieme


alle altre espressioni artistiche, la conferma cinquecentesca,<br />

di entità stupefacente, del promettente avvento<br />

quattrocentesco di quella volontà d’arte che, persistente,<br />

alimenterà la produzione artistica dei secoli seguenti,<br />

nè, chiudendo, si dimenticherà il modesto, ma significativo<br />

trittico, annidato nella sacrestia dell’oratorio di<br />

San Rocco a Crego, dipinto a tempera su tavola per figurarvi<br />

la Madonna di Loreto coi Santi Rocco e Sebastiano,<br />

firmato Antonio de la Todesca e datato 1563 e l’esempio<br />

più tardo di pittura profana, datato 1598, forse dovuto<br />

alla moda diffusa nelle residenze gentilizie ossolane<br />

dallo spunto iniziale di Giacomo de Cardone, dato<br />

dal fregio eseguito da un ignoto pittore di cultura tedesca,<br />

nella sala all’ultimo piano della Torre di Piedimulera,<br />

dove però piccola parte è riservata a un mitico Trionfo,<br />

mentre piacevoli scene di caccia occupano la quasi totalità<br />

della superficie affrescata 30 .<br />

Gli avvii e le tendenze dianzi notate in architettura e<br />

in pittura si avvertono persistenti anche in scultura, soprattutto<br />

nella scultura lignea rifinita da apporti policromi<br />

dipinti e da dorature stese in foglia o in polvere.<br />

Gli avvii su accennati, però si radicano in una tradizione<br />

già operativa nel medioevo, quando venne scolpita<br />

la superba Madonna in Trono col Figlio, conservata<br />

a Macugnaga, esemplare paradigmatico della versione<br />

schematica inventata dalla sensibilità romanica per raffigurare<br />

la Maestà mariana, ieratica, eppure umana, nello<br />

splendore della doratura rifinita dalla policromia degli<br />

ornati. Ancora in Ossola inferiore, due gruppi scultorei<br />

della Beata Vergine col Figlio: una regale, custodita<br />

nel museo parrocchiale di Ornavasso, detta dell’uccellino,<br />

raffigura la Maestà Mariana nella versione tipica<br />

del Quattrocento milanese, ancorché presenti l’inconsueta<br />

iconografia della madre allattante, rinascimentale<br />

nelle anatomie e nell’impianto del trono, ma gotica<br />

nella sinuosa cadenza delle pieghe e nel preziosismo degli<br />

ornati; l’altra, della parrocchia di Piedimulera, benché<br />

mancante del Figlio e sia in pessimo stato di conservazione,<br />

si propone coi caratteri spiccati del Tardo<br />

Gotico lombardo, caratteristico del Quattrocento, nel<br />

rappresentare la madre in umanissimo abbandono. La<br />

ricca tradizione consolidata in Ossola 31 , episodicamen-<br />

Giacomo di Cardone, Predicazione del Battista, affresco 1564. Montecrestese, casa del pittore Cardone.<br />

216<br />

te testimoniata dalle sculture citate, si arricchisce nell’ultimo<br />

quarto del secolo XV della produzione uscita<br />

da una bottega vigezzina, aperta a Craveggia, dalla famiglia<br />

dei Merzagora, che di generazione in generazione<br />

la gestirono fino all’esordio del secolo XVII. Imponenti<br />

sono i capolavori eseguiti a cominciare dai gruppi<br />

statuari dedicati al Compianto sul Cristo Morto, sia<br />

quello esposto al Museo Civico d’Arte Antica di Torino,<br />

sia quello conservato al Sacro Monte di Orselina,<br />

presso Locarno nonché le due statue del Cristo morto<br />

e di una Dolente, custodito a Cosasca, appartenenti<br />

ad altro Compianto andato disperso, le sole conservate<br />

in valle dei Compianti attribuiti a Domenico Merzagora.<br />

Alla generazione seguente quella di Domenico, assieme<br />

al Crocifisso di Masera, vanno invece attribuiti il<br />

Compianto nel San Martino di Masera e il Crocefisso sull’altare<br />

maggiore nella Chiesa di Cristo Risorto a Villadossola,<br />

spiranti maggiore sentimentalità espressa dalla<br />

ricerca delle agitate posture e dalla acuita attenzione<br />

nella finitura delle anatomie per inverare con naturalezza<br />

l’espressione degli affetti. Autore dei due <strong>monumenti</strong><br />

lignei Cinquecenteschi di maggior spicco in provincia<br />

fu Andrea Merzagora: nel 1582 del coro ligneo<br />

nel presbiterio della chiesa detta Madonna di Campagna<br />

a Pallanza 32 e nel 1596, assieme al fratello Domenico,<br />

dell’ancona posta come dossale dell’altare maggiore nel<br />

San Bartolomeo di Villadossola 33 , che intorno al pannello<br />

della Crocefissione celebra in cinque altorilievi gli atti<br />

salienti della Vita di San Bartolomeo, ora deturpata da<br />

un furto sacrilego che infama il nostro tempo. Se l’impronta<br />

lombarda perdurerà nella tradizione famigliare<br />

dei maestri craveggesi fino alla fine del Cinquecento<br />

quando Andrea, ultimo maestro della bottega vigezzina,<br />

porterà ad esiti geniali di vigoroso manierismo l’eredità<br />

raccolta dalle precedenti generazioni, sarà anche a<br />

causa dei contatti che queste ebbero con una delle più<br />

apprezzate botteghe milanesi attiva dall’ultimo quarto<br />

del Quattrocento al terzo decennio del Cinquecento,<br />

ossia la bottega dei De Donati. Il collegamento d’avvio<br />

con la bottega milanese dei fratelli De Donati, Giovan<br />

Pietro e Giovan Ambrogio, già attivi nel cantiere del<br />

Duomo di Pavia gestito dall’Amadeo, si istituì intorno


al 1510 quando assunsero l’incarico di fornire all’oratorio<br />

conventuale dei Cavalieri di Malta, alla Masone di<br />

Vogogna, l’ancona della Annunciazione, a cui era dedicata<br />

la mansione giovannita, della quale, dopo la soppressione<br />

del 1797, rimane la statua della Beata Vergine<br />

nella chiesa di San Giorgio di Varzo venerata come Madonna<br />

del Rosario, e mediante l’analoga commissione<br />

accettata nel 1514 di eseguire l’ancona della Beata Vergine<br />

Immacolata in Adorazione del Bambino per la chiesa<br />

di Santa Maria degli Angeli annessa al convento vogognese<br />

dei Padri Serviti soppresso nel 1797, della quale<br />

si è conservata la sola statua della Beata Vergine, ora invocata,<br />

nell’oratorio di Santa Marta con il titolo di Addolorata<br />

34 . Sebbene dell’opera dei De Donati in Ossola<br />

non rimangano che parti frammentarie di complessi<br />

andati dispersi, quali l’Eterno Padre benedicente assieme<br />

a due Gruppi d’angeli nel Museo di Palazzo Silva a Domodossola<br />

e il Cristo Risorto nel San Vincenzo di Pieve<br />

Vergonte, si deve probabilmente alla loro influenza l’accentuazione<br />

naturalistica e umanistica, propria del Rinascimento<br />

milanese, passata per confronto alla cultura<br />

della seconda generazione dei Merzagora. Con l’opera<br />

dei Merzagora la cultura artistica lombarda perdura<br />

con ruolo primario in Ossola; tuttavia non mancherà<br />

d’apparire, anche nelle vicende della scultura lignea<br />

cinquecentesca, la dissidenza antigoriese francesizzante<br />

con l’apporto di manufatti tedeschi, scolpiti in botteghe<br />

dell’alta Svevia secondo i canoni del Gotico fiorito,<br />

introdotti in valle Antigorio, durante il secondo e il terzo<br />

decennio del secolo, dal flusso proveniente dai centri<br />

mercantili della Svizzera centrale. Di tali importazioni<br />

si citerà, oltre ad alcuni esempi frammentari nel Museo<br />

di Palazzo Silva a Domodossola, l’ancona conservata<br />

nel coro del San Gaudenzio a Baceno, datata 1525, quale<br />

esemplare che, per qualità esecutiva e coerenza stilistica,<br />

altamente testimonia il gusto cortese sopravvissuto<br />

nei committenti antigoriesi di Parte Brennesca; vanno<br />

inoltre considerate le opere commesse ad artisti di<br />

cultura germanica dalle enclave etniche walser, sculture<br />

ancora presenti in val Formazza, nella parrocchiale dedicata<br />

a San Bernardo e in alcuni oratori, e a Macugnaga,<br />

dove nella Chiesa Vecchia di Santa Maria il soffitto<br />

ligneo del presbiterio, opera lavorata ad intaglio e datata<br />

1513 del maestro friburghese Peter Mory, documen-<br />

ta, quale unico esemplare superstite del suo genere e del<br />

suo tempo, come anche nell’aspra esistenza di quelle<br />

comunità alpestri avesse posto la volontà d’arte mediatrice<br />

di valori spirituali e civili.<br />

L’età barocca durante il Seicento e il Settecento porta<br />

un profondo mutamento nella immagine artistica delle<br />

valli ossolane, poichè, sullo stimolo iniziale della Controriforma,<br />

di cui fu grande interprete il vescovo novarese<br />

Carlo Bascapè, molti edifici sacri esistenti vengono<br />

modificati, se non addirittura ricostruiti, per adeguarli<br />

ai dettami del Concilio tridentino e i nuovi, che la pietà<br />

e l’aumento della popolazione esigono, s’uniscono ai<br />

precedenti rinnovati per coprire tutto il territorio ossolano<br />

con una ricca varietà di tipi architettonici, comprendente<br />

chiese, oratori, cappelle, edicole, che, pure<br />

nel variare delle forme, sono tutti improntati al nuovo<br />

linguaggio stilistico. Il Barocco ossolano s’esprime però<br />

in forme classicheggianti, anche negli edifici più ricchi,<br />

dove la ricercatezza degli effetti decorativi non mira al<br />

virtuosismo, ma a creare nuove, caute, gioiose armonie<br />

fra stucchi dorati e affreschi dai chiari colori brillanti.<br />

Il lungo elenco di edifici, sculture, pitture e decorazioni<br />

non può essere contenuto in queste pagine, perciò solo<br />

qualche opera verrà citata quale esempio di quel tempo.<br />

Fra le parrocchiali ricostruite il San Brizio di Vagna<br />

(1666) e il San Rocco a San Rocco di Premia durante<br />

il Seicento, nel Settecento i Santi Giacomo e Cristoforo<br />

di Craveggia (1733) e la Santa Maria Assunta di Santa<br />

Maria Maggiore (1733-1742).<br />

Esempi di nuove costruzioni si hanno con la Beata Vergine<br />

del Rosario alla Noga di Villadossola (1633-1692),<br />

la Beata Vergine Assunta e San Giuseppe di Macugnaga<br />

(1709-1717). Nei santuari settecenteschi della Madonna<br />

della Guardia a Ornavasso, della Madonna della<br />

Vita di Mozzio e di Santa Marta a Craveggia i caratteri<br />

armoniosi del più ricco Barocchetto ossolano sono apprezzabili<br />

nel gaudioso gioco che in dispiegate eleganze<br />

fonde spazi e colori, strutture e decori.<br />

Le modificazioni più profonde al paesaggio ossolano<br />

s’ebbero con la costruzione dei Sacri Monti, che aprirono<br />

parchi o giardini della devozione, alcune volte in<br />

luoghi remoti, attorno al sacro itinerario della Via Regia<br />

da percorrere processionalmente in preghiera e ascetica<br />

meditazione.<br />

217


Il Sacro Monte Calvario, tracciato sul colle di Mattarella<br />

a Domodossola, per la ricchezza delle architetture e degli<br />

arredi, dovuti a noti artisti, che dal secolo XVII fino<br />

ai nostri giorni vi operarono, quali Dionisio Bussola, interprete<br />

sensibilissimo della lezione berniniana appresa<br />

a Roma, e Giuseppe Rusnati, entrambi protostatuari del<br />

Duomo di Milano, è certamente il più cospicuo realizzato<br />

in Ossola 35 , ma non vanno dimenticati quelli minori<br />

che la devozione popolare con grandi fatiche ha<br />

eretto intorno ai suoi santuari, quali quello della Madonna<br />

della Neve a Bannio — (1622 il santuario, 1721-<br />

1722 le cappelle) 36 —; della Madonna di San Luca alla<br />

Salera di Cravegna (santuario 1729, cappelle 1738) 37 ;<br />

di Sant’Antonio da Padova a Anzino nel Settecento.<br />

Se nell’architettura o nella pittura il Seicento è povero<br />

di autori ossolani, nella scultura la presenza di artisti locali<br />

è dominante. Non c’è chiesa al piano o nelle valli<br />

che non conservi almeno un segno di scultura lignea intagliata<br />

da mano ossolana. Il fasto che impronta la produzione<br />

artistica dell’età barocca nella valle della Toce<br />

ebbe nella scultura lignea delle ancone, rilucente di dorature<br />

e dai vividi colori, l’espressione più alta e più significativa.<br />

Dalla bottega di Giorgio De Bernardis (1606<br />

— post 1663) in via Briona a Domodossola — attiva alla<br />

metà del Seicento — uscirono lavori ricchi, ma solenni,<br />

legati al Manierismo lombardo e aperti a esperienze<br />

centro europee colte dal maestro durante i suoi soggiorni<br />

in Vallese, dove aveva legato salda amicizia con<br />

Gaspare Stockalper. Suoi lavori rimangono: a Seppiana<br />

— altare della Madonna del Rosario del 1645 e l’armadio<br />

di sacrestia nel Sant’Ambrogio —; a Vagna — altare<br />

del Nome di Gesù del 1646 nel San Brizio —; a Domodossola<br />

— Crocifisso del 1652-54 sull’altare maggiore<br />

dei Santi Gervasio e Protasio —; a Croveo — la porta<br />

della Natività di Maria —; a Naters, nel Vallese — l’ancona<br />

dell’altare maggiore nella parrocchiale — per elencarne<br />

solo alcuni fra i più indicativi 38 . Fra gli allievi cresciuti<br />

alla scuola di Giorgio de Bernardis il più dotato<br />

fu Giulio Gualio di Antrona (1630-1712) tanto che il<br />

maestro lo scelse quale continuatore della sua bottega.<br />

Il Gualio fu maestro, a sua volta, valente, tanto da foggiare<br />

discepoli come Francesco Antonio Alberti di Boccioleto<br />

in Valsesia, attivissimo, capace di diffondere in<br />

Ossola e nel Vallese un vasto numero di opere duran-<br />

218<br />

te la seconda metà del secolo, negli ultimi anni aiutato<br />

dal figlio Paolo. Il lungo catalogo dei suoi lavori non è<br />

ancora compiuto, ma la misura di questo scultore ossolano<br />

la si potrà cogliere visitando il San Lorenzo di Antronapiana,<br />

dove, fra il 1660 e il 1694, costruì, scolpì<br />

e indorò cinque altari, quasi un campionario delle sue<br />

capacità di scultore barocco, armonioso e sobrio, ancora<br />

fedele ai canoni classici appresi dal maestro, ma largo<br />

di pensiero nell’inventare le scenografiche architetture<br />

dove allogherà statue di squisita fattura 39 . Il Seicento<br />

si conclude e s’apre il Settecento con l’ultima grande<br />

personalità della scuola ossolana di scultura: Pietro Antonio<br />

Lanti di Macugnaga (1679-1729). Già nel suo primo<br />

lavoro documentato, del 1724, nella Madonna della<br />

Neve a Borca di Macugnaga, scolpendo l’ancona dell’altare,<br />

il Lanti libera il suo genio creativo per elevare nello<br />

spazio un gioco fantasioso di nastri e fogliame, che accoglie<br />

putti e piccole immagini, per incorniciare la pala<br />

dipinta. Il carattere del suo stile è già rivelato in questa<br />

scultura così come lo si ritrova nell’altare della chiesa<br />

nuova di Macugnaga, con una cadenza più solenne e,<br />

più appassionato, nel monumentale Crocefisso sito nella<br />

stessa chiesa. Altre sono le opere del Lanti sparse nell’Ossola<br />

e altri sarebbero gli scultori da menzionare che<br />

hanno dato immagini alla pietà e arredi alle case ossolane,<br />

opere e autori che il lettore curioso potrà trovare citati<br />

in studi monografici da tempo pubblicati 40 .<br />

Si dovrà però almeno segnalare il ruolo avuto in tale<br />

contesto, dopo l’annessione dell’Ossola al Regno di Sardegna,<br />

dallo scultore di Viganella Giovan Pietro Vanni<br />

(Viganella, 1744 - ?, 1813/1822) che, compiuto l’apprendistato<br />

in Valsesia, seppe inserirsi, nella seconda<br />

metà del Settecento, nei circuiti artistici locali e, al soppraggiungere<br />

del nuovo secolo, quando il vigore della<br />

tradizione scultorea ossolana stava ormai scemando,<br />

ebbe l’impulso, primo fra gli scultori ossolani, di volgere<br />

l’attenzione a modelli trascelti dalla cultura artistica<br />

Piemontese durante il passaggio dal Classicismo ai<br />

canoni estetici del Neoclassicismo, in particolare guardando<br />

alle opere scultoree e decorative degli artisti impegnati<br />

a fornire arredi di rappresentanza alle residenze<br />

della corte sabauda 41 .<br />

Chiuderò il discorso sulla scultura Seicentesca locale citando<br />

il famoso Crocefisso di bronzo collocato nel San


Bartolomeo di Bannio, giunto in valle Anzasca dalla<br />

Spagna, attribuito da Giovanni Romano allo scultore di<br />

Norimberga Georg Schweigger (1613-1680). Come lo<br />

splendido bronzo tedesco, e le avvivate terracotte dipinte<br />

di Dionisio Bussola, pare che anche i grandi dipinti<br />

giunti in Ossola nel corso del Seicento abbiano avuto<br />

poca influenza sugli artisti locali. Opere quali l’Assunzione<br />

della Beata Vergine nel San Gaudenzio di Baceno,<br />

dipinta nel 1604 da Avanzino Nucci (1552-1629), uno<br />

dei pittori assunti insieme alla schiera d’artisti mobilitata<br />

da Sisto V per riformare il volto di Roma 42 , o la Vergine<br />

che presenta il Bambino a San Felice da Cantalice,<br />

con l’autoritratto dell’autore accosciato ai piedi del<br />

gruppo sacro, preludio barocco del 1609 dipinto nel<br />

balenante spazio di 13 ore dal cappuccino fra Cosimo da<br />

Castelfranco, al secolo Paolo Piazza, come era solito firmarsi,<br />

per l’oratorio del Piaggio di Craveggia, paese da<br />

cui l’artista, famoso e conteso dai potentati del suo tempo,<br />

traeva le origini, unita alla sua Madonna delle Grazie<br />

col Bambino e i Santi Carlo e Rocco pala della cappella<br />

di San Carlo nella Santa Maria Assunta di Montecrestese<br />

43 , oppure il San Carlo che comunica gli appestati e<br />

la Visitazione di Tanzio da Varallo (1626), magistrale<br />

quanto efficace erede del fervore immaginifico suscitato<br />

dalla pietà borromaica, presenti già all’inizio del secolo,<br />

l’uno nella collegiata di Domodossola, l’altra nel<br />

San Brizio di Vagna 44 , con la possente tela, dall’aggressivo<br />

virtuosismo anatomico, attribuita al Cerano, un<br />

tempo pala dell’altare dedicato al SS. Nome di Gesù e<br />

la pala dell’altare di San Pietro nel Santo Stefano di Crodo,<br />

celebrante La Consegna delle Chiavi, superbo esempio<br />

di classicismo e naturalismo carracesco, forse giunto<br />

in valle dalla bottega romana di Domenico Zampieri<br />

(1581-1641), oppure quell’altra pala donata nel 1684<br />

da emigrati bolognesi all’altare dell’Epifania nel San<br />

Giulio di Cravegna “che rinvia all’ambito della bottega<br />

bolognese di Lorenzo Pasinelli” e suggerisce l’intervento<br />

dei suoi allievi Giavanni Antonio Burrini e Giovan<br />

Gioseffo Dal Sole, rispettivamente richiamati dai dettagli<br />

accuratamente rifiniti e da altri dalla fattura più<br />

sciolta di timbro neoveneto 45 , avrebbero dovuto scuotere<br />

l’animo e l’intelligenza dei pittori ossolani, ma forse<br />

fu loro più congeniale il quieto accademismo della tela<br />

dipinta ad olio inviata dai Mozziesi emigrati a Bologna<br />

Maestro anonimo sec. XII-XIII, Madonna in trono col figlio, legno<br />

scolpito dorato e dipinto al naturale. Macugnaga, chiesa parrocchiale.<br />

per la cappella di San Carlo nella parrocchiale di San<br />

Giacomo a Mozzio, eseguita nel 1613, con accenti veristici,<br />

da Giovanni Battista Gennari di Cento per narrare<br />

di San Carlo che risuscita un bambino mentre visita gli<br />

appestati, o di Stefano Delfina ab insula di Orta, autore<br />

della Santissima Trinità dipinta a olio su tela nel 1628<br />

per il Sant’Agostino di Premosello 46 , della pala dell’Annunciazione<br />

per l’oratorio giovannita di Santa Maria<br />

Annunziata ora custodita nella parrocchiale di San Giorgio<br />

a Piedimulera e il dossale dell’altare maggiore, in<br />

olio su tavola dell’oratorio dell’Annunciazione a Bannio<br />

47 , oppure quello, più studiato e incisivo, del fiorentino<br />

Luigi Reali 48 , attivo dal quarto al settimo decennio<br />

del secolo, che, segnato dal lombardismo dei Quadroni<br />

del Duomo di Milano, con l’aiuto occasionale del pittore<br />

Francesco Negri di Mozzio, distribuì esempi del decoro<br />

tridentino, consonanti con la pietà popolare ossolana,<br />

in chiese e oratori da San Giovanni a Montorfano<br />

ad Antillone in valle Formazza. Uscito dalla bottega fio-<br />

219


entina di Francesco Curradi, il Reali, sostando dapprima<br />

a Milano, per adeguare il proprio apprendistato al<br />

gusto lombardo, e poi sulle rive del Verbano, per lavorarvi,<br />

si volse al settentrione alpino in cerca di committenti,<br />

e non solo nelle valli ossolane, giacché, diramando<br />

l’itinerario operativo verso occidente, trovò commissioni<br />

in Valsesia e in valle Strona, e verso oriente, nella<br />

provincia comasca, dove assunse lavori in Valtellina e in<br />

Valsassina. Due tele votive, entrambe dedicate a San<br />

Giuseppe e raffiguranti, su uno schema compositivo ripreso<br />

dal Morazzone, lo Sposalizio della Beata Vergine,<br />

segnano i termini, iniziale e finale, del lasso di tempo<br />

impiegato dal pittore fiorentino nelle opere ossolane: la<br />

prima, datata 1639, nella Madonna della Neve di Domodossola;<br />

l’ultima, datata 1660 per la pala sull’altare<br />

di San Giuseppe nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria<br />

a Vocogno di Craveggia. Ma la composizione<br />

replicata con maggiore frequenza dal Reali per le pale<br />

degli altari è quella di tipo piramidale costituita dalla<br />

Beata Vergine delle Grazie, levitante al vertice su un<br />

nembo di nubi, fra due santi, palesatori del culto locale,<br />

che alla base, sullo sfondo di un paesaggio, la venerano<br />

e la assistono. Così si presentano le pale negli oratori<br />

di Montecrestese: a Nava, coi Santi Antonio Abate e<br />

Sebastiano datata 1640; ad Altoggio, coi Santi Giovanni<br />

Battista e Giacomo Maggiore, datata 1645. Analoghe<br />

sono la pala per il San Giovanni a Montorfano coi Santi<br />

Giovanni Battista e Rocco; quella a Pizzanco di Bognanco<br />

coi Santi Uguccione e Lorenzo, affiancata dalla<br />

tela dedicata alla Immacolata coi Santi Giuseppe e Antonio<br />

da Padova; infine il dipinto del 1644 nei Santi Pietro<br />

e Paolo di Crevoladossola dedicato alla Madonna del<br />

Rosario coi Santi Domenico e Caterina da Siena, capifila<br />

delle due schiere di santi ai piedi della Vergine. Allo<br />

stesso disegno compositivo si può avvicinare anche la<br />

pala della Incoronazione della Beata Vergine coi Santi Andrea<br />

e Carlo che venerano la Croce sull’altare omonimo<br />

nella Santa Caterina d’Alessandria di Vocogno e San<br />

Carlo Borromeo che venera la Regina Coeli, del 1650, dipinto<br />

per la chiesa di Santa Maria Assunta di Mergozzo.<br />

Altre due pale per altari laterali di San Rocco, dove il<br />

santo è figurato in primo piano, sempre sullo sfondo di<br />

un paesaggio, quasi eseguendo il tipo del ritratto a figura<br />

intera, sono collocate nel San Zenone di Tappia e nel<br />

220<br />

San Carlo di Bracchio, alle quali va aggiunta la tela votiva<br />

dedicata a San Zenone nell’oratorio di San Giovanni<br />

Evangelista a Valpiana di Villadossola. Alle opere ricordate<br />

si devono aggiungere i cicli narrativi per le cappelle<br />

minori dedicate a San Carlo Borromeo di cui rimangono:<br />

integro quello eseguito a tempera grassa, nel<br />

1655, sulla volta della cappella nella Santa Maria Assunta<br />

di Montecrestese; ridotto invece alle due tele rimaste<br />

ai lati della pala, quello dipinto per il San Lorenzo<br />

di Bognanco. Dei lavori eseguiti ad affresco restano<br />

l’Annunciazione, San Giovanni Battista e Sant’Antonio<br />

da Padova sulla facciata dell’oratorio di Giosio a Montecrestese<br />

e il ciclo steso nel presbiterio dell’oratorio di<br />

Antillone, in val Formazza, dedicato alla Visitazione.<br />

Luigi Reali era ancora operoso in Ossola quando Carlo<br />

Mellerio, nato nel 1620 da famiglia patrizia craveggese<br />

trasferitosi da poco a Domodossola dove contava amicizie<br />

ed entrature presso la nobiltà cittadina, compiuto<br />

l’apprendistato all’ombra dell’Accademia Ambrosiana e<br />

avviatosi nella pratica dell’arte come maestro apprezzato<br />

e ben introdotto nell’ambiente artistico milanese, ritornava<br />

nel capoluogo ossolano, eleggendolo a centro<br />

della propria attività 49 , ottenendo la prima commissione<br />

del 1649 per affrescare le volte del protiro e le figure<br />

di San Vitale e Santa Valeria sulla facciata della collegiata<br />

domese. Influenzato dai manieristi lombardi dell’età<br />

borromaica, in particolare dalla personalità del Cerano e<br />

successivamente del Procaccini, il Mellerio recò aggiornamenti<br />

alla cultura artistica ossolana acclimandola agli<br />

orientamenti accademici federiciani tendenti alla «verità<br />

delle cose» e dei «moti e affetti» mediante il rigore costruttivo<br />

e il controllo plastico della forma. Si adoprò<br />

inoltre perché opere e artisti portassero in Ossola significativi<br />

termini di confronto, come le grandi tele del<br />

San Giovanni Battista e del San Gerolamo dipinte nel<br />

1641 dallo spagnolo Bartolamé Roman per la chiesa dei<br />

santi Pietro e Paolo di Malesco 50 , o, più mordente nell’immaginazione<br />

popolare, l’opera di Dionisio Bussola<br />

plasmata per l’arredo scultoreo delle cappelle al Sacro<br />

Monte Calvario, che veniva realizzato in quegli anni a<br />

cura del fiduciario episcopale Giovanni Matteo Capis,<br />

zio d’acquisto di Carlo. Peraltro nello stesso tempo e<br />

proprio al Calvario, il Mellerio, assieme allo scultore<br />

Giulio Gualio, s’impegnò a dipingere le statue del Bus-


sola e del Volpini e intorno al 1660, ancora col Gualio<br />

che ne intagliava la cornice, replicò in copia la Visitazione<br />

del Tanzio per la chiesa conventuale dei Cappuccini,<br />

ora custodita a Palazzo Silva. Pienamente integrato nella<br />

vita valligiana concorse al rinnovamento seicentesco<br />

degli edifici di culto ossolani, sia in città e nei dintorni,<br />

sia nei paesi dislocati nelle valli. A Domodossola affrescava<br />

il medaglione con l’Eterno Padre per la volta della<br />

Madonna di Loreto al Calvario e nel 1674 il Miracolo<br />

della Neve in facciata al santuario della Madonna della<br />

Neve, nonché il trittico con la Beata Vergine affiancata<br />

dai Santi Domenico e Caterina da Siena per l’oratorio<br />

gentilizio della Madonna di Loreto; ad Anzuno nel<br />

1683 dipingeva su tela la pala per l’altare dell’oratorio<br />

di Sant’Antonio da Padova; a Crevoladossola nel 1682-<br />

83 la pala dell’altare e gli affreschi nell’oratorio di San<br />

Vitale. Ancora in collaborazione con il Gualio, autore<br />

delle opere lignee d’ornamentazione, dipingeva nel<br />

1683 la pala per l’altare del Santo Rosario nel San Lo-<br />

Giulio Guaglio, Altare a ciborio, legno scolpito e dorato 1686.<br />

Antronapiana, San Lorenzo.<br />

renzo di Bognanco. In valle Antrona, nel Sant’Ambrogio<br />

di Seppiana, eseguiva, per la cappella del Santo Rosario,<br />

gli affreschi dedicati alla Vita della Beata Vergine<br />

ossia la Nascita, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi<br />

e l’Assunzione, in un tempo di poco posteriore al 1660,<br />

anno conclusivo delle opere edili. A Montecrestese fra il<br />

1660 e il 1670 è impegnato nella parrocchiale della<br />

Beata Vergine Assunta a decorarne il presbiterio: la volta,<br />

con gli Evangelisti e le Virtù Teologali, e le pareti, con<br />

i Misteri dell’infanzia, ossia l’Annunciazione, l’Adorazione<br />

dei Pastori e la Presentazione al Tempio; le volte della<br />

navata centrale con le figurazioni di alcune invocazioni<br />

litaniche lauretane e l’Incoronazione della Beata Vergine,<br />

per concludere con l’Assunta dipinta in facciata. Nello<br />

stesso centro, oltre agli affreschi per l’Assunta, dipingeva<br />

nella volta del santuario di Viganale, nell’oratorio di<br />

Sant’Antonio da Padova a Roledo e l’esterno e l’interno<br />

della cappella rurale di Piccioledo. Nè mancò di assumere<br />

incarichi in valle Vigezzo, dove, intorno al 1670,<br />

affrescava la volta del presbiterio nel santuario di Re raffigurandovi<br />

gli Evangelisti e l’Eterno Padre; nel 1672 è a<br />

Druogno per dipingere al centro della volta l’immagine<br />

del Santo Pontefice Silvestro; eseguiva inoltre un affresco<br />

nell’oratorio di San Michele ad Albogno, la pala con la<br />

Nascita di Maria per l’oratorio del Piaggio di Craveggia<br />

e le volte nell’oratorio dei Santi Antonio Abate e Antonio<br />

da Padova nel 1685, probabilmente la sua ultima opera.<br />

Infine va ricordato il dipinto votivo offerto, nell’ottavo<br />

decennio del secolo, al San Gaudenzio di Baceno, dal<br />

capitano Ludovico Scaciga, dedicato alla Sacra Famiglia<br />

e a Sant’Antonio da Padova. La laboriosa continuità accademica<br />

impegnata a «riformare» l’immagine seicentesca<br />

dell’arte sacra ossolana ebbe probabilmente un sussulto<br />

quando, a metà degli anni ottanta del secolo, venne<br />

esposta nel San Silvestro di Druogno la grande tela<br />

raffigurante un Miracolo di Sant’Antonio da Padova, firmata<br />

Godefrigo Maes Anteverpia 1685 51 , donata da emigrati<br />

druognesi saliti nella società fiamminga a posizioni<br />

altolocate, tali da potersi rivolgere, nell’alto rango di<br />

committenti facoltosi, alla bottega di Anversa del maestro<br />

Godefrigo Maes (1649-1700), autore significativo,<br />

ancorché poco noto, di un Seicento fiammingo dall’elegante<br />

eloquenza formale dispiegata nei soggetti raffigurati<br />

con invenzione indipendente dalle correnti artisti-<br />

221


che allora in auge nelle Fiandre. Si deve arguire che il<br />

confronto con l’opera del Maes ebbe valore esclusivamente<br />

episodico per gli artisti locali, poiché durante il<br />

ventennio conclusivo del secolo l’ambiente artistico ossolano<br />

esprimerà solamente autori ligi alla tradizione<br />

accademica, ancora disposti ad accettare suggerimenti<br />

da modelli manieristici superati dalla temperie seguita<br />

altrove in quei decenni.<br />

E’ il caso del pittore vogognese Antonio Valentino Caviggioni<br />

(1653-post 1733) detto Valentino Rossetti 52 , autore<br />

oggi riconoscibile in due opere bisognose di pulitura<br />

e restauro: l’Ultima Cena nell’oratorio di Santa Marta a<br />

Vogogna, databile al 1680, e la pala d’altare dipinta nel<br />

1696 per l’oratorio di San Rocco a Cimamulera. Oltre<br />

ai dipinti ossolani citati sono rimasti in valle Strona e in<br />

Valsesia sia affreschi, sia dipinti ad olio del Caviggioni,<br />

che ebbe nel figlio Pietro e nel nipote Luca, residenti ad<br />

Orta, i continuatori della bottega avviata dal pittore a<br />

Vogogna. Dall’incontro col manierismo romano del vasariano<br />

riminese Livio Agresti, studiato, parrebbe, con<br />

attenta solerzia, Valentino Rossetti trasse schizzi e bozzetti<br />

utilizzati in seguito per comporre figurazioni accademiche<br />

dipendenti dall’opera dell’Agresti, debito risultante<br />

in particolare con inequivocabile evidenza dall’<br />

Ultima Cena di Vogogna, più che ispirata, replicata dal<br />

medesimo soggetto trattato ad affresco dal pittore riminese<br />

nell’oratorio romano del Gonfalone. Contemporaneo<br />

del Caviggioni il vigezzino Giacomo Antonio Minoli<br />

53 , nato a Gagnone di Druogno nel 1657, completò<br />

la propria formazione ossolana a Roma, dove soggiornò<br />

fra il 1670 e il 1679, senza trarne significativi benefici,<br />

si direbbe, considerando le quattro grandi tele inviate<br />

dal Minoli alla nativa Druogno da Rastiglione in Valsesia,<br />

dove nel frattempo, si era trasferito. Infatti i dipinti<br />

destinati alla Confraternita del SS. Sacramento, eretta<br />

nella cappella dei Santi Carlo e Giuseppe del San Silvestro,<br />

mostrano, tranne il Miracolo della mula inginocchiata<br />

innanzi all’ostia ostensa da Sant’Antonio da Padova,<br />

di dipendere strettamente da soggetti già presenti in<br />

chiese ossolane: l’Ultima Cena, con il cartiglio in calce<br />

recante la dedicatoria dell’autore, riprende la composizione<br />

gaudenziana dipinta da Fermo Stella per la par-<br />

Tanzio da Varallo, Visitazione, olio su tela 1626. Vagna, San Brizio.<br />

rocchiale di Crevoladossola; il San Carlo che comunica<br />

gli appestati è debole copia di quello del Tanzio nella<br />

Collegiata di Domodossola; lo Sposalizio della Vergine<br />

ricalca la versione del medesimo soggetto data da<br />

Luigi Reali nella pala di Vocogno. Analogo comportamento<br />

si osserva nell’opera di Francesco Antonio Antonietti<br />

di Beula di Baceno (1668-1752), artista dalla biografia<br />

ancora in corso di ricerca (Tullio Bertamini), finora<br />

conosciuto solamente quale autore delle due grandi<br />

tele dipinte nel 1696 per la cappella di San Carlo nel<br />

San Gaudenzio di Baceno, difficilmente leggibili perché<br />

offuscate dalla sporcizia e dal tempo, tuttavia rivelatrici<br />

di buon mestiere, esercitato nel disegno e sciolto<br />

nel comporre, ancorché limitato da carenza d’invenzione,<br />

giacché I’Ultima Cena mostra i suggerimenti ripresi<br />

da quella donata dal Minoli al San Silvestro di Druogno<br />

e la Preghiera nell’Orto si rifà a quella stesa da Battista da<br />

Legnano nel San Giulio di Cravegna sulla traccia della<br />

scena düreriana intagliata per la Grande Passione 54 .<br />

Contemporaneo dei secentisti ossolani citati l’antigoriese<br />

Pietro De Pietri (Cadarese 1663-Roma 1716) ben<br />

altro livello toccò durante la sua vicenda, fin dagli inizi,<br />

quando quindicenne venne accolto a Roma nella prestigiosa<br />

bottega del Maratti e quindi, entro pochi anni,<br />

seppe raccogliere intorno alla sua opera il consenso dei<br />

più qualificati committenti romani, tanto da attrarre<br />

l’attenzione di Clemente XI, che gli commise importanti<br />

lavori e lo volle membro della Accademia di San<br />

Luca 55 . In Ossola non rimangono che lievi tracce, in<br />

mano privata, della vasta produzione stesa ad affresco,<br />

dipinta ad olio, disegnata o incisa che diede fama al De<br />

Pietri fra i maestri romani fautori del Classicismo, ma<br />

forse un collegamento locale, sia pure appena proponibile,<br />

lo si può rintracciare nella modesta pala dell’oratorio<br />

di San Rocco a Pioda di Premia, «fatta dipingere»<br />

a Roma nel 1740 dalla Compagnia di Pioda che ricorse<br />

al pennello di Isidoro Reali: forse un discendente<br />

antigoriese di Luigi Reali, posto sotto la protezione del<br />

De Pietri dalla potente Compagnia romana degli emigrati<br />

antigoriesi, come suggerirebbe la delicata Madonna<br />

delle Grazie che dall’alto delle nubi guarda col Figlio<br />

ai Santi Sebastiano, Rocco e Francesco da Paola in estati-<br />

223


ca venerazione 56 .<br />

Aperto l’accesso al XVIII secolo dalla personalità di Pietro<br />

De Pietri e di un suo pallido, eventuale riflesso, lasciandosi<br />

alle spalle «i moti e gli affetti» dell’accademismo<br />

seicentesco per inoltrarsi nel panorama settecentesco<br />

della pittura ossolana, non sarà più necessario soffermarsi<br />

in puntigliose soste su autori e opere, poiché<br />

l’interesse ridestatosi in tempi recenti sui pittori del<br />

XVIII e XIX secolo ha ampliato gli orizzonti storiografici<br />

promuovendo monografie e studi facilmente reperibili,<br />

che, delineando un corretto quadro d’assieme dell’attività<br />

artistica di quei secoli, hanno risaltato al giusto<br />

livello gli autori, le inclinazioni stilistiche, nonché la<br />

volontà d’arte dei committenti, che li caratterizzarono.<br />

Perciò su tali artisti, scelti dalla maggioranza dei committenti<br />

contemporanei come interpreti fedeli delle<br />

loro esigenze estetiche, motivate dalla religione, dal decoro<br />

sociale o dal gusto, sia collettivo che individuale, si<br />

tratterà l’attenzione considerandoli, per ingegno e operosità,<br />

personalità determinanti la cultura artistica del<br />

loro tempo.<br />

Se Pietro de Pietri fu il primo degli ossolani ad accedere<br />

alla poetica del Classicismo romano mediante il magistero<br />

di Carlo Maratta, il secondo ossolano ammesso<br />

fra gli allievi della medesima bottega romana fu l’anzaschino<br />

Girolamo Ferroni (Bannio 1687-? post 1740)<br />

finora ricordato dalla letteratura artistica erroneamente<br />

originario di Milano o di Parma 57 . Il Classicismo romano,<br />

di ascendenza raffaellesca, rafforzato dall’alito spirante,<br />

con linguaggio barocco, dall’area cortonesca, si<br />

palesa fin dai primi esiti nella pittura del Ferroni, già<br />

esplicito nell’opera prima, almeno per ora ritenuta tale,<br />

firmata e datata “OPUS FERRONI 1704 a Roma”, inviata<br />

in patria per fungere da pala sull’altare dell’Immacolata<br />

nel San Bartolomeo di Bannio. Nella stessa chiesa,<br />

ma più tarde, perché dipinte dopo il suo rientro a<br />

Milano in seguito alla morte di Carlo Maratta nel dicembre<br />

del 1713, oltre alla pala dell’altare dedicato a<br />

San Francesco Saverio vi sono esposte la lunetta dipinta<br />

a olio su tela con il Battesimo di Gesù sullo sfondo della<br />

piazza di Bannio con l’oratorio di Santa Marta, del<br />

San Bartolomeo, e più arretrata la fuga delle cappelle<br />

dedicate alla via crucis, conclusa dal santuario della<br />

Madonna della Neve; San Giuseppe col Gesù Bambino;<br />

224<br />

La Trinità implorata dalla Vergine a suffragio delle anime<br />

purganti con, inparergo, la messa di San Filippo Neri.<br />

Al Gruppo di opere citate va aggiunta la tela conservata<br />

nel San Mattia di Oira, raffigurante La Trinità Implorata<br />

dalla Vergine e San Giuseppe sopra un angelo che trae<br />

un’anima al cielo dal folto delle anime purganti, affiancato,<br />

tre per lato, da sei scene illustranti casi di “morte<br />

improvvisa”. Il Ferroni dovrebbe avere dipinto le opere<br />

citate nel decennio seguente il suo rientro a Milano,<br />

quando assunse fra le prime commissioni quella di eseguire,<br />

intorno al 1714, per la chiesa di San Eustorgio la<br />

pala dell’altare di San Giuseppe, raffigurandovi il Transito<br />

del Santo, rapporto evidenziato dalle consonanze stilistiche<br />

e tipologiche ravvisabili nella stesura delle pitture<br />

elencate. A Milano il Ferroni ebbe però particolare<br />

successo quale autore di di<strong>segni</strong>, volti in incisioni, richiesti<br />

dall’editoria milanese, per illustrare pubblicazioni<br />

anche di grande prestigio, oppure, se di soggetto sacro,<br />

destinate alla devozione privata 58 . Gli affreschi firmati<br />

e datati “H. Ferronius baniensis pinxit 1736 ” sulla<br />

cupola centrale nell’oratorio dell’Annunciazione di Bannio<br />

concludevano il decoro pittorico dell’edificio sacro<br />

iniziato nel 1715, nel lasso di tempo intercorrente fra<br />

queste date l’autore aveva accettato anche l’incarico di<br />

eseguire affreschi per la Via Crucis, l’ultimo nel 1736,<br />

affiancata al percorso sacro che porta al santuario della<br />

Beata Vergine della Neve, dall’interno decorato dal Ferroni<br />

tra il 1723 e il 1725 59 .<br />

All’operosità degli scultori ossolani, capaci di soddisfare<br />

appieno e a notevole livello la domanda locale di suppellettili<br />

artistiche, destinate all’arredo ecclesiastico o<br />

domestico, va affiancata la capacità e l’ingegno dominante<br />

di un pittore vigezzino: Giuseppe Mattia Borgnis<br />

(Craveggia 1701-West Wycombe 1761), che con la sua<br />

produzione in ogni genere pittorico, dalle vaste superfici<br />

affrescate alle tavolette degli ex voto, dalle più complesse<br />

figurazioni ai ritratti, o dai sistemi decorativi di<br />

interi edifici allo schema della più semplice ornamentazione,<br />

saprà appagare ogni richiesta dei committenti locali,<br />

sia pubblici, sia privati, dal terzo al sesto decennio<br />

del Settecento 60 .<br />

Si è voluto richiamare l’incisiva presenza della tradizione<br />

scultorea locale per sottolineare come la stessa aura<br />

classicheggiante, a cui inclina la scultura lignea ossola-


na, spira nelle opere del Borgnis, così vivamente da farne<br />

la sua fortuna in Inghilterra, dove, apprezzato interprete<br />

di scene allegoriche e temi mitologici tratti da<br />

modelli del Classicismo romano, morirà famoso 61 . Attento<br />

alla lezione dei grandi maestri del classicismo cinquecentesco,<br />

ai quali poté accostarsi, fra adolescenza e<br />

giovinezza, risiedendo e studiando a Bologna, a Venezia<br />

e, probabilmente a Roma, seppe da essi emanciparsi<br />

per affermare una propria cifra stilistica, esposta da una<br />

tavolozza dai colori luminosi, vibranti a cui attinse per<br />

le grandi composizioni affrescate a gloria di Dio, della<br />

Vergine e dei santi, nelle cupole, nelle volte o sulle pareti,<br />

oppure dipinte sulle grandi tele, che ancora oggi numerose<br />

lo ricordano autore felice di un animato Classicismo<br />

(si potrà dire?) ossolano. Menzionato nella storia<br />

dell’arte quale primo maestro di Giuliano da Parma,<br />

fu architetto, pittore e decoratore di brillante ingegno,<br />

che nelle immagini sacre, condotte con rigoroso rispetto<br />

dell’ortodossia tridentina, e nelle figurazioni mitiche<br />

o allegoriche si rivela colto iconografo. Nella impossibilità<br />

anche solo di compendiare il catalogo della vasta<br />

produzione del Borgnis si proporrà, quale esempio fra i<br />

più significativi delle sue capacità creative, la chiesa dei<br />

Santi Giacomo e Cristoforo di Craveggia, ricostruita durante<br />

il quarto decennio del Settecento su progetto del<br />

maestro craveggese, autore altresì delle opere pittoriche<br />

e dei programmi decorativi eseguiti nella marginale ornamentazione<br />

degli arredi.<br />

Saltati dieci anni nel repertorio della pittura settecentesca<br />

ossolana, fitti di nomi vigezzini 62 , è inevitabile ricadere<br />

in valle Vigezzo per incontrare il nome del pittore<br />

più influente sulla cultura artistica ossolana dagli ultimi<br />

decenni del Settecento alla prima metà dell’Ottocento,<br />

ossia Lorenzo Peretti (Buttogno 1774 — ivi 1851), che<br />

seppe evolvere l’eredità classicistica del Borgnis nella rigorosa<br />

cognizione dell’Antico quale fonte formale della<br />

teorica Neoclassica. Trascorsa l’adolescenza e la prima<br />

gioventù a Torino, il pittore ebbe modo di frequentare<br />

i corsi di Lorenzo Pecheux presso l’Accademia di<br />

Belle Arti e acquisirvi quel carattere neoclassico, derivato<br />

dal classicismo romano del Batoni e del Mengs, trasmessogli<br />

dal maestro, in seguito, ammesso fra gli artisti<br />

al servizio della corte Sabauda, ottenne commesse<br />

a volte modeste, a volte impegnative per eseguire la-<br />

vori sia nelle residenze reali, sia in alcuni edifici di culto<br />

torinesi. Allontanato dalle turbolenze politiche suscitate<br />

nella capitale piemontese dalla invasione francese,<br />

riparò, con la famiglia, nel paese natio, eletto a residenza<br />

permanente, alla quale ritornare negli intervalli<br />

tra gli impegni di lavoro che numerosi committenti<br />

gli affidarono in molti centri ossolani, dal capoluogo<br />

agli abitati montani dislocati nelle alte valli, nonché<br />

nel confinante Ticino e in Piemonte. La versione personale<br />

della poetica neoclassica, a cui il pittore vigezzino<br />

sempre si attenne, si manifesta, in compendio esemplare,<br />

come opera della sua maturità, nella collegiata dai<br />

Santi Gervasio e Protasio di Domodossola: dagli affreschi<br />

stesi nelle volte a quelli del presbiterio raffiguranti<br />

Il martirio e il ritrovamento dei Corpi Santi dei giovani<br />

martiri milanesi 63 .<br />

Giunti alla metà del XIX secolo, non si uscirà dalla valle<br />

Vigezzo trattenuti dal fascino di tre nomi che, con altri<br />

validi artisti, l’hanno posta nella mitologia artistica<br />

ad vocem «La Valle dei Pittori». Se Lorenzo Peretti<br />

fu il primo fra i pittori vigezzini di spiccato talento ad<br />

accettare la condizione di suddito degli Stati Sardi e di<br />

conseguenza ad aprire la strada verso l’Accademia della<br />

capitale sabauda, Carlo Gaudenzio Lupetti (Prestinone<br />

1827 — Nantes 1862) fu il primo vigezzino, di livello<br />

europeo, a muovere l’ulteriore passo dalla periferia<br />

piemontese verso il centro della cultura francese, incardinato<br />

nella sua capitale, Parigi, per conoscere dal vivo<br />

gli uomini che stavano foggiando idee libertarie e visioni<br />

realistiche capaci di sovvertire, e di sostituire, il polveroso<br />

apparato didattico delle Accademie. A Torino il<br />

Lupetti giunse dopo l’apprendistato elementare, presso<br />

le botteghe vigezzine dei Sotta 64 a Malesco e dei Simonis<br />

a Buttogno, per concludere nel 1849 il corso degli<br />

studi regolari all’Accademia, da poco (1833) divenuta<br />

Regia Albertina, ma fu l’approdo alle scuole dei maestri<br />

parigini di metà Ottocento a condurlo verso «il perfetto<br />

raggiungimento di quell’equilibrio tra la visione e<br />

il sentimento che costituiva la massima aspirazione degli<br />

artisti del suo tempo» (B. Canestro Chiovenda). Durante<br />

il soggiorno parigino il Lupetti fu allievo di Leon<br />

Cogniet, studiò il classicista Thomas Couture, l’animalier<br />

Jacques Raymont Bracassat e il realismo di Gustave<br />

Courbet, che segnano momenti diversi della sua vicen-<br />

225


da di artista, tuttavia confluenti in un itinerario identico<br />

a quello percorso dagli impressionisti, come dimostrano<br />

gli esiti dei suoi ultimi dipinti, dove la luce trascolorante<br />

di un istante è fermata dal colore a riprodurre<br />

liricamente la realtà. Quella realtà fissata ne La Zingara<br />

e i suoi animali d’ambulanza (Museo Galletti di Domodossola)<br />

descritta dalla luce trascorrente, che, «bagnando»,<br />

increspata da sfumati e ombre, i pelami e i panni,<br />

evoca intorno all’accento esotico posto dalla figura gitana,<br />

l’intimistica atmosfera del ricovero e forse anche<br />

l’infantile sensazione, nel ricordo dell’autore, di crogiolarsi<br />

nel tepore e nell’afrore di una stalla, protetto dal rigore<br />

di una lontana notte invernale a Prestinone 65 . Enrico<br />

Cavalli (Santa Maria Maggiore 1849 — ivi 1919)<br />

portò nella valle natia i frutti raccolti dalla esperienza<br />

francese degli anni giovanili: dapprima allievo di Joseph<br />

Guichard alla Ecole des Beaux Arts di Lione, negli<br />

anni seguenti a Marsiglia a diretto contatto con l’opera<br />

e gli insegnamenti di Adolphe Monticelli ebbe la chiave<br />

di lettura per interpretare la lezione di Guichard, le<br />

suggestioni della pittura di Diaz de la Peña e le vigorose<br />

ricerche cromatiche del contemporaneo Françòis Auguste<br />

Ravier, ma in particolare il Monticelli trasmise all’apprendista<br />

vigezzino la densa vitalità tonale e coloristica<br />

della propria tavolozza. Esperienza condotta senza<br />

sottrarsi alle indagini sul colorismo degli antichi veneti<br />

e fiamminghi e in cui crebbe pittore dalle idee nuove<br />

che seppe comunicare ai suoi allievi della Scuola Rossetti<br />

Valentini di Santa Maria Maggiore, aggiornando,<br />

così, la tradizione artistica locale sulle nuove teorie pittoriche<br />

praticate in Francia negli ultimi decenni del secolo.<br />

L’ardita ricerca coloristica nelle nature morte e nei<br />

paesaggi, l’approfondimento psicologico nei ritratti —<br />

i migliori sono in raccolte private — fanno uscire l’opera<br />

del Cavalli dall’ambito ossolano e lo confermano autore<br />

degno di comparire fra i pochi veramente significativi<br />

dell’Ottocento pittorico italiano 66 .<br />

Carlo Fornara (Prestinone 1871 — ivi 1968) allievo del<br />

Cavalli conobbe e vide il mondo dell’arte attraverso gli<br />

occhi del maestro, sempre puntati sul colore, dai pittori<br />

veneziani del Rinascimento agli impressionisti francesi,<br />

da Monticelli a Monet a Cézanne, ma fu con la rivelazione<br />

della pittura di Fontanesi che capì come il colore<br />

poteva diventare materia luminosa e, infatti, nel-<br />

226<br />

la sua pittura divenne luce, quella luce scintillante che<br />

dalla tavolozza trascorse alle tele per fissare il poema pittorico<br />

dedicato dal Fornara, durante la lunga vita, alla<br />

sua valle: la valle dei Pittori 67 . Segna il passaggio dall’ultimo<br />

quarto dell’Ottocento al Novecento il costume di<br />

introdurre nell’arredo urbano dei centri abitati ossolani<br />

opere scultoree d’intento o dimensioni monumentali,<br />

collocate o erette in luoghi pubblici, per commemorare<br />

eventi o personaggi di spicco accaduti o vissuti per<br />

la maggior parte nel corso dei decenni a cavallo tra Ottocento<br />

e Novecento. Tali attestazioni celebrative volute<br />

dalle Comunità ossolane, ebbero significativo incremento<br />

negli anni successivi all’unità del Regno d’<strong>It</strong>alia<br />

e alla conclusione della prima guerra mondiale, affidate<br />

per lo più a scultori locali, o originari dell’Ossola.<br />

Le ricerche pubblicate, o quelle in atto 68 , prossime alla<br />

stampa, sapranno offrire al lettore ben più dell’elenco<br />

seguente, necessariamente scarno, qui incluso con l’intento<br />

di ricordare gli scultori, mediatori, in pietra, marmo<br />

o bronzo, della comune gratitudine o ammirazione.<br />

Primo nel tempo Luigi Guglielmi (Roma, 1836- ivi<br />

1907) oriundo di Crodo, frequentò i corsi tenuti da Filippo<br />

Gnaccarini alla Accademia di San Luca a Roma,<br />

autore del busto che ritrae Gian Giacomo Galletti esposto<br />

nell’Istituto Professionale Galletti; Antonio Lusardi<br />

(Varallo Sesia, 1860- Domodossola, 1927) si formò<br />

alla Accademia Albertina di Torino sotto il magistero di<br />

Odoardo Tabacchi e poi, collaborando con Pietro della<br />

Vedova e Giacomo Ginocchi, giunse a quella maturazione<br />

artistica che gli valse la docenza presso la scuola<br />

domese di Intaglio e Plastica, capace altresì di attrarre<br />

una ragguardevole committenza sia pubblica che privata,<br />

indotta dall’apprezzamento del suo lavoro ad assegnargli<br />

numerose commissioni, quali: il monumento<br />

commemorativo di Martino Trabucati, il Famedio del<br />

Camposanto di Domodossola con il monumento funebre<br />

di Gian Giacomo Galletti, il bassorilievo commemorativo<br />

del Conte Giacomo Mellerio sul fronte del<br />

Palazzo Mellerio a Domodossola e i pannelli bronzei<br />

della porta maggiore della Madonna della Neve a Domodossola;<br />

Francesco Ricci (Crana, 1877- Santa Maria<br />

Maggiore, 1950) allievo di Odoardo Tabacchi presso<br />

l’Accademia Albertina di Torino, autore del busto di<br />

Giuseppe Garibaldi, del monumento a Gian Giacomo


Galletti e di quello dedicato ai Caduti del Traforo del<br />

Sempione in facciata della Stazione Internazionale, tutti<br />

a Domodossola; Giovanni Battista Tedeschi (Mergozzo,<br />

1883- ?, ?) alunno nelle classi dell’Accademia di Brera<br />

affidate all’insegnamento di Eugenio Pellini e di Giuseppe<br />

Cavenaghi, eseguì i Monumenti ai Caduti della<br />

prima guerra Mondiale per le Comunità di Mergozzo.<br />

Ornavasso e Quarna; Angelo Balzardi (Schieranco<br />

di Antrona, 1892- Torino 1974) dapprima a Domodossola<br />

fu allievo di Antonio Lusardi poi, per completare<br />

gli studi si trasferì a Torino dove, valendosi del magistero<br />

di Leonardo Bistolfi conseguì il diploma presso<br />

l’Accademia Albertina, che in seguito lo ebbe come docente,<br />

le Comunità ossolane di Domodossola, Pallanzeno<br />

e San Pietro di Antrona gli commisero l’erezione dei<br />

<strong>monumenti</strong> ai Caduti della prima Guerra Mondiale 69 ;<br />

Giovanni Oreste Pozzi (Vogogna, 1892- ivi 1980) compì<br />

gli studi alla Accademia di Brera a Milano, seguendo<br />

i corsi tenuti da Enrico Butti, e quindi entrò come aiuto<br />

228<br />

nello studio di Adolfo Wildt, testimoniano la sua attività<br />

in Ossola i Monumenti ai Caduti della prima Guerra<br />

Mondiale di Vogogna, Varzo e Premosello Chiovenda,<br />

dove è tuttora esposto presso il palazzo municipale il<br />

busto di Giuseppe Chiovenda 70 ; Eraldo Baldioli (Omegna,<br />

1897- Domodossola 1954) fu allievo nello studio<br />

domese di Antonio Lusardi, a testimonianza della sua<br />

opera rimangono a Domodossola, in facciata della collegiata<br />

dei Santi Gervasio e Protasio, le statue dei titolari,<br />

patroni della città, nonché al Sacro Monte Calvario<br />

la Grotta di Lourdes, con le statue della Beata Vergine<br />

e di Santa Bernadette, e nel convento il Monumento<br />

commemorativo di Antonio Rosmini. Se la lettura di<br />

questi cenni storici può essere utile per avviare la conoscenza<br />

dell’arte in Ossola, per capirla è indispensabile il<br />

contatto visivo, ma, ancora più, gli incontri con le opere<br />

citate si moltiplicheranno, poiché il territorio ossolano<br />

è ben più ricco di fenomeni artistici di quanti possano<br />

contenerne queste poche pagine.<br />

Gerolamo Ferroni, pala dell’Immacolata, olio su tela, firmata e datata: OPUS FERRONI 1704 a Roma. Bannio, San Bartolomeo.


Note<br />

1 Si veda il fascicolo monografico di “Oscellana” n.4, 2003, dedicato<br />

alla riproduzione integrale del catalogo pubblicato in occasione<br />

della mostra “Varchignoli, alle origini dell’Ossola di pietra”, allestita<br />

alla “Fabbrica” di Villadossola nell’agosto del 1999 dalle Associazioni<br />

ASTO e Villarte corredato da ampia bibliografia.<br />

2 T. Bertamini, San Quirico di Calice in, “Oscellana”, n.2, 1974, pp.<br />

57-62; P. Piana Agostinetti, l’Ossola Pre Romana, in “Oscellana”,<br />

n.4, 1991, pp. 193-263.<br />

3 T. Bertamini, Tempietto Lepontico a Montecrestese, in “Oscellana”,<br />

n.1, 1976, pp. 1-11.<br />

4 B. Beccaria, Montorfano di Mergozzo, Dalla Chiesa Battesimale alla<br />

Pieve (secoli V – XII), in “Storia di Mergozzo Dalle Origini ad Oggi”<br />

a cura del Gruppo Archeologico di Mergozzo, Mergozzo 2003, pp.<br />

115-116.<br />

5 T. Bertamini Storia di Villadossola, Domodossola 1976, pp. 197,<br />

203.<br />

6 Ibidem, pp. 117-189.<br />

7 Si veda il catalogo della Mostra, Novara e la sua Terra nei Secoli XI<br />

e XII Storia Documenti Architettura, Milano 1980 tenutasi a Novara<br />

nel Palazzo del Broletto dal 15 maggio al 15 giugno 1980, con ampio<br />

corredo bibliografico.<br />

8 T. Bertamini, Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana” n.2<br />

1998, pp. 67-78.<br />

9 G.F. Bianchetti, Il Maestro del Crocefisso di Seppiana, in “Oscellana”<br />

n.1, 1985, pp. 15-24.<br />

10 G.F. Bianchetti, Affreschi Romanici in Ossola in “Oscellana” n.3,<br />

1982, pp. 131-144.<br />

11 A. Airoldi, Storia di Vogogna, Domodossola 1992, vol.1°.<br />

12 T. Bertamini, Il Pittore della Modonna di Re, in “Re e il Santuario<br />

della Madonna del Sangue” Domodossola 1996 pp. 330- 356.<br />

13 G.F. Bianchetti, Una “Madonna del Latte” di Giovanni De Campo,<br />

in “Oscellana” n.4, 1994 pp. 193, 194; Quattrocento Lombardo nel<br />

San Pietro di Dresio, in “Oscellana” n.2, 1996; Il Quattrocento Lombardo<br />

in San Quirico di Calice, in “Oscellana” n.1, 1997, pp. 49-62;<br />

n.2, 1997, pp. 80-92.<br />

14 T. Bertamini, I Pittori Seregnesi (Cristoforo e Nicolao) del’400 in Ossola<br />

in “Oscellana” n.2, 1996, pp. 78-90: G.F. Bianchetti, Il Quattrocento<br />

Lombardo nel San Pietro di Dresio, cit. pp. 95,96.<br />

15 G.F. Bianchetti, Madonne Ossolane Quattrocentesche dalla Pietra<br />

di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1973 pp. 177-182; Il Capolavoro del<br />

Maestro di Crevola, in “Oscellana” n.3, 1976; pp. 145-158; Le Opere<br />

Civili del Maestro di Crevola in “Oscellana” n.2, 1977 pp. 113-122.<br />

16 T. Bertamini, Le Cave del marmo di Crevola, in “Oscellana” n.1-2,<br />

1987 pp. 106-107; San Giacomo nella Storia di Vogogna in “Oscellana”<br />

n.1, 1998, pp. 9-18; Crevoladossola e la Sua Chiesa, in “Oscellana”<br />

n.2, 1998 pp. 86-89.<br />

17 A. Longo Dorni, E Ronchi, Le Vicende della Comunità parrocchiale<br />

e della sua Chiesa, in “Ornavasso Luoghi e Memorie (1587-<br />

1987)” Ornavasso 1987, pp. 17-31.<br />

18 P. Negri, Magistri ossolani a Spello, in terra d’Umbria, nel secolo<br />

XVI, le vicende della Madonna di Vico detta Tonda, in “Oscellana”<br />

n.4, 2001, pp. 128-189.<br />

19 C. Debiaggi, La chiesa parrocchiale di Crevoladossola e l’Architetto<br />

Ulrich Ruffiner, in “Oscellana” n.1, 1991, pp. 2-10.<br />

20 G.F. Bianchetti, Vetrate dipinte nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo<br />

di Crevoladossola, in “Oscellana” n.1-2, 1987, pp. 135-153; Vetrate<br />

del Cinquecento Svizzero in Ossola, in “Oscellana” n.1, 1990,<br />

pp. 33-58.<br />

21 G.F. Bianchetti, Frammenti di Arte Ossolana Domodossola 1999,<br />

pp. 16-19.<br />

22 B. Canestro Chiovenda, Franciscus de Cagnolis de Novaria Pinxit,<br />

in “Oscellana” n.1, 1974 pp. 41-43.<br />

23 T. Bertamini, La Cappella degli Esorcismi nella Chiesa di<br />

S.Gaudenzio di Baceno, in “Oscellana” n.1, 2004, pp. 3-14.<br />

24 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />

1988, pp. 66 e n.6, pp. 82.<br />

25 B. Canestro Chiovenda, Fermo Stella da Caravaggio in val d’Ossola<br />

in Arte Lombarda 1969, 2°, pp. 94-110.<br />

26 G.F. Bianchetti, Tracce di Bernardino Luini in Ossola, Le Ante di<br />

un Organo scomparso, in “Oscellana” n.1, 1992, pp. 47-58.<br />

27 G.F. Bianchetti, Battista da Legnano in Ossola, in “Oscellana” n.2,<br />

1988, pp. 65-82; e n.3, 1988, pp. 130-154; idem, Giovanni Battista<br />

da Legnano recentissime, in “Oscellana” n.2, 1994, pp. 75-88.<br />

28 L. Chironi Temporelli, Antonio de Bugnate Pittore del Cinquecento,<br />

in “Novarien” 1988, n.18, pp. 95-124.<br />

29 G.F. Bianchetti, Il Pittore Giacomo di Cardone, in “Oscellana” n.1-<br />

2, 2000, pp. 3-68; idem, Giacomo de Cardone recentissime Anzaschine,<br />

in “Oscellana” n.2, 2004, pp. 26-40.<br />

30 L. Arioli, Ciclo pittorico Cinquecentesco nella Torre di Piedimulera,<br />

in “Illustrazione Ossolana” n.2, 1964, pp. 1-4.<br />

31 A. Guglielmetti, Scultura lignea nella Diocesi di Novara tra ‘400 e<br />

500, Novara, 2000, con ampia bibliografia precedente.<br />

32 G.F. Bianchetti, Il coro ligneo Cinquecentesco dello Scultore Ossolano<br />

Andrea Merzagora nella chiesa della Madonna di Campagna di<br />

Pallanza, in “Oscellana” n.4, 1980, pp. 181-208.<br />

33 T. Bertamini, I Merzagora di Craveggia, in “Illustrazione Ossolana”<br />

n. 1, 1964, pp. 7-12.<br />

34 G.F. Bianchetti, Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine militare<br />

e ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta della<br />

Masone di Vogogna, in C’era una volta..” Domodossola, 2000,<br />

pp. 51-79.<br />

35 T. Bertamini, Il Sacro Monte Calvario, Domodossola, 2000.<br />

36 T. Bertamini, Il Santuario della Madonna della Neve a Bannio, in<br />

“Oscellana” n.3, 1999, pp. 145-174.<br />

37 T. Bertamini, Storia di Cravegna, Cravegna, 2002, pp. 94-109.<br />

38 T. Bertamini, Maestro Giorgio de Bernardis di Buttogno, in “Illustrazione<br />

Ossolana” n. 1, 1966, pp. 7-18.<br />

39 T. Bertamini, Maestro Giulio Gualio di Antronapiana, in “Illustrazione<br />

Ossolana” n.2, 1964, pp. 5-12; idem, Antronapiana, in<br />

“Oscellana” n.1, 1975, pp. 39-53.<br />

40 T. Bertamini, Pietro Antonio Lanti di Macugnaga intagliatore e<br />

scultore, in “Illustrazione Ossolana” n.3, 1968, pp. 1-7.<br />

41 G.F. Bianchetti, Giovan Pietro Vanni in “Arte lignea e devozione<br />

nel cuore di una Comunità“ schede n. 34-38, pp. 99-111; P. Volorio,<br />

catalogo di<strong>segni</strong>, in “Arte lignea e devozione nel cuore di una<br />

Comunità“ cit. pp. 115-120.<br />

229


42 G.F. Bianchetti, Una pala di Avanzino Nucci a Baceno, in “Oscellana”<br />

n.3, pp. 129-136; idem, Avanzino Nucci a Villadossola?, in<br />

“Oscellana” n. 4, 1997, pp. 215-229.<br />

43 R.Contini, Paolo Piazza ovvero collusione di periferia Veneta e modulo<br />

ridolfino, in “Paolo Piazza Pittore Cappuccino nell’età della<br />

Controriforma tra conventi e corti d’Europa” a cura di S. Martinelli<br />

e A. Mazza, Verona, 2002, fig. 53,54 pp. 106-110.<br />

44 G. Testori, Tanzio da Varallo, Torino, 1959, Tav. 3, 52, pp. 34-36;<br />

catalogo della mostra “Tanzio da Varallo, realismo fervore e contemplazione<br />

in un pittore del 600”, tenutasi nel palazzo Reale di Milano<br />

dal 13 aprile al 16 luglio 2000, Milano 2000, sch. 6, pp. 80-84, sch.<br />

25, pp. 121-124 di R. Contini.<br />

45 G.F. Bianchetti, La pietà che porta l’ali, in “I compagni di Sant’Antonio<br />

in Roma e Bologna” a cura di E. Ferrari, Crodo 2000,<br />

pp. 140-141.<br />

Devo alla cortesia del Dr. Angelo Mazza dirigente della Soprintendenza<br />

per il Patrimonnio Storico Artistico e Demo Etno Antropologico<br />

di Modena e Reggio Emilia le indicazioni circa l’attribuzione<br />

dell’Adorazione dei Magi.<br />

46 B. Canestro Chiovenda, Stephanus Delphinus ab Insula, in “Oscellana”<br />

n. 3, 1986, pp. 178-181; idem, I pittori Rocco e Stefano Delfina<br />

ab Insula e il Morazzone, in “Oscellana” n. 1, 1992, pp. 25-29.<br />

47 G.F. Bianchetti Santa Maria Annunziata del Sovrano Ordine Militare<br />

e Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o di Malta alla<br />

Masone di Vogogna, cit. pp. 67-72.<br />

48 G.F. Bianchetti, Luigi Reali Pittore Fiorentino in Ossola, in “Oscellana”,<br />

n. 4, 1986, pp. 182-221.<br />

49 T. Bertamini Carlo Mellerio pittore del 600 in “Oscellana” n. 3,<br />

1990, pp. 129-152.<br />

50 B. Canestro Chiovenda, Un pittore Spagnolo in val Vigezzo: Bartolomè<br />

Romàn (Cordova 1596- madrid 1647), in “Oscellana” n. 4,<br />

1976, pp. 207-217.<br />

51 B. Canestro Chiovenda, Un quadro del Fiammingo Godefridus<br />

Maes (1649- 1700) in val Vigezzo, in “Oscellana” n.3, 1981, pp.<br />

146-154.<br />

52 B. Canestro Chiovenda, “Rossettus Pinxit” Antonio Valentino Cavigioni<br />

detto Valentino Rossetti (Vogogna 1653- post 1733), in “Oscellana”<br />

n.2, 1985, pp. 76-91.<br />

53 B. Canestro Chiovenda, Giacomo Antonio Minoli (Pittore) – Gagnone<br />

1657-?, in “Oscellana” n. 1, 980 pp. 27-31.<br />

54 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />

in “Oscellana” n.3, 2003, tav. 5 a p. 130 e p. 136.<br />

230<br />

55 B. Canestro Chiovenda, Petrus de Petris Pictor natus Antigorio, in<br />

“Oscellana” n.2, 1971, pp. 63-69.<br />

56 G.F. Bianchetti, La Pietà che porta l’Ali, cit. pp. 155, 156.<br />

57 G.F. Bianchetti, A margine di Borgnis in England di Dario Gnemmi,<br />

cit. pp. 316-142.<br />

58 E. Villani, Contributi per l’opera artistica di Gerolamo Ferroni, in<br />

“Rassegna di Studi e di Notizie” vol. X, 1982, pp. 389-409.<br />

59 T. Bertamini, Confraternita ed Oratorio dell’Annunciazione di Bannio,<br />

in “Oscellana” n.1, 1999, il. P. 62, p. 61; idem, Il Santuario della<br />

Madonna Della Neve di Bannio, in “Oscellana” n. 3, 1999, pp.<br />

153-157.<br />

60 T. Bertamini, Giuseppe Mattia Borgnis pittore, in “Oscellana” n.3<br />

– 4, 1983.<br />

61 D. Gnemmi, Borgnis in England, Ornavasso 2001.<br />

62 B. Canestro Chiovenda, La valle dei pittori, in “Invito alla valle<br />

Vigezzo” a cura di P. Norsa, Domodossola 1970, pp. 295-330; D.<br />

Gnemmi, L’arte ossolana dal sec. XVIII al XX (la Pittura), in “Oscellana”<br />

n.3, 1991 pp. 187-191.<br />

63 T. Bertamini, Lorenzo Peretti Pittore (1774-1851), in “Oscellana”<br />

n.4, 1974.<br />

64 D. Gnemmi, La pittura dei Sotta, Malesco 2002.<br />

65 B. Canestro Chiovenda, Uno strano autoritratto giovanile di Carlo<br />

Gaudenzio Lupetti, in “Oscellana” n.3, 1986, pp. 123-127; idem,<br />

Jaques Raymond Bracassat, Rosa Bonheur e Carlo Gaudenzio Lupetti,<br />

in “Oscellana” n.4, 1996, pp. 205-216.<br />

66 G. Cesura, Enrico Cavalli Pittore (Santa Maria Maggiore 1849-<br />

1919), Domodossola, 1993.<br />

67 N. Valsecchi, F. Vercellotti, Carlo Fornara pittore, Milano 1971.<br />

68 Devo alla generosa cortesia dell’amico arch . Paolo Volorio le notizie<br />

biografiche riguardanti gli scultori ossolani qui di seguito nominati,<br />

oggetto delle sue attuali ricerche che verranno quanto prima<br />

pubblicate accrescendo e approfondendo i temi in argomento già<br />

trattati in: A. Volorio, Antonio Lusardi Sculpsit, in “Rivista del Verbano<br />

Cusio Ossola” n.7, 1998, pp. 55-57; idem, Tributo d’artista [Antonio<br />

Lusardi per Federico Ashton], in, copertine di M.me Webb, Domodossola<br />

2000; idem, Il senso fisico della bellezza (Oreste Pozzi Scultore)<br />

in “Rivista del Verbano Cusio Ossola” n.2, 2000, pp. 60-61.<br />

69 A. Dragone, Angelo Balzardi scultore, in “Oscellana” n.1, 1974,<br />

pp. 3-5; A. Arcardini, Angelo Balzardi nel ricordo di un vecchio amico,<br />

in “Oscellana” n.1, 1974, pp. 6-9.<br />

70 C. Morganti, Giovanni Oreste Pozzi un grande artista ossolano dimenticato,<br />

in “Oscellana” n.3, 1995, pp. 130-139.

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