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Settembre 2010 - Belluno Magazine

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leggi e normative<br />

<strong>Belluno</strong> <strong>Magazine</strong> il periodico gratuito di informazione ed attualità della Provincia di <strong>Belluno</strong><br />

36<br />

La direttiva<br />

dei servizi<br />

di Paolo Vignola<br />

Con il Decreto legislativo 26.3.<strong>2010</strong>,<br />

n. 59 il Governo italiano ha dato<br />

attuazione alla Direttiva comunitaria<br />

sui servizi nel mercato interno,<br />

la Direttiva CE 2006/123 del 12<br />

dicembre 2006, approvata dal Parlamento<br />

europeo e dal Consiglio e<br />

più comunemente conosciuta come<br />

“Direttiva Bolkestein” dal nome<br />

del Commissario europeo Frits Bolkestein,<br />

membro della Commissione<br />

Prodi, che ne è stato il propo-<br />

nente.<br />

La Direttiva CE 2006/123 mira alla rimozione degli ostacoli<br />

che impediscono o rallentano la libera circolazione dei<br />

servizi e la loro libera prestazione negli Stati membri.<br />

L’Europa è partita dalla considerazione che il settore imprenditoriale<br />

e professionale dei servizi è il motore della<br />

crescita economica del vecchio continente e rappresenta,<br />

nella maggior parte degli Stati membri il 70% del PIL e dei<br />

posti di lavoro.<br />

Numerosi sono gli ostacoli che impediscono lo sviluppo<br />

del settore dei servizi, prestati in prevalenza da PMI (piccole<br />

e medie imprese), fra i quali vengono indicate le procedure<br />

amministrative ritenute particolarmente gravose, l’eterogeneità<br />

delle regole di disciplina dei servizi che crea incertezza<br />

normativa e la carenza di cooperazione fra gli Stati.<br />

Il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 aveva posto<br />

quale obiettivo principale dell’azione comunitaria proprio il<br />

completamento del mercato interno dei servizi, in attuazione<br />

delle prescrizioni del Trattato istitutivo della Comunità<br />

Europea (art. 49 sul divieto di “restrizioni alla libera prestazione<br />

dei servizi all’interno della Comunità”).<br />

D’altra parte, il processo di liberalizzazione dello scambio di<br />

beni all’interno del sistema comunitario si poteva ritenere<br />

già realizzato grazie al decisivo impulso impresso dall’Atto<br />

unico europeo e dal Trattato di Maastricht e segnatamente<br />

dalle pronunce interpretative della Corte di Giustizia europea<br />

con le due emblematiche sentenze Dassonville del<br />

13.8.1973 e Cassis de Dijon del 20.2.1979.<br />

Com’ è stato ampiamente documentato dalle notizia di<br />

cronaca di questi ultimi anni, l’iter di approvazione della Direttiva<br />

europea sui servizi è stato piuttosto lungo e travagliato<br />

ed ha provocato forti reazione critiche ed un’accesa<br />

mobilitazione politica e sindacale.<br />

Il motivo principale di tale avversione era dato dalla previsione<br />

del principio del Paese d’origine, che era stato introdotto<br />

nella prima versione della proposta di Direttiva e successivamente<br />

espunto da quella defi nitiva proprio a causa del movimento<br />

di opinione contrario che si era venuto a formare.<br />

Secondo questo principio, il prestatore di servizi che si recava<br />

in uno Stato membro diverso da quello dove aveva il<br />

proprio stabilimento (cioè dove l’attività viene esercitata in<br />

via stabile ed a tempo indeterminato) per svolgere temporaneamente<br />

la propria attività, poteva essere assoggettato<br />

alle sole regole previste nel proprio Paese di stabilimento,<br />

per l’appunto, il Paese d’origine, a meno che lo Stato di destinazione<br />

non dimostrasse “la necessità” di imporre proprie<br />

norme più restrittive sulla base di un principio di proporzionalità<br />

e non discriminazione.<br />

Si trattava della trasposizione nella materia dei servizi<br />

dell’analogo principio applicato alla libera circolazione dei<br />

beni ed espresso nelle pronunce della giurisprudenza della<br />

Corte di Strasburgo, in forza del quale un bene prodotto<br />

e venduto in uno Stato membro, in conformità alla legge<br />

nazionale, può essere venduto liberamente in tutti gli Stati<br />

della Comunità, ed i singoli Stati non possono imporre<br />

restrizioni “all’importazione”, se non dettate da motivi di<br />

carattere imperativo.<br />

Nel campo dei servizi si temeva, invece, che l’applicazione<br />

di questa regola provocasse il realizzarsi di una situazione di<br />

dumping sociale fra gli Stati membri in ragione della disomogeneità<br />

delle misure di protezione sociale applicate nelle<br />

singole realtà statuali, con particolare riguardo ai Paesi di<br />

recente ingresso nella Comunità, per cui imprese stabilite<br />

in Nazioni con un basso costo del lavoro, dove si applicano<br />

regole della sicurezza e misure di prevenzione sociale attenuate,<br />

potevano offrire servizi a costi inferiori rispetto a<br />

quelli comunemente praticati nello Stato dove la prestazione<br />

veniva eseguita, creando un’evidente situazione di squilibrio<br />

sociale e di concorrenza sleale.<br />

Gli obiettivi fondamentali che la Comunità<br />

europea si propone di realizzare con la Direttiva<br />

servizi sono i seguenti:<br />

- la crescita economica e occupazionale dell’Unione<br />

Europea<br />

- l’eliminazione degli ostacoli giuridici ed amministrativi<br />

alla libera circolazione e alla libera prestazione di<br />

servizi all’interno della Comunità<br />

- il rafforzamento dei diritti dei consumatori in quanto<br />

utenti dei servizi<br />

- la cooperazione amministrativa e la mutua assistenza<br />

fra le Autorità degli Stati membri, ritenute essenziali<br />

ai fi ni del corretto ed effi cace funzionamento del<br />

mercato interno.<br />

Il Decreto legislativo n. 59/<strong>2010</strong>, entrato in vigore l’8<br />

maggio scorso, si applica alle prestazioni di servizi rese in<br />

forma imprenditoriale o professionale, senza vincolo di subordinazione,<br />

e normalmente fornite dietro una retribuzione<br />

(compenso), con esclusione dei servizi non aventi rilievo<br />

economico (art. 8 - Defi nizione).<br />

Il provvedimento afferma il principio della libertà<br />

di iniziativa economica anche nel campo dei<br />

servizi, per cui non solo ne è libero l’accesso e<br />

l’esercizio ma è vietata l’introduzione di limitazioni<br />

discriminatorie o non giustifi cate (art. 10).<br />

Precisato il campo di applicazione del Decreto, l’art. 2 elenca<br />

i servizi che vengono esclusi per considerazioni essenzialmente<br />

inerenti alla loro funzione di interesse pubblico, quali<br />

le attività connesse a pubblici poteri, i servizi di interesse<br />

economico generale assicurati alla collettività in regime di<br />

esclusiva (art.2), i servizi sociali (art. 3); i servizi fi nanziari<br />

(art. 4), i servizi di comunicazione (art.5), quelli di trasporto<br />

(art.6), di somministrazione di lavoro, sanitari e farmaceutici,<br />

oltre agli audiovisivi, il gioco d’azzardo, la sicurezza privata e<br />

i servizi dei noti (art.7).<br />

Elemento cardine della nuova disciplina è rappresentato<br />

dalla regola generale secondo la quale l’esercizio di<br />

un’attività di servizi non può essere sottoposto<br />

a nuovi regimi autorizzatori, ovvero, i regimi autorizzatori<br />

esistenti non possono essere mantenuti, se non trovano<br />

giustifi cazione in motivi imperativi di interesse generale<br />

(art. 14), nel rispetto del principio di non discriminazione e<br />

proporzionalità (il principio di proporzionalità è uno dei criteri<br />

guida dell’attività amministrativa, che sviluppato a livello<br />

comunitario, è stato recepito nell’ordinamento italiano con<br />

la L. n. 241/1990).<br />

I motivi imperativi di interesse generale, la cui individuazione<br />

è di fatto lasciata all’apprezzamento dei singoli Stati<br />

in carenza di una specifi ca defi nizione nel Trattato istitutivo,<br />

sono elencati all’art. 8 (lett. h) e coincidono con le ragioni di<br />

pubblico interesse, quali l’ordine e la sicurezza pubblica, l’incolumità<br />

pubblica, la sanità pubblica, la tutela dell’ambiente,<br />

la conservazione del patrimonio storico e artistico (…).<br />

Qualora, proprio per motivi di interesse generale, sia prevista<br />

l’imposizione di un regime autorizzatorio, l’art. 17 del<br />

Decreto n. 59/<strong>2010</strong> prevede l’applicazione generale dell’istituto<br />

della Dichiarazione di inizio attività (DIA), disciplinata<br />

dall’art. 19 della L. n. 241/1990, relegando ad ipotesi del tutto<br />

eccezionale il rilascio di un formale titolo autorizzatorio.<br />

L’attività potrà iniziare lo stesso giorno della presentazione<br />

della DIA all’Amministrazione pubblica competente, che<br />

sarà, come vedremo, lo Sportello unico per le attività produttive<br />

comunale.<br />

Infatti, il Decreto di recepimento, modifi cando il secondo<br />

comma dell’articolo 19 della L. n.241/1990, ha introdotto<br />

una speciale DIA ad effi cacia immediata per i soli servizi<br />

disciplinati dallo stesso Decreto, in deroga all’ordinaria effi -<br />

cacia differita della Dichiarazione, secondo la quale l’attività<br />

può iniziare decorsi 30 giorni dalla presentazione.<br />

Nel caso invece in cui, in via del tutto eccezionale, venga<br />

comunque imposto il rilascio di un formale titolo autorizzatorio,<br />

l’Amministrazione pubblica competente dovrà assicurare<br />

il rispetto di adeguate garanzie circa la durata del<br />

procedimento, le eventuali cause di sospensione, nonché<br />

l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso (ex art. 20 L.<br />

n. 241/1990).<br />

Caposaldo dell’intera disciplina è l’obiettivo<br />

del conseguimento di effetti di semplifi cazione<br />

amministrativa a tutto vantaggio delle imprese<br />

e degli stessi consumatori attraverso la marcata<br />

valorizzazione degli Sportelli unici per le attività<br />

produttive (art. 25).<br />

Gli Sportelli unici assumono, quindi, il ruolo fondamentale di<br />

interlocutori unici fra l’impresa che svolge attività nel campo<br />

dei servizi e la Pubblica amministrazione.<br />

In sostanza, presso gli Sportelli unici istituti dai comuni, singoli<br />

o in forma associata, gli imprenditori potranno svolgere<br />

tutte procedure amministrative, anche in via telematica, necessarie<br />

all’’esercizio dell’ attività.<br />

Alle Camere di commercio è attribuita ex lege la delega<br />

a svolgere le funzioni di sportello unico per quei comuni che<br />

non hanno provveduto alla sua istituzione, nonché la competenza<br />

a raccogliere le domande presentate contestualmente<br />

alla comunicazione unica e a trasmetterle immediatamente<br />

allo Sportello unico.<br />

Si tratta di un’evidente rafforzamento della funzione dello<br />

Sportello unico, già previsto con il DPR n. 447/1990, in attuazione<br />

della nota riforma Bassanini degli anni ’90, con fi nalità<br />

di semplifi cazione e di accelerazione di tutte le procedure<br />

riguardanti le attività economico- produttive.<br />

Degna di nota la sottolineatura secondo la quale attraverso<br />

gli Sportelli unici dovrà essere garantito<br />

il diritto all’informazione (art. 26) sia alle imprese che<br />

intendono esercitare l’attività nel territorio nazionale, che ai<br />

consumatori, relativamente ai requisiti richiesti dalla normativa<br />

interna per l’accesso e l’esercizio dell’attività, alle procedure<br />

amministrative che devono essere seguite, all’acceso<br />

alle banche dati e ai registri pubblici, ai dati di associazioni e<br />

organizzazioni dalle quali è possibile ottenere assistenza.<br />

Gli sportelli unici devono anche assicurare assistenza sulle<br />

modalità con le quali vengono interpretati ed applicati i requisiti<br />

per l’accesso all’attività, con chiaro intento di accentuazione<br />

del principio di trasparenza ed uniformità dell’azione<br />

amministrativa.<br />

Di non poco momento il rilievo secondo il quale l’informazioni<br />

e la richiesta di assistenza devono essere fornite con<br />

“la massima sollecitudine” e “con un linguaggio semplice e<br />

comprensibile”.<br />

Capitolo a parte viene riservato dal Decreto di recepimento<br />

alla qualità dei servizi resi dalle imprese di servizi e<br />

alle notizie che gli stessi prestatori sono tenuti a fornire ai<br />

consumatori prima di rendere il servizio richiesto, ovvero, in<br />

tempo utile per la stipula di un contratto scritto.<br />

I consumatori hanno diritto a conoscere gli<br />

estremi dell’impresa alla quale si sono rivolti, la<br />

sua forma giuridica, l’iscrizione in albi o registri<br />

pubblici, i dati relativi alle Autorità pubbliche<br />

che hanno rilasciato l’eventuale titolo autorizzatorio,<br />

la sussistenza o meno di garanzie post<br />

vendita, il prezzo del servizio, nonché, le principali<br />

caratteristiche del servizio stesso.<br />

I titolari delle imprese devono anche comunicare gli estremi<br />

di un recapito per consentire al cliente l’eventuale inoltro di<br />

un reclamo, al quale sono tenuti a rispondere “con la massima<br />

sollecitudine al fi ne di trovare soluzioni adeguate“.<br />

Il reclamo può essere visto come una sorta di tentativo di<br />

conciliazione extra ordinem diretto a comporre in via preventiva<br />

potenziali controversie fra imprese e clienti.<br />

Ai dipendenti di imprese stabilite in altri Stati membri che<br />

sono temporaneamente distaccati nel territorio nazionale,<br />

il Decreto impone l’applicazione di parità di condizioni di<br />

lavoro, disciplinate da leggi, regolamenti e contratti collettivi,<br />

rispetto a quelle previste a favore dei lavoratori di imprese<br />

italiane che operano nel medesimo ambito territoriale (art.<br />

23). Le parità di trattamento possono essere invocate da<br />

cittadini italiani e da soggetti giuridici che sono stabiliti in<br />

Italia (art.24).<br />

L’art.117 della Costituzione ha riconosciuto, a seguito della<br />

riforma della Carta fondamentale introdotta con la Legge<br />

Cost. n. 3/2001, anche alle Regioni statuto ordinario potestà<br />

legislativa primaria e concorrente in molte delle materie che<br />

riguardano le prestazioni di servizi oggetto del Decreto in<br />

commento, quali, a titolo di esempio, il commercio, la somministrazione<br />

alimenti e bevande, le attività turistico-ricettive,<br />

le attività artigianali (parrucchieri, estetisti, tintolavanderia),<br />

etc.<br />

Sotto questo profi lo, il Decreto n. 59/<strong>2010</strong>, innanzitutto ha<br />

chiarito (art. 1) che le sue disposizioni sono state adottate<br />

per garantire la libertà di concorrenza, le pari opportunità<br />

ed il corretto funzionamento del mercato ed al fi ne di assicurare<br />

ai consumatori un livello minimo ed uniforme di<br />

accessibilità ai servizi sul territorio nazionale, per cui esse<br />

costituiscono principi generali sostanzialmente inderogabili<br />

dalla legislazione regionale.<br />

In secondo luogo, con l’introduzione della clausola di cedevolezza<br />

(art. 84) è stato stabilito che le disposizioni<br />

del Decreto prevalgono sulla disciplina regionale,<br />

fi ntanto che le Regioni non abbiano adottato<br />

norme di adeguamento e di recepimento.<br />

Il complesso normativo costituito dalla Direttiva servizi<br />

e dal Decreto di recepimento, che sono stati illustrati in<br />

termini necessariamente sintetici e schematici, introduce<br />

nell’ordinamento nazionale novità rilevanti non solo per le<br />

imprese e per i consumatori, ma soprattutto per la Pubblica<br />

amministrazione, ed in particolare sia per le Regioni che<br />

dovranno conformare in tempi rapidi la propria legislazione<br />

ai principi generali espressi dalla normativa servizi che per i<br />

Comuni che dovranno adeguare i propri standard organizzativi<br />

alle maggiori esigenze di effi cienza, celerità, capacità di<br />

informazione e di uniformità applicativa.<br />

Tutto questo in un momento storico segnato da una profonda<br />

e preoccupante crisi economica mondiale nella quale<br />

la competitività del Sistema Paese, unanimemente riconosciuta<br />

come uno dei fattori di crescita economico-sociale<br />

ed in grado di assicurare il superamento dell’attuale congiuntura,<br />

è negativamente condizionata proprio dal cd “Rischio<br />

amministrativo”, locuzione utilizzata per riferirsi alle<br />

perduranti sacche di ineffi cienza dell’apparato pubblico, alla<br />

contraddittorietà e scarsa chiarezza delle norme in vigore,<br />

alla persistente diffi coltà di approccio del cittadino-impresa<br />

alla macchina amministrativa. •<br />

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