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Ruggero Bacone frate francescano fra i primi Alchimisti

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01/06/2012 - 18.06 <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

Se vuoi continuare la consultazione di questo argomento clicca sui seguenti link :<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_della_cartomanzia_5848028.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5848021.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_1350093.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5841380.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dell_esoterismo_5837682.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884786.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_della_cartomanzia_5836497.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5840997.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_518348.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5847931.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dell_esoterismo_5847972.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884561.html<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

Nell'A.D. 1267 un <strong><strong>fra</strong>te</strong> inglese di nome <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> (A.D. 1222-1292), inviò a papa<br />

Clemente IV, il suo trattato dal titolo Opus Maius.<br />

Nel testo, <strong>Bacone</strong> esponeva le sue teorie, e informava il Pontefice che, l’anno del calendario,<br />

risultava più lungo, rispetto all’anno solare, di circa la 130-esima parte di un giorno.<br />

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Aggiunse anche che, a partire dal concilio di Nicea, quest’errore aveva spostato all'indietro<br />

l’equinozio di primavera di ben 9 giorni, e che dunque la Pasqua, veniva celebrata nel giorno<br />

sbagliato.<br />

Ci sono ignote le reazioni del papa, anche perché questi morì, improvvisamente, nel novembre<br />

dell'A.D. 1268.<br />

Da quel momento, le teorie di <strong>Bacone</strong>, furono dichiarate eretiche, e lui stesso venne perseguito<br />

e imprigionato.<br />

Nell'A.D. 1543 fu pubblicato un libro importantissimo, il De<br />

Revolutionibus di Niccolò Copernico (A.D . 1473-1543).<br />

Copernico lavorò alla sua opera per trent’anni.<br />

Quando nell'A.D. 1348 si abbattè la peste, che sterminò, in<br />

due anni, un terzo di tutti gli europei, ovvero circa 30 milioni<br />

di persone, gli orologi meccanici con pesi e lancette, già<br />

inventati attorno all'A.D. 1320, ora cominciarono a diffondersi.<br />

I vistosi errori de l calendario, così, divenivano noti a un<br />

maggior numero di persone, e la Chiesa si convinse che era<br />

ormai necessario porvi rimedio.<br />

Se ne occupò, così, papa Giovanni XXIII (A.D. 1350-1420), se<br />

ne parlò al concilio di Basilea (Svizzera) nell'A.D. 1436, e<br />

nel Quinto Concilio Laterano a Roma dell'A.D. 1512, se ne<br />

occupò anche papa Leone X (A.D. 1450-1533), ma non si<br />

giunse ad una valida soluzione.<br />

Fu riluttante a pubblicarla, ben sapendo che la sua teoria<br />

eliocentrica, non sarebbe stata accol ta favorevolmente, dopo<br />

che per millenni il genere umano aveva ritenuto la Terra il<br />

centro dell’universo.<br />

Compì i suoi calcoli basandosi in parte sulle proprie<br />

osservazioni, e in parte su quelle fatte, nel corso dei secoli,<br />

dagli astronomi greci ed arabi.<br />

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Riuscì a ottenere misure, notevolmente accurate,<br />

sia dell’anno tropico, che dell’anno siderale.<br />

Queste misurazioni di Copernico (e non la sua teori<br />

a), insieme ad altre carte astronomiche dell’epoca,<br />

furono usate per trovare l’elegante soluzione per la<br />

sistemazione del<br />

calendario,<br />

promulgata il 24°<br />

giorno di febbraio dell'A.D. 1582, con la bolla papale<br />

firmata dall’ottantenne papa Gregorio XIII.<br />

La riforma di Gregorio giunse, dopo che egli ebbe nominato<br />

un’apposita commissione, presie duta dal matematico<br />

bavarese Christopher Clavius, e grazie ad un medico<br />

italiano, Luigi Lilio, che effettivamente elaborò la soluzione.<br />

Luigi Lilio (A.D. 1510-1576) nacque a Ciro, in Calabria.<br />

Studiò medicina e astronomia, e morì prima che la sua riforma<br />

venisse accettata.<br />

Il gesuita Christopher Clavius (A.D. 1538-1612) fu l’uomo che difese le idee di Lilio. Fu<br />

devoto difensore dell’ipotesi tolemaica dell’universo, ma lavorò duramente per difendere e<br />

illustrare la riforma, rendendo possibile la sua diffusione, oltre il ristretto gruppo di paesi che,<br />

sin dall’inizio, la adottarono.<br />

Il documento più importante dell’intero processo di riforma, fu un manoscritto, scomparso<br />

senza lasciare traccia, di Luigi Lilio. Ci resta, però, un breve opuscolo pubblicato dalla<br />

commissione, intitolato Compendium novae rationis restituendi kalendarium, ovvero una<br />

sintesi della soluzione di Lilio.<br />

Fino ad allora, tutti gli studiosi (Copernico incluso), erano erroneamente convinti che, le<br />

diverse misurazioni ottenute nei secoli, dell’anno tropico, fossero da imputarsi al fatto che<br />

quest’ultimo è variabile.<br />

Lilio propose, pertan to, di servirsi di una valutazione media delle misurazioni dell’anno<br />

tropico, e di basarsi sulle Tavole Alfonsine, che, originariamente scritte nell'A.D. 1252, e<br />

aggiornate nel corso degli anni, includevano anche la misurazione di Copernico.<br />

Il valore medio delle misurazioni dell'anno tropico, chiamato anno alfonsino, che così si calcolò,<br />

risultò più corto, rispetto all'anno giuliano, della 134-esima parte di un giorno.<br />

Tale valore medio, divenne l’anno vero da impiegare, per colmare la differenza che esisteva<br />

con l’anno del calendario giuliano, lungo, come è noto, 365 giorni e 1/4.<br />

Dato che l'anno alfonsino è più corto, rispetto all'anno giuliano, della 134-esima parte di un<br />

giorno, ciò equivale a un giorno perduto ogni 134 anni giuliani.<br />

Lilio approssimò il risultato di 134 moltiplicato 3, ovvero 402, a 400. E concluse che, il<br />

calendario giuliano, perdeva 3 giorni ogni 400 anni.<br />

Quello che dunque si fece, fu, semplicemente, di lasciare immutato il calendario giuliano,<br />

là dove Cesare stabilì che, ad un ciclo di tre anni di 365 giorni, doveva seguire un anno<br />

bisestile di 366 giorni. Tranne ad imporre anche di eliminare 3 giorni ogni 400 anni, che si<br />

decise di togliere agli anni centenari non divisibili per 400.<br />

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Così: l'A.D. 1600 fu bisestile, mentre gli A.D. 1700, 1800 e 1900 no. L'A.D. 2000 è stato<br />

nuovamente bisestile, non lo saranno gli A.D. 2100, 2200 e 2300, ma l'A.D. 2400 si, e così via.<br />

Questo sistema, basato su tavole con misure imprecise dell’anno tropico, e ottenuto attraverso<br />

una discutibile approssimazione, si è rivelato, malgrado ciò,<br />

notevolmente accurato. Infatti, si perde 1 giorno, solo ogni<br />

3.200 anni.<br />

Se, infatti, si fanno i conti, e si tiene conto del fatto che, solo<br />

ogni 400 anni, il numero di giorni è sempre lo stesso, viene<br />

fuori il cosiddetto anno calendaristico, di soli 27 secondi<br />

maggiore, dell’anno tropico relativo all’era in corso, e a cui<br />

corrisponde, appunto, 1 giorno perso solo ogni 3200 anni.<br />

Per recuperare, poi, i giorni perduti a causa dello<br />

spostamento del calendario giuliano, e riportare l’equinozio di<br />

primavera all’epoca di Nicea, Lilio suggerì di cancellare 10<br />

giorni, tutti in una volta.<br />

Perché, però, si potesse celebrare la Pasqua, nel giorno da<br />

determinarsi secondo le modalità stabilite a Nicea, occorreva,<br />

non solo riportare al suo posto l’equinozio di primavera, ma<br />

anche accordare meglio l’anno solare con l’anno lunare.<br />

Fino ai giorni della riforma, si impiegò un ciclo di 19 anni che,<br />

però, aveva ormai accumulato un errore pari a 4 giorni.<br />

Per porvi rimedio Lilio propose una sua soluzione, anch’essa puntualmente accolta.<br />

La riforma fu dunque approvata, e così avvenne che, il giorno successivo<br />

al 4° giorno di ottobre dell'A.D. 1582<br />

fu<br />

il 15° giorno di ottobre dell'A.D. 1582,<br />

con 10 giorni persi per sempre.<br />

Il mistero del manoscritto Voynich, l’unico codice mai deci<strong>fra</strong>to. Scienza in ginocchio, in crisi<br />

anche i computer<br />

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Roma -(Adnkronos) - Da oltre mezzo millennio esoteristi e crittografi tentano invano di svelare i<br />

segreti di uno scritto medioevale ricomparso per magia. Il destino delle carte segrete passa per<br />

Villa Mondragone a Frascati. Inattaccabile ai sistemi informatici, nella sua vetrina<br />

all’Università di Yale il libro del mistero aspetta chi sappia leggergli l’anima<br />

il codice. Ne esiste una copia sola al mondo e forse è l’ultimo enigma letterario della storia<br />

che resterà per sempre: il manoscritto Voynich (di cui si vede una pagina nella foto).<br />

Nessuno finora è riuscito a deci<strong>fra</strong>re questo codice medioevale che lungo i secoli ha<br />

portato per i campi anche i crittografi militari che in<strong>fra</strong>nsero i codici tedeschi e giapponesi<br />

durante la Seconda Guerra Mondiale. Il piccolo codice oscuro racconta di strani alberi e delle<br />

loro radici, che spesso hanno occhi. A strani segni mischia vegetali impossibili da identificare,<br />

mentre mostra un drago che divora una pianta. E ancora: cerchi con simboli sconosciuti,<br />

cadaveri femminili e scritte in lingue.<br />

Gallassie a spirale e diagrammi di costellazioni che non esistono. Nelle illustrazioni in<br />

inchiostro ad acqua dalle sfumature in verde e marrone, giallo, blu e rosso che<br />

compongono le sue sei sezioni del manoscritto più misterioso del tempo, ci sono anche donne<br />

nelle vasche e ninfe in tinozze, animali inesistenti e strane danze celesti.<br />

Vi si alternano in un gioco senza soluzione schizzi perfetti e a volte veloci, che sembrano usciti<br />

dalla china bizzarra di un dio perduto o forse di un bevitore. Il Voynich ha tutta l’aria di<br />

essere il manuale di un alchimista o un ghirigoro stenografico, per altri è invece un<br />

contributo alla medicina erboristica. Di certo gli ideogrammi rimandano ad altro da ciò che<br />

appare a prima vista. Il manoscritto ci<strong>fra</strong>to misura 225 per 160 mm, e con i suoi oltre 250.000<br />

caratteri ancora da comprendere, ha percorso un lungo cammino dalla sua composizione, che gli<br />

studiosi datano tra il 1470 e il 1608 e le ultime scoperte di Gordon Rugg, nel 2004.<br />

Ognuno vorrebbe avere la chiave idonea per penetrarne il messaggio. Invogliati all’impresa da<br />

una <strong>fra</strong>se del testo che, secondo l’interpretazione di William Newbold, recita: ''Mi hai dato<br />

molte porte''. Forse sono quelle della cabala e del mistero esoterico. Ma non e’ che mancato<br />

anche chi ha ‘scoperto’ tra questi fogli ricomparsi quasi per magia un contraccettivo orale a base<br />

di corteccia di pino e ‘olio di evonimo’.<br />

L’affascinante leggenda che cironda il tesoro letterario di questi 102 fogli rilegati, che sanno<br />

di zolfo e di coda del demonio, è stata popolata da una folla di personaggi interessanti: alcuni<br />

erano grigi trafficoni, altri geniali studiosi, collegati tutti all’intreccio piramidale di pagine<br />

scritte con testo scientifico o magico, in un linguaggio ci<strong>fra</strong>to, apparentemente basato su<br />

caratteri latini in minuscolo. Tra essi ci sono la regina Elisabetta d’Inghilterra, Pontanus e<br />

Rodolfo II.<br />

E ancora ebbero a che fare con il manoscritto misterioso il medico cieco di Praga, Marcus Marci,<br />

e Athanasius Kircher. Secondo altri il testo sarebbe invece frutto della mente geniale del monaco<br />

<strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>, compromessa da piu’ di dieci anni di isolamento in carcere. Altri<br />

vi hanno colto lo zampino di un ‘bambino’ prodigio che si chiamava Leonardo da Vinci. Mentre<br />

Johannes Marcus Marci avverte: ''Sfingi simili non obbediscono che al loro padrone''.<br />

Ma l’ipotesi più suggestiva resta quella secondo cui il manoscritto Voynich sia l’unico<br />

testo pervenutoci dei Catari, da molti ritenuti i veri custodi del Santo Graal. Questo<br />

documento sarebbe dunque l’unica copia di cio’ che rimane della loro lingua e dei loro segreti,<br />

intrecciati a doppio filo con il volto di Maria Maddalena e del suo sangue reale. C’è poi un alto<br />

mistero nel mistero: dal manoscritto mancano 8 fogli. Diverse pagine, inoltre, sono piegate e<br />

una volta aperte hanno la dimensione di una pagina doppia. Ve ne è perfino una, la più grande,<br />

che una volta dispiegata forma un solo grande foglio delle dimensioni di sei pagine.<br />

Analizzato già nel Rinascimento, il manoscritto scomparve nel 1666 per essere riscoperto<br />

nel 1912 secolo da un misterioso compratore, il libraio e antiquario Wilfred Michael Voynich. Il<br />

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destino di queste carte segrete porta il manoscritto a Frascati, nella Villa Mondragone,<br />

proprietà dei Gesuiti. Proprio i discepoli di Ignazio di Loyola, specialmente i padri Beckx e<br />

Strickland, furono determinanti per la sopravvivenza del manoscritto, classificato MS 408. Nel<br />

corso dei secoli scienziati ed esegeti si sono arrovellati sui suoi simboli, che restano<br />

inattaccabili anche ai più sofisticati programmi informatici.<br />

Molti ricercatori hanno gettato la spugna, convincendosi che il testo non racchiuda un significato<br />

in assoluto e che il suo autore, in questo caso, sarebbe il più grande burlone della storia. Di<br />

sicuro sarebbe però il più fortunato, perché il suo perfetto e orchestrato inganno ha obbligato<br />

tanti a investire ingenti somme di denaro e secoli di ricerche per sciogliere un nodo che non<br />

esisterebbe.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo anche sulla Rete da anni prosegue, in decine di blog, il dibattito<br />

sull’enigmatico libro. Nell’articolo pubblicato sulla rivista ‘Nature’ del 15 dicembre 2003 da<br />

John Withfield, Gordon Rugg afferma che e’ abbastanza verosimile che Edward Kelley e John<br />

Dee, due stravaganti inglesi approdati alla corte di Praga, abbiano fatto passare per un antico<br />

manoscritto opera di <strong>Bacone</strong>, un incomprensibile testo abilmente contraffatto, allo scopo di<br />

raggirare Rodolfo II e alleggerirlo di 600 monete d’oro.<br />

Ma per molti altri, sono la maggior parte, il libro del mistero non sembra proprio lo scarabocchio<br />

di uno psicotico bensì l’opera di uno studioso serio che aveva un messaggio da comunicare. Il più<br />

grande trofeo della crittografia resta piu’ elusivo che mai. Niente come il manoscritto<br />

Voynich è riuscito a ingannare l’umanità e la scienza per oltre mezzo millennio.<br />

Del caso, il vecchio Sherlock Holmes avrebbe detto: ''E’ un problema da cinque pipe, Watson!''. E<br />

mentre tutti gli sforzi di comprenderne figure e parole si intensificano (per chi volesse<br />

approfondire l’argomento si vedano gli ultimi due libri: Marcelo Dos Santos, ‘L’enigma del<br />

manoscritto Voynich’, edizioni Mediterranee e Richard Belfield, ‘L’enigma dei Codici ci<strong>fra</strong>ti’,<br />

Newton Compton Editori), nella sua vetrina di Libri Rari e Manoscritti, all’Università di<br />

Yale, quel vecchio libro ancora aspetta chi sappia leggergli l’anima.<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> nacque ad Ilchester, nella contea inglese di Somerset, presumibilmente intorno<br />

al 1214/1220 e morì a Oxford, si presume, nel 1294. Allo stato attuale degli studi non si hanno<br />

ancora informazioni sicure circa le date effettive di nascita e di morte. Dopo essere stato allievo,<br />

a Oxford, di Roberto Grossatesta e Adamo di Marsh, negli anni Trenta completò la sua<br />

formazione filosofica presso la Facoltà delle Arti di Parigi, di cui assorbì lo spirito pionieristico<br />

maturando una personalità libera e spregiudicata. Nel 1241 a Parigi conseguì il titolo di Maestro<br />

delle Arti, che lo abilitava all'insegnamento delle sette discipline, raccolte appunto sotto la<br />

denominazione di Arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica astronomia,<br />

geometria), che costituivano la base del curriculum di studi universitario nel Medioevo. A Parigi<br />

si distinse per esser stato uno dei <strong>primi</strong> a commentare estesamente i testi scientifici di<br />

Aristotele, da poco tradotti in latino dall'arabo, in particolare la Fisica. Questa attività gli<br />

consentì di approfondire il pensiero dei grandi commentatori arabi di Aristotele, tra cui<br />

Averroè e Avicenna. Dopo il suo ritorno a Oxford, nel 1257 entrò nell'ordine <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>, ma il<br />

suo interesse per l'alchimia e l'astrologia cominciò a destare sospetti e irritazione da parte dei<br />

suoi superiori. Durante il pontificato di Clemente IV, dal 1265 al 1268, poté godere di una<br />

condizione di relativa tranquillità, grazie alla protezione offertagli dal papa, suo amico ed<br />

estimatore. I suoi tre scritti più famosi, l'Opus maius, l'Opus minus, e l'Opus tertium, concepiti<br />

come abbozzi di una enciclopedia che non sarà mai realizzata, risalgono tutti a questo periodo.<br />

Negli anni successivi egli scrisse i Communia Mathematica e i Communia naturalium e nel<br />

1272 il Compendium studii Philosophiae. Venuta meno la protezione di Clemente IV, negli anni<br />

'70 si moltiplicarono le accuse di eresia da parte dei con<strong><strong>fra</strong>te</strong>lli, in quanto <strong>Bacone</strong> restava uno<br />

strenuo difensore dell'astrologia. Approfittando della condanna del 1277 emanata dal vescovo di<br />

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Parigi Etienne Tempier contro i maestri della locale Facoltà della Arti, nel 1278 fu avviato un<br />

procedimento giudiziario nei suoi confronti che si concluse con la detenzione, durata fino al 1292.<br />

Contro la sua condanna <strong>Bacone</strong> scrisse lo Speculum astronomiae, ma la lettura delle sue opere fu<br />

interdetta. Ormai in età avanzata e gravemente malato, <strong>Bacone</strong> dedicò gli ultimi anni della sua<br />

vita alla stesura del Compendium studii theologiae, che può essere considerato il suo testamento<br />

spirituale. Dal 1294 non si hanno più notizie su di lui.<br />

Altri eminenti alchimisti del mondo occidentale furono <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>, San Tommaso d'Aquino,<br />

Tycho Brahe, Thomas Browne, il Parmigianino, * http://goo.gl/ZfEHg<br />

http://goo.gl/HM8Ff * Giordano Bruno, * http://goo.gl/XjvUn http://goo.gl/W4m7G * e <strong>fra</strong> gli<br />

ultimi Cagliostro. * http://goo.gl/nv3xM http://goo.gl/a8qnl *<br />

La dottrina filosofica<br />

Complessa figura di <strong><strong>fra</strong>te</strong>, mistico, alchimista, astrologo, grammatico, costruttore di specchi<br />

ustori, naturalista e forse scopritore della polvere da sparo, secondo una tradizione non<br />

confermata, <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> è senz'altro la personalità di maggiore spicco tra i discepoli di<br />

Roberto Grossatesta, da cui trasse origine la grande scuola filosofica di Oxford. Roberto<br />

Grossatesta, il vescovo di Lincoln vissuto tra il 1175 e il 1253, fu l'esponente principale di quel<br />

filone della filosofia platonico - agostiniana che va sotto il nome di "metafisica della Luce", un<br />

modello sorto dalla volontà di coniugare la teologia cristiana con la concezione neoplatonica della<br />

causalità intesa come "irradiazione" di Dio nel mondo. Sotto la guida di Grossatesta la scuola di<br />

Oxford si caratterizzò per una particolare attenzione ai problemi scientifici, in particolare l'ottica<br />

e l'astronomia, pur senza cancellare i tratti tipici della religiosità <strong>fra</strong>ncescana, come l'attesa<br />

millenaristica per una imminente renovatio dell'intera cristianità che avrebbe dovuto inaugurare<br />

la futura epoca dello spirito. Da questo punto di vista, le apparenti contraddizioni presenti<br />

nell'opera di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>, si possono almeno in parte spiegare a partire dal suo primo<br />

ambiente di formazione.<br />

La trilogia baconiana che comprende l'Opus maius, l'Opus minus e l'Opus tertium fu redatta tra<br />

il 1265 e il 1268, e venne inviata al papa Clemente IV unitamente ad una lunga epistola in cui<br />

l'autore delinea le linee guida del grandioso progetto enciclopedico che sarebbe rimasto<br />

incompiuto. <strong>Bacone</strong> muove da due esigenze tra loro strettamente correlate. In primo luogo, la<br />

necessità di realizzare una profonda riforma del sapere che superi la <strong>fra</strong>mmentazione e il<br />

particolarismo in cui tendono a cadere le singole discipline, e confluisca in una visione unitaria<br />

saldamente ancorata ai precetti della verità rivelata. In secondo luogo, l'idea che tutti i contenuti<br />

del sapere sono incorporati, in maniera esplicita o implicita, nelle Sacre Scritture. Come il pugno<br />

chiuso raccoglie tutto ciò che la mano aperta dispiega, afferma <strong>Bacone</strong>, allo stesso modo la<br />

sapienza necessaria al genere umano è contenuta interamente nelle Scritture. Dio ha creato un<br />

unico mondo, un unico genere umano, per un solo fine di salvezza: unica dev'essere pertanto la<br />

Sapienza che compendia in sé ogni singolo contenuto della conoscenza. Ne consegue che al<br />

vertice della gerarchia delle discipline bisogna collocare la teologia, raggio dell'infinita Luce di<br />

Sapienza che promana da Dio. L'ideale baconiano di reformatio e la concezione teocentrica del<br />

sapere sono pertanto i due lati di un medesimo atteggiamento epistemologico. Sotto questo<br />

profilo, la posizione di <strong>Bacone</strong> può apparire molto vicina al conservatorismo e all'epistemologia<br />

"riduzionistica" che Bonaventura da Bagnoregio aveva già fissato nel suo trattato De<br />

reductione artium ad theologiam. In quest'opera il maggiore esponente della scuola parigina<br />

<strong>fra</strong>ncescana, vissuto tra il 1221 e il 1274, aveva decisamente negato l'autonomia del sapere<br />

filosofico, considerando la subordinazione della filosofia alla teologia come l'unico mezzo per<br />

arginare il diffondersi delle eresie. Questa preoccupazione non è certo assente in <strong>Bacone</strong>, ma<br />

contiene parecchi elementi di novità se confrontata con la rigida impostazione di Bonaventura.<br />

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Partendo dal presupposto che la Scrittura contiene in sé la somma di ogni verità, <strong>Bacone</strong><br />

sostiene che è compito del teologo approfondire il significato letterale del testo sacro senza<br />

sovrapporvi le proprie compiaciute "divagazioni", che nel caso di alcuni esegeti finiscono per<br />

degenerare in una vana moda letteraria. La presunzione di coloro che nel commento all pagina<br />

sacra trovano l'occasione per fare sfoggio del proprio ingegno di eruditi, è l'aspetto più deleterio<br />

della cultura teologica del proprio tempo che <strong>Bacone</strong> condanna senza mezzi termini,<br />

richiamandosi a un ideale di umile simplicitas in cui sono evidenti le matrici <strong>fra</strong>ncescane. D'altro<br />

canto, se la teologia ha da essere una scienza rigorosa, il commentatore delle Scritture dovrà<br />

munirsi degli strumenti idonei: egli deve attingere in primo luogo alla conoscenza delle lingue in<br />

cui sono scritti i testi originari, e quindi l'ebraico e il greco; e inoltre, dovrà raccogliere tutti i<br />

documenti necessari per restituire la pagina sacra alla sua corretta lezione, nell'intento di<br />

isolare il testo dai commenti che con l'andar del tempo si sono sovrapposti ad esso dando origine<br />

a luoghi comuni e incrostazioni intellettuali. In tal modo <strong>Bacone</strong> fa valere l'ideale di una ricerca<br />

filologica applicata al testo sacro che anticipa in maniera sorprendente alcune acquisizioni che il<br />

pensiero filosofico farà proprie soltanto in epoca umanistica.<br />

Una volta assicurati questi punti di riferimento, <strong>Bacone</strong> procede a delineare la struttura del suo<br />

progetto enciclopedico secondo un disegno che viene efficacemente riassunto e motivato nella<br />

lettera a Clemente IV, una sorta di "discorso sul metodo". Se la dottrina rivelata rappresenta la<br />

fonte indiscussa da cui scaturisce ogni verità degna di questo nome, tre sono le strade che l'uomo<br />

può praticare per arrivare alla conoscenza. La prima è l'Auctoritas, il rimando alle Scritture<br />

attraverso la citazione del testo assunta allo scopo di dirimere una questione controversa. Questa<br />

strada è l'unica umanamente percorribile quando sono in gioco i dogmi della fede e i principi<br />

della religione, ma <strong>Bacone</strong> mette in guardia contro un uso indiscriminato delle "autorità" in<br />

filosofia, perché spesso il ricorso ad esse è segno della malafede dell'interlocutore che vuole<br />

sottrarsi a una discussione razionale o nascondere la sua incapacità di rispondere alle obiezioni<br />

col trincerarsi dietro una citazione, magari nemmeno pertinente. Ovviamente il rischio è tanto<br />

maggiore quando l'autorità in questione sia quella di Aristotele o di un altro "sapiente" elevato<br />

al medesimo rango. Nella prospettiva di <strong>Bacone</strong>, in altri termini, il richiamo all'autorità non può<br />

e non deve mai degenerare in oscurantismo. Il campo dell'argomentazione scientifica, da questo<br />

punto di vista, ci spiana la seconda via verso la verità, quella che può essere acquisita attraverso<br />

il ragionamento. Quest'ultimo, tuttavia, non va inteso nel senso della logica aristotelica, come<br />

deduzione sillogistica di verità particolari a partire da premesse universali di per sé note o<br />

dimostrate precedentemente, bensì come dimostrazione matematica all'interno di un sistema<br />

assiomatico come quello della geometria euclidea. La dimostrazione matematica assume per<br />

<strong>Bacone</strong> un valore epistemologico fondamentale destinato a rendere sempre più marginale il ruolo<br />

della logica aristotelica, che egli spesso accusa di non essere sufficientemente rigorosa. Seguendo<br />

le tracce di Grossatesta, <strong>Bacone</strong> attribuisce alla matematica il valore di scienza in grado svelarci<br />

l'ordine razionale dell'universo, a sua volta manifestazione dell'infinita Sapienza divina, in<br />

quanto la legalità ontologica del mondo fisico è costituita da rapporti di causalità comprensibili<br />

solo in termini di leggi matematiche. Come è stato più volte osservato, in questo passaggio<br />

<strong>Bacone</strong> contribuisce a fissare il principio secondo cui l'oggetto della ricerca scientifica non sono le<br />

essenze al di là dei fenomeni, o le forme sostanziali classificabili attraverso la tradizionale<br />

nomenclatura dei generi e delle specie, bensì le leggi attraverso cui comprendiamo i rapporti di<br />

interdipendenza che legano tra di loro i fenomeni in una catena di cause ed effetti. Ed è a questo<br />

punto che scaturisce, come per una intrinseca necessità, la terza via della conoscenza, quella<br />

della "scienza sperimentale" (scientia experimentalis): ogni dimostrazione matematica infatti<br />

deve ricevere conferma dall'esperienza, ovvero dal contatto diretto con la realtà nel suo diretto<br />

manifestarsi. Non bisogna tuttavia incorrere nell'errore di considerare l'affermazione baconiana<br />

come una anticipazione del metodo sperimentale moderno inteso nel senso della scienza<br />

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seicentesca. Gli "esperimenti" di cui parla <strong>Bacone</strong> non sono altro che la semplice constatazione<br />

fattuale di una conclusione a cui si è giunti per via di ragionamento, e nulla hanno a che vedere<br />

con le esperienze di laboratorio della scienza "esatta". È assente in <strong>Bacone</strong>, come in tutta la<br />

scienza medievale, l'idea del metodo come insieme di strumenti attraverso cui un'ipotesi viene<br />

pubblicamente controllata e messa alla prova in base alle condizioni della sua riproducibilità<br />

universale.<br />

Alla distinzione <strong>fra</strong> le tre vie della conoscenza subentra la dottrina delle cinque discipline più<br />

"nobili" che dovranno costituire l'ossatura del progetto enciclopedico del sapere. Al primo posto<br />

<strong>Bacone</strong> colloca la morale, quella che Aristotele chiama "scienza civile". In questa disciplina si<br />

raccolgono i principi della dottrina cristiana, l'etica, e la teoria dello Stato, a dimostrazione del<br />

fatto che le conquiste del sapere pagano dell'antichità trovano il loro compimento nei dettami<br />

della Rivelazione cristiana. Il primato della morale ci illumina su un altro aspetto importante<br />

che contraddistingue l'intera opera di <strong>Bacone</strong>. Per il dottore <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>, il progetto<br />

enciclopedico di riforma del sapere deve essere funzionale a un rinnovamento etico di tutta la<br />

società, la "repubblica cristiana" come egli la chiama abitualmente. E si tratta di un processo che<br />

deve investire prima di tutto le istituzioni della Chiesa, sempre minacciate dal rilassamento o<br />

dalla corruzione dei costumi. Il primato attribuito alla morale, in questo senso, salda in maniera<br />

significativa l'aspirazione tutta baconiana a un sapere di tipo pragmatico - operativo con la<br />

tradizione mistica e riformatrice che è caratteristica dell'intero movimento <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> fin dalle<br />

sue origini. Il progetto enciclopedico costituisce una riforma complessiva del sapere del tempo<br />

che a sua volta anticipa la renovatio globale della Cristianità. Ed è proprio il primato attribuito<br />

alla scienza morale che ci permette di delineare le caratteristiche della "scienza sperimentale",<br />

che occupa il secondo posto nello schema assiologico. Questa scienza è maestra di tutte quelle che<br />

seguono, e il suo scopo, a sua volta, è quello di porsi al servizio della morale. In questa accezione<br />

larga la scienza sperimentale include l'ottica, la matematica e la conoscenza della lingue, con le<br />

quali si completa l'ossatura epistemologica su cui si articola il progetto enciclopedico.<br />

Ricollegandosi a scienziati arabi come Avicenna e Al-Hazen, <strong>Bacone</strong> interpreta il ruolo<br />

dell'ottica nel quadro della metafisica della luce di Grossatesta. <strong>Bacone</strong> è convinto che attraverso<br />

questa disciplina ancora giovane, almeno per ciò che concerne il mondo cristiano, l'uomo possa<br />

arrivare alla conoscenza della struttura geometrico - matematica del cosmo. Infatti, le leggi che<br />

governano il diffondersi della luce sono analoghe alle leggi causali che governano tutti gli altri<br />

processi della natura. Ne consegue che il fondamento dell'ottica rimanda alla quarta scienza, la<br />

matematica, vera chiave di volta di un universo che fu creato da Dio - come è attestato dal libro<br />

della Sapienza 11, 21 - "secondo numero, peso e misura". <strong>Bacone</strong> insiste sulla vastità delle<br />

applicazioni della matematica, dalla musica all'astrologia. Sebbene quest'ultimo termine<br />

all'epoca di <strong>Bacone</strong> fosse l'equivalente di quella scienza che sarà ribattezzata come "astronomia",<br />

l'autore include esplicitamente nel suo spettro semantico anche la cosiddetta "astrologia<br />

politica", ovvero lo studio scientifico degli astri necessario a chi governa al fine di deliberare ciò<br />

che è meglio per la repubblica dei fedeli. I sapienti che sono i naturali consiglieri di principi e<br />

papi devono mettere al servizio della cristianità tutti gli strumenti utili ad anticipare l'avvento<br />

del regno di Dio, senza escludere pregiudizialmente nemmeno i prodigi dell'alchimia e della<br />

magia. Questo tema viene approfondito nel suo aspetto tecnico - operativo in un trattato dal<br />

titolo Epistula de secretis operibus naturae, dove l'autore, <strong>fra</strong> le altre cose, invita a distinguere la<br />

magia falsa dei necromanti dalla magia autentica, che può efficacemente contrastare gli inganni<br />

orditi dal Maligno. Anzi, queste conoscenze sono indispensabili, perché quando i tempi saranno<br />

maturi l'Anticristo si presenterà egli stesso come "mago" e "negromante", e la padronanza della<br />

arti magiche ci permetterà di leggere in anticipo i segni dell'avvento imminente consentendoci<br />

altresì di combatterlo con le sue stesse armi in nome del trionfo finale di Dio. Nella figura del<br />

Doctor Mirabilis, come <strong>Bacone</strong> fu soprannominato per la sua abilità di alchimista versato nella<br />

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conoscenza dei segreti della natura, tornano ancora una volta a convivere il mistico e lo<br />

scienziato, il profeta visionario e il pragmatico, l'uomo di chiesa imbevuto del profetismo<br />

<strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> e il razionalista che attinge a piene mani dalle opere degli "astrologi" arabi. La<br />

consapevolezza che l'apprendimento delle arti magiche si colloca all'interno di un quadro<br />

escatologico che comunque rimanda al mistero della Provvidenza divina, fa sì che sia piuttosto<br />

difficile considerare la passione di <strong>Bacone</strong> per la magia e l'alchimia come una anticipazione del<br />

motivo rinascimentale dell'Homo Faber. Un accenno in questa direzione, lo si può eventualmente<br />

rintracciare nel celebre passo della Epistula de secretis operibus naturae in cui egli immagina<br />

future realizzazione tecniche di navi senza rematori, macchine volanti e apparecchi per<br />

camminare "sul fondo dei fiumi e dei mari senza pericolo alcuno". Resta tuttavia il fatto che il<br />

suo entusiasmo per i "prodigi" della scienza sperimentale, unito alla convinzione che con<br />

l'alchimia l'uomo si assicura il dominio sulla natura, non poté non destare sospetto in un<br />

momento storico in cui l'impatto della scienza proveniente dal mondo arabo nella Cristianità<br />

europea doveva mettere in discussione equilibri fino ad allora consolidati.<br />

La sequenza delle cinque dottrine più nobili che comprende morale, scienza sperimentale, ottica<br />

e matematica, si conclude con la "conoscenza delle lingue". Non si tratta semplicemente dell'idea<br />

di ampliare i compiti della tradizionale grammatica, intesa come prima arte liberale del<br />

curriculum universitario, ma di una commistione di filologia e semiotica in cui ancora una volta<br />

le proposte filosofiche di <strong>Bacone</strong> si distinguono per la grande forza innovativa. Egli sostiene che<br />

un intellettuale cristiano non deve limitarsi alla conoscenza del latino ma deve ampliare<br />

l'orizzonte al greco, all'ebraico e anche all'arabo. Importante, per quanto riguarda quest'ultimo,<br />

non soltanto al fine di impadronirsi dell'imponente patrimonio della cultura islamica, ma anche<br />

per ricondurre alla Cristianità i seguaci di Maometto utilizzando gli strumenti dell'apologetica,<br />

anziché ricorrere all'imposizione di dogmi per loro incomprensibili o, ancora peggio, alla violenza<br />

e alla guerra. Gli interessi linguistici di <strong>Bacone</strong> si inseriscono inoltre all'interno di una vera e<br />

propria riflessione semiologica, approfondita soprattutto nel tardo Compendium studii<br />

theologiae. Partendo da Sant'Agostino, egli riprende la distinzione tra segni naturali, come il<br />

fumo che segnala la presenza del fuoco, e i segni artificiali, istituiti ad placitum, per<br />

convenzione, attraverso un atto di imposizione. <strong>Bacone</strong> ribadisce che il significato di una parola<br />

non ha alcuna connessione con la natura o l'essenza delle cose designate, tant'è vero che il<br />

significato delle parole muta profondamente nel corso del tempo. Dalla libertà con cui i parlanti<br />

si appropriano del codice e del lessico nasce una spinta decisiva destinata a tradursi in una sorta<br />

di creazione continua della lingue, instabili e soggette al divenire come ogni altra istituzione<br />

umana. La significazione non si esaurisce nella referenza,<br />

ovvero il rapporto tra la parola e la cosa, ma include<br />

anche la relazione tra il segno, il suo utente, e l'interprete<br />

cui è destinato l'atto di comunicazione linguistica. Si<br />

tratta di quella dimensione che nel linguaggio della<br />

semiotica attuale afferisce al livello della "pragmatica", e<br />

<strong>Bacone</strong> è stato il primo ad averla individuata e<br />

tematizzata coerentemente.<br />

La sapienza alchemica <strong>fra</strong> immaginario e filosofia<br />

(Michela Pereira)<br />

Parleremo di Alchimia, argomento quanto mai oscuro alla<br />

maggior parte di noi, argomento fantasioso che è entrato<br />

nel luogo comune come per esprimere un concetto astruso<br />

fondato su niente, frutto di menti bizzarre e non<br />

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scientifiche. Ebbene uno dei motivi per cui siamo qui è proprio per cercare di sfatare questo luogo<br />

comune e, soprattutto, cercare di creare interesse o almeno curiosità per un argomento che sta<br />

ritrovando nuove interpretazioni, che ha influenzato e influenza la Psicologia, l'Arte, la<br />

Letteratura, la Religione e da pochi anni, sorprendentemente, perfino il mondo scientifico e in<br />

particolare la Fisica Ufficiale che ha elaborato addirittura un nuovo approccio metodologico.<br />

L'idea dei "Frattali", come espressione dinamica e geometrica del Caos, della "Meccanica<br />

Quantistica" e della "Relatività", fanno parte di questo nuovo metodo. I <strong>fra</strong>ttali espressione<br />

grafica della congiunzione del mondo matematico e il mondo puramente estetico della natura,<br />

possiedono una caratteristica, quella di essere dotati di "ricorsività infinita". Ciò significa che la<br />

loro struttura geometrica si ripete continuamente in natura, con qualsiasi scala di<br />

ingrandimento li si voglia vedere, sempre uguale e tuttavia sempre diversa a se stessa. La fisica<br />

quantica abolisce la distinzione <strong>fra</strong> energia e materia, dimostra come in realtà l''osservatore' sia<br />

un partecipante all'esperimento atomico, che può esercitare degli effetti sulle particelle stesse.<br />

Fritjof Capra nel suo libro "Il Tao della Fisica" ad un certo punto dice: "La teoria dei quanti<br />

rivela un'unicità di base dell'universo. Mostra che non possiamo scomporre il mondo in unità<br />

piccolissime dall'esistenza autonoma. Via via che si penetra nella Materia, la natura non ci<br />

mostra nessun 'fondamento di edificio' isolato, ma appare piuttosto come una rete complicata di<br />

relazioni <strong>fra</strong> le varie parti del tutto. Il ruolo che l'osservatore riveste in queste relazioni è sempre<br />

e necessariamente essenziale. L'osservatore umano costituisce sempre l'anello finale della catena<br />

dei processi di osservazione, e le proprietà di qualunque oggetto costituito da atomi possono<br />

essere comprese solo in termini di 'interazioni dell'oggetto con l'osservatore'. Questo significa che<br />

l'idea classica di descrizione obiettiva della natura non è più valida [...]. Nella fisica atomica, non<br />

si può mai parlare della natura, senza parlare, allo stesso tempo, di noi stessi."<br />

Non solo la fisica atomica porta avanti le idee di coscienza e di unità. La teoria del 'Caos' apre la<br />

possibilità che una piccola azione possa determinare effetti che si ripercuotono sull'universo<br />

intero, definito sinteticamente come 'effetto farfalla'.<br />

I vecchi e rigidi confini <strong>fra</strong> mente e materia possono essere superati, perché nulla si crea né si<br />

distrugge, ma si trasforma. Queste nuove premesse scientifiche sono molto vicine a quelle su cui<br />

si basa l'Alchimia; per questo pare possibile che essa possa ancora fornire nuove intuizioni<br />

scientifiche.<br />

Da un punto di vista etimologico la parola<br />

Alchimia, secondo l'opinione più diffusa,<br />

deriverebbe dall'arabo "Al-Kimiya". Con tale<br />

termine gli arabi intendevano "l'arte di fabbricare<br />

l'oro e l'argento partendo da metalli diversi o vili."<br />

Nei testi che ho consultato, anche autorevoli, non<br />

c'è chiarezza sull'origine del suo significato. Tutti<br />

insistono sull'origine araba dell'articolo<br />

determinativo al, tradotto 'il', mentre molto meno<br />

chiara appare la seconda parte della parola,<br />

Kimiya, di origine incerta, ma che comunque non<br />

appartiene alla lingua araba, forse all'egiziano o al<br />

greco. All'egiziano perché sarebbe da ricondursi al<br />

termine "Chem" che significa "nero" con riferimento<br />

alla terra d'Egitto resa nera dal Limo alluvionale<br />

del Nilo (mi sembra peraltro importante e non<br />

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casuale l'accostamento tra l'arte della trasmutazione e l'aspetto fertile della terra e quello<br />

fecondante del Nilo). Altri invece ritengono che la derivazione più probabile sia dalla parola<br />

greca "Chyma" con significato di "mescolare" collegata al processo di fusione del metallo.<br />

Vorrei però proporre un'altra interpretazione, un'interpretazione "alternativa" e un po' esoterica,<br />

nata da un'intuizione di René Guénon, che mi pare molto stimolante e degna di essere ricordata.<br />

Tale parola, sembra solo apparentemente di origine araba, ma meglio sarebbe dire che gli arabi<br />

hanno mantenuto il termine che invece trae origine dalla radice greca che significava<br />

"mescolare". Questa a sua volta sarebbe la traduzione greca di un termine egizio, Kemet, che<br />

connota l'Egitto come 'terra nera', in opposizione alla 'terra rossa' del deserto. Erodoto definisce<br />

l'Egitto 'dal terreno nero'. Si deve ricordare, infatti, che "l'Egitto, - scrive Plutarco - che ha la<br />

terra così nera, viene chiamato con lo stesso nome della parte nera dell'occhio, Chémia, e viene<br />

paragonato al cuore: perché è caldo, umido e si insinua tutto a meridione, ossia nel territorio di<br />

sinistra del mondo abitato, come il cuore sta nel lato sinistro dell'uomo, poiché per gli Egizi<br />

l'Oriente rappresenta il volto del mondo, il Settentrione il lato destro e il meridione quello<br />

sinistro". D'altronde, secondo lo stesso Plutarco, il cuore mentre rappresentava l'Egitto, al tempo<br />

stesso rappresentava il Cielo: "Gli Egizi - egli dice - raffigurano il Cielo, che non può invecchiare<br />

perché è eterno, con un cuore posto su un braciere la cui fiamma ne alimenta l'ardore". "Cosicché -<br />

scrive René Guenon - il cuore (Chémia) è, ad un tempo, il geroglifico dell'Egitto e quello del<br />

Cielo". "In Egitto si sostiene - scrive ancora Plutarco - che Osiride è il Nilo che si congiunge con la<br />

Terra, simboleggiata da Iside, fecondandola. [...] I sacerdoti più sapienti non solo chiamano il<br />

Nilo Osiride [...], ma sono anche convinti che Osiride rappresenti senz'altro il principio e la<br />

natura dell'elemento umido in sé, origine della vita e sostanza fecondante. [...] Il mito vuole che<br />

Osiride avesse la pelle nera, perché l'acqua scurisce ogni cosa in cui viene assorbita, terra, vesti,<br />

nuvole". Egitto, dunque, come originale luogo di incontro tra Cielo e Terra, luogo del sacro<br />

rapporto tra la terra Iside e il dio Nilo Osiride, dove si può soltanto intuire che esso rappresenta<br />

il "sito recettoriale" della divina, nera, forza fecondante e trasformante la Terra. È facile vedere,<br />

da questo, l'omologia Cielo-Terra (ciò che è in basso così come ciò che è in alto) e considerato che<br />

l'Alchimia vuole ristabilire questo contatto, mi sembra evidente, salvo qualche ragionevole<br />

dubbio, il suo originale significato.<br />

Comunque sia, l'Alchimia è l'Arte della Trasmutazione. L'Alchimista, con il suo lavoro, cerca di<br />

produrre nel materiale su cui sta operando, cioè la Materia Prima, una serie successiva di<br />

mutamenti per condurlo da uno stato grezzo a uno stato perfetto e incorruttibile. Uno stato che<br />

può essere espresso, in una forma semplice ed esemplificativa, come la trasmutazione del<br />

metallo vile in oro. L'oro perché è il più perfetto dei metalli: è incorruttibile, non si ossida, né è<br />

distrutto o alterato dal fuoco, che può soltanto raffinarlo e purificarlo.<br />

Ma io non voglio entrare troppo nei dettagli più intimi dell'Alchimia, mi limiterò a fare<br />

un'introduzione storico-culturale.<br />

Innanzitutto vorrei premettere che non è assolutamente facile né, forse, possibile, dare una<br />

definizione dell'Alchimia completa e non obbiettivabile. Questa costituisce una tradizione<br />

sapienziale particolarmente difficile da comprendere, sia perché si esprime principalmente con<br />

simboli mitologici che non consentono mai una definizione precisa e univoca. Sia per la difficoltà<br />

di constatare in modo oggettivo il frutto presunto delle straordinarie trasformazioni alchemiche.<br />

Sia perché la storia dell'Alchimia investe un raggio molto ampio, sia dal punto di vista spaziale<br />

che temporale essendo praticata nella società orientale, araba e occidentale, da più di duemila<br />

anni. L'Alchimia inoltre ha attratto una grande quantità di persone, animate dagli intenti più<br />

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disparati. Alcuni erano interessati dall'aspetto più scientifico o intimamente chimico, altri erano<br />

attratti invece dall'aspetto simbolico o filosofico.<br />

Per altri ancora si poteva aprire la possibilità di produrre farmaci realmente efficaci o una<br />

ricchezza enorme. È per questo motivo che l'Alchimia non può avere una trattazione univoca.<br />

Essa, anche se la sua struttura costitutiva principale non si è modificata, ha subito nel corso dei<br />

secoli varie modificazioni interpretative a seconda della cultura e delle motivazioni di chi l'ha<br />

praticata. Ogni alchimista ha voluto dare del proprio, ha aggiunto immagini non sempre<br />

coincidenti tra loro, e a volte ha detto e scritto tutto e il contrario di tutto, sempre combattuto<br />

dalla necessità di tenere nascosti ai "non iniziati" i segreti della "Grande Opera". Tutto ciò<br />

costituisce un aspetto particolarissimo e importante dell'Alchimia, che io trovo basilare, perché<br />

come gli alchimisti anche gli studiosi di Alchimia descrivono e definiscono la Tradizione<br />

Alchemica in base alle proprie inclinazioni e alle proprie tendenze culturali, ed è inevitabile che<br />

ciò avvenga, perché non esiste un'interpretazione "obbiettiva" dell'Alchimia. È indispensabile,<br />

nell'avvicinarsi ad essa, tener conto, contemporaneamente delle tre dimensioni di cui è composta:<br />

la dimensione scientifica, la dimensione psicologica e quella spirituale. L'Alchimia, infatti, per<br />

molti e forse anche per alcuni alchimisti, è soltanto l'Arte di fare l'oro o tuttalpiù un tentativo<br />

iniziale di una chimica irrazionale e magica. Ma se l'Alchimia non fosse altro che questo, in<br />

accordo con le parole di Mircea Eliade, non potremmo darle credito e, soprattutto,<br />

sottovaluteremmo l'intelligenza di chi per millenni ha vissuto per essa. Se l'oro fosse stato l'unico<br />

fine perseguito dagli <strong>Alchimisti</strong> non sarebbe possibile comprendere la loro pretesa saggezza.<br />

Sebbene, comunque, non sia possibile sapere con certezza quali siano le cause storiche che hanno<br />

determinato la nascita delle pratiche alchemiche, è certo però che l'Alchimia non si è costituita,<br />

come disciplina autonoma, partendo dall'intenzione di fabbricare l'oro. È noto infatti che, fin dal<br />

XIV secolo a. C., i popoli mesopotamici conoscevano le tecniche metallurgiche per raffinare l'oro.<br />

Pensare di collegare a questo una disciplina che ha ossessionato il mondo occidentale per<br />

duemila anni significa non solo dimenticare la straordinaria conoscenza che gli antichi avevano<br />

dei metalli, ma anche non riconoscere la serietà delle loro capacità intellettuali e spirituali. Il<br />

pensiero scientifico greco possedeva, come tutti noi sappiamo, una straordinaria capacità di<br />

sintesi e di analisi razionale, mentre ciò che colpisce di più nei testi alchemici è proprio l'assenza<br />

di spirito scientifico.<br />

Se dunque l'Alchimia non nasceva solo dal desiderio di produrre l'oro, né soltanto dalla ricerca<br />

scientifica, dove dobbiamo cercare le origini e le autentiche motivazioni di questa disciplina<br />

particolare? Essa, secondo un'interpretazione tra le più affascinanti<br />

proposta dallo storico delle religioni Mircea Eliade, sembra costituire<br />

il risultato dell'incontro di una corrente esoterica rappresentata dai<br />

Misteri, come il Neopitagorismo e il Neoorfismo, dall'Astrologia e<br />

dallo Gnosticismo, con le tradizioni delle tecniche metallurgiche più<br />

antiche dei Fabbri, legati magicamente al Cielo e alla Terra da<br />

conoscenze rivelate , e custodi dei segreti dei mestieri come è<br />

avvenuto anche in Cina con il Taoismo e in India con il Tantrismo. È,<br />

presumibilmente, nell'antica concezione della Terra Madre portatrice<br />

dei minerali 'embrioni' e soprattutto con il lavoro dell'uomo<br />

impegnato a estrarre i metalli dalla miniera, alla fusione e alla<br />

forgia che si deve cercare una delle fonti principali dell'Alchimia,<br />

perché l'uomo arcaico modificando con il fuoco la materia si<br />

sostituiva in qualche modo alla Madre Terra o, comunque, ne<br />

continuava l'Opera.<br />

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La scoperta dei metalli ha contribuito a determinare un rapporto magico tra l'uomo e la matrice<br />

della terra nella quale sono germogliati i minerali. Ha influito considerevolmente sulla<br />

condizione dell'uomo arcaico, determinando una modificazione profonda del concetto che l'uomo<br />

aveva di sé nel Cosmo. Ha costituito uno dei più forti fattori di spinta dell'evoluzione mentale,<br />

psichica e intellettiva, e della civiltà umana. Il metallo meteorico caduto dal Cielo poi<br />

determinava un contatto altrettanto magico tra l'uomo e il Cosmo rendendolo partecipe di una<br />

realtà eterna, permettendogli di compiere magici tentativi di unificazione di quel Cosmo che la<br />

creazione aveva diviso. L'uomo ha cominciato lentamente a prendere coscienza della<br />

disgregazione del Reale determinata dalla Creazione e da questo momento, anche con metodi<br />

diversi, mentali e religiosi come l'alchimia, tenderà sempre nella sua storia a ritrovare<br />

quell'unione originale del Reale, quel momento di inizio adamitico che condizionerà ogni simbolo,<br />

ogni mito, ogni cultura, sia in oriente che in occidente. Si elaborarono delle tecniche<br />

metallurgiche che al tempo stesso costituivano dei Riti, dei Misteri in quanto implicavano la<br />

sacralità del Cosmo e si trasmettevano attraverso Iniziazioni. L'iniziazione ai Misteri consisteva<br />

nel partecipare alla passione, alla morte e alla resurrezione di un dio, che il neofita<br />

sperimentava direttamente in modo simbolico. La finalità dei Misteri era la trasmutazione<br />

dell'uomo. Attraverso l'esperienza della morte e della resurrezione iniziatiche, l'uomo come il dio<br />

diveniva immortale.<br />

I simboli grafici architettonici cominciarono ad esprimere una peculiare concezione della realtà<br />

rappresentata dalla omologia totale tra il Cielo e il Mondo. Questo implicava non solo che quanto<br />

esiste sulla terra esiste anche in Cielo, ma che a ogni cosa presente in terra ne corrisponde una<br />

identica in Cielo sul cui modello ideale è stata realizzata. E questo concetto ha seguito nei secoli<br />

un filo comune che ha tenuto unita l'evoluzione mentale dell'uomo da Platone alla scuola<br />

alessandrina con Ermete Trismegisto e la Tavola di Smeraldo, al Vangelo di Giovanni, a Dante,<br />

a M. Ficino e alla filosofia neoplatonica, a Giordano Bruno, alla tradizione indiana e cinese fino<br />

ai nostri giorni. I fiumi, le montagne, le città, i templi, che non sono altro che l'immagine stessa<br />

del Cosmo, esistono realmente a vari livelli Celesti. Una Gerusalemme Celeste è stata creata da<br />

Dio prima che la città di Gerusalemme fosse costruita dall'uomo, è scritto nell'Apocalisse del<br />

profeta Baruc. Tutto ciò che è conosciuto, tutto ciò che è reale segue questa legge magica delle<br />

corrispondenze. Il cosmo è diviso in regioni governate dagli Dei, regolate dai pianeti. Tutto ciò<br />

che succede in una zona celeste succederà anche sulla terra e sull'uomo che si trova sotto la sua<br />

influenza. Un certo metallo corrisponde a un certo pianeta. Anche gli oggetti, in quanto creati<br />

dall'uomo, possiedono un significato magico. I fatti e i gesti dell'uomo, poiché si ricollegano a<br />

oggetti considerati magici, saranno regolati da leggi sacre. Gli atti sono trasformati in riti.<br />

Poiché tutto ciò che esiste sulla terra esiste anche in Cielo, era inevitabile una corrispondenza<br />

tra il corpo umano e il Cosmo, una corrispondenza microcosmo-macrocosmo.<br />

La cultura greca fu influenzata profondamente da queste magiche corrispondenze<br />

mesopotamiche tra uomo, pianeti, dei e metalli.<br />

Anche l'origine storica non è possibile fissarla con precisione. Essa fa la sua comparsa nel mondo<br />

occidentale intorno al I - II secolo d. C., ma esistono testimonianze, sempre secondo alcuni storici<br />

e in particolare Eliade, di tecniche alchemiche o pre-alchemiche legate comunque alla fusione<br />

mistica dei metalli almeno mille anni prima. Diventa quindi cruciale per gli storici capire e<br />

scoprire quando ci fu tale separazione, quando cioè l'Alchimia diventò una disciplina autonoma<br />

dalla semplice (si fa per dire) lavorazione e fusione dei metalli.<br />

Comunque sia, attualmente, la maggior parte degli studiosi ritiene improbabile un'origine unica<br />

dell'Alchimia, anche se ci sono sostenitori dell'origine Egizia, Cinese, o Ellenistica. Nonostante<br />

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che i <strong>primi</strong> documenti alchemici risalgano, come si è detto, intorno al I secolo della nostra Era è<br />

da presumere che si sia sviluppata, prima di rendersi manifesta, anche e soprattutto, attraverso<br />

la tradizione orale con un lento processo di affinamento e fusione di teorie nate in tempi e in<br />

luoghi differenti, con il concorso scambievole delle culture occidentali, o comunque Ellenistico-<br />

Alessandrina, e orientali.<br />

Secondo la tradizione antica, infatti, le tecniche alchemiche furono rivelate agli uomini da un dio<br />

o comunque da un personaggio semidivino come Ermete Trismegisto o nella tradizione<br />

mitologica greca che, forse derivata e trasformata da quella indiana o cinese, attribuiva alla dea<br />

Cibele la rivelazione agli uomini dei "Misteri" della metallurgia. ( il cui rito, secondo Mircea<br />

Eliade, servirà, con il "Mistero" della morte e della resurrezione di Attis, da modello<br />

all'alchimista per operare anche sulla materia e determinare la sua redenzione).<br />

Una versione particolarmente significativa di questa tradizione ci è tramandata da uno dei <strong>primi</strong><br />

alchimisti a noi noti, Zosimo di Panopolis, vissuto in Egitto nel II secolo d. C. che attribuisce alla<br />

dea Iside la rivelazione agli uomini dei misteri dell'Alchimia che le erano stati a sua volta svelati<br />

da un Angelo corrotto che si era invaghito di lei. Un testo simile è possibile ritrovarlo anche nel<br />

libro di Enoch, un apocrifo dell'Antico Testamento scritto nel II secolo a. C.<br />

Più tardi, mentre in Oriente e particolarmente in Cina si continuò senza interruzione a praticare<br />

le tecniche alchemiche come ritroviamo nel Taoismo, in Occidente, con la decadenza dei Misteri<br />

dell'antichità, intorno al V-VI secolo la Tradizione Alchemica Occidentale cadde in declino,<br />

rimase però e continuò solo nel mondo arabo a cui dobbiamo la conservazione e la traduzione dei<br />

testi antichi, soprattutto ellenistici che presumibilmente sarebbero andati irrimediabilmente<br />

perduti per sempre. Gli Arabi svilupparono l'Alchimia e riuscirono a influenzare l'occidente<br />

europeo del XII secolo (tracce di questo fenomeno le ritroviamo nelle cattedrali gotiche), destando<br />

nuovamente l'interesse per l'antica tradizione. Ma essi fecero molto di più. Svilupparono la<br />

tendenza più razionale che avrebbe portato alle scoperte chimiche vere e proprie. L'Islam<br />

rappresentò il custode e il punto di incontro delle diverse correnti alchemiche orientali e<br />

occidentali antiche. Quindi l'Alchimia medievale, che nel XII secolo divenne autonoma come<br />

scienza, non fu più la stessa praticata mille anni prima, ma presumibilmente fusa con concetti<br />

orientali e forse anche Taoisti. Dobbiamo a Marsilio Ficino http://goo.gl/uQDO9<br />

http://goo.gl/hc42W nel 1463 la traduzione per Cosimo dei Medici del Corpus hermeticum<br />

attribuito a Ermete Trismegisto http://goo.gl/k1qB1 http://goo.gl/dIQWT a cui si riferirà<br />

continuamente nei sui scritti. Ma l'opera più importante del Ficino rimane: il "De vita coelitus<br />

comparanda", in cui compendia la sua visione dei molteplici piani di una realtà, dove le<br />

immagini celesti sono segni e non cause, espressioni dei divini concetti, simboli dell'anima<br />

mundi, dell'armonia del mondo, dell'anima, delle stelle, dei demoni.<br />

Di questo gigantesco sistema l'uomo diventa il "faber" che muta, che opera, che capta e<br />

imprigiona le forze del cielo per restituire la vita, per creare magici effetti. L'uomo può arrivare a<br />

vedere il cielo popolato di figure, a loro volta distribuite in altre immagini corrispondenti a quelle<br />

stesse del mondo inferiore. A questi stessi scritti si riferirà spesso G. Bruno, come nella sua<br />

opera, "Spaccio della bestia trionfante".<br />

I testi degli antichi alchimisti sono scritti in uno stile volutamente oscuro e apparentemente<br />

sconclusionato, ornati di immagini simboliche stupefacenti ricorrenti nell'immaginario collettivo<br />

di ogni epoca, espressione dell'enorme potenza "magica" coinvolgente, presente nel processo<br />

alchemico. Sta di fatto che l'Alchimia era definita da <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>: "La scienza che insegna a<br />

trasformare ogni genere di metallo in un altro" e secondo un alchimista arabo del Medioevo: "Per<br />

mezzo di quest'arte, quei metalli che sono imperfetti nella miniera vengono ricondotti<br />

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dall'imperfezione alla perfezione, dalla corruzione all'incorruttibilità." Tale trasformazione si<br />

ottiene mediante la "Pietra Filosofale" o "L'Elisir" la cui realizzazione costituisce quindi la meta<br />

finale della "Grande Opera".<br />

Ma a partire dal XIV secolo l'Alchimia assume anche un altro aspetto, perché oltre a<br />

perfezionare i metalli, l'Elisir svolgerà un'analoga opera di perfezionamento sul corpo umano.<br />

Comunque sia, oggi sappiamo che non è giusto ridurre l'Alchimia alla pura e semplice pretesa di<br />

fabbricare l'oro o di produrre una medicina per prolungare la vita e sappiamo che gli alchimisti<br />

stessi, nel tramandarci quest'immagine certamente bizzarra della loro Arte, hanno occultato<br />

coscientemente o incoscientemente altri significati. Solo i numerosi studi compiuti negli ultimi<br />

decenni ci hanno restituito una prospettiva più completa, consentendoci finalmente di<br />

comprendere che l'Alchimia è stata qualcosa di diverso e molto di più: una regola di vita, una<br />

ricerca di esperienze trascendenti, un modo particolare di porsi nei confronti della Natura.<br />

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Dobbiamo forse al chimico <strong>fra</strong>ncese<br />

dell'800 Marcelin Berthelot la<br />

riscoperta dell'importanza di un<br />

approccio diverso all'Alchimia. Da<br />

allora infatti si sono sviluppate molte<br />

ricerche di studiosi con obbiettivi e<br />

metodi diversi che si distinguono,<br />

principalmente, in tre direzioni.<br />

La prima considera l'Alchimia come<br />

sistema filosofico e religioso. I rapporti<br />

tra l'Alchimia e il Taoismo, lo Yoga,<br />

l'Ermetismo , il Sufismo e il<br />

Cristianesimo sono stati oggetto di<br />

studio di diversi autori come Mircea<br />

Eliade, di Andrè-Jean Festugère, di<br />

Henry Corbin.<br />

La seconda considera l'Alchimia come conoscenza magico-esoterica. Su questo piano di<br />

interpretazione si collocano,tra gli altri, pur con posizioni personali diversificate, Julius Evola,<br />

René Alleau, Titus Burckardt e René Guénon e più recentemente da Antoine Faivre.<br />

Una terza direzione di studi considera l'Alchimia come dimensione dell'immaginario. Gli aspetti<br />

irrazionali dell'Alchimia hanno attirato l'attenzione di alcuni studiosi della psicologia del<br />

profondo, da Herbert Silberer a Carl Gustav Jung e Marie-Luise Von Franz.<br />

Quindi l'Alchimia, l'Alchimia Tradizionale, consiste in una disciplina che comporta un lavoro<br />

fisico, di laboratorio, psicologico e spirituale, in quanto il metallo vile su cui si opera e l'oro<br />

prodotto possono anche essere interpretati come simboli dell'uomo che è alla ricerca del<br />

perfezionamento della sua natura.<br />

Vorrei concludere con le parole di Paracelso, medico e alchimista del XVI secolo : "La vera Pietra<br />

Filosofale si trova senza dubbio nell'inespugnabile fortezza della verità [...]. Tale pietra sembra<br />

vile, disprezzabile ed esecrabile alla gente comune, ma per i filosofi è più preziosa di qualsiasi<br />

gioiello [...]. E il cammino della verità, che rigenera e rivitalizza ciò che non esiste più, facendolo


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tornare ciò che era prima della corruzione, tramuta ciò che non è in ciò che dovrebbe essere.<br />

L'oro dei filosofi che rende ricchi i Saggi non è certamente l'oro con cui si coniano le monete".<br />

Sono uno studioso dell’alchimia<br />

medioevale.<br />

Mi occupo professionalmente di<br />

storia della filosofia medioevale e il<br />

mio campo dunque è una parte, un<br />

settore, un periodo di questa<br />

tradizione che, come l’introduzione<br />

di Mugnai ha mostrato, è molto<br />

ampia, multiforme e che favorisce<br />

approcci diversi, che quasi – direi -<br />

stimola la presa di posizione<br />

soggettiva dello studioso, della<br />

studiosa che l’affronta, tanto che io<br />

avevo scelto come motto per un mio<br />

libro sull’argomento una <strong>fra</strong>se di<br />

Carl Gustav Jung che dice<br />

"l’oggettività scientifica è il manto<br />

con cui l’occidente vela a se stesso il<br />

proprio cuore".<br />

Dunque non voglio presentarvi una visione ‘oggettiva’ dell’alchimia, ma quello che io ho trovato<br />

dentro a questa sapienza.<br />

Un altro grande psicologo del profondo del nostro tempo, James Hillman, scriveva una ventina di<br />

anni fa: "noi pecchiamo contro l’immaginazione ogni volta che interroghiamo un’immagine per<br />

conoscerne il significato pretendendo che le immagini siano tradotte in concetti".<br />

Tradurre immagine in concetti è una buona definizione per il lavoro filosofico soprattutto è una<br />

buona definizione della filosofia del tempo in cui l’alchimia ha conosciuto, nella nostra civiltà<br />

occidentale, il momento della sua massima fioritura: il Medioevo.<br />

Nell’età scolastica i filosofi, quelli ‘ufficiali’, quelli che stanno nei manuali di filosofia, definivano<br />

la filosofia come la astrazione delle verità universali dimostrabili che formavano il nucleo della<br />

dimostrazione, dalle immagini mentali, da quelli che loro chiamava noi fantasmi.<br />

Dunque definivano la filosofia come un abbandonare il campo delle immagini per approdare al<br />

campo dell’universale.<br />

Ora, anche gli alchimisti si definivano filosofi ma, come vedremo, intendevano questa definizione<br />

in senso molto diverso dai filosofi della Scolastica.<br />

Gli alchimisti cominciano a lasciare traccia di sé nella nostra cultura medioevale a partire dal<br />

XII secolo, quando i <strong>primi</strong> testi tradotti in latino dall’arabo introducono nell’occidente un sapere<br />

che viene recepito come novitas.<br />

Dall’arabo al latino si traducono in quell’epoca molti testi filosofici e scientifici, e quando si<br />

traduce – per esempio - un testo astronomico o astrologico si può risalire ad auctoritates dell’età<br />

classica per collocare questo sapere.<br />

Quando si traducono testi medici, anche lì ci sono autori della tarda anti chità che hanno<br />

costituito il solco di una tradizione.<br />

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Quando si traducono invece testi alchemici, arriva qualcosa che è assolutamente nuovo, qualcosa<br />

che è assolutamente inedito per quella cultura, per quell’epoca. Ma, appunto, questo qualcosa è<br />

definito, dagli autori che ne scrivono, ‘filosofia’.<br />

Gli alchimisti dunque si definiscono ‘filosofi’<br />

ma, diversamente dai filosofi scolastici, non<br />

vogliono astrarre l’universale dall’immagine,<br />

non vogliono abbandonare il sostrato<br />

materiale dell’immagine. Si può prendere<br />

come motto degli alchimisti una <strong>fra</strong>se che<br />

ricorre spesso nei testi dell’elixir, quelli che<br />

appunto all’inizio del ‘300, come vedremo in<br />

seguito, sembrano riportare alla luce il<br />

significato più <strong>primi</strong>tivo e più pieno del<br />

sapere alchemico. In molti di questi testi<br />

ricorre una <strong>fra</strong>se che in latino dice "Accipe<br />

nigrum nigrius nigro" (prendi quella cosa<br />

oscura che è più oscura dello scuro). È<br />

l’alchimista maestro che spiega al suo<br />

discepolo, perché il sapere alchemico si<br />

trasmette in una iniziazione, in un contatto<br />

diretto, familiare <strong>fra</strong> il maestro e il discepolo,<br />

e il suo discorso concerne la materia prima, il<br />

segreto centrale dell’alchimia, il cui mistero e<br />

la cui indeterminatezza sono qualcosa che non può essere tradotto in concetti. Eppure lo stesso<br />

alchimista, che insegna a partire da questa oscurità più oscura dello scuro, si definisce filosofo.<br />

La materia prima non può essere detta, non può essere definita, non può essere ridotta in parole<br />

che esprimono concetti o appunto una definizione precisa, ma deve essere indicata attraverso un<br />

paradosso per poter essere comunicata; può solo essere mostrata, eppure si deve insegnare a<br />

raggiungerla, a lavorarla: la conoscenza della materia prima deve essere veicolata da un<br />

linguaggio che però non può essere il linguaggio della astrazione.<br />

L’alchimia dunque non è una scienza dimostrativa,<br />

come invece la filosofia si propone e riesce ad essere,<br />

in età scolastica. L’insegnamento alchemico è<br />

comunicazione di una sapienza che si apprende<br />

attraverso un’esperienza multiforme, il cui scopo<br />

iniziale è quello di mettere in contatto con il<br />

substrato materiale della realtà, ed il cui scopo<br />

finale è quello di dare a questo substrato materiale<br />

della realtà la massima perfezione.<br />

L’incorruttibilità, appunto, di cui l’oro è un simbolo<br />

ed è anche una realizzazione concreta ma parziale.<br />

Questa esperienza non esclude l’esperienza<br />

intellettuale vera e propria, ma la ingloba insieme<br />

ad altri tipi di esperienza.<br />

Gli alchimisti insegnano ai loro discepo li a<br />

documentarsi sui libri, a leggere, anzi a leggere<br />

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molto perché un libro ne apre un altro, un libro dice le cose che nell’altro sono rimaste nascoste.<br />

Ma insegnano anche ad abbandonare i libri nel momento in cui non servono, nel momento in cui<br />

bisogna tacere e osservare quello che fa il maestro, nel momento in cui bisogna raccogliersi e<br />

aspettare l’illuminazione. Insegnano a non limitarsi semplicemente a leggere i libri facilmente<br />

disponibili, ma ad andarli a cercare, in una ricerca che è un viaggio, spesso figurato ma spesso<br />

anche no. Un alchimista della metà del ‘300, Leonardo di Maurperg, ha lasciato un vero e proprio<br />

taccuino dei suoi viaggi, degli incontri che ha fatto, delle ricette che ha imparato dall’uno, dei<br />

segreti che ha appreso dall’altro e dunque ci racconta quasi dal vivo quello che effettivamente<br />

era un coinvolgimento del corpo, un coinvolgimento non solo intellettuale, in questa ricerca.<br />

Quindi la ricerca, il viaggio, l’incontro casuale: tanti racconti alchemici narrano proprio della<br />

scintilla che scocca, quando uno che va alla ricerca incontra l’altro che sa - ma non sapeva dove<br />

era l’altro che sapeva, lo incontra quasi per caso, lo riconosce.<br />

Lo riconosce perché, dice un altro trattato, il Libellus de alchimia attribuito ad Alberto Magno,<br />

gli alchimisti dovunque siano si riconoscono <strong>fra</strong> loro, e se ce ne sono due o tre in una grande<br />

città, si troveranno e cominceranno a conversare <strong>fra</strong> loro. Quindi l’incontro; e poi la devozione<br />

dell’apprendista al maestro e anche l’affinamento etico, e infine l’illuminazione che può venire<br />

direttamente da Dio o può venire attraverso le parole del maestro: sono tutti modi, un mosaico di<br />

modalità con cui gli alchimisti entrano in possesso, o si potrebbe anche dire che vengono<br />

posseduti, da una sapienza che non rinuncia a voler includere la materialità del reale. Dunque la<br />

conoscenza alchemica non astrae il concetto dal fantasma, ma ne riconosce l’irriducibilità a<br />

parole: eppure si dichiara filosofia.<br />

Per non far torto a questo carattere dell’alchimia,<br />

non riducibile, appunto, a parole (per quanto<br />

possano essere non rigorosamente astratte o<br />

concettuali), ho scelto di costruire questa mia<br />

conversazione con l’aiuto di una serie di immagini.<br />

Questa scelta è anche legata al fatto che, come ho<br />

già anticipato, ritengo che un momento cruciale<br />

nella storia dell’alchimia sia il passaggio <strong>fra</strong> il ‘200<br />

e il ‘300; perché in questo sapere, che i latini<br />

avevano ricevuto dagli arabi e nel quale dapprima<br />

avevano soltanto confusamente creduto di<br />

riconoscere una specie di super-metallurgia, l’arte<br />

di fare l’oro dai metalli vili (e questo si mantiene<br />

vero per tutti i testi del ‘200), in esso a un certo<br />

punto - per una serie di influssi interni e forse<br />

anche esterni - gli alchimisti occidentali<br />

cominciano a riscoprire quello che è il senso più<br />

complessivo dell’alchimia.<br />

L’alchimia arriva così ad essere compresa come ricerca della perfezione materiale non solo dei<br />

metalli, ma anche del corpo umano: quindi una ricerca di perfezione che coinvolge lo stesso<br />

artefice, in prima persona, e anche una ricerca di perfezione che non può prescindere da un<br />

affinamento etico e dunque da una crescita spirituale dall’inizio alla fine di questa ricerca.<br />

Questo complesso di idee lo riconosciamo nei testi del primo ‘300, e in particolare in quei testi<br />

dedicati alla ricerca dell’elixir, molti dei quali sono stati tramandati sotto il nome di un filosofo<br />

che si chiamava Raimondo Lullo, una filosofo catalano contemporaneo di Dante Alighieri,<br />

http://goo.gl/nLn9r http://goo.gl/8kQH2 che di per sé non aveva scritto niente di alchimia, anche<br />

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se nelle sue opere si vede che era al corrente<br />

dell’esistenza di essa, ma anzi è diffidente nei suoi<br />

confronti. E tuttavia si cominciano a scrivere dei testi,<br />

attribuendoli a lui, che hanno, rispetto ai testi<br />

precedenti e rispetto a tutta la successiva tradizione<br />

dell’alchimia post quattrocentesca, una caratteristica<br />

estremamente interessante. Vogliono infatti<br />

chiaramente mettere in comunicazione questo sapere<br />

che nasce dal fare, da questa ricerca di un opus che<br />

produca un agente di perfezione, con il sapere filosofico<br />

del loro tempo.<br />

Il più importante, il primo di questi testi si chiama<br />

Testamentum, ed è un esempio di questo tentativo di<br />

collegare questi due piani. Usa il linguaggio dei filosofi<br />

per dire cose che un filosofo non potrebbe mai dire, per<br />

esempio che "il vero temperamento, il vero equilibrio<br />

degli elementi lo si ottiene attraverso un’operazione<br />

manuale". Un filosofo scolastico non avrebbe mai<br />

pensato che l’operazione manuale fosse una via di accesso alla filosofia: al massimo l’operazione<br />

manuale aveva una sua dignità come attività utile all’umanità, ma non una dignità filosofica.<br />

Invece l’alchimista dice proprio questo. Allora, ecco i testi dell’elixir, i testi attribuiti a Raimondo<br />

Lullo come momento nel quale io vedo confluire tutti i temi dell’alchimia in una formulazione<br />

particolarmente rilevante perché cerca il dialogo con il resto del mondo, con il resto della vita<br />

intellettuale del suo tempo. In seguito il rifiuto dell’istituzione universitaria, il rifiuto del sapere<br />

ufficiale, a confrontarsi con questo sapere alchemico, cioè ad includerlo nel novero delle<br />

discipline legittime - cioè insegnabili -, indurrà gli alchimisti a richiudersi in un ambito, sempre<br />

più ristretto, ad occultare il proprio sapere che come dice Gilbert Durand, è occulto, per noi,<br />

perché è stato occultato, in quel momento storico.<br />

Dell’alchimia pseudo-lulliana, attribuita cioè a<br />

Raimondo Lullo, esistono molti manoscritti, uno<br />

dei quali, conservato nella Biblioteca Nazionale<br />

di Firenze, è un documento splendido. È un<br />

manoscritto della fine del ‘400, che però riporta<br />

testi sull’elixir scritti nel secolo precedente, un<br />

manoscritto probabilmente confezionato per un<br />

medico, poiché sono molti in quell’epoca i medici<br />

che hanno interesse per l’alchimia <strong>fra</strong> il ‘300 e il<br />

‘400; è comunque chiaramente un manoscritto<br />

commissionato da una persona molto danarosa e<br />

contiene una serie di miniature , dipinte dal<br />

celebre miniaturista Gerardo da Cremona, che<br />

accompagnano i testi. Queste miniature stanno,<br />

in genere, nei capilet tera iniziali dei testi;<br />

quindi hanno una funzione esornativa, ma anche<br />

visualizzano dei motivi che sono, in questi testi,<br />

motivi centrali. Ecco allora perché ho scelto<br />

questa serie di miniature. Non ho portato tutte<br />

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le miniature contenute in questo manoscritto, ma una scelta che ho ritenuto particolarmente<br />

significativa.<br />

La prima immagine è proprio il primo capolettera della prima opera contenuta in questo<br />

manoscritto, il Testamentum, e ha due settori, entrambi significativi (Figura 1). L’immagine di<br />

sinistra, la donna bionda che si strappa i capelli, col volto palesemente in lacrime, è la natura<br />

che si lamenta. Il motivo di natura lugens è un motivo che percorre la poesia tardo latina e poi<br />

torna nel XII sec. e che ancora ritroviamo in Jean de Meung. Natura si lamenta e dice<br />

all’alchimista che alcuni vogliono strapparle i suoi segreti, vogliono lacerarle le vesti, afferma<br />

"morti me tradere volunt" (mi vogliono ammazzare). Riecheggia in questo lamento il titolo del<br />

libro di Carolyn Merchant, La morte della natura. La Merchant ha analizzato un accadimento<br />

storico collocandolo nel momento in cui proprio è arrivato a compimento, al tempo della<br />

rivoluzione scientifica in cui la natura come grande dea, come figura divina era ormai decaduta a<br />

oggetto dell’indagine e quindi torturabile, come diceva nel ‘600 Francesco <strong>Bacone</strong>.<br />

Nell’immagine del manoscritto<br />

abbiamo una natura che ancora<br />

è vitale ed è in grado di<br />

lamentarsi, non è ancora stata<br />

definitivamente uccisa, ma<br />

manifesta proprio nelle sue<br />

parole questo pericolo e si<br />

appella all’alchimista perché<br />

solo l’alchimista potrà<br />

comprendere i suoi segreti in<br />

maniera non lacerante, in<br />

maniera non violenta.<br />

L’alchimista infatti, come vedremo in seguito, ha un modo di rapportarsi alla natura per cui la<br />

natura gli svela volentieri i suoi segreti, perché sa che non ne farà cattivo uso, perché ha<br />

raggiunto una consapevolezza etica che gli consente di fare buon uso dei segreti di natura e una<br />

metodologia di approccio per cui interagisce con la natura ma non "la mette alla tortura" – <strong>fra</strong>se,<br />

quest’ultima, di Francesco <strong>Bacone</strong>.<br />

L’altra immagine, quella racchiusa nella lettera O, è invece un’illustrazione sintetica di che cosa<br />

è l’alchimia. La scena illustra l’angelo che guida Tobia, il Tobia biblico, nel ritorno verso casa,<br />

dove con il fiele del pesce guarirà la cecità del padre. Tobia è raffigurato un po’ più giovane che<br />

nell’episodio biblico, è un bambino (vedremo alla fine il perché di questa piccola figura di puer), e<br />

il pesce è un simbolo dai molti significati, ma qui sta chiaramente per il "farmaco’’. Dunque<br />

l’alchimia perché? Per ottenere il farmaco, non ‘un’ farmaco, ma ‘il’ farmaco, il rimedio<br />

universale. L’angelo è il segno della rivelazione, cioè indica che questo sapere alchemico è<br />

appunto un sapere dalle caratteristiche particolari. Il <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> inginocchiato, a sinistra, che<br />

ammira questa scena con devozione, è un’immagine di Raimondo Lullo. Raimondo Lullo che non<br />

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fu mai veramente <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> ma si accostò all’ordine <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> e ne divenne terziario qui è<br />

raffigurato con il saio, e quindi mostra l’alchimista nella veste di un <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>, di un<br />

<strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> probabilmente eremita perché il paesaggio è un paesaggio della campagna. Tutte le<br />

scene sono sullo sfondo di un paesaggio di questo genere, un paesaggio toscano, poiché Gerolamo<br />

da Cremona, l’illustratore, lavorava <strong>fra</strong> Firenze e Perugia.<br />

Il <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> alchimista indica anche un’altra cosa, e cioè il coinvolgimento di questo ordine<br />

nell’alchimia. In verità entrambi gli ordini mendicanti, e anche vasti settori della chiesa, si<br />

interessarono all’alchimia.<br />

Ma i <strong>fra</strong>ncescani, soprattutto i<br />

<strong>fra</strong>ncescani spirituali – cioè<br />

appartenenti a quella corrente che<br />

voleva conservare la più rigorosa<br />

adesione alla povertà e che accolgono<br />

idee tardo-gioachimite - sembrano<br />

particolarmente interessati alla<br />

ricerca alchemica dell’elixir. Ci sono<br />

molti nomi di <strong>fra</strong>ncescani associati,<br />

leggendariamente o no, alla ricerca<br />

alchemica.<br />

Passand o alla seconda immagine<br />

vediamo, sempre sullo sfondo del<br />

solito paesaggio, la fonte del sapere<br />

dell’alchimista: il raggio,<br />

l’illuminazione divina che viene<br />

dall’alto in risposta a un chiaro atteggiamento di preghiera (Figura 2). Dunque la devozione<br />

come atteggiamento che permette di ricevere un sapere che, per quanto si definisca filosofico,<br />

percorre vie diverse da quelle della filosofia aristotelica.<br />

Come ho già detto, il sapere dell’alchimista, la metodologia che l’alchimista segue per ottenere il<br />

suo prodotto, è una metodologia che lo mette in una relazione non violenta e di collaborazione e<br />

di interazione con la natura e quindi la prossima serie di immagini vogliono proprio far vedere<br />

alcuni aspetti di questo sapere.<br />

La terza immagine simboleggia l’opus alchemico nel suo complesso (Figura 3). Opus è un<br />

termine che propriamente si traduce con l’italiano "operazione", ma perde il suo sapore; e quindi<br />

il processo alchemico si continua in<br />

genere a definire con il termine latino.<br />

L’opus alchemico viene qui illustrato con<br />

l’esempio dell’agricoltura. Il parallelo <strong>fra</strong><br />

l’alchimia e l’agricoltura è presente in<br />

alcuni testi alchemici e, prima che in essi,<br />

negli scritti di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>, un<br />

filosofo del ‘200 appartenente all’ordine<br />

<strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>, che propose al papa<br />

Clemente IV un progetto di riforma della<br />

cristianità incentrato sulla sapienza<br />

alchemica, sull’astrologia e sulla scientia<br />

experimentalis in genere.<br />

Il paragone alchimia/agricoltura è<br />

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raffigurato con i due buoi che tirano l’aratro; l’eremita appare nella veste dell’agricoltore che<br />

prepara i solchi. I due buoi sono uno d’oro e uno d’argento, vera foglia d’oro e vera foglia<br />

d’argento ovviamente nella miniatura (il manoscritto è una meraviglia). E il piccolo personaggio<br />

che sta sopra il carro è Mercurio, con i piedi alati e con uno strumento musicale. È una delle<br />

prime testimonianze del legame <strong>fra</strong> l’alchimia e la musica, che poi sarà sviluppato soprattutto in<br />

età barocca. Probabilmente qui è un’allusione al fatto che l’alchimia si inserisce in una visione<br />

del mondo basata sull’armonia, la visione del mondo che noi conosciamo come dottrina della<br />

‘simpatia universale’, quella cioè per cui in un cosmo che è sostanzialmente unitario le cose si<br />

collegano <strong>fra</strong> loro non in maniera meccanica, ma per influssi qualitativi, per somiglianze, per<br />

affinità - appunto simpatie.<br />

Di fatto questa è una dottrina ermetica e l’ermetismo, ovvero la filosofia che fa capo alla figura<br />

mitica di Mercurio è lo sfondo filosofico dell’alchimia. La Tabula Smaragdina, testo ellenistico<br />

che gli alchimisti considerano come il fondamento del loro sapere, si narrava fosse stata ritrovata<br />

incisa in una tavola di smeraldo che la statua di Ermete reggeva nelle mani, in un luogo<br />

sotterraneo - quindi ritrovata al termine di un percorso iniziatico. Questo testo comincia dicendo<br />

"ciò che è in alto è come ciò che è in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto per realizzare<br />

il miracolo della realtà che è una". E quindi Ermete è presentato come il capostipite, il padre,<br />

l’origine della sapienza alchemica.<br />

La quarta figura, L’alchimista, che nell’immagine precedente preparava la terra, ora la<br />

semina con semi d’oro e d’argento, come d’oro e d’argento erano i due buoi che tiravano il carro<br />

(Figura 4). Questi sono i semi della perfezione, e l’immagine sta a significare che l’alchimista non<br />

lavora in maniera innaturale o contro natura, ma prende ciò che già esiste a livello di perfezione<br />

embrionale, appunto di seme, per portare a perfezione anche tutto il resto della realtà materiale,<br />

che i processi naturali hanno lasciato imperfetto o incompiuto. Per poter compiere ciò è<br />

necessario produrre un qualcosa, il famoso lapis philosophorum, che non è una pietra, anche se il<br />

suo nome significa ‘pietra dei filosofi’’.<br />

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Come dice Morieno, un alchimista<br />

arabo il cui testo fu il primo<br />

tradotto in latino nel XII secolo,<br />

"Ricordati bene che le pietre non<br />

hanno nessuna parte in<br />

quest’opera".<br />

Quindi lapis philosophorum è un<br />

nome emblematico per dire il<br />

prodotto incorruttibile dell’opus<br />

(anche chiamato elixir), prodotto<br />

che è ottenuto seminando la<br />

perfezione, che è come il frutto di<br />

perfezione che diffonde la<br />

perfezione, moltiplicandosi e<br />

rendendo perfetto tutto ciò con cui<br />

viene in contatto.<br />

L’interazione <strong>fra</strong> l’alchimista e la natura non è dunque uno stravolgimento o un intervento<br />

estrinseco sul corso naturale, ma è l’inserimento dell’intenzionalità cosciente umana, che vuole<br />

portare alla perfezione totale l’intero cursus naturae che, come dice il nostro alchimista nel<br />

Testamentum, talvolta si distorce, cioè devia dalla originaria direzione verso la perfezione.


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Questa direzione viene recuperata attraverso l’intenzionalità umana, la coscienza: ecco dunque<br />

l’alchimista come ‘seminatore’. Ma l’immagine del seminare è anche un’immagine che può<br />

passare dalla metafora agricola a quella sessuale: e, come vedremo, c’è uno sviluppo di questo<br />

tema. L’interazione <strong>fra</strong> l’alchimista e la natura, visualizzata come immagine femminile divina,<br />

viene ad essere pensata in termini nuziali, nei termini della coniunctio. Su questo torneremo più<br />

avanti.<br />

Nella quinta immagine<br />

vediamo l’alchimista che fa<br />

un’operazione curiosa, sta<br />

tingendo dei rami.<br />

Il riferimento immediato è alla<br />

parte di testo che ora comincia<br />

e che si intitola "rami della<br />

tintura", cioè la parte del testo<br />

che tratta del ‘tingere’. Questa<br />

espressione ci riporta alla<br />

parte manuale in senso<br />

stretto, artigianale<br />

dell’alchimia, a ciò per cui<br />

l’alchimia si definisce ed è<br />

definita una ars, non nel senso<br />

di un’arte estetica ma di una<br />

techne, cioè di un fare materiale.<br />

L’alchimia è infatti una ricerca sui materiali e perciò ha piena legittimità concepire l’alchimia<br />

anche come una madre della chimica o protochimica, come una ricerca dalla quale poi discendono<br />

anche i procedimenti scientifici della chimica. In questa ars, appunto il momento culminante si<br />

definisce tingere, perché la compenetrazione di perfezione che l’elixir opera sulle cose con cui<br />

viene messa a contatto è analoga a quella con cui una piccolissima quantità di principio del<br />

colore, per esempio della porpora diluita e lavorata e trattata in un certo modo, riesce a imbibire<br />

una grossa quantità di materiale grezzo, per esempio di stoffa. Ora però questi rami che<br />

l’alchimista sta tingendo sono rami di palma e la palma è un albero simbolico dell’immortalità,<br />

che come vedremo ricorre in un’altra immagine che incontreremo <strong>fra</strong> poco. Dunque questo suo<br />

tingere non è solo il tingere del<br />

tintore, ma ha un doppio livello di<br />

lettura: e del resto in un testo<br />

dell’alchimia dell’elixir contenuto<br />

anche in questo manoscritto, il<br />

Rosarius attribuito ad Arnaldo da<br />

Villanova, la tintura è paragonata<br />

all’anima che, portata dall’acquaspirito,<br />

imbeve il corpo materiale,<br />

rendendolo perfetto.<br />

Nella sesta figura vediamo<br />

invece un altro aspetto che è quello<br />

della cottura e del raffinamento,<br />

della separazione delle impurità<br />

dal materiale grezzo. Questa è una<br />

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delle miniature più misteriose della serie (Figura 6), perché questo materiale grezzo è<br />

raffigurato con due facce umane, chiaramente, ma come vedete sono due ‘tartari’, che all’epoca in<br />

cui viene scritto il Testamentum (più che a fine ‘400, quando vengono fatte le illustrazioni) sono i<br />

popoli assolutamente al di fuori della civiltà. Questa immagine perciò dice due cose insieme: una<br />

è che metalli, minerali, esseri viventi, sono tutti una parte dell’unità del tutto. I metalli, dice un<br />

<strong>fra</strong>mmento attribuito ad Ermete, sono anche essi animati, sono dotati di vita; ecco perché degli<br />

esseri umani possono raffigurare i metalli posti nel fuoco a purificarsi.<br />

Il testo a cui questa iniziale dà l’avvio si apre dicendo che la purificazione che avviene nel fuoco<br />

dell’alchimista fa sollevare delle nubi nere piene di mostri, che sono le impurità che si<br />

allontanano dalla materia prima che è stata messa nel fuoco. Dunque il fuoco è presentato come<br />

lo strumento dell’alchimista, e la materia prima è esemplificata da queste due teste umane ed il<br />

nero delle impurità dai mostri (chimere, bestie strane e mitologiche che stanno allontanandosi).<br />

Dunque col fuoco l’alchimista separa le componenti di una sostanza, le componenti impure, e poi<br />

distilla, cioè <strong>fra</strong>ziona una sostanza nelle sue varie componenti.<br />

La settima immagine si<br />

riferisce alla distillazione vera<br />

e propria, cioè non ad un<br />

lavoro fatto a partire da una<br />

materia prima minerale, ma<br />

ad una materia prima che è<br />

chiaramente il vino (perché c’è<br />

un torchio: Figura 7).<br />

Infatti questa iniziale si<br />

riferisce al Liber de secretis<br />

naturae, che è un testo sulla<br />

distillazione della quinta<br />

essenza, distillazione della<br />

essenza incorruttibile,<br />

luminosa, che sta nel cuore di<br />

tutte le cose ma che meglio di<br />

tutte si estrae – come dicono<br />

lo pseudo Lullo e il<br />

<strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> spirituale Giovanni da Rupescissa nel 1350 - proprio dal vino.<br />

Il vino infatti deriva dall’uva, dal frutto che racchiude in se stesso il calore vitale del sole; e<br />

attraverso questa serie di trasformazioni (sole, uva, vino, quinta essenza) l’opera dell’artefice<br />

ottiene il principio vitale, che nel calore del sole è racchiuso e che è il principio quintessenziale,<br />

la quintessenza della realtà elementare.<br />

Che il frutto dell’opus sia l’anima dei metalli, o che sia la quinta essenza del vino, è uno il<br />

principio di perfezione, che racchiude in sé due caratteristiche: è "incorruttibile", sia che sia fatto<br />

raffinando metalli, sia che sia ottenuto dal vino.<br />

La quintessenza è un prodotto che invece - dice Giovanni da Rupescissa - è sovraelementare, non<br />

si corrompe, non è né freddo né caldo né umido né secco, ma ha le funzioni di tutti gli elementi,<br />

di cui è radice unica.<br />

Ma, oltre ad essere il principio della perfezione, questo prodotto è un principio dinamico, perché<br />

questa perfezione che possiede può generarla in ciò con cui viene in contatto, dunque ha in se<br />

stesso un dinamismo di ordine vitale per cui cresce e si diffonde.<br />

E’ chiaro allora che ciò che è stato ottenuto nell’opus alchemico è un’unione degli opposti, della<br />

vita e dell’incorruttibilità, o del dinamismo e della perfezione incorruttibile.<br />

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C’è però un problema a cui gli alchimisti sono sensibili, alcuni<br />

almeno: la distillazione, o comunque le operazioni alchemiche<br />

in genere, permettono soltanto di estrarre il principio vitale<br />

dalle realtà materiali in cui è già presente, o permettono di<br />

crearlo, di farlo manualmente?<br />

E’ una problematica che nei testi arabi e nei testi latini si<br />

esprime con il privilegiare o meno, come materia prima<br />

dell’opus, sostanze che noi oggi definiamo organiche, oppure<br />

sostanze inorganiche.<br />

Cioè da una parte piante, tessuti animali, per esempio il<br />

sangue, oppure sostanze invece inerti, i metalli, i minerali.<br />

Nell’immagine ottava, si vede l’albero della palma, che è<br />

l’albero dell’opus alchemico; in esso tutte le foglie di destra,<br />

cioè le foglie sostituite da lettere, raffigurano i diversi stadi<br />

dell’opus che il testo descrive; alla base dell’albero c’è un vaso.<br />

Un vaso molto particolare: chi conosce la medicina medioevale<br />

vi potrà riconoscere un ‘orinale’, e dunque il liquido che<br />

contiene è urina umana che è il principio, la materia prima da<br />

cui si parte, secondo l’alchimista che ha scritto questo testo, il Liber de investigatione secreti<br />

occulti, per fare il lapis philosophorum, perché si deve partire da una sostanza che abbia già in<br />

sé il principio della vita.<br />

Immagine ottava, bis Questa però è l’opinione di una<br />

corrente dell’alchimia dell’elixir, perché altri alchimisti invece<br />

sostengono che si può partire da qualunque sostanza, anche<br />

dai metalli, anche dai minerali, perché il principio vitale si<br />

ottiene attraverso le manipolazioni, attraverso l’estrazione<br />

dell’anima (Figura 8 bis).<br />

Secondo questi ultimi alchimisti, l’alchimia permette in verità<br />

di estrarre da qualunque cosa, da qualunque elemento, da<br />

qualunque materia prima, l’anima.<br />

Ed essa è il filius, che l’alchimista ha ottenuto dalla<br />

gravidanza della natura.<br />

C’è un passo, che ricorre in diversi testi quasi con le stesse<br />

parole, in cui l’alchimista raccomanda al figlio: "quando avrai<br />

ingravidato la natura" cioè quando avrai lavorato la terra e<br />

avrai seminato i semi della perfezione "aspetta il parto perché è<br />

la natura che detta i tempi e non tu".<br />

Dunque si richiede all’artefice non l’atteggiamento prometeico,<br />

del fare che è dominio sopra la natura, ma la capacità di<br />

interagire con essa, saper aspettare.<br />

Si richiede dunque all’artefice una virtù che è tradizionalmente una virtù femminile, ma che è<br />

anche una virtù degli alchimisti: la pazienza cioè il saper patire, aspettare.<br />

È perché l’alchimista sa aspettare che la natura non è violentata dal suo intervento.<br />

È perché l’alchimista riconosce alla natura il suo ruolo di soggetto vivente che non la riduce<br />

appunto ad un oggetto.<br />

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Il testo introdotto dalla nona<br />

immagine non è dello pseudo-<br />

Lullo ma è attribuito ad Arnaldo<br />

da Villanova e si chiama<br />

Rosarius: ecco perché la<br />

miniatura raffigura le rose<br />

(Figura 9). Ma la rosa d’oro è<br />

anche il dono che i papi, in età<br />

tardo medievale e rinascimentale<br />

portavano alle città dove si<br />

trovavano in visita, cioè è il segno<br />

del passaggio del sacro. La rosa<br />

d’oro è anche il simbolo della<br />

perfezione materiale viva (fiore) e<br />

incorruttibile (oro). Viene<br />

spontaneo l’accostamento con<br />

quel Segreto del fiore d’oro, testo<br />

di alchimia taoista tradotto da Richard Wilhelm negli anni ‘20 del nostro secolo e commentato da<br />

Jung, testo nel quale a un certo punto si dice "quando col tempo l’opera è compiuta, è come se in<br />

mezzo al non essere ci fosse un essere". Fin qui abbiamo visto che cos’è l’alchimia; ora vediamo<br />

come si rapporta l’alchimista col sociale, chi è l’alchimista nel suo mondo.<br />

La decima immagine ci mostra che<br />

l’alchimista, l’alchimia interessa ai re<br />

(Figura 10).<br />

Il personaggio sulla destra è<br />

chiaramente un re perché ha la<br />

corona; e si può anche riconoscere con<br />

esattezza chi è, perché è il destinatario<br />

della copia di dedica del Testamentum<br />

pseudo-lulliano, Edoardo III<br />

d’Inghilterra. Ma non è affatto l’unico<br />

sovrano medievale che si interessi di<br />

alchimia: sono tanti coloro che se ne<br />

interessano, ed in particolare i sovrani<br />

si mostrano interessati alla parte<br />

metallurgica perché pensano di<br />

coniare moneta con l’oro alchemico. Da<br />

qui nasce il problema degli alchimisti come falsari, che si collega a tutta una problematica<br />

giuridica che tuttavia è articolata e complessa. C’è una tradizione, che è radicata addirittura in<br />

un breve passaggio di Tommaso D’Aquino nella Summa theologiae in cui si dice che "se gli<br />

alchimisti mediante l’opus riuscissero a fare dell’oro vero, coniare moneta con quell’oro non<br />

sarebbe peccato, sarebbe lecito"; su questa posizione si allineano diversi giuristi.<br />

Un caso emblematico di rapporto <strong>fra</strong> l’alchimia ed il potere regio si ha nell’Inghilterra del primo<br />

‘400: l’alchimia è proibita fino a che, dopo la fine della guerra dei Cento Anni, le finanze inglesi<br />

sono distrutte. A quel punto il re Enrico IV comincia a dare delle deroghe al divieto che uno dei<br />

suoi predecessori aveva istituito, e comincia a dare il permesso a singoli alchimisti, come<br />

mostrano i documenti dell’archivio inglese pubblicati nei Patent Rolls. Ci sono una serie di<br />

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lettere-patenti che dicono press’a poco: il tale può esercitare l’alchimia, purché lo faccia<br />

ovviamente per me, sotto la mia giuris dizione.<br />

Quando poi gli alchimisti non riuscivano - le tecniche di saggiatura dell’oro erano già ben<br />

conosciute e si poteva benissimo vedere che quel che veniva fuori dalle loro manipolazioni non<br />

era oro -, se non fuggivano i sovrani erano pronti a gettarli in galera e anche a ordinarne la<br />

messa a morte.<br />

Quindi le vicende degli alchimisti<br />

col potere sono controverse.<br />

Interesse da una parte, per una<br />

potenza che si avverte in questo<br />

sapere e che viene interpretata<br />

letteralmente come potenza di<br />

fare ricchezze pressoché dal<br />

nulla; dall’altra parte diffidenza e<br />

quindi pronto castigo.<br />

Esemplare è a leggenda di Lullo<br />

alchimista, che avrebbe fatto l’oro<br />

per il re Edoardo ma, poiché<br />

questi l’avrebbe usato per<br />

combattere i Cristiani anziché i<br />

Saraceni (scopo per cui Lullo lo<br />

aveva fatto) l’alchimista si<br />

oppone al re e di conseguenza<br />

viene messo in galera: anche se poi proprio nel carcere si narra che gli succedono cose<br />

meravigliose, riceve le rivelazioni degli Angeli... però è in galera.<br />

Nella successiva figura (Figura 11) vediamo invece che l’alchimista ammaestra i dottori e i<br />

filosofi; dunque l’alchimia non come potere, ma come sapere .<br />

L’alchimia si coniuga <strong>fra</strong> il ‘200 e il ‘300 con il sogno del farmaco universale che nasce all’interno<br />

della ricerca medica e farmacologica, forse sull’eco di ricerche orientali di cui <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> a<br />

Oxford poteva ben essere a conoscenza e che trova ascolto anche nella curia papale.<br />

C’è infatti molta attenzione da<br />

parte dei pontefici, dei cardinali<br />

per il farmaco che ringiovanisce,<br />

per il farmaco che mantiene il<br />

corpo efficiente. In un mondo<br />

cristiano non si può pensare al<br />

farmaco dell’immortalità in senso<br />

stretto perché questo sarebbe<br />

hybris eccessiva, ma si pensa ad un<br />

farmaco che consenta di vivere -<br />

dicono gli alchimisti - fino al<br />

termine ultimo stabilito da Dio,<br />

evitando tutte le cause di morte<br />

precoce.<br />

Questa ricerca del farmaco<br />

alchemico come medicina, panacea<br />

e elixir contro tutti i mali, sfocia in una applicazione della distillazione alla ricerca<br />

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farmacologica, a metà del ‘300, con il <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> Giovanni da Rupescissa che è uno dei<br />

precedenti di Paracelso della ricerca iatrochimica di Paracelso.<br />

Ciò che spiega perché i medici rinascimentali sono interessati a questo sapere.<br />

Nella dodicesima immagine il medico che stringe la mano all’alchimista è una persona<br />

particolare: è Arnaldo da Villanova, che compare in una versione della leggenda di Lullo<br />

alchimista, in cui si dice che Arnaldo sapeva fare la distillazione ma non ne conosceva il quadro<br />

di riferimento alchemico.<br />

Quando questo gli viene insegnato dall’alchimista i due diventano socii, condividono la stessa<br />

ricerca, e a questa comunanza di interessi allude il fatto che si stringono la mano in gesto<br />

amichevole (Figura 12).<br />

Nella figura successiva vediamo<br />

invece raffigurato l’interesse dei<br />

religiosi per la ricerca alchemica<br />

(Figura 13). Il monaco vestito di<br />

bianco è un certosino; e infatti<br />

l’illustrazione è riferita al Liber de<br />

secretis naturae, che l’alchimista<br />

avrebbe scritto su richiesta di un<br />

monaco della Certosa Parigina.<br />

Quello che qui viene illustrato è il<br />

momento in cui l’alchimista<br />

consegna al monaco il libro che gli<br />

è stato richiesto.<br />

Di fatto ci sono numerosi divieti di<br />

praticare l’alchimia rivolti dagli<br />

ordini religiosi ai propri membri;<br />

ma proprio il ripetersi però di questi divieti mostra che in realtà i religiosi praticavano la ricerca<br />

alchemica con tutte le implicazioni che questa ha relativamente alla salvezza del corpo e alla<br />

salvezza spirituale, con la sua richiesta di perfezionamento anche etico, di disposizione religiosa<br />

nei confronti della natura e naturalmente anche di ricerca medica dell’elixir.<br />

Del resto tutti quei liquori che nelle Certose, nelle fondazioni di antica memoria ancora si<br />

producono, testimoniamo una tradizione di distillazione che poi si è certo abbassata a scopi più<br />

utilitaristici, ma che è radicata in questo sapere.<br />

C’era, in Italia, un ordine religioso che fu soppresso alla fine del ‘600, fondato dal senese<br />

Giovanni Colombini dopo la peste nera verso il 1365/67 per assistere gli ammalati di peste e i<br />

moribondi, che venne presto ribattezzato "I Frati Speziali" o "I Fratelli dell’Acquavite". In tutte<br />

le fondazioni di questi Gesuati, c’erano officine di distillazione, perché era coi farmaci distillati<br />

che essi curavano i malati gravi e i moribondi.<br />

Un testo attribuito ad Arnaldo da Villanova racconta del resto come si possa ottenere mediante<br />

la distillazione un farmaco che è in grado di risuscitare i morti," vel quasi" – dice -, insomma non<br />

proprio del tutto.<br />

Cioè si può far sì che una persona che sta malissimo, che sta perdendo i sensi, che se ne sta<br />

andando all’altro mondo, ma che non ha fatto in tempo a fare testamento o a confessarsi, si<br />

riprenda con questo prodotto alchemico, detto appunto perciò elixir vitae, quel tanto che basta<br />

per mettersi in pace con Dio e con gli eredi: e pare che i Gesuati di questa possibilità vel quasi ne<br />

abbiano forse un po’ abusato.<br />

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Nella figura che segue vediamo<br />

l’autorità massima del mondo<br />

medievale, il papa. Questa<br />

immagine però non è molto lineare<br />

come leggibilità, è la più misteriosa<br />

(Figura 14). Questo animale, volpe<br />

o furetto che fa cadere il triregno<br />

dalla testa del papa, io (e gli altri<br />

studiosi che hanno analizzato<br />

questo manoscritto) non riesco a<br />

interpretarla. Quello che si capisce<br />

è che c’è una certa animosità <strong>fra</strong><br />

l’alchimista e il papa. L’alchimista<br />

agita il vaso della materia prima in<br />

maniera leggermente<br />

intimidatoria, mentre il papa –<br />

pare - sta perdendo di fronte<br />

all’altro il simbolo del suo potere: ed ecco che riappare quel piccolo puer, vestito come nella prima<br />

immagine, che mi induce a pensare che questa immagine indichi una contesa sul sacro e indichi<br />

dunque l’aspetto negativo che fa da pendant all’aspetto positivo dell’alchimia come complemento<br />

ad un discorso religioso che ha trascurato il versante della materia: ma su questo rinvio al testo<br />

di Carlo Cicali e Dario Squilloni. Di fatto, nella perfezione alchemica della materia è possibile<br />

innestare il rinnovamento della chiesa, come <strong>Bacone</strong> aveva auspicato, come il puer dell’immagine<br />

sembra mostrare, ma anche leggervi la minaccia di rovesciamento del potere temporale: e il<br />

legame della ricerca alchemica con i movimenti spirituali del tardo medioevo – cui ho già<br />

accennato - sembra andare piuttosto nella seconda direzione.<br />

La conflittualità con la figura massima della cristianità si manifesta in alcuni fatti storici: la<br />

condanna degli alchimisti come falsari che pronunciò Giovanni XXII, la persecuzione contro gli<br />

alchimisti da parte dell’inquisitore della corona d’Aragona Nicola Eimerich alla fine del ‘300, che<br />

contraddicono l’interesse che i papi e i cardinali avevano mostrato per la ricerca dell’elixir <strong>fra</strong> il<br />

‘200 e il primo ‘300, che chiudono questa possibilità, forse perché appunto è stato compreso che<br />

l’alchimia conteneva una visione del mondo che non poteva andar d’accordo con quella che il<br />

potere ecclesiastico, alla fine del medioevo, sosteneva. Ecco allora l’alchimia che, a quel punto,<br />

rifiutata dalle università, osteggiata dall’autorità massima e ambiguamente favorita dal potere<br />

secolare, si rintana, si rinchiude in una sua sfera di ricerca, si occulta e diventa ciò che per noi<br />

oggi è una ‘scienza occulta’. E allora che vuol dire, che senso ha riprendere oggi in considerazione<br />

una ricerca di questo tipo? La risposta, o almeno la mia motivazione, è radicata sia nel discorso<br />

di Jung, su cui però qui non mi soffermo, sia in un discorso che emerge da ricerche sulla<br />

tradizione esoterica per esempio in Francia. Ritornare all’alchimia non vuol dire dedicarsi a<br />

stranezze o concedersi delle divagazioni, per quanto affascinanti, ma cercare di rimettere a tema<br />

del pensiero un materiale che non si presenta così unilaterale, così astratto, così<br />

schematicamente universale come la definizione di scienza e di filosofia nella modernità di fatto<br />

sono. L’alchimia è stata definita da una studiosa <strong>fra</strong>ncese contemporanea, Françoise Bonardel "il<br />

continente nero del pensiero occidentale", riprendendo coscientemente quella definizione che<br />

Freud ha dato delle donne e del femminile. Continente nero in cui il pensiero occidentale ha<br />

cessato - dice Bonardel - di volersi avventurare in un dato momento della sua storia. Ecco,<br />

tornare a questo sapere significa fare un passo indietro rispetto a quel momento della storia in<br />

cui il pensiero moderno ha messo le basi per l’unilateralità e per la violenza contro la natura che<br />

lo caratterizzano, e ritrovare un sapere simbolico che - per usare una <strong>fra</strong>se di Paul Ricoeur - "dà<br />

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da pensare". Il simbolo dà da pensare. Il simbolo non è qualcosa da cui si astrae un concetto, ma<br />

è qualcosa su cui si lavora anche col pensiero per andare oltre, per superare questo<br />

atteggiamento prometeico unilaterale della coscienza occidentale. Dunque l’alchimia come<br />

sapienza, che superando questo atteggiamento prometeico suggerisce, indica, dà da pensare un<br />

nuovo rapporto possibile tra gli esseri umani e il mondo. Un prendersi cura del mondo nella sua<br />

materialità, un’interazione cosciente volta alla perfezione di entrambi i soggetti di una relazione,<br />

quella <strong>fra</strong> esseri umani e natura, che costituisce anche la nostra realtà.<br />

Dibattito<br />

- [Pubblico] Quando parlava sul tema della distillazione, dell’estrazione di un’essenza che in<br />

qualche modo supera l’aspetto materiale, mi sembra che facesse emergere degli echi in un certo<br />

senso heideggeriani. Nel pensiero di questo filosofo, il tema del disvelamento del naturale<br />

prefigurava un finale positivo, una techne positiva, mentre la lettura, l’approccio di tipo ecologico<br />

è di segno opposto. Nell’ars, nella techne, nell’atteggiamento di non violenza degli alchimisti nei<br />

confronti della natura mi sembra di sentire in fondo una sorta di insegnamento attualizzabile.<br />

- [Pereira] Sì! È il tema della trasformazione possibile e delle modalità possibili per trasformare.<br />

Gli alchimisti non sono sostenitori del ‘non intervento’, anzi sono sostenitori del fatto che la<br />

coscienza, il possesso dell’intenzionalità dà all’essere umano la possibilità, anzi l’obbligo in<br />

qualche modo di portare l’opera di perfezione al suo compimento. Opera di perfezione che gli<br />

alchimisti, come Cristiani, ovviamente vedono iniziata da Cristo, ma rimasta incompiuta, perché<br />

Cristo ha redento il piano spirituale, le anime, mentre è rimasto da redimere tutto il piano dei<br />

corpi e della materia. Dunque la tecnica come una possibilità positiva; e del resto <strong>Ruggero</strong><br />

<strong>Bacone</strong>, che è appunto un personaggio chiave per capire gli sviluppi dell’alchimia <strong>fra</strong> il ‘200 e il<br />

‘300, è convinto che le tecniche, anche quelle che oggi a noi sembrano le più astruse e quelle che<br />

anche ai suoi tempi venivano identificate con la magia e quindi con le arti dell’Anticristo,<br />

possano e debbano essere utilizzate dai Cristiani nella loro guerra contro l’Anticristo e per lo<br />

sviluppo morale dell’umanità. <strong>Bacone</strong> colloca l’alchimia nel sesto livello della sua enciclopedia<br />

delle scienze, in quei tre testi che dedica al Papa Clemente IV chiedendogli di intervenire per<br />

riformare gli studi e, attraverso gli studi, la cristianità; al settimo livello cioè al più alto quello a<br />

cui introducono le conquiste della scientia experimentalis (tra le quali c’è l’alchimia), c’è la<br />

morale. Dunque c’è una enciclopedia delle scienze che parte dal dato rivelato, dalla conoscenza<br />

biblica attraverso le lingue, attraverso la matematica, l’ottica (perché rivela il la modalità<br />

radiante in cui con cui tutte le realtà si influenzano l’una all’altra) e poi appunto le scienze<br />

sperimentali. E dopo il completo possesso di tutte queste scienze, l’apertura ad un ‘sogno<br />

tecnologico’ che per l’epoca medievale appare incredibile (si potranno fare – scrive <strong>Bacone</strong> - navi<br />

che possono scendere sotto l’acqua con degli uomini dentro, carri che si muovono da soli ecc.): ma<br />

tutto questo ha come scopo il perfezionamento morale dell’umanità. Questa pagina di <strong>Bacone</strong> è<br />

stata ripresa all’epoca del secondo <strong>Bacone</strong>, cioè nel ‘600, per dimostrare come si può dominare la<br />

natura. Ma all’epoca del primo <strong>Bacone</strong> non c’era una volontà di dominare la natura: nei testi<br />

alchemici di quest’epoca non c’è la parola né il concetto dl dominio, c’è piuttosto l’idea<br />

dell’interagire, del portare a una perfezione che è della natura e dell’artefice, dell’artefice e della<br />

natura. Non si può distinguere, a quell’altezza cronologica, <strong>fra</strong> una alchimia spirituale e<br />

un’alchimia operativa. L’alchimia operativa chiede e dà perfezione spirituale, la chiede come<br />

esigenza iniziale e la conferisce come sapienza accresciuta alla fine; e viceversa il vero sapiente<br />

non può poi che, in qualche modo, esplicare la sua sapienza operando, quindi facendo. Insomma<br />

si può vedere l’alchimia oggi come ‘cibo per il pensiero’, nel senso di materiali che permettano di<br />

immaginare, prima ancora che per pensare altre modalità di intervento umano sulla natura. Le<br />

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operazioni che gli alchimisti facevano oggi non sono più un lavoro sull’ignoto: sappiamo cosa vuol<br />

dire, distillare, conosciamo le formule chimiche delle sostanze, in pratica chiunque ne abbia un<br />

minimo di voglia si può comprare l’attrezzatura, i libri e impara e fa le quintessenze di tutto<br />

quanto con risultati mirabili, più che ai tempi di Paracelso. Ma il problema dell’alchimia – quello<br />

che si manifesta nel discorso della materia prima - significa sapersi mettere in contatto con ciò<br />

che è ignoto, con ciò che è più oscuro dello scuro e saperci stare in relazione, sapendo che quella<br />

relazione è fruttifera per l’umana coscienza e per l’oscurità della materia . Questo appunto non è<br />

oggi traducibile forse nelle tecniche che per gli alchimisti erano innovative e misteriose, ma è<br />

certamente pensabile nel rapporto <strong>fra</strong> gli esseri umani e questa cosa misteriosa che è lo<br />

strapotere che il nostro stesso operare ha assunto su di noi.<br />

- [Pub.] Io volevo fare una piccola provocazione, a questo punto, visto che l’operare può<br />

determinare dei cambiamenti sia nella materia prima sia nell’operatore. Ho letto che certe<br />

ricerche di alchimisti hanno portato a delle scoperte straordinarie, eccezionali, scoperte che<br />

anche alchimisti più moderni hanno cercato di ricreare. Qualche studioso riferisce - e lo<br />

riportano anche dei fisici - che probabilmente qualche cosa è successo e presumibilmente questo<br />

qualche cosa è successo grazie a un certo potere dell’operatore sulla materia. Questo significa, in<br />

pratica, che in qualche modo la mente può determinare una alterazione o comunque che il<br />

soggetto non può essere completamente fuori dal fenomeno alchemico che riguarda la materia.<br />

La mia provocazione consiste in questo: ci sono studi che hanno cercato di dimostrarlo? Anche<br />

nell’antichità, ovviamente… E, se ci sono, che cosa è stato visto? Quali sostanze sono state<br />

ottenute? Si parla di oro che non è oro ma che è simile a oro; potrebbe esserlo ma non è proprio<br />

oro…<br />

- [Per.] Credo di capire che l’autore a cui ti riferisci è Titus Burkhardt. La sua posizione a me<br />

appare irritante, ancor prima che provocatoria, perché non da’ modo di capire alcunché, né della<br />

disposizione psicologica, né di cosa effettivamente stesse facendo, né di cosa effettivamente ha<br />

visto accadere; e se mi dice che è cosa che si dice solo ad un iniziato, allora io gli chiedo perché<br />

l’ha scritto in un libro che è regolarmente in commercio. Il problema è questo. C’è almeno un<br />

autore che è passato nella cultura latina in maniera abbastanza limitata come numero di scritti,<br />

ma che ha influenzato per l’appunto <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>, nell’opera in cui presenta la teoria<br />

dell’irraggiamento, il De multiplicatione Specierum, che sembra avere dei fili abbastanza solidi<br />

di collegamento con il tema dell’agente di perfezione che perfeziona. Questo autore noi lo<br />

conosciamo come addirittura " il filosofo degli arabi ", Al Kindi, il cui sapere risulta essere<br />

radicato nella sapienza orientale dei Sabei di Harran; egli sosteneva che gli astri e anche i corpi<br />

elementari e qualunque sostanza emettono dei raggi e che questi raggi sono il collegamento <strong>fra</strong> le<br />

sostanze (cause) e gli effetti che si producono. E però, secondo Al Kindi, non c’è un legame di uno<br />

a uno, <strong>fra</strong> causa ed effetto, ma ogni effetto è determinato da tutti i raggi che convergono su di<br />

esso e ogni causa, ogni sostanza irradiante emana raggi da tutta la sua sostanza, quindi in ogni<br />

direzione. Questo significa che tutta la realtà è determinata, ma che questo determinismo è<br />

talmente complesso che non possiamo conoscerlo: dunque il determinismo ontologico produce<br />

indeterminismo epistemologico. Significa inoltre che il mago, colui che conosce questo modo di<br />

agire, può modificare se stesso come centro emanante raggi e può in questo modo modificare la<br />

realtà senza uscire dal determinismo naturale, senza introdurre quindi un elemento estraneo,<br />

agendo all’interno della natura e secondo le sue leggi. Dunque questo autore, che pensava e<br />

scriveva nel IX/X secolo, pensava in termini di feed-back ...Ecco, se questo sia la stessa cosa che<br />

dice Burckhardt non lo so. Personalmente mi irrita meno Al Kindi di Burckhardt. Questo però<br />

non vuol dire che la modifica di se stesso sia una modifica ‘spirituale’ (nel senso di ‘mentale’), cioè<br />

quello che si intende banalmente quando si parla del valore spirituale o addirittura metaforico<br />

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dell’alchimia, come se l’alchimia fosse una pia favoletta per cui gli alchimisti parlano delle cose<br />

che fanno, ma vengono interpretati come se le loro operazioni come se fossero pensieri,<br />

immaginazioni o addirittura fantasticherie. Non è così: il mago che si trasforma, per trasformare<br />

fa qualcosa di se stesso, con se stesso, che non è limitato al pensare di far qualcosa, cioè agisce a<br />

un livello materiale, anche se il livello materiale dei raggi è un livello materiale sottile, ovvero<br />

non la materia densa, dei corpi concreti. Certo è che <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> prende l’avvio da qui<br />

quando parla non mi escono più le parole di moltiplicazione delle specie. Quando poi gli<br />

alchimisti parlano di moltiplicazione dell’elixir o della perfezione indotta dall’elixir, forse si<br />

muovono ancora su quel piano. E questa concezione di fondo la possiamo forse riconoscere in una<br />

pratica che ha qualche radice nelle ricerche post-paracelsiane, e cioè nella medicina omeopatica,<br />

in cui si ritiene che il farmaco agisca a partire dall’assottigliamento che corrisponde ad una<br />

capacità di potenza, quindi a una capacità di azione più profonda e tendenzialmente più<br />

risonante (non voglio dire più ampia perché più ampia è un termine troppo ‘spaziale’ e concreto).<br />

Anche in questo caso si può pensare che siamo in un ambito di discorso che è sempre un discorso<br />

sulla realtà naturale, ma in cui la realtà naturale non è soltanto, appunto, tavole e sassi cioè non<br />

è soltanto il concreto materiale<br />

- [Pub.] È energia.<br />

- [Per.] È un modello probabilmente energetico, si!<br />

- [Pub.] A proposito dell’alchimia al tempo medievale, cui si riferiva, in letteratura ci sono diversi<br />

esempi. Volevo sentire da lei, non so… Dante…<br />

- [Per.] Dante definisce l’alchimia come imitazione della natura, e dunque sembra stare dentro la<br />

visione duecentesca dell’alchimia come formazione di metalli perfetti, di metalli nobili a partire<br />

dai metalli vili; e anche sembra non particolarmente favorevole all’alchimia, dato che mette<br />

all’inferno i due alchimisti (Divina Commedia, Inferno, XXIX, vv. 118-120 Griffolino: "nell’ultima<br />

bolgia delle diece / me per l’alchimia che nel mondo usai /dannò Minòs"; 133-139 Capocchio: "sì<br />

vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio, / che falsai li metalli con alchimia: / e te dee ricordar, se<br />

ben t’adocchio,/ com’io fui di natura buona scimia"). Però poi c’è tutto un filone di letteratura<br />

esoterica, che interpreta Dante e la Commedia come un poema alchemico che appunto, secondo<br />

me, va nell’ordine dell’intendere l’alchimia come metafora di qualcosa d’altro. Si possono trovare<br />

delle utilizzazioni della terminologia alchemica: per esempio termini della distillazione nei<br />

trovatori; questo mostra che l’alchimia era un sapere più diffuso di quello che noi pensiamo <strong>fra</strong> il<br />

XII e il XIII secolo. Ci sono scambi: la cultura dei trovatori si svolge in ambienti che sono un<br />

secolo dopo, certamente propensi ad aprirsi all’alchimia. Per il XII secolo e la prima metà del<br />

XIII sappiamo poco, ma per esempio ci sono certamente interessi alchemici alla corte di Federico<br />

II.<br />

- [Pub.] Mi veniva in mente di quando si fanno riferimenti alle influenze delle pietre sull’uomo; è<br />

un discorso che si può riferire all’alchimia?<br />

- [Per.] Quello delle pietre è un discorso che fa parte sempre della filosofia ermetica però non<br />

coinvolge il fare umano. Le pietre semplicemente si incastonano, si portano addosso ...<br />

- [Pub.] Però si polverizzavano.<br />

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- [Per.] E poi si possono anche ingerire, sì, quindi c’è tutto un settore di medicina magica,<br />

talismani ecc. che fa parte di tutto quell’insieme ermetico cui appartiene anche l’alchimia.<br />

- [Pub.] Anche la perla…<br />

- [Per.] La perla è un esempio interessante.<br />

- [Pub.] Si faceva farina.<br />

- [Per.] Dentro l’alchimia pseudo lulliana c’è probabilmente l’origine di quelle che sono le perle<br />

che oggi si comprano noi per gioielli, le perle di Maiorca. Alcuni testi pseudo lulliani insegnano<br />

come fare perle che hanno le stesse virtù delle perle naturali (perché la perla ha virtù come<br />

farmaco magico ed è estremamente pregiata nella farmacologia medievale). Dunque c’è come una<br />

zona di commistione <strong>fra</strong> gli usi magico-medici e le preparazioni medico-alchemiche dove però si<br />

può distinguere, vedendolo anche dal versante dei testi letterari, e riconoscere una visione<br />

globale del mondo improntata a quello che appunto dicevo come unitarietà e armonia di tutte le<br />

cose, in cui tutto risponde con tutto e dunque le pietre, gli esseri umani, gli animali e le<br />

manipolazioni degli uni e degli altri; però il discorso sulle pietre preziose non è ‘alchemico’ in<br />

senso stretto.<br />

- [Pub.] Tutto il discorso sulla scolastica e cioè su un linguaggio, una ricerca, una metodologia di<br />

progressiva astrazione e quindi, in qualche modo, di una distillazione in cerca dell’universale, è<br />

oggetto di critica in questo particolare periodo che tu hai appena descritto. Fra l’altro, nelle<br />

immagini molto belle che ci hai fatto vedere, la ricomposizione dell’uno - dove per ricomposizione<br />

dell’uno si intende la coniunctio oppositorum - è evidente: argento e oro, la rosa dorata, i semi<br />

d’oro e d’argento gettati nel terreno arato dal toro d’oro e d’argento ecc. ecc. Il prodotto di questa<br />

unione riunisce in sé i due elementi. Mi veniva spontaneo ricollegare il tentativo del <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>,<br />

sbattuto in faccia ad un papa evidentemente indegno della sua tiara, all’immagine di Tobia che<br />

ritorna - dopo un percorso alchemico, possiamo dire - per riaprire gli occhi al padre, cioè per<br />

fargli ritrovare la giusta ottica sulle cose, se mi si permette la metafora. Questo mi sembrava<br />

molto in contrapposizione… quasi come un voler far ritrovare una vera sapienza a chi aveva<br />

fatto di una filosofia troppo scotomizzante - e quindi in qualche modo distillatoria - la materia<br />

prima. Ecco, come si conciliano queste immagini di aratura e semina, di questi semi doppi,<br />

opposti, di questo sole e questa luna, di questo oro e questo argento? Sembra si voglia<br />

nuovamente confondere queste cose, unirle, mentre il prodotto di una distillazione, come<br />

processo, appare, per lo meno a prima vista, un qualcosa che scotomizza, che tende a liberare<br />

impurità successive e quindi a scindere in qualche modo gli elementi <strong>fra</strong> di loro.<br />

- [Per.] La distillazione degli alchimisti è un separare è uno scindere in vista del riunire. Come<br />

per seminare l’oro e l’argento, questo prima non l’ho detto, bisogna averli dapprima purificati,<br />

ottenuti nella loro forma pura: cioè il seme d’oro e il seme d’argento non è un pezzetto d’oro o un<br />

pezzetto d’argento presi dalla miniera o dalla sabbia, ma è l’oro e l’argento naturale purificato<br />

alchemicamente. Dunque la distillazione alchemica è un processo di purificazione e di<br />

separazione per la riunione per riunire. Ora dall’altra parte, io dubito che si possa definire<br />

l’astrazione scolastica come distillazione. Astrarre il concetto dal fantasma, estrarre la species<br />

tecnicamente dal fantasma non significa (penso a Tommaso come esposizione esemplare), non<br />

significa propriamente prendere il fantasma come qualcosa che c’è già. La struttura concettuale<br />

non c’è come tale, non è come l’osso nella polpa che quindi io devo estrarre, ma è qualcosa che<br />

l’intelletto agente, una delle due potenze razionali dell’anima intellettuale, produce a partire dal<br />

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fantasma; cioè che l’intelletto agente fa trasformando la potenzialità dell’intelletto possibile in<br />

attualità del concetto. Dunque c’è come una sostituzione a livello di conoscenza razionale di ciò<br />

che è stato portato fino ad un determinato livello, quello appunto dell’immaginario, a partire dal<br />

sensibile (l’oggetto sensibile colpisce il senso, il quale recepisce ovviamente in maniera materiale<br />

perché è colpito passivamente e poi trasmette al sensorio comune e alla fantasia, alla sede<br />

dell’immaginazione in cui l’immagine è smaterializzata, ma questa ancora non è l’astrazione,<br />

non è il concetto, è immagine del singolare). Il concetto è qualcosa che viene costruito<br />

dall’intelletto agente a partire dallo stimolo offerto dal fantasma di questo singolare, un qualcosa<br />

che mi permette di tornare in maniera diversa all’oggetto. Cioè è un concetto universale, è<br />

un’attività creativa quella dell’intelletto agente, non un’attività distillatoria. L’ultimo prodotto<br />

che io ottengo e che Tommaso chiama il verbum interius, la parola interiore, non ha più legame<br />

effettivo con l’oggetto, me lo rappresenta ma non è derivato dall’oggetto.<br />

- [Pub.] Caso mai contiene tutti gli oggetti possibili.<br />

- [Per.] Caso mai contiene tutti gli oggetti possibili, ma li contiene in una maniera per cui non<br />

contiene nessun oggetto non è in relazione di dipendenza da nessun oggetto. La distillazione che<br />

fanno gli alchimisti, invece, è una separazione delle componenti della materia che sono in ogni<br />

sostanza materiale data. Le cose sono composte quantitativamente secondo un più e un meno,<br />

cioè formano dei composti che sono instabili, che sono non perfettamente temperati; e<br />

l’alchimista separa queste componenti e le ricompone secondo una proporzione che è quella del<br />

temperamento perfetto, quindi dell’equilibrio. Per cui non toglie e non aggiunge, ma rimescola, fa<br />

circolare - dice per esempio il Rupescissa - questa quintessenza che si ottiene dalla distillazione.<br />

Nel testo classico sull’alchimia distillatoria, il Liber de consideratione quintae essentiae di<br />

Giovanni da Rupescissa, si insegna a mettere il vino, il prodotto di partenza in un vaso chiuso<br />

ermeticamente. Il sigillo di Ermete (le nostre chiusure ermetiche derivano in ultima istanza da<br />

esso) era un tipo particolare di amalgama, con il quale si tappavano i vasi. Quindi si chiude in un<br />

vaso chiuso, sigillato ermeticamente e lo si mette sul fuoco in modo che prima una parte si separi<br />

e poi ricada sulla sostanza di sotto; poi si procede a separare la seconda <strong>fra</strong>zione – come diremmo<br />

oggi - e la terza e la quarta (corrispondenti ai quattro elementi, terra, acqua, aria, fuoco). Questa<br />

circolazione si fa cento volte, mille volte: i numeri sono come puramente indicativi, stanno per un<br />

numero tendenzialmente infinito di volte e questo continuo circolare fa sì che il prodotto che si<br />

ottiene alla fine che sia lo stesso materialmente di quello che si aveva all’inizio, ma trasformato<br />

nella sua propria quintessenza. Cioè in quella matrice della sua realtà elementare che a questo<br />

punto è splendent - dice il Rupescissa, e aggiunge - è splendente di colore azzurrino e se a quel<br />

punto tu apri il vaso, tu sentirai un profumo così meraviglioso che tutti gli uccelli che svolazzano<br />

nei dintorni, accorreranno tutti lì dentro attratti anche loro da questo profumo. Cioè è un<br />

prodotto che non ha più nulla del prodotto materiale che era stato inserito all’inizio, eppure non<br />

è niente di diverso da quello. Questo non è neanche lontanamente paragonabile al processo<br />

dell’astrazione e della conoscenza per astrazione in Tommaso.<br />

- [Pub.] Un’altra cosa. Nelle immagini che si sono viste, il rapporto coi due poteri, quello<br />

temporale e quello spirituale, è rappresentato in forma storico allegorica semplicemente oppure<br />

c’è una differenza, per cui il potere temporale impersonato dall’imperatore ha, agli occhi<br />

dell’alchimista, maggiori possibilità di incontro con l’opus, dato che gli viene consegnato il<br />

volume - ancora una volta doppio, mezzo d’oro e mezzo d’argento -, mentre il papa, con<br />

quell’orina quasi sbattuta sugli occhi, sembra irrimediabilmente condannato a un tuffo nella<br />

materia prima?<br />

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- [Per.] È una domanda interessante. Nel manoscritto io ho sempre letto le immagini come<br />

richiami a personaggi specifici, anche perché per esempio rispetto al rapporto con il re c’è, sia la<br />

dedica del Testamentum, sia la leggenda, sia un sacco di notizie storiche relative. Quindi non mi<br />

sono mai chiesta in questi termini se, tendenzialmente l’alchimista ha maggior feeling col potere<br />

non ecclesiastico. Di fatto è così, storicamente è così, cioè fino nella modernità le corti, o almeno<br />

alcune corti, si aprono alla ricerca alchemica, mentre invece la chiesa chiude con la condanna di<br />

Giovanni XXII e poi dell’Inquisitore, dunque nel ‘300. Però è interessante come elemento su cui<br />

pensare.<br />

- [Pub.] In una delle immagini c’è una figura con uno strumento musicale. Che cosa c’entra la<br />

musica nel processo alchemico? È uno strumento di contatto con qualcosa di superiore?<br />

- [Per.] Dicevo che quella è, che io sappia, la prima raffigurazione, e del resto nella tradizione<br />

testuale medievale non c’è cenno a questo. È un qualcosa in più che, anche in quell’immagine,<br />

potrebbe essere semplicemente legato alla raffigurazione convenzionale di Hermes, Mercurio,<br />

però certamente suggestivo della collocazione ermetica del sapere alchemico. Ora c’è un testo dei<br />

<strong>primi</strong> decenni del ‘600, l’Atalanta Fugens di un alchimista tedesco, Michael Maier, in cui per la<br />

prima volta la corrispondenza di alchimia e musica è messa a tema. L’Atalanta Fugens è<br />

costruito come una serie di motivi, di emblemi alchemici ai quali corrisponde una serie di ‘fughe<br />

musicali, fughe nel senso tecnico della parola, che illustrano anche nella forma il tema del titolo.<br />

Atalanta inseguita da Ippomene fugge, lancia i pomi ecc. ecc. E questo viene preso come simbolo<br />

della ricerca alchemica nel suo complesso: ogni punto, ogni stadio dell’opus ha quindi una sua<br />

musica. Siamo però in piena epoca barocca, non ci sono riprese successive di questo tema, rimane<br />

quest’exploit di Michael Maier neanche particolarmente studiato o particolarmente compreso.<br />

Molto suggestivo ma niente di più. Forse è oggi, cioè nell’ambito della ricerca artistica<br />

d’avanguardia che questo tipo di suggestione qualche vola si è ripresentato. Però io qui mi<br />

avventuro male perché conosco veramente poco di questo tipo di problematiche. Storicamente,<br />

l’unica cosa che si può dire è che se c’è un legame, c’è un legame nel nome di Hermes. Il testo di<br />

Maier a me <strong>fra</strong> l’altro dà anche l’impressione certe volte che sia un testo da leggere con una<br />

doppia lettura: perché Atalanta, che è poi raffigurata come la terra incinta potrebbe anche<br />

rappresentare una critica che Maier fa agli alchimisti del suo tempo. Quindi onestamente non lo<br />

so. È un tema sul quale ho visto pochissime ricerche. Ho interpellato qualche amico musicologo<br />

ma ho ottenuto solo risposte vaghe relative a qualche compositore contemporaneo. Ma nell’età<br />

contemporanea, dopo la ripresa di questi temi col futurismo, quando sul piano della creazione<br />

artistica qualcuno teorizza di riallacciarsi oppure di fatto si riallaccia a temi della tradizione<br />

alchemica, questo assume un senso diverso dalla riflessione sull’alchimia come fenomeno storico.<br />

Introduzione alla storia dell'artiglieria<br />

Quando il primo colpo di cannone esplose <strong>fra</strong>gorosamente su un campo di battaglia, dando avvio<br />

alla più grande “rivoluzione” della storia militare, il materiale che fece da propellente al<br />

proiettile non fu la polvere da sparo, ma la mente degli uomini. Quel giorno era iniziata la corsa<br />

a rendere sempre più letale il connubio tra un tubo metallico e il suo contenuto, una gara<br />

intellettuale di cui ancora non vediamo la fine.<br />

L’invenzione della polvere da sparo, miscuglio di salnitro, carbone di legna e zolfo, è immersa<br />

nelle nebbie della storia. Forse i Cinesi disponevano già prima dell’anno mille di qualche mistura<br />

incendiaria, più simile ai fuochi di artificio in realtà che alla polvere da sparo, basata sul<br />

salnitro. È infatti questo sale la componente fondamentale della polvere da sparo, perché<br />

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contribuisce al composto con le sue qualità ossidanti, ovvero fornisce l’ossigeno necessario<br />

affinché il carbone di legna finemente triturato bruci così velocemente da produrre un’esplosione.<br />

Migliore la qualità del carbone di legna e maggiore sarà lo scoppio, ma qualsiasi materia<br />

organica altamente infiammabile può essere usata al suo posto. Lo zolfo, la parte minore del<br />

composto, fa praticamente solo da innesco, avendo una temperatura di infiammabilità inferiore a<br />

quella del salnitro. L’accensione della polvere provoca la subitanea produzione di gas che<br />

moltiplicano il volume originario della miscela e generano l’effetto esplosivo.<br />

Tutto apparentemente semplice, con materiali conosciuti fin dall’antichità, compreso il nitro che<br />

è citato da Plinio Seniore nella sua “Storia naturale” e forse persino nella Bibbia. Eppure tutto<br />

anche tremendamente complesso, perché imbrigliare l’energia prodotta dalla polvere da sparo e<br />

scoprire come usarla efficacemente in guerra fu un processo secolare, lento ma inarrestabile,<br />

alimentato dalle menti di innumerevoli protagonisti.<br />

La prima “ricetta” affidabile della polvere da sparo è descritta dal <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> e alchimista<br />

inglese <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> a metà del XIII secolo nell’opera “De Secretis Operibus Artis et Naturae"<br />

e consiste di 7 parti in volume di Salnitro, 5 di carbone di nocciolo e 5 di zolfo. <strong>Bacone</strong> tiene a<br />

precisare che il composto è “ben noto a tutti”, dato l’uso che già allora se ne faceva per disturbare<br />

e spaventare le persone, aggiungendo che basterebbe creare ordigni più grandi con involucri in<br />

materiale solido per provocare danni molto maggiori.<br />

Per inciso, questa polvere non è affatto nera, ma assume tonalità che vanno dal grigio al color<br />

caffé: divenne nera a metà Ottocento quando le fu aggiunta polvere di grafite per renderla meno<br />

igroscopica e per ditinguerla dalla "polvere bianca", quella senza fumo.<br />

La granata esplosiva suggerita dal <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> alchimista, però, non fu la prima linea di utilizzo<br />

della polvere da sparo. Nei <strong>primi</strong> decenni del Trecento in tutta Europa sono infatti già diffuse le<br />

armi da fuoco, la cui sola presenza è sufficiente per costringere alla resa fortificazioni<br />

considerate imprendibili: a Ghent, in Belgio, sono presenti nelle armerie dal 1313, vengono usate<br />

in Francia nell’assedio di Metz del 1323, e a Firenze si ordinano palle di ferro e “canones” nel<br />

1326. In questo stesso anno abbiamo la prima immagine di un pezzo di artiglieria: l’erudito<br />

inglese Walter de Milemete lo illustra a uno studente di eccezione, il futuro re Edoardo III: è un<br />

“vaso di ferro” dal quale fuoriesce una pesante freccia scagliata contro le mura di una città,<br />

mentre un artigliere innesca l’esplosione con un ferro incandescente infilato in un foro<br />

dell’ordigno. La forma è proprio quella di un vaso, forse perché familiare ai fonditori di campane<br />

che erano gli unici all’epoca ad avere le necessarie competenze metallurgiche.<br />

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Ben presto, però, i cannoni assunsero la forma tubolare che hanno ancora oggi, saldando tra loro<br />

barre di metallo attorno ad un cilindro di legno e poi tenendole strette con altre robuste cinture<br />

metalliche, come le doghe di una botte, e il fondo veniva poi chiuso avvitando una culatta.<br />

Da quel tubo si continuarono a sparare grosse frecce, ma anche, e presto soprattutto, palle di<br />

ferro e di pietra: queste ultime con il vantaggio della comodità di poterle preparare direttamente<br />

sul luogo del combattimento.<br />

La metallurgia dovette rispondere alla “esplosiva” domanda di armi con un enorme sforzo<br />

organizzativo e inventivo. Venne utilizzato ogni tipo di metallo e di lega, scegliendo poi<br />

prevalentemente bronzo e ferro, gli unici abbastanza resistenti da garantire un uso<br />

sufficientemente sicuro e prolungato nel tempo.<br />

In questa prima corsa agli armamenti, però, l’ostacolo maggiore era reperire gli ingredienti per<br />

la polvere da sparo: non il carbone di legna, perché la carbonizzazione era un procedimento ben<br />

conosciuto, né lo zolfo ma soprattutto il salnitro.<br />

Lo zolfo migliore d’Europa proveniva dalla Sicilia, e giacimenti si trovano un po’ dovunque: più è<br />

puro il minerale, più semplice distillarlo per ottenerne i cristalli.<br />

Il salnitro, invece, richiede anni per essere prodotto e raffinato. La sua efflorescenza spontanea<br />

sui muri umidi è ovviamente insufficiente, e si ricorse inizialmente all’importazione dall’Oriente.<br />

Ma la produzione diretta divenne ben presto la principale fonte di approvvigionamento,<br />

nonostante la sua laboriosità: i letti di coltura composti da animali e vegetali in decomposizione<br />

devono essere bagnati di letame e urina, che appositi addetti procurano “ripulendo” le fattorie,<br />

sfondando persino i pavimenti delle stalle. Il processo di fermentazione dura tre anni, durante i<br />

quali la massa putrescente va rivotata e areata costantemente, e nutrita con calcinacci, ceneri e<br />

scarti della fabbricazione del sapone. Poi la materia grezza così ottenuta è purificata in<br />

successivi lavaggi prima di essere distillata.<br />

I tre ingredienti vengono mescolati nel luogo di utilizzo, perché altrimenti durante il trasporto si<br />

separerebbero: è solo uno dei compiti, e nemmeno il più importante, di nuove consorterie di<br />

professionisti altamente specializzati, gli artificieri e gli artiglieri. Sanno leggere e scrivere,<br />

hanno competenze che si estendono dalla matematica, alla chimica, e persino all’ingegneria,<br />

perché le pesantissime armi da fuoco sono legate a postazioni fisse su piazzole che devono essere<br />

abbastanza resistenti da sopportarne il tremendo rinculo e bisogna schierarli là dove faranno il<br />

danno maggiore, perché spostarli sarebbe problematico. Sono civili assoldati a contratto,<br />

guardati con timore dagli altri uomini per la loro familiarità con quel fuoco “infernale”: a poco<br />

servono per riabilitarli i periodi di cristiana contrizione a cui si dedicano dopo ogni impiego<br />

bellico.<br />

Dalla collaborazione tra militari, fonditori e artiglieri nacquero armi sempre più efficaci, letali e<br />

specializzate: tozzi mortai a tiro curvo e gigantesche bombarde per gli assedi, più agili colubrine,<br />

falconi e falconetti in battaglia. Un’effervescenza creativa con scopi dichiaratamente letali, a<br />

volte forse ingenua e bizzarra, ma più spesso fertile e portatrice di preziosi contributi.<br />

Con l’invenzione nel Quattrocento degli orecchioni, perni che si prolungano ai lati della canna<br />

fissandola all’affusto, il tiro può essere elevato a piacimento, mentre dotando gli affusti di ruote<br />

si conferisce alle artiglierie una prima rudimentale mobilità. Sempre nel Quattrocento si scopre<br />

la “granulazione” della polvere da sparo, che viene bagnata, essiccata in fogli e quindi triturata<br />

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in grani: questo permette di trasportarla finalmente pronta all’uso e la rende più uniforme e<br />

infiammabile. Proprio nel Quattrocento la ricetta della polvere da sparo si perfeziona,<br />

stabilizzandosi attorno a proporzioni che rimarranno valide per i successivi 4 secoli: rispetto alla<br />

formula di <strong>Bacone</strong> si riducono le quantità di zolfo e carbone a vantaggio del salnitro, per ottenere<br />

una polvere più “vivace” e che lascia meno pericolosi residui incombusti nella canna.<br />

La guerra dei Cent’Anni (1337–1453) tra Francia e Inghilterra è il primo conflitto che vide un<br />

uso esteso delle artiglierie e forse il primo impiego su un campo di battaglia ad opera del già<br />

citato Edoardo III a Crecy nel 1346, ma fu solo con la campagna d’Italia del re <strong>fra</strong>ncese Carlo<br />

VIII (1494-1497) che venne formato il primo vero treno di artiglieria: 300 pezzi di cui 70<br />

d’assedio, che costituivano il cuore dell’armata.<br />

Durante le guerre rinascimentali italiane le linee di sviluppo tecnologico e di impiego tattico<br />

dell’artiglieria sono già tutte tracciate: l’artiglieria deve collaborare con la sua insuperabile forza<br />

distruttiva alle operazioni militari integrandosi con le altre armi. Deve diventare più mobile, più<br />

rapida nel tiro, più potente e micidiale. Queste armi ancora rudimentali riescono a sparare solo<br />

pochi colpi al giorno, eppure nessun esercito pensa di potersene privare. Ricordo anche che per<br />

lungo tempo i cannoni furono praticamente immobili sul campo di battaglia, divenendo spesso<br />

inutili dopo i <strong>primi</strong> colpi, perché impossibilitati a seguire il corso dell’azione. Chi attaccava<br />

doveva spesso avanzare davanti ai propri cannoni, impedendo loro di tirare e in caso di sconfitta<br />

l’artiglieria rimaneva inevitabilmente preda del vincitore.<br />

L’invenzione della polvere da sparo e del cannone uno stimolo incredibile per gli studiosi<br />

rinascimentali. Gli alchimisti medioevali avevano consegnato loro un sistema d’arma di enorme<br />

potenza, non solo sul campo di battaglia, ma anche per la suggestione che sapeva creare alle<br />

menti creative. Tra i più coinvolti non poteva mancare Leonardo da Vinci, che produsse studi<br />

all’altezza del suo genio sulla balistica, sulle tecniche d’assedio, e giungendo persino a progettare<br />

un predecessore del carro armato. L’eccezionale capacità di osservazione di Leonardo nei suoi<br />

disegni riuscì a fissare la parabola di volo dei proiettili esplosivi lanciati da un mortaio,<br />

ipotizzando anche il primo esempio di bombardamento a tappeto, realizzato mediante il<br />

successivo spostamento di una ghiera dentata che orientava l’alzo del pezzo.<br />

Scienza, tecnologia e industria devono rispondere alle esigenze tattiche e strategiche, ma<br />

nell’attesa queste ultime si adatteranno a ciò che è disponibile al momento. Il Cinquecento ad<br />

esempio porta nuove tecniche metallurgiche: si riescono a realizzare i cannoni in un’unica<br />

fusione, il centro della quale è occupato da un cuore di creta. Il risultato è un cannone più<br />

robusto e di un calibro che più esattamente può corrispondere a quello dei proiettili. Vi sarà<br />

quindi meno dispersione di gas (in termini tecnici il “vento”) durante l’esplosione e un tiro più<br />

potente e preciso. A parità di calibro rispetto al passato, i cannoni possono essere più leggeri e<br />

hanno bisogno di meno carica per esprimere la stessa potenza, perché la sfruttano meglio. Le<br />

artiglierie pesanti sono ancora praticamente statiche, ma altre (molto) più leggere possono<br />

combattere in supporto ravvicinato della fanteria e sostenerne lo sforzo anche in attacco e non<br />

solo in difesa.<br />

La standardizzazione dei calibri e dei modelli non è più un miraggio e i principali innovatori<br />

militari del Seicento, come il re Gustavo Adolfo di Svezia (1594-1632), se ne fanno i<br />

propugnatori, semplificando di molto l’apparato logistico. Riducendo, infatti, la tipologia dei<br />

cannoni a pochi essenziali modelli, si razionalizza il problema di rifornirli di proiettili.<br />

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Il processo produttivo, però, rimase ancora a lungo sostanzialmente artigianale, con tutti i pregi<br />

e i difetti che ne sono caratteristici. Per un artigiano, infatti, era impossibile produrre cannoni in<br />

serie, con le medesime caratteristiche e soprattutto con calibri perfettamente identici, ma ogni<br />

arma era un pezzo unico, diverso da tutti gli altri, perché lo stampo andava perso durante la<br />

fusione. Nel Seicento, però, l’abilità di questi artigiani aveva già raggiunto livelli di eccellenza e<br />

risultati sorprendenti. Le officine del sopracitato Gustavo Adolfo erano ad esempio capaci di<br />

produrre cannoni con differenze di calibro effettivo inferiori al 2%. L’opera degli artigiani<br />

raggiungeva però il suo apice nelle decorazioni che “abbellivano” e rendevano ancora più unici i<br />

propri lavori, a volte trasformandoli in un oggetto d’arte. La potenza e il prestigio dei re si<br />

misurava anche con la loro attenzione verso questi dettagli all’apparenza trascurabili.<br />

Verso la fine del secolo gli Svedesi introdussero per <strong>primi</strong> l'Obice, un pezzo la cui lunghezza è da<br />

15 a 25 volte il calibro (quelli più corti sono i mortai, quelli più lunghi i cannoni): un pezzo<br />

multiruolo a tiro più curvo del cannone, la cui elasticità e leggerezza lo rese molto utile sui campi<br />

di battaglia per il tiro di bombe esplosive o per la mitraglia a distanza ravvicinata.<br />

Il Seicento porta anche i <strong>primi</strong> studi scientifici sulla balistica ad opera di Francois Blondel (1618-<br />

1686) che applica all’artiglieria l’opera di Galileo Galilei sulle leggi del movimento: la strada è<br />

aperta, e il matematico <strong>fra</strong>ncese Bernard Forest de Bélidor (1698-1761) darà alle stampe nel<br />

1731 “Le Bombardier <strong>fra</strong>nçais”, contenente le prime tabelle balistiche, con le quali dimostra che<br />

le cariche in uso all’epoca sono troppo potenti e non solo sprecano inutilmente polvere nera, ma<br />

consumano prematuramente i cannoni.<br />

Con una carica dimezzata i cannoni possono essere ancora più leggeri e, quindi, più mobili e più<br />

rapidi da caricare: un processo al quale contribuiranno a metà del Settecento lo svizzero Jean<br />

Maritz (1680–1743) prima e il <strong>fra</strong>ncese Jean de Gribeauval (1715–1789) poi, che introdussero la<br />

tecnica della costruzione dei cannoni mediante alesaggio: il foro prodotto nella fusione<br />

perfezionava ulteriormente la corrispondenza tra le pareti della canna e la palla, permettendo<br />

un nuovo, decisivo, alleggerimento dell’arma e fornendo a Napoleone Bonaparte lo strumento<br />

agile e potente di cui aveva bisogno per le sue tattiche aggressive. La parabola del letale<br />

connubio tra polvere da sparo e cannone era giunta al suo apice: finalmente gli eserciti<br />

disponevano dello strumento che fino ad allora avevano solo immaginato, capace di muoversi sul<br />

terreno in cooperazione con le altre armi, per concentrare in un punto preciso e al momento<br />

voluto, sufficiente potere distruttivo da decidere le battaglie. Con affusti e carriaggi di poco più<br />

pesanti ma anche molto più resistenti, anch’essi invenzione di de Gribeauval, e gli artiglieri<br />

montati a cavallo, i cannoni potevano addirittura seguire gli spostamenti della cavalleria,<br />

appoggiandone l’azione con il proprio tiro ravvicinato: è la specialità dell’artiglieria a cavallo<br />

piemontese durante le guerre risorgimentali che le meritò il nome di “Voloire”, artiglieria<br />

“volante”.<br />

Una “evoluzione” quella dell’artiglieria, dunque, più che una rivoluzione, eppure era tutta già<br />

scritta fin dal Medioevo, con scienziati e tecnici a rendere reali con le loro intelligenze i desideri<br />

dei comandanti militari: un’unica storia che già contiene episodi come il “tritacarne di Verdun”<br />

della Prima guerra mondiale, la battaglia di annientamento pianificata dal generale tedesco<br />

Erich von Falkenhayn, che dal 21 febbraio al 19 dicembre 1916 distrusse le vite di 300.000<br />

soldati <strong>fra</strong>ncesi e tedeschi, ferendone tre volte tanti, usando armi gigantesche come i mortai da<br />

42 cm, meglio noti come “Dicke Bertha”, la Grossa Bertha: il migliore acciaio delle fabbriche<br />

Krupp e i più potenti esplosivi di ultima generazione, avevano raccolto la letale eredità di<br />

fonditori e alchimisti di molti secoli prima.<br />

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Salutiamo prima di ogni altro, con rispettosa ammirazione, il <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> RUGGERO<br />

BACONE, uno dei più vasti intelletti esistiti.<br />

"Questo <strong><strong>fra</strong>te</strong>, - scrive Luigi Figuier, - disconosciuto e orribilmente perseguitato mentre viveva, è<br />

la più grande figura scientifica dell'evo medio. Nessuno ha espiato più crudelmente di lui, la<br />

gloria di essere stato superiore a' suoi contemporanei e di aver preceduto di più secoli il cammino<br />

dello spirito umano. <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> trascorse gran parte della sua esistenza in prigione. Ora<br />

stette in una cella, dove, sottomesso a severa sorveglianza, non poté né scrivere né far calcoli<br />

senza destare sospetti, che diedero motivo a un aggravio di pena; ora in una prigione, dove subì i<br />

più vili e indegni trattamenti, come uno dei peggiori malfattori. E quale fu il suo delitto?<br />

L'ardente amore per gli studi e per l'indipendenza del pensiero".<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> nacque nel 1214 [a Ilchester], nella contea di Somerset. Dopo aver studiato<br />

all'università di Oxford, si recò a quella di Parigi, dove soggiornò fino al 1250. In quell'epoca<br />

tornò a Oxford e risolse di prendere l'abito <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>. Quella determinazione fu la causa di<br />

tutte le sue sventure.<br />

La con<strong><strong>fra</strong>te</strong>rnita dei <strong>fra</strong>ti cercanti non si componeva che d'individui votati all'umiltà e al digiuno,<br />

la più parte di bassa origine, convinti dell'infernalità di qualsiasi scienza. Sicché quando<br />

sorpresero il loro con<strong><strong>fra</strong>te</strong>llo, matematico e astronomo, a studiare perseverantemente Avicenna e<br />

gli autori arabi, quando lo sorpresero a eseguire ricerche di laboratorio, circondato da oggetti che<br />

li facevano rabbrividire, lo presero in antipatia.<br />

<strong>Bacone</strong> non conosceva la dissimulazione. Amante entusiasta della verità, osò proclamare essere<br />

l'esperienza e l'osservazione della natura le sole autorità invocabili nelle scienze. Allora il<br />

generale dell'ordine, san Bonaventura1, lo condannò a lasciare Oxford e ad esser imprigionato a<br />

Parigi, nel convento dei Francescani.<br />

Lo sventurato <strong>Bacone</strong>, [il Dottore ammirabile, Doctor Mirabilis, il fondatore del metodo<br />

sperimentale e il creatore dell'ottica, l'inventore della polvere da cannone e fors'anche del<br />

telescopio e degli occhiali per i presbiti], fu sottomesso colà a crudele sorveglianza. Non poteva<br />

inviare al di fuori nessuno dei suoi manoscritti. Grazie, però, a un <strong><strong>fra</strong>te</strong>, a lui affezionato in modo<br />

speciale, poté avvertire della sua prigionia il papa, allora Clemente IV, mente illuminata ma<br />

timida. Costui gli scrisse una lettera consolatoria (!) e, in cambio, gli chiese il libro che stava<br />

preparando. Malgrado l'assoluto isolamento in cui era, a furia di coraggio e di perseveranza, a<br />

dispetto delle dispute delle quali era oggetto, sebbene fosse stato sotto chiave, <strong>Bacone</strong> riuscì a<br />

comporre l'Opus majus ad Clementum quartum, cioè un in-folio di 477 pagine.<br />

Fra Giovanni, discepolo amatissimo del celebre alchimista, portò a Roma l'Opus Majus quando<br />

fu terminato, cioè nel 1267.<br />

L'anno stesso <strong>Bacone</strong> scrisse e spedì al papa l'Opus minus, seguito dal suo primo lavoro. Poi<br />

cominciò l'Opus tertium. Clemente IV risolve allora - nel 1287 - di dar l'ordine formale della<br />

scarcerazione dello sventurato fisico!<br />

Tornato a Oxford, <strong>Bacone</strong> pubblicò il Trattato di filosofia, nel quale attaccò vivamente il clero e i<br />

predicatori. Però Clemente IV era morto: lo sventurato <strong><strong>fra</strong>te</strong> fu carcerato nuovamente fino al<br />

1292.<br />

Le opere di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> emanano, lo ripetiamo, da uno dei più vasti talenti, de' quali possa<br />

andare orgoglioso il mondo dei pensatori. Esse devono essere ammirate tanto più, in quanto che<br />

si sa in quali penose condizioni furono composte.<br />

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Nell'Opus Minus si trovano due trattati alchimia, pratico l'uno, speculativo l'altro. (Lo specchio<br />

alchimico1 [4]). Gli altri sono: Alchimia major; Breviarium de dono Dei; De leone viridi; Secretum<br />

secretorum, Epistola de secretis operibus artis et naturae ac nullitati magiae.<br />

[<strong>Bacone</strong> morì nel 1294].<br />

Nel 1193 nacque a Lawingen sul Danubio, nel ducato di Neuburg (Svevia) ALBERTO, discendente<br />

d'una illustre famiglia - [i conti di BOLLSTAEDT] - che gli uomini dovevano battezzare col nome di<br />

Grande. [Fu chiamato anche Albertus Magnus, Albertus Teutonicus, Frater Albertus de Colonia,<br />

Albertus Ratisbonensis, Albertus Grotus]. A trent'anni entrò ne' domenicani. La sua intelligenza<br />

s'era sviluppata lentamente; ma, appena ebbe trovata la via luminosa, progredì più lui in sei<br />

mesi, che non altri in sei anni. Della lentezza non gli rimase che la più feconda maturità nello<br />

studio delle scienze.<br />

Nel 1245, dietro consiglio ricevutone dal capitolo dell'ordine, Alberto si recò a Parigi per ottenere<br />

il diploma di magister. Soltanto l'università di Parigi, a quell'epoca la più celebre di tutto il<br />

mondo, poteva conferire quel titolo, dopo avervi professato almeno tre anni. Alberto fu<br />

accompagnato nella capitale <strong>fra</strong>ncese da uno de' suoi allievi, da Tommaso d'Aquino, il quale in<br />

seguito illustrò pure il proprio nome e fece onore alla memoria del maestro. [Dante li menziona<br />

tutt'e due nel X canto del Paradiso:<br />

Io fui degli agni della santa greggia<br />

Che Domenico mena per cammino,<br />

U' ben s'impingua se non si vaneggia.<br />

Questi, che m'è a destra più vicino,<br />

Frate e maestro fummi; ed esso Alberto<br />

È di Colonia, ed io Thomas d'Aquino.<br />

A Parigi s'acquistò immensa fama. Tanti erano coloro che accorrevano per udirlo, che dovette far<br />

scuola in quella piazza, che da lui fu detta di maestro Alberto (Maubert)].<br />

Noi abbiamo ragione di supporre che fu durante la residenza a Parigi ch'Alberto ricevette<br />

l'iniziazione alchimica. Difatti la capitale <strong>fra</strong>ncese fu in quell'epoca, come pure durante tutto il<br />

medio evo, il vero santuario dell'ermetismo occidentale. L'arte spargirica e i suoi adepti visti, da<br />

una parte, di malissimo occhio dalla maggioranza de' teologi, non perdevano per questo,<br />

dall'altra, di prestigio presso la folla beffarda ma paurosa, in tutto ciò che concerneva la magia.<br />

Un certo numero di dotti e di pensatori aderivano, del resto, in pectore, alla dottrina occulta; però<br />

siccome non era bene proclamare ad alta voce tali preferenze, pel motivo del perpetuo rogo, la cui<br />

fiamma covava senza mai estinguersi, così erano rari coloro che non nascondevano le loro<br />

personali convinzioni.<br />

Alberto, al pari dei veri spiriti forti, seppe conservare la propria indipendenza, senza celare il suo<br />

pensiero, giacché, mentr'era vivo, acquisì la pericolosa riputazione di «Stregone» o<br />

d'«Alchimista», sinonimi in que' bei tempi.<br />

[Il nostro teologo e alchimista domenicano fu fatto vescovo di Ratisbona da papa Alessandro IV e,<br />

dopo morto, fu beatificato].<br />

Dopo molti esperimenti trasmutatori e chimici eseguiti, Alberto scrisse il Libro dei minerali o del<br />

segreto dei segreti. In esso difende senza ambagi, la dottrina ermetica e fa conoscere che i metalli<br />

sono composti di un'umidità oleosa e sottile, unita fortemente e incorporata con una materia<br />

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sottile e perfetta. In quanto alla trasmutazione, da parecchi brani del suo strano volume si rileva<br />

ch'egli la praticò con esito felicissimo.<br />

Non ci fermeremo sui diversi manoscritti, dei quali il Grande Alberto fu sagace autore; la sua<br />

scienza sembra essere stata universale giacché egli scrisse tanto sugli animali, quanto sulla<br />

fisionomia, tanto sul carattere, quanto sulle meteore [Fu infatti uno dei più fecondi poligrafi del<br />

medio evo; fu il Giaber del mondo cristiano]. L'opera sua comprende ventun volumi in folio; è<br />

però più che probabile ch'egli si sia limitato a dirigerne la redazione, perché un tal lavoro<br />

oltrepasserebbe le forze umane.<br />

La morte lo colpì a Colonia nel 1280, a oltre ottant'anni.<br />

TOMMASO D'AQUINO nacque nel 1225 (o 1227) a Rocca-secca, presso Napoli, da famiglia signorile e<br />

morì nel 1273 o 1274 a Fossanova (Napoli) [fu detto l'Angelo delle Scuole, il Dottore Angelico e<br />

l'Aquila de' teologi. A diciott'anni indossò la veste dei domenicani e recatesi a Parigi, ebbe a<br />

maestro Alberto Magno].<br />

A costui spetta l'onore d'averlo divinato e preparato. Noi non racconteremo la vita del celebre<br />

teologo e filosofo, perché riteniamo sia cognita a' nostri lettori. Perciò ci limiteremo ad assegnare<br />

a san Tommaso d'Aquino un posto tra gli ermetisti e a citare il solo suo Tesoro d'alchimia,<br />

libriccino che dimostra la sua filiazione spirituale da Alberto il Grande.<br />

È però improbabile che l'autore della Summa totius theologiae si sia esercitato nella pratica<br />

dell'opera trasmutatoria.<br />

[Dante Alighieri trasse da San Tommaso filosofia e teologia. Lo citò più volte nella sua<br />

celeberrima opera (Purgatorio, XX, versi 67-69; Paradiso, X, versi 94-99, da noi più sopra<br />

riportati; XII, v. 109-111 e 142-144; XIII e XIV)].<br />

ALAIN DE L'ISLE, oriundo olandese, detto il Dottore Universale, fiorì verso il 1250 [fu teologo,<br />

filosofo, poeta, storico e alchimista]. Morì, secondo si crede, a più di cent'anni, nel 1298.<br />

Studiò all'università di Parigi, durante un lungo periodo della sua vita, periodo ch'è restato quasi<br />

ignorato. Di lui s'ha una Raccolta d'aforismi sulla pietra filosofale, che si trova nel Teatro<br />

chimico; lo stile n'è pesante e oscurissimo.<br />

ARNALDO DA VILLANOVA - [non si sa bene se sia Villa-nova d'Italia o di Francia, ma è<br />

preferibilmente da ritenere sia di quest'ultima] - fu un ermetista d'incontestabile valore. Nacque<br />

tra il 1235 e 1250 - molto probabilmente nel 1245 - in Provenza [o nell'Italia settentrionale],<br />

studiò ad Aix e poi si recò in Spagna. L'iniziazione alchimica gli fu, senza dubbio, conferita colà,<br />

dove in altri tempi pullularono numerosi occultisti. [Il loro gran focolare era Toledo, che diede<br />

nome alla scienza sacra (scienza toletana)].<br />

A venticinqu'anni, nel 1270, Arnaldo fu laureato in medicina. Dopo avere esercitato qualche<br />

tempo a Villeneuve, fu attirato a Parigi. Si ritiene che, dopo aver soggiornato in quella città per<br />

oltre un decennio, tornasse a Montpellier.<br />

[Fu a Firenze, a Roma e in altre città d'Italia. Nel 1285 si trovava presso Pietro, re d'Aragona].<br />

[Arnaldo, detto Arnaldus Catalanus, oltre a essere medico, chimico e alchimista di molta<br />

reputazione, fu anche astrologo e teologo.<br />

Pregiò più le opere di carità, di altruismo, di scienza, che le pratiche religiose. Questo modo di<br />

pensare lo chiarisce iniziato.<br />

Di lui fu detto che appartenesse a una setta pitagorica, ampiamente diffusa in Italia, specie nella<br />

Puglia e nella Toscana. Fu maestro a Raimondo Lullo. Morì nel 1313 in mare, presso Genova].<br />

In un cenno come il presente non c'è concesso di dilungarci sulla sua scienza terapeutica; però<br />

bisogna segnalare il suo ardire, come medico.<br />

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Egli osò af<strong>fra</strong>ncarsi dalle usanze ufficiali, in quei tempi molto più inveterate d'oggigiorno, e porre<br />

le basi d'un metodo, originale di certo e spesso anche razionale.<br />

Arnaldo da Villanova professò chimica a Barcellona, nel 1286, e operò molte trasmutazioni di<br />

mercurio in oro, tanto in Spagna, quanto appresso in Italia. I titoli delle sue opere spargiriche,<br />

giustamente molto apprezzate dagli adepti, sono i seguenti:<br />

La strada delle strade; Flos florum (Il fiore dei fiori); Lettera al re di Napoli; Novum lumen (La<br />

nuova luce); Rosarium (Il Rosario); Domande sull'essenza e sull'accidente.<br />

Si trovano nel Theatrum Chemicum e nella Biblioteca Manget<br />

Con RAIMONDO LULLO arriviamo a una delle pagine più singolari e agitate della storia<br />

dell'alchimia. Quest'adepto dev'essere da noi considerato qual maestro de' maestri, del pari che,<br />

un po' più in là, nel corso de' secoli, l'illustre Paracelso.<br />

Raimondo Lullo levò alto clamore non solo nel secolo XIII, ma in tutto il medio evo: fu<br />

considerato come un prodigio.<br />

Nato nel 1235 a Palma, capoluogo dell'isola Maiorca, da un nobile guerriero, compagno d'armi<br />

del re aragonese Giacomo I, Raimondo menò - secondo l'usanza d'allora -fino a quasi trent'anni,<br />

vita oziosissima e dissipatissima.<br />

Dapprima paggio alla corte di Giacomo I, poi siniscalco, occupava i giorni, o meglio anzi le notti,<br />

a conquidere, quantunque ammogliato, ragazze e maritate.<br />

Una di costoro, a onta delle ripetute insistenze del giovane, mostrava essere d'incrollabile virtù.<br />

Egli conobbe il segreto della sua resistenza quando, stancatala con continue dimostrazioni<br />

d'affetto, la bella gli diede un appuntamento.<br />

Durante il convegno ella si sgangherò la fascetta e si denudò il petto.<br />

E, mostrando all'amante una delle mammelle, rosa da schifosissimo cancro, gli disse: "Raimondo,<br />

puoi amarmi così?"<br />

Lullo, spaventato da sì ripugnante spettacolo, fuggì via con la disperazione nel cuore. Fin da quel<br />

momento risolse di consacrarsi a Dio solo e di adoprarsi alla conversione degli Arabi al<br />

cristianesimo.<br />

Egli mise nello studio l'ardore tolto a' piaceri, s'applicò indefessamente per conoscere<br />

profondamente non solo la lingua, ma anche la storia della religione, la filosofia e le scienze degli<br />

Arabi.<br />

Lullo completò gli studi a Parigi, dove trovò Arnaldo da Villanova. Quest'avvenimento ci spiega<br />

facilmente la sua affiliazione alla spargiria ermetica. Fu precisamente in quella città ch'egli<br />

scrisse varie opere, trattanti di tale scienza.<br />

D'indole randagia e inquieta, Lullo non rimaneva a lungo in un sito; trascorse l'esistenza<br />

viaggiando in Italia e in Spagna; poi, desiderando sempre di convertire gli infedeli al<br />

cristianesimo, s'imbarcò per l'Africa, nel 1292. Ma, catturato dai Turchi, ricuperò a stento la<br />

libertà e dovè ritornare in Europa, bandito dall'Oriente.<br />

Adorando sempre la sua chimera, malgrado i fastidi e le peregrinazioni, ripartì dall'Europa nel<br />

1304, all'età di settant'anni, e poi anche più in là, nel 1312: visitò l'Egitto, Gerusalemme e<br />

Tunisi, predicando il Vangelo.<br />

A Bugia, la folla esasperata lo lapidò. Sottrattosi a stento al furore popolare, morì alcuni giorni<br />

dopo, in seguito alle ferite riportate. [Ciò avvenne nel 1313].<br />

Fu negl'intervalli di quella vita emozionante e d'estrema attività che l'eccelso genio trovò modo<br />

d'ideare e di comporre le stupende opere, descrivendo gli esperimenti<br />

a più riprese felicemente riuscitigli.<br />

Di lui abbiamo: La Clavicola - Il sunto dello spirito della trasmutazione (Compendium animae<br />

transmutationis) - La dilucidazione del testamento - e il Vade-mecum o sunto delle tinture.<br />

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[Nel secolo XIII si distinsero anche i seguenti alchimisti:<br />

CRISTOFORO, di Parigi.<br />

TADDÈO D'ADEROTTO, medico e filosofo fiorentino. Costui fu il fondatore della scuola medica di<br />

Bologna, nella quale insegnava nel 1250. È menzionato da Dante nel canto XII del Paradiso:<br />

Non per lo mondo per cui uno s'affanna<br />

Di retro ad Ostienso ed a Taddeo,<br />

Morì il 1295 e lasciò molte opere. Fu seppellito in un bel sarcofago di marmo nell'atrio de' <strong>fra</strong>ti<br />

minori, a Bologna.<br />

Vincenzo Di Beauvais o VINCENZO BELLOVACÈNSE. Fu un erudito domenicano, maestro dei figli di<br />

Luigi IX di Francia (re dal 1266 al 1270).<br />

PIETRO DE' BONIFAZI, signore provenzale. Di costui si legge nelle vite de' trovatori che,<br />

tentata invano ogni arte magica per acquistar l'amore di una dama, lasciò l'amore e si diede<br />

all'alchimia, e s'affaticò tanto che trovò una pietra, che aveva la virtù di convertire i metalli in<br />

oro.<br />

ALFONSO X, detto il Sapiente (El Sabio 1252-1284), re di Castiglia e delle Asturie. Fu principe<br />

dottissimo, amò i sapienti, coltivò le scienze con passione e si tenne in relazione coi maestri<br />

arabi. Si dice, anche, ch'abbia fabbricato oro; alcuni però pretendono ch'esso provenisse<br />

semplicemente dall'alterazione del titolo delle monete. Questo celebre re di Castiglia, che scrisse<br />

sull'alchimia in termini simbolici e cabbalistici, cioè con caratteri geroglifici propri alla scienza<br />

ermetica, usati all'epoca sua, pretese anche di possedere il segreto della trasmutazione dei<br />

metalli e dichiarò di avere imparato quella scienza da un Egiziano, fatto da lui venire<br />

appositamente da Alessandria.<br />

Egli rivelò — cioè velò nuovamente, rivestì di nuovo — i segreti alchimici da lui conosciuti in un<br />

poema (egli era anche poeta) che intitolò il Libro del Tesoro.<br />

Al suo proemio seguono trentacinque ottave in cifre che vengono offerte come chiavi di tutta<br />

l'opera. Nessuno è mai giunto a interpretare quelle cifre.<br />

Noi citeremo una quartina del poema, d'interesse storico:<br />

La pietra que llaman philosophal<br />

Sabia fazer, y me la ensenò;<br />

Fizimos la juntos, despues solo yo;<br />

Conque muchas veces crecio mi caudal.<br />

(Io sapevo far la pietra chiamata filosofale; egli - l'Egiziano - me l'insegnò; noi la facemmo<br />

insieme, poi la feci da solo. Fu in tal maniera ch'aumentai le mie finanze).<br />

Anche l'opera alchimica Clavis sapientiae, dove si scorgono le dottrine arabe, è attribuita al re<br />

cavaliere; non sappiamo però con quanto fondamento.<br />

Ad Alfonso X si deve inoltre un monumento astronomico, le tavole che prendono nome da lui, che<br />

furono usate universalmente fino al principio del secolo XVI, cioè per tre secoli, perché datano<br />

dal 30 maggio 1252, giorno del suo avvento al trono. Queste tavole, le quali, anzi ch'essere opera<br />

personale del re, furono probabilmente quelle de' molti astronomi arabi di Granata, che vivevano<br />

alla sua corte, furono pubblicate per la prima volta a Venezia, nel 1492, in un volume in-4°.<br />

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Questo sovrano, possessore della scienza orientale, fu dal pontefice trattato da empio e<br />

scomunicato.<br />

GRIFFOLINO D'AREZZO. Costui si vantò con un tal Alberto, di Siena, di sapere l'arte di<br />

volare e promise d'insegnargliela. Ma lo scolaro, accortosi d'essere stato corbellato, accusò il<br />

maestro al vescovo di Siena, che lo fece bruciare vivo come negromante. Pare che Griffolino fosse<br />

alchimista falso e disonesto. Dante perciò lo pone nella decima bolgia, mettendogli in bocca<br />

queste parole:<br />

Io fui d'Arezzo, ed Alberto da Siena<br />

. . . . . . mi fé' mettere al foco;<br />

Ma quel, perch'io morì, qui non mi mena.<br />

Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco:<br />

Io mi saprei levar per l'aere a volo:<br />

E quei, ch'avea vaghezza, e senno poco,<br />

Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo,<br />

Perch'io nol feci Dedalo, mi fece<br />

Ardere a tal che l'avea per figliuolo.<br />

Ma nell'ultima bolgia delle diece<br />

Me per alchìmia, che nel mondo usai,<br />

Dannò Minos, a cui fallir non lece.<br />

Sono anche probabilmente da assegnare al secolo XIII i tre alchimisti italiani GARELLO<br />

D'AQUILA, GUIDO DA CASTELLO e NICCOLO DA FIRENZE.<br />

Costoro sono menzionati come maestri famosi nell'arte di sciogliere e di comporre i metalli. Il<br />

primo (degli altri non si sa nulla) partiva l'oro dall'argento con acqua forte composta di allume di<br />

rocca, salnitro e vetriolo romano. Forse furono semplici alchimisti exoterici, cioè souffleurs,<br />

garzoni di laboratorio, chimici].<br />

Nel secolo XIV la scienza ermetica brillò di luce più vivida, che negli antecedenti. Allora era<br />

consuetudine atteggiarsi vagamente ad alchimista e una quantità di persone si vantarono con<br />

amici di possedere il segreto della pietra, mentre, in realtà, ignoravano fin la prima parola<br />

dell'Arte per eccellenza.<br />

Quel giochetto non offre nulla di serio alla storia dell'alchimia e i nomi dei presuntuosi non<br />

meritano d'essere rilevati.<br />

Il papa GIOVANNI XXII, (Giacomo d'Euse o d'Huéze, Duéze, Dossa, Dossat, d'Usia e d'Osa,<br />

nato circa il 1244 a Cahors e pontefice dal 1316 al 1344), che fu sedotto -secondo che si dice -<br />

dalla ricerca della Grand'Opéra, scrisse, pare verso il 1300 l'Arte trasmutatoria dei metalli e<br />

realizzò su vasta scala la fabbricazione dell'oro. [Difatti si narra che, mediante il processo<br />

descritto nel suo libro, ottenesse dugento verghe d'oro]. Noi non oseremo garantire né la<br />

legittimità dell'opera, né quella dei lavori pratici. Giovanni XXII fu un iniziato? Il sommo<br />

pontefice romano fu un adepto? È da ritenerlo. ["All'Università di Montpellier e a Parigi, dove<br />

imparò teologia, diritto e medicina, egli si trovò a contatto con Arnaldo da Villanova e con<br />

Raimondo Lullo, e potè perciò essere iniziato da questi due celebri occultisti, dai quali riceveva<br />

lezioni" Egli però non si giovò affatto della sua duplice elevatissima posizione, né pel bene degli<br />

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uomini, né per quello della verità. [Difatti, nel 1317 lanciò contro gli alchimisti la bolla Spondent<br />

pariter; nel 1320 ne fulminò un'altra contro gli Adoratori del diavolo, nome col quale designò<br />

complessivamente stregoni e albigesi, nel 1327 fece bruciare l'astrologo Cecco d'Ascoli e nel 1328<br />

fece processare il carmelitano Ricordi come fattucchiere. I roghi dell'Albigese completarono la<br />

collana delle sue opere umanitarie.<br />

Al pari di Giovanni XXII, GIOVANNI DI MEUNG, mediocre scrittore, non attirerà gran fatto la<br />

nostra attenzione. [Costui, secondo alcuni, scrisse il Romanzo della rosa e due trattati alchimia.<br />

Secondo altri, egli aumentò soltanto di diciottomila versi tale romanzo, dovuto alla penna di<br />

GUGLIELMO DI LORRIS. Il Romanzo della rosa è una epopea alchimica, della quale i letterati<br />

<strong>fra</strong>ncesi vanno sì alteri da paragonarla perfino ai poemi italiani. Certo è, peraltro, che le rose<br />

colte dal Meung e da Dante provengono dallo stesso rosaio: la scienza segreta del Templari. Il<br />

Lorris, nel suo idillio bisenso, descrive<br />

. . . . . . . un nobile castello,<br />

Sette volte cerchiato d'alte mura;<br />

- analogo, cioè, a' sette gradi de' gnostici cantori d'amore (i trovatori di lingua d'oc, provenzali e<br />

italiani; i trovèrì di lingua d'oil, <strong>fra</strong>ncesi; i minnesanger o minne singeri tedeschi e i love singers<br />

inglesi), - le quali mura sono altissime - come la verità celata nell'albigesismo - e tutte dipinte di<br />

figure emblematiche - come i geroglifici ermetici o le abraxas valentiniane - e racchiudono un<br />

misterioso giardino - la gnosi o scienza sacra - in cui non è dato accedere se non conosciuti i sensi<br />

segreti di quei geroglifici - cioè le verità esoteriche. Giovanni di Meung, o Iehan di Meun, detto<br />

dopimi (lo Sciancatello), morì tra il 1310 e il 1322].<br />

GIOVANNI DI RUPESCISSA fu, come il precedente, alchimista incerto, talché meriterebbe<br />

d'essere classificato piuttosto tra i chimici. [Spacciavasi profeta, parlava di due anticristi e<br />

cercava di crescere col mistero nel concetto degli uditori. Clemente VI (1342-1352) e Innocenzo<br />

VI (1352-1362), lo fecero imprigionare per le sue prediche. "Un suo libro, il Vade mecum in<br />

tribulatione, sta in un codice cartaceo della Marciana. Un suo manoscritto tratta di alchimia<br />

medica col titolo De famulatu philosophiae, sive de consideratione quintae essentiae. Dice di aver<br />

studiato filosofia naturale per quindici anni; desidera il suo libro giovi ai poveri di Cristo, non ai<br />

tiranni od agli avari, ad conservandam vitam longo tempore; vuole si studi con religiosa<br />

attenzione, altrimenti si riesce solo falsificatori di monete; loda come conservatrice delle forze<br />

l'aqua ardens, anima vini, acqua vitae; e se un vecchio ogni mattina beva un sorso di quest'acqua<br />

con infusa essenza d'oro e di perle, torna come all'età di quaranta o cinquant'anni.<br />

A noi tarda di venerare la memoria del grande filosofo ermetico NICOLA FLAMEL. Del resto, chi<br />

non conosce la storia della sua esistenza, consacrata tutta al lavoro, alla perseveranza e alla<br />

beneficenza? I suoi particolari si possono trovare nella Storia della filosofìa ermetica del Lenglet-<br />

Dufresnoy e nell'Alchimia e alchimisti del compianto Luigi Figuier. Contentiamoci di riassumere<br />

i punti salienti d'una biografia.<br />

Flamel venne al mondo [a Pontoise] nel 1330, secondo che generalmente si crede. Abbracciò la<br />

carriera di scrivano pubblico, prese moglie e si stabilì a Parigi, nel quartiere di San Giacomo<br />

della Beccheria. Colà trascorreva i suoi giorni accanto a Pernella, senza ambizione, assorto dalle<br />

proprie occupazioni, quando uno strano manoscritto, che si procurò nel 1357, produsse un<br />

completo cambiamento nel suo sistema di vita. Quell'antico libro d'Abramo Ebreo, scritto con<br />

geroglifici, simboli e linee miniate, gettò il turbamento nello spirito di Flamel. Egli non ebbe<br />

requie fino a che non pervenne a deci<strong>fra</strong>rlo; però, essendo ignaro dei <strong>primi</strong> elementi<br />

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dell'ermetismo, le sue veglie diedero sterili risultati. Sprecò più di vent'anni in tali pazienti<br />

ricerche. Vedendo che con le sole sue forze non riusciva a deci<strong>fra</strong>re il significato delle figure,<br />

risolse di consultare un dottore ebreo, capace di dargliene la spiegazione, e partì per la Spagna.<br />

Colà incontrò un rabbino, il maestro CANCHES, che lo mise sulla via e che s'esibì d'accompagnarlo<br />

in Francia; disgraziatamente però morì strada facendo. Flamel, basandosi sulle incomplete<br />

istruzioni del dotto ebreo, lavorò ancora tre anni:<br />

Io fui d'Arezzo, ed Alberto da Siena<br />

. . . . . . mi fé' mettere al foco;<br />

Ma quel, perch'io morì, qui non mi mena.<br />

Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco:<br />

Io mi saprei levar per l'aere a volo:<br />

E quei, ch'avea vaghezza, e senno poco,<br />

Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo,<br />

Perch'io nol feci Dedalo, mi fece<br />

Ardere a tal1 [25] che l'avea per figliuolo.<br />

Ma nell'ultima bolgia delle diece<br />

Me per alchìmia, che nel mondo usai,<br />

Dannò Minos, a cui fallir non lece.<br />

Sono anche probabilmente da assegnare al secolo XIII i tre alchimisti italiani GARELLO<br />

D'AQUILA, GUIDO DA CASTELLO e NICCOLO DA FIRENZE.<br />

Costoro sono menzionati come maestri famosi nell'arte di sciogliere e di comporre i metalli. Il<br />

primo (degli altri non si sa nulla) partiva l'oro dall'argento con acqua forte composta di allume di<br />

rocca, salnitro e vetriolo romano. Forse furono semplici alchimisti exoterici, cioè souffleurs,<br />

garzoni di laboratorio, chimici].<br />

Nel secolo XIV la scienza ermetica brillò di luce più vivida, che negli antecedenti. Allora era<br />

consuetudine atteggiarsi vagamente ad alchimista e una quantità di persone si vantarono con<br />

amici di possedere il segreto della pietra, mentre, in realtà, ignoravano fin la prima parola<br />

dell'Arte per eccellenza.<br />

Quel giochetto non offre nulla di serio alla storia dell'alchimia e i nomi dei presuntuosi non<br />

meritano d'essere rilevati.<br />

Fattori Arcani e Alchimia<br />

Antica arte e tradizione mistica che arrivò ad avere, dal XII secolo in poi, una profonda influenza<br />

su un certo numero di pensatori medievali. Nel suo significato più stretto, l' alchimia è stata<br />

definita dagli studiosi come l' arte di tramutare i metalli non nobili in oro. A questa definizione<br />

può tuttavia essere aggiunto il concetto metafisico, elaborato da altri scrittori, secondo il quale la<br />

pratica di quest'arte avrebbe trasformato lo stesso alchimista da imperfetto a un essere<br />

dall’elevata grazia spirituale.<br />

L'alchimia, come la sua controparte, l'astrologia, divenne universalmente nota e fu praticata da<br />

Egiziani, Cinesi e Greci molto tempo prima che lo fosse dai Bizantini, dagli Arabi e dagli<br />

Europei. Chiamata l’”Arte” o la "Grande Opera", cercò, attraverso un numero apparentemente<br />

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infinito di componenti o materiali, tra cui oro, argento, piombo, ferro, rame, zolfo, stagno,<br />

mercurio, sali, alluminio, cloruro, ammonio, arsenico e acidi, di conferire l'immortalità. Gi<br />

alchimisti inoltre ritennero che la vita eterna fosse il prodotto di una formula complessa, l' elixir<br />

vitae, chiamata anche la pietra filosofale, che si supponeva trasformasse i metalli non nobili in<br />

oro.<br />

Nella tradizione occidentale, la pratica dell'alchimia iniziò probabilmente intorno al III secolo<br />

a.C. nel mondo ellenico. malgrado gli Arabi avessero loro specifiche correnti di pensiero.<br />

<strong>Alchimisti</strong> greci di rilievo furono Bolos di Mendes, Synesio e Zosimo. I loro sforzi furono<br />

importanti soprattutto nel preservare le teorie o dottrine alchemiche come quelle di Ermete<br />

Trimegisto (la versione greca del dio egiziano Thot) -il Corpus hermeticum e l'Emerald Tablet - e<br />

il Libro della tradizione segreta di Apollonio di Tiana. L' alchimia ellenica, influenzata dai Cinesi<br />

e Indiani, passò ai Bizantini e quindi agli Arabi.<br />

L' alchimia araba deve la sua evoluzione non solo ai Greci ma anche ai suoi praticanti orientali,<br />

in particolare a quelli della città siriana di Harran. Al-Razi, alchimista e medico dell'inizio del x<br />

secolo, lasciò un'impronta importante sulla sua arte e fu influenzato dal suo predecessore Jabir<br />

ibn Hayyan, o Geber, e dagli Jabiriani. I loro scritti, compresi i loro contributi relativi alla<br />

medicina, arrivarono in Occidente nel XII secolo.<br />

Grazie alle crociate e ai maggiori contatti tra Oriente e Occidente, le opere arabe cominciarono<br />

ad apparire in Europa. Nel XII secolo, Gerardo di Cremona tradusse Al-Razi e Roberto di<br />

Chester, nel Libro di Morienus, muovendo i <strong>primi</strong> passi per una maggiore conoscenza del sapere<br />

alchemico. Ulteriori studi, analisi e raccolte di cognizioni e precetti vennero poi pubblicati nel<br />

XIII secolo da Vincenzo di Beauvais, Arnaldo di Villanova, <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> e Alberto Magno.<br />

La maggiore diffusione dell'alchimia portò tuttavia a una maggiore opportunità per i suoi<br />

disonesti praticanti di compiere truffe e frodi. Con l'obiettivo di creare oro dai metalli non nobili,<br />

falsi alchimisti vendevano falsi trattati agli incauti. Un'opera come la Summa perfezione (ca.<br />

1300), attribuita a Geber, fu probabilmente di origine europea. In risposta al declino della vera<br />

alchimia, i legittimi alchimisti nascosero le loro formule e i loro libri dietro un intenzionale e<br />

complicato amalgama di immagini, simboli e messaggi arcani. Molti dicevano di aver fatto<br />

fortuna grazie alla "Grande Opera". Nonostante la condanna della Chiesa e una prolungata aria<br />

di cattiva reputazione, l' alchimia costituì la transizione vitale dagli studi di Paracelso ai<br />

progressi in farmacologia, medicina e nella nuova scienza della chimica.<br />

Pietra Filosofale<br />

Alchimia<br />

Il concetto ha apparentemente avuto origine dalle teorie dell'alchimista Geber. Egli analizzò<br />

ciascuno dei quattro elementi aristotelici nei termini delle quattro qualità di base: caldo , freddo<br />

, secco e umido . In questo modo, il fuoco era caldo e secco, la terra fredda e secca, l'acqua fredda<br />

e umida, e l'aria calda e umida. Teorizzò inoltre che ogni metallo fosse una combinazione di<br />

questi quattro principi, due di questi interiori e due esteriori.<br />

Partendo da queste premesse, si pensò che la trasmutazione di un metallo in un altro potesse<br />

essere effettuata riarrangiando le sue qualità di base. Questo cambiamento sarebbe stato<br />

mediabile attraverso una sostanza detta al-iksir in arabo (dalla quale viene il termine<br />

occidentale " elisir "). Viene spesso immaginata come una polvere asciutta, ottenuta da una<br />

pietra mitica, la pietra filosofale.<br />

Harry Potter<br />

Nella serie di Harry Potter , la pietra filosofale compare nel primo episodio, che ha appunto<br />

questo titolo, ed è custodita in un corridoio segreto ad Hogwarts , da un'enorme cane a tre teste.<br />

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È dotata di immensi poteri e Voldemort , usando il professor Raptor , tenterà di impadronirsene.<br />

Fra gli altri poteri, la Pietra ha quello di assicurare una vita eterna al suo creatore, che nella<br />

serie è l'alchimista Nicolas Flamel , che ha più di 600 anni. Nel corso delle vicende tuttavia la<br />

pietra verrà distrutta.<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> ( Ilchester , Somerset , Inghilterra , 1214 - Oxford , Inghilterra , 1294 ), in<br />

inglese Roger Bacon e ampiamente noto con l'appellativo latino di Doctor Mirabilis , fu un<br />

<strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> inglese e uno dei maggiori pensatori del suo tempo. Come filosofo diede grande<br />

importanza alle osservazioni dei fatti e va considerato come uno dei padri dell' empirismo. Per<br />

certi aspetti può considerarsi uno dei rifondatori del metodo scientifico, ma non sono pochi i suoi<br />

collegamenti con l' occultismo e le tradizioni alchemiche. Del resto, come fa notare Clive Staples<br />

Lewis le credenze magiche non sono tipiche del Medio Evo , ma sorgono "gemelle" con l'interesse<br />

per la scienza naturale, tanto che il maggiore sviluppo della magia si ebbe proprio tra il XVI<br />

secolo e il XVII secolo, in contemporanea con la rivoluzione scientifica .<br />

Primi anni<br />

Nasce presso Ilchester da una famiglia probabilmente benestante, ma che per gli eventi<br />

turbolenti del regno di Enrico III d'Inghilterra viene spogliata delle sue proprietà e vede molti<br />

dei suoi membri costretti all'esilio.<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> studia a Oxford , dove riceve una formazione prevalentemente aristotelica e<br />

successivamente diventa <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> (probabilmente nel 1233 ) e professore nella stessa<br />

Oxford. Quindi si trasferisce in Francia per studiare all' Università di Parigi , allora il maggior<br />

centro della vita intellettuale europea. I due grandi ordini monastici dei <strong>fra</strong>ncescani e dei<br />

domenicani , da poco costituiti, stanno cominciando a contendersi il primato nel dibattito<br />

teologico. Alessandro di Hales guida i Francescani, mentre l'ordine rivale dispone di Alberto<br />

Magno e Tommaso d'Aquino . Le capacità di Bacon si fanno presto riconoscere ed egli si<br />

guadagna l'amicizia di personaggi eminenti come Adam de Marisco e Robert Grosseteste ,<br />

vescovo di Lincoln . Nel corso dei suoi insegnamenti e delle sue ricerche egli esegue e descrive<br />

vari esperimenti.<br />

Maturità e opere<br />

La formazione scientifica che <strong>Bacone</strong> ha ricevuta lo convincono che il dibattito accademico del<br />

suo tempo presenta gravi pecche. Aristotele è conosciuto solo attraverso traduzioni scadenti;<br />

nessuno dei professori vuole cimentarsi con lo studio del greco . Analoga situazione per lo studio<br />

delle Sacre Scritture. La scienza fisica non viene sviluppata attraverso esperimenti secondo lo<br />

stile degli aristotelici, ma mediante argomentazioni basate sulla tradizione. <strong>Bacone</strong> si allontana<br />

dalla routine scolastica e si dedica allo studio delle lingue e alla ricerca sperimentale. L'unico<br />

insegnante che rispetta è un certo Petrus de Maharncuria Picardus , cioè "della Piccardia",<br />

probabilmente identificabile con un matematico chiamato anche Petrus Peregrinus di Piccardia ,<br />

che forse è l'autore di un trattato manoscritto, il De Magnete , conservato nella Bibliotheque<br />

Imperiale di Parigi. Il contrasto tra la poca notorietà di quest'uomo con la fama goduta dai<br />

loquaci giovani dottori suscita la sua indignazione. Nei suoi libri Opus Minus e Opus Tertium<br />

<strong>Bacone</strong> porta avanti una violenta invettiva contro Alessandro di Hales e un altro professore, che<br />

a suo parere, impara insegnando agli altri e adotta un tono dogmatico che gli consente di essere<br />

accolto a Parigi tra gli applausi come se valesse quanto Aristotele, Avicenna o Averroè .<br />

<strong>Bacone</strong> incontra poi il Cardinale Guy le Gros de Foulques , che si interessa delle sue idee e gli<br />

chiede di compilare un trattato sistematico. <strong>Bacone</strong> inizialmente esita a causa della regola<br />

dell'Ordine <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> che vieta che i suoi membri pubblichino alcunché senza un permesso<br />

specifico. Ma il cardinale diventa il papa Clemente IV e torna a sollecitare <strong>Bacone</strong> di ignorare il<br />

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divieto e di scrivere il suo trattato in segreto. <strong>Bacone</strong> allora acconsente e nel 1267 invia al papa<br />

la sua opera, intitolata Opus Majus , un trattato sulle scienze (grammatica, logica, matematica,<br />

fisica e filosofia). Questa viene seguita nello stesso anno da una Opus Minus , un sommario delle<br />

idee più rilevanti della sua prima opera. Nel 1268 riesce ad inviare al papa la sua Opus Tertium<br />

; questi però muore quello stesso anno. Bacon cade allora in disgrazia e successivamente dallo<br />

stesso Ordine <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> viene imprigionato per la seconda volta nel 1278 , con l'accusa di<br />

diffusione di idee dell' alchimia araba, ma senza dubbio anche per il fatto che le sue proteste<br />

contro l'ignoranza e l'immoralità del clero avevano fatto nascere nei suoi confronti una accusa di<br />

stregoneria . Becone rimane imprigionato per più di dieci anni, fino a che l'intercessione di alcuni<br />

nobili inglesi gli assicura la liberazione.<br />

Nei suoi scritti <strong>Bacone</strong> reclama una riforma degli studi teologici. Si dovrebbe meno enfasi alle<br />

distinzioni filosofiche minori discusse nella Scolastica , mentre la stessa Bibbia dovrebbe tornare<br />

al centro dell'attenzione e i teologi dovrebbero studiare approfonditamente le lingue nelle quali i<br />

testi originali sono stati composti. Egli in effetti padroneggia parecchie lingue e lamenta la<br />

corruzione dei testi sacri e delle opere dei filosofi greci dovuta ai numerosi errori di traduzione e<br />

di interpretazione. Inoltre <strong>Bacone</strong> spinge tutti i teologi a studiare accuratamente tutte le scienze<br />

e di aggiungerle al normale curricolo universitario.<br />

<strong>Bacone</strong> disponeva di una delle più autorevoli intelligenze del suo tempo, e forse di tutti i tempi, e<br />

nonostante i tanti svantaggi e impedimenti che deve subire, riesce a compiere molte scoperte e<br />

ad avvicinarsi a un numeroancora maggiore. Egli rifiuta diseguire ciecamente le autorità<br />

precostituite, sia sul piano teologico che su quello scientifico. La sua "Opus Majus" contiene<br />

trattazioni di matematica , ottica , alchimia e manifattura della polvere da sparo ,le posizioni e le<br />

estensioni dei corpi celesti , compresa la chiara affermazione della rotondità della terra; l'opera<br />

inoltre anticipa successive invenzioni come il microscopio , il telescopio , gli occhiali, le macchine<br />

volanti e le navi a vapore. <strong>Bacone</strong> studia anche l' astrologia ed è convinto che i corpi celesti<br />

esercitino una influenza sul fato e la mente degli umani. A lui sideve anche una critica al<br />

calendario giuliano allora in uso. Per primo dopo gli scienziati elenistici riconosce lo spettro<br />

visibile in un bicchiere d'acqua, secoli prima dei lavori di ottica di personaggi come Marcantonio<br />

de Dominis , Cartesio e Isaac Newton . A lui si devono anche misurazioni sull' arcobaleno .<br />

Egli fu un entusiasta sostenitore e praticante del metodo sperimentale come mezzo per acquisire<br />

conoscenze intorno al mondo: sul tema, è famosa la sua polemica con Alberto Magno , proprio per<br />

stabilire che cosa intendere per metodo scientifico. Egli si era anche ripromesso di pubblicare<br />

una ampia enciclopedia , ma di questa sono comparsi solo pochi <strong>fra</strong>mmenti.<br />

Nelle opere di fantasia<br />

Molti autori, soprattutto a partire dall'epoca rinascimentale, sono stati attratti dalla figura di<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> come l'incarnazione del saggio e sottile possessore di conoscenze negate ai più e<br />

forse proibite, simile a un dottor Faust . Intorno alla sua figura sono cresciute numerose<br />

leggende e storie impossibili a verificarsi, ad esempio quella che egli avesse creato una testa di<br />

ottone parlante in grado di rispondere ad ogni quesito; questa diceria ha un ruolo centrale<br />

nell'opera teatrale Friar Bacon and Friar Bungay scritta da Robert Greene intorno al 1589 .<br />

Probabilmente la più completa ed accessibile descrizione della vita di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> è<br />

contenuta nel libro Doctor Mirabilis , scritto nel 1964 dall'autore di fantascienza James Blish. Si<br />

tratta del secondo libro (inedito in Italia) di una trilogia quasi religiosa, intitolata After Such<br />

Knowledge (o Apocalisse ), e si configura come un racconto completo, a tratti autobiografico della<br />

vita di <strong>Bacone</strong> e del suo sforzo volto a sviluppare una "scienza universale". Si tratta di un testo<br />

basato su ricerche approfondite anche per un accademico e ricco di riferimenti, comprese ampie<br />

citazioni dalle opere dl protagonista, ma presentato secondo lo stile romanzesco; l'autore lo<br />

considera un'opera di fantasia o una visione .<br />

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01/06/2012 - 18.06 <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

La Filosofia della natura di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong><br />

Il libro è uno studio sulla filosofia della natura di <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong>. Questo <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>,<br />

eclettico pensatore, si rivela un personaggio di grande interesse nella storia della scienza e della<br />

filosofia medievale, figura emblematica di un'epoca in cui si assiste al consolidarsi di due distinte<br />

prospettive filosofiche: una di orientamento aristotelico, presso l'università di Parigi, con Alberto<br />

Magno e Tommaso d'Aquino, e una linea prevalentemente platonica nello Studium di Oxford,<br />

con Roberto Grossatesta e lo stesso <strong>Bacone</strong>.<br />

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01/06/2012 - 18.06 <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

Dopo aver studiato e insegnato diversi anni a Parigi, dove assimilò la filosofia di Aristotele,<br />

<strong>Bacone</strong> fece ritorno alla sua terra d'origine, stabilendosi ad Oxford, ove entrò in contatto con le<br />

idee di Roberto Grossatesta, che prospettavano una visione platonica del cosmo e una fisica<br />

basata sulla conoscenza delle strutture matematiche della natura e sulla pratica sperimentale .<br />

La cultura di <strong>Bacone</strong> è così ampia da meritargli l'appellativo di “doctor mirabilis”, il campo dei<br />

suoi interessi vastissimo: matematica, ottica, alchimia, studio delle lingue, filosofia morale,<br />

diritto, teologia.<br />

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Non si tratta tuttavia di una erudizione tanto multiforme quanto caotica, ma del frutto di un<br />

lungo studio orientato da una precisa visione unitaria del sapere . Lunghi anni di ricerca trovano<br />

una sintesi nella sua opera più famosa, l' Opus Maius , scritto intorno al 1267 e inviato al<br />

pontefice Clemente IV, per esporgli le basi di una riforma sistematica di tutto il sapere , volta al<br />

rinnovamento culturale della civiltà cristiana.<br />

Nel redigere questo ambizioso programma <strong>Bacone</strong> è animato da una profonda convinzione della<br />

veridicità di quanto si attesta nel Secretum Secretorum , un testo pseudoaristotelico di carattere<br />

esoterico, che conobbe grande diffusione, in cui si narra di una antica sapienza, rivelata<br />

originariamente da Dio ai <strong>primi</strong> uomini, e in seguito andata perduta.<br />

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Tale sapienza originale conteneva, secondo lui, molte notizie intorno ai mezzi tecnici per<br />

migliorare la vita umana , e che la civiltà cristiana è chiamata a recuperare. Le sue idee si<br />

presentano in aperta polemica con alcuni maestri dell'università di Parigi, in particolare con un<br />

“maestro innominato” che possiamo identificare, quasi certamente, con Alberto Magno, accusato<br />

di incompetenza, perché, tra l'altro, non assegnerebbe la dovuta importanza alla conoscenza<br />

della matematica.<br />

Il presente studio analizza le idee di <strong>Bacone</strong> intorno alle due discipline che costituiscono i<br />

capisaldi del suo sistema delle scienze: la matematica , che egli considera “la porta e la chiave di<br />

tutte le scienze”, e la scienza sperimentale , chiamata “domina scientiarum”.<br />

Emergono, dalla lettura di questo pensatore medievale, interessanti analogie con quello che sarà<br />

il pensiero di alcuni protagonisti della rivoluzione scientifica, nel XVII secolo, in particolare per<br />

ciò che riguarda la concezione di un universo ordinato secondo le leggi della geometria euclidea ,<br />

le quali forniscono anche il paradigma di ogni vera conoscenza.<br />

Il primo capitolo offre una buona panoramica sulle vicende biografiche e sul lavoro intellettuale<br />

di <strong>Bacone</strong>, rintracciando gli autori, le letture, le scuole filosofiche che maggiormente hanno<br />

influenzato il suo pensiero, e trattando in maniera sintetica i contenuti dell'Opus Maius. Nel<br />

secondo capitolo si entra nello specifico, trattando della matematica e dei motivi per cui essa<br />

viene assunta a cardine di tutto il sapere.<br />

Ben otto prerogative <strong>Bacone</strong> attribuisce a questa disciplina, le quali dimostrano perché essa<br />

debba considerarsi “porta e chiave di tutte le scienze”, dice infatti il filosofo: “solo la matematica<br />

si mantiene per noi certa e verificata, per cui è attraverso di essa che occorre conoscere e<br />

comprovare ogni altra scienza”.<br />

La matematica, secondo <strong>Bacone</strong>, deve trovare applicazione nei più svariati campi del sapere:<br />

nelle scienze della natura innanzitutto, dove la ricerca delle cause dei fenomeni deve portare ad<br />

individuarne la struttura geometrica, nell'ottica, che fornisce il modello di tutti i meccanismi di<br />

causa-effetto, persino nella linguistica, dove determina le leggi della metrica, nella logica, ove<br />

definisce la natura delle categorie, e, infine, nell'interpretazione della Bibbia, ove contribuisce a<br />

chiarire tanti particolari del testo sacro, e fornisce utili esempi che aiutano a comprendere, per<br />

analogia, le verità soprannaturali.<br />

Le leggi della geometria euclidea pervadono dunque il mondo sensibile, prendendo corpo nell'<br />

ottica , cui è dedicato il capitolo terzo: tale disciplina, nel pensiero di <strong>Bacone</strong>, acquista i caratteri<br />

di una vera e propria fisica matematizzata.<br />

Il capitolo si apre con una interessante excursus storico attraverso alcuni autori antichi e<br />

medievali, specie di orientamento platonico, i quali hanno visto, nei fenomeni luminosi descritti<br />

dall'ottica geometrica, una sorta di “matrice” comune di tutti i fenomeni naturali, spesso<br />

mettendo in relazione tali ipotesi con il significato mistico che molte tradizioni attribuiscono alla<br />

luce. Si descrivono quindi alcuni aspetti della scienza ottica, le leggi di riflessione e ri<strong>fra</strong>zione,<br />

portando numerosi esempi tratti da pagine dell'Opus Maius.<br />

L'ultima parte è dedicata alla scienza sperimentale , aspetto a cui, nella storiografia, il nome di<br />

<strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> è quasi sempre legato.<br />

Spesso la letteratura ricorda, ad esempio, l'utilità che <strong>Bacone</strong> assegnava alla scienza<br />

sperimentale, al fine di smascherare i trucchi di sedicenti maghi. Scopo di questo capitolo è<br />

chiarire che cosa <strong>Bacone</strong> intendesse davvero con la dizione “scientia experimentalis”, e quali<br />

applicazioni dei suoi principi egli sia riuscito in concreto a proporre. Anche qui l'analisi è<br />

arricchita da vari esempi, tratti dall'Opus Maius, che ci fanno conoscere anche alcune curiose<br />

credenze dell'epoca. Ampio spazio è dedicato alla sua celebre ricerca sulla natura dell'arcobaleno<br />

: essa, oltre a costituire un interessante esempio di applicazione del metodo induttivo,<br />

rappresenta anche, per la storia della scienza, un contributo originale del <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> alla<br />

conoscenza di questo spettacolare fenomeno ottico.<br />

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<strong>Bacone</strong> fu probabilmente il primo a determinare, in un angolo di 42 gradi, la misura dell'altezza<br />

massima del sole oltre la quale l'arcobaleno non può apparire, e ad attribuire la formazione<br />

dell'iride alla ri<strong>fra</strong>zione dei raggi solari. Dalle pagine di questo grande erudito emerge dunque<br />

una visione della scienza in cui «matematicismo ed empirismo non si trovano affatto in<br />

contraddizione. L'universo, secondo il nostro <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong>, è una rete di forze, in ogni punto<br />

convergono e da ogni punto si diramano infiniti raggi che trasmettono gli influssi con cui ogni<br />

corpo è in collegamento con ogni altro, tali influssi si propagano seguendo le leggi della<br />

geometria ottica, quindi ogni fenomeno è descrivibile in termini matematici: tutto questo non è<br />

in contrasto con la necessità di ricorrere all'analisi empirica al fine di conoscere la natura, perché<br />

è proprio l'esperienza che ci permette di cogliere il reale nella sua matematicità» (p. 145).<br />

Si tratta dunque di un personaggio rappresentativo di una scuola di pensiero che ha aperto la<br />

strada ad una concezione, e ad una pratica della scienza, di tipo empirico-matematico, come<br />

quella che poi si è concretamente sviluppata in epoca moderna. Per questo il libro è uno<br />

strumento particolarmente utile a chi vuole farsi un'idea della distanza che, fin dal XIII secolo,<br />

era già rintracciabile tra la concezione parigina e quella oxfordiana del sapere: la prima<br />

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platonizzante, univoca e matematizzata; la seconda aristotelizzante, analoga e organizzata<br />

secondo scienze gerarchizzate da una ben precisa teoria dei fondamenti. Se allora <strong>Ruggero</strong><br />

<strong>Bacone</strong> e Alberto Magno non poterono comprendersi, forse lo potrebbero meglio se vivessero ai<br />

nostri giorni, nei quali la via matematizzata sembra richiedere sempre più insistentemente<br />

un'attenzione ai suoi presupposti logici e ontologici, e la via filosofica esige di farsi maggiormente<br />

scientifica e formale, per non perdersi in un relativismo senza via d'uscita. Dunque questo studio<br />

non ha solamente un interesse storico orientato al passato, ma aiuta a comprendere meglio, nelle<br />

loro radici remote, anche le problematiche della scienza recente.<br />

Claudio<br />

Spero che questo documento vi piaccia<br />

Se volete continuare la consultazione di altri documenti che riguardano studiosi di<br />

Occulto del passato, consultate i miei siti web e troverete cose molto interessanti.<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/<br />

http://www.cartomante-bantan.com/<br />

Buon lavoro a tutti<br />

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