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Cartesio René des Cartes Magia Naturale

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03/07/2012 - 21.12 <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> <strong>René</strong> <strong>des</strong> <strong>Cartes</strong> <strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong><br />

Se vuoi continuare la consultazione di questo argomento clicca sui seguenti link :<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_della_cartomanzia_5848028.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5848021.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_1350093.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5841380.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dell_esoterismo_5837682.html<br />

http://www.cartomante-bantan.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884786.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_della_cartomanzia_5836497.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5840997.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_518348.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5847931.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dell_esoterismo_5847972.html<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884561.html<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> <strong>René</strong> <strong>des</strong> <strong>Cartes</strong> <strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong> http://goo.gl/u1RFL http://goo.gl/viIBX<br />

Del resto, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> era noto per i suoi interessi ermetici: dopo l’apparizione dei Rosa+Croce in<br />

Germania verso il 1613, egli si recò a cercarli tornando in Francia solo nel 1623, quando anche a<br />

Parigi apparvero i manifesti del movimento di cui lui portava il monogramma, R.C., <strong>René</strong>e Des<br />

<strong>Cartes</strong>. Egli dichiarò sempre di aver sviluppato i fondamenti della sua filosofia e matematica<br />

(basati sulla Croce Infinita degli assi cartesiani) durante un’illuminazione onirica avuta in<br />

Germania: l’idea di un contatto con la setta non è quindi così peregrina, e contribuisce anch’essa<br />

a spiegare la leggenda meccanica.<br />

<strong>René</strong> Descartes<br />

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<strong>René</strong> Descartes (1596-1650), che tanta parte ha avuto nel porre le fondamenta a tutto il<br />

meccanicismo si interessò di ottica, metereologia, medicina, anatomia ed embriologia; ai fini del<br />

nostro discorso, il grande merito di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sta non soltanto nell'aver dato per primo una<br />

spiegazione generale dei fenomeni ottici, ma anche di aver compreso la natura della percezione,<br />

eliminado tutti quei riferimenti magici ed esoterici presenti sino a quel momento, come si vede<br />

da questo brano, in cui a proposito di un pezzo di cera afferma:<br />

...Ora, qual è questa cera, che non può essere concepita se non dall’intelletto o dallo spirito?<br />

Certo è la stessa che io vedo, tocco, immagino, e la stessa che conoscevo fin da principio.<br />

Ma, e questo è da notare, la percezione, o l’azione per mezzo della quale la si percepisce, non è una<br />

visione, né un contatto, né un’immaginazione, e non è mai stata tale, benché per lo innanzi così<br />

sembrasse, ma solamente una visione della mente, la quale può esser imperfetta e confusa, come<br />

era prima, oppure chiara e distinta, com’è a<strong>des</strong>so, secondo che la mia attenzione si porti più o<br />

meno verso le cose che sono in essa, e di cui essa è composta...<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> opera una netta distinzione fra sensazioni e gli oggetti che la provocano: la durezza, il<br />

calore, i sapori, la luce e i colori sono qualità soggettive, la luce non è una sostanza e i colori non<br />

sono caratteristiche delle particelle in movimento.<br />

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Secondo il filosofo francese la sensazione del colore si origina dalla diversa rotazione conferita<br />

alle particelle dal fenomeno<br />

della rifrazione, per cui<br />

l’occhio subisce una<br />

pressione diversificata: una<br />

maggiore rotazione provoca<br />

la sensazione del rosso,<br />

mentre la sensazione d el blu<br />

è data da una pressione<br />

minore.<br />

A proposito della luce,<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> nella Dioptrique<br />

(1637) fa l'esempio del cieco o<br />

di una persona nella più assoluta oscurità che, con un bastone, cerca di farsi un'idea<br />

dell'ambiente circostante:<br />

...Quindi la luce non è altro, nei corpi che si chiamano luminosi, che un certo movimento o<br />

un'azione molto pronta e viva, che passa verso i nostri occhi per il tramite dell'aria e degli altri<br />

corpi trasparenti, allo stesso modo che il movimento o la resistenza dei corpi che incontra il cieco,<br />

passa verso la sua mano, per il tramite del suo bastone...<br />

L'altro modello utilizzato da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per spiegare la natura della luce è rappresentato dal vino<br />

che in un tino, pieno di uva semipigiata, nel cui fondo siano presenti due piccoli fori, tende ad<br />

uscire in linea retta:<br />

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...Così tutte le parti della materia che tocca il lato del Sole volto verso di noi, tendono in linea<br />

retta verso i nostri occhi nel me<strong>des</strong>imo istante che sono aperti, senza impedirsi le une con le altre<br />

e anche senza essere impedite dalle parti grossolane dei corpi trasparenti, che sono tra i due ...<br />

I chicchi dell'uva nel tino rappresentano nel suo modello le parti più grossolane dell'aria.<br />

La riflessione e la rifrazione sono spiegate attraverso il modello di una palla che, scagliata da<br />

una racchetta, colpisce un ostacolo e rimbalza e i colori con le diverse velocità di rotazione e di<br />

traslazione delle particelle d'etere:<br />

ci sono corpi<br />

...che riflettono i raggi senza portare alcun mutamento alla loro azione, i bianche, mentre altri vi<br />

apportano un mutamento simile a quello che subisce una palla quando viene frisata, quelli cioé<br />

che sono rossi o gialli o azzurri o di simili colori...<br />

I colori, pertanto, sono dovuti al diverso modo con cui i corpi ricevono la luce e la riflettono agli<br />

occhi di chi vede.<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, in questo modo, contribuisce, insieme a molti suoi contemporanei, a ridurre la<br />

percezione che l'uomo ha del mondo a semplici immagini, segni di cui gli scienziati devono aver<br />

consapevolezza, in modo da poterne comprendere i meccanismi di funzionamento; tutte le<br />

percezioni sono dovute a "corpuscoli" che colpiscono i sensi che a loro volta inviano informazioni<br />

all'epifisi.<br />

Si tratta di una semplificazione estrema del meccanismo della percezione, rispetto a quella che<br />

attualmente conosciamo, ma per la prima volta viene operata una distinzione chiara fra gli<br />

oggetti e la percezione che se ne ha.<br />

Le teoria corpuscolare della luce e la spiegazione da lui data della visione dei colori, però, non fu<br />

considerata soddisfacente, dalla maggior parte dei suoi contemporanei; fu infatti criticata da<br />

Hooke, Huygens, Boyle e da Newton.<br />

La visione secondo <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>; i nervi ottici non decussano, ma inviano le loro informazioni alla<br />

ghiandola pineale, centro di controllo<br />

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Formazione dell'immagine; nel disegno è rappresentato l'esperimento di Scheiner<br />

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<strong>René</strong> Descartes<br />

Discorso sul metodo<br />

Il Discorso fu pubblicato nel 1637 come<br />

prefazione a una raccolta di scritti di scienze<br />

naturali comprendente La diottrica, Le<br />

meteore, La geometria. Questo breve scritto<br />

conobbe una fortuna immensa e rimase noto<br />

come manifesto della filosofia cartesiana, se<br />

non del pensiero moderno nel suo complesso.<br />

Come per tutte le opere che hanno avuto<br />

troppa fortuna, la lettura richiede un restauro<br />

che scrosti il peso eccessivo dato alle formule<br />

riassuntive del pensiero cartesiano e ridia il<br />

peso dovuto ai suoi diversi elementi. È ciò che<br />

fanno da un lato le ormai classiche note di<br />

Gilson, che mettono in rilievo soprattutto<br />

l’eredità del linguaggio e dell’apparato<br />

concettuale della scolastica nel pensiero di<br />

Descartes, e dall’altro l’apparato curato da<br />

Mori che vuole mettere lo studente in grado di<br />

collocare l’opera nei confronti di due elementi:<br />

a) la sfida del neopirronismo, o dello<br />

scetticismo umanistico, al quale la nozione di<br />

metodo vuole fornire una risposta capace di tracciare una terza via fra lo scetticismo e<br />

l’aristotelismo ormai indifendibile nei confronti delle critiche scettiche grazie alla possibilità di<br />

stabilire alcune ben delimitate certezze, nonostante l’inaffidabilità del mondo sensibile su cui<br />

poggiava la scienza aristotelica; b) la nuova scienza della natura che sembrava avere indicato la<br />

nuova via per uscire dalla inaffidabilità delle apparenze; che il Discorso fosse concepito come<br />

prefazione a un’opera scientifica è elemento non marginale, anche se trascurato nelle letture<br />

idealistiche della storia del pensiero moderno.<br />

PRIMA DEL TESTO<br />

1 La rivoluzione cartesiana<br />

Leggere oggi il Discorso sul metodo significa soprattutto interrogarsi sul senso della rivoluzione<br />

concettuale che in esso è <strong>des</strong>critta e con cui nasce – per opinione pressoché unanime degli<br />

interpreti – la filosofia moderna. Il Discorso sul metodo è difatti un’opera rivoluzionaria. Nella<br />

forma: non un trattato in stile accademico ma un “discorso”, appunto, con la <strong>des</strong>crizione di un<br />

itinerario conoscitivo personale ed individuale che ogni essere umano dovrebbe essere in grado di<br />

ripercorrere in proprio. Nel contenuto: non una mera discussione critica di tesi antagoniste ma<br />

un sapere che si presenta come opposto in blocco a tutta la tradizione precedente, e soprattutto<br />

alla scolastica aristotelica, allora dominante nei collegi e nelle università. Nella sua stessa<br />

espressione linguistica: in francese, lingua del popolo, anziché nel latino scolastico<br />

prevalentemente utilizzato, all’epoca, dai filosofi di tutta Europa (e dallo stesso Descartes nelle<br />

sue opere sistematiche successive, come le Meditazioni metafisiche e i Principi della filosofia).<br />

La portata rivoluzionaria del Discorso sul metodo va ricercata nelle pieghe di un testo che<br />

alterna, a momenti di grande limpidezza espressiva e concettuale, non pochi luoghi d’ombra, in<br />

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parte del tutto voluti, in parte dovuti alla distanza temporale e culturale che ci separa da esso.<br />

D’altronde, il Discorso sul metodo come lo leggiamo oggi (a partire dal XIX secolo) differisce<br />

dall’originale su un punto non irrilevante. Lo scritto, infatti, non fu pubblicato da Descartes<br />

come un trattato autonomo, ma come l’introduzione a un volume di saggi scientifici, in cui il<br />

metodo da lui teorizzato avrebbe dovuto trovare una prima e già decisiva traduzione pratica: la<br />

Diottrica, le Meteore e la Geometria. Il Discorso sul metodo contiene a sua volta del materiale<br />

eterogeneo, raccolto in maniera organica soltanto poco prima della pubblicazione. Nonostante<br />

ciò, l’opera mantiene un’eccezionale unità stilistica e concettuale, che le deriva soprattutto<br />

dall’essere quella “storia della sua mente” che Descartes si era ripromesso di scrivere già alcuni<br />

anni prima. Il Discorso sul metodo ripercorre infatti nei suoi momenti salienti la biografia<br />

intellettuale del suo autore e ne riflette le esitazioni, le prime certezze, gli attimi di grande<br />

entusiasmo conoscitivo.<br />

2 Il metodo e la filosofia<br />

Il Discorso sul metodo è molto meno – e molto più – di una raccolta di precetti per il buon uso<br />

della facoltà conoscitiva umana. Al “metodo”, in senso stretto, sono dedicate solo pochissime<br />

pagine della seconda parte, mentre in tutto il resto Descartes espone quelli che considera i frutti<br />

più importanti del suo nuovo modo di far filosofia. Il progetto di scrivere un’opera interamente<br />

dedicata al metodo, Descartes lo aveva accarezzato in precedenza e poi abbandonato, lasciandolo<br />

incompiuto sotto il titolo di Regole per la guida dell’intelligenza. Redatta attorno al 1628,<br />

quest’opera rappresenta l’archeologia del metodo cartesiano: un metodo largamente ispirato ai<br />

procedimenti della matematica e della geometria, ma non ancora garantito nella sua<br />

applicazione da alcun principio superiore, analizzato filosoficamente e indubitabile.<br />

Al contrario, per il Descartes maturo, sarà impossibile separare il metodo dalla filosofia che con<br />

esso sorge e che ne fonda nel contempo la validità. Il metodo, allora, non è soltanto propedeutico<br />

alla filosofia: il metodo si identifica con la filosofia stessa, che scaturisce da esso senza soluzione<br />

di continuità. Il metodo è una “scienza universale” – come recita il titolo cui Descartes aveva<br />

pensato inizialmente per il suo scritto: Progetto di una scienza universale che possa innalzare la<br />

nostra natura al suo massimo grado di perfezione – che<br />

contiene la chiave di tutte le conoscenze, inglobandole al<br />

suo interno. Il Discorso sul metodo è dunque, in primo<br />

luogo, un discorso sulla filosofia, sul suo senso, sui suoi<br />

limiti, ma anche e soprattutto sui suoi contenuti. Per<br />

questo il metodo non si può insegnare, ma solo praticare:<br />

filosofando.<br />

3 L’albero della conoscenza<br />

La filosofia di Descartes si presenta essenzialmente<br />

come una fisica, strettamente legata alle nuove scoperte<br />

dell’era della rivoluzione scientifica (Copernico, Galileo,<br />

Keplero, Harvey), e come una metafisica, da cui la fisica<br />

stessa dipende per i suoi principi fondamentali. Questa<br />

articolazione interna – consacrata da Descartes con la<br />

celebre immagine di un albero di cui la metafisica<br />

costituisce le radici e la fisica il tronco – rovescia la<br />

tradizionale impalcatura del sapere scolastico, erede<br />

dell’organizzazione degli studi di origine aristotelica, in<br />

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cui la metafisica seguiva la logica e la fisica.<br />

Invece, secondo Descartes, la metafisica non costituisce l’approdo finale della conoscenza e non è,<br />

né può essere, preparata o introdotta dallo studio dei sillogismi o da quello dei fenomeni<br />

naturali. La logica, infatti, viene considerata da Descartes solo come un modo per ordinare<br />

meglio delle conoscenze già acquisite, non certo per arricchire il sapere. Quanto alla fisica, essa<br />

sarebbe priva di ogni fondamento razionale se non fosse direttamente garantita dalla metafisica.<br />

Descartes può quindi mantenere la definizione aristotelica della metafisica come “filosofia<br />

prima”, ma modificando radicalmente il senso di questa espressione: “prima”, non perché tratta<br />

dei principi primi della realtà dal punto di vista ontologico (la sostanza, secondo Aristotele), ma<br />

perché tratta di quelle nozioni che, per la loro semplicità, cioè per la loro indipendenza da altre,<br />

sono le “prime” dal punto di vista della conoscenza. Questo rovesciamento di prospettiva, che<br />

pone la centralità della questione della conoscenza umana e del suo fondamento ancor prima<br />

d’interrogarsi sulla struttura o sulla realtà stessa di ciò che esiste fuori dalla mente, influenzerà<br />

in maniera decisiva la tradizione filosofica occidentale dei secoli seguenti.<br />

4 Il dubbio<br />

La metafisica cartesiana si esprime<br />

caratteristicamente, anche nel<br />

Discorso sul metodo, nella forma<br />

letteraria della “meditazione”; nella<br />

forma, cioè, di un itinerario di<br />

pensiero individuale, in cui biografia<br />

e filosofia si sovrappon gono fino a<br />

non distinguersi più: l’isolamento di<br />

Descartes nel suo alloggio te<strong>des</strong>co<br />

nell’inverno del 1619 (II. 1) e il suo<br />

ritiro in Olanda nove anni dopo (III.<br />

7) simboleggiano quella vera e<br />

propria ascesi teoretica che è<br />

richiesta per giungere al fondamento<br />

del sapere. La ricerca di verità<br />

indubitabili inizia infatti<br />

necessariamente con una rinuncia:<br />

rinuncia ad ogni pregiudizio, ad ogni<br />

luogo comune, ad ogni certezza<br />

acquisita ma non indagata<br />

criticamente. È questa la strada del<br />

dubbio, che Descartes percorre nella<br />

maniera più decisa, alla maniera degli scettici antichi e moderni, negando a tutto ciò sia soggetto<br />

al benché minimo sospetto di infondatezza. La critica cartesiana colpisce in primo luogo le<br />

conoscenze provenienti dai sensi, giudicate del tutto inaffidabili: la possibilità di credere vere, in<br />

sogno, delle cose puramente immaginarie può infatti farci pensare che tutta la nostra vita sia in<br />

realtà un susseguirsi di illusioni percettive, e che nulla – neppure il nostro corpo – esista nella<br />

realtà oltre ai nostri pensieri.<br />

Astrarre dai sensi diventa dunque la prima massima di Descartes, che rivolge poi la sua<br />

attenzione a quelle nozioni puramente intellettuali, come i teoremi matematici, che sembrano<br />

dotate del massimo di certezza razionale. Ma anche le certezze intellettuali non sono esenti da<br />

ogni dubbio. Infatti, osserva Descartes, spesso consideriamo valide e del tutto evidenti<br />

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dimostrazioni matematiche che si rivelano poi fallaci, come dimostra l’esempio degli errori in cui<br />

incorrono tanti scienziati: non potrebbero esser false, dunque, tutte le proposizioni la cui verità ci<br />

appare evidente? Certo, si tratta di un dubbio artificiale e forzato: nessuno, in realtà, può negare<br />

la validità dei teoremi matematici, così come nessuno negherà mai seriamente l’esistenza del<br />

mondo esterno e del proprio corpo. Ma si tratta di un dubbio necessario da un punto di vista<br />

filosofico per trovare ciò che è assolutamente certo. Solo ciò che resisterà a questa “macchina del<br />

dubbio” potrà infatti essere considerato come una verità realmente evidente.<br />

5 L’io e Dio<br />

Di fronte all’instabilità delle nozioni sottoposte al dubbio scettico si staglia l’evidenza<br />

dell’esistenza dell’io. Un’evidenza immediata e intuitiva: penso, dunque sono (francese: je pense,<br />

donc je suis; latino: cogito ergo sum, da cui la forma abbreviata: cogito) non è, secondo Descartes,<br />

una verità cui si giunga con un ragionamento deduttivo; si tratta, piuttosto, di una conoscenza<br />

immediata, di un dato coscienziale evidente per chiunque vi rifletta. E la verità di un tale asserto<br />

è assolutamente indubitabile: anche se ne dubitassimo, il fatto stesso di dubitarne dimostrerà la<br />

sua verità, perché per dubitare occorre pur sempre pensare, e dunque esistere.<br />

Se l’argomento del Cogito non era di per<br />

sé nuovo, la scelta di partire dall’esistenza<br />

dell’io pensante, unico dato<br />

incontrovertibile e capace di superare il<br />

test dell’indubitabilità, rappresenta<br />

certamente il momento più innovativo del<br />

pensiero cartesiano.<br />

Nell’ordine cartesiano delle ragioni, l’io è<br />

la prima conoscenza evidente e il modello<br />

di tutte le conoscenze evidenti. Ma l’io<br />

scoprirà ben presto la sua finitezza, e da<br />

questa giungerà a dimostrare l’esistenza<br />

di Dio, fondamento e garanzia di tutto il<br />

sapere.<br />

Infatti, secondo Descartes, solo<br />

supponendo l’esistenza di un Dio<br />

infinitamente perfetto si può concedere<br />

l’assenso a tutte quelle evidenze che, a<br />

differenza del cogito, non sono<br />

incontrovertibili in quanto tali. È il caso<br />

di tutti i teoremi matematici e, in<br />

generale, di ogni proposizione chiara e distinta, come quelle concernenti la definizione del<br />

pensiero e della materia. Se ignorassimo la nostra origine non potremmo esser certi della<br />

corrispondenza al vero di tali conoscenze. Invece, sapendo di essere le creature di un Dio<br />

infinitamente perfetto, che non può darci facoltà fallaci, possiamo esser certi che l’evidenza (per<br />

noi) di un’idea implica la sua verità (cioè la sua corrispondenza con le cose come sono<br />

indipendentemente da noi).<br />

6 L’unità del sapere<br />

La complessa dinamica della metafisica cartesiana permette dunque di giungere<br />

progressivamente, con una serie di delicati passaggi, alla fondazione dell’evidenza razionale, e<br />

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dunque del metodo stesso, che trova<br />

nella perfezione divina la sua fonte e<br />

la sua garanzia. Con ciò si coglie il<br />

senso della “scienza universale”<br />

vagheggiata da Descartes, che<br />

riprende qui, a suo modo, un luogo<br />

comune della cultura antica e poi di<br />

quella rinascimentale. In effetti,<br />

quando Descartes parla di “scienza<br />

universale”, egli non intende in alcun<br />

modo riferirsi ad arcani principi della<br />

natura, e ancor meno ad una capacità<br />

straordinaria, da parte del filosofo, di<br />

penetrarne i misteri. Descartes,<br />

soprattutto nella fase matura del suo<br />

pensiero, respinge con sdegno l’ideale del saggio del Rinasci mento dotato di poteri intellettuali<br />

superiori, quando non magici, sostituendovi l’idea di un pensiero razionale univoco e presente,<br />

almeno potenzialmente, in tutti gli individui della specie umana.<br />

Lo stesso modello privilegiato delle scienze esatte, e in particolar modo quello della geometria,<br />

non è utilizzato da Descartes per ridurre ad esso tutti i tipi di conoscenza umana. Le scienze<br />

esatte sono solo l’espressione più riuscita, grazie all’astrattezza del loro contenuto, di una facoltà<br />

conoscitiva che è unica.<br />

L’unità del sapere e la possibilità di un metodo valido per tutte le scienze non dipendono dunque<br />

dall’oggetto della conoscenza, né consistono in un corpus di verità nascosto ai più; esse dipendono<br />

piuttosto dal soggetto pensante, che, nella sua massima accessibilità a se stesso, si vede posto al<br />

centro dell’intero itinerario conoscitivo come suo punto d’inizio imprescindibile e indubitabile.<br />

7 Materia e movimento<br />

Lo sforzo cartesiano di individuare i<br />

principi primi del sapere e di ricondurre<br />

ogni scienza a pochi principi generali è<br />

particolarmente evidente anche in fisica.<br />

La fisica cartesiana si caratterizza infatti<br />

par un radicale riduzionismo, cioè, nella<br />

fattispecie, per il tentativo di spiegare<br />

tutti i fenomeni osservabili solo in termini<br />

di movimento regolare delle particelle di<br />

materia, considerando nel contempo la<br />

materia stessa come pura estensione<br />

geometrica, priva di ogni misteriosa<br />

energia interna e di ogni altr a<br />

caratteristica non strettamente<br />

quantitativa. Sono messe al bando, in<br />

particolare, tutte quelle “facoltà” e “virtù”<br />

che pullulavano nella fisica scolastica di<br />

origine aristotelica. Descartes le<br />

considera come pure etichette prive di valore esplicativo e buone soltanto a ripetere,<br />

tautologicamente, ciò che già si sa: l’oppio, farà dire Molière al suo malato immaginario, possiede<br />

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una “virtù dormitiva”, ovvero ha un effetto sonnifero, senza che con ciò si spieghi in alcun modo<br />

come un tale effetto venga provocato<br />

dall’oppio stesso...<br />

La fisica del Discorso sul metodo, malgrado qualche attenuazione prudenziale, lascia trapelare i<br />

punti salienti del programma cartesiano: 1) matematizzazione della fisica: se la materia si<br />

identifica con l’estensione, cioè con lo spazio, ogni evento può essere <strong>des</strong>critto in termini<br />

geometrici; 2) infinità dell’universo e divisibilità infinita della materia, con conseguente<br />

negazione dell’esistenza del vuoto; 3) negazione del finalismo e concezione evoluzionistica della<br />

cosmologia: il mondo com’è oggi è il risultat<br />

o di un lungo processo in cui, a partire dal<br />

caos iniziale, si è progressivamente giunti,<br />

attraverso aggregazioni sempre diverse di<br />

materia, alla natura quale ci appare<br />

attualmente. Tutte tesi, queste,<br />

radicalmente opposte alla fisica aristotelica e<br />

potenzialmente in contrasto con l’ortodossia<br />

teologica dell’epoca – il che spiega<br />

ampiamente la prudenza di Descartes. Non<br />

meno audace, peraltro, era la tesi degli<br />

“animali-macchina”, ampiamente<br />

argomentata nella quinta parte del Discorso.<br />

Contro una tradizione millenaria (ma anche in risposta alla recente polemica di Montaigne sulla<br />

superiorità degli animali sull’uomo), Descartes attribuisce tutte le funzioni vitali degli animali<br />

non ad una qualche forma di “anima”, bensì alla materia organizzata in modo puramente<br />

meccanico, estendendo questa spiegazione anche al corpo dell’uomo. La differenza fondamentale<br />

tra l’uomo e gli animali risiede nel pensiero, di cui gli animali sono privi nel modo più assoluto<br />

(mancano infatti, secondo Descartes, di ogni forma di sensibilità e di coscienza: non soffrono, non<br />

hanno passioni, non hanno idee). L’uomo, al contrario, è un “composto” di mente e corpo, di<br />

pensiero ed estensione, di contenuti coscienziali e di materia in movimento – senza che tale<br />

unione, peraltro, sia spiegabile razionalmente, dato che pensiero ed estensione sono per<br />

Descartes radicalmente eterogenei.<br />

8 I rami dell’albero<br />

La ricerca dei principi primi della natura e della conoscenza non esaurisce tuttavia il compito<br />

della filosofia. Infatti, secondo Descartes, la filosofia ha una funzione eminentemente pratica. Il<br />

tema ricorre di frequente nel Discorso sul metodo, intrecciandosi al richiamo, di sapore<br />

baconiano, al dominio sulla natura da parte dell’umanità. In Descartes, dominare la natura<br />

significa soprattutto combattere la morte, opporsi efficacemente alle malattie, migliorare le<br />

condizioni di vita degli esseri umani: “la conservazione della salute è stata da sempre lo scopo<br />

principale dei miei studi”. La cura del corpo non può tuttavia essere disgiunta da quella<br />

dell’anima: in questo senso, la medicina e la tecnica sono equiparate alla morale e considerate<br />

come i “rami” dell’albero della scienza. Rami, tuttavia, che sono ancora incapaci di dare frutti<br />

pienamente maturi, e ciò a causa dell’insufficienza delle nostre conoscenze. In particolare, per<br />

quanto riguarda la morale, Descartes ne propone nella III parte del Discorso una versione<br />

“provvisoria”, da far propria in attesa di giungere a conoscenze scientifiche anche in questo<br />

ambito.<br />

Malgrado l’incompiutezza del sistema di conoscenze a cui prelude, il “metodo” resta comunque<br />

secondo Descartes il primo passo verso la saggezza, secondo un itinerario che parte dal dubbio<br />

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scettico per poi stabilire l’esistenza dell’io e di Dio, ma che da queste verità fondate sulla pura<br />

meditazione razionale si allontana subito, per coltivare ciò che può più contribuire alla felicità<br />

umana, e che dipende necessariamente anche dal corpo: “se io credo che sia necessario aver<br />

compreso almeno una volta nella vita i<br />

principi della metafisica, poiché sono essi<br />

che ci danno la conoscenza di Dio e<br />

dell’anima nostra, io penso anche c he<br />

sarebbe molto dannoso occupar troppo a<br />

lungo il proprio intelletto in tali<br />

meditazioni, poiché esso non potrebbe<br />

badare altrettanto bene alle funzioni<br />

dell’immaginazione e dei sensi”22. Si<br />

rivela, in queste parole così come in tutta<br />

la parte finale del Discorso, la vocazione<br />

essenzialmente eudemonistica e terrena<br />

del cartesianismo: il ripudio delle facoltà<br />

sensibili è necessario in metafisica, ma al<br />

solo scopo di recuperarle poi con maggior consapevolezza per metterle al servizio della felicità<br />

degli esseri umani in questo mondo<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> Rosacroce<br />

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Prima di morire Paracelso http://goo.gl/yrvNb http://goo.gl/5UKGg aveva profetizzato che nel<br />

1572 sarebbe passata sopra la terra una cometa, annunciatrice di profondi cambiamenti nel<br />

mondo.<br />

La nuova "riforma magica" sarebbe stata apportatrice di pace e tutti gli uomini saggi avrebbero<br />

lavorato insieme per il bene dell'umanità.<br />

Sull'onda di questa idea nacquero alcune società iniziatiche, come i "Fratelli della Croce d'Oro",<br />

fondata da Agrippa, e la "Milizia evangelica" di Luneburg.<br />

Ma fu solo nel 1614 che apparve un libretto, la Fama fraternitatis, cui seguì la Confessio<br />

fraternitatis, che erano il manifesto, comprendente tutti i principi dell'Ordine, della società<br />

iniziatica dei Rosacroce.<br />

Nell'immagine a lato, Paracelso<br />

I Rosacroce sono la setta segreta che ha <strong>des</strong>tato il più grande<br />

interesse popolare, perché la più misteriosa; il nome<br />

deriverebbe dal fondatore dell'ordine, Christian Rosenkreuze,<br />

figura mitica che ha fatto discutere a lungo gli storici sulla<br />

realtà della sua esistenza.<br />

I Rosacroce si manifestarono al mondo nel 1614, quando nelle<br />

città di Kassel e di Strasburgo fu pubblicata la Fama<br />

fraternitatis, che riportava il messaggio di un anonimo<br />

adepto di questa fratellanza iniziatica, che cercava il<br />

rinnovamento morale per arrivare alla perfezione, ottenibile in<br />

concomitanza con una serie di riforme.<br />

Vi si narrava la storia di Chistian Rosenkreutze, nato nel<br />

1378 da una povera famiglia te<strong>des</strong>ca ed educato in un<br />

convento, che aveva lasciato per viaggiare per il mondo ed in<br />

particolare in Oriente; a Damasco aveva ricevuto conoscenze segrete da un gruppo iniziatico che<br />

aveva la sede principale nella inaccessibile città di Damcar, in Arabia.<br />

Tornato in Germania, Christian aveva fondato un'associazione con quattro amici, legati da un<br />

giuramento di fedeltà e di silenzio, allo scopo di dedicarsi alla cura dei malati.<br />

Col tempo i membri erano diventati otto; abitavano in varie parti del mondo e si riunivano una<br />

volta l'anno in una casa chiamata "Dimora dello Spirito Santo", per parlare delle proprie<br />

esperienze e fare insieme progetti per il futuro. Christian era morto nel 1484, alla bella età di<br />

centosei anni, ma la sua tomba era stata scoperta solo nel 1604: coloro che vi erano entrati<br />

l'avevano vista illuminata di una luce sovrannaturale e piena di libri di magia, alcuni di autori<br />

che non erano ancora nati ai tempi della morte di Christian.<br />

Nel frattempo i Rosacroce si erano moltiplicati, costituendo una vera e propria confraternita; essi<br />

non vestivano in modo particolare, adattandosi agli usi del paese che li ospitava; avevano in odio<br />

la lussuria, erano buoni cittadini, riconoscevano la supremazia dell'Impero Germanico e facevano<br />

voto di aiutare tutti coloro che erano degni, servendo<br />

Dio e sostenendo il progresso della conoscenza; per loro religione e scienza non erano agli<br />

antipodi, ma si completavano a vicenda.<br />

Nel 1615 uscì la Confessio fraternitatis rosae crucis, indirizzata ai sapienti europei, che<br />

spiegava i gradi iniziatici e scopriva i suoi netti caratteri protestanti; l'anno seguente uscì<br />

l'ultima parte del libello, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutze, forse il più<br />

interessante dei tre, un romanzo iniziatico che <strong>des</strong>criveva l'illuminazione di Christian.<br />

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Rosenkreutze e illustrava le basi della spiritualità rosacrociana.<br />

Un così straordinario programma di vita creò un incredibile fermento fra gli intellettuali europei,<br />

che si divisero in due gruppi, uno di critica ed uno a sostegno delle teorie enunciate.<br />

L'ideale dei Rosacroce incarnava benissimo l'inquietudine, le speranze di miglioramento, la<br />

voglia di cambiamento e di riforme che agitavano non solo la Germania, ma tutta l'Europa.<br />

Affascinò talmente gli ingegni dell'epoca che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> cercò invano degli adepti per farsi iniziare<br />

alla setta.<br />

Le polemiche sulla confraternita si sprecarono; alcuni affermavano che i Rosacroce non<br />

esistevano, altri che esistevano ed erano seguaci di Paracelso; per alcuni era tutta un'invenzione<br />

del pastore luterano Giovanni Valentino Andrea; per altri erano falsi Rosacroce, perché quelli<br />

veri erano nati a Lunenburg nel 1598, sotto il nome di "Milizia Crucifera Evangelica".<br />

Il massimo della fantasia fu la versione che i Rosacroce, stanchi della incredulità degli Europei,<br />

erano emigrati in India ed erano divenuti fondatori di una setta di buddhismo esoterico.<br />

Da allora molti affermarono di essere iniziati Rosacroce.<br />

Nel 1629 il curato di Gisors, in Normandia, Robert Deyau, scrisse una storia della cittadina e<br />

della famiglia de Gisors, affermando categoricamente che la società dei Rosacroce era apparsa al<br />

mondo profano da pochi anni, ma in realtà era stata fondata nel 1188 da Jean de Gisors e che<br />

era collegata con l'Ordine di Sion, un misterioso ordine iniziatico segreto che avrebbe dato vita<br />

anche ai Templari. Se ne è parlato di recente, perché sembrava essere collegato con la notissima<br />

vicenda di Rennes-le-Chateau, prima che si scoprisse che quello di Rennes (il Priorato di Sion)<br />

era pura invenzione.<br />

L'Ordine di Sion sarebbe stato fondato attorno al 1090 da Goffredo di Buglione, il conquistatore<br />

della Terrasanta.<br />

Gli adepti avrebbero poi preso il nome dall'abbazia di Nostra Signora di Sion, costruita dopo la<br />

conquista di Gerusalemme sul monte Sion, a sud della città, sulle rovine di una chiesa bizantina<br />

precedente del IV secolo, chiamata "Madre di tutte le chiese".<br />

Un cronista la <strong>des</strong>crisse nel 1172 come un luogo molto ben fortificato, organizzato e<br />

autosufficiente.<br />

A Goffredo fu offerto il titolo di re di Gerusalemme, ma egli lo rifiutò umilmente, preferendo<br />

accettare quello di "Difensore del Santo Sepolcro"; quando morì, nel 1100, lo stesso titolo fu<br />

offerto a Baldovino, suo fratello minore, che divenne re col nome di Baldovino I.<br />

Due dei membri dell'Ordine di Sion, de Payen e de Montbard, fondarono l'Ordine dei Templari,<br />

che lavorò in parallelo con l'altro ordine fino al 1187, quando Gerusalemme cadde ed i due ordini<br />

si divisero.<br />

L'Ordine di Sion lasciò la Terrasanta e si trasferì in Francia; prese allora il nome definitivo di<br />

Priorato di Sion, assumendo come sottotitolo "Ormus-Ordre de la Rose-Croix"; da qui la<br />

teoria che essi fossero i precursori dei Rosacroce.<br />

Per quel che riguarda invece l'altro nome, un’antica tradizione parla di un saggio di fede<br />

gnostica, Ormus, nato ad Alessandria d'Egitto, che nel 46 d. C. aveva fondato, con altri sei<br />

seguaci, una piccola confraternita di iniziati, che aveva come simbolo una croce rossa ed una<br />

rosa.<br />

Convertitisi al Cristianesimo ad opera di san Marco, questi iniziati avevano poi diffuso idee che<br />

erano una mescolanza di gnosticismo e Cristianesimo, oltre che di dottrine iniziatiche ermetiche<br />

e pitagoriche, che in quel periodo erano diffusissime ad Alessandria.<br />

Il nome Ormus figura anche nella religione di Zoroastro, dove indica il principio della luce e del<br />

bene, quindi non era strano che qualcuno lo pren<strong>des</strong>se come pseudonimo.<br />

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Al momento della divisione dai Templari, il Gran Maestro del Priorato era Jean de Gisors,<br />

pronipote di Hugues de Payen.<br />

1 - INTRODUZIONE<br />

METODO, FISICA E<br />

METAFISICA<br />

IN<br />

RENÉ DESCARTES<br />

PARTE PRIMA<br />

Con il progressivo smantellamento dell'aristotelismo, soprattutto a seguito delle importanti<br />

scoperte nel campo dell'astronomia, della matematica, dell'anatomia e della meccanica, si<br />

sentiva l'esigenza di ricostruire un substrato concettuale, di riferimento, a tutto quanto di nuovo<br />

si veniva affermando.<br />

Il programma cartesiano per molti versi cercò di rispondere a questa esigenza.<br />

La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema<br />

copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza.<br />

Nel lavoro che segue intendo presentare la vita, il pensiero e l'opera di uno dei più grandi e noti<br />

pensatori del Seicento, <strong>René</strong> Descartes.<br />

E' del tutto evidente che su tale personaggio sia stato scritto praticamente tutto e quindi è<br />

davvero complicato poter scrivere qualcosa di originale.<br />

Osservo però che andando a leggere le numerose opere che trattano il personaggio si trova quasi<br />

sempre il suo contributo alla filosofia mentre viene trascurato abbastanza il contributo di<br />

Descartes alla scienza, se si esclude quello alla matematica.<br />

Inoltre, soprattutto in autori francesi ci si scontra spesso con posizioni scioviniste che lungi dal<br />

far chiarezza complicano molto la comprensione del pensatore francese.<br />

Intendo quindi riprendere, in linea generale, il pensiero di Descartes ed andare quindi a cogliere,<br />

in particolare, i suoi contributi alla scienza della natura ed alla matematica.<br />

2 - LA VITA E LA CRONOLOGIA DELLE OPERE<br />

<strong>René</strong> Descartes è noto come <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per il costume che ancora si aveva nel Seicento di<br />

latinizzare il proprio nome e Descartes usava firmarsi <strong>Cartes</strong>ius.<br />

Egli nacque nel 1596 a La Haye, villaggio francese nella regione della Touraine sulla Loira, da<br />

famiglia che per le terre che aveva è definibile di petite noblesse (suo padre era consigliere al<br />

parlamento bretone di Rennes). Ad appena un anno restò orfano della madre e della sua<br />

educazione si occupò la nonna. Malfermo di salute, si mostrò subito precoce nel chiedere e<br />

indagare su tutto e per questo suo padre lo chiamava "il filosofo". Studiò a La Fleche nel Collegio<br />

Reale Henri-le-Grand gestito dai gesuiti tra il 1604 ed il 1612, Gli insegnamenti che aveva<br />

seguito erano: grammatica, retorica, latino, greco, ebraico, filosofia (all'interno della quale si<br />

studiava la scolastica e la fisica), matematiche e teologia. Descartes ebbe a dire in seguito:<br />

«J’étais dans l’une <strong>des</strong> plus célèbres écoles de l’Europe» ma, ciò<br />

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Registro in cui è annotata la graduazione di Descartes<br />

nonostante, giudicò i suoi studi incoerenti, sterili, dogmatici e poco adatti ad orientare lo spirito<br />

verso una ricerca seria sul mondo che ci circonda e quindi non in grado di sviluppare le capacità<br />

razionali (Discours de la Méthode). Dopo aver preso il diploma di scuola superiore, passò<br />

all'università di Poitiers dove nel 1616 conseguì il titolo di baccalaureato in legge (anche se, tra il<br />

1615 ed il 1616, si era occupato prevalentemente di medicina). Non esercitò però la professione di<br />

avvocato e, dopo due anni di soggiorno in voluto isolamento a Parigi, anni nei quali iniziò a<br />

studiare il grande libro del mondo, preferì (1618) recarsi in Olanda (all'epoca alleata della<br />

Francia contro la Spagna) ed arruolarsi alla scuola di guerra di Maurizio di Nassau, principe<br />

d'Orange. Qui conobbe un medico, Isaac Beeckman, con il quale rimase in contatto per tutta la<br />

vita e condivise approfonditi interessi scientifici dei quali restano i primi scritti di Descartes in<br />

una corrispondenza con Beeckman e nei diari del me<strong>des</strong>imo Beeckman che forniscono un<br />

resoconto delle idee di Descartes su questioni scientifiche (matematica, fisica, logica). E' da<br />

notare che Beckman, studioso di fisica e matematica, era rettore di una delle più prestigiose<br />

scuole d'Olanda ed uno scienziato all'avanguardia nelle conoscenze del suo tempo: era<br />

copernicano in cosmologia, sostenitore delle idee di Harvey sulla circolazione del sangue in<br />

fisiologia e atomista in fisica (dove fin dal 1916 mostrò di aver capito il principio d'inerzia e la<br />

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caduta dei gravi con uguale velocità). Oltre a Beeckman frequentò anche il matematico<br />

Faulhauer, conosciuto ad Ulm nel 1620, che lo erudì nei più recenti sviluppi dell'algebra,<br />

particolarmente nei lavori di Viète. Nel 1619 Descartes lasciò l'Olanda per recarsi in Danimarca,<br />

quindi si recò la Germania dove si arruolò nell'esercito del duca Massimiliano di Baviera allo<br />

scoppio della Guerra dei 30 anni. Tra il 1619 ed il 1620 egli iniziò a sviluppare i principi del suo<br />

sistema: i semplici ragionamenti che un uomo di buon senso può fare spontaneamente riguardo<br />

alle cose che si offrono alla sua attenzione sono di gran lunga più evoluti e vicini al vero delle<br />

cose che uno apprende nelle scuole. Si convinse che era necessario cancellare tutte le conoscenze<br />

acquisite per ripart ire da zero e rimetterle insieme dopo averle controllate e ordinate secondo le<br />

esigenze della ragione. Racconta Descartes che questa ispirazione gli venne da tre sogni fatti a<br />

Neuburg, alla frontiere nord della<br />

Baviera, dove era di stanza<br />

l'esercito, la notte del 10 novembre<br />

1619. In uno di essi, un violento<br />

uragano lo faceva volare lontano<br />

da Flèche e, mentre era in volo,<br />

egli guardava la tempesta<br />

osservandola, libero da<br />

superstizione, con gli occhi della<br />

scienza. Si svegliò e per giorni<br />

interi restò rinchiuso nella sua<br />

stanza molto riscaldata da una<br />

grande stufa in ceramica. Meditò lì<br />

dentro e, alla fine, uscì pieno di<br />

entusiasmo per aver intravisto il<br />

fondamento di una scienza<br />

meravigliosa. Anche se non ci disse<br />

qual era il fondamento e quale la<br />

scienza, sembra che si trattasse<br />

dell'applicazione dell'algebra alla<br />

geometria e quindi all'invenzione (che sarà anche di Fermat) della geometria analitica e, più in<br />

generale, all'applicazione della matematica allo studio dei fenomeni naturali. Fu qui dunque che<br />

nacque il primo abbozzo del Discours de la Méthode. L'entusiasmo per l'illuminazione era tale<br />

che la fede ingenua di Descartes, come sostiene Mesnard, gli fece far voto di un pellegrinaggio a<br />

Loreto (tal cosa si realizzò nel 1623). Ed a seguito di tale illuminazione Descartes si convinse a<br />

lasciare definitivamente l'esercito (fine 1619).<br />

Tra il 1620 ed il 1622 viaggiò in Germania ed Olanda. Nel 1622 tornò in Francia e, dopo una<br />

permanenza a Parigi, si rimise in viaggio verso l'Italia. Di questo periodo abbiamo uno dei suoi<br />

primi scritti, De solidorum elementis, che si aggiunge ad altre brevi note (Olympiques), ad un suo<br />

vecchio scritto di musica, Abrégé de musique (del 1618 dedicato a Beeckman), un trattatello di<br />

scherma (Traité d'escrime del 1613, perduto) e ad altre brevi opere alcune prima perdute e<br />

quindi ritrovate nel 1859 (Cogitationes Privatae) ed altre perdute definitivamente.<br />

Tra l'autunno del 1623 ed il maggio del 1625, Descartes si recò a Venezia (per la cerimonia delle<br />

nozze del Doge con il mar Adriatico), a Roma (per l'apertura dell'Anno Santo il 24 dicembre<br />

1624), a Firenze e, probabilmente - visto che alcuni lo negano - proprio a fare il pellegrinaggio a<br />

Loreto (nel qual caso, visto che il suo pellegrinaggio era frutto di un voto, esso sarebbe dovuto<br />

avvenire, come da costume dell'epoca, a piedi). In Italia non incontrò Galileo, che in quegli anni<br />

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aveva grandissima fama ed era ancora lungi dalla condanna (1633) per il Dialogo sui due<br />

Massimi Sistemi del mondo, e non si sa neppure se lo avesse voluto incontrare. Dice Descartes<br />

che per quanto riguarda Galilei, vi dirò che non l'ho mai visto, né ho comunicato con lui in alcun<br />

modo. Eppure Galileo era ben conosciuto da Descartes perché nel 1610 egli era alunno dai<br />

gesuiti di Flèche, gesuiti che erano stati informati dai colleghi del Collegio Romano di Roma delle<br />

scoperte annunciate da Galileo nel Nuncius Sidereus. Ma risulta che Descartes nutrisse una<br />

certa invidia, mostrata in più occasioni, verso lo scienziato pisano. Descartes sosteneva, in<br />

definitiva, che non aveva quasi nulla da apprendere da Galileo.<br />

Dal 1625 al 1628 è di nuovo prevalentemente in Francia dove, avendo già conquistato fama di<br />

matematico, viene richiesto da circoli intellettuali con suo particolare gradimento. In questo<br />

periodo strinse importanti relazioni tra l'altro con il dottissimo frate dell'ordine dei Minimi<br />

(fondato da San Francesco di Paola nel 1436), Marin Mersenne, teologo appassionato di filosofia<br />

e problemi scientifici, il quale fu suo corrispondente per molti anni ed anche tramite con il mondo<br />

dotto dell'epoca che annoverava personalità del calibro di Hobbes, Galileo,<br />

Marin Mersenne<br />

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Gassendi, Pascal, Fermat, Torricelli. Nell'estate del 1628 Descartes, tramite Marsenne fu<br />

invitato ad un incontro con il nunzio apostolico. Qui sostenne una disputa per demolire alcune<br />

concezioni di un ciarlatano (Chandoux) che impressionò molto il cardinale Pierre de Berulle<br />

tanto che quest'ultimo volle conoscerlo.. In questi anni egli redige gran parte delle Regulae ad<br />

directionem ingenii, opera che resterà incompiuta e sarà edita postuma nel 1701.<br />

Nel 1628 viaggia in Olanda e vi si trasferisce definitivamente nel 1629 prendendo dimora in<br />

diverse città e facendo conoscenza con le persone più colte e dotte del Paese. Descartes era<br />

convinto di poter vivere tranquillo in Olanda e di poter elaborare le sue idee ed i suoi scritti in<br />

quiete e libertà. Le cose non andarono così perché, a fianco dei molti amici ed estimatori, ebbe<br />

fieri nemici che arrivarono ad accusarlo di ateismo e di eresia ( pelagianismo ) per aver sostenuto<br />

in particolare che l'anima è una entità separata dal corpo. Il fatto non era banale perché una tale<br />

accusa riportava al clima della controriforma caratterizzato da prese di posizione fortemente<br />

critiche nei confronti degli eccessi dell'inquisizione e del rigido controllo sulle opinioni religiose e<br />

sui comportamenti pratici dei singoli esercitato dal potere ecclesiastico. Si diffuse, infatti, come<br />

reazione a questo stato di cose, uno spirito di indipendenza e di diffusa irreligiosità che, specie<br />

dopo le terribili guerre di religione che avevano insanguinato la Francia, assunse caratteri<br />

decisamente anticattolici. In tale clima aveva avuto una grandissima eco la condanna per eresia<br />

di Cesare Vanini, un pensatore pugliese aderente al libertinismo ( come Descartes in Francia ),<br />

che alla critica della fede tradizionale saldava atteggiamenti pratici e prospettive teoriche<br />

fortemente legati all'esaltazione della natura. Il filosofo fu denunciato e condannato, come ateo,<br />

ad avere tagliata la lingua, bruciato il corpo a fuoco lento e le ceneri sparse ai quattro venti. Egli<br />

venne bruciato a Toulouse il 9 febbraio del 1619. Le accuse che si riversavano su Descartes<br />

proprio in quegli anni erano molto pericolose.<br />

La firma di Descartes<br />

Nei primi nove mesi del 1629 Descartes redige il Trattato di metafisica o Della divinità che però<br />

non ci è pervenuto, anche se si può immaginare che il suo contenuto sia stato almeno in parte<br />

riversato nel Discours de la méthode. Venuto a conoscenza di un fenomeno di ottica (i pareli, quei<br />

dischi luminosi situati a <strong>des</strong>tra e sinistra del Sole e dovuti a rifrazione dei raggi solari attraverso<br />

le nuvole composte da cristalli esagonali di ghiaccio) osservato a Frascati dal gesuita Scheiner,<br />

sospese la redazione del Trattato per dare la spiegazione del fenomeno (che poi ritroveremo nelle<br />

Météore).<br />

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In questo periodo Descartes si occupa ancora di matematica cercando di riformare le notazioni<br />

che ancora non erano agili.<br />

Egli introduce le lettere dell'alfabeto latino, prendendo le mosse dai lavori di Viète. Nel 1631<br />

inizia ad elaborare la sua geometria analitica e a scrivere le Météores. A tal fine studia ottica<br />

scoprendo le leggi della rifrazione ed inizia a scrivere la Dioptrique. Durante l'inverno 1631-1632<br />

si trovò ad Amsterdam dove, abitando nel quartiere dei macellai, ebbe modo di assistere a molte<br />

dissezioni che gli permisero di approfondire i suoi studi sulla fisiologia dei viventi. Dall'insieme<br />

di tali studi, tra il 1630 ed il 1633 verrà redatto il suo Traité du Monde o Traité de Lumière (che<br />

ha come ultimo capitolo il Traité de l'Homme). Ma qui si inserisce di nuovo Galileo perché, come<br />

già accennato, proprio nel 1633 si ha la sua brutale condanna dal Tribunale della Chiesa. Questa<br />

notizia convince Descartes a non pubblicare il suo Traité du Monde, che poi è l'insieme delle sue<br />

teorie fisiche ed astronomiche basate sul copernicanesimo (il Traité du Monde sarà pubblicato<br />

postumo nel 1664). Nel 1634 riceverà da Beeckman il Dialogo di Galileo, e, dopo averlo letto dirà<br />

che manca maggiormente laddove segue le opinioni tradizionali che quando se ne allontana.<br />

Comunque il Dialogo gli servirà per chiarire ed indirizzare meglio il suo pensiero. Inizia allora a<br />

pensare al Discours il luogo dove vuole mostrare la potenza del suo metodo. E' da notare che in<br />

questa epoca conosce ed inizia a frequentare ad Utrecht il diplomatico olan<strong>des</strong>e Costantin<br />

Huygens, padre di Christian (1629-1695), colui che sarà un grande scienziato che subirà le<br />

influenze certamente della matematica di Descartes.<br />

Descartes<br />

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Gli anni successivi vedono la successiva pubblicazione del corpo principale delle opere di<br />

Descartes. La prima vera pubblicazione di Descartes è del 1637 e riguarda una delle sue<br />

massime opere, il Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la verité dans<br />

les sciences (dove il metodo è quello matematico) che ha come "appendici" tre importanti lavori<br />

che sono dei<br />

prudenti estratti del suo Traité du Monde: la Dioptrique, le Météores e la Géométrie (l'opera uscì<br />

anonima a Leida per i tipi di Jan Marie). Osservo solo che rispetto al suo sogno di Neuburg sono<br />

passati circa 20 anni. Nel 1641 vengono pubblicate a Parigi le sue Méditations métaphysiques<br />

che contengono anche le sette Obiezioni che si erano avute alle me<strong>des</strong>ime Méditations (nel 1640<br />

si era<br />

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avuta una prima edizione dell'opera e ne aveva inviate varie copie a numerosi intellettuali) e le<br />

sue Risposte a tali critiche.<br />

Oltre alle obiezioni che derivavano da una normale dialettica, vi erano degli accaniti avversari<br />

della nuova filosofia di Descartes tanto che, ad esempio, nel 1642 l'Università di Utrecht ne vietò<br />

l'insegnamento, accusando Descartes di ateismo e pubblicando la condanna nella Piazza della<br />

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città (più tardi anche l'Università di Leida condannerà sul piano teologico Descartes, considerato<br />

"più che pelagiano e blasfemo").<br />

Più in generale gli avversari di Descartes erano i gesuiti (che lo accusavano di essere papista e<br />

cattolico) ed i protestanti più rigorosi (che lo accusavano di avere simpatie protestanti, di<br />

ateismo ed eresia) in quanto per ambedue le categorie la filosofia scolastica era un baluardo della<br />

fede anche negli insegnamenti universitari.<br />

Nel 1644 pubblicò ad Amsterdam in latino i Principia Philosophiae (tradotti nel 1647 in francese<br />

come Les principes de la philosophie), dedicati ad una sua cara amica<br />

conosciuta nel 1642, la principessa Elisabetta di Boemia in esilio in Olanda dal 1620, con la<br />

quale avrà una fittissima corrispondenza di grande valore filosofico. Nel 1649 pubblicò le Traité<br />

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<strong>des</strong> passions de l'âme, libro che aveva iniziato a scrivere nel 1645 su sollecitazione della stessa<br />

amica principessa e che si occupava<br />

di trovare corrispondenze e relazioni tra passioni e morale. Durante questo periodo si recherà tre<br />

volte in Francia (1644, 1647, 1648) per dei brevi soggiorni ed in uno di questi, nel 1647,<br />

conoscerà Pascal al quale consigliò l'esperienza del Puy de Dôme (variazione della pressione con<br />

l'altezza). A questo proposito circolano notizie non corrette secondo le quali Descartes avrebbe<br />

ispirato Pascal nelle sue esperienze sulla pressione. Devo ricordare che Pascal venne a<br />

conoscenza dei lavori sulla pressione di Torricelli da padre Mersenne nel 1644, proprio al<br />

momento della realizzazione della celebre esperienza di Torricelli (solo Rodis-Lewis accenna alla<br />

cosa). Della cosa Marsenne informò anche Descartes ma sia nei lavori di quest'ultimo che in<br />

quelli di Pascal, non si fa mai cenno a Torricelli. Nel settembre 1649 la Regina Cristina di<br />

Svezia, tramite l'ambasciatore di Francia in Svezia, Chanut, lo invita alla sua corte a Stoccolma.<br />

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Egli deve conversare con la Regina. Ma la Regina ha abitudini mattiniere e Descartes conversa<br />

con lei per<br />

Descartes e la regina Cristina, particolare del ritratto di Pierre Dumesnil<br />

cinque ore ogni mattina alle cinque. Il palazzo reale è gelido, si devono attraversare lunghi<br />

corridoi non riscaldati e ampi cortili, e Descartes non sopportava il freddo. Si ammalò di<br />

polmonite che, ahimé, gli venne curata con salassi. Morì a febbraio (qualcuno, recentemente, ha<br />

parlato di avvelenamento da arsenico al quale avrebbe collaborato proprio Chanut). La notizia<br />

della sua morte venne data ad Anversa da un anonimo cronista nel modo seguente: E' morto in<br />

Svezia un folle che credeva di poter vivere quanto voleva. E, per buon peso, le sue opere furono<br />

messe all'Indice dalla S. Congregazione, donec corrigatur, nel 1663.<br />

Nel 1667 le spoglie di Descartes furono restituite alla Francia per essere sepolte, dopo aver<br />

vagato per vari siti, a Saint Germain <strong>des</strong> Prés.<br />

Qualcuno ha osservato che i grandi sono ben accetti in patria solo quando sono morti.<br />

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La tomba di Descartes nella Cappella di<br />

San Benedetto a Sain Germain <strong>des</strong> Prés,<br />

Parigi<br />

MEMORIAE RENATI DESCARTES<br />

RECONDITIORIS DOCTRINAS<br />

LAVDE<br />

ET INGENII SVBTILITAT<br />

PRAECELLENTISSIMI<br />

QVI PRIMVS<br />

A RENOVATIS IN EVROPA<br />

BONARVM LITTERARVM STVDIIS<br />

RATIONIS HVMANAE<br />

IVRA<br />

SALVA FIDEI CHRISTIANAE<br />

AVTORITATE<br />

VINDICAVIT ET ASSERVIT<br />

NVNC<br />

VERITATIS<br />

QVAM VNICE COLVIT<br />

CONSPECTV<br />

FRVITVR<br />

L'epitaffio sulla tomba di Descartes<br />

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3 - IL METODO DI DESCARTES<br />

Diavoletto di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> o ludione. Vi è un generale<br />

accordo nel ritenere che Descartes rappresenti un<br />

cambiamento radicale della visione filosofica del<br />

mondo in opposizione all'aristotelismo ed alla<br />

scolastica. Si tratta di primi passi fondamentali per<br />

sradicare la mala pianta dell'autorità dei testi. Di<br />

fronte alla grande confusione che sul piano filosofico<br />

si era andata creando tra le persone colte sul finire<br />

del Cinquecento, ciascuno tra i più avveduti cerca<br />

un'uscita sul come affrontare il problema della<br />

ricerca della verità. Per iniziare a conoscere<br />

liberandosi dagli errori e confusioni del passato è<br />

partire da un qualche principio certo che sia la base<br />

da cui partire per le nuove elaborazioni. Questa base<br />

è trovata da Descartes nella razionalità dell'uomo<br />

(cogito ergo sum) che sa di esistere solo quando si<br />

accorge di essere in grado di pensare se stesso ed il<br />

mondo circostante. I dubbi devono venir meno ed<br />

essere superati con un approccio al mondo esterno<br />

che preveda che sono vere le cose che concepiamo in<br />

modo chiarissimo e distinto. Si tratta quindi di<br />

mettere in relazione la razionalità dell'uomo con il<br />

mondo esterno ed i suoi fenomeni per spiegarli. Nel<br />

far questo, mano a mano che la conoscenza avanza,<br />

ci si rende conto che non basta la sola razionalità ma<br />

serve anche l'esperienza. Si tratta di una specie di<br />

ritorno al buon senso (Mesnard) che si accompagna<br />

ad un modo nuovo di interrogare e non solo di<br />

osservare, la natura. E' un programma che<br />

Descartes enuncia chiaramente nella Parte Sesta<br />

del Discours che prevede, come dice egli stesso, di sostituire alla Filosofia speculativa che si<br />

insegna nelle scuole, una Filosofia pratica. E' quindi un programma che ribalta il mondo della<br />

filosofia scolastica che credeva di conoscere mediante la manipolazione del linguaggio attraverso<br />

i sillogismi, con una realtà che si sarebbe dovuta adeguare alle conclusioni di contorti<br />

ragionamenti. E' l'insieme di ragione ed esperienza (questa è la novità: l'esperienza non<br />

concepibile per se stessa e la ragione che non può prescindere da essa) che permette la<br />

conoscenza.<br />

Non appena acquistai alcune generali nozioni di Fisica e, utilizzatele per la soluzione di alcuni<br />

problemi particolari, ebbi modo di notare fino a che punto posson condurre e quanto differiscono<br />

dai principi di cui fino ad ora ci si è serviti, stimai che non avrei potuto tenerle nascoste senza<br />

peccare gravemente contro quella legge che ci impone, per quanto è in noi, di procurare il bene<br />

generale di tutta l'umanità. Esse mi hanno infatti mostrato che è possibile giungere a conoscenze<br />

molto utili per la vita e che, al posto di quella Filosofia speculativa che si insegna nelle scuole, se<br />

ne può trovar una pratica, mediante la quale, conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell'<br />

acqua, dell' aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente<br />

come conosciamo le tecniche di cui si servono i nostri artigiani, potremmo utilizzare nello stesso<br />

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modo quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della<br />

Natura. Ciò non è soltanto da <strong>des</strong>iderare per inventare una infinità di strumenti che ci farebbero<br />

godere senza fatica dei frutti della terra e di tutte le comodità che vi si trovano, ma anche,<br />

soprattutto, per conservare la salute, che è senza dubbio il primo e fondamentale bene della nostra<br />

vita. Perfino la mente, infatti, dipende così strettamente dal temperamento e dalla disposizione<br />

degli organi del corpo che, se è possibile trovare qualche mezzo capace di rendere gli uomini più<br />

saggi e più abili di quanto lo sian stati fino ad oggi, penso che sia nella Medicina che debba<br />

cercarsi ... Con tutte le conoscenze che ci restano ancora da acquisire, sarebbe possibile evitare<br />

molte malattie, tanto del corpo quanto dello spirito, e forse perfino l'indebolimento della vecchiaia<br />

se avessimo una sufficiente conoscenza delle loro cause e di tutti i rimedi di cui la Natura ci ha<br />

provveduti [Discours; 2; 542]<br />

E' un programma estremamente ampio<br />

che, si faccia attenzione, ha come fine<br />

principale l'uomo, nella sua natura<br />

esclusivamente terrena. Non è stata, credo,<br />

sottolineata a sufficienza questa<br />

preoccupazione di Descartes per alleviare<br />

le sofferenze dell'uomo. Egli si occupa, in<br />

definitiva, della morte che sarà argomento<br />

grave che occuperà anche i pensieri di<br />

Leibniz. Ma una vita non basta e per fare<br />

esperienze e per mettere insieme tutto ciò<br />

che ci occorre per i fini che egli si propone<br />

(alleviare la sofferenza dell'uomo) e quindi<br />

Descartes mette giù le sue conoscenze al<br />

fine che altri seguano sulla strada della<br />

conoscenza che è somma dei lavori di molte<br />

vite di studiosi. Così gli ultimi potranno<br />

partire dai risultati dei primi e l'umanità<br />

potrà progredire molto più di quanto non lo<br />

possa un singolo individuo. Ma qui nasce<br />

l'esigenza di passare dall'osservazione empirica ed ingenua di ciò che ci circonda a quella più<br />

raffinata che si acquisisce con l'esperienza:<br />

le esperienze sono tanto più necessarie quanto più si è progrediti nella conoscenza. Infatti, agli<br />

inizi è meglio servirsi di quelle che si presentano da sé ai nostri sensi e che non si possono<br />

ignorare, sol che vi si presti un po' d'attenzione, invece di cercarne altre più rare e studiate: queste<br />

infatti, quando non si conoscono ancora le cause delle più comuni e quando le circostanze da cui<br />

dipendono - come quasi sempre accade - sono così particolari e minute che riesce assai difficile<br />

notarle, spesso ingannano [Discours; 2; 543]<br />

E ciò rappresenta un radicale cambiamento di rotta rispetto ad Aristotele e, soprattutto, agli<br />

aristotelici eh vengono qui bistrattati da Descartes.<br />

Essi sono come l'edera, che non tende per nulla a salire oltre gli alberi che la sostengono e che<br />

spesso, anzi, giunta alla cime ridiscende [Discours; 2; 547]<br />

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Non ha infatti senso cercare risposte negli scritti di Aristotele a problemi nuovi o a questioni alle<br />

quali non ha mai pensato. Certamente ciò conviene alle menti deboli e non in grado di essere<br />

autonome. Conviene loro perché sono usi nascondersi dietro discorsi oscuri ed argomentazioni<br />

contorte pretendendo con ciò di contrastare menti sottili ed abili che utilizzano invece la ragione<br />

come strumento di continua analisi del mondo circostante. Sono come ciechi che, per battersi con<br />

un vedente, lo costringono in una cella sotterranea a lottare al buio. Per parte sua Descartes non<br />

ha intenzione di perdere tempo con tali personaggi:<br />

dirò soltanto che ho deciso di impiegare il tempo che mi resta da vivere cercando d'acquistare una<br />

conoscenza della Natura che sia tale da poterne trarre per la Medicina norme più sicure di quelle<br />

seguite fino ad oggi; dirò pure che la mia inclinazione mi allontana tanto da qualsiasi altro<br />

progetto, soprattutto da quelli che non possono essere utili agli uni che nuocendo ad altri che, se<br />

qualche circostanza mi costringesse a dedicarmici, in nessun modo - credo - sarei capace di<br />

riuscirvi [Discours; 2; 553]<br />

Fin qui per ciò che riguarda aspetti<br />

fondamentali del metodo per conoscere il<br />

mondo naturale. Ma manca un altro<br />

aspetto che pure è ritenuto fondamentale<br />

da Descartes e del quale discute nella<br />

Parte Seconda, cioè prima di quanto ho<br />

discusso, dei Discours. Mi riferisco alla<br />

Matematica che viene introdotta con un<br />

discorso articolato che inizia nella Prima<br />

Parte e che vale la pena raccontare. Egli<br />

inizia con il passare in rassegna tutte le<br />

cose che ha studiato fin dalla gioventù.<br />

Dice di aver studiato in una delle più<br />

celebri scuole d'Europa, dove pensava<br />

dovessero trovarsi uomini dotti. Le lingue<br />

le ritiene importanti perché permettono di<br />

studiare libri antichi; le favole hanno<br />

invece il pregio di risvegliare l'ingegno che<br />

viene poi innalzato dallo studio delle gesta<br />

memorabili; la lettura dei buoni libri è<br />

come una conversazione con i saggi. Egli<br />

ha apprezzato anche l'Eloquenza e la<br />

Poesia ma ha considerato queste discipline<br />

più come doni naturali che non come un<br />

qualcosa che si acquisisce con lo studio.<br />

Con la Teologia il rapporto era diverso ed<br />

in qualche modo la ritenevo cosa utile per<br />

guadagnarsi il cielo. Ma la lasciò da parte<br />

perché in cielo vanno sia gli ignoranti che i dotti e perché le verità rivelate, superando di molto<br />

l'intelligenza umana, non avrebbe mai avuto il coraggio di sottoporle al vaglio della ragione. La<br />

Filosofia, poi, aveva visto cimentarsi i più illustri ingegni che continuavano a disquisire senza<br />

tirare fuori un qualcosa che abbia un senso definitivo e comunque egli non si sente capace di<br />

aggiungere qualcosa. Riguardo poi alle scienze che discendevano dalla filosofia le ha lasciate da<br />

parte perché non si costruisce nulla di buono con basi così incerte. Infine, dice, quanto alle false<br />

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scienze, pensavo di conoscere già abbastanza bene il loro valore per non lasciarmi ingannare né<br />

dalle promesse di un Alchimista, né dalle predizioni di un Astrologo, né dalle imposture di un<br />

Mago, né dagli artifizi o dalle vanterie di quelli che vogliono far credere di sapere più di ciò che<br />

realmente sanno. ... Per tutte queste ragioni appena l'età mi permise di uscire dalla tutela dei<br />

miei Precettori, abbandonai interamente lo studio delle lettere[Discours; 2; 503].<br />

Nel cercare il vero Metodo per giungere alla conoscenza di tutte le cose di cui la sua mente era<br />

capace Descartes affronta il problema della Matematica che non è però così entusiasmante per<br />

lui come potrebbe sembrare da una semplice vulgata perché anche questa scienza non lo soddisfa<br />

per come è formulata.<br />

Con <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, la geometria delle coordinate ebbe un utilizzo nella costruzione di lenti per<br />

telescopi, strumenti che appassionarono molto lo scienziato francese.<br />

Il suo fu uno studio molto utile, in quanto sino ad allora non si riusciva a focalizzare in un unico<br />

punto raggi luminosi paralleli mediante il passaggio attraverso una lente. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, che in<br />

precedenza aveva <strong>des</strong>critto le operazioni dell’occhio nel libro La Diotrique, si dedicò a questo<br />

studio.<br />

Fin dall'antichità era noto che la superficie sferica non focalizzava i raggi paralleli in un unico<br />

punto, Keplero aveva suggerito che potesse trattarsi di una sezione conica, ma fu <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> che<br />

scoprì la curva che genera la superficie di rotazione richiesta essa è nota oggi con il nome "ovale<br />

di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>".<br />

Le caratteristiche rifrangenti vennero da lui analizzate nella Dioptrique e completate nella<br />

Geometrie. La curva corrisponde alla seguente definizione :< essa è il luogo dei punti M che<br />

soddisfano la condizione FM +- nF 1 M = 2a, dove F ed F 1 sono due punti fissi, 2a è un qualunque<br />

numero reale maggiore della distanza FF 1 e n è un numero reale qualsiasi >. Da qui si può<br />

constatare che per n = 1 si ottiene un’ellisse, per n= -1 un'iperbole, per n diverso da ± 1<br />

un’equazione di una curva di quarto grado.<br />

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Quando ero più giovane avevo un po' studiato, tra le parti della Filosofia, la Logica e, tra le<br />

Scienze Matematiche, l'Algebra e l'Analisi dei Geometri: tre arti o scienze che mi pareva dovessero<br />

contribuire in qualche modo al mio progetto.<br />

Quando però le esaminai mi avvidi che, quanto alla Logica, i suoi sillogismi e la maggior parte<br />

dei suoi precetti servono più a spiegare, agli altri quanto già si conosce o, addirittura – come l'arte<br />

di Lullo, a parlare senza discernimento delle cose che si ignorano anziché insegnarle.<br />

Per quanto questa scienza contenga realmente molti precetti ottimi e verissimi, tuttavia ve ne sono<br />

mescolati insieme tanti altri dannosi e superflui che separarli sarebbe quasi tanto arduo quanto<br />

trarre una Diana o una Minerva da un blocco di marmo non ancora sbozzato.<br />

Quanto poi all'Analisi degli antichi e all'Algebra dei moderni, oltre a riferirsi esclusivamente a<br />

materie astrattissime e che sembrano inutili, la prima è sempre talmente vincolata alla<br />

considerazione delle figure da non poter esercitare l'intelletto senza affaticare molto<br />

l'immaginazione, e la seconda è talmente assoggettata a certe regole e a certe cifre da divenire<br />

un'arte confusa e oscura, che confonde la mente invece di coltivarla. Per tutto questo stimai<br />

necessario cercare qualche altro Metodo che, comprendendo i vantaggi di queste tre scienze, fosse<br />

esente dai loro difetti.<br />

E poiché il gran numero delle leggi fornisce spesso scuse per i vizi, tanto che uno Stato è assai<br />

meglio ordinato quando, avendone solo pochissime, vi vengono strettamente osservate, così, in<br />

luogo di quel gran numero di precetti che conta la Logica, pensai che mi sarebbero stati sufficienti<br />

questi quattro che sto per enumerare, purché deci<strong>des</strong>si fermamente di non cessare mai, neppure<br />

una sola volta, di osservarli [Discours; 2; 510].<br />

E siamo arrivati ai famosi quattro precetti che Descartes ritiene fondamentali per sviluppare il<br />

suo Metodo: 1 - non si deve mai ammettere per vera alcuna cosa che non sia del tutto evidente<br />

come tale per far ciò occorre bandire il Pregiudizio; 2 - ogni problema che si presenti al nostro<br />

studio va suddiviso in tanti piccoli problemi che si prestano ad essere indagati meglio<br />

separatamente, alla fine di tale processo sarà possibile ricomporre e studiare meglio il problema<br />

complessivo; 3 - per conoscere la natura occorre muoversi in modo induttivo partendo dallo<br />

studio delle cose più semplici e più facili per salire via via ai più complessi; 4 - in tale studio<br />

occorre considerare classi di fenomeni molto ampie in modo da non omettere nulla. Riporto di<br />

seguito i quattro precetti che, occorre dire, Descartes aveva già enunciato nelle sue Regulae ad<br />

directionem ingenii scritto nel 1629 e pubblicato postumo nel 1701, come vedremo nel prossimo<br />

paragrafo.<br />

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Il primo prescriveva di non accettare mai per vera nessuna cosa che non conoscessi con evidenza<br />

esser tale: evitare cioè accuratamente la Precipitazione e la Prevenzione e non comprendere nei<br />

miei giudizi se non ciò che si fosse presentato alla mia mente con tale chiarezza e distinzione da<br />

non aver nessun motivo di metterlo in dubbio.<br />

Il secondo consisteva nel dividere ciascuna difficoltà che stessi esaminando in tante piccole parti<br />

quanto fosse possibile e necessario per giungere alla miglior soluzione di essa.<br />

Il terzo nel condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili<br />

da conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi, e<br />

supponendo poi un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri.<br />

L'ultimo, infine, era di procedere in ogni caso ad enumerazioni così complete e a rassegne tanto<br />

generali da esser certo di non aver omesso assolutamente nulla [Discours; 2; 510-511].<br />

A parte il primo precetto, gli altri tre sono molto generici tanto che Leibniz dirà che era come<br />

consigliare ad un chimico di prendere quello che devi prendere, fare come devi fare, per ottenere<br />

ciò che <strong>des</strong>ideri.<br />

Subito dopo aver enunciato i precetti, Descartes ritorna al ruolo della matematica, questa volta<br />

più convinto perché è proprio il suo Metodo che gli ha permesso di modificarla in modo da<br />

rispondere ai suoi fini di conoscenza del mondo.<br />

tra tutti quelli che hanno cercato finora la verità nelle scienze, solo i Matematici sono riusciti a<br />

trovare alcune dimostrazioni, cioè alcune ragioni certe ed evidenti, non ebbi alcun dubbio che<br />

bisognava prendere le mosse da quelle da loro esaminate, quantunque non sperassi di trame altra<br />

utilità, se non quella di abituare il mio ingegno a nutrirsi di verità e a non contentarsi in nessun<br />

caso di false ragioni.<br />

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Non per questo mi proposi di cercare di apprendere tutte quelle scienze particolari che di solito si<br />

dicono Matematiche, ma, osservando che, malgrado la diversità dei loro oggetti, tuttavia si<br />

accordano tutte nel limitarsi a considerare i diversi rapporti o proporzioni che vi si trovano,<br />

stimai che sarebbe stato meglio esaminare solo queste proporzioni in generale, supponendole<br />

esclusivamente in oggetti che servissero a rendermene più facile la conoscenza; anzi, senza<br />

limitarle in nessun modo a questi, per poterle poi applicare a tutti gli altri cui convenissero.<br />

Avendo poi osservato che, per conoscerle, avrei dovuto in certi casi considerarle ciascuna<br />

singolarmente, mentre in altri casi mi sarebbe stato sufficiente ricordarle e comprenderne molte<br />

insieme, pensai che, per meglio considerarle in particolare, avrei dovuto immaginarle come linee,<br />

giacché nulla intravedevo di più semplice e di più distintamente rappresentabile alla mia<br />

immaginazione e ai miei sensi; ma che, per ricordarle e comprenderne insieme molte, avrei dovuto<br />

esprimerle con alcune cifre, le più brevi che fosse possibile: in tale modo avrei preso quanto di<br />

meglio offrivano 1'Analisi dei Geometri e l'Algebra e avrei corretto i difetti dell'una per mezzo<br />

dell' altra.<br />

Oso infatti affermare che 1'esatta osservanza di quei pochi precetti che avevo scelto mi permise di<br />

risolvere tutti i problemi di queste due scienze con tale facilità che nei due o tre mesi che impiegai<br />

ad esaminarli, avendo iniziato dai più semplici e generali - ogni verità trovata costituendo per me<br />

una regola utile per trovarne poi altre -, non solo venni a capo di molti che in altro tempo avevo<br />

giudicato difficilissimi, ma, verso la fine, mi sembrò anche di poter determinare, negli stessi<br />

problemi che ignoravo, con quali mezzi e fino a qual punto avrei potuto risolverli [Discours; 2;<br />

511-512].<br />

Siamo quindi al quadro completo del Metodo di Descartes. Per il nostro occorre indagare la<br />

realtà servendosi della ragione, abbandonando l'autorità dei testi.<br />

Più avanzano le conoscenze meno bastano le osservazioni empiriche.<br />

Occorre allora sollecitare la realtà con le esperienze.<br />

Sullo sfondo, come tessuto connettivo, occorre trattare matematicamente ogni problema perché<br />

la matematica è la certa fonte della conoscenza e con essa si identifica la scienza della natura.<br />

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E' un'identificazione ampia perché la matematica serve sì a conoscere la natura ma essa stessa è<br />

prodotta allo stesso modo con cui si conosce la natura, dalla mente umana.<br />

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4 - LE REGULAE<br />

Ho già accennato al fatto che Descartes aveva scritto le Regulae ad directionem ingenii, prima<br />

dei Discours, nel 1629. Molte delle cose che sono nelle Regulae si ritrovano nella prefazione dei<br />

Dioscours ma nelle Regulae si può approfondire qualche aspetto del pensiero di Descartes, ad<br />

esempio quello che egli ha sulla matematica e che ho riportato nel paragrafo precedente.<br />

Tralasciando le Regole che non aggiungono nulla di nuovo a quanto detto, vediamo la Regola IV<br />

in cui Descartes spiega meglio la sua concezione della matematica.<br />

Ormai fiorisce un certo genere di Aritmetica che è chiamato Algebra, per operare con i numeri ciò<br />

che gli antichi facevano con le figure. Queste due (scienze) non sono niente altro che frutti<br />

spontanei, nati dai principi di questo metodo che sono naturalmente in noi; non mi meraviglio che<br />

(tali frutti) fino ad oggi siano maturati intorno agli oggetti semplicissimi di queste arti più<br />

felicemente che nelle altre, nelle quali maggiori ostacoli di solito li soffocano, dove però, tuttavia,<br />

se coltivati con grandissima cura, potranno senza dubbio giungere a maturazione perfetta<br />

[Regulae; 2; 245].<br />

Descartes osserva che ormai è nata l'algebra che ha sostituito la geometria, si lavora con numeri<br />

e si è soppiantato l'uso delle figure che era degli antichi. Egli intende costruire un'altra<br />

matematica come annuncia subito dopo.<br />

È ciò che ho incominciato a fare specialmente in questo trattato; infatti non terrei in gran conto<br />

queste regole, se fossero sufficienti a risolvere soltanto quei problemi di scarso valore coi quali i<br />

Calcolatori e i Geometri sono soliti giocare in modo ozioso; infatti in tal modo crederei di non aver<br />

fatto che occuparmi di cose futili, forse con maggior sottigliezza degli altri. Sebbene mi appresti<br />

qui a dire molte cose intorno alle figure e ai numeri, non potendosi richiedere esempi così evidenti<br />

né così certi da alcun'altra scienza, tuttavia chiunque avrà considerato attentamente il mio<br />

intendimento comprenderà facilmente che qui non penso affatto alla Matematica comune, ma<br />

espongo un'altra disciplina, di cui essi sono l'involucro più che le parti. Questa disciplina infatti<br />

deve contenere i primi rudimenti della ragione umana e deve estendersi per ricavare la verità da<br />

qualsivoglia oggetto; e, per parlare francamente, sono persuaso che questa sia più importante di<br />

ogni altra cognizione tramandataci dai nostri simili, in quanto è 1'origine di tutte le altre. Ho<br />

detto involucro, non perché voglia mascherare e confondere questa dottrina per sottrarla all'uomo<br />

comune, ma piuttosto perché voglio vestirla e adornarla in modo che possa essere più atta<br />

all'ingegno umano [Regulae; 2; 245].<br />

Le argomentazioni di Descartes seguono nella Regola XII nella quale si inizia con<br />

un'affermazione di interesse: per la conoscenza delle cose si devono considerare solo due aspetti,<br />

ossia noi che conosciamo e le cose stessa da conoscere ed a tal fine noi disponiamo di quattro<br />

facoltà: l'intelletto, l'immaginazione, il senso e la memoria. Nella Regola XVI poi si passa a<br />

definire l'algebra che Descartes ha in mente, nella quale (come aveva fatto Viète) entrano le<br />

lettere in luogo dei numeri e la cosa non è per nulla banale in quanto, così operando l'algebra, da<br />

semplice strumento di calcolo, diventa algebra universale perché le sue operazioni si possono<br />

eseguire senza sapere cosa rappresentino le lettere e quindi ricavando dei risultati che poi sono<br />

applicabili a qualunque grandezza (astratta o fisica) quei numeri rappresentassero. In tal modo è<br />

possibile prevedere una generalizzazione dell'algebra proprio perché vi è una trattazione<br />

generale successivamente applicabile ad ogni trattazione quantitativa che preveda una misura.<br />

La trattazione matematica prevede poi che sia possibile disporre i risultati di operazioni in<br />

catene deduttive che, in quanto tali, possono essere assiomatizzate. Ed allora questo metodo<br />

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diventa il me<strong>des</strong>imo di quello che si utilizza per conoscere la natura. Di conseguenza la<br />

conoscenza scientifica non può che procedere allo stesso modo della conoscenza matematica. Si<br />

tratta di partire da assiomi e deduzioni servendosi del calcolo algebrico. Leggiamo un brano di<br />

Descartes:<br />

Per facilità ci serviremo dei caratteri a, b, c, ecc., per esprimere le grandezze già note, e A, B, C,<br />

ecc., per <strong>des</strong>ignare quelle ignote; spesso premetteremo ai caratteri le cifre dei numeri 2, 3, 4, ecc.,<br />

allo scopo di rendere esplicita la molteplicità di quelle e di nuovo (altre ne) aggiungeremo per il<br />

numero dei rapporti che in esse si dovranno intendere: così se scriverò 2a3, sarà come se dicessi il<br />

doppio della grandezza indicata con la lettera a contenente tre rapporti. Con tale accorgimento<br />

non solo compendieremo poi molte parole, ma - ciò che soprattutto importa - mostreremo i termini<br />

della difficoltà così puri e nudi che, anche senza omettere nulla di utile, non vi si troverà mai<br />

nulla di superfluo e che occupi invano la capacità dell'ingegno, quando la mente dovrà<br />

abbracciare molte cose in una volta [Regulae; 2; 303].<br />

Ma se, nonostante questo programma così impegnativo, qualcuno andasse a cercare la<br />

matematica all'interno dell'opera scientifica di Descartes, rimarrebbe deluso e non per demerito<br />

di Descartes ma perché i problemi richiedevano una matematica che non era stata ancora<br />

sviluppata e che lo sarà a partire dal me<strong>des</strong>imo Descartes, da Fermat e quindi da Newton e<br />

Leibniz con la sublime invenzione del calcolo infinitesimale. Solo la meccanica permetteva<br />

qualche applicazione che già doveva fermarsi di fronte al semplice problema di calcolare una<br />

velocità istantanea.<br />

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Fatto straordinario è che Descartes riuscì ad applicare il suo ideale di matematica con la<br />

matematica stessa introducendo l'algebra simbolica che si stava affermando nella geometria con<br />

l'armonica fusione delle due nella geometria analitica. Si tratta del definitivo sganciamento dalla<br />

geometria degli antichi e della creazione di un ramo d'indagine che avrebbe previsto strade<br />

evolutive proprie.<br />

E' evidente che il pensiero filosofico, in questo caso l'epistemologia, di Descartes meriterebbe e<br />

merita molto maggiore spazio ma io mi sono proposto di ricercare quelle parti delle elaborazioni<br />

del nostro filosofo funzionali allo studio della natura fisica che egli affronta, oltre che ai supporti<br />

matematici da lui introdotti. Ma prima di fare ciò una osservazione deve essere fatta a modo di<br />

denuncia a proposito dei Discours. Quest'opera è costituita da una prefazione (quella che ho<br />

riassunto enucleando ciò che ritenevo d'interesse per i miei fini), nella quale si <strong>des</strong>crive il metodo<br />

che Descartes ha elaborato. Ma, subito dopo, in modo indissolubile, vi è l'esemplificazione del<br />

come applicare il suo metodo in tre monografie: La Dioptrique, Les Météores, La Géométrie.<br />

Purtroppo, invece, vi è l'insano costume di presentare quasi sempre i Discours (a meno di non<br />

andare ad edizioni elaborate e costose) come se consistessero nella sola prefazione. E' un modo<br />

scorretto di presentare le cose che ricrea ciò che Descartes combatteva: un mondo letterario in<br />

cui si discute sulle parole tralasciando l'esperienza che in questo caso sono le esemplificazioni di<br />

Descartes. E perché si saltano tali esemplificazioni ? Perché si tratta di scienza, di cose<br />

complesse che occorre studiare per capire di che si tratta e con le due culture rigidamente<br />

separate neppure ne vale la pena con ogni alibi idealistico.<br />

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Dopo <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> in occidente si è imposta la visione dualistica della persona come componente<br />

materiale divisa da quella spirituale. Con il tempo la divisione si è sempre più accentuata fino<br />

agli estremi da parte della scienza moderna, che è andata oltre la separazione fino a ignorare, se<br />

non negare esplicitamente, l' esistenza di una componente psico-spirituale. Di pari passo la<br />

medicina occidentale si è sempre più specializzata sulla materia ponderale fino a trattare<br />

chimicamente anche problematiche psico-emotive, facendole risalire a semplici squilibri di<br />

sostanze chimiche quali sono in definitiva i neurotrasmettitori cerebrali.<br />

La visione della medicina tradizionale cinese da millenni, e in occidente della omeopatia da<br />

alcuni secoli, si è sempre caratterizzata nel considerare l' individuo come un complesso, dove la<br />

componente somatica, mentale ed emotivo-spirituale fossero livelli comunicanti e dipendenti<br />

della stessa unità.<br />

Da qui deriva un approccio di tipo terapeutico che tende più a ripristinare un equilibrio psicosomatico<br />

della persona che a sopprimere nel minor tempo possibile sintomi che invece sono<br />

segnali ed indicatori del disagio che ha permesso loro di manifestarsi.<br />

Tutto ciò non va naturalmente contro gli indubbi meriti della medicina moderna sulle malattie<br />

potenzialmente mortali dove resta secondo noi di primaria scelta terapeutica.<br />

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Risulta abbastanza evidente però che in molti malesseri e disturbi cronici le risposte della<br />

chimica si sono rivelate nel tempo insoddisfacenti se non portatrici di effetti collaterali<br />

importanti anche maggiori del sintomo che si voleva curare.<br />

E' in questo contesto che si inserisce la medicina energetica quale strumento di conoscenza e<br />

cura della persona nella sua totalità, nell' intento di ripristinare quell' equilibrio che fattori fisici,<br />

psico-emotivi o ambientali hanno compromesso.<br />

L'intento è di presentare un diverso modo di vedere la persona e il suo ambiente nella speranza<br />

di dare consigli o aiuti che vengono da una millenaria conoscenza, e certificata da milioni di<br />

persone che ne hanno beneficiato.<br />

5 - LA GÉOMÉTRIE<br />

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La Géométrie rappresenta il primo esempio del Metodo di Descartes, anche se non troviamo qui<br />

applicate le quattro regole che egli si era dato nei Discours. E' da notare che questa nuova<br />

geometria appare simultaneamente nello stesso anno ad opera di due grandi matematici come<br />

Descartes e Fermat e la cosa non è casuale e si dà spesso nella scienza quando i tempi sono<br />

maturi per una determinata scoperta. Inoltre vi erano stati vari momenti preparatori nell'opera<br />

di svariati matematici a partire dal francese Nicola Oresme. L'essenza di questo nuovo ramo<br />

della matematica consiste nella correlazione che viene trovata tra un luogo geometrico, sia esso<br />

curva o superficie, ed una equazione algebrica (o funzione, nome introdotto nel 1694 da Leibniz).<br />

Con la geometria analitica è possibile passare dall'algebra alla geometria e viceversa con<br />

operazioni di grande potenza esplicativa che permettono una illuminazione reciproca delle due<br />

scienze. E' un notevole avanzamento rispetto alla geometria euclidea, che resta con tutta la sua<br />

validità, perché lì si richiedevano grandi sforzi di immaginazione, per di più validi caso per caso,<br />

e lunghe e complesse dimostrazioni per trovare delle proprietà, come quella di tangenza o<br />

perpendicolarità, che invece con la geometria analitica risultano banali e codificabili in modo del<br />

tutto generale. Descartes si stupisce che queste cose siano sfuggite agli antichi che, se avessero<br />

supposto questi metodi si sarebbero risparmiati di scrivere tanti volumi per scrivere i teoremi<br />

con i quali si imbattevano casualmente quando con il metodo analitico si ricavano tutti i teoremi<br />

e non solo qualcuno. Ma Descartes probabilmente non conosceva le enormi difficoltà simboliche<br />

che erano state incontrate dagli antichi e che non avevano permesso lo sviluppo di un'algebra. In<br />

ogni caso, se un merito va assegnato a Descartes rispetto a Fermat, è quello di aver compreso la<br />

rottura rispetto al passato con l'interpretazione culturale e filosofica di questo nuovo strumento<br />

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che avvicina i fondamenti della matematica alla logica pura, separandoli dalla dipendenza dalle<br />

figure che esistono esternamente a noi e sono quindi oggetti propri dell'esperienza. Dice<br />

Descartes che la geometria euclidea è addirittura contraddittoria con i suoi principi fondanti:<br />

Quale Geometria non altera l'evidenza del suo oggetto con principi contraddittori, quando ritiene<br />

che le linee siano prive di larghezza e le superfici di profondità, che poi compone tuttavia le une<br />

dalle altre ... ? La geometria perde per Descartes il suo primato sull'aritmetica e l'algebra. Ora le<br />

cose risultano invertite con in più il fatto che l'algebra comprende in sé la geometria e costituisce<br />

una scienza generale delle grandezze, quella che Descartes chiama mathesis universalis, di cui la<br />

geometria è un aspetto importante che riguarda qualità sensibili che devono invece essere<br />

riportate a qualcosa di più astratto come le equazioni algebriche.<br />

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La Géométrie non è un trattato costruito in modo ordinato, completo e sistematico. Su di essa<br />

pesa la premessa e quindi la volontà di far risaltare il Metodo più che i contenuti che vengono<br />

trattati. E' una raccolta di risultati acquisiti come esemplificativi del suo Metodo che punta a<br />

farne risaltare la sua fecondità. L'opera è divisa in tre libri.<br />

Egli inizia la trattazione del Primo Libro (Problemi di costruzione che richiedono solo cerchi e<br />

linee rette) assumendo, come aveva fatto Bombelli, un segmento come unità di misura per tutte<br />

le lunghezze e quindi gettando le basi del metodo delle coordinate. Successivamente, sul<br />

cammino aperto da Viète, mostra che è possibile riportare le operazioni aritmetiche ad<br />

altrettante costruzioni e fornisce soluzioni grafiche per le equazioni di secondo grado. Ma non<br />

fissa, come siamo usi fare oggi, un sistema di coordinate perpendicolari (usa spesso coordinate<br />

oblique), non fa uso di ascisse ed ordinate negative e non fa alcun esempio di una qualche curva<br />

tracciata a partire dalla sua equazione.<br />

Alla fine di questo Libro Descartes enuncia il Problema di Pappo:<br />

Date tre, quattro o più linee rette in un piano, trovare la posizione dei punti (luogo) da cui si<br />

possono costruire un ugual numero di segmenti, uno per ciascuna retta data, che formino un<br />

angolo noto con ciascuna delle rette date e tali che il rettangolo formato da due dei segmenti così<br />

costruiti stia in un rapporto dato con il quadrato del terzo segmento costruito se le rette sono tre;<br />

invece se vi sono quattro rette, che stia in un rapporto dato con il rettangolo formato dagli altri<br />

due. Oppure, se le rette sono cinque o sei, che il parallelepipedo costruito con tre di esse stia in un<br />

rapporto dato con il parallelepipedo costruito con le altre. In tal modo il problema può estendersi<br />

a un qualsiasi numero di linee.<br />

Problema di Pappo come illustrato da La Géométrie, Libro I [Géométrie; 44; 302]<br />

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Tale problema non era stato ancora risolto compiutamente (Apollonio lo aveva risolto nel caso di<br />

tre rette e Pappo lo aveva posto 500 anni dopo nella sua forma più generale) e Descartes inizia<br />

qui a risolverlo nel caso di quattro rette per poi, dopo molti calcoli, terminare di farlo nel Secondo<br />

Libro nel caso di 5 rette in due casi particolari (4 rette parallele a me<strong>des</strong>ima distanza tra loro e<br />

la quinta perpendicolare ad esse, come mostrato nella figura seguente).<br />

[Géométrie; 44; 315]<br />

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Nel caso delle tre o quattro rette il punto P <strong>des</strong>crive una conica mentre per 5 o 6 rette è una<br />

curva di terzo grado. Il grado della curva sale all’aumentare del numero delle rette. Descartes<br />

derivò l’equazione generica della conica e specificò le condizioni cui dovevano soddisfare i<br />

coefficienti perché la conica fosse una retta, una parabola, un’ellisse o un’iperbole. Per risolvere il<br />

problema (caso di 4 rette sviluppato nel Libro Primo) Descartes parte dal segmento di retta AB<br />

prendendolo come riferimento e chiamandolo x. Il segmento di retta CB è chiamato y ed è il<br />

segmento che si disegna a partire da una possibile posizione di C che taglia AB con un angolo<br />

dato. Il problema richiede di trovare il luogo di C al variare della posizione delle rette e quindi<br />

degli angoli che esse formano tra loro. Descartes mostra con considerazioni geometriche semplici<br />

come possono essere espresse le lunghezze delle altre linee che partono da C (e cioè CR, CQ e CS)<br />

in funzione di x ed y. Imponendo la condizione CP.CR = CS.CQ ottenne l’equazione di una conica<br />

generica nella forma di un’equazione algebrica di secondo grado in x e y del tipo:<br />

y2 = Ay + Bxy + Cx + Dx2<br />

dove A, B, C e D sono semplici espressioni algebriche che discendono dalle quantità note. A<br />

questo punto Descartes osserva che se scegliamo un valore qualunque di x, otteniamo<br />

un'espressione quadratica che ci fornisce y e quindi con riga e compasso possiamo costruirla.<br />

Prendendo infiniti valori di x si ottengono infiniti valori di y e, di conseguenza un numero<br />

infinito di punti C. Il luogo di tutti<br />

Costruzione con riga e compasso (l'insieme dei due<br />

strumenti costituisce il compasso di Descartes) del luogo<br />

che discende dal Problema di Pappo nel caso di 4 rette.<br />

Inizio del Libro Secondo [Géométrie; 44; 305].<br />

questi punti è rappresentato dall'equazione precedentemente riportata.<br />

Ma, dopo 22 pagine di conti (siamo al Libro Secondo), Descartes non ci fornisce il modo di<br />

tracciare il luogo ottenuto affermando:<br />

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Non pretendo dire tutto. Ho spiegato come si trovano gli infiniti punti per i quali passa la retta, e<br />

con questo credo di aver detto abbastanza per <strong>des</strong>criverlo.<br />

Ed inoltre lascia in sospeso almeno un problema.<br />

Egli aveva infatti assunto solo valori positivi per la x e la y ma i valori che si ottengono<br />

dall'equazione trovata prevedono valori negativi.<br />

Ciò vuol dire che la curva trovata esiste anche, come diremmo oggi, in quadranti diversi dal<br />

primo.<br />

Descartes suppone però che il luogo si trovi nel primo quadrante accennando appena ad<br />

eventualità differenti.<br />

Il Secondo Libro della Géométrie ha per titolo "Sulla natura delle linee curve".<br />

In esso, oltre alla parte relativa al Problema di Pappo del quale ho già detto, vengono distinte le<br />

curve in geometriche e meccaniche (il corrispettivo di quelle che a partire da Leibniz saranno<br />

chiamate rispettivamente algebriche e trascendenti).<br />

Era stata la risoluzione del caso semplice del Problema di Pappo che aveva indotto Descartes a a<br />

sospendere una soluzione più generale per passare a discutere della natura delle curve.<br />

Infatti egli si era accorto che all'aumentare del numero delle rette, il luogo diventa una curva più<br />

complessa di una conica, cioè da una curva di grado superiore a due.<br />

Dopo aver assolto questa incombenza egli ritornerà sul problema di Pappo nel caso già discusso<br />

delle 5 rette.<br />

Il problema è qui l'ammissione dell'esistenza di curve anche se non è possibile disegnarle con<br />

riga e compasso, curve che nascono non tanto da mezzi meccanici ma dal ragionamento.<br />

Questo argomento viene concluso con l'affermazione che le curve geometriche sono quelle che<br />

possono essere scritte mediante un'unica equazione algebrica di grado finito in x ed y e che<br />

quindi possono essere costruite in modo continuo ottenendo un'infinità di punti (risulta qui<br />

implicitamente il concetto di funzione) ed in tale categoria vengono riconosciute curve come le<br />

coniche, la concoide di Nicomede e la cissoide di Diocle; sono invece curve meccaniche tutte le<br />

altre, come la spirale e la quadratrice di Ippia(11). Descartes si sofferma poi a catalogare le curve<br />

geometriche.<br />

La prima classe, quella più semplice, è formata da curve in x ed y di primo e secondo grado.<br />

Vi è qui l'affermazione, non dimostrata, che le sezioni coniche sono curve di secondo grado.<br />

La seconda classe di curve è quella costituita da equazioni di terzo e quarto grado; la terza classe<br />

è costituita da curve con equazioni di quinto e sesto grado; ... Il raggruppare due gradi per ogni<br />

classe partiva dalla convinzione, sbagliata, che fosse sempre possibile ridurre di un grado una<br />

data equazione (quando sia nota una radice x = a, mediante la divisione per x - a) come accadeva<br />

per quelle di quarto grado riducibili al terzo (queste elaborazioni si trovano discusse nel Terzo<br />

Libro).<br />

Nelle sue elaborazioni, Descartes introduce nuove curve come la parabola cubica (o cartesiana<br />

che è il luogo del Problema di Pappo nel caso particolare delle 5 rette delle quali quattro<br />

parallele ed una perpendicolare come da ultima figura) e gli ovali (di Descartes, molto utili in<br />

ottica dal punto di vista delle forme che devono assumere i corpi trasparenti per essere utili al<br />

miglioramento della vista; tali ovali sono ottenibili con il metodo che utilizzano i giardinieri per<br />

disegnare le aiuole - vedi figura seguente); si indica il procedimento generale per la costruzione<br />

dei più diversi problemi: intersezione di una circonferenza e una retta, di una circonferenza e<br />

una parabola, di una circonferenza e di una curva di grado maggiore e così di seguito; si studiano<br />

infine<br />

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[Géométrie; 44; 325]<br />

i problemi di perpendicolarità e tangenza alle curve in un modo per la verità farraginoso. Per<br />

trovare la perpendicolare ad una data curva algebrica in un suo punto fisso P, egli considerava<br />

sulla curva un punto variabile Q e considerava poi l'equazione del cerchio avente il proprio<br />

centro variabile sull'asse delle ascisse (il solo che Descartes utilizzava ed osservo in proposito che<br />

i termini ascissa, ordinata, coordinate furono introdotti da Leibniz) e passante per P e Q.<br />

Uguagliando poi a zero il discriminante dell'equazione che determina l'intersezione del cerchio<br />

con la curva data, viene trovato il centro del cerchio quando Q coincide con P. Trovato il centro si<br />

trovano facilmente tangente (il cerchio deve avere due intersezioni coincidenti con la curva nel<br />

punto di tangenza e la tangente sarà la perpendicolare al raggio in quel punto) e perpendicolare<br />

alla curva nel punto P. Riguardo alla determinazione della tangente, Descartes illustra prima il<br />

suo metodo con due esempi (ellisse e parabola) quindi lo generalizza. Al di là di quello che ho<br />

detto c'è una idea davvero fondamentale nel suo procedimento: l'ammissione che nel punto di<br />

tangenza vi sia una doppia intersezione tra retta tangente e curva.<br />

Si può in conclusione dire che questo Secondo Libro è quello che contiene i risultati più<br />

importanti e più vicini alla moderna concezione di geometria analitica.<br />

Il Terzo Libro della Géométrie ha per titolo "Sulla costruzione di problemi solidi e supersolidi"<br />

(implicanti cioè problemi di grado maggiore o uguale al terzo). Il titolo è deviante perché questo<br />

libro ha carattere eminentemente algebrico e si occupa della teoria generale delle equazioni<br />

integrando in un quadro sintetico tutti i progressi accumulati dalla matematica negli ultimi due<br />

o tre secoli. In pratica è trattata la soluzione delle equazioni di grado superiore al secondo<br />

mediante intersezioni di curve. Si tratta però della riproposizione dei lavori dei grandi algebristi<br />

italiani del Cinquecento con svariati contributi originali tanto che pare esagerato il giudizio di<br />

Leibniz sull'intera opera: «Descartes non ha scoperto nulla nel campo dell'algebra, giacché la<br />

speciosa appartiene a Viète; la risoluzione delle equazioni del terzo e del quarto grado, a Scipione<br />

Dal Ferro e a Luigi da Ferrara [Lodovico Ferrari, ndr]; la riduzione di una equazione ad un<br />

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polinomio uguagliato a zero, ad Harriot l'inglese; il metodo delle tangenti, o dei massimi e<br />

minimi a Fermat».<br />

Più in dettaglio in quest'ultimo libro, Descartes: definisce una equazione e mostra come, facendo<br />

passare tutti i membri al primo termine ed uguagliando a zero, si riesca a lavorare meglio;<br />

discute su cosa è una radice e quante radici reali (chiamando vere le positive e false le negative)<br />

e quante immaginarie deve avere un'equazione; mostra come sia possibile scrivere un'equazione<br />

sotto forma di prodotto di radici; enuncia quella che è nota come la "regola dei segni di<br />

Descartes" (che era già nota e nemmeno importante e che Descartes enuncia così: "in ogni<br />

equazione algebrica vi possono essere tante radici vere quante sono le variazioni dei segni + e -<br />

che si incontrano; e tante false quante volte due segni + o due segni – si susseguono); fornisce il<br />

metodo per la risoluzione grafica di equazioni complete di terzo e quarto grado e per risolvere<br />

equazioni di sesto grado con l'ausilio di una parabola e della sua cubica; ... Tutte le trattazioni<br />

sono molto concise perché, come egli dice, ha voluto solo esemplificare dicendo molto in poco<br />

senza scrivere un grosso libro. E conclude quindi, al suo solito: E spero che i posteri mi saranno<br />

grati non soltanto di quanto ho loro spiegato, ma anche delle cose che ho volutamente omesso per<br />

lasciar loro il piacere di inventarle.<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> e L’Alchimia<br />

Quindi l'alchimia oltre che arte per trasformare e i metalli era anche un'arte per trasformare se<br />

stessi ed il mondo attorno.<br />

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La definizione filosofica data dall'Enciclopedia Garzanti di Filosofia è la seguente:<br />

Alchimia, disciplina teorica e applicata che, attraverso lo studio di presunte corrispondenze,<br />

affinità, influssi fra ogni componente visibile e invisibile del cosmo, si proponeva di giungere alla<br />

trasmutazione di metalli vili (per esempio il piombo) in metalli nobili (innanzi tutto l'oro) e,<br />

simultaneamente, alla trasmutazione fisica e psichica dello studioso-operatore<br />

"L'Alchimia riproduce un mondo spirituale estremamente lontano dalla nostra mentalità<br />

moderna e occidentale. E la differenza fondamentale sta in questo: mentre l'Uomo d'oggi si pone<br />

come spettatore esterno alle cose e le valuta attraverso una serie di rapporti logici, il Filosofo<br />

Ermetico si pone 'all'interno' della realtà, se ne sente parte integrante, e la conosce attraverso<br />

l'analogìa" [...] "concepisce la realtà come essa è: non ne è estraniato, separato da essa, è<br />

IDENTICO a essa" [3]<br />

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ERMETISMO (Ermete Trismegisto) http://goo.gl/k1qB1 http://goo.gl/dIQWT ED ALCHIMIA<br />

NEL RINASCIMENTO: PARACELSO<br />

Nel grande calderone delle idee che ribollivano non potevano restare assenti le scienze<br />

ermetiche.<br />

Tuttavia, quando parliamo di scienza nel "Rinascimento" dobbiamo stare molto attenti all'uso dei<br />

termini e non dobbiamo mai pensare di riferirci ad una disciplina di tipo galilleiano.<br />

Di fatto la sperimentazione compie i primi incerti passi cercando, innanzi tutto, di definire se<br />

stessa: solo alcuni secoli dopo Copernico, con Galilei e Newton sarà introdotto il "metodo<br />

scientifico" e lo studio sistematico delle leggi dei fenomeni fisici.<br />

Prima di loro la scienza si muove in un mondo - tutto sommato abbastanza equivoco - dove<br />

domina l'ermetismo al posto della scientificità, la improvvisazione al posto della legge provata e<br />

riprovata dalla sperimentazione.<br />

Per convincerci basterà guardare l'elenco delle strane materie delle quali fu specialista lo<br />

svizzero di Etzel, dal nome altisonante:<br />

Philippus Aurelius Teophrastus Bombastus von Hohenheim, detto il "divino" (probabilmente la<br />

parola stava per "il divinatore", vale a dire il profeta).<br />

Come tutti i dotti della sua epoca fu uno studioso di ermetismo, di medicina ermetica, di filosofia,<br />

di magia, ma non fu mai nelle buone grazie della società del suo tempo.<br />

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Era nato in Germania, ad Einsiedeln, il 14 novembre 1493 e morì a Salisburgo, 24 settembre<br />

1541.<br />

Il nostro Paracelso conseguì la laurea all'Università di Ferrara, più o meno negli stessi anni in<br />

cui si era laureato Copernico.<br />

Per spiegare il "fenomeno Paracelso" bisogna pensare che nel pieno del "Rinascimento"<br />

all'Università di Praga formavano oggetto di studio materie come "negromantia" e "carmina"<br />

(vale a dire "formule magiche"), "veneficia" (ossia "stregoneria"), "Vaticinia" ("profezie"),<br />

"incantationes" ("Incantesimi").<br />

Di una siffatta "cultura" furono rappresentanti sia Heinrich Cornelius Agrippa<br />

http://goo.gl/pDVKx http://goo.gl/zFl6W di Nettesheim che Paracelso.<br />

Questo, che fu il soprannome che si attribuì, la dice tutta sul personaggio pieno di sé: Paracelso<br />

infatti significa "più grande di Celso".<br />

Indubbiamente esercitò grande influenza sullo sviluppo successivo della chimica coniando, tra<br />

l'altro, termini tuttora utilizzati: tra gli altri "alcool" (dall'arabo al kohol = sostanza per tingere<br />

gli occhi; una sorta di bistro) e alka (dal te<strong>des</strong>co all-Geist = fantomatico) per indicare un solvente<br />

universale.<br />

Secondo la leggenda sarebbe riuscito a produrre la vita in provetta: il cosidetto "homunculus" del<br />

quale parlerò a parte.<br />

Detta estremamente in breve, Paracelso fu uno studioso di alchimia e di medicina nonché un<br />

"esperto" di astrologia.<br />

Da molti disprezzato e da altrettanti ritenuto una "figura originale e gigantesca" (è il caso di<br />

Francesco Lamendola nel suo " Paracelso, ovvero al bivio della scienza moderna"), fu senza<br />

dubbio un soggetto capace di dominare l'immaginario collettivo pur a distanza di cinque secoli<br />

con "una forza non minore di quella con cui dominò su quello dei suoi contemporanei".<br />

Al di là delle sottigliezze e dei distinguo, è fuori discussione che Paracelso sia stato un tipico<br />

rappresentante delle cultura e del pensiero medico-scientifico del "Rinascimento".<br />

Tuttavia non è dei suoi meriti o demeriti scientifici che intendo discutere. Quello che qui mi<br />

interessa sono i suoi interessi relativi all'alchimia ed alla magia.<br />

Questi interessi affondavano le proprie radici nella notte dei tempi attraversando verticalmente<br />

una strada che, come dice Lamendola, "...percorre, come un filo rosso", tutta la storia del<br />

pensiero occidentale non solo pre-moderno.<br />

Indipendentemente da certe estremizzazioni non possiamo certo dimenticare, tuttavia, che solo<br />

qualche decennio dopo la scomparsa di Paracelso, appena nel XVI secolo, Roger Francis Bacon<br />

(Ruggero Bacone), http://goo.gl/QSvu4 http://goo.gl/Nbzy5 Galileo Galilei e <strong>René</strong><br />

Descartes faranno imboccare alla scienza una strada del tutto nuova sconosciuta a Paracelso.<br />

6 - LA DIOPTRIQUE<br />

E' questa esemplificazione del Metodo che lo stesso Descartes considera come la più importante.<br />

Alla Dioptrique egli dedica ogni cura e tutto il suo tempo tanto che l'opera può essere considerata<br />

un vero e proprio Trattato di Ottica, più sistematico e meno frammentario della Géométrie.<br />

Inoltre, contrariamente che la Géométrie, Descartes si pronone qui di fare opera divulgativa tale<br />

che possa essere usata anche dagli artigiani senza preparazione specifica ma che hanno avuto un<br />

ruolo fondamentale nella realizzazione del telescopio.<br />

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E' probabilmente quest'ultimo aspetto che gli impedisce una corretta applicazione del Metodo<br />

che ha illustrato nella premessa dei Discours.<br />

Ci si sarebbe aspettati prima una discussione sulla natura della luce e solo dopo la necessità<br />

della sua rifrazione.<br />

Egli invece ricorre a paragoni ed esempi di vita quotidiana, utili didatticamente ma lontani dal<br />

Metodo.<br />

Poiché la realizzazione delle cose che dirò dipende dal lavoro degli artigiani che normalmente non<br />

hanno studiato, io m'imporrò di rendere comprensibile a tutti e di non omettere nulla né supporre<br />

come noto, ciò che uno dovrebbe aver appreso da altre scienze.<br />

E perciò io inizierò dalla spiegazione della luce e dei suoi raggi; quindi, dopo aver <strong>des</strong>critto<br />

brevemente le parti dell'occhio, mi soffermerò in cosa consiste la visione; ed infine, dopo aver fatto<br />

una rassegna di tutte le cose che possono perfezionarla, spiegherò come esse possono essere<br />

realizzate nelle invenzioni che illustrerò [Dioptrique; 12; 100]<br />

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E Descartes passa a dare le analogie che gli occorrono per illustrare la natura della luce, tutte le<br />

sue proprietà che l'esperienza ci ha fatto conoscere e per dedurne tutte le altre.<br />

La prima analogia che Descartes fa è quella della persona che si aggiri di notte senza alcuna<br />

illuminazione o di un cieco (l'analogia risale a 2000 anni prima).<br />

La luce è come un bastone nelle mani di un cieco: l'azione vivace che passa attraverso l'aria ed<br />

arriva ai nostri occhi agisce nello stesso modo che la resistenza fatta da un bastone di un cieco<br />

quando incontra dei corpi.<br />

In questa visione i colori non sono propri dei corpi ma del diverso modo in cui i corpi riflettono il<br />

movimento della luce per rinviarcelo agli occhi.<br />

E ciò, ancora con l'analogia del bastone, corrisponde al fatto che il bastone si accorge di toccare<br />

un albero, una pietra, dell'acqua, ...<br />

Per poter fare un paragone vi invito a riflettere come la luce, nei corpi così detti luminosi, è<br />

soltanto un certo movimento o una azione molto rapida o molto viva che passa davanti ai nostri<br />

occhi per mezzo dell'aria o di altri corpi trasparenti, come il movimento o la resistenza dei corpi<br />

incontrati dal cieco passano verso la sua mano grazie al bastone.<br />

E ciò vi impedirà di considerare strano che la luce possa estendere i suoi raggi, in un solo attimo,<br />

dal sole fine a noi: sapete infatti che l'azione con cui si muove una delle estremità del bastone<br />

passa istantaneamente all'altra estremità, e la stessa cosa dovrebbe accadere anche se tra la terra<br />

e il cielo esistesse maggiore distanza di quanta ne esiste.<br />

E neppure vi stupirete vedendo, per mezzo suo, ogni specie di colore; potreste anche credere che nei<br />

corpi, così detti colorati, questi colori non sono che il diverso modo in cui i corpi ricevono e<br />

rinviano la luce verso gli occhi, pensando che per il cieco le differenze notate, mediante il bastone,<br />

tra alberi, pietre, acqua e altre simili cose, non sono molto rilevanti dalle differenze esistenti tra il<br />

rosso, il giallo, il verde e tutti gli altri colori.<br />

Ma le differenze in tutti questi corpi sono soltanto i diversi modi di muoversi o di resistere ai<br />

movimenti di quel bastone.<br />

E da ciò potrete dedurre che non è necessario supporre il passaggio di qualche cosa di materiale<br />

dagli oggetti agli occhi, per permetterci di vedere i colori e la luce: non è neppure necessario che in<br />

tali oggetti si dia qualche cosa di simile all'idea o ai sentimenti che ce ne facciamo, o per lo meno<br />

che nulla dei corpi sentiti dal cieco debba passare lungo il bastone fino alla mano, e che la<br />

resistenza o il movimento di quei corpi, unica causa dei sentimenti che prova, non abbiano alcuna<br />

somiglianza con le idee che se ne fa.<br />

Così il vostro spirito sarà liberato da tutte quelle immagini svolazzanti nell'aria, chiamate specie<br />

intenzionali, che tanto tormentano la immaginazione dei filosofi.<br />

E potrete anzi facilmente decidere, relativamente al luogo da dove l'azione proviene, quale sia la<br />

causa del sentimento della vista.<br />

Come il cieco può sentire i corpi che lo circondano, non soltanto per l'azione di quei corpi che si<br />

muovono contro il bastone, ma anche per l'azione della mano, quando questi corpi gli resistono,<br />

cosi anche gli oggetti della vista si possono sentire non soltanto per l'azione che, esistente negli<br />

occhi, tende verso essi.<br />

Tuttavia poiché questa azione non è altro che la luce, dobbiamo rilevare che può trovarsi soltanto<br />

negli occhi di quelli che vedono nelle tenebre della notte, come i gatti; quanto agli uomini, vedono<br />

generalmente soltanto per l'azione che viene dagli oggetti: infatti l'esperienza ci mostra che sono<br />

gli oggetti che devono essere luminosi o illuminati per essere visti, e non gli occhi per vederli...<br />

[Dioptrique; 12; 101-102]<br />

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Con la stessa analogia Descartes ci fornisce anche la sua concezione sul modo di propagazione<br />

della luce dalla sorgente all'osservatore che viene considerato istantaneo:<br />

Per poter fare un paragone vi invito a riflettere come la luce, nei corpi cosiddetti luminosi, è<br />

soltanto un certo movimento o una azione molto rapida o molto viva che passa davanti ai nostri<br />

occhi per mezzo dell'aria o di altri corpi trasparenti, come il movimento o la resistenza dei corpi<br />

incontrati dal cieco passano verso la sua mano grazie al bastone. E ciò vi impedirà di considerare<br />

strano che la luce possa estendere i suoi raggi, in un solo attimo, dal sole fine a noi: sapete infatti<br />

che l'azione con cui si muove una delle estremità del bastone passa istantaneamente all'altra<br />

estremità, e la stessa cosa dovrebbe accadere anche se tra la terra e il cielo esistesse maggiore<br />

distanza di quanta ne esiste [Dioptrique; 12; 101]<br />

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Subito dopo questa viene una seconda analogia che serve a Descartes per spiegare la<br />

trasparenza dei corpi e la propagazione della luce nella materia. Si serve di un tino, con due fori<br />

A e B come in figura, pieno di grappoli ed acini<br />

[Dioptrique; 12; 103]<br />

d'uva. Quando si pigia il tutto dai fori esce del liquido. Egli dice che,<br />

poiché non esiste vuoto in Natura, come quasi tutti i filosofi ritengono, e poiché non vi sono pori<br />

che si possano apprezzare negli oggetti che ci circondano, l'esperienza può mostrarci chiaramente<br />

che questi pori devono risultare riempiti di qualche materia sottilissima e fluidissima,<br />

estendentesi senza soluzione di continuità dagli Astri fino a noi [Dioptrique; 12; 103]<br />

Prima di proseguire qui è d'obbligo fermarsi per fare alcune osservazioni(13). Descartes fa delle<br />

assunzioni molto importanti che avranno notevoli ricadute nella storia del pensiero non solo<br />

scientifico. Ciò che egli dice non è certo una novità: si inserisce nella lunga tradizione<br />

aristotelica. La prima è la questione della luce che, in quanto propagatesi istantaneamente, è<br />

ritenuta avere una velocità infinita. E questa ammissione va di pari passo con l'altra, con<br />

l'azione a contatto tra acino ed acino (tra corpuscolo e corpuscolo, come vedremo) e con il rifiuto<br />

della possibile esistenza del vuoto. Non si capisce bene, se non come un'acritica accettazione<br />

della tradizione, questa posizione di Descartes. Queste affermazioni di principio da dove gli<br />

provengono ? Quale parte del suo Metodo le ammette ? Egli dice esplicitamente nelle regole che<br />

si era dato nel Metodo, addirittura al primo posto: Non accettare ami nulla per vero che io non<br />

sapessi chiaramente come vero. Aveva aggiunto poi che occorreva sperimentare ma ecco che,<br />

come capita qualcosa davvero complesso e sul quale vi era solo l'affermata tradizione, Descartes<br />

va tranquillamente sulla via della tradizione e quindi di un pregiudizio dannoso per ogni<br />

sviluppo futuro.<br />

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Descartes continua con la sua analogia portandola oltre.<br />

Egli dice che (si veda la figura precedente) come le parti del vino che sono in C tendono a scendere<br />

in linea retta verso A nel me<strong>des</strong>imo istante in cui questo foro è aperto e nello stesso tempo per il<br />

foro B, e che le parti di vino che sono in D ed in E tendono anch'esse, nello stesso istante ad uscire<br />

attraverso questi due fori, senza che nessuna di queste azioni sia impedita dalle altre né dalla<br />

resistenza dei grappoli che sono nel recipiente.<br />

Anzi, questi grappoli, nonostante siano pressati, non scendono come il vino verso i fori e gli acini<br />

dell'uva nel tino rappresentano nel suo modello le parti più grossolane dell'aria.<br />

Così tutte le parti della materia che tocca il lato del Sole volto verso di noi, tendono in linea retta<br />

verso i nostri occhi nel me<strong>des</strong>imo istante che sono aperti, senza impedirsi le une con le altre e<br />

anche senza essere impedite dalle parti grossolane dei corpi trasparenti, che sono tra i due.<br />

Descartes passa poi a definire i raggi luminosi come quelle infinite linee rette, che nell'analogia<br />

sono i segmenti di retta - EB, CB, DB ed EA, CA, DA - disegnati in figura, che si dipartono dai<br />

corpi luminosi verso i corpi illuminati. I raggi luminosi sono le rette lungo le quali si esercita<br />

l'azione della luce.<br />

Tali raggi sono poi deviati o smorzati quando incontrano un ostacolo, come fa una pietra o una<br />

palla.<br />

Egli, dopo aver detto che i raggi vanno trattati come si trattano i movimenti di pietre e palle,<br />

inizia ad introdurre la sua terza analogia che gli serve appunto per la spiegazione di riflessione e<br />

rifrazione. Secondo questa terza analogia, la luce è assimilata ad una palla da tennis (in ogni<br />

figura della Dioptrique vi è un omino con una racchetta che scaglia una palla in modo che la sua<br />

traiettoria sostituisca quella<br />

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della luce) quindi ad un corpuscolo e, contemporaneamente, non è corpuscolare (senza essere<br />

ondulatoria).<br />

Da una parte, cioè, la sua vorrebbe essere una teoria emissionistica, dall'altra il modello<br />

esplicativo della luce di Descartes implicava che la luce si propagasse tramite il mezzo.<br />

Data la sua teoria dell'universo tutto pieno, sarebbe stata impensabile una eventuale<br />

propagazione di corpuscoli nel vuoto.<br />

Vedremo subito a quale contraddizione porterà la sua teoria a proposito di velocità di<br />

propagazione della luce in differenti mezzi, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> afferma che la luce viaggia più velocemente<br />

nell'acqua e nel vetro che non nell'aria, viaggia cioè più velocemente nei mezzi più densi.<br />

Ma prima di discutere questa vicenda, <strong>des</strong>crivo meglio le teorie di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sulla luce.<br />

Ogni qualcosa che si trova sulla Terra è permeata da questo etere che entra nei meandri più<br />

reconditi, nei suoi pori, come dice <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>.<br />

All'interno di questi pori le particelle di etere non stanno ferme ma ruotano e deviano, con alcune<br />

regole.<br />

Quando si muovono di moto rettilineo, la loro velocità propria di rotazione è all'incirca uguale a<br />

quella di rotazione.<br />

Ma quando ci si trova sulla superficie di separazione tra i corpi in considerazione ed il loro<br />

esterno allora le particelle di etere, che si trovano nella condizione di non avere loro simili nelle<br />

vicinanze, a seconda del verso di rotazione che si trovano ad avere, avranno una velocità di<br />

traslazione che diventerà più o meno grande di quella di traslazione.<br />

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Da queste variazioni di velocità vengono fuori i differenti colori che sono appunto spiegati con le<br />

diverse velocità di rotazione e di traslazione delle particelle d'etere (e questo è il modo con cui<br />

vengono spiegati i colori con la seconda analogia).<br />

Il colore è quindi una conseguenza della condizione del moto.<br />

Con un disegno di D'Agostino è possibile avvicinarsi a comprendere l'argomento: le situazioni del<br />

primo e del secondo disegno sono<br />

identiche, cambia solo il verso di rotazione della particella ma, a questo cambiamento di verso,<br />

corrisponde un cambiamento sostanziale nel moto finale della particella me<strong>des</strong>ima.<br />

Egli dice che ci sono corpi ...che riflettono i raggi senza portare alcun mutamento alla loro azione,<br />

i bianchi, mentre altri vi apportano un mutamento simile a quello che subisce una palla quando<br />

viene frisata, quelli cioè che sono rossi o gialli o azzurri o di simili colori...<br />

I colori, pertanto, sono dovuti al diverso modo con cui i corpi ricevono la luce e la riflettono agli<br />

occhi di chi vede di modo che le percezioni visive sono dovute a "corpuscoli" che colpiscono i sensi<br />

che a loro volta inviano informazioni all'epifisi.<br />

Il mondo circostante viene quindi semplificato e ridotto a semplici immagini con una prima<br />

chiara distinzione tra l'oggetto del conoscere ed il soggetto che lo fa.<br />

La cosa risulterà insoddisfacente a quasi tutti i contemporanei (Hooke, Huygens, Boyle, Newton)<br />

ma questo è altro discorso.<br />

Il discorso della Dioptrique prosegue ma le cose si fanno confuse (Huygens confesserà di non aver<br />

capito quale sia l'idea di Descartes sulla natura della luce, se essa sia materiale o se consista in<br />

solo movimento.<br />

Certamente in molti furono d'accordo nel ritenere che la Dioptrique piuttosto che essere<br />

un'esemplificazione del Metodo è stato un affossamento del me<strong>des</strong>imo).<br />

In un primo tempo<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sembra aderire alle concezioni dei pitagorici: qualcosa fuoriesce dai nostri occhi, colpisce<br />

gli oggetti e, tornando indietro, ci annuncia gli oggetti me<strong>des</strong>imi.<br />

Più oltre però egli sembra virare verso le concezioni platoniche, quando dice:<br />

gli oggetti della vista possono essere sentiti non soltanto per mezzo dell'azione che, essendo in essi,<br />

tende verso gli occhi, ma anche per mezzo di quella che, essendo negli occhi, tende verso essi.<br />

Tuttavia, poiché quest'azione non è altro che la luce, bisogna notare che si trova soltanto negli<br />

occhi di coloro che possono vedere nelle tenebre della notte, come i gatti; e che gli uomini ordinari<br />

non vedono che per l'azione che viene dagli oggetti<br />

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Passiamo ora alla trattazione che Descartes fa della riflessione, della rifrazione e della<br />

riflessione totale (14) (ma, come osserva Ronchi, non della luce ma delle palle da tennis che, alla<br />

fine del discorso, ritornano luce senza tener conto di quella sciocchezza che è la gravità).<br />

Per la riflessione la cosa era semplice ed era stata trovata e confermata più volte in passato.<br />

Egli ci offre la figura già vista del tennista ed una breve discussione in cui si<br />

afferma che gli angoli di incidenza e di riflessione risultano uguali.<br />

Per la rifrazione abbiamo la solita figura del tennista con la seguente ipotesi: supponiamo che<br />

una palla, spinta da A verso B, incontri nel punto B non più la superficie della terra, ma una tela<br />

CBE, così debole e sottile che la palla abbia la forza di romperla e di attraversarla, perdendo solo<br />

una parte della sua velocità.<br />

Questa analogia prevede che la palla, entrando nella<br />

sostanza che è al di là della tela perda velocità e, a seguito di tale perdita, dice Descartes, la<br />

palla andrà a finire in I e la cosa è manifestamente sbagliata oltre ché contraddittoria come, con<br />

estrema chiarezza, osserverà Fermat in una lettera a Mersenne.<br />

L'argomento di Fermat è il seguente: entrando in una sostanza nella quale la velocità della palla<br />

diminuisce, essa dovrebbe andare a finire in un punto compreso tra D e G; l'andare in I prevede<br />

che la palla, entrando nella tela, aumenti la sua velocità.<br />

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La supposizione che fa Descartes della luce che viaggi a minore velocità nell'aria che in una<br />

sostanza più densa, come l'aria è esattamente il contrario di ciò che accade.<br />

Ma vediamo in dettaglio ciò che dice Descartes in riferimento alla figura seguente che ricalca la<br />

precedente ma è più chiara.<br />

Supponiamo che la palla, scagliata da A, colpisca la tela (o passi da aria ad acqua) in B e perda<br />

qui metà della sua velocità.<br />

Supponiamo poi, con linguaggio moderno, di seguire le componenti orizzontali e verticali della<br />

velocità separatamente (supponiamo che il suo movimento differisca completamente dalla sua<br />

determinazione a muoversi da un lato piuttosto che dall'altro, con la conseguenza che le loro<br />

quantità devono essere esaminate separatamente [Dioptrique; 12; 113]).<br />

A questo punto Descartes afferma che la componente orizzontale del moto della palla (la<br />

determinazione della palla a muoversi da sinistra a <strong>des</strong>tra) non cambia a seguito dell'urto contro<br />

la tela, mentre sarà l'altra componente, quella verticale (che fa tendere la palla dall'alto in<br />

basso) che cambierà in qualche modo a seguito dell'urto con la tela.<br />

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Poiché la palla perde metà velocità nell'urto, necessiterà il doppio del tempo per raggiungere<br />

qualunque punto della circonferenza (come D o I) di quello che impiega per andare da A a B<br />

Nel doppio del tempo percorrerà due volte la distanza da sinistra a <strong>des</strong>tra (la componente<br />

orizzontale, dopo l'urto, sarà il doppio di quella prima dell'urto, cioè BE = 2 CB e ciò comporta<br />

che la palla deve andare a finire in I.<br />

Descartes a questo punto apre una parentesi relativa alla palla lanciata in direzione HB che non<br />

subisce deviazione, andando a finire in G e sulla palla lanciata con un angolo î maggiore di<br />

quello di figura tanto da aversi la riflessione totale, con la palla che viene riflessa anziché<br />

rifratta.<br />

E continua:<br />

Ma facciamo qui ancora un'altra ipotesi e pensiamo che la palla, essendo stata in primo luogo<br />

spinta da A verso B, sia spinta di nuovo, trovandosi nel punto B dalla racchetta CBE [dalla<br />

superficie della tela o dell'acqua verso il basso, ndr], in modo da aumentare la forza del suo<br />

movimento per esempio di un terzo [sarebbe stato corretto dire della metà perché, come mostra<br />

Dijksterhuis (pag. 227), dire un terzo è un errore, ndr], di modo che essa possa fare il cammino,<br />

che prima faceva in tre momenti , in due momenti.<br />

Ciò vuol dire, come prosegue Descartes, che la palla può camminare, ad esempio, dentro l'acqua,<br />

più veloce che nell'aria. E, in analogia con quanto visto prima, poiché ora la velocità aumenta e<br />

non diminuisce, la palla andrà a finire in I che questa volta è situato nell'arco DG (vedi figura<br />

seguente).<br />

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Dice <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> (quasi letteralmente) che, poiché la palla va da A a B ed arrivata in B prende la<br />

direzione I, vuol dire che la forza con cui entra nel mezzo più denso (quello che si trova al di sotto<br />

della linea CBE), sta a quella con cui la palla esce dal corpo meno denso (quello che è al di sopra<br />

della suddetta linea), come la distanza che c'è tra AC ed HB sta a quella che c'è tra HB ed FI,<br />

cioè come la linea CB sta a BE.<br />

Ora, poiché AH = CB ed EB = IG, il rapporto CB/BE equivale, in linguaggio moderno, al rapporto<br />

tra i seni rispettivamente degli angoli di incidenza ABH e di rifrazione GBI. E la legge della<br />

rifrazione esprime proprio, come già detto, la costanza di questo rapporto per una data coppia di<br />

mezzi.<br />

Il fatto che Descartes non parli di seni ma si limiti a rapporti geometrici può essere in linea con il<br />

suo proposito di voler spiegare agli artigiani ai quali indica la misura di lunghezze piuttosto che<br />

grandezze un poco complesse come seni di angoli.<br />

Dopo questa discussione Descartes fa tutta una serie di costruzioni geometriche fino ad arrivare<br />

a disegnare due circonferenze affiancate e con raggi diversi.<br />

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Per ciò che a noi occorre è più utile il disegno che prevede due semicirconferenze con raggi<br />

diversi e che corrisponde esattamente al ragionamento di Descartes. Attenzione che, come<br />

mostra Shea, questo è esattamente il ragionamento che aveva fatto Claude Mydorge tra il 1626<br />

ed il 1631 a Parigi e del quale aveva messo al corrente Mersenne con una lettera datata tra il<br />

febbraio e marzo 1630; come suo solito Mersenne aveva informato della cosa Descartes e<br />

Descartes ne fa buon uso, come al solito anche qui, non citando mai la fonte.<br />

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Come si può apprezzare, la semicirconferenza in basso ha raggio maggiorato rispetto a quella in<br />

alto. E la cosa risponde ad un preciso ragionamento, al solito, tutto a priori. Consideriamo un<br />

tempo molto breve, tempo nel quale avviene il fenomeno (e qui sarebbe d'interesse capire<br />

l'istantaneo come si coniuga con un tempo piccolo ma finito anche perché non abbiamo ancora a<br />

disposizione gli infinitesimi e comunque Descartes non ne fa cenno). Dividiamo questo tempo in<br />

due parti uguali. Nella prima parte di tempo la luce si propaga da A a B. Nella seconda parte di<br />

tempo, da B a C. E perché accade questo ? Perché cioè il tragitto BC è maggiore di quello AB ?<br />

Perché c'è l'ammissione a priori che la luce cammini a velocità maggiore nei mezzi più densi (più<br />

veloce nel vetro o acqua che non nell'aria) . E quanto più veloce ? Proprio la quantità necessaria<br />

per fare sì che il segmento AP sia uguale a PQ ! E perché ? Ma perché la componente orizzontale<br />

di tale velocità (vocabolario di oggi), cioè AP e QC , si è conservata (infatti AP = QC). Girando il<br />

discorso per far sì che AP sia uguale a PC è necessario che risulti BC > AB. E quella costante<br />

n1,2 che c'era nella legge di Snell, che cosa vuol dire ora ? Essa misura la maggiore velocità della<br />

luce nei mezzi più densi. La cosa non è da poco perché permette di avere la possibilità di<br />

sottoporre ad esperienza l'intera legge ed i presupposti teorici che erano dietro di essa (un vero e<br />

proprio experimentum crucis, come avrebbe detto Newton). Si tratterà di capire la correttezza<br />

dell'ipotesi di luce più veloce nei mezzi più densi.<br />

In una opera finita di scrivere posteriormente alla Dioptrique, e cioè Il mondo o Trattato sulla<br />

luce (composta tra il 1629 ed una data non precisata ma posteriore al 1637 in quanto si fa qui<br />

riferimento alla Dioptrique che è del 1637, e non pubblicata in vita), <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non aggiunge<br />

praticamente nulla a ciò che aveva scritto nella Dioptrique(18).<br />

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Il lavoro di Descartes prosegue con argomenti dei quali non mi occupo. Si parla di fisiologia<br />

dell'occhio, dei sensi, fino a suggestive figure che ci raccontano<br />

come si formano le immagini nella retina, per poi passare al cervello.<br />

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Arrivati a questo punto si è chiusa la parte didascalica che Descartes ha dedicato agli artigiani e<br />

si può passare alla tecnica che permette di costruire gli strumenti ottici, fine dal quale era<br />

partito ed al quale aveva già dato un contributo nella Géométrie, quando aveva trattato degli<br />

ovali. Egli dice<br />

Tutto il nostro modo di comportarci nella vita dipende dai vostri sensi, e fra questi quello della<br />

vista è il più universale ed il più nobile, e non vi è dubbio che le invenzioni che possono servire a<br />

migliorarlo siano della più alta importanza.<br />

E nulla può potenziarlo più di quanto possa farlo quel meraviglioso cannocchiale, in uso da<br />

pochissimo tempo, ma che ci ha già permesso di scoprire nuovi astri nel cielo e nuovi oggetti al di<br />

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sopra della terra, molto più numerosi di quanti se ne siano visti fino ad ora: in modo di dare una<br />

più ampia e più perfetta conoscenza della Natura<br />

Sul modo di costruzione degli strumenti, anche secondo lo storico francese Pierre Mesnard, egli<br />

si rifece agli studi del napoletano Giovanbattista Della Porta (<strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong> 1558) e,<br />

soprattutto, a quelli del milanese Gerolamo Sirturi (Telescopium 1618) che sono identici a quelli<br />

riportati da Descartes.<br />

Di suo vi sono i tentativi di ottenere un cannocchiale mediante riempimento del tubo, al quale è<br />

applicata una pseudocornea, di acqua e, in una prova successiva, mediante un blocco di<br />

vetro(19).<br />

Ciò al fine di rendere lo strumento simile agli umori che sono nell'occhio con una visione stoica<br />

dei problemi secondo cui dobbiamo estendere le facoltà dei sensi.<br />

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7 - LES MÉTÉORES<br />

L'ultima esemplificazione del Metodo che troviamo nei Discours è lo scritto le Météores che si<br />

occupa di fenomeni meteorologici. Si ritrovano qui alcune cose che Descartes aveva scritto nel<br />

suo Traité du Monde o Traité de Lumière scritto tra il 1631 e 1633 ma pubblicato postumo nel<br />

1664 per l'intervenuta condanna a Galileo che spaventò Descartes. Ricordo che nei primi nove<br />

mesi del 1629 Descartes aveva redatto il Trattato di metafisica o Della divinità che però non ci è<br />

pervenuto, anche se si può immaginare che il suo contenuto sia stato almeno in parte riversato<br />

nel Discours de la méthode. Venuto a conoscenza di un fenomeno di ottica (i pareli, quei dischi<br />

luminosi situati a <strong>des</strong>tra e sinistra del Sole e dovuti a rifrazione dei raggi solari attraverso le<br />

nuvole) osservato a Frascati dal gesuita Scheiner, sospese la redazione del Trattato per dare la<br />

spiegazione del fenomeno (che poi ritroveremo nelle Météore). Discuterò nei paragrafi seguenti il<br />

Traité du Monde ma ora mi serve dire che in questo lavoro viene presentata la concezione della<br />

materia di Descartes. Si sente nelle Météores da un lato la ripresa dei temi metafisici e dall'altro<br />

dei temi propri della sua teoria della materia. Egli tenta qui di dare un fondamento metafisico<br />

alla teoria della materia e, per farlo, come nella Dioptrique, non sviluppa completamente il tema<br />

(come aveva fatto nel Traité du Monde) dà delle indicazioni d'insieme sulla struttura dei corpi<br />

terrestri, sui vapori e sulle esalazioni che essi provocano nell'atmosfera e che sono la causa dei<br />

fenomeni meteorologici. Come dice Dijksterhuis, "l'essenziale della teoria può essere ridotto al<br />

seguente assioma: tutte le differenze d'ordine fisico o chimico che i corpi presentano tra loro<br />

possono essere ricondotte a caratteristiche di forma e di grandezza delle loro parti costituenti<br />

(che si distinguono solo per forma e grandezza) e al modo in cui esse subiscono l'azione della<br />

materia sottile che riempie i loro intervalli e che differisce soltanto quantitativamente dalle<br />

specie più grosse. Un tale assioma deriva in maniera necessaria dalla tesi che l'essenza della<br />

materia è l'estensione, che materia e spazio sono identici e che il vuoto è inconcepibile. E questa<br />

dottrina poggia a sua volta su una concezione che nega carattere di oggettività a tutte le qualità<br />

che siano diverse da quelle geometriche e cinematiche.<br />

E' chiaro che l'autore vede nei processi materiali l'ordre che ne rende possibile la trattazione<br />

deduttiva; quanto ai processi meteorologici, essi, come mostra il saggio, sembrano per loro<br />

natura prestarsi difficilmente alla misura.<br />

Quest'ultima interviene in un solo momento, nel quale è rilevabile un'applicazione più diretta dei<br />

principi del metodo: a proposito della famosa teoria dell'arcobaleno, che Descartes giunge a<br />

formulare combinando le teorie meteorologiche con quelle ottiche della Dioptrique, e che<br />

costituisce uno dei suoi contributi più importanti alla fisica.<br />

Come è naturale attendersi, essa ha più valore dal punto di vista geometrico che dal punto di<br />

vista dell'ottica fisica: la teoria del cromatismo, infatti, che serve a spiegare i colori<br />

dell'arcobaleno, è insufficiente.<br />

Tuttavia il saggio riveste, malgrado le spiegazioni a volte insufficienti, una grande importanza<br />

storica: infatti fa rientrare, in modo coerente e sistematico, nell'àmbito del pensiero scientifico<br />

tutti i fatti meteorologici nei quali assai spesso non si vedevano che fenomeni di carattere<br />

soprannaturale, inspiegabili dal punto di vista fisico".<br />

Ma torniamo al fenomeno (osservazione di quattro paraeli scoperto da Christoph Scheiner a<br />

Frascati la sera del 20 marzo 1629, fenomeno che venne fatto conoscere in Francia ed Olanda da<br />

Nicolas Claude Fabri de Peirsec con varie lettere che contenevano la figura seguente, che<br />

<strong>des</strong>criveva il fenomeno.<br />

La visione dell'arco intorno al Sole, che gli somigliava ad un arcobaleno, eccitò Descartes al<br />

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punto da indurlo a lasciare un lavoro che stava scrivendo per dedicarsi a tale fenomeno.<br />

Egli era mosso dall'idea che se fosse riuscito a capire la natura dell'arcobaleno, avrebbe potuto<br />

non solo spiegare i paraeli ma praticamente tutta l'ottica.<br />

Si mise subito al lavoro ma dovette aspettare proprio le Météores (1637) per dar conto dei suoi<br />

studi. Infatti troviamo lo studio dell'arcobaleno nel discorso ottavo, De l'arc-en-ciel, delle<br />

Météores e vi è subito da osservare che sarebbe stato forse d'interesse legare questo argomento<br />

alla Dioptrique ma probabilmente ciò non è avvenuto perché Descares non ha riletto l'insieme<br />

dei suoi lavori prima della pubblicazione.<br />

In ogni caso questo questo lavoro di Descartes è importante solo per questo discorso ottavo.<br />

Il resto, come già accennato, è un'utile mettere insieme i vari fenomeni meteorologici ma senza<br />

alcuna trascendenza.<br />

Occupiamoci quindi di questo arcobaleno che viene così introdotto da Descartes:<br />

L'arco iris è una meraviglia della natura molto intrigante, ed è da tanto tempo che che si sono<br />

avuti ingegni che hanno tentato di dargli una spiegazione, senza successo, che non ho potuto<br />

scegliere tema migliore per mostrare che con il mio metodo possiamo arrivare a conoscere ciò che è<br />

sfuggito a tutti gli autori le cui opere sono giunte fino a noi.<br />

Come molti studiosi, fin da tempi remoti, avevano fatto, Descartes fa riferimento all'arcobaleno<br />

che si origina in particolare condizioni quando si beve ad una fontana con l'osservazione empirica<br />

del fenomeno che si costruisce sulle goccioline d'acqua diffuse nell'aria. Descartes dice che, per<br />

studiare il fenomeno, ha allora pensato di costruirsi una grande goccia d'acqua riempiendo con<br />

acqua un vaso di cristallo di grande dimensioni.<br />

Anche qui la cosa era stata già fatta da vari studiosi precedenti, tra cui Witelio (1230 - ?) ed il<br />

siciliano Francesco Maurolico (1494-1575). Il polacco Witelio era autore di un trattato di<br />

prospettiva (Vitellionis perspectivae libri decem, Norimberga 1533) ispirato a quello dell'arabo<br />

Alhazén. Maurolico aveva invece portato avanti studi molto approfonditi sull'arcobaleno,<br />

particolarmente nei Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia (1568, ma editi in Francia<br />

proprio nel 1611).<br />

In ogni caso Descartes sosteneva il vaso-goccia con la mano distanziata al massimo dal volto ed<br />

osservava che quando la muoveva girandola, gli appariva sempre una macchia brillante in un<br />

punto (nella parte bassa del recipiente) tale che la linea che univa tale punto all'occhio formava<br />

un angolo di 42° con la linea che univa l'occhio al Sole.<br />

Il risultato di Maurolico (45° ed anche la scoperta dei sette colori in luogo dei tre che fino ad<br />

allora erano dati) era migliorato, anche se Maurolico non è citato, ma il fatto rilevante non è<br />

questo caso particolare ma la generalizzazione che Descartes fa: tutte le gocce sospese nell'aria<br />

devono comportarsi in tal modo.<br />

Come osserva Shea, l'audacia di tale ipotesi nasce dal fatto che non si tiene conto degli effetti<br />

d'insieme e quindi della deformazione delle gocce quando sono in grande quantità e premono tra<br />

loro.<br />

A questo punto arriviamo alla nota figura che Descartes ci offre.<br />

Il cerchio che si osserva in alto di un arcobaleno è il suo recipiente (sferico e di cristallo) pieno<br />

d'acqua.<br />

Come una grande goccia situata materialmente lì per spiegare le riflessioni e le rifrazioni della<br />

luce che presiedono il fenomeno.<br />

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L'arcobaleno di Descartes [Météores; 12; 186]<br />

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Riferendoci alla figura ed in particolare al cerchio-goccia, la macchia che Descartes aveva visto<br />

nel recipiente-goccia è, nel disegno, situata nel punto D del cerchio quando l'angolo DEM (che è<br />

uguale all'angolo FDE) è di 42°. Dice Shea:<br />

Se quest'angolo aumentava di poco, la macchia spariva, ma se diminuiva un poco, non si<br />

cancellava immediatamente ma si divideva in due bande meno brillanti nelle quali si percepisce<br />

il giallo, l'azzurro ed altri colori. Descartes osservava anche una macchia rossa più tenue quando<br />

l'angolo KEM era di circa 52°. Quando tale angolo aumentava o diminuiva, accadeva la stessa<br />

cosa che avveniva in D, solo che all'inverso., cioè un leggero aumento produceva più tenuamente<br />

altri colori ed una leggera diminuzione cancellava tutti i colori. Descartes concludeva che,<br />

quando l'atmosfera è satura di gocce d'acqua, debbono apparire macchie rosse in tutte le gocce<br />

che si trovano in punti tali che la linea che le unisce con l'occhio formi un angolo di 42° o 52° con<br />

la linea EM, di modo che si produrrà un arcobaleno primario che passerà per D (con il colore<br />

rosso nella sua parte superire ed il violetto in quella inferiore), ed un arcobaleno secondario più<br />

in alto, con i colori invertiti (il rosso nella parte inferiore ed il violetto nella superiore). [Shea; 6;<br />

285-286]<br />

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A questo passaggio, Descartes ne fa seguire un altro, di grande interesse, il seguire la traiettoria<br />

del raggio di luce che entra nel cerchiogoccia in B, prima di uscire in D. Nel far questo suppose, e<br />

la cosa è audace, che il vetro del recipiente con gli effetti rifrattivi che comporta non c'entrasse<br />

nel fenomeno che si poteva discutere come se si avesse solo acqua. Anche se il tutto è implicito e<br />

non abbiamo una qualche discussione della cosa. Interponendo successivamente dei corpi opachi<br />

nelle varie traiettorie della luce, capì che il raggio incidente AB si rifrangeva entrando nel<br />

recipiente in B, avanzava poi verso C, dove si rifletteva completamente fino ad arrivare a D dove<br />

si rifrangeva di nuovo quando usciva. Il fenomeno dell'arcobaleno primario era dunque dovuto ad<br />

una riflessione e due rifrazioni nelle gocce sospese nell'aria. Descartes passò poi a spiegare<br />

l'arcobaleno secondario trovando che esso era dovuto a due riflessioni e due rifrazioni nelle gocce.<br />

L'insieme di queste elaborazioni potrebbe essere conclusivo di un lavoro brillante ma Descartes<br />

ce lo presenta solo come una discussione preliminare di una domanda che viene subito posta:<br />

perché appare una macchia rossa solo in quelle parti delle gocce che rispondono alla condizione<br />

già detta dei 42° ? oppure, che è lo stesso, perché le linee che formano quell'angolo si mantengono<br />

per ogni goccia sempre in modo da dare proprio quell'angolo per arrivare infine colorate all'occhio<br />

dell'osservatore mediante archi che rappresentano altrettante sezioni del cono visuale che ha il<br />

vertice nell'occhio ?<br />

Qui interviene ancora il modo contorto di operare di Descartes. Egli aveva in mano gli strumenti<br />

per risolvere il problema che erano le leggi della riflessione e della rifrazione (qui Snell avrebbe<br />

potuto risolvere il problema se solo avesse pensato ad applicare la sua legge della rifrazione alla<br />

spiegazione dell'arcobaleno). Ma non dice apertamente che utilizza queste leggi. Fa invece una<br />

esposizione tortuosa del suo modo di pensare per arrivare a dire che per risolvere la questione<br />

occorre passare attraverso lo studio della luce con il prisma, facendo finta di dimenticare che<br />

quest'opera viene dopo la Dioptrique in cui si è parlato diffusamente di rifrazione e di colori:<br />

allora, al ricordare che un prisma o un triangolo di cristallo operano in modo che si vedano colori<br />

simili, centrai la mia attenzione in uno che avesse la forma MNP, le due facce MN ed NP del<br />

quale sono<br />

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piane ed inclinate l'una rispetto all'altra di un angolo di circa 30 o 40 gradi di modo che, se i<br />

raggi del sole ABC attraversano MN secondo angoli retti o quasi retti, in modo da non subire<br />

alcuna sensibile rifrazione, essi ne devono subire una assai grande nell'uscire attraverso NP<br />

[Météores; 12; 188-189]<br />

Probabilmente, in accordo con quanto ipotizza Shea, anche qui Descartes vuole fare un percorso<br />

completo di dimostrazione del suo Metodo (ottava regola) e quindi dice che si è ricordato del<br />

prisma ... per introdurlo qui come qualcosa di nuovo in un percorso di pensiero che non deve mai<br />

far ricorso ad altri pensieri o risultati. Ed il prisma gli serve proprio per ricreare un fenomeno<br />

analogo a quello che offre la natura al fine di poter studiare la natura attraverso lo studio di<br />

fenomeni anloghi.<br />

L'esperienza di figura mostra uno spettro ottenuto dalla rifrazione della luce solare dopo il<br />

passaggio nel prisma e nella fenditura DE. Lo spettro ha il rosso in F e l'azzurro in H. Da qui<br />

Descartes ricava varie conclusioni che estende automaticamente alle gocce d'acqua. D'interesse<br />

per il seguito de le Météores è il tentativo di capire perché il rosso è in F e l'azzurro in H. Qui<br />

non vi sono esperienze analoghe, non vi sono altri fenomeni da seguire ed interpretare, ogni<br />

spettro ha sempre un rosso da una parte ed un azzurro da parte opposta. Ed allora Descartes<br />

inizia a costruire teorie che però si rifanno a quel suo Traité du Monde o Traité de Lumière che,<br />

come accennato, tratterò nel prossimo paragrafo. Per ora mi serve solo dire che Descartes<br />

considera le particelle d'aria come sferiche e che la pressione si trasferisce, in un universo<br />

totalmente pieno, con azione a contatto da particella a particella per trasmettere anche le azioni<br />

della luce (l'azione o il moto di una certa materia sottilissima, della quale bisogna immaginare le<br />

parti come piccole palline che ruotano nei pori dei corpi terrestri e queste palline possono ruotare<br />

in in diversi modi secondo le diverse cause che determinano tale rotazione; e questo l'ho già<br />

discusso nel paragrafo precedente). Ciò che accade, nella teorizzazione di Descartes, è che le<br />

palline alterano il loro moto rotatorio quando entrano in contatto con i punti D ed E della<br />

fenditura mostrata nella figura precedente. Tale modificazione del moto rotatorio delle palline di<br />

luce è all'origine dei colori che osserviamo. Poiché nella concezione della materia di Descartes le<br />

particelle di una me<strong>des</strong>ima sostanza (in questo caso l'aria) devono avere tutte le me<strong>des</strong>ime<br />

caratteristiche di forma e dimensione, l'unica cosa che è ammessa variare è la loro velocità e<br />

questa è la causa che viene trovata dal nostro autore. Egli fa il ragionamento che illustra con a<br />

figura seguente:<br />

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Supponiamo che YY sia la superficie di separazione tra aria ed acqua e si consideri la pallina di<br />

luce in alto a sinistra (si noti che dentro di essa vi sono, in un certo ordine, i numeri 1, 2, 3, 4),<br />

che indichiamo con 1234, spinta obliquamente da V ad X.<br />

Essa, quando colpisce YY, si mette a girare poiché la parte 3 della pallina frena entrando<br />

nell'acqua mentre la parte 1 segue per ancora un istante con la stessa velocità.<br />

Conseguenza è, come detto, che la pallina girerà in verso orario e cioè nell'ordine 1234.<br />

Immaginiamo ora che questa pallina sia circondata da quattro palline Q, R, S, Y delle quali Q ed<br />

R si muovono ancora alla velocità iniziale ed S e T sono già frenate.<br />

Allora Q, che preme con la sua parte 1 (non riportata in figura ma situata come nella pallina che<br />

partiva da V) sulla parte 4 di 1234 che sta entrando in YY, ed S che sostiene da sotto la parte 2,<br />

fanno aumentare la rotazione della pallina 1234, e le palline R e T non disturbano tale rotazione,<br />

infatti R è nella disposizione di andare verso X più velocemente che la pallina 1234, e T più<br />

lentamente. Queste sono le cose che dice Descartes e Shea osserva che qui vi è un lapsus perché<br />

sono Q ed R a far aumentare la rotazione di 1234 e non Q ed S. Si può aggiungere<br />

un'osservazione che ci riporta ad una concezione della luce che Descartes ci aveva fornito nella<br />

prima parte della Dioptrique.<br />

Lì Descartes ci aveva parlato di propagazione istantanea della luce ed anche se qui le parole che<br />

utilizza sono ambigue (egli non usa mai caratteristiche definite per le palline del tipo più veloce,<br />

più lenta ... ma parla di tendono a muoversi, sono nella disposizione ...<br />

Che vorrebbe dire infatti pallina di luce che va più piano o che va più lenta ?<br />

Tutto questo sembra in contraddizione con la precedente affermazione di propagazione<br />

istantanea della luce e sembra quasi si introducano elementi potenziali che originano da<br />

Parmenide.<br />

In ogni caso, dopo questa discussione Descartes conclude sui colori e, riferendosi alla figura con il<br />

prisma e la fenditura vista più su, dice:<br />

Tutto ciò mostra con sufficiente chiarezza, mi sembra, che la natura dei colori che compaiono in F<br />

consiste solo nel fatto che le particelle della materia sottile che trasmette le azioni della luce<br />

tendono a ruotare con più forza di quanto non si muovano in linea retta, di modo che quelle che<br />

hanno una tendenza più forte a ruotare originano il colore rosso e quelle che solo hanno una<br />

tendenza solo leggermente più forte alla rotazione originano il giallo [Météores; 12; 192]<br />

Resta il problema del capire come mai l'arcobaleno è originato da raggi che fanno quegli angoli di<br />

42°. Descartes capì che occorreva determinare le traiettorie dei raggi che andavano a cadere in<br />

punti differenti della goccia per poi stabilire con quale angolo entravano nei nostri occhi.<br />

Egli aveva osservato che dopo una riflessione e due rifrazioni (arcobaleno primario), si vedono<br />

molti più raggi che formano angoli intorno ai 42° che raggi che formano angoli minori e nessuno<br />

che formi un angolo maggiore.<br />

Nel caso invece di due riflessioni e due rifrazioni (arcobaleno secondario) aveva osservato lo<br />

stesso che nel caso precedente, con l'unica differenza che qui l'angolo era all'incirca di 52°.<br />

Tali calcoli erano stati fatti con la legge della rifrazione ed in particolare dopo aver stabilito che<br />

il rapporto tra il seno dell'angolo d'incidenza e quello di rifrazione, nel passaggio aria acqua, è di<br />

circa 4/3 (più precisamente risultava dalle esperienze 250/187).<br />

Per mostrare i ragionamenti ed i conti fatti egli si serve della figura seguente:<br />

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che, al solito, rappresenta una grande goccia di acqua, con il Sole, non rappresentato, che si trova<br />

in basso rispetto alla figura e del quale sono rappresentati due raggi paralleli, EF ed AC. Con<br />

una serie di calcoli, geometrici e trigonometrici, e misure Descartes stabilisce proprio ciò che si<br />

era proposto: molti raggi si concentrano intorno al valore di 41°30'. Dando poi un valore di 17' al<br />

raggio apparente del Sole, egli può stabilire che l'angolo massimo dell'arcobaleno primario è<br />

41°47' e l'angolo minimo del secondario è 51°37'.<br />

Ed a questo punto, dopo che lo ha trascurato non citandolo per tutto l'armamentario<br />

sperimentale che gli ha messo a disposizione, Descartes cita Maurolico per criticarlo aspramente<br />

(sic!). Egli afferma che le sue misure (45° e 56°) dimostrano la poca fede che possiamo avere nelle<br />

osservazioni che non sono accompagnate dalla spiegazione corretta. Anche qui vi sarebbe molto<br />

da discutere, ad esempio, nella possibilità di sostenere l'affermazione contraria. Galileo ad<br />

esempio pensava che occorresse una teoria ma se poi l'esperimento non si accordava con essa, la<br />

teoria era da scartare. Ma Descartes mantiene Aristotele nel cuore, come vedremo ancora,<br />

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perché di esperimenti di oggetti in caduta se ne erano fatti a migliaia e la teoria aristotelica che<br />

sorreggeva questi esperimenti affermava che a maggiore peso maggiore velocità di caduta. Per<br />

2000 anni ! E poi ? Cosa cambia, l'esperimento più raffinato o la teoria ? o tutti e due ?<br />

Naturalmente il discorso si farebbe lunghissimo tanto quanto un trattato di epistemologia.<br />

Prima di mettere fine al suo lavoro, Descartes accenna alla spiegazione di alcune osservazioni<br />

che qualcuno affermava di aver fatto: l'arcobaleno invertito.<br />

Egli sostiene che la spiegazione di tale fenomeno si deve ai raggi del sole che, riflessi dalla<br />

superficie di un lago, si dirigono verso le gocce di pioggia quando i raggi diretti non possono<br />

arrivare a tali gocce a seguito di qualche nuvola interposta.<br />

Non c'è dubbio che il tutto è un successo di Descartes. Restano comunque molte ombre relative a<br />

ciò che dicevo; al fatto cioè che la luce pur trattata meccanicamente resta nel limbo aristotelico<br />

delle qualità per i suoi cambiamenti nel passaggio da un mezzo ad un altro. Ma Descartes è nella<br />

zona di transizione tra tradizione e cambiamento. A fronte di indubbi successi sul piano<br />

esplicativo che di fatto rappresentano un superamento dell'aristotelismo, egli resta ancora<br />

impantanato in molte spiegazioni che fanno riferimento all'autorità dei testi più che alla ragione.<br />

Nella Seconda Parte di questo lavoro mi occuperò della discussione di altre opere di Descartes,<br />

con particolare riferimento al Traité du Monde o Traité de Lumière in cui Descartes ci presenta<br />

le sue concezioni meccaniche.<br />

Anche la medicina ebbe in Harvey il suo Lutero e Copernico.<br />

Naturalmente non si può pretendere un distacco completo dalle concezioni antiche che fanno<br />

capo da un lato ad Aristotele e dall'altro a Galeno (138 - 201). Consideriamo quest'ultimo per<br />

avere un riferimento affidato alla sperimentazione ed alla dissezione di animali ritenuti più<br />

simili all'uomo (scimmie ?). Non intraprese mai (che si sappia) dissezioni umane e quindi la sua<br />

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medicina è costruita in gran parte per analogia con quella degli organi interni degli animali.<br />

Galeno è un aristotelico che assegna funzioni teleologiche agli organi. Ma non accetta Aristotele<br />

quando questi assegna al cuore una parte importante nella fisiologia umana. Galeno sposta nel<br />

fegato il suo centro d'interesse, fegato che produrrebbe il sangue e lo purificherebbe. Il sangue ha<br />

una sorta di circolazione che lo porta al cuore, dove si riscalda e quindi ai polmoni che invece<br />

tendono a raffreddarlo. L'uomo è dotato di tre spiriti: quello animale che partendo dal cervello<br />

raggiunge i vari organi attraverso i nervi; quello vitale che si dirama dal cuore attraverso le<br />

arterie; quello naturale che parte dal fegato ed è propagato dalle vene. Ognuno dei tre spiriti è<br />

separato dall'altro. Tutto questo (succintissimamente raccontato) era basato su le suddette<br />

osservazioni sperimentali di Galeno. Ma dal II secolo fino al XV, la sua opera, quando fu<br />

riscoperta, tradotta e commentata divenne argomento di dispute aristoteliche basate sul<br />

sillogismo (questo era generalmente il modo di procedere nelle Università). Il ritorno alla<br />

"sperimentazione", questa volta con certe dissezioni su cadaveri di uomini, fu innanzitutto opera<br />

degli "artisti-artigiani" a partire dal Trecento (che spesso lavoravano per il sistema giudiziario).<br />

Durante il Rinascimento (1531) si dispose dell'intero corpo delle opere di Galeno tradotto e ciò<br />

accese un vivo interesse intorno al corpo ed alla funzione dei suoi organi. Ma già Leonardo aveva<br />

lavorato su questioni anatomiche ed a lui seguì l'opera più nota del Rinascimento, la "Fabrica"<br />

(1543) di Vesalio (1514-1574), il padre dell'anatomia moderna. Uno tra i problemi che Vesalio<br />

sollevò, fuori dalla tradizione galenica, era il capire il passaggio del sangue dal sistema arterioso<br />

al venoso, attraverso il cuore. Egli sezionò vari cuori ma non trovò i pori di cui parlava Galeno.<br />

Tuttavia il passaggio da un sistema all'altro avveniva. Altra questione sollevata da Vesalio fu<br />

sullo spirito animale che si irradiava dal cervello. Molte traduzioni dal greco riportavano<br />

"anima" introducendo elementi metafisici nel corpo. Vesalio ebbe il coraggio di sbarazzarsi di<br />

tale cosa evitando ogni controversia teologica. Nella cattedra di Padova si successero a Vesalio<br />

prima Fallopio (1523 - 1563), quindi Fabrizi d'Acquapendente (1537 - 1619) e fu proprio allievo di<br />

quest'ultimo William Harvey (1578 - 1657).<br />

Harvey (1628) prende le mosse dal pregiudizio aristotelico del cuore come centro dell'organismo e<br />

dalla visione platonica del movimento in circolo. Riuscì, attraverso osservazioni in autopsie, a<br />

scoprire la circolazione del sangue riuscendo a ridare al cuore ("il sole del microcosmo" come egli<br />

lo chiama) quella dignità che gli era stata tolta da Galeno: è il battito del cuore che permette la<br />

circolazione del sangue ! La cosa la suffragò con variate esperienze che lo convinsero che il cuore<br />

può operare non certo come pompa (questo lo avrebbe messo nel novero dei meccanicisti) ma<br />

come sovrano del corpo e come luogo dove il sangue recupera le sue qualità. Falsificò poi la teoria<br />

del sangue prodotto dal fegato con un semplice conto che confrontò quanto sangue passava dal<br />

cuore con quanto ne avrebbe dovuto produrre il fegato: quest'ultima quantità risultava enorme<br />

per un organo così piccolo. Insomma, a parte alcuni dettagli (relazione tra vene ed arterie che<br />

avrebbero avuto bisogno dei lavori con il microscopio di Malpighi - 1628/1694 - per stabilire<br />

l'esistenza di capillari), si erano gettate le basi della rivoluzione harveyana. (che però, per il<br />

disinteresse dello stesso Harvey nel farla conoscere, dovette aspettare ancora circa 100 anni<br />

prima che fosse conosciuta dal gran pubblico. La pratica medica, anche la sua, seguì con i salassi<br />

anche se si cominciò a comprendere il meccanismo dell'avvelenamento: seguì anche con strane<br />

cure, di derivazione paracelsiana, che prevedevano l'imposizione della mano di un morto per una<br />

malattia cronica su di un malato di tumore).<br />

Si può certamente dire che i lavori di Harvey partono da concezioni aristoteliche, concezioni nelle<br />

quali il moto circolare assume un valore fondamentale proprio perché è l'intero mondo<br />

organizzato in quel modo. La circolazione del sangue rende il microcosmo assimilabile al<br />

macrocosmo e la funzione vivificante e rigenerativa del Sole viene nel microcosmo sostituita dal<br />

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cuore che , come detto, è "il sole del microcosmo" in accordo con le tesi ficiniane. Tra l'altro è nel<br />

cuore che troviamo la localizzazione dell'anima<br />

In definitiva, un convinto aristotelico, con le premesse di Aristotele e con strane assonanze<br />

ermetiche (per un aristotelico), è uno che inizia una delle più importanti rivoluzioni scientifiche<br />

dell'età barocca.<br />

="4">(2) Sono esistite ed esistono tuttora dei sospetti relativi a contatti o addirittura<br />

all'affiliazione di Descaronfraternita. Descartes ha sempre negato ma la cosa era comunque<br />

d'obbligo, anche per motivi di prudenza. I Rosa- Croce erano un ordine segreto, nato<br />

probabilmente nel XV secolo ma fattosi conoscere nel 1614 con la pubblicazione clan<strong>des</strong>tina di<br />

due libelli, Fama Fraternitatis e Confessio Fraternitatis. Il nome dell'ordine definisce anche il<br />

simbolo che è appunto una rosa ed una croce con la croce che<br />

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Uno dei tanti possibili simboli dei Rosa-Croce<br />

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Altro simbolo dei Rosa-<br />

Croce. E' d'interesse notare<br />

che qui, alla rosa ed alla<br />

croce, sono sovrapposti<br />

simboli massonici (il<br />

compasso) ed alchemici (il<br />

gabbiano che per alimentare<br />

i suoi piccoli con il suo<br />

sangue si becca il corpo).<br />

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rappresentava il sapere, la scienza e la rosa l’amore. La Società dei Rosa- Croce, almeno nel<br />

secolo XVII, era costituita (pare) da un piccolo numero di aderenti che condividevano stesse idee<br />

di modernità. Erano probabilmente riformatori religiosi e morali, che utilizzavano la<br />

comunicazione che ritenevano più evoluta ed addirittura di carattere scientifico per far conoscere<br />

le proprie idee. I loro scritti, spesso di carattere alchemico, sono impregnati di esoterismo, di<br />

misticismo ed occultismo. Quando i messaggi diventavano ermetici implicavano significati<br />

reconditi che sarebbero stati compresi solo dagli iniziati (e questa sembra una contraddizione<br />

rispetto al proposito di far conoscere le proprie idee, ma non lo è se lo spirito è quello di ricercare<br />

gli eletti).<br />

Secondo Pelagio Britannico (circa 360-427), gli uomini non erano pre<strong>des</strong>tinati (come sostenuto da<br />

Sant'Agostino), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per<br />

mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era<br />

necessario l'intervento della Grazia divina (una cosa analoga era stata sostenuta anche da<br />

Origene all'inizio del III secolo con la conseguente condanna dell'origenismo da parte del vescovo<br />

di Alessandria, Teofilo, nel 401). Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato<br />

originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano. Poiché non sussisteva<br />

il peccato originale, il battesimo era visto da Pelagio come un momento di accoglimento nella<br />

Chiesa: tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, era ugualmente accolto in paradiso.<br />

Descartes non deve essere confuso con un misogino e/o bigotto. Egli ebbe una vita movimentata,<br />

ebbe varie donne e risultano vari figli lasciati senza essere riconosciuti in giro per l'Europa. Non<br />

prese moglie perché, come disse ad una signora che lo interrogava in proposito, preferiva la<br />

verità alla bellezza. Una sola figlia, Francine, che ebbe con la sua domestica Elena Jans, fu<br />

riconosciuta. Essa nacque nel 1635 e fu battezzata in una chiesa protestante. Gli procurò il più<br />

grande dolore della sua vita, quando morì a soli 5 anni.<br />

Sotto altri aspetti Descartes, che usava portare il cappello a larghe falde con piuma di struzzo e<br />

la spada, non disdegnava i duelli. Più volte fu aggredito da briganti e più volte seppe difendersi<br />

con successo.<br />

Si è molto discusso sulla credenza religiosa di Descartes. Sembra si possa dire che fosse cattolico<br />

che tentava di suggerire alle gerarchie una maggiore apertura filosofica e comprensione verso la<br />

scienza.<br />

E' importante osservare che tutti i cambiamenti di notazione introdotte fino al cinquecento erano<br />

fondamentalmente delle abbreviazioni di parole comuni. In questo periodo le richieste sempre<br />

crescenti della scienza stimolavano i matematici a utilizzare una notazione simbolica, ma il<br />

miglioramento era progressivo ed in alcuni casi intermittente. Molte variazioni furono effettuate<br />

accidentalmente ed è chiaro che gli studiosi di questa epoca non erano in grado di apprezzare<br />

quello che il simbolismo poteva significare per l'algebra. Spesso i nuovi simboli introdotti non<br />

venivano adottati in modo immediato dai matematici contemporanei (Kline, pag. 303). Cioè<br />

l'algebra simbolica non ha soppiantato di colpo quella sincopata. Le prime abbreviazioni<br />

utilizzate nel XV secolo sono p (per più), m (per meno) e ae (per uguale). Alcuni autori (Kline,<br />

pag. 303; Loria, pag. 468) ritengono che i segni + e – vennero introdotti dai te<strong>des</strong>chi per denotare<br />

i pesi in eccesso o in difetto delle cassette e furono poi adottati dai matematici Widman (XV sec.)<br />

e Stifel (1486? - 1567); altri, invece, attribuiscono l'invenzione di questi segni a Leonardo da<br />

Vinci (1452 - 1519) http://goo.gl/0sEPr http://goo.gl/k5A8x http://goo.gl/B5w8S<br />

http://goo.gl/wFGF5 . Il segno = fu introdotto nel 1557 da Recorde (1510 - 1558) che scrisse il<br />

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primo trattato inglese di algebra; Viète (1540 - 1603), che all'inizio utilizzava la parola aequalis,<br />

poi adottò il simbolo ~ per indicare l'uguaglianza; Descartes usava a . Il segno x del prodotto è<br />

dovuto a Oughtred (1574 - 1660) e i segni > e < per denotare le disuguaglianze furono introdotti<br />

da Harriot (1560 - 1621). Le parentesi tonde compaiono nel 1544, le parentesi quadre e graffe,<br />

utilizzate da Viète risalgono al 1593 circa. La radice quadrata Ö e radice cubica 3Öc appaiono<br />

nel XVII secolo con Descartes (Cfr. Kline, pag. 304). I simboli per le incognite e le sue potenze<br />

ebbero un'evoluzione molto lenta. Gli algebristi del cinquecento utilizzavano le parole radix, res,<br />

cosa o tanto per denotare l'incognita e i simboli generalmente derivavano da abbreviazioni: R (da<br />

res) indicava x, Z (da census) x2 e C (da cubus) x3. Gli esponenti vennero introdotti<br />

gradualmente. Chuquet (1445? - 1500?) nella sua opera Triparty scriveva 83 , 105 , 120 e 71m<br />

per indicare 8 x3 , 10 x5 , 12 e 7 x-1. Bombelli usava un piccolo semicerchio dentro il quale<br />

veniva scritto l'esponente della potenza. Stevin (1548 - 1620) utilizzava anche gli esponenti<br />

frazionari: 1/2 per la radice quadrata ed 1/3 per la radice cubica e così via. Nella costruzione del<br />

linguaggio algebrico il cambiamento più significativo fu introdotto con il simbolismo da Viète.<br />

Egli fu il primo ad usare deliberatamente e sistematicamente le lettere, non soltanto per<br />

rappresentare l'incognita e le sue potenze ma anche per i coefficienti generici. Di solito utilizzava<br />

le consonanti per i termini noti e le vocali per le incognite. Il linguaggio simbolico veniva<br />

utilizzato non solo per risolvere equazioni ma anche per provare regole generali. Questo autore<br />

chiamava la sua algebra simbolica logistica speciosa in contrasto con la logistica numerosa:<br />

considerava che l'algebra è un metodo per operare sulle specie o le forme delle cose, l'aritmetica,<br />

la numerosa, si occupa invece dei numeri. In questo modo l'algebra diventò lo studio dei tipi<br />

generali di forme e di equazioni, perché quello che si applica al caso generale è valido in tutti gli<br />

infiniti casi particolari (Kline, pag. 305).<br />

Descartes ha modo di riferirsi a Galileo ed al suo Dialogo all'inizio della Parte sesta del Discours<br />

quando dice:<br />

Tre anni or sono, quando avevo già ultimato il trattato relativo a tutti questi argomenti e<br />

cominciavo a rivederlo per consegnarlo ad un editore, appresi che certe persone, per le quali ho<br />

deferenza e la cui autorità può sulle mie azioni quasi quanto la ragione sui miei pensieri, avevano<br />

disapprovato un'opinione di Fisica pubblicata poco tempo prima da un altro studioso [non lo cita<br />

ma si tratta di Galileo, ndr] ora non dico di condividere tale opinione, ma soltanto che prima di<br />

questa censura non vi avevo notato nulla che potessi immaginare come pregiudizievole alla<br />

Religione e allo Stato e, conseguentemente, nulla che mi avrebbe impedito di adottarla, se la<br />

ragione me ne avesse persuaso. Ciò mi fece temere che tra le mie opinioni se ne trovasse pure<br />

qualcuna su cui mi fossi ingannato, nonostante la gran cura che ho sempre avuto di non<br />

accettarne mai di nuove che non fossero dimostrabili con somma certezza e di non metterne in<br />

iscritto nessuna che potesse nuocere a qualcuno. Ciò è stato sufficiente a farmi mutare la decisione<br />

già presa di pubblicarle. Infatti, pur essendo assai forti le ragioni che mi avevano spinto a quella<br />

risoluzione, la mia naturale tendenza, che mi ha sempre fatto odiare il mestiere di scrivere libri,<br />

me ne fece subito trovar altre che mi scusavano nella mia rinuncia. Queste ragioni, sia in favore<br />

della pubblicazione sia contrarie, sono tali che non solo io ho qualche interesse a esporle qui, ma<br />

anche il pubblico ha forse interesse a conoscerle [Discours; 2; 540-541(9)]<br />

La prima obiezione era di un prete cattolico di Alkmaar in Olanda; la seconda obiezione era la<br />

sintesi di varie obiezioni di filosofi e teologi raccolte da padre Mersenne; la terza obiezione è di<br />

Thomas Hobbes (1588- 1679); la quarta obiezione era del filosofo e teologo Arnauld; la quinta<br />

obiezione è di Pierre Gassendi (1592-1655), filosofo e fisico atomista; la sesta obiezione è di<br />

diversi filosofi e teologi; la settima obiezione è del gesuita Pierre Bourdin (il quale criticava la<br />

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filosofia di Descartes in dibattiti pubblici a Parigi e a questi attacchi Descartes aveva risposto<br />

appellandosi alla massima autorità dei gesuiti di Francia, P. Dinet che diventerà confessore di<br />

Luigi XIII restando sempre protettore di Descartes. Infatti, dopo la settima obiezione, nelle<br />

Méditations, viene l'estratto di una lettera di Descartes a padre Dinet proprio sulla vicenda della<br />

settima obiezione. La posizione di Descartes è altera, di uno che non ha bisogno di nessuno, ma<br />

che, avendo già fornito prove della sua capacità, vorrebbe sapere se si vuole o no che egli spieghi<br />

la sua filosofia e se i gesuiti sono disponibili a difenderla al suo fianco).<br />

Si trattava di una piccola cassa di rame lunga 80 cm in cui vi erano i resti di Descartes privi del<br />

cranio. Questo, successivamente ritrovato, è esposto nel Musée de l'Homme (che fu realizzato da<br />

Cuvier) con tutte le firme dei suoi successivi possessori.<br />

Il cranio di Descartes al Musée de l'Homme<br />

Le opere di Descartes furono raccolte e pubblicate in 12 volumi a Parigi, per le edizioni Leopold<br />

Cerf, tra il 1897 ed il 1913 (<strong>René</strong> Descartes, Oeuvres a cura di Charles Adam e Paul Tannery).<br />

Per citare le opere di Descartes si utilizza questa edizione di riferimento che viene indicata, dal<br />

cognome dei due curatori, con AT, seguita da un numero romano che indica il volume e da un<br />

numero arabo che indica la pagina a cui ci si riferisce. Io scriverò invece: il nome dell'opera, un<br />

numero che rappresenta il testo di bibliografia dal quale ho tratto il brano seguito dalla pagina<br />

di tale testo. Se il riferimento è ad opere in lingua straniera, la traduzione è mia.<br />

Il riferimento esplicito è al pensatore di Maiorca Raimond Lull (1223- 1315) che fu alchimista ed<br />

iniziatore della Cabala cristiana. E' famoso per aver sviluppato l'arte della memoria alla quale si<br />

rifece Giordano Bruno. http://goo.gl/XjvUn http://goo.gl/W4m7G Scrisse tra l'altro, un Trattato<br />

della Quinta Essenza e il Liber de segretis naturae seu de quinta essentia tentando di far<br />

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accettare l'alchimia mediante una disquisizione sul "libero arbitrio" dell'uomo: "Perciò la<br />

Alchimia, che è la vera arte nel promuovere il sapere, non può essere condannata dalla Chiesa, in<br />

quanto la scelta tra il bene ed il male appartiene al libero arbitrio dell'uomo; quest’ultimo è frutto<br />

della sua ignoranza, ma l’ignoranza umana stessa è stata voluta dalla giustizia di Dio e quindi è<br />

un bene dal punto di vista del Dio Padre Onnipotente".<br />

Mi sono soffermato un poco su Lull per tornare alla vicenda dell'affiliazione di Descartes alla<br />

Confraternita di Rosa-Croce (vedi nota 2). Infatti Lull era tenuto in massimo conto da tale<br />

associazione e Descartes raccomandò al suo amico Beeckman di leggere proprio alcune opere di<br />

Lull. Ma anche l'altro amico di Descartes, il matematico Johannes Faulhaber, era un estimatore<br />

di Lull e confessò in una lettera a Descartes del 1618 che non vedeva l'ora di mettersi in contatto<br />

con membri della Società dei Rosa-Croce e se ciò non accadeva voleva dire che così vuole Dio<br />

(sic!).<br />

La cissoide di Diocle (2° secolo a.C.) e la concoide di Nicomede (2° secolo a.C.) sono due curve che<br />

si presentano nella soluzione del problema di Delo della duplicazione del cubo.<br />

Anticamenteerano considerate meccaniche ma la cosa non è corretta.<br />

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La spirale di Archimede (3° secolo a.C.) e la quadratrice di Ippia (5° secolo a.C.) sono due curve<br />

trascendenti e furono introdotte per lo studio dei classici problemi di quadratura del cerchio,<br />

trisezione dell'angolo e duplicazione del cubo<br />

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Anche se questa posizione può sembrare ingenua, rappresenta una qualche novità. Infatti fino<br />

ad allora la luce era stata pensata bianca o incolore ed i colori erano caratteristiche dei corpi che<br />

non riguardavano la luce stessa. Si era all'epoca verificata una frattura nell'ambito della filosofia<br />

in senso lato: la luce era stata lasciata da studiare ai filosofi naturali (ai fisici) mentre i colori<br />

erano restati prerogativa dei filosofi in senso stretto. Uno degli ultimi filosofi che riprenderà la<br />

luce in modo estraneo alla fisica sarà Goethe.<br />

Ma non insisto troppo su queste cose perché poco chiare soprattutto in quanto manca ogni<br />

raccordo tra una analogia ed un'altra, cosicché non sappiamo bene, alla fine, come considerare la<br />

teoria della luce di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>. Provo a spiegarmi. La pressione di una pallina sulla successiva (ad<br />

esempio nel tino) è una concezione che potremmo definire a contatto e comunque si tratta di<br />

trasferimenti di energia e non di materia. Il bastone e le palline scagliate (delle quali parlerò tra<br />

un istante) sono azioni materiali. La seconda è addirittura corpuscolare. Tra l'altro come si<br />

raccorda una propagazione istantanea con una pallina di luce scagliata dal Sole ? Park dice le<br />

cose seguenti (pag. 186):<br />

«Si capisce il motivo per cui <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si serve di analogie per spiegare i due modi così diversi che<br />

abbiamo di sperimentare la luce. Il primo è come un'illuminazione, originata da qualche<br />

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sorgente, che riempie la stanza di luce. È possibile immaginare questo tipo di luce come una<br />

pressione o tendenza a muoversi. Il secondo è come un raggio attraverso il foro di un infisso,<br />

oppure il tipo di raggio che avevano usato i filosofi per spiegare la visione sin dai tempi di<br />

Alkindi. È difficile pensare in termini di pressione per un elemento così direzionato, è molto più<br />

semplice immaginarlo come un lancio di palline da tennis. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> afferma nella sua<br />

comparazione che i modelli non sono inconciliabili e inventa una fisica della tendenza: si<br />

presume che le tendenze (qualsiasi cosa possano essere) si espandono nello spazio secondo<br />

percorsi simili a quelli che seguirebbero le palline da tennis. La discussione è in termini<br />

aristotelici: la tendenza a muoversi è la potenzialità, il moto è la realtà, ma la realtà è contenuta<br />

nella potenzialità e non vi è differenza nelle leggi che governano entrambe. E la nozione di luce<br />

come tendenza che si propaga nello spazio senza alcun moto ricorda la moltiplicazione delle<br />

species di Ruggero Bacone. Se ricordate, secondo Bacone si muovono come l'ombra si muove<br />

dietro all'uomo mentre cammina. Dentro l'armatura di un tale ragionamento c'era poco che<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non potesse spiegare. Difatti l'analogia della pallina da tennis gli offre subito un felice<br />

appiglio. Colpite la pallina in modo da imprimerle un moto rotatorio.<br />

Nella luce, dichiara, la combinazione di moto lineare e rotatorio determina i colori, un concetto<br />

mai sostenuto da alcuna dimostrazione.<br />

Nello spiegare la luce con tre paragoni che non hanno tra loro niente in comune e lasciano il<br />

lettore all'oscuro, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> fa trapelare la sua educazione giovanile. ... Il mondo medioevale<br />

concepiva l'intero creato come un sistema di analogie intese a insegnare all'umanità come vivere<br />

e conoscere Dio.<br />

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Un argomento basato sull'analogia era considerato più che un semplice modo di esprimersi per<br />

immagini vivide, ma si correlava piuttosto in modo tacito o esplicito a un cosmo che era fondato<br />

sull'analogia. Non intendo affermare che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> volesse giustificare in tal modo le sue teorie<br />

sulla luce, ma l'analogia permea tutto il suo pensiero. Eppure avrebbe potuto approfittare di<br />

un'osservazione semplice e saggia fatta da Aristotele: "Nell'inventare un modello possiamo<br />

presumere quello che vogliamo, ma dovremmo evitare l'impossibile"».<br />

Per <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> la luce, ormai divenuta oggetto fisico, ha quindi una velocità infinita (siamo nel<br />

1637), la sua propagazione doveva essere istantanea (questa è la parola usata da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> nella<br />

Dioptrique) e ciò vuol dire che non si ha propagazione. La cosa veniva ricavata da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong><br />

dall'ombra della Terra, immaginata nella situazione astronomica aristotelica, proiettata sulla<br />

Luna in una eclisse. Se la luce del Sole che ci viene riflessa dalla Luna durante la durata di una<br />

eclisse marciasse con una velocità infinita noi vedremmo, come vediamo, l'eclisse quando Sole,<br />

Terra e Luna sono allineati. Se invece la luce avesse una velocità finita (e qui <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> ha il<br />

pregiudizio di una velocità relativamente piccola), essa, quando dal Sole ha superato la Terra per<br />

raggiungere la Luna, impiegherà del tempo per percorrere il tragitto fino alla Luna e del tempo<br />

per tornare sulla Terra di modo che noi possiamo vedere il fenomeno. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> fa l'ipotesi che il<br />

tempo necessario alla luce per fare il tragitto Terra-Luna-Terra sia di una ora. Ciò vuol dire che<br />

noi vedremmo l'eclissi un'ora dopo che la luce ha lasciato la Terra per andare sulla Luna ed<br />

allora <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si chiede cosa accade nel frattempo del Sole. L'astro avrebbe percorso un'ora della<br />

sua traiettoria, tempo che farebbe si che non vi sarebbe più allineamento tra i tre corpi celesti.<br />

Poiché da sempre quei tre corpi risultano allineati, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> conclude che la la luce ha velocità<br />

infinita.<br />

Vi è qui da osservare che il pregiudizio è sempre stato di grave ostacolo alla ricerca. E <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si<br />

chiude una strada che poteva essere fertile, a seguito del suo metodo che prevedeva delle regole<br />

per fare filosofia che non andavano d'accordo con il metodo sperimentale. Vi era anche il fatto<br />

che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aveva in odio il solo nome di Galileo. Egli probabilmente seppe da Marsenne che<br />

Galileo sperimentava sulla velocità della luce e questo fatto gli fece affermare qualcosa che<br />

contrastava con le ipotesi del pisano. In ogni caso il ragionamento di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> che ho riportato<br />

verrà confutato da Huygens nel suo Trattato sulla luce (scritto nel 1678 e pubblicato nel 1690)<br />

proprio sul terreno che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> amava poco, quello sperimentale con misure di distanze e di<br />

velocità. La luce è conseguenza della teoria del mondo considerato come un tutto pieno<br />

eternamente in moto a vortici (una specie di maionese). La materia è estensione e l'estensione<br />

deve essere materia. Conseguenza di queste assunzioni a priori è che la luce diventa un oggetto<br />

materiale, fisico e quindi studiabile. La trasmissione istantanea della luce, di cui ho detto, è<br />

pensata come una pressione esercitata dalle particelle di una materia sottile che riempie<br />

l'universo, l'etere (ecco che questa entità metafisica entra nella fisica e la tormenterà per oltre<br />

250 anni). E l'etere è inteso come un corpo rigido ideale. La prima particella preme sulla seconda<br />

che preme sulla successiva e così via (resta aperto il problema dell'origine del moto). L'intero<br />

discorso di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sembra voler non considerare la luce come entità a sé ma solo in quanto gli<br />

permetterà poi di studiare gli strumenti ottici. Così egli ci dice le cose sulla luce servendosi di<br />

analogie.<br />

Più in generale vi è da dire che in Italia, in genere, vi è molto savoir faire che spesso è<br />

addirittura controproducente. Gli storici della scienza francesi (da Duhem a Koyré, ad esempio)<br />

hanno un tale intollerabile sciovinismo che avrebbero bisogno di essere riportati alla ragione con<br />

documenti. Una esemplificazione delle sciocchezze che sono in grado di mettere su l'ho data in<br />

Alcuni elementi di giudizio su Galileo e in Torricelli, il peso dell'aria ed il vuoto. Voglio ora<br />

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aggiungere due considerazioni. La prima, come già ho accennato nel testo, è relativa alla infinita<br />

gelosia che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aveva nei riguardi di Galileo e la cosa è documentata da una lettera di<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> a Marsenne del 1638 (E.N. Vol. 16, pagg. 124-125), nella quale, ad un anno della<br />

condanna di Galileo, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> dice: che non ha preso nulla<br />

da lui, che non trova nulla nei suoi libri che gli faccia invidia, che non c'è nessuna cosa fatta da<br />

lui che vorrebbe confessare come sua, che le maree sono tirate per i capelli, molte cose che dice<br />

egli l'aveva già detto nel suo Il mondo, anche quella dimostrazione sulla caduta dei gravi ... e la<br />

ripete dicendo delle clamorose sciocchezze e cioè che se in tre tempi un grave percorre un certo<br />

spazio, nel quarto percorre uno spazio uguale al già percorso.<br />

Ma a parte questi pettegolezzi vi sono aspetti molto più importanti da sottolineare. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, che<br />

resta un grandissimo matematico, nelle spiegazioni della filosofia naturale fa rientrare dalla<br />

finestra ciò che Galileo con estrema fatica aveva cacciato dalla porta: la metafisica. L'universo<br />

diventa una deduzione dalle sue elaborazioni teoriche. E le leggi particolari sono quelle perché<br />

Dio lo vuole. Una sorta di Aristotele aggiornato a duemila anni dopo che, naturalmente, trova<br />

inutile l'esperienza. In proposito Pitoni scrive (pagg. 147-150):<br />

"107. Le conseguenze del sistema cartesiano non potevano essere che quelle stesse del metodo<br />

aristotelico ; per quanto il Descartes si voglia vantare come il « grande liberatore dell'intelligenza<br />

europea » (Buckle), come « colui che vide, per il primo, nell'intero universo, anche nei fenomeni<br />

vitali, soltanto materia e movimento » (Huxley). E valga il vero: nella 35° lettera al Mersenne, il<br />

Descartes sa che l'alcole e l'essenza di trementina sono più rifrangenti dell'acqua, per quanto più<br />

leggieri; ma non per questo volle modificare la sua teoria, secondo la quale la rifrazione cresce<br />

colla densità. Il Mersenne vuol pubblicare la notizia del telescopio a specchio, immaginato dallo<br />

Zucchi ; ma la cosa, secondo il Descartes, non è pratica, dunque non se ne farà di nulla. Una<br />

vescica chiusa si gonfiava quando veniva portata a grande altezza, perché, secondo i seguaci<br />

della scuola sperimentale, l'aria esterna era rarefatta; ma il Descartes aveva abbandonata la<br />

rarefazione, dunque, diceva il P. Mersenne, la spiegazione è falsa. Il Torricelli aveva dato la<br />

spiegazione esatta dei venti; questa par troppo semplice al Descartes, ed allora immagina che<br />

essi siano generati dalla dilatazione, agitazione, rotazione delle particelle di vapor acqueo.<br />

L'Alberti assegna la vera origine delle fonti ? Sono invece le acque del mare che s'infiltrano<br />

sotterra, evaporano fin sotto le cupole dei monti, si condensano e zampillano. Mersenne e Petit<br />

lanciano una palla con un cannone verticale, e non la vedono ricadere ? Il Descartes afferma che<br />

la palla è divenuta più leggiera ed ha fatto « come le cicogne, che volano più facilmente nelle alte<br />

regioni, che nelle basse ». Egli attraversa le Alpi ; ode lo strepito delle valanghe e lo assomiglia al<br />

fragore del tuono ? Il tuono è dunque prodotto dal cadere, rotolare, rimbalzare delle nubi, le une<br />

sulle altre. E si porrebbe continuare la raccolta, a dimostrare quale concetto avesse il Descartes<br />

delle prove di fatto, e come si giurasse in lui mentre prima si giurava in Aristotile. Cosa c'è<br />

dunque di comune fra il Galilei, per il quale il fatto è tutto e la teoria lo segue, sia pure che la<br />

ragione talvolta, cogli elementi sicuri già posseduti, intuisca e prevenga, e il Descartes?<br />

Se il Galilei avesse metodicamente raccolto tutte quelle sue preziose osservazioni, indicazioni,<br />

regole del modo di giungere alla verità, che sono sparse nei suoi molti scritti, pochi parlerebbero<br />

di Francesco Bacone. Se il Galilei avesse costituito un sistema, sia pur fantasioso, <strong>des</strong>tinato a<br />

render ragione di tutto, a spiegare ogni cosa, in modo che gli sfaccendati avessero potuto con<br />

quattro premesse azzardarsi a trinciar sentenze sopra qualunque argomento, Renato Descartes<br />

avrebbe perduto molto della sua importanza. Galileo precede il Locke ed afferma che ogni idea ci<br />

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viene dai sensi. Il Descartes (Méditation), scrive invece, che le idee di molte cose (numeri, figura,<br />

movimento, ecc.) non si sono affatto sviluppate in noi per l'intermediario dei sensi e sono perciò<br />

necessariamente vere. Galileo in una lettera rimasta famosa, separa la ricerca del mondo<br />

sensibile dalla fede nell'ultra sensibile. Il Descartes non si sente mai perfettamente libero nei<br />

suoi pensieri, e se parla di cose scientifiche si premunisce contro le obiezioni di eresia ; e se parla<br />

di ricerche metafisiche, si colloca sotto la protezione dei decani della Sacra Facoltà di Teologia<br />

della Sorbona, quella stessa che per ordine del cardinale Richelieu aveva dichiarato falsa la<br />

dottrina del moto della Terra. Il Galilei ha un primo processo coll'Inquisizione, e poi viene colpito<br />

dal secondo e terribile ; e pure non si piega ma riesce di mandare alle stampe, con fatiche<br />

incredibili, l'ultima e più gloriosa opera sua. Il Descartes voleva trattare del sistema copernicano<br />

nel suo trattato De Mundi; ma dopo la condanna del Galilei stimò bene di non farne di niente. I<br />

teologi protestanti lo attaccarono e poco mancò che non facessero bruciare a Leida le opere sue<br />

per mano del boia; il fatto in Italia non era raro, ma i nostri non temevano, né cedevano : il<br />

Descartes invece, si rifugia a Stockolm. Né come indagatore, né come uomo si può il Descartes<br />

neppur lontanamente paragonare al Galilei. E qual'è il suo valore nella meccanica?<br />

Basti, a giudicarne, ciò che il Descartes scrive in una sua lettera del 1640: se a sostenere un<br />

corpo posato su di un piano inclinato ci vogliono 40 libbre ed il corpo ne pesa 100, la pressione da<br />

esso esercitata sul piano sarà di 60 lb. Nei Principia phiosophica (1644), mentre ormai le idee<br />

esatte avevano pacifico dominio in Italia, sostiene, che se un piccolo corpo ne urta un altro<br />

grande ed in riposo torna poi indietro colla stessa velocità, mentre il corpo urtato rimane in<br />

equilibrio.<br />

L'esperienza, nei limiti stessi posti dal Descartes, era contraria ; nia il Descartes partiva dai suoi<br />

principii filosofici per arrivare a tanto, dunque non volle ricredersi. Il Duhem vuol fargli onore<br />

d'avere indicato chiaramente, che il principio delle velocità virtuali vale soltanto per tratti<br />

infinitesimi: ma questo concetto si trova affermato in molti punti dell'opere del Galilei. Ma<br />

l'Italia, oramai divisa ed asservita, declinava politicamente e il suo popolo decadeva; la Francia<br />

invece sorgeva a dettare il gusto all'Europa, a imporle la sua lingua e i suoi autori; perciò il<br />

Descartes sarà il filosofo futuro e il Galilei, se non sarà dimenticato, passerà in seconda linea".<br />

La riflessione totale è discussa sperimentalmente nel modo seguente:<br />

Cosa che è stata sperimentata con disappunto, quando facendo sparare dei pezzi d'artiglieria, per<br />

giuoco, verso il fondo di un fiume, sono stati feriti coloro che erano dall'altra parte sulla riva.<br />

Shea afferma che questi ragionamenti di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> furono copiati ad un tal Claude Mydorge che li<br />

aveva fatti tra il 1626 ed il 1631. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> ne era venuto a conoscenza tramite il solito Padre<br />

Mersenne come risulta dalla corrispondenza di quest'ultimo.<br />

<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non ne parla, perché aveva l'abitudine di utilizzare tutto ciò che gli serviva preso da<br />

chiunque senza mai citarlo, ma questa ammissione di velocità della luce maggiore in mezzi più<br />

densi nasceva da un'analogia che all'epoca era quasi generale: quella di suono e luce. Era ben<br />

noto che più il mezzo è denso più il suono si propaga velocemente. Questa analogia fu molto<br />

travagliata perché ad un certo punto, quando si iniziò a lavorare con le macchine da vuoto, ci si<br />

accorse che il suono non si propaga più in assenza di aria contrariamente alla luce. Ricordo in<br />

proposito l'invenzione del 1654 della prima macchina pneumatica, o pompa da vuoto, ad opera di<br />

Otto von Guericke (a seguito dell'esperienza di Torricelli del 1644). Perfezionata nel giro di poco<br />

tempo da personaggi come Boyle, Hooke, e Huyghens, la pompa permise di svolgere importanti<br />

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esperimenti sulle proprietà dell'aria e del vuoto. Il primo che dimostrò che il suono non si<br />

propaga nel vuoto fu un discepolo ed amico di Galileo, Gianfrancesco Sagredo (l571-1620). Egli si<br />

serviva di una specie di campanello che era situato all'interno di una campana di vetro dalla<br />

quale l'aria veniva quasi completamente tirata via per mezzo di un forte riscaldamento. Fu<br />

proprio Torricelli a far notare che un raggio di luce, contrariamente al suono passa attraverso il<br />

vuoto.<br />

Le parole usate da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per giustificare la cosa sono:<br />

Come una palla perde più del suo moto urtando contro un corpo molle che contro uno duro, e che<br />

essa ruzzola meno facilmente sopra un tappeto che sopra una tavola tutta nuda, così l'azione di<br />

questa materia sottile può essere impedita più dalle parti dell'aria, che, essendo come molli e<br />

sconnesse, non le oppongono molta resistenza, che non da quelle dell'acqua che gliene oppongono<br />

di più; e ancor più da quelle dell'acqua che da quelle del vetro o del cristallo... .<br />

Descartes non scoprì la rifrazione ma fece conoscere, per primo, la legge che aveva ricavato il<br />

matematico ed astronomo olan<strong>des</strong>e Willebrord van Royen Snell (1580-1626), pubblicandola nella<br />

Dioptrique e senza entrare in dettagli matematici. Egli la scrisse come oggi la conosciamo,<br />

introducendo il rapporto tra i seni degli angoli di incidenza e rifrazione.<br />

Riferendoci alla figura, si ha:<br />

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e con Descartes l'indice di rifrazione n acquista un significato più pregnante. E' sempre l'indice<br />

di rifrazione ma risulta legato alla velocità della luce nei differenti mezzi in cui si propaga. Più<br />

precisamente è il rapporto tra la velocità della luce nel mezzo più denso e la stessa velocità<br />

nell'aria (come vedremo tra un poco, rapporto tra una velocità maggiore ed una velocità minore).<br />

Quelle che seguono sono le cose che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aggiunge:<br />

Quanto alla riflessione e alla rifrazione ne ho già trattato a sufficienza altrove [nella Dioptrique].<br />

Tuttavia, dato che per rendere il mio discorso più comprensibile, invece di parlare dei raggi<br />

luminosi, mi sono servito allora come esempio del movimento di una palla, mi resta ora da<br />

richiamare la vostra attenzione sul fatto che l'azione o inclinazione a muoversi, trasmessa da un<br />

luogo a un altro mediante diversi corpi in contatto fra loro, che si trovano senza interruzione in<br />

tutto lo spazio posto fra i due luoghi, segue esattamente la stessa via attraverso la quale la<br />

me<strong>des</strong>ima azione potrebbe far muovere il primo di questi corpi se gli altri non fossero sulla sua<br />

strada; con la sola differenza che al corpo, per muoversi, occorrerebbe del tempo, mentre l'azione<br />

che ha in sé può, per mezzo dei corpi che lo toccano, diffondersi istantaneamente a qualunque<br />

distanza. Ne segue che, come una palla, giocando a pallacorda, rimbalza se batte contro il muro, e<br />

subisce rifrazione se obliquamente entra nell'acqua o ne esce, così, anche i raggi della luce<br />

incontrando un corpo che non li lascia passare oltre devono subir riflessione, e quando entrano<br />

obliquamente in un luogo dove trovano maggiori o minori possibilità di diffusione rispetto a<br />

quello da cui escono, devono, nel punto dove il mutamento si verifica, deviare e subire rifrazione.<br />

Lo sciovinista francese Pierre Mesnard non è esente da sciocchezze e, a questo proposito, riesce a<br />

dire:<br />

Ma Galileo non era un gran conoscitore della geometria e non si è reso conto che le lenti<br />

emisferiche del suo cannocchiale erano ben lungi dal corrispondere alle migliori condizioni<br />

geometriche necessarie per l'allestimento di un telescopio.<br />

Cosa dire ? Niente ...<br />

Il fenomeno ottico paraelio (sundog in inglese, parhelio in spagnolo, parhélies in francese) ha<br />

luogo quando il Sole, verso sera, filtra i suoi raggi attraverso nubi sottili costituite da cristalli<br />

esagonali di ghiaccio con i loro assi principali disposti verticalmente ed il raggio di luce entra<br />

perpendicolarmente a tale asse:<br />

Cristallino di ghiaccio attraversato dalla<br />

luce perpendicolarmente al suo asse<br />

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Ogni cristallino di ghiaccio si<br />

comporta come un prisma di<br />

60° e separa i colori della<br />

luce del Sole<br />

Si deve tener conto che i cristallini di ghiaccio possono essere di forme diverse:<br />

ed il fenomeno ha luogo solo quando i cristallini sono del tipo piano (quello in basso di figura)<br />

anche se gli angoli diedri dei vari tipi si mantengono a 120°.<br />

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Questi cristallini non sono in posizioni stabili ma continuamente mossi dalle correnti d'aria.<br />

Quando una maggioranza di essi è disposta rispetto ai raggi solari come nelle figure precedenti,<br />

allora si ha il fenomeno che è comunque raro e difficilmente persistente nel tempo.<br />

Tutti quei raggi che all'incidere in un cristallo piatto, lo fanno attraverso una delle sue facce<br />

laterali ed escano rifratti per la faccia laterale seguente a quella contigua, arriveranno all'occhio<br />

dell'osservatore in forma di macchia luminosa colorata o paraelio.<br />

In queste condizioni si ha luogo alla circostanza che il tragitto del raggio luminoso continua<br />

all'interno del cristallo parallelamente alla faccia intermedia.<br />

La deviazione che il raggio rifratto subisce rispetto alla sua traiettoria d'incidenza è di 21°7'. In<br />

definitiva, in ogni cristallino, ha luogo una rifrazione come se si avesse a che fare con un prisma<br />

di 60° con conseguente separazione dei colori dello spettro solare (si hanno immagini alla stessa<br />

altezza angolare del Sole, rossicce al loro interno).<br />

La somma degli effetti su tutti i cristallini origina un cerchio che contorna il Sole<br />

(nell'osservazione di Scheiner erano tre) accompagnato da quattro macchie nelle vicinanze del<br />

Sole di luce tremolante, i paraeli, che sono immagini rifratte dello stesso Sole.<br />

Sommando l'effetto di più cristallini di<br />

ghiaccio si formano le immagini del Sole<br />

alle sue <strong>des</strong>tra e sinistra<br />

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Due foto che mostrano un<br />

cerchio che contorna il Sole<br />

(alone) e due paraeli, uno a<br />

<strong>des</strong>tra e l'altro a sinistra del<br />

Sole<br />

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I fenomeni che si possono avere a seguito della rifrazione sui cristalli di ghiaccio sono diversi,<br />

alcuni dei quali mostrati in figura<br />

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Gli antichi Grimori<br />

Il Libro delle ombre<br />

Incanti e Sortilegi<br />

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Grimori Magici<br />

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I libri Chiusi<br />

Due grossi cani neri proteggono l’accesso all’Alta <strong>Magia</strong> e non tutti vi possono accedere, … chi ha<br />

orecchi per intendere, intenda<br />

Claudio<br />

Mi auguro che questo documento vi piaccia, nel caso vogliate leggere altri<br />

documenti che trattano questi particolari argomenti e conoscere altri studiosi del<br />

passato, consultate i miei siti Web<br />

http://www.bantan-sensitivo.com/<br />

http://www.cartomante-bantan.com/<br />

Buon lavoro a tutti<br />

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