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Ruggero Bacone frate francescano fra i primi Alchimisti

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01/06/2012 - 18.06 <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

C’è però un problema a cui gli alchimisti sono sensibili, alcuni<br />

almeno: la distillazione, o comunque le operazioni alchemiche<br />

in genere, permettono soltanto di estrarre il principio vitale<br />

dalle realtà materiali in cui è già presente, o permettono di<br />

crearlo, di farlo manualmente?<br />

E’ una problematica che nei testi arabi e nei testi latini si<br />

esprime con il privilegiare o meno, come materia prima<br />

dell’opus, sostanze che noi oggi definiamo organiche, oppure<br />

sostanze inorganiche.<br />

Cioè da una parte piante, tessuti animali, per esempio il<br />

sangue, oppure sostanze invece inerti, i metalli, i minerali.<br />

Nell’immagine ottava, si vede l’albero della palma, che è<br />

l’albero dell’opus alchemico; in esso tutte le foglie di destra,<br />

cioè le foglie sostituite da lettere, raffigurano i diversi stadi<br />

dell’opus che il testo descrive; alla base dell’albero c’è un vaso.<br />

Un vaso molto particolare: chi conosce la medicina medioevale<br />

vi potrà riconoscere un ‘orinale’, e dunque il liquido che<br />

contiene è urina umana che è il principio, la materia prima da<br />

cui si parte, secondo l’alchimista che ha scritto questo testo, il Liber de investigatione secreti<br />

occulti, per fare il lapis philosophorum, perché si deve partire da una sostanza che abbia già in<br />

sé il principio della vita.<br />

Immagine ottava, bis Questa però è l’opinione di una<br />

corrente dell’alchimia dell’elixir, perché altri alchimisti invece<br />

sostengono che si può partire da qualunque sostanza, anche<br />

dai metalli, anche dai minerali, perché il principio vitale si<br />

ottiene attraverso le manipolazioni, attraverso l’estrazione<br />

dell’anima (Figura 8 bis).<br />

Secondo questi ultimi alchimisti, l’alchimia permette in verità<br />

di estrarre da qualunque cosa, da qualunque elemento, da<br />

qualunque materia prima, l’anima.<br />

Ed essa è il filius, che l’alchimista ha ottenuto dalla<br />

gravidanza della natura.<br />

C’è un passo, che ricorre in diversi testi quasi con le stesse<br />

parole, in cui l’alchimista raccomanda al figlio: "quando avrai<br />

ingravidato la natura" cioè quando avrai lavorato la terra e<br />

avrai seminato i semi della perfezione "aspetta il parto perché è<br />

la natura che detta i tempi e non tu".<br />

Dunque si richiede all’artefice non l’atteggiamento prometeico,<br />

del fare che è dominio sopra la natura, ma la capacità di<br />

interagire con essa, saper aspettare.<br />

Si richiede dunque all’artefice una virtù che è tradizionalmente una virtù femminile, ma che è<br />

anche una virtù degli alchimisti: la pazienza cioè il saper patire, aspettare.<br />

È perché l’alchimista sa aspettare che la natura non è violentata dal suo intervento.<br />

È perché l’alchimista riconosce alla natura il suo ruolo di soggetto vivente che non la riduce<br />

appunto ad un oggetto.<br />

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