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Ruggero Bacone frate francescano fra i primi Alchimisti

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01/06/2012 - 18.06 <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> <strong>fra</strong> i <strong>primi</strong> <strong>Alchimisti</strong><br />

contribuisce al composto con le sue qualità ossidanti, ovvero fornisce l’ossigeno necessario<br />

affinché il carbone di legna finemente triturato bruci così velocemente da produrre un’esplosione.<br />

Migliore la qualità del carbone di legna e maggiore sarà lo scoppio, ma qualsiasi materia<br />

organica altamente infiammabile può essere usata al suo posto. Lo zolfo, la parte minore del<br />

composto, fa praticamente solo da innesco, avendo una temperatura di infiammabilità inferiore a<br />

quella del salnitro. L’accensione della polvere provoca la subitanea produzione di gas che<br />

moltiplicano il volume originario della miscela e generano l’effetto esplosivo.<br />

Tutto apparentemente semplice, con materiali conosciuti fin dall’antichità, compreso il nitro che<br />

è citato da Plinio Seniore nella sua “Storia naturale” e forse persino nella Bibbia. Eppure tutto<br />

anche tremendamente complesso, perché imbrigliare l’energia prodotta dalla polvere da sparo e<br />

scoprire come usarla efficacemente in guerra fu un processo secolare, lento ma inarrestabile,<br />

alimentato dalle menti di innumerevoli protagonisti.<br />

La prima “ricetta” affidabile della polvere da sparo è descritta dal <strong><strong>fra</strong>te</strong> <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> e alchimista<br />

inglese <strong>Ruggero</strong> <strong>Bacone</strong> a metà del XIII secolo nell’opera “De Secretis Operibus Artis et Naturae"<br />

e consiste di 7 parti in volume di Salnitro, 5 di carbone di nocciolo e 5 di zolfo. <strong>Bacone</strong> tiene a<br />

precisare che il composto è “ben noto a tutti”, dato l’uso che già allora se ne faceva per disturbare<br />

e spaventare le persone, aggiungendo che basterebbe creare ordigni più grandi con involucri in<br />

materiale solido per provocare danni molto maggiori.<br />

Per inciso, questa polvere non è affatto nera, ma assume tonalità che vanno dal grigio al color<br />

caffé: divenne nera a metà Ottocento quando le fu aggiunta polvere di grafite per renderla meno<br />

igroscopica e per ditinguerla dalla "polvere bianca", quella senza fumo.<br />

La granata esplosiva suggerita dal <strong><strong>fra</strong>ncescano</strong> alchimista, però, non fu la prima linea di utilizzo<br />

della polvere da sparo. Nei <strong>primi</strong> decenni del Trecento in tutta Europa sono infatti già diffuse le<br />

armi da fuoco, la cui sola presenza è sufficiente per costringere alla resa fortificazioni<br />

considerate imprendibili: a Ghent, in Belgio, sono presenti nelle armerie dal 1313, vengono usate<br />

in Francia nell’assedio di Metz del 1323, e a Firenze si ordinano palle di ferro e “canones” nel<br />

1326. In questo stesso anno abbiamo la prima immagine di un pezzo di artiglieria: l’erudito<br />

inglese Walter de Milemete lo illustra a uno studente di eccezione, il futuro re Edoardo III: è un<br />

“vaso di ferro” dal quale fuoriesce una pesante freccia scagliata contro le mura di una città,<br />

mentre un artigliere innesca l’esplosione con un ferro incandescente infilato in un foro<br />

dell’ordigno. La forma è proprio quella di un vaso, forse perché familiare ai fonditori di campane<br />

che erano gli unici all’epoca ad avere le necessarie competenze metallurgiche.<br />

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