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L'Urlo Maggio 2011 - Studenti del Liceo classico Beccaria

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Un romanzo si aprirebbe allo stesso modo. Nella notte<br />

urla, lampi e raffiche di spari, quando un momento prima<br />

c’era solo silenzio. Silenzio di paura, di complotto, il<br />

silenzio <strong>del</strong>la guerra. Una guerra civile che si è impossessata<br />

con una rapidità impressionante <strong>del</strong>la Libia, come un veleno che<br />

corrode il corpo dall’interno, lo conduce tanto più velocemente<br />

alla morte quanto il cuore batte per resistere.<br />

Tutto è cominciato con la ribellione <strong>del</strong> popolo contro Gheddafi,<br />

poco tempo dopo l’insurrezione d’Egitto. Ai telegiornali si<br />

vedono persone col volto sanguinante, uomini e donne che<br />

impugnano armi e, a sovrastare le loro urla, le parole dei<br />

giornalisti inviati mentre, alle loro spalle, dalle auto mezze<br />

distrutte sventolano bandiere con le strisce rosse, nere, verdi.<br />

Le bandiere <strong>del</strong>la rivoluzione, che richiamano il periodo in<br />

cui italiani e libici convivevano nella stessa terra, prima che<br />

anche i morti venissero dissotterrati e quarant’anni di dittatura<br />

scivolassero nel tempo.<br />

La storia viene tracciata dai personaggi che vi prendono parte e,<br />

anche in questa, ve ne sono altri oltre al protagonista, il popolo<br />

libico. Mentre la posizione italiana rimane incerta, la Francia e la<br />

Gran Bretagna sorvolano il territorio, abbattendo qualsiasi aereo<br />

che decolli, e gli Stati Uniti hanno già lanciato i missili contro<br />

i punti strategici, utilizzando le cosiddette “bombe intelligenti”<br />

che, però, tanto intelligenti non sono, se ci si trovasse dalla<br />

parte sbagliata <strong>del</strong>l’ordigno.<br />

A questo punto potremmo aspettarci che l’elenco sia finito, ma<br />

non è così. Esistono altri interpreti in questa vicenda, i cui spari<br />

sono silenziosi, i cui cadaveri giacciono tra le mosche senza<br />

che nessuno li noti. Sono spettatori e attori nello stesso attimo,<br />

gli abitanti di Paesi come il Ciad, l’Eritrea, il Gibuti, la Ruanda<br />

e la Mauritania... tutti in Africa, ma nessuno in cui gli eserciti<br />

europei o americani siano intervenuti in modo tanto decisivo<br />

e subitaneo. Viene da chiedersi il perché e la risposta che ne<br />

deriva è, inevitabilmente, il petrolio.<br />

L’oro nero, lo sappiamo, è di vitale importanza; una specie di<br />

droga per chi, come noi, non ne riesce a trovare neanche una<br />

goccia sottoterra. È indispensabile mantenerne il controllo. È<br />

indispensabile dimenticare qualche distesa di sabbia e sangue<br />

per ottenerlo. È la logica <strong>del</strong> guadagno e <strong>del</strong>l’economia,<br />

sbagliata ma, si sa, necessaria.<br />

Sembra quasi sciocco farvi riferimento, ma nel film “Blood<br />

diamond – Diamanti di sangue”, di Edward Zwick, un vecchio<br />

nativo di un villaggio <strong>del</strong>la Sierra Leone, unico sopravvissuto<br />

tra cumuli di cadaveri e fumo di incendi, esclama: “Tutto questo<br />

succede per i diamanti. Tutto sommato è meglio: pensate se<br />

avessero trovato il petrolio!”<br />

Distruzione, oblio. È questo ciò in cui vivono. Sono popoli<br />

dimenticati, cui noi non possiamo rivolgere, per ora, nient’altro<br />

se non un pensiero. Persone che dovranno attendere chissà<br />

quanto altro tempo, subire chissà quante altre morti per essere<br />

degnate di uno sguardo dai nostri governi, aspettando una<br />

nuova storia, solo perché sono nate in un Paese senza risorse,<br />

che deve ancora cominciare ad essere scritta.<br />

Fonti: petrolio.blogsfere.it<br />

Anna Lyda Di Giacomo, IV C<br />

Storia di una Libia<br />

dall’oro nero<br />

L interesse economico che<br />

muove gli eserciti<br />

Alessandro De Vita IV B<br />

Michael Crichton e il libro<br />

incompiuto<br />

La questione de “L’isola dei pirati”<br />

Ho letto da poco “L’isola dei pirati”, il cui autore, Michael Crichton,<br />

è stato uno dei più noti e (secondo me) più abili romanzieri<br />

<strong>del</strong> XX secolo: i suoi libri, tra i quali spiccano “Jurassic Park”,<br />

“Timeline” o “Sfera”, hanno venduto più di 150 milioni di copie in<br />

tutto il mondo. La sua opera, nonostante sia basata principalmente<br />

su ucronìe, è contraddistinta da una scrupolosa cura per i dettagli,<br />

unita ad un ottimo dominio <strong>del</strong> linguaggio: lo stile è chiaro e diretto,<br />

senza essere freddo, e rappresenta vividamente diverse situazioni<br />

(tanto che Crichton è stato anche paragonato ad uno sceneggiatore).<br />

Tuttavia, “L’isola dei pirati” risalta come una mosca bianca rispetto<br />

agli altri libri. Prima di tutto è stato pubblicato postumo: infatti fu<br />

trovato nel computer di Crichton dopo che Crichton stesso morì<br />

improvvisamente nel 2008. Inoltre, si nota una virata sia di genere,<br />

dato che è un romanzo storico, sia soprattutto di stile. Il secondo<br />

motivo porta ad un’analisi più interessante: in che modo la modalità<br />

espressiva di Crichton è cambiata?<br />

L’elemento che salta all’occhio fin dalle prime pagine è il cosiddetto<br />

“As you know, Bob…”, chiamato con il termine più tecnico e specifico<br />

di Infodump: lo scrittore, nel tentativo di dare informazioni ai lettori, le<br />

raggruppa in un unico paragrafo, necessario sì per la comprensione<br />

<strong>del</strong>la storia, tuttavia non amalgamato in essa. Questo può avvenire<br />

anche nei dialoghi, che appaiono in tal modo infarciti di elementi che<br />

gli interlocutori conoscono già (appunto, As you know, Bob…). È ciò<br />

che si trova ne “L’isola dei pirati”: infatti l’azione è spesso interrotta<br />

da più o meno lunghi infodump storici (background di personaggi,<br />

racconti di avvenimenti ecc.), cosa che nella buona narrativa<br />

non dovrebbe mai accadere.<br />

Il sito ufficiale di Michael Crichton, in corrispondenza <strong>del</strong>la pagina<br />

dedicata a “L’isola dei pirati”, scrive che questo libro «is Michael<br />

Crichton at his best: a rollicking adventure tale pulsing with relentless<br />

action, crackling atmosphere, and heart-pounding suspense». Non<br />

sono d’accordo con nessuna di queste affermazioni proprio a causa<br />

<strong>del</strong> difetto stilistico di cui<br />

ho parlato, che spezza la tensione nei momenti sbagliati.<br />

Come ha fatto un autore così grande e capace a cadere in un errore<br />

così grossolano? La mia ipotesi è che non vi è affatto caduto; più<br />

probabilmente non aveva ancora finito di lavorare sulla forma. Forse<br />

il suo metodo di lavoro comportava la fusione <strong>del</strong>le note storiche<br />

con l’intreccio vero e proprio solo in un secondo tempo. In questo<br />

caso, per lui la morte è giunta nel momento meno indicato per<br />

un romanziere, cioè in corso d’opera. Purtroppo hanno avuto la<br />

malaugurata idea di pubblicare comunque il libro e, a questo punto,<br />

è lecito concedersi un pensiero maligno: gli agenti di Crichton, pur<br />

essendosi forse resi conto che il lavoro non era ancora concluso,<br />

hanno deciso di presentarlo ugualmente al pubblico.<br />

Le opere di Crichton sono tra i romanzi più coinvolgenti che io<br />

abbia mai letto, ma “L’isola dei pirati” lascia un sapore amaro al<br />

termine <strong>del</strong>la lettura, dovuto a questo ostacolo alla scorrevolezza<br />

e all’uniformità complessiva <strong>del</strong> libro. Se tuttavia si ipotizza<br />

che il lavoro non fosse ancora concluso, tale imperfezione è<br />

assolutamente comprensibile.<br />

FONTI:<br />

Per l’infodump: http://en.wikipedia.org/wiki/Exposition_(literary_technique)<br />

Per il sito di Crichton: http://www.crichton-official.com/books-piratelatitudes-us.html<br />

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