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Terra d' Acqua - Sardegna DigitalLibrary

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L’idea di partenza<br />

Post Scriptum<br />

Parafrasando il concetto espresso molto tempo fa da un grande regista tedesco,<br />

è sempre utile tenere a mente come l’idea di partenza di un film sia un po’ la<br />

scintilla che avvia e condiziona tutto il lungo processo che si tradurrà nell’opera<br />

finita. Nella fattispecie, l’idea di partenza – al dilà delle considerazioni già espresse<br />

intorno alle difficoltà obiettive di usare la parola riferita al tema prescelto – più<br />

che non contemplare (quindi escludere) un testo, prevedeva solo ed esclusivamente<br />

immagini, musica e suono. Fin dall’inizio, cioè, l’idea si era formata in positivo,<br />

immaginando che musica e immagini sarebbero state sufficienti, e anche il mezzo<br />

migliore, per raggiungere lo scopo: un racconto sotto forma di concerto. D’altronde,<br />

a guardar bene, il film per musica e immagini è un genere largamente sperimentato,<br />

spesso ad altissimi livelli. Si trattava quindi di “entrare” in quel genere e adattarlo<br />

alle esigenze specifiche del tema in questione oppure, viceversa, di piegare il tema<br />

alle regole di quel genere, o meglio ancora agire in parallelo. Evitando, comunque<br />

e a tutti i costi, di cadere nella trappola della ripetizione facile, magari inconscia,<br />

di opere già viste.<br />

Parole o immagini<br />

Le parole spese nei primi due capitoli hanno provato da un lato a offrire un<br />

contesto al tema <strong>Terra</strong> d’<strong>Acqua</strong> e al relativo film, dall’altro a esplicitare cose che<br />

nel film si vedono soltanto. Dunque, appurato che un testo – che sia fatto di parole<br />

o di note musicali – gode normalmente di piena autonomia, mentre un film è un<br />

mix di più linguaggi, nel caso in questione è sembrato che la quantità di parole<br />

necessarie per raccontare l’acqua e i suoi dintorni sarebbe stata comunque eccessiva<br />

per poter essere abbinata alle immagini in movimento senza rischiare di banalizzare<br />

le immagini stesse. O meglio, se da una parte dell’acqua in quanto tale c’è poco<br />

da dire che già non si sappia, dall’altra, al contrario, di tutto ciò che ruota intorno<br />

all’acqua, in <strong>Sardegna</strong> o altrove, ci sarebbe talmente tanto da dire che la quantità<br />

di parole – anche con uno sforzo di sintesi – finirebbe per sovrastare di gran lunga<br />

la quantità stessa della immagini. Una montagna di parole, alla fine, sommergerebbe<br />

il film, oppure ne farebbe un’opera interminabile e noiosa. Quante parole<br />

occorrerebbero per spiegare alcune scene a sfondo antropologico che ricorrono<br />

nel film? Quante parole occorrerebbero per illustrare le modalità di un mestiere,<br />

di un’attività, di una produzione artistica o industriale che abbiano a che fare con<br />

l’acqua? Sicuramente troppe. Perché, tra l’altro, chi scrive il film dovrebbe anche<br />

improvvisarsi antropologo, esperto d’arte e di industria o quantomeno giornalista.<br />

1<br />

E non è il caso. Un po’ perché comunque il tema principale è l’acqua, un po’ per<br />

evitare patetiche invasioni di campo. Infine perché bisognerebbe fare non un film<br />

ma dieci, venti, insomma uno per ciascun argomento, per così dire, collaterale.<br />

Perciò si è preferito esaltare il tema-guida e lasciare a ciascuno la libertà di<br />

approfondire o meno i temi “limitrofi” in altra sede, magari più opportuna.<br />

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