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favignana e la mattanza dei tonni (pdf 4,1 mb) - Geacoopsociale.Eu

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Cro<br />

In viaggio su sentieri sterrati<br />

FAVIGNANA…<br />

… e <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong> <strong>dei</strong> <strong>tonni</strong>.<br />

Viaggio nel<strong>la</strong> storia del principale<br />

stabilimento del Mediterraneo per <strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>vorazione del tonno.


La per<strong>la</strong> delle Egadi<br />

Una picco<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> di 4.000 anime, nel mare turchese del<strong>la</strong><br />

Sicilia, è stata protagonista di una delle più grandi avventure<br />

imprenditoriali del secolo scorso legate al<strong>la</strong> pesca e al<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>vorazione del tonno. A Favignana (da Favonio, il vento di<br />

Scirocco che spesso vi soffia) si trovava il più importante e<br />

moderno stabilimento del Mediterraneo per <strong>la</strong> cattura e <strong>la</strong><br />

<strong>la</strong>vorazione del Thunnus Thynnus. Una realtà imprenditoriale<br />

che dava da vivere a tutta l’iso<strong>la</strong>, trasformando Favignana in un<br />

distretto industriale i cui prodotti venivano consumati nei<br />

mercati di tutto il mondo.


La grande intuizione<br />

del senatore Ignazio Florio<br />

La famiglia a cui si deve il fiorire dell’industria del tonno sull’iso<strong>la</strong> è quel<strong>la</strong> <strong>dei</strong><br />

Florio. All’inizio è don Vincenzo a verificare quanto pescoso fosse il mare delle<br />

Egadi, gestendo in affitto le tonnare di Vergine Maria, Arenel<strong>la</strong>, Iso<strong>la</strong> delle<br />

Femmine, Favignana e Formica. Quando gli subentra il figlio Ignazio (1838-91),<br />

dotato di una visione imprenditoriale anche più ampia, nasce il vero business.<br />

Nel 1874 isole e tonnare diventano sue per <strong>la</strong> cifra di 2.750.000 lire. Il primo<br />

nucleo del futuro stabilimento esisteva già, costruito dal precedente gabelloto,<br />

il genovese Giulio Drago. Ma solo con Florio vi si aggiungono i magazzini e le<br />

altre strutture per <strong>la</strong> trasformazione del pesce. E solo con Florio nasce il tonno<br />

inscato<strong>la</strong>to sott’olio, che diventerà poi famoso in tutto il mondo e farà <strong>la</strong><br />

fortuna dell’iso<strong>la</strong>.<br />

La statua a Ignazio Florio nel<strong>la</strong> piazza del<br />

Municipio a Favignana.


La <strong>mattanza</strong>, cultura millenaria<br />

Mattanza, dallo spagnolo Matàr, ammazzare. Mattanza, vocabolo entrato nel<br />

dizionario del<strong>la</strong> lingua italiana come sinonimo di carneficina. In realtà è molto<br />

più di questo, è una cultura, una pratica con radici millenarie, un rito<br />

antichissimo ammantato di significati anche sacri, si<strong>mb</strong>olici, dove <strong>la</strong> religione<br />

c’entra parecchio. I primi metodi efficaci di pesca del tonno risalgono ai Greci,<br />

che a loro volta avevano rie<strong>la</strong>borato tecniche precedenti. I <strong>tonni</strong> seguono rotte<br />

oceaniche che dall’At<strong>la</strong>ntico conducono al Mediterraneo, dove depositano le<br />

uova e si riproducono prima di tornare nell’oceano e proseguire verso nord. La<br />

pesca <strong>dei</strong> <strong>tonni</strong> era partico<strong>la</strong>rmente fruttuosa nel<strong>la</strong> prima metà di giugno, nel<br />

periodo del<strong>la</strong> “Cafara”, e veniva fatta con reti gigantesche formate da sette<br />

“camere” comunicanti, ca<strong>la</strong>te in mare con <strong>dei</strong> pesi. “Il tonno non è un pesce<br />

intelligente”, spiegano gli abitanti di Favignana, “crede di poter usare le reti<br />

come corridoi per facilitare il suo tragitto in mare, non si rende conto di<br />

mettersi in trappo<strong>la</strong> da solo”. Questi corridoi formano qualcosa di simile a un<br />

<strong>la</strong>birinto, dal quale il pesce non può più uscire. Una volta che i <strong>tonni</strong><br />

intrappo<strong>la</strong>ti sono in numero sufficiente, ha inizio il micidiale meccanismo che<br />

conduce al<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>. Il ràis (dall’arabo, il capo) coordina le azioni delle<br />

barche <strong>dei</strong> tonnaroti. Il cerchio delle reti letteralmente si stringe, nelle<br />

camere vengono fatti convergere sempre più <strong>tonni</strong>, spinti verso l’ultima<br />

camera chiamata “del<strong>la</strong> morte”. Intanto le reti vengono man mano sollevate<br />

dal mare. I <strong>tonni</strong> sono presi dal panico, stretti in spazi troppo piccoli per <strong>la</strong><br />

loro mole possente (uno solo arriva a pesare anche mezza tonnel<strong>la</strong>ta) e senza<br />

più acqua. Si dibattono furiosamente, colpendosi a vicenda con le pinne e<br />

nello sforzo si sfiancano. Ai tonnaroti non resta che finire a colpi di arpione i<br />

pesci.<br />

In questa e nelle prossime pagine,<br />

foto storiche del<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>.


“Ha quindi inizio <strong>la</strong> vera <strong>mattanza</strong>: i<br />

pescatori, in piedi sulle barche,<br />

arpionano furiosamente i <strong>tonni</strong> e<br />

tutto il mare diventa rosso di sangue.<br />

Questo spettacolo, drammatico e<br />

folcloristico, è preceduto e<br />

accompagnato da preghiere, canti e<br />

ur<strong>la</strong> <strong>dei</strong> pescatori e termina con una<br />

preghiera recitata da tutti a capo<br />

coperto” (AA.VV., “Civiltà del <strong>la</strong>voro<br />

sul mare”, Editalia 1984)<br />

I canti del<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>: le “cialome”<br />

Ritmare lo sforzo <strong>dei</strong> tonnaroti durante <strong>la</strong> pesca era<br />

un modo per alleviare <strong>la</strong> fatica e per creare<br />

un’atmosfera “corale”, in qualche modo sacra, che<br />

unisse tutti i pescatori nello sforzo per uccidere il<br />

pesce. Esistevano diversi canti, uno per ogni fase<br />

del<strong>la</strong> pesca, dal momento dell’i<strong>mb</strong>arco delle reti<br />

sulle barche fino a dopo che <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong> era<br />

terminata. Durante le operazioni per intrappo<strong>la</strong>re e<br />

pescare i pesci, i tonnaroti erano soliti intonare “A<br />

cialoma tunnarota”, una preghiera di origini<br />

antichissime risalenti al periodo del<strong>la</strong> dominazione<br />

araba sull’iso<strong>la</strong>, poi trasformatasi in un inno di<br />

ringraziamento al<strong>la</strong> Madonna, a San Michele e a San<br />

Pietro. A titolo d’esempio, alcune strofe delle<br />

cialome recitavano: “Gesù Cristo e tutti i Santi e il<br />

Santo Salvatore. Creasti <strong>la</strong> luna e il sole, creasti gli<br />

uomini e i pesci nel mare, i <strong>tonni</strong> e le tonnare. L’hai<br />

promesso e non mancare, questo Dio ci deve<br />

aiutare… Forza tiriamo al meglio uomini belli, forza<br />

con amore è stanca questa ciurma tutta quanta<br />

cantiamo cantiamo San Pietro barba bianca…. Che<br />

belle scarpe tiene <strong>la</strong> figlia del caporale, e che begli<br />

occhi e che bei seni, e vediamo a chi <strong>la</strong> diamo <strong>la</strong><br />

figlia del caporale. Ce <strong>la</strong> diamo al solista<br />

cialomatore del<strong>la</strong> tonnara <strong>la</strong> figlia del caporale, e lui<br />

se l’abbraccia <strong>la</strong> figlia del caporale…”. L’etimologia<br />

del termine è incerta, forse riconducibile all’arabo<br />

sa<strong>la</strong>m, formu<strong>la</strong> di saluto e in questo caso anche di<br />

ringraziamento a Dio per i frutti del <strong>la</strong>voro.<br />

Il marchio dell’industria Florio presso l’ex stabilimento sul porto.


Dal pescato al<strong>la</strong> scatoletta<br />

Gli stabilimenti Florio realizzavano tutto il processo di<br />

produzione, dal<strong>la</strong> pesca al<strong>la</strong> commercializzazione del<br />

prodotto finito. Esistono varie fasi di <strong>la</strong>vorazione del<br />

tonno, che viene squartato e decapitato, dissanguato<br />

e fatto a pezzi, mentre anche le parti di scarto, cioè<br />

quelle non buone per il consumo, vengono utilizzate<br />

per prodotti derivati. Ossa, lische e vertebre vengono<br />

trattate per ricavarne olii per <strong>la</strong> concia delle pelli e <strong>la</strong><br />

fabbricazione <strong>dei</strong> saponi, o ancora come lubrificante.<br />

Altri residui servono a produrre concimi fosfatici. Lo<br />

stabilimento Florio era composto di diverse sale<br />

specializzate: <strong>la</strong> trizzana, dove si costruivano e<br />

riparavano le barche per <strong>la</strong> pesca e si realizzavano gli<br />

attrezzi per <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>; <strong>la</strong> falegnameria, un<br />

magazzino militare per gli usi durante <strong>la</strong> guerra, <strong>la</strong><br />

“casa dell’olio”, <strong>la</strong> stiva, <strong>la</strong> galleria, il magazzino del<br />

sale, il magazzino del carbone, infine il “bosco” o<br />

appiccatoio, dove i pesci venivano appesi per <strong>la</strong> coda<br />

per <strong>la</strong>sciarli dissanguare. Nello stabilimento venivano<br />

poi preparate le scatolette di <strong>la</strong>tta e infine era<br />

confezionato il prodotto finito.<br />

Vedute dell’ex stabilimento Florio,<br />

trasformato in museo.


Esempi delle scatolette di tonno che venivano distribuite in tutto il mondo.


La situazione oggi: dal declino degli anni di<br />

guerra a un nuovo futuro<br />

L’ultima <strong>mattanza</strong> è stata fatta nel 2007, soprattutto per i turisti. Poi i fondi non<br />

ci sono più stati (<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong> costa parecchio in termini di investimento e di<br />

spese), e nemmeno i <strong>tonni</strong>, non quanti ce n’erano una volta. La spiegazione<br />

ufficiale è che <strong>la</strong> colpa sia <strong>dei</strong> pescherecci norvegesi e giapponesi, che<br />

intercettano i branchi direttamente nell’oceano e quindi non ce ne sono più molti<br />

che arrivano nel Mediterraneo. La spiegazione ufficiosa invece par<strong>la</strong> di motivi<br />

tutti italiani e <strong>dei</strong> soldi per organizzare <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>… Comunque sia, <strong>la</strong> vicenda<br />

del<strong>la</strong> dinastia Florio si arresta nei primi decenni del secolo scorso. Il periodo<br />

storico difficilissimo, segnato da guerre e precarietà, e una gestione<br />

imprenditoriale poco accorta portano al fallimento economico del<strong>la</strong> famiglia, un<br />

tempo <strong>la</strong> più ricca di Sicilia. L’industria del tonno invece sopravvive e ca<strong>mb</strong>ia di<br />

proprietà, passando prima sotto l’Iri, poi ai genovesi Parodi e infine al<strong>la</strong> Regione<br />

Siciliana. Oggi, l’ex stabilimento Florio di Favignana è stato trasformato in museo,<br />

con sale multimediali, spazi archeologici dedicati al<strong>la</strong> storia locale e<br />

testimonianze di un passato ricco e prospero. Le visite guidate di “Zio Peppe”<br />

(Giuseppe Giangrassi, ex operaio nello stabilimento) e del personale addetto,<br />

fanno rivivere, nel moderno contesto di oggi, quel<strong>la</strong> che fu l’industria del <strong>la</strong>voro<br />

più moderna e importante dell’Ottocento sul Mediterraneo.


Barconi e attrezzi dell’antica<br />

<strong>mattanza</strong> che ancora guardano<br />

verso il mare.


La paro<strong>la</strong> a Gioacchino Cataldo<br />

C<strong>la</strong>sse 1941, altezza 1.90, stazza<br />

imponente, barba fluente e sorriso<br />

da lupo di mare.<br />

E’ Gioacchino Cataldo, che al porto<br />

di Favignana tutti conoscono come<br />

l’ultimo Ràis, l’ultimo capo <strong>dei</strong><br />

tonnaroti del<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>. Di<br />

storie da raccontare ne ha<br />

parecchie, dopo decenni di <strong>la</strong>voro<br />

sul mare. Come quel<strong>la</strong> volta che <strong>la</strong><br />

pesca si fece un po’ troppo<br />

“grossa”, e nelle reti del<strong>la</strong> tonnara<br />

rimase intrappo<strong>la</strong>ta… una femmina<br />

di squalo bianco. “Ho ancora le<br />

foto in tasca”, ci spiega il Ràis<br />

mostrandocele. “Era morta, è<br />

vero, ma io l’ho trascinata sul<strong>la</strong><br />

barca tutto da solo. Una bestia<br />

enorme, intorno ai 5 metri e<br />

mezzo, pesante un paio di<br />

tonnel<strong>la</strong>te abbondanti. Ricordo<br />

anche il giorno esatto: l’8 maggio<br />

1987”. Ha conservato un ricordo<br />

di quell’epica impresa, il signor<br />

Gioacchino. Ne ha fatto un<br />

pendente con montatura in oro,<br />

una forma che ricorda quel<strong>la</strong> di un<br />

cuore, con <strong>la</strong> catena pure in oro.<br />

“E’ il canino del<strong>la</strong> mandibo<strong>la</strong><br />

superiore dell’animale, <strong>la</strong>to<br />

sinistro”, ci spiega con orgoglio.<br />

“E’ il mio portafortuna”.<br />

Qualcuno li chiama “Sciamani del<br />

mare”, i Ràis. “Sciamano” deriva<br />

dal tunguso “saman”, che significa<br />

colui che sa, il detentore del<strong>la</strong><br />

conoscenza. Di solito, sciamani<br />

sono figure prominenti delle<br />

l’ultimo Ràis del<strong>la</strong><br />

<strong>mattanza</strong> di Favignana<br />

culture arcaiche siberiane o<br />

americane, persone dotate di<br />

poteri “speciali” e in contatto con<br />

gli spiriti, di cui fanno da tramite<br />

nei rapporti con <strong>la</strong> comunità<br />

umana per propiziare il futuro.<br />

Ma che cosa sa esattamente uno<br />

“sciamano del mare”? “Conosce le<br />

correnti subacquee, prosegue<br />

Cataldo, le abitudini <strong>dei</strong> pesci e i<br />

segreti del mare.<br />

Sa qual è il periodo giusto per<br />

ca<strong>la</strong>re in acqua le reti e per tirarle<br />

su piene di <strong>tonni</strong>, e naturalmente<br />

è anche il responsabile del<strong>la</strong><br />

<strong>mattanza</strong>, di cui coordina tutte le<br />

azioni”.<br />

Una volta il ruolo di Ràis veniva<br />

tramandato di padre in figlio, ma<br />

ora non è più così. Il<br />

capo <strong>dei</strong> tonnaroti viene scelto in<br />

base alle sue competenze e<br />

all’esperienza che ha maturato.<br />

Sotto di lui sono altre figure,<br />

secondo una precisa gerarchia di<br />

ruolo: “ci sono due capiguardia, di<br />

cui il più anziano è il vice Ràis, poi<br />

vengono i capi barca e infine tutti i<br />

tonnaroti”. Il signor Gioacchino è<br />

diventato Ràis nel ’97, dopo aver<br />

fatto <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong> per 22 anni.<br />

Viene da un mondo di rapporti<br />

sociali ancora comunitari, in cui<br />

bastava un’occhiata per<br />

comunicare con le persone e una<br />

stretta di mano per concludere un<br />

affare. Ora quel mondo è<br />

scomparso.<br />

Gioacchino Cataldo durante l’intervista e,<br />

sotto, foto dello squalo bianco che “pescò”<br />

nell’87, e un modellino di struttura del<strong>la</strong><br />

tonnara.


“Esisteva anche tra padrone e operaio un<br />

rapporto di fiducia basato su valori personali<br />

profondamente sentiti, ora tutto è<br />

burocratizzato e spersonalizzato. Anche <strong>la</strong><br />

<strong>mattanza</strong> è finita”. Si <strong>la</strong>vorava tutto l’anno<br />

per preparar<strong>la</strong>, non era un’attività solo per<br />

l’estate perché in inverno si dovevano fare<br />

le reti e tutte le attrezzature. Alcuni numeri<br />

aiutano a capire meglio: 7-8 km di reti, 80<br />

km di cavi d’acciaio, 360 mq di superficie<br />

coperta, 300 àncore, e si pescava fino a 32-<br />

35 metri di profondità. E poi ancora<br />

centinaia di galleggianti in sughero e blocchi<br />

di tufo usati come pesi. “Dicono che <strong>la</strong><br />

<strong>mattanza</strong> fosse una festa di morte, ma non è<br />

vero. Vogliamo par<strong>la</strong>re allora di quello che<br />

fanno alcune regioni del nord con pesci più<br />

piccoli <strong>dei</strong> <strong>tonni</strong>?”. La <strong>mattanza</strong> aveva<br />

anche un significato religioso molto forte.<br />

Si<strong>mb</strong>oleggiava il rapporto ancestrale tra<br />

uomo e natura per <strong>la</strong> sopravvivenza, in tutti<br />

gli aspetti più crudi del<strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> vita.<br />

Forse proprio per questo, per rispetto del<br />

mare e delle sue creature che davano da<br />

mangiare agli iso<strong>la</strong>ni, dopo <strong>la</strong> <strong>mattanza</strong> si<br />

rivolgevano preghiere e ringraziamenti ai<br />

santi a capo scoperto.<br />

“Per parte mia, non ho mai trascurato i santi<br />

introdotti dai Ràis precedenti, assicura Cataldo.<br />

Ne ho aggiunto qualcuno a cui sono<br />

partico<strong>la</strong>rmente devoto: Sant’Anna, Padre Pio e<br />

San Remedio, che in realtà è una figura molto<br />

legata al<strong>la</strong> terra più che all’acqua, ma esprime<br />

bene <strong>la</strong> si<strong>mb</strong>iosi tra uomo e mondo animale<br />

perché è rappresentato con un orso al<br />

guinzaglio…, e ovviamente San Gioacchino…”. I<br />

pescatori usavano fissare sul<strong>la</strong> camera d’entrata<br />

delle reti del<strong>la</strong> tonnara un’enorme croce,<br />

sistemata su un palo molto alto in modo che<br />

fosse ben visibile sopra l’acqua. La croce riporta<br />

le immagini <strong>dei</strong> santi e del<strong>la</strong> Madonna ed è<br />

dedicata a San Pietro, così che possa benedire <strong>la</strong><br />

tonnara ed e<strong>la</strong>rgire doni abbondanti. La sera di<br />

giovedì 19 luglio si è svolta una processione<br />

straordinaria, che ha coinvolto tutto il paese. La<br />

croce è stata portata dal Municipio fino all’ex<br />

stabilimento Florio sul porto.<br />

Foto storiche presso lo<br />

stabilimento Florio e i vari<br />

tipi di tonno nelle acque di<br />

Favignana.


Oltre al sindaco e alle varie<br />

autorità anche Cataldo era<br />

presente, a ricordare un<br />

mondo e un sistema di vita<br />

ormai sempre più sbiadito. Ma<br />

che messaggio si può<br />

tramandare di quell’antica<br />

cultura che ha segnato <strong>la</strong> storia<br />

e le tradizioni di un popolo?<br />

“Io spero che i nostri figli<br />

possano ancora ascoltare, un<br />

giorno, le cialome che<br />

cantavamo al<strong>la</strong> <strong>mattanza</strong>, e<br />

sappiano trovare dal nostro<br />

passato le risorse per costruire<br />

un futuro rispettoso del<strong>la</strong><br />

nostra identità, puntando<br />

anche sul turismo e sul<strong>la</strong><br />

valorizzazione di ciò che<br />

eravamo. Perché solo con <strong>la</strong><br />

forza del<strong>la</strong> nostra storia e del<strong>la</strong><br />

nostra passione potremo<br />

fiorire anche nel mondo di<br />

domani”.<br />

Alcuni momenti del trasporto del<strong>la</strong><br />

croce di S. Pietro dal centro del paese<br />

allo stabilimento di <strong>la</strong>vorazione del<br />

pesce.


Tra natura e storia<br />

Le splendide acque dell’arcipe<strong>la</strong>go delle Egadi sono state teatro di alcune<br />

delle battaglie più cruenti co<strong>mb</strong>attute tra imperi antichi. Grazie al<strong>la</strong><br />

posizione strategica per il controllo <strong>dei</strong> traffici del Mediterraneo, Greci,<br />

Romani, Fenici e Cartaginesi si sono battuti per il loro dominio. La storia<br />

di quei lontani giorni è ancora ben viva e presente tra le mura dell’ex<br />

stabilimento Florio, che ospita appunto una sezione di archeologia<br />

marina con numerosi reperti e cimeli di guerra. Mentre sull’iso<strong>la</strong> si dice<br />

che sia persino approdato l’eroe omerico Ulisse, tra le prime<br />

testimonianze di antichi popoli ci sono reperti fenici dell’VIII secolo a. C.<br />

Ma le testimonianze più importanti riguardano certamente le celebri<br />

guerre puniche, co<strong>mb</strong>attute da Roma contro <strong>la</strong> potenza cartaginese che<br />

venne sconfitta nel 241 a.C.<br />

Antiche stampe e ricordi del<br />

passato che fu…


Secondo <strong>la</strong> leggenda, il nome stesso di una picco<strong>la</strong> baia di Favignana, chiamata<br />

“Ca<strong>la</strong> Rossa”, richiamerebbe proprio il colore del sangue versato in quel<strong>la</strong><br />

battaglia… Dopo l’epoca romana l’iso<strong>la</strong> fu conquistata con alterne fortune da<br />

popoli come i Vandali, i Goti e i Saraceni, ma venne occupata anche da<br />

Bizantini e Musulmani, fino ad arrivare ai Normanni e agli Svevi. Le isole Egadi<br />

vennero perfino attaccate dal signore di Algeri e di Tunisi, Khair-Ad-Din,<br />

celebre pirata meglio noto come il Barbarossa. Nel 1637 l’arcipe<strong>la</strong>go e le<br />

tonnare venivano invece cedute al marchese di Genova, del<strong>la</strong> famiglia<br />

Pal<strong>la</strong>vicino. In tempi più recenti, durante il fascismo e <strong>la</strong> seconda Guerra<br />

Mondiale, Favignana fu trasformata in prigione e luogo di confino per i<br />

dissidenti politici, e nel 1943 fu completamente rasa al suolo da<br />

bo<strong>mb</strong>ardamenti aerei. Accanto al<strong>la</strong> pesca del tonno, un’altra attività<br />

economica importante era l’estrazione di tufo per costruire case e diversi tipi<br />

di edifici. Ora al posto delle antiche cave si trovano bellissimi giardini ipogei,<br />

visitabili dai turisti. L’industria del<strong>la</strong> pesca infine, oltre ai <strong>tonni</strong> catturava<br />

sgo<strong>mb</strong>ri e sardine, orate, triglie, cernie, sogliole, dentici, aragoste, ga<strong>mb</strong>eri,<br />

polipi, ca<strong>la</strong>mari. ●<br />

Il faro di Favignana, il castello e i giardini ipogei.


Testo e foto: Michele Mornese.<br />

Immagini tratte dal Museo Florio di Favignana.

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