addio a bill millin: le suono - Geacoopsociale.Eu
addio a bill millin: le suono - Geacoopsociale.Eu
addio a bill millin: le suono - Geacoopsociale.Eu
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
ADDII<br />
Addio a BILL MILLIN<br />
Le suonò ai tedeschi<br />
nel giorno più lungo<br />
Uno di noi che spronava gli altri e un itinerario all’inferno e ritorno
Bill Millin con la sua cornamusa (in primo piano)<br />
durante lo sbarco in Normandia. Lord Lovat è<br />
nell’acqua, a destra.<br />
E’ il 6 giugno 1944, D-Day, sbarco in Normandia. Morte e proiettili ovunque,<br />
sangue e corpi smembrati. E’ l’inferno in terra. C’è un uomo che attraversa<br />
l’inferno. Non si abbassa, non tenta di ripararsi dal<strong>le</strong> pallotto<strong>le</strong>. Non è neanche<br />
armato. Solo il suo kilt, la sciabola cerimonia<strong>le</strong> e la cornamusa. Suona lo<br />
strumento trascinando all’assalto i compagni. E’ William “Piper Bill” Millin, la<br />
“Cornamusa di Dio”. 1a Brigata Specia<strong>le</strong> Britannica, commandos. Milita agli ordini<br />
di Lord Lovat, scozzese pluridecorato. I due si erano incontrati a Fort William,<br />
dove Millin si stava addestrando. Lovat gli offre di diventare il suo attendente<br />
persona<strong>le</strong>, ma lui rifiuta. Lovat lo ingaggia allora come cornamusiere. Quel 6<br />
giugno 1944, Millin sta suonando “The Road to the Is<strong>le</strong>s” sulla spiaggia di Sword<br />
Beach. “Sono sorpreso di essere ancora vivo”, disse ai prigionieri tedeschi<br />
catturati dal<strong>le</strong> truppe britanniche. “Non ti abbiamo sparato perché ti credevamo<br />
pazzo. Non vo<strong>le</strong>vamo sprecare colpi”, gli risposero quelli. Dopo lo sbarco in<br />
Normandia, i commandos di Lovat avevano l’ordine di dirigersi verso il fiume<br />
Orne e sostituire i parà ing<strong>le</strong>si che intanto avrebbero conquistato i ponti<br />
nell’immediato entroterra. “Non dimenticherò mai il lamento della cornamusa di<br />
Bill - disse molti anni dopo il veterano Tom Duncan -. E' diffici<strong>le</strong> da descrivere<br />
l'effetto che faceva. Ci tirava su il mora<strong>le</strong> e aumentava la nostra determinazione.<br />
Ne eravamo orgogliosi e ci ricordava la patria e i motivi per i quali stavamo<br />
combattendo, per <strong>le</strong> nostre vite e per quel<strong>le</strong> dei nostri cari”.
Dopo la guerra, Millin svolse<br />
diverse attività. Alla fine si<br />
qualificò come infermiere e lavorò<br />
negli istituti psichiatrici. L’unico<br />
cornamusiere del D-Day, una<br />
<strong>le</strong>ggenda vivente, è scomparso<br />
merco<strong>le</strong>dì 18 agosto, all’età di 88<br />
anni. Il sindaco di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong>-<br />
Montgomery, cittadina affacciata su<br />
Sword Beach, ha deciso di onorare<br />
la sua memoria dedicandogli una<br />
statua a grandezza natura<strong>le</strong>.<br />
L’inaugurazione è prevista per il 6<br />
giugno 2011. Realizzata in bronzo,<br />
la statua raffigurerà un uomo in kilt<br />
che suona la cornamusa. Verrà<br />
posta di fronte al punto in cui<br />
“Piper Bill” sbarcò in Normandia,<br />
in quel lontano 1944.<br />
Bill Millin nel 1944, ad un recente<br />
raduno sulla sedia a rotel<strong>le</strong> e il suo<br />
libro “La cornamusa del D-Day”.<br />
Bill Millin nasce a Glasgow, in Scozia, e nel 1941 incontra Lord Lovat, anch’egli<br />
scozzese e capo ereditario del clan Frasier, quando entrambi sono nel<strong>le</strong> truppe<br />
speciali. Come piper, cornamusista, Millin partecipa a diverse battaglie, dalla<br />
Normandia all’Olanda e fino a Lubecca, una del<strong>le</strong> città tedesche più importanti<br />
conquistate dagli Al<strong>le</strong>ati. Il Ministero della Guerra, in seguito al primo conflitto<br />
mondia<strong>le</strong>, aveva vietato l’impiego dei cornamusisti in battaglia, falciati dai nemici<br />
con estrema facilità. Per Millin, Lord Lovat fece un’eccezione: “Quello è il ministero<br />
della Guerra ing<strong>le</strong>se - disse Lovat . Tu ed io siamo scozzesi, per noi non va<strong>le</strong>”. Fu<br />
così che Millin partì per la Normandia.
Omaha Beach, oggi.<br />
Dopo la guerra, “Piper Bill” torna alla vita civi<strong>le</strong>.<br />
Ma la sua cornamusa suona ancora nel 1995, ai funerali dello stesso Lord Lovat, al<br />
qua<strong>le</strong> era stato <strong>le</strong>gato tutta la vita. D’altronde, la Great Highland Bagpipe, la<br />
cornamusa scozzese, è il simbolo di un paese e dell’orgoglio della sua gente. Fin da<br />
quando <strong>le</strong> truppe scozzesi vennero inquadrate nell’esercito britannico dopo<br />
durissime guerre con gli ing<strong>le</strong>si, e costituirono <strong>le</strong> loro bande reggimentali di<br />
cornamuse. Dal 1800 circa <strong>le</strong> cornamuse scozzesi hanno accompagnato <strong>le</strong> truppe<br />
britanniche in ogni angolo del mondo, ovunque esse abbiano combattuto. In molti<br />
paesi questo strumento musica<strong>le</strong> è persino più diffuso che nella stessa Scozia, la<br />
qua<strong>le</strong> resta comunque il luogo di raduno di tutti i pipers del mondo. La cornamusa<br />
sostituisce in origine, o si affianca, al tamburo di guerra, il <strong>suono</strong> che produce è<br />
udibi<strong>le</strong> da molto lontano. Fu così che nacquero <strong>le</strong> military pipe band e <strong>le</strong> prime<br />
scuo<strong>le</strong> per imparare a suonarla. Ancora ai nostri giorni, migliaia di cornamusieri<br />
provenienti da tutto il mondo si ritrovano a Edimburgo: vengono dagli Usa, dal<br />
Canada, Australia, Nuova Zelanda, Medio Oriente, Sud Africa, Italia, Francia.<br />
Ancora oggi, la cornamusa affascina migliaia di appassionati. Il suo lamento rievoca<br />
la nostalgia per sogni infranti e libertà perdute. E incita a riconquistar<strong>le</strong>. Come per<br />
Bill Millin, sul<strong>le</strong> spiagge del D-Day.<br />
Miche<strong>le</strong> Mornese
La cornamusa, il kangou<strong>le</strong> e il<br />
pugna<strong>le</strong> di Bill Millin esposti al<br />
“Musée des trois planeurs” presso il<br />
ponte Pegasus di Ranvil<strong>le</strong>-<br />
Benouvil<strong>le</strong>, sul fiume Orne .
ITINERARI NELLA STORIA<br />
6 giugno 1944: il giorno più lungo.<br />
Normandia: sui luoghi del D-Day.<br />
Un viaggio in si<strong>le</strong>nzio, nel rispetto di tutti coloro<br />
che morirono per la libertà dell’<strong>Eu</strong>ropa
L’operazione Overlord<br />
“Il lamento dei violini d’autunno ferisce il mio cuore di un monotono languore”: questi i versi di una<br />
poesia di Paul Verlaine che, trasmessi da Radio Londra, annunciavano alla resistenza francese (il<br />
“maquis” – “cespuglio”, attivissima con migliaia di combattenti in armi) che il momento dell’invasione<br />
era giunto. Iniziava l’operazione Overlord (Signore supremo), decisiva per <strong>le</strong> sorti della seconda guerra<br />
mondia<strong>le</strong>. All’alba del 6 giugno 1944, in un momento di relativa calma durante la tempesta che stava<br />
investendo <strong>le</strong> coste della Manica, agli occhi del<strong>le</strong> sentinel<strong>le</strong> tedesche che scrutavano l’orizzonte dai loro<br />
bunker di cemento armato apparve quasi all’improvviso, facendosi breccia nella nebbia sull’oceano, una<br />
visione che mai si era presentata e mai più si ripresenterà nella storia: 5.400 navi si avvicinavano alla<br />
costa francese, per condurre allo sbarco la più grande armata di sempre, che alla fine conterà più di 3<br />
milioni di uomini. Dai cannoni sul<strong>le</strong> navi un inferno di fuoco si riversa sul<strong>le</strong> difese di Rommel, il famoso<br />
“Vallo Atlantico” che nel<strong>le</strong> intenzioni di Hit<strong>le</strong>r avrebbe dovuto risultare insuperabi<strong>le</strong>. Si trattava di una<br />
linea di fortificazioni lungo tutta la costa nord francese ed europea, con milioni di ostacoli anticarro<br />
sul<strong>le</strong> spiagge (spesso minate), bunker e casematte, batterie di cannoni e nidi fortificati di mitragliatrici<br />
sul<strong>le</strong> alture immediatamente prospicienti. Eppure, nonostante tutti i piani e i preparativi tedeschi, la<br />
sorpresa ideata da Eisenhower e dallo stato maggiore al<strong>le</strong>ato stava per avere successo, seppure a<br />
carissimo prezzo: si è calcolato che sugli oltre due milioni di soldati al<strong>le</strong>ati sbarcati in Normandia tra il 6<br />
giugno e il 31 agosto del ‘44, 38.400 sono morti, 19.300 dispersi e 158.000 feriti.<br />
I tedeschi ritenevano molto più probabi<strong>le</strong> lo sbarco ben più a est, presso il Pas de Calais ove la Manica<br />
presenta la minore distanza dal<strong>le</strong> coste ing<strong>le</strong>si presso <strong>le</strong> quali si era concentrata l’armata d’invasione<br />
al<strong>le</strong>ata, e certo non si aspettavano lo sbarco stesso proprio quel giorno, nel pieno di una furiosa<br />
tempesta la qua<strong>le</strong> tuttavia, come avevano potuto prevedere i meteorologi al<strong>le</strong>ati, avrebbe goduto di<br />
circa 36 ore di tregua relativa, consentendo condizioni minime adatte allo sbarco stesso. Così<br />
Eisenhower e lo stato maggiore al<strong>le</strong>ato avevano deciso: si va. Per i 200.000 uomini della forza d’urto<br />
articolata in varie ondate fu quasi una liberazione dalla snervante attesa, perché molti di loro già<br />
aspettavano da qualche giorno sul<strong>le</strong> navi in mezzo alla tempesta presso <strong>le</strong> coste ing<strong>le</strong>si. Il D-Day era<br />
arrivato.<br />
Truppe d’assalto americane attendono<br />
l’ora X sui mezzi da sbarco.
Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword<br />
Soldati americani sotto il fuoco a Omaha Beach cercano riparo<br />
dietro una “rosa di Rommel”, in una foto del ce<strong>le</strong>bre inviato di<br />
guerra Robert Kapa.<br />
Nella foto grande: Omaha Beach con <strong>le</strong> circostanti colline ove si<br />
erano trincerati i tedeschi.<br />
I più di 100 chilometri della costa sabbiosa della Normandia erano stati suddivisi in cinque settori, i cui<br />
nomi in codice per sempre resteranno incisi nella storia: da ovest a est Utah, Omaha, Gold, Juno e<br />
Sword. Le spiagge Utah e Omaha vengono affidate al<strong>le</strong> truppe da sbarco americane, Gold ai britannici,<br />
Juno ai canadesi, Sword ad una forza congiunta anglo-francese. Cosa aspettasse questi soldati,<br />
ammassati sui mezzi da sbarco, prima nei diversi chilometri del tratto di mare percorsi sotto il fuoco<br />
dell’artiglieria tedesca, poi all’aprirsi del portellone sulla spiaggia, lo si può capire solo visitando i luoghi<br />
e rendendosi conto di quanto siano profonde <strong>le</strong> spiagge di Normandia nel<strong>le</strong> condizioni prescelte di bassa<br />
marea, necessarie per evitare che i mezzi da sbarco fossero annientati dal<strong>le</strong> barriere minate poste sul<strong>le</strong><br />
spiagge stesse. “Il giardino del<strong>le</strong> rose di Rommel” veniva chiamato il sistema di e<strong>le</strong>menti in cemento<br />
armato o segmenti di rotaia ripiegati a “x”, collocati a milioni sul<strong>le</strong> spiagge dai lavoratori francesi e di<br />
altre nazioni tratti in condizioni di schiavitù dall’esercito tedesco. Su queste distese di sabbia dorata,<br />
parecchie decine di metri dovevano essere percorse allo scoperto, senza alcuna protezione dal fuoco<br />
incrociato nemico, prima di potersi gettare in un precario riparo ai piedi dei terrazzamenti naturali su<br />
cui erano <strong>le</strong> postazioni tedesche. Sono caduti a migliaia e migliaia su queste spiagge, e in particolare la<br />
situazione degli americani a Omaha Beach si fece talmente critica che alcuni comandanti a un certo<br />
punto si posero il prob<strong>le</strong>ma della ritirata, finché un grande muro difensivo di cemento armato non fu<br />
fatto saltare da valorosi genieri combattenti utilizzando tubi esplosivi Bangalore, creando così il varco<br />
vita<strong>le</strong>, decisivo.
Le spiagge del D-Day e un mezzo da sbarco del<strong>le</strong> truppe al<strong>le</strong>ate.
Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong> sur Mer<br />
Omaha Beach e il sovrastante cimitero<br />
militare americano di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong> sur Mer<br />
sono pertanto il momento inizia<strong>le</strong> più<br />
giusto per un itinerario in Normandia,<br />
attraverso la memoria del D-Day.<br />
All’entrata del cimitero di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong>, che<br />
appare nel<strong>le</strong> riprese iniziali del famoso<br />
film “Salvate il soldato Ryan” di<br />
Spielberg, un piccolo cartello chiede<br />
si<strong>le</strong>nzio e rispetto. E qui davvero si<strong>le</strong>nzio<br />
e rispetto si avvertono tangibilmente: il<br />
respiro del tempo muta il suo ritmo. La<br />
spiaggia Omaha è lì sotto, una dolce<br />
distesa a perdita d’occhio che incontra<br />
l’Atlantico come da sempre, come se nulla<br />
fosse successo. Lo sguardo cerca<br />
l’immensa spiaggia e il mare, ma prima,<br />
nel verde scintillante di prato ing<strong>le</strong>se,<br />
9.387 croci e stel<strong>le</strong> di Davide bianche ti<br />
guardano, mute. Sono lì a dirti: noi<br />
c’eravamo e abbiamo fatto il nostro<br />
dovere. Tra <strong>le</strong> fi<strong>le</strong> bianche, persone<br />
anch’esse in si<strong>le</strong>nzio, e alcune donne<br />
piangono sommessamente anche ora,<br />
dopo tanto tempo. Il si<strong>le</strong>nzio di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong><br />
parla da allora. Nel Memoria<strong>le</strong> annesso al<br />
cimitero una vasta documentazione<br />
storica con filmati e reperti di grande<br />
rigore e interesse, compresa la vera storia<br />
dei quattro fratelli Niland che hanno<br />
ispirato la fantasia di Spielberg nel famoso<br />
film “Salvate il soldato Ryan”. Una vasca<br />
di acqua immobi<strong>le</strong> si protende<br />
dall’edificio verso l’oceano di Omaha<br />
Beach, verso quel mare da cui tanti<br />
giovani sono venuti e verso il qua<strong>le</strong> <strong>le</strong> loro<br />
tombe guarderanno per sempre.
Piccoli musei<br />
Fanti della “Big Red One” in azione<br />
in Normandia e il “badge” della<br />
famosa divisione.<br />
Nei pressi di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong>, due minuscoli musei dimostrano che la memoria storica dello sbarco in<br />
Normandia non è custodita soltanto da grandi opere volute dai governi e dagli Stati, ma anche da<br />
iniziative più picco<strong>le</strong> di privati e cooperative. Uno è il Museo D-Day Omaha a Viervil<strong>le</strong> sur Mer, con<br />
molti reperti in uno spazio angusto, tra cui una torretta blindata tedesca e un mezzo da sbarco LCVP.<br />
L’altro è il piccolo Museo della Big Red One, dedicato alla prima divisione americana di fanteria, una<br />
unità distintasi su molti fronti nel corso della seconda guerra mondia<strong>le</strong>, e protagonista dell’omonimo,<br />
ce<strong>le</strong>bre film con Lee Marvin.
Torretta blindata tedesca e la ce<strong>le</strong>berrima Jeep Willis presso il Museo del D-Day a Viervil<strong>le</strong> sur Mer.
Bayeux<br />
Ma la Normandia è disseminata di cimiteri di guerra, sia al<strong>le</strong>ati che tedeschi. A Bayeux, ridente<br />
cittadina con una straordinaria cattedra<strong>le</strong> gotica e la ce<strong>le</strong>bre Tapisserie de Bayeux (un arazzo dell’XI<br />
secolo lungo parecchie decine di metri che racconta <strong>le</strong> gesta di Guglielmo il Conquistatore), con <strong>le</strong> sue<br />
antiche case a graticcio, i suoi al<strong>le</strong>gri bar ove si degustano sidro, pommeau e calvados, il Cimitero di<br />
guerra del Commonwealth contiene 4144 lapidi di soldati ing<strong>le</strong>si e al<strong>le</strong>ati che, a differenza del<strong>le</strong> croci<br />
di Col<strong>le</strong>vil<strong>le</strong>, recano anche brevi, struggenti iscrizioni dei familiari di ogni caduto. E una zona del<br />
cimitero accoglie anche <strong>le</strong> spoglie di soldati tedeschi, testimonianza rea<strong>le</strong> di una giusta “pietas” che<br />
supera l’antagonismo dei conflitti. Il Memoria<strong>le</strong> di Bayeux presenta anche diversi carri armati e pezzi<br />
di artiglieria, oltre che vari mezzi utilizzati dal<strong>le</strong> truppe al<strong>le</strong>ate.<br />
Bayeux: cimitero del<br />
Commonwealth.
Bayeux: il Memoria<strong>le</strong>.
La Cambe<br />
Il principa<strong>le</strong> cimitero di guerra tedesco è quello di La Cambe, con<br />
21.300 tombe.<br />
Qui i visitatori sono molto pochi: la morte degli invasori sconfitti<br />
suscita evidentemente meno pietà. All’esterno, il “giardino della<br />
pace” reca una frase di Albert Schweizer (1875-1965): “Le tombe<br />
di guerra sono i grandi predicatori della pace”. All’interno, una<br />
collina con una grande croce e due figure umane domina la distesa<br />
di prato disseminata di lapidi orizzontali sul terreno, qua e là<br />
intervallate da gruppi di 5 croci sempre uguali, quasi a sottolineare<br />
la bana<strong>le</strong> monotonia della morte.
Longues sur Mer<br />
Quasi intatta nella verdeggiante campagna<br />
sovrastante <strong>le</strong> grandi fa<strong>le</strong>sie, rimane,<br />
comp<strong>le</strong>ta di cannoni, la batteria tedesca di<br />
Longues sur Mer, con i suoi cinque bunker da<br />
cui si colpivano <strong>le</strong> navi al<strong>le</strong>ate e si battevano<br />
<strong>le</strong> spiagge seminando la morte fra <strong>le</strong> truppe<br />
da sbarco, e il bunker avanzato, proprio<br />
sopra la fa<strong>le</strong>sia a dominare l’orizzonte, per<br />
l’avvistamento e <strong>le</strong> coordinate di tiro. Fu<br />
conquistata con un’audace azione dagli<br />
ing<strong>le</strong>si del Reggimento Devonshire il giorno<br />
dopo lo sbarco, il 7 giugno. Era una del<strong>le</strong> 12<br />
batterie similari installate dai tedeschi a<br />
dominare <strong>le</strong> spiagge. Da qui, l’incantevo<strong>le</strong><br />
panorama che si protende fino ad<br />
Arromanches, bianche fa<strong>le</strong>sie sull’oceano<br />
azzurro e smeraldino incanto di prati<br />
incontro al giallo del frumento, confligge<br />
brutalmente con l’idea stessa che esso possa<br />
essere stato alterato e vio<strong>le</strong>ntato da<br />
installazioni di morte come questa.
Arromanches<br />
Ma lo sbarco in Normandia fu anche – e<br />
questo è un aspetto tra i meno noti – una<br />
grande impresa tecnologica. Prob<strong>le</strong>ma<br />
fondamenta<strong>le</strong> era quello di far affluire nel<br />
più breve tempo possibi<strong>le</strong> centinaia di<br />
migliaia di uomini e di tonnellate di<br />
armamenti e materiali subito a ridosso<br />
della prima ondata, per consolidare la<br />
testa di sbarco nel più breve tempo<br />
possibi<strong>le</strong>. Gli strateghi al<strong>le</strong>ati avevano<br />
però deciso di evitare la conquista diretta<br />
dei porti, fortificati dai tedeschi e<br />
difficilissimi da attaccare con buone<br />
probabilità di successo. Inoltre la<br />
Normandia non ha porti utili nella zona<br />
degli sbarchi, e in più presenta maree<br />
molto grandi. Perciò gli ing<strong>le</strong>si “si<br />
portarono” i porti dall’Inghilterra, ad una<br />
velocità di 4 miglia l’ora: si trattava di<br />
ingegnosi porti mobili chiamati Mulberry,<br />
composti da vari, giganteschi e<strong>le</strong>menti.<br />
C’erano enormi cassoni di calcestruzzo<br />
denominati “Phoenix”, pesanti tra <strong>le</strong><br />
3000 e <strong>le</strong> 6000 tonnellate ciascuno,<br />
lunghezza 72,60 m, altezza 19,80 m,<br />
larghezza 17,16 m. Ed altrettanto<br />
grandiosi e<strong>le</strong>menti in ferro, tra cui<br />
piattaforme basculanti e strade<br />
componibili gal<strong>le</strong>ggianti. Da tre anni erano<br />
stati progettati e da due erano in fase di<br />
costruzione ad opera del<strong>le</strong> maggiori<br />
industrie pesanti del paese, con enorme<br />
impiego di manodopera.<br />
I resti del Mulberry di Arromanches visti dall’alto della fa<strong>le</strong>sia, e un cannone<br />
antiaereo.
Nell’attraversamento della Manica trainati<br />
da rimorchiatori, dei 115 Phoenix 75<br />
andarono perduti per il maltempo, ma 40<br />
giunsero a destinazione e furono installati<br />
due Mulberry, uno per <strong>le</strong> truppe ing<strong>le</strong>si<br />
l’altro per quel<strong>le</strong> americane. Quello di<br />
Arromanches fu chiamato “Port Winston”.<br />
Formavano una linea di molo lunga 7<br />
miglia, quanto il porto di Dover e con una<br />
capacità di tonnellate ugua<strong>le</strong> a quello di<br />
Gibilterra. Prima si creò una diga al<strong>le</strong><br />
maree affondando vecchi navigli e gli<br />
stessi rimorchiatori che erano serviti al<br />
traino, poi a ridosso si posizionarono i<br />
grandi cassoni (che montavano anche<br />
batterie antiaree per difendersi dagli<br />
attacchi della Luftwaffe), quindi <strong>le</strong><br />
piattaforme basculanti a circa mil<strong>le</strong> metri<br />
dalla riva: quattro piloni mobili<br />
poggiavano sul fondo e si sol<strong>le</strong>vavano o<br />
abbassavano insieme al<strong>le</strong> maree<br />
garantendo la stabilità del<strong>le</strong> piattaforme.<br />
Da qui partivano vere e proprie strade<br />
gal<strong>le</strong>ggianti realizzate in e<strong>le</strong>menti<br />
componibili, una per i veicoli <strong>le</strong>ggeri, una<br />
per <strong>le</strong> munizioni, una per i mezzi pesanti<br />
(tanks compresi) e gli approvvigionamenti<br />
e l’ultima per recuperare i mezzi che<br />
riportavano da terra i feriti da<br />
reimbarcare e trasferire in Inghilterra).<br />
Il Museo dello Sbarco ad Arromanches<br />
e i resti del Mulberry sulla spiaggia.<br />
Nella pagina seguente: Il Mulberry in azione<br />
e uno dei suoi e<strong>le</strong>menti componibili.
Talvolta si trovarono all’interno dei Mulberry 280 navi contemporaneamente. Churchill scriverà che<br />
questi porti mobili furono decisivi per <strong>le</strong> sorti della battaglia di Normandia. Ad Arromanches sono<br />
tuttora visibili di fronte alla costa i resti di uno dei due Mulberry (avrebbe dovuto durare 5 mesi,<br />
durò 28 anni), e il Musée du Debarquement è interamente dedicato ad illustrarne tecnologia e<br />
storia, anche con esaurienti plastici. Nonostante una furiosa tempesta che li danneggiò, i Mulberry<br />
funzionarono perfettamente, e alla fine di ottobre ne erano sbarcati 220.000 uomini, 39.000<br />
veicoli di ogni sorta e 110.000 tonnellate di merci.
Museo del radar<br />
A Douvres-La-Délivrande, anche la tecnologia tedesca rimane documentata nel Museo del radar,<br />
una postazione che monitorava i voli al<strong>le</strong>ati e fu uno dei primi obiettivi dei bombardamenti al<strong>le</strong>ati<br />
sulla costa della Normandia. Due bunker ben conservati ospitano la storia dell’evoluzione della<br />
tecnologia del radar e del suo ruolo nel secondo conflitto mondia<strong>le</strong>.
Caen<br />
Fino a qui, la sommaria descrizione dei luoghi più importanti al centro del teatro di guerra dello<br />
sbarco in Normandia. Per ta<strong>le</strong> ragione logistica, a chi vo<strong>le</strong>sse intraprendere questo itinerario, si<br />
consiglia di fare base a Bayeux, da cui si raggiungono agevolmente anche i lati estremi del teatro della<br />
battaglia. Verso est, c’è il più grande memoria<strong>le</strong> di guerra di tutta la Normandia, il Memoria<strong>le</strong> di Caen<br />
visitato da milioni e milioni di persone dal 1988, anno dell’inaugurazione, fino ad oggi. Una visita<br />
minimamente accurata richiede un giorno intero. La città fu distrutta al 73% durante la guerra, e ha<br />
voluto un memoria<strong>le</strong> dedicato alla pace e alla riconciliazione, una struttura imponente e ricca di<br />
filmati e reperti sui temi guerra-pace fino ai nostri giorni. Tra i più toccanti, un abito da sposa<br />
confezionato con la seta di un paracadute. All’esterno, una riproduzione in grande scala della<br />
scultura “Non vio<strong>le</strong>nce” di C. F. Reutersward, di cui un’altra copia è davanti al palazzo dell’ONU a<br />
New York. All’interno, accoglie i visitatori un modello a grandezza natura<strong>le</strong> del cacciabombardiere<br />
Typhoon, utilizzato dalla Raf durante la battaglia di Normandia.<br />
Cacciabombardiere Typhoon e postazioni<br />
di razzi Katiuscia presso il Memoria<strong>le</strong> di<br />
Caen.
Entrata del Memoria<strong>le</strong> di Caen con la scultura “Non vio<strong>le</strong>nce” di C. F. Reusterward.
Abito da sposa realizzato con la<br />
seta di un paracadute.
Ouistreham<br />
A est di Caen c’è un luogo molto interessante, Ouistreham e il suo circondario. Uno dei principali<br />
bunker del Vallo Atlantico qui posizionato è diventato il Musée du Grand Bunker, la cui guarnigione<br />
resistette con successo al primo attacco del 4° commando anglo-francese agli ordini di Kieffer: un<br />
quarto degli effettivi, cioè 177 commandos caddero nella battaglia il 6 giugno 1944, e il Memoria<strong>le</strong><br />
del 4° Commando ne conserva la memoria. Nel bunker a più piani, restano intatti gli impianti di<br />
ventilazione e alcuni sistemi per l’avvistamento a distanza, mentre sono perfettamente ricostruite<br />
alcune scene della penosa vita che la guarnigione conduceva in spazi angusti e angosciosi.<br />
Suggestivo scorcio del<br />
Memoria<strong>le</strong> del 4° Commando.
In alto: il Memoria<strong>le</strong> del 4° Commando.<br />
Qui a fianco: il bunker di Ouistreham divenuto Museo<br />
del Vallo Atlantico.<br />
Nel<strong>le</strong> foto picco<strong>le</strong>: dotazioni dei tedeschi e<br />
riproduzione del temibi<strong>le</strong> missi<strong>le</strong>-bomba nazista V1.<br />
Suggestivo scorcio del<br />
Memoria<strong>le</strong> del 4° Commando.
Memorial Pegasus<br />
Nei pressi, c’è il piccolo borgo di Ranvil<strong>le</strong>-Benouvil<strong>le</strong>, teatro di un’azione ricordata oggi con il<br />
Memorial Pegasus. L’invasione della Francia in realtà era cominciata qualche ora prima che <strong>le</strong> navi<br />
apparissero all’orizzonte, cioè in piena notte. Gli al<strong>le</strong>ati dovevano affrontare preventivamente il<br />
prob<strong>le</strong>ma di impedire l’afflusso sul teatro dello sbarco del<strong>le</strong> divisioni tedesche, in specie <strong>le</strong><br />
Panzerdivisionen, di stanza al Pas de Calais a est, a Cherbourg e dintorni a ovest. Perciò nella notte il<br />
compito di prendere i ponti e i villaggi strategici doveva essere assolto dal<strong>le</strong> truppe aviotrasportate e<br />
dai paracadutisti lanciati dietro <strong>le</strong> linee nemiche. Uno di questi ponti in particolare, doveva essere<br />
conquistato, mantenuto integro e difeso da parte di truppe atterrate in loco con alianti finché fossero<br />
giunti i rinforzi: erano commandos della 6a divisione aviotrasportata britannica. Si trattava del ponte<br />
mobi<strong>le</strong> sul fiume Orne che sarà poi ribattezzato Pegasus. Tre alianti carichi di commandos<br />
atterrarono si<strong>le</strong>nziosamente a poche centinaia di metri e dopo un furioso combattimento il ponte fu<br />
preso e tenuto. Il maggiore Howard aveva rispettato l’ordine ricevuto: “Prenderete il ponte e lo<br />
difenderete finché non vi sostituiranno”. I contrattacchi tedeschi furono respinti finché si udì il <strong>suono</strong><br />
della cornamusa di Bill Millin che accompagnava l’arrivo di Lord Lovatt e dei suoi commandos a<br />
rinforzo: Lovatt si scusò con Howard per i 4 minuti di ritardo. Oggi il ponte Pegasus, sostituito sul<br />
fiume Orne da un ponte analogo, è diventato il Memorial Pegasus, ove si possono conoscere <strong>le</strong> gesta<br />
dei coraggiosi commandos e ove gli alianti sono protagonisti. All’interno, è custodita anche la<br />
cornamusa di Bill Millin. Nell’area del memoria<strong>le</strong> sorge inoltre il monumento ad uno dei commandos,<br />
il primo caduto della battaglia di Normandia. Nel 2004, in ricorrenza del 60° anniversario, anziani<br />
signori provenienti dall’Inghilterra, con i loro baschi rossi e i loro capelli bianchi, tornarono al ponte<br />
Pegasus. I reduci dell’impresa dei “trois planeurs” (i tre alianti), con il comandante Howard alla testa,<br />
lo riattraversarono di nuovo tra ali di folla francese commossa e plaudente.<br />
Il ponte origina<strong>le</strong> sul fiume Orne, rimosso e<br />
collocato a breve distanza, è la principa<strong>le</strong><br />
attrazione del Memorial Pegasus.
Memorial Pegasus: monumento al primo caduto dello sbarco in Normandia, un dettaglio tecnico del ponte mobi<strong>le</strong> e la<br />
struttura del museo che ricorda la forma di un aliante.
Sainte Mère Eglise<br />
All’estremità ovest del teatro di sbarco,<br />
<strong>le</strong> cose erano andate peggio. Qui toccava<br />
ai parà della 82a e 101a americana<br />
(“Streaming eag<strong>le</strong>s”, <strong>le</strong> aqui<strong>le</strong> urlatrici,<br />
così si chiamano <strong>le</strong> truppe d’assalto<br />
“Airborne”, aviotrasportate) prendere i<br />
punti strategici. Ma il lancio era andato<br />
ma<strong>le</strong>, molti erano discesi in mezzo al<strong>le</strong><br />
pianure allagate da Rommel e annegati,<br />
molti altri dispersi e lontanissimi tra loro,<br />
e addirittura molti parà scesero<br />
direttamente nel villaggio di Sainte Mère<br />
Eglise, accolti dai tedeschi che li<br />
falciavano ancora in aria. Una<br />
carneficina. Ma John Steel a suo modo fu<br />
fortunato: col suo paracadute restò<br />
impigliato sul tetto della chiesa proprio al<br />
centro del paese, vi restò per ore e si<br />
salvò fingendosi morto. Più tardi, il<br />
villaggio fu conquistato dagli americani.<br />
John Steel è tornato qui, accolto dalla<br />
gente, nel 2004. Anche adesso c’è un<br />
parà americano col paracadute impigliato<br />
nel tetto della chiesa, ma è… un<br />
fantoccio. E anche i fantocci furono a<br />
loro modo protagonisti dello sbarco in<br />
Normandia: i Rupert, piccoli paracadutisti<br />
meccanici lanciati in molte zone della<br />
Francia nel<strong>le</strong> ore precedenti lo sbarco<br />
vero, esplodevano colpi come se<br />
sparassero quando toccavano il suolo,<br />
impegnando così e distogliendo <strong>le</strong> truppe<br />
tedesche dai veri obiettivi. Ci sono anche<br />
loro nel Museo Airborne di Sainte Mère<br />
Eglise, dedicato in particolare all’aliante<br />
Waco e all’aereo C-47 utilizzato per i<br />
lanci di parà.<br />
La vetrata della chiesa di Sainte Mère Eglise oggi<br />
riproduce la madonna col bambino che benedice i parà<br />
americani.<br />
Qui a lato, i “badge” del<strong>le</strong> truppe aviotrasportate USA.
Il manichino che riproduce John Steel aggrappato al suo<br />
paracadute sul tetto della chiesa.<br />
A fianco: Rupert e riproduzione di commandos<br />
americani.<br />
Sotto: i padiglioni dell’Airborne Museum dedicati<br />
all’aliante Waco e all’aereo C-47.
Pointe du Hoc<br />
Infine, tra i punti di maggior interesse della memoria storica <strong>le</strong>gata allo sbarco, c’è Pointe du<br />
Hoc, ove i rangers americani furono protagonisti di un’impresa <strong>le</strong>ggendaria. Protetti da<br />
casematte di cemento incassate nel terreno, numerosi pezzi d’artiglieria pesante stavano a<br />
guardia di questa punta rocciosa, situata proprio sopra <strong>le</strong> spiagge dello sbarco. I cannoni non<br />
potevano essere distrutti dal cielo; dovevano essere neutralizzati dalla fanteria. Per la missione<br />
viene scelto il corpo d’assalto del 2° Ranger del colonnello Rudder. Gli uomini si portano ai piedi<br />
dello sperone roccioso, sotto il fuoco nemico, e scalano la parete con funi e sca<strong>le</strong> di corda<br />
munite di ancorette metalliche lanciate alla sommità della fa<strong>le</strong>sia. I tedeschi si difendono<br />
accanitamente. Usano anche molte bombe a mano, che scagliano contro gli americani con effetti<br />
devastanti. E’ una carneficina.<br />
Le perdite sono ingenti, ma i rangers, a costo di enormi sforzi e atti d’eroismo, conquistano<br />
infine la postazione. Per accorgersi però subito dopo che i tanto temuti pezzi d’artiglieria che<br />
avrebbero dovuto distruggere, sono spariti. Si verrà a sapere solo più tardi che erano stati<br />
trasportati, prima dello sbarco, nell’interno della costa dai tedeschi. Conquistata la posizione a<br />
carissimo prezzo, i due battaglioni di rangers dovettero fronteggiare un pesante contrattacco<br />
nemico, e alla fine solo 90 rangers, di cui molti feriti, erano rimasti in vita. Ma la postazione era<br />
stata tenuta.<br />
Un’impresa di coraggio e sacrificio, costata la vita di molti giovani, che si rivelò tuttavia<br />
sostanzialmente inuti<strong>le</strong>. Ma i soldati avevano portato a termine la loro missione, avevano<br />
conquistato la Pointe du Hoc, e il Ranger Memorial ricorda quest’impresa. Il Memoria<strong>le</strong> è lo<br />
stesso luogo della battaglia. Un bassorilievo in bronzo spiega in estrema sintesi, all’inizio del<br />
percorso, che cosa è successo in quel luogo il 6 giugno 1944. Al centro del pannello il simbolo<br />
dello storico corpo d’assalto, ai lati immagini incise dei soldati che scalano la parete della Pointe<br />
du Hoc, e l’illustrazione del loro equipaggiamento e del<strong>le</strong> corde e sca<strong>le</strong> con <strong>le</strong> quali salirono.<br />
Superato il pannello, è la storia stessa che parla attraverso il luogo, il qua<strong>le</strong> porta <strong>le</strong> inde<strong>le</strong>bili<br />
cicatrici della guerra. Nel terreno sono disseminate buche larghe e profonde diversi metri, segno<br />
dei bombardamenti al<strong>le</strong>ati. Le casematte sono in larga parte distrutte, tutta la zona è devastata<br />
e desolata. E’ ancora in piedi il filo spinato tra <strong>le</strong> fortificazioni e la scogliera, che doveva<br />
impedire al<strong>le</strong> truppe al<strong>le</strong>ate di invadere la zona. Quello stesso filo spinato che gli americani<br />
dovettero superare per portare a termine la missione aprendo un ulteriore varco nel<strong>le</strong> difese<br />
tedesche, secondo il motto di questi soldati americani: “Rangers <strong>le</strong>ad the way”, i rangers aprono<br />
la strada.<br />
Il Museo dei rangers di Grandcamp-Maisy ricorda questa battaglia, e alla Pointe du Hoc, tra i<br />
crateri provocati dal bombardamento al<strong>le</strong>ato e i resti dei bunker tedeschi, un cippo è stato<br />
innalzato alla memoria dei rangers caduti. Reca questa iscrizione: “Noi non dimenticheremo<br />
mai”.<br />
Corrado Mornese
Casematte tedesche distrutte o danneggiate. All’intorno, sono ancora visibili <strong>le</strong> buche<br />
provocate dal<strong>le</strong> bombe.
Rangers <strong>le</strong>ad the way. I rangers aprono la strada.
Omaha Beach.<br />
Noi non dimenticheremo.<br />
Testi e foto: Miche<strong>le</strong> Mornese – Corrado Mornese