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Nel suo brillante articolo il dott. Casucci,
portando ad esempio un caso di Alzheimer
da lui diagnosticato, ha amaramente
concluso dicendo che la gestione del
paziente, una volta fatta la diagnosi di
Alzheimer e in mancanza di terapie
risolutive, deve necessariamente prevedere
una multidisciplinarietà ed un intervento
sanitario e sociale che, al momento, almeno
in Italia, non si intravvede. E i dati
impressionanti in nostro possesso lo
confermano: l’80% dei dementi vive in
famiglia ed il 66% è assistito da familiari o
amici senza alcun supporto dei servizi
socio-sanitari.
Ma allora, si chiederanno i lettori di
quest’articolo finora piuttosto angosciante
nella sua lunga elencazione di problemi e
disfunzioni, queste risposte “complesse“
quali sono e quali di esse è possibile avere
sul nostro territorio?
Dato per scontato e assodato che una
risposta solo sanitaria o solo sociale è
inutile ed inappropriata (e su questo punto
le istituzioni politiche nazionali e regionali
hanno legiferato fin dal 1992 con i diversi
Piani Sanitari Nazionali e Regionali) e che
quindi è indispensabile una rete sociosanitaria
i cui nodi principali siano
l’Assistenza Domiciliare, le Residenze
Assistenziali (RSA) e i Centri Diurni
Alzheimer è però evidente, come
dimostrano i dati su esposti, che questa
rete in Italia (tranne che in molte regioni
del Centro-Nord) è inesistente o incompleta.
Una delle motivazioni principali di questo
dato di fatto è che nel nostro paese manca
una cultura geriatrica e socio-sanitaria ma
vige ancora una visione ospedalo-centrica
del Servizio Socio-Sanitario Nazionale per
cui la maggior parte delle risorse è assorbita
dagli ospedali con il consenso delle classi
politiche e della maggior parte dell’opinione
pubblica (basti pensare a cosa scrivono i
giornali allorchè si chiude un inutile e
costosissimo ospedaletto di provincia e a
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