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Lezioni sull'Inferno dantesco a confronto: Pirandello e Bacchelli

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Francesca Fagnani<br />

to in poi la lettura del canto fatta dallo scrittore è palesemente finalizzata a far<br />

emergere gli elementi del testo che ne confermerebbero l’ispirazione autobiografica,<br />

evidente, secondo lui, già in quel consiglio dato a Dante da Virgilio di<br />

nascondersi: «giù t’acquatta / dopo uno scheggio, che alcun schermo t’aia tra le<br />

sporgenze cioè dello scoglio. Ma perché? – Perché non paja che tu ci sii. – Che<br />

tu sii qua, dove spadroneggiano questi diavoli neri, che ti prenderanno per un<br />

barattiere e ti vorranno uncinare». Dinanzi a questa scena, in cui «la finzione<br />

acquista la stessa consistenza della realtà viva», lo scrittore siciliano ci ricorda<br />

che «ora più che mai non dobbiamo dimenticare quel che Dante stesso non vuole<br />

che sia dimenticato, perché canone della sua poetica, che cioè la finzione deve<br />

sussistere innanzi a noi anche con l’altro suo valore ideale, l’allegorico»; a questo<br />

proposito specifica che questo non è certo uno di quei casi in cui l’allegoria<br />

è incarico sovrapposto e «non fa lume all’arte e illumina un concetto guastando<br />

la rappresentazione […]. Qui la felicità stessa della rappresentazione, così mobile,<br />

agile e precisa, ci dimostra che vivissimo è il sentimento; e che non un concetto<br />

dunque si vuol nascondere sotto il simbolo pensato e voluto; ma se il simbolo<br />

sussiste, è lui, il sentimento qui nascosto, che spontaneamente lo anima e<br />

avvalora. Nessuna violenza insomma è da fare qui alla rappresentazione». In<br />

questo caso, quindi, non pare difficile indovinare la dottrina che s’asconde /<br />

sotto il velame de li versi strani: «Virgilio è la ragione che consiglia a Dante di<br />

nascondersi per non esser ghermito da quei diavoli neri», guardiani dei barattieri<br />

che, nota <strong>Pirandello</strong>, si mostrano tanto pratici di Lucca che sembra non si siano<br />

mai mossi da quella città, che era, appunto, quartier generale dei Guelfi Neri;<br />

altro elemento questo che avvalora la sua tesi.<br />

Dopo l’apparente esito favorevole della trattativa tra Malacoda, capo dei<br />

Malebranche, e Virgilio, Dante esce dal suo nascondiglio «non senza l’avvilimento<br />

della paura d’essere da un momento all’altro ghermito, arroncigliato, coi<br />

nemici attorno, addosso […] esasperato dall’onta di non potersi neanche fidare<br />

della ragione». Il pellegrino per esprimere il proprio stato d’animo dinnanzi l’orrenda<br />

decina, inserisce il ricordo di un’impresa militare a cui ha partecipato: così<br />

vid’io già temer li fanti / ch’uscivano patteggiati di Caprona (vv. 94-95). Questi<br />

versi vengono così commentati da <strong>Pirandello</strong>: «Non è senza rimorso, né senza<br />

ragione qui, questo ricordo…Ora egli sa ciò che vuol dire trovarsi alla mercè<br />

d’implacabili nemici, capaci d’ogni inganno e d’ogni frode». La citazione di un<br />

evento personale acquisterebbe, dunque, grande significatività in un contesto<br />

denso di allusioni biografiche.<br />

La lettura del canto si avvia al termine, il quadro degli indizi testuali è completato<br />

e <strong>Pirandello</strong> può ormai trarre le sue conclusioni:<br />

Ebbene, non dobbiamo credere d’aver qui una grottesca rappresentazione della condanna<br />

del poeta e del suo bando? Non sono qui rappresentati, senza parere tutti i vari sentimenti che<br />

dovettero sorgere e agitarsi nell’animo di lui allora; e soprattutto il disprezzo per l’infame<br />

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