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Casa Cerarìn - Ad Undecimum

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<strong>Casa</strong> Cesarìn<br />

[…] 1 Nel frattempo i rapporti con Bepi Urban si erano un pò raffreddati in conseguenza<br />

anche delle reiterate richieste di aumento dell’affitto, tanto che Santin<br />

decise di traslocare. Visto che il fiuto degli affari non gli mancava decise di acquistare<br />

all’inizio degli anni trenta la casa dei Cesarìn situata di fronte al Municipio<br />

all’inizio di Vicolo del Sale dove spiccava la dicitura “TRATTORIA AL MUNI-<br />

CIPIO”, ma più conosciuta come “le ostarie di Zesarìn”.<br />

Più precisamente Sante Di Luca l'acquistò da Pietro Cesarìn fu Giacomo nato<br />

nel 1858. Costui era di Porpetto e in gioventù prestava servizio come cocchiere<br />

presso i signori Bucchia, una facoltosa famiglia ebraica che viveva dalle parti di<br />

Buia. Qui aveva conosciuto la graziosa Antonia Perisutti detta”Tunine” divenuta<br />

poi sua moglie che veniva da Resiutta e lavorava in questa famiglia come cameriera.<br />

Rientrati nella Bassa, Pietro e Antonia si erano sistemati a Zuccola, nella casa<br />

situata ad est della chiesetta di san Marco. Ebbero quattro figli: Olga, Amelia,<br />

Ferrante e Maria. In particolare Olga era forse la più nota qui a San Giorgio per<br />

aver poi sposato “Marzèlo Mago” il famoso Marcello Maran gestore del cinema<br />

vicino alla stazione. A San Giorgio Pietro sbarcava il lunario continuando a fare<br />

“il cùcjar” cioè il cocchiere nel nuovo zuccherificio di Porto Nogaro e facendo<br />

inoltre trasporti per privati, mentre la moglie assieme alle figlie gestiva due importanti<br />

locali a San Giorgio di Nogaro: l’osteria “ALL’ ANGELO” di proprietà dei<br />

Cristofoli situata nell’angolo tra via Roma e piazza del Grano e l’osteria “AL MA-<br />

RINAIO” di proprietà dei Chiaruttini. Con i guadagni delle loro attività tra il 1898<br />

e il 1900 riuscirono a costruire la loro casa all’inizio di via del Sale di fronte al<br />

Municipio in posizione centralissima e all’ombra di maestosi platani. Dopo la sistemazione<br />

delle figlie in questa casa vi rimasero oltre ai genitori anche il figlio<br />

Ferrante che faceva il daziere e la moglie Maria Stefani che collaborava alla conduzione<br />

dell’osteria ricavata al piano terra che, per la felice posizione e il tipo di<br />

gestione famigliare, ebbe un notevole successo. In questa osteria si preparavano<br />

i caffè per la giovane squadra di calcio “SANGIORGINA”. Oltre al vino si vendevano<br />

grappa, birra e liquori. Qui si potevano trovare la menta, il fernet, il succo di<br />

Galizia per i bambini e soprattutto i deliziosi savoiardi. Era molto frequentata dai<br />

soldati della Terza Armata durante il primo conflitto e più di qualche zuffa dovette<br />

sedare anche Pietro in quel locale quando soldati ubriachi tentavano di insidiare<br />

le figlie o litigavano tra loro per gelosia. L'osteria di Cesarìn era chiamata<br />

anche le ostarie dai trê cagadôrs, perché in tempi in cui bagni e servizi igie-<br />

(1) Il testo è tratto da una biografia su padre Paride Di Luca scritta dallo stesso autore e riguarda in<br />

particolare la casa dove Paride aveva trascorso gli anni giovanili. Purtroppo questa casa è stata<br />

demolita nel 1974 durante i lavori per la costruzione del condominio Haerth di viale Europa Unita<br />

e a noi ora rimangono soltanto qualche sbiadita foto ed alcune testimonianze.


nici erano inesistenti o quasi, lì se<br />

ne potevano trovare due a disposizione<br />

dell’osteria ed uno privato al<br />

primo piano.<br />

Entrando, sulla sinistra c’era una<br />

stanzetta detta tinello dove si appartavano<br />

quelli che giocavano a carte.<br />

In questa stanza si consumò anche<br />

un fattaccio di sangue. In seguito ad<br />

un diverbio tra giocatori, degenerato<br />

in rissa, un sangiorgino (omissis)<br />

colpì il suo avversario con un coltellino<br />

(un britulin) molto piccolo, ma<br />

dall’esito fatale. La vittima, riparando<br />

con le mani quella brutta ferita,<br />

si avviò barcollando verso casa per<br />

potersi medicare, ma raggiunto il vicolo<br />

Chiabà stramazzò a terra esanime.<br />

Il colpevole si costituì e per lui<br />

si aprirono allora le porte del carce-<br />

Pietro Cesarìn e Peresutti Antonia (Tunine).<br />

re. L’osteria dei Cesarìn era a quei<br />

tempi sprovvista di pozzo artesiano<br />

e l’acqua per le necessità domestiche veniva attinta alla fontana pubblica che era<br />

situata nella piazza del Municipio di fronte all’attuale bar-ristorante “DA BALAN”.<br />

In seguito ad una disavventura finanziaria Pietro Cesarìn vendette la sua casa<br />

per 15000 lire a Sante Di Luca detto Santìn Glove di Cjastiel. Fu ceduta con “patto<br />

di recupero” che vincolava per cinque anni l’acquirente a restituire il bene al<br />

venditore (che ne avesse fatto richiesta) dietro restituzione della somma di acquisto,<br />

più interessi maturati, o ad onorare il dovuto secondo gli accordi convenuti.<br />

La richiesta di restituzione non fu mai avanzata e pertanto quella casa rimase ai<br />

Di Luca che in quell’osteria trasportarono ed ampliarono l’attività commerciale<br />

iniziata nella casa di Bepi Urbàn. L’osteria divenne pertanto rivendita di cereali e<br />

ortaggi e quell’ambiente cambiando gestione divenne la bottega di Marie Glove<br />

detta anche Marie da blave moglie di Sante. I prodotti più venduti erano le patate<br />

seguite dalla farina bianca per polenta. C’erano poi i sacchi di canapa con i vari<br />

tipi di mais: bianco, nero, giallo e rosso; i sacchi di farina, quelli di semola, crusca,<br />

cruschello e di farinaccio. Non mancavano naturalmente i sacchi con fagioli<br />

di vario tipo: bianchi, neri, borlotti, borlottini e i famosi “Saluggia” lunghi e grigi.<br />

Questi ultimi venivano acquistati a Udine presso la ditta Petrìn e trasportati<br />

a San Giorgio con la corriera dei Comuzzi. Fagioli, zucchine, tegoline e patate<br />

erano solitamente di produzione propria. Venivano coltivati dai fratelli Ottavio<br />

e Riccardo con le rispettive mogli in un lembo di terra che costeggiava l’attuale<br />

via Nazario Sauro (da cjase di Zilistine a chê di Dine) e dove agli inizi degli anni<br />

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sessanta i figli Mario e Siro Di Luca<br />

costruiranno la loro nuova casa progettata<br />

dal giovane ingegnere Roberto<br />

Pessina reinvestendo così il denaro<br />

ricevuto dall’esproprio attuato<br />

dal Comune di alcuni terreni situati<br />

al centro del paese, per realizzare<br />

il nuovo Centro Studi. I sacchi di iuta<br />

venivano rimboccati e sul prodotto<br />

veniva collocato il cartoncino con<br />

il prezzo che veniva scritto da Paride<br />

in uno stile impeccabile. Sempre<br />

nell’ex osteria fu avviata nella parte<br />

destra, rialzata di un gradino, anche<br />

una rivendita di latte. Questo veniva<br />

fornito inizialmente dai contadini<br />

di Zellina, poi dai Michelan, infine<br />

dall’ex sindaco Marcello Smith che<br />

lo procurava a Torviscosa.<br />

Il latte veniva venduto attraverso<br />

la finestra che dava sulla piazza<br />

e che durante la bella stagione era<br />

sempre aperta e sopra la quale all’esterno<br />

campeggiava la scritta SPAC-<br />

CIO LATTE DI LUCA. D’inverno quella<br />

finestra rimaneva chiusa e le bottiglie<br />

del latte transitavano da una<br />

micro antina realizzata nella finestra stessa, per non disperdere il calore interno.<br />

Fuori la lunga fila delle persone che, durante la guerra, raggiungeva casa Spizzo<br />

a sud, prolungandosi fino a casa Pitton poco più a nord, aspettavano il latte fin<br />

dalle prime ore perché c’era sempre il rischio di rimanere senza. Il fatto che tutti<br />

acquistassero mezzo litro o un litro al massimo, spiega la condizione di grande<br />

indigenza in cui versavano allora le famiglie e durante quel conflitto con il razionamento,<br />

la già precaria situazione peggiorò ulteriormente. A questo proposito<br />

si consiglia la lettura dell’articolo dal titolo Grazie Franz (Annuario AD UN-<br />

DECIMUM 1990) nel quale padre Paride Di Luca ci racconta di quel periodo. Non<br />

disponendo di pozzo artesiano, i bidoni del latte venivano lavati ogni giorno nel<br />

fosso che costeggiava Vicolo Del Sale, mentre l’acqua potabile per gli usi domestici<br />

veniva attinta nelle fontane pubbliche cul buinz e doi cjaldêrs. Lì i lavori di<br />

casa erano svolti talvolta anche da una donna minuta e taciturna, sempre disponibile,<br />

volenterosa e capace, una certa Maria Luigia Peressutti detta Gige Scoche,<br />

grande lavoratrice, che sbarcava il lunario adattandosi a qualsiasi tipo di lavoro:<br />

dalla lavandaia, ai servizi domestici nelle famiglie, alla bracciante. Costei, dota-<br />

60<br />

I proprietari Pieri e Tunine davanti alla Trattoria<br />

costruita nel 1898.


Pieri e Tunine con: da sinistra- Stefani Maria in Cesarìn (con in braccio il piccolo Mirto); Cesarìn<br />

Amelia in Gobessi (con in braccio la piccola Tullia) e i fi gli Raoul e Giuliano Gobessi; Cesarìn Olga<br />

con il marito Marcello Maran (il famoso Mago).<br />

ta di buona manualità, rifaceva anche i sedili alle sedie rustiche di allora con paglia<br />

di palude raccolta lungo i corsi d’acqua che veniva poi intrecciata e abilmente<br />

lavorata secondo un’arte antica tramandatale dalla madre Teresa detta Tarisine.<br />

A quei tempi non esistevano borse, sacchetti di plastica o carta e le normative<br />

sanitarie in materia di igiene, più che carenti, erano inesistenti. Per incartare i vari<br />

prodotti e in particolare la farina, Orfa 2 usava vecchi giornali che acquistava a<br />

pacchi di dieci chili da Toni Topàn che aveva la cartolibreria in via Roma (attuale<br />

cartoleria Gigante). Li teneva sotto il banco di vendita dove il piccolo Paride<br />

si accucciava a leggere. La lettura lo appassionava molto e in quel posto angusto<br />

trascorreva molto del suo tempo. Spesso Orfa lo rimproverava perché teneva sovente<br />

una gamba fuori dal banco facendola inciampare mentre serviva la clientela.<br />

Entrando a sinistra il famoso tinello (detto stanzin) al piano terra divenne col<br />

tempo lo studio-archivio dei Di Luca, dove Paride, durante gli studi universitari<br />

di medicina oltre ai vari libri conservava anche una valigetta contenente un camice<br />

bianco, vari attrezzi chirurgici e un teschio con mandibola, tutto ben ripulito,<br />

che si era procurato in cimitero. Voleva specializzarsi nello studio del cervello<br />

e delle sue patologie.<br />

A parte le etichette col prezzo sui sacchi dei fagioli, Paride non si occupava<br />

(2) Orfa era la sorella di Maria, moglie di Sante.<br />

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più di tanto delle faccende domestiche e famigliari. Da giovane quando rincasava<br />

dal Collegio, se ne andava sempre al campo sportivo e quando era studente universitario,<br />

era assiduo frequentatore della Canonica dove seguiva le varie attività<br />

parrocchiali. Da qui il sospetto della madre che quell’ ambiente avesse in qualche<br />

modo influenzato poi la vocazione del figlio.<br />

Questa casa godeva di una certa notorietà quando era proprietario il Cesarìn<br />

perché al primo piano alloggiò dapprima un Segretario Comunale di San Giorgio<br />

detto “il Ragioniere”. Era privo di una mano e veniva dall’alto Friuli. Poi qui<br />

alloggiò per lungo tempo il dott. Eugenio Paussa che era originario di Oborza vicino<br />

Castelmonte. Era di etnia slovena ed era celibe. Era stato medico condotto<br />

<strong>Casa</strong> Cesarìn (anni '50).<br />

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a Fauglis, ma pare che da quel posto dovette andarsene in quanto discriminato<br />

per le sue idee socialiste ed anche perché non era praticante. Non dimentichiamo<br />

che allora c’era il Fascismo che creava non pochi problemi ai diversamente pensanti…<br />

Qui a San Giorgio lo ricordano come medico capace, disponibile, scrupoloso,<br />

ma soprattutto molto generoso specialmente con i bisognosi verso i quali<br />

prestava servizio gratuito. Per le visite domiciliari, si spostava sempre con una<br />

bicicletta nera un po' sgangherata ed aveva un modo strano di camminare perché<br />

aveva subito un’operazione ai talloni in seguito ad un congelamento. Pranzava<br />

e cenava sempre assieme ai Cesarìn e teneva l’ambulatorio sopra la farmacia di<br />

Jacopo Facini verso il quale nutriva molta stima e dal quale era legato da sincera<br />

amicizia. Il dott. Paussa aveva<br />

studiato a Padova e a questo proposito<br />

lui raccontava spesso di un<br />

fatto personale, quando aveva deciso<br />

di abbandonare gli studi perché<br />

rimasto purtroppo senza denaro<br />

in periodo di generale indigenza.<br />

In stazione a Padova gli<br />

si avvicinò un signore distinto il<br />

quale conversando con lui venne<br />

a conoscenza del caso ed avendolo<br />

visto sensibilmente avvilito ed<br />

umiliato, ebbe pietà. Gli chiese di<br />

quanto denaro avesse bisogno per<br />

poter frequentare l’Università. Il<br />

giovane Eugenio a seguito delle<br />

insistenze di codesto benefattore,<br />

superando incertezza e ritrosie<br />

pronunciò timidamente la cifra<br />

di "...duecento lire". Questo<br />

signore dopo avere attentamente<br />

controllato il suo libretto universitario<br />

e constatata la sincerità di<br />

quello studente, gli consegnò mille<br />

lire che all’epoca era una somma<br />

notevole con il patto che quei<br />

soldi fossero restituiti in forma di<br />

beneficenza una volta terminati<br />

gli studi o quando le circostanze<br />

glielo avessero permesso.<br />

Il dottor Paussa esercitò la professione<br />

di medico qui a San Giorgio<br />

fino a tarda età, poi rietrò nel<br />

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suo paese natale. Non amava le macchine, ma fu costretto dalle necessità a procurarsi<br />

la patente e dotarsi di un’automobile: una delle prime “Giardinetta 500<br />

C ” della Fiat.<br />

Mentre si recava in Posta a San Giorgio per ritirare la pensione, lungo la Statale<br />

14 nei pressi della località Arrodola, nel sorpassare un carro agricolo fu urtato da un<br />

camion che procedeva in senso inverso e gettato nel fossato, dove lo colse la morte.<br />

Nel febbraio del 1948 <strong>Ad</strong>elio Cargnelutti, macchinista di treno si era sposato<br />

con Luigia Coz di Carlino e aveva alloggiato provvisoriamente in questa casa<br />

della sorella Maria dove aveva sistemato due stanze già abitate in precedenza dal<br />

dott. Paussa. <strong>Ad</strong>elio non pagava affitto. Pagava la luce e forniva il carbone per il<br />

riscaldamento che acquistava a prezzo agevolato dalle Ferrovie dello Stato. Forniva<br />

anche ottimo legno da ardere che otteneva dalle vetuste e dismesse traversine<br />

dei binari. In questa casa <strong>Ad</strong>elio vi rimase fino al maggio del ‘52 quando si<br />

trasferì nella nuova casa che aveva edificato in via Libertà su un terreno di proprietà<br />

dei Brunato.<br />

Dopo la partenza di Paride per Lonigo (VI) per entrare nella Congregazione<br />

dei Gesuiti avvenuta il 13 dicembre del 1950, la madre Maria cedette gradualmente<br />

l’esercizio commerciale fino alla totale chiusura. Nel 1958 affittò la rivendita<br />

del latte, il famoso “SPACCIO LATTE DI LUCA” alla signora Misofelia Vignando<br />

detta Vanda che gestì assieme alle figlie Paola e Daniela fino al 1961. Dal 1961 al<br />

1969 la stessa rivendita fu seguita poi dalla signora Assunta Tavian in Brunato.<br />

Il resto del fabbricato venne affittato ad un gommista di Latisana, un certo Giacomo<br />

Mazzon, che esercitò la sua attività fino al novembre del 1963 per passare<br />

poi la stessa al suo coadiutore Gianni Randi, fino al dicembre del 1969. Nel 1974<br />

questa casa cadeva umiliata sotto i colpi delle ruspe per far spazio al nuovo condominio<br />

di viale Europa.<br />

Anch’essa, purtroppo, come tante altre, se ne andava così sotto lo sguardo dei<br />

molti curiosi, portando per sempre con sé un interessante pezzo della nostra storia.<br />

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Nota biografica dell’autore<br />

Roberto Cargnelutti: architetto, appassionato di storia locale.<br />

Roberto Cargnelutti

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