Febbraio 2008 - Cronache Cilentane
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febbraio <strong>2008</strong><br />
Il dittico di san Benedetto e san Giovanni Battista della sagrestia<br />
“nuova” nella chiesa parrocchiale di San Mauro Cilento<br />
Olio su tavole cm. 145 x 205<br />
Collocazione attuale: Museo Diocesano di Vallo della<br />
Lucania<br />
Il vedere questo dittico ancora collocato nel Museo diocesano, fuori dal suo<br />
contesto naturale, mentre mi consola perchØ custodito con una discreta<br />
cura, mi rattrista perchØ, al di l della problematica artistica che racchiude,<br />
non Ł possibile farne una corretta e completa lettura se non collegata alla<br />
sua sede naturale; e ad esso va il mio pensiero ogni qual volta entro nella<br />
sagrestia "nuova" della chiesa parrocchiale di San Mauro Cilento e vedo<br />
quel vuoto coperto da una malinconica traccia annerita dal tempo ma bene<br />
in mostra, conservata appositamente, alla sommit dell’altare che un tempo<br />
fu di patronato dei Mazzarella.<br />
La fattura di questo dittico Ł stata datata agli inizi del XVI secolo ma Ł diversamente<br />
attribuita ad artisti che hanno operato in ambiente benedettino o<br />
vicino alle dinamiche artistiche di Salerno o in ambito francescano.<br />
Anche se qui sotto accenner a qualcosa in merito onde stimolare la "reazione"<br />
di esperti in materia affinchØ riprendano gli studi su questo bellissimo<br />
esempio di arte del nostro Rinascimento "provinciale", il motivo del presente<br />
intervento Ł solo per cercare di ricostruirne brevemente la vicenda "storica"<br />
che mi sembra egualmente importante<br />
come quella artistica, anzi contribuisce<br />
a gettare nuova luce su quest’opera pittorica<br />
in quanto testimonianza diretta di<br />
fatti dalla portata "internazionale" per l’epoca<br />
se si considerano le circostanze che<br />
coinvolsero San Mauro Cilento tra la met<br />
del XV secolo e gli inizi del XVI.<br />
E’ nota l’ "avventura" dell’ultimo erede al<br />
trono dell’Impero d’Oriente, Rogerio<br />
Paleologo, che al momento della caduta di<br />
Costantinopoli (29 maggio 1453) si trovava<br />
confinato a San Mauro Cilento, forse vittima<br />
o a garanzia di delicati equilibri diplomatici<br />
tra la citt del Bosforo e il Regno di Napoli.<br />
Sulla vicenda tanto si Ł scritto e ancora<br />
anima un certo dibattito soprattutto per l’incredulit<br />
- quasi ironica - che di solito aleggia<br />
sui nostri villaggi quando diventano, per<br />
fortuna o loro mal grado, centro di fatti che<br />
vanno oltre il microcosmo paesano; fatti<br />
che sono, per lo piø, ignorati dai manuali di<br />
storia.<br />
Orbene, sfuggendo agli eccidi della loro<br />
patria perduta, numerose famiglie raggiunsero<br />
il principe, e tra questi i Mazza (il cui<br />
ramo principale sar poi identificato come<br />
Mazzarella); esse rifondarono l i loro affetti<br />
e i loro interessi economici, che rinsaldarono<br />
anche con committenze di opere<br />
artistiche per acquisire nuovo prestigio,<br />
alla maniera di come contemporaneamente<br />
avveniva nelle citt . Rogerio eresse<br />
il coro ligneo, che ancora si ammira<br />
nella chiesa parrocchiale, allora in corso<br />
di ampliamento, mentre le altre famiglie vi<br />
presero il diritto di patronato su altari e<br />
cappelle e le adornarono con icone o altri<br />
tipi di immagini sacre. I Mazza comprarono<br />
il patronato dell’altare nella nuova<br />
sacrestia, patronato che ancora possedevano nel 1709: proprio sopra questo<br />
altare era collocato il dittico di cui ci stiamo occupando, ed Ł stato sempre<br />
l fino al 1984 quando venne prelevato dalla Soprintendenza per la bella<br />
mostra de "Il Cilento ritrovato" che si tenne due anni dopo a Padula.<br />
Il principale esponente di quella famiglia era il notaio Gregorio Mazza, detto<br />
"il greco", nato nel 1459 circa, figlio di Stefano e nipote diretto di Elena<br />
Comnena e di Demetrio (morto novantenne nel 1501 circa), il "capitano" che<br />
aveva guidato i profughi da Costantinopoli: probabilmente fu lui che commission<br />
per l’altare nella nuova sagrestia questo dittico ove sono raffigurati<br />
S. Giovanni Battista e S. Benedetto.<br />
Una scelta oculata e piena di significato quella di raffigurare questi due<br />
santi. Infatti, il culto del Battista Ł stato da sempre tra i principali e tra i piø<br />
sentiti nella Chiesa orientale, tanto che nella perduta Costantinopoli (di cui,<br />
unitamente alla Vergine "Theotokos", era il patrono) nel XV secolo a lui<br />
risultano intitolate piø di trenta chiese e la sua immagine Ł sempre presente<br />
nelle grandi icone di santi a fianco della Madre di Dio. La figura di S.<br />
Benedetto, a sua volta, era il segno tangibile della presenza benedettina, la<br />
cui memoria pur resisteva a distanza di circa un secolo, da quando il feudo<br />
di San Mauro non apparteneva piø ai Benedettini di Cava dei Tirreni (ne<br />
avevano perduto la titolarit nel 1412), i quali per ancora vi avevano vasti<br />
"feudi rustici" e influenzavano non poco la vita economica del paese in<br />
quanto possedevano anche diritti di ancoraggio nell’approdo di Agnone-San<br />
Nicola da cui partivano le barche da carico che permettevano l’esportazione<br />
dei numerosi prodotti agricoli (specie olio, vino, frutta secca, carne suina in<br />
salamoia e secca) di San Mauro a Salerno e a Napoli.<br />
Quindi una "presenza" di tal fatta (piø che legata al supposto monastero la<br />
cui esistenza Ł stata ampiamente confutata) oltre che "memoria culturale"<br />
legava ancora i Benedettini al paese, nel quale la nuova "presenza", quella<br />
greca, anch’essa imprenditoriale e pur con una tradizione alle spalle di altissimo<br />
prestigio, non potØ far altro che affiancarsi: e il dittico ne Ł l’espressio-<br />
ne tangibile in quanto accoglie le figure dei due santi, simboli e quasi "titolari"<br />
delle due civilt .<br />
Queste figure, dunque, in un’epoca e in un ambiente culturale dove i simboli<br />
avevano ancora valenza e considerazione, esprimono, in un magnifico sincretismo,<br />
le due tradizioni, quella antica benedettina e quella nuova<br />
greco?orientale che aveva rivitalizzato il paese, segni di quella necessaria<br />
integrazione che i nuovi tempi postulavano.<br />
Le immagini dei due santi sono allocate in due grandi pannelli racchiusi da<br />
tre colonnine che terminano con capitelli corinzi e decorate da un’esile pianta<br />
che, nascendo da un vaso stilizzato, si sviluppa in altezza fino a generare<br />
un altro vaso dal quale fuoriescono fiamme. Di difficile lettura le altre nove<br />
figure di santi a mezzo busto nella predella, accomunate dai simboli iconografici<br />
tipici dei santi martiri e confessori, cioŁ la palma del martirio e il libro;<br />
Ł singolare il fatto che la loro impostazione iconografica, i simboli e i colori<br />
dei panneggi li riscontriamo praticamente uguali nella statua antica di san<br />
Mauro martire della parrocchia, oggi custodita nel locale Museo "Eleousa";<br />
non sfugge, inoltre, in tutte queste figure, simili anche nell’aspetto, una perfetta<br />
sincronia tra loro ottenuta con la collocazione convergente.<br />
Questo dittico, inoltre, nella sua composizione generale, riesce ad armonizzare<br />
gli essenziali elementi "architettonici" di cui si compone con soluzioni<br />
caratteristiche di certe maniere dell’incipiente Rinascimento meridionale;<br />
cosa che traspare anche nel verde<br />
uniforme che, finito ad orizzonte, si staglia<br />
in una leggera prospettiva nella<br />
parte inferiore dei due pannelli principali e<br />
fa da sfondo alle due figure di S.<br />
Benedetto e S. Giovanni; ma, tra l’altro,<br />
soprattutto va notato il colore dominante<br />
l’intera superficie, che Ł l’oro, su cui -<br />
come nelle icone bizantine - stacca il fondo<br />
azzurro emergente dai decori floreali delle<br />
tre colonnine e della parte superiore: un<br />
"ricordo" - voluto dal committente? - della<br />
maniera iconografica bizantina che ormai<br />
appare completamente stemperata nella<br />
maniera "moderna" dell’Occidente.<br />
Il periodo della fattura di questo dittico, su<br />
cui gli studiosi unanimemente concordano,<br />
Ł il primo decennio del Cinquecento.<br />
Non cos per l’attribuzione: la prima, se<br />
non erro, fu quella avanzata da Antonia<br />
D’Aniello, proprio in occasione della<br />
mostra di cui sopra, che individua l’autore<br />
nel "Maestro Hieronymo pictore de<br />
Salerno" il quale collabor assiduamente<br />
con i Benedettini di Cava tra il 1508 e il<br />
1517 e nei libri contabili della badia Ł detto<br />
"pictore nostro".<br />
Altra attribuzione, proposta da Vincenzo<br />
Cerino (che precisa anche l’anno della<br />
realizzazione, il 1510 circa), Ł in favore<br />
del "Maestro dei polittici francescani".<br />
Di recente il prof. Francesco Abbate, nel<br />
suo bel libro "Storia dell’Arte nell’Italia<br />
Meridionale", considera questa opera<br />
come un "resto di polittico" e, richiamando<br />
una precedente proposta fatta da<br />
Alessandro Nardi, attribuisce l’opera ad<br />
Alessandro Buono.<br />
Delle tre ipotesi, quella che piø convince<br />
Ł la prima, considerando l’umus benedettino<br />
del luogo, come sopra accennato, con cui i greci dovettero necessariamente<br />
confrontarsi; la meno convince Ł la seconda: e dico questo non certo<br />
per entrare in merito agli elementi stilistici o agli influssi pittorici (cosa, ripeto,<br />
non in linea con lo scopo di questo mio scritto) che caratterizzano il<br />
dipinto, bens per una semplice congruenza storica. A parte il fatto che nel<br />
dittico non compare nessuna benchØ minima traccia nØ simbolo iconografico<br />
riferibile all’ambiente nØ ad un pittore legato ai Francescani (la cui presenza<br />
in loco Ł documentata solo a partire dal 1594), considerate le contingenze<br />
culturali di quegli anni a San Mauro, una committenza ad ambienti<br />
artistici francescani o di ambito francescano o a pittori francescani o collegati<br />
a questi, sarebbe risultata illogica e non certamente congrua; diversamente<br />
Ł plausibile una committenza "greca" ai Benedettini la cui presenza<br />
sul luogo giustifica l’accaparramento della commissione in favore del "loro"<br />
pittore, Geronimo da Salerno, appunto.<br />
Lungi da me entrare piø oltre nel merito, ma ci che mi preme qui precisare<br />
Ł che ormai Ł ora di cominciare a pensare ai nostri ambienti culturali antichi<br />
con maggiore considerazione e, pur valutandone una relativa marginalit<br />
rispetto ai grandi flussi cittadini, vanno rivisitati con piø oculata oggettivit<br />
dopo averne studiato la storia che a volte pu riservare rivelazioni inattese.<br />
Ma dico di piø: forse proprio la marginalit dei nostri paesi ha permesso il<br />
formarsi di certe espressioni artistiche che sono frutto di una determinata<br />
cultura, i cui protagonisti sono certamente debitori dell’ambiente in cui si<br />
sono formati relativamente agli elementi tecnici o agli orientamenti artistici<br />
che si manifestano in maniere definite impropriamente, a mio avviso, "influssi"<br />
e che possono apparire correlati a scuole o a pittori piø prestigiosi provenienti<br />
dalle citt . Ma fino a quando non si trovano documenti chiari che testimoniano<br />
con precisione le dipendenze o le relazioni, parlare di semplici<br />
influssi non soddisfa ed Ł bene, in un ambito cos nebuloso, lasciarsi guidare<br />
anche, e oserei dire soprattutto, dagli indizi della Storia che Ł pur sempre<br />
"maestra".<br />
Amedeo La Greca<br />
cronache cilentane Beni Culturali<br />
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