Giacomo Puccini II atto. [file PDF 1,19 MB] - Comitato Nazionale ...
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La rivelazione del genio<br />
Dopo aver toccato il Si acuto nel momento culminante, Des Grieux adagia dolcemente<br />
Manon sul sofà, mentre una settima di terza specie, con uno scambio<br />
enarmonico (<strong>II</strong>, una dopo 37), allude ancora al Tristanakkord. <strong>Puccini</strong> non si limitò<br />
a proporre simbolicamente la sensualità come simbolo di colpa, ma la trasferì<br />
invece nella musica, dando vita a quella passione disperata che d’ora in poi dominerà<br />
l’opera.<br />
La forza drammatica del duetto non poteva essere ignorata nemmeno dai detr<strong>atto</strong>ri<br />
di <strong>Puccini</strong>, ma in questo continuo crescendo di sensualità vi è ben altro che<br />
quel «Tristano dei poveri» evocato da alcuni commentatori: soltanto i ricchi d’ispirazione,<br />
infatti, possono scrivere una musica così riuscita, complessa, varia, eccitante.<br />
Ma soprattutto precorritrice di tante altre sensibilità decadenti, saldamente<br />
ancorata com’è ai valori disperati e sensuali dell’inquieta fin de siècle: la sensibilità<br />
moderna comincia qui, dove due amanti sono còlti dal vortice d’una passione carnale<br />
che li avvince fino alla tragica conclusione nel deserto della Louisiana dell’<strong>atto</strong><br />
quarto, dove il cielo scompare, e una donna, in piena coerenza con la vita sin lì<br />
condotta, esala l’ultimo respiro sussurrando:<br />
Le mie colpe … travolgerà l’oblio,<br />
ma l’amor mio … non muore …<br />
Ogni grande artista prima o poi scrive un’opera in cui rivela se stesso con tutta<br />
la consapevolezza di essere uscito dalla fase dell’esperimento scrivendo il suo primo<br />
capolavoro – si pensi all’Idomeneo di Mozart. In Manon Lescaut il genio di <strong>Puccini</strong><br />
si mostra con forza dirompente: l’invenzione è profusa a getto continuo e l’ispirazione<br />
vi domina, tanto da occultare l’accurato travaglio formale che pure presiede<br />
alla struttura. Egli era del tutto conscio che il teatro musicale in Europa, dopo<br />
Wagner, non poteva più essere lo stesso, e fu il primo, e forse l’unico italiano a testimoniarlo<br />
con la musica, invece che con chiacchere da ciarlatano. Ora, saldato il<br />
debito, era tempo di voltar pagina, per scrivere nuovi capitoli della propria ‘fenomenologia’<br />
dell’amore, indagato nelle sue infinite manifestazioni.<br />
Poesia del quotidiano<br />
Un uomo e una donna liberi, e responsabili delle proprie azioni, si conoscono e si<br />
piacciono reciprocamente al volo: è quello che accade a Rodolfo e a Mimì nell’ampio<br />
scorcio che chiude il quadro primo della Bohème. Nella lunga storia del teatro<br />
musicale, che pure d’amori è fittamente intrecciata, pochi incontri tra uomo e donna<br />
occupano un posto così privilegiato nell’immaginario collettivo come quello tra<br />
il tenore e il soprano di <strong>Puccini</strong>, poeta lui grisette lei, entrambi squattrinati come<br />
tutto il gruppo di artisti che li circonderanno in quell’avventura quotidiana che è la<br />
vita dei poveri in canna, ma ricchi di spirito e di joie de vivre.<br />
Il problema che pone questo ‘duetto’ (il termine va inteso in accezione lata, poiché<br />
nella forma prevale, in realtà, la confessione individuale) è che l’altezza conseguita<br />
da <strong>Puccini</strong> e dai suoi librettisti Giacosa e Illica, a livello musicale e poetico, è<br />
tale da indurre la sensazione nello spettatore che si tratti di un momento tanto spe-<br />
domenica 18 giugno 2006<br />
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