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Carità che si fa servizio nei primi cinquant'anni di storia dell'Istituto

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“Con gli infermi <strong>si</strong> portava con tutta carità e amorevolezza e pareva <strong>che</strong> negli offici più<br />

bas<strong>si</strong> trovasse il suo para<strong>di</strong>so” (Proc II, 347).<br />

“Li teneva an<strong>che</strong> in casa per curarli” (Proc II, 357).<br />

“Le or<strong>fa</strong>nelle formavano la sua speciale pre<strong>di</strong>lezione” (Proc II, 348).<br />

“I poveri peccatori erano l’oggetto continuo dei suoi pen<strong>si</strong>eri” (Proc II, 349).<br />

“Si adoperava a metter pace nelle <strong>fa</strong>miglie. Fece gran<strong>di</strong> carità fino a mandare lenzuola, <strong>fa</strong>sce<br />

per bambini e letti” (Proc II, 320, 342).<br />

“Era graziosa e <strong>fa</strong>miliare con tutti. Faceva del bene a tutti senza <strong>di</strong>stinzione, purché ne avessero<br />

bisogno” (Proc II, 357, 363).<br />

Le testimonianze rilevano poi con una certa in<strong>si</strong>stenza <strong>che</strong> la Gerosa “nel suo beneficare mirava al<br />

bene dell’anima”, <strong>che</strong> “<strong>si</strong> pigliava grande premura degli interes<strong>si</strong> spirituali degli altri”, <strong>che</strong> “se era<br />

impegnata per i bisogni corporali, era impegnatis<strong>si</strong>ma per le anime loro”, <strong>che</strong> “coltivava il corpo per<br />

salvare l’anima” (Proc II, 367, 332 ss). Era insomma “la carità personificata per le anime e per i<br />

corpi” (Proc II, 308). Qual<strong>che</strong> voce esemplificativa.<br />

“Da quanto ho sempre sentito la sua intenzione era il bene delle anime e l’onore <strong>di</strong> Dio”<br />

(Proc II, 304).<br />

“Aveva il cuore infiammato d’amore del pros<strong>si</strong>mo, anzitutto per le anime e per amore <strong>di</strong><br />

Dio; attendeva all’educazione delle ragazze, lasciando un legato per gli Esercizi” (Proc II,<br />

310).<br />

“Nel <strong>fa</strong>r del bene per il corpo aveva sempre in mira an<strong>che</strong> il bene dell’anima; cercava <strong>di</strong><br />

impe<strong>di</strong>re il male raccogliendo <strong>fa</strong>nciulle pericolanti” (Proc II, 309).<br />

“Andava per le case a <strong>di</strong>s<strong>si</strong>par <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e e riusciva a mettere la pace. Corresse i peccatori<br />

tra i quali uno sposo <strong>che</strong> trattava male la moglie” (Proc II, 312).<br />

“La <strong>di</strong>cevano la paciera del paese” (Proc II, 306).<br />

“Quando sentiva <strong>che</strong> qualcuno <strong>fa</strong>ceva male cercava ogni modo per ritrarlo dalla via cattiva”<br />

(Proc II, 310).<br />

“Correggeva an<strong>che</strong> uomini con belle maniere ma con fermezza, e la verità <strong>di</strong>ceva a qualunque<br />

e con fran<strong>che</strong>zza” (Proc II, 362).<br />

“Si sacrificava per gli infermi procurando mezzi perché nulla mancasse delle cure temporali<br />

e più delle spirituali; e l’opera sua in tal parte fu efficacis<strong>si</strong>ma an<strong>che</strong> con teste dure”<br />

(Proc II, 334).<br />

Dotata <strong>di</strong> forte intuizione e <strong>di</strong> saggezza <strong>di</strong> vita, le era tutta propria an<strong>che</strong> la carità del con<strong>si</strong>glio. “A<br />

lei <strong>si</strong> ricorreva per con<strong>si</strong>gli – attestava una contemporanea – e sì <strong>che</strong> allora vi erano persone <strong>di</strong> gran<br />

con<strong>si</strong>glio a Lovere: il Barboglio, il Verzi, il Bo<strong>si</strong>o, il Taccolini, ma con la Gerosa <strong>si</strong> aveva maggior<br />

confidenza, così a lei principalmente le donne ricorrevano” (Proc II, 366).<br />

Proprio per questa carità, <strong>che</strong> mirava alla salvezza delle anime, Pio XI in occa<strong>si</strong>one della beatificazione<br />

l’aveva definita “grande cooperatrice della Redenzione”. Si celebrava, nel 1933, il XIX centenario<br />

della Redenzione (Prevedello, Storia V, 1099).<br />

Cooperare al bene corporale e spirituale dei pros<strong>si</strong>mi era an<strong>che</strong> per la Gerosa il modo <strong>di</strong> piacere a<br />

Dio.<br />

“Non avrò <strong>di</strong> mira <strong>che</strong> voi nelle mie azioni e cer<strong>che</strong>rò <strong>di</strong> piacervi e <strong>di</strong> servirvi con fedeltà”<br />

(Scandella, VG, 65).<br />

“Animiamoci al ben <strong>fa</strong>re. L’amore <strong>di</strong> Dio e il bene del pros<strong>si</strong>mo <strong>si</strong>ano il vero e principale<br />

scopo del nostro operare” (a suor Agnese Poli, 10.2.1846).<br />

“Operò sempre unicamente per piacere a Dio e così ripeteva <strong>di</strong> continuo <strong>che</strong> <strong>fa</strong>cessero le<br />

suore” (Proc II, 393-394).<br />

Perciò proponeva per sé e raccomandava alle suore la rettitu<strong>di</strong>ne d’intenzione perché il loro operare<br />

non finisse in un “sacculum pertusum” (sac<strong>che</strong>tto forato), un termine <strong>che</strong> aveva sentito dal Barboglio<br />

e <strong>che</strong> era <strong>di</strong>ventato per lei un richiamo a tenere sempre rinnovata e purificata l’intenzionalità<br />

(cf Proc II, 389).<br />

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