Carità che si fa servizio nei primi cinquant'anni di storia dell'Istituto

un preciso modello di riferimento che lo qualifica conferendo ad esso uno stile, un “carattere”, un
fine. Bartolomea lo indica sinteticamente così: “Gesù solo sia il principio, il mezzo ed il fine di
ogni mia opera” (Scr III, 663).
Leggendo gli Scritti e la sua esperienza si può capire che cosa essa intendeva dire con questa espressione.
Il “principio”: dove nasce il servizio. Per indicare l’origine, la radice o la provenienza del servizio
Bartolomea usa i termini “congiungere” (“non disgiungere”) nel voto di carità e “parto” nel Promemoria.
“Mio buon Gesù, so che l’amor vostro non va mai disgiunto da un vero amor del prossimo”
(Scr III, 696).
“… esercizi di carità… tutti parti di orazione” (CF 2).
La prima affermazione mette subito in luce che il suo amore per il prossimo riceve l’impulso dal
suo amore per Gesù. L’uno cresce con l’altro. ‘Sa’ questo certamente perché il Vangelo definisce
simili i due comandamenti, ma anche perché lei stessa si sente dentro questo unico movimento
dell’amore, ne fa sensibile esperienza.
L’intuizione del voto di carità si chiarisce e si completa nel Promemoria dove Bartolomea indica il
grembo in cui il servizio si genera, prende forma, si alimenta: l’orazione. E tra le forme di orazione
raccomanda soprattutto la meditazione, che richiama, ripetendosi, in due punti:
“In questo Istituto vi sia buona parte del giorno consacrata all’orazione, specialmente alla
S. Meditazione” (CF 2).
“L’Orazione frequente, massime la S. Meditazione per buono spazio di tempo ogni
giorno…” (CF 14).
Per sé propone:
“Esercizio grande di santa Meditazione, non lasciarla mai…, premettere le dovute preparazioni,
dare ogni settimana al mio confessore una minuta sincerazione di come l’ho
passata” (Scr III, 165).
“Non mai lasciar passar giorno senza aver fatto un’ora e mezzo di meditazione, e quando
non posso farla di giorno, la farò di notte, ma voglio essere immancabile” (Scr III,
208).
Uno spazio di tempo – spiega nel Promemoria – da gestire in modo che “rassomigli ai frequenti ritiramenti
che faceva l’amabile Redentore dagli uomini, per trattenersi col suo Divin Padre a perorare
per noi” (CF 14). In questo breve testo appare chiaro che Bartolomea pensa la preghiera del Redentore
inseparabile dall’opera che il Padre gli ha affidato; percepisce infatti che dentro quel rapporto
di comunione egli si fa implorazione di salvezza per il mondo. Anche meditando sulla Passione, durante
gli Esercizi spirituali, scrive: “Interrogato che facesse Gesù in mezzo a tanto suo patire, udii
rispondermi: Prego il mio eterno Padre per tutte le mie care creature, che vorrei veder tutte salve”
(Scr III, 99-100).
A questa preghiera dunque Bartolomea vuole che rassomigli quella tutta propria del suo Istituto, e
specificamente la meditazione. Senza escludere altre forme di orazione, propone dunque come peculiare
una preghiera a sbocco apostolico. Qui infatti – spiega – si apprende quello che poi si insegna
agli altri e si prepara così il “buon frutto” degli esercizi di carità (cf CF 2). Di fatto essa si pone
nelle sue meditazioni come discepola in ascolto del suo Maestro che la istruisce, le insegna (cf Scr
III, 102, 184, 198), le fa conoscere, le imparte lezioni, la chiama (cf Scr III, 89, 19), la rimprovera
anche e talvolta lo sente perfino “gridare” per eccesso di amore (cf Scr III, 42, 44, 49, 88, 102).
“Procurerò di imparare ai vostri piedi…” (Scr III, 120).
“In silenzio ho ascoltato ciò che mi diceva il mio Amor Crocifisso” (Scr III, 48).
“Qual povera pitocca… ascolterò in silenzio ciò che si degnerà insegnarmi” (Scr III,
661).
“Nell’orazione applicarmi allo studio del S. Cuore di Gesù e lasciar operare in me Gesù
Cristo” (Scr III, 208).
“Ho sentito invitarmi alla scuola del S. Cuore di Gesù” (Scr III, 195).
6