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1 LINGUE DELL'EDUCAZIONE Tullio De Mauro “Lingua di ... - Mce

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<strong>LINGUE</strong> <strong>DELL'EDUCAZIONE</strong><br />

<strong>Tullio</strong> <strong>De</strong> <strong>Mauro</strong><br />

<strong>“Lingua</strong> <strong>di</strong> casa”, “lingua <strong>di</strong> mercato”<br />

Dal 1975, anno in cui furono scritte le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, 1 molto è<br />

cambiato, si osserva giustamente, in Italia e nel mondo. Hanno perduto efficacia? Ve<strong>di</strong>amo. Intanto<br />

si deve pure osservare che, dopo aver lasciato tracce non esplicite in qualche documento linguistico<br />

europeo, ora sono richiamate esplicitamente in un testo del Consiglio d’Europa, il Documento<br />

europeo per le lingue dell’educazione/DERLE apparso nel 2009 2 E il testo delle Dieci testi, tradotto<br />

in neogreco un paio <strong>di</strong> anni fa da un e<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> Atene, appare ora anche in traduzione inglese e<br />

francese. Ma questo conta poco, Croce ammoniva saggiamente che “la folla o il deserto nulla<br />

aggiungono o tolgono al carattere <strong>di</strong> verità <strong>di</strong> una dottrina”. Reggono le “verità” delle Dieci tesi<br />

oppure i fatti le hanno falsificate?<br />

Un punto essenziale, forse il punto più importante, <strong>di</strong> quelle tesi era mettere al centro <strong>di</strong> ogni attività<br />

educativa l’educazione linguistica e ciò in forza <strong>di</strong> un ragionamento teorico che nei 35 anni trascorsi<br />

si è irrobustito sempre <strong>di</strong> più. Dalle riflessioni teoriche del Novecento e contemporanee sappiamo<br />

che una lingua è fatta in modo tale da poter rispondere alle esigenze <strong>di</strong> relazione e <strong>di</strong> conoscenza<br />

degli in<strong>di</strong>vidui e delle comunità umane. Ripeto: qualsiasi lingua, nel suo nucleo anche più<br />

elementare <strong>di</strong> parole apprese nell’ambito familiare e nella vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />

Non mi stanco <strong>di</strong> ricordare che del resto già nell’Ottocento un grande pensatore e affascinante<br />

scrittore danese, Søren Kierkegaard, in un suo saggio sugli sta<strong>di</strong> nel cammino della vita, insisteva<br />

proprio su questo punto: “la ‘lingua <strong>di</strong> casa’, ‘la lingua del mercato’ possiede già tutti i requisiti per<br />

rispondere alle esigenze più importanti <strong>di</strong> cui abbiamo bisogno per la vita <strong>di</strong> relazione e per lo<br />

sviluppo delle nostre conoscenze, ci dà sempre strumenti, <strong>di</strong>ceva, per lottare con l’inesprimibile”. 3<br />

<strong>De</strong>l resto, chi ha letto il <strong>De</strong> vulgari eloquentia <strong>di</strong> Dante ricorda le lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Dante alla prima lingua,<br />

quella che impariamo nutricem imitantes: questa gli appariva nobilior rispetto alle lingue da<br />

apprendere con lungo stu<strong>di</strong>o dai maestri. Perché la parte più umile e trita del patrimonio verbale<br />

abbia tanta potenza abbiamo cercato <strong>di</strong> capirlo sempre meglio negli ultimi decenni. L'essere umano,<br />

che è un animal loquens, partendo dal vocabolario fondamentale <strong>di</strong> una lingua, e cioè dalle circa<br />

duemila parole che anche in un Paese come l’Italia ogni bambino nativo già in genere conosce<br />

entrando a scuola, è capace <strong>di</strong> imparare a usare tante altre parole. Noi esseri umani lo facciamo<br />

sfruttando una proprietà che i logici hanno in<strong>di</strong>cato ai linguisti (a quelli <strong>di</strong>sposti ad ascoltarli) come<br />

caratteristica specifica dell’attività verbale: mi riferisco all’uso metalinguistico-riflessivo, cioè alla<br />

possibilità <strong>di</strong> adoperare le parole della lingua che già conosciamo per chiedere o per dare<br />

spiegazioni sull’uso e sul significato <strong>di</strong> parole e forme che possano suonare nuove. Questa proprietà<br />

è la proprietà costitutiva della possibilità che ogni lingua ha <strong>di</strong> ampliare indefinitamente il suo<br />

vocabolario e <strong>di</strong> combinare le parole del vocabolario in un numero potenzialmente infinito <strong>di</strong> frasi.<br />

L’espan<strong>di</strong>bilità della lingua ne fa uno strumento fondamentale riguardo a due aspetti<br />

complementari. Ci permette <strong>di</strong> relazionarci agli altri componenti della nostra e <strong>di</strong> altre comunità e ci<br />

permette <strong>di</strong> esprimere, vivere e or<strong>di</strong>nare esperienze vitali, sensazioni, emozioni e nozioni nuove.<br />

Se si capisce questo si capisce anche perché per la scuola, e non soltanto per l’insegnante che deve<br />

occuparsi della materia chiamata italiano, ma per tutti gli insegnanti, occorre che sia chiaro un<br />

primo fatto: la scuola lavora e deve saper lavorare <strong>di</strong> rimessa e <strong>di</strong> rifinitura, per così <strong>di</strong>re. C’è un<br />

1 Ve<strong>di</strong> http://www.giscel.org/<strong>di</strong>eciTesi.htm.<br />

2 Una versione italiana curata da Silvana Ferreri e Rosa Calò è stata concordata e pubblicata ora dall’e<strong>di</strong>tore<br />

Settecittà <strong>di</strong> Viterbo.<br />

3 Søren Kierkegaard, Sta<strong>di</strong> sul cammino della vita, Milano, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2001, p. 325.<br />

1


patrimonio <strong>di</strong> conoscenze con cui il bambino o la bambina entra nella scuola che va salvaguardato e<br />

rispettato perché là c’è la prima ra<strong>di</strong>ce dell’appren<strong>di</strong>mento linguistico più complesso e<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> altre lingue. Questo era vero nel 1975 ed è ancora più vero oggi, quando il<br />

patrimonio prescolastico del bambino si arricchisce <strong>di</strong> apporti esterni alla famiglia, teletrasmessi o<br />

informatici. Come raccomanda Marco Rossi Doria, la scuola deve saper tendere l’orecchio a questo<br />

mondo linguistico pre- ed extrascolastico per poter portare gli alunni a integrare e sviluppare il loro<br />

patrimonio <strong>di</strong> mezzi linguistici. E ciò è ancora più vero ed esige ancora più attenzione quando ci<br />

troviamo <strong>di</strong>nanzi a bambini che portano in classe l’ere<strong>di</strong>tà e la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> lingue assai <strong>di</strong>verse dalla<br />

nostra e dai nostri <strong>di</strong>aletti, ma tornerò più in là su questo punto. Gli insegnanti debbono sapere che<br />

partono da un nocciolo primario già costituito. Prima <strong>di</strong> tutto devono quin<strong>di</strong> imparare a riconoscerlo<br />

e a rispettarlo, anche quando si presenta in forme eterodosse rispetto agli ideali <strong>di</strong> stile che possono<br />

prevalere nella scuola – possono e non già devono.<br />

A partire dalla “lingua <strong>di</strong> casa” del bambino e dalla sua integrazione la scuola ha l’enorme compito<br />

<strong>di</strong> sviluppare la capacità <strong>di</strong> interrogazione con le parole e delle parole, la capacità <strong>di</strong> far acquisire<br />

nuove esperienze e nuovi saperi. Ricor<strong>di</strong>amo ciò con quanto Albert Einstein ha scritto nella sua<br />

autobiografia intellettuale: «La maggior parte <strong>di</strong> quanto sappiamo e cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> sapere ci è stata<br />

insegnata da altri per mezzo <strong>di</strong> una lingua che altri hanno creato. Senza la lingua la nostra facoltà <strong>di</strong><br />

pensare sarebbe assai meschina e paragonabile a quella degli altri animali superiori». 4<br />

Le Tesi volevano mettere in crisi sia la convinzione che l’insegnamento linguistico parta da zero e<br />

si svolga nel vuoto sia l’insegnamento/appren<strong>di</strong>mento mono<strong>di</strong>sciplinare delle capacità linguistiche.<br />

Non c’è materia, non c’è insegnante che non debba e non possa concorrervi. Dovremmo saper<br />

realizzare un quadro <strong>di</strong> <strong>di</strong>dattica molto aperto, in cui il bambino e la bambina e poi l’alunno<br />

adolescente siano portati a porsi e a porre delle domande vere, non quelle già scritte in calce alla<br />

pagina del libro, ma quelle che sono suscitate da un rapporto vivo con esperienze nuove, con saperi<br />

nuovi che ogni insegnamento man mano offre. Con la padronanza dei mezzi verbali si accrescono<br />

così intelligenza e conoscenza. Vorrei ricordare che su questa stessa strada ho poi incontrato negli<br />

anni le convincenti riflessioni generali <strong>di</strong> Dario Antiseri sull’insegnamento “per problemi” e le<br />

concettualmente assai simili belle esperienze sviluppate da Carlo Bernar<strong>di</strong>ni con le maestre delle<br />

scuole dell’infanzia <strong>di</strong> Scan<strong>di</strong>cci in tema <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento pre-elementare delle scienze.<br />

In materia <strong>di</strong> linguaggio ci sono anche cose che la scuola può insegnare quasi partendo da zero. Si<br />

pensi alla scrittura: in larga parte i bambini arrivano a scuola senza dominare la capacità <strong>di</strong><br />

trasferire il <strong>di</strong>scorso parlato in testo scritto e senza la capacità <strong>di</strong> orientarsi <strong>di</strong>nanzi a un testo scritto.<br />

Se non l’abc stesso, come anche accade, certo il dominio e lo sfruttamento dell’abc possono avere<br />

una parte importante e specifica nell’insegnamento, ma sempre nella consapevolezza che l’abc,<br />

l’ortografia usuale e particolare nella produzione scritta <strong>di</strong> una lingua, si impara tanto meglio quanto<br />

più il complesso dei rapporti tra il bambino e la lingua viene curato e sviluppato.<br />

Come hanno mostrato Emilia Ferreiro e altre <strong>di</strong>verse evidenze sperimentali sull’appren<strong>di</strong>mento del<br />

grafismo e della scrittura, c’è un cammino spontaneo <strong>di</strong> maturazione che bisogna avere la pazienza<br />

<strong>di</strong> rispettare, che porta all’acquisizione <strong>di</strong> un modo corretto <strong>di</strong> usare le forme scritte <strong>di</strong> una<br />

determinata lingua. Questo cammino è fatto anzitutto <strong>di</strong> spinte pre-ortografiche, cioè <strong>di</strong> spinte a<br />

sentire che è importante e utile – e non perché lo <strong>di</strong>ce il professore o il maestro – fissare ciò che si<br />

vuol <strong>di</strong>re in una forma scritta facilmente recuperabile per altri e dunque in una forma scritta avviata<br />

a un ragionevole standard <strong>di</strong> regole e <strong>di</strong> forme. I bambini e le bambine devono sentire che è<br />

importante accedere alla lettura <strong>di</strong> ciò che altri hanno scritto e stampato o che ci mandano in video o<br />

sul telefonino. Solo se si alimenta e sviluppa la voglia <strong>di</strong> accedere alla lettoscrittura nel quadro <strong>di</strong> un<br />

insegnamento molto aperto e stimolante, possiamo mettere da parte l’insegnamento ortografico<br />

tra<strong>di</strong>zionale, tanto pieno <strong>di</strong> ossessionanti trabocchetti in ambienti linguistici segnati dalla variazione<br />

come l’Italia: tubo si scrive con una b <strong>di</strong>ce un insegnante pronunciando magari la parola con una<br />

bella b intensa, alla romana o alla napoletana; rabbia si scrive con due b, e magari la parola è<br />

4 A. Einstein, Autobiografia scientifica, Torino, Boringhieri, 1979, p. 133 .<br />

2


pronunciata con una b “scempia”, come può accadere che faccia un insegnante settentrionale. Al<br />

bambino non resta che obbe<strong>di</strong>re a queste in<strong>di</strong>cazioni, e se non obbe<strong>di</strong>sce l’insegnante rischia <strong>di</strong><br />

intervenire punitivamente, correttivamente su questi dettagli. Provoca guasti nel merito e avvia<br />

l’alunno a pensare che a scuola vogliono cose strane e inesplicabili. Perché sia detto con chiarezza:<br />

appartiene per il bambino ai sacrosanti misteri capire perché accidenti mai a parità <strong>di</strong> pronuncia<br />

della zeta azione si deve scrivere, per carità, mai sia altrimenti, con una zeta sola, e pazzo con due<br />

oppure perché lui nelle conte e filastrocche sillaba cas-ti-go ma se per caso riproduce una cosa del<br />

genere scrivendo apriti cielo. Si <strong>di</strong>rà: ben altre cose strane e inesplicabili rischia <strong>di</strong> insegnargli la<br />

scuola in materia <strong>di</strong> lingua se l’insegnante non ha mai letto un qualsiasi buon manuale <strong>di</strong> storia della<br />

lingua italiana, ma queste prime impronte rischiano <strong>di</strong> convincerlo per sempre che quel che la<br />

scuola gli insegna appartiene forse all’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> un oscuro dover essere, non a quello dell’essere.<br />

Questo modo <strong>di</strong> insegnare, se la tempra del bambino o della bambina non è forte, può <strong>di</strong>sorientare.<br />

Ai maestri e alle maestre occorre ripetere quello che le Tesi raccomandavano e che a me è capitato<br />

<strong>di</strong> scrivere da anni ormai remoti: insegnate l’affetto e l’interesse per la lettura, l’affetto e l’interesse<br />

per la scrittura e poi la correttezza ortografica verrà da sé. E verrà anche la correttezza grammaticale<br />

particolarmente nella forma scritta. L’imponente presenza <strong>di</strong> alunni <strong>di</strong> altra lingua nativa non fa che<br />

aggiungere ragioni alla scelta <strong>di</strong> questa strada.<br />

Tenere d’occhio l’ambiente linguistico <strong>di</strong> provenienza degli allievi non vale solo per il miglior<br />

appren<strong>di</strong>mento dell’ortografia. È l’insieme delle capacità linguistiche, è il loro intero sviluppo che<br />

impongono questo sguardo all’esterno delle mura scolastiche. Da tanti anni, dai tempi della<br />

“Biblioteca <strong>di</strong> lavoro” <strong>di</strong> Mario Lo<strong>di</strong> e Luciano Manzuoli, anche prima delle Dieci tesi, lavorando<br />

con insegnanti ho cercato <strong>di</strong> suggerire che l’attenzione per l’ambiente linguistico e culturale esterno<br />

può <strong>di</strong>ventare un tema <strong>di</strong>dattico, un tema che arricchisce le capacità d’osservazione <strong>di</strong> allievi e<br />

allieve, ma anche serve a dare a chi insegna una più precisa consapevolezza della <strong>di</strong>mensione<br />

nascosta, delle <strong>di</strong>versità e fratture che possono nascondersi nella mente e nelle effettive capacità <strong>di</strong><br />

comprensione <strong>di</strong> allievi magari tutti eguali in apparenza. Oggi questa attenzione è tanto più<br />

necessaria per almeno tre gran<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> motivi.<br />

La nostra scuola italiana, come del resto in tutti i Paesi europei, si trova a dovere essere sempre <strong>di</strong><br />

più multiculturale e multilingue. Il 7% della popolazione scolastica è costituito da bambine e<br />

bambini <strong>di</strong> altre nazionalità, portatori <strong>di</strong> altre culture e <strong>di</strong> altre lingue. Il multilinguismo<br />

dell’ambiente e il plurilinguismo che ne nasce in molti bambini e adolescenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa lingua<br />

nativa rappresentano certamente una via <strong>di</strong> arricchimento. Ma bisogna assicurare alcune con<strong>di</strong>zioni<br />

perché la ricchezza non si trasformi in un han<strong>di</strong>cap, almeno dentro la scuola: occorre sostenere la<br />

persistenza del rapporto con le lingue <strong>di</strong> provenienza, attrezzarsi per sviluppare questo sostegno con<br />

insegnanti adeguati a ciò, creare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> scambio interlinguistico nella classe, nella scuola e<br />

nell’istituto scolastico. Questo è norma o è usuale in tanti Paesi, dalla Svezia al Regno Unito o<br />

all’Australia. Ne hanno parlato alcuni anni fa Miguel Siguan e William F. MacKey, in un libro<br />

promosso dall’UNESCO e pubblicato in italiano presso un benemerito e<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> Nuoro, Insula, col<br />

titolo Educazione e bilinguismo 1 .<br />

Secondo or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> motivi in<strong>di</strong>pendente dalla grande immigrazione in atto. Non <strong>di</strong>amo retta a<br />

giornalisti e a taluni sapientoni male informati: l’Italia in Europa si caratterizza ancora per un alto<br />

in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità linguistica nativa. Soltanto poco più del 40% della popolazione ha adottato<br />

l’italiano come lingua dominante fuori e dentro le mura <strong>di</strong> casa, e cioè anche nell’uso familiare.<br />

Una percentuale assai maggiore usa accanto all’italiano uno dei tanti e tutt’altro che svaniti <strong>di</strong>aletti<br />

(48%) e due altri blocchi cospicui <strong>di</strong> popolazione usano o uno dei <strong>di</strong>aletti in modo esclusivo (cioè<br />

non parlano l’italiano né in casa né nemmeno con estranei) oppure parlano una delle 14 lingue <strong>di</strong><br />

minoranza, 13 delle quali (non purtroppo le parlate rom) riconosciute e tutelate dalla legge 430/99.<br />

Bisogna sapere che si parte da queste realtà linguistiche nativamente eterogenee perché tutta intera<br />

la classe cammini verso il pieno possesso dell’italiano e delle gran<strong>di</strong> lingue europee <strong>di</strong> cultura.<br />

Giustamente il documento europeo che citavo all’inizio parla, finalmente, <strong>di</strong> “lingue”<br />

dell’educazione: il plurale ormai si impone.<br />

3


Ma c’è un terzo or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> motivi, il meno avvertito almeno nella comune consapevolezza nazionale.<br />

Perio<strong>di</strong>camente sui giornali si leggono lamentele: “i ragazzi non sanno leggere”, “i ragazzi non<br />

sanno esprimersi”, “i ragazzi non sanno scrivere”. Si cercano affannosamente colpevoli: gli SMS,<br />

internet e soprattutto la scuola. Tranne eccezioni, non si osserva che sarebbe strano che i nostri<br />

adolescenti e giovani sapessero parlare e scrivere tutti “come un libro stampato” (<strong>di</strong>ceva Collo<strong>di</strong>).<br />

Per quanto la scuola abbia fatto e faccia (specie quella elementare e specie dagli anni Sessanta in<br />

poi), ragazzini e adolescenti sono figli <strong>di</strong> una società adulta che, rispetto alle me<strong>di</strong>e europee e dei<br />

Paesi più ricchi, si segnala per bassissimi in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ani e <strong>di</strong> libri: una copia <strong>di</strong><br />

quoti<strong>di</strong>ano ogni <strong>di</strong>eci abitanti e poco più <strong>di</strong> un terzo <strong>di</strong> lettori veri <strong>di</strong> un libro nell’anno. Ma indagini<br />

osservative recenti promosse da Statistic Canada e svolte in vari Paesi del mondo, tra cui il nostro,<br />

ci mettono in presenza <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione degli adulti assai peggiore e <strong>di</strong> una valutazione più severa<br />

delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> alfabetizzazione della popolazione adulta italiana, anche <strong>di</strong> quella uscita dalla<br />

scuola in possesso <strong>di</strong> livelli assai alti <strong>di</strong> scolarità. In questi ultimi sessant’anni, il cammino che<br />

l’Italia ha fatto nella <strong>di</strong>rezione dell’appren<strong>di</strong>mento della lingua nazionale è stato enorme. Negli anni<br />

Cinquanta del Novecento l’uso della lingua nazionale era assolutamente minoritario: a essere<br />

ottimisti non andava oltre un terzo la popolazione capace <strong>di</strong> capire un <strong>di</strong>scorso in italiano e <strong>di</strong><br />

esprimersi in italiano. E il 60% era privo <strong>di</strong> licenza elementare. Ormai quasi il 90% della<br />

popolazione adulta sa capire e sa esprimersi in italiano e i senza titolo sono ridotti a pochi punti<br />

percentuali. Lo straor<strong>di</strong>nario progresso riguarda soprattutto il parlato. Ma il possesso pieno e ricco<br />

della capacità <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong> una lingua, specie <strong>di</strong> una lingua internamente stratificata e ricca <strong>di</strong><br />

formazioni concorrenti come è l’italiano, lo si ha soltanto sviluppando l’abitu<strong>di</strong>ne alla lettura e<br />

anche alla scrittura. Qui purtroppo c’è un deficit tra<strong>di</strong>zionale e secolare dell’Italia <strong>di</strong> cui non<br />

riusciamo a liberarci. I dati OCSE ci <strong>di</strong>cono che metà dei ragazzi ha <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> lettura e scrittura.<br />

L’OCSE e le indagini <strong>di</strong> Statistic Canada ci <strong>di</strong>cono che in questa con<strong>di</strong>zione si trova non la metà,<br />

ma l’80%, anzi, per l’esattezza, l’81% degli adulti. Ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgare la conoscenza <strong>di</strong> questo<br />

dato, acquisito ormai da anni e accessibile in forma analitica nel rapporto curato da Vittoria Gallina<br />

Letteratismo e abilità per la vita. 5 Ma il dato non circola. E questo oscura il lavoro enorme che la<br />

scuola tuttavia riesce a fare strappando la metà dei ragazzi alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> “illetteratismo” (così<br />

amano <strong>di</strong>re i pedagogisti, io preferisco il consueto e più crudo analfabetismo) delle famiglie e degli<br />

adulti. Ho visto con piacere che il nuovo presidente dell’ISTAT, Enrico Giovannini, valente<br />

stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> in<strong>di</strong>catori statistici socioculturali, ha accolto questi dati nella sua recente Relazione<br />

annuale dell’ISTAT. Speriamo che il muro <strong>di</strong> silenzio si rompa. <strong>De</strong>l dato prendano intanto<br />

coscienza gli insegnanti.<br />

La scuola non dovrebbe essere lasciata sola. L’intera società adulta, l’intero ceto <strong>di</strong>rigente (politici,<br />

giornalisti, impren<strong>di</strong>tori, stu<strong>di</strong>osi, tutti i sindacati, e non la sola CGIL) dovrebbe capire che per il<br />

presente e per l’avvenire del Paese occorre sviluppare politiche <strong>di</strong> sostegno alla circolazione della<br />

lettura e quin<strong>di</strong> sviluppare stili <strong>di</strong> vita <strong>di</strong>versi non solo tra i ragazzi, ma anche e anzitutto tra gli<br />

adulti.<br />

La povertà linguistica e quin<strong>di</strong> culturale <strong>di</strong> molti ragazzi è conseguenza <strong>di</strong>retta della povertà <strong>di</strong><br />

stimoli che l’ambiente familiare e l’ambiente circostante danno ai ragazzi e alle ragazze. Case senza<br />

libri (l’89%, secondo l’ISTAT), comuni senza centri pubblici <strong>di</strong> lettura e biblioteche territoriali (più<br />

<strong>di</strong> tre quarti degli 8000 comuni) pesano sulla maggioranza dei ragazzi. Diversa è la situazione <strong>di</strong><br />

ragazze e ragazzi (vogliamo <strong>di</strong>re il 20%?) che hanno la fortuna <strong>di</strong> provenire da quegli esili strati <strong>di</strong><br />

popolazione in cui sono abituali la conversazione in casa, la lettura <strong>di</strong> libri, lo sviluppo <strong>di</strong> interessi<br />

artistici e culturali.<br />

La scuola fa già moltissimo per sottrarre alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> partenza negative, familiari e ambientali,<br />

una parte dei ragazzi. Non ci riesce abbastanza, ma non può riuscirci da sola. Ma il peggio è che,<br />

una volta usciti dalla scuola, magari con alti titoli <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e magari con buone competenze, ragazzi<br />

e ragazze <strong>di</strong>ventando adulti ripiombano in una società in cui leggere e avere interessi culturali che<br />

5 Ve<strong>di</strong> V. Gallina (a cura <strong>di</strong>), Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana<br />

16-65 anni, Roma, Armando, 2006, p. 17.<br />

4


vadano al <strong>di</strong> là dell’imme<strong>di</strong>atezza è qualcosa <strong>di</strong> strano e <strong>di</strong> stravagante e quin<strong>di</strong> vanno <strong>di</strong> nuovo a<br />

ingrossare la massa già consolidata <strong>di</strong> analfabeti adulti <strong>di</strong> ritorno. Per evitarlo occorre un impegno<br />

molto più generale <strong>di</strong> tutta intera la nostra società, ma per ora ne siamo ben lontani, mi pare. Ma<br />

non bisogna stancarsi e scoraggiarsi, mai.<br />

<strong>Tullio</strong> <strong>De</strong> <strong>Mauro</strong>, professore <strong>di</strong> Linguistica Generale. È stato assessore alla Cultura della Regione<br />

Lazio dal 1976 al 1978 e Ministro della Pubblica Istruzione nel 2000-2001. Si occupa <strong>di</strong> linguistica,<br />

filosofia del linguaggio e educazione linguistica.<br />

1 M. Siguan e W. F. MacKey, Educazione e bilinguismo, Insula, Nuoro, 1992.<br />

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