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DOSSIER<br />

22<br />

SPECIE LAPIDEE<br />

I MARMI DELLA VILLA DEL CASALE<br />

Lorenzo Lazzarini<br />

Università IUAV - Venezia<br />

I marmi della Villa del Casale di<br />

Piazza Armerina sono stati in passato<br />

oggetto di attenzione e indagine da<br />

parte di vari studiosi, a iniziare dagli<br />

scavatori (Carandini et al. 1982 ), che<br />

redassero un primo elenco, peraltro<br />

molto incompleto e con errori, delle<br />

specie lapidee presenti, e continuando<br />

con lo studio di Pensabene, anch’esso<br />

non esaustivo e con qualche imprecisione,<br />

per finire poi con i due lavori<br />

dello scrivente (Lazzarini 2003 e<br />

2007) che riguardarono solamente i<br />

marmi e le pietre ancora in posto, e si<br />

basarono solo su una identificazione<br />

autoptica delle varie specie lapidee.<br />

Una recentissima indagine, sempre di<br />

chi scrive, estesa alle diverse decine di<br />

cassette di frammenti marmorei raccolti<br />

nel corso dello scavo sia della<br />

Basilica che del resto della villa, e<br />

opportunamente integrata da indagini<br />

archeometriche di laboratorio eseguite<br />

su campioni prelevati principalmente<br />

dalla Basilica stessa, rende ora possibile<br />

la stesura di un elenco delle qualità<br />

di marmi presenti nell’edificio, che si<br />

ritiene pressoché definitivo almeno per<br />

quanto sinora messo in luce e studiato,<br />

e una prima serie di considerazioni sull’impiego<br />

dei materiali lapidei di<br />

importazione nella villa.<br />

L’elenco di quest’ultimi viene sintetizzato<br />

in tabelle suddivise per area geografica<br />

di provenienza (vedi pag. 24), e<br />

fornisce una valutazione semiquantitativa<br />

dei materiali e un’indicazione<br />

delle tipologie d’uso. Per valutare la<br />

quantità, ci si è basati sul numero di<br />

casse riempite per ciascuna specie, in<br />

particolare:<br />

da uno, sino a qualche decina di frammenti,<br />

presenza in tracce<br />

da una a tre casse, presente<br />

da tre sino a cinque casse, abbondante<br />

oltre cinque casse, molto abbondante.<br />

Circa la tipologia d’uso, si sono facilmente<br />

identificati gli elementi architettonici<br />

(principalmente cornici e loro<br />

frammenti, colonne e loro frammenti,<br />

capitelli e loro frammenti), nonché gli<br />

altri manufatti e loro frammenti (ad es.<br />

vasche), mentre si è assunto lo spessore<br />

delle lastre per distinguere i rivestimenti<br />

pavimentali (spessore > di 1 cm)<br />

da quelli parietali (spessore ≤ di 1 cm).<br />

L’identificazione dei marmi colorati,<br />

come si è detto sopra è stata largamente<br />

basata su un riconoscimento autoptico<br />

e per confronto con specifici atlanti<br />

fotografici (Mielsch 1985; Borghini<br />

1989; Dolci, Nista 1992; Pensabene,<br />

Bruno 1998) ma anche su studi minero-petrografici<br />

al microscopio polarizzatore<br />

di sezioni sottili di campioni<br />

delle specie lapidee di incerta provenienza,<br />

e di quelle sconosciute.<br />

L’identificazione dei marmi bianchi e<br />

bigi è invece da considerarsi ampiamente<br />

ipotetica perché basata sulle<br />

loro caratteristiche macroscopiche<br />

(dimensioni della grana, colore, brillanza,<br />

etc.), salvo che per un numero<br />

significativo di campioni, prelevati per<br />

litotipo e in modo rappresentativo, che<br />

sono stati identificati con una buona<br />

probabilità di esattezza del risultato<br />

mediante dettagliato esame petrografico<br />

in sezione sottile combinato ad analisi<br />

degli isotopi stabili del carbonio e<br />

dell’ossigeno, e tenendo conto della<br />

relativa banca dati più aggiornata tra<br />

quelle attualmente esistenti (Gorgoni<br />

et al. 2002).<br />

Sui dettagli di tali identificazioni di<br />

laboratorio, si rimanda allo specifico,<br />

recente rapporto scientifico redatto per<br />

la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di<br />

Enna (Lazzarini 2009).<br />

Per informazioni storico-archeologiche<br />

e archeometriche sulle varie specie<br />

lapidee identificate, si consiglia la consultazione<br />

delle pubblicazioni di Gnoli<br />

(1988); Borghini (1989), con relativa<br />

recensione di L.Lazzarini (1990); De<br />

Nuccio, Ungaro (2002); Lazzarini<br />

(2004 e 2007).<br />

Come si desume dalle tabelle, sono i<br />

marmi di origine ellenica che prevalgono<br />

su tutti gli altri. In particolare, si<br />

può senz’altro affermare che siano le<br />

due specie lapidee estratte dall’isola di<br />

Sciro (ora, Skyros), e cioè la breccia di<br />

settebasi e il marmo sciretico bianco, a<br />

predominare. Della prima sono le<br />

grandi colonne del peristilio prospiciente<br />

il mosaico della grande caccia, e<br />

molti riquadri e cornici dell’opus sectile<br />

della basilica; del secondo erano con<br />

ogni probabilità molti dei rivestimenti<br />

parietali e pavimentali, sia della basilica<br />

che di altri spazi della villa. Va<br />

anche notata la considerevole abbondanza<br />

del verde antico, il cui uso e diffusione<br />

è, come noto, da datare a dopo<br />

l’età adrianea, ma la cui massiccia presenza<br />

in contesti romani non è molto<br />

comune.<br />

Dei marmi microasiatici, l’africano<br />

appare il più usato, e solo per rivestimenti,<br />

mentre i graniti sono presenti<br />

specie in colonne. Di questi, il più<br />

abbondante è il misio, presente con

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