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il dj<br />
Dopo la manodopera specializzata e gli addetti alla ristorazione,<br />
il terzo flusso migratorio più consistente dall’Italia alla Germania<br />
è rappresentato dai dj. Spesso laureato in materie umanistiche,<br />
milite esente e bella presenza, il disc jockey abbandona<br />
appena può la terra natia con la sua valigia di dischi, deciso a<br />
farsi le ossa e un nome nella patria della musica techno.<br />
Sprovincializzarsi, “muoversi nell’ambiente”, trasformare<br />
una passione in professione. Per raggiungere questi obiettivi il<br />
nostro dj aveva preso in affitto una stanza ad Amburgo e si era<br />
mantenuto lavorando come cameriere in un ristorante pugliese<br />
in attesa del fine ultimo: guadagnare suonando per potersi<br />
permettere di fare il cameriere <strong>gratis</strong> la sera. Ce l’aveva quasi<br />
fatta: aveva pubblicato su MySpace un primo – ancora acerbo<br />
– pezzo strumentale di sedici minuti dal titolo “Vivevo dai<br />
miei, ora faccio il dj”; aveva trovato, grazie alla dritta del cuoco<br />
pugliese, una sua collocazione negli intricati sottogeneri della<br />
techno, aderendo alla “techno massimalista impaziente”, una<br />
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