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Catalogo della mostra Virus Vitreum - Giuliano Giuman

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Paolo Bolpagni<br />

Milano<br />

Dicembre 2012<br />

Dialettica del vetro.<br />

L’arte di <strong>Giuman</strong> tra evoluzione e continuità<br />

È alla metà degli anni ottanta che <strong>Giuliano</strong> <strong>Giuman</strong> scopre il vetro come proprio medium<br />

artistico perfettamente consentaneo. Da allora egli è diventato, in quest’ambito di<br />

espressione, un maestro riconosciuto, e il suo percorso è evoluto sia sotto il profilo tecnico,<br />

sia, soprattutto, in chiave estetica. Un elemento di continuità è da ravvisarsi nella<br />

sensibilità cromatica tutta personale, fatta di toni quasi sempre saturi e felicemente<br />

sbrigliati (del resto, il vetro di <strong>Giuman</strong> non è colorato in partenza, a monte del procedimento,<br />

ma dipinto, ossia fermato a seicento gradi e fuso a ottocento, e ciò contribuisce<br />

alla lucentezza e vivacità del risultato visivo). Tuttavia, nella produzione recente, presentata<br />

qui per la prima volta nella Casina delle Civette di Villa Torlonia, si notano anche i<br />

segni di una svolta evidente: è come se un’energia compressa, a lungo coltivata e insieme<br />

raffrenata – o meglio, forse, dissimulata dalle politezze armoniche, sotto classici<br />

equilibri –, avesse fortemente innervato gli ultimi esiti del lavoro di <strong>Giuman</strong>, conferendo<br />

loro di volta in volta un vigore gagliardo o una sapida arguzia, a livello tanto di forma e<br />

materia, quanto di contenuto. Ma tutto ciò senza tradirsi né smentirsi, e senza rinunciare<br />

al bello. Mi rendo conto di come sia desueta e discussa, nel dibattito contemporaneo,<br />

questa categoria di giudizio, che ormai si direbbe abbia assunto persino una connotazione<br />

negativa, quasi fosse sinonimo di vuoto decorativismo o piacevolezza superficialmente<br />

allettante. Eppure <strong>Giuman</strong>, consapevole delle difficoltà insite in una simile aspirazione,<br />

non ha mai temuto di perseguire la bellezza, consapevole del fatto che essa sia<br />

così ardua (il brutto e lo sgradevole sono più facili e scontati e, oserei aggiungere, alla<br />

moda), ma così carica di valenze profonde, irradianti simbologie e significati dai molti<br />

possibili riverberi. La sua, in fondo, è un’estetica <strong>della</strong> luce, del riflesso, <strong>della</strong> trasparenza,<br />

dell’impalpabilità del colore; che si conferma anche nella produzione dell’ultimo<br />

periodo, dove, in verità, fanno la comparsa elementi “estranei”, opachi, pesanti, che<br />

contrastano con la levità miracolosa del vetro e proprio per questo la esaltano ulteriormente.<br />

In effetti, quando si parlava di evoluzione e svolta, si alludeva sia all’ingresso,<br />

nei suoi lavori, di nuovi materiali (il legno, il metallo) e addirittura di oggetti prelevati<br />

dalla realtà (il torchio, la vecchia tenaglia arrugginita etc.), sia a una sorta di “sprezzatura”:<br />

quella che Baldassare Castiglione, nel Cortegiano, definiva come capacità che l’opera<br />

“nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza<br />

pensarvi”, giacché “si può dire quella essere vera arte, che non pare essere arte; né più<br />

in altro si ha da poner studio che nel nasconderla”.<br />

L’impressione è che <strong>Giuman</strong> volesse per un po’ distogliere la nostra concentrazione di<br />

spettatori dalla bellezza e dalla perfezione tecnica ed estetica come fini, per farcele<br />

considerare invece in quanto mezzi: mezzi per la comunicazione, per la manifestazione<br />

di contenuti di carattere formale, percettivo, intellettuale, emozionale, e per la ri-significazione<br />

di ciò che abbiamo costantemente sotto gli occhi e che ci sfugge o passa inosservato:<br />

insomma per <strong>mostra</strong>rci che nulla è ovvio, e tutto è degno di attenzione, se non<br />

di meraviglia.<br />

Mai un materiale tanto connotato quale il vetro ha rivelato una tale malleabilità e duttilità<br />

d’impiego: quasi ci si dimentica <strong>della</strong> sua reale consistenza, che nelle Pieghe dell’anima<br />

diventa quella di una sostanza fluida che sembra molle e vischiosa, nell’Urlo<br />

dura e refrattaria alla stregua di una pietra scistosa, in Vulcano rovente come una brace<br />

pulsante fuoco. Qui, alla pari che in ogni opera del nuovo ciclo, si mette in moto un<br />

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