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Catalogo della mostra Virus Vitreum - Giuliano Giuman

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cortocircuito concettuale, che non è boutade o trovata di spirito, ma autentico meccanismo<br />

del pensiero (lo stesso, in fondo, avveniva nel <strong>Giuman</strong> degli anni settanta, pittore e<br />

fotografo delle Ombre, e in questo senso l’evoluzione attuale è forse un “ritorno”), che<br />

alterna drammaticità, ironia e riflessione: la maestria può essere persino dissimulata,<br />

perché la padronanza consente totale libertà e disinvoltura nel trattamento. Per esempio<br />

l’Ovale, nella sua apparente semplicità, è invece uno specchio di Dorian Gray che<br />

riflette l’universo possibile nella complessità cangiante di una gamma cromatica straordinariamente<br />

ampia, di cui ci rendiamo conto solo in seconda istanza, in sede di analisi,<br />

in quanto l’oggetto possiede la naturalezza di ciò che esiste da sempre ed è, per<br />

così dire, necessario. Trentacinque chili netti è un interrogarsi sulle forze fisiche che<br />

regolano il mondo, sulla materia, il peso e l’elasticità, e allo stesso modo Gutenberg<br />

sfida la nostra percezione, ci allarma e inquieta (il torchio arriverà davvero a frantumare<br />

le lastre?), ma insieme appaga la mente. Se il vetro qui si è fatto carta, in Biblioteca si<br />

metamorfizza in libro, e in Piccolo mare (e, credo, anche in Memoria delle origini) in<br />

ancestrale presenza acquorea; mentre Polifemo è una reinterpretazione – la cui suggestione<br />

e potenza scaturiscono proprio dalla mancanza del protagonista – del celebre<br />

mito greco, e Resurrezione è un’alta meditazione, spirituale più che religiosa e confessionale<br />

stricto sensu, tanto più che non vi si ravvisa nulla di didascalico, dell’atteggiato<br />

simil-avanguardismo di certi “professionisti dell’arte sacra” di oggi, ma tutto è concentrazione<br />

e ascesi.<br />

Chiodo è un’opera monumentale, pensata per questa <strong>mostra</strong> nella Casina delle Civette<br />

come omaggio alla grande vetrata di Duilio Cambellotti, e il disegno rigoroso e geometrico<br />

che la caratterizza – cosa ormai piuttosto rara in <strong>Giuman</strong> – è enfatizzato per contrasto<br />

dai toni accesi e morbidamente sfumanti l’un nell’altro. Anche Carovana è stata<br />

realizzata per l’occasione, in relazione al luogo espositivo: uno dei simboli dello stemma<br />

<strong>della</strong> famiglia Torlonia, la cometa, ci rimanda all’idea di lunghi viaggi rischiarati nel<br />

loro percorso dal riferimento <strong>della</strong> mistica stella, ma ancora una volta il paradosso,<br />

meccanismo concettuale che contraddice l’ovvio e il prevedibile, trasforma i pesanti<br />

carriaggi di una spedizione nel deserto in una sottile lastra trasparente dotata di forte<br />

direzionalità, che indica allegoricamente la meta di un cammino. Il tema dell’aspirazione<br />

al movimento liberatorio torna, in chiave mediata, in Volare senza ali: la parte inferiore<br />

<strong>della</strong> scultura si compone di quattro strati di vetro dipinti a gran fuoco, sovrapposti e<br />

tenuti insieme dal piombo, mentre la dialettica degli elementi posti in alto esprime il<br />

desiderio di librarsi, che combatte e vince i gravami <strong>della</strong> terrestrità. È questo, forse, il<br />

messaggio più autentico e sentito che ci lascia <strong>Giuman</strong>; e il suo autobiografico Magazzino<br />

di forme, colori e materiali si rivela infine il punto d’appoggio e la base di partenza<br />

per i voli <strong>della</strong> fantasia e <strong>della</strong> poesia.<br />

9<br />

Casina delle Civette<br />

Museo <strong>della</strong> Vetrata Italiana<br />

Villa Torlonia<br />

Roma

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