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IL RACCONTO<br />

di IGNAZIO APOLLONI<br />

16<br />

La materia<br />

poteva non esserci<br />

In quel torno di tempo avevo ben altro da fare che occuparmi<br />

di arte. I miei interessi spaziavano dai viaggi verso<br />

la luna, per i quali mi stavo diligentemente allenando,<br />

alla collezione certosina di microrganismi da allevare in<br />

provetta. Non disdegnavo altresì l’allevamento di cuccioli<br />

di cani bastardi che andavo raccattando quando le<br />

loro mamme decidevano di abbandonarli al loro destino.<br />

Cosa volete dunque che mi importasse andare per<br />

mostre, partecipare al rito del taglio del filo di lana per<br />

essere tra i primi a rimanere imbambolato davanti all’ultimo<br />

reperto recuperato in mare o vedere sorgere dal nulla<br />

un miracolo della natura dal greto di un fiume. L’ho già<br />

detto, lo ripeto. Ci sono nel momento del quale parlo più<br />

urgenze che stati di estasi da conquistare per sentirsi a<br />

posto con la coscienza; più progetti per il futuro che non<br />

per il passato. Bando perciò alle chiacchiere e dedichiamoci<br />

a essi.<br />

Eppure, mi rimordeva dentro qualcosa di indefinibile, da<br />

togliermi spesso il sonno. In tali casi mi alzavo dal letto, mi<br />

infilavo il berretto di lana (la mia casa di allora non aveva<br />

riscaldamento), <strong>info</strong>rcavo gli occhiali, davo uno sguardo<br />

distratto alle mie provette e quindi - comodamente seduto<br />

in poltrona - cominciavo a sfogliare libri d’arte. Ad<br />

affascinarmi ovviamente erano i volti e i sorrisi delle donne<br />

rinascimentali, i preziosi ornamenti, i monili scelti con<br />

cura dai vari pittori per mettere in risalto grazia e bellezza.<br />

Per me l’arte era quella e non altro. Tutt’al più potevo<br />

fare qualche eccezione inglobandoci le figure ieratiche<br />

dell’Alto Medioevo perché le legavo al verso dal titolo<br />

tanto gentile e tanto onesta pare. Una volta fatto il pieno<br />

me ne tornavo a letto più ricco e più lieto di esserci in<br />

Pietro Consagra<br />

La materia poteva non esserci, 1986<br />

Fiumara d’Arte, Castel di Tusa (ME)<br />

Foto di Giuseppe Viviano<br />

questo mondo. Quasi quasi mi dispiaceva di dovere ritornare<br />

alla mia professione di astronauta e ai miei hobby.<br />

Poi però il pentimento. Senza le mie cure addio provette<br />

e cani bastardi. Se non proprio l’umanità ne avrebbero<br />

sofferto i microrganismi e le povere bestie.<br />

Andai avanti così per molto tempo. Partecipai a voli<br />

spaziali, mettendo in una occasione persino i piedi sulla<br />

luna. Le prossime mete sarebbero state Marte o Venere<br />

(manco a dirlo io propendevo per Venere ma toccava ai<br />

direttori dell’Ente Spaziale scegliere sicché non essendo<br />

un ganimede avevo ben poco da sperare). Cosa perciò<br />

di più esaltante che non potere dire sono stato a S. Pietroburgo<br />

e mi sono prostrato, messo anzi in ginocchio in<br />

segno di adorazione davanti a quelle opere d’arte. Nel<br />

primo caso, sarebbero venuti giornalisti a intervistarmi (ed<br />

io a farmi pregare; oggi no, rinviamo a domani; sto definendo<br />

il modellino di navicella spaziale su cui ci imbarcheremo<br />

la prossima volta noi cinque, i già selezionati).<br />

Nel secondo, a nessuno sarebbe venuto in mente di cercare<br />

di sapere cosa ne penso di Benozzo da Forlì, fosse<br />

anche gente di Forlì.<br />

Finché però un bel giorno senza che l’avessi programmato,<br />

diversamente dalle mie abitudini, mi scopro curiosamente<br />

interessato all’arte contemporanea. Era semplicemente<br />

accaduto che andando a curiosare nel greto di<br />

un fiume da quelle parti chiamato non so perché fiumara<br />

- ci trovo un bel museo e nella parte secca un manufatto<br />

pare dedicato alla bellezza. In verità non è male, con<br />

tutte quelle volute, il contrasto di grigio e nero in felice<br />

connubio (non male il connubio) con l’azzurro del cielo<br />

e il color sabbia dei ciottoli. Si respira peraltro tutt’intorno<br />

aria di festa, ed infatti odo augelli far festa. A tutta prima<br />

la cosa mi sconvolge perché mette in discussione il<br />

mio senso estetico legato a moduli arcaici, poi ci prendo<br />

gusto. Sospendo pertanto la ricerca di microrganismi e<br />

cuccioli di cani bastardi che mi avevano condotto dalle<br />

parti di Tusa; tiro fuori la macchina fotografica e l’album<br />

da disegno; rivolgo gli occhi al cielo per trovare la giusta<br />

ispirazione, ed ecco che mi ritrovo con tutto il necessario<br />

per potere anch’io realizzare una scultura da fare pendant<br />

con quella di Pietro Consagra e da titolare La materia<br />

poteva non esserci.<br />

Abbastanza soddisfatto della mia improvvisa decisione di<br />

buttare alle ortiche quanto fin qui ha costituito il motivo<br />

principale del mio orgoglio; con l’atteggiamento tipico<br />

del neofita; con la baldanza che sopraggiunge quando<br />

si è sicuri di sé e ci si sente definitivamente fuori dal guado<br />

mi dirigo adesso più sicuro di prima verso il mio destino. Gli<br />

esempi di conversione non mancano. I successi nemmeno.<br />

Ricordo di aver sentito di un pilota di otto volante, andato<br />

in pensione con le ossa rotte dopo un volo di ottanta<br />

metri con tutto il carrello che si era sganciato, il quale<br />

si era dato a inventare vari tipi di paracadute diventando<br />

in tal modo famoso. Perché allora non io?<br />

Capivo però come non fosse facile entrare nel gotha degli<br />

uomini illustri, artisti di fama, senza avere prima inventato<br />

uno stile: tanto più che allora ero un povero in canna.<br />

Mi guardo perciò in giro, frequento gallerie, ostento, mi<br />

presento vestito di jeans laddove invece ci sono solo uomini<br />

in frac. Manco a dirlo la cosa colpisce. C’è chi mi<br />

osserva con simpatia (specialmente le signore), chi con<br />

sussiego epperò ben celato tanto da potersi prendere<br />

per benevolenza. Intuisco allora: questo è il mio momento!<br />

lascia perdere la scienza e datti all’arte. Nelle circostanze<br />

di cui sopra ovviamente non potevo che darmi a<br />

un’arte povera di mezzi se non di risultati. Ecco allora che<br />

invento l’arte povera.<br />

Fu un colpaccio. Fu quasi uno slam in faccia a quei signori:<br />

rubicondi quanto a viso e soliti giocarsi a bridge un<br />

mucchio di quattrini. Essendo ad ogni modo quasi tutti<br />

galleristi presero a corteggiarmi, a darmi suggerimenti<br />

sul come intanto uscire dalle ambasce in cui mi trovavo<br />

stante che ormai non sono più se non uno scienziato<br />

senza prospettive (e nemmeno più un allevatore di cani<br />

bastardi) e tuttavia non ancora diventato un artista. Da<br />

parte mia li ascolto - rinserrandomi però nel più assoluto<br />

mutismo vuoi per non lasciare intendere quali saranno le<br />

mie mosse, vuoi perché ancora non ho molto da dire. In<br />

verità qualche idea ce l’ho, non sono comunque pronto<br />

a farla collaudare e brevettare. Attendo perciò tempi migliori<br />

e finalmente questi arrivarono.<br />

Fu il momento in cui la gente cominciò a disfarsi di abiti<br />

dismessi considerandoli stracci; caterve di gonne lunghe<br />

fino ai piedi buttate via perché è sopraggiunta la moda<br />

alla Mary Quant; calze di nylon ancora impacchettate<br />

che finiscono al macero perché le donne adesso amano<br />

scoprirsi le gambe e ci manca poco che escano senza<br />

mutandine per far capire dove esattamente finisce il tronco<br />

e da dove si dipartono gli arti preposti alla deambulazione.<br />

Per dirla tutta sopravenne una sorta di massacro<br />

del come eravamo, del come era l’arte e in prospettiva<br />

cosa dovesse intendersi per arte. Io però, divenuto letteralmente<br />

invasato; calato nel ruolo di artista a tutto tondo<br />

(non male il tutto tondo), non mi curo se non di dovere<br />

dare di me l’immagine di un poveretto vestito di stracci<br />

per restare perfettamente nel ruolo assegnatomi da quegli<br />

sponsor. Mi si disse però di lì a poco che quella specie<br />

di mia perenne performance - nel senso di uno che<br />

cammina nelle strade quasi fosse uno straccione - aveva<br />

un precedente già codificato, la cosidetta arte brut. Che<br />

dunque mi dessi una mossa e dessi maggiore sostanza<br />

all’arte povera.<br />

È una parola! mi dico. Datemi uno spunto! gli dico, e vi<br />

solleverò il mondo! Quei lor signori, purtroppo per me, non<br />

erano interessati a vedere sollevato il mondo ma a vedersi<br />

rientrare nel gioco delle parti presentando al pubblico<br />

di critici d’arte, storici dell’arte, fenomenologi di stili e intenditori<br />

vari il fenomeno vivente, cioè io, visto nella veste<br />

di collezionista di stracci (come dire stracciarolo) capace<br />

di creare cumuli di senso compiuto con magliette, camicette,<br />

giacchette, cappotti fuori moda da stupire persino<br />

coloro che se ne erano privati: ci si attendeva anzi che<br />

venissero in massa alle mostre per recuperare le loro cose,<br />

parlando addirittura di refurtiva. Mi dovetti pertanto dar<br />

da fare con vernici e colori, tinture e solventi a scolorire,<br />

creare sfumature, alterare la struttura del tessuto per renderlo<br />

irriconoscibile. L’ebbi ovviamente vinta. Non ci furono<br />

santi che tengano, l’ebbi vinta. E con me quei signori<br />

che avevano elargito i loro capitali.<br />

Da allora vivo da nababbo tra lussi e crociere; abiti firmati;<br />

scarpe dalla suola di cuoio e dalla tomaia di vitellina<br />

da latte: rigorosamente vitellina mica vitello; camicie di<br />

seta aperte sul petto per fare ventilare i peli (sono infatti<br />

uno che ha tanti peli sul petto e non ha peli sulla lingua);<br />

orologi costruiti apposta per me, portati con disinvoltura<br />

stante che sono assicurato con i Lloyds; un cottage sulla<br />

costa atlantica degli Stati Uniti e uno su quella del Pacifico,<br />

avessi voglia di andare a caccia di foche o per un<br />

safari fotografico a caccia di leoni marini. Quando mi incontrano<br />

i miei colleghi di un tempo - ancora alla ricerca<br />

di tracce di acqua o di ghiaccio su Marte - mi domandano<br />

come va, ed io: Va! Va! anzi La va! Eccome se la va!<br />

Se poi mi domandano cosa abbia potuto farmi declinare<br />

l’invito di mettere per primo piede su Marte per dedicarmi<br />

così impudentemente all’arte (ovvio che loro non<br />

capiscono niente di generi o stili e perciò evito di menzionare<br />

il mio anche perché non riuscirebbero a capire)<br />

racconto del mio iniziale flirt con l’arte avvenuto in quel di<br />

Tusa, esattamente nel greto della fiumara che ne porta il<br />

nome: attonito davanti a un’opera mastodontica che ha<br />

cambiato l’assetto morfologico di tutta la zona divenendo<br />

ad un tempo un’icona. Non potevo certamente però<br />

ispirarmi a quel monumento alla bellezza per fare fortuna.<br />

Dovevo creare un genere, o meglio uno stile nuovo a beneficio<br />

della fenomenologia; di qui l’invenzione dell’arte<br />

povera. Se vogliono quindi anche loro il successo smettano<br />

di ricercare molecole o microrganismi nell’Universo.<br />

Molto di più gliene verrà se daranno anche loro vita<br />

a qualcosa di stupefacente perché questo è ciò che si<br />

aspetta la gente.<br />

Ignazio Apolloni<br />

vive ed opera a Palermo<br />

ARTA ntis.<strong>info</strong><br />

17

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